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P.I. Spa – Spedizione in abbonamento postale, Art.1, comma 1 – D.L. 353/2003 (convert. in L. 27.02.2004 N° 46) Art.1, DCB Varese - ISSN 0391-3600 GENNAIO - GIUGNO 2014 BRAVI E BRAVI Bravo presidente bravi ministri bravi segretari sottosegretari partiti sindacati bravi bravi tutti quanti. Mano nella mano cantate gli operai sono tramortiti di botte gli operai lavorano e tacciono abbiamo trovato gli alleati giusti. Evviva evviva siamo gli unici in libertà intelligenti intelligenti. Bravo governo bravi ministri bravi bravi tutti quanti evviva evviva i ladri sono stati premiati gli operai hanno avuto una lezione severa evviva evviva cantate bravo il nostro presidente del consiglio bravi i nostri ministri i nostri tecnici bravi bravi cantate più forte più forte cantate evviva evviva. Ferruccio BRUGNARO 213-215 MONOGRAFIA: PARTECIPAZIONE, SALUTE E SISTEMA SANITARIO (A cura di: PG. Duca, A. Micheli, E. Ferrara,G. Cosmacini, G. Maciocco, R. Saracci, P. Vineis, F. Berrino, R. Becarelli, F. Aurora, W. Fossati, M. Bardi, A. Donzelli, L. Valsecchi, S. Marsicano, G. Tognoni, R. Mazza) IL GRANDE AFFARE DELLA GEOTERMIA UNA RIVOLUZIONE RIABILITATIVA

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BRAVI E BRAVIBravo presidente

bravi ministribravi segretari

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tutti quanti.Mano nella mano

cantategli operai sonotramortiti di bottegli operai lavorano

e taccionoabbiamo trovato

gli alleati giusti.Evviva evviva

siamo gli uniciin libertàintelligentiintelligenti.

Bravo governobravi ministri

bravi bravitutti quantievviva evvivai ladri sono stati

premiatigli operai hanno avuto

una lezionesevera

evviva evvivacantate

bravoil nostro presidente

del consigliobravii nostri ministri

i nostri tecnicibravi bravi

cantatepiù forte

più fortecantateevvivaevviva.

Ferruccio BRUGNARO

213-215

MONOGRAFIA: PARTECIPAZIONE, SALUTE E SISTEMA SANITARIO

(A cura di: PG. Duca, A. Micheli, E. Ferrara,G. Cosmacini,

G. Maciocco, R. Saracci, P. Vineis, F. Berrino,

R. Becarelli, F. Aurora, W. Fossati, M. Bardi, A. Donzelli,

L. Valsecchi, S. Marsicano, G. Tognoni, R. Mazza)

IL GRANDE AFFARE DELLA GEOTERMIA

UNA RIVOLUZIONE RIABILITATIVA

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Sede Nazionale Via Venezian, 1 - 20133 Milano - Sede Amministrativa Via dei Carracci, 2 - 20149 Milano

COMITATO DI REDAZIONE: Fulvio AURORA(direttore responsabile), Lino BALZA, AngeloBARACCA, Cesare BERMANI, Ga briella BERTINI,Roberto BIANCHI, Sergio BOLOGNA, Marco CAL-DIROLI, Roberto CARRARA, Germano CASSINA,Carla CA VAGNA, Gianni CAVINATO, Maria LuisaCLEMENTI, Elisabetta COSANDEY, AngeloCOVA, Fernando D’ANGELO, Rino ERMINI,Giorgio FORTI, Giorgio GALLEANO, Pietro e SaraGALLI (grafici), Maurizio LOSCHI, Luigi MARA(direttore), Dario MIEDICO, Marcello PALAGI,Barbara PERRONE, Roberto POLILLO, MaurizioPORTALURI, Chiara SAS SO, Matteo SPREAFICO,Vito TOTIRE, Laura VALSECCHI, Bruno VITALE.INOLTRE COLLABORANO A QUESTA RIVISTA:Carlo ALBERGANTI, Giorgio ALBERTINALE,Beppe BANCHI, Giuseppe BLANCO, MarioBRAGA, Ferruccio BRUGNARO, Paolo BULETTI,Roberto CARMINATI, Marco CERIANI, Massimo

COZZA, Michele DE PASQUALE, Rossana DET-TORI, Elisabetta DONINI, Antonino DRAGO, Gior -gio DUCA, Walter FOSSATI, Cristina FRANCE-SCHI, Lidia FRANCESCHI, Ida GALLI, ValerioGENNARO, Patrizia GENTILINI, Liliana GHILAR-DI, Ma ria Grazia GIANNICHEDDA, Claudio GIOR-NO, Pietro GRILLAI, Giuseppe MARAZZINI,Maurizio MARCHI, Gilberto MARI, Gianni MAT-TIOLI, Bruno MEDICI, Claudio MEZZANZANICA,Alfredo MORABIA, Corrado MONTEFALCHESI,Celestino PANIZZA, Pietro PEROTTI, Agosti noPIRELLA, Aris REBELLATO, Giuseppe REZZA,Franco RIGOSI, Marino RUZZENENTI, AldoSACHERO, Nicola SCHINAIA, Anna SEGRE,Giovanni SERRAVALLE, Claudia SORLINI, GianniTAMINO, Flavia TRIOZZI, Bruno THIEME, EnzoTIEZZI, Lu ca TRENTINI, Attilio ZINELLI. IMPA-GINAZIONE: Giulia DEBBIA, An drea PRAVETTO-NI, Stefano DEBBIA.

5 per 1000E' possibile versare nella prossima dichiarazionedei redditi il 5 per mille dell'IRPEF all'Associazione“Medicina Democratica - Movimento di Lotta perla Salute O.N.L.U.S.”, in breve “MedicinaDemocratica – O.N.L.U.S.”. Come è noto, si trattadi un’associazione autogestita che opera senza finidi lucro attraverso il lavoro volontario e gratuito e lesottoscrizioni dei suoi associati e simpatizzanti, chenon ha mai goduto e che non gode di finanziamen-ti nè diretti nè indiretti da parte di chicchessia. Pertanto, se ne condividete l’operato e intendetesostenere le sue iniziative per affermare la Salute, laSicurezza e l’Ambiente salubre in fabbrica, cosìcome in ogni dove della società, nel rigoroso rispet-to dei Diritti Umani e contro ogni forma di esclu-sione, emarginazione, discriminazione e razzismo,Vi chiediamo di indicare il numero di CodiceFiscale 97349700159 dell’Associazione “MedicinaDemocratica - Movimento di Lotta per la SaluteO.N.L.U.S.”. N.B. Si ricorda che la scelta del 5 per mille nonsostituisce quella dell'8 per mille (dedicata, peresempio, al culto): le opzioni 5 per mille e 8 permille si possono esprimere entrambe.

BIMESTRALEN° 213-215 gennaio-giugno 2014

Autorizzazine del Tribunaledi Milano n° 23

del 19 gennaio 1977

Iscritta al RegistroNazionale della Stampa

(Legge 58/81 n. 416, art. 11) il30 ottobre 1985

al n° 8368317, foglio 657ISSN 0391-3600

EDIZIONE:Medicina Democratica

Movimento di Lottaper la Salute - O.n.l.u.s.

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20100 Milano

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Redazione e diffusione della RivistaFax: 0331/501792E-mail: [email protected] M.D. della provincia di Varese,Via Roma n° 2, 21053 – Castellana (VA)

CALABRIA- Ferruccio Codeluppi , via Villini Damiani15/O, 89822 Serra San Bruno (CZ) tel096371231- Alberto Cunto, via della Repubblica 46,87028 Praia a Mare - tel./fax 0985-74030,cell. 3883649126, e-mail [email protected] oppure [email protected]

SICILIA- Franco Ingrillì. Via Simone Cuccia 12,90144, Palermo, tel 091/303669

EMILIA ROMAGNA- Bruna Bellotti, via Bellaria 55, 40139Bologna, email [email protected] - Tavolazzi Valentino, via Calzolai 184,Ferrara tel 348 2494954; e-mail:[email protected] Gentilini Patrizia, via Nievo 5, 47100Forlì- Monfredini Roberto, via Montegrappa15, Solignano di Castelvetro (MO), tel338 4566388

LAZIO- Antonio Valassina c/o UniversitàCattolica, largo E. Gemelli 8; email [email protected] Nicola Schinaia, Via Oristano 9, 00182Roma. Tel. 06/4990 int. 820, oppure06/4460124 (uff.)- Mario Sacilotto, Via Della Scala 63,Roma. Tel. 06/5885026 (abit.),06/59994272

PIEMONTE- Sede M.D. via San Pio V, n. 4, 15100Alessandria, tel. 3470182679 e-mail:[email protected] Lino Balza, via Dante 86, 15100Alessandria, tel. 013143650 –3384054068 email:[email protected]

- Renato Zanoli, via G. Emanuel 16,10136 Torino, tel. 3384054068 –011392042, email [email protected] Enzo Ferrara,., corso Giulio Cesare58/E , 10152 , Torino, [email protected] Cavagna Carla, via Mossotti 3, 28100Novara tel 0321612944; 3336090884 e-mail [email protected] Dario Miedico, Arona (NO), tel335265547, email [email protected]

LOMBARDIA- Sede M.D. Milano. Via dei Carracci 2,20149 Milano, tel 024984678- Sede M.D. Gallarate, c/o Coop. UnioneArnatese, via de Checchi 4, 21013Arnate di Gallarate (VA)- Sede M.D. della Provincia di Varese,via Roma 2, 21053 Castellanza, fax0331501792;- Duca Piergiorgio, via Bramante 23,20154 Milano, - Matteo Orlandi , via Biancardi 9 Lodi.Cell 3922485840- Silvana Cesani, via Borgo Adda n° 3,20075 Lodi, Tel. 0371/423481; Cell.335/7595947- Attilio Zinelli, via Bettole 71, 25040Camignone (BS), tel 030653237- Luigi Mara, via S. Giovanni 11, 21053Castellanza (VA) tel 0331500385, fax 0331501792 email: [email protected] Walter Fossati, via Moscova 38, 20025Legnano (MI) tel 0331599959 –3284840485- Elisabeth Cosandey, viale Campania 4,20077 Melegnano (MI), tel. 029836928- Laura Valsecchi, Unità Spinale –Niguarda Cà Granda, Piazza OspedaleMaggiore 3 – 20162 Milano tel0264443945 – 023313372 e-mail:[email protected] Marco Caldiroli, via Quintino Sella115, 21052 Busto Arsizio (VA) e-mail:[email protected]

TRENTINO - ALTO ADIGE - Adriano Rizzoli, via dei Castori, 55 –38121 Martignano (TN) – tel. 0461820002 – [email protected].

PUGLIA- Tonino d’Angelo, via Cantatore 32/N,71016 San Severo (FG), tel 0882228299;fax 0882228156

CAMPANIA- Paolo Fierro, Traversa PrivataMaffettone 8, 80144, Napolitel 3274514127; e-mail [email protected]

BASILICATASede M.D, via E. De Martino 65, 75100Matera.- Mario Murgia, via Martino 47, 75100Matera, tel. 340.7882621 email:[email protected]

TOSCANASede M.D. Firenze, Piazza Baldinucci8/rosso, 50129 Firenze- Gino Carpentiero, via Montebello 39,50123, Firenze, tel 055285423;0556263475; e-mail [email protected];cell. 347-5481255 - Beppe Banchi, via Incontri 2, 50139,Firenze, tel 055412743,e-mail: [email protected] Maurizio Marchi, via Cavour 4, 57013Rosignano Solvay (LI) tel 328-4152024;e-mail: [email protected] Floridi Amanda, via Verdi 110, 57127Livorno; - Liliana Leali via Montebello 38, 50123Firenze tel. 3280535454- Marcello Palagi, via XX Settembre n°207, 54031 Avenza (MS). tel.0585/857562e-mail: [email protected]

VENETO- Antonio Pignatto - via Beccaria 41/B -30175 Marghera (VE) - tel 041/924618 -e-mail: [email protected] Franco Rigosi - via Napoli 5 - 30172Mestre (VE) - tel. 041/952888 - e-mail:[email protected] Ferruccio Brugnaro, Spinea (VE), Tel.041/992827- Maria Chiara Rodeghiero, piazza Biade11, 36100 [email protected] Paolo Nardin, via Don Sante Ferronaton° 44/2, 33030 Pianiga (VE), tel.3497447189, e-mail: [email protected](referente per Padova e provincia)

MARCHE- Loris Calcina, via Campanella 2, 60015Falconara Marittima (AN).Tel. 3339492882- Claudio Mari, Via Buonarroti n° 31,61100 Pesaro. Tel. 0721/33135 (uff.);0721/287248 (abit.); Cell. 329/3637004

LIGURIA- Sede M.D. Via Crispi 18 rosso, 17100Savona, tel. 0192051292, e-mail:[email protected] Maurizio Loschi, via Luccoli 17/7,17072 Albisola Mare (SV), tel.019486341 cell.3474596046, [email protected], skype: mauryematty- Eraldo Mattarocci, [email protected] Avv. Rita Lasagna Piazza della Vittoria14/18 Savona 17100, cell. 3356152757- Valerio Gennaro via Trento 28, 16145Genova, tel. 010.310260 - 010.5558.557(ore 9.00-19.00) skype: valeriogennaro1;e-mail: [email protected]

SARDEGNA- Francesco Carta, via Toscanini 7,09170 Oristano

Care Lettrici e cari Lettori, confidiamo nelVostro sostegno a questa testata attraversole sottoscrizioni e le donazioni a MedicinaDemocratica O.N.L.U.S.

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“Corso di formazione dibase per la difesa e lo svi-luppo del Sistema SanitarioNazionale” (1)

di Piergiorgio DUCA*

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 2014

PREMESSADa più parti si vuole imporre un pensierounico che fa riferimento come a leggi natu-rali alle compatibilità di sistema identifica-to con le modalità di produzione capitali-stica, la libertà assoluta del mercato diregolare le relazioni sociali, il mito dellaconcorrenza, della legge della domanda edell’offerta, della competizione, la richiestadi eliminare il rispetto delle norme di leggee del dettato Costituzionale per garantirequella libertà di impresa che così sfocianell’arbitrio e di ridurre il peso dello Stato,delle sue Istituzioni, della rappresentanzapolitica e sindacale degli interessi in con-flitto con il rifiuto sistematico finanche del-l’esistenza per non parlare della tutela deiBeni Comuni e dei Diritti Universali, finoad arrivare giudicare la Società Civile nellesue svariate articolazioni un’invenzioneideologica riducibile in realtà ad un sem-plice insieme di individui intercambiabilida considerare, volta a volta, consumatori,clienti, ascoltatori, sondati, in ogni casooggetti manipolabili secondo convenienzadegli unici sistemi cui si riconosce esisten-za legittima, le organizzazioni commercia-li, mediatiche, finanziarie, industriali,ovvero le aziende e le imprese meglio semultinazionali.In relazione al Servizio Sanitario Nazionale(S.S.N.) questa impostazione spinge alla suaprivatizzazione e parcellizzazione in quan-to, da una parte, economicamente insoste-nibile, visti i vincoli di spesa imposti dalvoler ridurre lo Stato ai minimi termini permassimizzare esclusivamente la libertà diimpresa, dall’altra economicamente appeti-bile da parte dei privati se si ottiene diridurre la salute a merce da parte di chisarebbe comunque disposto a sostenere

qualsiasi prezzo per difenderla o ristabilir-la.Ma la Costituzione Italiana, sulla quale sifonda il nostro Stato ma soprattutto lanostra convivenza civile, dichiara che:L’Italia è una Repubblica democratica, fon-data sul lavoro.La Repubblica riconosce e garantisce idiritti inviolabili dell’uomo, sia come sin-golo, sia nelle formazioni sociali ove sisvolge la sua personalità, e richiede l’a-dempimento dei doveri inderogabili disolidarietà politica, economica e sociale.È compito della Repubblica rimuovere gliostacoli di ordine economico e sociale,che, limitando di fatto la libertà e la ugua-glianza dei cittadini, impediscono il pienosviluppo della persona umana.La Repubblica tutela la salute come fonda-mentale diritto dell’individuo e interessedella collettività.Il corso nasce dalla necessità di fareapprezzare e rispettare questi fondamenta-li obblighi costituzionali rivolgendosi a:operatori sanitari, professionisti, studenti,militanti, ma soprattutto alla cittadinanzanel suo complesso nella consapevolezzache solo una solida e chiara coscienza deipropri diritti e dei loro fondamenti può ser-vire a difenderli e a svilupparli, mettendo,come merita, il progresso delle conoscenzescientifiche e lo sviluppo tecnologico all’e-sclusivo servizio dell’Uomo.

ObiettiviFornire spunti, strumenti e metodi rifles-sione, approfondimento e analisi dellarealtà costituita dai molteplici interessi cheruotano intorno alla Salute e alla sua dife-sa, alla Malattia e alla sua diagnosi e tera-pia, alla Cura, alla Prevenzione e alla

(1) - Il Corso èstato promosso daMedicinaDemocratica -Movimento diLotta per laSalute e dallaAssociazione“Punto Rosso”.

* Prof. docente diStatistica Medicae Biometria,Università degliStudi Milano.Presidente diMedicinaDemocratica.

Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario 1

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Riabilitazione, prendendo spunto dallaStoria e dai Diritti che nel corso di essa sisono imposti come Universali, per realiz-zare nel presente e per il futuro a livelloRegionale, Nazionale, Europeo i Valori aiquali si dovrebbe ispirare ogni progettopolitico che avesse al centro l’interesse perl’Uomo al quale solo subordinare l’orga-nizzazione sociale, economica, produttivae finanziaria e quella della ricerca e dellosviluppo tecnologico.

A chi si rivolgeAgli operatori sanitari, con particolareinteresse a Infermieri, Medici ospedalierie di Medicina Generale, Studenti, Tecnicidella riabilitazione, Assistenti sociali,Amministrativi e dirigenti, docenti, pro-fessionisti e militanti di sindacato e dipartiti politici, infine ai singoli cittadini,impegnati o no nell’assistenza a titolofamiliare o di volontariato in Italia e all’e-stero.

Sede e calendarioPunto Rosso: Via Guglielmo Pepe, Milano.Tutti i Mercoledì dalle 18.30 alle 20.30 dal16 di ottobre fino all’11 dicembre 2013 perun totale di 9 incontri seguiti, il sabato 14Dicembre, a conclusione del corso, da un’i-niziativa aperta che si svolgerà dalle 9.30alle 13.00 nella quale verranno fatte levalutazioni finali e soprattutto formulateproposte per iniziative future.

A conclusione del corso si sono raccolte lerelazioni svolte che qui vengono presenta-te in forma di monografia, con alcune inte-grazioni fornite da autori che non hannopotuto prendere parte attiva al corso mache sono stati disponibili a fornire il lorocontributo. Segue una breve sintesi degliinterventi come traccia di lettura dei con-tributi di seguito riportati.

Il corso svolto16 voci si sono alternate dal Tavolo di PuntoRosso per parlare di Salute, Medicina eSanità, riuscendo talora ad intrecciare undialogo con le 40 voci di coloro che convaria continuità ed interesse hanno parteci-pato al corso e risultano ad esso iscritti, conlo scopo di identificare punti critici da

difendere o da promuovere per lo sviluppodel nostro Sistema Sanitario Nazionale arti-colato a livello regionale, sotto l’attacco didiverse forze prime fra tutte quelle del mer-cato che vorrebbero avere accesso libero aduna miniera da sottoporre a sfruttamentoutilizzando demagogicamente le difficoltàche affliggono oggi i singoli, le famiglie e lacomunità nel suo complesso, per porre indiscussione diritti che trovano nella costitu-zione e, ancor prima, nella carta dei dirittiuniversali dell’uomo il loro fondamento. Larisposta a questo tipo di attacchi può soloessere nell’aumento della coscienza e dellaconoscenza di chi ha tutto da perdere da unridimensionamento del welfare che riportil’orologio della storia a prima del 1978, l’an-no in cui, dopo quasi 40 anni di gestazione,nacque il SSN italiano.

Enzo Ferrara: nella storia della Salute lamedicina non è tutto (Thomas McKeown,l’andamento dell’epidemia tubercolare e lescoperte medico-scientifiche).Piergiorgio Duca: il curriculum nascosto(ma non tanto) della formazione medica ela proposta di Maccacaro: Una Facoltà daCapovolgere.Giorgio Cosmacini: la sanità moderna ita-liana nasce dalla Resistenza, insieme allacostituzione e alla Repubblica, ma si affer-ma solo dopo i profondi cambiamentisociali degli anni ’50-’60 del Novecento - Eoggi ? Qualche preoccupazione per il futu-ro.Walter Fossati: una sanità per la diagnosie cura ma soprattutto una sanità per la dife-sa e promozione della salute, per la pre-venzione primaria. L’esperienza operaia dilotta alla nocività del lavoro, della suaorganizzazione capitalistica, dell’ambien-te subordinato alla realizzazione del mas-simo profitto. Nuova cultura, nuova orga-nizzazione, contenuti e metodi di lotta.L’inchiesta operaia e la nuova alleanzacon i tecnici e gli operatori della ricerca edella produzione.Maurizio Bardi: la medicina generale e ilriordino del sistema sanitario. Luci edombre di una professione che dovrebberappresentare l’interfaccia fra il sistemasanitario e la popolazione. Nuove forme diorganizzazione del lavoro e dell’interven-

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to. Una professione da riqualificare.Sergio Marsicano: un medico che cura manon guarisce deve preoccuparsi di come sacomunicare e mettersi in relazione con ilpaziente. Umanizzare la medicina non èun’opera di bene ma una necessità dellamedicina moderna.Gianni Tognoni: una sanità partecipata èuna sanità i cui processi, contenuti edobiettivi sono formulati e discussi dallapopolazione. Il passaggio dal servizio all’a-zienda, dal paziente al cliente-consumato-re, dal soggetto all’oggetto di cura. La medi-calizzazione dei bisogni e la biopoliticafino all’invenzione delle malattie e allanegazione del disagio sociale. Riaffermarela soggettività rispetto alla individualità, lavisione di popolazione rispetto a quellaindividuale. Riprendere una egemonia cul-turale sottratta: efficacia ed efficienza, fun-zione e funzionamento, azienda e servizio,storia persona cura e prestazione.Fulvio Aurora: evoluzione ed involuzionedel sistema sanitario lombardo. Il ruolodella corruzione nello smantellamento deiprincipi di un sistema nato sotto una spin-ta alla equità, solidarietà, universalità, gra-tuità. La mistificazione dell’efficienza, delpaternalismo, dell’eccellenza sbandierata,della commercializzazione a tutti i costi.Sovradiagnosi e invenzione di malattie,conflitto di interessi e via libera alla specu-lazione privata. Rossana Becarelli: il paziente oncologico ela fase terminale. Gli interventi assistenzialiper i pazienti terminali sono costo-efficaci ?L’accompagnamento alla morte e la pallia-zione, il controllo del dolore, la assistenzadomiciliare dove possibile, la diffusionedegli Hospice e la loro organizzazione, ladistribuzione sul territorio nazionale. Tuttiaspetti che richiedono una profonda valuta-zione. E la gestione della fase iniziale delpaziente cronico in generale e oncologico inparticolare? Sappiamo garantire a tutti,equamente, secondo i bisogni e in modoefficiente e sostenibile le cure di documen-tata efficacia e il necessario monitoraggiodella evoluzione della malattia (con qualcheperplessità circa l’estensione degli screeninge della medicina predittiva) ? Farmaci nuovie farmaci vecchi, continuità assistenziale eassistenza domiciliare: lo stato a livello

nazionale presenta parecchie ombre alCentro Sud.Franco Berrino: la ricerca oncologica per laprevenzione e la cura. James Watson sostie-ne che mentre la scoperta della doppia elica(DNA 1953) ha aperto la strada alla com-prensione dei meccanismi biologici del can-cro e della cancerogenesi, non crede possaessere la strada per la scoperta della curadefinitiva (Elementare Watson!).In realtà l’eccesso di attenzione alla genomi-ca e alla farmacogenomica, interpretatacome unica via alla personalizzazione dellaterapia, giustificata dal valore aggiunto che

le scoperte in quel campo garantiscono intermini di profitto alle multinazionali delfarmaco, ha comportato una riduzione neifinanziamenti di altro tipo di ricerca di effi-cacia sia per la prevenzione primaria cheper la terapia, ovvero quello legato allo stu-dio della dieta (il metabolismo della cellulatumorale è stato scoperto già negli anni ’20del 1900 da Warburg è molto particolare etale particolarità offre spunti di ricerca epunti di aggancio per terapie mirate al con-trollo metabolico della cellula cancerosa, adesempio). Da qui l’importanza della dieta edegli studi su dieta, alimenti, nutrienti eproduzione di energia corporea. Da quil’attenzione alle svariate diete proposte,alcune demenziali, da qui la necessità dibattere il cartello delle multinazionali deglialimenti (sale, zuccheri, bevande gasate,junk food) con una proposta culturale chenon porta profitti (dieta mediterranea, ali-menti naturali). Occorre quindi una nuovaalleanza fra soggetti che intendono parteci-pare alla innovazione della medicina edella assistenza sanitaria, oltre che alla pre-

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 2014Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario 3

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venzione primaria, e ricercatori per ridefi-nire l’agenda della ricerca in funzionedegli interessi reali della popolazione e indirezione di un cambio di paradigma cul-turale oltre che per promuovere una nuovacoscienza e consapevolezza che il sistemadei media e della informazione scientifica,spesso manipolata, tendono ad inquinare.Roberto Mazza: ricerca oncologica e pre-venzione. L’impegno personale nella pre-venzione (fumo di sigaretta) e il ruolo dellarete multidisciplinare nell’assistenza e nelmonitoraggio del paziente oncologico.Andrea Micheli: la salute della popolazio-ne, la ricerca epidemiologica sui cancero-geni e la partecipazione. Gli intrecci fraeconomia e cancro sono molteplici.Affrontare la malattia senza predisporreuna efficace prevenzione primaria nonpuò che portare al tracollo ogni sistemaeconomico. Ma occorre anche realizzareche dedicare risorse alla ricerca per la pre-venzione, la diagnosi e la cura del cancronon rappresenta un costo passivo ma uninvestimento. Infine le dimensioni dell’im-pegno per prevenzione, diagnosi e cura deitumori, e di promozione della ricerca nonpossono più essere quelle nazionali masolo sovranazionali: un motivo in più perpromuovere l’Europa dei popoli.Laura Valsecchi: la disabilità nel sistemasanitario lombardo. L’uso dei termini e lalegislazione, il ritardo dell’Italia rispetto aipaesi del nord Europa. La riabilitazione ela sua efficacia: la nascita delle unità spi-nali e l’impegno di Gabriella Bertini diFirenze. Il progetto di vita dopo la riabilita-zione.

Beppe Banchi: per una assistenza di lungoperiodo al disabile. L’esperienza di vita diBeppe a fianco di Gabriella: diritto ad esi-stere e a sviluppare tutte le potenzialità aldi là dell’handicap. Dalla spasticità allasindrome di Down alla tetraplegia.Efficacia dei trattamenti per prevenire lecomplicanze evitabili e la morte precoce,impegno ad andare al di là della benefi-cenza per il riconoscimento dei diritti dellapersona nella sua specificità, al di là del-l’handicap. Sordi, ciechi. L’impegno acostruire “Casa Gabriella”. I bambini auti-stici e il ruolo di famiglie, caregiver e cul-tura. Il confronto internazionale. I tagli allaspesa e la sostenibilità.Gavino Maciocco: Economia, finanza,politica e sostenibilità dei sistemi sanitari.

Di seguito, le relazioni e i contributi “ester-ni”.1) Andrea Micheli Introduzione2) Enzo Ferrara3) Piergiorgio Duca: il medico e la sua for-mazione4) Giorgio Cosmacini5) Gavino Maciocco6) Paolo Vineis 7) Rodolfo Saracci 8) Andrea Micheli9) Roberto Mazza 10) Franco Berrino11) Alberto Donzelli12) Fulvio Aurora13) Walter Fossati14) Rossana Becarelli15) Maurizio Bardi16) Gianni Tognoni.

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 20144 Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario

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il sestanteil sestanteil sestanteRiceviamoil comunicato che segueda parte dei rappresentanti dell’As-sociazione PeaceLink di Taranto,che volentieri pubblichiamo.Il punto del D.L. 10.12.2013, n° 136che desta particolare preoccupazio-ne riguarda la mancata messa anorma dello stabilimento ILVA diTaranto.Siamo di fronte ad una sanatoria ead una chiara violazione delladirettiva europea IPPC sulla pre-venzione e la riduzione integratedell’inquinamento ambientale. Ladirettiva IPPC obbliga il Governo elo stabilimento ILVA alla messa anorma degli impianti attraversol’AIA (autorizzazione intergrataambientale). E’ invece avvenuto unfatto stupefacente: con questa leggel’ILVA è autorizzata a non attuare il20% delle prescrizioni dell’AIA. E’un pauroso pasticcio all’italiana.Con la nuova legge l’ILVA potràcontinuare a produrre anche soloavendo avviato l’adozione dell’80%del numero complessivo delle pre-scrizioni AIA.Questa norma mostruosa è conte-nuta nell’art.7, comma d) dellanuova legge.In quel 20% di prescrizioni nonottemperate, l’ILVA potrà includerele prescrizioni più importanti,come ad esempio la copertura del

parco minerali o la riduzione delleemissioni diffuse e fuggitive dellacokeria.Gli effetti sulla salute di una similelogica perversa sono potenzialmen-te devastanti. L’AIA è stata scrittaper essere rispettata al 100% e nonall’80%.Con questa legge l’Italia si pone aldi fuori delle norme europee. Suquesto punto PeaceLink ha infor-mato in modo dettagliato stamanela Commissione ed il ParlamentoEuropeo.Il decreto contiene anche unanorma “salva-proprietà” che pre-vede che, al fine di stanziare gliinvestimenti necessari alla realiz-zazione del piano industriale(che non c’è), vengano ampliati ipoteri del Commissario straordina-rio Enrico Bondi al fine di poterdisporre delle somme necessarieper un aumento di capitale attra-verso l’emissione di nuove azioniILVA. Qualora però al Commissariostraordinario non bastino i fondi dicui sopra, allora egli può disporredelle somme poste sotto sequestrodalla magistratura, anche in rela-zione a procedimenti penali diver-si a carico della proprietà (come lesomme poste sotto sequestro dalTribunale di Milano per frode pre-sunta fiscale). Il piano economico,

che dovrebbe veder la luce entrofebbraio 2014 (quindi 16 mesidopo l’AIA Clini), dipende appun-to dal reperimento delle risorsenecessarie. In questa situazione diincertezza il Commissario potrebbedover attendere molto tempo senzarealizzare alcun intervento reale esostanziale, in attesa di sapere se ifondi della proprietà sotto seque-stro possano essere “riaccorpati”alla proprietà: la questione dicostituzionalità di una tale normapotrebbe quindi porsi e portareritardi nella applicazione dell’AIAe nella realizzazione di quellemisure urgenti che avrebberodovuto essere poste in essere coneffetto immediato secondo la sen-tenza della Corte Costituzionale.Il commissariamento dell’ILVAdura fino al 4 giugno 2016, dopodi-ché l’ILVA ritorna nelle mani dellaproprietà e con essa anche i fondiposti sotto sequestro. In barba allaprocedura di infrazione realizzatadalla Commissione Europea sullabase della denuncia di PeaceLinke del Fondo Antidiossina Taranto,l’Italia continua a violare il dirittodella popolazione di Taranto allasalute e al futuro. Inoltre va sottoli-neato che con la nuova legge appro-vata dal Parlamento italiano, l’Ilva egli altri impianti strategici possono

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L’APPROVAZIONE, AVVENUTA IN SENATO, DEL DECRETO-LEGGE 10 DICEMBRE 2013,N.136, COMUNEMENTE DETTO “DECRETO ILVA-TERRA DEI FUOCHI”, È UNA SANATORIACHE PONE L‘ITALIA FUORI DALLE NORME EUROPEE

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essere autorizzati a produrre anchese non rispettano sostanzialmentele prescrizioni AIA in quanto bastache i lavori relativi ad una prescri-zione siano “avviati” (ma non“completati”) per considerare attua-ta la prescrizione.Così slitta tutto il crono programmadell‘AIA.Il rispetto del rigoroso cronopro-gramma era stato considerato dallaCorte Costituzionale quale condi-zione sine qua non della produzio-ne ILVA. Ora anche questo punto èstato aggirato.Siamo di fronte ad una legge anti-cittadini, anti-esseri umani, anti-Taranto, in nome della produzionea tutti i costi dell’acciaio e dellagaranzia assoluta dei profitti.Ma tutto questo prima o poi finiràperché l’Italia si è posta fuori dallenorme europee con grossolananoncuranza.(Per PeaceLink: Antonia Battaglia,Luciano Manna, Alessandro Mare-scotti; www.peacelink.it).

AMIANTO: CASSON, QUATTROPUNTI SUI QUALI IL GOVERNODEVE INTERVENIRE“Questi i quattro punti sui qualiil governo dovrebbe intervenireal più presto”.Sono quelli fissati nel corso delConvegno Amianto e Giustiziadel 13 marzo 2014 presso unasala del Senato della Repubblicaorganizzato dal CoordinamentoNazionale Amianto (CNA) in colla-borazione con il senatore FeliceCasson, vice presidente della Com-missione Giustizia del Senato, alquale è intervenuta l’on. FrancaBiondelli, sottosegretaria al Lavoro.“Nel corso dei lavori sono emersealcune precise indicazioni - spiegaCasson - Innanzitutto l’approvazio-ne, entro la fine del mese di mag-gio, del Piano Nazionale AmiantoPNA), predisposto dal governoMonti al seguito della ConferenzaNazionale del novembre 2012 a

Venezia. Tale Piano è rimastosulla carta per mancanza di ade-guato finanziamento, quindi nonapprovato dalla Conferenza delleRegioni. Fondi che ora si possonotrovare considerando che pure sipossono spalmare su tre anni”.

“Occorre inoltre intervenire -aggiunge - sull’adeguamento delFondo per le vittime dell’amianto,già istituito, ma limitato ai lavora-tori ex esposti e non alle vittime daesposizione casalinga e ambienta-le. E’ poi fondamentale la messa insicurezza dei siti pubblici contami-nati da amianto, il piano di ediliziae di messa in sicurezza delle scuo-le (ce ne sono ancora 116 contami-nate). Alla stessa stregua devonoessere messi in sicurezza e succes-sivamente bonificati, 37 ospedali,case di cura, case di riposo, 86 uffi-ci della pubblica amministrazione,27 impianti sportivi, 8 biblioteche ealmeno 4 grandi siti industrialidismessi”.“Il Parlamento poi deve fare la suaparte discutendo le proposte dilegge sull’amianto - concludeCasson - Per intervenire con mag-gior forza mi sono impegnato adintervenire normativamente per: •interrompere la prescrizione; •eliminare i termini di decadenzaper i reati connessi; •il divieto della restituzione dell’in-debito;•l’istituzione della Procura Nazio-nale sulla salute e sicurezza dellavoro e dell’ambiente o, in subor-dine, la istituzione di un appositoufficio di magistrati competenti”. Le Associazioni e i sindacati nellagiornata del 28 aprile 2014, dedica-ta a livello internazionale alle vitti-me dell’amianto, organizzerannopresidi, manifestazioni e incontri alivello regionale per l’attuazionedei Piani Regionali Amianto e diquanto richiesto nella mozioneconclusiva del suddetto Convegno.(Roma, 13 marzo 2014).

NON AUTORIZZATE FENICE-EDF! Il Comitato Diritto alla Salute insie-me al Comitato IntercomunaleLucania, al Comitato “la nostraterra non si tocca”, all’Associa-zione Futura, all’AssociazionePunto Zero, all’Associazione ItaliaNostra (sez. Vulture Melfese), alCentro di Documentazione MicheleMancino hanno organizzato unamanifestazione davanti ai cancel-li della società Fenice-EDF perchiedere con forza il diniego al rila-scio dell’Autorizzazione IntegrataAmbientale -AIA. Le recenti denunce dei lavoratorisui gravi guasti con relativi inqui-namenti ambientali che continua-no a ripetersi nell’incenreritore diSan Nicola di Melfi, insieme allamancanza di adeguate misure disicurezza interne, fanno crescereinquietudine e preoccupazione trale popolazioni a rischio.Le falde acquifere inquinate daoltre un decennio con sostanzealtamente cancerogene sono ilsegno evidente della mancata pre-venzione e della mancata messa insicurezza del sito. E tutto questo inpresenza di Amministrazioni pub-bliche ingessate ed incapaci diazioni concrete e incisive. Di più:una sanità pubblica completamen-te assente sul fronte delle indaginie della conoscenza dello stato disalute delle comunità che vivonoin prossimità di attività industrialiad elevato impatto ambientale. Lasordità delle istituzioni colpevol-mente silenti difronte alle innume-revoli denunce prodotte da cittadi-ni/e ed associazioni, cui fa seguitol‘imbarazzante silenzio del presi-dente della Regione Pittella su que-sta vergognosa vicenda che si tra-scina da anni. Tutto questo ha spin-to le associazioni, i comitati e imovimenti del Vulture MelfeseAlto Bradano ad alzare ancora unavolta la voce per reclamare il pro-prio diritto ad essere salvaguardati

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e tutelati da chi ha il dovere difarlo.Per affermare il diritto alla salute eda vivere in un ambiente salubre, ilGruppo di Coordinamento Vulture- Melfese Alto-Bradano ha promos-so per sabato 12 aprile 2014, alleore 17:00, davanti ai cancelli del-l’inceneritore Fenice-EDF - simbo-lo del disastro ambientale e politicoin Basilicata - con le popolazioni arischio una manifestazione, dappri-ma raccolte in un momento di pre-ghiera con il vescovo GianfrancoTodisco, dove pianteranno decinedi croci bianche nel terreno anti-stante l’inceneritore a ricordodelle tante inconsapevoli vittimedell’inquinamento ambientale dellanostra terra.Gli organizzatori hanno lancianoun invito corale a tutte le associa-zioni, i comitati e i movimenti chein questa regione si stanno batten-do per la salvaguardia del territorioe della salute dei cittadini, affinchépartecipino numerosi alla manife-stazione e vengano a piantare sim-bolicamente ognuno la propriacroce. Già nelle prime ore di diffu-sione della notizia attraverso isocial network, sono arrivate leprime adesioni, sia dalla Basilicatache dalla vicina Puglia. Nel corso della serata verrà proiet-tato il film documentario “Sporchida morire”, un viaggio nel mondodelle polveri sottili, delle nano-particelle emesse dagli incenerito-ri e delle possibili alternative allamalsana pratica dell’incenerimen-to dei rifiuti. (Dal comunicato 28 marzo 2014del Gruppo di CoordinamentoVulture-Melfese Alto-Bradano).

MAMME NO TAVAppello dai familiari di Chiara,Claudio, Mattia e Niccolò.In queste settimane avete sentitoparlare di loro. Sono le personearrestate il 9 dicembre 2013 conl’accusa, tutta da dimostrare, di

aver assaltato il cantiere Tav diChiomonte. In quell’assalto è statodanneggiato un compressore, nonc’è stato un solo ferito. Ma l’accusaè di terrorismo perché “in quel con-testo” e con le loro azioni presunte“avrebbero potuto” creare paniconella popolazione e un gravedanno al Paese. Quale? Un dannod’immagine. Ripetiamo: d’immagi-ne. L’accusa si basa sulla potenzialitàdi quei comportamenti, ma nonesistendo nel nostro ordinamento

il reato di terrorismo colposo, l’im-putazione è quella di terrorismovero e volontario. Quello, perintenderci, a cui la memoria di tutticorre spontanea: le stragi degli anni70 e 80, le bombe sui treni e nellepiazze e, di recente, in aeroporti,metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignaree inconsapevoli, che uccideva, che,appunto, terrorizzava l’intera popo-lazione. Al contrario i nostri figli,fratelli, sorelle hanno sempre avutorispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hannoidee, vogliono un mondo miglioree lottano per averlo. Si sono battuticontro ogni forma di razzismo,denunciando gli orrori nei Cie, percui oggi ci si indigna, prima ancorache li scoprissero organi di stampae opinione pubblica. Hanno creatospazi e momenti di confronto.Hanno scelto di difendere la vita di

un territorio, non di terrorizzarne lapopolazione. Tutti i valsusini ve lodiranno, come stanno continuandoa fare attraverso i loro siti. E’ forsequesta la popolazione che sarebbeterrorizzata? E può un compressoreincendiato creare un grave dannoal Paese?Le persone arrestate stannopagando lo scotto di un Paese incrisi di credibilità. Ed ecco allorache diventano all’improvviso ter-roristi per danno d’immagine conle stesse pene, pesantissime, dichi ha ucciso, di chi voleva ucci-dere.E’ un passaggio inaccettabile in unademocrazia. Se vincesse questatesi, da domani, chiunque conte-sterà una scelta fatta dall’altopotrebbe essere accusato delle stes-se cose perché, in teoria, potrebbemettere in cattiva luce il Paese,potrebbe essere accusato di provo-care, potenzialmente, un dannod’immagine.E’ la libertà di tutti che è in perico-lo. E non è una libertà da dare perscontata.Per il reato di terrorismo non sonoprevisti gli arresti domiciliari ma ladetenzione in regime di alta sicu-rezza che comporta l’isolamento,due ore d’aria al giorno, quattro oredi colloqui al mese. Le lettere tuttecontrollate, inviate alla procura,protocollate, arrivano a loro e a noicon estrema lentezza, oppure nonarrivano affatto. Ora sono stati tra-sferiti in un altro carcere di AltaSorveglianza, lontano dalla lorocittà di origine. Una distanza che lisepara ancora di più dagli affettidelle loro famiglie e dei loro cari,con ulteriori incomprensibili ves-sazioni come la sospensione deicolloqui, il divieto di incontro e inalcuni casi l’isolamento totale.Tutto questo prima ancora di unprocesso, perché sono “pericolosi”grazie a un’interpretazione giudi-ziaria che non trova riscontro neifatti.

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Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 20148 il sestante

Questa lettera si rivolge:Ai giornali, alle Tv, ai mass media,perché recuperino il loro compitodi informare, perché valutino tuttigli aspetti, perché trovino il corag-gio di indignarsi di fronte al para-dosso di una persona che rischiauna condanna durissima non peraver trucidato qualcuno ma per-ché, secondo l’accusa, avrebbedanneggiato una macchina o sareb-be stato presente quando è statofatto...Agli intellettuali, perché faccianosentire la loro voce. Perché agisca-no prima che il nostro Paese diven-ti un posto invivibile in cui chi sioppone, chi pensa che una grandeopera debba servire ai cittadini enon a racimolare qualche spicciolodall’UE, sia considerato una ric-chezza e non un terrorista.Alla società intera e in particolarealle famiglie come le nostre chestanno crescendo con grandepreoccupazione e fatica i proprifigli in questo Paese, insegnandoloro a non voltare lo sguardo, arestare vicini a chi è nel giusto e habisogno di noi.GrazieI familiari di Chiara, Claudio,Mattia e Niccolò [Processonotavmailing list [email protected]://www.autistici.org/mail-man/listinfo/processonotav]. Medicina Democratica esprime lapropria solidarietà ai Famigliari diChiara, Claudio, Mattia e Niccolò echiede a ogni persona impegnataper il rigoroso rispetto dei dirittiumani e per affermare la democra-zia nella sua più estesa accezionedi far conoscere questo pregnanteed accorato appello.

FERROVIE: IL MACCHINISTASOLO COSTITUISCE UN OSTA-COLO PER I SOCCORSIDa: ancora IN MARCIAhttp://www.inmarcia.itIl Procuratore della Repubblica di

Torino Raffaele GUARINIELLOinterviene sull’equipaggio con unsolo macchinista, prescrivendo dirivedere gli equipaggi dei treni pergarantire il pronto soccorso in casodi necessità.La prescrizione è circondata da unassordante silenzio sindacale.

Roma, 4 febbraio 2014 Grazie all’infaticabile lavoro degliRLS del Piemonte e di molti altrinostri compagni di lavoro, tornad’attualità la questione del “prontosoccorso” sui treni.

E’ stato notificato ieri, dalla stessaazienda, a tutti gli RLS dei macchi-nisti e dei capitreno di Trenitaliadelle divisioni interessate, un prov-vedimento emesso dalla ASL diTorino, su delega della Procura,con cui si impone all’AD diTrenitalia, Vincenzo Soprano e adaltre imprese ferroviarie minori, di“risolvere” l’effettività dei soccorsiai lavoratori presenti a bordo.Il tema aveva già suscitato moltepolemiche in occasione dellamorte di un viaggiatore non soccor-so immediatamente, avvenuta nelnovembre 2011 per un malore sulFrecciarossa tra Torino e Milano. Il provvedimento, emesso per com-petenza territoriale dalle ASLTorino 1 e Torino 4 ai sensi dellanormativa per la sicurezza del lavo-ro, che segue uno analogo dellaprocura di Roma, potrà avere rica-dute significative sull’organizzazio-ne del lavoro nei treni di tutta Italia,comprese le “Frecce” di Trenitalia,Italo di NTV, ecc. e mettere fine allungo braccio di ferro che vede daanni i macchinisti contrastare lariduzione dell’equipaggio siglata,tra molte polemiche, dai sindacatinel maggio 2009. Le indagini dellaASL Torino 4 hanno riguardatoanche l’inadeguatezza, per il pron-to soccorso del nuovo tratto di linea(AV) Alta Velocità.Oltre al peggioramento delle nostre

condizioni di lavoro abbiamo sem-pre denunciato che nei treni guida-ti da un solo macchinista, in caso diinfortunio o malore in linea di uncomponente dell’equipaggio, siamacchinista, che capotreno, iltreno non può più muoversi e nonci viene garantito un soccorso intempi rapidi come avviene invece,nei treni con due macchinisti. La motivazione del verbale di pre-scrizione emesso a seguito delledenunce presentate dai Rappre-sentanti dei Lavoratori per laSicurezza sarebbe da ricondurre alritardo imponderabile e all’inaffi-dabilità delle procedure di soccor-so attualmente in vigore. Esse sono oggi basate sulla ricercada parte del capotreno di un“medico a bordo” o di un macchi-nista che viaggi fuori servizio.Fattispecie che violerebbe, secon-do la Procura, il dovere e l’obbligodi ogni impresa di organizzare unsistema di pronto soccorso certo edefficace. La conclusione dellaProcura della Repubblica è giuntadopo lunghe indagini effettuatedagli ispettori piemontesi consopralluoghi e verifiche tecnichesui protocolli di emergenza concor-dati tra le imprese ferroviarie, ilgestore della rete, RFI Spa e il 118.Questo provvedimento adottatosulla base del Testo Unico sullasicurezza del lavoro speriamopossa contribuire a riaprire il dibat-tito per colmare anche il grandevuoto normativo riguardo al dirittodei nostri viaggiatori a un prontosoccorso sui treni. Secondo gli Ufficiali di PoliziaGiudiziaria che hanno redatto ilverbale dovranno essere “garantitetempistiche adeguate di soccorsosanitario nei tempi più rapidi pos-sibili, come avviene, ad esempio,nel caso di treni con condotta adoppio agente”. Infatti, se il macchinista che guidada solo subisce un malore grave oun infortunio, i sistemi di sicurezza

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fermano il treno in linea, ma nonessendoci a bordo altri ferrovieriabilitati a guidare, il convoglioresterebbe fermo in un luogo qual-siasi della rete. Basta pensare a cosa succederebbein caso di sosta forzata in linea, ingalleria o su un viadotto in attesadell’arrivo dei soccorsi: potrebberotrascorrere anche molte ore primache sia individuata la posizioneesatta del treno e che questo sia rag-giunto dai soccorsi per fornireall’infortunato la necessaria assi-stenza qualificata. La gran parte dei binari italianicorrono infatti in zone “irraggiun-gibili” dai normali mezzi di soc-corso del 118.Trenitalia ha ora 90 giorni di tempoper rivedere la valutazione delrischio e formulare idonee corre-zioni all’organizzazione del lavoroper garantire la tempestività deisoccorsi. [Da: Ancora IN MARCIA(http://www.inmarcia.it)Scarica la Prescrizione della ASLTorino 1 al link:http://www.inmarcia.it/DOC/Prescrizioni_Pronto_Soccorso_agen-te_solo/PrescrizioneSoprano_PRONTO_SOCCORSO_ASL_Torino1_del_9_dicembre_2013.pdfScarica la Prescrizione della ASLTorino 4 per la Linea AV al link:http://www.inmarcia.it/DOC/Prescrizioni_Pronto_Soccorso_agen-te_solo/PrescrizioneSoprano_PRONTO_SOCCORSO_ASL_Ivrea_Chivasso_Torino4_del_23-1-2014_LIGHT.pdf].

ISRAELE: RESISTENZA DI GIO-VANI ALLA PERSECUZIONERAZZISTA DA PARTE DELLOSTATO EBRAICOLa realtà di Israele, che vuole esse-re lo Stato degli Ebrei, è ben rias-sunta da due significativi docu-menti: il film(https://www.youtube.com/watch?v=uz8_qzdDdM4#t=553), girato acura del Military Court Watch dove

è documentata la persecuzione deiPalestinesi ad opera dell’Esercito diIsraele, che ha raggiunto un altolivello di crudeltà programmata efreddamente messa in atto (vedianche http://is.gd/i2JRdT), ed uncoraggioso documento di giovaniisraeliani che, a 17-18 anni, all’u-scita dalla Scuola Media, rifiutanoil servizio militare nell’Esercito delloro Paese che occupa la terraPalestinese. Riportiamo qui la lette-ra che hanno scritto al premierNetanyahu:

“Noi, cittadini dello stato di Israele,siamo obbligati al servizio militarenell’esercito. Ci appelliamo ai letto-ri di questa lettera perché abban-donino quello che è sempre statopreso per garantito e perché ricon-siderino le implicazioni del serviziomilitare.Noi sottoscritti intendiamo rifiutareil servizio nell’esercito, e la ragioneprincipale per questo rifiuto è lanostra opposizione all’occupazio-ne militare dei territori Palestinesi.I Palestinesi nei territori occupativivono sotto il dominio israelianocontro la loro volontà, e non hannomezzi legali per influenzare questoregime o i modi in cui vengonoprese le decisioni. Questo non è néugualitario né giusto. In quei terri-tori i diritti umani sono violati, eatti definiti crimini di guerra secon-do la legge internazionale sonocompiuti ogni giorno. Questi inclu-

dono assassinii (uccisioni extragiu-diziali), la costruzione di coloniesulla terra occupata, le detenzioniamministrative, la tortura, le puni-zioni collettive e la attribuzionediseguale di risorse come l’elettri-cità e l’acqua. Qualsiasi forma diservizio militare rafforza questecondizioni, quindi, secondo lanostra coscienza, non possiamofare parte di un sistema che com-pie gli atti sopramenzionati. La responsabilità dell’esercito nonè solo quella del danno inflitto allasocietà Palestinese. Esso infiltra lavita quotidiana anche nella societàisraeliana: dà forma al sistemaeducativo, alle nostre opportunitàdi lavoro, mentre rafforza il razzi-smo, la violenza e la discriminazio-ne su base etnica, nazionale e digenere.Rifiutiamo di dar man forte al siste-ma militare nel promuovere e per-petuare il predominio maschile.Nel nostro giudizio, l’esercito inco-raggia un ideale maschile violentoe militarista per il quale “la forza èdiritto”. Questo ideale è dannoso atutti, specialmente a quelli che nonvi si adattano. Inoltre, ci opponia-mo alle strutture di potere oppres-sive, discriminatorie e pesante-mente di genere dentro allo stessoesercito. Rifiutiamo di rinunziare ai nostriprincipi come condizione per esse-re accettati nella nostra società.Abbiamo pensato profondamenteal nostro rifiuto, e manteniamo lenostre decisioni.Facciamo appello ai nostri simili, aquelli che stanno prestando servi-zio nell’esercito o come riservisti,ed al pubblico israeliano tutto per-ché riconsiderino la propria posi-zione riguardo all’occupazione,all’esercito ed al ruolo dei militarinella società civile. Crediamo nelpotere e nella capacità dei civili dicambiare la realtà per il megliocreando una società più leale e giu-sta. Il nostro rifiuto esprime questo

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Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 201410 il sestante

convincimento.”[For details: Dafna RothsteinLandman-dafna.e.r.l@[email protected]].L’esempio dei giovanissimi israe-liani che hanno scelto libertà, ugua-glianza e giustizia e respingono iprincipi del nazionalismo militari-sta incoraggia sulla possibilità diuna civiltà migliore, e deve esserconosciuto da tutti, in primo luogodai governanti dell’Europa e degliUSA, che finora hanno sostenuto esostengono Israele qualsiasi cosafaccia, e dagli eletti del ParlamentoEuropeo.

EX AREE THYSSENKRUPP: ILCOMUNE PAGHI I SENZALAVORO PER BONIFICARE LESOSTANZE TOSSICHEIl Comune di Torino ha approvatoil Programma di TrasformazioneUrbana 2013-2016, presentato inprima istanza dall’Assessore all’Ur-banistica Stefano Lo Russo e dalSindaco P. Fassino nel luglio del2013 e poi modificato, che com-prende la riqualificazione delle exAree ThyssenKrupp, dove sorge lostabilimento in cui trovarono lamorte 7 nostri compagni di lavoro.Un’area enorme, oltre 300 milametri quadrati, a ridosso del Parcodella Pellerina, dove scorre etrova il suo ingresso in Città laDora Riparia. Ovviamente su que-sta area si sono già scatenati, daanni, molti appetiti, sia pubblici(oneri di urbanizzazione) che pri-vati (speculazioni edilizie eaumento delle rendite fondiarie).Il Comune non si pone neppure laquestione, almeno morale (vistoche quella giuridica finora non havisto nessuna condanna per iresponsabili della strage) di trattarel’area con la logica di penalizzarechi ha causato quelle morti.L’Amministrazione Chiamparinoaveva affermato, all’indomani dellastrage, di non voler concedere alla

multinazionale tedesca alcun bene-ficio, come il cambiamento didestinazione d’uso, ed espresso lavolontà che l’area venisse cedutaalla Città a titolo gratuito comerisarcimento “morale”. Nulla ditutto questo!La ThyssenKrupp, dopo aver cau-sato la morte di 7 operai si è inta-scata anche decine di milioni dieuro dagli appalti per la realizza-zione e manutenzione delle scalemobili nelle nuove stazioni ferro-viarie di Porta Nuova e Porta Susa,con tanto di marchio in bellamostra! In sostanza il Comune faaffari con i responsabili di una tra-gedia che rimarrà per sempre unaferita indelebile per la nostra Città.Chiamparino e Fassino fate affaricon degli assassini!?Nel piano di riqualificazione appe-na approvato, e i cui lavori di rea-lizzazione sono annunciati sindalla prossima estate, si prevedonoin sostanza i soliti interventi, total-mente inadeguati, proposti dagliindirizzi di un Piano Regolatorevecchio ormai di vent’anni, chenon tiene minimamente conto diciò che ha investito nel corso degliultimi due decenni il capoluogopiemontese: le conseguenze segui-te alla pesantissima ristrutturazio-ne industriale seguita da un costan-te ma inesorabile calo demograficoe la crisi, tutt’altro che alla fine. Lariqualificazione prevede la realiz-zazione di una porzione residen-ziale (a fini abitativi), una di verde(da annettere al parco già esistentedi via Calabria adiacente al Parcodella Pellerina) e una zona artigia-nale di terziario avanzato. Infine unluogo di testimonianza di ciò cheaccadde quel 6 dicembre 2007, chesuona come lacrime di coccodrilloda parte dell’Amministrazione: l’i-stituzione che interviene solo“dopo” l’accaduto, quando corre airipari dimostrando totale e colpe-vole negligenza per quanto concer-ne controlli in materia di sicurezza

nei luoghi di lavoro, del tutto inesi-stenti. Per questo si aprirà a breveun altro processo parallelo cheriguarda 5 funzionari dell’Asl diTorino, rei di avvertire preventiva-mente l’azienda dei sopralluoghiispettivi.Anche se pare scongiurato, comesembrava nelle intenzioni iniziali,il trasferimento del deposito GTTdi Venaria nell’area a ridosso delparco più grande di Torino, resta ilfatto che l’area rimane pericolosa-mente disseminata di sostanzenocive dovute alle lavorazionisiderurgiche e la cui bonifica deveessere a completo carico dell’acqui-rente, che risulta essere la BonafousS.p.A. (società ad hoc composta daGefim, società privata operante neisettori edile e immobiliare eFintecna, società pubblica intera-mente gestita dalla Cassa Depositie Prestiti e specializzata nellariqualificazione di grandi areedismesse). Di questa riqualificazio-ne lasciano fortemente perplessi edestano forti preoccupazioni moltipunti: il Comune ha “snellito” ipassaggi necessari per l’approva-zione della riqualificazione passan-do da Variante Strutturale (n. 211del 2011), come previsto dallaLegge, a semplice Variante Urbani-stica Semplificata, accelerandonotevolmente l’iter e mancandocompletamente di momenti didiscussione e confronto con i citta-dini, fermo restando che buonaparte dell’area è pubblica; si èincluso nella metratura complessi-va dell’Area anche una porzionedel quartiere Lucento (compreseparrocchia Santi Bernardo eBrigida e scuole materna, elemen-tare e media di v. Pianezza) echiunque capirebbe che ciò ha ilsolo scopo di aumentare laSuperficie Lorda di Pavimento, dacui deriva la possibile quantità diedificabile, aumentando così lapossibilità di speculare!; inoltre sicontinua con la logica criminale e

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anti ecologica di costruire altresoluzioni abitative assolutamenteinutili se non a fini speculativi afronte della decrescita demografica,lenta ma costante della Città, oltre-tutto in presenza di decine dimigliaia di alloggi tenuti sfitti soloper mantenere alti i prezzi di ven-dita e locazione; il Comune, se haintenzione di costruire case nell’a-rea, non ha tenuto in debito conto ilrischio, tutt’altro che remoto, diesondabilità (ultima alluvione nel2000, stabilimento ThyssenKruppe aree limitrofe completamentesommerse dall’acqua). Ma ciò chedesta maggiore preoccupazione,visti i recenti casi di cronaca (Terradei Fuochi in Campania e Ilva diTaranto, solo per citarne due)riguarda la bonifica dell’area, trat-tandosi di un argomento che rive-ste grande importanza e dagli enor-mi risvolti morali, sociali edambientali. Preoccupazioni piùche fondate visti i risultati di altriesperimenti analoghi: ci riferiamoin particolare alla Spina 3 e all’exarea delle Ferriere su cui sono staticostruiti parchi, centri commercia-li ed edifici, questi ultimi utilizzatidagli atleti per le Olimpiadi inver-nali di Torino 2006 e poi riconver-titi ad uso abitativo, zona CorsoMortara-IperCoop-Nuovo PassanteFerroviario, sotto i quali vi sonoancora tonnellate e tonnellate discorie industriali nocive mai boni-ficate. Su questo argomento nessuncenno da parte del Sindaco e delConsiglio Comunale!Sindaco Fassino, la soluzione nonè far costruire palazzi e giardinisopra le scorie di un’acciaieria madare lavoro a chi è senza per boni-ficarle (previa adeguata formazio-ne). Dall’indirizzo del provvedi-mento urbanistico se ne deduceche in ultimo piano vengono, comesempre, i diritti dei cittadini, maiinterpellati quando si tratta di scel-te che li riguardano in prima perso-na, come in questo caso.

Ci rendiamo conto anche noi chel’area così non può rimanere ma èoggettivo che la riqualificazionedell’area sia assolutamente impre-scindibile dalla bonifica, a spese dichi ha inquinato. La cosiddetta“Porta Ovest” della Città, oltre arappresentare un naturale bigliettoda visita di ingresso alla Città puòdiventare un’occasione per crearenuovi posti di lavoro, misura cheattenuerebbe, almeno in parte, glieffetti più devastanti della crisi.Noi ex lavoratori ThyssenKruppsiamo sempre stati disponibili a

metterci in gioco, anche in percorsidi riqualificazione professionale,entro quel progetto della GranTorino Capitale del Lavoro delSindaco Fassino che per ora rima-ne solo sulla carta.Visto che il Comune da questoorecchio sembra non sentirci e chei buoni propositi sinora non sem-brano essere serviti a nulla faccia-mo appello a lavoratori, lavoratrici,disoccupati, cassintegrati, giovani,donne, studenti, immigrati e tuttiquelli che lottano per difendere ipropri diritti, primo fra tutti quelload un lavoro utile e dignitoso, acreare un coordinamento tra asso-ciazioni e organismi (sindacali,ambientali, ecc.), esponenti politicie sindacali, singoli cittadini che lot-tano per non pagare gli effetti piùnefasti della crisi a vigilare e mette-re in campo tutte quelle azioninecessarie per impedire al Comune

di speculare sull’area e costringereil Comune ad effettuare le dovutebonifiche. La scusa di Fassino chenon ci sono soldi è una balla trita eritrita: i soldi ci sono, basterebbenon sprecarli in un’opera assurda ecriminale come la Tav, in cui sicontinuano a sperperare, tra lavorie gestione dell’ordine pubblico,risorse preziosissime con le quali sidovrebbero creare invece posti dilavoro, fare manutenzioni urgentialle scuole che cadono a pezzi,potenziare sanità, istruzione e tra-sporti. Misure concrete per contra-stare la crisi più dell’effimero“museo” sulla sicurezza nei luoghidi lavoro che si vorrebbe intitolarealla memoria dei nostri compagnidi lavoro. La questione non è sensi-bilizzare maggiormente i lavoratorima chi ha in mano la direzionedella società, oggi nelle mani di chilucra sulla vita dei lavoratori. Perquesto tipo di reati vi è in pratica latotale impunità! Dimostrazione neè che anche gli imputati coinvoltinella strage ThyssenKrupp nonhanno fatto né un giorno di galerané saranno mai condannati da tri-bunali che adottano i sistemi dellagiustizia borghese, quello dei duepesi e delle due misure: chi com-batte per salvaguardare il lavoro e ipropri diritti (per es. chi taglia lereti, del tutto illegittime, dei cantie-ri della Tav in Val Susa) vienemesso in carcere e chi quei diritti licalpesta (come per es. gli imputatidel processo ThyssenKrupp) è libe-ro di agire indisturbato.Ciò che muove gli imprenditori (lastragrande maggioranza se nonaltro) è unicamente il proprio tor-naconto personale, non il benesse-re dei lavoratori. Va da sé che que-sti due interessi non potranno maicoincidere, perché la sicurezza peril datore di lavoro rappresenta soloun costo, nulla più. I morti per pro-fitto non sono altro che il frutto diquesto sistema produttivo ormaidistruttivo di uomini e risorse e diquesto ordinamento sociale, ingiu-

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sto e superato, al quale dobbiamoopporci con ogni mezzo iniziandofin da subito appoggiando e pro-muovendo il coordinamento traorganismi, esponenti di partiti, sin-dacati, comitati e singoli che giàoggi lottano, ognuno con propriespecificità e caratteristiche, nonsolo in difesa dei diritti ma mossida un obiettivo più alto: creareuna nuova società, l’unica alter-nativa possibile (ma soprattuttonecessaria) a questo sistema pro-duttivo ormai giunto al termine.Una società in cui saranno i lavo-ratori in prima persona a gestireil proprio luogo di lavoro e quin-di anche la propria sicurezza,finora delegata a chi non haalcun interesse a garantirla.La salvaguardia dei diritti va con-quistata con la lotta e la mobilita-zione, come quella che ci attendeil 24 aprile, giorno in cui laCorte di Cassazione depositerà lasentenza di terzo grado del pro-cesso ThyssenKrupp. Per questoinvitiamo tutti a presenziare aRoma davanti alla Corte diCassazione in solidarietà ai fami-liari di tutte le vittime del profitto. Solo in presenza della mobilita-zione popolare la Corte condan-nerà, anche se a pene (per noi)simboliche, i responsabili dellastrage.Far rinascere l’area senza specu-lazioni, priva di sostanze tossi-che e con finalità collettive,impiegando nella bonifica quellemigliaia di lavoratori rimastisenza lavoro, appare di gran lungail miglior modo per ricordareAntonio, Bruno, Angelo, Roberto,Rocco, Rosario e Giuseppe, resti-tuendo dignità a quel lavoro che ècostato loro la vita e mantenendofede al prestigio della nostra Città,Medaglia d’Oro della Resistenzapartigiana e culla della tradizio-ne operaia del nostro Paese.Vorremmo costruire, con chi con-divide queste idee, un momentodi scambio e confronto per dareseguito all’appello che abbiamolanciato. [Torino, 14 febbraio, do-cumento degli ex Lavoratori dellaThyssenKrupp di Torino].

L’OSSERVATORIO INDIPEN-DENTE DI BOLOGNA: MAITANTI MORTI SUL LAVORODALLA SUA APERTURA,OVVERO DAL 1° GENNAIO2008Carlo Soricelli, ovvero la personache per impegno sociale e cultura-le ha realizzato e che gestisce quo-tidianamente e gratuitamente l’Os-servatorio rilevando, classificandoed archiviando con il massimorigore ogni omicidio sul e da lavo-ro, ci ha inviato le Note che seguo-no, che pubblichiamo per il lorointrinseco interesse. In proposito,Carlo Soricelli domanda: “Comemai nessuno alla Camera deiDeputati contesta i dati dell'INAIL,dato che Tutti ormai sanno chel’Istituto monitora solo i propriassicurati e tantissimi lavoratorinon lo sono?” Infatti, l'INAIL non specifica maichiaramente che i “presunti cali”,anche tra i suoi iscritti, sono dovu-ti al numero di lavoratori e lavora-trici che assicura in meno (milionidi partite IVA e tantissime altrecategorie non assicurate), e tacepure sull’enorme numero di perso-ne costrette ad operare in nero,senza alcun tipo di assicurazioneprevidenziale ed antinfortunistica.Prosegue Soricelli: “Io posso dimo-strare che non è così, che i morti sullavoro (tutti quelli che muoionolavorando e non solo gli assicuratiINAIL) non sono mai calati daquando il 1° gennaio 2008 hoaperto l'Osservatorio, i morti suiluoghi di lavoro sono tutti monito-rati e archiviati in appositi files enon temo smentite. Perchè nelParlamento Italiano nessuno, dinessun partito si occupa a fondo diqueste tragedie?” Solo il nove luglio di quest'anno ilavoratori morti sui luoghi di lavorosono stati 10 nelle province diL'Aquila (3), Verona, Parma, Salerno,Torino, Lecce, Cremona e Bari.Due sono stati schiacciati dal tratto-re (sono 96 dall'inizio dell'anno) e86 da quando il 28 febbraio 2014ho mandato una mail a Renzi,Martina e Poletti sull'imminentestrage che sapevamo ricominciasse

entro pochi giorni. L'anno scorso i morti sul lavorosono stati complessivamente oltre1200 e non 660 come ad usumdelphini ha affermato l'INAIL inParlamento. L’Osservatorio ha regi-strato anche un aumento del 4,5%rispetto allo stesso giorno del 2008,anno in cui è cominciata una crisiche ha fatto perdere milioni diposti di lavoro, ma che ha prodottotantissimo lavoro in nero e preca-rio. Gli omicidi sul e da lavoroerano 315 dal 1° gennaio al 10luglio del 2008. Sono 329 al 10luglio 2014, l'aumento è del 4,3%,e stiamo parlando solo dei lavora-tori morti sui luoghi di lavoro,almeno altrettanti sono morti sullestrade: si tratta dei cosiddetti infor-tuni mortali in itinere.Si chiede amaramente Soricelli:“esiste qualche parlamentare cheha a cuore la vita di chi lavora?” In tanti sono stati avvertiti con pun-tuali e-mail inviate dall'Osservato-rio del reale numero delle morti sullavoro, ma nessuno chiede spiega-zioni! Chiedo anch’io – affermaSoricelli - di essere ascoltato inSenato come curatore dell'Osser-vatorio Indipendente di Bolognamorti sul lavoro, impegnandomi aportare in visione, durante l’audi-zione, tutta la documentazionerelativa alle morti sul lavoro (speroche il Senato rimanga eleggibile daicittadini italiani). La stessa richie-sta la formulo alla competenteCommissione della Camera deiDeputati. Anche la Presidente dellaCamera Boldrini è stata sempremessa al corrente, attraverso mail,del reale numero di morti sul e dalavoro, e suo dovere sarebbe statoquello di approfondire e di verifi-care se quello che scrivo è vero. Matemo che sia come al solito temposprecato.Anche tanti parlamentari riceve-ranno questa mail, come del restol'Osservatorio ha spedito loro nelcorso degli anni. Senza ovviamen-te ottenere nessun risultato.

Medicina Democratica nel fare pro-pria la sacrosanta denuncia diCarlo Soricelli Lo ringrazia pubbli-

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camente per il prezioso e inestima-bile lavoro di ricerca e di studio cheda anni conduce in modo disinte-ressato, teso a smuovere le coscien-ze affinchè nelle fabbriche e nellecampagne si realizzi una rigorosapolitica della prevenzione deirischi e delle nocività per far cessa-re la strage quotidiana di morti edinfortuni sul lavoro e da lavoro.Come sempre, continueremo suqueste pagine ad affrontare questacruciale problematica che rappre-

senta una traccia indelebile, unalinea di demarcazione fra unasocietà civile ed una società inu-mana e barbara quale è purtroppooggi quella italiana.Superfluo ricordare che il primopasso di una politica della preven-zione dei rischi e delle nocività èrappresentato dall’informazione:senza informazione non c’è presadi coscienza, nè individuale nè col-lettiva, e senza presa di coscienzanon vi può essere impegno e lotta

per la rimozione dei rischi e dellenocività nei luoghi di lavoro e inogni dove della società.Per questo chiediamo alle nostreLettrici e ai nostri Lettori di socia-lizzare queste informazioni, segna-tamente verso tutte le personeimpegnate per affermare la dignità,la personalità, i diritti umani diogni lavoratrice e lavoratore, controogni discriminazione ed esclusionenei confronti di chicchessia. [A cura di Luigi MARA].

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Sommario

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 201414 sommario

Corso di formazione di base per la difesa e lo sviluppo del Sistema Sanitario Nazionale di Piergiorgio DUCA 1

IL SESTANTEa cura di Luigi MARA 5

DOSSIER: PARTECIPAZIONE, SALUTE E SISTEMA SANITARIO

Una proposta di monografia sul rilancio della sanità pubblica di Andrea MICHELI 15

“La dottrina sociale delle scienze mediche.”Partecipazione e responsabilità nei percorsi di cura e ricercadi Enzo FERRARA 17

La formazione del medico di Piergiorgio DUCA 29

Le fondamenta del Sistema Sanitario Nazionale, la sua evoluzione, il suo futuro di Giorgio COSMACINI 37

Salute e mercato di Gavino MACIOCCO 42

L’ideologia del libero mercato pilota la crisi dei sistemi sanitari di Rodolfo SARACCI 45

Perché bisogna difendere il Servizio pubblico di Paolo VINEIS 48

Tumori ed economia: partecipazione e prevenzione di Andrea MICHELI 52

Un intervento di prevenzione possibile e altamente auspicabile: la prevenzione della Sindrome Metabolica (SM) di Franco BERRINO 63

Dove va la sanità italiana? di Rossana BECARELLI 65

La sanità lombarda fra pubblico e privato.Tanti progetti: finalizzati a migliorare la ricerca, la qualità dell’assistenza e l’efficacia della cura? di Fulvio AURORA 69

Salute e Sanità nel periodo dell’austerity di Walter FOSSATI 75

Sistema Sanitario lombardo e medicinagenerale o territoriodi Maurizio BARDI 79

Il “Disease Mongering”di Alberto DONZELLI 83

Disabilità, non autosufficienza e riabilitazione. E’ possibile invecchiare in buona salute?di Laura VALSECCHI 85

Dall’umanizzazione della cura ospedalieraalla continuità di cura sul territorio di Sergio MARSICANO 98

Alla sanità come affare contrapporreuna sanità come partecipazione di Gianni TOGNONI 107

L’epidemia tabagicadi Roberto MAZZA 112

INTERVENTI&ESPERIENZE

Una rivoluzione riabilitativaa cura di Aldo PIERONI 131

LETTURE

Il grande affare della geotermiaa cura del Comitato per la difesa dei beni comuni – Val Cecina 137

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Per una proposta di mono-grafia sul rilancio della sanitàpubblica

di Andrea MICHELI*

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 2014

1. IL CORSO DI FORMAZIONE DI BASEPER LA DIFESA E LO SVILUPPO DELSISTEMA SANITARIO NAZIONALE Il Corso organizzato da Medicina Democratica(MD) in collaborazione con Punto Rosso, nel-l’autunno del 2013, ha mostrato la presenzadi una rete di soggetti e individualità portatri-ci di culture e competenze critiche di spesso-re, utili al rilancio di politiche per lo sviluppodel sistema sanitario pubblico. Nello svolger-si del corso e al suo termine sono state pre-sentate più proposte in grado di raccoglierel’esperienza del Corso e renderle fruibili nelprossimo futuro. E’ stato proposto di attivareiniziative locali di indagine sulla devastazionedel sistema pubblico nell’area lombarda/mila-nese, di includere la documentazione elettro-nica e visiva prodotta in un cd, di raccoglierei contributi dei partecipanti in una rivista e dipromuovere la produzione di una monografiache scaturisca dall’esperienza del corso; obiet-tivo realizzato con questo fascicolo diMedicina Democratica.Elemento comune alle diverse proposte è chevi sia margine di interesse perché venga con-siderata una visione culturale alternativa aquella diffusa dal neoliberismo in sanità. Lediverse proposte, inclusa quella di una ripro-posizione di un Corso con l’inclusione di teminon affrontati nell’esperienza appena termi-nata, non sono tra loro alternative: il presentedocumento presenta in modo più compiutola proposta per la produzione di monografia.

2. LA PRESENTE FASEE’ forte l’impressione che la forza propulsivadell’ideologia neoliberista incontri ora piùdifficoltà nell’essere accolta come nuovafonte di progresso e di sostegno alla condi-zione economica di ampi strati della popola-zione. Dall’esperienza pratica dei guastienormi che l’applicazione delle teorie neoli-

beriste ha provocato alla vita di milioni dipersone, in specie delle classi popolari emedie delle società a economia avanzata eper i danni che quell’ideologia ha provocatoalle economie di molte Nazioni attraverso laciclica comparsa di grandi crisi economiche,si è giunti ora da più parti alla ricerca di siste-mi ideologici alternativi a quello dominantee unico. La crisi del neoliberismo si avvertein molti ambiti ed è più fortemente sentita inquegli più strettamente connessi alla vitadelle persone come la promozione dellasalute e l’organizzazione della sanità. In que-sto ambito tutte le Nazioni, in specie quelledove la salute individuale e collettiva è vistacome un diritto delle persone e in quelle del-l’area economicamente avanzate del mondo,la crisi del modello neoliberista è determina-ta dalla sempre più evidente evidenza cheesso determina costi crescenti e risulta deci-samente meno efficace di quanto risultino imodelli pubblici e solidaristici. I Paesi aimpronta privatistica, in un mondo doveprevalgono i sistemi democratici, non reggo-no la sfida in termini economici rispetto aitassi di crescita della domanda sanitaria enon sono in grado di rispondere in modoadeguato ai crescenti bisogni di popolazioniche progressivamente invecchiano.

3. LA NECESSITÀ DI UNA VISIONEALTERNATIVALa crisi del neoliberismo in sanità è di mas-sima evidenza laddove esso ha cercato diespugnare la precedente visione basata suidiritti delle persone e il riconoscimento deiloro bisogni come un dovere collettivo, comeè il caso della Lombardia. Si fa strada inLombardia infatti l’idea che i grandi scanda-li che hanno caratterizzato la storia sanitarialombarda - quella delle eccellenze formigo-niane - dell’ultimo decennio non siano effet-

* Epidemiologo,Unità diEpidemiologiadescrittiva e pro-grammazionesanitaria IstitutoNazionale Tumori(INT) Milano,coordinatore diprogetti di ricercadi cancerogenesiambientale.

Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario 15

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to di distorsioni ma il frutto più tipico di unsistema che ha voluto trasformare la sanità inun mercato e la salute in una merce. Nel2000 all’esplodere del Movimento deiMovimenti anche a Milano come in più partiin Italia si promossero iniziative contro l’ag-gressione della destra lego-forzista che pro-pugnava l’ideologia liberista come fonte dilibertà e progresso per la sanità; l’iniziativa inconnessione con altre avviate in più partiportò alla creazione di un barlume di retenazionale e alla presenza attiva negli eventidi Genova e Firenze e alle grandi manifesta-zioni romane che hanno caratterizzato glianni del Movimento Altromondista, masenza successo: mancava allora, comemanca ora, una forte rete di sostegno ideolo-gico a quegli strati sociali disposti alla lottaperché più gravati dagli effetti della svoltaeconomicista in sanità e perché più offesidalla partecipazione mancata alla promozio-ne dei propri diritti. Mentre però i nuovisacerdoti dell’ideologia neoliberista tagliava-no fondi alla sanità pubblica, separavano lasanità dal sociale, distruggevano le strutturedi prevenzione e educazione sanitaria e peroltre un decennio introducevano elementi diliberismo nel sistema sanitario pubblico,pezzi di organizzazione sociale, singole indi-vidualità, studiosi in vari settori, attivistisociali, soggetti del sindacato e della politicacontinuavano a lottare per la prevenzioneprimaria, contro l’aggressione agli uomini eall’ambiente delle pratiche liberiste, e peruna sanità vicina alle persone, e inoltre a stu-diare come si andavano evolvendo i fenome-ni sociali associati e quali e quanti fossero glielementi di crisi che l’avvento delle praticheneoliberiste andavano producendo. Nel con-tempo seppure aggrediti, il sistema sanitariopubblico e una legislazione improntata aldiritto alla salute continuavano a mostrare iloro successi a confronto con altri modelli.Il Corso nell’esperienza, di chi ha svolto ilruolo di docente e di chi ha svolto il ruolo didiscente, è risultato essere il testimone diquella storia di resistenza ideologica che si èsvolta nel ventennio trascorso. E’ tempo ditrasformare quella storia di difesa del sistemasanitario pubblico e di promozione culturaledell’idea della partecipazione in sanità, inun‘opera che serva come riferimento, comeuno dei riferimenti, che la politica può adot-tare per accompagnare le esperienze di lotta

per la salute che sono attese diffondersi eripresentarsi: la proposta scaturita è quella diprodurre la presente monografia frutto col-lettivo di coloro che hanno partecipato all’e-sperienza del Corso.

4. ELENCO DI FRASI CHIAVE CHE POS-SONO GUIDARE LA STESURA DELLAMONOGRAFIALa sanità del nuovo secolo deve essere pub-blica e sociale (PARTECIPATA). La partecipazione è elemento innovativo delfare scienza medica e della scienza in gene-rale.Il cancro è una elemento descrittivo dellesocietà moderne.Il costo per il controllo della malattie cronicodegenerative - in specie il cancro - cresce adun tasso più alto della disponibilità econo-mica anche delle Nazioni più ricche.La prevenzione primaria è la migliore rispo-sta anche per il controllo economico deisistemi sanitari.La partecipazione è la miglior forma per ilcontrollo delle degenerazioni illegali insanità. Il sostegno economico in sanità non èun costo, è un investimento.La partecipazione in sanità è il metodo dicontrollo per una moderna medicina super-specializzata.La libertà di cura in sanità è la partecipazio-ne.I sistemi sanitari - e i soggetti in sanità -vanno misurati in termini di esito (prolunga-mento del tempo di vita) e non in termini diprestazioni eseguite.La prevenzione primaria riduce i costi dellasanità e produce migliori esiti. L’organizzazione sanitaria deve essere indi-rizzata alla valutazione degli esiti (l’efficaciain popolazione) piuttosto che essere centratasulla efficienza.Anche l’educazione sanitaria deve essereorganizzata in forma partecipata: deve esse-re orientata allo sviluppo di nuove culturesulla salute (una dieta salubre..).

5. PROPOSTA OPERATIVASi è data vita a un piccolo gruppo editorialeche ha stilato l’indice dell’opera e individua-to i possibili autori i cui contributi si leggononelle pagine che seguono. L‘opera è il prodotto collettivo di tutti coloroche hanno interagito con il Corso.

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 201416 Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario

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“La dottrina sociale dellescienze mediche”.Partecipazione e responsabi-lità nei percorsi di cura ericerca di Enzo FERRARA*

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 2015

Senza un linguaggio comune a tutti(medici, malati, sani, uomini, donne),senza un modello comune di costruzionedella salute, di difesa della capacità edella possibilità di vivere e senza unmodello comune di malattia, l’assistenzasanitaria diventerà una torre di Babele,una costruzione sempre più costosa esempre più inefficiente.

Ivar Oddone, 1975

INTRODUZIONEÈ possibile leggere la storia non soltantocome successione di eventi in un flussoininterrotto di lotte per il potere, che abbrac-ciano come unità di tempo le età degli indi-vidui e i cui cambiamenti si succedono inperiodi di durata eguale al massimo a quel-la di qualche generazione. Allargando losguardo su intervalli storici che travalicanoi singoli e gli interessi individuali, si osser-vano cambiamenti che si estendono attra-verso i secoli e che possono riferirsi allepopolazioni, ai gruppi sociali o ai cicli eco-nomici, istituzionali e civili. C’è poi una sto-ria della natura, dell’evoluzione biologica eculturale, che appare quasi immobile men-tre scorre lenta e si realizza in periodi pluri-millenari. Esiste, insomma, una sovrapposi-zione di prospettive da considerare ciascu-na nel proprio livello di complessità per l’a-nalisi delle vicende storiche che, più fre-quentemente di quanto non si pensi, rap-presentano il punto di confluenza di uncambiamento multiforme.

BIO – POLITICA: IL CENSIMENTOD’IRLANDA DEL 1851Trattando di salute delle popolazioni, il cen-

simento svolto in Irlanda nel 1851 è unesempio di convergenza delle vicende stori-che su un evento unico, primo atto docu-mentato del processo di politicizzazionedella salute e del suo controllo in Europa. La serie delle rilevazioni statistiche nelRegno Unito d’Irlanda e Inghilterra avevaallora scadenza pluridecennale. Il censi-mento del 1851 fu svolto a ridosso della gra-vissima carestia che fra il 1845 e il 1849aveva colpito l’Irlanda costringendo lapopolazione a flussi migratori di grandeportata verso il nuovo mondo – il più gran-de esodo nella storia europea –– asseconda-ti con soddisfazione dal governo britannicoche li considerava processi naturali.I documenti del censimento irlandese del1851 sono assolutamente informativi, prividi osservazioni soggettive, raccolti in modoschematico in tabelle apparentemente aset-tiche. In realtà, osservando più a fondo itemi analizzati nelle sette parti dell’archivio,si evince una fortissima tendenza a rico-struire e connotare per la prima volta suscala così ampia, gli aspetti riguardanti lacondizione biologica di una popolazione.Fu il primo tentativo di traduzione in prati-ca della sensibilità sociale e amministrativasviluppata dall’economista e scienziatoWilliam Petty (1623–1687), funzionariosotto la guida del Lord protettore, OliverCromwell (1599–1658), sintetizzabile inuna visione della storia e del governo comecontrollo delle statistiche di vita, malattia emorte delle popolazioni. BernardinoFantini, dell’Institut d’histoire de la médi-cine et de la santé di Ginevra, ha sintetiz-zato analoghi concetti spiegando che “lasanità è uno specchio che permette di leg-

* Ecoistituto del Piemonte - Torino.

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gere il modo in cui una società si organiz-za, i valori che ne stimolano il progresso, imodi di produzione e le valenze culturali”(Berlinguer 2006).La prima parte dei dati raccolti negli archi-vi del 1851 è dedicata, secondo convenzio-ne, alla suddivisione delle proprietà terrie-re; la seconda parte alla suddivisione dellaproduzione agroalimentare. La terza parte,innovativa, è un Rapporto sullo stato dellemalattie; la quinta parte raccoglie le Tavoledelle cause di morte principali, compresauna storia delle pestilenze epidemiche inIrlanda e una tavola dei fenomeni di epi-demia, carestia e pestilenza su scala globa-le. Completa il quadro, un rapporto sumorti e malattie negli ospedali e nelle isti-tuzioni sanitarie irlandesi dal precedentecensimento, risalente al 1821. Fra gli auto-ri della documentazione figura il nome diWilliam Wilde, nonno di Oscar Wilde; frai temi dibattuti, si osservano l’età mediadella popolazione e l’educazione scolasti-ca, per la prima volta contabilizzate atten-tamente, assieme alla distribuzione deibeni di sussistenza. Si trovano nei tabulatii numeri delle scuole e degli allievi che lefrequentavano, assieme a statistiche sullecapacità di lettura, scrittura e sull’analfabe-tismo fra il 1841 e il 1851. L’archivio sichiude con il computo numerico degli abi-tanti della Scozia, nel 1841 (8.175.000) enel 1851 (6.552.000). Questa diminuzione– già anomala ed enorme per un periodocosì ridotto – corretta per il tasso di cresci-ta naturale atteso, portò a stimare la perdi-ta di popolazione in Scozia causata dallacarestia pari a 2.466.000 individui.È opportuno rilevare in queste note l’intro-duzione fra i principi dell’azione politica ilcontrollo della popolazione intesa per laprima volta anche come soggetto biologico;un controllo possibile grazie all’apportodella scienza e delle nascenti tecnichedella rivoluzione industriale che – in estre-ma sintesi – potevano in modo miratoaumentare la vita e ridurre la malattia dellenazioni (anche quello di nazione era stori-camente un concetto nuovo). Fu l’introdu-zione in ambito pubblico e di governo deiprincipi di salute, pubblica sicurezza e diquella che è oggi chiamata politica medica.Lo scopo era duplice, oltre al controllosociale, venuto meno il diritto divino, si

intendeva proporre tale azione come giu-stìficazione del potere e del suo esercizioilluminato e universale. William Petty, teo-rizzando che la salute della popolazionefosse un elemento cruciale per il potere e lasicurezza della nazione aveva scritto: “Nonè interesse dello Stato lasciare medici epazienti (come avviene adesso) a se stessi”.

LA SITUAZIONE IN ITALIA: DALL’OT-TOCENTO AL SECONDO DOPOGUER-RANel corso dell’ottocento la sanità pubblicae la dottrina sociale della medicina comin-ciarono a strutturarsi attraverso azioni digoverno come l’adozione di pratiche igie-niche e sanitarie stabilite su scala naziona-le e l’organizzazione della pratica medica edegli enti professionali. In questo quadroin trasformazione e di sorgente attenzionedelle amministrazioni al benessere dellepopolazioni, sono inseribili osservazionistatistiche come quelle raccolte nel volumeIn ricchezza e povertà (Vecchi, 2011),un’indagine storica sui cambiamenti nellasalute degli italiani, edito in occasione dei150 anni dell’Unità d’Italia. Dal 1861 al2011, il reddito pro capite italiano èaumentato mediamente di tredici volte,ma con un divario rilevante fra le sedicivolte del nord e le dieci del sud; la soglia dipovertà si è ridotta dal 40 per cento al 4 percento della popolazione; l’attesa di vita èpassata da trenta a ottantadue anni – graziesoprattutto alla riduzione della mortalitàinfantile. Questi risultati furono ottenutianche per mezzo di opere di assistenza esanità pubbliche, come le bonifiche avvia-te dal primo governo Crispi fra il 1887 e il1890, la legge del 1902 sul lavoro minorileallora più diffuso in Italia che in Europa, e lariforma Casati sull’istruzione pubblica obbli-gatoria, garantita nel Regno di Sardegna dal1859, quando solo il 27 per cento dellapopolazione era in grado di leggere.Cominciò anche grazie a queste azionipolitiche la transizione epidemiologica: frala fine dell’ottocento e la prima metà delnovecento, con il progressivo aumentodella vita media si registrò in occidenteuna transizione delle patologie prevalentidalle malattie infettive (come tifo, colera,tubercolosi) a quelle degenerative (princi-palmente cardiocircolatorie e tumorali,

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oggi anche neurologiche). Assieme a undiffuso miglioramento della situazioneigienico–sanitaria, nel mondo ricco siebbero anche ampliamenti dei campi d’in-tervento della medicina con contributi datutte le scienze. La lotta contro le malattie endemiche fupossibile grazie agli sviluppi della batterio-logia e all’uso dei sieri per indurre immu-nità contro le patologie infettive: le vacci-nazioni di massa, introdotte dopo la IIguerra mondiale, cambiarono il volto dellasanità pubblica. Va ricordata anche la sco-perta dell’azione antibatterica dei sulfami-dici, che portò alla produzione industrialedella penicillina, il più importante stru-mento chemioterapico mai realizzato.Dal punto di vista del controllo bio-politi-co, le diverse misure pubbliche e socialicominciavano a intrecciarsi su diversilivelli multidisciplinari: in ambito legislati-vo e forense diventava fondamentale l’ap-porto della scienza (anche solo per l’intro-duzione delle analisi chimiche di control-lo), e cominciavano a porsi i primi dilem-mi di ordine filosofico e morale oltre cheamministrativo. Occorreva, per esempio,porre attenzione alla gestione sanitariadelle comunità, che fu governata secondocriteri generali come la separazione frageneri, l’attenzione ai luoghi di lavoro, itentativi di controllo della prostituzione(assieme alle malattie sessuali a essa asso-ciate) e della povertà, che si cercava diemarginare più che arginare.Per le politiche sanitarie, bisognava gestiretanto la struttura di assistenza quanto l’ha-bitat: lo sforzo di bonifica delle paludi, siain Veneto a fine ottocento, sia ancoradecenni dopo nell’Agropontino durante ilfascismo, fu accompagnato da studi epide-miologici che fecero scuola nel mondo.Dalle bonifiche fu poi necessario passareall’ingegnerizzazione del territorio (acque-dotti, fogne) e della popolazione (igiene,profilassi, vaccinazioni). Un successivolivello d’intervento fu l’attenzione prestataall’alimentazione, con la necessità diapprovvigionamento di acqua potabile, icontrolli e le politiche contro le adultera-zioni, e poi i problemi di sicurezza legatialla produzione e all’uso di materiali e tec-nologie pericolose: sostanze esplosive o

tossiche con i rischi connessi che interes-savano allora quasi esclusivamente i lavo-ratori esposti. Infine, le politiche di gestio-ne delle professioni sanitarie: medici, far-macisti e praticanti, il tutto nel segno delprogresso, con necessità, ma scarsa consa-pevolezza, di una profonda commistionedelle scienze umane e naturali.Alla tutela delle condizioni psico-fisichedegli individui si associò una visione col-lettiva della salute, come bene comune,sviluppata nel mondo scientifico in modoparticolarmente proficuo dalla tradizionedella medicina sociale in Inghilterra

(Titmuss 1986). Intanto, anche per gli svi-luppi della diagnostica strumentale, sicominciavano a manifestare gli effetti noci-vi di sostanze prodotte e impiegate dall’in-dustria senza che ne fosse stata vagliata lapericolosità.Le attenzioni alle condizioni sociali dellapopolazione riflettono anche una visionedei servizi di assistenza e welfare comecompensazione delle contraddizioni crea-te dal sistema economico. Contraddizioniil cui crescendo è continuo, dalle malattieprofessionali croniche o acute alle piùrecenti declinazioni delle patologie lavora-tive con predominio nelle tabelle di assen-za per malattia dei disagi psicologici(depressione, panico) divenuti prevalentisui malesseri di ordine fisico (cefalee, maldi schiena), fino alle patologie per il con-sumo di cibi e bevande ipercalorici ampia-mente sostenuti dal mercato. “Bisognaricordare – ha scritto l’epidemiologo PaoloVineis – che per ogni dollaro spesodall’Organizzazione Mondiale della Sanità(Oms) per la prevenzione delle malattie

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causate dall’alimentazione occidentale,più di 500 dollari sono spesi dall’industriaper promuovere quelle stesse diete” (Vineis2013).La stessa Oms a fine novecento avrebbe poiindicato i campi prioritari su cui agire peril benessere fisico delle popolazionimoderne: l’attenzione alle malattie corona-riche e circolatorie; la sicurezza automobi-listica; la profilassi con antibiotici per ilcontrollo delle infezioni; le campagne divaccinazione; l’assistenza al parto e alperiodo perinatale; la lotta contro il fumodi tabacco; la sanitizzazione dell’acqua

potabile; la pianificazione familiare; la pro-filassi alimentare; la sicurezza sul lavoro.

UNA GRANDE TRASFORMAZIONENON GOVERNATANegli anni del secondo dopoguerra, l’Italiaera attraversata da contraddizioni aspre. InSicilia, Danilo Dolci lottava con i braccian-ti di Partinico contro la miseria, per il lavo-ro, l’integrazione e l’introduzione di basila-ri norme d’igiene in tutte le aree abitate. InBelgio e in Svizzera le tragedie nelle minie-re di carbone colpivano i migranti italiani;la diminuzione della mortalità infantile siaccompagnava fra il 1946 e il 1963 a unaumento di altezza degli italiani di 4,5 cm,in conseguenza della nuova disponibilitàalimentare. Intanto, a Milano e provincianel 1965 mezzo milione di persone eranoprive della licenza elementare, 210milanella sola area metropolitana.Con l’industrializzazione, dagli anni ’50del novecento si ebbe “una grande trasfor-mazione non governata” della società edell’habitat italiani. Nelle città, ciminiere e

impianti industriali sorgevano accanto alleabitazioni e su un territorio fragile si svi-luppava una rete d’infrastrutture (strade,ponti, tunnel, centrali energetiche, dighe,…) a forte rischio ambientale. Sulla costa,alcune zone in particolare apparvero ido-nee per l’insediamento di stabilimenti chi-mici (Priolo, Gela, Porto Torres, PortoMarghera, Ravenna) o siderurgici (Taranto,Trieste, Genova, Piombino, Livorno). Ilpiano regolatore di Venezia del 1962 reci-tava: “Nella zona industriale di PortoMarghera troveranno posto prevalente-mente quegli impianti che diffondono nel-l’aria fumo, polvere o esalazioni dannosealla vita umana, che scaricano nell’acquasostanze velenose, che producono vibra-zioni e rumori” – a un solo km in linea d’a-ria da piazza San Marco. Sembravano queste le scelte più conve-nienti per l’attuazione del progresso eco-nomico in realtà depresse ma con condi-zioni geografiche ideali, per l’affacciarsi altransito via mare e il prelievo d’acqua peril raffreddamento degli impianti, sfruttan-do in non pochi casi strutture militari pree-sistenti, cantieri navali e un esercito didisoccupati o sottoccupati ai quali l’orga-nizzazione fordista del lavoro era facil-mente applicabile.“Le magnifiche sorti e progressive”, neglialmanacchi, almeno, sembravano a portatadi mano. Come abbiamo visto, è più cor-retto descrivere la società italiana di quelperiodo come schizofrenica. Nel 1965 sulgiornale La zanzara del liceo Parini aMilano, il giovane Walter Tobagi poneval’accento sul diffondersi dei miti del capi-talismo e sull’indifferenza di gran partedell’opinione pubblica, “brancolante nelbuio, priva di ideali, estranea ai grandiproblemi sociali e politici” (Crainz 2005). Igiovani apparivano, nel corso di questa tra-sformazione, incerti e lacerati fra due poli:da un lato l’orizzonte mentale e le regoledifficilmente accettabili della società pre-cedente, con i suoi vincoli e tabù svelatiassieme a gerarchie e ipocrisie ormai ana-cronistiche; dall’altro, i modelli di un con-sumismo senza razionalità, la triste pro-spettiva di adesione a nuovi conformismi edisvalori.Le facoltà di medicina, di regola fra le più

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tranquille e positiviste, vedevano il passag-gio di giovani di formazione per lo piùmoderata e liberale. Eppure, propio inquelle aule s’innestarono riflessioni e pro-cessi culturali fecondi in campo sociale,sui temi della medicina e della salute.“Noi andiamo negli ospedali sappiamocome sono trattati gli ammalati dellemutue, i vecchi. Ci chiedono di essere deglispecializzati sordi e muti che tagliano,cuciono, danno pillole senza fare doman-de indiscrete, senza chiedere il perché e ilper come dei mali” (Crainz 2005). Soprattutto, va notato che fra tanti falsivalori rovesciati, la salute è al contrariorivalutata e diventa un bene non (più)rinunciabile. Esempio dei problemi sanita-ri nelle fabbriche e delle contraddizioninella loro gestione è che solo nel 1969 nelcontratto dei chimici fu abolita la cosiddet-ta indennità di nocività. Il concetto di pre-venzione era inteso come propensione adaccettare condizioni di lavoro malsane enocive chiedendo in cambio solo maggioricompensi salariali. La testimonianza diGianni Marchetto, sindacalista, è efficaceper ricordare quanto sia necessario e debbaessere continuo l’impegno per la difesadella salute, partendo dai luoghi di lavoro:“All’acciaieria Mandelli di Collegno si erafatto il primo accordo sull’ambiente dilavoro in Italia, e commentavo in malomodo il comportamento di alcuni lavora-tori, i quali dopo aver visto il volantino chespiegava attraverso una serie di diapositi-ve l’aggravamento della silicosi polmona-re, decisero di andare a chiedere alla dire-zione di essere di nuovo messi nei posti amaggiore rischio. Ivar Oddone mi spiegòche questo è il modo in cui degli operai,abituati da sempre a cercare soluzioni,avevano trovato la loro via di uscita ai pro-blemi della nocività: aggravando la pro-pria condizione che era vicina per i pun-teggi dell’INAIL alla percentuale per laquale ti davano la pensione per malattiaprofessionale. (….) Caro mio – aggiunseIvar – sai quanti anni ci sono voluti per farpassare la parola d’ordine la salute non sivende?” (Marchetto 2011)

UNA NUOVA VISIONE: GLI ANNI ‘60/’70Legata al concetto di prevenzione, oltre che

alla difesa della salute collettiva e indivi-duale, va introdotta la figura di GiulioAlfredo Maccacaro, innovatore della medi-cina e della cultura sanitaria. A lui e al suogruppo di collaboratori si devono ladenuncia e la dimostrazione scientificache non tutto ciò che è definito come pato-logico, malato, deviante, è il risultato solodi un problema di natura organica. Il pen-siero di base sui compiti della medicina fuespresso con chiarezza da Maccacaro neldiscorso Medicina e Lavoro, tenuto aMilano il 19 maggio 1973 durante ilConvegno Regionale del Partito socialista

italiano (D’Ambrosio et al. 1975; Ferrara2011):“Questo tipo di medicina, che è quella chenoi usiamo oggi, impariamo, insegniamo epratichiamo, nasce agli albori della rivolu-zione industriale, quando ancora le malat-tie dominanti a livello di massa, veri fla-gelli per le popolazioni, erano soprattuttorappresentate dalle malattie infettive,dovute ai parassiti, ai germi, ai virus cheproducevano pesti e calamità; vi era quin-di qualcosa di imprevedibile, di selvaggionel modo in cui la malattia si poneva inquei termini, cioè come causata da agentinaturali. Vi era qualcosa di assolutamenterovinoso e insopportabile per ogni proget-tazione di investimento, di sviluppo e diprofitto. Per questo la rivoluzione indu-striale e l’avvento dell’egemonia borghesehanno voluto dire un grande impegno, dalpunto di vista tecnico e scientifico, dellasanità, perché era impossibile programma-re lo sviluppo del capitale accettando l’ir-razionalità della malattia naturale.Pasteur, tipico esempio di scienza medica

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nelle sue migliori e più celebrate manife-stazioni, non era un medico; era un chimi-co dell’industria.La logica era la stessa, lo scopo da raggiun-gere era il medesimo, cioè ridurre al pro-grammabile, all’economicamente prevedi-bile e sviluppabile, tutta una serie di pro-duttività, compresa anche quella dell’uo-mo: ovvero l’uomo, a sua volta, come pro-dotto. Quindi questa grande, enorme sta-gione della medicina, che va dai disinfet-tanti del secolo scorso agli antibiotici delsecondo dopoguerra, avviene all’insegna diuna contraddizione molto semplice: quelladell’uomo contro la natura. La malattia èvista come il flagello che viene dalla naturae che colpisce l’uomo. La medicina è quel-la che difende l’uomo contro il flagellonaturale. Allora la collocazione del medicoè molto chiara in questo contesto: il medicoè “dalla parte dell’uomo” contro la naturae tutto ciò che lo minaccia; ma lo è soltan-to nella misura in cui quella minaccia noninveste solo l’uomo, ma un sistema pro-duttivo; investe una nuova ipotesi di orga-nizzazione e di sviluppo sociale ed econo-mico.Quando invece arriviamo alle società con-temporanee, ad alto sviluppo industriale,la patologia di quel tipo viene relativamen-te scomparendo. I nostri figli non sanno piùche cosa vogliano dire carbonchio, tifonero, peste, colera e altre cose del genere.Un’altra patologia di oggi ci tormenta: sonomalattie dovute non più a cause naturali,ma a cause umane, che derivano, cioè, daimodi di produzione, non dalla natura.Sono le malattie da usura, da lavoro, damodo di vita e di convivenza: sono i ritmi,la scomposizione del lavoro, l’inquinamen-to delle città, l’affollamento, la catena dimontaggio, la pendolarità, la monotonia, lacostrizione e l’alienazione.Sono tutte queste cose che oggi logorano,sciupano, spengono la vita dell’uomo;quindi la contraddizione, in termini medi-ci, non è più tra uomo e natura, ma tra l’uo-mo e un altro uomo, perché è l’altro uomoche ha creato tutte queste contraddizioni ein queste contraddizioni costringe a vivereil nostro uomo, il nostro compagno. Ma sela contraddizione è ora tra uomo e uomo, enon più tra uomo e natura, questo terzo

uomo, che è il medico, da che parte sta?Non può dire soltanto di essere dalla partedell’uomo, ma deve dire dalla parte diquale uomo: cioè se con il lavoratore o conil padrone.”Anche grazie a questi insegnamenti, unagiovane classe operaia si formò in fabbri-che che rapidamente cambiavano il mododi lavorare, per la quantità e qualità deiprodotti ma anche per la ricerca di solu-zioni alle emergenze determinatesi conproblemi di salute e sicurezza nei tanti luo-ghi di produzione. Le lotte operaie degli anni ‘60 unificaronodiritti e salari attraverso la conquista delloStatuto dei diritti dei lavoratori; fu una svol-ta storica alla quale si aggiunse un rapportocon le istituzioni democratiche che permisedi diffondere la consapevolezza della stret-tissima correlazione fra ambiente e salute. Le preoccupazioni per la salubrità ambien-tale, tuttavia, rimasero in questa prima faseconcentrate nei luoghi di lavoro. Gli argo-menti trattati erano legati soprattutto allafabbrica, alla produzione o alla sua orga-nizzazione, per esempio con impianti aciclo chiuso per la protezione dei lavorato-ri. Alcune vicende di quegli anni non solodentro le fabbriche si rivelarono, purtrop-po, emblematiche per la presa di coscienzacollettiva della questione ambientale: l’e-sondazione della diga del Vajont nel 1963,il dramma delle maestranze avvelenate perdecenni dai coloranti all’anilina all’IPCAdi Ciriè nel torinese, l’esplosione di unreattore chimico con fuoriuscita di diossi-ne a Meda e Seveso nel 1976, la secolaredevastazione della val Bormida per gli sca-richi dell’ACNA di Cengio, le malattie daamianto a Casale Monferrato e Balangero, idanni per la lavorazione del cloruro divinile alla Montedison di Porto Marghera.In agricoltura, l’uso dei pesticidi era statoposto in discussione dalla pubblicazionedi Primavera silenziosa della biologa ame-ricana Rachel Carson, che nel 1962 denun-ciò gli effetti nefasti dell’uso del DDT. Alivello internazionale, restano drammatica-mente simbolici il disastro di Bhopal inIndia che nel 1983 causò migliaia di vittimeper la fuoriuscita di isocianato di metile daidepositi abbandonati della Union Carbide, eil fall-out radioattivo sull’Europa causato nel

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1986 dalla fusione del reattore nucleare diChernobyl, in Ucraina. Furono passaggienormemente costosi, ma poco per volta sicreò un diverso modo di pensare l’ambien-te e la salute mentre i testi medici, oltreall’esame degli aspetti tossicologici,cominciavano a esprimere preoccupazio-ne per la medicalizzazione di ogni disagioe sofferenza, accettati senza discussionedel contesto che li aveva prodotti. ErvingGoffman (Goffman 1968) aveva denuncia-to le contraddizioni del sistema capitalisti-co. Franco Basaglia aggiungeva, riferendo-si al mondo degli esclusi: “Noi neghiamo ilnostro mandato sociale che ci richiedereb-be di considerare il malato come un nonuomo (…) neghiamo il nostro ruolo di sem-plici carcerieri, tutori della tranquillità”(Basaglia 1968).A ritroso, i decenni dagli anni ’60 agli ’80appaiono come una sorta di periodo disperimentazione sull’uomo degli effettidelle sostanze nocive, allargata innanzitut-to alle fabbriche, dove gli operai eranoesposti a veleni di cui non si conoscevanogli effetti, ma grandi laboratori erano anchele città, al colmo delle peggiori condizionidi inquinamento. Soggetti a esperimentoerano anche i consumatori di cibi e bevan-de colmi di additivi, coloranti, e dolcifi-canti per scopi non legati alla nutrizione néesclusivamente alla conservazione. Il quadro di ampio ripensamento collettivoche attraversò l’universo giovanile fino aglianni ’80 intrecciandosi con il mondo dellavoro e della scuola, favorì l’emergeredella consapevolezza su problemi ambien-tali che negli anni successivi sarebberostati al centro del dibattito sociale, econo-mico e culturale, assumendo proporzionidi massa. Gradualmente si ebbe un muta-mento nella relazione fra luoghi di produ-zione e territorio con voci che a livello glo-bale (Protocollo di Montreal sui cloro-fluo-ro-carburi del 1987, Conferenza interna-zionale sull’ambiente di Rio de Janeiro del1992, Convenzione di Stoccolma del 2001sugli inquinanti organici persistenti) dava-no corpo alla richiesta di trasparenza nelcontrollo delle produzioni pericolose, cul-minata in Europa con l’inversione dell’o-nere della prova di pericolosità (non più acarico della collettività a posteriori, ma da

verificare a priori a carico di chi produce,utilizza o fa commercio di una determina-ta sostanza), introdotta nella legislazionecomunitaria con il regolamento REACH –Registrazione, valutazione e autorizzazio-ne delle sostanze chimiche, 2007.

LA NASCITA DELL’AGENZIA INTERNA-ZIONALE PER LA RICERCA SULCANCROUn altro esempio di convergenza dellevicende storiche su più livelli è costituitodalla nascita dell’Agenzia internazionaledell’Oms per la ricerca sul cancro – IARC.

Durante la cerimonia di assegnazione delpremio Bernardo Ramazzini nel 2005, ilmedico e scrittore Renzo Tomatis che ladiresse per dieci anni ne ha ricostruito lastoria (Tomatis 2005). In retrospettiva, ilperiodo in cui la IARC fu creata, alla finedegli anni ’60 del novecento, può essereconsiderato come un’epoca di entusiasmoscientifico, con speranze di successo dellaricerca medica. Fu anche un’epoca in cui laprevenzione primaria sembrava avere un’al-ta priorità, essendo condivisa dalle piùimportanti autorità mondiali nel campodella salute (Sohier & Sutherland 1990).La messa in pratica di misure di preven-zione primaria è associata in modo fonda-mentale con l’attribuzione e la quantifica-zione del rischio abbinato a un agente chi-mico-fisico. Questa attribuzione dipendedalla disponibilità di informazioni su uninsieme di fattori, perché gli interventi diprevenzione vanno formulati in funzionedell’urgenza, della fattibilità e delle prioritàrispetto al rischio individuato. Le fonti diinformazioni più note e affidabili sui rischi

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di cancerogenicità sono basate sulle valu-tazioni della IARC, raccolte in monografie.Racconta Tomatis:“L’otto novembre 1963, dodici importantipersonalità francesi di diversa estrazioneculturale, fra cui l’oncologo AntoineLacassagne, il biologo Jean Rostand, loscrittore Francois Mauriac e l’architettoCharles Le Corbusier, si rivolsero alPresidente francese, Charles de Gaulle e loinvitarono ad avviare un programma diricerca internazionale per combattere unadelle più grandi minacce per la specieumana: il cancro. De Gaulle chiese ai mini-

stri degli esteri dei paesi ricchi che contri-buivano in modo sostanziale alla ricerca eal controllo del cancro su scala mondiale(oltre a Francia, Stati Uniti, Gran Bretagnae Unione Sovietica) e al direttore generaleOms di incontrarsi per discutere l’avvio diun’iniziativa coordinata e comune. I mini-stri di altri due paesi, Repubblica federaletedesca e Italia, furono successivamenteinvitati all’incontro che si tenne nel mesedi dicembre 1963.Grazie alla forza dei suoi ideali, l’iniziativaproposta dalla Francia riuscì a prenderecorpo. Il progetto mantenne l’orientazioneoriginaria in difesa della salute pubblica,ma non ebbe lo stesso successo nello sti-molare la generosità finanziaria degli statipartecipanti. La proposta originaria delPresidente de Gaulle prevedeva che lanuova Istituzione fosse finanziata con lo0,5 per cento delle spese militari degli Statipartecipanti. Sulla base delle stime dibilancio per la difesa nel 1965 dei primi seipaesi aderenti all’iniziativa, lo 0,5 percento avrebbe significato una dote di circa

quattrocento milioni di dollari annuali (lo0,5 per cento del bilancio per la difesa sti-mato sui soli Stati Uniti avrebbe contribui-to con 265 milioni di dollari). Il sostegnofinanziario per la IARC al livello originaria-mente proposto avrebbe significato un rilan-cio molto consistente della ricerca sul can-cro. I primi sei stati aderenti si accordaronoinfine su un contributo annuo molto piùmodesto, di 150.000 dollari ciascuno. Ilbilancio iniziale della IARC fu di 900.000dollari – quattrocento volte meno di quantosarebbe stato se la proposta originaria fossestata accettata (…). Fu deciso che l’agenzia, in funzione delproprio ruolo internazionale, avrebbe sta-bilito un programma di attività permanen-ti che includessero: (a) la raccolta e divul-gazione di informazioni sull’epidemiolo-gia e sulla ricerca tumorale sia nei paesisviluppati, sia nei paesi in via di sviluppo,(b) l’identificazione delle cause del cancroe (c) la promozione della collaborazioneinternazionale in materia di prevenzionedel cancro a livello mondiale. Lione, inFrancia, fu scelta come sede della IARC,che ufficialmente cominciò la sua attivitànel mese di maggio 1967. La coesistenzasotto lo stesso tetto di uffici e laboratori,insieme con un’efficiente struttura ammi-nistrativa, favorì la multidisciplinarietà,che fu una caratteristica rilevante di moltiprogrammi IARC fin dall’inizio” (Tomatis2005).La costituzione dell’IARC di Lione puòessere vista come l’antitesi del processo diglobalizzazione di stampo neoliberista,entro il quale – scriveva Giulio Maccacaro– “il sistema capitalistico privo di confinipolitici e geografici, così come di quellinazionali, aspira dai paesi subalterni capi-tali e profitti esportandovi continuamentele sue contraddizioni, le sue crisi e costrin-gendoli a pagare il costo umano, ambien-tale ed economico del suo sfruttamento dirapina: fin dove è fin quando il rischiopolitico non supera il prelievo effettuato”.Nella protezione della salute pubblica unruolo chiave sarà giocato dalle azioni fina-lizzate a vietare o a diminuire drastica-mente la presenza di sostanze nocive nelnostro ambiente. “Se davvero vogliamopreparare un prospetto credibile dei rischi

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attuali per la salute e, soprattutto, se dav-vero vogliamo mettere in pratica una pre-venzione primaria efficiente, – scrivevaTomatis – coscienti delle responsabilitàche abbiamo verso le generazioni presentima anche verso quelle future, dovremmoconsiderare seriamente tutti i vari fattori dirischio che fino a questo momento sonostati ingiustificabilmente sottostimati oignorati” (Tomatis 2005). Quando Tomatis lasciò la direzione IARCnegli anni ’90, la trasformazione sociale eculturale stava già spostando l’attenzionedai temi della complessità a quelli dell’ef-ficientismo. Mercato, liberismo, competiti-vità, bilanci, sono termini che da allora, inmodo contraddittorio, indicano la crescitaeconomica basata sull’individualismocome soluzione anche per i problemi col-lettivi di giustizia sociale e ambientale. Inrealtà, in questi decenni si è visto come inogni ambito della struttura liberista preval-gano le problematiche degli erogatori deiservizi piuttosto che i bisogni degli utenti ecome i principi di equità ed efficienza, cosìcome le verifiche di qualità, abbiano unsignificato prevalentemente, se non esclu-sivamente, economico.

IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALEE LA CRISI: GLI ANNI ’80/’90Alla fine degli anni ’70, l’istituzione delServizio Sanitario Nazionale (SSN) nell’or-dinamento giuridico italiano identificava ilcomplesso delle attività svolte dai serviziregionali, da enti e istituzioni e dallo Statovolti a garantire l’assistenza sanitaria, ovve-ro la tutela o salvaguardia della salute deicittadini, come diritto fondamentale del-l’individuo e interesse della collettività, nelrispetto della dignità e della libertà dellapersona umana. Prima, il sistema sanitarioitaliano era basato sugli enti mutualistici ocasse mutue. Ciascun ente era competenteper una determinata categoria di lavoratoriche, con i familiari a carico, erano obbliga-toriamente iscritti allo stesso e, in questomodo, fruivano dell’assicurazione perprovvedere alle cure mediche e ospedalie-re, finanziata con i contributi versati daglistessi lavoratori e dai datori di lavoro. Ildiritto alla tutela della salute era quindicorrelato all’essere non cittadino ma, come

oggi negli Stati Uniti, lavoratore (o suofamiliare) con conseguenti casi di mancatacopertura. Vi erano, inoltre, sperequazionitra gli assistiti, vista la disomogeneità delleprestazioni assicurate dalle varie mutue.Dagli anni ’80, seppure liberata dal pater-nalismo dell’assistenza come concessionedi servizi, la complessità del sistema socia-le ed economico si è fatta sempre più ingar-bugliata. Tuttavia, invece di sbrogliarne lamatassa, si è preferito accompagnarne l’in-voluzione perseguendo le capacità e lerisorse tecnologiche che continuano a esse-re offerte come risposte ai bisogni econo-

mici e sociali collettivi, quando invece sitratta di soluzioni autonome e personaliz-zate. Le crisi che da cinquant’anni almenoattraversano il sistema economico mondia-le sono sempre più il risultato di processi escontri di portata transnazionale, nei qualila salute – pubblica soprattutto – è messapesantemente in discussione. Occorre sce-gliere da che parte stare. Le parole diMaccacaro continuano a essere illuminan-ti:“Gli effetti della crisi si traducono così indeterioramento delle condizioni di vita e dilavoro delle masse popolari: perdita delpotere d’acquisto, precarietà dell’occupa-zione, insufficienza dell’abitazione, impo-verimento. Il decadimento delle condizionidi salute ha luogo attraverso l’intensifica-zione dello sfruttamento, la diffusione dellavoro nero con conseguente incrementodella nocività, e il deterioramento dellestrutture socio-sanitarie. Mentre si conti-nuano a rinviare riforme sociali e sanitarietese al benessere della collettività e non,come invece avviene, alla speculazione

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statalmente partecipata o mutualistica-mente mediata del capitale finanziario,industriale, e farmaceutico” (Bologna15/16 maggio 1976. Relazione introduttivaal 1° Congresso nazionale di MedicinaDemocratica - Movimento di Lotta per laSalute).Dagli anni ’90 alla scorciatoia tecnologicasi è aggiunta quella del mercato, allargatoal terreno sociale, politico e istituzionale, epenetrato perfino nella società attiva enelle sue organizzazioni civili, sindacali, dicooperazione e volontariato, portando a unaperdita di senso oltre l’orizzonte e il prima-to dell’economia. Secondo Maccacaro, allescelte di medicalizzazione della politica (latecnologia come soluzione dei problemisociali) fatta propria dalla classe al potere,deve fare riscontro la politicizzazione dellascienza e della medicina da parte dei lavo-ratori. Per queste ragioni, per esempio, lariflessione sul concetto di salute non puòessere svolta nel senso ristretto, seppureautorevole, formulato dall’Oms e intesoprincipalmente come salute individuale, lacui difesa, scriveva Maccacaro, è semplice-mente ovvia.“Nel nostro pensiero e nella nostra azioneva privilegiata la salute nella sua dimen-sione collettiva, per la quale occorrono unadottrina è una pratica politica (...). La salu-te collettiva non è, quindi, soltanto lasomma di benessere individuale né diindividuali riscatti dalla malattia proprioperché identifica nel privato del benesseree nel malessere del sociale i disvalori che lacontraddicono”. (Milano, 19 maggio 1973).I concetti di base sono sempiterni: alla par-tecipazione autentica in difesa della salutecome della democrazia non basta l’artico-lato della legge, occorre un impegno dilotta che si sviluppa nell’identificazionedei suoi obiettivi. In campo sanitario l’uni-co sacrosanto estremismo di questi obietti-vi è la salute collettiva, che non può darsisenza partecipazione (Maccacaro 1976).

DEMOCRAZIA E SALUTE NEL XXISECOLOEsistono concetti chiave che correlandosioffono una visione d’insieme di tutti gliaspetti di cui abbiamo finora trattato, peresempio il processo di cura intrecciato con

il valore della partecipazione e i percorsidella ricerca medica correlati con l’inse-gnamento della responsabilità. Tuttavia, aogni crisi, ci troviamo di fronte a una mol-teplice assenza di risposte, sul piano poli-tico, accademico, culturale e scientifico daun lato, e la (ri)scoperta delle questionisociali come nodo centrale dall’altro. Inquesta situazione un primo obiettivo daperseguire è la demistificazione delle scel-te del potere (politico, economico e cultu-rale), la cui autorevolezza è dubbia e sfiorail ridicolo. In secondo luogo, va chiaritoche concetti come quelli di prestigio, qua-lità, efficienza, precisione, sono vuoti senon fanno riferimento a un obiettivo, unoscopo, un senso. Senza riferimenti condi-visibili le sensazioni indotte da quegli stes-si termini sono di oppressione, di oscuran-tismo.L’informazione e la partecipazione riman-gono necessarie e urgenti nella ricerca enell’affermazione di scelte e soluzioni con-divise che vanno riconosciute come fonda-mento della società democratica. In difesadella salute, il primo rimando costituzio-nale non è agli articoli tecnici cui solita-mente si fa riferimento – in particolare, l’ar-ticolo 32 della Costituzione, che rivendicala tutela della salute come diritto fonda-mentale dell’individuo e interesse dellacollettività – ma all’articolo 3 secondo ilquale: “È compito della Repubblica rimuo-vere gli ostacoli di ordine economico esociale, che, limitando di fatto la libertà ela uguaglianza dei cittadini, impedisconoil pieno sviluppo della persona umana el’effettiva partecipazione di tutti i lavorato-ri all’organizzazione politica, economica esociale del Paese”. Il primato della partecipazione va riaffer-mato, osservando che non solo non ci sipreoccupa più di garantire una gestionepartecipatoria alle funzioni della sanitàcome della società, ma addirittura – scrive-va Maccacaro – “si vengono per esse trac-ciando perimetri, progettando strutture, stu-diando strumentazioni, allestendo appara-ti, prefigurando burocrazie (…) secondomodelli mutuati dalla gestione d’impresa,che è soprattutto gestione privilegiata del-l’informazione e della decisione”. Tutto ciòcrea non le premesse ma l’ostacolo e l’im-

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possibilità della partecipazione. “Ancorauna volta l’apparente positività della pro-posta tecnologica è distesa a coprire unascelta politica negativa” (Maccacaro 1972).Per sovvertire le tendenze in atto, alcuneindicazioni si possono trarre. Per esempio,le variazioni climatiche, con l’enorme incer-tezza sulla portata dei loro effetti e sulle pos-sibilità di adattamento, sono un altro esem-pio di convergenze della storia da più livel-li su un singolo fenomeno. Gran parte dellepreoccupazioni per la vulnerabilità dell’am-biente si traduce in inquietudini per ilbenessere umano. Le variazioni climatichecostituiscono una minaccia da non sottova-lutare per la salute, direttamente attraversola mutazione degli eventi atmosferici (calu-ra, arsura, precipitazioni, inondazioni), eindirettamente per le migrazioni di specieanimali parassite, la persistenza di condi-zioni favorevoli all’insorgere di malattie epi-demiche, la scarsità di acqua e igiene, fino alprefigurarsi di dissesti socio-economici conconseguenze come carenza di cibo, povertà,sfruttamento. L’attenzione per l’ambiente negli ultimitrent’anni ha prodotto cultura, innovazio-ne e riflessioni caratterizzate da una grandeapertura mentale. Il processo che porta ilnome di globalizzazione ha invece messoin sospensione la consapevolezza cheporta a pensare i problemi di produzionein rapporto stretto con la cittadinanza e leistituzioni. Soprattutto, la questioneambientale ha reso evidente la profondaingiustizia sociale perpetrata verso i piùdeboli, con un allargamento del concettodi inquinamento esteso non solo all’aria, alsuolo, all’acqua e al cibo, ma anche all’am-bito morale e istituzionale, culturale e poli-tico, riguardante quindi la democrazia. Le teorie economiche ipotizzano che vi siasempre un beneficio dallo sfruttamentodelle risorse ambientali, in qualunque con-dizione. Come conseguenza, mentre lanostra impronta ecologica assume propor-zioni colossali e mette a rischio la sosteni-bilità dell’intero pianeta, gli indicatori con-venzionali dello sviluppo continuano aconsiderare solo i parametri della crescitaeconomica, in modo sempre più inadegua-to rispetto alle sfide del presente. In campoeconomico questa frenesia ha il suo apice

con la sacralizzazione del PIL, un totemper la cui crescita sono stati sacrificati tutti irisultati e i progetti che rendevano la societàmoderna se non desiderabile, perlomenosopportabile.Studiosi come Martha Nussbaum e il Nobelper l’economia Amartya Sen, hanno dimo-strato l’assenza di nesso con lo sviluppo inaree fondamentali per la vita dei cittadini diogni nazione, come la salute, l’educazione ela partecipazione democratica (Nussbaum2012). Noam Chomsky ha spiegato che l’i-stituzione del welfare è stata uno dei contri-buti più rilevanti dell’Europa alla civiltà,creando benessere e migliorando in modotangibile la condizione della popolazione,ma i programmi di austerità stanno sman-tellando il welfare state e portano l’Europa arinnegare la propria storia assieme ai suoimigliori esiti sociali e culturali. Occorrononuovi parametri di misura del benessere,sostenibili e inclusivi, che ci aiutino ad adat-tare le attività umane alla salute del pianeta,in una metrica capace di includere nellediscussioni la qualità dell’esistenza. Le abi-lità personali vanno considerate costitutivedello sviluppo economico e la povertà vavista come stato di privazione di tali abilità,in contrasto con le tradizioni utilitaristicheche vedono lo sviluppo puramente in ter-mini di crescita monetaria e la povertàcome privazione di ricchezza.In Italia, la controversia sulle condizioni dilavoro e di vita nelle fabbriche, proposta perristrutturare l’industria – si pensi all’ILVA diTaranto, al referendum di Mirafiori del 2011–, anziché unire le sponde del lavoro e del-l’ambiente rispettando popolazioni, ammi-nistrazioni locali, salute e dignità di tutti,torna a separarle utilizzando il muro dellafabbrica per appropriarsi del concetto dibene comune, inteso principalmente e dinuovo come al servizio della proprietà. Invece – sono ancora idee di Maccacaro –,non andrebbe mai dimenticato che il termi-ne funzione, attribuito all’attività di un’im-presa o di un ente pubblico, inteso nel suosignificato corretto, indica la soddisfazionedi un bisogno. L‘immagine separata e indi-pendente della struttura tecnica dal sistemapolitico e sociale era inopportuna alla finedegli anni ’70 quando fu progettata la rifor-ma sanitaria e lo è ancora. È vero anzi il con-

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trario: solo grazie alla sintesi tra efficienza epartecipazione si realizza l’efficacia delle

due funzioni tecnica e politica, in sanitàcome in democrazia (Maccacaro 1972).

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La formazione del Medico

di Piergiorgio DUCA*

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PREMESSANel suo libro “La scomparsa del dottore”Giorgio Cosmacini scrive: “…In medicina,la “rivoluzione tecnologica” … ha segnato… da un lato l’avvento di grandi conquistecon molte ricadute a vantaggio degli uomi-ni, dall’altro l’imporsi di un cambiamentodi rotta del mestiere di medico con ricadutenon vantaggiose nel rapporto di intesa tramedico e paziente. … la medicina odiernaha acquistato in tecnologia quello che haperduto in umanità …” e questo proprioquando il prevalere di malattie cronicodegenerative e l’affermarsi di una comples-sità di approccio non facilmente gestibilené, a detta di coloro che contano, sostenibi-le, richiederebbe la capacità di governo diun saggio sapiente, che con discernimentocritico sappia garantire la continuità dellanecessaria Cura.Questa situazione costituisce una sfida percoloro che siano interessati alla ricomparsadel dottore, magari adattato al nuovo conte-sto, ma anche per coloro che siano interes-sati ad impedire che i soliti noti approfittinodi una crisi di sistema per attaccare quantodi civiltà si è costruito in 200 anni di eman-cipazione sociale, culturale, politica ed eco-nomica, conquistando un sistema di welfa-re che solo può contrastare la violenza dellalegge del più forte e può orientare in sensoumano il progresso tecnologico, scientificoed economico.Di questo sistema di welfare il sistema sani-tario nazionale universalistico finanziatocon la fiscalità generale è certamente unodei cardini e per questo, e per il miraggioche di per sé costituisce per coloro chevedono nella sua privatizzazione una fonteinesauribile di guadagni, la sua difesa rap-presenta l’aspetto più importante del con-

fronto politico e sociale in atto, un vero eproprio scontro di classe.In questo contesto il ruolo del medico, insie-me a quello del personale sanitario in gene-re, è centrale. Da qui l’importanza di entrarenel merito dei contenuti, dei luoghi, deitempi, dei metodi e degli attori della forma-zione, insieme a quella di entrare nel meritodelle condizioni organizzative nelle qualitale ruolo si svolge. Lo spunto è dato anchedal riconoscere che, sulla carta, gli obiettividella formazione sono sufficientemente bendefiniti ed elencati ma come spesso capita,anche in questo caso, ciò che è fissato nellateoria trova scarsa realizzazione nella prati-ca, e in assenza di un consolidamentopotrebbe facilmente essere travolto dall’on-da di piena di cui siamo testimoni.Si tratta allora di ripensare al percorso for-mativo, all’organizzazione sanitaria e al suofinanziamento, incluso quello della ricerca,alla luce delle innovazioni introdotte dallaricerca clinica, dagli sviluppi tecnologici masoprattutto dalla consapevolezza che undiritto costituzionale alla salute e alla suadifesa non può essere sacrificato a interessieconomici di parte né negato in funzione diuna presunta non sostenibilità economica.Anzi, proprio nella misura i cui il sistemaeconomico e finanziario non risultasse ingrado di garantire la realizzazione di diritticostituzionali, sarebbe proprio il sistemaeconomico finanziario a dover essere messoin discussione e a divenire elemento su cuiil riformatore dovrebbe agire, fatti salvi tuttigli interventi utili a eliminare sprechi, privi-legi, inefficienze e a promuovere l’efficaciadel Sistema Sanitario stesso.

MEDICINA ARTE O SCIENZA ?Per dirla ancora con Giorgio Cosmacini

*Prof. docente diStatistica Medicae Biometria,Università degliStudi di Milano - Ospedale “LuigiSacco”. Presidentedi MedicinaDemocraticaO.N.L.U.S..

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occorre anzitutto chiarire a chi intraprendegli studi di medicina come la professioneche si appresta ad apprendere, e quindi aesercitare, fondata su molte scienze e disci-pline scientifiche, non è di per sé una scien-za, né esatta né non esatta, ma un’arte, in cuila capacità di mettersi in relazione con ilpaziente è tanto fondamentale quanto laconoscenza e l’abilità tecnica, una profes-sione che del metodo scientifico deve fartesoro ma che va esercitata in un mondo divalori: i valori del paziente.La comprensione sempre più profonda deimeccanismi implicati nel prodursi dellacondizione vissuta dal paziente comemalattia, le sue basi genetiche, molecolari eimmunitarie, i miglioramenti che la tecno-logia offre alla pratica della diagnosi, i pro-gressi che la ricerca consente di fare in ter-mini di aumentata efficacia delle terapie,non esauriscono ciò che il medico devesapere e deve saper fare. Perché un medicosappia essere buon medico per tutto il lungopercorso della sua vita professionale occor-re anche che impari ad imparare, per poter-si efficacemente documentare e aggiornare,per continuare a trasferire criticamente irisultati della buona ricerca clinica nella suapratica. E questo in un mondo in cui l’onni-presente multinazionale del farmaco (BigPharma) controlla e finalizza a vantaggioesclusivo dei propri profitti non solo laricerca scientifica ma anche la comunica-zione dei suoi risultati. Insieme a BigPharma si muove infatti nel mondo dellamedicina moderna anche un altro cartellodi interessi a Big Pharma alleato, quellodelle Pubblicazioni Scientifiche, quello cheRichard Smith (J.R.Soc.Med.2008; 99: 225 –229) denuncia come “The highly profitablebut unethical business of publishing medi-cal research”.Contro la mercificazione della salute e delfarmaco, e la tendenza a trasformare in “pro-paganda” la comunicazione scientifica,occorre ribadire, fin dall’inizio della forma-zione del medico che la pratica professiona-le non può che fare appello ai principi fon-dativi della nostra carta costituzionale chestabilisce come la salute, da difendere, pro-muovere o ristabilire quando possibile, siabene fondamentale per ‘individuo e lacomunità nel suo complesso”, e come la pro-

mozione e difesa di un sistema efficace,equo ed efficiente di servizi sanitari siaessenziale per tradurre il dettato costituzio-nale in pratica.

LE DOTI DEL MEDICONon è quindi un caso che fra le doti delmedico vengano annoverate, oltre alla cono-scenza scientifica e alle abilità tecnica, ilcoraggio, l’umiltà e la saggezza. (Harrison1959: “Principles of internal medicine”).Tutte doti necessarie se si vuole rispettare,ad esempio, quanto stabilito dall’articolo 3del codice di deontologia professionalemedica che afferma: “dovere del medico è latutela della vita, della salute fisica e psichi-ca dell’uomo e il sollievo della sofferenzanel rispetto della libertà e della dignità dellapersona umana, senza distinzioni di età, disesso, di etnia, di religione, di nazionalità, dicondizione sociale, di ideologia, in tempo dipace e in tempo di guerra, quali che siano lecondizioni istituzionali o sociali nelle qualiopera”.Perché questo si traduca in pratica si segna-la che il medico deve anzitutto riconoscerei diritti del malato, sapere instaurare con luiuna comunicazione efficace, sviluppare unapproccio alla conoscenza fondato su curio-sità, desiderio di comprendere e di empatiz-zare, e sull’esplorazione attiva dei problemi.Deve poi saper accettare le responsabilitàetiche e deontologiche implicite nella atti-vità di cura della persona e nello sviluppodella salute della popolazione, sviluppandola capacità di riconoscere l’errore medico.Ognuno può ben misurare come questeaffermazioni siano purtroppo ancora lonta-ne dalla pratica. Ma qui il problema è comee quando farle conoscere, come insegnare apraticarle.Se è vero che non si insegna con le parolema con i fatti, e quindi che per una efficaceformazione ad una “medicina più umana”,come da molte e autorevoli parti sempre piùrichiesto, occorre che gli studenti di medici-na sperimentino nei reparti e negli studimedici che si trovano a frequentare unamedicina davvero centrata sul paziente, èvero che può aiutare anche soltanto cercaredi capovolgere il paradigma della formazio-ne del medico che ha sempre privilegiatoun approccio che facilitasse la riduzione del

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paziente ad oggetto, organo malato, malat-tia, perdendo di vista completamente nel-l’arco dei 6 anni di formazione il semplicefatto che il medico prima ancora che conuna malattia o con un malato è con una per-sona e con una storia di vita ha a che fare. Daqui il suggerimento che G.A. Maccacarodava già negli anni ’70 del secolo scorso dicapovolgere il corso di medicina, per parti-re dalla persona e non dal corpo (dal cada-vere). Da qui la proposta di fare entrare ilmedico in formazione in contatto con ilpaziente, prima ancora che possa essere per-cepito come “caso clinico”, fin dal primoanno del suo corso di studio.

INCONTRARE IL PAZIENTE AL PRIMOANNO DI CORSOQuesto è quello che ci si è proposti di farenell’ambito del corso di formazione dimedicina al Polo di Vialba (Ospedale Sacco)attraverso l’organizzazione della frequenzadi un reparto clinico da parte degli studentidel primo anno fin dalle prime settimanedel corso. Una frequenza che sembrerebbedare i suoi frutti, almeno se si consideranole relazioni stese da alcuni degli studentiche hanno negli anni partecipato a tale ini-ziativa di formazione.

1) Ho frequentato per una settimana ilreparto di Ortopedia e Riabilitazione, aven-do modo di assistere il personale nelle cureigieniche e di accompagnare gli infermierinella distribuzione delle terapie. Anche lepiccole attività, come rifare i letti o lavare ipazienti non autosufficienti, sono statemolto utili grazie alla possibilità di un con-tatto diretto con i pazienti.Non essendo preparato, sono rimasto abba-stanza colpito dalle condizioni di alcunedelle persone ricoverate. Mi sono reso contoche molte di loro hanno tanti altri problemioltre a quello per cui si trovano nel repartodi Ortopedia. La maggior parte sono anzia-ni, alcuni non più in grado neanche dilavarsi. Ho potuto notare come questa siauna situazione difficile sia per i pazienti siaper il personale medico, che deve cercare dinon renderla ancora più pesante.L’ultimo giorno i miei compagni ed io abbia-mo seguito i medici durante il giro delle visi-te. Mi è sembrato che il rapporto medico-

paziente fosse diverso da quello infermiere-paziente. Il primo è più formale, forse per-ché i pazienti vedono nel medico una certasuperiorità. Il secondo è, invece, abbastanzaconfidenziale, forse a causa del contatto piùfrequente.Credo che l’umanità sia una delle preroga-tive più importanti per esser un buon medi-co, che deve sapersi conquistare non solo ilrispetto ma soprattutto la fiducia deipazienti. Al termine della nostra esperienzaabbiamo intervistato una paziente cronicaper capire il suo rapporto con l’ospedale esoprattutto con la malattia. Dalle sue paro-

le abbiamo capito quanto sia difficile convi-vere con la malattia, ma anche quanto puòessere dura seguire una terapia. La signoraha affermato di avere sofferto molto di piùper le conseguenze della chemioterapia cheper il tumore.Per quanto riguarda il rapporto con la strut-tura ospedaliera e con il personale medicosi è detta soddisfatta, dicendo di aver trova-to persone competenti e sensibili.Nonostante ciò sembra aver perso fiducianelle cure mediche. Un atteggiamento com-prensibile dopo anni di convivenza con lamalattia ma che, a mio parere, rende evi-dente l’importanza del rapporto con ilmedico, il quale deve anche sapere garanti-re sostegno morale per persone in questecondizioni.

2) La mia esperienza in reparto comprende-va in realtà tre unità diverse e una di queste,medicina d’urgenza, era particolarmenteaffollata da persone anziane che esprime-vano richieste pressanti e insistenti. Questerichieste, in realtà, spesso celavano, come

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emerso anche nelle discussioni con il tutor,un disperato bisogno di attenzioni motivatofondamentalmente da una sola cosa: lapaura. Un buon medico dovrebbe essere ingrado di capire anche questo, di aiutare ilpaziente a convivere con questa paura e, sepossibile, cercare di attenuarla. Un lavoro,dunque, che va oltre quello che si è pagatiper fare e proprio per questo ricco di soddi-sfazioni. Questo discorso è stato sollevatoripetutamente anche nel corso dei dibattitipost-filmati e proprio in occasione di questidibattiti mi è capitato di sostenere spesso lamia tesi a favore della figura del medicoumano: mi sono sentita rispondere che “isorrisi non guariscono le persone”. Bene,non posso che essere d’accordo, infatti par-lando di medico umano non alludevo certoad una sorta di “Piccola Candy” che pensadi guarire con pillole di dolcezza, ma sem-plicemente una persona in grado di valuta-re il paziente in toto: ovvero non una malat-tia deambulante ma una persona. I sorrisiforse non guariranno, ma di sicuro aiutano.E lo dice una persona che lo ha provatosulla propria pelle.

3) Nella mia prima diretta esperienza ospe-daliera mi è stato possibile osservare l’im-portanza della squadra infermieristica nellagestione del reparto: infatti, appena arrivatie indossato il camice, io e i miei compagnid’avventura ci recavamo nella sala infer-mieri dove assistevamo al passaggio di con-segne tra gli infermieri del turno di notte einfermieri del turno di giorno. Il “meeting”avveniva seduti intorno ad una tavola,davanti ad una tazza di caffè e dolciumivari, in un clima più che mai casalingo. Leconsegne e le direttive venivano date condovizia di particolari e attenzione, nonriguardavano esclusivamente lo stato fisicoe patologico di ciascun paziente ma anche idisagi psicologici, le ansie, le paure, i timoridi persone malate. E’ stato interessantenotare come talune volte il paziente, cui ci siriferiva, veniva chiamato per nome, non erareputato solo come una personalità generi-ca la cui individualità era stata sopraffattadalla patologia, dalla sintomatologia, dauna cartella clinica oppure dal numero diun letto, era una persona. Inaspettato, inol-tre, è stato il clima informale entro cui la

scena si svolgeva: il gruppo infermieristicoera come una grande famiglia. I rapportiinterpersonali nell’equipe erano schietti,onesti e trasparenti tanto da dare adito alcu-ne volte a duri scontri verbali su punti divista differenti che si risolvevano sempre invirtù della grande amicizia che si respirava.Il giro dei farmaci, che iniziava verso le 8.00,prevedeva la attribuzione delle terapiesecondo quanto stabilito dai medici il gior-no precedente. Compito gravoso in quantonon sempre il paziente era disposto adassumere i farmaci, ostacolo questo cheveniva brillantemente superato grazie alladolcezza, pazienza e disponibilità del corpoinfermieri. L’ultimo giorno di reparto, nelgiro con i medici, mi è stato possibile osser-vare alcune differenze nel rapporto medico-paziente rispetto al rapporto infermiere-paziente. Questo risultava essere più forma-le e molti pazienti evidenziavano affezioneda “timore reverenziale”, suscitato dallafigura fredda che il dottore dà di se stesso.

4) Alle 9.00 comincia l’orario di lavoro deimedici. Questi, dopo una breve riunionequotidiana nel loro studio per aggiornarsisu eventuali variazioni dei parametri dialcuni degenti, cominciano il giro di visite,in gruppo. Ogni volta che entrano in unastanza, la prassi è la stessa: salutano cor-dialmente i pazienti, cominciano a visitarlisenza proferire parola, si raggruppano(dando le spalle al paziente), e sussurranotra di loro, mentre scrivono qualcosa sullacartella clinica. E’ abbastanza impressio-nante, la scena: tra medici, specializzandi estudenti il numero di camici bianchiammonta a sette od otto, nessuno rivolgeuna sola parola al degente. Chiaramente nerisulta che, ogni volta, quest’ultimo si trovain tensione e assume un’aria preoccupata,specie quando i medici si scambianoocchiate tra loro scuotendo la testa. Si stan-no scambiando informazioni, ma una per-sona che non sente cosa dicono, e che sisente esclusa (pur essendo al centro dellaloro attenzione), ne rimane sconfortata. E’da qui che, probabilmente, nasce il tonodeferente con cui il paziente si rivolge almedico diversamente da quello che fa conl’infermiere.Parlando con uno dei medici del reparto ho

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compreso come non sia assolutamenteintenzionale, da parte di molti medici, lamancanza di questo rapporto ideale coipazienti: nella loro formazione universitariaè mancato un vero e proprio insegnamentocirca queste complesse dinamiche stretta-mente umane; il corso di laurea si è limita-to a fornir loro le conoscenze e le capacitàtecnico-scientifiche per esercitare la profes-sione mentre quello che riguarda il rappor-to umano con gli assistiti si deve impararesul campo. Quasi tutti i medici nei primianni della loro carriera, mossi da buonissi-me intenzioni, raccontano di essersi ferma-ti spesso a dialogare coi pazienti, per quan-to fosse loro possibile; ma col tempo, diver-si fattori hanno reso sempre più difficile rita-gliarsi del tempo da dedicare a questa atti-vità.

5) Il tema che invece vorrei analizzare piùspecificatamente è quello del ruolo dellasalute e, in particolare, della malattia nellasocietà attuale e cioè dell’approccio indivi-duale ad essa, del rapporto che si ha con leie della sua influenza nella quotidianità, dicome sia la vita della persona malata e dichi la deve curare, soprattutto in ospedale;e vorrei affrontarlo prendendo spunto dal-l’esperienza in reparto. Ho cercato diapprofondire molto questo argomentodurante l’intervista al paziente che, nelmio caso, è stata una signora ricoverata inoncologia, stimolato anche da un suggeri-mento del mio tutor: “Provate a osservare ilcomodino dei pazienti…”. I comodini deipazienti, specialmente di quelli più anzianio di quelli affetti da patologie gravi o croni-che, presentano solo dell’acqua, sicuramen-te degli oggetti religiosi, magari l’orologio o ilcellulare. E’ raro trovare del lavoro, dei com-piti o qualcosa che permetta di accelerare iltrascorrere delle giornate che, per questepersone, sono scandite solamente dai ritmiospedalieri: la sveglia, la colazione, la tera-pia… Le ore dentro l’ospedale sono dure,difficili, infinite. Il comodino è lo specchiodi come un malato affronta la malattia,approccio che viene poi trasmesso anche aifamiliari. Il malato degente all’interno di unospedale perde la sua produttività e sembrarimanere solo con se stesso e la malattia, ela degenza contribuisce ad escluderlo dalla

società, a renderlo un invalido dal punto divista psicologico, sociale, economico. Lasignora, durante l’incontro che reputo ilmomento più difficile ma utile e profondodel corso, non ha fatto altro che confermaretutto ciò. Ha specificato come l’ospedaletenda a far affrontare la malattia da un latopiù pessimistico rispetto a come la si affron-ta al di fuori di esso. Ha descritto l’ospedaleunicamente come luogo di sofferenza e hasottolineato come un ospedale moderno,confortevole, razionale, possa rendere piùsemplice e agevole la degenza e soddisfarein maniera più efficace le esigenze primarie

dei pazienti. In particolare si mettono inrilievo due carenze relative alla igiene per-sonale e alla privacy, nonostante ci trovassi-mo nel padiglione di più recente costruzio-ne dell’ospedale e si sono certo fatti deipassi in avanti notevoli dalle camerate a 8-10 letti alle attuali stanze doppie. Nell’arco dell’intera settimana ho notato unaltro aspetto interessante: i pazienti all’in-terno dell’ospedale faticano a dialogare tradi loro (nonostante il tempo a disposizione).Anche quelli che sono in camera insiemeda più tempo hanno un rapporto freddo, dipoco aiuto. E ancora più interessante è ilfatto che il tema di dialogo principale siaquello delle rispettive condizioni di salute, adimostrare ancora una volta quale sia l’in-cidenza della malattia sul malato. Nell’intervista alla signora ho voluto poiapprofondire il tema del rapporto tra malat-tia e fede e tra fede e scienza (medicina). Sela medicina sembra essere subita quasi pas-sivamente, nelle corsie ospedaliere si notacome sia molto più profondo e intenso ilrapporto con la fede e appunto il comodino,

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come ho citato in precedenza, ne è unaprova. La signora ha risposto come anche lasua esperienza personale sia di questo tipo.Anche nel suo caso la scoperta della malat-tia ha rafforzato il rapporto personale con lafede e in questo momento anche per lei rap-presenta un punto saldo, un supporto nellaguarigione, una fonte di risposta a moltedomande (per esempio “perché proprio ame?”) e un aiuto per affrontare comunque iltema della morte.

6) La cosa che più mi è piaciuta è vedere ilvario modo in cui diverse persone affronta-no la malattia. Molti pazienti combattevanola malattia sorridendo, scambiandosi battu-te tra una flebo e l’altra. Altri immobili nelletto che non parlavano e non aprivano gliocchi vivendo come vegetali alla dipenden-za di infermieri e medici. Altri ancora tristima sempre dignitosi contro una malattiache li ha colpiti troppo presto per la loro gio-vane età. Ho potuto comprendere che lacosa che più fa male ad un paziente non ètanto la malattia ma l’aver perso la propriaindipendenza e la propria intimità. Ricordouna paziente che chiamava ripetutamentele infermiere per poter essere cambiata, manon era possibile accontentarla subito,doveva aspettare il giro di igiene. Era infatticosciente del suo stato di dipendenza e pro-vava disagio. Per il colloquio ho scelto una paziente tren-tenne perché ero curiosa di sapere comeuna donna giovane come lei affrontava lamalattia. Per lei la malattia non è altro cheuna “parentesi della vita”, diceva infatti chespesso preferirebbe viverla da sola senzaamici ne parenti, come una cosa tutta suaper poi, guarita, ritornare alla vita di semprecome se non fosse successo nulla. Alladomanda: “cosa ti manca di più?” rispose:“ la mia vita di prima” come se quella chestava vivendo era la vita di un’altra simile alei ma malata. Nonostante ciò riconosceval’importanza delle visite di parenti e amici,perché sono loro che danno la voglia dicombattere per guarire pensando di poterliriabbracciare fuori dal reparto. Non parlavadi malattia come sospensione dalla vita per-ché era attiva e attenta a tutto ciò che face-vano i medici; si riteneva insoddisfatta dellecure e voleva capire meglio. I medici erano

comprensivi riguardo alle sue curiosità e lerispondevano con pazienza. L’unico aspettonegativo è che appariva stanca: era da duemesi in ospedale e non avevano ancora tro-vato la cura adatta alla sua malattia.

7) “Tutti siamo capaci di rifare un letto”.Questo è ciò che pensavo prima di trascor-rere, insieme a due mie compagne di uni-versità, una settimana nel reparto di medi-cina interna dell’Ospedale Luigi Sacco diMilano. Infatti, la prima cosa che ci hannomostrato gli infermieri è stata la tecnica pre-cisa con cui deve essere rifatto un letto ospe-daliero: lenzuolo che fa da copri materassocon la riga che sta nel mezzo, traversa se ilpaziente presenta incontinenza, lenzuolosempre con la riga nel mezzo e infine copri-letto (con o senza coperta) che deve esserepiegato in modo da creare un angolo allabase. Di fronte alle nostre facce scetticheverso la necessità di tanta precisione, gliinfermieri ci hanno spiegato, con pazienzae orgoglio, quanto è importante far trovaread un paziente un letto ben fatto. Il lettodarà al nuovo arrivato la prima impressio-ne di un ambiente estraneo cui dovrà farel’abitudine per un periodo spesso indeter-minato. Il paziente, infatti, non è solo unmalato, un numero, ma è anche e soprat-tutto una persona con dei sentimenti, chesono spesso fragili nel momento in cui il fisi-co è provato.

8) Cos’è un ospedale? Chi sono i medici?Domande semplici a cui ognuno di noipotrebbe rispondere con facilità, due parole,senza pensarci troppo, al massimo dilun-gandosi a raccontare le proprie disavventu-re. Tutti siamo entrati in una struttura sani-taria e ci siamo sottoposti alla visita di unmedico: pensavo di conoscere queste realtà. Dopo aver passato un mese in un ospedaledi una remota zona dell’Uganda, sconvoltadalla guerriglia e dalla malaria, e una setti-mana al seguito degli infermieri del repartodi ortopedia dell’Ospedale Sacco di Milanomi sono trovata ad affrontare mondi a medel tutto sconosciuti; così sono in seria diffi-coltà a dare una risposta a quelle due appa-rentemente semplici domande che più voltemi sono posta. Durante l’esperienza in Africa credevo di

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non riuscire a trovare risposte a causa delladifficoltà e della diversità della situazione:potevo permettermi di non conoscere e fati-care a capire un mondo così lontano, trop-po drammatico e troppo diverso dal nostro! Ma il reparto di un Ospedale di Milano? Findalla prima mattina mi resi conto di nonsapere assolutamente nulla della realtà incui stavo entrando.Subito mi ha colpito l’odore, non quello tipi-co dei disinfettanti e dei medicinali, maodore di sporco, di urina e di feci. L’avevogià sentito in Africa molto più forte, ma nonavrei mai pensato di poterlo risentire in unospedale italiano. Mi ha impressionato vedere persone, per lopiù anziane, con il pannolone che si face-vano pulire dagli infermieri. Immediatamente ho pensato a cosa avreiprovato io nella loro situazione: nuda su unletto con qualcuno che mi deve lavare.Essere lì, non più indipendente, quasi pri-vata della mia dignità, senza più barriere,costretta a farmi pulire da una persona chenon ho mai visto prima. Questi pazienti mi guardavano tranquilli,quasi rassicurati dalla mia presenza, dalmio camice. Quando l’infermiera mi hachiesto di pulire un ricoverato mi sonoaccorta di quanto i miei gesti non fosseronaturali: ero io la più imbarazzata. Subitomi è tornato in mente quanto tempo avevoimpiegato in Uganda ad abituarmi a tocca-re i malati, a dar loro la mano, a liberarmidalla paura che mi potessero contagiarecon le loro malattie. Mi sono resa conto di trattare i pazienticome malati prima che come esseri umani;ho capito quanto può essere difficile avereun contatto fisico con delle persone e sosti-tuirmi a loro nel compiere funzioni elemen-tari come il lavarsi. L’aver svolto il lavoro degli infermieri e inparticolare l’aver pulito i pazienti è stata,per me, un’esperienza unica che spero diricordarmi sempre. Probabilmente nel miofuturo lavoro di medico non dovrò più ripe-tere questa operazione, ma l’averlo fatto mipotrà aiutare a capire meglio non solo qualeè una parte dell’attività degli infermieri maanche alcune situazioni imbarazzanti chedeve affrontare il paziente.Proprio per i ruoli che svolgono gli infermie-

ri sono molto più vicini di quanto non losiano i medici ai ricoverati; essi spesso infat-ti rivelano loro paure ed emozioni lascian-dosi andare con maggiore facilità.L’esperienza in Ospedale mi ha consentitoanche di capire quale deve essere il rappor-to tra il personale sanitario e i pazienti; mihanno colpito molto la pacatezza, il sorrisogentile, la tranquillità con i quali il medicofaceva il “giro” nel reparto. Si rivolgeva aciascuno, collaboratore o paziente, chia-mandolo per nome, trattava tutti con estre-ma gentilezza, aveva una parola di confortoper ognuno.

CONCLUSIONIPenso che la lettura di queste esperienzeriferite serva ad indicare come una attivitàche esponga precocemente lo studente allavita di reparto e alla relazione con il malatosia utile a stimolare interessanti e importan-ti riflessioni che, si spera, possano orientarela formazione del medico anche nel suo per-corso futuro.Naturalmente non mi aspetto che questa siala soluzione al problema della “umanizza-zione della medicina”, occorre altro.Occorre certamente, come già detto, checambi la vita, la pratica e l’organizzazionenei reparti in cui avviene la formazione, persperare che tale cambiamento possa poi tra-sferirsi anche nelle pratiche ospedalierecomuni. Per questo altri interventi andran-no progettati e sviluppati per gli anni suc-cessivi di corso e perché questo avvengaoccorre impegnarsi e perseverare, puntandoall’allargamento del gruppo di coloro chepartecipano volontariamente all’iniziativa(alcuni giovani medici e specializzandi,alcuni infermieri e capisala, qualche prima-

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rio più sensibile a questo tipo di imposta-zione della medicina che si faccia cura allapersona). Penso poi che andrebbe fatta anche unaparallela raccolta di esperienze di pazienti,che potrebbe altrettanto utilmente servire dastimolo alle riflessioni di medici, operatorisanitari, docenti e studenti che voglianovalutare criticamente la propria pratica quo-tidiana. Questo avrebbe a che fare con quel-lo che G.A. Maccacaro chiamava, in una dalui già allora auspicata trasformazione delmedico, della ricerca biomedica, della for-mazione universitaria, il passaggio da unrapporto catalettico ad uno dialettico frasperimentatore e sperimentato, fra medico epaziente. Nella introduzione ad un manua-

le di Principi e Metodi di Biometria, per stu-denti e ricercatori biologi, prospettava infat-ti la necessità di scrivere, insieme ad uncapitolo intitolato “Programmazione degliesperimenti” con norme per la scelta deglisperimentati, un secondo capitolo, con lostesso titolo, per gli sperimentati e conte-nente le norme per la scelta degli sperimen-tatori. Proponeva così agli “addetti ai lavo-ri” di mettere in crisi le proprie certezze econvenienze per recuperare, in un nuovorapporto con i pazienti, il senso reale dellaloro missione, quella di una scienza e di unaprofessione che non operasse più, paternali-sticamente, per l’uomo o, autoritariamente,sull’uomo ma sempre e solo solidaristica-mente con l’uomo.

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Le fondamenta del SistemaSanitario Nazionale in Italia, lasua evoluzione, il suo futuro

di Giorgio COSMACINI*

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DALLA PARTECIPAZIONE ALLA AZIEN-DALIZZAZIONELa storia del sistema sanitario nazionale,che copre quasi settant’anni della nostravita, è un po’ anche la biografia che io hovissuto, per tanti aspetti come medico ecome docente universitario, correrò quindiil rischio, in questo mio intervento, disovrapporre a tratti il soggettivo all’oggetti-vo, un rischio però che ogni storico sa dicorrere, e non può evitare, se vuole affronta-re problemi di storia contemporanea.Cercherò comunque oggi di estrapolare, frai numerosi che ho anche vissuto in primapersona, gli episodi e i momenti di svoltapiù significativi.Naturalmente si tratta di parlare delle fon-damenta storiche che non sono parte delpassato ma che tuttora sono di viva attualità,ripercorrendo il passato remoto, ma anchequello più recente, nel tentativo di ravviva-re la memoria dei fatti e degli eventi che inun paese povero di cultura storica come ilnostro, e in un periodo nel quale la memo-ria anche recente fa difetto, è indispensabi-le.Se andiamo col pensiero a settant’anni fa,possiamo ricordare che già il 25 luglio 1943,nel Gran Consiglio del fascismo, venneattuato e consumato il tentativo di riformaredall’alto, da una parte della gerarchia alpotere - il regime fascista, regime anticoanche se solo ventennale, ma già invecchia-to e divenuto fatiscente – quello che alloraera la sanità. Avvenne infatti nel 1943, in“articolo mortis” da parte del fascismo, lacreazione, sulla carta, dell’ente di mutualitàdivenuto nel dopoguerra l’Inam (Istitutonazionale assicurazione malattia). Ma quelconato fallì perché inadatto a risolvere o adattenuare la crisi politica e sociale che lo

stesso regime aveva provocato, la grave crisinella quale versava da tre anni il paese logo-rato dalla guerra. Parlare allora di assicura-zione contro le malattie, oltre ad apparireuna risibile enunciazione di intenti, unimpossibile e un tragico anacronismo nellacrisi travolgente in cui il paese era ridotto,fu anche scelta gravemente ritardataria ecomunque inadeguata a fronteggiare lenecessità di una popolazione allo sbando,afflitta da molte mancanze (prime fra tutte lepenurie alimentari, poi le deficienze igieni-che, le latitanze assistenziali, le carenzenelle opere di pronto soccorso). Solo due anni dopo, il 25 Aprile 1945, sipoterono realizzare insieme nel paese l’u-scita dalla crisi sociopolitica e quella dallacrisi bellica, a conclusione della lotta di resi-stenza, una rivoluzione dal basso compiutada un popolo spossato ma non domo. Infattialla vigilia dell’insurrezione armata, conclu-sa con la liberazione del paese, venne con-cepito, nella clandestinità della lotta da talu-ne teste pensanti partecipi del movimentodi liberazione, un progetto di riforma del-l’ordinamento sanitario italiano di ammire-vole preveggenza. Ne fu autore il Comitatodi Liberazione Nazionale (CLN) del Veneto,o meglio la consulta veneta di sanità ope-rante di concerto con i commissariati regio-nali per l’igiene e la sanità dell’Alta Italia.Nel progetto si proponeva, con lungimiran-za, il decentramento amministrativo e lagestione loco-regionale della sanità, assu-mendo i valori civili e sociali di una politi-ca della salute fondata sulla partecipazioneattiva di tutti cittadini a partire, benintesodai medici, e configurando così un serviziosanitario responsivo ai bisogni dell’interapopolazione. Era parso così nascere dalle macerie della

*MedicoRadiologo,Docente di Storiadella Medicina -Università Vita eSalute. (SanRaffaele), Milano.

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guerra, dal fallimento della mossa tardivadel fascismo morente, una coscienza sanita-ria moderna, muovente dal basso e finaliz-zata, attraverso la costruzione di un moder-no servizio decentrato e partecipato, allarealizzazione di un Servizio SanitarioPubblico adeguato ad uno Stato democrati-co moderno. Tre anni dopo, la Costituzione della Repub-blica italiana, nata da quella rivoluzione dipopolo che fu la Resistenza, votata a largamaggioranza il 22 dicembre 1947, sancivacon l’articolo 32 che la Repubblica ricono-sce “la salute come diritto fondamentaledell’individuo e della società”. Se vogliamo fare una piccola riflessione sulconcetto di salute individuale inserito inquello più ampio di salute collettiva, pos-siamo ricordare che l’arte di difesa sanitariada applicarsi a tutta la popolazione era giàstata indicata come condizione per la ric-chezza delle nazioni da Adam Smith nel1776, che vedeva la salute come un bene dadifendere per aumentare la ricchezza dellapopolazione. Nello stesso 1776 del resto ilsistema completo di polizia medica venneelaborato da Joseph Frank e da allorainfluenzò il pensiero medico ottocentescoche poi, tra luci e ombre, procedette da allo-ra ancora più in là nella sua elaborazione.Ma questo salto di qualità che si verificò inItalia all’indomani della rivoluzione popola-re del ‘43 - ‘45, alimentato da un pensieroilluminato dei partigiani che concepironouna vera e propria riforma sanitaria, innescònei fatti una nuova politica della salute ingrado di influenzare e promuovere senzadiscontinuità l’attività legislativa del gover-no della neonata Repubblica italiana? Dei ritardi e delle contorsioni che si susse-guirono parlano meglio le date.Solo nel 1958 venne istituito in Italia ilMinistero della Sanità, a ben 13 anni didistanza dal progetto d’azione illuminata,con radici partigiane, elaborato dai resisten-ti veneti. Il Ministero subentrò, tardivamen-te, al preesistente Alto Commissariato perl’igiene e la sanità, creato con decreto luogo-tenenziale da Umberto di Savoia, che sosti-tuiva a sua volta la direzione generale disanità presso il Ministero dell’Interno. Come si vede una storia lunga, più volteritardataria, aveva registrato l’affidamento

all’alto commissario della tutela della sanitàpubblica e della vigilanza tecnica sulle orga-nizzazioni sanitarie una funzione di tutela etecnica non dissimile da quelle, in paritempo, affidate all’alto commissariato pre-posto al recupero dei residuati di guerra.L’intento era quello, comune, di recuperaree di ricostruire. Nell’Italia della ricostruzio-ne si pensava che questa dovesse essereoltre che materiale anche morale. Ma limi-tarsi a ricostruire non significa innovare néalimentarsi delle nuove istanze partecipati-ve che il movimento resistenziale avevaevocato ed alimentato.L’esitante passo in ritardo motivò l’alloraalto commissario, Nicola Pernotti, - nomedimenticato - a denunciare in data 22 otto-bre 1947, dopo due anni di gestione com-missariale, una triplice crisi travagliante lamedicina, nonostante il fausto arrivo dellapenicillina e nonostante l’eliminazionedella malaria, tramite il DDT, eventi entram-bi legati alla presenza dell’esercito statuni-tense nel nostro paese.L’allora alto commissario puntò il ditoimpietoso su una triplice crisi: crisi dell’in-segnamento, crisi dell’esercizio professiona-le, crisi delle concezioni fondamentali dellavita. Voce inascoltata.Proseguendo nella scansione cronologica, ènel 1960 che la sanità pubblica in Italia,ancora sostanzialmente bloccata in una isti-tuzione assicurativa ben diversa e ben lon-tana da un servizio di sicurezza socialenonostante la creazione del ministero dellasanità, su iniziativa della ConfederazioneGenerale Italiana del Lavoro, la CGIL cheallora era l’unica confederazione dei lavora-tori, viene scossa dalla proposta di leggenumero 2413 del 26 luglio. La propostalegislativa firmata dai deputati AgostinoNovella, Vittorio Foà, Fernando Santi,Luciano Romagnoli era intitolata: “Per l’i-stituzione in Italia di un sistema di sicu-rezza sociale”. Essa identificava tale siste-ma in un servizio sanitario nazionale modu-lato su una riforma che rispettasse questi cri-teri generali: coordinamento su scala nazio-nale della protezione sanitaria, decentra-mento gestionale dei servizi alle persone neicomuni, nelle province e nelle istituenderegioni, organizzazione di tali servizi in cir-coscrizione o sotto circoscrizioni sanitarie

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poi Usl o aziende Asl con funzioni di pre-venzione, diagnosi, terapia, riabilitazione ereinserimento attivo, dove possibile, nelleattività lavorative. Fu in buona sostanza una riproposta aggior-nata del progetto risalente al 1945 formulataa 15 anni dalla fine della guerra dalle forzesociali, mentre la riforma della sanità dibat-tuta dal centro veniva sempre più differita,dimenticata, caduta in un soporoso letargo.La prima scossa per rianimarla venne quin-di non dal ministero istituito da un biennioal vertice del governo ma dalle forze orga-nizzate alla base del mondo del lavoro. Nel 1968, dopo un decennale dibattito,venne poi varata la riforma ospedaliera. Ildibattito culturale e sociale che la rese pos-sibile fu anche alimentato dai primi sciope-ri bianchi della componente di base deimedici ospedalieri (ANAAAO, CIMO), daiquali era scaturita un’inchiesta, svolta tra il1963 e il 1964, di grande incisività e riso-nanza. Come spesso capita per le riforme lasciate ametà, anche gli esiti a distanza della riformaospedaliera indicheranno che il rimediolegislativo alla crisi degli ospedali fu inade-guato al male che intendeva risanare. Ipostumi a breve scadenza apparivano darragione a quanti sostenevano che aver rifor-mato gli ospedali prima della sanità nel suocomplesso era stato come affrontare la que-stione sanitaria prendendola per la coda enon per la testa. Questo contribuì a peggio-rare la situazione e a moltiplicare i conten-ziosi, ancora oggi irrisolti ed esiziali, che siaprirono fra medici ospedalieri e medici ter-ritoriali. A proposito mi è capitato propriooggi di partecipare ad un convegno in cui siè parlato, ancora una volta e non certo l’ulti-ma, di osmosi fra Ospedale e Territorio. Unrefrain che dura da secoli e che riparte sem-pre da capo, senza mai porre un puntofermo su quello che è stato detto, quello cheè stato contraddetto, quello che dovrebberisultare ormai acquisito, e ciò che dovrebbeessere considerato tesoro fornito dalla prati-ca e dall’esperienza, ovvero che sganciare lamedicina ospedaliera dalla medicina terri-toriale, oltre che costituire un errore concet-tuale, significa perpetuare un conflitto desti-nato a protrarsi al di là di ogni tentativo dicomposizione.

Finalmente nel 1978, 10 anni dopo il varodella riforma ospedaliera, venne varataanche la complessiva riforma della sanità,tenuta a battesimo dal ministro TinaAnselmi. Si disse allora che la sanità èdonna, fiorita o sfiorita, dopo 33 anni dalprimo aurorale progetto concepito durantela resistenza. Alla legge istitutiva del SSNvenne accorpata anche la legge 180, o LeggeBasaglia, che intendeva restituire dignitàumana ai malati di mente, liberandoli dalladegradante segregazione manicomiale.Quest’ultima rappresentava il coronamentodell’impresa teorico-pratica e della campa-

gna d’opinione che vide protagonista lo psi-chiatra Franco Basaglia definito, non a caso,il Pinel Italiano, essendo Philippe Pinel(1745 – 1826) colui che nel 1793, nell’asilodi Bicêtre, aveva per la prima volta in occi-dente liberato i malati mentali dalle cateneche li imprigionavano, assicurando loromigliori condizioni igieniche e sanitarie.Per restare al confronto diacronico fra glisviluppi medico-sanitari dell’Italia di ieri, egli avanzamenti della medicina e dellasanità nella Francia rivoluzionaria di allora,basti citare quanto detto con rammarico dal-l’igienista Alessandro Seppilli, promotore inItalia del primo centro sperimentale per l’e-ducazione sanitaria della popolazione: “lagestione della legge di riforma sembra larivoluzione francese gestita dai restauratori”.A tale proposito, per meglio capire comeandarono le cose e perché, è utile ricordareche dal 1979 al 1983 l’applicazione dellalegge di riforma ebbe per interprete protago-nista, in quanto Ministro della Sanità,Renato Altissimo, appartenente al partitoliberale che aveva votato contro la legge.

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Condividendo l’affermazione di Seppilli,bisogna ammettere che lo spirito della rifor-ma, fondato sul principio della sicurezzasociale e sull’idea-faro della prevenzioneprimaria, venne da subito largamente disat-teso dai preposti alla realizzazione dell’i-stanza riformatrice, fino a rendere possibileora e da noi quello che non lo fu storica-mente dopo la rivoluzione francese, allor-ché la restaurazione non poté restaurarel’antico regime medico-sanitario perchéquello nuovo instaurato dalla rivoluzione siera ormai affermato in modo tale da rendereimpraticabile ogni ritorno al passato.Come e perché nel nostro paese è mancatacosì a lungo la riforma degli ospedali e dellasanità nel suo complesso, quella riforma cheavvenne già nel 1948 nel Regno Unito, adesempio ?In parallelo alla, e probabilmente a suppor-to della, riflessione sulla riforma, un’altrariflessione andrebbe fatta circa la mancatariforma degli studi di medicina, cioè dellaformazione universitaria. Si tratta di man-canze che sembrano costituire una costantedella storia d’Italia, dal momento che giàGaetano Salvemini lamentava il fatto chenell’Italia di Giolitti le proposte di legge nondiventavano mai progetti, i progetti nondiventavano mai leggi, le leggi, anche quan-do finalmente emanate, non venivano maiadeguatamente attuate. Mancò, permettetemi qui di fare una cita-zione dei quaderni del carcere di uno che,pur isolato e internato, capiva tutto di quel-lo che succedeva fuori, quella virtù politi-ca fatta di energia, decisione e risolutezzache Antonio Gramsci accreditava al giaco-binismo, virtù indispensabile per non sca-dere nel vizio ricorrente rimproverato daSalvemini.Come ho già detto l‘attuazione della legge diriforma partì male, già nella sua primissimafase si rifece allo schema ritardatario e dila-torio troppo spesso ripetuto nella storiad’Italia. Ma il successivo svolgimento fuanche peggio, tanto da meritare il seguentegiudizio storico da parte di Franco DellaPeruta, uno storico a me caro, insegnante inStatale, da poco scomparso. Cito testual-mente dalla sua storia del Novecento: “lariforma sanitaria fu un fatto positivo, ma ilsuo spirito riformatore, che rispondeva a

criteri di razionalità economiche e di equitàsociale, venne spesso tradito negli anniseguenti in seguito al cattivo funzionamen-to di molte Usl e agli episodi di lottizzazio-ne verificatosi all’interno di questi organi-smi divenuti spesso centri di potere cliente-lare”. E usciamo ora dalla storia per entrarenella cronaca dell’oggi. Benedetto Croce, nel suo libro su teoria estoria della storiografia, dice che storia e cro-naca non sono parti divise ma unitarie, espiega perché. Io non voglio professarmicrociano ma egualmente da storico credo sipossa parlare degli anni ’80 del ‘900 come diun periodo “storico” caratterizzato da unclima di asserito ed enfatizzato pragmati-smo (decisionismo) ma in realtà consistitoin un equilibrio politico fondato su alleanzedi governo tanto discordi nei programmi enella loro attuazione quanto concordi nel-l’accaparramento, nella conquista e nelladistribuzione di tutte le possibili posizionidi potere caratterizzanti il sistema economi-co finanziario pubblico, gli enti del parasta-to, gli organismi previdenziali e assistenzia-li, le Asl. Qualcuno parlò allora di partito-crazia, come sistematizzazione proceduraledel più antico clientelismo. Come risultatodi questa logica concorrenziale spartitoriatra le due maggiori forze di governo, demo-crazia cristiana e partito socialista, si è avutala proliferazione smodata dei fenomeni dimalcostume politico caratterizzati dall’inge-renza assoluta dei partiti nell’amministra-zione in tutti i campi possibili con partico-lare riguardo al settore molto ricco della pre-videnza e della sanità.Incomincia a circolare allora, nel linguaggiopolitico e nell’opinione pubblica, il terminedi contro-riforma e nell’ideologia contro-riformatrice che si viene affermando lasanità viene vista non come un serviziodedito alla promozione del benessere macome un settore improduttivo da ampliare adismisura e da rilanciare mediante massic-ce iniezioni di “meno Stato e più mercato”. Mentre si reagisce obiettando che, seppurenel senso comune la salute non abbia prez-zo, la sanità abbia sicuramente un costo, sisusseguono decreti-panaceache dovrebberoa parole guarire il sistema dalla cosiddettamalasanità ma che invece fanno gravaresulla sanità italiana quattro esiziali ipoteche:

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1) una regionalizzazione intesa non comedemocratico decentramento, al coordina-mento centrale, ma come concessione a pre-tese permeate di demagogia avvolta nelfumo (di Londra?) della devolution; 2) una aziendalizzazione intesa non cometeoria e pratica delle cose da farsi (aziendada “agenda”: gerundio, le cose da farsi) macome accorpamento di numerose Usl in Asldi minor numero improntate ad un’econo-mia occhiuta nei confronti della spesa cor-rente ma non certo oculata per quantoriguarda gli investimenti produttivi di salu-te, anche qui si potrebbe richiamare il fumo(di Londra) della spending review;3) una privatizzazione intesa come sussidia-rietà non integrativo-complementare maalternativo-sostitutiva del sistema, con unprivato da promuovere ed un pubblico dadeprimere;4) infine un consumismo strisciante ispiratoall‘efficienza disgiunta dall’efficacia e allaproduttività di prestazioni (sovra diagnosi,sovra trattamento, invenzione delle malat-tie) più che alla promozione di salute.Oggi sono quindi due gli orientamenti che sifronteggiano e che preparano il nostro pos-sibile futuro: quello di coloro che, invocan-do la necessità di una applicazione integra-le della originaria legge di riforma e addos-sando le inefficienze e gli sprechi alla suaincompleta e distorta attuazione, invocanoil ritorno alla centralità della Prevenzione edella Partecipazione, ribadendo l’esigenzadel monopolio pubblico sul servizio sanita-rio, e quello di coloro che sostengono che lariforma è tutta sbagliata e che lo slogan “ciòche è sociale deve essere pubblico” va rivi-sto, riconsiderato nella direzione di un libe-ro mercato della salute in cui largo spazioabbia il privato, perché “la società non esi-ste, esistono solo gli individui” e “lo statonon è la soluzione, lo stato è il problema”.Salvo poi a chiederne l’intervento per evita-re che falliscano Banche e Finanziarie.Sarebbe oggi più che mai necessaria quellastretta collaborazione tra politici illuminati,economisti avveduti, medici coinvolti, ope-ratori dei servizi che ha caratterizzato la fasedi elaborazione resistenziale e immediata-mente postbellica.L’intento comune dovrebbe essere quello di

ricercare, all’interno dei contenuti dellariforma, le soluzioni più idonee ad assicura-re il massimo possibile di benefici sanitari acosti economici sostenibili, ma non perchétali giudicati dagli operatori economici maperché tali considerati dai cittadini e dailoro rappresentanti che possono vedere inciò che si spende per la sanità un investi-mento più che un mero costo passivo.Ma i nuovi balzelli, l’inarrestabile marciadei ticket, vere e proprie tasse aggiuntivesulla malattia, utilizzate come facili scorcia-toie per aumentare le entrate, evitando divalutare criticamente le uscite per prestazio-

ni inessenziali, non sono privi di pesanticosti reali per la sanità. Ribaltano infatti ibenefici sanitari e i costi economici in bene-fici economici e costi sanitari. In uno scenario come questo si iscrive unosviluppo senza progresso e la cultura dellasalute, semplice nei suoi obiettivi sanitari, sitraduce nella attuale medicina della com-plessità. In realtà una medicina spacciataper essere sempre più complessa non servea difendere e a promuovere con semplicitàla salute, ma anzi viene stravolta in una cul-tura della malattia che complica il mondodella sanità. Alle soglie del 2000 si registrano ormai ripe-tuti interventi legislativi per promuovereuna vera controriforma sanitaria. A questodisegno fintamente riformatore dobbiamoopporre una rivoluzione culturale che recu-peri lo spirito radicalmente e autenticamen-te riformatore delle origini, che solo puòconsentire di affrontare le sfide del futuronel rispetto dei principi che fondano lanostra convivenza civile.

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Salute e mercato

di Gavino MACIOCCO*

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Per la prima volta nella storia degli ultimidue secoli in USA la speranza di vita allanascita mostra uno stop nella crescita o unaregressione, a causa dell’obesità e delle sueconseguenze sulla salute.In Europa si scopre che le persone vivonopiù a lungo in cattiva salute. “Le diseguaglianze nella salute, tra paesi eall’interno dei paesi, non sono mai state cosìgrandi nella storia recente. Noi viviamo inun mondo di paesi ricchi pieni di gentepovera e malata. La crescita delle malattiecroniche minaccia di allargare ancora dipiù questo gap. Gli sforzi per prevenire que-ste malattie vanno contro l’interesse com-merciale di operatori economici moltopotenti e questa è una delle sfide più grandida affrontare nella promozione dellasalute”.Nel marzo 2005 la rivista The New EnglandJournal of Medicine pubblicò un articolodal titolo “A potential decline in life expec-tancy in the United States in 21st cen-tury”[1] che si concludeva con questa previ-sione: “From our analysis of the effect ofobesity on longevity, we conclude that thesteady rise in life expectancy during the pasttwo centuries may soon come to an end”.A distanza di pochi anni tale fosca previ-sione si è avverata: per la prima volta nellastoria degli ultimi due secoli in USA lasperanza di vita alla nascita mostra unostop nella crescita o una regressione, acausa dell’obesità e delle sue conseguenzesulla salute. Non si tratta dell’intera popolazione ameri-cana, ma di una parte di essa: secondol‘Institute for Health Metrics and Evaluation[2] in 661 contee del paese la speranza divita alla nascita delle donne ha smesso dicrescere o è tornata indietro; lo stesso feno-

meno si è verificato negli uomini, in 166contee. Questo trend preoccupante si registranell’84% delle contee dell’Oklahoma, nel58% delle contee del Tennessee e nel 33%delle contee della Georgia (punti grigi e nerinella Figura 1). In queste contee - afferma ilrapporto - “le bambine nate nel 2009vivranno meno delle loro madri”. NellaFigura 2 è riportata la mappa dell’obesitànei vari stati USA. Diminuisce la speran-za di vita e aumentano le diseguaglianzenella salute tra abitanti che vivono in dif-ferenti aree del paese: in Florida (Collier)le donne vivono in media 85,8 anni, inWest Virginia (McDowell) 74,1 anni: ungap di 11,7 anni. Per gli uomini il gap arri-va fino a 15,5 anni: 81,6 anni di speranzadi vita alla nascita in California (Marin),66,1 anni in Mississippi (Quitman eTunica).Negli ultimi due secoli la crescita dellasperanza di vita è stata costante e inarre-stabile in tutto il mondo, con alcuneeccezioni legate ad eventi catastrofici:nelle due guerre mondiali (nella primaagli eventi bellici si aggiunse l’effettoletale della “Spagnola”), in Russia nelperiodo immediatamente successivo alcollasso dell’Unione Sovietica (1989 –1994) con la regressione di 6 anni per gliuomini (da 64 a 58 anni), in Africa sub-sahariana (negli anni 80 e 90) per l’effet-to combinato dell’epidemia di HIV/AIDSe delle politiche di aggiustamento strut-turale: in alcuni paesi, come la Botswana,la regressione fu di 20 anni.Cosa segnalano quei punti neri nellamappa USA? Certamente non si tratta dievento catastrofico shockante come unaguerra, il crollo di un regime o un’epide-

*Professore,docente di Politica

Sanitaria -Dipartimento diSanità pubblica

dell’Università diFirenze, è promo-

tore e coordinatoredi saluteinternazio-

nale.info (sitoweb), direttore

della rivista Salutee Sviluppo dellaONG Medici con

l’Africa, (Cuamm),membro del

ComitatoScientifico di

Prospettive Socialie Sanitarie.

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mia infettiva. Ma di catastrofe certamen-te si tratta. Lenta, silenziosa, mortale.Non fa notizia perché (per ora) si verificain una manciata di aree povere degli StatiUniti. Nel frattempo su Lancet recente-mente si poteva leggere: “Sebbene la spe-ranza di vita alla nascita nell’UnioneEuropea sia cresciuta di circa 1 annoogni 4 anni fino al 2009, la speranza divita in buona salute è rimasta la stessa.Questa espansione della morbosità, incui le persone vivono più a lungo in cat-tiva salute, fa crescere la spesa sanitariae fa diminuire il benessere della popola-zione”[3]. Tutto ciò spiega il tono allarmatodelle dichiarazioni del direttore generale

dell’OMS, Margaret Chan che parlandoall’8a Conferenza globale della Promo-zionedella salute, tenutasi a Helsinki nel giugno2013, ha affermato:“Le diseguaglianze nella salute, tra paesie all’interno dei paesi, non sono mai statecosì grandi nella storia recente. Noi vivia-mo in un mondo di paesi ricchi pieni digente povera e malata. La crescita dellemalattie croniche minaccia di allargareancora di più questo gap. Gli sforzi perprevenire queste malattie vanno control’interesse commerciale di operatori eco-nomici molto potenti e questa è una dellesfide più grandi da affrontare nella pro-mozione della salute”.

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Figura 1. USA. Mappa delle contee in cui la speranza di vita alla nascita mostra uno stopnella crescita o una regressione (punti grigi e neri).

Figura 2. USA. Mappa della prevalenza dell’obesità negli Stati (in grigio scuro la prevalenza èuguale o superiore al 30%).

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“Non c’è solo Big Tobacco da combattere.La sanità pubblica deve affrontare ancheBig Food, Big Soda e Big Alcohol. (…) Ilpotere del mercato si traduce in poterepolitico. Pochi governi danno la prioritàalla salute rispetto agli affari. Comeabbiamo imparato dall’esperienza del-l’industria del tabacco, una grandeazienda è in grado di vendere al pubbli-

co qualsiasi cosa. Permettetemi di ricor-dare questo punto. Nessun paese è statoin grado di invertire la tendenza dell’epi-demia di obesità. Questo non è il falli-mento della volontà individuale. Questo è il fallimento della volontà poli-tica nell’affrontare il potere del mercato”. Vedi anche Newsletter 4: Malattie, croni-che, Mercato, patogeno.

BIBLIOGRAFIA1. Olshansky SJ et al.A potential declinein life expectancy in the United States in21st century. N Engl J Med 2005; 352:1138-45.2. The Institute for Health Metrics and

Evaluation (IHME). Girls born in 2009 will live shorter lives than their mothers in hun-dreds of US counties. IHME, 19.04.2012.3. Editorial. How to cope with an ageingpopulation. Lancet 2013; 382: 1225.

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L’ideologia del libero mercatopilota la crisi dei sistemisanitari

di Rodolfo SARACCI*

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La salute sarà un terreno di elezione delloscontro tra chi da una parte ha una seteinsaziabile di profitti e disegna un mondoin cui la sorveglianza dei corpi è centralealla sorveglianza totale su persone “privatedel privato” e chi dall’altra persegue l’idea-le congiunto di due beni umani primari,una uguale salute per tutti come compo-nente inseparabile di una uguale libertàper tutti.Alla base della attuale crisi nelle sue mul-tiple dimensioni, inclusa quella dei sistemisanitari, vi è la dismissione del pensieropolitico, nel senso letterale del dizionariodi “esclusione dal proprio ambito di com-petenza”. Da circa trent’anni nei paesi eco-nomicamente avanzati la politica (nellepersone e atti prevalenti dei politici dalledestre a quasi tutte le sinistre) ha estromes-so da sé la politica: un’esclusione che all’o-rigine è essa stessa un atto politico forte main seguito diviene un dato acquisito ed unaforma mentale.La filosofia e ideologia di questo atto è stataincisivamente espressa da una personalitàche aveva un pensiero politico forte,Margaret Thatcher[1]: il metodo è l’econo-mia, cioè la rappresentazione appoggiataalla teoria economica che più vi si presta,la più conveniente, dei rapporti di forzasociali sotto forma di leggi economichenaturali o meglio naturalizzate, considera-te valide quanto la legge di gravità, di cui sipuò solo prendere atto perché non vi èalternativa e a cui occorre piegare “cuore eanima”. E la teoria economica che megliosi presta è quella neo-classica nelle suevarianti dogmatiche più pure e dure tuttecentrate sull’ “homo economicus”, indivi-duo razionale massimizzatore sempre ecomunque del proprio particolare:

“Thereis no such a thingas society”.Esemplificativo di come nella pratica l’i-deologia politica si celi dietro la mascheradelle analisi economiche più convenientiè il lavoro di Reihnart e Rogoff [2], vigoro-samente criticato tra gli altri da PaulKrugman [3], che con una metodologiaprecaria e una base-dati rivelatasi erronea,pretendeva dimostrare che al di là dellasoglia del 90% del rapporto debito pubbli-co/PIL la crescita economica è gravemen-te compromessa. Questo lavoro è statocitato e usato, in particolare a livello diCommissione EU e di Eurozona, per faredell’austerità e della riduzione di talerapporto la priorità assoluta della politicaeconomica, a spese di tutto il resto.Da ormai trent’anni la dottrina neoliberaledei liberi mercati auto-regolatori ottimali ele realizzazioni ad essa coerenti formanoun meccanismo di rinforzo e sviluppotemporale reciproco che vincola quella cheuna volta si chiamava l’arte di governo. Ilgoverno è diventato “governance”, unaforma di “management” o gestione dina-mica delle organizzazioni tipo impresa,che quando è applicata all’arte di governone fa, come è stato appropriatemente nota-to [4], “un governo senza politica”.La Figura 1 mostra uno dei risultati, spetta-colari, dell’operare di questo meccanismosu scala mondiale [5]: si vede qui con gran-de evidenza cosa è accaduto all’evoluzionedel reddito (e presumibilmente questo siapplica ancora di più ai patrimoni) tra il1988 e il 2008.ll reddito dei poverissimi, punto all’estre-mo sinistro dell’ascissa, non è cambiato(variazione in ordinata), mentre il redditodi quanti erano nel 1988 al disotto del red-dito mediano mondiale è nettamente

*Epidemiologo,direttore di ricercain epidemiologiadel CNR (Pisa), si èoccupato di cance-rogenesi ambienta-le collaborando peranni alla IARC(Lyon) con LorenzoTomatis, è impe-gnato nella criticaai fattori di distor-sione dei sistemisanitari ancheattraverso l’uso deirisultati della ricer-ca epidemiologica.

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aumentato, fino a un più 70-80%: sono lecentinaia di milioni di abitanti della Cina,India, Indonesia, Brasile che sono uscitidalla povertà e entrati a far parte di unanuova “middle class”, per lo più piccola omedia. Nello stesso periodo il reddito èaumentato molto meno fino a diminuireper coloro che erano sopra la mediana,cioè le “middle-class” dei paesi economi-camente sviluppati come l’Italia; e infineall’estremo destro del grafico si vede l’im-pennata di aumento di reddito del 5% e1% dei più ricchi, su cui si è concentrato econtinua a concentrarsi il massimo benefi-cio. (V. Figura 1 ).In effetti nei paesi economicamente svi-luppati è in atto nell’ultimo trentennio,prima, durante e dopo la crisi e ancoraoggi, un meccanismo del tipo “Head I win,Tailyouloose”. Si concretizza in un diffe-renziale permanente di crescita del reddito

tra il 10% e ancor più l’1% delle personeall’apice dei redditi e tutto il resto (90% o99%) della popolazione, per cui c’è uncontinuo accumulo relativo di ricchezzaverso l’alto. È l’analogo di un circuito a val-vole che rende unidirezionale in qualun-que circostanza una parte dei flussi: questosia in tempo di aumento del PIL ( tipica-mente gli Stati Uniti prima del 2008) sia intempo di crescita zero, sia in tempo direcessione. Negli ultimi mesi in GranBretagna la ripresa della crescita del PIL,citata da alcuni come modello delle politi-che da imitare, va di pari passo con l’au-mento dei poveri. Nell’Europa dell’Euro,oggi largamente in fase depressiva, il mec-canismo significa confisca pura e semplicedi ricchezza da parte dei ricchi a spesedelle classi di reddito medie e inferiori. Èla nuova forma della lotta di classe, vin-cente per i ricchi come ha detto in una

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Figura 1 . Cambiamenti nel reddito reale tra il 1988 e 2008 nei vari percentilidella distribuzione globale del reddito

B. MILANOVIC, WORLD BANK, 2013

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celebre intervista il magnate della finanzaWarren Buffet [6], che francamente quantoall’indispensabile lucidità di analisi mostradi essere parecchio più a sinistra di legionidi appartenenti alle sinistre ufficiali.Finché persisterà questo flusso di ridistri-buzione della ricchezza qualunque sistemasanitario universalistico sarà sotto unapressione crescente verso la scissione insegmenti differenziati, per disponibilità equalità di prestazioni, per i diversi seg-menti di ricchezza della popolazione. Ilrischio di scissione è aumentato dal fattoche alla pressione esterna sui sistemi sani-tari esercitata dal flusso ridistributivo diricchezza si somma la pressione di aspira-zione delle risorse disponibili verso il sot-tosistema ospedaliero mantenuta dalle treforze tra loro collegate dei mutamenti tec-noscientifici, della domanda indotta edella “medicina difensiva”. Per questocredo che, al di là di calcoli economici pre-visionali quanto mai aleatori sul futuro dilungo periodo, nel contesto italiano il man-tenimento del sistema universalisticorichieda imperativamente due condizioni.Primo, di tutta la panoplia di interventiimmaginabili per preservare il sistemasanitario, quello della medicina territorialee del filtro (chiamiamolo “Consultazionemedica di urgenza”) a monte deiDipartimenti di Emergenza-Urgenza ospe-dalieri è indispensabile: è lì che c’è, dura-tura da decenni, una vera e propria“incompetenza programmata” formativa(del personale), delle strutture, della orga-nizzazione e, “last butnotleast”, degli inve-stimenti. Il lavoro meritorio e che segnasuccessi ad esempio della MedicinaGenerale si sviluppa di fatto in contro-cor-

rente rispetto alla persistente programma-zione della inadeguatezza del settore.La seconda condizione critica riguardal’indeterminazione del perimetro, chevaria nel tempo, della salute: questa sicostituisce come una risultante passivadegli sviluppi, sinergistici, antagonisti oneutrali che siano, dell’evoluzione propriadi differenti settori, demografia, economia,tecnologia. Non è l’accavallamento di que-sti sviluppi che pone problema, ma lo è ilcarattere passivo (reattivo anziché pro-atti-vo) della perenne rincorsa per mettere unapezza qui e una là, metti un “ticket” suquesto tipo di prestazione, tira via quest’al-tra in tutto o in parte dai livelli essenziali diassistenza e così via. Non è certo la definizione liturgica dellasalute dell’Organizzazione Mondiale dellaSanità che può aiutare un gran che in que-sta riflessione, come forse nessuna defini-zione. Perché non di definizione si tratta madel senso della salute come valore nellanostra società e civilizzazione, nel suo inter-secarsi con altri valori fondamentali come lalibertà e la giustizia . È un senso che dobbiamo assolutamentecostruire mentre ci avviamo sui camminisconosciuti delle società post-democratiche,entro le quali la salute sarà un terreno di ele-zione dello scontro tra chi da una parte hauna sete insaziabile di profitti e disegna unmondo in cui la sorveglianza dei corpi ècentrale alla sorveglianza totale su persone“private del privato” (come il fondatore diFacebook candidamente dichiara) e chidall’altra persegue l’ideale congiunto didue beni umani primari, una uguale saluteper tutti come componente inseparabile diuna uguale libertà per tutti.

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BIBLIOGRAFIA1. Margaret Thatcher in quotes. The Spectator, 08.04.2013 [Sito web con-sultato il 30.10.2013 http://blogs.specta-tor.co.uk/ coffeehouse/2013/04/margaret-thatcher-in-quotes/].2. Reihnart CM, Rogoff KS. Growth in atime of debt. American Economic Review.Papers and Proceedings 2010; 100(2):1-9.3. Krugman P. How the case for austerityhas crumbled. New York Review of Books,

06.06.2013.4. Ziegler J. Les nouveaux maîtres dumonde. Paris : Fayard, 2102.5. Milanovic B. Global income inequalityby the numbers : in history and now-Anoverview. Washington :World Bank,2012.WPS 6259.6. Stein B. In class warfare guess whichclass is winning. New York Times,26.11.2006.

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Perché bisogna difendere ilServizio pubblico

di Paolo VINEIS*

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 2014

Tony Judt, uno dei grandi politologi delsecolo scorso (morto prematuramente nel2010) ha scritto alcune delle pagine piùchiare ed esplicite sui mali che affliggono ledemocrazie odierne:«Conosciamo il prezzo delle cose ma nonabbiamo nessuna idea di quanto valgano.Non ci chiediamo più della sentenza di untribunale o di un atto legislativo: è buono? E’giusto? Ci aiuterà a migliorare la società o ilmondo? Queste sono le vere domande poli-tiche, anche se non hanno necessariamenterisposte semplici.Dobbiamo reimparare a porcele». (1) Unadelle ultime battaglie di Judt è stata quellaintorno al “ripensamento dello Stato”.Dopo il federalismo, i tea party e i movi-menti antifiscali, Judt va controcorrentericordandoci che se non pensiamo rapida-mente a come riformare e rafforzare lo Statole nostre democrazie possono avviarsi versoesiti imprevedibili.Nel testo che segue presento solamentealcuni aspetti di quanto può succedere seun serio ripensamento del significato delloStato (e una rivalutazione del suo ruolo) nonavverrà. Come dice Judt, non è più accetta-bile che le tasse siano viste da molti solocome una perdita di reddito a fondo perdu-to, come accade negli Stati Uniti.

CRISI ECONOMICA E CRISI DELLASALUTELa Grecia è un ovvio “laboratorio” involon-tario per studiare gli effetti recenti della crisieconomica, in parte per la rapidità con cuiessa vi si è manifestata.Per esempio, la disoccupazione negli uomi-ni è salita dal 6,6% nel 2008 al 26,6% nel2010, e tra i giovani dal 19% al 40%.Ricordo solamente alcune delle conseguen-

ze sullo stato di salute, ampiamente descrit-te e ormai ben note: un aumento del 14%(dopo il 2008) della frequenza di personeche descrivono la loro salute come “cattiva”o “molto cattiva”; un aumento dei suicididel 17%, e degli omicidi quasi del 100%;ancora più preoccupante è l’aumento dellafrequenza di infetti dall’HIV (52% in più nel2011 rispetto al 2010, soprattutto tra i con-sumatori di droghe). Nei primi 7mesi del2011 vi è stato un incremento di 10 voltedelle infezioni nei consumatori di droghe, ela frequenza di uso di eroina è aumentatadel 20% nel 2009. (2)Come mostra il caso della Grecia, il declinopuò essere più rapido della crescita, sia ineconomia sia nello stato di salute dellapopolazione. La crisi economica ha moltiinsegnamenti anche per il futuro dellasanità. La creazione della Comunità euro-pea dopo la caduta del comunismo e l’uni-ficazione della Germania venne avviata,come è ben noto, su una base prevalente-mente monetaria ma con ampie carenze isti-tuzionali. In particolare, venne creata unaBanca centrale, ma non una Finanza centra-le che potesse emettere obbligazioni euro-pee (gli Eurobond). Questo avvenne perchési ritenne che la politica avrebbe ovviato aquesta macroscopica carenza in caso dinecessità.Nella settimana successiva al fallimento diLehman Brothers, nel 2008, l’intero mondodella finanza collassò e richiese di esseresottoposto a un «mantenimento in vita arti-ficiale», per esprimersi con le parole diGeorge Soros. (3) Questo consistette nelsostituire il “credito sovrano” (basato sugaranzie da parte delle banche centrali e diun crescente deficit nel bilancio dei singoliStati) al credito delle istituzioni finanziarie

*Epidemiologo,docente

dell’Universitàdegli Studi di

Torino edell’Imperial

College (London),membro del comi-

tato etico dellaIARC (Lyon),

coordinatore diprogetti di ricercainternazionali in

epidemiologiamolecolare, gene-tica e ambientale,

dirige l’Unità diEpidemiologia

Genetica eMolecolare di

Torino (HuGeFFoundation NCIUSA), si è occu-pato di cancero-

genesi ambientalee professionale.

Centre forEnvironmentand Health,

School of PublicHealth, ImperialCollege, London.

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nazionali, non più accettato dai mercati.Il ruolo centrale che è venuto a giocare il“credito sovrano” ha rivelato un difetto difondo nell’intera costruzione, che non erastato chiaramente riconosciuto in preceden-za. Trasferendo alla Banca centrale quelloche era il diritto di stampare moneta a livel-lo nazionale (che creava inflazione interna,ma aumentava la competitività sui mercatiinternazionali attraverso la svalutazione), gliStati espongono il loro credito sovrano alrischio di fallimento (default). Questa situa-zione ha creato un’Europa, come si dice abi-tualmente, a due velocità, divisa tra credito-ri (in particolare la Germania) e debitori. IPaesi debitori che prendono denaro a pre-stito devono pagare “premi” che riflettono ilrischio di default; addirittura, il mercatofinanziario induce questi Paesi al defaultattraverso la speculazione. La creazione diun debito pubblico enorme fa scattare quel-le politiche di contenimento o di “auste-rità”, definite anche riforme strutturali, cheora appaiono chiaramente come politichedepressive, che conducono cioè a unadepressione economica perdurante. Nel 1982 avvenne qualcosa di simile quan-do si verificò una grave crisi delle banche, eil Fondo monetario internazionale salvò leistituzioni bancarie prestando una quantitàdi denaro appena sufficiente ai Paesi mag-giormente indebitati per consentire loro dievitare il default, ma a costo di spingerliverso una depressione di lunga durata.L’America Latina, in particolare, soffrì delladepressione economica per un decennio.Insomma, la crisi è dovuta certo allo strapo-tere delle banche e agli errori degli econo-misti, ma anche largamente alle carenze ealle degenerazioni della politica. E’ possibi-le che la crisi economica conduca alla finedi un’era anche in settori lontani dall’eco-nomia. Come abbiamo visto la fine diBrettonWoods e delle istituzioni finanziarieispirate alle teorie di Keynes, possiamo tro-varci a fronteggiare la progressiva erosionedi istituzioni come l’Organizzazione mon-diale della sanità. In vari modi la crisi attua-le conduce a cambiamenti materiali, psico-logici ed etici che possono avere conse-guenze a lungo termine per lo stato sociale el’uguaglianza. E’ possibile che l’efficacia di

agenzie centrali come l’OMS, che rilascialinee guida generali, venga completamentevanificata dalla mancanza di istituzionipolitiche nazionali abbastanza efficaci chepossano coordinare e rendere effettive lemisure preventive. Bisogna ricordare cheper ogni dollaro speso dall’OMS per la pre-venzione delle malattie causate dall’alimen-tazione occidentale, più di 500 vengonospesi dall’industria dell’alimentazione perpromuovere quelle stesse diete. (4) Vedomolte analogie tra la crisi economica e quan-to è successo in alcuni settori della salute, econ quanto può succedere in futuro se nonintervengono in modo energico entitànazionali e sovranazionali. Analogamentealla dissociazione tra la moneta unica el’assenza di un controllo efficace dellafinanza a livello locale e sovranazionale, laFramework Convention on Tobacco Controlsi sta rivelando inefficace per motivi noncosì diversi, riconducibili a uno strapoteredell’economia (la World Trade Organization WTO) rispetto alla politica (le Nazioniunite, l’OMS). La convenzione è uno sche-ma generale mirante a limitare il commercioe i consumi di sigarette, ma è stata forte-mente avversata dalla WTO sulla base dellaviolazione della libertà di commercio.Come afferma il sito web della WTO: «Almeeting del Comitato sulle barriere tecnicheal commercio della WTO del 24-25 marzo2011 in totale sono state sollevate contesta-zioni a 45 violazioni del diritto al commer-cio. [...] Mentre i membri della WTO nonmettono in discussione la finalità di prote-zione della salute, essi contestano che ildisegno di tale regolamentazione delle ven-dite del tabacco può avere un impatto inu-tilmente negativo sui commerci». (5)Un linguaggio contorto e legalistico per direche la libertà di commercio ha la prioritàsulla protezione della salute. E’ probabileche qualcosa di molto simile avverrà con leambiziose politiche come “25x25” (l’abbat-timento della mortalità da malattie cronichedel 25% entro il 2025, sancito nel 2011 dalleNazioni unite), e si estenderà dalle sigaretteai prodotti alimentari.

COSA SUCCEDE IN INGHILTERRA?Quanto sta succedendo in Inghilterra in

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seguito alla riforma di Lansley del 2012 èsemplicemente sconcertante. Secondo alcu-ni commentatori autorevoli (6) non è altroche l’ultimo atto di una strategia preparatada tempo, almeno da quando il BritishMedical Journal pubblicò nel 2002 il famo-so articolo che prendeva a modello la mana-ged care della Kaiser permanente. La recen-te riforma ha sostanzialmente (e legalmente)sottratto al Ministro della sanità la responsa-bilità della fornitura dell’assistenza sanitariaalla totalità dei cittadini, modificando unodei principi costitutivi del National HealthService (NHS). Ma prima di essa si è avvia-to un processo di privatizzazione profondoe apparentemente inarrestabile:- nel 2010, 227 ambulatori di general pratic-tioner (GP) erano gestiti da compagnie pri-vate, e Virgin Care amministrava circa 1.500GP per circa 3 milioni di pazienti.Il prossimo passo sarà probabilmente il pas-saggio dal finanziamento attraverso le tassea un sistema di assicurazioni private, oalmeno tutto sembra andare in quella dire-zione. Già ora i servizi forniti dall’NHS sistanno riducendo qualitativamente al mini-mo, e i pazienti sono invitati a top-up (inte-grarli) con assicurazioni private. Il modello delle assicurazioni integrative èuna china scivolosa in un contesto in cui laparola d’ordine è “ridimensionare lo Stato”,dunque ridurre progressivamente i servizierogati gratuitamente. Vi sono anche alcuniconflitti di interesse patenti (un problemasempre più comune in sanità), come il fattoche dopo una rapida carriera nel Ministerodella sanità come responsabile della strate-gia, Penny Dash (una delle maggiori ispira-trici della riforma Lansley) sia passata alavorare per la McKinsey, un gigante ame-ricano della gestione sanitaria. Il gloriososistema dei GP inglesi è ora sostituito dauna rete di trust che possono scegliere ipazienti, e dunque respingere quelli più arischio e più costosi (6).

LA SALUTE MORALECi sono vari modi indiretti attraverso i qualila crisi economica e il clima sociale possonoinfluire sulla salute. La maggior parte dellemalattie non trasmissibili possono essereaffrontate con successo con la prevenzione.La prevenzione ha diversi vantaggi sulle

terapie: il principale è il fatto che i suoi effet-ti possono durare indefinitamente, essa nondeve cioè essere rinnovata a ogni generazio-ne come le terapie. Bandire un cancerogenoambientale o occupazionale ha un effettorisolutivo, mentre senza prevenzione a ognigenerazione si presentano nuovi malati cherichiedono terapie. Inoltre, spesso gli inter-venti preventivi sono dotati di efficacia perpiù di una malattia (la dieta e l’esercizio fisi-co hanno un effetto positivo su diversi tipidi tumori, sulle malattie cardiovascolari, suldiabete, sull’ipertensione, e verosimilmentesulle malattie neurologiche), a differenzadelle terapie e degli screening genetici.Tuttavia, per essere efficace la prevenzionedeve essere basata su interventi a livellosociale, mentre sono largamente inefficacigli approcci strettamente individuali, la cuiutilità è in genere circoscritta alle classisociali più elevate. Ma il clima economico epolitico attuale non facilita uno sforzo col-lettivo per la prevenzione. La tendenza aprivatizzare la sanità, come si vede inInghilterra, significa che i medici avrannomeno tempo e interesse a promuovere lasalute. Già ora la proporzione della spesapubblica destinata alla prevenzione del can-cro (inclusi gli screening) è meno del 4% nelNord America e in Europa. La privatizzazione della sanità rende la pre-venzione scarsamente appetibile, perchéessa non genera profitti (con alcune eccezio-ni). Sul piano morale, la solidarietà era radicatanella società europea a partire dal secondodopoguerra, se non prima, ma appare oracome un concetto obsoleto. Di nuovo, Judtha dedicato pagine molto belle a «quello cheabbiamo perduto» (1).La divisione dei Paesi in creditori e debitorioggi getta una luce negativa sui secondi (laparola tedesca Schuld significa sia debitosia colpa). Più in generale, la crisi incre-menta le spinte localistiche (lo dimostrano,per esempio, le manifestazioni a Barcellonaper l’autonomia da Madrid), e l’enfasi suiconsumi privati piuttosto che sui servizipubblici, con il duplice obiettivo di sostene-re la produzione industriale e diminuire laspesa pubblica. Ma ci sono anche gigante-schi cambiamenti nella moralità pubblicache minano alla base la solidarietà. Quale

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può essere la reazione morale alle forme diingiustizia estreme e ovvie che ogni giornovengono commesse? Per esempio, i contri-buenti americani hanno versato 6 miliardidi dollari per salvare la Goldman Sachs, chel’anno dopo ne ha spesi 2,6 in bonus per isuoi topmanager. Walmart in un anno accu-mula una quantità di denaro (166 miliardidi dollari) superiore a tre volte l’intero PILdel Bangladesh. Qual è il posto della sanitàpubblica e della responsabilità individualein un contesto simile? Che l’aumentatamobilità del capitale ha reso impraticabili lepolitiche di welfare è una convinzione dif-fusa tra certi economisti paladini del liberomercato, in particolare in Europa. Lo spettrodel default mantiene i governi sintonizzati

sulle richieste del capitale speculativo. (7)Come possiamo aspettarci che le personecontribuiscano al welfare in questo scena-rio? In effetti, se l’Europa fallisce e la suaunione politica si sbriciola, una delle conse-guenze può essere la privatizzazione diparte dei servizi sanitari nazionali e l’intro-duzione di un sistema a due velocità: assi-curazioni private per i ricchi e un serviziopubblico impoverito e di bassa qualità per ipoveri, sottofinanziato con le tasse. Sarebbeuna regressione grave, e di questo dobbiamoconvincere la maggioranza dei cittadini.Serve innanzitutto un’opera di informazio-ne enorme per contrastare chi costantemen-te getta discredito sul ruolo dello Stato.Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

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BIBLIOGRAFIA1. Judt T. III Fares the Land. London, PenguinBooks, 2010.2. Kondilis E, Giannakopoulos S, Gavana M,Ierodiakonou I, Waitzkin H, Benos A. Economiccrisis, restrictive policies, and the population’shealth and health care: the Greek case. Am JPublic Health 2013;103(6): 973-9.3. Soros G. The tragedy of the European Union

and how to resolve it. The New York Review ofBooks 2012 (September): 87-93.4. www. foodcomm. org.uk5. http://www.wto.org/6. J Davis, R Tallis (eds). NHS SOS. London,One World, 2013.7. De Vogli R. Progress or Collapse: The Crisesof Market Greed. Abingdon, Routledge, 2013.

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Tumori ed economia: parte-cipazione e prevenzione

di Andrea MICHELI*

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INTRODUZIONEI decenni trascorsi hanno modificato la sto-ria della malattia oncologica in Italia e inEuropa. Conoscere l’evoluzione recentedel’epidemiologia dei tumori e l’impattodell’oncologia nelle nostre società permettedi disporre di elementiutili per valutare l’ef-ficacia dei diversi sistemi sanitari nel conti-nente. Nelle società economicamente matu-re e in generale in tutta l’area europea, infat-ti, il peso della malattia oncologica è diven-tato così rilevante in termini sociali e orga-nizzativi che lo studio della frequenza deitumori e della capacità di risposta allamalattia permettono di descrivere le condi-zioni della organizzazione sanitaria deiPaesi e in generale dello stato di salute dellepopolazioni. Dopo un ventennio di indagi-ni e avanzamenti nello studio della relazio-ne tra epidemiologia dei tumori e indicatorisocio-economici in campo macroeconomi-co, prima da parte di singoli ricercatori, poidirettamente da parte di grandi organismiinternazionali come la CommissioneEuropea o l’OCSE, le organizzazioni deipazienti e dei volontari, sia in Italia che inEuropa, hanno assunto come propri nuoviparadigmi che riassumono gli esiti dellaricerca nella relazione tra cancro ed econo-mia. Un segno di come importante sia pro-gressivamente diventato il ruolo delle formepartecipative, che oltre ad elementi rivendi-cativi, progressivamente introducono neiloro piani di azione le proposte per pro-muovere nuovi visioni della malattia nellasocietà, per collaborare alla stesura dei pro-grammi per la salute, e anche alla definizio-ne e conduzione di ricerche in campo onco-logico. I documenti di quelle organizzazioniche richiamano quei paradigmi descrittividel cancro nei nostri anni sono stati presen-tati sia al Parlamento Italiano che a quello

Europeo. I paragrafi che seguono richiamanoquei paradigmi aggiornandoli, ampliando illoro significato ed estendendo con nuovielementi l’insieme della visione che loropropongono.

IL CANCRO DESCRIVE LE NOSTRESOCIETÀIl cancro è un elemento descrittivo dellenostre società: è questo il paradigma fonda-mentale che sintetizza la conoscenza dellastoria oncologica degli anni recenti. E’ datempo noto infatti che in Europa non solo lasperanza di vita alla nascita, che delle con-dizioni di salute delle nazioni è uno deiprincipali indicatori, ma anche la sopravvi-venza per tumore, è risultato essere un indi-catore della performance dei sistemi sanita-ri. La sopravvivenza per tumore è associataal Prodotto Interno Lordo (PIL), cioè al livel-lo di ricchezza delle nazioni, è associata ailivelli di investimento in salute (cura e pre-venzione) ed è associata ai livelli di efficaciadei diversi sistemi sanitari. A livello sovra-continentale l’incidenza pertumore - la probabilità di ammalare pertumore - è direttamente associata alla ric-chezza della nazioni (il rischio di ammalareper tumore - anche corretto per età - è mag-giore nei paesi più ricchi e più basso neipaesi più poveri), ma la mortalità per tumo-re tende ad avere una associazione inversamostrando i livelli più alti di rischio didecesso nei paesi più poveri. Nelle aree amedio-alto livello di benessere del mondocome è l’Europa (anche se nel continentepermangono sacche di ritardo nella crescitaeconomica), i livelli di esito in oncologiasono da considerarsi tra i determinanti dellecondizioni di sviluppo economico e socialedelle società. Per questi legami macroeco-nomici tra salute/malattie e sviluppo, i dati

* Epidemiologo,Unità di

Epidemiologiadescrittiva e pro-

grammazionesanitaria INT

Milano, coordina-tore di progetti di

ricerca di cancerogenesi

ambientale.

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di frequenza di una grande patologia comeè la patologia oncologica dovrebbero essereconsiderati tra i grandi temi all’ordine delgiorno delle politiche nazionali e, con mag-gior valore, europee: purtroppo non è anco-ra così, anche se in organizzazioni sovrana-zionali economiche come l’OCSE, cheinclude molti Paesi dell’Unione Europea(UE), il tema oncologico è ora incluso nel-l’agenda delle questioni rilevanti di politicaeconomica. Il ritardo delle politiche nazio-nali - più che europee - nell’acquisizione dicome il cancro sia un elemento descrittivodella nostra società mostra drammatica-mente quale sia grande il fossato che è anco-ra aperto tra azione politica da un lato e svi-luppo della conoscenza e riconoscimentodei bisogni dall’altro.

I COSTI PER LA SALUTE E I COSTI PERIL CONTROLLO DEL TUMORE NONSONO SPESE, MA INVESTIMENTIE’ da tempo che l’Organizzazione Mondialedella Sanità osservando le relazioni tra ric-chezza e salute nei Paesi più poveri delmondo ha acquisito come l’aumento di ric-chezza non tende a precedere l’aumentonella speranza di vita, ma al contrario, hadefinito come siano gli aumentati livelli disperanza di vita alla nascita che permettonopoi lo sviluppo economico dei Paesi. Si èosservato infatti come l’azione sul migliora-mento di vita delle popolazioni più povereattraverso la lotta alla malaria e alle diversemalattie infettive - negli ultimi decenni lalotta all’AIDS -, la lotta alla denutrizione ealla mancanza dell’acqua, il controllo delleforme di conflitto, e primariamente la lottaalla mortalità neonatale e infantile, favori-scono il rinsaldarsi delle unità familiari, edegli individui, il progresso delle società equindi poi il loro sviluppo economico. Unmeccanismo analogo è ben possibile chegoverni anche la relazione tra aumento diricchezza e malattie cronico-degenerativenei paesi a medio-alto livello di benessere.Si va affermando così l’idea, almeno nellearee più acculturalizzate - in ambito socio-sanitario - del continente quindi, che nonsolo l’istruzione, come da tempo ogni politi-ca avveduta antepone agli elementi di cre-scita, ma anche la programmazione sanita-ria e la promozione della salute siano ele-

menti precursori dello sviluppo economicodelle società. Nelle società a relativo medio-alto reddito andrà presto rafforzandosi l’i-dea come specificatamente il controllo deltumore e dei suoi effetti a breve e lungo ter-mine (così come il contrasto alle grandipatologie di tipo cronico-degenerativo)siano elementi precursori del rafforzamentodello sviluppo sociale ed economico. Tra inuovi paradigmi scaturiti dalla recenteesperienza vi è quindi l’acquisizione che gliinterventi economici in sanità – in oncolo-gia – non debbano più essere consideratispese improduttive ma investimenti per losviluppo. Investire in salute, promuovere lasperanza di vita e la qualità di vita dellepopolazioni, offrire un rientro nella società achi sperimenta le grandi patologie cronico-degenerative come il cancro, significa per iPaesi Europei garantire il capitale socialeespresso dai soggetti colpiti e, quindi ingenerale, offrire maggiori opportunità di svi-luppo all’intera società. Il cancro è unamalattia delle età mature e avanzate, quelleetà più coinvolte nelle patologie cronico-degenerative e che ora, come indica unaparte rilevante del pensiero economico,debbono essere chiamate a mantenere unruolo attivo nella società: una motivazionein più per ragionare su quanto sia opportu-no investire nel controllo del cancro.Acquisire che l’uso di risorse per il control-lo del cancro sia un investimento che inte-ragisce con le prospettive nelle scelte politi-che del nostro Paese e in generale dei Paesidell’Unione Europea (UE), ai destini dellaquale l’Italia è legata: il tema in discussionein Italia e in Europa non dovrebbe esserecome “controllare la spesa sanitaria”, ma“quali e quante risorse debbono essere resedisponibili per investimenti nel controllodel cancro e delle malattie degenerativequelle che caratterizzano le nostre società”e come esse debbano essere utilizzate.

IL CONTROLLO DEI COSTI IN SANITÀ ÈUNA NECESSITÀ SOCIALE: CURARE ILCANCRO COSTA SEMPRE DI PIÙI decenni trascorsi hanno aperto la strada aenormi innovazioni nella conoscenza dellagenetica e della biologia cellulare. Gli avan-zamenti in tale direzione hanno favorito l’i-dea che possa essere possibile presto dispor-

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re di una mappa del rischio individuale dimalattia. Lungo questa strada si è lanciatacon grande dispendio di investimenti l’in-dustria farmaceutica individuando nellamedicina personalizzata un futuro per lorodi più ampi tassi di crescita del profitto.Nella realtà, nonostante i pubblici proclamie i grandi investimenti sia privati che pub-blici, ad anni dall’avvio di tali politiche diricerca, a fronte di una crescita importantedei livelli di conoscenza nel campo, non siè assolutamente in vista di una reale impor-tante applicazione clinica in grado dirispondere al crescente numero di nuovicasi di tumore che occorrono nei paesidell’Unione. La genetica molecolare nellesue applicazioni cliniche risulta in grado dirispondere con grande efficacia nella cura dialcune specifiche patologie rare propriedella trasmissione familiare (si può stimareche la cosiddetta medicina personalizzatapossa essere una risposta forse per circa il5% della casistica oncologica) ma nonrisulta (ancora?) in grado di offrire unarisposta alla stragrande frazione di tumorisporadici che paiono effetto della relazionetra pattern genetico individuale ed esposi-zione ambientale e che nella esposizioneambientale e negli stili di vita associatihanno la loro origine. In campo farmaceuti-co a fianco delle strategie per una medicinapersonalizzata si è anche andati a promuo-vere anno dopo anno l’introduzione dinuovi chemioterapici che di volta in voltapaiono in grado di offrire maggiori tempi (avolte alcuni mesi) nella speranza media divita per coloro che vengono colpiti dallamalattia. Nel campo della diagnostica perimmagini e a supporto della radioterapia, glianni trascorsi hanno visto una rapida evolu-zione di nuovi strumenti per l’investigazio-ne della presenza e dell’avanzamento dellamalattia. Si tratta di macchinari che richie-dono sempre più alti livelli di competenzaspecifica e di personale specificatamenteaddestrato e che hanno costi particolarmen-te alti spesso non compatibili con i livelli didisponibilità economica della aree menoavvantaggiate: inoltre per garantirne un loroadeguato uso sia in termini di competenzadisponibile, sia in termini di costi è neces-sario che essi vengano adottati solo laddovevi sia una adeguata numerosità di pazienti.

In ragione quindi dell’introduzione dinuove generazioni di farmaci e della diffu-sione di tecniche diagnostiche ad alto inve-stimento economico, i costi per la cura delcancro stanno crescendo a tassi più alti diquanto crescano le disponibilità di risorseeconomiche: ciò rappresenta un problemaper tutti i Paesi, anche per i Paesi più ricchie per quelli più interessati a investimentipubblici per il controllo del cancro. L’effettopiù macroscopico di tale fenomeno è che afronte degli importanti avanzamenti dellamedicina oncologica negli ultimi decenni lediseguaglianze in sanità possano ancoratendere ad aumentare a sfavore delle areemeno ricche e dei gruppi sociali economi-camente più deboli che sempre più faticanoad avere accesso alle migliori cure. A frontedi questi drammatici aspetti, sta prendendocorpo l’idea che si debba cercare di contra-stare le crescenti diseguaglianze sociali: i)riconoscendo come l’aspetto economicodebba essere introdotto negli elementi diconoscenza per lo sviluppo delle politichedi controllo del cancro, ii) promuovendo siaper la classe medica che per la ricerca mag-giori livelli di indipendenza rispetto all’in-dustria farmaceutica e della sanità: un obiet-tivo questo più facilmente raggiungibile sel’indipendenza scientifica si connette ai sog-getti della partecipazione, iii) rivendicandoin connessione tra tutti i soggetti interessatialla malattia - i partecipanti (classe medica,ricerca, organizzazione dei pazienti, orga-nizzazioni sociali interessati al controllo delcancro) come le politiche nazionali edell’Unione debbano farsi direttamente cari-co degli aumentati costi del controllo dellamalattia ed, infine, iiii) ricercando strade perprotocolli di cura che includendo l’informa-zione sui costi possano essere offerti ancheladdove le risorse economiche non paionoadeguate alle moderne linee per il controllodel cancro.

IL CONTRASTO AL CANCRO HABISOGNO D’EUROPA: LA CRISIDELL’EUROPAL’Unione Europea è attraversata da unagrave crisi: come descritta da molti osserva-tori, si tratta essenzialmente di una crisi diinadeguatezza delle istituzioni politicheunitarie rispetto alla realtà socio-economica

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dei Paesi Membri. La crisi, innescata nelprimo decennio del secolo da comporta-menti finanziari e speculativi, ha colpitoduramente le economie reali dei paesi diconfine dell’UE; la mancata indipendenzadella politica dall’economia, frutto dellavisione neoliberista, e una visione miope esubalterna dell’Unione alla speculazione hacostretto i governi più esposti alla specula-zione a ingiuste scelte di contenimentodegli investimenti nelle politiche sociali:scelte che hanno crudelmente interagitonegativamente con le politiche di difesa epromozione della salute degli Stati Membri,come è stato recentemente mostrato dalladrammatica situazione della popolazionegreca. L’uscita da tali politiche necessita ilriproporsi di una visione ideologica alterna-tiva che riaffermi il primato della politica edella democrazia: una visione che sia ingrado di dettare le proprie leggi al mercato ealla speculazione. In questa visione ideolo-gica alternativa è necessario che vada riaf-fermandosi l’idea, come spesso affermato,che non solo sia essenziale per le Nazioniinvestire in istruzione e in formazione,come da molti riconosciuto, ma anche inno-vativamente vada affermandosi l’idea cheinvestire nella difesa e nella promozionedella salute e specificatamente nel controllodel cancro sia non solo un democraticoapproccio per rispondere ai bisogni dellapersone ma una precondizione per garanti-re lo sviluppo economico anche nellesocietà avanzate e postindustriali; le moder-ne società richiedono per la gestione deglialti livelli di complessità raggiunti una sem-pre più ampia platea di soggetti con 20 eoltre anni di preparazione scolastica e for-mativa, un lungo periodo educativo chegarantisce solo al suo termine i risultati atte-si: si tratta ora di affermare sul piano euro-peo come gli investimenti in salute possanofavorire la conservazione e la promozionedel capitale sociale prodotto dall’istruzionee dalle esperienze di vita e siano quindi fun-zionali allo sviluppo della ricchezza delleNazioni. Una visione europea è la risposta aitemi di salute: le politiche sanitarie incampo oncologico richiedono adeguate eco-nomie di scala. E’ solo avendo a riferimentocentinaia di milioni di persone che lamoderna medicina è in grado di accumula-

re le quantità e le qualità di saperi in gradodi affrontare adeguatamente la complessitàinterdisciplinare che il cancro richiede ed èanche poi in grado di ridurne i costi asso-ciati. La dimensione Europea rispondeinfatti alle dinamiche della ricerca del labo-ratorio e della genetica che anno dopo annohanno trasformato la malattia oncologica inun insieme sempre più numeroso di singo-le patologie progressivamente ognunarichiedenti specifici protocolli di diagnosi etrattamento. Una condizione questa cherende la dimensione nazionale con i suoilimitati numeri di nuovi casi per singola

patologia, inadeguata a quell’accumulo diconoscenza necessario per il controllo diogni singola patologia. Una visione Europea- sovranazionale, in specie uno spazio comequello europeo così ricco di varietà di espe-rienze - tende ad accelerare i processi diinnovazione in campo sanitario. Per quantoconcerne i tumori, si pensi all’enorme diffi-coltà di acquisire nella pratica clinica gran-di innovazioni culturali nel trattamentodella malattia come quelle scaturite daglistudi in campo nutrizionale degli ultimivent’anni. Essi dopo le prime intuizioni eosservazioni epidemiologiche alla fine delloscorso secolo si sono visti via via arricchirenell’ultimo decennio di sempre più vastamesse di evidenze sperimentali così da for-marne ormai un corpo compiuto di cono-scenze. Gli studi di biologia genetica e cel-lulare hanno portato alle informazioni epi-demiologiche il substrato interpretativo chegiustifica la relazione tra alimenti e metabo-lismo cellulare. Il livello raggiunto dallo svi-luppo della conoscenza in tale ambito è taleche sarebbe importante - e ciò ragionevol-

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mente è più facile in ambito europeo - rico-noscere la presenza di una nuova terapianutrizionale per le malattie oncologiche - eper le patologie cronico-degenerative -, chevada ad affiancarsi e a interagire con le tera-pie chirurgiche, chemioterapiche e radiote-rapeutiche che hanno determinato i grandisuccessi nel contrasto ai tumori nel corsodei decenni trascorsi. I decenni più recentihanno visto in Europa fortunatamente pro-gressivamente crescere tra gli Stati Membri,prima lo scambio informativo, poi la coope-razione e infine il coordinamento delle poli-tiche di controllo delle malattia, dapprimaforse per le patologie oncologiche infantili ele malattie oncologiche rare e poi con sem-pre maggiore importanza anche per la gran-di patologie come il tumore della mammel-la e i tumori del colonretto. I recenti datidello studio Eurocare alla sua quinta espe-rienza presentano segni iniziali di inversio-ne di tendenza rispetto agli esiti delle prece-denti indagini: essi iniziano infatti a mostra-re una diminuizione della differenza nellasperanza di vita per chi conosce il tumoretra i cittadini europei delle diverse nazioni esono plausibilmente il risultato del progres-sivo sforzo su scala europea per promuove-re una visione unitaria della politiche dicontrollo del cancro.

LA RIDUZIONE DELLE DISEGUAGLIAN-ZE IN ONCOLOGIA RICHIEDE UNAGESTIONE DELLA MALATTIA ECONO-MICAMENTE E STRATEGICAMENTECOMPATIBILEIn Europa permangono grandi diseguaglian-ze: alta mortalità nei Paesi e nelle aree piùpovere, alta incidenza (rischio di ammalare)in molte aree più ricche, migliore sopravvi-venza - e più alta prevalenza (presenza dipersone con esperienza oncologica nellasocietà) - nelle aree più ricche. Il controllodel cancro e il contrasto alle diseguaglianzein oncologia richiede strategie con obiettivia breve termine nella cura per ridurre ledisparità nella prognosi, a medio terminenella riabilitazione (nella sua accezione piùampia che include riabilitazione fisica, per-sonale e sociale) per ridurre le disparità nelcontrollo della malattia dopo la fase piùacuta e a lungo termine nella prevenzioneper ridurre le disparità nel rischio di amma-

lare di tumore. Un approccio quindi nonestemporaneo ma di lungo periodo con undisegno chiaro delle prospettive a breve, amedio e a lungo termine, sapendo che solol’interazione tra le diverse strategie permet-terà la gestione economica di un temaincompatibile con le risorse disponibili senon affrontato con la dovuta razionalità. Nel breve periodo si tratta di potenziare esempre più promuovere le esperienze dicoordinamento avviate nell’Unione indivi-duando quegli aspetti di organizzazione, diapproccio multidisciplinare, di scambioinformativo, di gestione coordinata, di con-trollo delle politiche di spesa per i farmaci ela diagnostica strumentale visti come ele-menti chiave per la diffusione delle miglio-ri pratiche di cura e in generale di indivi-duare protocolli di controllo della malattiaaccessibili anche per i Paesi e le Regionidell’Unione dove i redditi sono più bassi:tutti sforzi finalizzati per raggiungere nel piùbreve tempo possibile un eguale accessoalle cure per tutte e tutti i cittadinidell’Unione. Per politiche di medio termine si tratta diacquisire come l’aumentata speranza di vitaper coloro che conoscono la malattia stiaprogressivamente modificando l’interesse aidati forniti dalla epidemiologia della malat-tia. Prima esso era concentrato sulle gran-dezze di incidenza (i nuovi casi) e mortalità(la frequenza dei decessi) ora sempre piùoltre che alla sopravvivenza (la speranza divita per chi si ammala), l’interesse è indiriz-zato ai dati di prevalenza (la frequenza disoggetti con un passato oncologico). I casiprevalenti si contano a milioni nell’Unionee sono prossimi a 1,5 milioni nella solaItalia. Si tratta di una vasta platea di sogget-ti che in funzione della specifica malattia,del tempo trascorso dalla diagnosi, dagliesiti che la malattia ha loro lasciato, sonoportatori di bisogni e domande specifiche disostegno da parte della società. La risposta ailoro bisogni è per ora lasciata a frammenta-rie esperienze locali, e su base più generaleal successo rivendicativo delle organizza-zioni di volontariato oncologico che a livel-lo nazionale o dell’Unione marcano la loropresenza ottenendo dalla politica elementidi risposta ai loro bisogni. Si tratta ora diacquisire come il nostro futuro compren-

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derà ampi strati di popolazione (specie inetà matura e avanzata) che hanno sperimen-tato nella loro vita la malattia oncologica e aloro fianco si porranno altri vasti strati disoggetti che avranno sperimentato gli effettidi altre patologie cronico degenerativeanch’esse lesive della storia lavorativa, pro-fessionale, familiare, sociale, psicologica esessuale ma nel contempo richiedenti ildiritto di un ruolo non separato e ancoraattivo nella società in tutte le sue dimensio-ni. Un obiettivo ragionevole include lanecessità di porre ora le basi per raggiunge-re nel medio periodo una diversa organizza-zione sanitaria, una più moderna politicaeducativa per il personale medico e sanita-rio, una più consapevole politica del lavoro,del sostegno familiare, della cura domicilia-re, tutte indirizzate alla acquisizione che lasocietà abbia nel proprio seno una frazionesempre più importante di popolazione por-tatrice di una fragilità determinata dagli esitidi una importante malattia sociale come è ilcancro nelle nostre società. Si tratta inoltre come programma a lungotermine di confermare o di ri-avviare ungrande piano per la prevenzione primariache riproposto dall’Unione coinvolga tutti iPaesi Membri perché attraverso politichemultisettoriali, coinvolgenti l’agricoltura,l’industria, il commercio, l’educazione, laformazione medica e generale e le fontiinformative di massa progressivamente sipossa ridurre l’esposizione ai fattori noti dirischio oncologico e nel contempo si possaaumentare l’esposizione ai fattori protettivi.E’ da tempo noto che se fossimo in grado diannullare l’esposizione ai fattori di rischioconosciuti nei diversi Paesi dell’Unionepotremmo ridurre nel tempo l’occorrenza dinuovi casi in proporzioni variabili macomunque prossime o superiori al 50%. Visono sempre più forti evidenze inoltre chela riduzione dell’esposizione ai fattori dirischio noti oppure l’aumento dell’esposi-zione ai fattori protettivi, essenzialmentemodificando stili di vita e stili alimentari,possano decisamente migliorare la prognosianche per chi ha già conosciuto la malattia.Vi sono anche evidenze sempre più convin-centi come i fattori associati al rischio e inspecie i fattori associati alla protezione dalrischio correlati al rischio oncologico sono

gli stessi che interagiscono con numerosealtre malattie cronico-degenerative incampo cardiovascolare, neurologico, meta-bolico.Il programma europeo Gain Health, avviatonel decennio scorso, ha indicato agli StatiMembri un programma finalizzato all’elimi-nazione del tabacco, al forte contenimentodell’uso dell’alcol, alla promozione di com-portamenti alimentari salutari e al contrastoalla sedentarietà; un programma importantee non noto al pubblico che potrebbe portarenel corso dei prossimi decenni ad una forteriduzione del rischio di ammalare per

tumore. E’ noto infatti che l’occorrenza digran parte dei tumori solidi sia associata aesposizioni a fattori avvenuti anni o decen-ni prima la comparsa della malattia, e chequindi un programma di prevenzione pri-maria possa cogliere i più evidenti fruttidella propria azione dopo decenni dal suoavvio. E’ vero peraltro che per alcuni fattoricome l’esposizione a campi elettromagneti-ci o a benzene l’attuazione di interventi pre-ventivi potrebbero ridurre il rischio a brevetermine per tumori come la leucemia inbambini esposti, una patologia relativamen-te non frequente ma di grandissimo impattosociale (perché ad esempio, non si interranole linee elettriche in Italia laddove l’urbaniz-zazione ha raggiunto le linee di trasportoelettrico oppure non si mantengono le sta-zioni per il rifornimento di carburante lon-tano dalle abitazioni?). Il programmaEuropeo avviato in Italia con il nome diGuadagnare Salute dall’ultimo GovernoProdi venne poi praticamente chiuso dalsuccessivo Governo Berlusconi e ora plausi-bilmente procede con limitati fondi e sotto

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traccia. A fianco di quel programma sipotrebbe promuovere una legge nazionaleper la prevenzione dai fattori industriali dirischio oncologico progressivamente elimi-nando dalla nostra società le sostanze can-cerogene, magari seguendo la strada chel’Italia, pur con fasi alterne, ha da tempoavviato per la progressiva eliminazione del-l’amianto dalle nostre città. L’amianto, come altri subdoli inquinantiindustriali, provoca tumore negli espostianche dopo 30-40 anni e più dall’esposizio-ne e sebbene esso sia stato da anni toltodalla produzione e dal commercio (almenoin Italia e in molti altri Paesi) sappiamo cheancora non abbiamo raggiunto il picco diincidenza, in relazione alla esposizione pre-gressa e ancora molte saranno le vittime peril suo uso dissennato e criminale nel passa-to. Vi sono esempi positivi che mostranocome politiche nazionali indirizzate a gran-di piani di prevenzione portano a successirilevanti nel controllo del cancro: è il casodella Svezia e forse anche della Finlandia.Si tratta di Paesi che trent’anni e oltre orso-no lanciarono grandi programmi di preven-zione puntando essenzialmente sulla modi-fica degli stili alimentari e di vita dei cittadi-ni delle loro Nazioni. Vi sono osservazioniche mostrano come in quei paesi il patternalimentare venne modificato e a fianco delcontenimento del tabagismo e in parte del-l’abuso di alcool si è allargata la fascia dicoloro che praticano attività fisica nel corsodella loro vita. E’ interessante notare come laSvezia, in particolare, è tra i Paesi Europeicon livelli di incidenza di tumore decisa-mente inferiori a quelli di altri Paesi a eco-nomia avanzata: nel contempo avendomeno nuovi casi da trattare ha plausibil-mente reso disponibile molte più risorse diquanto possano fare altri Paesi per la cura dicoloro che si ammalano, con un migliora-mento della prognosi evidente nell’interapopolazione di pazienti oncologici; il pro-blema per quella Nazione è come trovarerisorse per garantire risposte adeguate perl’alto numero di soggetti prevalenti che l’al-ta capacità di cura ha determinato: di certoun problema di altra natura rispetto ai Paesiche non hanno investito in prevenzione pri-maria o non hanno risorse adeguate per lacura, dove la malattia ancora determina una

mortalità a volte inaccettabile e livelli diincidenza così alti da rendere il tumore unamalattia coinvolgente praticamente tutte lefamiglie.

I SISTEMI SANITARI PUBBLICI SONOLA RISPOSTA: DALLA EFFICIENZAALLA EFFICACIA, DALLE PROCEDUREAGLI ESITIL’esperienza di questi decenni ha mostratocome i sistemi sanitari di tipo pubblicobasati sul principio della salute come dirittodelle persone (Italia, Spagna, paesi Nordici),oppure quelli di tipo assicurativo ma con unintervento di tipo pubblico per il controllodel cancro (Francia, Germania), quandoinvestono proporzionalmente alla ricchezzadisponibile, tendono a mostrare esiti sanita-ri migliori degli altri sistemi, contenendonel contempo i costi e risultando pertantosistemi organizzativi più efficaci. Laddove ègiuridicamente acquisito come la salute siaun diritto delle persone, è il sistema pubbli-co che è chiamato a sostenere i costi neces-sari al controllo della malattia anche evitan-do che le persone coinvolte siano chiamatealla partecipazione alle spese sanitarie pro-prio nel momento del bisogno; anche inqueste condizioni i sistemi pubblici tendo-no a mostrare una minore spesa pro-capite aparità di esiti rispetto ai sistemi di altra natu-ra. Per una valutazione oggettiva dei sistemisanitari, è tempo che venga superata la criti-ca alle organizzazioni sanitarie esclusiva-mente basata su valutazioni di efficienza deisistemi. Ciò che conta è misurare la perfor-mance dei sistemi sanitari in termini di esitodi salute. Si tratta ad esempio di misurare imiglioramenti nella prognosi dopo la malat-tia, oppure di evidenziare la riduzione delnumero di nuovi casi di malati di cancro,piuttosto che contare il numero di refertidiagnostici mediante TAC, oppure il nume-ro di dosaggi biologici nell’unità di tempocome avviene quando la misurazione deisistemi mira a valutare la funzionalità del-l’organizzazione sanitaria e non i suoi esiti.Si noti che nell’approccio prevalente, quel-lo che studia la solo efficienza, la valutazio-ne della performance dei sistemi avvienesenza che si consideri se quegli esami dia-gnostici o quei dosaggi siano funzionali omeno al controllo della malattia, quindi

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indipendentemente dagli esiti e dal soddi-sfacimento delle persone coinvolte. Il siste-ma privatistico e a remunerazione per pre-stazioni è ovviamente più permeabile alrischio di una sanità che produce danniinvece che cure, come è stato il caso puntadell’iceberg della clinica S. Rita a Milanodove si praticavano interventi chirurgiciinutili con il solo scopo di incrementare ilrimborso pubblico (il caso S. Rita forse èoccorso non a caso nella regione Lombardia,dove maggiore è la spinta per una privatiz-zazione della sanità con la variante di unsistema pubblico che accredita il privato e lopaga a prestazione, lasciando così di fatto alpubblico, che deve rispondere al principiocostituzionale del diritto universale allasalute, le prestazioni meno remunerate e ingenere ad esito sanitario meno felice). Se ilcaso S. Rita è un evento di mala-sanità condanni penali sono infinite le evidenze chemostrano come il sistema privatizzato(anche entro un quadro pubblico) porta asprechi, a diagnosi ripetute e inutili, sino aperversi danni alla salute.Il sistema sanitario per incontrare i bisognidelle persone dovrebbe essere indirizzato alcontenimento della domanda (numero dinuovi casi) attraverso continue politiche diprevenzione primaria e di educazione sani-taria: ciò in contraddizione con le attese disistemi privatistici che richiedendo la renu-merazione dell’investimento e l’aumentodei tassi di profitto non possono che clamo-rosamente desiderare la crescita delladomanda e l’aumento del numero dei mala-ti! E’ inoltre necessario affermare che lecaratteristiche dei sistemi sanitari si disco-stano fortemente da altri sistemi dellasocietà. Il sistema sanitario è contraddistin-to da una disparità radicale tra domanda eofferta: le conoscenze nella moderna medi-cina specializzata sono patrimonio deglispecialisti, non dei pazienti, che non posso-no che accettare - se vissute a livello indivi-duale - le indicazioni di diagnosi e cura chevengono loro offerte. A partire dallaLombardia, la regione dove più forte è statol’attacco anche su base teoriche contro ilsistema universalistico (la salute come dirit-to universale delle persone), si è propagan-data l’idea che fosse necessaria una svoltaverso un sistema che garantisse “libertà di

cura”. Una propaganda falsa che ha deter-minato in specie per i pazienti oncologicil’aggravarsi delle condizioni di vita dellepersone malate; proprio allorché i pazientinecessitano di un sistema che prenda curadi loro attraverso “la presa in carico”, garan-tendone anche la “continuità delle cure”, siè andati a proporre un modello che ha sepa-rato il paziente dal sistema lasciandolo solocon la propria malattia (libero di esseresconfitto!) con il solo obiettivo di potenziarela sanità privata e il profitto in sanità. Ilmodello pubblico derivato dal SistemaSanitario come immaginato dalla Riforma

negli anni ‘70 che lo ha introdotto tendevainvece a includere nell’attività sanitaria “lapresa in carico“ dei cittadini caricando nelproprio sistema organizzato il peso dellavalutazione delle scelte necessarie alpaziente, della necessità di richiami di con-trollo e anche dell’educazione sanitaria fina-lizzata al contenimento dell’esposizione airischi di malattia; di fatto proponendo pertutte la patologie il modello tradizionaleadottato per le malattie trasmissibili, dove èil Sistema Sanitario che chiama il cittadino(attualmente è così ancora nelle età infantilie per altri ambiti nelle regioni più virtuose)alla prestazioni necessarie per la loro profi-lassi, lasciando comunque (salvo nei casi dirischio per il pubblico) alla libera scelta delcittadino se, e dove, accettare la prestazioneproposta. In questo modello trova postoanche il metodo della continuità di cura, unmetodo che tende ad offrire ai pazienti unapproccio multidisciplinare con legamistrutturati tra medica specialistica e di base,non solo nella fase di acuzie della malattia,ma anche nelle fasi seguenti di cura e con-

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trollo, assumendo in pieno l’aspetto dellapossibile cronicità delle patologie, come è lacaratteristica della malattie prevalenti dellenostre società; un metodo quest’ultimo cheproficuamente tende ad abbandonare quel-la negativa pratica dove le persone venganoviste attraverso la loro malattia piuttosto chenell’interezza della loro umanità, dotate cia-scheduna di una propria individualità conproprie specificità e nel caso di persone inetà matura spesso in condizioni dove piùmalattie coesistono, si sovrappongono einteragiscono.

LA SANITÀ DI DOMANI DEVE PRO-MUOVERE SISTEMI SANITARI PUBBLI-CI E SOCIALILa sanità pubblica in Italia sebbene capa-ce di esiti tra i migliori nel mondo hamostrato gravi pecche in termini di spre-chi, corruzione, mala-conduzione per ilpeso rilevante nella loro gestione da partedel sottobosco partitico, e poi di consorte-rie, corporazioni sanitarie talvolta troppoinclini al solo profitto privato, gruppi dipotere non dichiarati, spesso in conflittotra loro e lontani dagli obiettivi di promo-zione della salute voluti dal sistema. Si tratta di organizzazioni spesso permea-bili al peso corruttivo dell’industria farma-ceutica e dei sistemi diagnostici che hannoreso la sanità oggetto ampio di feroci criti-che dell’opinione pubblica e indaginidell’Autorità Giudiziaria. Un sistema quel-lo cresciuto dopo l’avvio della RiformaSanitaria che per anni si è mossa non con-sapevole dei forti legami che la sanità e inspecie quella devoluta al cancro mantienecon l’economia, la politica economica el’organizzazione complessiva della società.In relazione al ridotto peso delle forzesociali riformatrici si è quindi avviata neglianni ‘90 una Riforma della Riforma (unacontroriforma!) che ha trasformato leunità di base del sistema in aziende ripro-ponendo il legame tra sanità ed econo-mia, ma in senso liberista (sino a dram-matici eccessi avviati in Lombardia)accentuando e formalizzando in tal modoi difetti del processo di privatizzazione/corporativizzazione/separazione tra mezzi efini (la promozione della salute) che l’or-ganizzazione sanitaria avrebbe in seguito

messo in evidenza.Nell’applicazione della Riforma Sanitariadegli anni ‘70 è mancata la capacità diautoriforma contro i processi corruttivi edi strisciante privatizzazione, perché nonera a quel tempo acquisita a livello delpubblico più vasto l’aspetto prioritariodella Partecipazione. Partecipazione nondelegata attraverso le forme della democra-zia rappresentativa (come si è andaticostruendo nell’applicazione della Riforma)ma diretta e consapevole da parte di sog-getti interessati ai diversi temi che ilmondo sanitario include. Si tratta questodi un punto dirimente per affrontare lasanità di domani che dovrà essere pubbli-ca e sociale. Una proposta questa chesupera sia la proposta iniziale dellaRiforma Sanitaria e anche drasticamentequella di tipo aziendalista per un model-lo più prossimo ad una organizzazionesociale dove esista una forte commistionetra potere tecnico/rappresentativo e con-tropotere partecipante. L’idea di un pro-cesso partecipato nella sanità data dadecenni ma ancora tarda ad essere comeelemento fondante di un sistema che siain grado di ri/connettere pazienti e medi-ci, sanità e salute, e anche decisioni escienza. E’ una idea questa che affonda lesue radici in diverse esperienze nelmondo occidentale (per quanto concerneil cancro è ad esempio il Canada ad avereavviato da decenni le proposte organizza-tive forse più avanzate) ma che in Italia haavuto importantissimi esempi nelle prati-che sociali e culturali negli ‘60 e ‘70 lad-dove la società si è connessa alla sanitàcome avvenne nella esperienza deiGruppi Operai Omogenei (GOO) e nelparadigma connesso della validazioneconsensuale. I GOO sono un insieme col-lettivo di soggetti che avendo una comu-ne esperienza di esposizione a rischio ditecnopatie studiano collettivamente lecondizioni di lavoro che esperimentano,richiedendo la collaborazione dei medicie dei tecnici della salute e dell’ambienteper la valutazione strumentale dell’entitàdei rischi e la sopravvenienza di dannialla salute connessi, mantenendo per séattraverso la validazione consensuale ilgiudizio ultimo sulla qualità dell‘esito

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della valutazione tecnico/sanitaria. Si trat-ta di un modello che innova culturalmen-te l’iniziativa sociale in sanità perché i.) sulpiano dei rapporti medici-cittadini/pazien-ti esso rimette al centro il punto di vista deisoggetti oggetto dello studio (dice oral‘European Cancer Patient Coalition, lacoalizione europea che nel contrasto alcancro organizza milioni di pazienti evolontari in Europa: niente su di noi senzanoi); ii.) sul piano del rapporto tra organiz-zazione sanitaria e salute esso assume ilpunto di vista di chi è leso come priorita-rio, ma esprimendolo in connessione conil parere tecnico-sanitario a cui riconoscevalore, importanza e necessità contrastaogni deriva privatistica, economicista,tecnicista, o corporativa; iii.) infine, forsein modo veramente innovativo sul pianodel rapporto tra decisione e conoscenzascientifica quel metodo afferma il primatodel consenso pubblico, come espressioneumanamente positiva, su quello di chi fascienza. Si consideri in tale contestocome nell’esperienza di avanzamento diconoscenza dell’ultimo secolo quantevolte ci si è accorti come - adottando gliapprocci che la scienza moderna ha resodisponibili - il processo di avanzamentodella conoscenza non trovi ostacoli perquanto attiene la possibilità di accumula-re esperimenti e evidenze sino alla risolu-zione del problema da affrontare; è abba-stanza noto infatti come di fronte ad unnuovo problema sanitario o di altra natu-ra si è ora in grado con un accettabilelivello di approssimazione di stimare iltempo necessario al raggiungimento dellasoluzione del problema una volta stabilitii livelli di investimento disponibili e ilgrado di internazionalizzazione con ilquale il problema viene affrontato. Si con-sideri d’altra parte come la scienza, vuoimossa da imperativi ignobili e antiumani-tari, come abbia mostrato negli esperimen-ti condotti su cavie umane dal regime nazi-sta, oppure mossa da imperativi militari-sti/antiumanitari ed economicisti (o ancheper mero spirito di conoscenza) come essaabbia mostrato negli studi sulla divisionedell’atomo o più tardi nella produzione diibridi biologici (innestando cellule di orga-nismi di specie diverse), si sia immessa in

strade che portino danno o possono por-tare danno alla umanità creando una scien-za nemica dell’uomo. E’ per questo che lascienza in specie quella devoluta allamedicina e alle discipline connessedovrebbe riconoscere valore ad una scien-za partecipata (la creazione dei comitatietici e altre esperienze similari vanno inquella direzione): una scienza che ricono-sca ai partecipanti (alla società) il dirittoad esprimersi vuoi nelle scelte versoquale direzione procedere, vuoi sullemodalità di conduzione degli studi, vuoiinfine sugli esiti delle investigazioni

lasciando che sia il pubblico ad esprimereil parere ultimo sul valore della ricercanell’interesse dell’uomo. Di più, è ben pos-sibile e già emergono esperienze convin-centi al riguardo come sia proprio il puntodi vista collettivo dei partecipanti che pro-muove una nuova scienza. Ci sono primeevidenze almeno per quanto attiene lascienza medica, che sia proprio la connes-sione tra scienza e società che provocainnovazione e crea nuova conoscenza(ascoltare i pazienti non è forse la primaforma elementare di raccolta dati per laconoscenza?): la partecipazione deve esse-re pensata come parte di un metodo piùavanzato di fare scienza. La scienza moderna nelle sue più importan-ti basi, anche in campo medico, è figlia diGalileo e del “pensiero sperimentale indut-tivo” (trarre leggi generali dall’osservazionesu casi particolari) e poi di Newton e del“pensiero sperimentale deduttivo” (parten-do da ipotesi generali saggiarne la loro vali-dità in casi particolari) e infine di Einstein edella “libera creazione di costrutti teorici”

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(assumere che il mondo della conoscenza equella della realtà camminino in modoseparato e che quindi non vi siano leggi uni-versali eterne ma che al contrario di volta involta si possano individuare modelli inter-pretativi della realtà che più risultino ingrado di spiegare la realtà, magari probabili-sticamente,): l’esperienza dei Gruppi Operai

Omogenei e delle iniziative di partecipazio-ne più forti in sanità di questi ultimi decen-ni forse aprono il futuro ad un nuovo mododi fare scienza nella quale si rompa la sepa-ratezza tra società e conoscenza sino alpunto di vedere la società parte inclusivadel metodo scientifico, attraverso una scien-za democratica.

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 201462 Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario

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Un intervento di prevenzionepossibile e altamente auspica-bile: la prevenzione dellaSindrome Metabolica (SM)di Franco BERRINO*

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Lo stile di vita occidentale, caratterizzato dacrescente sedentarietà e da una dieta sem-pre più ricca di alimenti industrialmenteraffinati, ricchi di zuccheri, grassi e alimen-ti di origine animale, contribuisce a granparte delle patologie croniche che affliggonole popolazioni occidentali: le malattie car-diovascolari, il diabete, i tumori più fre-quenti, le demenze senili e in generale lemalattie neurodegenerative, nonché adinstaurare una serie di condizioni di rischioquali l’obesità, l’ipertensione, le dislipide-mie, l’osteoporosi, la resistenza insulinica.La prevalenza di queste patologie è in conti-nuo aumento anche a causa dell’invecchia-mento progressivo della popolazione, resopossibile dalla scomparsa della fame e dellemalattie infettive come causa principale dimorte, e dai successi della medicina pertener in vita gli anziani affetti da malattiecroniche (oltre il 90% degli ultrasessanta-cinquenni). Ne consegue un quadro di crescentedomanda di prestazioni sanitarie che,accoppiato alla crescente offerta di tecnolo-gie diagnostiche e terapeutiche sempre piùavanzate e costose, prefigura un quadro diprogressiva insostenibilità economica dellasanità.

LA SOLUZIONE NON PUÒ CHE ESSERELA PREVENZIONE PRIMARIA Gli investimenti di prevenzione delle malat-tie croniche sono adesso pressoché esclusi-vamente per interventi medicalizzanti, gliunici redditizi: farmaci (anti-ipertensivi,ipocolesterolemizzanti, ipoglicemizzanti,anticoagulanti, antidepressivi, integratoriminerali e vitaminici di dimostrata inutilitào dubbia utilità, vaccini contro i virus can-cerogeni) e tecnologie per la diagnosi preco-ce (strumenti radiologici ed endoscopicisempre più avanzati e biomarcatori). Tuttoquesto nonostante si siano accumulate e sistiano accumulando sempre più prove chela scelta di uno stile di vita più sano con-sentirebbe di prevenire molte più malattiedi quanto non potrà mai fare la medicinatecnologica, prevenendo altresì la medica-lizzazione massiva delle persone anziane.Un comune denominatore di molte malattiecroniche è la cosiddetta sindrome metaboli-ca, una condizione convenzionalmentedefinita dalla presenza di tre o più deiseguenti fattori: pressione alta, glicemia alta,trigliceridi alti, colesterolo HDL basso, adi-posità addominale. Altre componenti dellaSM sono la resistenza insulinica, lo statoinfiammatorio cronico, l’iperuricemia, l’o-

*Epidemiologo,DirettoreDipartimento diMedicinaPreventiva ePredittiva INTMilano, tra i fonda-tori dei registri deitumori in Italia ein Europa, dirigeprogetti di ricerca su dieta ecancro.

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Figura 1

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besità, e, nelle donne, l’iperandrogenismo.Ci sono sempre più indicazioni che la sin-drome metabolica e i suoi determinantiinfluenzano negativamente anche la pro-gnosi dei malati di cancro (in particolare delcancro della mammella, dell’intestino edella prostata). V. Figura 1. Numerosi studi clinici, al di là di ogni ragio-nevole dubbio, hanno dimostrato che:1) riducendo i cibi di provenienza animale(in particolare carni rosse, salumi e latticini)e aumentando i cereali integrali e i legumi(in particolare la soia), si riduce il colestero-lo LDL;2) riducendo gli zuccheri, si riducono i tri-gliceridi;3) riducendo i grassi e aumentando le ver-dure e l’attività fisica, si riduce la pressionearteriosa;4) scegliendo un’alimentazione basata pre-valentemente su prodotti vegetali, non indu-strialmente raffinati, si previene e si riducel’obesità e il diabete. Rigorose sperimenta-zioni cliniche hanno inoltre dimostrato cheè possibile far regredire la sindrome metabo-lica con la dieta mediterranea. (V. Figura 2) Rimane solo da dimostrare, e su questo sidovrebbe impegnare la ricerca e la speri-

mentazione nella pratica, come sia possibi-le trasferire al meglio tutte queste conoscen-ze nella vita quotidiana dei cittadini e nellaristorazione collettiva (scuole, ospedali,mense aziendali, paninerie) così che possa-no avere il loro benefico impatto sui livellidi salute collettiva. Per questo è anche necessario esplorare e, seè il caso, incentivare nei modi appropriati ladisponibilità della industria alimentare edella grande distribuzione e ristorazionecollettiva a promuovere i cibi che prevengo-no piuttosto che cibi che favoriscono la sin-drome metabolica. Infine ancora da valutare resta la realedisponibilità delle istituzioni sanitarie (idipartimenti di prevenzione delle ASL) edei medici (in primo luogo i medici dimedicina generale) a sviluppare e sostenerenella attività pratica quotidiana efficaci pro-grammi di educazione alimentare, impe-gnandosi altresì a valutarne l’impatto realesulla popolazione come richiede la buonapratica della medicina delle evidenze. Le prove scientifiche da porre alla base ditutti questi programmi sono ormai talmentesolide e condivise che non informare e nonintervenire sarebbe colpevole.

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Figura 2

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Dove va la sanità italiana?

di Rossana BECARELLI*

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La nostra civiltà è entrata in una profondacrisi sistemica, crisi dei modelli di sviluppoe generale crisi di fiducia. Nel momento attuale, il diritto alla salute,cardine fondamentale e presidio di equità edi democrazia del nostro Paese, è grave-mente rimesso in discussione. Come dimostrano i più accreditati studi epi-demiologici, da un lato l’invecchiamentodella popolazione è causa di gravi patologiecroniche e invalidanti, dall’altro l’impoveri-mento crescente di tutti i ceti sociali rendedifficile e precario l’accesso ai servizi sanita-ri, che risultano ormai sempre più costosiper tutte le prestazioni non in regime diurgenza. Lunghissime liste di attesa, ticket“di partecipazione alla spesa” insostenibili,chiusura di ospedali territoriali, diminuzio-ne drammatica dei posti letto di ricovero,fanno della salute un privilegio che solopochi già adesso possono permettersi. Nel 2012 la spesa sanitaria pubblica è statadi circa 111 miliardi di euro, pari al 7 percento del Pil e a 1.867 euro annui per abi-tante, un livello molto inferiore, rispetto adaltri importanti paesi europei. Nel 2011 le famiglie hanno contribuito conproprie risorse alla spesa sanitaria comples-siva per una quota pari al 20,6 per cento(oltre 2 punti percentuali in meno rispetto al2001).La spesa sanitaria delle famiglie rappresen-ta l’1,8 per cento del Pil nazionale; ammon-ta mediamente a 949 euro per le famiglie delMezzogiorno e a 1.222 euro per quelle delCentro - Nord.Nel 2011 le regioni sono state interessate dacirca 588 mila ricoveri ospedalieri dipazienti non residenti (8,4 per cento deiricoveri ordinari per “acuti”) e da oltre 523mila ricoveri di pazienti provenienti da una

regione diversa da quella di residenza (7,6per cento, riferito ai soli residenti in Italia). Il settore della sanità in Italia si colloca in uncontesto nazionale ed internazionale di crisieconomico - finanziaria tale da dover prose-guire al ridimensionamento delle risorse adisposizione per l’erogazione dei servizi.Per il 2014 è stata pianificata un’ulterioreconsistente riduzione del livello di finanzia-mento del Servizio Sanitario Nazionale(SSN) (1 miliardo di euro a decorrere dal-l'anno 2014, ex legge n. 228/2012), che siinserisce in un contesto problematicorispetto al controllo della spesa pubblica, edel numero dei posti letto ospedalieri che aregime dovrebbe attestarsi a 3,7 posti lettoogni mille abitanti (di cui lo 0,7 riservato allariabilitazione e alla lungodegenza, ex legge135/2012). A queste riduzioni si aggiunge la revisionedello standard di riferimento pro capite perl’attività di ricovero ospedaliero, passato da180 a 160 ricoveri ogni mille abitanti (di cuiil 25 per cento fa riferimento ai ricoveri diur-ni). Gli indicatori di offerta ospedaliera, inquesti ultimi anni, hanno presentato unaforte tendenza alla riduzione tanto che sonostati presi diversi provvedimenti, di caratte-re nazionale e regionale, finalizzati a pro-muovere lo sviluppo di un modello di reteospedaliera integrato con l’assistenza territo-riale. Tale riorganizzazione continuerà adessere richiesta alle regioni nei prossimianni, soprattutto se presentano un’offerta diposti letto inferiore allo standard consentitodalla normativa (4,5 posti letto per mille abi-tanti, che scendono a 3,7 con la normativadel 2012).Secondo l’ultimo rapporto ISTAT sulla salu-te degli italiani nel 2012, la riduzione deiricoveri globali in tutta l’Italia ha già subito

*Dottore inMedicina e inFilosofia,DirettoreSanitario, si occu-pa di MedicalHumanities.

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una drastica accelerazione: questo purtrop-po non è però il sintomo di un migliora-mento delle condizioni di salute della gente,né di un’accresciuta e mirata selezioneall’ingresso dell’ospedale, e neppure di uncorrispondente aumento dell’assistenzadomiciliare. E’ invece l’immediato effettoprodotto dalla costante diminuzione delpersonale di assistenza, medico e infermie-ristico, nelle strutture sanitarie, come esitodi una contrazione dei laureati in medicinae in scienze infermieristiche in atto da annisul territorio nazionale. E così, via via che glioperatori vanno in pensione (quelli che pos-sono farlo) è fatale chiudere posti letto e diconseguenza abolire interi reparti. E il per-sonale rimasto in servizio è costretto a sob-barcarsi turni massacranti, senza recuperi econ rischi non indifferenti per la sicurezzadei pazienti. Fin dal 2006 la Federazione ita-liana degli Ordini dei Medici (FNOMCeO)aveva segnalato questo andamento, mentrein questi giorni l’ente previdenziale deimedici di famiglia (ENPAM) lancia l’allar-me che entro il 2016 un milione e mezzo dicittadini resteranno senza medicina di base.Quali ne sono le cause? In gran parte, ilmotivo scatenante è stato imporre diffusa-mente il numero chiuso nelle facoltà dimedicina, mentre la Laurea in Scienze infer-mieristiche ha visto diminuire progressiva-mente gli iscritti a fronte di una maggior dif-ficoltà di accesso alla formazione (richiestadi diploma quinquennale di scuola mediasuperiore, abolizione del presalario e dellescuole convitto) senza per altro garantire poiadeguate occasioni di realizzazione profes-sionale. Ma l’esercizio della medicina cosìcome la conosciamo è anche diventato fontedi serissimi problemi professionali: abbia-mo importato dal Nord America l’abitudineal ricorso sistematico al contenzioso giudi-ziario. Con la normativa attuale, metteresotto accusa una procedura o un professio-nista anche in Italia è diventato facile comeil tiro al piccione. Questo fa crescere inmodo esorbitante i premi assicurativi per iprofessionisti mentre gli stipendi sono ina-deguati non solo a remunerare il pesantissi-mo carico di lavoro ma soprattutto a com-pensare le conseguenze che ne possonoderivare. Nella primavera del 2013, uninfermiere piemontese, Roberto Amerio, ha

intrapreso uno sciopero della fame itineran-te in tutta la regione per risvegliare l’atten-zione sulla carenza di infermieri, senza chenessuna forza politica o sindacale abbia suc-cessivamente manifestato alcun particolaresegnale di preoccupazione. In realtà, imma-gino addirittura che molti amministratori sirallegrino di questa diminuzione inevitabiledi personale perché essa ha di sicuro l’effet-to di ridurre i costi, ma conduce anche pur-troppo alla catastrofe di un intero sistemaper totale mancanza di programmazione edi progetto per il prossimo futuro. Infatti, sein parte per il momento essa è stata conte-nuta e mascherata per gli effetti della LeggeFornero del 2011 (che ha reso sempre piùvecchia la popolazione lavorativa in ambitopubblico con rischi che sono facilmenteintuibili sul piano delle performance indivi-duali), non è però riuscita a suscitare undibattito che delinei cosa si intende farequando la maggior parte degli operatori avràfinalmente raggiunto l’agognato traguardodella pensione. Occorre sottolineare inoltreche negli anni passati l’elevata qualità del-l’assistenza sanitaria in Italia è stata diffusa-mente forgiata all’interno degli ospedalipubblici, dal momento che la formazioneuniversitaria è per lo più sempre stata privadella pratica necessaria a fare di un laureatoun professionista esperto.Non aver dunque potuto, e da gran tempoormai, addestrare una nuova generazione dimedici, e oggi anche di infermieri che esco-no da scuole universitarie marcate dallostesso stile formativo delle scuole di medi-cina, crea un gap fatale per la qualità dei ser-vizi che potranno essere offerti in futuronelle strutture pubbliche. A mio modo di vedere, chi prefigura lariconversione del sistema pubblico in unasanità privata sbaglia analisi: come si vedequotidianamente, per impellenti ragioni dicosti il privato sta chiudendo assai primadelle strutture pubbliche. E il diffuso impo-verimento della popolazione, se non per-mette di accedere al servizio pubblico,ancor meno lo consente nel privato.La sanità privata non ha tradizione in Italiadove del resto non si è mai affermata (se nonnel Sud, anche se certo con livelli di qualitànon paragonabili) e ha sempre vissuto direndita, erodendo quote marginali di presta-

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zioni di elezione da un sistema pubblico adaccesso universale peraltro ben funzionan-te, ma senza mai avventurarsi a fornire i ser-vizi professionalmente più impegnativi edeconomicamente ad altissimo costo comepronto soccorso, rianimazione, alta chirur-gia, oncologia, radioterapia. Oppure si ècomportata come un mercato dopato per-ché in grado di vivere esclusivamente sesupportata dal finanziamento pubblico: igrandi ospedali della sanità lombarda - SanRaffaele, Humanitas, IEO, etc., sono un clas-sico esempio che senza le convenzioniregionali neppure loro sarebbero riusciti asopravvivere. Quali sono le prospettive? In Piemonte, nel 2013 la Giunta Cota ha cer-cato di vendere tutti gli ospedali pubblici(circa 45 milioni di mq!) a un fondo digestione del risparmio, cioè a un ente pub-blico - privato di azionisti per mettere a red-dito il patrimonio edilizio. Se questo proget-to fosse andato in porto, si sarebbe dovutoriaffittare subito dopo le stesse strutture perpermettere agli operatori di lavorare, mentreuna parte sarebbe stata destinata ad ediliziaprivata. Salta agli occhi come il congegnoideato di vendere il patrimonio ediliziopubblico a un azionariato che investe e siattende una rendita confligga totalmente siacon le esigenze di strutture di proprietà pub-blica, ma anche con qualsiasi criterio di effi-cienza. Riaffittare a caro prezzo negli anniciò che prima era tuo non può certamenteapparire come una soluzione redditizia sulpiano contabile. D’altro canto, con similiespedienti in realtà si mette a repentaglio lastessa sicurezza salariale degli operatori, giàscesa ai minimi termini a causa del perdu-rante blocco contrattuale: se il posto di lavo-ro fisico avrà un gravoso e costante costo diesercizio, questo non potrà che essere ribal-tato sul lavoro, precarizzandolo o cottimiz-zandolo al massimo. Se questa volta l’ope-razione è stata sventata grazie a una mobili-tazione popolare di cittadini che hannoaperto gli occhi e sollecitato le forze politi-che di opposizione a prendere posizione,non dubitiamo che sotto traccia si continuia perseguire questo progetto e che con lascusa di prossime impellenti esigenze dicassa, si torni a proporlo come immediatapanacea dei guai della sanità pubblica.Come si è visto invece la sanità pubblica ita-

liana costa molto poco in confronto a quelladei paesi europei di riferimento e ha garan-tito negli anni ottimi esiti sulla salute dellapopolazione (fino a qualche anno fa il ratingdi qualità dell’OMS ci poneva fra i primissi-mi paesi del mondo). Altri risparmi sonoimproponibili: in questi giorni, IvanCavicchi sostiene che l’andamento “a cre-scita meno zero” imposta alla sanità è forie-ra di pesanti conseguenze sul piano dellaperformance degli operatori.La situazione ha due aspetti: da un lato, icosti fissi sono naturalmente destinati ascendere per il decremento costante del per-

sonale che presto andrà in pensione per rag-giunti limiti di età, e contemporaneamentequesto imporrà una conseguente diminu-zione di posti letto (che già in alcune regio-ni è assestato al di sotto dei parametri euro-pei di riferimento) da cui deriverà l’abbassa-mento dei costi di gestione corrente. Se que-sto può apparire uno splendido “affare” dalpunto di vista economico per i conti pub-blici, c’è invece da chiedersi quale impattofinale avrà sulla salute degli italiani. Giàadesso, i dati di diminuzione dell’accessoalle cure hanno un andamento drammatico,dovuto da un lato all’invecchiamento dellapopolazione (che accresce le patologie cro-niche e invalidanti) e dall’altro dal suo cre-scente impoverimento (che sottrae dalletasche anche gli “spiccioli” per permettersila cosiddetta partecipazione alla spesa nellestrutture pubbliche o convenzionate).La Russia attuale mostra un andamento epi-demiologico verso cui tendono ormai inevi-tabilmente i paesi europei, tartassati dalfiscal compact e dalle spending review.Dopo la caduta del sistema sovietico, in

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vent’anni i tassi di mortalità si sono grave-mente innalzati, la diffusione delle malattieepidemiche come la TBC sta assumendoproporzioni devastanti e le malattie cronicod egenerative sono raddoppiate rispetto agliStati Uniti d’America (per altro un paeseche non ha mai avuto una copertura sanita-ria universale e che ancora esclude da curemediche di qualità un’importante fetta dipopolazione, ovviamente la più povera).Cosa occorre fare? Considerare il dirittoalla salute un bene primario non negozia-bile e riapplicare la Legge di riforma 833che garantiva un’efficiente articolazione frai livelli di cura. Ritornare fin da subito areinvestire in formazione, riaprendo lescuole di medicine a tutti e incentivandol’accesso alle scuole infermieristichecom’era una volta. Riconfigurare il model-lo di assistenza sanitaria per i cittadini,riportando nella prossimità locale le cureprimarie (associazionismo nella medicinadi base con riconversione a gestione diret-ta dei piccoli ospedali di prossimità percure di base, e selezionando pochi e attrez-

zati centri di assistenza per le cure avanza-te di secondo e terzo livello). Riformulare ilconcetto di salute che tenga conto dell’am-biente, della qualità dell’aria che respiria-mo, della sicurezza e del benessere sui luo-ghi di lavori, di una mobilità fisiologica esostenibile, incentivando un movimentosano e un’alimentazione con prodotti a kmzero. Infine, e soprattutto, aumentare l’of-ferta di cultura e arte a tutti i livelli nellanostra vita, tenendo conto degli esiti dellesperimentazioni condotte nel Nord Europache mostrano come la salute parta da unavita di buona qualità generale, piuttostoche come riparazione per le patologie giàmanifeste. Dal metodo Abreu che ha diffu-so la musica per il recupero del disagiosociale in Venezuela al progetto Taiku inFinlandia, per promuovere salute in tutti gliambiti attraverso l’arte e la cultura, questonostro Paese con il più grande patrimonioartistico del mondo e la valorizzazione dellanaturale bellezza del suo paesaggio, potràcertamente esprimere di nuovo un ruolocardine come fu al tempo della Legge 833.

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La sanità lombarda fra pub-blico e privato. Tanti progetti: tutti finalizza-ti a migliorare la ricerca, laqualità dell’assistenza, l’effi-cacia della cura?di Fulvio AURORA*

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Non si direbbe, è la risposta che viene spon-tanea.Forse perché in regione non esiste un siste-ma efficiente di strutture che eroga presta-zioni sanitarie a tutti i livelli? No questosistema esiste.Ma al tempo stesso è un sistema efficace?Che si muove nella direzione di mettere inrelazione la sanità pubblica con le condizio-ni di lavoro e di vita e di ambiente?Forse perché la sanità in regione Lombardiaè priva di inefficienze, di sprechi, di corru-zione, di clientelismi?No la sanità della regione non è ne è priva.Forse perché la sanità privata è un sistemasussidiario e integrativo di quella pubblica?No di certo, non solo è sullo stesso piano,ma è piuttosto privilegiato, con finalità pre-valente di profitto, piuttosto che di rispostaai bisogni di salute della popolazione.

In sostanza vi è un grande scarto fra quelloche avrebbe dovuto essere la sanità per lasalute e quella che è stata organizzata dallaregione Lombardia nell’ultimo ventennio. Ilprof. Giorgio Cosmacini ci ha ricordato chei fondamenti della legge di RiformaSanitaria specialmente quelli della lorocomponente principale: le Unità SanitarieLocali sono state concepite nel 1943 dalComitato Nazionale di Liberazione AltaItalia (CNLAI), in un grande momento diresistenza e di lotta. Da allora al 1978, anno di promulgazionedella legge Istitutiva del Servizio SanitarioNazionale sono passati molti anni. Ci siamo

arrivati per la tenacia di molti, in specialmodo per la lotta dei lavoratori e per ladeterminazione dei movimenti, come ilnostro, ma la risposta non è stata proprioquella che avremmo voluto. Ci siamo per-messi di criticare quella legge per quei“buchi” che aveva lasciato, ad esempio pro-prio il rapporto pubblico-privato, oppure itempi di attuazione (con i 95 atti applicati-vi) lasciati alla volontà dei successivi gover-ni. (Si veda il n. 14 di questa rivista). Abbiamo comunque difeso il suo spirito e lasua concezione originaria. Abbiamo fatte nostre le parole di un docu-mento sindacale (CGIL-CISL-UIL) del 1979:“… La legge 833 nonostante i limiti e le con-traddizioni, può permettere la creazione diun sistema basato sull’approccio preventi-vo, anche per quanto riguarda la cura e lariabilitazione, capace di autoregolarsirispetto alla ricerca, alla conoscenza, al con-trollo, alla eliminazione dei rischi e deidanni più gravi e più diffusi che interessanoi lavoratori e la popolazione. Per avviarequesto processo di progressiva sostituzionedel vecchio assetto sanitario, basato sull’ap-proccio individuale e privatizzato dellamalattia, fatto di domande di interventosparpagliate ed incontrollabili, sia perquanto riguarda l’efficacia degli interventistessi, sia per quanto riguarda la spesa, conun sistema basato sulla programmazione,la prevenzione e la partecipazione, occorreuna grande mobilitazione ed una grandeiniziativa popolare e di massa”.Il sistema precedente era quello assicurati-

*MedicinaDemocratica,Sezione di Milanoe Provincia.

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vo-mutualistico, che copriva quasi tutta lapopolazione, ma il cui approccio era legatoalle prestazioni, non certo alla prevenzioneed aveva diversi limiti. Ad esempio i medi-ci di medicina generale, i cd “medici dellamutua” venivano retribuiti “a notula”: piùprescrivevano e più venivano pagati. L’ideadi cura era quella mirabilmente descritta daGiulio Maccacaro, ancora nel 1972 (letteraal Presidente dell’ordine dei medici):“Curare vorrà allora dire, diagnosticamente,ridurre il malato alla sua malattia, la malat-tia alla sua localizzazione organica, l’orga-no malato al danno obiettivabile, il danno aun segno e il segno alla sua misura: Poiripercorrere terapeuticamente il percorsoinverso: la correzione del segno mistificatacome eliminazione del danno, il silenziodell’organo come sconfitta della malattia,l’obliterazione della malattia come restitu-zione della salute. In questo processo che siripete ogni giorno negli ambulatori e nellecorsie, l’uomo fatto cosa è diventato cosa diun altro uomo: un padrone o un mediconon differenza se la scienza del medico èquella del padrone.” Quindi nel 1978 cambia la concezione.Nella legge di riforma vengono inseritianche gli articoli della legge n. 180, sempredello stesso anno, di una ancora più granderiforma: quella che ha portato alla chiusuradei manicomi. Il ‘78 è stato anche l’annodella legge 194. Insomma una modificaradicale della sanità.Sono nati, negli anni successivi, ad operadelle regioni in applicazione della legge 833i Consultori, i Centri di Salute Mentale, i ser-vizi di prevenzione nei luoghi di lavoro, iservizi per l’inserimento sociale dei disabili.Si è affermata l’idea della non separazionedegli ospedali dai servizi territoriali; invece,pur essendoci, non si è radicata l’idea di par-tecipazione dei “soggetti di salute” (i cittadi-ni organizzati) alla verifica, al controllo, delfunzionamento del Servizio Sanitario. Unaltro discorso fondamentale è stato quellodel diritto alle cure “qualunque sia la causa,la fenomenologia, la durata della malattia”.

Ma i guai sono cominciati quasi subito. E’proverbiale il fatto che l’applicazione dellariforma fu – “necessariamente” – affidata alministro della Sanità, allora Renato

Altissimo, liberale, che contro la riformaaveva votato. Fu solo l’inizio e i tempi perrealizzare i decreti delegati si sono allungatia dismisura. Il testo unico della Salute esicurezza sul lavoro previsto entro un anno,quindi per la fine del 1979, è stato approva-to nel 2008 (Dlg. 81). Il caso dell’INAIL èancora più eclatante perché la legge diRiforma prevedeva che tutto ciò che fossesanità, rientrasse nell’organizzazione dellasanità. Ma l’INAIL si tenne, con una derogainiziale, i riconoscimenti degli infortuni edelle malattie professionali, per poi sanciredefinitivamente tale decisione in una leggedel 1988 (n. 67).E arrivarono velocemente anche i ticket.Dapprima erano concepiti come “modera-tori”, perché, veniva detto, si consumavatroppo in visite, esami, farmaci - e ci sareb-be da domandare ai governi di allora: ma l’a-vete letta le legge?, nella sostanza i ticketdivennero quelli che sono sempre stati: unatassa, ingiusta e discriminatoria sulla malat-tia.I Comuni dovevano essere i gestori dellasanità tramite le Unità Sanitarie Locali.Un’altra delle grandi innovazioni che nonfunzionò (naturalmente con non pocheeccezioni). Vinse la politica, o meglio la par-titocrazia: la spartizione dei posti per clien-tele di partito. E questo divenne la base perdue pesanti conseguenze: la controriformasanitaria del 1992 (Dlg 502), ancora peropera di un ministro liberale e la trasforma-zione delle clientele in cordate di affari. Ilsistema venne cambiato, ma le clientelerimasero, ma si trasformarono e si affianca-rono ad un’ampia e dilagante corruzione insanità. Politica e affari andarono a braccetto.La spesa sanitaria continuava a salire, anchese, nonostante tutto, il sistema sanitariopubblico riusciva, con difficoltà a mante-nersi, dimostrando di essere ad elevati livel-li di efficacia nelle cure e di efficienza nellaspesa.

Ma parliamo della Lombardia. Una regioneche rappresenta quasi il 20% della popola-zione italiana, conosciuta come una regione“ricca” causa la presenza di una industriadiffusa, grande media e piccola, con dei ser-vizi e delle infrastrutture di pregio, non ulti-mo di grande rilevanza dal punto di vista

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finanziario. Ma anche, per le precedentiragioni, regione fortemente esposta alle atti-vità delle mafie, e ad un ampio livello dicorruzione, oltre che ad una diffusa sotto-missione alla cultura del denaro. Non menocontraddistinta da un diffusa nocività neiluoghi di lavoro e con una forte presenza diinquinamento ambientale.Dopo la legge di Riforma Sanitaria furonopromulgate una serie di leggi regionali diistituzione delle USSL (famosa è stata la pre-rogativa ad indicare che l’intervento sanita-rio non poteva essere separato da quellosociale) e quindi di tutti i servizi oltre quellitradizionali come la medicina di base e l’o-spedale, di quelli definiti in generale “terri-toriali”, fermo restando l’indicazione di unarelazione ed integrazione fra tutti, nello spe-cifico fra ospedale e territorio. Venne ancheprevista, sull’onda delle lotte contro la noci-vità ambientale e del lavoro, anche un’orga-nizzazione istituzionale della partecipazio-ne la cui concreta pratica non si realizzò senon in maniera marginale: così l’articolo 3della legge n. 48 del 1988: “1. Oltre agli strumenti di partecipazionesociale a livello distrettuale, gli ERSZ [entiresponsabili dei servizi di zona] e gli organidi gestione delle strutture e dei presidi con-venzionati possono istituire, al fine delrispetto dei principi di cui alla presenteLegge, comitati di partecipazione degli uten-ti, dei loro familiari e degli operatori sanita-ri, alla vita dei presidi e delle strutture delSSN o con esso convenzionati. 2. Gli ERSZ determinano, con regolamentoapprovato dalla assemblea, la composizio-ne dei comitati di partecipazione, le moda-lità di funzionamento e di convocazione,anche su istanza degli utenti o degli opera-tori o delle associazioni locali di tutela deidiritti degli utenti del SSN.” Tutto bene dunque? Alla fine degli anni ‘80e inizi del ‘90, la spinta di partecipazione deilavoratori, dei movimenti sul territorio, edegli operatori democratici che aveva porta-to alla creazione di strutture e servizi territo-riali avanzati ed innovativi, stava progressi-vamente scemando, i cittadini della regione,che se non eccezionalmente, mai si eranodiscostati dall’ideologia democristiana, por-tarono al 24 piano del grattacielo Pirelli (nel1995), Presidente Roberto Formigoni. Se il

partito formale era, allora Forza Italia, il par-tito reale era Comunione e Liberazione, lacui ideologia è stata alla base della direzionedella regione. Chi maggiormente ne ha fattole spese è stato proprio il sistema sanitarioregionale, nato dalla legge n° 833, che, giàcompromesso dalla controriforma DeLorenzo del ‘92, fu rovesciato del tutto dallapolitica formigoniana. Anche lo scontro,avvenuto al seguito delle modifiche appor-tate con decreto legislativo 229/‘99, fra l’al-lora ministro della Sanità Rosy Bindi e ilpresidente Formigoni, si risolse velocemen-te con l’approvazione incondizionata della

linea regionale lombarda, da parte delnuovo ministro Umberto Veronesi.Formigoni fu rieletto tre volte; se ne dovetteandare solo nel 2012 a seguito della scoper-ta di diversi scandali del suo enturage e suoiche portarono ai nostri giorni alla contesta-zione per lui e per altre 11 persone del reatodi corruzione e di associazione a delinquerecon conseguente rinvio a giudizio davanti alTribunale di Milano.

C’è una relazione fra le scelte di politicasanitaria e la corruzione in sanità?Evidentemente si, tanto che chi si è accor-to dell’utilizzo del sistema sanitario perscopi privati o a fini di ladrocinio è stata laMagistratura. Poche le denunce dal basso,a volte anonime. Come notò un pubblicoministero milanese: «Il rifiuto di un com-portamento corruttivo non è un valore con-diviso» (Alfredo Robledo). Questo non è unproblema da poco; è sufficiente notare comemolti personaggi politici coinvolti, hannocontinuato ad essere eletti e altri imprendi-tori, responsabili di servizi sanitari, sono

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rimasti al loro posto.In Regione Lombardia la storia della corru-zione in sanità è molto lunga. Ecco alcunifatti emblematici:• 1972: Storia di un ospedaleggiatore abusi-vo (come è nato il San Raffaele - dalla rivistaSapere);•1997: Giuseppe Poggi Lungostrevi, arresta-to per false ricette; coinvolti anche circa 300medici;•1997: 12 persone bruciate vive nella came-ra iperbarica dell’ospedale Galezzi diMilano;• 2005: condanna di Ligresti e altri; • 2005 e successivamente: Ville Turro e SanRaffaele prestazioni gonfiate ed inappro-priate Multimedica, San Siro, San Carlo -prestazioni gonfiate Clinica San Giuseppe -prestazioni inappropriate Indagini nel pub-blico: Niguarda (Caltagirone), Fatebenefra-telli, San Carlo, Legnano, Melegnano,Garbagnate; • 2008: processo ai DRG, il 2 dicembre pro-cesso immediato contro Brega Massone ealtri, Clinica Santa Rita, con la condanna delprincipale imputato a oltre 15 anni di deten-zione; nel 2011 è partito un nuovo processoper omicidio volontario, tuttora in corso;• 2012 : “Ai privati 176 milioni in 3 anni, 84finiti agli ospedali S. Raffaele e Maugeri”;• 25 ottobre 2013 - Udienza preliminare peril caso Maugeri: dodici imputati fra cuiRoberto Formigoni, Pierangelo Daccò, CarloLucchina, Nicola Maria Sanese, AntonioSimone e Alberto Perego, per associazioneper delinquere finalizzata alla corruzione,frode fiscale, riciclaggio e interposizione fitti-zia. Alcune scelte di questi ultimi tempi, nellequali non ci sono denunce o indagini, fannocomunque pensare: è possibile, infatti, cheun istituto come quello dei tumori, da pocoristrutturato, debba essere trasferito conl’Istituto neurologico Besta (effettivamentevetusto) a sesto San Giovanni sui terreni diuna storica fabbrica, la Falk, su dei terreniche richiedono una grande bonifica e nonlontano da un inceneritore? E perché maideve essere fatto un nuovo istituto di ricer-ca, denominato CERBA, voluto fortementedal prof. Veronesi, su terreni, nel sud Milanodi proprietà di Ligresti. Basta parlare ditumori e di ricerca che tutti plaudono!

Senza chiedersi che cosa si vuole ricercare eperché. Perché tante persone vengono col-pite da tumori in Lombardia (è la primacausa di morte fra i maschi), senza chieder-si se non si può fare nulla, ab origine, perridurne l’incidenza? La ricerca è necessaria,come lo è la terapia, ma ancora più necessa-ria è la prevenzione; questa, quando nonviene negata, è considerata secondaria.Molti interessi verrebbero toccati, meglioandare nella direzione della cura, così altriinteressi vengono sollecitati producendo unlargo effimero consenso.

E arriviamo all’ultima parte, prima delleconclusioni, perché in Lombardia c’è statoun cambiamento, in quanto i personaggiche governano sono cambiati, ma la politicanon sembra tanto diversa da quella prece-dente. La sanità lombarda che aveva presola sua strada, ispirandosi prevalentementealle controriforme inglesi della Teacher,separando, con la legge 31 del 1997, gliacquirenti dagli erogatori, i servizi territoria-li dagli ospedali, accentuando l’applicazio-ne dei DRG, non sembra avere mutato la sualinea. Anzi sembra, ancora una volta, avereguardato alle ulteriori riforme del governoconservatore oltre Manica. Sono stati inven-tati i CREG (Chronic Related Group).Con tale termine si intende una innovativamodalità di presa in carico dei pazienti che,a fronte della corresponsione anticipata diuna quota predefinita di risorse, deve garan-tire, senza soluzioni di continuità e cali dicure, tutti i servizi extraospedalieri (ambula-toriale, protesica, farmaceutica, ospedalizza-zione domiciliare) necessari per una buonagestione clinico organizzativa delle patolo-gie croniche. L’insieme di attività, servizi e prestazioniprevisti nel pacchetto rappresentato dalCREG è la patologia specifica finanziata daiLEA. Sono cooperative di medici di medici-na generale che devono farsene carico. Saràla ASL che garantirà l’acquisto di altre pre-stazioni necessarie (come quelle ospedalie-re). Difficile capire come funzionerà, pur giàsapendo che quanto sta avvenendo inInghilterra, risulta essere già in crisi.Ma in questo ultimo periodo sembra che laregione in tema di sanità e di servizi sociali(anzi di “famiglia”) sia stata presa da un atti-

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vismo sfrenato. Si considerino alcune delleultime delibere in ordine decrescente sfor-nate dalla giunta regionale con il numerodelle relative pagine, e precisamente:- DELIBERAZIONE N° X / 1185 Seduta del20/12/2013 DETERMINAZIONI IN ORDI-NE ALLA GESTIONE DEL SERVIZIOSOCIO SANITARIO REGIONALE PER L’E-SERCIZIO 2014 - (DI CONCERTO CONL’ASSESSORE CANTU’) 270 pagg.- DELIBERAZIONE N° X / 1104 Seduta del20/12/2013 PIANO REGIONALE 2014-2018 PER LA TUTELA DELLA SALUTE ESICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO 47pagg.- DELIBERAZIONE N° X / 116 Seduta del14/05/2013 DETERMINAZIONI IN ORDI-NE ALL’ISTITUZIONE DEL FONDOREGIONALE A SOSTEGNO DELLA FAMI-GLIA E DEI SUOI COMPONENTI FRAGI-LI: ATTO DI INDIRIZZO 25 pagg.- DELIBERAZIONE N° X / 63 Seduta del24/04/2013 DEFINIZIONE DEGLI OBIET-TIVI AZIENDALI DI INTERESSE REGIO-NALE DEI DIRETTORI GENERALI DELLEAZIENDE SANITARIE LOCALI, AZIENDEOSPEDALIERE E AREU PER L’ANNO2013, NONCHE’ DELLE MODALITA’ DIVALUTAZIONE DEL LORO RAGGIUNGI-MENTO - (DI CONCERTO CON L’ASSES-SORE CANTU’) 58 pagg.- DELIBERAZIONE N° IX / 4980 Seduta del07/03/2013 DETERMINAZIONI IN ORDI-NE AL CONTROLLO DI APPROPRIATEZ-ZA NEL SISTEMA SOCIOSANITARIO INATTUAZIONE DEI CRITERI DI REVISIO-NE DELLE FUNZIONI DI VIGILANZA ECONTROLLO DELLE ASL DI CUI ALL’AL-LEGATO C DELLA DGR IX/3540 DEL30.05.2012 15 pagg.- DELIBERAZIONE N° IX / 4334 Seduta del26/10/2012 DETERMINAZIONI IN ORDI-NE ALLA GESTIONE DEL SERVIZIOSOCIO SANITARIO REGIONALE PER L’E-SERCIZIO 2013 - (DI CONCERTO CONL’ASSESSORE PELLEGRINI) 43 pagg.Per partecipare occorre comprendere, percomprendere occorre studiare. Difficilepoterlo fare per chi lavora e come deve farefronte alla propria condizione di esistenza.Ma effettivamente tutte queste delibere ser-vono? Se prendiamo come esempio la con-dizione delle persone croniche non autosuf-

ficienti da queste delibere, che peraltro sioccupano del problema, non riusciamo adorientarci. Ci deve essere la UVM (unitàValutativa Multidimensionale) che predi-spone il piano personalizzato (scritto) per lapersona interessata. Ma dove si troval’UVM?, e come viene steso questo piano?Dovrebbe essere in un luogo prossimo allapopolazione, come il Distretto socio sanita-rio, ma non è così; dovrebbe dire se quellapersona deve e può essere assistita al pro-prio domicilio, quindi stabilire chi se neoccupa e in che modo. Il servizio sanitarioregionale è forse in grado di stabilire per

quella persona, affetta da gravi patologiedue accessi al giorno per un infermiere pro-fessionale o altri operatori necessari? Oltrenaturalmente al medico di medicina gene-rale quando viene chiamato e oltre, serichiesto, lo specialista ospedaliero chedeve intervenire su uno specifico problema.Inoltre al “caregiver”, in altri termini, allafamiglia che sostiene la persona malata èofferto un compenso monetario consistenteche, sommato all’assegno di accompagna-mento, può servire per retribuire un assi-stente famigliare (la cd badante), considera-to che il bisogno di assistenza è permanentee richiede un’attenzione 24 ore su 24?Occorre scorrere tutte le pagine di cui sopraper trovare qualcosa, ma certamente noncosì chiaro come si è potuto tracciare nellepoche righe precedenti. Occorre che il care-giver sia informato, capace di giostrarsi fra imolti input che gli provengono dal medicodi medicina generale, dal distretto, dal vici-no di casa… e alla fine dall’ottenimento del“voucher” che servirebbe per attivare unacooperativa di servizi. Essa, in base all’entità

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del voucher, invierebbe qualche operatorea sostegno del malato. Invece il tutto, sefunzionasse, dovrebbe essere scritto nelpiano personalizzato e attivato dall’UVM.Il caso più corrente è invece il ricoverodella persona malata grave e cronica inospedale per un certo e limitato periodofino a che non viene considerata “stabiliz-zata”, a volte con indicazione di un perio-do, altrettanto limitato (2 o tre mesi) di ria-bilitazione, sempre a carico della sanitàpubblica, per poi essere dimesso o a domi-cilio, con eventuale frequenza di un centrodiurno, o in una RSA. Ma tutto ciò nonviene stabilito dall’UVM è il reparto ospe-daliero che dimette la persona senza indica-zioni precise, salvo le terapie, ma dal puntodi vista della continuità sono i famigliari chesi devono arrangiare. E questi si trovano ingravi difficoltà ad attivare le cure domicilia-ri ed ancora più se devono rivolgersi ad unaRSA per un ricovero permanente. In questocaso sorge il problema di chi paga o integrala retta, piuttosto onerosa, per un redditomedio. Tante parole, ma pochi fatti. In conclusione abbiamo di fronte un sistemache si evolve nel senso peggiore, quello dellaprogressiva privatizzazione, avendo com-preso che il sistema medico industriale puòcostituire e costituisce un grosso affare, spe-

cie in periodo di crisi, quindi non sembraessere non solo immutabile se non per ilverso che ha preso, ma addirittura non scal-fibile. E’ dato come tale e così occorre pren-derlo.Ma vi è un che fare, per quanto difficile, cheè riassumibile nella organizzazione e nellamobilitazione dei soggetti interessati. In pra-tica nelle associazioni e nei movimenti per ildiritto alla salute che agiscono in modo per-manente, e, si ripete, in modo organizzato.Che si muovono nelle contraddizioni delleistituzioni, che utilizzano, quando la nega-zione dei diritti è lampante, anche laMagistratura, che informano, spiegano,mostrano i limiti di un sistema, la cui dire-zione contraddice la possibilità di un’esi-stenza serena, caratterizzata da libertà, veritàe giustizia:La lezione amarissima è chiara, ancorauna volta arriva dalle lucide parole diGiulio Maccacaro (1976): “non si puòattuare una riforma sanitaria se nonmutando profondamente il quadro socia-le che la contraddice. Nella sanità comenella società sono i rapporti di poterequelli che contano e quando essi sonorapporti di classe solo lo scontro, non ilcompromesso, ne decide l’essere e ildivenire”.

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Salute e Sanità nel periododell’austerity

di Walter FOSSATI*

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La delibera n.1185 della Regione Lombar-dia è molto compendiosa (269 pagine) e inessa viene posta in essere la relazione fraospedale e territorio, affrontando la proble-matica delle persone con affezioni croni-che (continuità assistenziale) e postulandol’attuazione di un modello unitario di lavo-ro per rispondere ai bisogni complessi(Azienda Sanitaria Locale, AziendaOspedaliera e Comuni). Passiamo in rasse-gna alcuni punti critici, che sono presentinei quattro allegati alla delibera.

PRIMO PUNTO CRITICONell’allegato uno della delibera si affermache il 70% degli “ospiti” delle 648 R.S.A.(con 57.608 posti) sono persone affette dademenze: 30.469 sono le persone ricovera-te, con demenze gravi; 5.941 le personericoverate con Alzheimer. A questo propo-sito, osserviamo che le persone condemenze gravi o con Alzheimer hannobisogno di prestazioni sociosanitarie adelevata integrazione sanitaria. Osserviamo,altresì, che questa tipologia di prestazioni,in base alla vigente normativa (DPCM 14febbraio 1991, art. 3, comma 3), è a caricodel fondo sanitario. Ma, in Lombardia, cosìnon è. Il fondo sanitario (la Regione) corri-sponde all’ente gestore della R.S.A. 49 euroal giorno ( o 52), mentre l’utente e i suoifamiliari pagano una retta non inferiore a80 euro al giorno.La delibera 1185, nell’allegato 2, prevedel’istituzione di un gruppo di lavoro inte-grato fra i due assessorati (salute e fami-glia…), finalizzato alla definizione di un“Piano di Azione regionale per le demen-ze”. Ebbene, è indispensabile che le asso-ciazioni di tutela e i Comuni facciano sen-tire la loro voce ed intervengano nei con-

fronti del gruppo di lavoro, affinchè, nelrispetto della normativa, le persone condemenze gravi o con Alzheimer ricevanole prestazioni sociosanitarie ad elevataintegrazione sanitaria. Che tali prestazionisiano erogate in regime ambulatoriale,domiciliare o nell’ambito di strutture resi-denziali e semiresidenziali, a totale caricodel fondo sanitario.

SECONDO PUNTO CRITICOSempre nell’allegato uno della delibera siafferma di ritenere necessaria l’istituzionedi un “Presidio Territoriale”, quale nuovosoggetto per la gestione della cronicità, alloscopo di coordinare e vigilare sul percorsodi diagnosi e cura integrata tra i servizi ter-ritoriali e i servizi specialistici ospedalieri.Si afferma, altresì, che il Presidio sarà illuogo fisico della presa in carico e verràattuato nei piccoli presidi ospedalieri,dove già oggi vengono ricoverati, prevalen-temente, pazienti di tipo cronico. NelPresidio Territoriale si faranno prestazionidi base, comprese le cure primarie; verràattuata la valutazione multidimensionaledel bisogno, secondo un modello di inte-grazione e di uniformazione dell’offertasanitaria e sociosanitaria, raccordandosicon la componente sociale, di titolaritàcomunale. Osserviamo che, nel frattempo,la situazione è connotata da una prassi didimissione dall’ospedale “non protetta”delle persone con patologie croniche.Ora, il servizio “fragilità” dell’A.S.L. inter-viene molto parzialmente sui bisognisociosanitari delle persone (Voucher socio-sanitario = A.D.I.), o le rinvia ai servizisociali dei comuni per le prestazioni socio-assistenziali e tutelari. La continuità assi-stenziale fra l’ospedale e il territorio, in un

*MedicinaDemocratica,Sezione di Milano.Seminario sullostato attuale dellaSanità pubblicadel coordinamentolavoratori e utentidella sanità –Sintesi dell’inter-vento a commentodella “Deliberadella GiuntaRegionale detta:delle Regole” n.1185 del 20 dicem-bre 2013.

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approccio di welfare unitario non vieneattuata.Nella delibera 1185 – allegato 2 – è previ-sta l’istituzione di un gruppo di lavororegionale integrato fra i due assessorati(salute e famiglia…), avente come scopo la“presa in carico integrata” (metodologia,strumenti, modelli organizzativi) delle cro-nicità di tipo sociosanitario (per la ricom-posizione della risposta sanitaria e sociosa-nitaria). Viene da chiedersi in qual modo lapersona assistibile, con affezioni croniche,possa essere presa in carico, contempora-neamente, sia dal Medico di MedicinaGenerale (di libera scelta), sia dal cosiddet-to Presidio Territoriale.La questione non è chiara e, probabilmen-te, potrà essere meglio esplicitata dal pre-detto gruppo di lavoro.

TERZO PUNTO CRITICOAncora nell’allegato uno della Delibera siafferma che i pazienti cronici arrivano acoprire più del 90-95% in alcuni presidiospedalieri (trattamento degli episodi acutiche insorgono in pazienti affetti da patolo-gia cronica). Si sostiene la necessità dimantenere, fino al massimo possibile, lapersona al proprio domicilio. A questoproposito, supponendo di poter mantene-re a domicilio le persone malate croniche,quando si trovano nelle medesime condi-zioni di quelle ricoverate, affermiamo l’esi-genza di parificare le cure domiciliari conquelle garantite nelle R.S.A.Ora, sta di fatto che nelle R.S.A. lo stan-dard di assistenza è di 1220 minuti setti-manali per ogni persona ricoverata (pari a87 ore mensili), mentre a domicilio il vou-cher sociosanitario tradizionale, congiuntoal più recente beneficio della Delibera 856,assicurano un’assistenza intorno ai 600minuti settimanali (pari a poco più di 40ore mensili).La carenza delle cure domiciliari da partedel Servizio Sanitario Regionale viene,almeno in parte, colmata con il lavoro pri-vato di cura (assistenti familiari = badanti),che ha un costo assai oneroso, non soppor-tabile da talune famiglie (non abbienti) ocausa di impoverimento per altre.La mancata parificazione rappresenta lacausa più plausibile dei frequenti ricoveri

in ospedale delle persone con affezioni cro-niche.

QUARTO PUNTO CRITICONell’allegato tre della Delibera si afferma

la necessità di riconoscere, fin dal momen-to dell’accesso in ospedale, il malato croni-co e di avviarlo verso percorsi strutturatidiversamente, in funzione dei bisogni: siprevede il “percorso post-acuto”, dopo ladimissione dell’ospedale. Nella delibera siintroduce anche il concetto di “percorsosub-acuto”.Presentiamo, di seguito, cosa viene indica-to nella delibera, nel merito dei due per-corsi:PERCORSO SUB-ACUTO: fase di control-lo clinico e/o follow-up stretto, anchemediante eventuali esami strumentali(eccetto quelli ad alta tecnologia o invasi-vi), che richiede terapie mediche di mediacomplessità (non interventistiche, non ria-nimatorie).PERCORSO POST-ACUTO: persone incondizione di stabilità clinica, che hannoconcluso il loro percorso acuto e/o sub-acuto, ma che necessitano di migliorare lostato di salute (a bassa intensità sanitaria ead alta intensità assistenziale).Inoltre, nell’allegato 3, si stabilisce la neces-sità che le persone vengano assistite con lecure intermedie, con le quali viene attuata lariconversione della rete delle unità d’offertadi riabilitazione.La riabilitazione verrà così riconvertita:A) riabilitazione generale geriatrica e spe-cialistica = cure intermedie ad alta inten-sità;B) riabilitazione di mantenimento = cureintermedie a media intensità.Con l’introduzione dei percorsi per sub epost- acuto, nonché con la riconversionedella riabilitazione nelle cure intermedie,viene da chiedersi se non si voglia attuareil passaggio di una parte considerevole dipersone malate dal sistema sanitario aquello sociosanitario (o socio-assistenzia-le), con prestazioni, sempre più a caricodelle persone assistite.

QUINTO PUNTO CRITICOSempre nell’allegato tre della Delibera ècontenuto un capitolo sulla salute mentale.

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Richiamiamo qui la anomalia propria dellaLombardia: nella nostra regione il governodella salute mentale è posto in capo alleAziende Ospedaliere, mentre in tutte le altreregioni è affidato alle A.S.L. Certamente, ciònon facilita il processo di inclusione socialedelle persone con sofferenza psichica, per lastorica carenza di “vocazione” degli ospe-dali nell’aprirsi al territorio.Prescindendo da tale grave anomalia, vedia-mo come la delibera detta le modalità delsuperamento degli ospedali psichiatrici giu-diziari – O.P.G..La Delibera prevede la realizzazione di nuovestrutture neo-manicomiali (gara di appalto),per l’esecuzione delle misure di sicurezzaREMS (Castiglione delle Stiviere, Mombello-Limbiate, Leno, Mariano Comense), chesaranno pronte fra due anni, dove verranno“internate” 240 persone “liberate” dagliO.P.G.. Questo è un modo di procedere chenon possiamo condividere.Ci associamo alla presa di posizione delleformazioni sociali più attente alla proble-matica della salute mentale ed in particola-re al processo di inclusione sociale dellepersone provenienti dagli O.P.G. Esse devo-no essere prese in carico dai Dipartimenti diSalute Mentale.Per ognuna di queste persone deve essere ela-borato un Piano di Trattamento Individuale,con interventi riabilitativi e risocializzanti,cancellando, con ciò la “misura di sicurez-za”, che ha alla sua base il concetto disociale pericolosità psichiatrica. La stessaprevisione deve essere assicurata alle per-sone con sofferenza psichica, che hannocommesso dei reati e che sono richiusenelle carceri giudiziarie.In base all’attuale ordinamento penitenzia-rio, tali persone, come avviene per le altre,devono poter essere ammesse alle misurealternative alla costrizione detentiva (lavo-ro esterno al carcere, messa alla prova,semilibertà…), come è stato richiamato indue sentenze della Corte Costituzionale (n.253 del 18 luglio 2003 e n. 367 del 29novembre 2004), affinchè, nel territorio,attuino il percorso di cura e di riabilitazio-ne.

SESTO PUNTO CRITICONell’allegato quattro della Delibera sono

contenute delle linee guida per il “contrat-to di accesso” delle persone anziane nonautosufficienti alle R.S.A., nonché un pro-totipo di contratto stesso.Su questo argomento la nostra osservazio-ne si pone dal lato della condizione mate-riale delle persone, nel momento in cuichiedono il ricovero nelle R.S.A.. In taleottica, proponiamo non la razionalizzazio-ne del contratto, come è previsto dallaDelibera 1185, ma la sua abolizione.Partiamo da una sintetica descrizione dellasituazione attuale.Oggi, quando si libera un posto, l’utente

viene accolto dal fornitore del servizio, ilquale gli fa sottoscrivere il Contratto d’ac-cesso, chiamando i parenti a fungere dagaranti per la solvibilità del pagamentodella retta (quota non sanitaria del servi-zio). Quando l’utente e i suoi parenti rie-scono a pagare l’intera retta, il Comune diprovenienza dell’utente rimane totalmenteestraneo al “rapporto pattizio”, così inter-corso fra il fornitore del servizio e l’utente;in altri termini, la persona non è conosciu-ta dal Comune e non viene presa in carico.Invece, nel caso in cui l’utente (e i suoiparenti) non sia in grado di pagare inte-gralmente la retta, esso chiede al Comunel’ “integrazione della retta”.Il Comune, oggi, in base al proprio regola-mento (solitamente non rispettoso dellanormativa vigente), accoglie o meno larichiesta. A nostro avviso, occorre modifi-care l’attuale prassi, attuando il seguenteprocedimento amministrativo. Si deve superare il contratto d’accesso, per-chè, nella sua stipulazione una delle dueparti (l’utente e i suoi parenti), esprimendo

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il bisogno incombente del ricovero, è sem-pre in una condizione di subalternità/sog-giacenza nei confronti dell’altra parte (ilfornitore del servizio).Nella diversa prassi, da noi proposta, la per-sona anziana, la cui non autosufficienza siagià stata valutata dall’ equipe del serviziofragilità dell’A.S.L., deve, in ogni caso, rivol-gersi al Comune, quando ritiene di nonpoter essere curata a domicilio (stante l’at-tuale precarietà dell’Assistenza DomiciliareIntegrata – A.D.I.). Il Comune chiederà alla persona di esibire la“prova dei mezzi” di cui dispone, attraversola certificazione I.S.E.E., che, nella piùrecente normativa, è un Livello Essenzialedi Assistenza – L.E.A.. Individuato il postoin una R.S.A., il Comune, che, nel frattem-

po, avrà modificato il proprio regolamento,al fine di renderlo conforme alla normativavigente, integrerà la retta, quando l’utentenon sarà in grado di pagarla integralmente.Con tale prassi, il Comune e l’utente agiran-no in solido nei confronti del fornitore delservizio. Con il risultato che l’utente concor-rerà al costo del servizio senza soggiacerealle richieste del fornitore, ma in base aquanto prescritto dalla normativa vigente.Infine, ricordiamo che la Legge Regionale n.3/2008, modificata dalla Legge Regionale n.2/2012, all’ art. 8, lettera h) stabilisce quantosegue: per le persone con disabilità grave(anche se anziane, titolari di indennità diaccompagnamento) il concorso al costo delservizio è basato sulla situazione economicadel solo assistito.

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Sistema Sanitario lombardoe medicina generale o delterritorio

di Maurizio BARDI*

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Cerchiamo di capire quali sono le maggioricriticità che rendono il sistema sanitariolombardo poco attrezzato, secondo noi, agestire i bisogni di salute della propria popo-lazione. In queste righe ci occuperemo delsistema delle cure territoriali.Il Servizio Sanitario Nazionale, come tutti isistemi sanitari, ha come finalità la tuteladella salute, dei singoli come di tutta lapopolazione nel suo complesso, e per farequesto produce servizi di prevenzione, didiagnosi, di cura, di riabilitazione.La Regione Lombardia ha rinunciato all’ero-gazione diretta delle prestazioni socio sani-tarie, affidandola a enti accreditati, sianopubblici o privati, e ritagliando per sè solo ilruolo di ufficiale pagatore. Ammessa lalegittimità di tale scelta, e anche senza entra-re nei dettagli di autorizzazioni date sullabase di autoaccreditamento, questa decisio-ne presuppone una capacità di programma-zione e di controllo che la Regione non hamai voluto/potuto/saputo esercitare. Non èpossibile infatti accreditare il privato senzafare una valutazione oggettiva di quanto neserva. Se si lascia fare al mercato e alla libe-ra concorrenza può succedere, e succede,che in Lombardia nascano lo stesso numerodi cardiochirurgie che sono oggi attive intutta la Francia. Lasciando fare al mercato e al privato si spa-lancano le porte agli speculatori che hannointeresse a produrre prestazioni indipen-dentemente dalla loro efficacia. Da qui ilmaggior numero di prestazioni erogate inuna totale incertezza, a essere generosi, circala loro appropriatezza ed efficacia, ma ancorprima con una oggettiva esposizione degliassistiti a costi economici e di salute chepremiano soltanto una medicina spregiudi-cata.

Quindi volutamente nessuna programma-zione e, in aggiunta, nessun controllo: bastaavere ascoltato le dichiarazioni degli espo-nenti della Regione Lombardia, sentiti cometestimoni al processo per la clinica SantaRita: impossibilità pratica di mettere in attoreali controlli dovendosi limitare al più allaverifica di un campione del 5% delle cartel-le cliniche ospedaliere senza poter stabilirequanto è puramente riportato su carta equanto è effettivamente svolto nella pratica.Seconda particolarità lombarda: i voucherper l’assistenza domiciliare. Alle personeche hanno bisogno di cure a casa propria, dicarattere riabilitativo, infermieristico o altro,viene consegnato un buono di spesa dausare presso gli enti erogatori, per avere leprestazioni necessarie. In pratica si dice: latua malattia vale tanto e, all’interno di pac-chetti prestabiliti, ti riconosciamo una cifrada spendere presso uno degli enti erogato-ri, e questo non in relazione con l’esito effet-tivamente ottenuto. Nei fatti questo significala rinuncia a una presa in carico globale, adaccompagnare la persona malata in un per-corso individuale, a valutarne insieme irisultati e le correzioni da fare. Si fa coinci-dere il bisogno con una prestazione o unaserie di prestazioni che nemmeno ci siimpegna ad erogare direttamente, la cui ese-cuzione anzi viene delegata a privati o a coo-perative del privato sociale senza riscontrosugli esiti. Questi enti, al di là del giudizioriguardo la qualità del servizio svolto, costi-tuiscono una nebulosa che è difficile cono-scere e con la quale è ancor più difficile inte-ragire. Solo a Milano esistono una quaranti-na di erogatori convenzionati con l’ASL.Come reclutino, formino e paghino il perso-nale non è dato di sapere, come se fosse diper sè irrilevante nel riprodurre i voluti (?)

*MedicinaDemocratica,Sezione diMilano. Medico diMedicinaGenerale.

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risultati di salute.Questa frammentazione dei servizi, unita aicontinui tagli, rende difficile persino l’e-splorazione delle risorse investite ed è diostacolo a qualsiasi tentativo di armonizza-re i diversi interventi e financo di definire gliobiettivi che la sanità dovrebbe perseguire.La parte più dolente è naturalmente quellache riguarda le persone più indifese: malaticronici con disabilità psichica o fisica,lasciati a se stessi o al buon cuore di chidovrebbe prendersi cura di loro, ma nonsempre lo fa.A questi aspetti regionali si sommano quel-li nazionali: pagamento a prestazione, attra-verso il sistema dei DRG, un sistema sani-tario culturalmente e nei fatti centrato sul-l’ospedale. Tutte le riforme e controriformesanitarie che si sono susseguite nel nostropaese, diversamente declinate nelle diffe-renti realtà regionali, riconoscono a parole ilruolo centrale del territorio, come cardine ditutti i servizi sanitari prestati alla personache prioritariamente sul territorio vive elavora, ma nessuna riforma mai ha investitodenari in questo. E non vale la pena diaggiungere altro.Se il rapporto tra ospedale e territorio è sem-pre stato asimmetrico, il sistema dei DRG neha sancito l’incomunicabilità di fondo e ladivergenza di interessi. Se tutti siamo d’ac-cordo nel sostenere che è meglio stare inospedale il minor tempo possibile, diciamol’essenziale, è anche vero che doverci torna-re a breve dopo dimissioni affrettate percontrolli o medicazioni, o avere bisogno aldomicilio di assistenza medica o infermieri-stica o di un programma riabilitativo pre-suppone una organizzazione socio sanitariadel territorio che non esiste.Il pagamento a prestazione, riconosciutoalle strutture che erogano servizi pubblici oprivati, fa si che ci sia un interesse a pro-durre il maggior quantitativo possibile divisite ed esami, a prescindere dalla neces-sità, dall’efficacia e dalla qualità. Oggi, poi,l’ospedale prevalentemente non lavoraquasi più neppure sull’acuto ma sull’acutis-simo, in superspecializzazione. Ma il paga-mento delle degenze col sistema dei DRG haportato con sè anche le seguenti storture:1) la selezione delle malattie a seconda delvalore economico delle stesse;

2) la selezione dei pazienti: a parità di malat-tia è meglio curare una persona giovane e inbuone condizioni generali che avrà presu-mibilmente meno complicazioni e comorbi-dità;3) la selezione degli interventi a secondadella remunerazione prevista per ciascunaprocedura; 4) le dimissioni precoci (la tariffa ricono-sciuta è indipendente dalla durata delladegenza). Se non si definiscono gli obiettivi, i compi-ti, gli ambiti della medicina, non solo diquella di base ma di tutta la medicina, sirischia di non avere chiaro cosa bisognafare, prima ancora di come farlo. Da decen-ni si parla di crisi della medicina eppurepoche sono le riflessioni che coinvolgonogli addetti ai lavori, i cittadini e la società suquale tipo di medicina e per fare cosa sidebba investire. Quindi un primo puntodovrebbe essere l’avvio di una ampiadiscussione, partecipata, sulle finalità dellamedicina e del Servizio Sanitario Nazionale(SSN), a tutti i livelli, senza dimenticare lemostruose differenze che ci sono nel mondorispetto all’aspettativa di vita e alle possibi-lità di cura.Ma ci sono altre questioni che impedisconoalla medicina generale e del territorio di vin-cere le sfide che oggi si aprono. Si voglionoqui solo ricordare, tra le tante, l’abbandonoprogressivo delle forme di prevenzione,soprattutto negli ambienti di vita e di lavo-ro, la crescente burocratizzazione, l’eccessi-vo peso dei ticket. Il SSN dovrebbe esseretotalmente finanziato dalla fiscalità generaleprogressivamente crescente al crescere delreddito ma una quota ormai non irrilevante,tanto da scoraggiare spesso nei menoabbienti il ricorso stesso alla diagnosi e allacura, viene prelevata direttamente dalletasche dei pazienti, nel momento di massi-mo bisogno.Riguardo alla burocrazia ricordiamo i certi-ficati che al medico di base si devono richie-dere in continuazione: certificato per lapalestra e l’attività sportiva, per il pass disa-bili, per l’invalidità, di malattia, di infortu-nio, di morte, per le assicurazioni, per lediete particolari a scuola, per l’esonero dal-l’attività di educazione fisica, per i soggiorniall’estero dei ragazzi, per il porto d’armi, per

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i presidi per l’incontinenza e quelli per i dia-betici, per la patente e il patentino, per l’in-terruzione di gravidanza, per entrare inautomobile al cimitero. Sembra che senzaun pezzo di carta tutto si debba fermare ine-sorabilmente e questo carica il medico diMedicina Generale di una attività non pro-priamente indirizzata alla promozione dellasalute.Due parole sulla medicina di base che dellecure territoriali dovrebbe essere il perno.Medico di base, medico di medicina gene-rale, medico di famiglia, medico della per-sona. Tutte definizioni oggi accettate perindicare la vecchia figura del medico dellamutua. Definizioni che esprimono con sen-sibilità diverse alcune precise caratteristi-che: essere il primo punto di riferimento deicittadini per tutti i loro problemi di salute edessere nello stesso momento vicini empati-camente ai propri assistiti e a conoscenzadel contesto sociale e ambientale in cuivivono.Due sono le caratteristiche che contraddi-stinguono la medicina generale. La facilitàd’accesso e la gratuità. Gli studi medici sonosolitamente vicini al luogo in cui si abita(tenendo ovviamente conto delle diverseconfigurazioni del territorio). La capillaritàdi diffusione e la gratuità sono le primegaranzie per un accesso facile e universale.E’ chiaro che queste due caratteristiche,come ogni altra cosa, vanno colte, valorizza-te e usate in maniera intelligente. Lo studio medico dovrà essere organizzatotenendo conto delle esigenze degli assistiti,soprattutto di quelli che lavorano e di tuttiquelli che hanno poco tempo a disposizio-ne, ma senza dimenticare che il tempo delmedico non è meno prezioso di quello deisuoi assistiti.Gli orari di apertura delle varie attività, enon solo quelli degli studi medici, merite-rebbero una riflessione più ampia sull’orga-nizzazione delle vite e del lavoro. Intantoperchè una maggiore offerta conduce a unamaggiore domanda e ne sanno qualcosa igestori dei supermercati, e poi nel conside-rare un vantaggio poter andare a fare laspesa, una commissione o una visita ladomenica o la sera tardi si dovrebbe anchevalutare se il tempo apparentemente guada-gnato non sia in realtà sottratto al nostro

tempo libero e a quello degli affetti e degliinteressi, tempi considerati sempre compri-mibili a differenza di quelli lavorativi (nostrie altrui). Altro punto di forza della medicina genera-le dovrebbe essere la conoscenza dell’assi-stito, del suo carattere ma anche della suavita sociale, ambientale, lavorativa, familia-re. Conoscenza che dovrebbe facilitarealmeno la comprensione, se non sempre larisoluzione, del disagio psico fisico di unapersona.Se ricoprire il ruolo di primo accesso delservizio sanitario nazionale è sancito per

legge la vicinanza tra medico e assistito èuna variabile destinata a modificarsi neltempo come tutte le relazioni; inoltre è unavariabile dipendente da molti fattori comepoi vedremo.La prima cosa quindi a cui si dovrebbe aspi-rare è l’instaurarsi di una buona relazionefinalizzata a un interesse comune: la salutedell’assistito. Se per l’assistito è normaleavere come obiettivo il mantenimento o ilripristino di uno stato di benessere ancheper il medico avere assistiti in buona saluteè, a prescindere dalla deontologia, comun-que più gratificante oltre a consentire unrisparmio di impegno e lavoro a parità di sti-pendio. Naturalmente la relazione si fa indue e richiede una buona dose di reciprocadisponibilità. Innanzitutto a confrontare leproprie aspettative con quelle dell’altro e atrovare un compromesso ragionevole perentrambi.Come si accennava ci sono una serie di fat-tori esterni che influiscono sulla relazionemedico paziente. Il principale è certamentequello che possiamo definire il mercato

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della salute, che agisce parimenti su medicoe assistito. Il condizionamento del medicoinizia fin dall’università nei tempi e neimodi della formazione. Prima nello studioasettico di un corpo trattato come se fosseuna macchina di cui studiare funzionamen-to e guasti; poi l’ingresso in ospedale dovesi curano malattie e i malati sono ridotti anumeri, casi clinici estraniati dal loro conte-sto di vita. Continua poi nella formazioneprofessionale quasi sempre promossa esponsorizzata dalle aziende che produconoe vendono farmaci o strumenti medicali ehanno in mano la parte più grande dellaricerca e della sperimentazione. Il condizionamento dei cittadini è fatto dauna serie infinita di programmi televisivi, diinserti e articoli di giornali e riviste cheinducono a credere di soffrire di quasi tuttoe che parimenti offrono una soluzione perogni disturbo, promuovendo indagini,accertamenti, terapie con le stesse modalitàcon cui si lancia l’acquisto di un nuovomodello di automobile. Ciò genera facili illusioni di guarigione efalse aspettative e può portare a confondereil diritto alla salute con il diritto alla presta-zione, a giudicare un servizio dalla quantitàdell’offerta e dai tempi di attesa perdendodi vista le finalità e l’efficacia di un atto dicura. Non si deve dimenticare a questo pro-posito che il medico, in quanto organizzato-re e induttore di spesa (per esami, visite,medicine) è responsabile del buon uso dellerisorse, non solo verso la comunità persenso civico, ma anche nei tribunali qualo-ra non sappia motivare perchè a parità diefficacia non abbia prescritto le soluzioni piùeconomiche. Eventualità questa assai remo-ta nella pratica ma ben prevista dalla con-venzione che regola il rapporto di lavoro.

Affinchè la medicina di base possa essereeffettivamente il perno del servizio sanitarioè necessario che il territorio sia conosciutoda chi ci opera e da chi ci vive, non ci rife-riamo solo alla conoscenza dei servizi maalle caratteristiche che fanno di un quartie-re, di una zona, una realtà diversa dalle altre,con le proprie risorse e le proprie criticità.Il MMG dovrebbe saper interagire, ancheper interposte persone, con gli ambulatorispecialistici, con gli ospedali, con i servizisociosanitari che nel territorio si occupanodel disagio psico fisico e della prevenzione.Questo avviene in maniera assai sporadicae quasi sempre perchè il tempo e la praticafacilitano alcune conoscenze personali,non perchè ci siano canali aperti e collau-dati di collaborazione. Questa frammenta-rietà degli interventi richiede un tentativodi sintesi che deve essere organizzato a par-tire dalla condivisione fisica di uno spaziocomune, decentrato, partecipato. Nella pro-posta di Medicina Democratica è rappre-sentato dalla Casa della Salute, (si vedanoaltri numeri della rivista) in cui far conver-gere medici di medicina generale(MMG),specialisti e servizi socio sanitari che, tuttiall’interno di uno stesso spazio fisico, sicoordino e si organizzino per dare unarisposta unitaria e multidisciplinare ai biso-gni di base dei cittadini.Per concludere, se non si rimette in motol’alleanza medico paziente, che deve passa-re, lo ripetiamo, da una condivisione degliobiettivi di fondo del SSN, il cittadino saràsempre più esposto ai rischi di un sistemache gira a vuoto e induce e fornisce presta-zioni nel migliore dei casi senza valutarne lareale efficacia, e il medico a fronteggiare insolitudine le crescenti domande di salutedei propri assistiti.

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Il “Disease Mongering”

di Alberto DONZELLI*

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L’incremento della spesa sanitaria a unritmo superiore alla crescita complessivadelle risorse sta interessando tutti i paesiindustrializzati, ed è tradizionalmenteimputato all’invecchiamento della popola-zione, alla disponibilità di trattamenti percondizioni in passato non consideratecurabili e allo sviluppo di nuove costosetecnologie sanitarie. Tuttavia anche il fenomeno del cosiddettodisease mongering o “mercato/venditadelle malattie” è un potente determinantedell’aumento della spesa sanitaria (e diiatrogenesi) a livello mondiale, che nonrisparmia il nostro paese, la nostra regione,ed è molto evidente in realtà metropolita-ne, con una concentrazione di struttureerogatrici e dell’offerta sanitaria particolar-mente elevata. Si pensi al continuo abbas-samento delle soglie per definire unamalattia, ad es. per Hb glicata, pressionearteriosa e colesterolo LDL (anche se laforza delle prove di segno contrario sta por-tando a rivedere al rialzo i target, almenoper Hb glicata e pressione arteriosa), conconseguente aumento esponenziale dell’u-so di farmaci, a volte anche privilegiandoprincipi attivi non di prima linea e moltopiù costosi delle alternative (com’è statoad es. per i sartanici nell’ipertensione).E con il drammatico aumento di prestazio-ni di diagnostica (v. Welch HG et al.Sovradiagnosi. Ed. Il Pensiero Scientifico,2014).O si pensi alla pressione per aggiungere ascreening di popolazione raccomandati(anch’essi per altro soggetti a revisioni: es.Gøtzsche PC, Jorgensen KJ. Screening ofbreast cancer with mammography.Cochrane Library 2013, Issue 6), anchescreening senza i requisiti, né prove di

benefici, o di chiara prevalenza dei benefi-ci sui rischi, come ad es. quelli con ecogra-fie per noduli tiroidei, quelli per melano-mi, con PSA per cancro prostatico … chedanno alti tassi di sovradiagnosi e sovra-trattamento, e importante iatrogenesi (es.Pillole di buona pratica clinica n. 109 sulPSA, e Pillole di educazione sanitaria 93.Screening del cancro alla prostata? Megliono. Fondazione Allineare Sanità e Salute,2013-14 www.allinearesanitaesalute.org).O ancora alla spinta a moltiplicare accerta-menti anche quando la gestione clinica/condotta terapeutica non ne verrebbeinfluenzata, come ad es. nelle MOCannualmente ripetute in soggetti in tratta-mento con bisfosfonati (Bell KL et al. BMJ2009; 338:b2266). A monte del disease mongering sta ancheil finanziamento (diretto o indiretto) dellagrande maggioranza delle ricerche e dellaproduzione scientifica da parte di sponsorcommerciali e la crescente pressione deiloro interessi nei confronti di ricercatori,Università e Sanità, che ha introdotto seriedistorsioni sia nella stessa produzionedelle conoscenze in campo sanitario, sianella loro interpretazione e diffusione.

Alcuni esempi di tale distorsione:• Bero L. et al, della Cochrane Collabo-ration (PLoS Medicine 2007; 4:e184) hannostudiato i fattori associati con il fatto cheuna statina appaia più efficace di un’altrain 192 RCT di confronti testa a testa, nel50% dei casi con sponsor industriale.L’analisi multivariata ha dimostrato che lasponsorizzazione dell’industria era asso-ciata con un OR di 20 di avere risultati afavore del farmaco sperimentale, e con unOR di 35 di avere conclusioni a suo favore,

*Medico, Direttoreeditoriale delle“Pillole di buonapratica clinica e dieducazione sanita-ria” (ASL Milano,Servizio di educa-zione all'appro-priatezza e allamedicina basatasulle prove di effi-cacia).

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rispetto a quanto riscontrato se lo sponsorera un’organizzazione pubblica o privatano profit.• Yank V et al (BMJ 2007; 335:1202) hannoeffettuato una metanalisi di 124 metanalisidi confronti tra farmaci antipertensivi, nel40% dei casi finanziati da un’unica casa far-maceutica. L’analisi multivariata ha trovatoche ciò non risultava associato a risultati piùfavorevoli per il proprio farmaco rispetto ametanalisi con sponsor multipli (più di unosponsor industriale e/o non profit e/o pub-blico), ma, ciononostante, era associato conun OR di 5,11 di avere conclusioni a favoredel prodotto dello sponsor industrialeunico.• La descritta distorsione non è una preroga-tiva della ricerca su farmaci cardiovascolari,ma è stata dimostrata ad es. anche con far-maci oncologici, o psichiatrici (es. Lewis SWet al. Why olanzapine beats risperidone,risperidone beats quetiapine and quetiapinebeats olanzapine. Amer J Psychiatry 2006;163:185), o in altre discipline mediche.

La pressione sopra descritta arriva anche adistorcere la comunicazione dei risultatidella ricerca ai medici e alla popolazione,quando questi siano in contrasto conpotenti interessi diversi dalla salute (sipensi ad es. a “informazioni” senza fonda-mento scientifico che hanno coinvolto ifarmaci a brevetto scaduto, per rallentarnel’adozione da parte dei medici).Di fronte a tale fenomeno e alle proporzio-ni che ha assunto negli ultimi anni, con laiatrogenesi e le perdite di costo-opportu-nità che vi sono connessi, stenta ad affer-marsi la consapevolezza che la SanitàPubblica non possa limitarsi a dare rispo-ste deboli o solo difensive, ma che debbaassumere un ruolo di governo del sistemasanitario e della domanda di prestazioni. Eavere il coraggio di indicare con chiarezzadove operare, senza conseguenze per lasalute, i tagli invocati dalle ricorrenti spen-ding review (es.: Donzelli A. SpendingReview le (vere) istruzioni per l’uso. Saluteinternazionale, 4 marzo 2013).

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Disabilità, non autosuffi-cienza e riabilitazione. E’ possibile invecchiare inbuona salute? di Laura VALSECCHI*

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Questa breve relazione ha come obiettivoquello di parlare della disabilità e delle per-sone con disabilità per affrontare alcuniargomenti culturali e di informazione gene-rale, indispensabili per il rispetto e il rico-noscimento di vita attiva e indipendente perle persone con disabilità.In particolare vorrei mettere in evidenza laconfusa conoscenza delle cause, insoddisfa-cente per prevedere interventi di prevenzio-ne, cura e riabilitazione che sono ancoral’imprescindibile base sulla quale poggia lanostra filosofia di risposte ai bisogni e diriconoscimento e rispetto dei diritti di tuttele persone, soprattutto per quelle maggior-mente in difficoltà.Infine vorrei riprendere il concetto di riabi-litazione all’interno di un progetto sanitarioe sociale che deve comporre il vero progettoindividuale per la persona con disabilità,progetto individuale che racchiude le rispo-ste sanitarie e sociali indispensabili pergarantire la miglior risposta alle necessitàcurative, assistenziali, di inserimento socia-le, familiare e professionale.

CHI SONO LE PERSONE CON DISABI-LITÀ?All’interno della popolazione le problemati-che che determinano situazioni di svantag-gio, di disagio e di disabilità lieve o gravesono numerosissime e spesso vengono sot-tostimate, perchè non sono conosciute.Da una parte vi è sicuramente una questio-ne culturale per la quale si tende a nascon-dere la difficoltà, la disabilità, soprattuttoquando questa richiede aiuti o modificazio-ni ambientali e soprattutto quando si parladi popolazione anziana con deficit cogniti-vi/attentivi.Dall’altra sino ad oggi si è ritenuto che la

disabilità facesse parte solo di alcune cate-gorie di individui e non fosse così trasversa-le tra tutta la popolazione.Se si parla di disabilità non si pensa a tuttequelle condizioni patologiche riguardantiad es. l’apparato respiratorio, cardio-circola-torio, scheletrico o altre patologie che non siconoscono, non determinano una disabilitàvisibile importante, ma creano comunqueimportanti limitazioni alla vita autonomadella persona, la quale deve fare i conti conl’organizzazione ambientale e socialecostruita esclusivamente a misura di perso-na in salute.

Non esistono sul territorio nazionale e regio-nale dei registri adeguati che riportino l’in-cidenza delle patologie che determinanodisabilità.Per risalire ad un numero e per fotografare lasituazione attuale, bisogna entrare nei diver-si siti ed individuare dei dati che risultanosempre parziali ed incompleti.Dal sito dell’ISTAT si trovano alcune stimesull’incidenza della disabilità:“Oltre 1 miliardo in tutto il mondo (15%della popolazione) e quasi 3 milioni in Italia(4,8%) della popolazione. Sono le personeche vivono con una disabilità. Anche seavere un quadro preciso del fenomeno nonè possibile. Questo perché “la definizione didisabilità non è universale”, perché “èmolto più difficile rilevare le disabilità men-tali rispetto a quelle fisiche” e perché “nonvi sono informazioni sul numero dei bambi-ni disabili”, come sottolinea l’ISTAT nell’ul-tima rilevazione italiana sulla disabilità cherisale ormai al 2004, quando si contavanoin Italia 2 milioni e 600 mila persone disa-bili di 6 anni e più che vive in famiglia ealtre 190.134 residenti nei presidi socio-

*MedicinaDemocratica,Sezione di Milanoe Provincia.Terapista occupa-zionale.

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sanitari, per un totale di circa 2 milioni800mila persone con disabilità nel nostroPaese, per lo più anziani (circa 1,9 milioni)e per lo più donne (66,2% del totale).La disabilità, dunque, resta una realtà anco-ra nascosta. E non solo alle banche-dati.Troppo spesso, infatti, le persone disabilisono ancora oggi costrette a vivere in condi-zioni di difficoltà di movimento e di isola-mento sociale a causa di barriere strutturalie di assenza di servizi, ma anche per gliancora diffusi pregiudizi.”(www.leonardo.it - Giornata Internazionaledella Persona con Disabilità).A questo dato deve aggiungersi sicuramen-te un’altra percentuale sconosciuta cheriguarda limitazioni presenti e dovute apatologie che non determinano una vera epropria disabilità, ma creano limitazioni eimpedimenti riferibili ad una condizione didisabilità:• patologie a carico dell’apparato respirato-rio;• patologie a carico dell’apparato cardio-cir-colatorio;• patologie a carico dell’apparato scheletrico;• disfunzioni metaboliche (obesità);• patologie oncologiche;• limitazioni sensoriali;• disagio mentale.Sono solo alcuni esempi, ma sono sicura-mente situazioni che condizionano la per-sona, limitando la vita quotidiana e creandocondizioni di marginalità sociale.Le persone disabili possono essere: bambi-ni, adulti, anziani e possono avere una disa-bilità temporanea o definitiva.

CAUSE DELLA DISABILITÀLe disabilità hanno insorgenze diverse:• malattie (Virali, Vascolari, Infettive,Tumorali, Tossiche, Neurologiche);• fattori legati alla gravidanza e al parto; • iatrogene;• incidenti (stradali, sportivi, domestici);• infortuni sul lavoro (Traumi, Amputazioni,Cadute, Intossicazioni, Ustioni).

Ecco alcune informazioni trovate tra i datiISTAT:

Le paralisi cerebrali infantiliL’incidenza delle paralisi cerebrali infantili

nei paesi occidentali risulta stabile da alcu-ni anni, ed è di 2-3 casi ogni 1.000 bambininati vivi.L’incidenza è significativamente più elevatanei bambini nati prematuri (in particolaresotto le 32 settimane di età gestazionale), enei neonati di peso inferiore ai 1500 g.Queste particolari categorie di bambini,infatti, hanno una maggiore probabilità diandare incontro a fenomeni di alterazioneprolungata del flusso cerebrale, indipenden-temente dalle caratteristiche del parto, acausa dell’immaturità dei loro sistemi diregolazione fisiologica.Nel neonato a termine può verificarsi unaasfissia generalizzata, con danno diffusodell’intero encefalo, che si manifesta comeuna tetraplegia; oppure, nel caso di unaocclusione di un’arteria cerebrale, la lesionepuò verificarsi in parte o in tutto un emisfe-ro cerebrale, determinando un’emiplegia digravità variabile.

Le cause più frequenti sono:Basso peso alla nascita 35-40%Eventi ischemici intrauterini 5-10%Infezioni 5-10%Anomalie cerebrali congenite 5-10%Asfissia intraparto 10%Errori metabolici 5%Fattori genetici/cromosomici 2-5%Altri 22%

Fattori prenatalifattori genetici, infezioni materne in gravi-danza, agenti tossici in gravidanza, gestosi.Fattori perinataliprematurità (soprattutto sotto le 32 settima-ne di età gestazionale), ipossia/ischemia nelbambino nato a termine, postmaturità, partodifficoltoso.Fattori postnatalimeningoencefaliti, trauma cranico, arrestocardiocircolatorio prolungato, stato di maleepilettico (convulsioni che si prolunganooltre i 30 minuti).

Tutti questi fattori sono molto correlati altipo di vita che la mamma conduce: caricodi lavoro, stress, mancanza di controlli sani-tari e di informazioni adeguate, povertà, usodi sostanze stupefacenti e di alcol, situazio-ne di disagio e violenza.

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Gli incidenti stradaliNel 2012 si sono registrati in Italia 186.726incidenti stradali con lesioni a persone.I morti (entro il 30° giorno) sono stati 3.653,i feriti 264.716.Rispetto al 2011, gli incidenti diminuisconodel 9,2%, i feriti del 9,3% e i morti del 5,4%.Tra il 2001 e il 2012 la riduzione delle vitti-me della strada è stata pari al 48,5%, conuna variazione del numero dei morti da7.096 a 3.653.Nella UE sono morte nel 2012 in incidentistradali 27.724 persone (l’8,8% in menorispetto al 2011) ovvero 55 persone ognimilione di abitanti. L’Italia ha registrato unvalore pari a 60,1, collocandosi al tredicesi-mo posto nella graduatoria europea, dietroRegno Unito, Spagna, Germania e Francia.Sulle strade urbane, nel 2012, si sono verifi-cati 141.715 incidenti, con 191.521 feriti e1.562 morti; sulle autostrade gli incidentisono stati 9.398, con 15.852 feriti e 330decessi. Sulle altre strade extraurbane, adesclusione delle autostrade, si sono verifica-ti 35.613 incidenti, con 57.343 feriti e 1.761morti.Gli incidenti più gravi avvengono sulle stra-de extraurbane, dove l’indice di mortalitàraggiunge il livello di 4,94 decessi ogni 100incidenti. Sulle strade urbane si registrano1,10 morti ogni 100 incidenti, sulle auto-strade 3,51. Rispetto al 2011, l’indice dimortalità risulta in aumento per stradeextraurbane e autostrade (era pari rispettiva-mente a 4,73 e 3,07), rimane invece stabileper le strade urbane.L’indice di mortalità raggiunge il valoremassimo alle 3, alle 5 e alle 6 del mattino(4,64 decessi ogni 100 incidenti, media gior-

naliera pari a 1,96); la domenica è invece ilgiorno nel quale si registra il livello più ele-vato, con 2,99 morti per 100 incidenti. Nellafascia oraria notturna (compresa tra le 22 ele 6 del mattino), l’indice è più elevato fuoricittà, il lunedì e il giovedì notte (7,71 e 7,74decessi per 100 incidenti).In sette casi su dieci le vittime di incidentistradali sono conducenti di veicoli (70,0%),nel 14,6% passeggeri trasportati e nel 15,4%pedoni. Tra i 2.555 conducenti deceduti aseguito di incidente stradale, i più coinvoltisono individui che hanno fra i 20 e i 49 annidi età (1.321 in totale, pari al 51,7%); in par-ticolare giovani 20-24enni e adulti tra i 40 e44 anni. Sale ancora la quota di conducentidi biciclette morti in incidenti stradali:+2,5% tra il 2012 e 2011 dopo il +7,2% regi-strato l’anno precedente. La categoria di vei-colo più coinvolta in incidente stradale èquella delle autovetture (66,3%); seguono imotocicli (13,6%), gli autocarri (6,5%), lebiciclette (5,2%) e i ciclomotori (5,0%).

Incidenza della patologia midollareLa lesione midollare nel mondo ha una inci-denza che varia a seconda dello svilupposocio-economico delle realtà locali e deirelativi stili di vita. Nei paesi industrializza-ti occidentali si calcola che ogni anno visiano dai 18 ai 25 nuovi casi per milione diabitanti.Nel nostro Paese il Ministero della Salute havalutato in circa 70 mila le persone colpiteda lesione midollare, con una incidenzaannua di 1400-1600 nuovi casi.Circa l’80 % delle lesioni del midollo spi-nale riguarda persone nella fascia d’età tra i16 e i 40 anni. (Tabella A).

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Tabella A (fonte: www.ausniguarda.it)

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Questo dato ha una enorme rilevanza: siparla di persone giovani in età scolastica oin età lavorativa, per le quali l’aspettativa divita è pressoché normale e per le quali l’in-tervento precoce, tempestivo e appropriatoha una importanza fondamentale. Complessivamente, l’81% delle personecon lesione del midollo spinale appartieneal sesso maschile.La paraplegia (la perdita di movimento esensazioni nella parte inferiore del corpo)colpisce il 47% delle persone, mentre latetraplegia colpisce il 52% (perdita di movi-mento e sensazioni sia agli arti superiori einferiori).Da uno studio eseguito dal GISEM (GruppoItaliano Studio Epidemiologico sulleMielolesioni), formato da operatori sanitariappartenenti a 48 strutture riabilitative che

si occupano di persone con lesione midol-lare, si possono estrapolare alcuni dati inte-ressanti che fotografano il “problema” dellalesione al midollo spinale. Su 828 ricoveri, di cui il 47% considerati“primo ricovero” e il 53% “rientri”, la mag-gior parte dei casi è di origine traumatica(65%) e risultano in crescita i casi dovuti amalattie (35%). (Tabella B)Le principali cause della lesione midollaredi origine traumatica sono: incidenti d’auto(36%), cadute (22%), incidenti motociclisti-ci (12%), incidenti sportivi (11%), tentatosuicidio (3%) e lesione da arma da fuoco(2%) e altre cause (14%). (Tabella C)Le principali cause delle lesioni midollarinon traumatiche (Tabella D) emerse sono diorigine: neoplastica (28%), vascolare (27%),infiammatoria (16%), degenerativa (14%) e

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 201488 Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario

Tabella B (fonte: www.ausniguarda.it)

Tabella C (fonte: www.ausniguarda.it)

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altre cause (13%).Popolazione AnzianaCrescono gli anziani e i “grandi vecchi”. E’ noto che l’Italia è un paese che invecchia.I dati dell’ultimo censimento pubblicatirecentemente dall’ISTAT permettono dianalizzare meglio il fenomeno: in dieci annidal 2001, anno del precedente censimento,al censimento del 2011, la percentuale dipopolazione di 65 anni e più è passata dal18,7% (10.645.874 persone) al 20,8%(12.384.963 persone); nel 1991 era al 15,3%(8.700.185 persone). V. Tabella E. I dati aggiornati al 2010 dicono che l’indicedi vecchiaia ha raggiunto in Italia il 144%,avvicinandoci al rapporto di 3 anziani ogni2 giovani. Chiaramente la variazione del-l’indice nel tempo dipende dalla dinamicasia della popolazione anziana che di quella

giovane.Il dato più interessante è l’aumento dei“grandi vecchi”: gli ultra 85enni, infatti, pas-sano dal 2,2% al 2,8% sul totale della popo-lazione residente, con un aumento del78,2% nella classe 95-99 anni e addiritturadel 138,9% in quella degli ultracentenari.Se nel 2011 le persone di 100 anni e più,erano 6.313 (1.080 maschi e 5.233 femmi-ne), nel 2011 ne sono state censite ben15.080, con una percentuale di donne pariall’83,7% (12.620 unità); addirittura in 11hanno raggiunto i 110 anni, in sette i 111 edue donne avevano compiuto 112 anni alladata del 15° Censimento.A livello regionale, il maggior numero diultracentenari risiede nella Lombardia(2.391, pari al 15,9% del totale), quindinell’Emilia-Romagna (1.533, 10,2%) e nel

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Tabella D (fonte: www.ausniguarda.it)

Tabella E

Elaborazione su dati dei censimenti ISTAT

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Veneto (1.305, 8,6%) che ha strappato il pri-mato al Piemonte. Nel corso degli ultimidieci anni il numero di ultracentenari è rad-doppiato in quasi tutte le regioni italiane edè più che triplicato in Basilicata.Gli anziani crescono quindi in Italia e inEuropa grazie alla crescita della speranza divita, che alla nascita, in Italia, è giunta ormaiquasi agli 80 anni per gli uomini (79,4 conun incremento in 10 anni di due anni divita) e quasi 85 per le donne (84,5 con unincremento in 10 anni di quasi un anno emezzo). Fatto evidentemente positivo inquanto tale indicatore, si suppone, conse-guente allo sviluppo e alle migliorate condi-zioni di vita. Su questo punto l’Italia si col-loca ai primi posti nella graduatoriadell’Unione Europea. Nel 2008 l’Italia è risultata terza per speran-za di vita alla nascita sia maschile, dopoSvezia e Spagna, sia femminile dopoSpagna e Francia.

In Italia 600mila persone affette daAlzheimerNel nostro Paese oltre 600 mila personesono affette dalla malattia di Alzheimer, lapiù diffusa tra le demenze: persone spessomolto anziane, con un’età media di 78 anni,diagnosticate in media due anni dopo l’in-sorgere dei primi sintomi. Segno, questo, diuna ritardata capacità del sistema sanitario edei suoi attori (medici di famiglia, speciali-sti, etc.) ad arrivare a una diagnosi, come diun rifiuto delle famiglie a riconoscere e adaccettare la condizione del loro congiunto,nella consapevolezza che l’Alzheimer avràun impatto drammatico sulla vita delpaziente e della sua famiglia.L’Alzheimer è sempre più una malattiafamiliare, come conferma lo Studio Axept,un importante progetto europeo promossoda Novartis, che ha coinvolto oltre 2.000pazienti e relativi caregiver, metà dei qualiitaliani.Lo Studio Axept conferma che le famiglie sitrovano ad affrontare da sole questo pesosociale, psicologico ed economico, ancheper gli aspetti più critici come la gestionedella terapia. Il sostegno pubblico è in ritar-do, con la malattia ancora considerata comeil prezzo da pagare alla longevità, ma nonuna vera e propria patologia da trattare con

tutte le risorse possibili, mediche, farmaco-logiche e non farmacologiche.In Italia, agli oltre 600 mila pazienti conAlzheimer corrispondono almeno altrettan-ti caregiver, che svolgono un ruolo cruciale,essendo impegnati ogni giorno nell’assisten-za e coinvolti nel 70% della gestione del-l’attività terapeutica, in prima analisi quellafarmacologica. In oltre il 95% dei casi a svol-gere il ruolo di caregiver è un familiare delmalato e in un caso su due un figlio o piùspesso una figlia: il 72% dei caregiver è disesso femminile.Quello del caregiver è dunque un lavoro atempo pieno: il familiare assiste il pazientesin dall’esordio della malattia e trascorrecon lui circa 12 ore al giorno.

DISABILITÀ E INVALIDITÀLe persone con disabilità includono quanti“hanno minorazioni fisiche, mentali, intel-lettuali o sensoriali a lungo termine che ininterazione con varie barriere possonoimpedire la loro piena ed effettiva parteci-pazione nella società su una base di egua-glianza con gli altri.” (Fonte: Convenzionedelle Nazioni Unite sui diritti delle personecon disabilità, ratificata dall’Italia con laLegge 3 marzo 2009, n. 18).Il riconoscimento della Disabilità è soggettaa una normativa datata che prevede visitecollegiali e valutazioni del danno residuocon conseguente definizione della percen-tuale di Invalidità.L’invalidità civile è un concetto più ristrettodi quello della disabilità. La definizionerisale agli Anni ’70, attraverso una serie dinormative (L.381/70, L.382/70, L.118/71,L.18/80 e altre successive). Con queste nor-mative si valutano le difficoltà a svolgerealcune funzioni della vita quotidiana o direlazione a causa di un deficit fisico, psichi-co o intellettivo, della vista o dell’udito.L’invalidità è “civile” quando non deriva dacause di servizio, di guerra, di lavoro. E’ una visione molto ristretta che non tieneconto delle potenzialità e delle risorse chepermetterebbero a quell’individuo di trova-re modalità di inserimento lavorativo, maconsidera esclusivamente ciò che l’indivi-duo non è in grado di fare.Una volta accertata la percentuale di invali-dità si ha “diritto” alla remunerazione:

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275,87 euro mensili (nel 2013) è l’importodella pensione agli invalidi civili al 100%. Illimite reddituale lordo annuo è di 16.127,30euro lordi.L’indennità di accompagnamento è unaprovvidenza assistenziale introdotta nel1980 a favore degli invalidi civili totali chenon sono in grado di deambulare autono-mamente o senza l’aiuto di un accompagna-tore o non sono in grado di svolgere autono-mamente gli atti quotidiani della vita. Fra lecondizioni di esclusione: essere ricoveratiin istituto a carico dello Stato o degli Entilocali.499,27 euro mensili per 12 mensilità è l’at-tuale (2013) importo dell’indennità diaccompagnamento.

Definizioni e denominazioniNegli anni numerose sono state le denomi-nazioni per descrivere le persone con disa-bilità, l’ultima è legata alla Legge Quadro del1992:“E’ persona handicappata colui che presen-ta una minorazione fisica, psichica, o sen-soriale, stabilizzata o progressiva, che ècausa di difficoltà di apprendimento, direlazione o di integrazione lavorativa e taleda determinare un processo di svantaggiosociale o di emarginazione.” (Art.3, L.104/92)Le persone disabili e le associazioni denun-ciano questa confusione terminologica che

ha visto un uso inappropriato di definizioni,quali:“Invalidi, Mutilati, Minorati, Handicappati,Portatori di Handicap, Ciechi, Non vedenti,Privi della vista, Sordomuti, Subnormali,Alienati, Malati di mente, Appartenenti aCategorie svantaggiate, Affetti da minora-zioni psico-fisiche e sensoriali, Portatori dimenomazioni fisiche o sensoriali, Diversa-mente Abili…e chiedono a viva voce che venga rispettatoquesta denominazione:

PERSONA CON DISABILITA’Concetto di disabilità e di partecipazionealla vita quotidianaDalla Classificazione delle Malattie e delleDisabilità del 1980 si ha il riconoscimentodella normalità come possibilità di parteci-pare alla vita quotidiana, ognuno con le pro-prie capacità, inclinazioni, motivazioni ecapacità.E’ la presenza di barriere materiali e cultu-rali che impedisce la partecipazione allavita quotidiana.Nel 2001 l’International Classification ofFunctioning, Disability and Health (ICF) ofthe WHO ha rafforzato questi concetti, intro-ducendoli nel modo riabilitativo con l’o-biettivo di innescare un percorso di tipo glo-bale, ovvero riprendendo il concetto di ser-vizi socio-sanitari, perchè la persona vapresa in carico non solo per le implicanze

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cliniche-sanitarie, ma anche per quellesociali e di inclusione.Le Associazioni Internazionali dellePersone con Disabilità hanno ottenuto laDichiarazione di Madrid e la ConvenzioneONU per il riconoscimento dei Diritti dellePersone con Disabilità. I contenuti di questiimportantissimi documenti segnano unasvolta epocale nella concezione generale, inquanto finalmente alle persone disabili ven-gono garantiti il rispetto e la partecipazioneattiva alla vita, viene garantito il diritto allacomunicazione, al lavoro, alla vita indipen-dente…almeno sulla carta.Le Associazioni delle Persone con Disabilitàsono consapevoli che ciò che sta scrittosulla carta richiede anni di lavoro prima divedere in modo tangibile il cambiamentoculturale e sociale.

DICHIARAZIONE DI MADRID, 2002NULLA SU DI NOI SENZA DI NOI

A sostegno di questa cultura sono poi arri-vate la Dichiarazione di Madrid e la ratificadella Convenzione ONU per i diritti dellepersone Disabili.In occasione del Congresso Europeo sullaDisabilità, noi qui riuniti a Madrid, nelnumero di più di 600 persone, accogliamocalorosamente la proclamazione dell’anno2003 come Anno Europeo delle PersoneDisabili, evento che vuole diffondere laconoscenza dei diritti di oltre 50 milioni dicittadini europei disabili. In questa Dichiarazione, esprimiamo ilnostro pensiero, con l’obiettivo di proporrelo sfondo idealistico dell’azione per l’AnnoEuropeo, a livello di Comunità Europea, alivello nazionale, regionale e locale. Il nostro pensiero può essere descritto comeuna contrapposizione tra nuova e vecchiaconcezione: a) Non più persone disabili come oggetto dicompassione ... e Verso persone disabilicome persone aventi dei diritti. b) Non più persone disabili come ammalati... e Verso persone disabili come cittadini econsumatori indipendenti. c) Non più professionisti che prendono ledecisioni per conto delle persone disabili ...e Verso decisioni e responsabilità preseautonomamente dalle persone disabili edalle loro organizzazioni.

d) Non più attenzione alle minorazionimeramente individuali ... e Verso l’elimina-zione delle barriere, la revisione dellenorme sociali, delle politiche, delle culturee la promozione di un ambiente accessibilecapace di dare sostegno. e) Non più l’abitudine ad etichettare le per-sone disabili come dipendenti dagli altri oinoccupabili ... e Verso l’enfasi delle lorocapacità, e l’inserimento di misure attive disostegno. f) Non più scelte politiche ed economicheconcepite per il beneficio di pochi ... e Versoun mondo flessibile progettato ad uso dimolti. g) Non più segregazioni inutili nell’ambitoeducativo, lavorativo e nelle altre sfere dellavita ...e Verso l’integrazione delle personedisabili nelle strutture normali. h) Non più la politica per le persone disabi-li come materia di competenza soltanto deiministeri speciali ... e Verso una politica perle persone disabili che sia responsabilità ditutto il governo.

CONVENZIONE ONU PER I DIRITTIDELLE PERSONE DISABILILa Convenzione ONU, 2006

La Convenzione ONU sui diritti delle per-sone con disabilità, adottata da 192 paesi,firmata da 126 e ratificata da 49, è entrata invigore in Italia il 3 maggio 2008: con l’ap-provazione della Camera anche l’Italia hadato il suo via libero alla ratifica. Quattroanni di trattative, scritta insieme alle piùgrandi associazioni e organizzazioni del set-tore, la Convenzione colma una lacuna deldiritto internazionale e tratteggia nel detta-glio i diritti di cui godono le persone disabi-li, chiedendo quel cambiamento di atteggia-mento da parte della società indispensabilea garantire ad essi il raggiungimento dellapiena uguaglianza.

I principi della presente Convenzione sono:(a) Il rispetto per la dignità intrinseca, l’au-tonomia individuale - compresa la libertà dicompiere le proprie scelte - e l’indipenden-za delle persone.(b) La non-discriminazione.(c) La piena ed effettiva partecipazione e

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inclusione all’interno della società.(d) Il rispetto per la differenza e l’accetta-zione delle persone con disabilità comeparte della diversità umana e dell’umanitàstessa.(e) La parità di opportunità.(f) L’accessibilità.(g) La parità tra uomini e donne.(h) Il rispetto per lo sviluppo delle capacitàdei bambini con disabilità e il rispetto per ildiritto dei bambini con disabilità a preser-vare la propria identità.

La “Progettazione universale” indica laprogettazione (e realizzazione) di prodotti,ambienti, programmi e servizi utilizzabilida tutte le persone, nella misura più estesapossibile, senza il bisogno di adattamenti odi progettazioni specializzate.

Vita indipendente ed inclusione nellacomunitàGli Stati Parti di questa Convenzione rico-noscono l’eguale diritto di tutte le personecon disabilità a vivere nella comunità, conla stessa libertà di scelta delle altre persone,e prendono misure efficaci e appropriate alfine di facilitare il pieno godimento da partedelle persone con disabilità di tale diritto edella piena inclusione e partecipazioneall’interno della comunità, anche assicu-rando che:(a) Le persone con disabilità abbiano la pos-sibilità di scegliere, sulla base di eguaglian-za con gli altri, il proprio luogo di residenzae dove e con chi vivere.(b) Le persone con disabilità abbiano acces-so ad una serie di servizi di sostegno domi-ciliare, residenziale o di comunità, compre-sa l’assistenza personale necessaria per per-mettere loro di vivere all’interno dellacomunità e di inserirvisi.(c) I servizi e le strutture comunitarie desti-nate a tutta la popolazione siano messe adisposizione, su base di eguaglianza con glialtri, delle persone con disabilità e sianoadatti ai loro bisogni.

MANIFESTO PER LA VITAINDIPENDENTE

Vita Indipendente è poter vivere comechiunque altro: avere la possibilità di pren-dere decisioni riguardanti la propria vita e la

capacità di svolgere attività di propria scel-ta, con le sole limitazioni che hanno le per-sone senza disabilità. Vita Indipendente ha a che fare con l’au-todeterminazione.È il diritto e l’opportunità di perseguireuna linea di azione ed è la libertà di sba-gliare e di imparare dai propri errori, esat-tamente come le persone che non hannodisabilità. Vita Indipendente riguarda soprattutto lepersone con disabilità, tuttavia chi la per-segue sa che attorno a ogni persona condisabilità che sia libera, si aprono spazi di

libertà per madri, padri, fratelli, sorelle,figli, figlie, mogli, mariti, compagne, com-pagni, amiche, amici con esse in relazione.

E’ POSSIBILE INVECCHIARE IN BUONASALUTE ?Riuscire a dire tutto quello che si dovrebbefare per garantire la vita in salute alla popo-lazione è impossibile data la molteplicitàdei rischi cui siamo soggetti oggi e che rien-trano nei grandi capitoli dell’inquinamento,dell’alimentazione, del lavoro quando c’è edel grave disagio quando non c’è, della vitamaggiormente sedentaria e dei rischi car-diocircolatori, dell’obesità, ecc.Per far fronte alle principali problematicherelative alla salute vi deve essere una atten-zione che parte dal territorio, dal Medico diMedicina Generale (MMG) e dai servizisanitari e sociali territoriali che devono agirepreventivamente e devono garantire rispo-ste appropriate (sociali e sanitarie) quandovi siano le necessità da parte della popola-zione stessa.Per costruire queste risposte basterebbe rico-

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minciare da quanto è stato sancito con laL.833/78 (già richiamata più volte in questocorso), di Istituzione del Servizio SanitarioNazionale (SSN).

L’art.1 recita:“Il SSN è costituito nel complesso delle fun-zioni, delle strutture, dei servizi e delle atti-vità destinati alla promozione, al manteni-mento ed al recupero della salute fisica epsichica di tutta la popolazione senzadistinzione di condizioni individuali osociali e secondo modalità che assicurinol’eguaglianza dei cittadini nei confronti delservizio.L’attuazione del SSN compete allo stato,alle regioni e agli enti locali territoriali,garantendo la partecipazione dei cittadi-ni.”

Dalla L.833/78 si arriva al Decreto Lgs n.502/92, in tema di Riordino della disciplinain materia sanitaria, che pone l’attenzionepiù sulle modalità di tariffare le prestazionie introduce il bilancio di esercizio, modifi-cando un assetto organizzativo sanitario,all’interno del quale si perde il concetto delsociale:

“Definizioni di prestazioni sociali, sociali arilevanza sanitaria, socio-sanitarie.Prestazioni ad elevata integrazione sanita-

ria, sono caratterizzate da particolare rile-vanza terapeutica e intensità della compo-nente sanitaria e attengono alle aree mater-no infantile, anziani, handicappati, patolo-gie psichiatriche e dipendenze dalle droghe,alcool e farmaci, patologie per infezioni HIVe patologie in fase terminale, inabilità odisabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative”.

Nonostante la normativa nazionale, neiPiani Sanitari Regionali e Nazionali che sisono succeduti è sempre stata richiamatal’importanza di interventi socio-sanitari perle persone affette da patologie croniche enon autosufficienti.Nel 1998 sono state introdotte le LineeGuida per la Riabilitazione, all’interno dellequali si richiama l’importanza di percorsiintegrati socio-sanitari:“Obiettivo delle presenti Linee Guida è for-

nire indirizzi per la organizzazione dellarete dei servizi di riabilitazione e criterigenerali per gli interventi di assistenza riabi-litativa attivabili all’interno dei livelli unifor-mi di assistenza previsti dal Piano SanitarioNazionale (PSN), adottando quale riferi-mento un modello di percorso integratosocio-sanitario, ….Tale percorso integrato socio-sanitarioimplica una intima connessione dei pro-grammi di intervento sanitario, finalizzati asviluppare tutte le risorse potenziali dell’in-dividuo, con gli interventi sociali orientati asviluppare e rendere disponibili le risorse ele potenzialità ambientali, amplifica erinforza l’intervento riabilitativo, consenten-do l’inserimento o il reinserimento dellapersona disabile nei diversi cicli della vitasociale e il miglioramento della sua qualitàdella vita e della sopravvivenza”.“Si definiscono “attività sanitarie di riabili-tazione” gli interventi valutativi, diagnosticiterapeutici finalizzati a portare il soggettoaffetto da menomazioni a contenere o mini-mizzare la sua disabilità, ed il soggetto disa-bile a muoversi, camminare, parlare, vestir-si, mangiare, comunicare e relazionarsi effi-cacemente nel proprio ambiente familiarelavorativo, scolastico e sociale.Si definiscono “attività di riabilitazionesociale” le azioni e gli interventi finalizzati agarantire al disabile la massima partecipa-zione possibile alla vita sociale.Le attività sanitarie di riabilitazione richie-dono obbligatoriamente la presa in caricoclinica globale della persona mediante lapredisposizione di un progetto riabilitativoindividuale e la sua realizzazione medianteuno o più programmi riabilitativi”.

Nelle Linee Guida vengono introdotti duestrumenti organizzativi definiti “ProgettoRiabilitativo Individuale” e “ProgrammaRiabilitativo”. Il Progetto Riabilitativo Individuale consi-dera in maniera globale i bisogni, le prefe-renze del paziente (e/o dei suoi familiari),le abilità residue e recuperabili, i fattoriambientali e personali. Riconosce l’impor-tanza dell’Equipe Multiprofessionale edefinisce attraverso l’equipe stessa, gliobiettivi a breve, medio e lungo termine, itempi previsti, le azioni da predisporre per

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ottenere i risultati soprattutto in termini diinclusione sociale.Nelle Linee Guida del 1998 viene espressoche “la riabilitazione è un processo di solu-zione dei problemi e di educazione nelcorso del quale si porta una persona a rag-giungere il miglior livello di vita possibile sulpiano fisico, funzionale, sociale ed emozio-nale.”Il processo riabilitativo coinvolge anche lafamiglia del soggetto e quanti sono a lui vici-ni. Di conseguenza, il processo riabilitativoriguarda, oltre che aspetti strettamente clini-ci anche aspetti psicologici e sociali. All’interno del Progetto Riabilitativo In-dividuale viene introdotta la necessità dilavorare in una Equipe Multiprofessionale.L’Equipe multiprofessionale è l’insiemedegli operatori sanitari e sociali che inte-ragiscono con un obiettivo comune e all’in-terno di un programma curativo-assisten-ziale-riabilitativo-sociale- psicologico.Gli Operatori Socio Sanitari, riconosciutidalla L. 42/99 “Disposizioni in materia diprofessioni sanitarie” abolisce la suddivisio-ne proveniente dal Testo Unico del 1934,all’interno del quale tutti i professionistinon medici erano “figure ausiliarie”, einquadra tutte le figure professionali comeprofessioni sanitarie.Sono anche riconosciuti dalla L.251/00“Disciplina delle professioni sanitarie infer-mieristiche, tecniche, della riabilitazione,della prevenzione nonché della professioneostetrica”, istituendo la dirigenza infermie-ristica e la laurea specialistica.Le professioni sanitarie non mediche ven-gono suddivise in infermieristiche, riabilita-tive, tecnico-sanitarie e tecniche della pre-venzione.I diversi professionisti hanno competenze ecapacità professionali diverse, che si inte-grano e sono indispensabili per il correttoprocesso clinico, assistenziale, riabilitativo,sociale e psicologico di persone che neces-sitano di una presa in carico globale.I diversi professionisti (Infermiere,Assistente Sociale, Fisioterapista,Tecnicodi Laboratorio, Terapista Occupazionale,Ortottista, Educatore, Tecnico di Radiologia,Logopedista, Tecnico Ortopedico, Chinesio-logo) lavorano:•Ognuno secondo le proprie competenze

La Legge 251/00 dà indicazione ad agire contitolarità ed autonomia professionale, nelrispetto dei profili professionali. • In modo autonomo e responsabileCon la L 42/99, si dà inizio proprio ad unpercorso di autonomia e responsabilità, conla legge 251/00 si legano indiscutibilmenteil concetto di responsabilità proprio dellalegge 42/99 a quello di autonomia. Risultainfatti impossibile effettuare qualsiasidichiarazione di autonomia se contestual-mente si rifiuti la condizione di doverrispondere completamente dei propri atti,così come risulta impensabile essere com-pletamente responsabili se non si è messi incondizione di esercitare con autonomia ilproprio potere decisionale. • Nel rispetto del lavoro degli altri• Sulla base di un confronto comune

L’intesa tra i diversi operatori sociali e sani-tari non è solamente una complementarietàmetodologica nella diagnosi, nella prognosi,nelle terapie, ma presuppone una unita-rietà di intenti che dipende da una filosofiae da obiettivi assistenziali-riabilitativi condi-visi.Il modello di lavoro mira ad uniformare gliinterventi che devono concorrere al proget-to di autonomia per la persona con disabi-lità, in grado di garantire il recupero massi-mo possibile in tutte le attività della vitaquotidiana e la ricostruzione di una nuovaidentità personale.

LA RIABILITAZIONE E IL PROGETTOSOCIALELa Riabilitazione è una parte della Medicinache si occupa della diagnosi, della terapia edella riabilitazione della disabilità conse-guente a varie malattie invalidanti.Si tratta soprattutto di malattie che compor-tano una limitazione dell’attività e restrizio-ne della partecipazione alla vita attiva attra-verso la riduzione della funzione motoria,cognitiva o emozionale.Riabilitare significa recuperare le abilità resi-due attraverso il recupero del miglior livellofisico, cognitivo, funzionale e delle relazionisociali nell’ambito dei bisogni e delle aspi-razioni dell’individuo e della sua famiglia.

Il Progetto Riabilitativo è unico ma si svolge

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 2014Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario 95

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su due versanti:- riabilitazione sanitaria- riabilitazione sociale.Compito di un Progetto Riabilitativo e dellaTerapia Occupazionale è quello di restituirealle persone con disabilità il più ampiogrado di autonomia possibile nella condu-zione della loro vita quotidiana, ricorrendoa training funzionali e all’utilizzo di ausilitecnici.La Terapia Occupazionale procede definen-do anche il programma per l’adattamentodell’abitazione, del posto di lavoro e peravviare quello di motorizzazione (guida etrasporto). Il Progetto Sociale deve essere attivato sindall’inizio dell’insorgenza dell’evento mor-boso, deve essere condotto da un assistentesociale e deve prevedere la attivazione diuna rete territoriale che permetta alla perso-na e alla sua famiglia di poter rientrare nelproprio contesto ambientale di appartenen-za trovando tutte le risposte sanitarie, socia-li, di reinserimento sociale e professionale, aseconda della situazione e dalle esigenzeposte dalla persona con disabilità.La riforma del Titolo V della Costituzione(artt. 114, 133) ha assegnato alle Regioni lacompetenza legislativa esclusiva in materiadi politiche sociali, preservando allo Stato ilcompito di determinare “i livelli essenzialidelle prestazioni concernenti i diritti civili esociali che devono essere garantiti su tutto ilterritorio nazionale”. Si attende ormai dal2000 (anno di approvazione della legge 328,di riforma dei servizi sociali) il provvedi-mento che definisca i livelli essenziali diassistenza sociale (Liveas), ossia quei livellidelle prestazioni in grado di garantire ai cit-tadini l’effettiva tutela dei diritti sociali e dicontrastare le disuguaglianze territoriali.A livello nazionale la spesa comunale perl’assistenza domiciliare rivolta alle personecon disabilità (211.201.622 euro) risultainferiore a quella destinata alle struttureresidenziali (256.926.187 euro), a cui sideve aggiungere la compartecipazione degliutenti e del SSN. La spesa media per perso-na con disabilità varia notevolmente in basealla tipologia di intervento: 3.469 euroannue per utente in assistenza domiciliaresocio-assistenziale contro i 12.201 euro instruttura residenziale (al netto della com-

partecipazione degli utenti e del SSN).(Fonte: Istat 2012, “Indagine censuaria sugliinterventi e i servizi sociali dei Comuni sin-goli e associati. Anno 2009”).Quanto costa il caregiving ?Il modello di welfare italiano risulta ancorafondamentalmente assistenzialistico e difatto incentrato sulla delega alle famiglie.L’aiuto da parte di familiari è quello su cuile persone con limitazioni funzionali conta-no più spesso, sia in termini di parenti sucui fare affidamento in caso di bisogno(nell’83,1% dei casi), sia in termini di aiutoeffettivamente fornito: il 55% delle personecon limitazioni funzionali riceve aiuti uni-camente da familiari conviventi o non con-viventi. Marginale è la quota di chi fruisce diaiuti da parte di assistenti domiciliari odoperatori sociali, in via esclusiva (0,8%) o incombinazione con altri tipi di aiuto (1,8%).(Fonte: ISTAT 2012, “Inclusione socialedelle persone con limitazioni dell’autono-mia personale. Anno 2011”).Spesa Intervista a una parente di una persona conlesione midollare:“Mio fratello è un adulto single senza geni-tori, senza moglie né figli. Se in Italia c’èpoco per le famiglie figuriamoci per un sin-gle. Io sono la sorella e ho la fortuna di avereuna libera professione che riesco a gestire,per il momento, accantonando degli impe-gni, ma l’unica soluzione che mi si prospet-ta per il futuro sarà quella di far formareuna badante. Ma quando questa andrà viacosa succederà? Sarà necessario formareun’altra persona? Anche i single hanno que-sti problemi. La badante non è sempre unabuona soluzione. Bisognerebbe pensare adegli alloggi con dei servizi centralizzati, piùfamiliari. In Italia siamo ancora lontani dauna proposta del genere”.

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 201496 Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario

Gabriella Bertini – MD Firenze

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MA ALLORA QUESTI ALBERGHI SIFANNO OPPURE NO?!!

Le necessità di assistenza per molte Personecon Disabilità e per i loro Familiari sono lacondizione indispensabile per riuscire agarantirsi un minimo di qualità della vita.Come risulta da indagini che sono state rea-lizzate dalla Fondazione ISTUD che si occu-pa di studi epidemiologici in Sanità(www.istud.it), si è visto che le cure domici-liari e assistenziali a domicilio, sono soprat-tutto sostenute dai familiari, investendotempo, risorse economiche e riducendo ipropri spazi di autonomia personale.Il territorio è inesistente e tutto è lasciato allepossibilità economiche individuali.

Spesso l’unica soluzione è quella del ricove-ro in strutture residenziali che riescono arispondere parzialmente a bisogni di qualitàdi vita della persona. In queste strutture lapersona ha esclusivamente un posto letto egarantita l’assistenza di base, naturalmentepagandola con rette decisamente alte.L’impegno futuro come chiede GabriellaBertini di Medicina Democratica di Firenzeè quello di prevedere una organizzazione ter-ritoriale che permetta di garantire assistenzaadeguata alle persone che non sono piùautonome, sia al domicilio, sia realizzandopiccole comunità, inserite nel territorio diresidenza, in modo di favorire la miglioreintegrazione e la migliore qualità della vita.

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BIBLIOGRAFIA• L. 23/12/833, n. 78: “Istituzione del ServizioSanitario Nazionale” del Ministro della Sanitàper le attività di riabilitazione, pubblicate sullaGazzetta Ufficiale 30/5/98, n.124.• L. 5/2/1992, n. 104: “Legge Quadro per l’assi-stenza, l’integrazione e i diritti delle personehandicappate”.• L. 21/5/1998, n. 162: “Modifiche alla Legge5/2/1992, concernenti misure di sostegno infavore di persone con handicap grave”.• L. 8/11/2000, n. 328: “Legge Quadro per la rea-lizzazione del sistema integrato di interventi e diservizi sociali”.• Documento Conferenza Stato Regioni 29Aprile 2004, n.1967: “Linee guida per le UnitàSpinali Unipolari”.• Atti Coordinamento Nazionale OperatoriProfessionali Unità Spinali – “Manifesto delLavoro in Equipe”, 1997.• M. Taramelli – “L’Unità Spinale Unipolare. Unprogetto per la prevenzione, la cura e la riabili-tazione delle persone con lesione del midollospinale”, Franco Angeli Sanità, 1998.• M.G. Breda, D. Micucci, F. Santanera – “LaRiforma dell’Assistenza e dei Servizi Sociali.Analisi della Legge 328/2000 e proposte attuati-

ve”, Utet, 2001.• L. Benci – “Le professioni sanitarie (non medi-che)”. Aspetti giuridici, deontologici e medicolegali, Mc Graw – Hill, 2002.• Azioni Integrate in Ambito Riabilitativo secon-do la Classificazione ICF:- Il Progetto – Nascita, Sviluppo, Prospettive.- La Check List Documentation Manager.Strumento per il monitoraggio integrato del per-corso riabilitativo.- Ausili Tecnologici e Bilancio di competenze.Aspetti innovativi nel monitoraggio integratodel percorso riabilitativo.Edito da Montecatone Rehabilitation InstituteSpa, 2007.• Convenzione ONU sui Diritti delle Personecon Disabilità, ratifica 25 febbraio 2009.• La composizione dell’offerta socio-sanitariaper le persone con lesione midollare,Fondazione ISTUD, INAIL 2011.• Piano di Indirizzo per la Riabilitazione, 13Febbraio 2011, Ministero della Salute.• Marquez M., Nobile A., Santandrea D.,Valsecchi L. – La persona con lesione midollare-l’intervento assistenziale globale, CarocciEditore (2012).

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Dall’umanizzazione dellacura ospedaliera alla con-tinuità di cura sul territo-riodi Sergio MARSICANO*

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1. PREMESSA Una quarantina d’anni fa, il Parlamento ita-liano studiava e promulgava la legge cheregola i rapporti dei cittadini con la propriasalute: la legge n. 833 del 23.12.1978. Senzaaddentrarci in particolari, essa ha cambiatoil modo di pensare la cura, abituati come siera a portare i propri sintomi al medico dellamutua, il quale, nella difficoltà a definireuna diagnosi e una terapia, inviava il mala-to in ospedale per accertamenti, oltre cheper eventuali interventi chirurgici e medici.Ne scaturiva un rapporto particolare dei cit-tadini con il ricovero ospedaliero, spessoprolungato o concluso in modo infausto peril degente. Con l’istituzione degli ambulato-ri ospedalieri il rapporto tra cittadini e sanitàe mutato e gli ospedali sono stati usati purecome ambulatori specialistici, oltre che perricoveri. Il possibile accesso ad ambiti spe-cializzati nel produrre diagnosi, prognosi eterapie in modo snello per i malati ha tutta-via aumentato il livello di prevenzione pri-maria delle malattie. Negli anni ’80, inLombardia alcune prestazioni (come gliesami del sangue) sono decuplicate e il sol-lievo economico nella riduzione dei ricove-ri per diagnosi s’e perso per l’incremento delnumero di prestazioni. Settori, come l’Oncologia, hanno peraltrosubìto nel tempo modifiche dovute anchead altri fattori: innanzi tutto, la cura oncolo-gica e stata in prevalenza effettuata, finoall’inizio degli anni ’70, in Chirurgia e inMedicina Generale. L’espansione delle curemediche con farmaci efficaci ha portatol’Istituto Tumori di Milano ad aprire nel1976 la prima Unita Operativa di OncologiaMedica. Molti ospedali hanno successiva-mente aperto Ambulatori, Day-Hospital eDegenze oncologiche. Queste ultime hannoospitato fin ai primi anni del 2000 malati in

chemioterapia, con controllo medico conti-nuato, o qualche malato terminale che nonpoteva esser curato a domicilio (CurePalliative).Tra inizio anni ’90 e meta prima decade2000 è cresciuta la cura di malati tra domi-cilio e ospedale. Il cancro, uscito dal tunnelbuio dell’incurabilità, entrava nello spae-sante campo clinico oncologico, in cui l’in-dividuo passa dall’illusorio senso d’immor-talità, da sano, alla fragilità per la malattia,che le evidenze ospedaliere sostanziano inangoscia. Nella vita quotidiana, i cittadinisani usufruiscono tuttavia di strumentisocio-culturali per sostenere i progetti chesoddisfano i bisogni fondamentali (per lasopravvivenza biologica e affettiva). In ospe-dale, quando la malattia neoplastica eclissal’aspettativa illusoria d’immortalità gli stru-menti d’evasione dalla realtà umana vengo-no a mancare.

2. IL PROGETTO DI UMANIZZAZIONEDELL’OSPEDALEIl Progetto d’Umanizzazione dell’Ospedaleè nato dalla contraddizione tra vivere il quo-tidiano socio-culturalizzato, che aiuta a eva-dere dal limite esistenziale, e l’essere gettatiimprovvisamente dalla malattia oncologicanella realtà umana mortale. Per la popola-zione occidentale (1), la malattia diventa unannuncio di morte e ogni assetto preceden-te, per quanto inautentico, viene travolto inassenza di sostegno. Il ricovero ospedalieronon è tuttavia il momento per educare alprincipio che l’uomo non muore perchés’ammala ma s’ammala perché è mortale (2).L’evasione dall’annichilente realtà umana ènella quotidianità comune offerta da mezziprodotti dalla cultura - estromessa dall’o-spedale in nome di una austerità che esclu-de le abitudini - che vanno reinclusi a soste-

*Medico,Coordinatore

Responsabile delServizio Psico-

Socio-Educativodella A.O. San

Carlo Borromeopresso U.O.Oncologia.

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gno del malato, nel rispetto delle esigenzecliniche. L’attenzione sulla quotidianitàospedaliera focalizza situazioni inaspettate,che si manifestano in forma di disagi deimalati e dei loro familiari.Le abitudini esistenziali comuni agli uomi-ni sono scandite da ritmi comuni a tutti, cheprendono forma secondo riti differenti, deidiversi gruppi culturali. Queste abitudini,ritmi filogenetici e riti socioculturali, regola-no la vita biologica e quella affettiva-emoti-va. I ritmi veglia-sonno, alimentari, relazio-nali, immersi in matrici le cui coordinatepossono mutare da cultura a cultura, pren-dono la forma dell’abitare, del giocare, delvivere nello scorrere del tempo. La loroosservazione può rivelare i segni di distor-sioni o conflitti che producono difficoltàalla Cura clinica, che potrebbe avere unadiminuita efficacia. Intervenire su tali que-stioni può frenare l’espansione dei disagi e,quindi, miglioramenti della qualità di vitadei malati; di conseguenza, una migliorequalità di vita pure per familiari e operatorisanitari, meno sollecitati dalle difficoltà delcurare.Tali principi collaterali alla Cura clinicasono stati dal 1991 applicati nel Progettod’Umanizzazione dell’Ospedale pressol’Unità Operativa Oncologia Medicadell’A.O. S. Carlo Borromeo, Milano. Da allora, in forme differenti da ospedale aospedale, simili Progetti sono stati avviati inmolte Oncologie italiane e in Unità cheaffrontano malattie altrettanto pesanti,aggiornando il lavoro che già da decenni erastato sviluppato in Pediatria, Psichiatria, maanche in Cardiologia e Neurologia.L’U.O. Oncologia Medica, AO S. CarloBorromeo Milano, ha sviluppato il progettolungo tre assi (3):Ambientale: sono state riviste le disagevolicomposizioni di un ospedale progettato inbase a principi corretti d’igiene e d’efficien-za economica di gestione, dando luogo peròa situazioni abitative, transitorie o prolunga-te, diverse da quelle abituali (4). Materiali,colori, funzioni spaziali (Accoglienza, ecc.)sono state rivisitate e avvicinate alle condi-zioni di maggior agio.Formazione del personale: gli addetti allaCura Clinica mettono in gioco professiona-lità tecnico-scientifiche aggiornate, ma il

Prendersi Cura riguarda professionalitàantropologiche basate su conoscenze uma-nistiche datate ed entrate nella culturacomune corrente. Il sapere scientifico forni-to dalla formazione di base sanitaria è attua-le, mentre il sapere umanistico si ferma apsicologie, sociologie, pedagogie, semiolo-gie, antropologie di fine ‘800.Organizzazione del lavoro: la Cura Clinicas’è evoluta nel tempo, in base a conoscenzescientifiche e umanistiche, allo sviluppo dimetodi diagnostici e terapeutici che hannocontribuito a strutturare protocolli di cura eprocedure che hanno condizionato spazi etempi della Cura. I rapidi mutamenti degliultimi anni hanno reso obsolete metodolo-gie e sistemi organizzati che non rispettanopiù le esigenze di cura, ma richiedonomodifiche man mano che le novità dellaCura s’intersecano coi mutamenti socialidella popolazione.Tra il 1991 e oggi, sono stati rivisti gliambienti di un ospedale che, inaugurato nel1961, risentiva della progettualità ingegneri-stica di tali anni. Un edificio di 10 piani dilunghi corridoi, pavimenti in linoleum,infissi in alluminio e plastica, mobili in allu-minio e plastica: facilmente igienizzabile,ma chi vivrebbe mai in una casa in muratu-ra, linoleum, metallo e vetro? Così, è statointrodotto il legno (ignifugato) in forma dilibrerie, pannelli, armadi, smussandodurezza e impersonalità ambientale. I murisono stati tinteggiati con colori delle terre edecorati con raffigurazioni tratte da dettaglidi quadri del ‘400. I soggiorni e la sala dapranzo sono stati arredati con divanetti etende o veneziane alle finestre, oltre a ripro-duzioni di quadri e librerie. Corsi di relazio-ne psicologica e comunicazione coi malatisono stati effettuati, come pure un corso diantropologia culturale sulle differenze. Laparte più complessa è stata quella che hacoinvolto l’organizzazione del lavoro. Avolte sono emerse difficoltà che si sonopotute affrontare e almeno in parte elimina-re per mezzo di modifiche a procedure oabitudini lavorative. Un problema è statoposto dallo slittamento delle prestazioni daReparto di Degenza a Day-Hospital eAmbulatoriali. Da una cura centrata sull’o-spedale, si è passati a un alternanza dimomenti ospedalieri e altri domiciliari.

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Inizialmente, è stato coinvolto il sistemadelle comunicazioni, perché una divisioneospedaliera aperta 24h su 24, 365 giornil’anno, non ha personale amministrativo inaiuto al personale curante, che è dimensio-nato sulla pura Cura clinica e non può néraccogliere le comunicazioni dall’esternoper il personale medico-infermieristico, nésvolgere funzioni di reception. Sulla cartasarebbero mansioni del processo di nursing,ma in pratica l’esiguità di personale infer-mieristico impedisce di svolgerlo con que-sta funzionalità. È stato possibile operareagli inizi degli anni ’90 con strumenti pocousati nei servizi pubblici (alberi telefonicicon casella vocale (che il personale è restioa usare). Le comunicazioni sono nettamen-te migliorate. Altro aspetto è stato resonecessario dal proliferare dell’attività ambu-latoriale, in reparti costruiti per la degenza.È stato necessario arredare i soggiorni comespazi multiuso, per consentirne l’utilizzo aimalati degenti e ai loro familiari e porredavanti alle sale d’attesa ambulatoriali eDay-Hospital un banco-reception, per acco-gliere i malati in arrivo, indirizzarli e gestirei momenti di difficoltà. Personale varioaddestrato ha fornito sostegno ai malati inattesa di visita o chemioterapia. A voltesono state impiegate attività di counselling edi arteterapia in sala d’attesa. Gruppi permalati degenti o per parenti sono stati rea-lizzati a varie riprese e secondo il profilo deimalati ricoverati (musico-danzaterapia,gruppi di self-help, ecc.).

3. LA CURA SUL TERRITORIODa metà della prima decade del 2000, s’èverificato un importante mutamento dellapopolazione malati presente nel Reparto diDegenza. Hanno contribuito a ciò terapiemeno tossiche, effettuate in regime di Day-

Hospital e gli indirizzi della pubblicaSanità, sotto il peso delle spending review edei tagli alla spesa pubblica, hanno ridottoall’indispensabile i ricoveri per più giorni inospedale. Linea che migliora la cura clinica,poiché i ricoveri ospedalieri sono ansiogenie rischiosi per i malati con limitate difeseimmunitarie. L’andirivieni in condizionifragili da domicilio a Day-Hospital e ritornoha tuttavia proposto nuove e pesanti diffi-coltà. La punta dell’iceberg delle nuove dif-ficoltà consta nell’incremento sensibiledegli accessi impropri ospedalieri, secondotre direttrici:

a) - Soccorso, spesso per situazioni nononcologiche;b) - Ambulatorio Visite senza appuntamen-to agli studi medici oncologici;c) - Telefonate agli oncologi ospedalieri persintomi non oncologici.

Nel 2009, furono contati oltre 1.200 accessiimpropri e si decise di studiare la situazio-ne: da ciò è nato il Progetto per malati onco-logici di Zona 6 e 7 di Milano.

4. IL PROGETTO PER MALATI ONCOLO-GICI DI ZONA 6 E 7 DI MILANO4.1 Il campo dell’utenzaLa Tabella 1 mostra i fattori sanitari e socia-li che hanno cambiato le condizioni dellacura. La legge 833 riordinava nel 1978 ilSSN, in base a dati epidemiologici e demo-grafici di oltre 40 anni fa. I malati di tumoreerano curati in Chirurgia o in MedicinaGenerale e l’apertura negli stessi annidell’Oncologia Medica aveva implicatoprofondi mutamenti per malati, familiari eoperatori sanitari. Tra 1971÷2011 (censi-menti nazionali) le guarigioni dei tumorisono aumentate dal 33% al 55% e l’aspetta-

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Tabella 1 - Fattori incidenti sulla continuità della cura oncologica (periodo 1970÷2011)

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tiva di vita da 71 a 82 anni (nel 1900 era 43anni, raddoppiata in un secolo). Il dato aiutaa comprendere l’aumento del pesodell’Oncologia Medica sul totale, poiché ~2/3 dei malati di tumore sono > 65 anni(vedi Tab. 2). Mutamenti sociali hanno nelquarantennio inciso sulle difficoltà dellacura oncologica: le donne hanno aumentatol’occupazione esterna dal 42 al 63%. Il dato,assieme alla nuclearizzazione della famiglia(dissolvenza della famiglia patriarcale),mostra che il caregiver familiare è sempremeno disponibile (5).Alla situazione prodotta negli anni ’70, cheha regolamentato l’impossibilità di convi-venza (Legge e Referendum divorzio), ne èseguita una che ha visto frammentarsi lefamiglie nucleari (padre, madre, figli) eridotto le possibilità d’assistenza ai malatida parte dei congiunti. Il raddoppio aMilano dei single (comune a tutte le metro-poli occidentali) e il mantenimento costan-te (1/4) dei nuclei familiari con 2 personeindicano che in 4/5dei nuclei familiari mila-nesi l’assistenza domiciliare ad anziani fra-gili e non autosufficienti nella malattia cro-nica è difficile. La crisi economica struttura-le dell’ultimo quinquennio nei Paesi occi-dentali e ancor più in Italia rende quasi certal’irreversibilità della situazione e per alcunepatologie è necessario prepararsi all’esplo-sione di una bomba sociale, man mano chel’età cresce e le risorse finanziarie si assotti-gliano per i singoli cittadini, ma pure per lasocietà in generale.Valutati questi dati, s’è contattata la rappre-sentanza politica e amministrativa più vici-na ai cittadini di zona 6 e 7: i Consigli diZona. È stata trovata accoglienza piena ecomprensione da parte di quest’istituzione,priva però di potere politico deliberativo edi portafoglio.

Il responsabile per le Politiche Sociali hacontribuito tuttavia ad aprire le porte di entiterritoriali (ASL, Servizi Sociali, AssessoratiPolitiche Sociali - Comune e Regione -,Volontariato). Una causa di difficoltà emer-sa è la distanza tra il lavoro degli ammini-stratori e i problemi quotidiani dei sanitari adiretto e libero contatto con le esigenze deimalati. Il lavoro su salute/malattia è l’unico almondo in cui il legame vita/morte non èmetaforizzato ed è drammatica la distanzacon cui i tecnici trattano la reale dimensio-ne e qualità dell’assistenza sanitaria. Nonper negligenza, ma per alienazione, poichéla Cura clinica è relazione con l’uomo, l’am-ministrazione della cura sanitaria è diventa-ta relazione coi numeri. È diverso ammini-strare un’Oncologia che cura 4.000 malatil’anno, di cui il 45% muore, e Curare 4.000malati l’anno, di cui il 45 % muore. La sen-sibilità di sanitari rispetto ad amministrato-ri e politici è più sintonica, di fronte allecontraddizioni umane (6). La Tabella 2mostra le dimensioni della Cura sul territo-rio (7).Sono presi in considerazione i > 65 anni,poiché il tumore colpisce per 2/3 la popola-zione anziana. Non s’è evidenziata la fasciastraniera milanese (~16%) poiché i migran-ti sono giovani (97% vs. 75% di milanesi<65 anni). Tra vent’anni parte dei migrantiaccederà all’Oncologia Medica, coi proble-mi che si genereranno per cultura, alimen-tazione, lingua, religione.Le ultime due categorie in tabella indicanoche i malati di tumore di zona 6/7 sono11.520, mentre sono di più in carico al SSN,aggiungendosi quelli in cura attiva, definitiprevalenza, cioè chi ha avuto una diagnosidi tumore e al presente è guarito, senzamalattia, per oltre cinque anni.

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Tabella 2 - Dimensioni della Cura sul Territorio

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4.2 Gli attori della cura territorialeLa dimensione del problema e la prima fasedi contatti coi servizi territoriali hanno con-sentito di disegnare una mappa della Curaterritoriale. Si è reso necessario coinvolgerel’Oncologia Medica dell’Ospedale S. Paolo,in quanto il territorio governato dall’ASLDistretto 5, sovraintende due zone di decen-tramento del Comune di Milano, 6 e 7.L’Ospedale S. Carlo è in zona 7, mentre lazona 6 contiene l’Ospedale San Paolo, conOncologie Mediche simili. L’afferenzaall’ASL Distretto 5 di zona 6/7 non è aspet-to formale amministrativo, ma sostanzialedella Cura, poiché da essa dipende la rete di246 Medici Medicina Generale (MMG) ed èa loro che si rivolgono i 334.555, con unamedia di ~ 1.400 persone ciascuno.L’indispensabile lavoro dell’ASL non puòtuttavia surrogare o sostituire la relazione tramedici i quali, i MMG sul territorio e gliOncologi in ospedale, si fanno carico dimomenti diversi, ma intersecati della Curadello stesso malato. Lo stesso vale per ServiziSociali territoriali per anziani afferenti aun’amministrazione diversa (Assessoratoper le Politiche Sociali del Comune) che hastruttura e obiettivi differenti rispetto allaRegione Lombardia.La mappatura degli attori della Cura ha por-tato a costruire un tavolo per la realizzazio-ne della Cura territoriale, il GruppoOperativo Interattivo mostrato in Figura 1.Un gruppo difficile da gestire, poiché i sin-goli membri hanno dipendenze differenzia-te, obiettivi diversi e usano spesso logiche elinguaggi non omogenei. La Cura del malato catalizza i singoli attori,ciascuno dei quali mantiene però la propriastruttura. Si sono verificati e si verificanotuttora conflitti che complicano le relazioni.Non si manifestano quasi mai con scontrievidenti, ma piuttosto con dissolvenze,

assenze, insabbiamenti di progetti.Le caratteristiche necessarie per condurrequesti progetti sono:•mantenere al centro della propria attenzio-ne il malato e gli obiettivi originali dellaCura (già su questo si incontrano resistenzelatenti, poiché per alcuni il malato diventaun DRG, per altri una procedura o un elen-co di proprietà che lo fanno includere oescludere da una cura);•lavorare sui problemi che inficiano laCura, sia come efficacia che come qualità divita dei malati e loro familiari (perciò, lavo-rare sul campo, coi malati, i medici, gli infer-mieri, gli operatori psicosociali). Cioè, illavoro di progettazione viene invece fatto atavolino, da consulenti o dipendenti chenon conoscono il mondo reale della Cura.L’astrazione induce tali operatori a conside-rare i casi tipici e senza conflitti. Il mondoreale muta invece di continuo, come mostrala Tabella 1, con profonde differenze nelloscorrere del tempo. Le ricerche a tavolino si ispirano inveceall’istantanea fotografica della situazione,mentre invece essa muta i contorni nell’e-stensione e nello scorrere del tempo;•accettare le resistenze al cambiamentocome segnali dell’abitudinarietà a persegui-re obiettivi diversi da quelli coinvolti nellaCura del malato (aggredire le resistenzegenera anticorpi).

4.3 Alcuni progettiLa Cura territoriale richiede una profondaintegrazione tra i differenti attori della cura,che si sono invece distanziati nei quasi 40anni d’esistenza del SSN.I malati e i loro familiari sono tante unitàche s’aspettano dal SSN aiuto sintonico, nelmomento in cui il dolore o la disfunzione sirendono sensibili. Per loro, la medicina èscienza esatta che diagnostica, prevede,

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Figura 1 – Tavolo del Gruppo Operativo Interattivo

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cura e guarisce. Se quest’immaginario col-lettivo crollasse si aprirebbero spesso scena-ri di disperazione. La malattia oncologica non affligge un orga-no, ma irrompe nella vita familiare e socialecon effetti deflagranti. Le abitudini quotidia-ne del malato e dei familiari è messa a soq-quadro da ogni angolazione, con l’effettod’aggiungere alla realtà clinica le schegge divita che malattia e sofferenza producono. LaCura clinica non ha il compito di caricarsiqueste schegge, ma emozioni e preoccupa-zioni derivanti accompagnano e appesanti-scono il decorso. Le neoplasie si presentanoperciò come malattie di sistema: le compe-tenze dello specialista fronteggiano la clini-ca, ma altri attori sono indispensabili peraccompagnare i percorsi del malato e delsuo sistema esistenziale, per una Curasocialmente sostenibile.Il MMG ha il compito d’iniziare il percorso edi coordinare i passaggi clinici, in sintoniacoi medici specialisti, poiché la malattia pri-maria si presenta nell’organo di un indivi-duo, che fa parte di un tutto organico e di untutto psicosociale.I Servizi Sociali e Operatori su aspetti ester-ni alla cura clinica, ma che su essa incidonoin malati e caregivers, (sostegno psichico indifficoltà emotive e Counselling nell’orien-tarsi nei percorsi di Cura) accolgono istanzeper l’assistenza che affianchi la Cura clinica,per renderla sopportabile per il malato e ilsuo sistema, messi a soqquadro dall’eventopatologico.L’ASL amministra e indirizza le risorse sani-tarie e il loro uso, in una funzione di collega-mento tra malati e attori della Cura.I medici specialisti ospedalieri fornisconostrumenti specifici per Diagnosi e Cura clini-ca.Ogni altra riflessione richiederebbe unprofondo mutamento dell’organizzazionedel SSN.

4.3.1 Difficoltà di comunicazione tra gli atto-ri della CuraDall’incontro sul territorio con queste com-ponenti, sono emersi aspetti che hannoorientato l’inizio della progettazione per unsistema maggiormente integrato.La comunicazione tra MMG e oncologi era alminimo, per carenze prodotte da vari fattori:

1) - Il SISS (Sistema Informativo Socio-Sanitario), non attivo nelle Oncologie deidue Ospedali, non consentiva ai MMG d’ac-cedere con la carta SISS alle cartelle clinicheospedaliere e di seguire la Cura specialisti-ca. Le cause erano molteplici: i tagli per lespending review sottodimensionano il per-sonale sanitario, la cui priorità operativa è inReparto, Ambulatorio, Day-Hospital, ProntoSoccorso. Negli ultimi 20 anni, l’aziendalizzazionedegli ospedali ha inoltre generato intensiflussi di atti burocratici, che occupa per il20÷30% del tempo, senza personale ammi-

nistrativo. Parte dei medici più anziani èinfine in difficoltà a usare i pc.

Si sono aggiornati i sistemi operativi deimedici, s’è fornito loro un sostegno tempo-raneo per inserire i dati. Nei due ospedali, ilSISS funziona ora in uno all’80% e nelsecondo al 25%, ma entro l’anno sarà ope-rante al 100% in entrambi.

2) - Il contatto diretto medici ospedalieri-MMG era impedito, per proibizione a scam-biare i numeri di telefono e gli indirizzimail. Il flusso informativo passava attraver-so gli uffici, che provvedevano a inviarenewsletter mensili, contenenti le novità chenon venivano lette perché decontestualizza-te e accumulate con altre decine del giorno.Le comunicazioni tra ASL e medici specia-listi erano rare.

S’è prodotta un’agenda di numeri di telefo-no e indirizzi mail, inviata a MMG eOncologi, oltre che essere inserita nel sitoASL. Ora i contatti su malati “comuni” sono

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frequenti, con esiti vantaggiosi per il malato,meglio curato sul territorio, diminuzione deltempo speso dai medici per affrontare erisolvere un caso, maggior efficacia dellaCura.

3) - Molte difficoltà dei malati, che portano imedici ad auspicare un’educazione sanita-ria dei cittadini, sono per carenza di comu-nicazione coi cittadini. Le ragioni sonomolte:- la resistenza dei cittadini a informarsi dasani su questioni inerenti la malattia;- la difficoltà degli operatori sanitari a comu-nicare in modo professionale, non sponta-neo;- la burocratizzazione di un sistema chedeve essere giustamente messo sotto con-trollo, ma che è troppo complesso per il cit-tadino comune.

L’educazione sanitaria si può effettuarepoco col malato e i suoi familiari angosciatidalla malattia e poco con i sani che non nevogliono sapere di focalizzare l’attenzione espendere il proprio tempo su argomentiansiogeni, estranei al quotidiano.Complessità e specificità di linguaggio del-l’informazione hanno suggerito l’adozionedi un’informazione ridondante (per abitua-re), ma discreta (per non essere rifiutata peransia).I mezzi adottati sono: social network e inter-net (sito e mail) per i malati, ricorrendo allaraccolta indirizzi dei parenti (l’anziano nonusa spesso il computer); schermi multime-diali in ospedale; sportello mobile diCounsellingper essere vicini a malati e care-giver, che per età, cultura o stato emotivonon riescono a districarsi da domicilio, trale scelte sanitarie.

4.3.2 Difficoltà di malati e caregiverUna parte dei cittadini fa parte della catego-ria malati fragili, per i quali sono necessa-rie cautele:1) - i malati anziani single o con coniuge(altrettanto fragile), indigenti, in stato fisicomalandato non sono in grado di sostenerel’andirivieni domicilio-ospedale, sia pervisite ambulatoriali che per prolungate che-mioterapie, ma anche per esami distribuitisu vari giorni.

Sono stati approntati due sistemi: il primodomicilio÷ospedale a/r (Trasporto MalatiFragili) il secondo dall’ingresso in ospedalealle sedi d’esame diagnostico (Day-Service).Il Trasporto Malati Fragili oncologici vieneattivato dal MMG o dal Medico Oncologo,che verifica le condizioni sopraesposte perdefinire la fragilità. È contattato un addettoin Oncologia Medica che prenota un taxi,pagato dal Sistema pubblico. Lo stessoviene fatto all’interno dell’ospedale a pre-stazione sanitaria effettuata.Il Day-Service per malati fragili generici èattivato da Custodi Sociali, AssistentiSanitarie dell’ASL Distretto 5, MMG. Questefigure contattano l’URP del S. Carlo, cheeffettua la prenotazione per diversi esami,tutti nello stesso giorno. I referti sono raccol-ti dall’URP che contatta la figura richieden-te per il ritiro e la consegna al malato.2) - Gli anziani e i caregivers sono a volte indifficoltà a comprendere i percorsi da segui-re o le scelte da fare per la Cura.

In parecchi casi, per questioni d’età o gradoculturale o altre ragioni, il malato oncologi-co è in difficoltà a orientarsi nei percorsi dicura ed è necessario accogliere le sue insi-curezze e ansie per mezzo di modalità che imedici, impegnati nella Cura della malattia,non possono adottare per la moltitudined’impegni clinici. Il caregiver ha pure spes-so la stessa difficoltà. L’intervento consistein uno Sportello Mobile di Counselling, diun operatore cioè che accolga (a domiciliose il malato non può muoversi facilmente)le difficoltà e le istanze del caso. Non si trat-ta d’interventi di lungo periodo, ma delmomento, per rendere scorrevole il percorsodi cura rimuovendo gli ostacoli attraverso lacondivisione di una prospettiva.

Anziani e familiari/caregivers soccombonoa volte sotto il peso dell’ansia che la malat-tia oncologica e la paura di morire portanocon sé.

3) - La difficoltà può essere a volte di ordinepsicologico, in malati o caregivers afflittidall’ansia della situazione. Nei casi di mala-ti fragili oncologici, la prospettiva è la dispo-nibilità di uno psicologo-psicoterapeuta chesi faccia carico del caso, attraverso colloqui.

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Entrambi gli ospedali citati hanno unaUnità di Psicologia Clinica disponibile aquesto lavoro.

5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVEL’ospedale è un centro iper-specialistico perinterventi mirati. Per consentire il massimoaccesso a malati che necessitino cure ospe-daliere per prevenzione, Diagnosi e Cura,followup post-terapia è necessario che lepatologie, la cui cura si prolunga nel tempo,alternino prestazioni in degenza a residenzedomiciliari. L’indicazione è opportuna perevitare ai malati lunghe e inutili degenze,che espongono all’ambiente non salubre ealla lente d’ingrandimento sulla sofferenza,24 ore su 24.Il progresso scientifico, la farmacologiaavanzata e la chirurgia selettiva aumentanola possibilità di realizzare quest’obiettivo, acondizione che la cura strettamente medicatenga conto del soqquadro in cui, la malattiacronica o prolungata nel tempo, getta ilmalato e le persone che l’assistono. La lon-gevità in aumento, le malattie croniche(oltre alle neoplasie, le cardiopatie, le neu-ropatie, le cure nelle medicine riabilitative,ecc.) richiedono la creazione d’una coesionesocio-sanitaria che sostituisca quella chefino a 50 anni fa era costituita dal medicocondotto o della mutua, dai medici ospeda-lieri, dalle famiglie allargate succedute nellecittà alla famiglia patriarcale ottocentesca, incui le donne si facevano carico dei malati edei vecchi.Quando le USSL (Unità Socio-SanitarieLocali) sono state trasformate in ASL(Aziende Sanitarie Locali), sono stati intro-dotti elementi che non potevano più essereelusi (la professione esclusiva nel SSN, ilcontrollo della spesa sanitaria, ecc.), ma haanche prodotto esiti pessimi: contabilizza-zione delle prestazioni (DRG), libera inizia-tiva privata a scapito del pubblico (8).Danno grave per i cittadini è stata la scissio-ne tra le S (Socio-Sanitario), nella trasforma-zione da USSL in ASL. La Separazione haeclissato l’assistenza accanto alla cura scien-tifica, come se il corpo malato fosse statoun’entità a sé, che non ha a che fare con la

vita quotidiana e i rapporti lavorativi e affet-tivi.

Il Progetto per malati oncologici Zona 6-7di Milano ha avuto un buono sviluppo tra ilpersonale sanitario e i cittadini, quando gliatti hanno facilitato la Cura e migliorato laqualità di vita di malato e familiari.L’esecuzione presenta resistenze di sistemanell’attuazione dei progetti specifici, poichéincontra ostacoli quando un’azione, unaprevisione di spesa, un legame tra azioneassistenziale e scientifica s’imbattono inmatrici di cura che li disconoscono come

non pertinenti.Il Progetto dimostra che la Cura sanitaria èun evento mobile, specifico per ogni caso esubisce nel tempo le influenze dei cambia-menti che ciascuna componente effettua: letecniche, i farmaci, la popolazione, la cultu-ra, le proprietà che possono essere inseriteall’interno della Cura. Per questa, abbiamoreinserito gli aspetti psico-socio-culturali,con un beneficio globale per il sistema.Per realizzare ciò è necessario che la Curanon sia soltanto ispirata all’evidence basedmedicine, ma su fattori relativi a molte altreangolazioni. È necessario che collaborino aquesto scopo anche le Università, il mondodel lavoro sanitario, ma anche la stessa cit-tadinanza, prendendo coscienza che non cisi fa carico della Salute solo quando è attivala malattia, ma attraverso un’integrazionetra mondo e individuo, tra mente e corpo,tra differenti riconoscimenti dell’esistenzaumana.

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NOTE 1. Cfr. Philippe Ariès, Storia della morte inOccidente, Biblioteca Universale Rizzoli -BUR, Milano, 1998.2. Cfr. Michel Foucault, Nascita della clini-ca, Einaudi, Torino, 1998. Foucault indicaquindi che la malattia non fa parte dellamorte, bensì della vita.3. Cfr. Marsicano Sergio, (a cura di),L’Umanizzazione dell’Ospedale, AngeliEditore, Milano. 4. Cfr. Augé Marc, Non-luoghi, Introduzionea una antropologia della surmodernità,Elèuthera.Cfr. Marsicano Sergio (a cura di), Abitare lacura, Angeli Editore, Milano.5. È un mito che vecchi e malati erano inprecedenza curati in famiglia, poiché inquesta erano le donne che, oltre a provve-dere all’allevamento dei figli e ai lavori dicasa, prestavano assistenza anche ai vecchie ai malati che spesso abitavano coi o vicinoai propri figli.6. In proposito, vorrei evidenziare, anche sesolo superficialmente, la pesante ingenuità,voluta o inconsapevole, delle PoliticheSociali che puntano ancora oggi essenzial-mente su un’assistenza e un sostegno fami-liare. Questo cardine è inesistente perlome-no per due motivi.Il primo, concerne la mutazione demografi-ca e sociale avvenuta negli ultimi anni.Nelle principali aree urbane, ove si addensaquasi la metà della popolazione del Paese, lasituazione risulta molto simile a quella diMilano, nel censimento del 2011. Oltre il50% delle abitazioni urbane sono cioè occu-pate da nuclei familiari formati da single equasi ¼ da due persone. Ciò significa che lefamiglie non esistono più nemmeno nellaforma nucleare.Il secondo, che anche per il restante 25%delle situazioni abitative urbane con più ditre persone e per le aree non urbane conmaggior presenza di situazioni familiarinucleari, i caregiver sono parenti di primogrado: i genitori curano i figli malati e i figli curano i genitori malati. Prendersi cura non

di vecchi, ma di malati e vecchi significanon solo una cura affettiva, ma anche cor-porea. Per i figli (delle famiglie che non sipossono permettere un servizio di badanti)il rapporto di Cura sfocia in un ribaltamen-to di quello originario, per cui i figli diven-tano i genitori dei propri genitori. Nei casi incui i figli siano così bravi da saper prenderele distanze emotive nel gestire la Cura quo-tidianamente, per lungo tempo e spesso incondizioni di avvicinamento alla morte deigenitori biologici, l’emozione della perdita,il contatto col corpo finallora inibito delgenitore, produce difficoltà mentali ai figli.Nel caso inverso, genitori che curanofigli, avviene invece la situazione spae-sante, perché innaturale, di figli che s’av-viano alla morte prima di chi li ha gene-rati. Pure ove c’è la famiglia (nei rapportidi primo grado, a differenza dei rapportidi secondo e terzo grado nella famigliapatriarcale che si prendeva cura deimalati e dei vecchi, fino a metà del seco-lo scorso), la Cura che disvela la mortalitàumana è processo psichicamente deva-stante.7. I malati che accedono alle Unità diOncologia Medica degli ospedali San Paoloe San Carlo Borromeo di Milano sono soloin parte abitanti delle Zone 6 e 7 (si stima2/3 ÷ 3/4), in quanto accolgono anche mala-ti provenienti dall’hinterland milanese e daaltre regioni.8. Affermava Carlo Bersani, pur contribuen-do alla realizzazione del Sistema Sanitariomentre era Assessore alla Salute dellaRegione Lombardia, a un Convegno sullaSanità Pubblica e Privata in Italia dichiaravatuttavia: “L’Italia è l’unico Paese al mondoin cui la Sanità Privata eroga i servizi condanaro totalmente pubblico”.Recentemente, da Longostrevi alla ClinicaS. Rita, dal S. Raffaele alla Maugieri, solo percitare alcuni casi, hanno dato ragione a taleaffermazione e alle distorsioni, in alcunicasi anche illegali, che questa impostazioneha consentito a danno dei cittadini.

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Alla sanità come affare con-trapporre una sanità comepartecipazione

di Gianni TOGNONI*

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PREDISPORRE PROGRAMMI, STRU-MENTI, METODI, OPERATORI BEN FOR-MATI, CHE PROMUOVANO LA PARTECI-PAZIONE COME STRUMENTO PERINNOVARE LA DEMOCRAZIA Lavoro ormai da 15 anni in una regionecome l’Abruzzo dove ci sono molti aspettipositivi ma anche tutti i problemi che siriscontrano di questi tempi nella società ita-liana: crisi culturali ed economiche chequando vengono traslate dal livello macro allivello micro diventano oltre che drammati-che anche, talora, molto ridicole. Intendodire che la corruzione consiste talora in pic-coli imbrogli e nella sanità è fatta anche dinascondimento di dati, che non si voglionorendere pubblici per coprire intrecci di inte-ressi fra realtà private e pubbliche. Ancheper favorire la trasparenza che renderebbeimpossibili tali occultamenti sarebbe auspi-cabile una vera partecipazione, quellaauspicata per la sanità italiana già negli anni’70, quando ancora il SSN non era statovarato.Erano gli anni nei quali la questione di cuici occupiamo, ovvero il modo di funziona-re del SSN, era centrale nel dibattito cultu-rale e politico, era infatti allora il tempo incui nasceva, con il diritto dei lavoratori,una iniziativa come quella di “MedicinaDemocratica – Movimento di Lotta per laSalute”, che nasceva da coloro che stavanoin quegli anni costruendo l’epidemiologiadel rischio da lavoro, a partire dal basso,dalle fabbriche e dal territorio. Si stava cosìallora sperimentando, con la nascita delbinomio “Epidemiologia e Prevenzione” edella rivista fondata da Giulio AlfredoMaccacaro che tale binomio intendeva fosseinscindibile, quello che avrebbe potuto

essere un sistema sanitario nazionale pub-blico che avesse al centro la Promozionedella Salute e non semplicemente la Curadella Malattia. Presero avvio allora iniziati-ve di base che avrebbero prodotto iConsultori, per la promozione della saluteriproduttiva e della maternità consapevole,i centri per il riscatto dei sofferenti per undisagio psichico che avrebbero prodotto iCentri per la salute mentale, i servizi per laprevenzione delle malattie professionali chesi occupassero di curare l’Ambiente diLavoro prima dei danni prodotti da esso eda una organizzazione dello stesso nonrispettosa dell’Uomo. In numerose esperienze locali si sperimen-tava così la possibilità di fondare laPrevenzione della Malattia e la Promozionedella Salute sulla Partecipazione, permet-tendo alle persone che vivevano le condi-zioni reali, professionali, ambientali, istitu-zionali, di non passare attraverso le media-zioni dei programmi di partito ma di poteresprimere in modo diretto i propri bisogni,sempre comuni a tanti altri individui checosì si scoprivano essere Comunità, GruppoOmogeneo, Classe Sociale, portatori di unanuova cultura, quindi in grado non solo dipercepire i bisogni ma anche di formulareconcrete proposte per soddisfarli. In fondo, la sanità nel tempo moderno èdivenuta uno dei maggiori temi delladichiarazione universale dei diritti dell’uo-mo. Dopo la seconda guerra mondiale, cheaveva del tutto annullato ogni forma di par-tecipazione e fatto sperimentare in modoanche tragico la perdita di ogni diritto rico-nosciuto all’individuo e alla comunità, sirese del tutto evidente che l’unica via diuscita razionale dalla barbarie che rischiava

*Epidemiologo,Capo del labora-torio di farmaco-logia clinica del-l’istituto di ricer-che farmacologi-che Mario Negri,Direttore delConsorzio MarioNegri Sud,Consulente WHOper la selezionedei farmaci essen-ziali, si occupa diepidemiologia cli-nica e comunita-ria, di appropria-tezza tecnologicae dell’uso dellerisorse nei diversisistemi socio-sanitari, dellavalutazione diimpatto sugliindicatori socio-sanitari nei paesiin via di sviluppodel trasferimentodi tecnologie sani-tarie, della pro-mozione della“partecipazione”delle popolazionialla ricerca clini-ca ed epidemiolo-gica e alla defini-zione di politichesanitarie di pro-mozione dellasalute.

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di travolgere ogni baluardo di civiltà, stavanel capovolgere il modello culturale. Unmodello così fondato sulla disuguaglianzadi razza, sancita anche da un mondo dellacultura pusillanime e asservito al poteredominante, che aveva permesso la Shoah eogni altro orrore bellico, fino all’esplosionedegli ordigni nucleari sul Giappone, dovevatramontare per far posto almeno ad una spe-ranza di un futuro possibile per l’Umanità.Occorreva ristabilire il principio di ugua-glianza fra tutti gli esseri umani, occorrevaabolire il modello di relazioni coloniali frapopoli e fra stati, occorreva stabilire unasede sopranazionale di confronto politico,sociale e culturale che sapesse mediare iconflitti, contemperare gli opposti interessi,indirizzare le energie al raggiungimento ditraguardi che lo sviluppo del pensiero edella tecnologia rendevano possibile.Il mondo si mise a pensare al futuro come aqualcosa nel quale gli umani tutti, senzanessuna differenza sociale, economica, digenere, di ideologia, di religione, di cultura,di politica, si sarebbero dovuti realizzarecome soggetti della storia. Fu un periodo distraordinarie elaborazioni culminate nellaredazione della Dichiarazione Universaledei Diritti Umani.Scritta la carta, si iniziò ad occuparsi dicome tradurla in atti concreti. Innanzituttosi definì la salute come indicatore più com-prensibile per alfabetizzare tutti al dirittoalla vita.La salute, come venne definita, nonintesa come assenza di malattia, ma comecondizione di benessere fisico, mentale esociale la cui realizzazione implicava non ilrealizzarsi di un insieme di pratiche mapiuttosto il definirsi di un nuovo orizzontedi diritto. La definizione data dal WHO, cer-tamente utopica, era molto precisa nel defi-nire un punto all’orizzonte che guidasse larotta dello sviluppo sociale ed economicodei popoli, ciò che si chiamerebbe reale pro-gresso. La salute così intesa non si puòridurre al prodotto della Medicina. La medi-cina è solo una tecnica, una professione, unsapere, una organizzazione, a seconda deipunti di vista, mentre salute e sanità riguar-dano più estesamente il poter fruire dellavita. Da qui la rilevanza che la sanità hacome strumento di realizzazione autonomaindividuale e collettiva, che la nostra

Costituzione mette fra i principi fondamen-tali della nostra convivenza. La tutela della salute si fa allora realmenteconcreta solo perché la società dichiara chela sanità deve essere uno strumento socialedisponibile a tutti e impegnandosi a rimuo-vere tutti gli impedimenti che si frappones-sero fra individuo e piena fruizione dellavita, fra comunità e pieno dispiegamentodel diritto alla salute. In questa ottica lamalattia, fisica, mentale, prodotta da disabi-lità o da trauma, deve essere riconosciutaanzitutto non come problema medico macome violazione del diritto alla vita autono-ma e all’eguaglianza. In questo senso la for-mulazione del WHO non è pura utopia,essendo stato il concreto principio fondati-vo del primo sistema sanitario creato almondo, quello inglese, istituito, si badibene, da conservatori, sulla base della reteemergenziale, sorta nei tempi più difficilidel disastro sociale e bellico, che permise laformazione e il funzionamento della rete disolidarietà che sola poteva garantire unasussistenza anche alimentare e sanitaria persalvaguardare il diritto alla vita di una popo-lazione in guerra. Terminata la guerra, quel-la logica venne riconosciuta utile e necessa-ria, e quindi riconfermata, per garantireancora, con una sufficiente alimentazione eassistenza sanitaria, il diritto alla vita ad unapopolazione stremata. Si badi bene, non veniva privilegiata ladistribuzione di farmaci, che, tra l’altro, allo-ra erano davvero pochi a disposizione, inrealtà uno solo era disponibile in quantitàancora limitate ma veramente rivoluziona-rio e di straordinaria efficacia contro le infe-zioni, la penicillina. In quegli anni, l’epidemiologia e la statisticaevidenziano che i miglioramenti fondamen-tali per la salute della popolazione sono pro-dotti dalla disponibilità adeguata di cibo edall’igiene, individuale e pubblica, e sidimostrano utili per verificare nella realtà sedavvero i nuovi farmaci che cominciano adessere prodotti sono davvero più efficacidella pratica medica tradizionale, ponendoin essere i primi studi clinici controllati erandomizzati. Fra questi, uno dei piùimportanti, promosso da Bradford Hill, fuquello relativo proprio all’utilizzo dellastreptomicina per la cura della tubercolosi

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polmonare. Infatti pur essendo che la tuber-colosi, fortemente legata alle condizionisociali, di lavoro, di vita e di alimentazione,con i migliorati livelli igienici era stata ridi-mensionata nella sua incidenza, pur semprein coloro nei quali si manifestava rappre-sentava un forte rischio di vita. Da qui l’in-teresse dei medici a capire, sul campo, seeffettivamente ciò che si era dimostrato nellaboratorio in grado di controllare la cresci-ta delle colonie batteriche, potesse essereutile anche nell’uomo. Si applicò allora nello studio, per la primavolta, una tecnica che si sarebbe in seguitodimostrata indispensabile per produrre evi-denze reali di efficacia, la randomizzazione,ovvero la assegnazione del tutto casuale diun gruppo di pazienti, quanto più possibilefra di loro inizialmente omogenei, a due opiù gruppi di trattamento a confronto utiliz-zando numeri “random” (casuali). Anchequesto permise di giungere ad una solidaconclusione pur con le poche scorte alloradisponibili di farmaco. La stessa proceduravenne applicata pochi anni dopo per la spe-rimentazione del vaccino per la poliomieli-te. In quel caso era necessario mettere in attouna valutazione comparativa basata non,come nel caso della TBC, su poche decinedi malati, ma su centinaia di migliaia di per-sone per poter dimostrare in modo affidabi-le che vaccinare una popolazione, nella sta-gione invernale, serviva realmente a ridurreil rischio di ammalarsi. Lo studio, effettuato da Paul Meyer, partivadalla randomizzazione ma richiedeva unapartecipazione attiva alle persone reclutate.Per questo motivo venne anche utilizzata laradio, quale strumento che avrebbe facil-mente raggiunto gran parte della popolazio-ne collegandola in rete con i ricercatori. Inquesto modo si garantì una larga adesionevolontaria alla sperimentazione e nel giro dibreve tempo prese il via la campagna divaccinazione contro la poliomielite cheavrebbe aperto la via alla sua eradicazioneche, ai giorni nostri, si è dimostrata fattibile(salvo ricadute provocate dalla sospensionedei programmi nazionali di vaccinazioneprodotta dai crolli politici, economici, socia-li provocati dai collassi di istituzioni gover-native come nel caso dell’ URSS inizio anni’90 e nel caso della Grecia per la crisi finan-

ziaria del 2010 – 2014). I protagonisti di queste battaglie per la pro-mozione della salute non furono quindisolo i biologi, i medici, i ricercatori, ma lapopolazione nel suo complesso che avevapercepito l’importanza dell’obiettivo che ilprogetto di ricerca si proponeva e avevacondiviso e assunto anche su di sé lo sforzoper realizzarlo.Oggi, in una condizione generale moltomigliore, almeno nei paesi europei e delmondo occidentale, la fruizione dei dirittiche riguardano la vita, venendo nei fatti ridi-mensionata quando non del tutto negata la

partecipazione (oggi è di moda “un solouomo al comando” il motto del “ghe pensimi”, l’ “uomo della provvidenza” travestitoda efficiente decisionista), è molto ridotta. Persino un magnate ed un “benefattore”come Bill Gates, certo uno dei “grandi bene-fattori” dei nostri giorni, ha scoperto chenon basta erogare fondi alla popolazione perottenere la promozione della salute dellapopolazione ma che è indispensabile opera-re per far crescere la comunità, la rete e lereti sociali, non basta produrre e distribuirefarmaci per l’AIDS, ad esempio, ma darsi dafare perché cresca la partecipazione e la con-sapevolezza attiva che sola può promuove-re una vera Prevenzione.La partecipazione, un elemento del model-lo sociale che si intende proporre e pro-muovere, torna così a costituire l’elementoessenziale nel campo della promozione salu-te, con buona pace dei fallimentari program-mi dei neo-liberisti della scuola di Chicagoche tanti danni hanno prodotto negli anni’80 e ’90, come ben documentato dalle piùprestigiose riviste scientifiche mediche.

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 2014Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario 109

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Venendo all’Italia e all’oggi abbiamo unsistema sanitario che sostanzialmente, anco-ra, funziona: gli indicatori sanitari infatti neevidenziano un evidente successo tanto cheabbiamo raggiunto un livello di longevità trai più alti nel mondo. Ma, nel momento incui tutto viene medicalizzato, sta accadendoche la fascia di popolazione più avanti congli anni non riesce più a trovare soluzioniadeguate alle proprie problematiche.D’altra parte invece la medicina per affer-marsi come professione remunerativa (pro-fittevole) tende oggi a inventarsi delle malat-tie (disease mongering) per ampliare unmercato fatto da bisogni creati dal nulla. Inparticolare questo è un aspetto che riguardai produttori di farmaci, per la gran partecostituiti dalle multinazionali del farmacoche vanno globalmente sotto il nome di Big-Pharma. Per queste imprese alla ricercadella massimizzazione dei profitti, impreseindustriali che remunerano oggi il capitalepiù di ogni altra impresa (si valuta un pro-fitto di circa il 30% dell’investimento), ilmercato deve allargarsi a dismisura, soprat-tutto quello dei paesi più ricchi (i poveri delmondo, non avendo soldi per pagarsi nem-meno i farmaci utili, non sono ancora diinteresse per queste aziende). Per questo neinostri paesi si sta assistendo, insieme allariduzione delle prestazioni essenziali(allungamento dei tempi di attesa), anchealla distribuzione di farmaci francamenteinutili per promuovere la salute o combatte-re le malattie reali.La medicina attuale tecnologizzata e merci-ficata è divenuta una componente talmenteusuale del panorama moderno che le perso-ne hanno assunto del tutto inconsapevol-mente il ruolo di consumatori dei farmaci, ecome consumatori hanno solo la possibilitàdi scegliere tra ciò che il mercato proponeloro non quello di determinare l’offerta cheviene loro fatta attraverso una partecipazio-ne attiva. Decidere di cessare di essere con-sumatori è, a livello individuale, molto dif-ficile, soprattutto nel caso in cui da cittadinici si trasformi in deboli pazienti.Ad una fascia particolarmente debole di cit-tadini, gli anziani, si propone sempre piùfacilmente una soluzione farmacologica aquelli che sono o molto spesso vengono soloprospettati come loro specifici problemi.

Quello che loro servirebbe realmente è unmodello di medicina sociale o, ancormeglio, una società solidale. Viene inveceloro proposto un farmaco che attutisca lapercezione del bisogno o lo devii su bisogniartificiosamente creati ed indotti. In realtàper rispondere ai bisogni reali si dovrebbepoter disporre di reti sociali che, solo all’oc-correnza, prevedano l’acceso alla assistenzasanitaria e alla clinica. Ma questo tipo dimodello non è risuscito nel tempo a realiz-zarsi e oggi più di ieri sembra manchi addi-rittura la consapevolezza della sua utilità enecessità, grazie al frastuono generato da chipropone soluzioni finalizzate a massimizza-re il profitto attraverso lo sfruttamento deibisogni indotti e non attraverso la soddisfa-zione dei bisogni reali, riesce concretamen-te a farsi strada.Esiste poi il problema della differente fina-lità dell’ente pubblico e dell’ente privato insanità: chi dovrebbe garantire un diritto, difatto lo nega imponendo attraverso i ticketcosti talora insostenibili, liste d’attesa lun-ghissime, facendo così il gioco del privatoche riesce ad offrire tariffe spesso ormai piùabbordabili, inducendo una falsa idea che“privato è meglio”.I partiti politici hanno da tempo espunto lapartecipazione dal dibattito sulla sanità esulla salute dei cittadini: l’ultimo tentativoin questa direzione, molto timido, vennefatto dal Ministero Bindi nel 1998 con l’in-serimento del tema nel piano sanitario.Ma è dal 1995 che un altro tema si è impo-sto contro la partecipazione, quello dellaaziendalizzazione. Questa modifica di para-digma ha fatto scomparire le persone sosti-tuendole con le prestazioni. Un direttoregenerale di qualsiasi azienda sanitariasaprebbe oggi comporre il quadro del suoterritorio solo declinando una serie dinumeri relativi alle prestazioni erogate manon nei termini di reali risultati di salute peri pazienti. Egli infatti non avrebbe elementi,né si preoccupa di averli, per sapere checosa accade nella sua realtà in termini disalute al di fuori di ciò che capita nel suoospedale chiamato ad erogare prestazioni.Anche i livelli di assistenza chiamati essen-ziali, l’ultima frontiera o meglio il livellozero di ciò che resta del diritto costituziona-le alla salute,viene oggi messo fortemente in

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 2014110 Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario

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discussione in base a quelle che vengonoassunte come compatibilità finanziarieinderogabili.In conclusione volendo terminare con unaproposta, è ancora la partecipazione chedeve essere messa al centro di una azioneriformatrice della sanità. Essa deve partireda un’opera di alfabetizzazione analoga aquella che nel nostro paese si fece, attraver-so la televisione pubblica negli anni ’50,quella che si realizzò con l’impegno delleorganizzazioni operaie di base (i Consigli diFabbrica) negli anni ’60. Solo alimentandola coscienza di ciò che sono i reali bisogni disalute si può far ripartire un sistema incep-pato che rischia di essere cannibalizzato dalprivato. Ad esempio come Istituto MarioNegri Sud abbiamo da poco terminato unostudio al quale hanno collaborato circa 800medici di medicina generale, finalizzato aricollegare fra loro i fattori di rischio da ricol-legare alle reali caratteristiche ed esperienzedi vita dei singoli. Infatti di per sé ogni fat-tore di rischio segnalato in letteratura ha unimpatto differente a seconda delle caratteri-stiche dell’individuo che lo sperimenta: sesi tratta di persona giovane o anziana, occu-pata o disoccupata, inserita o meno in unarete sociale ecc. E’ stato così possibile verifi-care che, messi di fronte a persone con imedesimi fattori di rischio, i medici dimedicina generale tendevano ad includerenella valutazione anche la storia dei pazien-ti. I pazienti si sono sentiti così soggetti par-tecipi che svolgevano un ruolo attivo ed imedici, che spesso andavano a casa loro, sisentivano più in grado di parlare chiaro allapersona interessata di rischio cardiovascola-

re, ottenendo che il paziente diventasseautonomo nel dare le proprie valutazioni enel prendere le decisioni importanti suicambiamenti di stile di vita da seguire.Questo lavoro e queste iniziative che attiva-no e stimolano la partecipazione, e dellapartecipazione si nutrono, possono darerisultanti pratici molto rilevanti oltre cherisultati originali in termini di conoscenza.In particolar modo risulteranno efficaci se loscopo è far comprendere ai pazienti e allapopolazione in quali casi è bene utilizzaredei farmaci classici piuttosto di quelli nuoviche l’industria del farmaco propone, spessoper nulla più efficaci e innovativi ma piut-tosto di quella tipologia nota come quelladei “farmaci me too”. Nel campo della psichiatria poi, in modospecifico, è importantissimo creare retisociali, ma su questo tema la formazioneuniversitaria stessa non ha più insistitonegli ultimi anni, nei quali si è assistito allalarga diffusione dei farmaci. Infine un altro esempio di come la parteci-pazione possa permettere il conseguimentodi obiettivi di salute molto avanzati, consi-ste nelle esperienze positive fatte in paesimolto meno sviluppati del nostro attraversola formazione di donne all’affrontare i pro-blemi sanitari e di assistenza locali, anchenei villaggi sperduti, queste ultime riusciva-no a controllare dei fattori di rischio inmodo da ottenere risultati sul campo deltutto equivalenti se non migliori di quelliconseguiti, ad un costo superiore e soprat-tutto senza ottenere la formazione di unarete sociale permanente, dagli interventidella organizzazione mondiale della sanità.

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L’epidemia Tabagica

di Roberto MAZZA*

Medicina Democratica numeri 213-215 gennaio / giugno 2014

1.1 AGLI INDIANI NON FACEVA MALE:LA STORIA DEL TABACCOColombo aveva annotato nel diario di bordodel suo primo viaggio che i nativi di SanSalvador gli avevano regalato una zucca, unpezzo di terra rossa e delle strane “hierbassecas”. Il costume locale di aspirare il fumoprodotto dalla combustione di queste foglievenne raccontato da altri testimoni cheaccompagnarono i viaggi di Colombo, manessuno poteva immaginare che quei sem-plici doni nascondessero un prodotto cheavrebbe inciso profondamente nella culturae nella salute dei popoli, trasformandosi neisecoli successivi in una specie di tremendavendetta postuma. La colonizzazione europea infatti determinòil quasi totale sterminio delle popolazioniche abitavano il continente americano.Secondo le stime di Tzvetan Todorov(Todorov, 1982) nel 1500 la popolazione delglobo poteva stimarsi intorno ai 400 milioni,80 dei quali vivevano nelle Americhe. Versola metà del XVI secolo ne restavano 10milioni. Per limitarsi al Messico, alla vigiliadella conquista la popolazione era di circa25 milioni, nel 1600 era ridotta a 1 milione.Fu un vero e proprio genocidio, superiore aquelli, più conosciuti e studiati, del XXsecolo. Avvenne attraverso uccisioni direttedurante le guerre, per i maltrattamenti chegli invasori inflissero alle popolazioni localiutilizzate come schiavi nelle miniere, nellefattorie, nei lavori pubblici. E infine, innumero preponderante, milioni morironoper shock microbico, cioè per le epidemieche si svilupparono tra i nativi. Questi infat-ti non avevano un sistema immunitario ingrado di far fronte ai microrganismi intro-dotti dagli spagnoli che si diffusero inmaniera esponenziale nel “nuovo” conti-nente decimando le popolazioni locali.

In questo senso l’offerta dei doni prefigura-va la nemesi della diffusione del tabagismoin occidente, senza scordare che ancheun’altra sostanza di origine americana lacocaina, prodotta estraendo questo alcaloi-de dalle foglie di un arbusto (Erythroxylumcoca), ha giocato e gioca un ruolo importan-te nelle dipendenze ed anche nello svilup-po del crimine organizzato, in occidente enel mondo globalizzato.Inversamente allo shock microbico, esistevainfatti una radicale differenza tra l’utilizzodi queste sostanze psicoattive nelle civiltàprecolombiane e quanto poi avvenne inEuropa. Le proprietà stimolanti degli alca-loidi presenti nelle foglie di coca eranoconosciute dalle popolazioni sud americaneche le utilizzavano soprattutto per scopirituali. Ancora adesso le popolazioni andi-ne utilizzano le foglie nei riti dedicati allaPachamama (la Madre Terra) e per scopidivinatori. Ma l’attuale uso tra le popolazio-ni contadine di masticare in continuazionele foglie di coca durante il lavoro agricolo ogli spostamenti a piedi, ha una provenienzacoloniale. La coca viene masticata per nonsentire la fatica e per compensare la scarsaalimentazione e sembra riferirsi a una dispe-rata diffusione tollerata e facilitata dagli spa-gnoli per gli indigeni che dovevano lavora-re in condizioni estreme, soprattutto nelleminiere.Nel 1600, a 5000 metri di altitudine, cresce-va Potosì, una città di dimensioni analogheai più grandi centri europei dell’epoca, sortaintorno alla grande montagna trasformata inminiera dagli spagnoli. Migliaia di cunicolipenetravano il Cerro Rico e da questi furonoestratte enormi quantità di argento chefinanziarono poi la rivoluzione industrialeeuropea. Qui furono inviati centinaia dimigliaia di indigeni. Le popolazioni andine

*Infermiere INT,Laureato in

Scienze cognitivee processi decisio-nali, si è occupatodi campagna anti-fumo (docente delmaster per profes-sionisti antifumo

(IEO), è coordina-tore per INT della

rete HealthPromoting

Hospitals eresponsabile di

progetti della retelombarda HPH.

112 Dossier: Partecipazione, Salute e Sistema Sanitario

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andavano alle miniere e alla costruzione distrade cantando, era la festa dei lavori comu-ni a cui erano abituati dall’impero incaico(le mitas: lavori pubblici a cui tutti contri-buivano): il lavoro comune era imposto atutte le popolazioni assoggettate dall’Imperodel Tawantinsuyo,ma era limitato nel tempoin cambio ricevevano dai funzionari incaicicibo e diritto di cittadinanza. La realtà gover-nata dagli spagnoli si rivelò radicalmentediversa, lavori erano forzati, imposti conmaltrattamenti, violenze (Metraux, 1969).Morirono a migliaia e le foglie di coca sonoentrate da quei giorni nella cultura andinacome l’unico lenitivo permesso dagli inva-sori per sopravvivere a quelle altezze e aquei lavori. Ieri quindi si masticava coca perresistere a un’invasione centrata sulla pre-dazione delle risorse locali e la schiavitù,oggi per sopportare una povertà delle cam-pagne insostenibile e un isolamento cultu-rale discriminatorio che ancora colpisce lepopolazioni indigene delle Ande. Il tabacco è invece una pianta come il pomo-doro e la melanzana della famiglia dellesolanacee, chiamata più di due secoli dopola conquista dell’America da Carl NilssonLinnaeus, il grande naturalista e medicosvedese più noto come Linneo, Nicotianatabacum. E nicotina divenne il nome delpotente alcaloide estratto da questa pianta. Ilnome rende omaggio a Jean Nicot deVillemain, ambasciatore di Francia inPortogallo, che tornando in patria nel 1560,regalò alla regina Caterina de Medici (1519-1589) un po’ di queste foglie secche magni-ficandole come: “un’erba di meravigliosevirtù contro tutte le ferite , piaghe e ulceredel viso....” Il tabacco era già usato inPortogallo, ma la Francia fu il successivotrampolino per l’espansione del consumodi tabacco in Europa (Dani & Balfour, 2011).Ma prima di affrontare l’impatto del suo usoin Europa è utile tornare sulle diverse moda-lità di utilizzo presenti nel continente ame-ricano. I maya e gli aztechi ne prevedevanoun uso rituale nelle cerimonie religiose, tra ipopoli della foresta ancora oggi “curande-ros” e anziani utilizzano pozioni fatte con lefoglie masticate di tabacco per le loro pro-prietà emetiche, probabilmente percepitecome purificatrici (Emboden, 1980). Probabilmente ne conoscevano anche le

proprietà stimolanti, ma l’uso delle foglie dicoca e del tabacco in America non rappre-sentava un problema sociale e nemmenoindividuale. Il loro uso era rituale e control-lato, inserito in contesti comunitari, durantecerimonie civili o religiose che davano unsignificato accettabile e controllato alle alte-razioni psichiche indotte dal loro consumo.Esisteva quindi una “tecnologia” che per-metteva un utilizzo delle sostanze psicoatti-ve in modo socialmente accettabile e ingrado di valorizzare sensazioni e “visioni”indotte nei consumatori, spesso sacerdoti eguaritori. Il problema della dipendenza dalle sostanzesi manifesterà più tardi soprattutto inEuropa. Le prime avvisaglie furono precoci,l’abitudine al fumo spaventò un papa,Urbano VIII ( 1568- 1644), che fra il proces-so contro Galileo e la regia dei lavori dellaRoma barocca del ‘600, trovò il tempo peruna bolla che impone ai preti di non fuma-re. In seguito James I Stuart (1566-1625)scrisse considerazioni argute contro il taba-gismo e aumentò in modo considerevole ildazio sui tabacchi, mettendo le basi di quelconflitto d’interesse tra entrate dalle accise espese per la salute dei cittadini che il tabac-co impersonò e impersona in maniera para-digmatica. Anche i turchi, con il sultanoAmurat IV, nell’anno 1663 emanarono uneditto contro la produzione e il consumo ditabacco (Perruzziello F, 2007). Come ancheil folklore popolare ha registrato, ebbe unoscarso successo e l’editto non fu più seguitoda alcuna azione degna di nota di contrastoal tabagismo fino agli interventi odierni(piuttosto efficaci) proposti e attuati dalgoverno di Erdogan e che prevedono per itrasgressori multe fino ad un equivalente di2.500 € .Un passo fondamentale nella storia delladiffusione del tabagismo è stata la coltiva-zione del prodotto nelle colonie inglesi nelnuovo continente. Nel 1612 John Rolfe ini-ziò a coltivare il tabacco a Jamestown, ilprimo avamposto di coloni britannicinell’America del Nord. La sua vicenda hacolpito l’immaginario popolare, è stata resamolto romantica attraverso il racconto delsuo matrimonio con Pocahontas, la figlia diun capo indiano, ma in realtà quello chedoveva cambiare la storia fu la messa a cul-

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tura delle piante di tabacco che con il coto-ne divenne il primo cash crop (prodottoagricolo non destinato al consumo locale,ma alla vendita e alla formazione di reddito)della storia (Borio, 2007).I ricavi altissimi percepiti dalla vendita inEuropa e nel mondo di questi prodotti die-dero un impulso fondamentale ad un altrofenomeno di sfruttamento estremo checaratterizzò questa storia: la schiavitù. Perprovvedere di forza lavoro le infinite esten-sioni di terreno delle fattorie della CottonBelt, la cintura della produzione del cotonee del tabacco nelle pianure dell’America delNord, si organizzò un commercio di uominiche provocò un terribile depauperamentoumano dell’Africa e infinite sofferenze amilioni di uomini strappati alle loro terre efamiglie, caricati su navi in condizionibestiali e venduti infine come manodoperaforzata ai coloni europei in America. Ecco delineati i due primi drammi chesegnarono la storia del tabacco: la conquistadell’America con il genocidio delle popola-zioni native e la schiavitù che condizioneràl’esistenza delle popolazioni del continenteafricano. Ma il dramma più grande in ter-mini di distruzione di vite umane avrebbecominciato a manifestarsi in seguito e diquesto vogliamo scrivere presentando unaanalisi dell’espansione del mercato deltabacco in questi ultimi 50 anni con cennialla poco studiata e poco conosciuta situa-zione italiana e una breve descrizione epi-demiologica dell’impatto del tabagismosulla salute delle popolazioni.

1.2 LE VICENDE ITALIANE FINOALL’ARRIVO DI BRITISH AMERICANTOBACCOUna volta lo Stato italiano produceva e ven-deva le sigarette attraverso i Monopoli diStato, lucrando sulla coltivazione, la lavora-zione, la vendita delle sigarette e degli altriprodotti del tabacco. L’origine di questa vicenda si può farla risa-lire al 1560 quanto il cardinale ProsperoSantacroce, nunzio pontificio a Lisbona,regalò a papa Pio IV un pugno di semi pro-venienti dall’America. Il Papa li affidò aimonaci cistercensi che li coltivarono consuccesso, ma poi iniziarono e diffusero unuso talmente smodato delle foglie di tabac-

co da indurre il già citato Urbano VIII aintervenire censurando questo comporta-mento. In seguito l’atteggiamento mutò radi-calmente, i pontefici intravidero nella colti-vazione, la lavorazione e la vendita dei deri-vati della pianta americana la possibilità diuna importante fonte di reddito. Tutto il pro-cesso venne organizzato dallo stato pontifi-cio e sigillato con un monopolio che ne san-cisse l’esclusivo controllo statale. Nel 1742Benedetto XIV fece costruire la prima fab-brica per la lavorazione del tabacco a Roma,nell’attuale via Garibaldi, utilizzando comeforza motrice la sovrastante fontana dell’ac-qua Paola, al Gianicolo. Così inizia la para-bola di questo discusso ente che arrivò agliinizi del 1900 a contare 12.000 operaie (ledonne, le “tabacchine”, erano l’assolutamaggioranza tra chi lavorava il tabacco) eprima della Grande Guerra la produzione disigari, sigarette e “trinciato” impiegava, invarie manifatture sparse in tutta la penisola,ben 16.000 persone. Accanto al tabacco, iMonopoli dello Stato si sono occupati tral’altro anche della più meritoria impresa direndere accessibile, a buon mercato e a tuttala popolazione italiana, il chinino. Ma ilcore business rimase la foglia di tabacco e ilsuo consumo sminuzzato nelle sigarette.Quando nel 1998 il decreto legislativo n°283 diede inizio alla privatizzazione diparte della produzione gestita daiMonopoli, venne creato l’Ente TabacchiItaliano (ETI) che diventa SpA nel giugno2000. Tutto questo per preparare la messa invendita dell’intero comparto del tabacco ita-liano che si concretizzò nell’estate del 2003con l’acquisto da parte di British AmericanTobacco (BAT). Il nuovo proprietario deitabacchi d’Italia è la seconda più grandemultinazionale del settore, detentrice di unaquota pari al 17% del mercato mondiale epresente in 180 paesi. E’ nata dalla fusionetra American Tobacco Company di James“Buck” Duke, la prima compagnia cheimpiegò una macchina automatica per laproduzione delle sigarette (vedi il para-grafo precedente) e la britannica ImperialTobacco Company. L’acquisto dell’Ente Tabacchi Italiano è statofortemente voluto da BAT: l’offerta dellamultinazionale anglo-americana di 2.325milioni di euro ha superato di 800 milioni le

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offerte delle cordate concorrenti. Un taleprezzo ha sbaragliato anche gli analisti eco-nomici, divisi tra quelli che hanno pensatoad un grande errore di valutazione e quelliche invece hanno fatto discendere l’offertada un preciso calcolo delle potenzialitàdell’Italia, dopo la Germania secondo mer-cato europeo delle sigarette e 5° a livellomondiale. Bat Italia continua a tenere un basso profilonella sua presenza nel nostro paese, pocheinterviste, iniziative importanti ma con visi-bilità tra “coloro che contano” come lasponsorizzazione dell’Osservatorio sullaResponsabilità Sociale (sic!) all’UniversitàCattolica di Milano, il seminario Ambrosettidove i migliori economisti si confrontanocon politici e industriali. Insomma una pre-senza discreta per un mercato immenso edalle incalcolabili conseguenze sul pianodella salute (Mazza R, Boffi R, Invernizzi Get al, 2005).

1.3 EPIDEMIOLOGIA DEL TABAGISMOLa diffusione del tabagismo incontra il vet-tore perfetto nell’invenzione della sigaretta.Si tratta dello strumento più adeguato a met-tere rapidamente in contatto i nostri recetto-ri cerebrali con la nicotina, l’alcaloide psi-coattivo liberato dal tabacco attraverso lacombustione. Gli inventori sembrano esserestati i soldati turchi che nelle lunghe giorna-te dell’assedio della città di San Giovannid’Acri, oggi Akkô o in arabo Akkâ, città neiconfini dello stato d’Israele. Era il 1832 e ilcorpo di spedizione turco comandato daIbrahim Pascià aveva come obiettivo lasconfitta dei ribelli egiziani che si stavanoopponendo al potere centralizzante e auto-ritario dell’impero ottomano. I soldati eranodotati di fucili ad avancarica, cioè venivanocaricati dalla canna con l’introduzione dellapallottola, dello stoppino e della polvere dasparo, inserita nella lunga canna con deicilindretti di carta (Perrozziello, 2007).Proprio questi cilindretti, sporchi di polvereda sparo e riempiti con foglie secche e smi-nuzzate di tabacco furono le prime sigarette.Una volta conosciuto e diffuso, questo mec-canismo venne ingegnerizzato per passare auna produzione e commercializzazione sularga scala. Questo progetto trovò un ostaco-lo nella impossibilità delle operaie dei

tabacchifici di andare oltre la produzione di3-4 sigarette al minuto. Nel 1880 JamesBonsack inventò una macchina in grado dipreparare automaticamente le sigarette evinse un premio di 75.000$. Ma molto dipiù guadagnò James Buchanan Duke cheutilizzò l’invenzione per fondare una dellepiù potenti compagnie produttrici di siga-rette, la American Tobacco Company. Lacrescita fu talmente travolgente che l’auto-rità americana antitrust la obbligò, nel 1911,a sciogliersi in diverse più piccole societàtutte produttrici di marchi diverse di siga-rette (Dani & Balfour, 2011).

Ormai la crescita del consumo di tabaccodiventava inarrestabile, durante la primaguerra mondiale la produzione di sigarettetriplicò, queste erano le compagne dei sol-dati americani nei lontani fronti europei evennero considerate altrettanto importantidel cibo e inserite nelle razioni di sopravvi-venza.. Il legame tra il fumo e la guerra èsempre stato una costante utilizzata dalmarketing del tabacco, solo adombrato nelcow boy della Philip Morris, effettivo nellavicenda del giovane soldato americano foto-grafato in primo piano durante un’azione diguerra a Bagdad con la sigaretta in bocca e lacui immagine fu riprodotta infinite volte neimedia occidentali come simbolo di deter-minazione e bellezza. Un giornalista si inca-ricò poi di raccontare il poco edificante esitodella storia: il giovane soldato divenne un’i-cona della guerra e per i superiori troppoimportante perché la sua vita potesse esseremessa a rischio, la notizia della sua morteavrebbe portato un colpo pericoloso almorale dei giovani, per cui il soldato vennetolto dalle missioni di guerra e dopo pochi

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mesi di inattività rimandato a casa con unasequela di problemi psichici. Ma al di là di questi episodi di marketingspregiudicato, la diffusione dell’epidemia ditabagismo è stata rappresentata in formaconcisa e interessante in un lavoro del epi-demiologo Lopez AD del 1994 e ripreso eadattato da Richard Edwards nel 2004 inun articolo sul prestigioso British MedicalJournal (Figura 1). I dati sono chiari: le stime dicono che 1 su2 fumatori “persistenti” morirà prematura-mente a causa di patologie dovute al tabac-co. Lo studio forse che meglio interpreta ilsenso e le opportunità di seguire una coor-te di persone e registrarne le abitudini,l’ambiente in cui vivono e poi il manife-starsi delle diverse patologie è quello diPeto & Doll (1954, 1976, 1994, 2004) chehanno accompagnato una coorte di quasi37.000 medici di famiglia inglesi per oltre50 anni, scandendo con le successive pub-blicazioni l’invecchiamento degli oggettidello studio, i medici inglesi, e l’afferma-zione professionale dei ricercatori, giovanie promettenti alla pubblicazione del primostudio nel 1954, anziani e ascoltati scien-ziati dell’epidemiologia e della salute pub-blica nel 2010. Ebbene, in questa coorte dimedici inglesi il fumo è pesato, in manieraincontestabile, come un fattore che ha toltoai fumatori una media di 10 anni di vita.Fumare sigarette è la singola più importan-

te causa di morte prematura evitabile neipaesi sviluppati ed è uno dei maggiori pro-blemi di salute anche nel resto del mondo.Recenti stime calcolano che ogni annocirca 6 milioni di persone muoiono ognianno e metà di loro prima di raggiungere i70 anni. Se questo trend continuerà, nel2030 il tabagismo causerà ogni anno lamorte di 8 milioni di persone con l’80% diqueste morti premature fra le popolazionidi paesi a reddito basso o mediano. Se nonsaranno prese adeguate misure, nel XXIsecolo le vittime complessive dell’epide-mia tabagica saranno un miliardo (WHO,2011).La popolazione è poco cosciente del fattoche tra la diffusione massiccia del fumo trala popolazione e il picco di morti ad essacorrelata ci sia un ritardo di 3-4 decadi. Enemmeno che, una volta smesso di fuma-re, il rischio di morte diminuisce moltorapidamente soprattutto per problemi car-diaci. Quest’ultimo dato ha avuto unadimostrazione eclatante con il diffondersidelle leggi di protezione dal fumo passivonei luoghi pubblici, in particolare bar, risto-ranti e luoghi di lavoro. Dati epidemiologiciraccolti prima e dopo l’introduzione di que-sto tipo di leggi hanno descritto una impor-tante e significativa riduzione della morbi-lità e mortalità cardiaca calcolata ancheattraverso le ammissioni nei pronto soccor-si che gestivano le emergenze nei territori

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Figura 1. L’epidemia del tabagismo secondo il modello di Lopez, tratto da RichardEdwards, 2004, ABC of Smoking Cessation, BMJ;328:217

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interessati da questo tipo di intervento(Mackay, Irfan, Haw & Pell, 2010).

1.4 IL MODELLO DI LOPEZOra è possibile studiare i trend dell’epide-mia del tabagismo e del suo impatto sullamortalità perché ormai abbiamo dati dispo-nibili e affidabili in molti paesi che copronoun periodo di circa 100 anni, questo signifi-ca la possibilità di caratterizzare le varie fasidell’epidemia in modo preciso e in grado difornire agli interventi di salute pubblica unquadro di riferimento solido e utile per laprogrammazione sanitaria.Il modello proposto da Lopez e confermatoin un recente articolo di Thun, Peto &Lopez, comprende 4 fasi ed è molto coeren-te con la storia dei paesi del tabagismo neivari paesi.

1.4.1 PRIMA FASE L’inizio dell’epidemia. La prevalenza delfumo fra i maschi con più di 15 anni è bassa,inferiore al 15%. Quella femminile bassissi-ma, spesso per problemi culturali e didiscriminazione di genere che solo in que-sto caso si è dimostrata addirittura protetti-va con in molti paesi una percentuale bas-sissima di donne fumatrici. Il consumo pro-capite di tabacco nei fumatori non è moltoalto e la mortalità attribuibile al tabacco èancora bassa e non evidente a gran partedella popolazione. Questa fase può durarefino a 20 anni o essere più breve, il fumo èculturalmente accettato e considerato inof-fensivo, le priorità di salute pubblica sonosolitamente concentrate sulla malnutrizionee le malattie infettive e non vengono propo-ste campagne e interventi antifumo.Verso la fine di questa fase la prevalenza deifumatori maschi comincia a crescere moltorapidamente, ma l’incidenza di tumori delpolmone o comunque fumo correlati èancora bassa, simile a quella dei non fuma-tori e poco visibile alla popolazione. Per lemultinazionali del tabacco è una fase ottimaper le prospettive di crescita esponenzialiche nasconde e per le poche risorse cultura-li, politiche e sanitarie disponibili a contra-stare il loro mercato. Interventi diretti deiproduttori di sigarette in questa fase sonoriconoscibili ad esempio quando si è messoe si mette in una contrapposizione artificio-

sa le campagne antifumo con i tradizionalied essenziali interventi contro la malaria, ladiarrea e le infezioni respiratorie acute tra ibambini o la lotta alla diffusione dell’ HIV.

1.4.2 SECONDA FASE Dura tra le due e le tre decadi. La prevalen-za dei fumatori cresce in modo molto rapi-do fino a raggiungere un picco tra il 50 el’80% dei maschi adulti. La proporzionedegli ex-fumatori è bassa, la prevalenza deltabagismo tra le donne segue a distanza diuna due decadi il trend di rapido aumentovisto tra gli uomini. Il consumo di tabacconon ha differenze significative tra le varieclassi sociali, anzi lievemente aumentato trale classi sociali più abbienti. Le attività dicontrasto alla diffusione del tabacco sonopoche e sporadiche. La mortalità fumo cor-relata tra gli uomini raggiunge il 10%, iltumore al polmone ha un’incidenza ancorabassa di circa 5 su 100.000 persone, ma puòaumentare di 10 volte entro la fine dellafase. Tra le donne è ancora una malattia rara.Culturalmente, fumare è un’abitudine anco-ra accettata e considerata poco dannosa.Ricordo 50 anni fa, l’Italia era in questa fase,avevo 8 anni e mio padre mi permetteva diaccendergli la sigaretta e aspirare qualcheboccata imitando Fred Buscaglione. Unatteggiamento che oggi provocherebbe unatelefonata ai Carabinieri e che invece eraconsiderato normale e probabilmente lo èancora in paesi come la Cina, inseribili inquesta fase dell’epidemia tabagica.

1.4.3 TERZA FASEDopo aver raggiunto o superato una quotadel 60% e più della popolazione maschileadulta, la prevalenza dei fumatori cominciaa decrescere fino a raggiungere in 2/3 decadiuna percentuale del 40%. Oltre i 45 anni laproporzione dei fumatori decresce, aumen-tano fra queste fasce d’età gli ex-fumatori. Trale donne la prevalenza rimane più bassa, mamantiene un picco massimo più a lungo,quasi un plateau di prevalenza, calcolabileintorno al 45-55% della popolazione femmi-nile, con percentuali più alte tra le giovanidonne. Le due curve (maschi e femmine)hanno andature diverse e tendono alla finedi questa fase ad essere particolarmente vici-ne con una differenza di 5-10 punti percen-

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tuali. La percentuale di ex-fumatori comin-cia a crescere molto significativamente tra leclassi sociali agiate e invece tende a ridursimolto poco tra le classi sociali più emargina-te e disagiate. La mortalità tra gli uomini cre-sce dal 10% al 25-30% in tre decadi. Il valo-re attribuibile al fumo tra i maschi è addirit-tura ancora più alto nella fascia d’età cha vadai 35 ai 69 anni. Tra le donne la quota dimorti attribuibili al tabacco parte intorno al5% ma in crescita molto veloce.L’incidenza del tumore polmonare arriva a110-120 per 100.000 persone, nelle donnegiunge rapidamente a 25 - 30 casi sempreogni 100.000. In questa fase le condizionisociali e politiche sono più favorevoli perinterventi antismoking, non si fuma più suimezzi pubblici, ma posti di lavoro smokefree non sono ancora comuni. Vengono rea-lizzati sistematici programmi di controllodel tabagismo nelle scuole e i media giocanoun ruolo chiave nel facilitare od opporsi ainterventi legislativi più ampi. Il fumare nonè più socialmente accettabile.

1.4.4 QUARTA FASELa prevalenza scende gradualmente inentrambi i sessi. Circa 20-40 anni dopo averraggiunto il suo picco, la prevalenza tra ledonne scende dal 45% fino a circa un 30%,tra gli uomini di solito la prevalenza è un po’maggiore, 30-35%. Tra questi ci si aspetta ilpicco massimo di mortalità presto all’iniziodi questa fase, fino al 40-45% di tutte le

morti. Durante questa fase ci si può aspetta-re che la percentuale di mortalità dovuta altabagismo declini tra i maschi fino al 20%.Per le donne la percentuale di mortalitàdovuta al fumo tenderà a crescere in accordocon i pattern di incidenza del tabagismodelle decadi precedenti sino a raggiungereun 20% alla fine della fase, coincidendo conquella maschile, ma con due trend opposti,per l’uomo calante e per la donna crescente.In questa fase sale la domanda di luoghi pub-blici e posti di lavoro liberi da fumo aumen-ta considerevolmente. Al sistema sanitarioviene chiesto di farsi carico anche dell’aiutoai fumatori che non riescono a smettere dasoli. In questa fase le differenze sociali tra ilconsumo di tabacco tende addirittura adampliarsi ed è cruciale una forte pressionesociale e specifiche iniziative su questo pro-blema per ridurne l’impatto sulle popolazio-ni più disagiate (Figura 2).

1.5 L’IMPATTO DELLE DISUGUA-GLIANZE SULL’EPIDEMIAC’è una immagine molto pregnante descrit-ta da Micael Marmot (2004): lungo il per-corso della metropolitana che attraversaWashington dai quartieri poveri della popo-lazione nera a sud est, fino alla ricca e bian-ca contea di Montgomery si guadagna unanno e mezzo di vita ogni miglio percorso,per un totale di 20 anni di vita tra i duecapolinea. L’impatto della classe sociale diappartenenza, dell’educazione ricevuta e

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Figura 2. Tratto da Richard Edwards 2004 in ABC of Smoking Cessation, BMJ;328:217

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delle possibilità economiche negli esiti dellepatologie si va rilevando sempre più impor-tante anche in un sistema sanitario comequello italiano che ha sempre cercato dioffrire a tutti i cittadini le cure e l’assistenzanecessarie indipendentemente dal reddito(Padovani, 2008). Ma il gap tra ricchi e pove-ri si va ampliando in materia di salute e ilfumo è sicuramente uno dei fattori causalipiù significativi. Secondo uno studio fattoin Inghilterra, Galles, Polonia, USA eCanadà, le differenze sociali tra gli uominidella classe d’età 35-69 anni provocano ildoppio della probabilità di morire nellaclasse più povera rispetto alla più ricca(manovali versus professionisti, entratemedie delle popolazioni che vivono in quelquartiere, istruzione meno di 12 anni e piùdi 12 anni…).Più della metà di questa differenza è attri-buibile al tabagismo (Jha, Peto, Zatonski,Boreham, Jarvis & Lopez, 2006).Infine, per quanto riguarda i pazienti affettida cancro, in un recente lavoro appena pub-blicato da Cancer (Park et al, 2012) si consta-ta che tra i pazienti oncologici che fumanoancora dopo la diagnosi ritroviamo quellicon meno supporto sociale, con basso statussocioeconomico e con maggiore incidenzadella depressione. Una miscela esplosiva perla sopravvivenza e la qualità della vita diquesto gruppo importante e critico dipazienti oncologi: i fumatori ammalati dicancro.

1.6 IL MARKETING DEL TABACCO

1.6.1 I DOCUMENTI DELLE MULTINA-ZIONALIPrima di descrivere i meccanismi delladipendenza che ci aiutano a capire l’azionedella nicotina nelle strutture cerebrali èimportante rendersi conto come anche altrevariabili non biologiche incidano sostanzial-mente nella diffusione dell’epidemia deltabagismo e in primo luogo il marketingdelle multinazionali delle sigarette. Per farequesto, descriveremo due casi: quello del-l’invenzione e dello sviluppo delle sigarette“light”, che, come vedremo, aveva come tar-get l’ambigua voglia di salute dei fumatori edè paradigmatico anche perché coinvolge laBAT che, come abbiamo visto, è l’attualeproprietario di quello che conoscevamocome Ente Tabacchi Italiano. L’altro caso èquello della battaglia portata avanti dallemultinazionali del tabacco contro le provedella pericolosità del fumo passivo, battagliafatta con studi manipolati da scienziati com-piacenti, ma anche con attacchi diretti a chisi è occupato di salute pubblica.Lo studio di questi casi fa riferimento ad unaserie di documenti riservati presenti negliarchivi soprattutto di Philip Morris e diBritish American Tobacco che ci hanno per-messo di percorrere passo dopo passo questeimportanti vicende. Chi infatti fa ricerca sul-l’epidemia tabagica ha oggi la possibilità diaccedere a tutti i documenti presenti negliarchivi di 5 tra le maggiori aziende produttri-ci di tabacco. I CEO di queste multinazionaliavevano giurato il falso davanti al senatoUSA nel 1994 dichiarando che, a loro avviso,

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Figura 3. L’audizione al senato USA

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la nicotina non dava dipendenza (Figura 3).Poco dopo l’audizione un ricercatore, forseper problemi etici o come forma di vendettaper un qualche abuso subìto, fece conoscereuna serie di documenti che dimostravanoche nei laboratori delle multinazionali si erastudiato con precisione i meccanismi delladipendenza come base dello sviluppo delmercato delle sigarette. La rivelazione diedespunto a una sentenza al riguardo: un giu-dice del Minnesota condannò nel 1998 le 5principali aziende presenti nel mercatoUSA a mettere a disposizione di magistratie ricercatori tutti i documenti presenti neiloro archivi. Milioni e milioni di paginesono state quindi pubblicate, per PhilipMorris (PM) in un sito ancora attivo e fun-zionante con un ottimo motore di ricercawww.pmdocs.com (visitato il 20 gennaio2012) mentre BAT ha scelto di mettere idocumenti a disposizione in un depositoinglese con una procedura particolarmentefarraginosa che ne ha reso l’accesso moltopiù complicato.L’archivio BAT comprende più di 40.000file per circa 8 milioni di pagine. Un grandeprogetto di salute pubblica chiamatoGuildford Archiving Project (GAP) si pro-pone di richiedere copia di tutti i documen-ti depositati, scannerizzarli e renderli dispo-nibili ai ricercatori con appositi motori diricerca. I ricercatori GAP provenienti dallaLondon School of Hygiene and TropicalMedicine, dall’Università della California(UCSF) e dalla Mayo Clinic, stanno affron-tando difficoltà di ogni tipo per accedere aidocumenti: nessun indice, attese di un annoper poter fotocopiare i documenti, il lavorodei ricercatori nell’archivio è sorvegliatoattraverso specchi unidirezionali e teleca-mere (Muggli, LeGreslet & Hurt, 2004).

1.6.2 LA POLITICAQuesti documenti sono una fonte importan-te per conoscere i meccanismi del marke-ting delle sigarette, come questo abbiainfluenzato con spregiudicatezza la politicadegli stati e spiega ad esempio, come maifurono necessari 20 anni all’Europa peremanare una direttiva che proibisse la spon-sorizzazione di eventi sportivi da parte dellemultinazionali del tabacco. Fu molto diffici-le e complesso intervenire sulla sponsoriz-

zazione della Ferrari da parte di PhilipMorris. Questo binomio è rimasto cosìimprescindibile che ancora oggi, il codice abarre lasciato sui telai di Maranello è suffi-ciente a far ricordare la Marlboro e a diffon-dere e consolidare la presenza del brand nelmercato globalizzato. Questa legislazione fua lungo bloccata dall’allora premier ingleseMargareth Thatcher che contrastò moltodecisamente la disposizione dichiarandoche questa fosse “una indebita ingerenzanegli affari interni degli stati membri”.Quando Thatcher si dimise da premier, fuassunta da Philip Morris (oggi Altria) comeconsulente per l’Estremo Oriente con unostipendio annuale di 250.000$ più altrettan-ti di munifica donazione alla fondazioneche porta il suo nome (Neuman, Bitton &Glantz, 2002).Da questi archivi abbiamo appreso come sisiano pagate cifre importanti per convinceregrandi attori a mostrarsi fumare durante lescene dei film a cui partecipavano: un con-tratto tra Brown & Williamson e SylvesterStallone prevedeva un esborso di 500.000 $perché l’attore si facesse filmare fumandosigarette B&W in 5 diversi film,vedi all.1.

1.6.3 IN ITALIAL’Italia non è molto citata negli archivi PMnonostante sia il secondo mercato europeodelle sigarette dopo la Germania, ma forseanche perché qui proprio non esiste l’abitu-dine di documentare pagamenti e fondidestinati operazioni di lobbying o di corru-zione. Ugualmente però ci limitiamo a regi-strare che il ministro Martino, nominato nel2001 nel II e III governo Berlusconi, ha fir-mato una prefazione a un libretto di StampaAlternativa dal titolo “fuma pure”, nellacopertina il titolo si inseriva nel logoMarlboro. Nel testo si denunciano comesoprusi le politiche di controllo dell’epide-mia tabagica descritte come un attentato allelibertà individuali; il governo Prodi, nel 2006inserì fra i sottosegretari alla PresidenzaFabio Gobbo, cooptandolo direttamente daun incarico dirigenziale in BAT Italia; nel IVgoverno Berlusconi, nel 2008, il ministroLuca Zaia fece come uno dei primi atti delsuo mandato un intervento in favore delmantenimento dei sussidi dell’UnioneEuropea alle coltivazioni di tabacco. Infine si

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prende atto di una dichiarazione del sotto-segretario all’Economia del governo Monti,Gianfranco Polillo. Parlando ai giornalisti(www.corriere.it/economia/11_dicembre,visitato il 20 gennaio 2012) dichiara chenonostante i molti aumenti delle tasse deci-se dal suo Governo, si è deciso di non ritoc-care le accise sui tabacchi lavorati: “in que-sti anni per le sigarette abbiamo sfiorato lasoglia critica di 5€ a pacchetto, superata laquale ci sarebbe una forte caduta dei con-sumi del settore”. Per cui la scelta del gover-no Monti è stata di tassare solo il tabaccotrinciato usato da fumatori di pipa e da gio-vani nel tentativo di risparmiare qualcosa.La scelta di questo governo è molto vicinaagli interessi di BAT e Philip Morris e moltolontana da qualsiasi concezione di salutepubblica. A questo proposito è da segnalareun intervento estemporaneo di UmbertoBossi che a un comizio a Concorezzo il 28luglio 2011 chiedeva di sostituire i ticketsulla sanità con un aumento corrispondentedelle accise su sigari e sigarette (www.repub-blica.it/politica/2011/07/29news/lega_mini-steri-19791280/, visitato il 20 gennaio 2012).Un aumento consistente del prezzo dellesigarette sarebbe stata una clamorosa azioneper la salute degli italiani, forse l’interventopiù efficace ed evidence based per rallenta-re l’epidemia del tabagismo. Secondo laConvenzione quadro per il controllo deltabacco (Framework Convention on TobaccoControl – FCTC) firmata dall’Italia e da altri167 paesi, l’articolo 6 recita “the Parties reco-gnize that price and tax measures are eneffective and important means of reducingtobacco consumption by various segmentsof the population, in particolar young per-sons” (WHO, 2003).La proposta è scomparsa, dimenticata inegual misura da amici e nemici delle bouta-des bossiane.

1.6.4 LIGHT VS NORMAL, SALUTE EMARKETINGMa veniamo al caso delle sigarette “light”:solo nel 2004 la rivista British MedicalJournal pubblica uno studio che dimostrache le sigarette light provocano tra i fumato-ri una mortalità addirittura superiore a quel-li che fumano sigarette a medio contenutodi catrame (Harris, Thun, Mondul & Calle,2004). A seguito di questo le legislazioniamericane ed europee proibirono la dicituralight per i tabacchi che induceva falsamenteil fumatore a pensare che questo tipo ditabacco “leggero” avesse meno conseguenzenegativa per la salute. Dai documenti diGuildford emerse invece molto chiaramen-te che i laboratori della BAT avevano già cer-tificato nel 1978 che questo tipo di sigaretteinducevano il fumatore ad aumentare ritmoe profondità delle aspirazioni vanificandol’oggettiva minore presenza di catrami,nicotina e monossido di carbonio di questesigarette. Un medico loro consulente scris-se: “quelle light mediamente inducono ilfumatore a usare un ritmo doppio di aspi-razioni, e il doppio di quantità aspirata, percui il fumo profondamente inspirato da unasigaretta low tar può essere più dannoso diquello di una sigaretta ad alto contenuto dicatrami” (Roe FJ medical consultant BAT),ma proprio questo era l’obiettivo dei pro-duttori, dichiarato in un altro documento“l’idea è quella di produrre una sigarettache la macchina che determina la quantitàdi catrami, nicotina e monossido (ISOmachine) classifichi in una certa banda dicatrami, ma che in mani umane, possasuperare questa quantità” (Colin Grieg, pre-sentazione a colleghi ricercatori BAT, 1983).Ed ecco il prodotto pronto per il marketing:John Players Extra Light e queste le quantitàdi catrami (TAR)Basandosi soprattutto su questi documenti

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e sulle rilevazioni epidemiologiche chehanno dimostrato addirittura la maggiorepericolosità delle sigarette a bassissimo con-tenuto di catrami e nicotina rispetto a quel-le a medio contenuto, l’OrganizzazioneMondiale della Sanità ha inserito nella giàcitata Convenzione quadro sul controllo deltabacco, all’articolo 11, l’obbligo per gli statifirmatari di imporre l’eliminazione di ognidicitura “light” in questo tipo di sigarette.Questo per impedire definizioni che potes-sero indurre nei consumatori un’idea diminore pericolosità per la salute per queltipo di sigaretta. Gli esperti di marketing sisono messi al lavoro per cercare nuovecaratterizzazioni, con lo stesso senso rassi-curando in modo fraudolento, ma aggiran-do il dettato della legge. Una nota della rivista Tobacco Control del2010 racconta di come il Messico, aderendoalla Convenzione Quadro abbia imposto aPhilip Morris (che controlla il 50% del mer-cato centroamericano) di togliere la dicitura“light” e “mild” dalle sue sigarette. Il pac-chetto ora parla di sigarette “gold” ma il pac-chetto è virato verso il bianco trasformandoil classico simbolo delle Marlboro rosso, inuna sottile linea a forma di freccia. Un docu-mento interno di Philip Morris del 1994 daltitolo significativo “Marketing new productsin a restrictive enviroment” chiede di virareverso il bianco i nuovi pacchetti di sigarette,il bianco infatti porta ad associare il prodot-to al pulito e al salutare (Trasher, Hammond& Arillo –Santillan, 2010).

1.7 IL FUMO PASSIVO Questa tecnica di usare ricercatori e labora-tori per produrre dati segreti da utilizzareper disegnare prodotti in grado di ampliareil mercato e per contrastare i risultati dellaricerca indipendente sui danni da fumo èuna pratica costante e documentata. Unabattaglia di falsificazioni e pagamenti occul-ti a medici, scienziati, attori, politici è emer-sa su un altro tema fondamentale per lasalute, il fumo passivo e le sue conseguenzesulle persone.Le multinazionali investirono molti denariper confutare le ricerche che mettevano inrelazione fumo passivo e cancro, a partiredal primo studio di un ricercatore sullemogli dei fumatori giapponesi (Hirayama,

1982) che trovò una serie importante di con-futazioni da parte di altri ricercatori, risulta-ti poi finanziati dall’industria del tabacco,fino all’assunzione segreta di un consulenteitaliano, il prof. Giuseppe Lojacono.L’incarico era quello di monitorare gli studisul fumo passivo allora in corso e coordina-ti dalla IARC, l’istituto di ricerca sul cancrodell’Organizzazione Mondiale della Sanità,che doveva decidere se inserire o meno ilfumo passivo nella lista delle sostanze can-cerogene per l’uomo (Long & Glantz, 2000).Lojacono, già professore di EconomiaSanitaria all’Università di Perugia, era all’e-poca direttore di Epidemiologia & Preven-zione, la rivista della Società Scientifica diEpidemiologia e riferimento culturale escientifico degli epidemiologi italiani. Dagliarchivi della Philip Morris emersero i suoireport sullo IARC e sulle indiscrezioni suiprimi risultati della ricerca, sulla posizionerispetto al fumo passivo e al tabagismo deiprincipali esperti italiani (vedi il coraggio-so editoriale di Clementi: Breve viaggionegli archivi della Philip Morris. propriosu Epidemiologia & Prevenzione 2000;24:103–07). Ma l’azione di falsificazionescientifica fu scoperta da una ricerca dove simisero a confronto i molti studi contrastan-ti sul fumo passivo e si dimostrò che erafacile predire se i risultati avrebbero confer-mato o confutato il rischio dell’esposizione:bastava verificare se i ricercatori avessero omeno rapporti economici con le multina-zionali delle sigarette (Barnes &, Boero,1998). E’ proprio di quest’epoca la decisionedelle principali riviste mediche e scientifi-che di richiedere ad ogni autore una specifi-ca dichiarazione di indipendenza o menoda interessi commerciali sull’argomentotrattato. Ma per arrivare alla definitiva pub-blicazione della IARC della monografia n°83, quella che definì il fumo passivo cance-rogeno del gruppo 1 per l’uomo, avrebberodovuto passare ancora parecchi anni.

1.7.1 LA TASK FORCE INT/SIMGIn Italia fu particolarmente importante illavoro fatto dall’Istituto Nazionale Tumori(INT) e dalla Società Italiana di MedicinaGenerale (SIMG), la società scientifica deimedici di famiglia. Nell’anno 2000 costitui-rono insieme un gruppo di lavoro sul taba-

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gismo, la task force INT/SIMG che produsseuna serie di lavori che ebbero un forteimpatto nello stimolare la presa di coscien-za dei danni da fumo passivo e della neces-sità di procedere a interventi legislativi ade-guati. Il primo lavoro pubblicato fu quello diInvernizzi G, et al. La misurazione in temporeale del particolato fine prodotto dal fumodi sigaretta negli ambienti indoor: risultatidi uno studio pilota. pubblicato proprio suEpidemiologia e Prevenzione nell’anno2002 che presentava uno studio sulla qua-lità dell’aria in una stanza utilizzata comeufficio dopo una sigaretta (Figura 4). La particolarità di questo lavoro risiedevanella misurazione della quantità di polveriultrasottili (particulate matter -PM) rilascia-te nell’ambiente da una sigaretta. Questaunità di misura dell’inquinamento è infattimolto conosciuta anche tra il pubblico inquanto utilizzata dalle centraline dell’ARPAper monitorare la qualità dell’aria nellegrandi città. La gente comune ha imparatoche quando questa misura supera i 50 microgrammi m3 ci possono essere danni per lasalute e quindi interventi delle autorità sultraffico e sulle caldaie del riscaldamento.Scoprire che una sola sigaretta in unambiente chiuso provocava un picco fino aoltre 5000 µg/m3 di PM10 ebbe un impattomolto forte, non tanto per la pubblicazione

dell’articolo su una rivista scientifica, magrazie a due servizi televisivi che hannoripreso il nostro esperimento. Il primo nellatrasmissione di Piero Angela “Superquark”e l’altro nella popolare trasmissione LEIENE che rilanciava i dati scientifici descrit-ti nell’articolo in modo “leggibile” all’au-dience di milioni di giovani che seguivanoquesta trasmissione. Nessun articolo scientifico mise in discus-sione il lavoro, ma un attacco molto artico-lato venne fatto dal sito di Forces Italy, lasezione italiana di un gruppo di sedicentidifensori della liberta dei fumatori che pre-sentò nelle sue pagine una confutazionemolto tecnica e particolareggiata dello stu-dio (http://www.forcesitaly.org/italy/evi-denza/critiche/it.htm; visitata il 14/01/2012).Gli autori dell’articolo non sono entrati nelmerito di un dato eclatante e riproducibilis-simo, ma hanno contestato le modalità(troppo semplici!) dello studio. Nessunafirma al pezzo, ma sicuramente fu scritto dapersone molto preparate e del settore delcosiddetto Air Indoor Quality, cioè introdot-ti negli studi della valutazione e della puri-ficazione dell’aria negli ambienti chiusi.Questo è stato un campo di studi privilegia-to dai tecnici e dagli scienziati delle multi-nazionali del tabacco che hanno prodottomolta ricerca con l’intento di dare strumen-

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Fig. 4 - Una sigaretta accesa in una stanza, misurazione delle particelle ultrafini

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ti di riciclo dell’aria che si mostrassero comeun’alternativa alle leggi contro il fumo pas-sivo negli ambienti chiusi. Con una letteraperentoria Forces Italia scrisse anche a PieroAngela, dopo la presentazione del serviziosul fumo passivo con la riproduzione dellenostre misurazioni. Volevano la lettura intrasmissione della loro confutazione anoni-ma dei nostri dati (la lettera ci venne conse-gnata da Angela ed è disponibile nell’archi-vio della struttura semplice Prevenzione ediagnosi dei danni da fumo, presso laFondazione IRCCS Istituto Nazionale deiTumori - via Venezian,1- Milano. Con la let-tera e molti altri documenti sul fumo e lebattaglie di quegli anni, sono a disposizioneanche copie elettroniche dei due servizi pre-sentati a Superquark e a Le Iene). Un suc-cessivo lavoro del team INT/SIMG presentòil diffondersi del fumo ambientale (enviro-mental tobacco smoke – ETS) nei treni. Inun treno in movimento il fumo di sigarettasi diffondeva dalla carrozza fumatori a quel-le no smoking in meno di un’ora.L’analizzatore di micropolveri rilevava nellecarrozze adiacenti a quelle fumatori livellidi PM molto elevati e sicuramente pericolo-si per un viaggiatore non fumatore, soprat-tutto se asmatico (Invernizzi, Ruprecht et al,2004). La pubblicazione del lavoro, fattoclandestinamente con misuratori di micro-polveri portatili, diede luogo a una risposta

molto responsabile da parte della direzionedelle allora Ferrovie dello Stato che sempli-cemente commissionarono ai nostri tecniciuna ripetizione molto accurata delle misu-razioni che confermarono i dati dello studiopilota. Sulla base di queste evidenze fupresa la decisione di proibire il fumo sututte le carrozze ferroviarie italiane.Un altro studio importante del grupporiguardò il confronto fra particolato ultrafineprodotto in un box da un’auto diesel (conun motore moderno e in buone condizionidi manutenzione) e il fumo di sigaretta.Anche in questo caso l’impatto mediaticodella pubblicazione scientifica sulla rivistaTobacco Control (Invernizzi, Ruprecht et al,2004) fu molto ampio e ripreso dalla stampalaica con grande evidenza.Ma il clima “responsabile” mostrato anchein Italia dagli uffici stampa di BAT e PhilipMorris che mai sono intervenuti ufficial-mente per confutare gli studi sul fumo pas-sivo, ha avuto come contraltare gli attacchidel sito di Forces. Dopo una conferenzastampa avvenuta all’Istituto Tumori sulfumo passivo, un articolo di una giornalistariprendeva la presentazione di due lavoriinteressanti metodologicamente che aveva-no studiato l’insorgenza di tumori nei caniche vivevano con padroni fumatori, trovan-dovi una corrispondenza positiva con l’e-sposizione al fumo dei padroni e con una

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Figura 5. - Il confronto tra l’inquinamento prodotto da un’auto diesel e il fumo di sigaretta

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differenziazione in base alle razze: i cani dalmuso lungo avevano una maggiore inciden-za di tumori dei setti nasali, quelli a musocorto di tumori polmonari. Ricordo anche lagiornalista che alla nostra citazione dei datidallo studio giapponese sulle mogli deifumatori, mi disse, “ma questo dei cani èpiù interessante per i nostri lettori…”. Lacitazione nell’articolo venne presentata conil mio nome e dopo qualche giorno com-

parve nel sito Forces un durissimo attacco,che ingiungeva di portare le prove di quan-to affermato o tacere per sempre! I due arti-coli incriminati erano stati pubblicati suriviste peer reviewed disponibili a tuttiattraverso il Med line e precisamente erano:Reif JS, Dunn K, Ogilvie GK, Harris CKPassive smoking and canine lung cancerrisk. e Reif JS, Bruns C, Lower KS. Cancer ofthe nasal cavity and paranasal sinuses

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Figura 6. - Un bus a Ginevra

Fig. 7 - Notizia ripresa su “The Times”

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and exposure to environmental tobaccosmoke in pet dogs entrambi pubblicatidall’American Journal of Epidemiology nel1992 e nel 1998 rispettivamente. La gentilenota è ancora in rete in una pagina diForces in cui si riassumono le loro posi-zioni contro gli studi sul fumo passivo,definiti in blocco “junk science” (http://www.forcesitaly.org/italy/archi-vio/6_giugno_2002.htm; visitata il 14 gen-naio 2012).Un altro tema fondamentale dell’aspradiscussione sul fumo passivo è stato quellodell’impatto che le leggi di protezione deinon fumatori avrebbero potuto avere sugliaffari di bar e ristoranti. Le associazioni di categoria denunciaronopesantemente i progetti di legge per la pro-tezione dal fumo passivo, presentando pre-visioni molto fosche sul futuro economicodei loro locali resi smoke free dalla legge.Ma anche questo argomento parve più lega-to alla paura di una riduzione del consumodi sigarette piuttosto che dagli interessi deiristoratori (Center for Disease Control,2004). Anche in questo settore misurammola quantità di micro polveri in diversi localiriportando quantità molto elevate e nonaccettabili dal punto di vista della salute diavventori e lavoratori. Ripetemmo le misu-razioni dopo l’introduzione della cosiddettalegge Sirchia e i dati rilevati dimostrarono

un miglioramento molto significativo dellaqualità dell’aria dopo le misure di protezio-ne dei non fumatori. (Tabella 1.)Questa battaglia civile e scientifica per ladifesa del diritto dei non fumatori culminònella presentazione il 31 maggio 2004 nel-l’aula magna dell’Istituto Nazionale Tumoridella monografia IARC n° 83 “Tobaccosmoke and involuntary smoking”, chedefiniva il fumo passivo come cancerogenoper l’uomo del gruppo 1. Questo fu lo “sta-tement” scientifico che ha posto le basi delsuccessivo intervento legislativo del mini-stro Sirchia che ha portato l’Italia per unavolta all’avanguardia nella difesa di quelprimario bene pubblico fondamentale che èl’aria, ovvero la salute.Mentre questo avveniva, uno studio suidanni da fumo passivo ha calcolato la mor-talità attribuibile a questa esposizione pro-prio nel 2004 dando questi dati: calcolandoche nel mondo il 40% dei bambini, il 33%dei maschi e il 35% delle donne non fuma-trici sono esposti al fumo passivo, si può sti-mare attribuibile a questa esposizione379.000 morti per malattie cardiovascolari,165.000 per malattie polmonari, 36.900 perasma, 21.400 per cancro dei polmoni perun totale di 603.000 morti. Questo significal’1% della mortalità complessiva, di questiil 47% riguarda donne, il 26% maschi, il28% bambini, quest’ultima mortalità colle-

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Tabella 1.- Misurazioni prima e dopo la legge per la protezione dal fumo passivo

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gata alle infezioni respiratorie acute.(Oberg, Jaakkola, Woodward, Peruga &Prüss-Ustün, 2011).Queste esperienze dimostrano che il tabagi-smo tocca interessi miliardari in tutto ilmondo e non è assolutamente facile farericerca in modo indipendente. Anche neglistudi utilizzati per redigere questa tesi ho

trovato ricerche sulla dipendenza finanziatedirettamente dalle multinazionali del tabac-co, ma oggi la fonte dei finanziamenti deveessere almeno dichiarata ed è quindi possi-bile studiare queste pubblicazioni con parti-colare attenzione e con le dovute cautelevisto il potentissimo conflitto di interessi tramarketing delle sigarette e salute pubblica.

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SITOGRAFIA- Storia del tobacco e molto materiale utile sultabagismo:http://www.tobacco.org/resources/history/Tobacco_History.html Borio G. The tobacco timeline,visitato il 10 dicembre 2011.- i documenti segreti Philip Morris:www.pmdocs.com visitato il 20 gennaio 2012- le dichiarazioni del sottosegretario all’econo-mia:www.corriere.it/economia/11_dicembre visita-

to il 20 gennaio 2012.- dichiarazioni di Bossi sulle accise per i tabac-chi:www.repubblica.it/politica/2011/07/29news/lega_ministeri-19791280/ visitato il 20 gennaio2012.

- confutazione di Invernizzi et al La misurazio-ne in tempo reale… Sito di Forces Italyhttp://www.forcesitaly.org/italy/evidenza/criti-che/it.htm; visitato il 14/01/2012.- attacco alla “Junk Science” sul fumo passivo esulla questione dei tumori nei cani dei fumatori:http://www.forcesitaly.org/italy/archivio/6_giu-gno_2002.htm; visitato il 14 gennaio 2012.- ASH i documenti su BAT in Africahttp://www.ash.org.uk/Exporting Misery (2007):http://www.ash.org.uk/files/documents/ASH_370.pdfBAT’s big wheeze (2004):http://www.ash.org.uk/files/documents/ASH_372.pdf

Altra Documentazione:Alcune copie dei servizi televisivi sul fumo pas-sivo mandati in onda da “Superquark” e da “LeIene”, la lettera di Forces Italy a P. Angela e altridocumenti sulla “battaglia” del fumo pas-sivo sono disponibili nell’archivio della ss

Prevenzione e diagnosi dei danni da fumo,Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori,via Venezian,1 -20142. Telefonare per una visitaallo 02/23902772, Ufficio Relazioni con ilPubblico.

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http://www.fanpage.it/flop

Fumi, vapori e polveri inquinanti emessi dallo stabilimento ILVA - Taranto

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Una rivoluzione riabilitativa

a cura di Aldo PIERONI*

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PREMESSA“L’unico modo di autenticare la scienza è

che questa corrisponda all’interesse dell’uo-mo: l’uomo individuale e l’uomo colletti-vo...” (Giulio A. Maccacaro, 1972).In realtà la scienza va di pari passo con l’e-conomia ed il rapporto non è più fra l’uomoe la società dell’uomo, ma fra l’uomo e laproduzione secondo la logica del capitale. In un sistema sociale fondato su questi prin-cipi non possono essere soddisfatti i bisognidi tutti: coloro che non sono efficienti, chevivono situazioni di fragilità fisica e psichi-ca, che sono diversi, saranno esclusi. Non può essere dunque interesse della clas-se dominante sostenere, materialmente eculturalmente, gli studiosi che promuovonoun recupero che è rivolto non all’uomo chevive per lavorare, produrre e consumare, maad un uomo che vive, modifica sé stesso e lanatura in una dimensione dialettica con ilmondo, dove ciò che lo contraddistingue èl’uso delle proprie capacità cognitive.Colui che si pone al servizio dell’uomo edella <<Riabilitazione Neurocognitiva “nonpotrà che essere un operatore ribelle”>>,che mette in discussione e rifiuta la coinci-denza tra il mandato della scienza e quellodella società e lo scienziato, che è riuscitoad elaborare nuovi studi che si sono evolutiattraverso il rapporto biunivoco tra teoria epratica, è un “intellettuale” molto scomodoche rivoluziona il proprio ruolo di “com-messo del gruppo dominante” e rifiuta ladelega attraverso la critica della scienza edelle ideologie, come scriveva AntonioGramsci.La Sezione di Medicina Democratica diViareggio, in buona parte rappresentata daoperatori della riabilitazione che lavoranoda anni con la riabilitazione neurocognitiva

ha proposto una rubrica per poter fornirestrumenti di conoscenza del dibattito esi-stente sul recupero sperando di fare brecciasu tutti coloro addetti ai lavori, semplici cit-tadini e studiosi che hanno una diversa sen-sibilità e coscienza per quanto riguarda lamedicina ed i rapporti fra questa ed il pote-re.Il titolo del primo articolo, “Una rivoluzio-ne Riabilitativa”, pubblicato su questofascicolo di Medicina Democratica, espli-cita i complessi contenuti su cui andremoa discutere, contenuti che hanno cambiatoe continuano a cambiare il modo di vedereil paziente ed il rapporto fra le varie figureche operano nell’ambito della riabilitazio-ne delle persone che vivono situazioni difragilità fisica e psichica.

PRESENTAZIONE DELL’ESPERIENZACon questo articolo ci si propone di raccon-tare l’evoluzione della proposta che va sottoil nome di Riabilitazione neurocognitiva. A partire dagli anni Settanta, nei quali trovale sue origini, fino ai giorni attuali. Si tratta di un lungo viaggio, che abbiamosuddiviso in quattro tappe, che ripercorrononon solo la storia della riabilitazione, maanche la storia della cultura. La storia dicome gli studiosi hanno cercato di interpre-tare l’uomo, la sua vita e il suo rapporto conil mondo in questi ultimi quaranta anni. Il nostro viaggio prende le mosse dal tenta-tivo di guidare il soggetto al recupero, adot-tando condotte più adeguate al suo essereuomo e al fatto che l’uomo deve recuperarela capacità di attivare azioni significative enon solo contrazioni o spostamenti. La proposta iniziale, descritta nella primasezione, è stata quella di trasformare l’eser-cizio da riflesso meccanico in una vera e

*MedicinaDemocratica,Sezione diViareggio.Il testo è stato par-zialmente trattodalla sceneggiaturadel filmato: Il lungoviaggio attraverso laconoscenza (regia diCarlo Perfetti e Aldo Pieroni).

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propria azione.Si è reso poi necessario individuare il modopiù significativo per studiare come il siste-ma uomo riesca ad organizzare le sue azio-ni. Il tentativo di riferirsi alla neurofisiolo-gia, attuato intorno agli anni ’75-'80, èdescritto, con tutti i suoi rischi e pericoli,nella seconda sezione.La revisione critica di questo tentativo deri-va, verso la metà degli anni ’80, dalla ricer-ca di elementi di riferimento che coinvolga-no il sistema uomo più globalmente, di quila introduzione nella pratica riabilitativadella conoscenza intesa come risultato diuna azione (come diranno Maturana eVarela). Lo studio delle modalità di questodirigersi verso la conoscenza, già presentenella prima fase, occupa per intero, la terzasezione, della quale la quarta, presenta unperfezionamento ancora in atto. Non potendo esporre tutti i filoni di ricercae di studio e tutte le sperimentazioni effet-tuate, si espone l’esperienza più significati-va per dare una idea delle difficoltà incon-trate nel trasferire le relazioni istituite con lescienze di base alla concreta realtà del lavo-ro di palestra.

“L'ESERCIZIO COME AZIONE”La facilitazione corticaleNel 1970, nel momento del loro massimofulgore, le metodiche neuromotorie venne-ro sottoposte a dure critiche.Veniva messo in discussione tutto il loro

armamentario, fatto di facilitazioni proprio-cettive, di riflessi e di reazioni, di punti trig-ger e di palloni, di passi dell’orso e del mari-naio, e così via. Queste voci critiche, accom-pagnate dallo sventolio di libriccini diLurija, di ritratti di Vygotskij e di striscioniinneggianti ad Anokhin, prospettavano diintrodurre nel mondo riabilitativo i processicognitivi al posto dei riflessi propriocettivi,gli oggetti della realtà al posto dei palloni edei sacchetti di sabbia, il pensiero e la cono-scenza al posto delle contrazioni isometri-che e isotoniche. “L’emiplegico impara a muoversi non con-traendo i muscoli, ma pensando” era unodei tanti slogans scanditi in occasione dicongressi, incontri e gruppi di studio.Non è privo di interesse, anche al di là delristretto mondo riabilitativo, cercar di capireperché e come sono esplose queste contrad-dizioni all’interno del mondo della riabili-tazione.Abbiamo pensato che potesse essere utileandare a discuterne con Carlo Perfetti, cheassieme a Gian Franco Salvini, ha dato l’av-vio a questa sorta di rivoluzione riabilitativa.

L’abbiamo trovato in casa sua, a Caprio diSotto...

UNA RIVOLUZIONE RIABILITATIVAIntervista a Carlo PerfettiPieroni: Buongiorno Professor Perfetti,come avete avuto un’idea di una nuova ria-

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bilitazione?Perfetti: Eravamo verso gli anni settanta e miincontrai con un geriatra di Firenze,Gianfranco Salvini, che si occupava di ria-bilitazione. In effetti, non esisteva a queitempi un’idea della riabilitazione comedisciplina, tanto meno come disciplinascientifica.La riabilitazione era costituita da un sommadi pratiche volte ad ottenere in un modo o inun altro la contrazione muscolare e il riabili-tatore non sentiva la necessità di una teoriadella riabilitazione, pertanto tutte le proposteche venivano fatte, non si sa bene su qualibasi, erano immediatamente adottate: peresempio il cavallo e l’ippoterapia, la piscinae la piscino-terapia, Bobath, Kabat e così via.Ogni sei mesi veniva fuori una nuova meto-dica che i riabilitatori accettavano senza ren-dersi conto che se ne accettavano una nonpotevano accettare anche l’altra.... Mancavacompletamente anche lo statuto epistemo-logico della Riabilitazione ma, cosa piùimportante, mancava soprattutto il deside-rio di formarselo. Per questi motivi ancheun giovane che avrebbe voluto cominciareallora a fare ricerca riabilitativa non avrebbesaputo da che parte cominciare.La cosa più triste di quei tempi, cheGianfranco ed io notammo subito, era lamancanza di ogni riferimento alle discipli-ne di base come per esempio alla neurofi-siologia. Se lei Pieroni prova a leggere le elu-cubrazioni della neurofisiologia, si rende

immediatamente conto del livello dellaneurofisiologia applicata alla riabilitazione,per non parlare poi della neuropsicologia odella neurobiologia applicate alla riabilita-zione. Praticamente il riabilitatore era unaspecie di “schiavetto” al servizio del neuro-logo e soprattutto al servizio dell’ortopedi-co. Lo scopo unico era quello di far muove-re purchessìa il malato, indipendentementeda come venisse fuori tale movimento e daimezzi che venivano utilizzati. Questo inrealtà, non andava bene per molti motivi,anche per motivi che possiamo definire cul-turali. In effetti il movimento dell’uomo, inquesto modo, veniva svilito, non assumevail suo significato di creatività, libertà cheinvece deve avere, come hanno dimostratoin questi ultimi anni le neuroscienze.Intanto, in quegli anni, intorno al Settanta, cifu un avvenimento importante, quello dellacontestazione giovanile, che vedeva unitiper la libertà e l’innovazione giovani operaie studenti.Naturalmente noi non potevamo essere

sordi a questo richiamo del Maggio francesee cercammo di riempirlo verso ciò che riem-piva la nostra vita culturale, cioè, la riabili-tazione.La domanda era proprio quella: “Dove va afinire la libertà dell’uomo, se il suo movi-mento assume proprio il significato propo-sto dalla metodiche neuromotorie, se servesoltanto, per esempio, a spostare un bic-chiere da destra verso sinistra? Dove va a

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finire la libertà dell’uomo, se l’uomo permuoversi ha a disposizione un vocabolariodi movimenti registrato in una piccola areacorticale ed egli può soltanto scegliere, manon ha la possibilità di costruire, di creare?”

Questa è la domanda fondamentale che cifacemmo e la risposta fu che bisognava tro-vare un modo che restituisse all’uomo,anche se malato, la possibilità di agire libe-ramente, una sorta di libertà e mezzo dicreazione.

Pieroni: E come è avvenuto il passaggiodalla vita culturale alla riabilitazione?

Perfetti: Giusto. In effetti il riferimento allarivoluzione culturale francese non era difatto sufficiente per lavorare sul recuperodi una persona che ha avuto una lesionedel Sistema Nervoso Centrale. Negli stessianni successero anche alcuni avvenimentiche è importante ricordare.

1) Un primo avvenimento fu il passaggiodal paradigma comportamentista al para-digma cognitivista. Cosa significa questo eperché è importante per la riabilitazione.Il paradigma comportamentista sostenevache per studiare l’uomo era sufficiente ana-lizzare gli input che arrivano al cervellodell’uomo e le sue uscite, gli output, rap-presentate appunto dagli spostamentimuscolari e articolari. Non veniva preso inconsiderazione ciò che stava in mezzo tral’input e l’output e cosa ancora più impor-tante, tale passaggio, secondo questo mododi vedere, non poteva essere studiato.Il paradigma cognitivista sosteneva inveceproprio il contrario: gli input hanno la loroimportanza proprio per ciò che trovano nelsistema uomo, nel cervello dell’uomo e di

conseguenza la cosa più importante erastudiare come tali input venivano organiz-zati da questa ex-scatola nera.Fino a quel momento in riabilitazione lemetodiche neuromotorie rappresentavanol’applicazione pedissequa delle propostecomportamentiste. Si studiavano benissimo gli stimoli, gliingressi, le contrazioni muscolari, ma nonvenivano studiati affatto i processi che sta-vano in mezzo tra le entrate e le uscite. Noipensavamo, al contrario, che l’uomo pos-siede processi cognitivi quali memoria,attenzione, capacità di privilegiare uno sti-molo sull’altro, processi che fino ad allorain riabilitazione non avevano trovato citta-dinanza.2) Il secondo avvenimento è in realtà stret-tamente collegato al primo.In quegli anni cominciò ad avere un certosuccesso la neuropsicologia clinica, la neu-ropsicologia teorica.Per dare una idea, in Italia il tutto fusospinto dalla pubblicazione di un libromolto importante dal punto di vista forma-tivo: Le funzioni corticali superiori nell’uo-mo di Aleksander Romanovich Lurija.Grazie a questo libro si cominciò a com-prendere i meccanismi dell’organizzazio-ne motoria, che il termine movimento eraun termine molto vago, un termineombrello il quale conteneva tutto e dicome fosse necessario parlare piuttosto diazione.Nel nostro cammino fummo aiutati, oltre

che dagli studi di Lurija, anche dalle tesidi Autori come Lev S. Vygotskij e di P.K.Anohin (alla teoria di questo ultimo stu-dioso ci siamo spesso ispirati).La traduzione di queste teorie in unaTeoria della Riabilitazione fu immediata-mente chiara (forse fu anche troppo veloce

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da parte nostra), poiché diventavano fon-damentali per il recupero determinati pro-cessi cognitivi quali memoria, attenzione,capacità di scegliere tra diverse percezioni,capacità di interagire intenzionalmentecon il mondo.Per questi motivi lavorammo per crearedegli esercizi dove, appunto, al posto deglistimoli vi fossero i processi cognitivi, alposto dei sacchetti di sabbia c’erano deglioggetti che il malato doveva conoscere.

3) Intorno agli anni Settanta e Ottanta ci fupoi un terzo elemento fondamentale per lenostre ricerche: il rinnovamento della neu-rofisiologia.Fino a quel momento la neurofisiologiaaveva studiato sul ratto, sul gatto, sul canee cioè sull’animale troppo distante dall’uo-mo, ma soprattutto aveva studiato sull’a-nimale decerebrato. Questa disciplina cioè, studiava il compor-tamento dell’animale decerebrato.In effetti adesso è troppo semplice afferma-re che la neurofisiologia, alla quale facevariferimento la riabilitazione allora, eraquella dell’animale decerebrato e che inve-ce si doveva studiare, per i nostri scopi, lafisiologia dell’uomo in grado di intendere edi volere.In realtà passò diverso tempo prima che ilmondo della riabilitazione si rendesseconto della necessità di adottare tali con-cetti al fine del recupero.Tale passaggio fu fondamentale poiché sidimostrò che il cervello era costituito dauna rete di connessioni la cui attivazionedipende da quelli che sono gli interessi delsistema in quel determinato momento, inquel contesto e in quella determinata situa-zione.Cercammo, così, di tradurre tali concetti inesercizi, modificando, in modo sostanzia-le, il vecchio schema della contrazionemuscolare volontaria, lo schema del rifles-so che determina il movimento come effet-to a determinate reazioni.

Pieroni: In pratica che cosa avete fatto?

Perfetti: Come ho già detto, non ci siamolimitati soltanto a speculazioni teoriche,ma fin dall’inizio del nostro percorso

abbiamo cominciato a produrre esercizi ead organizzarli in modo diverso rispetto aquelli tradizionali. Successivamente siamoandati a verificare i risultati che tali eserci-zi, così organizzati, erano in grado di deter-minare dal punto di vista comportamenta-le.Partecipammo a congressi e convegni,bisticciando con tutti, facendo grossa operadi opposizione a quanti non volevanocapire o si sforzavano di non capire anchea causa di una certa pigrizia culturale.In effetti era molto più semplice continua-re ad esercitare lo stiramento muscolare odare qualche spinta al malato, piuttostoche riflettere sul tipo di ragionamento cheil malato era in grado di attivare o sullemotivazioni per le quali il malato arrivavaad organizzare quel determinato movi-mento.La cosa più importante che facemmo inquel periodo, oltre agli articoli pubblicatisu diverse riviste, fu la pubblicazione di unlibro intitolato La Riabilitazione motoriadell’emiplegico (titolo direi assai trascuratoe banale), che venne pubblicato anche gra-zie agli stimoli di Silvano Boccardi. In que-sto libro si delineavano già diversi concet-ti della nostra teoria (alcuni di questi con-cetti anche adesso sono validi), soprattuttoquel libro rappresentò un punto fermo,una specie di summa di questa nuovavisione culturale riabilitativa. Il libro natu-ralmente ebbe una forte opposizione ecreò, nel “sonnacchioso” mondo riabilita-tivo, diversi problemi e anche un certo stu-pore poiché gli addetti ai lavori non eranoabituati a ragionare in questi termini. La cosa che mise più in crisi i nostri avver-sari, vale a dire tanti fisiatri e terapisti, fu lacreazione di alcuni “slogan” che coniam-mo proprio in quel periodo sulla streguadegli “slogan” utilizzati durante la rivolu-zione culturale francese come:“La fantasia al potere” o “Chiediamo l’im-possibile”.I nostri “slogan” erano più o meno dellostesso tipo per esempio:“Il movimento diventa azione quando lostimolo diventa motivazione”. Questo erauno “slogan” ripreso da Secènov, tuttoconsiderato assai vago e che oggi non uti-lizzeremmo più, ma che ebbe, allora, un

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BIBLIOGRAFIA1. Anohin Petr Kuz mic, Biologia e neurofisio-logia del riflesso condizionato. Roma: Bulzoni,1975.2. Lurija, Aleksandr Romanovic, Le funzioni cor-ticali superiori nell'uomo. Firenze: Giunti, 1966.3. Maturana Humberto R. e Francisco J. Varela,

Autopoiesi e cognizione: la realizzazione delvivente. Venezia: Marsilio, 1985.4. Perfetti Carlo, La rieducazione motoria del-l'emiplegico. Milano: Ghedini, 1979.5. Vygotskij Lev Semenovic, Pensiero e lin-guaggio. Firenze: Giunti-Barbera, 1954.

grosso valore di stimolo per far compren-dere che l’uomo che interagisce con ilmondo non lo può fare sulla base di stimo-li bensì di motivazioni.Lo slogan che comunque mise più in crisii nostri colleghi, fu quello relativo all’emi-plegico: “L’emiplegico impara a muoversinon contraendo i muscoli ma pensando”(allora ci occupavamo soprattutto di mala-ti emiplegici).In effetti questo discorso del pensare susci-ta sempre una certa paura, non soltanto dalpunto di vista scientifico ma anche daquello sociale.Questo “slogan” voleva significare che nonè sufficiente la contrazione volontaria per ilrecupero del movimento e di conseguenzail riabilitatore doveva possedere certe cono-scenze per guidare il malato ad apprendereil movimento.Infatti una delle prime teorizzazioni eraquella che la riabilitazione doveva essereconsiderata come un processo di apprendi-mento in condizioni patologiche.La cosa più difficile fu quella di dare unaveste seria, scientifica e metodica a questoconcetto di pensare: cosa significa pensare?Pensare vuol dire attivare i processi cogniti-vi, la memoria, scegliere determinate perce-

zioni, determinate intenzioni nei confrontidella interazione con il mondo esterno.Questo concetto del pensare è diventatoattualmente patrimonio comune dei neuro-scienziati ma a quei tempi era molto diffici-le da far accettare soprattutto tra i riabilitato-ri.Anche se gli esercizi proposti già da quellaepoca erano assai semplici e condotti anchein modo semplice, avevano però il merito diavere introdotto il concetto di ipotesi per-cettiva.Infatti quando l’uomo si muove per ottene-re certi risultati che deve prevedere, antici-pare, ha determinate ipotesi. Già si intuivache le afferenze (allora si parlava di afferen-ze) sono presupposti per l’informazione,sono presupposti per la conoscenza. Nei nostri esercizi entrarono a fare parte glioggetti che fino a quel momento erano statiassenti all’interno del lavoro riabilitativo. Inrealtà, gli oggetti, erano rappresentati peresempio dal pallone della Bobath o dal sac-chetto di sabbia, mentre noi cominciammoad utilizzare all’interno dell’esercizio deglioggetti che il malato doveva conoscere.E’ proprio in nome di questa conoscenzache siamo andati avanti alla ricerca di cosepiù precise.

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Il grande affare dellageotermia*

a cura del Comitato per la difesa dei beni comuni della Val Cecina

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IL GRANDE AFFARE DELLA GEOTER-MIA:nè sostenibile, nè rinnovabile, ma sor-retta da enormi contributi pubblici. Il primo libro nella storia italiana che tracciaun quadro molto critico della geotermia,tanto più ora che si sta espandendo fuoridalla Toscana, in altre regioni del Belpaese.Seguendo profitti e incentivi statali, si fastrame della salute delle popolazioni coin-volte.Con la Prefazione di Valerio Gennaro, epi-demiologo.Il grande affare della geotermia è stato pos-sibile grazie ad un’accurata manipolazionemediatica. E continua ad esserlo. Chi non hapensato, fino a pochi anni fa che la geoter-mia fosse realmente – seguendo acritica-mente e superficialmente la propagandaEnel – una fonte di energia rinnovabile epulita ? Perfino l’ambientalismo moderato – esem-plare il caso degli “Amici della terra”- l’hacoccolata, protetta, perfino promossa, salvodoversi smentire amaramente, di fronteall’evidenza terribile, venuta alla luce negliultimi anni, per merito di pochi militanti.Seguendo le lotte dei lavoratori scoibentato-ri dei vapordotti rivestiti di amianto – anco-ra in corso, comprese lunghe e difficili causegiudiziarie – un numero sempre maggioredi persone si è resa e si sta rendendo contoche la realtà della geotermia è molto diversada quella che ci avevano raccontato i padro-ni del vapore … geotermico. Arsenico, mer-curio, cromo, radon, acido solfidrico, acidoborico ecc, emessi a migliaia di tonnellate inatmosfera e nelle acque sono solo una partedella realtà geotermia toscana. La perdita dienormi quantità di acqua dolce sono un’al-tra parte degli effetti disastrosi, a cui vaaggiunta la sismicità indotta dalle grandi

estrazioni di vapore geotermico, conosciutada decenni.Il recentissimo ed autorevole RapportoICHESE ha aggiunto conoscenze decisivesulla sismicità indotta dalle grandi estrazio-ni minerarie nella Pianura Padana, e leresponsabilità nel devastante sisma del mag-gio 2012 in Emilia, con 27 morti e lo “ster-minio” di capannoni, abitazioni e monu-menti. D’altra parte Medicina Democratica –sulla base di uno studio del CNR – denunciada decenni lo sprofondamento e le subsi-denze di Venezia, patrimonio unico dell’u-manità, a causa delle fortissime estrazioni dimetano, in terra ed in mare.L’altra opacità della geotermia è legata alProtocollo di Kyoto: questo accordo interna-zionale, siglato nel 1997 (al quale nonhanno aderito gli USA) prevede misureobbligatorie per diminuire le emissioni di“gas serra” in atmosfera, per contrastare icambiamenti climatici e il surriscaldamentodel pianeta (si veda lo Studio Basosi Bravi inAppendice, e il Piano energetico dellaProvincia di Siena, tutto basato su geotermia,biomasse e inceneritori, al link a pag. 28http://www.provincia.siena.it/var/prov/sto-rage/original/application/6e533569fe2513a28f1e1fb0a87e00e9.pdf). Ma la geotermia èesclusa dagli obblighi di diminuzione deigas climalteranti anidride carbonica (CO2),metano, protossido di azoto, idrofluorocar-buri. Anzi, è incentivata dallo stato con i“certificati verdi”: paghiamo noi cittadini inbolletta l’inquinamento della geotermia,come quello degli inceneritori …. Le enormi perdite di acqua dolce meritereb-bero un libro a parte, data la rilevanza delproblema. In parte questo lavoro è statocompiuto da Maurizio Marchi con il libro“Non ce la date a bere, l’acqua nella

*Gli autori RobertoBarocci e MaurizioMarchi sono rispetti-vamente delComitato per la dife-sa dei beni comuni -Val Cecina, e di MedicinaDemocratica,Sezione di Livorno.

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NOTEPer una migliore informazione sui contenu-ti di questo interessante libro, di seguito siriporta l’Indice dello stesso.

Capitolo 1°-1.1 Geotermia: poca energia, tanto inquina-mento, grandi profitti pag.6-1.2 Il piano energetico regionale e l’impattoambientale della geotermia pag. 15-1.3 Geotermia anche a Chiusdino eMontalcino pag. 27 -1.4 La casta politica toscana autorizza,copre ed incassa le briciole pag. 40-1.5 I ritardi della Toscana, dell’Italia, dellaUE sulle rinnovabili vere pag. 45 -1.6 La geotermia non è soggetta agli obbli-

ghi di Kyoto, anzi è incentivata pag. 49-1.7 Il Piano energetico della Toscana 2013,green economy all’arsenico pag. 51-1.8 Decine di autorizzazioni a nuove esplo-razioni concesse prima del Piano Regionale

pag. 61Capitolo 2°-2.1 La nocività della geotermia nellaRicerca ARS del 2010. Morti ed ammalatinon contano pag. 84 -2.2 Bramerini: “Nelle aree geotermiche unabuona qualità della vita” pag. 89 -2.3 Sull’Amiata si muore più che aLarderello. A Larderello si muore più che inToscana pag. 95Capitolo 3°

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Toscana occidentale tra inquinamento eprivatizzazioni” (www.ilmiolibro.it; 2011),e da Roberto Barocci con il libro “Arsenicoe scellerati progetti” (Stampa alternativa;2012), ma il disastro sull’acqua toscana è incontinua evoluzione e meriterebbe aggior-namenti continui. Qui ne daremo alcunicenni, più legati alla geotermia.La geotermia non è rinnovabile, al contrariodel mantra circolante, ed assunto dall’opi-nione pubblica superficialmente. Valga pertutte la valutazione del Prof. Eros Bacci,1998 (Università di Siena), in “Energia geo-termica – Impieghi, implicazioni ambienta-li, minimizzazione dell’impatto” pubblicatoa cura di ARPAT, e rilanciata dal geologoUgo Chessa al Parlamento italiano il 5marzo 2014. Scrive Bacci:“Da studi condotti sia su campi a vaporesecco (Larderello, The Geysers) che a liqui-do dominante (Wairakei, Monte Amiata) èstato osservato che nei primi 2-3 anni di atti-vità la quantità di vapore prodotto si riducedel 7-8% all’anno, per poi declinare con untasso annuale del 12%. Si considera nor-male, nei primi 10 anni di attività, un decli-no del 10-12% all’anno, che porta il pozzo,in questo intervallo di tempo, a circa il 30%della portata iniziale. Fatto questo che famettere il pozzo fuori produzione, rimpie-gandolo, eventualmente, come pozzo di rei-niezione dei condensati nel serbatoio.”Quindi, nei primi dieci anni di attività, unpozzo geotermico riduce la sua portata (equindi la sua potenza) del 70 %, per poiesaurirsi del tutto.

Con questo lavoro intendiamo raccogliere erendere di pubblico dominio le conoscenzeche sono state accumulate negli ultimi annidai comitati di lotta e da alcune associazio-ni – come il Forum Ambientalista eMedicina Democratica – in totale controten-denza alla propaganda di aziende grandi epiccole, delle istituzioni a tutti i livelli e delsottobosco della politica, che dalla geoter-mia trae vantaggi clientelari.Ci sentiamo quasi obbligati a fare questolavoro proprio adesso perché – grazie alledissennate “liberalizzazioni” di Letta eBersani di oltre un decennio fa, e l’applica-zione di Marzano-Scaiola-Berlusconi negliultimi anni – la geotermia in Toscana sta permoltiplicarsi per 10 volte, e si sta estenden-do ad altre regioni, Umbria, Lazio, Emilia,Sardegna, nonostante le evidenze negativein Toscana.Così come è stata concepita e applicata fino-ra – compresa la nuova centrale in costru-zione sull’Amiata, Bagnore 4 – la geotermiaè improponibile in Italia, un territorio alta-mente sismico e densamente popolato, conla risorsa idrica chiaramente in tracollo. Perconcludere queste note, dobbiamo sottoli-neare che la geotermia – così come cono-sciuta finora – si è configurata come unvasto disastro ambientale e sanitario, chedarà i suoi effetti nocivi per decenni. A fron-te di un modestissimo contributo alla pro-duzione elettrica.Rivolgiamo un grazie vivissimo a tutti colo-ro, e sono tanti, che da anni si battono con-tro questa geotermia.

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-3.1 Lo sfruttamento geotermico si espandein altre regioni, seguendo gli incentivi statali(Umbria, Lazio, Sardegna, Emilia) pag. 111-3.2 E pensano perfino di impiantarla inmare …. pag. 127-3.3 la geotermia toscana come vetrina peraffari all’estero pag. 129 -3.4 La “bassa entalpia”, un cavallo diTroia pag 130Capitolo 4°-4.1 La sismicità indotta dalla geotermia:le esperienze toscana, svizzera, statuni-tense pag. 133-4.2 La ribellione al fracking in Europa,

pag. 140-4.3 Il Servizio sismico svizzero sulla sismi-cità in geotermia pag. 141-4.4 Il Rapporto ICHESE sulla sismicitàindotta dalle trivellazioni in Emilia, pag. 143Capitolo 5°-5.1 Il caso esemplare della centrale Bagnore4 in AMIATA pag 148 -5.2 il curioso caso dell’estrazione di CO2 aCertaldo pag. 159-5.3 l’acqua in Val d’Elsa pag. 163

APPENDICE1-Dalla Rivista Epidemiologia e Prevenzione“STATO DI SALUTE DELLE POPOLAZIO-NI RESIDENTI NELLE AREE GEOTERMI-CHE DELLA TOSCANA” pag. 1702-Raccomandazioni dell’ISS sul radon pag.1853-Basosi e Bravi “L’impatto ambientale dellaproduzione elettrica da selezionate centraligeotermiche in Italia” marzo 2014 pag. 1894 - Il Piano energetico della Regione Toscana2012-2015 sulla geotermia, Stralcio dalPAER http://www. regione.toscana.it/docu-ments/10180/11279974/A.3_Allegato_4_Energia_Geotermica_in_Toscana.pdf/5abac92d-372c-4add-8736-edd307174538 pag 1955-Arsenico nell’acqua: un evento naturale?Sos geotermia. pag. 2006- Per non dimenticare: 25 anni fa 4 mortialla raffineria di Livorno per l’acido solfi-drico. Pag. 2027- Copertina del Rapporto ARS 2010

pag. 204.8- Foto degli autori del presente libropag. 205.

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