borgo fornasir - utopia rurale alla periferia di cervignano

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE Corso di Laurea in Sociologia per il Territorio e lo Sviluppo (CLASSE N. 36) TESI DI LAUREA IN SOCIOLOGIA URBANO-RURALE Borgo Fornasir utopia rurale alla periferia di Cervignano Laureando: Relatore: Francesco Contin Chiar.mo Prof. Alberto Gasparini ANNO ACCADEMICO 2008/2009

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Tesi di Laurea in Sociologia urbano-rurale, Trieste, A.A. 2008/2009

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Page 1: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE

FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea in Sociologia per il Territorio e lo Sviluppo

(CLASSE N. 36)

TESI DI LAUREA IN

SOCIOLOGIA URBANO-RURALE

Borgo Fornasir – utopia rurale alla

periferia di Cervignano

Laureando: Relatore:

Francesco Contin Chiar.mo Prof. Alberto Gasparini

ANNO ACCADEMICO 2008/2009

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Trieste, 18 marzo 2010

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Indice

Introduzione pag. 5

Parte Prima. Nascita e sviluppo del concetto di villaggio sociale

1. Contesto storico e sociale della prima modernizzazione » 11

2. L’Uomo nuovo industriale e moderno » 17

3. Progetti e teorizzazioni utopiche » 21

4. Alla ricerca di utopie rurali. Dalle corti medievali a Latina » 30

4.1 La corte come ideale socio-economico » 31

4.2 Il modello produttivo e sociale della cascina lombarda » 34

4.3 Latina e il mito della città rurale » 41

Parte Seconda. Il Borgo Fornasir

5. La situazione friulana nel ‘900 » 45

6. La bonifica » 51

6.1 Il Manolet e la periferia di Cervignano » 54

7. Genesi e sviluppo del Borgo » 57

8. Una Company country nel cuore della Bassa » 66

9. La fine del sogno » 73

Conclusioni

Dalla memoria alla creazione di nuove utopie » 78

Bibliografia e sitografia » 84

Page 5: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

5

Introduzione

Dante Fornasir fu un uomo semplice e generoso, convinto che

anche sulla terra ci possa essere spazio per un po’ di bene

GIUSEPPE FORNASIR

Quando ho accettato di sviluppare il seguente lavoro non ero del tutto consapevole a

che cosa sarei andato in contro. Anzi, ero perfino scettico riguardo il tema da svolgere

perché, pur vivendo a poca distanza da Borgo Fornasir, ignoravo (e sono sincero) la sua

storia e il suo significato.

Situato nel mezzo della “Bassa Friulana”, territorio caratterizzato da zone paludose,

oggi fortunatamente sanate, che nel corso secoli in più riprese hanno visto effettuate ingenti

opere di bonifica, questo borgo rurale si differenzia dal resto degli abitati urbani e agricoli

circostanti per la particolarità e la specificità delle sue origini e della sua struttura.

Ideato e costruito dall’Ing. Dante Fornasir tra il 1933 e il 1940, il Borgo risulta essere

di notevole importanza per le caratteristiche “sociali” che mette in luce. L’Ingegnere infatti,

volle dar concretezza e fattezze reali ai propri ideali di sviluppo e benessere economico

realizzando nei territori del Manolet, acquistati dal comune di Cervignano, un borgo

organizzato attorno all’attività produttiva dell’azienda agricola e gestito in modo da

riprendere le caratteristiche dei villaggi operai sorti in Europa e in Italia a partire

dall’Ottocento.

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Sulle basi delle utopie socialiste di fine Settecento, Fornasir recupera i temi del

“vivere sociale” cari a Owen e Fourier e soprattutto il modello della città giardino di Howard,

per applicarli ad una realtà inedita, come la bassa pianura friulana della prima metà del

Novecento. Utilizzando questi input teorici, e mescolandoli ad un modello produttivo

sviluppato in tutta la pianura padana, quale quello della cascina lombarda, prende vita

l’esperienza di Borgo Fornasir che unisce, dunque, gli aspetti sociali del vivere ad una

modalità di produzione agricola e legata al territorio. Questa progettazione rappresenta così

uno scarto con le esperienze esistenti e conosciute ai più, in quanto l’elemento

discriminante nei villaggi operai, fino a quel momento, era rappresentato dalla fabbrica,

elemento centrale attorno al quale si sviluppava la vita della comunità.

Disponiamo in Regione di una serie interessante di casi, che vantano alcuni di una

cospicua letteratura, altri sviluppati invece in maniera minore ma comunque ben conosciuti

e molto interessanti. Troviamo città come Torviscosa, sviluppata in funzione della fabbrica di

cellulosa, oppure il quartiere di Panzano e il villaggio Solvay a Monfalcone, sorti il primo

come zona residenziale per il lavoratori del cantiere navale e il secondo legato all’industria di

Ernest Solvay per la produzione di soda, ed ancora il villaggio di Cave del Predil, situato alle

pendici del monte Re, un paese-azienda collegato indissolubilmente alla miniera. Si tratta di

una serie di company town, o meglio villaggi sociali, in cui la vita della comunità è legata in

modo inscindibile alla produzione e dove si godono i vantaggi di una vita più facile (se

confrontata con quella a disposizione altrove) ed adeguata a nuovi e moderni bisogni, con

comodità e agevolazioni forniti dall’azienda per cui si lavora.

A questi si può aggiungere il caso di Borgo Fornasir, in quanto in esso vengono

riprese, in scala ridotta, le principali caratteristiche che connotano questi particolari centri

insediativi.

Il seguente lavoro si articola, dunque, a partire da una breve analisi del contesto

storico e sociale della prima industrializzazione, che ha portato alla necessità di ragionare in

maniera diversa riguardo alla città e agli spazi lavorativi.

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Muovendosi dagli evidenti problemi che emersero e si manifestarono nelle condizioni

di vita degli operai inglesi di fine ‘700, venne proposto un nuovo modo di vedere la vita e di

pensare ai bisogni dell’individuo. Questa “nuova via” si può riassumere nelle teorizzazioni

utopiche che, a partire da Owen e Fourier, prospettarono la creazione di un ordine sociale

che, a sua volta, permise una qualità della vita e delle condizioni lavorative nettamente

migliori rispetto a ciò che il progresso, lasciato libero di autodefinirsi, aveva creato. Ad essi si

aggiunse l’intuizione di Howard di unire, in un unico insediamento urbano, le caratteristiche

positive della città con gli aspetti che rendono migliore la vita di campagna: questa unità

insediativa prese il nome di città giardino (garden city) e le sue peculiarità verranno riprese

successivamente dallo stesso Fornasir per la realizzazione del quartiere operaio di Panzano.

Sono questi i tre principali esponenti del pensiero utopico che ho deciso di approfondire nel

tentativo di creare un humus teorico in modo da permettere (al sottoscritto e al lettore) di

affrontare in maniera adeguata il tema in questione. La prima parte del lavoro si conclude,

poi, con la ricerca di alcune forme organizzative legate al mondo rurale, che portano in sé

una connotazione fortemente sociale: sono le aziende agricole di derivazione feudale che si

sviluppano attorno alla corte, e che tra il XV e il XIX secolo vanno ad assumere le forme della

cosiddetta cascina lombarda. Con la sua particolare forma organizzativa, la cascina lega

saldamente l’aspetto produttivo a quello abitativo, permettendo così un livello elevato di

sviluppo in condizioni difficili, quali quelle del contesto storico e geografico in cui sono

inserite. Un ultimo accenno viene fatto, infine, al caso della città di Latina, per concludere il

percorso di ricerca delle forme, per così dire, utopiche e urbane legate al mondo agreste.

Con essa pare evidente la commistione dei caratteri della città con una volontà ideologica di

esaltazione della vita rurale, e il suo caso è utile in quanto permette di capire come il

tentativo di sintesi tra i due mondi (campagna e città) non è un’eccezione ma bensì una

costante, un topos teorico e concreto che ha molti esempi e molte esperienze alle spalle.

Nella seconda parte della tesi ci si sposta, con la lente d’ingrandimento, sulla bassa

pianura friulana per mettere a fuoco il contesto storico, sociale ed ambientale in cui il caso in

oggetto è inserito. Dopo un rapido excursus sulla situazione friulana dei primi decenni del

Novecento, l’accento viene posto sulla fervida attività di bonifica e sui risultati più o meno

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felici raggiunti negli ampi territori paludosi, per poi concentrarsi sui terreni che più

propriamente formano i possedimenti dell’azienda agricola di Dante Fornasir, da lui stesso

sanati e resi coltivabili dopo secoli di incuria.

Gli ultimi tre capitoli della seconda parte sono centrati sul caso particolare di Borgo

Fornasir. Innanzitutto si delineano la genesi, l’idea di partenza e i presupposti che hanno

permesso il suo sviluppo, per poi passare ad una rapida descrizione della disposizione degli

edifici, un accenno ai particolari servizi offerti all’interno di esso e la ricerca dei motivi del

forte sentimento di appartenenza che caratterizzò gli abitanti. Il capitolo che segue raccoglie

i temi lasciati, volutamente, in sospeso nel corso del lavoro per cercare di intrecciare i diversi

argomenti e dare una definizione omogenea dell’esperienza sociale alla periferia di

Cervignano. Essa si può riassumere con il termine di company country, definizione che non

mi esimerò dallo spiegare strada facendo. Infine, l’ultimo passo riprenderà gli eventi che

hanno portato all’epilogo e alla disgregazione della comunità fornasira, per descriverne lo

stato attuale e fare una breve riflessione sul declino del borgo.

Nel capitolo conclusivo mi concedo, inoltre, la licenza di provare ad indicare una

possibile linea di sviluppo per tentare, almeno con la fantasia, a rilanciare le sorti di questo

bellissimo borgo che, non solo, ha una storia importante da raccontare ma che, secondo me,

ha ancora la possibilità di essere protagonista all’interno della più vasta comunità di

Cervignano. Tenterò di tracciare dei possibili scenari futuri, insomma delle visioni, che

ridiano dignità, e una giusta considerazione, al disegno utopico dell’Ingegnere.

Colgo, in questa sede, l’occasione per ringraziare quanti, con la loro esperienza e la

propria disponibilità hanno saputo e potuto aiutarmi nell’elaborazione del testo. Ringrazio in

particolar modo Roberto Fornasir, diretto discendente dell’ingegnere e attuale proprietario

dell’azienda agricola, Nicolò Fornasir e sua figlia Elisabetta, rispettivamente figlio e nipote

del fattore, e Anna Maria Fabbro, anch’essa discendente dei primi abitanti del borgo, che mi

hanno fornito le informazioni necessarie, dovute ad una conoscenza diretta o tramandata, e

il prezioso materiale a disposizione, per permettermi di svolgere un lavoro (spero) adeguato.

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Ringrazio, infine, per la disponibilità al confronto e il tempo datomi a disposizione il

Sindaco di Cervignano, Pietro Paviotti, la dott.sa Lucia Rosetti, della Biblioteca di Cervignano,

e la prof.ssa Diana Barillari, dell’Università di Trieste, curatrice quest’ultima, assieme a Edino

Valcovich, del catalogo e della mostra fotografica che ha dato l’input al seguente lavoro.

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Parte Prima

Nascita e sviluppo del concetto di villaggio sociale

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1. Contesto storico e sociale della prima modernizzazione

Verso la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX secolo, una grande serie di cambiamenti

di carattere economico e produttivo localizzati in Inghilterra e meglio conosciuti con il nome

di Rivoluzione Industriale, portano ad enormi trasformazioni, stravolgendo l’organizzazione

sociale dell’epoca e segnando un punto di svolta per le generazioni future. L’uso del termine

rivoluzione, usato da Engels (1845) e Hobsbawm (1962), enfatizza le novità emerse e

soprattutto sottolinea che le conseguenze di questo periodo furono talmente dirompenti e

radicali da causare un drastico cambiamento nella vita di milioni di persone. Alla base di

questo processo vi è innanzitutto l’introduzione di alcune migliorie tecniche nel settore

tessile, macchine per filare il cotone e telai meccanici, rispettivamente di Arkwright e

Crompton tra il 1760 e il 1780 e Cartwright nel 1785, che permisero un notevole incremento

della produzione. Accanto ad esse si inserisce la fondamentale invenzione, poi perfezionata

da James Watt tra il 1765 e il 1782, della macchina a vapore.

L’azione combinata di questi elementi porta ad un rapido incremento dell’industria

cotoniera su tutta l’isola e funge da volano per il successivo sviluppo industriale inglese. Dal

cotone si è infatti passati alla produzione meccanica e siderurgica trasformando l’Inghilterra

nell’ “officina del mondo”1.

La produzione non è più direttamente legata alle materie prime fornite dalla natura e

comincia a delinearsi un cambiamento del paradigma energetico che da l’illusione di uno

sviluppo illimitato e continuativo. L’energia non è più fornita dalla forza muscolare di uomini

e animali. Il lavoro domestico, sviluppato fino a quel momento soprattutto nel settore

manifatturiero, è reso impossibile data la complessità e la dimensione dei nuovi macchinari.

Questi mutamenti causano la concentrazione della produzione in opifici, situati in particolar

1 Detti, Gozzini (2000), Storia contemporanea - 1.L’Ottocento, pag. 14

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modo ai margini delle città: zone caratterizzate da ampi spazi e facilmente raggiungibili dai

mezzi di trasporto che in questo periodo cominciano a svilupparsi, in primis la ferrovia.

Dal lavoro a domicilio, caratterizzato dalla centralità del lavoro manuale, si passa

dunque al cosiddetto sistema fabbrica dove viene rovesciato il rapporto tra uomo e

macchina. I lavoratori concentrati nelle fabbriche vengono sottomessi alla rigida disciplina

delle macchine ed obbligati a rispettare orari di lavoro prestabiliti, per Detti e Gozzini

“persero la loro indipendenza e divennero manodopera”2. Si forma, così, una nuova classe

sociale, la cui unica proprietà risulta essere la prole, che vede nel salario dato dal padrone

l’unica forma di sostentamento; operai salariati che lavorano in luoghi di lavoro insalubri e

vivono in abitazioni inadeguate, per dimensione e struttura; stipati in sobborghi industriali

sporchi e fumosi, caratterizzati da sovraffollamento ed alta mortalità.

Capitani d’azienda volti solo al guadagno e datori di lavoro senza scrupoli, vedono nel

proletariato solo forza lavoro abile per essere sfruttata, retribuita con paghe ridotte al

minimo necessario per il sostentamento e nessuna attenzione per quanto riguarda la salute

e le condizioni di vita. Hobsbawm dipinge in questo modo la condizione lavorativa di un

salariato del XIX secolo:

Se un fattore dominava la vita degli operai ottocenteschi, era l’insicurezza. Essi

ignoravano all’inizio della settimana quanto alla fine avrebbero portato a casa. Ignoravano

quanto sarebbe durato il lavoro presente o, se lo perdevano, quando ne avrebbero trovato un

altro, o a quali condizioni. Ignoravano quando li avrebbe colpiti una malattia o un infortunio, e,

pur sapendo che prima o poi nella mezza età *…+ non sarebbero più stati in grado di compiere

tutto il lavoro fisico richiesto a un adulto, ignoravano che cosa li attendesse da quel momento

fino alla morte3.

Certo, progresso e cambiamento rispetto alla vita contadina di qualche decennio

prima ci sono stati. Gli uomini cominciano ad abbandonare la campagna e la vita di stenti

legata essenzialmente ai capricci del clima: alluvioni, siccità e carestie potevano condizionare

2 Detti, Gozzini (2000), op. cit., pag. 17

3 Hobsbawm (1976), Il trionfo della borghesia, pag. 269

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la vita di milioni di persone e determinare il livello di progresso di una società, prima

dell’avvento della industrializzazione.

In questo periodo muta pure il modo di lavorare la terra; si assiste ad una

“rivoluzione agraria”4 voluta e decisa dall’alto (Parlamento inglese); i terreni comuni, che

permettevano la sopravvivenza di numerose comunità di villaggio, vengono divisi con siepi e

recinzioni (le cosiddette enclosures) con 3.500 decreti legge tra il 1760 e il 1819; gli ingenti

investimenti dei grandi proprietari terrieri e la meccanizzazione del lavoro allontanano dalla

produzione agraria i piccoli proprietari che vedono così ridotte a zero le proprie possibilità di

sostentamento. Si pone fine all’autoconsumo, modalità di produzione tipica delle campagne

europee del medioevo (vedi Par. 4.1 - La corte come ideale socio-economico, pag. 31), e si

crea un’economia di mercato che determina le basi per la futura economia capitalistica.

Costretti a vendere le proprietà, i piccoli possidenti, che non riescono a trovar occupazione

come braccianti salariati alle dipendenze dei grandi proprietari, sono costretti a spostarsi a

ridosso delle città, in cerca di nuovi lavori, andando ad ingrossare in questo modo le schiere

di lavoratori sottopagati impiegati negli opifici.

A questo fenomeno migratorio si va ad aggiungere la costante crescita della

popolazione, che in Europa passò da 188 a 247 milioni di abitanti nei primi cinquant'anni del

XIX secolo5. Si assiste in questo periodo ad una riduzione delle nascite ma ad un

contemporaneo allungamento della vita media. Si passa infatti da un’aspettativa di vita tra i

25-35 anni fino a toccare i 75-80 di media, con il rispettivo calo delle nascite da i 5 figli a 1-2

per famiglia6. Le famiglie avevano meno figli ma essi tendevano a vivere più a lungo, più del

doppio dei loro padri. Il calo della mortalità è dovuto “sia al diminuire dell’incidenza delle

epidemie *…+ sia a una riduzione della frequenza e dell’intensità delle carestie”7.

Conseguenza diretta sia di miglioramenti sociali e culturali relativi alla prevenzione e alla

difesa da malattie infettive, e soprattutto di un’evoluzione del sistema alimentare, con

l’estensione delle terre messe a coltura e la diffusione del mais e della patata, che ampliano

e diversificano così l’alimentazione. Il calo della natalità è spiegato invece dalle

4 Detti, Gozzini (2000), op. cit., pag. 23

5 Dati riportati dalla pagina web: http://www.parodos.it/sintessirivoluzioneindustriale.htm

6 Dati confrontabili con Detti, Gozzini (2000), pag. 19

7 Detti, Gozzini (2000), op. cit., pag. 19

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trasformazioni socio-economiche che portano a ritardare l’ingresso dei giovani nel mondo

del lavoro e modificano gli atteggiamenti delle famiglie in tema di riproduzione; il benessere

porta ad avere meno figli e l’utilizzo di pratiche contraccettive favorisce tale scelta.

Per la prima volta nella storia dell’uomo crescita demografica e livello di produzione

non sono inversamente proporzionali ma hanno un livello di crescita costante ed omogeneo.

I due fenomeni seppur coincidenti non sono direttamente collegati, o meglio, non sono in

rapporto di causa-effetto. La spiegazione di questo trend è data invece dalla dinamicità

dell’economia inglese pre-industriale. Essa ha contribuito alla produzione di un’elevata

disponibilità di beni che è riuscita a coprire ed addirittura a superare il fabbisogno interno.

Viene a spezzarsi così il vecchio sistema teorizzato da Malthus (la crescita popolazione

produce una diminuzione delle risorse) e ciò pone le basi per un successivo sviluppo in

chiave industriale, caratterizzato da un’ampia disponibilità di manodopera ed elevata

utilizzabilità di beni alimentari e di consumo. Crescita demografica e sviluppo economico

(soprattutto agricolo) sono entrambi fattori che spingono nella stessa direzione e

contribuiscono alla nascita della produzione industriale inglese e alla conseguente

urbanizzazione.

L’ingente spostamento verso i centri urbani di forza-lavoro proveniente dalle

campagne circostanti crea fin da subito problematiche di natura sociale e comporta un

drastico mutamento dell’aspetto delle città inglesi. Si pensi che dal 1800 al 1881 la

popolazione urbana inglese è passata dal 20% al quasi 70% rispetto a quella agricola e che la

sola Londra all’epoca superava i 750.000 abitanti8.

La crescita esponenziale della popolazione urbana rappresenta dunque un problema

piuttosto che un fattore di sviluppo. Un problema che, fin dai primi anni, deve essere risolto

da architetti e progettisti. Hobsbawm descrive nelle seguenti righe la situazione dei centri

cittadini a metà del XIX secolo e le condizioni di vita dei nuovi arrivati:

per gli urbanisti, i poveri erano un pericolo pubblico, le loro concentrazioni

potenzialmente turbolente andavano spezzate da viali e boulevards atti a spingere di viva forza

gli abitanti dei quartieri popolari pieni come uova, che essi andavano sostituendo, verso qualche

8 Dati riportati da Detti, Gozzini (2000), op. cit., pagg. 28-29

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insediamento non meglio specificato, ma presumibilmente più igienico e certo meno pericoloso.

La pensavano così anche le compagnie ferroviarie, che stendevano larghe fasce di linee e binari

fin nei centri cittadini, preferibilmente attraverso gli slums, nei quali i costi degli immobili erano

bassi e le proteste trascurabili.9

E ancora…

*…+ chi dice città del mezzo secolo XIX dice “sovraffollamento” e “bassofondo” (o slum);

e più rapidamente la città cresceva, peggio era stipata. Malgrado le riforme sanitarie e l’avvento

di un minimo di pianificazione, è probabile che in questo periodo il sovraffollamento urbano sia

aumentato, mentre né la salute né la mortalità ne risentivano in modo positivo, quando

addirittura non peggioravano.10

I problemi maggiori sono essenzialmente il sovraffollamento e le condizioni igienico-

sanitarie dei quartieri operai che sorgono in prossimità delle fabbriche oppure, in altri casi,

che occupano i centri cittadini, portandoli ad un rapido degrado. Uomini e donne con basso

reddito abitano questi quartieri con enormi difficoltà di sopravvivenza perché privi delle

risorse necessarie per affrontare la “vita di città” e perché slegati dal rapporto con la terra,

capace di fornire fino a qualche tempo prima la sussistenza necessaria e di garantire

quantomeno una vita dignitosa. Anche l’inquinamento, sia acustico che ambientale, creato

dagli opifici si va ad aggiungere alla situazione già critica dei quartieri.

Detti e Gozzini nella parte finale del capitolo 1 (cfr. Storia contemporanea), dedicato

alla rivoluzione industriale inglese, danno un’immagine forte ed emblematica della

situazione dell’epoca che riassume splendidamente quanto ho voluto sin qui trattare:

Fuori dalle fabbriche i lavoratori vivevano in città sovraffollate, sporche e fumose, prive

di servizi igienici e sociali. L’urbanizzazione selvaggia di quel periodo fece crescere tetri e

ripugnanti sobborghi operai, dove la mortalità era altissima e dilagavano l’alcolismo e la

criminalità. Miseria e disperazione sono le parole chiave che ricorrono per descriverli negli scritti

degli osservatori coevi di ogni tendenza. La loro enfasi può apparire contraddittoria con i dati

secondo i quali le condizioni materiali di esistenza dei lavoratori poveri non erano molto

9 Hobsbawm (1976), op. cit., pag. 259

10 Hobsbawm (1976), op. cit., pag. 259

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16

peggiorate rispetto a quelle del periodo precedente, ma proprio per questo è significativa. Il

livello di vita non può essere infatti valutato correttamente in termini assoluti, perché la sua

percezione è relativa, variando con la sensibilità e i parametri di giudizio di ogni epoca. Fra Sette

e Ottocento in Inghilterra le differenze sociali si approfondirono e i poveri divennero tanto più

poveri, quanto più il paese nel suo complesso e le sue classi superiori in particolare si

arricchirono.11

11

Detti, Gozzini (2000), op. cit., pag. 35

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2. L’Uomo nuovo industriale e moderno

In risposta , e quasi come reazione, al preoccupante e crescente disagio, che vede “il

diffondersi di malattie fisiche e psichiche, di degradazione della vita familiare e sociale, del

dissolvimento delle famiglie, di vistose devianze dalle norme più elementari”12, già nella

prima metà del secolo, alcuni teorici illuminati cominciano a proporre soluzioni alternative

che cercano di conciliare produzione industriale e qualità della vita. Talvolta proponendo

recuperi della città, puntando sulla valorizzazione di spazi già esistenti, talvolta seguendo la

strada della “rifondazione”, sulla base della tradizione utopista che vede nel primo periodo

post-industriale i suoi massimi esponenti. Voglio soffermarmi in particolar modo sulla

seconda strada, dando un indirizzo preciso al lavoro che segue, perché rappresenta il punto

di partenza sopra cui vengono poste le basi per una rivoluzione radicale del modo di pensare

e progettare gli spazi abitativi.

“Il sogno di un ritorno alla natura, il desiderio di riscoprire modalità produttive

alternative, la certezza che fosse possibile utilizzare le nuove scoperte tecniche per

migliorare le condizioni di vita dell’uomo”13, sono tutti elementi che si combinano e si

pongono in relazione con il pensiero utopista, ed attraverso le idee di Owen, Fourier e

Howard prendono forma e si concretizzano in progetti reali.

L’obiettivo è quello di creare un Uomo nuovo, inserito in un nuovo ordine sociale,

dove la vita, pure essa nuova nelle sue componenti sociali e di relazione, è fondata

sull’armonia. Armonia che si vuole realizzare e sviluppare attraverso soprattutto

l’organizzazione spaziale delle nuove città/quartieri. Progetti fondati sulla presunta

superiorità della ragione (determinante l’influenza positivista), città costruite (o pensate) in

modo quasi maniacale, tenendo conto di tutti i bisogni che, a tavolino, vengono definiti

12

Gasparini (2000), La sociologia degli spazi, pag. 111 13

Biccarino (2009), Torviscosa come company town – Tesi di Laurea, pag. 13

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necessari all’utente per una vita dignitosa. Esse vengono edificate, ex-novo, al di fuori delle

città già esistenti, in aperta campagna, dove i costi di costruzione sono nettamente inferiori.

Ciò che oggi viene normalmente considerato di competenza pubblica, a partire

dall’avvento del Welfare State e soprattutto con l’edilizia popolare, all’epoca viene fatto per

iniziativa del privato, che con la sua azione filantropica e demiurgica crea delle situazioni

radicalmente nuove in cui vita di fabbrica e vita privata rimangono a stretto contatto e, anzi,

dove l’importanza della vita privata (del singolo cittadino) viene sostituita con l’egemonia del

pubblico; dove, in altre parole, la privacy lascia il posto alla vita di comunità, trasparente in

ogni suo aspetto.

Vi è una sovrapposizione quasi simbiotica delle due sfere (privato-pubblico) che

permette una qualità della vita superiore alla norma ma priva il soggetto di qualsiasi libertà

personale. “Viene a mancare il processo di autodeterminazione dell’individuo, costretto a

seguire anche nel privato le direttive dell’azienda. Tutto è statico ed uguale, tutto segue

schemi predefiniti, niente può cambiare, la realtà comunitaria non viene trasformata

nemmeno attraverso le relazioni con la gente, la vita dell’uomo nuovo è inserita in un

equilibrio che permette un’armonia generale che non può essere rovinata”14. Vi sono

dunque sicurezza ed equilibrio, caratteristiche entrambe assenti nell’operaio di Hobsbawm

(cfr. Cap. 1): aspetti decisamente favorevoli ed auspicabili, ma che vedono nella staticità e

nella chiusura verso il mondo esterno delle tendenze quantomeno discutibili.

La dimensione privata, e lucrativa, dell’atto demiurgico si ritrova nelle modalità di

costruzione dei nuovi insediamenti abitativi. La creazione di villaggi-operai attorno alla

fabbrica non può essere vista solamente come un atto caritatevole. Ci sono infatti finalità

economiche che spingono anche gli “imprenditori illuminati” verso scelte ben precise: la

campagna viene privilegiata essenzialmente per ridurre il costo iniziale, oltre che per gli ampi

spazi utilizzabili, e gli edifici vengono costruiti con materiale non di prim’ordine. Inoltre

l’isolamento dei villaggi “tiene lontano i dipendenti dalle tentazioni eversive o rivoluzionarie

della città”15, imponendo così una dedizione totale alla fabbrica e alla comunità.

14

Biccarino(2009), op. cit., pag. 15 15

Chemello (2004), Quanto deve la società moderna alle company towns – Tesi di laurea, pag.23

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19

Il punto di rottura con i progetti imprenditoriali precedenti è, invece, l’importanza

data all’aspetto sociale. Accanto, e in relazione, alla fabbrica sorgono tutta una serie di

strutture e spazi che permettono all’individuo una vita migliore. La preoccupazione per la

salute dell’operaio non è circoscritta all’interno della sola azienda, come avveniva in

precedenza (e solo in casi considerati “esemplari”), ma è estesa alla vita “al di fuori” di essa.

Le case innanzitutto, dignitose rispetto agli standard dell’epoca, vengono date in

affitto a prezzi vantaggiosi. Vengono poi offerti tutta una serie di servizi quali scuole,

ospedali, chiese, mense, sale per riunioni, negozi, bagni pubblici, teatri, aree verdi e per lo

sport. Non viene trascurato alcun aspetto che in qualche modo possa portare verso un

miglioramento qualitativo della vita. Tutti gli aspetti del vivere vengono, però, organizzati e

gestiti dall’azienda, e finalizzati ad essa. Gli abitanti sono principalmente cittadini “attivi”,

impegnati nel lavoro in fabbrica, che godono di questi benefici fino a che rimangono

all’interno della situazione lavorativa; una volta in pensione cessa anche il rapporto di

welfare instaurato (Gasparini parla di integrazione a tempo16), a meno che il lavoro non passi

al figlio mantenendo una sorta di “privilegio” quasi feudale.

Fondamentale in questa nuova concezione del vivere è la ripresa della dimensione

rurale. Il riavvicinamento dell’uomo all’aspetto naturale, non inteso alla maniera di Rousseau

(nel Contratto Sociale, 1762, ndr), viene visto come componente fondamentale per il

raggiungimento di un adeguato livello di vita. Significativa è innanzitutto la localizzazione

delle nuove comunità in aperta campagna, che oltre ai motivi (utilitaristici) già sopra

elencati, permette il riavvicinamento dell’uomo, alienato e disumanizzato dalla fabbrica, alla

tranquillità agreste. Industria e agricoltura convivono e si (con)fondono così da fornire, da un

lato, quella produzione di beni necessaria all’auto-mantenimento della comunità, e

dall’altro, per far in modo di conciliare i vantaggi della città ai piaceri della campagna.

Howard parla in tal proposito di garden-city, proponendo centri che racchiudono al loro

interno le caratteristiche positive delle città, tra cui alti salari, opportunità di impiego, svago

e vivacità, e gli aspetti positivi della campagna con la bellezza del paesaggio e le case

luminose dotate di giardino e spazi all’aria aperta.

16

Gasparini (2005), L’utopia dell’uomo nuovo e il tempo delle company town, in Delli Zotti (2005), La miniera delle appartenenze, pag. 8

Page 20: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

20

La stretta relazione tra welfare aziendale e vita rurale emerge con forza nel caso di

Borgo Fornasir, a cui si aggiunge anche l’ideale curtense di organizzazione economico-

sociale, che verrà in seguito approfondito.

Page 21: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

21

3. Progetti e teorizzazioni utopiche

Tra i principali esponenti delle progettazioni utopiche troviamo i già citati Owen,

Fourier e Howard (ai quali si aggiungono molti altri che decido di non affrontare, per non

dilungarmi troppo nella parte teorica). Ognuno di essi, in modo diverso, progetta (e in

qualche caso realizza) il proprio modello di città ideale, seguendo linee teoriche comuni ma

con precise differenze tra le varie teorizzazioni.

In concreto, tutti o quasi gli esperimenti si sono trasformati in eclatanti fallimenti ma,

malgrado ciò, non va assolutamente ridimensionata l’importanza che questi hanno avuto per

lo sviluppo del pensiero socialista e per il “contributo importantissimo al movimento

dell’architettura moderna”17. Essi vedono il superamento dell’individualismo capitalista

solamente attraverso la creazione di comunità armoniche, non fondate sull’uso del denaro e

su scambi finanziari ma dotate di un ordine che permette lo sviluppo positivo dell’intera

comunità e di conseguenza dei singoli individui di cui è formata.

Benevolo, ancora, li definisce “iniziatori di una nuova linea di pensiero e d’azione da

cui comincia effettivamente *…+ un’azione consapevole per la riforma del paesaggio urbano

e rurale”18. E’ questo infatti il punto di partenza su cui si fondano i futuri progetti, utopici e

non, dei villaggi operai tra il XIX e il XX secolo, e il modello del Welfare State attuato a partire

dal secondo dopoguerra.

Nelle prossime pagine pongo in rassegna, brevemente, l’attività e le iniziative dei tre

teorici maggiormente significativi per la comprensione del caso in analisi.

Robert Owen (1771-1858) può essere considerato il capostipite di questa tradizione;

le sue capacità imprenditoriali lo portano a diventare capitano d’azienda già all’età di 20

anni. La sua linea di pensiero, basata sull’esperienza diretta di dipendente, lo discosta

17

Benevolo (1992), Storia dell’architettura moderna - 1. La città industriale, pag. 177 18

Benevolo (1992), op. cit., pag. 169

Page 22: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

22

notevolmente dalle abitudini imprenditoriali dell’epoca “tanto da essere considerato un

pericoloso agitatore”19 da politici e imprenditori.

Nel 1799 acquista, con altri soci, lo stabilimento produttivo di New Lanark in Scozia, e

crea in esso un modello di convivenza ideale, partendo dal presupposto che per superare gli

squilibri e le iniquità date dall’ideologia del self-made man si deve partire dalla costruzione

di un ambiente “a misura d’uomo”, in cui l’aspetto sociale è messo in primo piano a

prescindere dall’ossessione egoistica del profitto ad ogni costo.

Sono le condizioni ambientali infatti che determinano la sorte degli individui e non la

capacità del singolo, come previsto nella concezione individualista. Egli propone un “villaggio

per una comunità ristretta, che lavori collettivamente in campagna e in officina, e sia

autosufficiente, possedendo nell’interno del villaggio tutti i servizi necessari”20. Per rendere

possibile il suo progetto introduce macchinari moderni, salari elevati, orari di lavoro non

opprimenti, abitazioni salubri e soprattutto costruisce in prossimità del posto di lavoro tutta

una serie di servizi, tra cui una scuola elementare ed un asilo infantile (il primo caso in tutta

l’Inghilterra).

L’aspetto educativo è centrale nella volontà di Owen. Con l’Istituzione per la

Formazione del Carattere egli infatti intende fornire un’istruzione adeguata ad ogni

fanciullo, integrando scuola, tempo libero e attività di formazione professionale, ed offrendo

quest’opportunità anche agli abitanti adulti ed anziani della comunità. Nei suoi scritti

descrive in questo modo l’Istituzione, immaginata come un “contenitore” per l’educazione:

L'istituzione è attrezzata anzitutto per ricevere i bambini fin dai primi anni, da quando

sono in grado di camminare. L'ambiente di mezzo del piano inferiore è attrezzato per loro,

affinché possano giocare e ricrearsi durante il cattivo tempo: col bel tempo potranno invece

occupare il recinto davanti all'edificio. Man mano che cresceranno d'età, saranno accolti nelle

stanze a destra e a sinistra, dove saranno regolarmente istruiti nei primi rudimenti del sapere, in

modo che prima dei sei anni possano ricevere un insegnamento più completo. Dopo essere

passati per questi corsi preliminari, saranno accolti nell'ambiente dove ora ci troviamo

(utilizzabile anche come cappella), che con le stanze circostanti funzionerà come scuola generale,

19

Benevolo (1992), op. cit., pag. 169 20

Benevolo (1992), op. cit., pag. 170

Page 23: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

23

per leggere, scrivere, far di conto, cucire e lavorare a maglia; tutto questo, secondo il piano che

dev’essere realizzato, sarà fatto con considerevole ampiezza fino all'età di dieci anni, prima della

quale nessun ragazzo potrà essere ammesso al lavoro. *…+

Dopo le ore di insegnamento per i ragazzi troppo giovani per lavorare, i locali saranno

puliti, ventilati, e d'inverno illuminati, riscaldati e resi confortevoli in tutti i sensi, per ricevere le

altre classi della popolazione. I locali su questo piano saranno frequentati dai giovani di ambo i

sessi impiegati al lavoro durante il giorno, che desiderino migliorarsi nel leggere, scrivere,

calcolare, cucire o lavorare a maglia, oppure imparare qualche arte utile; per istruirli troveranno

ad aspettarli per due ore, ogni sera, addetti mastri e maestre. *…+

Questo insieme di benefici potrebbe in teoria essere esteso universalmente in un piccolo

ambiente; occorre cominciare ad agire in qualche punto, e una combinazione di eventi singolari

ha fissato quel punto nel nostro stabilimento. Tuttavia, seguendo il principio ora enunciato, ho

sempre pensato che l'Istituzione, quando sarà completata, possa accogliere non solo i figli di chi

abita in questo villaggio; chiunque vive a Lanark o nelle vicinanze e non si senta di educare in casa

i suoi figli, avrà la facoltà di mandarli qui, menzionando semplicemente il suo desiderio, ed essi

riceveranno lo stesso trattamento di quelli che appartengono allo stabilimento.21

Secondo Owen, le condizioni di vita dei lavoratori passano essenzialmente attraverso

le buone abitudini che essi riescono ad acquisire ed insegnare ai propri figli. In questo senso

la creazione dell’Istituzione è l’esempio lampante dell’attività demiurgica e filantropica

dell’imprenditore inglese.

Il programma per il miglioramento delle condizioni degli abitanti della company deve

prevedere un opportuno addestramento, fornire un lavoro appropriato e unire interessi e

doveri per produrre i massimi benefici, individuali e collettivi allo stesso tempo.

Per fare ciò Owen progetta un villaggio organizzato tra le 500 e le 1500 persone, di

pianta quadrata formato da abitazioni private ed edifici pubblici e circondato da un terreno

coltivabile calcolato in 1000-1500 acri.

L’organizzazione degli edifici è spiegata dallo stesso Owen in un rapporto alla

Commissione d’inchiesta sulla legge dei poveri del 1817:

21 Robert Owen, An Address to the Inhabitants of New Lanark, Delivered on Opening the Institution for

the Formation of Character, 1816, in A New View of Society and Other Writings, 1927. Fonte: http://web.tiscali.it/icaria/urbanistica/owen/owen.htm

Page 24: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

24

L'edificio centrale contiene la cucina pubblica, i depositi, e tutti i servizi necessari per

cucinare e riscaldare in modo efficiente. A destra v'è un edificio con la scuola dei bambini più

piccoli al piano terreno, una sala di lettura e un luogo di preghiera al primo piano. L'edificio a

destra comprende a pianterreno la scuola per i ragazzi più grandi e una sala di riunione; sopra la

biblioteca e i locali per gli adulti. Nello spazio sgombro dentro il quadrato sono sistemati gli spazi

per gli esercizi fisici e la ricreazione, che si devono supporre alberati.

Tre lati del fabbricato perimetrale sono destinati alle case, soprattutto per le persone

sposate, ciascuna composta di quattro alloggi. Il quarto lato è riservati ai dormitori per tutti i

bambini che eccedano i due per famiglia, o che abbiano più di tre anni. Al centro di questo lato

sono gli alloggi per i sorveglianti del dormitorio, a un'estremità l'infermeria e all'altra una

foresteria per i visitatori. Al centro di altri due lati sono gli alloggi per il sovrintendente generale,

il sacerdote, il maestro di scuola, il medico, ecc., e nel terzo lato i magazzini per tutte le cose

necessarie nel villaggio. Fuori e dietro le case, tutt'intorno, giardini circondati dalle strade. subito

dietro, su un lato, sono gli edifici per gli impianti meccanici e produttivi, le stalle, il mattatoio, ecc.

separati da piantagioni; sull'altro lato la lavanderia, ecc., e a distanza maggiore i fabbricati rurali,

con gli impianti necessari alla fabbricazione del malto, della birra e alla molitura del grano;

attorno si trovano i campi coltivati, il pascolo, ecc., le cui recinzioni sono piantate con alberi di

frutta [...].

Ogni alloggio nei fabbricati perimetrali deve ospitare un uomo, sua moglie ed i figli di età

inferiore ai tre anni, e deve avere caratteristiche tali da assicurar loro molte più comodità dei

consueti alloggi popolari.22

Nonostante gli elevati costi per la costruzione e il mantenimento di simili servizi lo

stabilimento di New Lanark riesce ad ottenere forti profitti. Owen ottiene così la conferma

dell’effettiva funzionalità del proprio progetto, invitando singoli imprenditori, società

industriali e le stesse autorità pubbliche a seguire le sue iniziative.

Dopo l’esperienza scozzese Owen tenta di riproporre le proprie tesi prima ad Orbison

in Inghilterra e nel 1825 con la costruzione del villaggio di New Harmony, in Indiana.

Entrambi gli esperimenti falliscono, “il passaggio dalla teoria alla pratica non riesce, la

22

Robert Owen, An Address to the Inhabitants of New Lanark, Delivered on Opening the Institution for the Formation of Character, 1816, in A New View of Society and Other Writings, 1927.

Fonte: http://web.tiscali.it/icaria/urbanistica/owen/owen.htm

Page 25: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

25

concordia immaginata *…+ non si realizza e l’iniziativa fallisce quasi subito, facendogli

perdere il capitale e lasciandolo povero”23.

Gli insuccessi non intaccano però la portata storica delle sue intuizioni, ponendolo

come capostipite del movimento utopista e come punto di riferimento per le successive

progettazioni “illuminate”.

Charles Fourier (1772-1837), contemporaneo di Owen, è un modesto impiegato

francese divenuto famoso per le sue teorie filosofiche. Con il suo pensiero mette in luce

l’assurdità del modello di vita basato sulla contrapposizione degli interessi individuali degli

uomini, auspicando invece l’unione degli sforzi per il raggiungimento di uno stato di

armonia. Divide la storia dell’umanità in una serie di passaggi (sette per la precisione)

caratterizzati dall’organizzazione sociale in essi presente. Attualmente l’umanità si trova tra

il quarto (barbarie) e il quinto periodo (civiltà). La civiltà si distingue per la supremazia della

proprietà individuale che porta l’uomo all’egoismo ed alla competizione degli interessi

personali. Il sesto stadio, a cui l’uomo dovrebbe tendere, limita e pone dei vincoli alla

proprietà privata. Questo periodo, chiamato garantismo, sarà il punto di passaggio che

porterà successivamente, e con una ulteriore serie di accorgimenti, all’armonia e alla

convivenza tra gli uomini: appunto il settimo ed ultimo stadio (armonia).

Per favorire questo processo sono necessari dei cambiamenti di carattere urbanistico

che portano all’abbandono del disordine anarchico, tipico della città industriale, a favore di

una città dotata di ordine logico e pianificata in ogni sua componente. Tale città avrà forma

concentrica: al centro è situata la parte commerciale e amministrativa, attorno si sviluppa la

città industriale e ai margini vi è quella agricola; il rapporto tra superficie edificata e spazi

verdi aumenta man mano che si passa dal centro verso la zona liminare; nel primo “cerchio”

la superficie libera è uguale a quella occupata, nella zona industriale essa è doppia, mentre

nella terza tripla.

Questi progressi sono in realtà processi preliminari che portano allo sviluppo e alla

creazione della città armonica. La città del settimo stadio infatti, quella che dovrebbe

condurre all’armonia, è una città “in cui la vita e la proprietà saranno interamente

23

Benevolo (1992), op. cit., pag. 172

Page 26: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

26

collettivizzate”24. Per fare ciò Fourier propone la costruzione di edifici comuni, che chiama

falansteri, contenenti al loro interno gruppi di 1620 persone (falangi) in cui la famiglia

tradizionale lascia posto ad una vita di comunità. Benevolo descrive in questi termini

l’ambiente progettato dal filosofo francese:

la vita si svolgerà come in un grande albergo, con i vecchi alloggiati al pianterreno, i

fanciulli al mezzanino e gli adulti nei piani superiori. Il falansterio sarà arricchito da attrezzature

collettive e servito da impianti centralizzati. Fourier vede l’edificio con le nuove forme auliche

dell’architettura rappresentativa francese; dovrà essere simmetrico, con tre cortili e numerose

entrate, sempre sull’asse dei vari corpi di fabbrica; la corte centrale, detta Place de Parade, sarà

vigilata dalla Tour de Ordre, con l’orologio e il telegrafo ottico.25

La realizzazione di simili edifici viene tentata più volte, anche se non in prima persona

da Fourier (privo dei mezzi economici di Owen), ottenendo però sempre risultati fallimentari.

Gli esperimenti in Francia, Algeria, America e Nuova Caledonia sono il segno evidente della

difficoltà di tradurre in realtà l’utopia tanto agognata.

Sulla stessa linea, ma con alcuni accorgimenti fondamentali, troviamo l’esperienza di

Godin (1817-1889) a Guisa. La riuscita del progetto è data da due aspetti innovativi che si

discostano dalle teorie del predecessore: la forma industriale dell’iniziativa e l’abolizione

della vita in comune. In questo caso ogni famiglia dispone di un alloggio individuale inserito

in un grande edificio, dotato al proprio interno di servizi quali la scuola e il teatro. Per la

particolarità e lo scarto dalle teorie di Fourier, questa nuova organizzazione è chiamata

familisterio.

Il terzo autore che voglio prendere in considerazione è Ebenezer Howard (1850-

1928). Esso appartiene ai teorici della generazione successiva, più precisamente della

seconda metà dell’Ottocento, quando la tradizione utopista si è già affermata e i progetti di

Owen e Fourier sono modelli che già contano di numerose esperienze.

24

Benevolo (1992), op. cit., pag. 173 25

Benevolo (1992), op. cit., pag. 173

Page 27: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

27

Nel suo libro Tomorrow, a peaceful path to real Reform (1898), ripresentato al

pubblico nel 1902 con il nome, più conosciuto, Garden cities of to-morrow, egli illustra le sue

teorie urbanistiche. Il concetto di città-giardino, punto centrale del progetto, era già

esistente e stava ad indicare i quartieri agiati situati alla prima periferia dei grandi centri,

creati con l’intenzione di alleviare, almeno per i ceti più abbienti, la congestione dei già

caotici centri cittadini di allora. L’idea di Howard, invece, è radicalmente diversa e segue il

pensiero rivoluzionario dei suoi predecessori: la città nuova ha lo scopo di salvare le città

dall’esplosione demografica (e dall’abuso edilizio) e di risollevare le sorti della campagna,

unendo i vantaggi della vita urbana ai piaceri del vivere in natura.

La semplice spiegazione del perché dei liberi cittadini debbano preferire queste new

towns alle precedenti forme di organizzazione abitativa è spiegata perfettamente con la

teoria dei tre magneti. Gli uomini sono attratti da, e nell’indecisione tra, due grandi calamite

rappresentanti una la città e l’altra la campagna. Entrambi i magneti sono caratterizzati da

numerosi elementi positivi e negativi che a seconda della volontà e dei bisogni del singolo

indirizzano la persona stessa verso una direzione. La città è caratterizzata da opportunità

sociali, alti salari, possibilità di impiego ma anche allontanamento dalla natura, orari di

lavoro estenuanti, inquinamento e condizioni abitative disagiate. La country (come la chiama

Howard, ndr.) offre la bellezza del paesaggio, aria fresca, sole e abbondanza di acqua ma allo

stesso tempo manca di spirito pubblico, necessita di riforme sociali e presenta villaggi deserti

e privi di opportunità.

Accanto ai due magneti si posiziona il terzo, nella figura della garden-city, che

convoglia gli aspetti positivi della prima e della seconda condizione (prezzi bassi, acqua e aria

pura, libertà, cooperazione, assenza di inquinamento, abitazioni adeguate). A questo punto

con una domanda retorica Howard si chiede quale tra queste opzioni verrà scelta dalle

persone, convinto che le decisione ricadrà inevitabilmente sulla terza. L’obiettivo della new

town, in conclusione, è quello di “innalzare lo standard e il comfort di tutti i lavoratori di

qualsiasi grado”26.

26

Nell’originale inglese: “to raise the standard of health and comfort of all true workers of whatever grade”, fonte http://www.library.cornell.edu/Reps/DOCS/howard.htm. Allo stesso indirizzo web si trovano informazioni più specifiche riguardo la “teoria dei magneti”, con interessanti illustrazioni.

Page 28: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

28

La creazione di questi centri, con la conseguente (ed alquanto teorica) fuoriuscita

delle persone dalle città, non va a discapito del progresso tecnologico; il mondo agreste non

viene idolatrato ma rivisitato in ottica moderna: “la garden city non si ridurrà ad un semplice

villaggio agricolo in cui una maggior vivibilità è ottenuta grazie all’esclusione delle

fabbriche”27 ma bensì attività industriale e vita agricola si integrano creando le condizioni

per uno sviluppo armonico ed autarchico.

La città, così come pensata da Howard, è spazialmente limitata, ogni suo punto deve

essere facilmente raggiungibile a piedi ed ogni suo dettaglio è pianificato con l’obiettivo di

rendere ottimale la vita degli abitanti. Per far ciò, viene disegnata di forma circolare e

collocata al centro di un’area di 6.000 acri28 con una superficie propria di 1.000 acri. Il

numero degli abitanti non deve superare i 30.000 nella zona urbana mentre ben 2.000 sono

gli addetti al settore agricolo che abitano nella cintura esterna. Sei boulevards tagliano, in

altrettante sezioni uguali tra loro, la città partendo dal centro verso l’esterno. Il punto di

incontro delle sei strade è costituito da un giardino, anch’esso di forma circolare, attorno al

quale vengono eretti i principali edifici pubblici (municipio, teatro, museo, libreria,

ospedale). All’esterno di questa cinta di edifici si sviluppa un grande parco (Central Park)

racchiuso a sua volta da una grande galleria, chiamata Crystal Palace, con il porticato rivolto

verso l’interno. I sei viali principali sono intersecati da cinque strade (avenue) concentriche,

che creano un reticolato di quartieri. Le case, dotate di giardini comuni, si affacciano sulle

strade e sui boulevards e sono costruite su lotti di dimensioni standard di 20x130 piedi29.

Nella parte estrema della città vengono posizionate le fabbriche, le officine e tutti gli

spazi lavorativi necessari per lo sviluppo della comunità; questi edifici sono poi circondati, e

collegati tra loro, dalla ferrovia circolare che racchiude la città.

La vita all’interno è regolata in ogni dettaglio: i negozi possono essere aperti

solamente negli spazi adibiti al commercio, il numero di professionisti in un quartiere è

limitato in modo che ognuno abbia un numero adeguato di clienti, le nuove industrie non

possono essere fumose, insalubri o dannose per l’ambiente.

27

Chemello (2004), op. cit., pag. 59 28

Pari a 24,3 km2. Un acro corrisponde a 0,00405 km

2

29 Dimensioni corrispondenti a 6x40 metri.

Page 29: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

29

Le proposte teoriche di Howard si concretizzano nei primi anni del 1900 con le

esperienze di Letchworth (1903) e, successivamente, di Welwyn (1920), entrambe città sorte

nelle campagne alla periferia di Londra, che mantengono tutt’ora una propria fisionomia e

una vitalità assente nelle esperienze utopiche precedenti.

Abbiamo, dunque, sin qui visto alcune proposte, concrete o solamente teoriche, che

prevedono un miglioramento qualitativo della vita, creando delle situazioni radicalmente

nuove, per rispondere ai disagi creati dalla prima industrializzazione nel tessuto sociale

esistente.

Page 30: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

30

4. Alla ricerca di utopie rurali. Dalle corti medievali a Latina

Allontanandoci dai casi legati ad una produzione di tipo industriale, fin qui affrontati,

è opportuno ora restringere il campo di ricerca inquadrando le esperienze vicine al mondo

rurale, che meglio spiegano il percorso che si va ad affrontare.

La particolarità, infatti, che rende unico il caso di Borgo Fornasir non va ricercata

nell’uso di particolari tecnologie o nella volontà illuminata di seguire un’ideale di progresso

che porti ad un acclamato benessere. Certamente sono presenti anche queste componenti,

che avvicinano il borgo a tutte le altre esperienze, presenti in diversi casi anche in regione

(Torviscosa, Panzano, Cave del Predil)30. Esse però non rendono l’idea dell’intuizione e non

colgono la novità che allontana diametralmente il caso in questione dalle tipologie dei

villaggi sociali, con le caratteristiche che conosciamo. Non è possibile studiare il borgo con

questi parametri, o almeno non solamente con questi, senza rischiare di effettuare un’analisi

superficiale e quantomeno parziale.

L’intento del seguente capitolo è quello di presentare le caratteristiche sociali e

strutturali del modello curtense altomedievale, caratteristiche riprese in seguito nella

modalità di produzione tipica della cascina lombarda del diciassettesimo secolo, trattando in

ultima analisi il caso di Latina, vista come città ideale sviluppata su basi rurali.

Il punto di partenza per giungere ad una miglior comprensione del caso di Borgo

Fornasir è rappresentato dalla ripresa dell’ideale di organizzazione sociale che si rifà

all’economia curtense del VIII secolo. Naturalmente l’idea di corte è rivista e plasmata in

funzione di nuovi bisogni ed aggiornata alle nuove tecnologie a disposizione; non è un

ritorno ideologico ad un passato lontano, che potrebbe far pensare ad una nostalgia per la

rigidità dell’organizzazione feudale e per i privilegi signorili dell’epoca, ma bensì il tentativo

30

Per ulteriori approfondimenti rimando agli scritti di Fragiacomo (1996 - Fabbrica e comunità a Monfalcone), Delli Zotti (2005 - La miniera delle appartenenze) e alla tesi di laurea di Biccarino (2009 - Torviscosa come company town)

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31

di riprodurre un modello socialmente funzionale, ordinato e controllato, che portava già in

seno i caratteri fondamentali dei villaggi sociali.

4.1 La corte come ideale socio-economico

Le prime apparizioni vanno ricercate agli inizi dell’anno 700 quando queste forme

organizzative si affermano e cominciano a diffondersi in tutta Europa, fino almeno al X

secolo. L’affermarsi del sistema curtense in Italia è legato alla penetrazione dei Franchi e si

sviluppa soprattutto nei territori di influenza longobarda, in cui erano già presenti sistemi

insediativi autonomi e indipendenti, o per meglio dire “chiusi”, le cui caratteristiche

presentavano già i segni d’un evoluzione in questo senso. Il modello economico-sociale

importato dai Franchi infatti si diffonde prevalentemente nell’area padana (restano escluse

le zone periferiche come Trentino e Friuli) fino ai territori tosco-emiliani. Rimangono al di

fuori di questa contaminazione le zone dell’Italia centro-meridionale, i cui territori

conservarono un’autonomia strettamente collegata alla tradizione romana, immuni

dall’invasione longobarda31.

Questa forma di organizzazione, che si colloca nel mezzo del passaggio tra l’epoca

romana delle villae e le strutture propriamente feudali tipiche del periodo medievale, è stata

favorita da una serie di eventi storico/sociali di grande valenza. Un numero elevato di

individui è passato da una situazione di indipendenza e libertà individuale ad una condizione

di assoggettamento volontario, posto sotto la tutela di un proprietario terriero (che

diventerà poi signore feudale), in un periodo caratterizzato da un preoccupante e

generalizzato vuoto di potere. L’assenza di un’autorità centrale ha inoltre favorito un rapido

deterioramento del sistema viario esistente, reso efficiente durante la dominazione romana

31

I passaggi descritti, soprattutto per quanto concerne le differenze tra sistema longobardo e tradizione romana, risultano, aimè, affrontati in maniera rapida; per maggiori informazioni sull’argomento rimando ad Andreolli, Montanari (1993), L’azienda curtense in Italia, cap. 11 – L’Italia senza corti.

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32

soprattutto per esigenze militari, che permetteva rapidi collegamenti dalle zone centrali a

quelle periferiche.

L’interruzione delle linee di comunicazione ha portato ad una tendenziale

disgregazione del sistema e ad un allontanamento, sia in termini fisici che da un punto di

vista psicologico (in termini di visione del mondo), di luoghi primi vicini tra loro, con una

conseguente chiusura autarchica dei singoli sistemi insediativi. La società si è calata in una

nuova dimensione localistica del vivere che ha avuto come principali conseguenze

l’isolamento degli insediamenti sparsi nelle campagne italiane ed un’insicurezza

generalizzata ad ogni livello.

Il modello curtense si inserisce in questo contesto, in cui i piccoli proprietari terrieri

sono disposti a cedere i propri terreni ai grandi signori, favorendo così l’aggregazione e

l’unificazione di vasti territori nelle mani di pochi proprietari; “l’ingresso in una curtis poteva

significare per il piccolo proprietario un effettivo miglioramento del tenore di vita: maggior

protezione, dietro lo scudo del signore; maggior sicurezza, all’interno di un’unità economica

più ampia e complessa, che nei momenti di crisi produttiva poteva meglio rispondere alle

difficoltà dei singoli*…+; senza contare che, spesso, chi entrava in una curtis otteneva da

lavorare non solo quel po’ di terra che egli stesso aveva ceduto al signore, ma, in più, altra

terra, che andava ad integrarsi con la prima dando maggior respiro ed organicità all’azienda

colonica. Complessivamente, per l’ex piccolo proprietario di precaria condizione economica,

la situazione diventava migliore, o, almeno, più sicura, più garantita”32.

La corte si presenta, dunque, come unità economica, chiusa ed indipendente, a

controllo, diretto o indiretto, di un possidente terriero. Si compone di due parti: la prima

(pars dominica) sotto il diretto controllo del signore; la seconda (pars massiricia) invece,

affidata al lavoro autonomo dei coloni, i quali possiedono così una parziale autonomia

restando però legati al proprietario da una serie di vincoli, che vanno da una certa quota di

lavoro obbligatorio nei terreni padronali (corvées) a determinate quote di prodotto agricolo

pagate come tasse per la concessione dei terreni. Si può scorgere in questi rapporti di lavoro

una sorta di “abbozzo” del modello mezzadrile. La funzione della corvée, però, non si esplica

solamente nel semplice aspetto economico, come riscossione di tributi, ma bensì determina

32

Andreolli, Montanari (1993), L’azienda curtense in Italia, pagg. 73-74

Page 33: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

33

una chiara volontà di dominio fisico sui propri sudditi da parte del signore. Andreolli la

definisce come “diritto di disporre della persona e del suo lavoro”33 rimarcando l’esistenza

del rapporto di forza che intercorre tra padrone e suddito, e fornendo così la chiave di

lettura per interpretare le dinamiche sociali caratterizzanti il periodo medievale.

La parte più interessante del sistema-corte, tuttavia, riguarda ciò che prima abbiamo

definito pars dominica. Essa è, come detto, la parte direttamente controllata dal signore, alle

dipendenze del quale lavora una schiera di servi, detti praebendarii, le cui condizioni si

avvicinano molto agli schiavi di epoca romana: erano a completa disposizione del padrone e

ricevevano da esso alloggio, protezione e nutrimento. La direzione dei lavori viene affidata

ad amministratori, o fattori o comunque uomini di fiducia del signore, che conducono

l’economia aziendale in nome del padrone, il quale solitamente non risiede in pianta stabile

all’interno della corte. Anzi, il più delle volte essa rappresenta una delle innumerevoli

proprietà possedute, non certamente l’unica.

L’obiettivo principale della corte è il raggiungimento di uno stato di autosufficienza,

dettato principalmente dalle tendenze localistiche fortemente influenzate dal processo

storico in atto. In Andreolli viene descritta come “vero «mito» della società altomedievale, in

cui si esprimevano, ad un tempo, l’insicurezza del sostentamento quotidiano e l’orgoglio di

possedere tutto”34. E’ su queste basi che si fonda il modello economico curtense, ripreso poi

nel progetto dell’Ingegner Dante Fornasir per la creazione del Borgo: chiusura quasi totale

dei rapporti esterni, ad eccezione dei beni non ottenibili dal lavoro in loco, per sopperire ad

un ambiente non favorevole e ad un periodo critico35. Il deterioramento delle vie di

comunicazione e l’assenza di un potere forte e centrale hanno ridotto quasi a zero commerci

e collegamenti, di idee, beni e persone, obbligando i centri agricoli ad un modello di sviluppo

bloccato: l’autosufficienza, più che una scelta, risulta una necessità. Per assicurare tale

necessità autarchica, il sistema-corte comprende al proprio interno tutto ciò che è

necessario per la sopravvivenza di una comunità.

33

Andreolli, Montanari (1993), op. cit., pag. 18 34

Andreolli, Montanari (1993), op. cit., pag. 17 35

Verranno affrontate nella Seconda parte della tesi le tematiche riguardanti le condizioni dei contadini friulani della prima metà del Novecento, soprattutto nel periodo tra le due guerre (Cap. 5, La situazione friulana nel ‘900).

Page 34: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

34

Andreolli e Montanari descrivono in questo modo la complessità produttiva interna

alla corte:

All’interno di ogni azienda si coltivavano cereali, legumi, ortaggi; si produceva vino; si

allevavano bestie da carne, da latte, da lana (maiali, pecore, capre), da lavoro (buoi), da trasporto

(asini), oltre al pollame domestico, alle oche, alle anatre, alle api che davano il miele; si

coltivavano fibre tessili (lino soprattutto, e talvolta canapa). Il legname per il riscaldamento, per

gli edifici, per gli attrezzi si raccoglieva nel bosco che immancabilmente era presente accanto ai

campi coltivati.

Anche i manufatti artigianali si fabbricavano in gran parte sul posto, ad opera sia dei

servi del dominico, sia dei coloni del massiricio. Così il ricorso al mercato si faceva solo in casi

eccezionali *…+.36

Da questa esperienza emerge, dunque, un’immagine della corte che si avvicina ad un

microcosmo autonomo ed organizzato, ripiegato su se stesso e dotato di una propria

gerarchia sociale statica e ben definita. Appunto la chiusura e la sicurezza fornite dal modello

curtense verranno riprese qualche secolo più tardi con lo sviluppo dell’unità produttiva della

cascina a corte, tipica soprattutto della zona padana, lombarda e piemontese in particolare.

4.2 Il modello produttivo e sociale della cascina lombarda

L’esperienza curtense appena descritta, viene riproposta, qualche secolo più tardi,

nelle sue caratteristiche essenziali grazie alla funzionalità del suo modello, portatore di

sviluppo. La tipologia di azienda che viene a crearsi prende le forme della cascina a corte e

andrà a caratterizzare l’economia agraria di tutta la Pianura Padana, a partire dal XIII secolo

fino ad arrivare a metà del Novecento.

Nel XI secolo il modello curtense, come inteso nel paragrafo precedente, entra in crisi

lasciando spazio ad un modello meglio definito come castrense, in cui i proprietari terrieri

36

Andreolli, Montanari (1993), op. cit., pagg. 16-17

Page 35: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

35

modificano il proprio atteggiamento e si arrogano di nuovi diritti e poteri diventando dei veri

e propri signori territoriali. Le prestazioni d’opera (corvées) e i pagamenti con i prodotti del

lavoro scompaiono a favore di canoni in denaro fissi, facendo così venir meno la

caratteristica essenziale dell’azienda curtense, quella cioè che legava direttamente la servitù

con il padrone.

Andreolli e Montanari, tenendo conto di queste trasformazioni, decretano “una lunga

e inesorabile agonia”37 del Medioevo curtense ma non descrivono questa fase come una

drastica rottura che porta ad uno sviluppo diverso. Se agonia o no c’è stata, infatti, è

indubbio affermare che le modalità di organizzazione produttiva sono rimaste tali, o quanto

meno hanno subito una notevole influenza dal periodo medievale. Il declino lento ha

permesso così un mantenimento, e quasi una memoria, delle caratteristiche principali

creando le condizioni per una ripresa, qualche secolo più tardi, del modello sia da un punto

di vista economico che sociale. Sono del 1400, infatti, le prime cascine moderne (come

vengono intese oggigiorno) anche se alcuni documenti del XII secolo citavano già il termine

“cascina” o “cassina” di derivazione latina, intendendo con esso un “contenitore di edifici,

persone, animali e cose”38.

Il modello curtense ha in questo modo determinato lo sviluppo e l’andamento di

cinque secoli di storia agraria padana, terminando appena la sua spinta produttiva negli anni

Cinquanta del Novecento. La sua fine è causata dalla meccanizzazione della produzione e dal

conseguente abbandono delle campagne, soprattutto da parte dei giovani attratti dalle

nuove opportunità industriali e dalle luci delle città.

La caratteristica principale, e l’elemento propulsivo, che ha portato all’egemonia di

tale sistema è essenzialmente la coincidenza e la sovrapposizione degli aspetti abitativo e

produttivo, concentrati nello stesso luogo, chiuso e isolato. La cascina, infatti, si presenta

come un sistema complesso e completo che crea una stretta relazione tra vita e lavoro: i

dipendenti dell’azienda trovano in essa impiego e protezione, alloggio e sostentamento.

Dai villaggi disgregati e disomogenei, sviluppati spesso attorno alla chiesa e tipici

delle campagne trecentesche, si è passati, grazie all’azione di possidenti terrieri spinti

37

Andreolli, Montanari (1993), op. cit., pag. 213 38

Locatelli (1994), La cascina e le sue parti: origini, trasformazioni e decadenza, pag. 18

Page 36: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

36

dall’aumento della produzione e dai proventi agricoli, alla costruzione di sistemi organizzati

in cui vengono integrati allevamento e agricoltura (cosa innovativa all’epoca, in quanto

questi due aspetti erano slegati ed indipendenti) e messi in stretta relazione con la vita della

comunità. I proprietari investono cospicui capitali, comprendendo il tornaconto economico

che tali realtà avrebbero portato, gettando le basi per un sviluppo capitalistico

dell’agricoltura padana. Gli ampi spazi della campagna lombarda si prestano bene alla

creazione di questi villaggi, compatti e a ciclo chiuso, spesso isolati dai villaggi esistenti,

costruiti talvolta da zero oppure sfruttando l’esistenza di vecchi edifici colonici già presenti.

L’iniziativa individuale dei proprietari terrieri fa sì che le cascine non abbiano uno

sviluppo omogeneo e che non si presentino uguali tra loro nella forma e nelle origini; si

possono riscontrare però in esse alcuni tratti comuni distintivi che si ripetono, come un

modello, in ogni caso conosciuto.

Elemento comune ed emblema della struttura è il cortile. Racchiuso dai fabbricati che

si sviluppano attorno, esso è allo stesso tempo elemento “utile” e simbolico. In questo

spazio si svolgono svariati lavori, dalla spannocchiatura all’essicazione, ed al contempo esso

è elemento di socializzazione e di incontro. A seconda dei lati coperti dagli edifici si

classificano i diversi tipi di cascine: a corte chiusa, a U con il quarto lato chiuso da una cinta

muraria oppure lasciato aperto, a L (chiusa su uno o due lati oppure aperta), a elementi

contrapposti o a elemento unico. Sono essenzialmente i primi due tipi ad essere considerati i

veri esempi di cascina lombarda, in genere più antichi e situati in aperta campagna.

La chiusura, riprendendo il tema dell’economia curtense, oltre che una scelta risulta

essere, il più delle volte, una necessità. Talvolta dotate di fortificazioni e di torrette di

avvistamento, le costruzioni erano tali per difendersi da eventuali furti e attacchi di banditi,

soprattutto nelle ore notturne: “una volta sprangato il portone, la cascina era quasi una

fortezza”39.

La lontananza dai centri abitati e la difficoltà di collegamento con essi comportano

poi la necessità di sopperire in loco a tutte le esigenze essenziali per il sostentamento. Tutte

le fasi della produzione vengono effettuate all’interno della struttura, in questo senso si

39

Colombo, Le cascine di Milano: antiche testimonianze di un mondo contadino. Fonte http://www.storiadimilano.it/repertori/cascine/cascineweb.htm

Page 37: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

37

parla di cascina come sistema a ciclo chiuso. Le cascine più grandi e complesse sono dotate

di forno, torchi, mulini e macine e possono essere viste come punto d’appoggio per le

eventuali cascine circostanti di minor dimensioni. Ogni edificio viene costruito in funzione di

un uso razionale e pianificato e sulla base di tale organizzazione le case dei lavoratori sono

disposte a seconda della mansione da essi svolta o del gruppo sociale a cui appartengono.

L’intelligenza e la razionalità di questo sistema sono gli aspetti che hanno permesso la sua

evoluzione e hanno trasformato la cascina nell’elemento trainante dello sviluppo economico

e della modernizzazione dell’agricoltura padana.

In ogni cascina si trovano le stalle per le mucche, i buoi e i cavalli, con accanto ad esse

l’abitazione del capo-stalla e dell’addetto a ciascun animale; solitamente costruita “nei pressi

di una delle due entrate della cascina c’era la stalla dei buoi, animali pigri e quindi più

prossimi alle porte, con accanto l’abitazione del capo bifolco o del bifolco addetto”40. Sopra

le stalle trovano posto i fienili, direttamente collegati con la stalla sottostante, in modo da

far passare più velocemente il cibo; nella parte retrostante è ubicata la concimaia con sopra

costruiti i servizi igienici. Tutto viene costruito in maniera sistematica e con logica

utilitaristica. Stalle, fienili, depositi, porcilaie e pollai sono disposti in base alla loro funzione e

raggruppati per affinità. Vengono comunemente accomunati sotto la denominazione di

rustici.

In continuità con le stalle e le abitazioni annesse c’è la casa padronale, del

proprietario o semplicemente del fattore, riconoscibile per la forma tipicamente a due piani

e dotata di comfort maggiori rispetto agli edifici circostanti. Essa è “ubicata in una posizione

che permette un controllo sull’attività interna dell’azienda, *…+ spicca sia per la dimensione

che per alcuni elementi architettonici (il portico affacciato sull’aia e spesso una loggia) o

particolari decorativi”41. Sul tetto talvolta trova posto una campana, che a seconda delle

situazioni poteva suonare a festa, o come richiamo per la fine della giornata lavorativa

oppure come segnale di allarme in caso di pericoli.

40

Locatelli (1994), op. cit., pag. 25, si evidenzia in questo passo la logica nella progettazione degli spazi della cascina e l’esistenza di addetti specializzati per i diversi animali.

41 Colombo, op. cit., fonte http://www.storiadimilano.it/repertori/cascine/cascineweb.htm

Page 38: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

38

Le case dei contadini, invece, ricavate da un fabbricato a corpo semplice stretto e

allungato, privo di elementi decorativi, e posizionate lungo un lato del cortile, sono

composte solitamente da due stanze: una cucina al pian terreno dotata di focolare, usata

come zona-giorno, e una camera da letto al piano superiore. Sono essenzialmente prive di

ogni comodità. In un rapporto del Vescovo di Cremona del 1895 vengono descritte con le

seguenti parole: “Con meraviglia e non senza pena ne vidi (di case dei contadini, NDA) di

molte anguste, senza luce, senza soffitti, senza vetri, difese da impannate di carta, prive

d’aria, prive di pavimento, colle pareti nere, scrostate...buche, tane...dai tetti gronda acqua,

mentre in estate quelle famiglie bruciano dal calore, vi gelano durante l’inverno...”42, a

testimonianza delle condizioni tragiche che talvolta potevano presentarsi.

Oltre agli edifici già accomunati sotto la definizione di rustici, più vicino alla zona

“nobile” e non accostabili ai lavori pesanti sono disposti altri importanti elementi costitutivi

e caratterizzanti della cascina: il forno per il pane, sopra il quale vi è uno spazio adibito ad

asciugatoio per la biancheria, che sfrutta così il calore del primo; la lavanderia, che

comprende al proprio interno vasche in pietra e stufe per l’acqua calda; la cantina, situata in

prossimità o facente addirittura parte della casa padronale; l’arsenale (a cui viene accostata

l’officina), in cui si ripongono e si aggiustano gli attrezzi, avente anche la funzione di rimessa

per i materiali utili alle riparazioni. Elemento ormai in disuso ma tipico di ogni cascina, ed

importantissimo per l’economia del sistema, era la ghiacciaia: il più delle volte interrata, era

costituita da un locale che veniva riempito di ghiaccio o neve durante l’inverno, e

mantenendo una temperatura interna costante, permetteva di conservare formaggi ed altri

alimenti deperibili durante il periodo estivo.

Nelle cascine più grandi e complesse si possono trovare anche il caseificio e il mulino,

mentre quelle con un numero elevato di abitanti (che superano di gran lunga le cento

persone), il più delle volte isolate dai centri cittadini, hanno al proprio interno una chiesetta,

botteghe di alimentari, osterie o rivendite di vino. Non è rara la presenza pure di veri e

propri distaccamenti scolastici che potevano ospitare al proprio interno anche ragazzi delle

cascine circostanti.

42

Fonte http://www.storiadimilano.it/repertori/cascine/cascineweb.htm

Page 39: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

39

Come si può notare, la struttura della cascina è caratterizzata da una notevole

complessità e da una completezza produttiva che la dotano di una sostanziale ed tangibile

autonomia, creando le condizioni per un sistema che si può definire a tutti gli effetti

autarchico. Un sistema che “basta a se stesso” e nel contempo produce ricchezza e profitti

che nuovamente investiti permettono la creazione di un circolo virtuoso. Ciò permette di

garantire una qualità della vita relativamente elevata, soprattutto se confrontata con le

condizioni degli abitanti dei villaggi o delle altre realtà contadine del resto d’Italia.

Il funzionamento ottimale della cascina non è, però, inscrivibile solamente alla

disponibilità (e alla varietà) di edifici complessi e funzionali, che permettono un’economia

chiusa e completa. Fondamentale è la stratificazione sociale e la rigida divisione dei ruoli che

permette a questo microcosmo una stabilità e un ordine rari per l’epoca.

La cascina garantisce (o meglio garantiva) vita e lavoro a circa 20 famiglie, per un

totale di oltre 100 abitanti. Si tratta di una struttura plurifamiliare allargata, non sempre

facile da gestire ed organizzare. Il responsabile del mantenimento dell’azienda e dell’ordine

all’interno di essa è il fattore, delegato direttamente dal proprietario a prenderne le veci, e

legato a quest’ultimo tramite contratti d’affitto che avevano una durata di 9-12 anni, ma che

in realtà potevano durare quasi “a vita”. Questa tipologia di contratto “a tempo (quasi)

indeterminato” rendeva a tutti gli effetti il fattore il vero artefice del successo (o insuccesso)

economico dell’azienda.

Alle dipendenze del fattore sottostanno tutti gli altri lavoratori, in genere dei salariati

fissi che per contratto hanno diritto al lavoro, all’alloggio, al vitto e ad un orto indipendente;

questi potevano essere affiancati nel lavoro, soprattutto in determinati periodi dell’anno (in

particolare durante i raccolti), da braccianti giornalieri o stagionali che risiedevano nei

villaggi e che in certe occasioni potevano venir ospitati all’interno della cascina.

Tra i lavoratori fissi le mansioni sono suddivise in maniera specifica e gerarchica;

ognuno è specializzato in un determinato lavoro e nella vita della cascina svolge solamente

quel compito. Locatelli nel proprio articolo elenca i seguenti ruoli che possono presentarsi

all’interno di una cascina di medio-grandi dimensioni.

Page 40: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

40

“il capo cavallante, i cavallanti, il capo bifolco, i bifolchi, il capo stalla (detto anche capo

bergamino), i bergamini, il capo mandriano, i mandriani, i contadini-salariati effettivi, il capo

degli avventizi, i braccianti (avventizi assunti per lavori stagionali), i giornalieri (avventizi assunti a

giornata), gli adacquaroli, il camparo, gli ortolani-giardinieri (che accudivano gli orti e i giardini del

conduttore del fondo o del proprietario), i vignaioli, il porcaro (nel caso di numerosi maiali

appartenenti al proprietario o al conduttore del fondo), il casaro, il sellaio, il bigattiere (per bachi

da seta), il tessitore, l’esperto in tabacchicoltura, il sarto, il falegname, il muratore, «il fattore dei

tetti», lo stagnaro, il ciabattino o lo zoccolaro, l’oste, il barbiere, il maestro, il prete dov’erano

presenti una discreta comunità ed una chiesetta di pertinenza della cascina”43

.

Il risultato è quindi una comunità complessa, ordinata e gerarchica, che tende a

presentare le stesse caratteristiche e gli stessi problemi che emergeranno, a partire dalla

seconda metà dell’Ottocento, nei villaggi operai costruiti su modelli sociali ben determinati.

Infatti accanto all’elevato standard di servizi offerti, accanto alle abitazioni (non

sempre) dignitose, ad uno stipendio se non cospicuo almeno assicurato, ad una vita di

comunità forte, o se vogliamo “partecipata”, emergono tutta una serie di limiti tipici delle

esperienze utopiche conosciute. Innanzitutto vi è l’aspetto paternalistico, per meglio dire

gerarchico, che riduce tutta la vita di comunità in funzione della volontà del signore; vi è poi

ciò che Gasparini (2005) ha definito in termini di integrazione a tempo, “per la quale una

persona, e la sua famiglia, resta nella comunità e ne gode i vantaggi da welfare fino a quando

è dipendente dell’azienda: se va in pensione o vuole allontanarsi *…+ perde i benefici offerti

dalla comunità”44; infine vi si può leggere anche una delusione per la vita (sempre in

Gasparini, 2005), resa evidente dalla staticità del modello stesso, bloccato e fermo su se

stesso, che non permette un pieno sviluppo dell’singolo: il risultato è un individuo che viene

privato delle proprie ambizioni e dei progetti che rendono la vita meritevole di essere

vissuta.

La bellezza e l’importanza sociologica del modello della cascina lombarda è dato, in

definitiva, dalla caratterizzazione sociale che emerge con forza da esso; è questo l’aspetto

principale che differenzia la cascina da ogni altra forma di produzione agricola di quell’epoca

43

Locatelli (1994), op. cit., pag. 30 44

Gasparini (2005), op. cit., pag. 8, il concetto di integrazione a tempo è già stato citato al par. 2 “L’uomo nuovo industriale e moderno”.

Page 41: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

41

(e anche delle successive); caratteristica che possiamo definire quasi “spontanea” ed

“involontaria” e che avvicina la cascina ai modelli utopici delle company towns, anticipando

però in qualche modo i modelli stessi.

Concludendo l’argomento, intendo proporre la definizione di company country per

riferirmi ad un determinato e circoscritto modello di sviluppo che prende il via a partire da

questi presupposti: un villaggio rurale costruito e sviluppato su basi innanzitutto sociali ed

economiche, promotore di un rudimentale sistema di welfare aziendale, autarchico ma allo

stesso tempo dinamico e capitalistico, avente la possibilità di fornire un livello di vita elevato

e di gran lunga superiore rispetto al mondo al di fuori di esso.

4.3 Latina e il mito della città rurale

Il presente tentativo di ricerca di utopie, insediative e sociali, legate al mondo rurale

non poteva che concludersi chiamando in causa il caso della città di Latina. Essa risulta

emblematica perché racchiude in se le caratteristiche della città nuova, con gli aspetti

positivi e negativi che ne conseguono, avvicinandosi ideologicamente, allo stesso tempo, al

mondo agreste e alla vita di campagna.

La città nasce nel 1932 (data ufficiale il 18 dicembre) al centro di un'ampia zona

strappata alla palude con un ingente opera di bonifica che ha visto l'utilizzo di 18 grandi

idrovore e la costruzione di oltre 16 chilometri di canali, per volontà del Governo di Roma. La

politica fascista di recupero delle aree agricole non utilizzate e il conseguente ripopolamento

delle campagne porta alla creazione di 3.040 case coloniche che dividono i 135 mila ettari di

pianura, divisi tra agro Pontino e agro Romano, in unità terriere produttive. I poderi vengono

affidati alla cura e al lavoro di migliaia di contadini veneti, friulani ed emiliani sollecitati dal

regime a spostarsi dalle proprie case e ad occupare i territori redenti con l'intenzione di

risolvere, almeno in parte, i problemi di miseria e sovraffollamento che falcidiavano il nord-

est italiano. Il programma di “bonifica integrale” e il trasferimento forzato di intere famiglie

Page 42: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

42

contadine completavano, assieme alla famosa “battaglia per il pane”, alle politiche

demografiche e all'imposizione di dazi protezionistici, il disegno autarchico voluto dal Duce.

L'agro Pontino bonificato necessita allora di un centro organizzativo e di servizio, in

quanto l'esistente città di Cisterna è troppo decentrata e poco funzionale per i nuovi

territori. Attorno ad un già presente nucleo di edifici eretti dai coloni e dai tecnici idraulici

durante la fase di bonifica, viene progettata ad opera dell'architetto Oriolo Frezzotti, per

ordine diretto di Mussolini, la città di Littoria. Nasce essenzialmente come città agricola,

strettamente legata all'area produttiva circostante, con gli edifici che richiamano anche

esteticamente il carattere di borgo rurale voluto imprimere e che nella forma rispettano

criteri di semplicità con pochi elementi innovativi. Nella progettazione viene applicato un

modello radialconcentrico che permette un collegamento organico del centro con i borghi

circostanti, formati dall'aggregazione dei poderi colonici. Il centro geometrico e simbolico

della nuova città risulta essere il Quadrato, ovvero la piazza posta a testimonianza di quel

nucleo di edifici originari, su cui si affacciano il Palazzo Comunale, le case dell'Azienda

Agraria, l'edificio dell'Ordine Nazionale dei Combattenti e dell'Ispettorato dell'Azienda

Agraria. Da esso si diramano le strade principali verso l'esterno, in uno sviluppo che richiama

la struttura stellare della città di Palmanova45 ma che si differenzia da essa per

l'asimmetricità dei viali che convergono al centro. I boulevard sono poi intersecati da un

anello di strade a ridosso della piazza che ricordano molto da vicino la pianificazione

howardiana della città-giardino e conferiscono un disegno quasi utopico al progetto.

L'esecuzione del piano dei lavori e la costruzione della città avvengono nell'arco di

pochissimo tempo: in nove mesi (5 aprile – 18 dicembre 1932) da un territorio prima

paludoso e malsano sorge una città nuova, dotata di comfort e servizi, che diventa comune

nel 1933 e capoluogo di provincia nel 1934, seconda in regione per numero di abitanti,

dietro solamente a Roma. Il nome Littoria viene cambiato nel 1946 nell'attuale Latina.

La rapida genesi e la bontà del progetto trasformano la città nel simbolo del fascismo:

vengono esaltati il sacrificio e l'intelligenza degli uomini portatori di civiltà in un ambiente

45

Rimando all'articolo di Ludovico Millesi pubblicato nel volume Piccole città, borghi e villaggi edito dal Touring Club Italiano nel 2007 e consultabile all'indirizzo web: http://www.esteticadellacitta.it/cityimage/ritratti/latina.pdf

Page 43: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

43

ostile come quello che si presentava allora. Diventa l'emblema di una “politica pacifica e

votata alla riconquista di ogni centimetro del *…+ territorio”46 e conferisce al Duce

legittimazione per la futura politica colonialista.

Latina rappresenta, dunque, la volontà di “addomesticare” e rendere vivibile un

territorio difficile, dimostrando così la superiorità umana, e in questo caso dell’uomo italico,

portatore di progresso e creatore di benessere. La città diventa “mito” in quanto risulta

essere la sintesi tra un movimento modernizzante, la città in se stessa, ed un richiamo alle

origini: la ruralità in questo caso non è un dato di fatto, come nel caso della cascina, ma una

rivisitazione e una rievocazione di un passato glorioso, un modo per creare gli “«uomini

nuovi» del fascismo, vicino alle antiche virtù degli italiani, legati alla terra, e capaci di

«servire» devotamente la causa del produttivismo nazionalista”47.

Il caso di Latina non presenta modelli sociali o produttivi che rientrano direttamente

nella logica del presente lavoro. Modelli predefiniti e statici, ed in quanto statici anche

“utopici” (perché la predeterminazione di un modello implica a monte l’esistenza di un

preciso disegno illuminato e funzionale), che avrebbero potuto fungere da chiave di lettura

per lo studio di Borgo Fornasir. Nel caso della corte l’elemento fondamentale era dato dalla

creazione di un modello economico-sociale valido, portatore di sviluppo e fornitore di

sicurezza; nella cascina, oltre al miglioramento economico e alla sicurezza, lo sviluppo ha

significato benessere e condizioni di vita adeguate (sempre se confrontate con la situazione

circostante) per lavoratori e braccianti. Nel terzo caso, invece, il carattere utopico è dato

dall’accento posto sull’opera di bonifica e sull’attività di rivalsa dell’uomo che riprende

possesso dei territori malsani. Inoltre, utile e funzionale come strumento d’analisi appare il

richiamo alla ruralità e la volontà di “vestire” la città con abiti da campagna, in modo da

creare una sintesi tra mondo urbano, con i suoi servizi, con l’efficienza e l’organizzazione del

lavoro, con gli elevati standard di vita, e il mondo agreste, della country, con i suoi valori, con

l’armonia dei rapporti sociali, con il contatto diretto con la natura.

46

La citazione è presa dai documenti presenti nel sito ufficiale del Comune di Latina http://www.comune.latina.it/layout.php?var=cultura-3 nel capitolo intitolato Inaugurazione della Città.

47 Tranfaglia (1995), La prima guerra mondiale e il fascismo, pag. 513

Page 44: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

Parte Seconda

Il Borgo Fornasir

Page 45: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

45

5. La situazione friulana nel ‘900

Lo spazio fisico interessato dalla presente ricerca rientra nel vasto lembo di territorio

rappresentato dalla zona delle risorgive che comprende tutta la “Bassa Friulana”, ovvero la

bassa pianura compresa tra i due fiumi Tagliamento e Torre, e, più propriamente, che si

estende dalla città di Latisana a Cervignano del Friuli.

Agli inizi dell'800 si presenta come un territorio potenzialmente fertile, scarsamente

abitato e con un'attività agricola approssimativa. Il limitato sviluppo della zona è da imputare

soprattutto alla presenza di paludi, boschi e pascoli estesi su tutta la superficie. Nel 1850

rappresentavano all'incirca il 58% di tutta la pianura, mentre del restante 42% solamente la

metà era adibita a seminativo1. Percentuali così elevate di ambienti paludosi e malsani hanno

contraddistinto da sempre questa particolare area, limite estremo della grande Pianura

Padana che si caratterizza per i terreni prevalentemente argillosi e per la fascia di risorgive

che la delimitano da nord-ovest a sud-est, separandola nettamente dai territori ghiaiosi e

aridi dell'alta pianura e della zona dei magredi. Le acque che, scendendo dai monti,

penetrano nel sottosuolo dell'alta pianura, incontrando il terreno argilloso e impermeabile

della Bassa sono costrette a riemergere in superficie creando una zona umida e ricca di

vegetazione che va a concludersi, congiungendosi, con la laguna di Grado e Marano2. Le

ampie estensioni boschive e i prati umidi rendono il territorio florido e ricco di materie

prime, ma limitano la “formazione di insediamenti umani *...+ a pochi villaggi di capanne e

occasionali ricoveri stabili nelle zone più interne”3.

Entrando più nello specifico la stessa “zona delle risorgive” può essere divisa in tre

sotto-zone ognuna con diverse peculiarità idrogeologiche caratterizzanti. Attenendosi alla

situazione del 1920 si possono così esemplificare:

1 Dati confrontabili con Gaspari (2002), Le lotte del Cormor, pag. 3

2 Per una descrizione più dettagliata e specifica della situazione idrogeologica dell’intero Friuli V.G.

faccio riferimento al sito internet Arpa FVG: http://www.arpa.fvg.it/index.php?id=169 3 Gaspari (2002), op. cit., pagg. 24-25

Page 46: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

46

1. “Zona superiore, estesa per 25.000 ettari, comprendente il perimetro delle risorgive

(limite nord e sud della risorgenza), per la massima parte impaludata a causa

dell'enorme quantità di acqua della falda freatica liberamente defluente alla

superficie.

2. Zona intermedia, a valle della linea inferiore di risorgiva, estesa per 23.000 ettari,

relativamente asciutta, boscosa, attraversata dai corsi d'acqua originati dalla zona

superiore.

3. Zona inferiore o circumlagunare, di 21.000 ettari, quasi completamente palustre,

intercalata da boscaglie anche estese”4.

Proprio in quest'ultima zona si inserisce la città di Cervignano, e dunque alla sua

periferia pure il Borgo Fornasir, su cui nel dettaglio entreremo più avanti.

Nonostante la situazione drammatica in cui imperversa la pianura paludosa del basso

Friuli, essa non è totalmente disabitata. Al contrario, fa da contorno a numerosi villaggi ed

insediamenti rurali che vengono abitati con immense difficoltà da contadini e braccianti

lungo tutti gli ultimi due secoli. In queste zone si vive in condizioni disagiate, con

un'agricoltura arcaica e modalità di produzione precapitalistiche, non paragonabili alla

situazione che nello stesso periodo andava a formarsi nelle vaste pianure lombarde.

È soprattutto un'indecisa, e quanto mai disorganica, politica di risanamento che ha

segnato fortemente lo sviluppo della zona, a causa soprattutto di un continuo cambio

amministrativo che ha visto, negli ultimi due secoli, dapprima la dominazione veneta, poi

l'influenza dell'impero asburgico che intramezza una prima ed una definitiva riconquista dello

Stato italiano. Questo articolato cambio di “proprietario” non ha permesso di affrontare

adeguatamente il tema del risanamento, se non in minima parte nel periodo asburgico, nella

zona più orientale del territorio, e durante il regime fascista. Nella contea di Gorizia e

Gradisca, di cui il cervignanese faceva parte, infatti sono stati presi provvedimenti legislativi

4 Gaspari (2002), op. cit., pag. 22

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47

nel 1870 e nel 1884, ma essi riguardavano “sussidi pubblici per opere di bonifica idraulica”5 e

non un vero e proprio progetto unitario che poteva garantire un miglioramento della

situazione.

Bisogna, se ci si riferisce allo stato di arretratezza delle campagne friulane, tener

conto anche delle ostinazioni dell’aristocrazia terriera, che in più di un’occasione ha

interrotto progetti unitari di bonifica, per mantenere così lo status quo delle campagne e

tenere in pugno le sorti dei contadini locali, soprattutto mezzadri e braccianti.

Gaspari dà questa immagine della situazione nei primi due decenni del secolo scorso:

“Nei primi decenni del secolo, la Bassa Friulana rimaneva agli stessi livelli sociali ed

economici del secolo precedente. Il mondo si muoveva verso la modernità ma nella Bassa

coesistevano, accanto alle grandi aziende *…+, ancora i boschi comunali, il cui uso economico era

affatto trascurabile per le popolazioni.

La popolazione era dispersa nelle campagne in migliaia di case di paglia e travi, o, per i

più benestanti, di mattoni, mentre gli insediamenti più grossi non superavano mai la soglia tra

villaggio rurale e cittadina.

Nel 1903 tutta la Bassa Friulana sotto la zona superiore delle risorgive venne classificata

come malarica. Le acque stagnanti, le vaste estensioni di terreno sommerso, impregnavano l’aria

di miasmi mefitici ed erano causa di febbri endemiche.

Fu solo dopo il 1918 che si arrivò ad uno studio approfondito del problema di dare un

nuovo assetto economico-produttivo a tutta la Bassa Friulana”6.

Le condizioni in cui si trova il mondo rurale friulano sono di assoluta povertà e

miseria. I coloni e mezzadri, abbandonati a se stessi in un ambiente difficile, possiedono

strumenti di lavoro rudimentali, che permettono un lavoro approssimativo con una

conseguente scarsa produttività. I braccianti, non possidenti, chiamati anche “sotans” (in

friulano, letteralmente, colui che sta sottomesso) lavorano per alcuni mesi l’anno, rischiando

di rimanere senza occupazione per lunghi periodi. La produzione, prevalentemente di

sussistenza, non permette investimenti onerosi per migliorie tecniche. I grandi proprietari,

5 Ellero (1999), Il secolo delle bonifiche, pag. 64

6 Gaspari (2002), op. cit., pag. 33

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48

non interessati alla salute e alle condizioni dei lavoratori, affidano generalmente la terra ai

coloni con rapporti di mezzadria, scaricando su quest’ultimi oneri e costi, ricevendo in

cambio metà del prodotto finito. Le abitazioni, a qualsiasi livello, non permettono una vita

dignitosa, prive di acqua corrente ed elettricità, costruite con materiali umili e deteriorabili,

per nulla adatte ad un clima umido e stagnante come quello in cui sono inserite.

L’agricoltura è essenzialmente promiscua: accanto al granoturco trovano spazio

frutteti, viti e gelsi, assieme all’allevamento di animali di bassa corte, e poi pecore e maiali. La

sopravvivenza passa, però, anche attraverso la raccolta di piante spontanee e di legna da

ardere, raccolte nei campi comunali. Frequenti erano inoltre i furti campestri e la pesca di

frodo, oltre che la particolare caccia alla talpa, di cui poi si metteva ad essiccare le pelli per

essere successivamente vendute.

Sono i cosiddetti comunali, campi di proprietà dei Comuni, solitamente lasciati incolti,

ad essere la principale fonte di sopravvivenza delle popolazioni contadine. Rappresentavano

“una fonte semigratuita cui attingere per i bisogni di sussistenza: latte e altri prodotti

dell’allevamento pastorale, legname da bruciare, erbe alimentari ma anche ingrasso del

maiale, raccolta di fieno e strame, e anche legna da costruzione, una fonte di prodotti

supplementari che andavano ad integrare il bilancio della coltivazione di qualche campo

*…+”7. Un decreto austriaco, nel 1839, aveva imposto la fine di tale abitudine, ma la presenza

dei campi in comune è rimasta invariata nei decenni successivi, con alcuni strascichi fino alla

metà del ‘900 almeno; l’importanza, però, del decreto rimane tale in quanto segna l’inizio del

passaggio da un’economia arcaica, e con un uso promiscuo del territorio, ad un’economia

basata sull’azienda contadina familiare.

Non va dimenticato, inoltre, che la situazione, già di per sé critica, va inserita in un

contesto storico turbolento e concitato, quale quello della prima metà del Novecento.

Innanzitutto lo svolgimento di due guerre mondiali che, nella loro drammaticità,

hanno avuto come sanguinoso terreno di battaglia, tra i tanti, anche il Friuli. La ricostruzione

del “già poco a disposizione” è stata duplice, doppiamente sofferta e faticosa; ricostruire da

zero per poi riperdere tutto una seconda volta, nel pantano della Bassa, ha causato drammi e

7 Gaspari (2002), op. cit., pag. 33

Page 49: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

49

inutili sofferenze, che vanno a sommarsi ad una vita non facile, di stenti e lavoro. Senza

contare i lutti, numerosissimi, che hanno colpito indifferentemente ogni famiglia.

Gli anni Venti sono stati poi gli anni del fascismo e delle prime rivendicazioni

contadine, per la revisione dei patti colonici. In risposta alle violenze fasciste, le masse

organizzate di contadini si sono costituite in leghe bianche e rosse, creando i presupposti per

la lotta di classe che porterà a numerosi risultati politici e sociali, soprattutto negli anni ‘50.

Nel 1928, il progetto di “bonifica integrale” voluto da Mussolini, interessa

profondamente queste zone: la Bassa Friulana viene presa come emblema della

riconversione, da parte del regime, di tutti i territori malsani e prima non abitabili. Nella

logica del disegno autarchico, e in linea con la volontà di creare una società prettamente

rurale, a Roma viene propagandata un’immagine di un Friuli idillico e strettamente legato alle

tradizioni sane e genuine del passato, con abitudini tipiche del mondo contadino, sagre

festose e balli folkloristici.

La realtà vede, invece, un continuo aumento della disoccupazione, debiti ingenti che

pesano su quanti hanno cercato di apportare migliorie al processo produttivo, scarsa

richiesta di prodotti, aumento di braccianti e “sottani” come conseguenza della diminuzione

del numero di mezzadri e piccoli proprietari, che strozzati dai debiti si vedono costretti a

vendere ciò che hanno, e in gran parte emigrare.

Neanche l’inserimento, nel contesto friulano, di un impianto industriale

all’avanguardia come la SAICI di Torviscosa (inaugurata nel 1937) riesce a diminuire la

disoccupazione e a creare opportunità di lavoro, se non in minima parte.

Nel secondo dopoguerra il progetto di bonifica integrale non è portato a termine nella

sua totalità, i braccianti e i piccoli contadini hanno lavoro per pochi giorni al mese, la miseria

raggiunge ancora più della metà delle famiglie. L’economia è stagnante, e solamente le

rimesse degli emigrati dall’estero riescono a portare un po’ di ossigeno. La maggior parte dei

paesi sono “privi delle più elementari infrastrutture civili, privi di fognature, con

approvvigionamenti di acqua potabile di dubbia provenienza, *…+ soggetti ad epidemie di tifo

e di scarlattina”8.

8

Gaspari (2002), op. cit., pagg. 52-53

Page 50: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

50

Nonostante l’epilogo, da ormai cinque anni, della Seconda Guerra Mondiale, le

condizioni sociali e igienico-sanitarie della popolazione nel 1950 non sono per nulla

migliorate; con gli oltre 50.000 disoccupati che si contano in quel periodo il quadro non offre

di certo rosee previsioni.

Solamente le lotte contadine e le azioni sindacali riescono a portare un lento

miglioramento della situazione. La conquista dei diritti civili e sociali passerà attraverso

scioperi e agitazioni che riscatteranno in parte, e renderanno migliore, la vita misera dei

padri.

Bisognerà attendere gli anni ‘60 e ‘70 per vedere finalmente tramontare un Friuli

arcaico e tradizionale, a prevalenza contadino, a vantaggio di una società modernizzata e tesa

verso il futuro.

Page 51: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

51

6. La bonifica

La bassa pianura friulana, al di sotto della fascia di risorgive, si presenta, dunque,

all’inizio del ‘900 come un grande stagno acquitrinoso: circa 70.000 ettari coperti da fitta

boscaglia e prati incolti, che connotano e condizionano la vita rurale e lo sviluppo del

territorio.

Già alcuni tentativi, più o meno articolati, di bonifica erano stati provati in passato, su

singole proprietà o appezzamenti di non molto elevate dimensioni. Nel 1690 Antonio

Savorgnan decise di risanare la sua proprietà di Torre di Zuino, con notevoli risultati, che

portarono poi nelle stesse zone (quasi un secolo dopo, tra il 1927 e il 1937), alla costruzione

dello stabilimento SAICI e all’edificazione della cittadina di Torviscosa, naturalmente dopo

un’ulteriore opera di sistemazione.

Nella seconda metà del Settecento un tentativo di bonifica venne fatto nei territori di

Grado e Aquileia, ma subito bloccato ed abbandonato nel 1790, tra la delusione generale.

Durante tutto l’Ottocento, più volte venne ripreso il tema del recupero delle zone

malsane, sia nei territori italiani che in quelli a giurisdizione austriaca, ma sempre con

risultati deludenti. Nel 1870 e 1884 con due provvedimenti, il governo austriaco offrì sussidi

per la bonifica privata dei territori interessati. La legge 25 giugno 1882 del Regno d’Italia,

invece, suddivideva le opere di bonifica in due categorie: quelle relative alla prima venivano

affrontate al 50% da parte dello Stato e al 50% da Comuni e privati, su quali ricadeva

successivamente la manutenzione; le opere di seconda categoria erano accollate per intero

ai proprietari. Altre leggi si susseguirono nel 1886 e nel 1900.

Il problema, durante tutto il secolo, non venne però risolto. Il motivo principale risultò

essere la mancanza di investimenti cospicui ed adeguati e l’assenza una politica organica e

decisa. Le leggi vennero fatte e con esse anche delle circoscritte opere di bonifica, ma queste

non potevano bastare. Era necessaria, come scrive Ellero, “una cultura adatta al problema”,

Page 52: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

52

che riuscisse ad affrontare in maniera omogenea ed efficace la questione “in ambiti

generalmente molto più vasti delle proprietà fondiarie individuali”9.

È col Novecento che si comincia ad affrontare la situazione da un diverso punto di

vista. Nel 1904 furono attivate numerose opere di arginatura, con la conseguente costruzione

di strade e canali, e chiaviche per la regolazione del flusso delle acque. “Nel 1912 furono

ultimate due bonifiche parziali su proprietà Brunner e Tullio fra Aquileia e Punta Sdobba. In

quegli stessi anni furono avviate le bonifiche anche sulla destra del Tagliamento”10.

Solamente a partire dal 1918, però, con il progetto degli studiosi friulani Domenico ed

Ettore Feruglio e gli ingegneri Ferrari e Tonizzo, si ha a disposizione un progetto ampio ed

organico che interessa tutta la zona delle risorgive e che prevede una rivalutazione

economico-produttiva di tutto il territorio. “Si trattava di un grandioso progetto mirante, non

solo a compiere una bonifica idraulica, ma «a fare in modo che l’acqua vada al mare nel più

lungo tempo possibile e nella minor quantità possibile»; a costituire una rete di canali

emuntori ed irrigatori in grado di consentire la formazione di una agricoltura a larga base

irrigua”11.

Il progetto, complesso e lungimirante, che avrebbe permesso uno sviluppo

economico pari a quello del basso-piano lombardo, viene tuttavia ostacolato da un’influente

gruppo di proprietari terrieri che vedono in questo disegno un limite all’esercizio del proprio

dominio. Viene proposto, da quest’ultimi, un “contro-piano” di risanamento, poco credibile,

scadente e “miope”, che non si avvicina neppure lontanamente alla “grandiosità dell’opera di

bonifica”12 proposta da Feruglio.

Il dibattito e la discussione che si accende, tra gli interessi dell’aristocrazia terriera e le

innovazioni proposte dal nuovo progetto di bonifica, supportato sia a livello ministeriale (da

influenti esponenti di governo) che economicamente (da potenti investitori lombardi),

9 Ellero (1999), op. cit., pag. 52

10 Ellero (1999), op. cit., pagg. 64-65

11 Gaspari (2002), op. cit., pag 34; rimando alla lettura del par. 1, cap. II (Gaspari, pagg. 33-40) per

un’illustrazione più approfondita del progetto Feruglio-Ferrari-Tonizzo, e della sua mancata applicazione, di cui sopra faccio solo un piccolo accenno.

12 Gaspari (2002), op. cit., pag. 39

Page 53: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

53

necessita, per una sua conclusione, l’intervento diretto di Mussolini che impone la creazione

del “Consorzio di bonifica per la trasformazione della Bassa Friulana”.

Questo consorzio, creato nel 1929, si inserisce nel più ampio progetto di “bonifica

integrale” stabilito per legge il 24 dicembre 1928 (n.3134) e che va, assieme ad altri

provvedimenti, a completare il Testo Unico delle leggi sulle bonificazioni delle paludi e dei

terreni paludosi (D.R. 30 dicembre 1923, n.3256) e la legge Serpieri del 18 maggio 1924 (n.

753). Con questi atti si va a delineare il disegno autarchico voluto dal regime.

Il prefetto Cesare Mori, incaricato dal Duce di dirigere il consorzio di bonifica, si

avvicina maggiormente al progetto di Feruglio rispetto alle logiche del potentato locale, ma

la crisi economica degli anni ‘30, e la successiva entrata in guerra nel ‘40, non permettono un

investimento oneroso, come richiesto; inoltre la battaglia del grano, inaugurata dal regime ed

inserita nella volontà di creare uno stato autarchico, spinge verso uno sviluppo di

un’agricoltura “asciutta” diversamente da quanto previsto nel progetto.

L’esigua disponibilità di fondi e l’imminenza degli eventi bellici, non facilitano di certo

un intervento di risanamento coerente con le necessità del territorio. Arrivati alla metà del

secolo, la Bassa Friulana risulta ancora l’unica zona, nel vasto complesso della Pianura

Padana, ad essere “soggiogata da un disordine idraulico e da una sottoutilizzazione

agronomica”13.

L’opera di bonifica viene svolta, solamente in parte, nella zona circumlagunare con la

creazione di argini e di idrovore che portano l’acqua direttamente al mare. Il lavoro copre un

totale di 3.000 ettari, che sommato alle altre bonifiche parziali, raggiunge solamente il 10%

su un totale di 70.000 ettari che compongono la vasta “palude” friulana.

Per Gaspari, in conclusione, notevoli progressi sono avvenuti tra gli anni Trenta e

Quaranta, ma nonostante ciò la bonifica non può ancora definirsi completa. Numerose zone

rimangono ancora inutilizzabili o scarsamente sfruttate; zone che verranno sistemate

solamente nel secondo dopoguerra e nei decenni successivi.

“La Bassa Friulana alla fine del fascismo si presentava notevolmente differente dalla

Bassa paludosa e misera del 1921: era stata compiuta buona parte della bonifica idraulica

nella fascia prelagunare e si erano costruite diverse case coloniche e strade campestri,

13

Gaspari (2002), op. cit., pag. 40

Page 54: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

54

tuttavia la vera trasformazione fondiaria prevista dalla bonifica integrale non era stata fatta in

nessuna delle tre zone *superiore, intermedia e circumlagunare+”14.

Il grande cambiamento promesso dal regime non è stato completato. Si deve prender

atto, però, del lavoro svolto che ha portato ad un sostanziale mutamento del paesaggio. I

nuovi territori, bonificati idraulicamente, non hanno portato ad un reale benessere

immediato ma sono venute a crearsi le condizioni per una vita sostenibile, in un ambiente

finalmente salubre, che trasforma in passato la vita di stenti che ha caratterizzato la Bassa nei

secoli precedenti.

6.1 Il Manolet e la periferia di Cervignano

Un ampio territorio improduttivo e in gran parte abbandonato, situato alla periferia

sud-ovest di Cervignano e compreso tra la cittadina stessa e l’abitato di Terzo di Aquileia,

viene acquistato nel 1933 dall’ingegner Dante Fornasir (Fig. 1).

Si tratta di una vasta bassura malarica conosciuta generalmente col nome di Manolet

e definita anche la “palude di Cervignano”, che in più di un occasione era stata presa in

considerazione per lo studio di un possibile risanamento. Nella seconda metà del

Diciottesimo secolo (1766), Maria Teresa d’Austria prende possesso dei terreni, di proprietà

del Monastero di Aquileia e in concessione alle comunità di Cervignano e S. Martino15, e

attua un primo tentativo di bonifica, vanificato qualche decennio più tardi da nuove

inondazioni che ripresero il dominio sui terreni danneggiando le semine e i raccolti.

Nel 1860 l’iniziativa passa al barone Ettore de Ritter che affida l’opera all’ingegner

Magello senza ottenere risultati soddisfacenti.

Nei primi anni del ‘900 è l’ingegnere e deputato Giacomo Antonelli, originario di Terzo

di Aquileia, ad interessarsi del risanamento del territorio, conscio dei secolari problemi che

affliggevano le popolazioni circostanti. Questo suo interesse porta alla nascita, nel 1907, del

14

Gaspari (2002), op. cit., pag. 42 15

Piccolo borgo, oggi frazione del Comune di Terzo di Aquileia

Page 55: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

55

Consorzio della “Prima Bonifica Austriaca” e ad una consapevolezza più matura del problema

da risolvere. Ma i venti di guerra e le limitate risorse finanziarie del periodo non permisero la

realizzazione di alcuna opera.

Nel periodo tra le due guerre, la zona in questione passa nuovamente sotto il

controllo del comune di Cervignano che vende alcune parti a privati, tra cui l’ingegnere

udinese Romano Piussi, che tenta una bonifica parziale della propria porzione e dà inizio ad

una modesta azienda agricola negli anni Venti. La restante parte del territorio viene lasciata

ad uso “comunale”, a disposizione dei meno abbienti.

Figura 1 - Veduta aerea dei terreni del Manolet, compresi tra Cervignano e Terzo di Aquileia ( googlemaps.com).

Page 56: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

56

Nel 1933, come detto, l’ingegner Dante Fornasir acquista dal comune di Cervignano e

dal Piussi i terreni che facevano parte dell’originario Manolet, per un totale di circa 125

ettari16, comprendenti anche una parte del Boscat appartenente al comune di Terzo.

Fornasir, rinomato ingegnere che tra le sue opere vanta la progettazione e

realizzazione del quartiere operaio di Panzano (1913-1927), per ordine del Cantiere Navale

Triestino, e la bonifica del Lisert (1929) voluta dalla famiglia Cosulich, si era già occupato in

passato, nei suoi studi giovanili, della questione del Manolet, quand’era alle dipendenze

dell’ingegnere Giacomo Antonelli.

Con un investimento di circa 2 milioni di lire dà il via ad un opera che dura sette anni e

si conclude con la creazione di una moderna e avanzata azienda agricola.

I lavori di bonifica, progettati in prima persona dall’ingegnere, vengono svolti da una

trentina tra operai e braccianti (inizialmente dipendenti di un’impresa edile locale e in

seconda battuta dai futuri abitanti del borgo), sotto la supervisione del cugino Francesco

Fornasir. “Fu necessario lo scavo di quasi 24 km di canali principali e di circa 5 km di collettori

secondari per portare a compimento la bonifica ed il sistema di irrigamento e furono livellate

ampie aree di terreno da destinare all’agricoltura”17.

Il risultato fu la costruzione di una borgata moderna ed efficiente che, all’interno dei

possedimenti, copriva un’area di 4700 mq. e forniva vita e lavoro a circa venti famiglie, per un

totale di oltre 100 persone.

16

Altre fonti parlano di addirittura 140 ettari circa. Fonte V.M. (1940), Bollettino di Cervignano e Pradiziolo, Inaugurazione di nuova chiesa, pag. 6

17 Valcovich, Barillari (2009), Dante Fornasir, ingegnere, pag. 100

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57

7. Genesi e sviluppo del Borgo

La situazione del Manolet era già nota all’Ingegnere Fornasir (Cervignano, 11 maggio

1882 – 10 agosto 1958), che, come riporta Diana Barillari18, fece pratica, durante il percorso

universitario al Politecnico di Vienna tra il 1902 e il 1908, presso lo studio dell’ingegnere e

deputato al Parlamento di Vienna Giacomo Antonelli, originario di Terzo di Aquileia e legato

in modo particolare alla situazione della Bassa Friulana. Proprio in quel periodo Antonelli

riferisce in Parlamento dell’annosa questione che affligge i “circa duemila ettari di terreni

paludosi e pressoché improduttivi *…+ nei Comuni di Terzo, Aquileia e Cervignano”19 e rende

impossibile la vita ai suoi abitanti. Ma la ridotta disponibilità di risorse, e successivamente,

l’incombenza del primo conflitto mondiale impedirono al deputato di portare a termine il

proprio impegno e al governo di Vienna di prendere provvedimenti adeguati.

Nel primo dopoguerra la zona interessata torna ad essere propriamente “comunale” e

lasciata a disposizione di quanti traevano da essa il necessario per rendere possibile la

propria sopravvivenza. Solamente alcune parti vengono vendute a privati, tra i quali troviamo

l’udinese Roberto Piussi, sopra citato, ed altri20. Quest’ultimo prova, con poca fortuna, a

sanare il proprio lotto ed a costruire in esso una piccola azienda agricola, attorno al 1920.

Quando Fornasir acquista dai comuni di Cervignano e Terzo e dai vari privati, i cui

possedimenti frammentavano la zona, i 125 ettari che andranno a formare la proprietà, le

uniche costruzioni erette risultano essere tre caseggiati, appartenenti al Piussi: uno adibito a

modesta abitazione e gli altri due, antistanti, utilizzati uno come stalla e l’altro

(presumibilmente) come magazzino.

18

Barillari (2009), Appunti sulla bonifica di Borgo Fornasir, in Dante Fornasir, ingegnere, pag. 37 19

Relazione particolareggiata sull’attività parlamentare nel campo economico del deputato ing. Giacomo Antonelli durante la legislatura 1901-1906, in Fornasir G. (1990) Bonifica e società in Friuli tra ‘800 e ‘900, pag. 101

20 Accanto al Piussi risultano proprietari di ulteriori appezzamenti P. Sarcinelli, N. Rovere e

G. Malacrea che venderanno le proprie parti a Fornasir, fonte Fornasir G. (1990), op. cit., pag. 101

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58

Passano sette anni dall’acquisizione (7 febbraio 1933) all’inaugurazione ufficiale della

Chiesa (24 novembre 1940), simbolo del nuovo borgo. Sette anni nei quali viene bonificata

ogni zolla di terreno del vasto possedimento e vengono progettati, e quindi costruiti, gli

edifici che andranno a comporre l’abitato.

I tre edifici preesistenti vengono inglobati nel progetto complessivo del Borgo; il

primo nelle case a schiera per i dipendenti salariati e i restanti due uniti tra loro e trasformati

in un’unica stalla. Il caseggiato dei braccianti si presenta come un unico blocco composto da

sei alloggi sviluppati in verticale: al piano terra è predisposta la zona giorno, al piano

superiore la zona notte e all’ultimo livello c’è la soffitta. Simmetrica e antistante alle case a

schiera è costruita la stalla. I due edifici si fronteggiano creando un ampio piazzale

rettangolare, chiuso sul terzo lato (in direzione sud-ovest) dall’officina, con annesse a

quest’ultima due ulteriori abitazioni. La “parte superiore” del borgo viene completata dagli

edifici che vanno a comporre la rimessa per i mezzi agricoli, la concimaia coperta, la stalla per

i cavalli ed i tori, ed i pollai con galline, oche e tacchini. Tutte le costruzioni seguono, in

continuità con i primi due blocchi, i lati lunghi del piazzale, in una disposizione simmetrica e

regolare, come si evince dalle immagini aeree di pag. 59 (Fig. 2 e 3). Il quarto lato viene,

infine, chiuso dalla porcilaia e dalla stalletta per i conigli. Questa risulta essere la zona

destinata ai cosiddetti “lavori pesanti”.

A sinistra della strada d’accesso proveniente da Cervignano, che taglia in diagonale il

borgo (da NE a SO), e, dunque, sotto quella che prima ho definito come “parte superiore”,

viene costruita la Casa Padronale e, vicina ad essa, tutti gli edifici relativi ai “servizi” e quelli

raggruppabili nei “lavori nobili”: vi troviamo infatti la serra, il dopolavoro aziendale, la

lavanderia con i lavatoi, la cantina ed il granaio, oltre agli alloggi del fattore e dei vari

responsabili a suddette attività.

In totale, vengono costruite all’interno del borgo abitazioni per ventidue famiglie, che

permettono l’insediamento di oltre cento persone e il raggiungimento di una popolazione

attiva di oltre 70 unità.

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59

Figura 2 – Immagine aerea del Borgo (Consorzio di Bonifica Bassa Friulana).

Figura 3 – Dall’archivio storico del Consorzio di Bonifica, immagine scattata dall’aereo che evidenzia la disposizione degli

edifici in due blocchi, collegati dal nodo centrale rappresentato dalla Chiesa e dall’aia coperta (Consorzio di Bonifica Bassa

Friulana).

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60

Il centro, sia geometrico che simbolico, dell’intera area è rappresentato dalla Chiesa, e

dall’aia coperta ad essa adiacente. Situata al bivio formato dalla diramazione della strada che

collega il borgo a Cervignano, essa sembra il punto di raccordo e di collegamento tra le due

parti dell’abitato, apparentemente scollegate tra loro in termini fisici. Oltre a ciò, essa risulta

essere “simbolica” perché accoglie con l’imponenza del suo campanile quanti si avvicinano in

prossimità del borgo, e funge inoltre, con l’aia coperta, da luogo d’incontro e di relazione.

Proprio il campanile, ricavato dall’innalzamento di una centralina elettrica già esistente e per

questo avente quella particolare forma “squadrata”, è la prima immagine che si scorge

venendo da Cervignano e l’ultima che accompagna coloro che tornano in città.

Il campanile, con due grandi orologi rivolti verso la casa padronale e verso l’apertura

in direzione dei campi, scandisce le giornate e le ore lavorative, e come un faro diventa punto

di riferimento e “luce” per braccianti e contadini che lavorano la terra; è la fonte generatrice,

assieme alla chiesa, del forte senso di appartenenza che lega i componenti di questa

comunità.

Sorpassando l’edificio sacro, le due strade che si creano a partire da esso si dirigono,

quella superiore, verso la parte nord dei possedimenti e l’argine del fiume Ausa, mentre

quella inferiore taglia in verticale la proprietà (che si sviluppa per la maggior parte a sud del

Borgo, Fig. 4) e conduce in direzione degli abitati di Terzo e San Martino.

L’intero caseggiato, così organizzato, si situa all’estremità nord dell’intera tenuta, in

una posizione insolita, e apparentemente non molto funzionale ai lavoratori, perché non

permette il facile raggiungimento delle zone più lontane. Ma in una visione più ampia, che

tiene conto del contesto (e dunque della città di Cervignano), esso risulta posto a metà

strada tra il limite sud dei possedimenti e il centro cittadino, con una distanza di circa 2 km da

una parte e 2 km dall’altra. Risulta essere così, il punto di congiunzione tra il mondo agreste e

quello cittadino, ad una distanza tale che permette un certo contatto “civico” ed allo stesso

tempo un isolamento voluto e reso (volutamente) necessario.

L’autarchia è il modello ideale che ha mosso Dante Fornasir nella progettazione della

sua azienda agricola. Sulla base dell’utopia agricola promossa in quel periodo dal regime

fascista, Fornasir costruisce un borgo fondamentalmente autonomo, dotato di tutti i servizi

essenziali per il mantenimento di un livello di vita adeguato, senza la necessità di

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61

“appoggiarsi” ad un centro di maggiori dimensioni, se non per determinate (e limitate)

occorrenze.

Nonostante la presunta vicinanza agli ideali fascisti dell’epoca, Fornasir, però, si

caratterizza per la sua indole imprenditoriale e liberista, che esula totalmente da qualsiasi

volontà di carattere politico e soprattutto di vicinanza al regime. Uomo della mitteleuropa,

rimane estraneo alle sirene fasciste e, anzi, si ritira a vita privata, a partire dal 1940, proprio a

causa del mancato rinnovo della tessera del partito, che non gli consente più di accedere ad

appalti pubblici con la sua impresa di costruzioni21. Costruisce il borgo a sua immagine,

contraddistinto da una sostanziale, e quasi innaturale per l’epoca, neutralità. L’impegno civile

e sociale, lo sposalizio con gli ideali autarchici e i forti investimenti in opere di bonifica,

conferiscono all’ingegnere, e dunque all’intero borgo, un’autonomia e un’autorevolezza che

permettono, comunque, lo svolgimento dell’attività agricola senza interferenza alcuna.

Il lavoro dei campi fornisce grosse quantità di frumento, che permette, in un paio di

occasioni, il raggiungimento del “primato regionale nella produzione”22. Gli uomini sono

aiutati nel loro lavoro da “un’invidiabile corredo di carri gommati, di trattori, di macchine

agricole”23 che consentono una maggior produzione con un limitato dispendio di forze.

L’utilizzo di arnesi meccanizzati esonera, in questo modo, gli animali dai lavori più pesanti,

“cosicché – citando il Bollettino di Cervignano e Pradiziolo – la stalla è orientata alla

produzione del latte ed all’allevamento di soggetti da riproduzione”24. Si contano in azienda,

nel 1940, 130 bovini e 10 cavalli; inoltre, trovano sistemazione, 20 suini, 250 tra polli e

galline, 100 anatre ed oche e 200 tacchini.

21

Le motivazioni per il mancato rinnovo si riassumono nel termine “incomprensione fascista” usato dallo stesso Fornasir nello spiegare la messa in liquidazione della società nel 1932. Fonte Archivio privato Famiglia Fornasir

22 Fornasir E. (2006), Un ecovillaggio nel Borgo Fornasir di Cervignano, pag. 29

23 V.M. (1940), op. cit., pagg. 9-10

24 V.M. (1940), op. cit., pag. 10

Page 62: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

62

Figura 4 - Mappa catastale di Borgo Fornasir (Archivio privato)

Page 63: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

63

Anche la produzione del pane viene garantita giornalmente, all’interno dell’azienda,

da un forno comune, mentre la legna, per il riscaldamento delle abitazioni private, viene

concessa tramite un contratto mezzadrile: la metà del legname raccolto viene, cioè, fornito

gratuitamente e diviso tra le famiglie.

La fornitura di servizi non si limita a questo: le abitazioni, sopra descritte, sono

assegnate, senza spese di affitto, alla famiglia del lavoratore, e dotate al loro interno di acqua

corrente e servizi igienici, oltre che ammobiliate. “L’arredamento delle case dei salariati –

citando ancora il Bollettino di Cervignano – può essere invidiato da molte famiglie civili, *…+

fornito dal proprietario lieto nella gioia di vedere diffuso il benessere fra i dipendenti”25.

Inoltre un piccolo orto, collegato alle abitazioni e dunque indipendente, completa la

dotazione personale di ogni famiglia.

A completare la gestione illuminata e comunitaria, vi è la messa a disposizione di un

bagno comune, che diviso tra uomini e donne, fornisce l’acqua calda all’intero borgo.

Infine, va ricordato, che anche il tempo libero viene gestito ed organizzato all’interno

dell’azienda. Fornasir costruisce un campo da bocce, un campo di calcio e uno spazio giochi

per i bambini. La sala del dopolavoro riunisce gli uomini a giocare a carte, dopo la faticosa

giornata lavorativa, ed aiuta così a creare quel forte senso comunitario che caratterizza tutto

l’ambiente. Spesse volte, inoltre, all’interno di essa vengono organizzate cene sociali e feste,

soprattutto in occasione delle festività maggiori, quali la Pasqua o il Carnevale, oppure in

concomitanza con eventi fissi od occasionali, come ad esempio la vendemmia o l’annuale

battuta di caccia voluta espressamente dall’ingegnere. La sala viene, poi, adibita a teatro, per

ospitare le rappresentazioni dei bambini (diretti dalla moglie dell’ingegnere, Rosalia) e le

esibizioni del coro aziendale, che contava oltre venti elementi.

Per i figli dei dipendenti, considerando l’importanza che Fornasir dà all’istruzione,

viene garantito il servizio di trasporto fino alla scuola elementare del paese; un carro con i

cavalli, “guidato” da un dipendente dell’azienda, porta tutti i ragazzi in età scolare alla vicina

scuola di Cervignano, d’estate scoperto e d’inverno coperto da un telo.

Inoltre il parroco di Cervignano svolge, nella chiesa, la messa domenicale ed in

occasione di questa, ogni 14-20 giorni, viene organizzata una festa con musica e danze, che

25

V.M. (1940), op. cit., pag. 9

Page 64: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

64

coinvolge l’intera comunità sotto il piazzale coperto, emblema del forte spirito di

appartenenza e di unione sociale che lega i componenti della “grande famiglia” Fornasir.

Dante Fornasir, dunque, realizza un’azienda modello nel cuore della palude

cervignanese, dotata di servizi e di comodità che sottolineano quanto l’aspetto del vivere,

soprattutto del vivere bene, venga posto in primo piano, sopra ogni logica di mero guadagno

economico. È questa caratterizzazione sociale, mescolata ad un uso consapevole ed

innovativo della tecnologia, a rendere unico il caso di Borgo Fornasir e ad allontanarlo dalle

altre esperienze agricole, nella Bassa come nel resto del Friuli.

La volontà di creare uno stretto legame fra i dipendenti, ed in secondo luogo tra

questi ed il luogo di lavoro, si accoda alle esperienze illuminate di gestione dell’impresa che

prendono vita dalle teorie utopiste di Owen e Fourier, e che in Friuli si ritrovano con la

famiglia Cosulich, per la quale l’ingegnere ha lavorato, nella creazione dei cantieri navali di

Monfalcone.

Naturalmente, accanto a tutta una serie di motivazioni teoriche e illuminate, trovano

spazio anche giustificazioni puramente tecniche e materiali, come ad esempio la difficoltà ad

assumere manodopera disposta a lavorare terreni così difficili e difficilmente raggiungibili, e

dunque la necessità di rendere “appetibile” il posto di lavoro. Questo è stato riscontrato da

Delli Zotti nel caso di Cave del Predil26, ma si può fare lo stesso discorso riferendosi (sempre

rimanendo in regione) a Torviscosa oppure alla colonia Solvay di Monfalcone o allo stesso

quartiere del cantiere navale.

È chiaro che non si può paragonare un borgo rurale di cento persone ai casi di

Torviscosa o Panzano, oppure al primitivo caso di New Lanark, ma le impostazioni teoriche su

cui si basa il progetto e la volontà demiurgica dell’ingegnere-imprenditore rendono

assolutamente simili i casi, seppur con le rispettive proporzioni, e seppur mancando

l’elemento principale per l’esistenza di una città company, ovverosia la fabbrica.

Accanto a questo, vi è, come visto al Cap. 4, la riproduzione di un modello funzionale

che si avvicina alle, e si riconosce nelle, produzioni (quasi)capitalistiche della cascina

26

Delli Zotti (2005), La miniera delle appartenenze, pag. 13

Page 65: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

65

lombarda, e dell’economia curtense in generale. Ciò mi permette l’accostamento del Borgo al

modello organizzativo delle corti Sei/Settecentesche, felicemente isolate, autonome ed

indipendenti.

Il contatto, sotto forma di com-presenza e co-esistenza, di entrambi i modelli teorici

ed organizzativi sopra delineati, dà vita, alla periferia di Cervignano, ad un’esperienza che

non può essere delineata seguendo solamente i parametri di uno dei due modelli. Nel Borgo

Fornasir si fondono le caratteristiche essenziali tipiche della company town assieme alle

particolarità che contraddistinguono le aziende curtensi. Da una parte il villaggio operaio,

teorizzato da Owen, dall’altra la country, con tutti gli aspetti positivi elencati da Howard.

Si è dunque al cospetto di un villaggio sociale, a base rurale, fornitore di servizi tipici e

consoni ad una città, che offre, allo stesso tempo lavoro, sicurezza e felicità, inserito in un

contesto non più malarico e paludoso ma bello e degno di essere vissuto.

Page 66: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

66

8. Una Company country nel cuore della Bassa

Il concetto di company country è stato affrontato più volte nel corso del presente

lavoro, presentando, in diverse occasioni, le caratteristiche che connotano questa particolare

organizzazione socio-economica e toccando le sostanziali differenze con i modelli classici di

villaggio sociale.

Qui, ora, vorrei riprendere il filo conduttore che sta alla base di quanto scritto per

tentare di tracciare una (giammai) definitiva definizione di “borgo rurale e sociale” e, in

particolar modo, definire il caso del villaggio sociale “Borgo Fornasir”.

Innanzitutto si può affermare, sintetizzando, che una company town è tale in quanto

riunisce in sé tre dimensioni fondamentali, quali quella del lavoro, della residenza e del

tempo libero. Prima dell’avvento del Welfare state non era scontato trovare queste categorie

collegate tra loro e garantite, anche nelle società più organizzate, e tantomeno era scontato

annoverarle tra i diritti personali di un individuo. Solamente a partire dalle teorizzazioni

utopiche di fine Settecento, e nei conseguenti tentativi di traduzione “concreta”, si cerca di

affrontare il problema abitativo dei lavoratori, creando dei sistemi “casa-fabbrica-svago” che

tendono a coprire ogni dimensione del vivere di un individuo. L’individuo si trova, così,

obbligato in una comunità che è costretto ad accettare come propria, ma che accetta ben

volentieri perché permette una vita dignitosa e di gran lunga superiore se confrontata col

mondo “al di fuori”. Prende vita in questo modo una dialettica, senza soluzione, che oscilla

tra la delusione “per vivere un modello *…+ al quale non si è partecipato alla progettazione né

si può modificare”27 e l’orgoglio di vivere un’esperienza unica, generatrice di legami forti, che

segna la vita di chi partecipa e che difficilmente verrà dimenticata.

27

Gasparini (2005), L’utopia dell’uomo nuovo e il tempo delle company town, pag. 9

Page 67: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

67

Sulla base di queste considerazioni, gli Stati moderni prendono atto della bontà

dell’ideale di fondo di tali teorie utopiche e danno origine a quello che tutt’oggi è conosciuto

come Stato sociale (o Welfare state). Ciò permette un superamento della staticità delle prime

progettazioni, perché i diritti che vengono garantiti sono forniti universalmente ed

indistintamente a tutti i cittadini, e non in base al contratto di lavoro. Vengono scongiurate,

così, l’oppressione e il desiderio di fuga che colpiscono, talvolta, gli abitanti della company,

fornendo al contrario la possibilità di autorealizzazione del singolo. L’individuo vive

all’interno dello Stato sociale, libero di compiere il percorso di autodeterminazione più

consono ai propri ideali e, allo stesso tempo, è rassicurato dalla certezza di poter disporre del

necessario per vivere.

Tralasciando l’evoluzione statale che prende piede solamente a partire dal secondo

dopoguerra, l’ing. Fornasir, consapevole delle innumerevoli esperienze già esistenti e forte di

un esperimento vissuto e realizzato in prima persona, con la costruzione del quartiere

operaio di Panzano (in cui lui stesso dimora fino al 1939), decide di concretizzare un proprio

sogno giovanile, avviando l’azienda modello, descritta nel paragrafo precedente, sui terreni

sanati alla periferia di Cervignano.

Stiamo parlando di un sogno, perché il progetto rappresenta il naturale compimento

di tutti gli studi intrapresi dall’ingegnere nel corso della sua brillante carriera. A partire

dall’interesse per le menomate condizioni in cui si trovano i terreni alla periferia del paese

natio, gli studi di bonifica presso il politecnico viennese e il praticantato presso lo studio

dell’ingegnere e deputato Giacomo Antonelli; studi che trovano il proprio culmine con la

bonifica del Lisert, per conto della famiglia Cosulich. Fornasir poi, attraverso la realizzazione

del quartiere operaio, sviluppa e approfondisce il concetto di città-giardino, che si lega

inevitabilmente ad una precisa volontà di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro

delle masse operaie, in un’ottica di conquista sociale e di creazione di benessere. Il percorso

si conclude, infine, con i forti guadagni ottenuti grazie al lavoro della propria impresa edile,

costruendo soprattutto a Trieste, che a posteriori viene letta come il tentativo (riuscito) di

accantonare la somma necessaria per la costruzione di questo grande progetto utopico28. La

28

Gli eredi ed attuali proprietari del Azienda agricola “Borgo Fornasir” parlano di una somma di circa 2 milioni di lire investita per l’acquisto dei terreni, l’opera di bonifica e la costruzione degli edifici.

Page 68: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

68

realizzazione del Borgo è, dunque, il risultato dell’intera vita dell’ingegnere e come tale,

rappresenta l’ultimo progetto, che racchiude in sé l’impegno nei vari campi, civile,

architettonico ed ambientale, e il conseguente ritiro definitivo a vita privata.

Borgo Fornasir è, così, un insediamento “company”, o per meglio dire sociale, perché

costruito sul modello della città giardino, che evita la congestione e la nevrosi urbana e

mette la popolazione a stretto contatto con la natura e all’interno di un forte contesto

relazionale. Allo stesso tempo, però, questa company non è città. Non è paragonabile ad un

quartiere operaio, perché non vi è la presenza di un’industria che fornisce lavoro ed

occupazione ad un elevato numero di persone, e nemmeno può contare lo stesso livello di

servizi. Il lavoro in questo caso è dato dai campi, e dall’azienda agricola ad essi connessa. Non

vi sono i numeri (e la necessità) di costruire un’intera città attorno all’insediamento

produttivo. Un’azienda agricola, per quanto grande, può dar da vivere a 100-200 persone,

com’è emerso anche dallo studio delle cascine lombarde, ma sicuramente con la

meccanizzazione del lavoro e l’utilizzo di nuove tecnologie queste cifre sono destinate a

scendere. È quindi impensabile lo sviluppo di un insediamento di grandi dimensioni,

collegato ad una “semplice” realtà agricola. Molto più sostenibile e realizzabile è la creazione

di un borgo di dimensioni ridotte, che però mantiene in sé la caratteristica fondante di un

villaggio sociale, e cioè la commistione di lavoro, residenza e tempo libero.

In questo senso, dunque, la country, ovvero la campagna, diventa sociale: siamo in

presenza di un borgo rurale che poggia le basi principalmente sul fattore umano e

relazionale, che fornisce servizi e in cui il tempo libero viene gestito a livello collettivo. Il

lavoro, com’anche il guadagno, sono elementi fondamentali ma non i più importanti. Ciò è

possibile, però, solamente a partire da un ingente investimento iniziale e da una grande

disponibilità di risorse, che permettono una gestione illuminata dell’attività produttiva. Il

profitto, per Dante Fornasir, non riguarda solamente la massimizzazione degli utili e la

riduzione delle spese ma significa miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti,

creazione di nuovi posti di lavoro, benessere diffuso, armonia e felicità. Sono questi gli

obiettivi principali da assolvere.

Page 69: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

69

Vi è anche qui, come negli altri casi, la creazione e “l’esibizione alla storia”29 di un

Uomo nuovo: un uomo che vive una “dimensione radicalmente nuova della comunità”30,

vive esperienze relazionali che mai aveva vissuto prima, e gode di servizi e benessere, che

all’esterno, sarebbero stati impensabili. Citando ancora Gasparini, quest’uomo “non è

strozzato dai prezzi del commerciante, i suoi figli sono protetti, possono giocare liberamente,

sono assistiti negli studi, questo uomo ha un tempo libero che può gestire al di fuori delle

costrizioni del bisogno economico” e ancora “la sua salute diventa un valore per l’intera

comunità” e “gode di una casa adeguata ai «nuovi» bisogni dell’abitare”31. Sono tutte queste

le caratteristiche dell’abitante della company, e per logica conseguenza di colui che abita a

Borgo Fornasir. Un individuo che prova orgoglio per aver la possibilità, e il privilegio, di

partecipare ad un’esperienza unica, a qualche cosa di nuovo ed allo stesso tempo migliore,

rispetto a ciò a cui si era abituati. Soprattutto se confrontato con le condizioni di vita della

Bassa Friulana di metà Novecento.

Una tale organizzazione sociale e produttiva, che ha come ideatore e demiurgo

un’unica persona, non può sottrarsi dall’essere retta da uno spirito prettamente

paternalistico. Questa è una caratteristica (Gasparini la vede come limite) fondamentale del

villaggio sociale: la comunità non si regola automaticamente, l’ordine non è naturale, viene

imposto dall’alto, dal creatore, dal demiurgo, o semplicemente (in friulano) dal “Paron”. Ad

esso spettano le decisioni ultime, è il garante della regolarità della vita e il giudice delle

diatribe interne. Esiste una marcata distinzione sociale che separa i dipendenti dal capo.

Essa, però, non viene percepita come tale e vissuta con pesantezza. I ruoli vengono rispettati

rigidamente, ma il forte senso di ammirazione da parte dei lavoratori verso l’ingegnere

“ammorbidisce” la relazione. È questa la forza di tale esperienza e la genialità dell’idea di

Fornasir. I dipendenti si sentono partecipi del progetto perché vengono valorizzati per le loro

caratteristiche, sono fedeli verso il Paron perché ha dato ad essi l’opportunità di una vita

migliore e la possibilità di “essere qualcuno”. Ogni decisione importante viene discussa con i

capifamiglia prima di essere presa e vengono ascoltati i consigli degli abitanti con la

29

Gasparini (2005), op. cit., pag. 7 30

Gasparini (2005), op. cit., pag. 8 31

Gasparini (2005), op. cit., pag. 8

Page 70: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

70

consapevolezza che ogni punto di vista vada preso in considerazione. La comunità è unita,

affiatata e, in questo modo, anche cosciente della propria esistenza e del proprio valore. Gli

individui che la compongono non hanno dignità solo nel vivere ma anche, e soprattutto, nel

partecipare. Questo senso di sentirsi importanti, di sentirsi unici all’interno di un gruppo di

pari, permette un miglioramento qualitativo della vita che parte dall’individuo stesso. È

l’individuo che si innalza e diventa protagonista (o co-protagonista) della propria esistenza.

Viene generato e messo in moto, con il progetto di Fornasir, un vero e proprio

“percorso di emancipazione” che ha come inizio la condizione di assoluta, o quasi, povertà e

trova il suo compimento nel possesso di una ricchezza, più che materiale, umana e

relazionale e soprattutto fornisce la possibilità di assicurare un futuro ai propri figli.

Lo sviluppo del singolo, secondo la propria inclinazione, viene visto come un indice di

progresso e mostra la via adatta per la creazione di una comunità felice e, se vogliamo dar

giudizi di valore, migliore. In questo senso l’importanza data alla scuola e l’incoraggiamento

che viene dato ai fanciulli nel continuare gli studi non è che un ulteriore tassello nel progetto

dell’ingegnere: le nuove generazioni non sono chiuse e soffocate all’interno della rigida

organizzazione aziendale. Al contrario, sono spinte a cercare il proprio futuro altrove, nel

rispetto della propria indole, seguendo i propri interessi e i propri sogni perché il mondo non

finisce laddove il suono della campana del Borgo non è più udibile. Comunque il sentimento

d’affetto che lega gli abitanti al luogo (e all’uomo che ha creato tutto ciò) è talmente forte

che non ci sarà mai un totale abbandono. Significativa è, senza dubbio, la testimonianza di

Anna Maria Fabbro che nella sua intervista è riuscita a trasmettere al sottoscritto la stessa

passione e la stessa gioia provate dai propri avi nel vivere quell’avventura. Pur non avendo

partecipato in prima persona all’esperienza, il senso di appartenenza a qualcosa di grande e

di non descrivibile a parole è così intenso e limpido che pare essere persino contagioso. I

ricordi tramandati dai nonni e dal padre paiono prendere quasi vita e nel raccontarli la stessa

comunità, ora dissolta, riprende colore e vivacità.

Anche da un punto di vista architettonico, la sapiente costruzione e disposizione degli

edifici non esaspera la divisione dei ruoli e, anzi, crea un ambiente familiare che avvicina,

anche fisicamente, proprietario e dipendenti. A differenza di Panzano, dove troviamo una

Page 71: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

71

sostanziale e marcata caratterizzazione degli spazi dedicati all’una o l’altra categoria sociale32,

il progetto di Fornasir per il Borgo prevede un’uguaglianza di stile che accomuna tutte le

costruzioni e non presenta evidenti differenze, ad esempio, tra la casa padronale, quella del

fattore e le case dei salariati, che paiono in questo modo “sostanzialmente equiparabili”33.

Ciò sta ad indicare che l’esistenza di una differenziazione sociale, più o meno presente in

questa situazione, non viene vista come una frattura insanabile ma c’è piuttosto la volontà di

creare una grande famiglia, dove nessuno venga escluso o possa sentirsi “inutile”.

A testimonianza della concezione familiare che la proprietà ha al riguardo degli

abitanti del borgo, affiora la figura della moglie del Fornasir, Rosalia Saiz, e il ruolo

fondamentale che essa rappresenta all’interno della comunità. La Siora, come veniva

chiamata all’epoca, viene descritta come una donna di gran cuore e con una smisurata

passione per i bambini. Impossibilitata lei ad averne, si prende cura dei figli dei dipendenti

come fossero i propri, li educa e trasmette a loro la propria passione per il teatro e per la

musica, organizzando persino un teatrino da lei personalmente diretto.

Questo aspetto personale che ho voluto citare, a conclusione del capitolo, è

solamente un altro, e non ultimo, elemento che indica l’umanità e connota la conduzione

illuminata di questa azienda agricola. Tutto ciò favorisce la creazione di legami stretti che

tengono unite le famiglie del borgo, creando una comunità coesa e felice, il cui ricordo fa

brillare tuttora gli occhi alle persone che vi hanno partecipato.

Vi è, in definitiva, una struttura paternalistica che governa i rapporti e la vita

all’interno della company country, ma non ha di per sé, a livello generale, una connotazione

positiva o negativa. Ovvero, può essere vista a seconda dei casi come un limite, ad esempio

per la libertà e per lo sviluppo individuale del singolo, oppure come un’opportunità che

permette il raggiungimento di certi standard, abitativi e relazionali, solamente però a livello

aggregato. La bontà o meno dell’esperienza, nel caso particolare invece, è determinata

32

Le case per impiegati e dirigenti presentano dimensioni e caratteristiche riconoscibili rispetto alle abitazioni operaie; diversa è anche la disposizione degli edifici, con una zona operaia ed altre riservate a dirigenti e impiegati. Anche gli spazi comuni sono nettamente separati e l’esistenza di due alberghi, uno per impiegati celibi e l’altro per operai celibi, è la dimostrazione più lampante di questa gerarchizzazione aziendale.

33 Barillari (2009), op. cit., pag. 22

Page 72: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

72

dall’idea di comunità o di libertà posseduta dal “Padrone”. La responsabilità ricade

interamente nelle sue mani e nell’idea che esso ha di vita sociale.

Certo, già questo può rappresentare, di per sé, un limite in chiave futura, soprattutto

se il ragionamento viene fatto in una prospettiva di sviluppo. In altre parole, per

un’auspicabile evoluzione democratica a vantaggio di una deriva autoritaria, sarebbe

vantaggiosa una non esclusività del potere e un decentramento delle responsabilità, ma in

questo caso si snaturerebbe completamente l’esistenza dell’insediamento “company” come

fin ora descritto. Inoltre la breve durata dell’esperienza cervignanese non permette un

ragionamento in questa direzione, senza correre il rischio di divagare in congetture prive di

riscontro e in ipotesi fantasiose.

Page 73: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

73

9. La fine del sogno

Anche l’esperienza di Borgo Fornasir, come del resto tutte le esperienze utopiche

conosciute, è condizionata dall’usura del tempo e dalla scarsa riproducibilità dello schema,

non abile ad aggiornarsi con il passare degli anni. La staticità del modello è una caratteristica-

limite di ogni company town che prevede, a priori, un’immortalità pronta a sfidare i secoli e

gli imprevisti offerti dalla storia ma che, a conti fatti, risulta effimera ed inefficace, incapace

cioè di rigenerarsi per affrontare nuove situazioni storico-sociali.

Particolari congiunture storiche, infatti, ed inevitabili cambiamenti sociali portano ad

un lento declino della situazione in analisi, che va a concludersi negli anni ’80, quando la

maggior parte degli edifici del borgo si trova ad essere in condizioni di totale o parziale

abbandono e l’attività dell’azienda agricola risulta limitata rispetto ai fasti iniziali.

Il borgo, che nel 1940 vanta il primato regionale nella produzione di frumento,

mantiene un’elevata produttività e un’ottima coesione interna per i primi due decenni di vita

(1933-1953 circa). È questo il periodo d’oro dell’azienda, quello cioè in cui si creano e si

fortificano rapporti di lavoro e d’amicizia destinati a durare a lungo, il periodo in cui nasce la

“comunità” di Borgo Fornasir che ancora oggi viene ricordata con passione dagli eredi dei

protagonisti e da chi quell’esperienza l’ha vissuta in prima persona (anche se appena

fanciullo).

Comincia nel 1953 a “scricchiolare” l’intera struttura a causa dell’allontanamento del

fattore, nonché cugino dell’ingegnere, Francesco Fornasir. Quest’ultimo, direttore

“esecutivo” dell’azienda, entra in conflitto con il Paron, a causa di incomprensioni che mi

risulta difficile interpretare, e viene allontanato per volontà stessa di Dante Fornasir, dal

lavoro e dall’abitazione nel Borgo, senza possibilità di reinserimento. Questo fatto scuote

l’animo della comunità e si ripercuote sulla struttura organizzativa perché, dopo due anni di

Page 74: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

74

transizione sotto il controllo del vice-fattore, l’attività viene affidata ad una famiglia di

affittuari veneti.

La famiglia Zanella, proveniente da Rovigo, comincia il rapporto di mezzadria nel 1956

per passare, qualche anno più tardi, ad un contratto di affitto. Il Fornasir e la moglie vivono

ancora all’interno del borgo, nella casa padronale, ma non si interessano più alla produzione.

La composizione del borgo rimane tale, come tali rimangono pure gli abitanti presenti con le

loro famiglie. Ma la nuova direzione conferisce all’azienda un’impronta più volta all’utile e

meno al sociale, con la produzione che diventa intensiva e propensa al mero guadagno. A

questa situazione si va ad aggiungere, nel 1958, la morte dell’ingegner Dante che risulta

essere un ulteriore colpo inflitto al villaggio sociale del Manolet.

L’allontanamento del fattore, prima, e la morte dell’ingegnere, poi, fanno perdere

consistenza al significato originario dell’esperienza, anche se non distruggono nel breve

periodo la composizione sociale che caratterizza il borgo. I rapporti fraterni e le abitudini

comunitarie rimangono inalterate soprattutto perché le famiglie che vi abitano sono le stesse

del 1940.

Solamente l’inesorabile passare degli anni e l’esodo dei figli dei dipendenti, che

cominciano ad intraprendere strade diverse, rendono inevitabile la disgregazione che porta

in breve tempo alla sostanziale desolazione, caratterizzante l’attuale stato. La morte della

Siora Lia nel 1971 non fa altro che aggravare ulteriormente la situazione. Con essa sparisce

l’ultimo collante della società fornasira e tramonta definitivamente il progetto dell’Ingegnere.

Al suo funerale, coloro che negli anni Quaranta erano appena bambini, posano una

corona di fiori con sopra una dedica che recita: “I FIGLI DEL BORGO PER LA MAMMA

ROSALIA”34. Questa immagine racchiude, in tutta la sua struggente semplicità, il significato

intimo delle forti relazioni createsi all’interno dell’abitato e, non ultimi, i risultati ottenuti da

Dante Fornasir, e soprattutto sua moglie, nella realizzazione di questo sogno.

Il resto è storia pressoché recente; la proprietà nel 1976 passa finalmente nelle mani

dei diretti discendenti, dopo una causa quinquennale che vede gli stessi eredi impegnati in

un’azione legale con gli affittuari veneti, che non vogliono perdere il possesso dell’azienda.

34

Diapositiva, archivio privato Anna Maria Fabbro.

Page 75: Borgo Fornasir - Utopia rurale alla periferia di Cervignano

75

Dopo vent’anni di declino sotto la direzione Zanella, e qualche anno di immobilismo

dovuto al cambio di proprietà, gli attuali proprietari danno vita ad un agriturismo, ricavato

nelle stanze del vecchio granaio, affiancandolo all’attività dell’azienda agricola. Inoltre

ristrutturano la casa padronale e convertono alcuni altri edifici in funzione di nuovi bisogni.

L’azienda agricola versa tutt’ora in buona salute, ma si è ridotta nelle dimensioni e,

attualmente, offre lavoro a non più di qualche dipendente, che naturalmente non vive

all’interno del borgo.

Non si ha, in definitiva, più traccia dell’idea originaria di vita sociale, quella vita voluta

espressamente e creata con grande impegno dal Paron e dalla Siora. Mancano soprattutto le

condizioni, sia materiali che sociali, per un suo ripristino. Il borgo è in parte disabitato, la

maggior parte degli edifici non si presenta in buono stato e soprattutto non ci sono più le

prerogative che garantiscono l’esclusività del servizio offerto. In altri termini, la vita al di fuori

è migliorata, e con essa i servizi, superando di gran lunga quanto messo a disposizione

all’interno del borgo. Vivere a Borgo Fornasir non è più un privilegio destinato a pochi, ma

una difficoltà, in termini funzionali e “di comodità”, mitigata soltanto dal ricordo di un

brillante passato che ha caratterizzato la storia di queste terre. La campana non suona più a

scandire i ritmi della vita e a preannunciare i giorni di festa. Ormai da molto i bambini non

recitano seguendo i consigli di “mamma” Lia e le donne non discorrono assieme mentre

fanno il bucato. Gli uomini non si riuniscono più al dopolavoro per giocare a carte e

dimenticare le fatiche dei campi. L’idea di Borgo Fornasir è ormai tramontata e la comunità

rimane viva solamente nel ricordo.

La Storia ha riservato a Borgo Fornasir la medesima sorte che è toccata alle iniziative

utopiche presenti in regione e altrove. L’esperimento sociale voluto creare alla periferia di

Cervignano si è concluso alla stessa modo, a causa dell’incapacità, sia di chi ci abita che di chi

dirige, di fornire il borgo (può essere riferito anche ad un’ipotetica città, quartiere o villaggio

sociale) di una nuova “anima”. Di esso non resta che il ricordo di intensi rapporti personali e

di amicizia che rimangono tali anche a distanza di anni e di chilometri.

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76

Il cambio di gestione e l’abbandono di una direzione illuminata hanno creato, per

concludere con le parole di Gasparini, “una town [oppure country] che non sa sopravvivere in

maniera originale alla propria company, e ciò la fa sempre più apparire una sorta di ghost

town, dove i soggetti più radicati alla realtà sono i fantasmi (struggenti e dai colori tenui) del

ricordo, del piacere delle amicizie e soprattutto delle esperienze idealizzate”35.

35

Gasparini (2005), op. cit., pag. 11

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Conclusioni

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Dalla memoria alla creazione di nuove utopie

Riprendendo quanto preannunciato nel capitolo introduttivo, provo a tracciare, in

queste pagine conclusive, un’ipotetica idea di sviluppo che possa ridare freschezza

all’insediamento di Borgo Fornasir, nel rispetto della tradizione e del contesto che ne fa da

cornice.

Innanzitutto sono opportune alcune considerazioni, che mi preme sottolineare:

quanto mi accingo a scrivere non ha la pretesa di diventare il modello da seguire per la

rivalutazione della zona in oggetto, e tantomeno viene proposto con la volontà di sminuire il

lavoro dell’attuale proprietà, che con impegno e fatica sta portando a termine un ottimo

progetto. In secondo luogo, appunto, trattandosi di una proprietà privata forse non avrei

neppure il diritto e la concessione di procedere in questa direzione, ma decido comunque di

prendere questa responsabilità per dare conclusione logica al percorso di ricerca. Infine,

come ultima premessa, ribadisco che, seppur appoggiandomi e prendendo spunto da un

progetto concreto (che prende le forme di una tesi di laurea1), ciò che segue può essere

inteso come una semplice riflessione, audace e provocatoria.

Si tratta in definitiva di una visione, un tentativo di immaginare il futuro, e come tale

si basa essenzialmente su congetture e riflessioni personali emerse lungo il tortuoso

percorso di ricerca effettuato.

Il viaggio intrapreso mi ha portato a definire il case study di Borgo Fornasir,

attraverso lo studio dei villaggi sociali “classici” e delle esperienze legate al mondo rurale,

per concludere con l’analisi dei fattori di crisi del modello utopico e con i motivi che hanno

portato al declino del caso specifico. Il Borgo ha perso oggi la sua funzione originaria, gran

1 Nello specifico, prendo come testo di riferimento la tesi di laurea di Elisabetta Fornasir dal

titolo Un ecovillaggio nel Borgo Fornasir di Cervignano: progetto di riqualificazione architettonica e sistemazione ambientale e paesaggistica delle aree rurali circostanti, (2006)

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parte degli edifici si trovano in condizioni non ottimali, in pratica richiederebbero immediati

lavori di ristrutturazione (oltre che la disponibilità di cospicui fondi finanziari), gli abitanti si

sono ridotti a poche unità e solo alcuni di essi sono direttamente collegati all’attività

dell’azienda agricola.

Ciò che considero maggiormente preoccupante, tuttavia, è la scarsa conoscenza

all’interno della comunità di Cervignano, e dei comuni limitrofi, delle vicende svoltesi in

questo lembo di terra. Non vi è memoria dei fatti accaduti, manca la consapevolezza, nel

“cervignanese” d’oggi, dell’importanza e della particolarità del caso, che rendono

quest’esperienza pressoché unica in regione. La conferma, e allo stesso tempo la spiegazione

plausibile, di questa lacuna nella storia locale mi viene fornita dal Sindaco Paviotti che,

durante il colloquio concessomi, afferma: «Cervignano si caratterizza per una, purtroppo,

scarsa coesione, nel senso che è una cittadina nel quale manca un po’ il senso di identità e

appartenenza. Soprattutto perché vi è stato un fenomeno di immigrazione ed emigrazione

molto forte. […] Una grande parte di Cervignano non ha radici qui, ma è arrivata da altri

luoghi, e quindi Borgo Fornasir, che è una storia che nasce in queste terre ma non c’è più

come realtà da diversi decenni, per molti non è conosciuto».

Questa mancanza non riguarda, però, solamente chi venendo da fuori si è insediato

nel “capoluogo” della Bassa, e tantomeno, quanto affermato, può offrire una giustificazione

che valga indistintamente per tutti. Io stesso, come confessato in introduzione, non ero a

conoscenza di tutto ciò, pur essendo nato in queste terre e provenendo da una famiglia

fortemente radicata nel territorio. Il gap è dovuto soprattutto, dal mio punto di vista, ad una

superficiale e non totale comprensione di ciò che ha rappresentato realmente l’esperienza

del Borgo. Il significato profondo e intimo dell’“esperimento sociale”2 venuto a crearsi nel

Manolet, è stato sottovalutato per lunghi anni, correndo il rischio di essere rimosso

completamente dalla memoria collettiva degli abitanti, non solo di Cervignano ma di tutto il

territorio della Bassa.

2 Crismani (2004), Borgo Fornasir – un angolo di Cervignano da visitare, depliant a cura di “Italia

Nostra”

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Solo un accurato lavoro di ricerca dei materiali e di testimonianze significative mi ha

permesso di entrare più a fondo nei meriti della questione. Non ho di certo la presunzione

nell’affermare di essere stato il primo ad affrontare l’argomento. Ho avuto, invece, a

disposizione preziosi documenti, libri, depliant e come detto una tesi di laurea, che

confermano l’esistenza di altri e precedenti studi. In questo senso, devo ammettere,

l’iniziativa della mostra fotografica sulla vita dell’ingegner Fornasir3 ha permesso il

raggiungimento di un’ampia fascia di pubblico e ha generato una curiosità attiva nella

cittadinanza, spianando la strada verso una consapevolezza più matura dei fatti accaduti.

A questo punto, e su queste basi, la riflessione mi spinge ad intraprendere due

strade, secondo me, diametralmente opposte per tentare di rendere nuovamente attuali i

temi sociali sollevati dal Fornasir e per mantenere viva la memoria dell’accaduto.

La prima strada, che ha tanto l’aria di un sentiero tranquillo e già battuto, porta alla

creazione di un “luogo” in cui ricostruire ed esaltare i fatti narrati, un museo, un contenitore

di memorie in cui inserire le immagini e i racconti, le lettere e i documenti. Potrebbe essere

ricavato dal recupero di uno dei numerosi edifici rimasti “inoperosi” all’interno del Borgo.

Ciò si muove, a mio parere, in direzione di quanto già progettato dall’attuale proprietà e in

tal caso potrebbe fungere da volano per l’attività economica esistente. Infatti, accanto

all’azienda agricola e al già operativo e funzionante agriturismo, l’intenzione più prossima

pare quella di mettere a nuovo l’edificio che ospitava gli appartamenti dei braccianti per

ricavarne un Bed&Breakfast e favorire così un turismo agroalimentare, che permetta un

distacco sostanziale dalla frenesia della vita cittadina: un tipo di turismo sempre più ricercato

dall’utenza e bisognoso di nuovi spazi e nuove attrazioni. In tal proposito, per favorire il

turismo di nicchia ed intercettare un flusso culturale, oltre che prettamente ludico, la

creazione di un museo parrebbe coerente, tenendo conto peraltro dell’unicità della storia da

raccontare. Potrebbe addirittura essere inserito successivamente in un circuito di “company

3 Voluta e organizzata dal Comune di Cervignano e tenutasi presso il Centro Civico, dal 30 maggio al 14

giugno 2009. Con la mostra è coincisa la pubblicazione del catalogo, a cura di Valcovich e Barillari, Dante Fornasir, ingegnere (2009)

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town e country” che permetta un tour delle esperienze sociali, a livello sia regionale, ma

anche e soprattutto euro-regionale ed europeo4.

Va detto inoltre, che Borgo Fornasir fa già parte di un progetto Interreg che riunisce i

territori dell’agro aquileiese, del carso e della costa slovena, per lo sviluppo e la promozione

delle aree turistiche locali5, e in questo senso ritengo ancora più significativa l’idea di

costruire un “luogo” (come può essere il museo o una mostra permanente all’interno del

borgo stesso) dove poter dar luce all’idea utopica messa in opera in queste zone e in

definitiva per poter, in primo luogo, valorizzare e poi “vendere” ai curiosi il proprio passato.

La seconda strada che decido di intraprendere riguarda, come detto, un progetto

firmato da Elisabetta Fornasir, il cui studio ha riguardato la trasformazione dell’insediamento

in questione in un ecovillaggio. Ora, non voglio entrare nel merito del progetto e descrivere

nei dettagli gli interventi previsti (che mi sembrano molto interessanti) ma solamente

limitarmi a riflettere sull’idea proposta e sulle conseguenze che da essa muovono.

Un ecovillaggio, usando le parole di Elisabetta Fornasir, altro non è che “una

comunità di non ampie dimensioni, che si costituisce sulla convergenza di più volontà verso

precisi obiettivi, e costruisce la propria identità sulla condivisione di ideali di equità e di un

modello di sviluppo ecologicamente più sostenibile”6. Si tratta, in poche parole, di un

sistema insediativo che si basa sul rispetto e sulla sostenibilità ambientale e che ha nel

concetto di co-housing l’elemento fondante.

Nato in Danimarca negli anni ’60, questo modello di convivenza partecipata è

caratterizzato dalla compresenza, in un insediamento di dimensioni limitate, di ambienti

privati e spazi comuni. Accanto alle abitazioni private, infatti, viene creata tutta una serie di

servizi di uso comune gestiti dagli stessi abitanti e a disposizione solo di essi, quali possono

essere cucine, laboratori artigianali, palestre, biblioteche, spazi giochi per bambini ed altro.

Molto diffuso in Europa e negli Stati Uniti (presenti anche in Italia, anche se in

maniera più limitata), il co-housing costituisce un’effettiva realtà dalle fattezze concrete, ma

4 Questo è quanto viene proposto anche da Delli Zotti nello studio del caso di Cave del Predil, con la

proposta di creare un Parco minerario, o un Museo della Miniera, per ridare vitalità all’insediamento montano 5 Il progetto prende il nome di Terre di Aquileia ed è visitabile all’indirizzo web www.terrediaquileia.it

6 Fornasir (2006), Un ecovillaggio nel Borgo Fornasir di Cervignano, pag. 3

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può benissimo essere interpretato come un modello utopico a tutti gli effetti. Pone come

fine ultimo e come ragion d’essere la creazione di una società alternativa, che mette in crisi

l’attuale idea di modernità e di convivenza, che sconfigge l’isolamento e la solitudine

caratteristici delle grandi città. Come nel caso dei villaggi operai ottocenteschi, in questo

modo viene riproposta la creazione di un Uomo nuovo, che necessita di nuovi spazi e servizi

aggiornati, cioè adeguati ai nuovi bisogni richiesti dal vivere. Un uomo forgiato su nuove

basi, con uno stile di vita sostenibile e solidale.

Questa seconda strada, dunque, propone la creazione di una nuova utopia da

sovrapporre a quella precedente, che possa ridar vita e colore al Borgo e superare lo stato di

affanno che attualmente lo caratterizza. Dall’utopia della company town/country si passa

alla creazione di un insediamento co-housing. Con le dovute differenze, entrambi i modelli

sono fondati sul vivere sociale, sono portatori di benessere e generano una tipologia di

ricchezza che difficilmente è quantificabile in termini economici. Rappresentano, in

definitiva, la risposta illuminata ai problemi della società circostante e sembrano posti su una

linea continua, che li lega e li rende conseguenti: due tappe intermedie di un medesimo

percorso che porta verso un miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo. Questo non è

del tutto vero se si considerano le caratteristiche stesse che delineano un modello utopico.

Non ci può essere continuità essenzialmente per il fatto che un’utopia è, per definizione,

statica, non può modificarsi od essere modificata perché perfetta (o almeno considerata

tale). È infatti necessaria la morte del primo modello per permettere la nascita del secondo,

e questo non può avvenire per cambiamenti lineari ma bensì per scarti.

Una grande differenza è significativa e denota il cambiamento, sia storico

(circostante) che del modello stesso: dalla gestione gerarchica dei primi modelli

ottocenteschi si è passati ad un tipo di organizzazione basato essenzialmente sulla

cooperazione. È avvenuta cioè la trasformazione (auspicato in conclusione del Cap. 8) che

permette un evoluzione democratica dell’insediamento company. Non vi è più il

Padrone/Capitano d’azienda che controlla e decide la vita comunitaria. Si è giunti ad un

modello in cui, all’estremo, gli stessi abitanti decidono i propri vicini di casa (principio del

vicinato elettivo) e ogni scelta viene fatta in modo partecipato.

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Grazie alla creazione di una nuova utopia (che come visto è simile, ma in termini

evoluti) si ha la possibilità di riportare in vita Borgo Fornasir, rendendo così onore all’opera

dell’ingegnere e, allo stesso tempo, non fossilizzando le sue azioni ma bensì attualizzandole.

Dunque, senza tradire la volontà originaria e l’idea che ha generato tale esperienza.

In conclusione, a mio parere, il modo migliore per rendere omaggio alla grandezza di

Dante Fornasir, facendo in modo che il suo progetto non vada dimenticato, è fornire di

nuova luce il borgo. Risulterebbe effimero e poco lungimirante limitarsi alla creazione di uno

“spazio della memoria”, un museo in cui ammirare le opere dell’ingegnere, utile ma

relativamente affascinante. Il solo atto del ricordare non renderebbe, affatto, giustizia a

quanto ideato e creato in queste zone. Non potrà mai permettere una concreta e completa

conoscenza di ciò che è stato. Finché non verrà creata una nuova utopia, basata su modelli

teorici applicabili al mondo reale e portatori di risultati concreti, la storia e gli insegnamenti

di Borgo Fornasir non riusciranno ad essere compresi nella loro grandezza. Con il rischio di

ridurre il tutto ad un racconto verosimile, a cui si fa persino fatica a credere.

Se posso premettermi un’ultima considerazione al riguardo, da quanto appreso in

questi mesi di lavoro, dalle testimonianze e dalle diverse voci che ho sentito e con cui mi

sono confrontato, per le riflessioni che mi hanno accompagnato e le emozioni che si sono

susseguite, ho tratto una semplice conclusione: Dante Fornasir, nella costruzione di tutto ciò,

non voleva essere ricordato, ma bensì imitato e preso come esempio dalle generazioni

future.

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