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ESOTISMO A ROMA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO: COLLEZIONI NOBILIARI A CONFRONTO CARLA BENOCCI L’Oriente ha esercitato un indiscusso fascino sui collezionisti presenti a Roma almeno dal XVI secolo, aprendo strade complesse d’indagine, miranti a delineare l’evolversi del gusto e la messa a punto di un moderno rigore scientifico nello studio delle opere, temi di grande attualità: ancora oggetto di dibattito sono infatti non poche questioni, relative ad esempio a quale Oriente si ritenga meritevole di attenzione collezionistica, a quale sia l’ambito cronologico privilegiato, e a quale valore dare all’autenticità delle opere raccolte, soprattutto se di ambito archeologico. Il lungo e complesso sviluppo del collezionismo delle più antiche famiglie nobiliari romane trova in questo ambito un interessante confronto con le raccolte di altre casate d’origine borghese, più recentemente inserite nel ceto nobiliare, raccolte spesso di analoga composizione rispetto ad altre collezioni contemporanee di individui non qualificati come nobili e note soprattutto per le vendite all’asta, straordinariamente frequenti e consistenti tra fine Ottocento e Novecento, che documentano

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ESOTISMO A ROMA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO: COLLEZIONI NOBILIARI A CONFRONTO

CARLA BENOCCI

L’Oriente ha esercitato un indiscusso fascino sui collezionisti presenti a Roma almeno dal XVI secolo, aprendo strade complesse d’indagine, miranti a delineare l’evolversi del gusto e la messa a punto di un moderno rigore scientifico nello studio delle opere, temi di grande attualità: ancora oggetto di dibattito sono infatti non poche questioni, relative ad esempio a quale Oriente si ritenga meritevole di attenzione collezionistica, a quale sia l’ambito cronologico privilegiato, e a quale valore dare all’autenticità delle opere raccolte, soprattutto se di ambito archeologico. Il lungo e complesso sviluppo del collezionismo delle più antiche famiglie nobiliari romane trova in questo ambito un interessante confronto con le raccolte di altre casate d’origine borghese, più recentemente inserite nel ceto nobiliare, raccolte spesso di analoga composizione rispetto ad altre collezioni contemporanee di individui non qualificati come nobili e note soprattutto per le vendite all’asta, straordinariamente frequenti e consistenti tra fine Ottocento e Novecento, che documentano

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una rapida dispersione di cospicue collezioni di antica o recente origine. Il catalogo della mostra Il fascino dell’Oriente nelle collezioni e nei musei d’Italia, svoltasi a Frascati dal 12 dicembre 2010 al 27 febbraio 2011, curato da Beatrice Palma Venetucci, illustra in modo esemplare modalità e caratteristiche delle opere archeologiche orientali presenti nelle collezioni romane a partire dal XVI secolo ed i saggi di questo volume approfondiscono temi suggestivi del settore; vale la pena, però, per cogliere il cambiamento di gusto che si diffonde a partire dalla fine dell’Ottocento, delineare sommariamente alcuni filoni culturali relativi alla presenza di opere di soggetto o fattura orientale nelle più antiche collezioni romane. Un elemento ricorrente è appunto l’autenticità, in quanto si tratta di opere provenienti da scavi o acquistate da mercanti e collezionisti ben inseriti nel mondo delle scoperte antiquarie e del relativo commercio: si chiamino Gualtieri, Aldobrandini, Borghese, Pamphilj o Carpegna, i brillanti protagonisti della cultura e dell’economia romana si preoccupano di reperire materiali controllando direttamente i più proficui scavi o incorporando con mezzi più o meno leciti i reperti, anche se le falsificazioni sono sempre in agguato. Un’attenzione particolarmente rilevante è posta sulla qualità artistica dell’opera e sul suo valore simbolico e politico: Ciriaco Mattei non avrebbe insistito così a lungo («petenti et maximopere optanti») per acquisire nel 1587 dalle autorità capitoline l’obelisco da lui fatto trasportare a Villa Mattei se non si fosse trattato di un emblema del Campidoglio, in grado di confermare il valore di “Campidoglio privato” da lui attribuito al nucleo centrale della sua villa al Celio, ed i Pamphilj quasi un secolo dopo non avrebbero celebrato l’arrivo e la posa in opera della statua di Cibele nella Galleria dei Costumi Romani del Casino del Bel Respiro della villa sul Gianicolo se essa non avesse costituito un trasparente rimando all’opera della celebre Olimpia Maidalchini, cognata del pontefice Innocenzo X Pamphilj, nel sostegno della casata assurta agli onori pontifici.

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L’Oriente osservato più da vicino e più frequentemente richiamato nelle collezioni è quello legato alle culture del bacino del Mediterraneo, con temi spesso mutuati dalla cultura greco-romana, come ad esempio l’arte egiziana, siriana, macedone e così via. Non mancano però manufatti artistici legati a mondi più lontani, divenuti familiari attraverso i racconti ed i materiali portati a Roma da viaggiatori celebri, come Pietro Della Valle, e dai missionari, questi ultimi costituenti una attenta ed aggiornata rete di collegamento con la Cina, l’India, l’America meridionale. L’intento di “meravigliare” il cinico ed aggiornato contesto culturale romano, oltre che quello di soddisfare l’insaziabile curiosità dei più avidi collezionisti, è all’origine di alcune sezioni di raccolte celebri, come il “Museo di curiosità naturali, peregrine ed antiche” raccolte a Formello dal cardinale Flavio Chigi, ricordato nella “Nota delli Musei” di Giovan Pietro Bellori edita nel 16641, dove fanno bella mostra di sé, in particolare la cosiddetta Saliera Chigi, oggetto d’arte Bulom-Portoghese, ora al Museo Preistorico Etnografico Pigorini, un “oggetto d’avorio, con due teste in cima al coperchio intagliato”, insieme a “quattro figure degl’Elementi, lavorati di conchiglie, vetri, piume ed erbe marine”, simili alle maschere della collezione di Manfredo Settala conservate alla Biblioteca Ambrosiana, e il celebre dente di narvalo, animale marino, identificato nell’inventario chigiano del 1666 come unicorno fossile, lavorato su base lignea da Vincenzo Chicher, ora al Museo Civico Medioevale di Bologna. Dopo il trasporto di questi oggetti nel palazzo Chigi alle Quattro Fontane a Roma, l’interesse esotico è integrato, secondo l’inventario del 1692 relativo a quest’ultima residenza chigiana, con un numero consistente di oggetti “all’indiana”, alla “turchesca” e del Giappone, comprendenti mobili, stoffe, armi, abiti (tra cui pantofole e vari vestiti appunto «alla turchesca»), una gabbia, ventagli e diversi oggetti d’arredo. Lo scandaloso ritratto del grande collezionista di casa Chigi, il cardinale Flavio, in vestaglia

1 Cfr. gli inventari chigiani e la storia delle collezioni della stessa famiglia in CACCIOTTI 2004; I giardini Chigi tra Siena e Roma 2005; I Chigi a Formello 2009.

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(fig. 1), attribuito a Jacob Ferdinand Voet, si accompagna in modo fin troppo esplicito a questa tipologia di opere orientali, funzionali anche ad un diretto uso personale e non solo per studio e contemplazione: vestire o arredare secondo il gusto orientale aggiunge fascino, originalità e garantisce il successo culturale e sociale del proprietario, salvo incorrere nelle ire dei pontefici di turno non troppo tolleranti verso inadeguati comportamenti cardinalizi. Ormai l’Oriente, antico o moderno, alla fine del Seicento è divenuto una moda, e come tale è d’uopo seguirla, se si vuole essere un personaggio aggiornato. Il Settecento porta anche in questo campo alcune novità, in quanto promuove una diversa visione del mondo e del rapporto tra arte e natura, come dimostra lo studio dei giardini cinesi, documentati nel trattato di William Chambers ad essi dedicato ed i numerosi disegni di questi complessi diffusi in Europa: l’interesse si estende dagli oggetti alla cultura di cui sono espressione, che diviene la vera protagonista delle collezioni illuministiche. La moda orientaleggiante prosegue però il suo corso, arricchendo con le diffusissime cineserie le dimore aristocratiche più illustri, come il celebre Salone Turco del Palazzo Colonna. Le guerre ed i profondi scambi politici e culturali che agitano l’Europa ed i paesi affacciati sul Mediterraneo accentuano lo studio di particolari filoni dell’arte e delle antichità orientali: la cultura egiziana, già apprezzata alla fine del XVIII secolo, diviene protagonista nei salotti europei a seguito della campagna d’Egitto di Napoleone, e non minor apprezzamento riceve il mondo etrusco, soprattutto grazie agli scavi condotti a Vulci nel 1828-1854 da Luciano e Alexandrine Bonaparte2. Si preparano però “tempi calamitosi” per le grandi collezioni nobiliari romane, archeologiche e moderne: le tassazioni della prima e della seconda repubblica romana (1799 e 1849) e del periodo napoleonico, l’abolizione del fidecommesso nel 1873 e la febbre edilizia e speculativa legata alle vicende di Roma capitale producono vittime illustri, insieme a nuovi collezionisti.

2 Luciano Bonaparte 1995.

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Opere antiche, anche di soggetto o pertinenza orientale, sono messe in vendita o cedute a vario titolo: se provengono dalle antiche collezioni aristocratiche, ne mantengono le caratteristiche di autenticità e consolidata tradizione, come il bassorilievo di rosso antico con maschera, già nella collezione Cesi ed entrata a far parte della collezione Ludovisi, passata nel 1901 allo Stato italiano3 (fig. 2). La dispersione delle collezioni Orsini, appartenenti ad una tra le più antiche ed importanti famiglie aristocratiche italiane, aveva avuto inizio già dal XVII secolo4, ma si intensifica tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, documentando la presenza anche di opere orientali: l’asta tenutasi alla Galleria Lurati a Milano dal 25 febbraio al 3 marzo 1932 elenca, insieme ad una serie cospicua di quadri, sculture, armi e mobili databili a partire dal XVI secolo, con qualche presenza del XIV secolo, anche oggetti di provenienza orientale, quali vasi ed un “catino” di porcellana cinese, vasi giapponesi Satzuma, “piattini ispano-arabi”, una “pipa orientale in smalto cloisonné”, oggetti non datati ma presumibilmente non antichi, un “bassorilievo greco in marmo, “Guerrieri”, cm. 57x36”5. In realtà, molte opere d’arte di famiglie romane – comprendenti anche oggetti orientali – erano state depositate dalla fine del XVIII secolo presso il Monte di pietà in attesa di riscatto, subendo poi una dispersione nelle aste che si sono succedute a fine Ottocento: come indica il Catalogo per la vendita de quadri, sculture in marmo, mosaici, pietre colorate, bronzi ed altri oggetti di belle arti esistenti nella Galleria già del Monte di Pietà di Roma ora nella cassa dei depositi e prestiti, pubblicato a Roma nel 1875; il lotto XI di “oggetti d’arte diversi” comprende 16 “figure cinesi” in porcellana di varie forme e colori, insieme a “n. 4 mezzi busti di Baccante in pietra di bagno a £ 25”, “n. 4 camei antichi in pietra orientale a £ 10”, e soprattutto numerose “monete greche e

3 BENOCCI 2010a. 4 BENOCCI 2006. 5 Catalogo della vendita all’asta della raccolta Orsini 1932.

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romane di argento e bronzo”, stimate da Francesco Martinetti il 1° maggio 1874. Questa passione per l’Oriente, che traspare dalle frequenti vendite all’asta, pervade tutta l’Europa, trovando non solo a Roma un consistente riscontro. La Galleria Scopinich a Milano offre nelle aste tenutesi nel terzo decennio del Novecento numerose opere orientali, come nella vendita Pasini del 10-15 maggio 1929: insieme ai vasi cinesi settecenteschi di “epoca Kien-lung”, ai piatti a fondo azzurro di “epoca Kanh-shi” (1662-1722), ai “potiche” (vasi) di “epoca Ming” del XVI e XVII secolo, accompagnati da coppe cinesi di vario tipo e datazione, animali quali pappagalli ed altri soggetti, bacini “in porcellana Celadon” settecenteschi, piatti e ciotole di varia forma e colori sempre riferibili al XVII e XVIII secolo, compaiono statue settecentesche “in bianco di Cina”, teste ed iscrizioni copte, diverse statue in bronzo di Budda cinquecentesche e di dignitari cinesi ed opere più antiche; sono ricordate ad esempio due “statuette terracotta smaltata giallo e verde, rappresentanti “guardiano di tomba”(suppellettile funeraria) Epoca Tang VII-VIII secolo”, un “vaso rituale a quattro piedi (Ting), bronzo, decorazione di stile Ciu, epoca Sung, X-XIII secolo”, una “statua virile Kuan-ti, divinità tavista, dio della guerra in attitudine di riposo…, epoca Ming XV secolo” ed una “grande statua rappresentante il Budda nell’attitudine della testimonianza, seduto su un fiore di loto, bronzo, epoca Sung X-XIII secolo”. I cataloghi di vendita della stessa Galleria Scopinich, che segnalano numerose porcellane, stoffe, miniature, avori e giade provenienti dall’Indocina, dalla Cina e dal Giappone, illustrano anche in modo efficace le caratteristiche della moda europea orientaleggiante: “in Inghilterra, in Germania, in Francia, in Russia l’oggetto cinese forma la più preziosa e aristocratica decorazione della vetrina dei collezionisti. Le capitali europee hanno un mercato, una letteratura, un pubblico dedicati all’arte dell’Estremo Oriente e specialmente della vecchia Cina, che forma il nucleo di decine di negozi a Parigi, a New York, a Londra. L’Italia, dove confluirono in tempi più antichi magnifici

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oggetti di arte orientale importati da viaggiatori e navigatori durante il Medio Evo, il Rinascimento, il Settecento, occupa ora l’ultimo posto”6. Se le grandi famiglie aristocratiche romane mettono in vendita autentiche e pregiate opere antiche e moderne di soggetto o provenienza orientale, di diversa qualità e spesso di dubbia autenticità sono gli oggetti di analogo ambito pertinenti a collezioni di recente costituzione, riferibili a quella classe di nuovi aristocratici entrati per meriti finanziari a far parte del ceto nobiliare romano, di cui sono massima espressione i Torlonia. Meno noti ma forse più interessanti sono in questo ambito alcuni collezionisti minori, come il barone Michele Lazzaroni, che decora con oggetti d’arte e di archeologia la Villa Lazzaroni a Tor di Quinto (fig. 3), costruita a partire dal 1892 sotto la direzione dello stesso barone, su progetto di Luigi Mazzanti7: nel prevalente gusto neo-medioevale degli arredi, fanno bella mostra di sé opere antiche; sono un rilievo con una Menade (fig. 4), sarcofagi, colonne, capitelli e materiali archeologici, anche orientali, scelti probabilmente soprattutto per dare originalità di arredo alle rinnovate dimore, quali la villa indicata, il palazzo della stessa famiglia in via dei Lucchesi a Roma (fig. 5) ed il castello di Gagliano Aterno. Il mercato offre una gamma estesa e non sempre qualificata di oggetti da acquistare ed il gusto cui si ispira il barone comprende anche l’ambito orientale, come dimostrano le vendite all’asta dei suoi beni, tenutesi prevalentemente a Parigi e legate alle burrascose vicende personali (egli riceve nel 1892 un mandato di cattura nell’ambito dello scandalo della Banca Romana, viene presto prosciolto ma nel 1893 Giolitti gli comunica l’obbligo di non allontanarsi da Roma). Il barone ama sia i disegni, quali quelli da lui donati all’Accademia di San Luca8, sia i quadri e le sculture dei cosiddetti “primitivi” o preraffaelliti, divenuti di moda, come dimostrano le vendite

6 Indocina, Cina, Giappone 1927, p. 9. 7 BENOCCI 1993. 8 BERTI TOESCA 1935.

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successive delle sue opere, quali il ritratto di dama di scuola fiorentina dell’ultimo quarto del XV secolo, già del conte Isolani di Bologna e venduto da Duveen Bros. (New York e Londra), passato a William Salomon a New York prima del 1919 ed infine venduto da Sotheby’s a New York, oppure la Madonna col Bambino attribuita alla bottega di Tino di Camaino, venduta a Firenze dagli antiquari Salvatore e Francesco Romano. Tuttavia, tra gli arredi del palazzo romano dei Lazzaroni in via dei Lucchesi, battuti all’asta da Finarte a Milano il 22 giugno 2003, compaiono numerosi vasi in porcellana giapponese, databili al XIX secolo, vasi in porcellana bianca cinese, del XVIII-XIX secolo, pannelli in seta cinese di questo stesso periodo, una serie cospicua di oggetti in avorio giapponesi e cinesi del XIX secolo, quali figure elaborate, due zanne, un gioco di scacchi, una “famiglia di dignitari” cinesi, un pannello con scene di vita cinese, quattro “saggi” cinesi, oltre a numerosi tappeti orientali. Questa eterogenea collezione è un esempio brillante del gusto collezionistico della nuova nobiltà, esteso anche al ceto borghese, che trova una sintetica ed efficace definizione nelle parole di Camillo Boito: “l’eclettismo, bisogna rendersene conto, può riescire di due specie, o un accozzamento o un decotto. E’ un accozzamento quando, a mo’ d’esempio, in un palazzo signorile si fa il gabinetto moresco e l’oratorio gotico, la sala da ballo rococò e la sala da pranzo svizzera; è un decotto quando si mettono a bollire insieme più stili, e di uno rimane dentro nella broda una sagoma, e dell’altro una fregiatura, di questo una foglia, di quello un cartoccio, come chi parlasse con i verbi in italiano, le congiunzioni in tedesco e gli aggettivi in turco”9: l’immagine più vicina a questo gusto è indubbiamente la romana Villa Torlonia, accompagnata in misura minore dalle nuove fabbriche e giardini che si moltiplicano a Roma a partire dalla metà dell’Ottocento. Meritevole di attenzione è l’ambito collezionistico di personaggi ancora meno noti, che dimostrano una cura particolare nella

9 BOITO 1881.

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scelta di opere originali e autentiche, anche orientali, non necessariamente archeologiche: il canonico romano Filippi Pirri, ad esempio, la cui collezione è messa in vendita a Roma, in piazza della Trinità dei Monti 6-9, il 21-26 gennaio 1889 da “Giacobini e Capobianchi Società Roma per vendite all’incanto d’oggetti d’arte antica e moderna”; dimostra, come si afferma nel catalogo di vendita, “giusti criteri e non senza cognizione di causa nella scelta degli oggetti”, comprendendo quadri di scuola italiana dal XIII al XVIII secolo, sculture in legno, bronzi medioevali, “nielli, smalti Limosini, di Venezia e dell’Abruzzo, nonché ceramiche e oggetti vari di curiosità”, anche russi e “ispano-arabi”. Di particolare valore sono un “piccolo tabernacolo a trittico eseguito in bronzo con fondi in smalto bianco e turchino, con soggetti biblici, di antica manifattura greco-russa, un piatto di maiolica ispano-araba ornata riflesso metallico, un cofanetto di avorio (n. 219) siculo-arabo, di forma cilindrica, con ornati in oro e contornati di nero, con due uccelli riguardantesi sul coperchio, una bella cassettina di avorio (n. 220) di forma oblunga e con coperchio a tetto tagliato, completamente incisa a fogliame, fiori ed animali, lavoro persiano del secolo XVI” (fig. 6), oltre ad opere bizantine del IX secolo, ad un grande piatto in “antica porcellana del Giappone” ed un “piatto in antica majolica ispano-moresca decorata a riflesso metallico d’oro”10. Un ambito diverso ma ugualmente interessante è quello dei collezionisti stranieri presenti a Roma, soprattutto americani, pervasi dall’ansia della raccolta di oggetti, per i quali l’autenticità è un dato secondario, in un’ottica mirante anche all’utilità del pezzo per fini pratici o di rappresentanza: prevalgono in queste collezioni servizi da thè e da tavola, destinati in gran pare ai fastosi ricevimenti; l’ambito collezionistico si estende al mondo russo, all’ambito del Baltico e agli oggetti turchi, come dimostra

10 Catalogo degli oggetti d’arte e curiosità rare ed antiche[…] formanti la collezione del sig. can. Filippo Pirri, 1889, numeri 18, 28, 219, 220, 222, 607, 593.

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la fantasiosa ed eterogenea collezione del diplomatico americano George Washington Wurts11. Anche celebri collezionisti italiani, come Costantino Corvisieri, sono affascinati da ambiti artistici di grande varietà, quali gli stemmi e le ceramiche ispano-moresche. Questi settori aprono ulteriori ambiti di ricerca, pertinenti al proliferare dei falsi (presenti anche nella prestigiosa collezione sfragistica Corvisieri12) e di officine che producono oggetti di grande qualità ispirati all’antica arte persiana, Iznik e moresca di ambito spagnolo, spesso confusi con opere antiche autentiche. Se i musei conservano pregevoli opere antiche ispano-moresche acquisite da queste collezioni otto-novecentesche, come le raccolte del Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma13, ben più estesa è la produzione romana di ceramica ispirata al mondo islamico, legata allo studio sistematico della cultura ottomana e delle scoperte archeologiche ottocentesche nell’area dell’Asia Minore e del Medio Oriente. “A Roma eccellono nella fabbricazione della ceramica orientale, in particolare per le tipologie a lustro ispano-moresche e arabo-sicule, Guglielmo Castellani, Pio Fabri (fig. 7) ed alcuni artisti minori come Cesare Moretti e la piccola fabbrica di Civita Castellana dei Rovinetti. La loro opera si ispira alla produzione araba diffusa nella penisola Iberica, dove si trovano ancora nell’Ottocento molti centri di fabbricazione ceramica, da Malaga a Valenza a Maiorca…Vengono riproposti con una certa regolarità i modelli più celebri, a cominciare dai vasi detti Alhambra, dalle caratteristiche anse alate, fino alle lampade da moschea, contenitori per essenze, bacini; se ne producono di tutte le misure e per tutti i gusti”14: le “curiosità” del cardinale Flavio Chigi hanno trovato un degno e brillante sviluppo.

11 BENOCCI 2007a, pp. 11-38; BENOCCI 2007b, pp. 241-291; BENOCCI 2007c; BENOCCI 2010b, pp. 97-102. 12 BENOCCI 1998. 13 SCONCI, TORRE 2008. 14 CRISTINI 2007, p.21.

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CRISTINI 2007 = R. CRISTINI, Esotici eclettismi. Ceramica e ceramisti del secondo Ottocento romano (1870-1911), Vetralla, Ghaleb editore 2007.

I Chigi a Formello 2009 = I Chigi a Formello. Il feudo, la storia e l’arte, Catalogo della mostra (Formello, 14 novembre-31 dicembre 2009), a cura di I. VAN KAMPEN, Comune di Formello 2009.

I giardini Chigi tra Siena e Roma 2005= I giardini Chigi tra Siena e Roma dal Cinquecento agli inizi dell’Ottocento, a cura di C. BENOCCI, Siena, Protagon 2005.

Indocina, Cina, Giappone 1927= Indocina, Cina, Giappone: ceramiche, porcellane, stoffe, oggetti d’arte: esposizione e vendita all’asta, Galleria Scopinich, Milano, 12-17 marzo 1927.

Luciano Bonaparte 1995= Luciano Bonaparte. Le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840), a cura di M. NATOLI, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato 1995.

SCONCI, TORRE 2008= S. SCONCI, P. TORRE, Loza dorada a Palazzo Venezia: le ceramiche ispano-moresche della collezione Corvisieri, Roma 2008.

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Didascalie Fig. 1. JACOB FERDINAND VOET, Ritratto del cardinale Flavio Chigi in

vestaglia, collezione privata. Fig. 2. Roma, Museo Nazionale Romano, Bassorilievo di rosso antico

con maschera, dalla collezione Ludovisi. Fig. 3. Roma, Villa Lazzaroni a Tor di Quinto. Fig. 4. Roma, Villa Lazzaroni a Tor di Quinto, Rilievo con Baccante. Fig. 5. Roma, Arredi di Palazzo Lazzaroni in via dei Lucchesi. Fig. 6. Opere del canonico Filippo Pirri, vendute all’asta svoltasi a Roma

nel 1889 da “Giacobini e Capobianchi Società Roma per vendite all’incanto d’oggetti d’arte antica e moderna”.

Fig. 7. PIO FABRI, Piatto con decoro in stile Ispano-Moresco, 1881-1890, maiolica a lustro oro e blu, Collezione Carla Ramadori.

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