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- . 2 | 2014 NOTIZIE Attività e progetti CAM- ON HAITI | GEORGIA | ARMENIA | KENIA | ARGENTINA INDONESIA | INDIA | FILIPPINE

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Page 1: CAM- ON · le violenze l’analfabetismo. 3 EDITORIALE Apriamo questo numero di Cam On con la fotografia del nuovo Padre generale: padre Leocir Pessini a cui auguriamo di riportare

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NOTIZIE Attività e progetti

CAM-ON

HAITI | GEORGIA | ARMENIA | KENIA | ARGENTINAINDONESIA | INDIA | FILIPPINE

Page 2: CAM- ON · le violenze l’analfabetismo. 3 EDITORIALE Apriamo questo numero di Cam On con la fotografia del nuovo Padre generale: padre Leocir Pessini a cui auguriamo di riportare

AUGURI

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Auguri al neoeletto Padre Generale

Madian Orizzonti fa i più cari auguri di buon lavoro al nuovo Padre generale dell’Ordine dei Ministri degli Infermi (Camilliani).Il Capitolo generale straordinario dell’Ordine ha eletto il 22 giugno scorso il 60 esimo Superiore generale: è padre Leocir Pessini, superiore provinciale della Provincia Brasiliana.L’elezione è avvenuta al primo scrutinio e a larghissima maggioranza, segno dell’unità dei Capito-lari chiamati a scegliere la nuova guida dell’Ordine.Nato il 14 maggio del 1955 a Santa Caterina in Brasile, padre Pessini ha emesso la prima profes-sione nel 1975, la professione perpetua nel 1978, ed è stato ordinato sacerdote nel 1980. Laureato in Filosofia nell’ateneo “Nostra Signora Assunta” di San Paolo in Brasile e in Teologia alla Pontificia Università Salesiana di Roma, si è specializzato in Educazione clinica pastorale, Teologia Morale e Bioetica. E’ vice-rettore del centro universitario “San Camillo” di San Paolo e presidente del Camillian organizations, che riunisce 56 ospedali brasiliani.Ricopre l’incarico di direttore editoriale in due riviste scientifiche e ha all’attivo diverse pubblica-zioni sui temi della bioetica, della pastorale della salute e dell’umanizzazione delle cure.

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EDITORIALE

Apriamo questo numero di Cam On con la fotografia del nuovo Padre generale: padre Leocir Pessini a cui auguriamo di riportare l’Ordine camilliano alla freschezza del-le origini, attento al servizio dei malati poveri e abbandonati. Gli auguriamo di non

impantanarsi in opere che fanno perdere di vista la persona del malato che rischia di essere sempre piu’ sommersa da carte, regole, leggi preoccupazioni aziendali che soffocano fino alla morte ogni slancio profetico e rattrappiscono il battito del cuore.Ottobre è il mese missionario per eccellenza. La Chiesa ci invita a pregare perché l’annuncio del Vangelo porti nel mondo giustizia, diritti, pace, uguaglianza, istruzione e attraverso il la-voro instancabile di missionari e missionarie aiuti a vincere la fame, le malattie, l’abbandono, le violenze l’analfabetismo.Il messaggio di Papa Francesco, in occasione della 88a giornata missionaria mondiale vuole essere uno stimolo e un segno di speranza per un mondo possibilmente migliore, fondato sulla gioia della condivisione, delle realtà più preziose che abbiamo: l’amore e la fede.Per questo le religioni, tutte le religioni, devono unirsi per annunciare un Dio che unisce e non divide, perché chi predica e crede in un Dio che porta alla violenza, alle guerre, alle divisioni tra gli uomini, un Dio che semina odio, vendetta, discriminazione, un Dio che invece che ral-legrare la vita degli uomini la intristisce, annuncia l’Anti-Dio che è Satana.Questo numero di Cam-On ci vuole parlare di pace, l’accento quindi non sarà tanto su ciò che la nostra Associazione continua a realizzare con i suoi progetti ma vuole diventare un contri-buto ed essere una piccola riflessione sul difficile momento che il mondo sta vivendo a causa delle violenze e delle guerre.Oggi stiamo assistendo ad una recrudescenza di tante guerre regionali e locali che insangui-nano il pianeta; pensiamo al conflitto tra Palestina e Israele, a quanto accade in Ucraina con la tragedia dell’aereo di linea malese abbattuto da un missile, pensiamo alle guerre in atto in Libia, in Somalia, in Siria, in Eitrea, in Iraq, senza parlare del terrorismo che imperversa in altrettanti parti dell’Africa.Tanta violenza, che porta solo lacrime, sangue, distruzione e morte. Due articoli, il primo del Cardinale Carlo Maria Martini che nel Corriere della Sera ci parla da un lato della pace con la capacità di guardare il dolore e dall’altro della guerra israelo-pa-lestinese. E’ del 2003 ma sembra scritto oggi per questa guerra, una delle tante combattute in quella tragica striscia di terra. L’altro articolo, di Giovanna Zincone, ci parla di immigrazione.Facciamo nostri gli appelli dei Papi, da Papa Paolo IV che nel suo discorso all’Organizzazione delle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965 ha invocato: «non gli uni contro gli altri, non più, non mai […] contro le guerre e per la pace. Ascoltate le chiare parole d’un grande scomparso, di John Kennedy che quattro anni or sono proclamava: “L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità”[…] Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili, special-mente quelle che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, differenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psi-cologia dei popoli» agli appelli di Papa Francesco che recentemente parlando della guerra

in Siria ha detto: «Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!»[…] «sempre rimane il dubbio se questa guerra di qua o di là è davvero una guerra o è una guerra commerciale per vende-re queste armi, o è per incrementare il commercio illegale?» ed ancora in un recente messaggio dell’Angelus

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EDITORIALE

domenicale ha detto: «Fratelli e sorelle, mai la guerra, mai la guerra! Penso soprattutto ai bam-bini, ai quali si toglie la speranza di una vita degna, di un futuro. Bambini morti, bambini feriti, bambini mutilati, bambini orfani, bambini che hanno come giocattoli residui bellici, bambini che non sanno sorridere.» Una conseguenza di tutto questo è il vertiginoso aumento dell’immigrazione da parte di perso-ne che scappano da queste guerre. Il bell’articolo di Giovanna Zincone scritto per LA STAM-PA, dal titolo “Aiutiamoli a casa loro” dice in modo chiaro quanto sia complesso il fenomeno immigratorio e quanta genericità, menzogna e ipocrisia si nasconda dietro all’indignazione di maniera per una invasione che in realtà è solo la triste conseguenza di povertà e violenza.Il nostro ordine camilliano già da diversi anni si è dotato di una organizzazione per far fronte alle emergenze umanitarie, la “Camillian Task Force”, attiva in diverse parti del mondo colpite da calamità naturali - pensiamo alla recente alluvione nelle Filippine dove Madian Orizzonti Onlus, tramite La Stampa Specchio dei Tempi è intervenuta per l’acquisto di 75 barche per la pesca – ed ancora i vari terremoti che hanno colpito il Cile, Haiti, L’Aquila o il terremoto e lo tsunami in Thailandia, Indonesia e Giappone.Il filippino Padre Aristelo Miranda, neo Consultore Generale del nostro Ordine è Presidente della Camillian Task Force, intervistato da Alessandro Battaglino ci racconta quanto in questi anni è stato fatto e realizzato in diverse parti del mondo colpite da calamità naturali.Da Haiti, in particolare da Jérémie, Padre Massimo Miraglio ci parla della recente epidemia di chikungunya che ha colpito il 60% della popolazione. Con la raccolta di farmaci che la Fon-dazione Banco Farmaceutico ci ha prontamente procurato abbiamo provveduto ad inviare ad Haiti, tramite i volontari, i primi farmaci e subito dopo è partito un container con paracetamo-lo per adulti e pediatrico, vitamine e antinfiammatori.Nel mese di giugno nel Santuario di San Giuseppe è stato presentato il Bilancio Sociale 2013 di Madian Orizzonti con la partecipazione straordinaria di Monsignor Luigi Bettazzi che ha tenuto la Lectio Magistralis che pubblichiamo. Vogliamo dare ampio spazio a questa presen-tazione che ha riscosso consensi, apprezzamento e partecipazione.Il programma degli eventi che si realizzeranno in autunno e in inverno ci raccontano la vita della nostra Associazione e l’impegno per portare a conoscenza e coinvolgere sempre più per-sone possibile per la realizzazione dei tanti progetti che ci stanno a cuore.Credere che la pace è possibile è operare per realizzare opere di pace, seminare giustizia, alle-viare sofferenze, portare dignità, combattere le strutture di male presente nel mondo, ognuno secondo le sue capacità e possibilità, ognuno con le convinzioni che albergano nel cuore. La pace si costruisce con lo spirito, con le idee, con le opere senza valutare il vantaggio o il danno economico che deriva da questa scelta così nobile e vitale perché se al di sopra di quelli che re-stano i valori fondanti del nostro esseri umani mettiamo sempre l’ipoteca economica abbiamo già rinunciato a credere a noi stessi.Dobbiamo nella nostra vita trovare, dal tesoro che ognuno di noi possiede, le certezze vitali che ci aiutano a scegliere e a credere solo in ciò che veramente vale. Queste certezze non si gridano in piazza, non si ostentano in pubblico, perché sono certezze interiori che vanno ricer-cate nel silenzio, nella discrezione; certezze che si formano pian piano all’interno della nostra esperienza di vita e diventano patrimonio prezioso della nostra coscienza.Sono queste certezze vitali che ci danno forza e ci spingono a scegliere e fare cose che agli oc-chi dei superficiali e distratti sembrano follie (quante sane follie siamo capaci di fare in nome dell’amore!) ma per noi che le facciamo perché ci crediamo sono cose normali, anzi ci meravi-gliamo della meraviglia degli altri.Teniamo prezioso questo tesoro che dà senso e significato profondo alle nostre vite senza il quale la nostra esistenza sarebbe una labile illusione. Padre Antonio Menegon

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FOCUS

Messaggio di Papa FrancescoCari fratelli e sorelle,

Oggi c’è ancora moltissima gente che non conosce Gesù Cristo. Rimane perciò di grande urgenza la missione ad gentes, a cui tutti i membri della Chiesa sono chia-mati a partecipare, in quanto la Chiesa è per sua natura missionaria: la Chiesa è

nata “in uscita”. La Giornata Missionaria Mondiale è un momento privilegiato in cui i fedeli dei vari continenti si impegnano con preghiere e gesti concreti di solidarietà a sostegno delle giovani Chiese nei territori di missione. Si tratta di una celebrazione di grazia e di gioia. Di grazia, perché lo Spirito Santo, mandato dal Padre, offre saggezza e fortezza a quanti sono docili alla sua azione. Di gioia, perché Gesù Cristo, Figlio del Padre, inviato per evange-lizzare il mondo, sostiene e accompagna la nostra opera missionaria. Proprio sulla gioia di Gesù e dei discepoli missionari vorrei offrire un’icona biblica, che troviamo nel Vangelo di Luca (cfr 10,21-23).

1. L’evangelista racconta che il Signore inviò i settantadue discepoli, a due a due, nelle cit-tà e nei villaggi, ad annunciare che il Regno di Dio si era fatto vicino e preparando la gen-te all’incontro con Gesù. Dopo aver compiu-to questa missione di annuncio, i discepoli tornarono pieni di gioia: la gioia è un tema dominante di questa prima e indimenticabi-le esperienza missionaria. Il Maestro divino disse loro: «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: “Ti rendo lode, o Padre”. (…) E, rivolto ai discepoli, in di-sparte, disse: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete”» (Lc 10,20-21.23).

Sono tre le scene presentate da Luca. Innan-zitutto Gesù parlò ai discepoli, poi si rivolse al Padre, e di nuovo riprese a parlare con loro. Gesù volle rendere partecipi i discepoli della sua gioia, che era diversa e superiore a quella che essi avevano sperimentato.

2. I discepoli erano pieni di gioia, entusiasti del potere di liberare la gente dai demoni. Gesù, tuttavia, li ammonì a non rallegrarsi tanto per il potere ricevuto, quanto per l’amore rice-vuto: «perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20). A loro infatti è stata donata l’esperienza dell’amore di Dio, e anche la possibilità di condividerlo. E questa esperienza dei discepoli è motivo di gioiosa gratitudine per il cuore di Gesù. Luca ha colto questo giu-bilo in una prospettiva di comunione trinitaria: «Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo»

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FOCUS

rivolgendosi al Padre e rendendo a Lui lode. Questo momento di intimo gaudio sgorga dall’amore profondo di Gesù come Figlio verso suo Padre, Signore del cielo e della terra, il quale ha nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti, e le ha rivelate ai piccoli (cfr Lc 10,21). Dio ha nascosto e rivelato, e in questa preghiera di lode risalta soprattutto il rivelare. Che cosa ha rivelato e nascosto Dio? I misteri del suo Regno, l’affermarsi della signoria divina in Gesù e la vittoria su satana.

Dio ha nascosto tutto ciò a coloro che sono troppo pieni di sé e pretendono di sapere già tutto. Sono come accecati dalla propria presunzione e non lasciano spazio a Dio. Si può facilmente pensare ad alcuni contemporanei di Gesù che egli ha ammonito più volte, ma si tratta di un pericolo che esiste sempre, e che riguarda anche noi. Invece, i “piccoli” sono gli umili, i semplici, i poveri, gli emarginati, quelli senza voce, quelli affaticati e oppressi, che Gesù ha detto “beati”. Si può facilmente pensare a Maria, a Giuseppe, ai pescatori di Gali-lea, e ai discepoli chiamati lungo la strada, nel corso della sua predicazione.

3. «Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza» (Lc 10,21). L’espressione di Gesù va compresa con riferimento alla sua esultanza interiore, dove la benevolenza indica un piano salvifico e benevolo da parte del Padre verso gli uomini. Nel contesto di questa bontà divina Gesù ha esultato, perché il Padre ha deciso di amare gli uomini con lo stesso amore che Egli ha per il Figlio. Inoltre, Luca ci rimanda all’esultanza simile di Maria, «l’a-nima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore» (Lc 1,47). Si tratta della buona Notizia che conduce alla salvezza. Maria, portando nel suo grembo Gesù, l’Evangelizzatore per eccellenza, incontrò Elisabetta ed esultò di gioia nello Spirito Santo, cantando il Magnificat. Gesù, vedendo il buon esito della missione dei suoi discepoli e quin-di la loro gioia, esultò nello Spirito Santo e si rivolse a suo Padre in preghiera. In entrambi i casi, si tratta di una gioia per la salvezza in atto, perché l’amore con cui il Padre ama il Figlio giunge fino a noi, e per l’opera dello Spirito Santo, ci avvolge, ci fa entrare nella vita trinitaria.

Il Padre è la fonte della gioia. Il Figlio ne è la manifestazione, e lo Spirito Santo l’animatore. Subito dopo aver lodato il Padre, come dice l’evangelista Matteo, Gesù ci invita: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (11,28-30). «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 1).

Di tale incontro con Gesù, la Vergine Maria ha avuto un’esperienza tutta singolare ed è diventata “causa nostrae laetitiae”. I discepoli, invece, hanno ricevuto la chiamata a stare con Gesù e ad essere inviati da Lui ad evangelizzare (cfr Mc 3,14), e così sono ricolmati di gioia. Perché non entriamo anche noi in questo fiume di gioia?

4. «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di con-

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FOCUS

sumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 2). Pertanto, l’umanità ha grande bisogno di attingere alla salvezza portata da Cristo. I disce-poli sono coloro che si lasciano afferrare sempre più dall’amore di Gesù e marcare dal fuoco della passione per il Regno di Dio, per essere portatori della gioia del Vangelo. Tutti i discepoli del Signore sono chiamati ad alimentare la gioia dell’evangelizzazione. I ve-scovi, come primi responsabili dell’annuncio, hanno il compito di favorire l’unità della Chie-sa locale nell’impegno missionario, tenendo conto che la gioia di comunicare Gesù Cristo si esprime tanto nella preoccupazione di annunciarlo nei luoghi più lontani, quanto in una costante uscita verso le periferie del proprio territorio, dove vi è più gente povera in attesa.

In molte regioni scarseggiano le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Spesso que-sto è dovuto all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso, per cui esse sono povere di entusiasmo e non suscitano attrattiva. La gioia del Vangelo scaturisce dall’incontro con Cristo e dalla condivisione con i poveri. Incoraggio, pertanto le comunità parrocchiali, le associazioni e i gruppi a vivere un’intensa vita fraterna, fondata sull’amore a Gesù e attenta ai bisogni dei più disagiati. Dove c’è gioia, fervore, voglia di portare Cristo agli altri, sorgono vocazioni genuine. Tra queste non vanno dimenticate le vocazioni laicali alla missione. Ormai è cresciuta la coscienza dell’identità e della missione dei fedeli laici nella Chiesa, come pure la consapevolezza che essi sono chiamati ad assumere un ruolo sempre più rile-vante nella diffusione del Vangelo. Per questo è importante una loro adeguata formazione, in vista di un’efficace azione apostolica.

5. «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). La Giornata Missionaria Mondiale è anche un momento per ravvivare il desiderio e il dovere morale della partecipazione gioiosa alla missione ad gentes. Il personale contributo economico è il segno di un’oblazione di se stessi, prima al Signore e poi ai fratelli, perché la propria offerta materiale diventi strumento di evangelizzazione di un’umanità che si costruisce sull’amore.

Cari fratelli e sorelle, in questa Giornata Missionaria Mondiale il mio pensiero va a tutte le Chiese locali. Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione! Vi invito ad immergervi nella gioia del Vangelo, ed alimentare un amore in grado di illuminare la vostra vocazione e missione. Vi esorto a fare memoria, come in un pellegrinaggio interiore, del “primo amore” con cui il Signore Gesù Cristo ha riscaldato il cuore di ciascuno, non per un sentimento di nostalgia, ma per perseverare nella gioia. Il discepolo del Signore persevera nella gioia quando sta con Lui, quando fa la sua volontà, quando condivide la fede, la speranza e la carità evangelica.

A Maria, modello di evangelizzazione umile e gioiosa, rivolgiamo la nostra preghiera, per-ché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un nuovo mondo.

Dal Vaticano, 8 giugno 2014, Solennità di Pentecoste FRANCESCO

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«Ogni popolo guardi il dolore dell’altro e la pace sarà vicina» Di Carlo Maria Martini, pubblicato sul Corriere della Sera il 27 agosto 2003

Torno da Gerusalemme avendo ancora negli orecchi il suono sinistro delle sirene della polizia e delle ambulanze dopo il terribile attentato di martedì 19 agosto. Ma ciò che sempre più ascolto dentro di me non è soltanto il dolore, lo sdegno, la riprovazione,

che si estende a tutti gli atti di violenza, da qualunque parte provengano. È una parola più profonda e radicale, che abita nel cuore di ogni uomo e donna di questo mondo: non fabbri-carti idoli! Questa parola risuona nella Bibbia a partire dalle prime parole del Decalogo e la percorre tutta quanta, dalla Genesi all’Apocalisse. È dunque un comandamento che tocca profondamente il cuore di ebrei e cristiani e segna

un principio irrinunciabile di vita e di azione. Ed è un comandamento anche molto caro all’Islam, che ne fa uno dei pilastri della sua concezione religiosa: c’è un Dio solo, potente e misericordioso, e nulla è compara-bile a lui. Ma è anche un precetto segreto che risuona nel cuore di ogni persona umana: chi adora o serve in ogni modo un idolo ha una coscienza almeno vaga di voler «usare» la divinità o comunque un principio asso-luto per i propri scopi, sente che sta strumentalizzando e sottoponendo ai propri interessi un sistema di valori a cui occorre invece rendere onore. Per questo chiunque adora un idolo intuisce che in qualche modo si degrada, sta facendo il proprio male e sta preparandosi a fare del male agli altri. Ma non ci sono soltanto gli idoli visibili. Più radicati e potenti, duri a morire, sono gli idoli invisibili, quelli che rimangono anche quando sembra escluso ogni riferi-mento religioso. Tra essi vi sono gli idoli della violenza,

della vendetta, del potere (politico, militare, economico...) sentito come risorsa definitiva e ultima. È l’idolo del volere stravincere in tutto, del non voler cedere in nulla, del non accettare nessuna di quelle soluzioni in cui ciascuno sia disposto a perdere qualche cosa in vista di un bene complessivo. Questi idoli, anche se si presentano con le vesti rispettabili della giustizia e del diritto, sono in realtà assetati di sangue umano. Essi hanno una duplice caratteristica: schiavizzano e accecano. Infatti, come dice tante volte la Bibbia, chi adora gli idoli diviene schiavo degli idoli, anche di quelli invisibili: non può più sottrarsi ad esempio alla spirale perversa della vendetta e della ritorsione. E chi è schiavo dell’idolo diventa cieco riguardo al volto umano dell’altro. Ricordo la frase con cui alcuni giovani ex -terroristi degli anni ‘80 cercavano di descrivere come avessero potuto sparare e uccidere: “non vedevamo più il volto degli altri”. Le violenze che si scatenano oggi in tante parti del mondo sono il segno che c’è un’adorazione di questi idoli e che essi ripagano con la loro moneta distruttrice chiunque renda loro omag-gio. Chi ha fiducia solo nella violenza e nel potere prima o poi tende a eliminare e distruggere

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IN CERCA DI PACE

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IN CERCA DI PACE

l’altro e alla fine distrugge se stesso. Già san Paolo am-moniva: “se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”. E ancora: “Non vi fate illusioni: non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà se-minato” (Lettera ai Galati 5,15 e 6,7). Siamo nel vortice di una crisi di umanità che intacca il vincolo di solidarietà fra tutto quanto ha un volto umano. Nell’adorazione dell’idolo della potenza e del successo totale ad ogni costo è l’idea stessa di uomo, di umanità che viene offesa, è l’immagine stessa di Dio che viene sfigurata nell’immagine sfigurata dell’uomo. Ma proprio da questa situazione, dalla presa di coscien-za di trovarsi in un tragico vicolo cieco di violenza - a cui ha fatto più volte allusione il Papa Giovanni Paolo II - può scaturire un grido di allarme salutare e urgente, più forte dell’idolatria del potere e della violenza. È un grido che si traduce concretamente nel proclamare che non vi sono alternative al dialogo e alla pace. Lo sta da tempo ripetendo in tanti modi Giovanni Paolo II. Ma esso è un grido che precede le dichiarazioni pubbliche, per quanto accorate. Risuona infatti nel cuore di ogni uomo o donna di questo mondo che si ponga il problema della sopravvivenza umana. Di al-ternativo alla pace oggi vi è solo il terrore, comunque espresso. Quando la sola alternativa è il male assoluto, il dialogo non è solo una delle possibili vie di uscita, ma una necessità ineludibi-le. Per questo i leader di tutte le parti tra loro contrastanti debbono rischiare senza esitazioni il dialogo della pace. Tutto ciò fa emergere ancora più chiaramente le responsabilità della comunità internazionale, quelle dell’Onu e quelle dell’Europa, quelle degli Stati Uniti, della Russia e dei paesi arabi. È necessario che tutti aiutino il processo di pace che si era appena iniziato, con una pressione forte e convinta a favore della Road Map e anche con la prontezza a fornire un sostegno po-litico e finanziario alle comunità che hanno il coraggio di rischiare la pace. Alla costruzione di muri di cemento e di pietra per dividere le parti contrastanti è preferibile un ponte di uomini che, pur garantendo la sicurezza di entrambe le parti, consenta alle due comunità di comuni-care e di intendersi sempre più sulle cose essenziali e su quelle quotidiane. Certamente l’odio che si è accumulato è grande e grava sui cuori. Vi sono persone e gruppi che se ne nutrono come di un veleno che mentre tiene in vita insieme uccide. Per superare l’i-dolo dell’odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell’altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l’odio quando essa è memoria sol-tanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente a sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace. Non fabbricarti idoli: idolo è anche porre se stesso e i propri interessi al disopra di tutto, dimenticando l’altro, le sue sofferenze, i suoi problemi. Il superamento della schiavitù dell’idolo consiste nel mettere l’altro al centro, così da creare quella base di comprensione che permette di continuare il dialogo e le trattative.

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TERRA SANTA

Aiutiamoli a casa loroDi Giovanna Zincone, pubblicato su La Stampa il 24 luglio 2014

I problemi difficili hanno spesso soluzioni difficili da praticare. Generano pure proposte super-ficiali, talora persino dannose, che hanno però un pregio politico: rafforzano opinioni infon-date ma diffuse, e quindi attraggono elettori.

Certamente l’immigrazione irregolare via mare verso l’Italia pone oggi un problema difficile. Au-mentano gli sbarchi: il 20 luglio erano già quasi 83.000. Mare Nostrum salva sì molte vite, ma i morti sono troppi. Il sistema di accoglienza, sebbene i centri per rifugiati siano aumentati di sei volte in un anno, è sotto stress.I costi di tutta l’operazione sono alti e i contributi dell’UE, anche se consistenti, restano carenti. Non meraviglia, quindi, che secondo un sondaggio pubblicato su Il Corriere della Sera del 14 luglio, quasi il 70% degli italiani consideri gli immigrati soprattutto un costo per l’Italia. Non è vero: i contribuenti stranieri hanno versato ben 6,5 miliardi nelle casse dello Stato, secondo un dato del rapporto 2013 sull’economia dell’immigrazione curato dalla Fondazione Moressa. Ma questo dato non fa notizia, i 9 milioni al mese per Mare Nostrum sì.Una pseudo-soluzione per limitare le immigrazioni clandestine si inserisce in questo spinoso con-testo: ritorna con forza l’abusata proposta dello “aiutiamoli a casa loro”. La ricetta non specifica quali immigrati si debbano aiutare nei paesi di origine, e come farlo. Se ci riferiamo a coloro che stanno arrivando per mare in questi giorni, “a casa” di gran parte di loro ci sono guerre, conflitti civili, violenze e torture. È certo necessario mettere in moto processi di pace in Siria, Libia, Eri-trea, Somalia, Iraq e Palestina. Ma quali strategie si vogliono adottare per sanare quelle situazioni drammatiche? Con quali prospettive di successo stabile e a breve termine?L’occidente ha fomentato o sostenuto ribellioni contro regimi autoritari senza valutare le conse-guenze che avrebbe provocato il sollevare il pesante coperchio della convivenza forzosa tra tribù, minoranze religiose ed etniche. Adesso può anche non piangere sulla benzina versata, ma nei con-fronti di quelle persone in fuga dal caos le democrazie hanno comunque un dovere di accoglienza, e l’obbligo di prima accoglienza pesa oggi – come è noto – sulla fascia sud dei paesi dell’Unione, soprattutto sull’Italia, per non parlare dei paesi direttamente confinanti.Più di reiterare uno sterile e impraticabile “aiutiamoli a casa loro”, si tratta oggi di farci aiutare a sostenere i costi dell’averli a casa nostra, con una più ampia condivisione di oneri con gli altri stati europei. Da tempo i governi italiani chiedono una redistribuzione del peso, non rispetto richie-denti asilo accettati, (l’Italia è penultima in Europa in termini di percentuale sulla popolazione), ma per la prima accoglienza e per il soccorso in mare. Per ora siamo riusciti ad ottenere un po’ più di soldi, ma non un sostanzioso supporto logistico.L’emergenza è reale, e richiede risposte realistiche. Se la formula dello “aiutiamoli a casa loro” è vacua quando si applica a chi sfugge da conflitti e violenze, nei confronti della emigrazione per motivi economici sembra presentarsi vestita di buone intenzioni. Ma anche qui ci si basa su fragili presupposti. In primis la errata convinzione che, migliorando le condizioni economiche del paese di partenza, ci siano meno persone desiderose di emigrare.Gli scompensi di opportunità che separano i paesi di immigrazione da quelli di emigrazione re-stano enormi anche in presenza di forti tasso di sviluppo in quest’ultimi. E anche quando, grazie allo sviluppo, gli squilibri interni ai paesi di emigrazione si stemperano e alcune fasce più povere si arricchiscono, l’emigrazione non si ferma, anzi. A partire, infatti, non sono i più emarginati: i viaggi da clandestini costano cifre enormi, così come l’entrare in un paese con un pretestuoso vi-sto turistico. Per emigrare bisogna mettere insieme denari, occorre la disponibilità di una rete di conoscenze, servono coraggio e spirito di iniziativa.

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IN CERCA DI PACE

Non sono gli ultimi nella scala sociale ad andarsene, e se gli ultimi salgono di qualche gradino perché la situazione generale migliora, magari partono pure loro. La ricetta degli aiuti ai paesi di emigrazione o di transito verso l’Italia è stata adottata dai nostri governi, ma come merce di scambio da offrire perché la collaborazione a contrastare l’emigrazione clandestina. L’Italia ha già sperimentato, con esiti variabili, accordi bilaterali con alcuni Stati: ad esempio con l’Albania, l’Egitto, la Tunisia,il Marocco, la Moldavia.Gli accordi prevedono non solo sostegni logistici, ma anche corsi di formazione, aiuti economici, quote riservate nei decreti annuali con i quali il governo italiano regola la quantità e la composi-zione dei flussi regolari ammessi in Italia. La Ministra Cancellieri aveva rinnovato l’accordo con la Libia, includendo clausole di rispetto dei diritti umani, in particolare per i centri di trattenimento dei clandestini. Ma c’è ancora uno Stato in Libia, comunque capace di rispettare i diritti umani?Più in generale, anche gli Stati non falliti non necessariamente possono o vogliono controllare i loro cittadini che emigrano. L’emigrazione, quando non riguarda lavoratori altamente qualificati, è vantaggiosa perché decongestiona i mercati del lavoro e porta rimesse.E il traffico illegale di immigrati crea un giro di affari notevole, che a cascata produce benessere anche tra i locali. Prima del crollo di Gheddafi – come ricorda Marco Del Panta su Affari Inter-nazionali – il business del traffico era stimato intorno al 10% del PIL della Libia. Si calcola che più del 90 per cento dell’emigrazione irregolare passi dalla porta libica.Ripristinare almeno in parte una capacità di controllo sui flussi da parte della Libia, e renderla decorosa in termini di rispetto dei diritti umani, non sarà impresa da poco.Anche le proposte più serie ed eticamente attraenti presentano enormi difficoltà. Quella di andare a prendere i profughi dove sono concentrati, per evitare i rischiosi viaggi in mare, è una misura che trova crescenti consensi. Alcuni paesi europei, come Germania e Svezia, lo fanno già, e il governo italiano aveva pensato di moltiplicare i centri di accoglienza anche a questo scopo. Ma è praticamente impossibile ricollocare in Europa tutti i rifugiati che sono oggi presenti in altri paesi.Solo dalla Siria l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ha calcolato circa 2 milioni e mezzo di profughi accampati nei paesi limitrofi. Quanti Stati europei sono disposti ad accogliere grandi numeri di rifugiati? E sarebbe comunque abbastanza per tutti? Un’altra proposta, recentemente appoggiata anche da Boldrini, presenta difficoltà simili: suggerisce infatti che ad accogliere le domande di asilo siano le ambasciate e le rappresentanze degli organismi internazionali presenti negli Stati dove si concentrano gli sfollati.Andare a recuperare potenziali rifugiati nei paesi dove si trovano, anche se non per grandi nu-meri, e dando priorità ai più bisognosi di assistenza, è possibile, e rappresenta un bell’atto di solidarietà che andrebbe fatto di concerto. Tutte le strategie che mirano a contenere i flussi, a salvare vite umane, a proteggere i rifugiati vanno tessute con un paziente lavoro di relazioni inter-

nazionali soprattutto all’interno dell’Unione, ma anche dall’Unione europea verso l’esterno, verso i paesi col-piti da conflitti, verso i paesi di emigrazione. Le emer-genze non sono l’ambiente ideale per coltivare la virtù della pazienza, ma un minimo senso di responsabilità suggerirebbe di non approfittare della situazione per solleticare sentimenti ostili agli immigrati.Alcune ben avviate imprese politiche della xenofobia, naturalmente, lo stanno facendo. Purtroppo le criticità dell’immigrazione ci sono, e rappresentano un piatto troppo goloso, una tentazione quasi irresistibile, e non solo per politici in cerca di facili consensi.

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BILANCIO SOCIALE 2013“Non c’è speranza nell’uomo se non nell’amore che uccide l’odio, nella carità che uccide cupi-digie e rancori e ingiustizie. I potenti rammentino che la felicità non nasce dalla ricchezza né dal potere ma dal piacere di donare. La morte è rimorso per chi non ha saputo aprirsi in vita alla compassione”. Fabrizio De Andrè.

In un caldo mattino di Giugno, nel giorno in cui la Chiesa Torinese celebra la festa della Con-solata, Madian Orizzonti Onlus ha presentato, nel Santuario di San Giuseppe, la II edizione del Bilancio Sociale.

Abbiamo voluto non solo illustrare i numeri del 2013 di Madian Orizzonti ma fare della pre-sentazione una occasione di riflessione sulle povertà del mondo.Per questo abbiamo invitato Monsignor Luigi Bettazzi, Vescovo emerito di Ivrea, già presi-dente di Pax Christi e uno degli ultimi testimoni del Concilio ecumenico Vaticano II, a tenere una lectio magistralis che prendesse spunto da un suo libro (La Chiesa dei poveri dal Concilio a Papa Franceco) e da una frase (e un sogno) proprio di Papa Francesco “come vorrei una chiesa povera per i poveri”.

Nelle prossime pagine troverete il testo integrale del suo intervento ricco di stimoli, di spunti di riflessione, di argute e ironiche “punzecchiature” sul presente. Terminata la lectio di Monsignor Bettazzi si è passati a illustrare il bilancio sociale vero e proprio, bilancio che, così come l’operato di Madian, si ispira a tre principi: rigore, coerenza e dignità. Rigore per far fronte in modo efficiente agli impegni presi con i bambini le donne e gli uomini di Port au Prince e Jérémie ad Haiti; di Tbilisi, Khisabavra, la casa della Nonna al confine con l’Ossezia del Sud, in Georgia; dell’altopiano di Ashotsk in Armenia; di Cordoba in Argentina; dell’Isola di Flores in Indonesia; di Visalhapatnem in India; dell’Isola di Samar nelle Filippine; di Kurungu in Kenia. Coerenza sia con il carisma di san Camillo che ci invita a essere mise-ricordiosi, sia con le parole di Papa Francesco “noi dobbiamo essere magnanimi, con il cuore grande, senza paura. Scommettere sempre su grandi cose ma anche sulla magnanimità con le

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piccole cose, con le cose quotidiane: il cuore largo, il cuore grande”.Dignità nel farsi dono per gli altri in modo che nessuno si possa sentire debitore per quello che riceve. Il Bilancio Sociale presta un’attenzione particolare nello spiegare come le rotte della solidarie-tà facciano della sua sede di via San Camillo de Lellis un nido per tanti che a causa di guerre, fame e malattie fuggono dai loro paesi di origine e nello stesso tempo un ramo da cui far par-tire iniziative, progetti, persone, container verso paesi poveri, quelli colpiti da catastrofi più o meno naturali, verso persone, piccole e grandi, che gridano il loro bisogno di una risposta alla domanda di cure, di cibo, di giustizia, di una vita degna.Nel corso del 2013 nuove richieste di aiuto sono arrivate e NUOVI ORIZZONTI si sono aperti.

In India dove una piccola comunità di Suore di San Luigi offre protezione, cibo e istruzione a ragazze orfane; in Indonesia dove il “vulcanico” padre Galvani - di cui abbiamo raccontato in altri numeri di Cam On - sta costruendo un centro di accoglienza e di assistenza medica e ambulatoriale per studenti che arrivano da ogni dove per studiare nella città di Maumere; in Kenya a Karungu dove padre Balliana - che abbiamo intervistato su Cam On di Natale 2013 - aiuta i bambini orfani e malati di AIDS; nelle Filippine dove grazie alla Fondazione La Stampa - Specchio dei Tempi abbiamo restituito ai pescatori della Provincia di Samar quelle barche che il tifone Yolanda ha portato via e distrutto all’inizio di novembre. Senza, ovviamente, far venire meno la prosecuzione del nostro sostegno ai progetti e alle atti-vità di Haiti, della Georgia, dell’Armenia e dell’Argentina. Anche l’edizione del bilancio sociale di quest’anno, cos ì come la precedente, è stata realizzata seguendo sia i più accreditati principi internazionali in materia di responsabilità sociale sia le indicazioni previste nel Metodo Piemonte per il Bilancio Sociale redatto nel 2008 dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Ivrea, Pinerolo, Torino, dal diparti-mento di Management dell’Università di Torino, dalla Direzione Risorse Finanziarie della Regione Piemonte e dall’Ires Piemonte.L’Università e l’Ordine hanno collaborato fornendo rispettivamente la metodologia e la vali-

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dazione e garantendo, quindi, quella oggettività necessaria quando si redige un rendiconto.Il documento si divide essenzialmente in tre parti: l’identità da cui si evince la storia di Madian Orizzonti, i suoi valori e principi di riferimento e si evidenziano gli stakeholder; il rendiconto con il calcolo e la distribuzione del Valore Aggiunto; la relazione sociale in cui si racconta cosa si è fatto nel corso del 2012 nelle “storiche” missioni dell’Armenia, dell’Argentina, della Georgia e di Haiti e nei “nuovi orizzonti” aperti nel 2013 Kenya, Filippine, India e Indonesia. I numeri ci dicono che è diminuita la raccolta per effetto delle crisi che hanno investito i nostri mondi ma che non è diminuito il nostro impegno che, anzi, è aumentato.Il valore aggiunto raccolto e distribuito da Madian nel 2013 è stato di 1 milione e 122 mila euro che sono stati erogati alle missioni di Haiti (73% del totale), della Georgia (18%), dell’Arme-nia (5%) e dell’Argentina (1%, delle Filippine( 1%), del Kenya (1%), dell’India (1%), dell’In-donesia (1%).La remunerazione del personale della Onlus è pari al 5% del totale delle risorse distribuite nel corso dell’anno. Credo che non ci possano essere parole migliori di quelle di Padre Antonio Menegon (pagina 5 del volume) per dare il senso della scelta di far intervenire Monsignor Bettazzi in occasione della presentazione del bilancio Sociale:

“Un’associazione come Madian orizzonti ha il dovere di andare oltre i progetti e la raccolta fondi, di non fermarsi all’elemosina ma di scuotere le coscienze: Certo non sono i nostri pro-getti che cambiamo il mondo, per questo occorre una rivoluzione culturale, politica, econo-mica. Saranno importanti nuove “Invasioni barbariche” che sovvertano impostazioni di vita sclerotizzate da anni di interessi particolaristici che restringono sempre più la ricchezza in mano di pochi, ma nell’attesa di questi eventi, che man mano che i popoli oppressi prenderan-no coscienza della loro miseria si faranno sempre più imminenti, noi cerchiamo nel nostro pic-colo di aiutare a vivere quelle popolazioni che soffrono oggi miseria, sottosviluppo, catastrofi naturali, malattie e povertà, senza sopire la loro ribellione o addormentare le loro coscienze ma anche dando loro un minimo di speranza per un futuro possibile”.

Alessandro Battaglino

http://www.madian-orizzonti.it/bs/2013/

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“Una chiesa povera per i poveri” Torino, 20 giugno 2014Trascrizione “Lectio Magistralis”, Monsignor Luigi Bettazzi

Per prima cosa trasgredisco la regola e parlo di qui, perché mi piace parlare in piedi, così vedo la gente e la gente vede me. Devo chiedere scusa che non leggo il discor-so, perché non ho fatto un discorso scritto. In una piccola città del Nord est, quan-

do chiesi scusa all’organizzatore, questo mi disse: “No, no, monsignore può parlare a van-vera”. E allora parto proprio da questo libretto che mi è capitato di scrivere. L’avevo già scritto anni fa, la “Chiesa dei poveri nel Concilio” e oggi l’ho rivisto e ricompletato, parlan-do della “Chiesa dei poveri dal Concilio a Papa Francesco”, perché in realtà si cominciò a parlarne nel Concilio. Già prima, Papa Giovanni, nell’annunciare un mese prima diceva: “Dobbiamo pensare alla Chiesa dei poveri”. Dei poveri: è importante, perché la Chiesa è sempre stata per i poveri, ma molte volte ca-pita che dall’alto del nostro benessere, noi, diamo un aiuto ai poveri rendendoli ancora più poveri psicologicamente, perché si sento-no sì, aiutati, ma la Chiesa deve essere dei poveri. L’altra cosa che aveva fatto Papa Giovanni era dire che questo più di un Con-cilio dogmatico, doveva essere un Concilio pastorale, perché i concili sono sempre stati dogmatici, cioè hanno definito i dogmi. La Santissima Trinità: Dio sono uno, o sono tre? Non riesco a evadere, a tacere di come lo spiegava Monsignor Tonino Bello, ne ave-te sicuramente sentito parlare, era così bra-vo, che è morto giovane, perché, i bravi, spesso muoiono giovani, ma ci sono anche delle eccezioni. Lui spiegava persino il mi-stero della Santissima Trinità. Lui diceva: “Vedi Don Luigi, che ero io, se fossero 1 + 1 + 1, fa tre, ma sono 1 x 1 x 1, fa uno. Sono talmente l’uno per l’altro che sono un Dio solo. Questo vale per noi, che siamo come Dio ci vuole, non se siamo l’uno per sé, ma se siamo l’uno per l’altro.” Questo qualcuno dice che è un Concilio che vale meno, gli amici di Lefevre, lo dicono ancora. No, era pro-prio pastorale, non basta dire le verità come sono. Io ho letto il Corano e sono diventato musulmano? No, l’ho letto per cultura. L’importante è che quello che leggo lo faccio diven-tar mio. Come rivediamo le verità della fede in modo che diventino la vita di ciascuno di noi? Ed è con questi due punti di vista che Papa Giovanni, allora, avviò il Concilio. Fin dalla prima sessione, un cardinale che allora era famoso, tale cardinale Lercaro [lo cito perché era l’arcivescovo di Bologna, il quale ha fatto qualche sbaglio, perché dopo qualche

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mese, mi fece Vescovo, così ho potuto partecipare a tre sessioni del Concilio], ma alla pri-ma sessione, verso la fine, lui si faceva molto aiutare anche da Don Giuseppe Dossetti, che era un po’ il suo segretario, fece un grande discorso sulla Chiesa dei poveri, dicendo: “Gesù Cristo è presente nella sua chiesa in tre modi particolari: il primo nell’Eucarestia, il secon-do nella gerarchia e il terzo nel povero”. Nel povero è presente Gesù Cristo. Allora voi

capite la Chiesa dei poveri è quella che vede in ogni povero un Gesù Cristo, non tanto dall’alto, da aiutare, ma da rispetta-re, da aiutare perché possa collaborare, perché possa sentirsi nella Chiesa come in casa sua, nella sua famiglia. L’idea della Chiesa dei poveri era stata seminata, gira-va ecco. Papa Paolo VI, allora, preferì dire: “No, faccio io un’enciclica”, aveva paura che nella guerra fredda d’allora, il parlare dei poveri sembrasse scegliere una parte delle due, e fece poi l’enciclica che fu la “Populorum progressio”, che uscì nel ’67, che è una delle encicliche più forti. Le encicliche come i documenti del Concilio si indicano con le parole iniziali, “Populo-rum progressio”, perché “progressio”, vuol dire sviluppo, in latino, se qualcuno lo sa, “populorum”, può voler dire dei pioppi o dei popoli, ma tutti capivano che non inte-ressava tanto lo sviluppo dei pioppi, di fat-ti fin dal principio dicono: “il nuovo nome

della pace e lo sviluppo dei popoli”. Ma il mondo è fatto in modo che già allora, che certi popoli, si sviluppano in modo da impedire agli altri di svilupparsi. Ma siccome non si era fatto il Concilio, un documento specifico, un certo gruppo di vescovi, poi fecero firmare a circa 500, lo avrebbero firmato, forse, anche di più, fecero in uno degli ultimi giorni del Concilio, si ritrovarono nelle catacombe di Domitilla, e sottoscrissero un patto poi fatto firmare, ma era un impegno personale, lo chiamano il “Patto delle catacombe”, dice: “Noi vescovi dobbiamo non usare dei grandi nomi...... eccellenza, eminenza, stare in grandi edi-fici, che la gente ha paura.” Come quel confratello della Germania che il Papa gli ha fatto lasciare la diocesi. Lui ha speso non so quanti milioni per farsi un grande castello. Anche i mezzi di trasporto, stare vicini ai più piccoli, ai più poveri. Le finanze datele a dei laici, fi-dati. Ecco questo era uno sforzo, un cammino. Ma quello che non si è riuscito a fare nel Concilio, lo fecero i vescovi dell’America Latina: si ritrovarono in Colombia, a Medellin, nel 1968, e dissero: “Bisogna fare la scelta preferenziale dei poveri”, che non vuol dire sce-gliere i poveri contro i ricchi, ma vuol dire cominciare a vedere le cose con gli occhi dei poveri. Noi generalmente le vediamo con gli occhi di chi sta bene, perché i giornali, i mez-zi di comunicazione, noi salviamo le banche, ma intanto i giovani non trovano lavoro, le famiglie non arrivano alla fine del mese, cominciare a vedere le cose con gli occhi dei po-

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veri. Vorrei dire che nelle quattro grandi costitu-zioni, perché in tutti i 20 concili, i documenti fon-damentali sono state le costituzioni. Sono state quattro: le prime parole “Sacrosanctum Conci-lium” è quello sulla liturgia, è il primo. Anche lì, di fronte al senso di fede, che veniva alimentato quando si andava e si sentiva tutto in latino, che non lo sapevamo; tant’è vero che per fare il prete dicevamo il rosario durante la messa. Vuol dire che non era una preghiera per noi se dovevamo dire un’altra preghiera. Invece dobbiamo sentire che la nostra preghiera, che è lì, che ognuno si incontra con Gesù Cristo, morto e risorto, che dà lo Spirito Santo, e che dobbiamo rinnovarci, è Lui che ci rinnova ogni volta con il dono dello Spirito Santo. Guardate quella sulla Parola di Dio: Parola è “verbum”, di Dio è “Dei”, “Dei ver-bum”. Una volta la Bibbia non si leggeva, era pe-ricoloso, se si vedeva uno con la Bibbia in mano si diceva: “E’ un protestante!”, perché la Bibbia la leggevano in alto, cavavano fuori le verità, ne facevo i catechismi, e noi imparavamo a memoria il catechismo. Invece, la Bibbia è la Parola di Dio, questo non starebbe bene dirlo con del-la gente seria come voi, in chiesa, ma una volta mi hanno raccontato che uno è morto e ha detto a San Pietro: “Vorrei vedere Adamo - ma non si può - ma figurati è tutta la vita che sogno di vedere Adamo - ti sei anche comportato bene, vado a chiedere il permesso. Torna dopo un po’: ti è stato concesso un permesso eccezionale, ma solo per tre minuti - Ho solo una domanda da fargli - e lo porta da Adamo. Lo chiama, Adamo? Lui risponde: cosa c’è? Parlano tanto del tuo peccato, chi dice che è stato un peccato di gola, per una mela, chi dice che è stato un peccato d’orgoglio, chi dice che è stato un peccato sessuale. Dimmi un po’ Adamo, com’è stato il tuo peccato? È stato originale”. Noi lo chiamiamo originale perché è alle origini. Io dico che è originale anche perché ha l’origine dentro, io sono così impor-tante, che faccio di testa mia. Ma guarda che Dio ha detto… A ma dica quel che vuole… Faccio quel che mi pare… E gli altri? Se mi servono bene, altrimenti peggio per loro. Que-sto è lo stile di Adamo, ce l’abbiamo tutti. Forse a Torino un po’ meno. Che è contro lo stile di Dio, che invece è essere l’uno per l’altro. Allora Dio vuole che noi passiamo dallo spirito di Adamo allo spirito suo, e cosa fa? Noi per portare le nostre idee facciamo le guer-re, poi vediamo come vanno a finire. Lui no! Si prende un popolo e dice: “Guarda non farti Dio a tua immagine e somiglianza, come facciamo sempre”. Diciamo: “Dio doveva fare così, perché ha fatto così? Non doveva!”. Sei tu fatto a immagine e somiglianza di Dio e come è Lui? È uno che pensa a te, che ti vuol bene. Jahvè: “Io sono quello che sono per te”. T’ho cavato dall’Egitto, passato il Mar Rosso, nel deserto ti ho dato da mangiare e da bere, è uno che ti vuol bene e allora tu devi voler bene agli altri. Comincia dal prossimo, da quelli più vicini, ma tutti, anche quelli che non contano niente; per gli Ebrei erano le vedo-

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ve, gli orfani e gli stranieri. Poi, piano piano, arriva Gesù che dice: “Dio è amore” e finora hai detto “Ama il prossimo e odia il nemico” e io vi dico: “Amate anche i nemici”. Allora la Parola di Dio è la Parola che Dio rivolge a ognuno di noi. Come dobbiamo ascoltarla con attenzione. Quando andiamo a messa dovremmo dire: “Cosa mi dirà, oggi, il Signore?”. Quando apriamo la Bibbia, per noi è più facile, soprattutto il Nuovo Testamento, cosa mi dice il Signore? Vedete l’aspetto personale. Vorrei dire perfino l’aspetto povero. Infatti il Signore dice: “Beati i poveri nello spirito”, cioè quelli che sono aperti a Dio e agli altri. Anche nella chiesa la terza costituzione: Gesù è luce di tutti popoli, di tutte le genti, “Lu-men Gentium”. Nella chiesa non ci deve essere uno che comanda e tutti gli altri che obbe-discono passivamente. Ma c’è chi ha il dono, il carisma, il dovere dell’ultima parola. Ma è l’ultima se prima ce ne sono state delle altre. Le grandi cose il Signore le suggerisce alla gente e poi ecco la gerarchia. Guardate gli ordini religiosi: San Camillo, mica era un cardi-nale. I movimenti nascono dalla gente e poi la gerarchia deve collegarli, orientarli. Questo è importante. Anche questo è un segno un po’ come dire, da parte nostra, della gerarchia di povertà. La quarta costituzione. Questa è importante, perché fu una cosa un po’ nuova, la “Gaudium et spes”: le gioie, le speranze, i lutti e le angosce degli uomini sono, soprattut-to dei più poveri e dei più emarginati, le gioie, le speranze, i lutti e le angosce della Chiesa. A Torino dobbiamo essere grati al Ccardinale Ballestrero. Allora non era ancora vescovo ma era generale dei Carmelitani e quindi partecipava al Concilio, che cominciava con i lutti e le angosce. Avrei dovuto dire la grande costituzione: “Luctus et angor”. No, comin-ciamo almeno con le gioie e le speranze, diceva Tonino Bello, sempre lui, finalmente una volta la Chiesa dice le gioie e le speranze e angosce degli uomini, soprattutto dei più pove-ri, sono le gioie e le speranze della chiesa. Perché non è la chiesa di qua e il mondo di là,

ma la Chiesa è l’umanità in quanto si apre a Dio e agli altri. Direi allora che di qui è nata, e c’era questo movimento molto forte per la Chiesa dei poveri. Il Papa aveva chiesto al cardinale Lercaro che gli preparasse del materiale per quest’enciclica che faceva. Poi è diven-tata, come ho detto la “Populorum pro-gressio”. Non c’erano delle grandi cose. Le cose che fece subito il Papa furono: primo, abolire l’esercito pontificio, c’era ancora; secondo, avere il principe assi-stente al soglio. Quando faceva un pon-tificale aveva uno delle grandi famiglie romane: gli Orsini, i Colonna, i Barberi-ni, e riceveva i primi di gennaio l’aristo-crazia romana. Fece anche Papa Gio-vanni. Paolo VI le ricevette ancora una volta, e poi disse: “Basta grazie per quello che avete fatto, non abbiamo più bisogno di voi”. In quella carta si diceva

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la prima forma di povertà è la trasparenza dei bilanci. Oggi siete qui proprio per questo, per la trasparenza del bilancio. Questo qui è lo spirito della carità e poi diceva al giorno d’oggi, la prima cosa è la testimonianza che noi dobbiamo dare, perché la testimonianza di non essere chiusi in noi stessi, nei nostri interessi, ma nel vedere le cose con gli occhi dei poveri. La cosa, direi, stentò ad andare avanti, perché è molto contraria. Abbiamo tutti un po’ lo spirito di Adamo. Quando a cinquant’anni dal Concilio il Signore ha mandato un Papa come Francesco. Sono gli scherzi che il Signore fa. Perché già quando era morto Pio XII, tutti sapevano che adatto a fare il Papa era il Montini. Ma Pio XII l’aveva mandato vescovo a Milano, senza farlo cardinale, e allora i cardinali hanno detto facciamo un Papa vecchiotto, che fa cardinale Montini, così poi muore, e così Montini può diventa-re Papa. Un Papa di transizione e hanno fatto Roncalli. Guardate che transizione. Così stavolta, questa è una cattiveria, per-ché io credo che se i cardinali avessero sa-puto com’era Francesco, non so se lo face-vano. Ma con tutto quello che c’era lì, dentro al Vaticano, qui bisogna prender uno dall’altra parte del mondo, che sia cer-tamente al di fuori di tutte le beghe che ci sono lì. Così hanno fatto: l’hanno preso dall’altra parte del mondo. Guardate che Papa che è venuto. Perché è lui, anche se non c’era al Concilio, è lui che vive, direi, questa presenza del Signore nei semplice e nei poveri. Anche al di dentro della Chiesa. Perché dopo la definizione del primato del Papa: il Papa è infallibile. Il Papa è infallibile, lo dice il Concilio Vaticano I, perché esprime l’infallibilità della Chiesa. Lui dice le cose che la Chiesa pensa. Quando Papa Pio XII, il 1 novembre del 1950, volle definire che la Ma-donna è assunta in cielo, prima si è informato se tutti ci credono, allora lo definisco. Ma è assunta prima di morire o dopo morta. Questo non c’è nella fede della Chiesa: la maggio-ranza ritiene dopo morta, ma non è nella fede della Chiesa. E allora ha dovuto dire: “Giun-ta al termine della vita”, senza dire se era viva o morta. Allora è importante la collegialità che il Papa sente con il collegio dei vescovi, poi dirà l’ultima parola. Guardate Papa Fran-cesco che si è preso otto cardinali, che rappresentano i vescovi di tutta la Chiesa e che sono al di sopra della curia, poi dirà l’ultima parola. Guardate Papa Francesco che deve fare alla fine dell’anno un sinodo sulla famiglia. Ditemi voi tutte le idee che avete sulla famiglia, poi dopo lui dirà l’ultima parola. Ma dopo aver ascoltato, sentito. Questa è una forma, come dire, di semplicità, vorrei dire quasi di povertà. Ma è nei confronti così della gente, la stima che ha, anche dei più poveri. Qui ho parlato, in questo libretto, dello stile di vita che ha Papa Francesco, dice: “Non si può parlare di povertà, di povertà astratta, quella che non esiste. La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Andate, guardate là, la carne di

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questo”. Richiamavo un’affermazione del Padre Arrupe: “Non si può parlare di poveri, senza avere l’esperienza dei poveri”. Una delle prime uscite ha voluto andare a Lampedusa e diceva che in questo mondo della globalizzazione, siamo caduti nella globalizzazione

dell’indifferenza. Ed è vero. Io do, non dico la colpa, ma è vero che noi siamo i figli del computer. Arriviamo di colpo a contat-to con il Giappone, con la Patagonia, ma in modo virtuale. Abbiamo perso il senso del dialogo con la persona che abbiamo da-vanti a noi. La globalizzazione ritorna la figura dell’innominato di Manzoni. La glo-balizzazione dell’indifferenza ci rende tutti innominati, irresponsabili, senza nome e senza volto. Adamo dove sei? Dov’è tuo fratello? Sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del no-stro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda. Chi di noi ha pianto per fatti come questo? Chi

ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una famiglia che ha dimenticato l’esperienza del pianto. Del patire con. La globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere. Ecco io vorrei che queste cose. Vedete il Papa come ce l’ha con la corruzione. Dice: “Peccato siamo deboli e fragili, ma la corruzione!”. Vuol dire or-ganizzare tutto per i propri interessi, senza badare agli altri. Siamo purtroppo pieni di corruzione. Non ditelo in giro qualche volta persino nella Chiesa. Io credo che se il Signo-re ha mandato questo Papa è perché noi ripensiamo a queste cose. Come diceva quella antica canzone: “Quando tu punti il dito contro un altro...... Noi diciamo… La colpa è di questo...... La colpa è di quello… Non dimentichiamo che tre dita sono puntate contro di noi. Dicevano una donna africana e “Uno è puntato in alto”. La corruzione, se noi pensia-mo di fronte a Dio, di fronte a noi stessi, pensiamo anche noi, se qualche volta non lo ab-biamo fatto, se l’abbiamo tollerata, se non l’abbiamo denunciata. Diceva Tonino Bello, l’ultima citazione, “Perché compito del cristiano è annunciare, denunciare, rinunciare”. Annunciare: dire le cose come sono, anche sul piano umano. La verità non è strana. De-nunciare: con rispetto, ma con sicurezza, dire le cose che non funzionano. Sapendo che qualche volta a essere onesti ci si rimette. E bisogna saper anche rinunciare. Oggi a Torino è la festa della Consolata. Noi la chiamiamo Consolata, ma in realtà è Consolatrice. È lei che ci consola, ma ci consola, perché per prima è stata consolata da Dio. Consolare vuol dire sentirci vicino. È vicina a noi, nei nostri problemi, perché sa che è vicino a Dio. Io credo che allora anche questa riflessione, quest’impegno per vedere nei poveri il suo Figlio, nostro fratello, vedere dei fratelli, renderebbe la Madonna Consolata. Grazie.

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INTERVISTA

Intervista a Padre Aris Miranda responsabile della Camillian Task Force

1. Padre Aris, che cos’è la Camillian Task Force? Quando e’ nata? Perché? Per opera/idea di chi? Come opera? Quali sono i criteri con cui interviene? Con quali criteri vengono scelti i paesi in cui interviene? A quali emergenze risponde??

La Camillian Task Force (CTF) è nata nel 2001 grazie al grande impulso di Padre Angelo Brusco, generale del tempo, e alla passione di un gruppo di lavoro di religiosi Camilliani (fra cui Padre Antonio Menegon e Padre Massimo Miraglio) che credevano nella necessità di tornare alle radici del carisma di San Camillo. L’obiettivo era (ed è) intervenire negli scena-ri di emergenza (dai terremoti alle care-stie), testimoniando la Fede di cui siamo espressione nello stile che caratterizza da ormai quattro secoli l’azione dell’Ordine dei Ministri degli Infermi: coniugare l’in-tervento a favore delle vittime del disa-stro con una azione di giustizia sociale. La CTF ha un ufficio internazionale a Roma che cura il coordinamento e l’animazione delle CTF locali che sono state costitu-ite negli anni in tutti i continenti in cui c’è la presenza Camilliana. L’emergenza, ovunque si manifesti, è una chiamata cui cerchiamo di rispondere coinvolgendo sia la grande famiglia camilliana, dove è presente, sia la chiesa locale attraverso la Caritas. L’azione negli anni si è mag-giormente circoscritta all’ambito socio sanitario. In questi ultimi tre anni, in par-ticolare, si è lavorato molto nella forma-zione e nella costruzione di una risposta partecipativa della comunità colpita dalla calamità, dall’emergenza. Il nostro obiettivo, oltre a portare un aiuto immediato, è di aiutare la comunità colpita, da un terremoto o da un tifone devastante, a discernere quali sono i suoi bisogni di breve medio tempo e qual è il percorso da seguire per poterli soddisfare. La CTF per la sua stessa natura è una espressione viva dei Camilliani: da sempre lavoriamo con profonda sintonia con tutte le realtà di ispirazione Camilliana, che operano nel campo della emergenza, della riabilitazione e dello sviluppo, dialogando sempre e comunque, con le altre organizzazioni presenti nel luogo dell’emergenza. L’esperienza in questi anni con Madian Orizzonti e Pro.Sa, ad esempio, è stata molto significativa nella condivisione di proget-tualità e di linee di intervento in scenari segnati dalla tragedia e dalla sofferenza. Haiti, le Filippine, il Corno d’africa sono solo alcuni esempi che raccontano come il mettersi insieme attorno ad “un tavolo” per condividere informazioni, progettualità, risorse è prezioso in termini di generazione di opportunità.

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2. Quali sono le ultime emergenze/ calamità in cui è’ intervenuta? Le tragedie in cui la CTFè stata presente sono molte. In particolare, negli ultimi anni, si è lavorato molto al confine con la Somalia, in India e nella Filippine ma siamo stati presenti con progetti importanti, in collaborazione con le Provincie Religiose, anche in Italia (Aquila e Emilia Romagna), Thailandia, Haiti e Cile.

3. Hai citato le Filippine. Ci racconti come e’ stato affrontato il post tifone Yolanda? Quali gli interventi? Quali i progetti realizzati e che si stanno realizzando?

Le Filippine rappresentano il luogo dove la natura e la mano dell’uomo sembrano essere “complici” di un continuo generarsi di disa-stri che, però, sono sempre meno “naturali” e sempre di più legati all’incuria dell’uomo.L’impatto del tifone Yolanda è stato tre-mendo. Abbiamo cercato da subito di in-tervenire attraverso l’Ospedale Camilliano di Calbayog che era vicino all’epicentro del disastro. La prima fase è stata caratterizzata da interventi di emergenza (alimentare e sa-nitaria) ma da subito abbiamo scelto con la CTF Filippine di agire nello stile comunita-rio. Abbiamo tentato di trasformare la mera distribuzione di alimenti in una occasione di animazione comunitaria in cui tutti (dai bambini agli anziani) sono stati protagonisti. L’incontro fra il nostro team e i villaggi locali

è stato un momento integrato di fatto di condivisione di cibo, di intervento psicosociale soprattutto per i bambini, di visite mediche, cure, di somministrazione e distribuzione di medicine ma anche di celebrazione Eucaristica (la popolazione è in maggioranza cattolica) in una prospettiva di rafforzamento dei legami tra le diverse persone, le diverse famiglie per creare un senso di appartenenza a una comunità.Oggi siamo nel pieno della seconda fase di riabilitazione. Madian ci ha aiutato, anche at-traverso la Fondazione Specchio dei Tempi, a comperare le barche e le reti per i pescatori che avevano perso tutto. Stiamo realizzando anche centri comunitari come programmi di incoming generating attraverso l’acquisto di strumenti per aprire piccoli negozi di barberia, di parrucchiera o moto taxi per far si che le famiglie nel tempo tornino ad essere autonome dal punto di vista finanziario. L’impegno grande sarà nel creare una nuova professionalità (barefoot counselors) capace di aiutare informalmente le vittime del disastro in un recupero psicologico e nella capacità di resilienza verso i nuovi disastri che probabilmente avverran-no nella zona oggi colpita dal tifone. Ogni singola azione è stata concertata in un continuo dialogo con le comunità colpite. Un lavoro faticoso ma prezioso in termini di efficienza e di efficacia. L’impegno si articolerà almeno fino a dicembre 2015.

4. Padre Dan come nasce la tua vocazione? Perché i Camilliani? Ci racconti la tua storia? Da quando avevo 15 anni ho sentito la chiamata. Sono cresciuto in una famiglia molto religio-sa. I miei genitori sono formatori per la pastorale della famiglia della nostra parrocchia. La mia

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INTERVISTA

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INTERVISTA

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unica sorella e mia zia sono suore. Sono stato sempre colpito dal vedere suore e preti diocesani che lavoravano nei villaggi soprattutto con i poveri, ed in particolare con le vittime delle ingiu-stizie e delle violazioni dei diritti umani durante la dittatura di Marcos negli anni 70. Mio papà ha lavorato molto per difendere i diritti dei contadini di avere titolo della terra che coltivano nonostante la minaccia dei latifondisti. La mia famiglia mi ha aiutato a far crescere la vocazio-ne al servizio per i più poveri. Perche i Camilliani? Ho pensato a tre congregazioni possibili. Alla fine ho scelto i Camilliani perche ho visto la loro dedizione per i (più) poveri malati. Ho fatto l’esperienza di apostolato ai malati per 2 anni nel centro delle suore di Madre Teresa di Calcutta con gli anziani e bambini con i chierici e religiosi Camilliani; quasi 2 anni in un villaggio dei lebbrosi; 4 anni con i diversi comunità dei “informal settlers” (nelle baracche) e contadini curando i bisogni sanitari e lottando per i loro diritti. Dopo questo bellissimo tempo della mia formazione religiosa ho fatto la solenne professione e sono stato ordinato prete. Sono stato formatore dei seminaristi per 11 anni, poi 2 anni direttore del Saint Camillus Hospital di Calbayog e ora sono responsabile della CTF e Consultore per il Ministero. 5. Qual è stato fino ad oggi l’intervento più difficile che hai fatto? Quale quello che ti ricordi con maggiore soddisfazione? Le Filippine senza dubbio, perché colpite da due grandi disastri a distanza di brevissimo tempo: il terremoto di Ottobre (Bohol) e il tifone Yolanda) di Novembre. L’esperienza del terremoto è stata difficile perche la mia famiglia è stata fra le vittime. La nostra casa è crol-lata.. ridotta a macerie. I miei genitori e famigliari si sono salvati per un vero miracolo della Provvidenza ma ho passato quasi un mese sotto la tenda insieme a loro. Dopo 3 settimane, è arrivato un grande tifone di categoria 5 (un record al livello mondiale) che ha colpito le province distanti meno di cento chilometri da noi e ha causato la morte di quasi 10.000 per-sone. E’ stato particolarmente difficile perché non sono riuscito a pensare e pianificare come intervenire così come avevo fatto nelle emergenze nelle altre parti nel mondo. Dopo 5 giorni dall’arrivo del tifone, sono partito per recarmi alle isole di Samar (Guian) e Leyte (Taclo-ban) e fare un sopralluogo e valutare i bisogni. La grandezza delle zone colpite, la burocra-zia, il gioco dei politici che hanno approfittato della situazione per avere più seguaci del loro partito e la corruzione hanno creato tanta confusione nelle zone colpite. Al di la di questo c’è stata una grande dimostrazione della solidarietà mai registrata in tutta la mia vita da parte di organizzazione private ed ecclesiali; individui, gruppi, istituzioni che hanno organizzato diversi interventi secondo i bisogni del-la popolazione: senza sovrapporsi senza sprecare risorse ma pianificando, ognuno per la sua parte, dove e come intervenire. Questa esperienza ha rafforzato la forma e il senso dell’intervento Camilliano nelle fasi critiche dei disastri. La CTF ha po-tuto mobilitare tanti volontari e donatori a livello nazionale e internazionale: ha imparato a coinvolgersi in un lavoro di gruppo e organizzato il loro intervento ri-spettando e valorizzando le professiona-lità di ciascuno. Un intervento non facile ma che ci ha fatto crescere, tutti.

Alessandro Battaglino

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L’appello che Padre Massimo Miraglio ha inviato al Banco FarmaceuticoGent.mo Banco Farmaceutico,

sono Padre Massimo Miraglio religioso camilliano, che vive da 10 anni in Haiti, a Jérémie, una cittadina di provincia molto isolata dal resto del Paese e che da qualche settimana è for-temente colpita da una epidemia di febbre virale detta chikungunya, tramessa dalla puntura di una zanzara e che sta avendo un impatto molto duro sulla popolazione soprattutto sulle fasce più deboli, i bambini innanzitutto. Già la situazione sanitaria della zona si presentava molto difficile a causa della mancanza di strutture sanitarie, dei costi delle medicine e dei servizi sanitari, della malnutrizione, delle difficile condizioni igieniche, ... questa nuova epi-demia, dopo il colera di due anni fa, crea nuove sofferenza ad una popolazione già stremata.

Noi come camilliani siamo impegnati da anni nella distribuzione gratuita dei medicinali alla popolazione che nella maggior parte dei casi non può sopportarne i costi. Anche in questa ultima emergenza abbiamo cercato di rimanere in prima linea ma purtroppo le scorte di medicinali utili a combattere l’epidemia sono terminate.

Abbiamo dovuto in qualche caso approvvigionarci sul mercato locale, grazie all’aiuto che ci viene da Torino attraverso Madian Orizzonti Onlus, ma le medicine che si possono acqui-stare in loco sono spesso di bassa qualità ed hanno un costo elevato.

Vi chiederei per favore se potete sostenerci in questo momento difficile attraverso l’invio, il più presto possibile, di medicinali.

Per far fronte a questa epidemia ed alle sue conseguenze che pensiamo dureranno ancora a lungo, avremo bisogno di (tra parentesi indico indicativamente la quantità, voi valuterete secondo le vostre possibilità):

• paracetamolo sciroppo pediatrico (3000 conf,)• paracetamolo compresse 250 mg (2000 conf.)• paracetamolo compresse 500 mg (5000 conf)• Vitamine B complex compresse (3000 conf)• Vitamine B complex sciroppo per bambini (3000 conf)• Antiinfiammatorio non steroideo compresse per adulti: diclofenac o naprossene o nimesu-

lide. (5000 conf.)

Grazie di cuore per l’attenzione prestata e per quanto potrete fare per noi. Rimango a sua diposizione per ulteriori indicazioni od informazioni.

Cordiali salutiPadre Massimo Miraglio, Camilliano ad Haiti

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APPELLI DI PADRE MASSIMO DA JEREMIE – HAITI

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Carissimi Amici, Vi ringrazio di cuore per l’interesse che dimostrate per la nostra missione di Jérémie (Haiti. La vostra vicinanza e sostegno ci aiutano a compiere il nostro lavoro sempre con maggiore impegno e ad affron-tare le numerose difficoltà con slancio confidando nell’aiuto del Signore e delle tante persone che in questi anni ci hanno permesso di realizzare diversi progetti a favore dei malati e dei poveri.Dall’ inizio del 2011 molte energie e risorse economiche sono state utilizzate per la costruzione a Jérémie di un Centro lesioni cutanee (per la cura di ustioni, piaghe, ulcere,… il primo Centro di questo genere in Haiti), opera che si va realizzando sotto l’occhio esperto del Ing. Ossola e della sua equipe e degli altri numerosi volontari-tecnici che in questi anni hanno contribuito enormemente all’a-vanzamento dei lavori. A fine anno, se Dio vorrà, dovremo aprire un ambulatorio a servizio della popolazione con annesse due sale per la formazione del personale locale medico e paramedico, inoltre nel medesimo edificio da due anni è aperta la residenza dove vengono ospitati i volontari in arrivo dall’Italia. Abbiamo ritenuto dunque necessario dotarci al più presto di un sistema per la filtrazione e clorazione dell’acqua attinta da un pozzo profondo circa 160 metri (finanziato da una associazione italiana) che serve questo sta-bile ormai quasi ultimato.L’acqua è fondamentale per poter far avanzare un cantiere, ecco allora la necessità subito emersa di costruire un pozzo; ora però che abbiamo una residenza che ospita volontari e presto avremo un am-bulatorio è necessario avere una linea di distribuzione dell’acqua che serva questo edificio con acqua potabile. Dunque diventa indispensabile un sistema per rendere l’acqua sicura. Durante il mio ultimo viaggio in Italia ho avuto diversi incontri con esperti del settore e con l’Idro-centro per arrivare ad una soluzione che facesse al caso nostro. Ecco allora che abbiamo identificato un sistema semplice, per lo più meccanico ma che dia buoni risultati; purtroppo però il costo totale di questo impianto è elevato: 10.500 euro. Mi rendo conto di chiedervi un impegno oneroso e spero di non abusare della vostra generosità ma sponsorizzando questo progetto ci aiutate in un settore veramente fondamentale e sarà un sistema che rimarrà nel tempo anche quando l’ospedale sarà completato. Questa stazione di potabilizzazione sarà poi, in questa fase, a servizio dei volontari per assicurare acqua sicura e ben sappiamo come sia importante in questi Paesi poveri dove l’acqua ri-mane uno dei vettori principali per la trasmissione di numerose malattie. Vi ringrazio per la vostra attenzione.Grazie!Cordiali saluti

Padre Massimo Miraglio, Camilliano ad Haiti

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APPELLI DI PADRE MASSIMO DA JEREMIE – HAITI

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GEORGIA

Riposare e sentirsi desiderato!- Una giornata a Mskheta -

Dal 2001 i Camilliani, sostenuti da Madian Orizzonti Onlus, svolgono un servizio di assistenza infermieristica domiciliare per i poveri e i malati della periferia di Tbi-lisi. Gli infermieri, le Figlie di San Camillo e i volontari visitano settimanalmente

i pazienti, controllando il loro stato di salute, parlando con loro e cercando di capire i biso-gni: spesso provvedono a portare farmaci, cibo, vestiti e tutto quello di cui maggiormente necessitano.Il 20 Giugno scorso si è organizzata una gita per dare la possibilità ai pazienti di trascorrere una giornata all’aria aperta e rafforzare il senso della comunità.Era la prima volta che si organizzava una gita e per questo motivo si è scelta una destina-zione non troppo lontana: si è deciso di visitare l’antica città di Mskheta. La risposta delle ragazze e dei ragazzi è stata entusiastica! I Camilliani hanno provveduto a chiamare una guida per dare a tutti la possibilità di ricevere informazioni sulla storia dei luoghi che avreb-bero visitato. La prima tappa è stata la cattedrale Sweti Cchoweli, una delle più importanti chiese della Georgia. La preziosa guida Giorgi ha descritto l’architettura e le leggende legate alla co-struzione dell’ edificio e ha guidato il gruppo all’interno della Chiesa. Qui i nostri ragazzi hanno potuto vedere il luogo dove la tradizione vuole sia sepolta la ragazza giudea che morì stringendo al petto la tunica che Gesù indossava prima di venire crocifisso. Il padre Camilliano Zygmund ha procurato le candele per tutti i partecipanti, così in gruppo ci siamo avvicinati all’icona del Cristo Pantocratore, a lato dell’altare principale, e ognuno ha acceso una luce per sè e per i cari che porta nel cuore.

Più tardi la guida Giorgi ha mostrato alla comitiva la chiesa Samtawro, sorta sui lou-ghi in cui la Santa Nino visse i suoi primi tre anni in Georgia. All’interno abbiamo potu-to vedere la tomba del Re Mirian III e tra i ragazzi è serpeggiata una grande emozio-ne quando si sono trovati davanti alla teca che contiene i resti di Padre Gabriele: un sant’uomo dei nostri giorni.Tutti sono andati intorno alla teca e hanno pregato intensamente Dio chiedendo la gua-rigione e ogni grazia. Questo momento è sta-to particolarmente emozionante per Gaga e per sua madre Lia. Gaga è sulla sedia a rotelle e ha una fede pro-fonda, come moltissime persone in Georgia,

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d’altra parte. Il suo modo speciale di pregare, che spigiona energia ed entusiasmo hanno attirato l’attenzione dei pelle-grini presenti, delle monache e dei bambini che hanno fatto un cerchio, hanno pregato con lui, coinvolti dalla sua fede spontanea e dalla sua fiducia in Dio. L’ultima tappa ci ha portati al Monastero di Jvari, ma pri-ma di raggiungere la cima della collina, abbiamo deciso di fermarci per consumare il pasto preparato per noi dalle Suore e dalle cuoche del Centro San Camillo. La nostra guida ci ha poi condotti lungo un sentiero in una radura tra gli alberi dove abbiamo fermato le macchine e ci siamo fi-nalmente riposati un po’. Mentre tutti gustavano il pranzo, il nostro amico Gaga era impaziente di visitare la Chiesa di Santa Croce, perchè voleva ancora pregare! Questa chie-sa è stata eretta sulla sommità della collina di Jvari, per cui era necessaria la forza delle braccia dei volontari per portare Gaga fino in cima! Tutti si sono dati da fare per far sì che la sua carrozzella superasse la pendenza e i gradini fino all’interno della chiesa. Questa giornata ha mostrato come simili iniziative siano davvero importanti per costruire e rafforzare veri rapporti interpersonali, capirsi e aiutarsi reciprocamente, per sentirsi amati e desiderati. Davanti alla Chiesa, Giorgi ci ha parlato della storia di questo posto affascinante e si è sof-fermato sull’importanza di Jvari nella storia dell’evangelizzazione della Georgia. Ci ha anche detto che a Jvari fu eretta la più grande Croce di tutta la Georgia. Abbiamo potuto fare bellissime fotografie di tutta la regione sottostante, solcata dai fiumi e della citta’ di Mskheta. Questa è stata l’ultima tappa della nostra gita, siamo tornati a Tblisi soddisfatti e arricchiti, e tutti i partecipanti si son detti “arrivederci alla prossima gita”! Volontari Karolina e Daniele

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EVENTI

Gli appuntamenti dell’autunno e dell’inverno

Si inizia Mercoledì 17 settembre alle ore 20.00 a Cuneo dove le compagne e i compagni delle elementari di Padre Massimo Miraglio organizzano una cena per raccogliere fondi per l’Ospe-dale di Jérémie. La cena sarà prepara-ta dallo chef Mauro Dalpasso di Tori-no e da Chiara Del Din di Borgo San Dalmazzo e si terrà nella splendida cornice delle Basse, sulle sponde del torrente Stura (Strada Basse 54).Lunedì 22 settembre alle 20.30 tor-neremo a Torino per una cena in via:

chiuderemo infatti tutta via San Ca-millo de Lellis da Via Santa Teresa a Via Pietro Micca, allestiremo tavoli e panche per gustare le prelibatezze che Stefano Fanti, chef del Ristorante del Circolo dei lettori, ormai “affezionato” partner delle nostre iniziative culinarie,

e Steven Lazzarin chef dell’Osteria Le Ramine di Via Isonzo ci prepareranno. Tutto il ricavato della cena sarà desti-nato alla Comunità Madian. Mercoledi 8 ottobre alle ore 19 al Circolo della Stampa - Sporting di corso Agnelli 45 a Torino Madian Corner ha organizzato un Torneo di Burraco ‘Gastronomico abbinato a un gustosissimo aperitivo. Premi “enoga-stronomici” offerti da l’Emporio Fra-telli Carli e dall’Officina del Gusto di Moncalieri, il ricavato verrà destinato

ai bambini malati di AIDS della casetta di KIboko di Karungu in Kenia.Giovedì 16 ottobre alle ore 21.00 il Sunshine Gospel Choir salirà per la quinta volta sul palco per raccogliere i fondi per l’Ospedale per la cura del-le lesioni cutanee di Jérémie ad Haiti.

L’appuntamento è al Teatro Nuovo di Corso Massimo d’Azeglio 17.Venerdì 21 novembre alle ore 21.00 potremmo ascoltare la voce di Elisabetta Chiusano e la musica dei FIVE STEPS che suoneranno per il Fo-yer Bethléem di Port au Prince dove sono ospitati 50 bambini abbando-nati con disabilità fisiche e mentali.

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Stefano Fanti del Ristorante del Circolo e Steven Lazzarin de l'Osteria Le Ramine

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EVENTI

Il palco del Piccolo Regio di Piazza Castello sarà la cornice per la secon-da edizione di questo spettacolo che l’anno passato riscosse un grande successo di pubblico e di critica.Sabato 29 novembre alle ore 18.00 Guido Curto e Luca Beatrice batteranno le opere della VI edizio-ne dell’Asta per Haiti che si terrà all’Accademia Albertina di Belle Arti. Tutto il ricavato verrà destinato - no-nostante il brand – all’orfanotrofio di Suor Pushpa nel Villaggio di Yel-lamnchilli nello stato di Andra Pra-desh in India che ospita 50 bambine orfane dai 2 ai 15 anni. La situazione femminile in India, come spesso ci raccontano le crona-che, è particolarmente drammatica. Uno studio pubblicato dal Centro statistico indiano nel 2012 indica in circa tre milioni le bambine non nate o uccise poco dopo la nascita nel solo 2011. In 20 anni potrebbero essere “scomparse” così 20 milioni di bambine, 50 milioni nell’arco di

tre generazioni. L’Ufficio nazionale di documentazione criminale nel suo ultimo rapporto indica che nel 2012 sono state uccise almeno 8.200 donne in seguito a diverbi familiari riguardanti il pagamento della dote: quasi una ogni ora. Nel 2010 inoltre solo nel 34% dei casi di morte per dote si è arrivati alla condanna del colpevole, rispetto al 37% del 2000, e la percentuale risulta quasi dimez-zata, il 19%, quando la vittima è so-pravvissuta.Il week end lungo dell’Immacolata (6, 7 e 8 dicembre) vedrà la Sa-crestia della Chiesa di San Giuseppe riempirsi dei profumi delle torte pre-parate dalle sapienti mani delle vo-lontarie di Madian e delle ragazze di Madian Corner e dei barattoli delle marmellate di Silvia Chave. Tutto il ricavato verrà destinato per le atti-vità di padre Galvani a Maumere in Indonesia. Le volontarie di Madian Corner an-che quest’anno realizzeranno a

mano cappellini in lana che saranno poi messi in vendita per tutto il mese di dicembre presso: Chave Arreda-menti in Via Pietro Micca 15/a, pres-so Tweed Donna in Via Santa Teresa 24, Marita’s in Via Mercanti 13 c, Vanoli in Corso Re Umberto 14 e Va-noli Espace in Via Pastrengo 1 e Jolly Sport in Via Nizza 51. Tutto il ricavato della vendita sarà destinato al Foyer Saint Camille di Port au Prince.

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PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

PROGETTI

In seguito al terremoto del 2010 l’ospedale Foyer Saint Camille di Port au Prince che accoglieva prevalentemente bambini è diven-tato ospedale di zona e per questo è stato necessario ampliare i servizi, in particolare: il laboratorio di analisi, il pronto soccorso e la parte di diagnostica radiologica.

Proseguono i lavori di costruzione dell’ampliamento dell’ospedale. La costruzione, iniziata a seguito delle esigenze post terremoto del 2010, prevede tre reparti per un totale di 60 camere a due letti e nuove sale per la riabilitazione. In totale la struttura è di 3500 mq. La costruzione prosegue con i la-

vori all’interno. Fino ad ora sono stati spesi € 1.200.000; per il completamento dell’opera neces-sitano ancora € 300.000.

AMPLIAMENTO OSPEDALE Euro 1.500.000,00

Dopo il terremoto del gennaio 2010 la popolazione di Haiti utiliz-zava acque sporche e contaminate dal colera cosicché l’epidemia si è diffusa velocemente e non ha ancora abbandonato l’isola. Dopo il primo intervento realizzato con grandi tende per offrire

le prime cure ai colpiti dall’infezione, si è acquistato un terreno adiacente all’ospedale Foyer Saint Camille di Port au Prince e sono state costruite le prime strutture in muratura per accogliere i malati di colera che si rivolgono al centro ospedaliero.

NUOVO CENTRO PER LA CURA DEL COLERA Euro 65.000,00

26Prosegue il progetto attivato in se-guito al terremoto del 12 gennaio 2010, di sostegno a distanza di un infermiere dell’ospedale Foyer Saint Camille di Port au Prince. Dopo la tragedia è stato necessa-rio incrementare il numero degli operatori sanitari: ausiliari, infer-mieri, fisioterapisti e medici. La

gestione ordinaria dell’ospedale si è intensificata e la spesa più consistente è per gli stipendi degli operatori sanitari. Ecco perché, con il sostegno a distanza di un infer-miere dell’ospedale, è possibile assicurare ad alcune famiglie hai-tiane uno stipendio fisso mensile.

ADOTTA UN INFERMIERE

PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

Euro 600,00

Euro 1.700.000,00

Prosegue la costruzione dell’o-spedale dove verranno curate le malattie della pelle, le ulcere da pressione, arteriose, diabeti-che e da stasi e le ustioni gravi. Fino ad ora sono stati spesi €

1.100.000,00; per il comple-tamento dell’opera necessitano ancora € 600.000.

CENTRO OSPEDALIERO SPECIALIZZATO “SAN CAMILLO” PER LA CURA DELLE LESIONI CUTANEE (CLC)

JEREMIE

Costo annuale

PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

PROGETTI HAITI

PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

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Il progetto prevede la costruzio-ne del secondo villaggio con 12 casette per offrire una dignitosa abitazione ed un piccolo terreno da adibire a orto a 12 famiglie che con il terremoto del 2010 hanno perso tutto. Ogni casetta è strut-turata con una cucina (m 3.5 x m 2.5), due camere (m 3 x m 3), un

bagno dotato di servizi igienici e un lavandino, un piccolo portico davanti e dietro la casa. Il tetto è in lamiera, il soffitto in legno, le porte esterne in ferro, le finestre sono blocchi di mattoni mancanti, la casa poggia su una base a 40 cm da terra; ogni casa ha impianto elettrico e idraulico.

VITA VILLE CASA COSTRUITA – SPERANZA REALIZZATAEuro 10.000,00Costo di ogni casetta

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PROGETTI

PORT AU PRINCE – FOYER SAINT CAMILLE

La casetta Kiboko con i suoi 10 bambini orfani e malati di AIDS, fa parte del progetto Dala Kiye, una struttura che ospita in to-tale 60 bambini seguiti da 6 figure materne. I bambini, oltre a ricevere la terapia antiretrovi-rale, vengono seguiti nella loro crescita umana, educativa e religiosa rendendoli, una volta terminato il percorso, persone in-

dipendenti. I piccoli partecipano alle attività del Centro e frequen-tano la Scuola B.L.Tezza che sor-ge all’interno del complesso, ma mantengono un costante contat-to con la comunità circostante e le famiglie di origine. La loro educazione è affidata ad educa-tori qualificati che li accompa-gnano nella loro crescita umana, religiosa e socioeducativa.

SOSTEGNO AI BAMBINI MALATI DI AIDS DELLA CASETTA KIBOKO DEL DALA KIYE – KARUNGU

KENIA

Euro 10.000,00

Il nostro nuovo centro dispone degli spazi necessari per ospitare bambini disabili con le loro mam-me e garantire loro la terapia adeguata che viene effettuata in

cicli di 15 giorni almeno 4 volte ogni anno. Sostieni le spese per 4 cicli di riabilitazione di 15 giorni cadauno. Costo: € 250,00 per ogni ciclo

AIUTA UN BAMBINO A CAMMINARE

GEORGIA - TBLISI

Costruzione di un salone comunitario per aiu-tare i giovani e le famiglie di Villa Urquiza (villa miseria) ad uscire dalla droga, dall’alcolismo e dalle violenze familiari.

LOTTA ALLA DROGA E ALL’ALCOLISMO

ARGENTINA - VILLA URQUIZA

Euro 25.000,00

ALTRI PROGETTI

Euro 250,00Costo ogni ciclo

Sito nella diocesi di Visakhapatnam nello Stato di Andhra Pradesh, dal 1986 offre alle ragazze sino a 15 anni istruzione, cibo e protezione. Oggi l’orfanatrofio accoglie 40 ragazze. Suor Pushpa lancia un appello per poter proseguire la sua importante missione.

ORFANATROFIO DI SUOR PUSHPA

INDIA

Euro 300,00Costo individuale/annuo

Padre Luigi Galvani da quattro anni in Indo-nesia, a pochi chilometri da Maumere, ha re-alizzato una nuova realtà missionaria creando un programma nutrizionale e un sostegno scolastico per contrastare l’enorme povertà, le malattie e la malnutrizione infantile.

I BAMBINI DELL’ISOLA DI FLORES

INDONESIA

Euro 300,00Costo individuale/annuo

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L’EMERGENZA CONTINUA - AIUTACI ORA!

SE VUOI SOSTENERE LE NOSTRE INIZIATIVE

• Puoi versare il tuo contributo sui nostri conti correnti indicando nella causale il titolo del progetto (ad esempio: ampliamento ospedale Foyer Saint Camille di Port Au Prince o costruzione del Centro Lesioni Cutanee di Jérémie)

• Contattando Madian Orizzonti, puoi:– proseguire con i sostegni a distanza adottando un bambino ad Haiti– sostenere a distanza un Infermiere o un Operatore Sanitario– festeggiare insieme a noi un momento importante della tua vita

(nascita, matrimonio, laurea)

• Scopri come poter effettuare un lascito testamentario chiamandoci al numero di telefono 011 539045 oppure scrivendo all’indirizzo e-mail [email protected]

• Puoi sostenerci con il tuo 5 per mille indicando nella dichiarazione dei redditi il codice fiscale 97661540019

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Si può beneficiare di agevolazioni fiscali previste per le donazioni:• per le persone fisiche detrazione dell’imposta lorda del 19% degli importi donati fino ad un massimo

di Euro 2.065,83 (art.15, comma 1 lettera i-bis, D.P.R. 917/86)• per le imprese deduzione degli importi donati dal reddito d’impresa per un importo non superiore a Euro

2.065,83 o al 2% del reddito d’impresa dichiarato (art. 100, comma 2 lettera h, D.P.R. 917/86).

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