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“BOSNIA, L’EUROPA DI MEZZO”
Viaggio tra guerra e pace, tra Oriente e Occidente
Di Marco Travaglini (giornalista e scrittore, autore di molti volumi)
Prefazione di Gianni Oliva (storico, giornalista, scrittore e politico)
Introduzione di Donatella Sasso (scrittrice)
“Marco Travaglini ha scritto un taccuino di viaggio pieno di partecipazione emotiva, attento
a cogliere i luoghi, i personaggi, le storie individuali e collettive; ma ha anche scritto un libro
pieno di spunti per riflettere sul presente, per comprendere che ogni crisi ha le sue specificità
e, insieme, i suoi denominatori comuni. Un bel modo per fare ‘storia del passato’ facendo
contemporaneamente ‘educazione al presente’”. (Gianni Oliva)
Questo libro costituisce “una narrazione unitaria in grado di raccordare il tempo di guerra
con il presente, gettando semi di speranza e rinsaldando frammenti di memoria”. (Donatella
Sasso)
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L’ Autore:
Marco Travaglini (Baveno, 1957), funzionario della Regione Piemonte e a lungo attivo in politica,
ha scritto per L’Unità, Il Riformista e La Prealpina. È stato tra i fondatori del periodico Il VCO e da
anni cura una rubrica sul settimanale Eco Risveglio. Ha pubblicato molti libri di saggistica e racconti,
in particolare per la Impremix edizioni Visual Grafica.
La trama:
Due decenni fa finiva la guerra in Bosnia, lasciando cumuli di macerie e tanti, troppi morti. Questo
reportage racconta la pace che ha fatto seguito a quella tragedia. Una pace imperfetta, fatta di
prevaricazione e di giustizia negata, di dolore e di speranze strappate via dal disastro di una
quotidianità spesso fatta di umiliazioni e privazioni. Ma narra anche la vicenda di tante persone e la
storia di un innamoramento, quello dell’autore per la Bosnia, e di un profondo desiderio di capire non
solo le ragioni del conflitto, ma anche la forza enorme che permette al popolo bosniaco di non
scomparire sotto i colpi del destino.
Estratto dal libro: I Ponti di Sarajevo I ponti, per Ivo Andrić, “indicano il posto in cui l’uomo
ha incontrato l’ostacolo e non si è arrestato”. Ha scritto: “Di tutto ciò che l’uomo, spinto dal suo
istinto vitale, costruisce ed erige, nulla è più bello e più prezioso per me dei ponti… Appartengono a
tutti e sono uguali per tutti, sempre costruiti sensatamente nel punto in cui si incrocia la maggior
parte delle necessità umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni, mai asserviti al segreto o al
malvagio”. I ponti, questi grandi ponti di pietra grigia, erosi dal vento e dalle piogge, con l’erba che
cresce nelle loro fessure; e quelli di ferro, tesi come fili vibranti da una sponda all’altra. Per non
parlare dei “ponti di legno all’entrata delle cittadine bosniache le cui travi traballano e risuonano
sotto gli zoccoli dei cavalli, come le lamine di uno xilofono”. Ma, prima di tutto, “questi” ponti. I
ponti di Sarajevo, messi di traverso sul Miljacka, come vertebre dell’immaginaria spina dorsale della
città, rappresentata dal letto del fiume. Si possono attraversare da una parte all’altra, lentamente o di
buon passo (meglio di corsa, piegati in due, quando i cecchini sono in guerra con noi e ci cercano
disperatamente con il mirino dei loro fucili). Si possono ammirare le arcate, i parapetti, il selciato,
contandoli uno a uno. Per l’autore de Il ponte sulla Drina, premio Nobel per la letteratura nel
1961“tutto ciò che questa nostra vita esprime – pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, sospiri –
tutto tende verso l’altra sponda… Poiché, tutto è passaggio, è un ponte le cui estremità si perdono…
mentre la nostra speranza è su quell’altra sponda”.
Sarajevo è una città d’acqua tra i monti. Ha tre fiumi: il Bosna, che nasce nei pressi di Ilidža, le cui
sorgenti sono uno dei luoghi prediletti dai sarajevesi per le loro passeggiate; lo Željezniča, che scorre
tra Butmir e Ilidža (il suo nome significa anche “ferroviere” ed è lo stesso che porta una delle squadre
di calcio della città) e, infine, il Miljacka, che ha le sorgenti a Pale, nella Repubblica Srpska, attraversa
Sarajevo ed è noto per il particolare odore salmastro e per il colore bronzeo delle sue acque.
La città, all’epoca degli ottomani, vantava sette ponti, tre di pietra e gli altri di legno. Il più vecchio,
inizialmente di legno, era il ponte dello Zar (Careva Ćuprija), voluto da Isa-Beg Isaković – il
primoSandžak Bey o governatore della regione ottomana della Bosnia – per unire le due sponde del
fiume, poi demolito dagli austroungarici nel 1896. Nel tempo la struttura del ponte è cambiata e nei
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primi decenni del ‘900 fu anche ribattezzato Žerajić, dal cognome di uno dei membri
dell’associazione irredentista filo-jugoslava Mlada Bosna (Giovane Bosnia) che il 15 gennaio 1910
sparò alcuni colpi di pistola, mancandolo, contro il barone Varezanin, governatore militare
dell’Impero austroungarico. Di fronte alla Vijećnica si erge, massiccio e imponente lo Šeher-Ćehajina
ćuprija, ilponte del sindaco. È in pietra calcarea e le quattro arcate sono invece in sedra, una pietra
simile al tufo, ma molto più dura. Si dice che a farlo costruire, nel secondo decennio del 1600, sia
stato Hadži Husein Hodžić, come dono alla città. Ricostruito nei primi del ‘900, con 48 metri di
lunghezza per quattro e mezzo di larghezza è oggi solo pedonale e collega la Biblioteca alla casa del
dispetto, l’Inat
Kuća.
Il secondo ponte più antico è in pietra di travertino: il Latinski most, il ponte Latino.
L’attuale venne costruito nel 1798 al posto di uno risalente al 1565. Da sempre ha collegato il Latinluk,
il quartiere latino, con il resto della città. Durante il periodo socialista ebbe però un nome diverso,
quello di Princip, cioè del ventenne irredentista che sparò contro l’arciduca Francesco Ferdinando e
sua moglie, la duchessa Sofia, uccidendoli entrambi. L’attentato di Gavrilo Princip, nazionalista
serbo-bosniaco, il cui obiettivo era liberare la Bosnia dal dominio dell’Impero austroungarico e
annetterla al regno di Serbia, rappresentò il casus belli, l’occasione per l’avvio della prima guerra
mondiale. Era il 28 giugno 1914 e, una volta di più, la storia con la “esse” maiuscola trovava a
Sarajevo il luogo dove innescare quello che fu nello stesso tempo l’ultimo conflitto del passato (con
le sue carneficine) e il primo moderno in cui si usarono appieno tutti i mezzi di cui si poteva disporre
all’epoca, come aeroplani, carri corazzati, lanciafiamme, sommergibili e armi chimiche, tra cui gas
come l’iprite.
Torniamo ai ponti. “Quando penso ai ponti, mi vengono in mente non quelli che ho traversato più
spesso, ma quelli su cui mi sono soffermato più a lungo, che hanno attirato la mia attenzione e fatto
spiccare il volo alla mia fantasia”, scriveva ancora Andrić. Oggi, a Sarajevo, di ponti ce ne sono
ventidue. Dal suggestivo, antichissimo e periferico Kozja Ćuprica, il ponte delle capre, a est della
città, sulla via per Istanbul, all’At Plandište, il ponte romano sul fiume Bosna, con le sue sette arcate
a tutto sesto in pietra scolpita, fino al Drvenija che, tra i ponti, è il più romantico. Situato vicino al
primo ginnasio, era il luogo dove, ai tempi in cui i licei non erano misti e quello maschile si trovava
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sulla riva opposta a quello femminile, s’incontravano gli innamorati. Il ponte diventava così il
testimone discreto e silenzioso degli appuntamenti e delle promesse d’amore. Per ognuno ci sarebbero
da raccontare storie, aneddoti, curiosità. Voglio soffermarmi ancora su due: Skenderijae Vrbanja. Il
primo, ribattezzato con ironia e affetto “ponte Eiffel” perché pare sia stato edificato con lo stesso
materiale che servì alla costruzione della torre simbolo di Parigi, è ovviamente in ferro e sostituì, nel
1893, il vecchio ponte di legno. Il secondo, invece, merita una storia a parte.
PRESENTAZIONE DEL LIBRO DEL
27/02/2016