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RUBRICHE RECENSIONI LIVE INTERVISTE  NUMERO 51 | ESTA TE 2015 | COPIA GRATUITA | WWW.BE AUTIFUL FREAKS.ORG

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L'estate è finita anche per noi. Ci riprendiamo dalla sbornia del numero 50 macinando recensioni su recensioni con la nostra ormai tatticissima mappetta per orientarci per lo stivale. Il live report del festival di Calcatronica e l'intervista all'itinerante JamBus parigino a deliziarci. Come le nostre solite rubriche dell'incompetente, del chi l'ha visto e delle bucce candite.

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  NUMERO 51 | ESTATE 2015 | COPIA GRATUITA | WWW.BEAUTIFULFREAKS.ORG

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Sommario

BEAUTIFUL FREAKSSito web: www.beautifulfreaks.org E-mail Redazionale: [email protected]: http://twitter.com/bf_mag Facebook: http://www.facebook.com/beautifulfreaksmagWikiFreaks: www.beautifulfreaks.org/wikifreaks E-mail Wiki: [email protected]

Direttore editoriale: Andrea Piazza

Caporedattore: Agostino MelilloDirettore responsabile: Mario De GregorioRedazione: Maruska Pesce, Marco Mazzinga, Marco Petrelli, Fabrizio Papitto, Vincenzo Pugliano,Pablo, Bernando Mattioni, Anthony Ettorre, Antonia Genco, Lorenzo Briotti, Rubby.Hanno collaborato: Alberto Sartore, Ciceruacchio, Marica Lancellotti, Andrea Plasma, PiergiorgioCastaldi, Gabriele O, Daniela Fabozzi, Daniele Bello, Andrea Schirru, Giacomo Salis, Alberto Giusti,Aenis, Frank. Inne un ringraziamento particolare a Marco M. e Vincenzo P.Le illustrazioni e le illustrazioni di Bu!Cce Candite sono di Antonia Genco.

Beautiful Freaks è una testata edita da Associazione Culturale Hallercaulregistrazione al Roc n° 22995

INTERVISTE  4 Jambus Experience

CONCERTI  8 Calcatronica 2015

RECENSIONI  10 Le Specialità Tipiche

  11 Full Length

  35 EP

RUBRICHE  37 Bu!Cce Candite

  39 L’opinione Dell’incompetente

  40 Chi L’ha Visti?

LE RECENSIONI

Elvis Perkins | Lùisa | Sacri Cuori | Pedro Navaja SoundMachine | Notturno Americano | Sóley | HaxelGarbini | Pablo E Il Mare | Verdena | Caravanserai | Sanchez | Taléh | Calvino | Grimoon | Iosonouncane| Albedo | Gouton Rouge | The Cave Children | To You Mom | Zu | Icicle | Soa Brunetta | Meanza & De| The Stash Raiders | Farlibe Duo | Werto | Zolle | L’Io | Winona | Vessels | Vallone | Mulo Muto / B E TA | Sycamore Age | Cranchi | OoopopoiooO | Maya Galattici | Moa Bones | PuntinEspansione | I.Muri |

Thomas | Nei-Shi | Monolith | Giobbe | Electric Violet | Salamone ||| Orelle | Vanessa Van Basten | Sdang!| Not A Good Sign // 

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Vittorio Alfieri informa nella sua autobiografia di aver tentato una lettura del Galateo di

Giovanni Della Casa, ma di averlo subito gettato dalla finestra, con gesto assai poco galante,dopo aver letto la prima parola: conciossiacosaché. Lo sdegno era mosso dall’aver trovatouna parola tanto arcaica in un testo moderno.

L’aneddoto mi ha punto la memoria il mese scorso, dopo aver iniziato la lettura di una notarivista musicale, che non menzionerò perché non è rilevante; potrebbe essere una qualunquerivista musicale o cinematografica - che poi alla fine quanto parlano di musica e di cinemase escludiamo il gossip? Chiamerò questa rivista con il nome di fantasia “Raggruppamentoincivile”. Trovo terribile questa moda nel giornalismo, di nera soprattutto, di dare un nomedi fantasia a tutte le persone che godono dell’anonimato. “…perché Antonella è ucrainae per riabbracciare subito Giulia (nome di fantasia)…”. Non avrebbero potuto scriveresemplicemente “per riabbracciare subito la figlia”? Uno squallido artificio retorico, pergiunta abusato, per innalzare la temperatura emotiva dell’articolo. Il giornalismo chespettacolarizza non è buon giornalismo, e non lo è neanche quando si parla di spettacolo,meno che mai di cultura. Credo. Oggi.

Tornando a “Raggruppamento incivile” (nome di fantasia). Apro a pagina 3 pronto aimmergermi nelle avvincenti avventure acquatiche della musica sommersa (trovando comesempre banchi di indie e aff ini), ma al primo rigo mi blocco. C’è un “ogni tot” che mi crea unfastidio indomabile. Non è l’informalità del termine, l’effetto colloquiale che la senz’altroesperta penna ha voluto dare. È la sensazione di sciatteria che mi si è arrampicata addosso,all’improvviso. Chiudo e riapro la rivista, ma ogni tot è sempre là. E anche la sensazione disciatteria. Idiosincrasia, può darsi, ma oggi la chiamo sciatteria.

Con il volto contratto di chi ingurgita una pietanza sgradevole, concludo l’articolo. Avreipotuto fermarmi ad ogni tot... Avrei continuato a riflettere sull’espressione, sulla sensazione,sulla roba che mi si arrampicava addosso lungo le spalle, sull’imprevedibilità del giudizioestetico, sulla tirannia dei pregiudizi morali, sull’impietosità della grammatica italiana, sulpatetismo del giovanilismo ostentato. Invece ritorno a pensare che le più note riviste dimusica non parlano di musica e sono incapaci di emettere riflessioni profonde. Perché nonlo fanno? Prima ipotesi: processi redazionali fatti di automatismi e tempi stretti che nonlasciano tempo ai giornalisti (ormai in gran parte collaboratori esterni) il tempo di una sanariflessione.

Per concludere il cerchio, riprendo Alfieri e muovo in scacco: “mi convinsi con sommo doloread un tempo stesso, che nella fetida e morta Italia ella era assai più facil cosa il farsi additareper via di cavalli, che non per via di tragedie”. Parafrasando per i più pigri, ed eliminando ilrancore verso la nazione: per essere seguiti e per fare soldi qui bisogna dedicarsi al gossip,praticare il già noto, parlare di fica e di cazzate.Rolling Stone di Settembre ha in copertina un vincitore di un noto reality show: “Compari”(nome di fantasia). Scacco matto.

Torniamo a parlare di musica, vi prego. Ognuno come può. La musica stimola l’intelletto, èimportante per formare l’elettorato che costituisce le fondamenta della nostra democrazia(nome di fantasia). Sulla conclusione mi sono fatto prendere la mano, lo so, mi succede, ognitot.

Alberto Sartore 

editoriale

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RUBRICHERECENSIONILIVEINTERVISTE

JAMBUS EXPERIENCEMusica itinerante nel cuore di Parigi

Sui lungosenna e nei locali di Parigi sta da tempo prendendo vita un progetto che offre atanti musicisti la possibilità di fare musica itinerante. Olivier e Dive ci hanno raccontatoqualcosa di più del loro ammirevole progetto. Keep on reading.

Com’è nato il progetto JamBus Experience?Olivier: Tutto è cominciato l’estate del 2012 sul lungosenna di Parigi dove ho incontrato

tanti musicisti, tra cui Dive, e insieme suonavamo tutte le sere. Quando le temperaturehanno cominciato a calare ho trovato un bar a Saint-Michel che ci ha permesso di

organizzare una jam tutti i giovedì per mantenere questa atmosfera speciale dei quais

de Seine tutto l’anno. Col tempo si è creata una comunità di artisti ed un pubblico fedelesempre più numeroso. Dive invece stava lavorando al suo progetto Jet’Zik per cui volevacomprare e rinnovare un bus da trasformare in jam session ambulante. Gli obiettivi

principali sono quindi permettere alla nostra comunità di artisti indipendenti di trovare unpubblico sempre nuovo attraverso l’Europa, tessere una rete di partnership con altri artisti

per condividere i locali delle loro città ed invitarli a Parigi anche per mostrargli l’immaginedi una città culla di creatività, di scambio e di apertura culturale. Speriamo che Jambus

offrirà sia agli artisti che al pubblico un nuovo modo di viaggiare e vivere un’esperienzaunica.Dive: Con JamBus vorrei dimostrare alla gente che si può viaggiare con i trasporti in

comune senza che il tragitto sia sgradevole. Poi penso che passare del tempo con gli altrisia sempre occasione di arricchimento e, con un sottofondo musicale, anche di felicità.

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RUBRICHERECENSIONILIVEINTERVISTE

Presentateci la famiglia JamBus, le varie radici ed influenze musicali che circolano travoi.O:  Il panorama è molto variegato perché siamo più di una trentina di artisti e ognuno ha lesue influenze. Troviamo rock, blues, soul, funk, reggae, world music, rap, hip-hop e anche

del pop.D:  Non dimentichiamoci della musica africana, che racchiude lei stessa delle culture

musicali differenti.

Dove preferite suonare?D:  Nel nostro gruppo ci sono anche ballerini e foot freestylers quindi suoniamo sia per le

strade che nei locali e nei festival.O:  Suoniamo regolarmente nei grandi locali di Parigi come il Bus Palladium, il China o

l’International, che hanno un pubblico ognuno molto diverso a seconda delle serate cheospitano. Facciamo jam session ogni martedì e giovedì; il giovedì è la serata “storica” al

Carré Saint-Michel che ha un pubblico che non esita a mettersi a proprio agio e cantare eballare con gli artisti ( come volevamo dagli inizi sul lungosenna). La serata del martedì è al

Nul Bar Ailleurs (quartiere Bastille), l’abbiamo creata per dare modo agli artisti amatorialidel pubblico di imparare dagli artisti più bravi e creare nuove canzoni insieme. Chiaramente

quando il clima lo permette continuiamo a suonare sul lungosenna, è lì che tutto ècominciato.

State per registrare il vostro primo CD: sarà una registrazione live o in studio?Indipendentemente da ciò: lo registrerete con un’etichetta indipendente o tramite

altri mezzi come il crowfunding o una cl assica autoproduzione?O:  Tra i nostri artisti abbiamo diversi fonici esperti che hanno registrato una nostra live

 jam e si sono occupati di missaggio e mastering. Abbiamo preferito autoprodurre il CD

perché tutto è stato fatto da e per l’associazione in modo che i ricavi del disco servanoa finanziare l’acquisto e il rinnovamento del bus. Comunque contiamo di lanciare uncrowfunding nel 2016 per raccogliere i soldi che ci mancheranno per il bus.

D:  Questa registrazione mostrerà anche al pubblico quello che siamo in grado di fare,senza trucchi o correzioni. Abbiamo voluto ricreare lo spirito della jam senza deformarne la

natura per mantenere la sua originalità.

Quali sono i princìpi ed i valori essenziali secondo JamBus per vivere la musica?O:  La semplicità. Per noi tutto parte da lì. La musica, anche se certamente richiede molto

lavoro, deve rimanere semplice e spontanea. Ho visto molti artisti cambiare per firmarecon una casa discografica o per accontentare pubblico e produttori. Quasi sempre questi

artisti si sono persi e hanno finito per gettare la spugna. La semplicità evita di perdersinelle trasformazioni che la major impone all’artista per farlo diventare una star-prodotto

bancario e renderlo più apprezzabile dai grandi pubblici. È nella sua unicità che un artistadiventa interessante.

Oggi viviamo in un periodo in cui internet è sempre più il protagonista dellacomunicazione e della diffusione delle informazioni anche nel campo della musica. Che

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cosa pensate dei social network come mezzi di espressione e diffusione per la musica eper gli artisti?O:  Sono l’accesso diretto al pubblico quindi permettono di emanciparsi dal controllo diuna major o dei produttori, e già solo per questo non possono che essere degli strumenti

formidabili che hanno democratizzato l’accesso e la diffusione della musica. È anche veroperò che alcuni artisti possono perdersi e ritrovarsi “prigionieri” delle attenzioni dei loro

fan o della ricerca costante del “mi piace”, quindi è importante restare semplici e fedeli ase stessi.

Pensate che nel vostro caso i socialnetwork come Facebook e Twitter possanoaiutarvi a farvi conoscere dal pubblicooppure trovate più utili e dirette le jam ?O:  È tutto collegato. I social network

permettono di promuovere gli eventi e gliartisti e allo stesso tempo di mantenere i

contatti col pubblico incontrato nei concerti.Questo permette anche di diffondere dei

video e delle canzoni a scala maggiore graziealla condivisione delle persone che ci conoscono durante i live e che invitano i loro amici a

guardare i video o a venire alle nostre serate.

E cosa pensate delle nuove piattaforme di streaming musicale per condividere le

canzoni con un pubblico più vasto e non necessariamente localizzato a Parigi ?O:  Tutte le piattaforme sono positive, anche se bisogna fare delle scelte e magariconcentrarsi su una piattaforma piuttosto che un’altra per non ritrovarsi con degli ascolti

troppo vicini allo zero.

Se da un lato viviamo nell’epoca di massimo sviluppo di internet , dall’altro lato c’èparadossalmente un ritorno ai dischi in vinile. Pensate che sia meglio da un punto divista musicale oppure si tratta semplicemente di una moda?O:  Un po’ entrambe le cose ma il vinile esiste da molto più tempo prima, appartiene

ad un’epoca dove la qualità era più importante della quantità. Oggi come oggi viviamonell’era del business, della rapidità e quindi della compressione…Si perdono tantissimesfumature del suono con la compressione e i formati digitali non permettono di avere lo

stesso comfort di ascolto del vinile quindi il bisogno del ritorno al vinile è reale. Spero chein futuro la tecnologia permetterà di avere la stessa qualità del vinile restando nei limiti di

dimensione dei file musicali.

Come immaginate il vostro concerto ideale ?O:  Sarebbe un momento di comunione totale con il pubblico, dove ci si senta in perfetta

osmosi durante tutto il concerto. È una cosa che capita molto spesso ma è veramente raro

che duri per l’intero concerto.

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Avete fatto dei concerti speciali quest’estate ?O:  Quest’estate è stata molto speciale perché è stata la prima tournée europea di JamBus.

Abbiamo organizzato delle jam in 10 città per promuovere 6 artisti Jambus e trovarne altri6 da invitare a Parigi per una grande jam il prossimo novembre. Oltre a Parigi siamo stati

a: Bruxelles, Amsterdam, Berlino, Praga, Cracovia, Budapest, Bratislava, Vienna e Basilea.Abbiamo fatto il viaggio in un mini-van grazie al nostro sponsor Loecsen.com, un sito per

imparare le lingue che ha coperto la maggior parte delle nostre spese.

Cosa possiamo fare dall’Italia per aiutare JamBus Experience a crescere anche fuoriParigi ?O:  Potete condividere i video dei nostri artisti e mandare degli artisti italiani da noi aParigi. Comunque dato che dall’anno prossimo avremo il JamBus, tutta l’Italia farà parte

delle nostre prime tappe quindi ci vedremo presto!

Olivier Domengie: Vicepresidente e direttore artistico - Dive Da Costa: Presidente

Quindi se passate da Parigi, fate un salto a Saint-Mich il giovedì sera, ma se ci andated’estate cercate i jammers sul lungosenna e non ve ne pentirete.

(Per la versione in francese rivolgersi al sito ww w.beautifulfreaks.org/online)

A cura di Daniela Fabozzi 

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RUBRICHERECENSIONILIVELIVEINTERVISTE

CALCATRONICA 20151416 Agosto @ cAlcAtA

Il vero festival di musica elettronica nel ferragosto romano! Svoltosi a pochi chilometri dallacapitale, nel borgo di Calcata vecchia e nuova, i cui ideatori sono stati Amptek, produttore e

videomaker romano collaboratore di diverse radio come la romana Radio Città Aperta e JohnArnold “Spectrex” un batterista newyorkese passato all’elettronica restando batterista, giàosservato in azione presso il teatro Lo Spazio nelle serate di Musica Machina Nello Spazio.

L’evento è stato di per se molto difficile da rintracciare, e a ben ragione, del resto solo cosìsi poteva scremare da chi avesse travisato che l’accoppiata musica elettronica/ferragosto

in questo caso non rappresentava l’ultima chance 2015 di trovare un posto ballereccio,

finalizzato solo allo “scusacometichiamimadaiancheiosonopesci”. Così non fosse di certoavrebbe meritato sicuramente un passaparola più ampio. L’evento si spandeva per l’interezzadi Calcata, vecchia e nuova, in diverse location tutte molto evocative come chi conosce la

cittadina, può benissimo immaginare. I primi due giorni la scena si è svolta nell’anfiteatroromano, ma di costruzione recente, della città nuova dove si poteva assistere al susseguirsi

degli sciamani delle manopole intenti a tirar fuori questa o quella sonorità agitando levettee potenziometri. I beat erano solo che accennati, l’attitudine al ballo del pubblico inibita,

la mia soddisfazione già in salita. Nello stand a bordo palco invece H501L intrattenevasapientemente nei cambi palco che per lo più si limitavano ad attaccare qualche jack da qui

a li, spegnere una c iabatta per attaccare un proiettore, misurare la resistenza, chiudere un

circuito, spegnere l’amperometro. Le solite cose da elettricisti insomma. Per lo meno finoalle 22 dove com’è giusto che sia l’atmosfera virava dalla musica elettronica d’autore, nella

Giunto alla terza edizione il Calcatronica promette di figurare ben presto come la calamitapolare del ferragosto romano. Dal 14 al 16 agosto a Calcata è stata sferzata da un filo dicorrente alternata tranciato che ha sferzato tutta l’area di scariche elettriche, notte egiorno, con il solo intento di appagare orecchie scariche.

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RUBRICHERECENSIONIINTERVISTE LIVE

declinazione della IDM ad una techno più ballabile, con buonapace del sottoscritto.Dopo la mezzanotte, scaldati gli animi l’epicentro si spostava a Calcata Vecchia attraverso

una suggestiva discesa, che comunque al ritorno di ripresentava come salita per lo piùripidissima, discesa appunto che portava nel cuore della città vecchia illuminata per

l’occasione e viva nella sua piazzetta, e nei suoi scorci più caratteristici di giorno che dinotte e nei forni rifocillagioventù. Gli eventi proponevano una ramificazione in alcuni locali

del posto che proponevano techno o ambient fino a sera tarda, ciascuno in linea appuntocon locale, pieni fino a fuori che solo i migliori stambecchi di montagna avevano l’occasione

di accapparrarsi qualche tavolo libero, per primi, a seguito del saliscendi di cui sopra.Nonostante tutto ho preferito di gran lunga l’atmosfera dell’anfiteatro, che a dispetto della

città vecchia, dava musicalmente un’atmosfera più vera ed entusiasmante. Il terzo giornoè stato il più divertente, per lo meno per me. Mi è capitato di parlare saltuariamente con

alcuni ragazzi che cercavano quell’accoppiata musica elettronica/ferragosto di cui parlavonella scorsa pagina, mi dicevano della loro difficoltà a ballare su alcuni djset, che erano

veramente tosti da farci qualche passo sopra e aspettavano con veemenza l’ultimo giornoper il “rave nel bosco”. Appena spiegatogli che l’ultimo giorno si svolgeva si nel bosco, ma di

non aspettarsi il cosìdetto “muro di casse” i tre telarono armi e bagagli. Che forse alla finequi ho alzato un po’ il tiro ma non potevo sapere.

L’Opera Bosco, dove si svolgeva l’ultima giornata, è una specie di museo all’aperto consculture lignee ed un percorso nella natura per visitarle tutte, l’arrivo in biglietteria era

ormai un pro forma dato che ferragosto era ormai passato e chi arrivava erano ormai voltinoti dei più interessati che avevano fatto l’abbonamento ai tre giorni ad ascoltare le serate.

Una sorta di ritrovo più intimo per rilassarsi con della buona techno che proseguiva senza

soluzione di continuità fino a tarda notte, dopo un piatto di pasta arrangiato, quando eraormai ora di staccare la spina a questa tre giorni di relax e ottima musica elettronica daascoltare.

Piccola nota a margine, il costo dell’abbonamento era di 20 euro circa per 3 giorni di musicapiena. Costo che ho voluto sottoscrivere interamente senza provare a chiedere nemmenoun pass, poi era ferragosto volevo sentirmi più libero di ascoltare musica anziché seguire

anche le conferenze inaugurali, che trattavano argomenti comunque interessanti. Realtàcosì reputo siano da sostenere, non voglio correre il rischio che non si ripropongano, il

prossimo ferragosto romano.

Plasma 

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INTERVISTE LIVE RECENSIONI RUBRICHE

LE SPECIALITÀ TIPICHEdi Beautiful Freaks

IosonouncaneSanchez

Farlibe DuoOrellePuntinEspansionesa Brunea

Haxe garbiniPedro Navaja SoundMachineVanessa Van Basten

Caravanserai

grimnMaya gaaiiNotturno Americano

Alessandro PetrilliCranchiMonolithOoopopoiooOSacri CuoriWinona

Electric Violet

gibbeL’Io

Zu

Sycamore Age

AlbedoCalvinogun RueN A gd sinSdang!ValloneVerdenaZolle

Pablo E Il MareThomas

Le nostre importazioni

BUlgARIA - IiegERMANIA - lùia, Meanza & DegREcIA - Ma Bne, the cave chidrenINgHIltERRA - VeeISLANDA: SóleySVIZZERA Mulo Muto / B E T AUSA: Elvis Perkins

Abbiamo diviso le recensioni che troverai nelle prossime pagine ordinandole per regione.Specialità tipiche di stagione selezionate per te da Beautiful Freaks!

I.Muri

To You Mom

SalamoneTaléhThe Stash RaidersWerto

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INTERVISTE LIVE RECENSIONI RUBRICHEINTERVISTE

RECENSIONIElvis Perkins

I AUBADEMir Records, 2015 

Terzo album per Elvis Perkins. Il songwriter newyorchese, ma losangelinodi nascita, ci regala uno squisito trattatello poetico, che racchiudeun’unica coloratissima anima, le cui sfumature rievocano i paesaggisterminati e le autostrade su cui è nato il concept dell’album. Non c’èneanche bisogno di sottolineare di quale star del rock’n’roll fosse fanil padre dell’autore (che peraltro era il celeberrimo Anthony Perkinsdello Psycho di Hitchcock), ma il nome che porta e la sua storia familiare(factcheck it) sono paradigmi di quanta musica e di quante storie scorrano nelle vene dell’autore. Il

progetto trova un solido supporto nella voce di Perkins, il cui timbro può ricordare l’ariosità di DevendraBanhart, come il David Longstreth più rilassato, l’espressività di Sufjan Stevens e l’intima melanconiadi Iron and Wine. Le tracce dell’album, così scarne eppure così piene di suono mai saturo, sono unpiacere per le orecchie, che assieme alla personale musicalità e la ricercatezza delle atmosfere create,rendono I Aubade un album maturo e convincente. Il titolo dell’album si riferisce ad una forma lirica,ovvero un componimento poetico ispirato al sorgere dell’alba, momento in cui gli amanti si salutanodopo una notte d’amore. È proprio questo ciò di cui tratta l’album: morning songs, canzoni da cantareall’aperto, di mattina. Quiete, pace e fragilità sono pertanto caratteri peculiari dell’opera, che galleggiatra i vaporosi inserti orchestrali di brani come My Kind e le suggestioni quasi classiciste di & Eveline.I tòpoi in cui Perkins inscena le proprie poesie raccolgono uno spettro emozionale fatto di polvere,Sherwood Anderson e chamber pop a tinte folk. Poesia materica, ma non troppo: il singolo Hogus

Pogus è la piccola storia di un trapianto cardiaco, Gasolina il pianto di un derelitto, My 2$ un delicatovaanculo alla storia degli U.S.A. del capitalismo. Tutto l’album è stato registrato con un registratorea quattro tracce, abbandonando gli studios patinati, le recording sessions e la promozione sui social.I Aubade è fatto di briciole di suono, pause, assenza, umanità. Potremmo parlare per ore di ciò che èquesto album. Ma sappiate solo che è uno degli album più umani che siano usciti da un po’ di tempo aquesta parte. Una perla. [8,5/10] • Bernardo Mattioni

LùisaNEVER OWN

Nettwerk Music Group, 2015 

Lùisa, con quell’accento spostato indietro che suona così curioso, cosìeccentrico, quando in realtà n dalla prima traccia emerge chiara lasua semplicità, indipendentemente dal fatto che sia accompagnata dabeat elettronici o dalla sua fedele chitarra classica. Gli arrangiamentielettro-pop infatti non fanno altro che esaltare l’atmosfera intima eminimale che si costruisce attorno alla voce di Lùisa, capace di essere sìmalinconica, ma al tempo stesso fresca e avvolgente. Un calore umanodi straordinaria intensità, di quelli che ti fanno sentire bene anche quando sei nel bel mezzo di unatormenta di neve e non puoi far altro che immaginare il crepitio sommesso del camino acceso. L’abilitàinterpretativa della ventiduenne di Amburgo salta all’occhio anche nel momento in cui abbandonal’inglese per cimentarsi col romanticismo di lingue quali francese (L’Hiver En Julliet) e italiano (All’Inizio),

dimostrando sensibilità e charme tipici di un cantautorato femminile come quello di Florence Welch eAnna Calvi, mantenendo però intatto quell’istinto glaciale che la rende decisamente curiosa. Curiosa,come quell’accento fuori posto simbolo della sua estrosità. [8,5/10] • Aber giui

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INTERVISTE RUBRICHERECENSIONILIVE

Sacri CuoriDELONEGlitterbeat Records, 2015 

Fare man bassa del lavoro di geni granitici consacrati dal tempo è lapiù naturale e umana forma di difesa verso la crisi d’identità che

serpeggia nello scenario postmoderno in cui ci si agita, noi, voi, tutti.Poi esistono i Sacri Cuori, i Quentin Tarantino delle colonne sonore.Partiamo dal passato: un tempo di cui i nostri hanno fatto studio conserietà e passione, al ne di incamerarne il mood e le sonorità, perlanciarli prepotentemente n dentro il fegato del presente. I Sacri

Cuori abbandonano le proprie spoglie mortali, incarnando un vettore che connette grandi tradizionimusicali e personalissime soluzioni compositive, con gusto e qualità. La sovrapposizione di più straticoncettuali rende Delone un album capace di comunicare attraverso la sintesi di diversi linguaggi.Ne troviamo un eloquente esempio in La Marabina, che sembra omaggiare gli scanzonati sospiri neilavori di Piero Morgan. Poi all’improvviso… avete presente quei primissimi piani nei lm hard boileddove c’è uno zoom improvviso sulla faccia del cattivo? Ecco, la canzone si trasforma in qualcosa del

genere. Ovviamente la colonna sonora anni ’60 è un ricordo d’infanzia che la band ha disseminatonell’album, in diverse declinazioni: Seuls ensemble è una ballata scura e disillusa, Portami Via è unacartaccia portata dal vento, Dirsi addio a Roma è tutta nel titolo e nella melanconia… L’album, per lopiù strumentale, è caratterizzato da una grande fruibilità, ma non è immediato, non è superciale.Lo si può ascoltare distrattamente e funziona bene, ma si può anche prestare attenzione allescelte armoniche che lo caratterizzano, e rendersi conto che non sono mai scontate. L’interplay traGramentieri e i suoi smussa e scalda i contorni di un’ottima produzione, che annovera diversi ospitiillustri: Marc Ribot, Howe Gelb (Giant Sand), Steve Shelley (Sonic Youth), oltre alla voce di Carla Lippis,che dona l’allure esotica denitiva al progetto, che segna un passo avanti rispetto al passato deiNostri, dal punto di vista compositivo. Realizzato in tre diversi continenti, pubblicato presso una labelche si occupa prevalentemente di world music, Delone parte come i nostri tanti emigranti dei quali

sembriamo non avere più memoria: con l’Italia nel cuore, i piedi nel mare, e un destino che appare là,oltre l’orizzonte. [7/10] • Bernardo Mattioni

Pedro Navaja SoundMachine¡gRItA lA NocHE!Autoprodotto, 2015 

Pedro Navaja SoundMachine (nome che richiama una celebre canzonedi Ruben Blades) è una band nata nel 2009 dall’incontro di un cileno, diun cingalese e di un argentino conosciutisi nei vicoli e negli ambientimusicali dei caruggi (vicoli) di Genova; la tta presenza di immigrati

latinoamericani in questa città ha quindi contribuito alla nascita diquesto gruppo cui si sono aggiunti poi vari componenti dopo i successiriscossi nei primi locali.

I ritmi e le sonorità di questa band hanno quindi, un debito evidente con le tradizioni del continentesudamericano (la salsa, la cumbia, ma soprattutto il reggae) ma si ispirano anche ad altri generi, comeil amenco, il tango e la tarantella, né disdegnano i ritmi elettronici.Un vero e proprio melting pot multietnico, insomma, che rimanda alla Pachanga di Manu Chao, che

 – non a caso – i componenti del gruppo considerano un esempio da seguire e che sognano di vederesul palco assieme a loro.Incoraggiati dai proclama della band (“SoundMachine è… la macchina del suono e cioè la vitalità, laforza e l’energia che porta e trasmette questa musica latina “sporcata” da altri generi”), non si puònon farsi trasportare dalle note della loro musica, che diventa praticamente irresistibile in pezzi come“Rumba de la Luna”, “El Macaco”, “Bangra”, “Camaron” e “Genova Chango”. [8/10] • Daniele Bello

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RUBRICHERECENSIONILIVEINTERVISTE

Notturno AmericanoNOTTURNO AMERICANO

Santeria, 2015 

Immaginate di mettere insieme un eclettico artista, due egregi musicistie una storia passata talmente attuale da dover essere raccontata,

immaginate il risultato. Smettete di immaginare: Emidio Clementi,storica voce narrante e anima graante dei Massimo Volume, dedicail suo ultimo reading a Emanuel Carnevali, poeta e faro illuminantedella carriera artistica di Clementi. Le parole di Carnevali però da solenon bastano a riportare la mente dentro le storie narrate, occorreuna musica, la musica è quella dei Giardini Di Mirò (una parte), storica band protagonista della scenaunderground italiana, Corrado Nuccini, già compagno di reading di Clementi nel precedente lavoroe Emanuele Reverberi, anima musicale delicata e mistica. Tutto questo è Notturno Americano, unviaggio attraverso i continenti e i disagi di un uomo, il racconto delle sue paure e dei dolori lungola strada, attraverso le sue stesse parole. Carnevali era un uomo solitario, chiuso, a tratti assurdo everosimilmente bipolare, piangeva e rideva, singhiozzava al buio o urlava in una qualunque strada

di new york, e poi soriva e scriveva, scriveva e soriva. Chi meglio di Mimì (Emidio Clementi) puòentrare nelle viscere di un così poliedrico personaggio. Nuccini e Reverberi creano un tappeto musicalevariopinto, caleidoscopico, di sogno e d’inferno man mano che si susseguono i racconti. Il disco nascedopo un anno di spettacoli in giro per lo stivale, prova a racchiudere tutta la magia, ma non ce la fa, èlive che si scatena il ciclone emotivo. [8,5/10] • Maruska Pesce

SóleyASK THE DEEP

Morr Music, 2015 

Ask The Deep è il disco perfetto da ascoltare mentre l’estate nisce. C’èun senso di sospensione inquieta che riempie tutti i pezzi, minimalisti omaestosi, sempre intimi, da interno-autunno. Questo è un album algidoed elegante, sorretto da una produzione impeccabile. Sóley è islandesee, come altri dei suoi compatrioti, ha un senso ranato del vuoto e delsilenzio. Suonano come storie della buonanotte oscure, le canzoni chescrive, musica da sogni inquieti senza che diventino dei veri e propriincubi. C’è il diavolo, una signora con un occhio solo e delle bambine fantasma, annunciati da notemalinconiche e spettrali, slacciate come il volto che si disfa in colore informe ritratto in copertina. AskThe Deep, musica che interroga le profondità dell’inconscio e le restituisce nelle forme archetipichedelle abe. Ogni pezzo è un piccolo e complesso paesaggio sonoro, ghiacciato e sempreverde, acomporre una serie di esperienze d’ambiente. La musica è avvolgente ma mai invadente, cantodi folletti qui, seriamente inquietante là, quando i momenti bui diventano una caduta precipitosa,come nell’apertura, Devil. Eterea e innestata su di un tappeto sonico che parte dall’elettronica ma siarricchisce di chitarre e note di piano, Sóley è indubbiamente una virtuosa della composizione, fatta distrati successivi che vanno a ispessire via via i pezzi. La lezione sintetica di Bjork è imparata a memoriae ripetuta senza sfociare mai in sperimentalismi eccessivi, mantenendo sempre il disco sui binaridella ballad oscura e dell’ambient minimalista, per atmosfere lunari e notturne. C’è tempo anche perun’escursione pop, Breath, piccolo raggio di luce tra gli anfratti ombrosi di cui questo disco abbonda.In Ask the Deep ci viene chiesto di “arontare la nostra aba”, abbracciandone anche i lati oscuri cheinevitabilmente accompagnano le narrazioni più arcaiche e in connessione con il fondo indistinto dellacoscienza. Un album da meditazione, involuto ma non semplicistico, elegantemente inquietante, comeun incubo barocco fatto di strane creature ambigue. [7,5/10] • Marco Petrelli

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INTERVISTE RUBRICHERECENSIONILIVE

Haxe garbiniURISnowdonia, 2014 

URI è un luogo della mente in cui ritrovare emozioni primordiali.URI è un disco liquido che uttua attraverso i sensi.

URI è una graduale immersione in un morbido vortice disperimentazione.Il ligure Haxel Garbini, attivo dal 1993, ha attraversato negli annil’universo sonoro in modo trasversale (dalla psichedelia al grindcore,dal punk al klezmer-surf) e approda oggi alla sua memoria e ai suoi

primi ricordi attraverso un ltro fatto di placenta emozionale. URI genera un soave microcosmo disuggestioni musicali che catapulta in un caldo e avvolgente liquido amniotico acustico, come fosseuna sorta di cassa di risonanza siologica. La genesi di ogni singolo brano è frutto di un lavorocalibrato e soprano che aora gradualmente traccia dopo traccia. L’uso di uno stetoscopio comeltro di suoni e ambienti dà alla luce paesaggi sonori crepuscolari fragili nella loro complessità comeEstate 1984, dove sono presenti 33 tracce sovraincise sensibilmente. Da menzionare inoltre la tracciad’apertura Lago Peloso, sorta di cliburtoniana Anesthesia rielaborata sul fondo dell’oceano, come lasuccessiva Morto in un enile, necrologio misticheggiante inquietante e ipnotico. L’elettrica Film sullapsicocinesi o la poco rassicurante Saponicazione arricchiscono un lavoro complesso ed enigmatico incui echeggiano memorie krautrock così come magnetismi che vanno da Klaus Schulze a Wendy Carlos,passando per momenti che persino il maestro Nyman di certo apprezzerebbe (Inundata, DobbiamoScappare).Disco personalissimo che documenta un maturo percorso di ricerca di un artista da tenere d’occhio.Menzione speciale per la superlativa edizione in vinile trasparente e le suggestive foto di Giusepped’Anna. [8/10] • Anthony Ettorre

Pablo E Il MareRESPIROLibellula Label, 2015 

Anche se l’estate è ormai nita prolungate l’atmosfera premendoPlay su Respiro. Il secondo album di Pablo e il Mare è denso di suoni erichiami caldi dell’estate mediterranea e proprio per questo confessoche è stata una sorpresa scoprire che in realtà è stato scritto da ungruppo acoustic-pop torinese. Tortuga è un buon biglietto da visitaper chi ancora non conosce Pablo e il Mare, un singolo estivo in tutto eper tutto dal videoclip ambientato su una spiaggia (al mattino deserta)

che merita di essere visto sia perché esalta ancora di più la canzone sia perché vede l’accurata regiadi Fabrizio Vacca e la partecipazione di Kristin Furnes come fascinosa e misteriosa co-protagonista.Un’interessante costruzione della storia ed un’ottima attenzione alla fotograa e ai colori ne hannoreso più che valida la partecipazione al Bellavita Film. La scrittura molto descrittiva delle canzoni diquesto album gli conferisce un forte impatto comunicativo ed emozionalmente intenso (profumo dicannella e caè…) che appunto richiama delle inuenze mediterranee come dichiarato dal gruppostesso. A Bahia è anche questa una canzone molto estiva dai ritmi di bossa nova che ne rendonopiacevole l’ascolto e ci portano in una vacanza brasiliana anche solo per qualche minuto. In alcuni brani(come Giappone e Il Mio Amico Cedro) le parti del violino rendono più intenso il mood della canzone chegeneralmente può considerarsi leggero grazie alle chitarre acustiche che sono una colonna portantea livello musicale. Dieci canzoni dalla vena acustica e di matrice pop-cantautorale con degli sprazziesotici che ha visto la luce grazie ad un progetto di crowfunding sulla piattaforma Musicraiser.

[7/10] • Daniela Fabozzi

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VerdenaENDKADENZ VOL.1

Universal, 2015 

È arrivato come un fulmine a ciel sereno, a pochi giorni dalla notizia delnuovo tour esce Endkadenz, il volume 1 (è proprio di questi giorni l’uscita

del secondo volume e la candidatura alla Targa Tenco come ‘miglioralbum’) e arriva in faccia a chi ormai aveva etichettato i Verdena come‘fuori scena’. I puristi dell’indie, i nostalgici degli anni novanta si eranopiù volte pronunciati sulla delicata linea di conne valicata con WoW,un ottimo disco dal punto di vista prettamente musicale, ma lontanoanni luce dal background della band, che tutto lasciava intendere nel passato tranne una così pacatatrasposizione della loro musica. In questo contesto si inserisce il nuovo lavoro dei Verdena, ed è subitocaos, non solo il sound della band è vivo e vegeto, ma è ancora capace di stregare qualunque orecchio,purista e non, nostalgico o moderno che sia. Endkadenz vol.1 è il disco più bello uscito quest’annoed è ricco e groovy e grezzo e suonato eccellentemente. Sul palco poi i Verdena sono apocalittici,al contrario delle ultime riminescenze caricano il palco di adrenalina pura, o ‘efedrina’ che si voglia.Endkadenz ha dettato le leggi della nuova scena alternativa, mai i Verdena erano stati così inuenti emeticolosi nell’esserlo. Grande disco, grande band. [8/10] • Maruska Pesce

CaravanseraiFERAL

Garage Records, 2015 

Mai sentito parlare di instant classic? No, non mi riferisco a Lo StatoSociale, mi guro piuttosto un’opera o un prodotto che vista l’altissima

capacità di adattamento e ghezza intrinseca, entri di prepotenzanell’immaginario collettivo, facendo sì che si nisca per parlarne come seil suddetto prodotto fosse lì da sempre. Feral sembra partire proprio daquesta pretesa. Per dirla tutta, non proprio instant vista la lunghissimagestazione, ancor più distante dalla data di fondazione del progetto,risalente al 2008. Feral è un classico imperfetto. La band ama denire la propria musica attraverso dueaggettivi: sperimentale e tropical. Tropical, sì, può starci. Ciò che vogliono esprimere metaforicamentei Caravanserai (o almeno il loro ucio stampa) con questo termine è un’estesa gamma di suoni cheavvolge l’ascoltatore, che non ha niente a che fare con i ritmi centroamericani. Nonostante il terminepossa risultare ambiguo, è proprio questa atmosfera uno dei punti di forza dell’album: un incedereche denirei ipnotico, piuttosto che scomodare la più che abusata psichedelia. Non capisco bene cosa

intendano i Nostri con sperimentale: nell’album abbiamo 11 tracce, quasi tutte canzoni ben scritte, mache con la sperimentazione hanno ben poco a che fare. Piuttosto, il terreno in cui la band aonda lepropre radici è circoscritto, perdonate l’ossimoro, nell’enorme universo che abbraccia alt e art rock, tragli anni 90 e gli inizi del 2000. Dall’album emergono molte anime. Echi brit-pop come nel singolo Theday is one o in Memorial Day, in cui troviamo alcuni fraseggi piacevolmente Blur, ma anche delizioseincursioni orchestrali à la Elbow, come nella bellissima Arabesque, forse il momento più ispiratodell’album. È molto evidente, ma anche le grandi band degli anni ’90 come R.E.M. e Pearl Jam hannolasciato il segno nei cuori dei Nostri, così come il cantante sembra una riuscita sintesi tra Eddie Veddere Morrissey. I punti forti sono una ricerca sonora ranatissima, di cui troviamo traccia in tutto l’album(A Man and his Burden ne è un ottimo esempio), oltre alle buone orchestrazioni. Un buon disco, chescorre via senza intoppi, con buone idee che raramente riescono a sbalordire, non troppo cantabile maneanche così rivoluzionario da sconvolgere le necessità alla base di un buon disco pop. Un’ottima baseper i progetti futuri.  [6/10] • Bernard Maini

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INTERVISTE RUBRICHERECENSIONILIVE

Sanchez#1 tHE gREAtEst XAutoprodotto, 2015 

Ottimo disco di debutto per i Sanchez, giovane band cagliaritana che simuove agilmente nei territori del R&B, Neo-Soul e Jazz-Hip Hop. Il lavoro

si presenta nella sua grande varietà abbastanza omogeneo, mantenendouna chiara e distintiva linea stilistica e risultando davvero attuale rispettoalle ultime tendenze musicali d’oltreoceano alle quali strizza l’occhio(anzi, entrambi gl’occhi!). Questo aspetto non impedisce comunque allaband di delineare una propria dimensione peculiare attraverso soluzioni a

tratti molto originali. Le caratteristiche che spiccano maggiormente all’ascolto risultano essere l’insolitalunghezza delle tracce (nonostante siano quasi tutte cantate), la libertà con la quale esse sono strutturateunita al grande spazio lasciato agli a solo e al massiccio utilizzo di synths, arpeggiatori ed eettisticavaria che creano un netto contrasto con le voci, trattate invece in maniera pulita e naturale. Un aspettodistintivo è inoltre costituito dall’assenza del basso nella line-up, mancanza colmata dal chitarristaMauro Laconi attraverso uno strumento modicato che gli consente di eseguire sia linee di basso che

accompagnamenti chitarristici. Il risultato è sorprendente, merito anche della grande intesa ritmica colbatterista Frank Stara. Grandissimo ed accurato il lavoro sugli inserti di elettronica e synths ad opera diMatteo Sedda, autore anche dei notevoli soli di tromba (sia pulita che eettata!) che gli vengono adatiin quasi tutti i brani, permettendogli di destreggiarsi abilmente sia fra le sonorità jazzy che in quelle piùmarcatamente R&B. Le pregevoli voci soliste di Marco Cotza e Silvia Follesa risultano più convincentinelle parti melodiche che non in quelle dove utilizzano lo spoken word, perfetta invece l’amalgamadelle parti armonizzate. Il disco non risulta scorrevolissimo all’ascolto costringendoci a soermarci e aseguirlo con attenzione; in questo modo è però possibile coglierne i dettagli e le atmosfere più ranateche altrimenti passerebbero in secondo piano.A questo punto mi piacerebbe lasciare al lettore il gusto di ascoltare quest’album senza ulteriorianticipazioni, ma non riesco a fare a meno di citare il brano di apertura, All the things (che melodianel refrain!), e quello di chiusura, Morgy, come i più freschi ed ecaci, About Me e Gimme Love per lecaleidoscopiche sfumature ed i contrasti, Ensanchetized, il brano più ostico e sperimentale (che vede lacollaborazione col notevole tastierista Tomasz Bura) e Fear builds walls per il nale dalle sonorità quasinoise unite alle eteree frasi di tromba. Caldamente consigliato. [8,5/10] • Andrea Schirru

TaléhMISTERASeltz Recordz, 2015 

Il termine dialettale ‘Mistera’ potrebbe essere interpretato da duepunti di vista opposti, è un gioco di parole piùttosto strano ma nonparticolarmente estraneo al disco in sè. ‘Mistera’ corrisponde al pluraledella parola mestiere, e della parola mistero. Quello che è certo n dalleprime note però è che il disco si riferisce senza alcun dubbio alla secondaaccezione del termine. Il disco esce a qualche anno di distanza rispettoa ‘Ratapuntu’ primo lavoro pubblicato dal gruppo, non abbandonando

la forza popolare del dialetto siciliano e stilisticamente si aggrappa agli accordi prepotentemente folkdelle sarmoniche . Nonostante ciò non è la solita miscela folkloristica e popolare propinata negli ultimianni dai ‘mestieranti’ del settore, bensì un concentrato di sicilianità nuda e cruda. Ci si addentra in scenaristorici, tra riti pseudo magici al cospetto di mentalità ristrette e chiuse, si racconta di credenze popolarie dicerie tramandate di anni in anni. Niente di più vero. L’ambient è musicalmente adatto ai cambi discenario e non prevarica mai sulle storie, perde d’ecacia in qualche punto ma mantiene le redinitestuali alla perfezione. Provare a ‘svecchiare’ il suono non sarebbe male, ma solo se ciò risulta naturalee non costretto da necessità stilistiche. [6,5/10] • Maruka Pee

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CalvinoglI ElEFANtIDischi Mancini, 2015 

A Milano, Calvino non è più solo un istituto di periferia. È anche uncantante e musicista dal timbro di voce caratteristico, il cui nome in

dialetto si pronuncia Niccolò Lavelli. Il giovane era assorto in un safari dibuoni propositi da alcuni anni, quando ha incontrato quelli del Blend NoiseStudio, che gli hanno proposto di intraprendere insieme la strada versosé stesso (ed il suo primo EP “Occhi Pieni Occhi Vuoti”, 2013). Oggi puòascoltare Gli Elefanti concreto e compiuto: un disco piacevole, all’interno

del quale la musica assiste una narrazione ispirata, semplice nei vocaboli eppure surreale nei contenuti.Le melodie, con un certo gusto per la tastiera vintage, solo in pochi casi superano la funzionalità,lasciando n troppo facilmente la ribalta alla voce di Calvino. Lei è la guida spirituale che parla di storiepossibili, dentro e fuori di noi, lasciando comunque un senso di incompiutezza. Un’impossibile nostalgiadel futuro. [6,5/10] • Pab

grimnVERS LA LUNEMacaco Records / Vaggimal Records, 2015 

Decennale della band italo-francese, che per l’occasione confezionaun’opera che si compone di un disco musicale (12 tracce) e di un lm,composto da 12 video d’animazione che passano in rassegna numerosetecniche (dalla stopmotion all’animazione 3d digitale, dalla pixilation allacarta ritagliata, dalla claymation all’animazione di sabbia).Nel viaggio verso la luna, i Grimoon portano con sé di tutto. Chitarredistorte, chitarre folk, sintetizzatori analogici... L’ascoltatore è immerso

in uno spazio rarefatto; avanza lentamente, dietro i colpi del basso. L’atmosfera è leggera, vagamentepsichedelica. Si parlano diverse lingue (inglese e francese), si dipingono scenari cangianti. Non ci siannoia.Molte collaborazioni d’eccellenza. In primis Pall Jenkins (The Black Heart Procession), alla voce sulprimo brano “Flying away from you”. La sua impronta si fa sentire, così come si avverte l’apporto diEnrico Gabrielli nelle orchestrazioni, equilibrate nel loro tendere costantemente sopra le righe. Un buonviaggio. [7/10] • Alberto Sartore

IosonouncaneDIETrovarobato, 2015 

Due anime si guardano distanti, in entrambe vibra la paura della morte, delnon ritorno, riessa attraverso chilometri di mare. La storia di un amore,per fare delle sei tracce di questo disco un dialogo, tra chi aspetta e chi èlontano. Uscito sotto il segno dell’etichetta Trovarobato, DIE costituisceun ulteriore tassello di sperimentazione dell’artista sardo, che naviga,senza nostalgia, in una deriva sonora multiforme. Un lungo orizzontedi musica elettronica al quale si amalgamano per magia le sonorità folk

dell’isola: un richiamo sanguigno sempre presente, un sentimento di aggregazione tra lui e i musicisti.Assieme creano un’unione suggestiva, quanto insperata, che ridenisce la sionomia di Iosonouncanedopo averlo conosciuto in La Macarena su Roma. Questo è un lavoro dal respiro più profondo, nel qualela gura del classico cantautore italiano, scopre un ulteriore livello di complessità, ispirato dai tempimoderni e dai suoi rumori. Croce e delizia dei naviganti. [6,5/10] • Pab

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AlbedoMETROPOLIS

Massive Arts Records / V4V Records, 2015  Quarto disco in studio per i milanesi Albedo, uscito lo scorso marzo,con produzione Massive Arts Studio. Come il fortunato “Lezioni di

Anatomia”, ci troviamo anche qui di fronte ad un concept albumben sviluppato. Metropolis, la grande città in cui il protagonista delviaggio in dieci tracce si reca, per lasciare alle spalle la propria aridaterra d’origine, che ormai ha ben poco da orire. Si parla del futuro,si pensa costantemente al presente, con una retorica sicuramente nonsosticata ma ecace.Alt-rock ben suonato. Persa un po’ di ispirazione rispetto all’album precedente, ma il risultato è unpercorso molto coerente, con uno stile ormai consolidato. Certo, il riferimento al capolavoro delcinema espressionista è un grande impegno da reggere, che, difatti, l’album, seppur buono, non puòsostenere… ma lasciando da parte la suggestione cinematograca, il disco sa farsi apprezzare. Ilmomento migliore è proprio la partenza (Partenze, seguita da Profezia e Astronauti); l’approdo non è

quello auspicato. [6/10] • Alberto Sartore

gun RuegIUNglA

V4V Records / Lane, 2015  L’errore di battitura se c’è, non si vede, o forse ormai ha perso ogniimportanza: un vero Gouton magari, non è neanche rosso. Ciò che resta,del futuro immaginato da adolescenti dal gruppo lombardo, è l’unicodato di fatto dell’imponderabile presente - ovvero Giungla.All’alba c’era lo shoegaze, poi un ispido pelo punk, quasi perso del tutto.

Quando il basso ha aperto una quarta dimensione i suoni hanno iniziatoa rimbalzare per la stanza delle idee, ed ecco altro. Terzo album instudio che propone un groviglio di rock alternativo, caratterizzato da linee melodiche incisive, un ecodiuso ed erre moscia su cassa rullante. Un lavoro originale con pochi passaggi a vuoto, convincenteanche nella scrittura; può rappresentare un segno sull’albero della vita dei Gouton Rouge, dal qualeiniziare a contare il tempo. Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? Parliamone dopo, non sonomai buone domande per chi è in movimento. [7/10] • Pablo

The Cave ChildrenQUASILAND

Inner Ear Records, 2015 

 La Grecia è un posto molto chiacchierato da un po’ di tempo a questaparte. Lasciando accordi economici e foto estive ad altri, qui suBeautiful Freaks preferiamo concentrarci su Quasiland, il primo LP deiThe Cave Children: dall’Attica, per servirvi. Un debutto discograco cheruota intorno al concetto del ‘quasi’, inteso come senso di incertezza edespresso da dieci punti di vista dierenti, per ognuna delle dieci traccedi questo micro-cosmo. Il caos sociale diventa scenario psichedelico nelquale l’intimo nuota a largo. Meno depresso di laggiù. Melodie sognanti, conservano i ricordi di queicampi di fragole dei Beatles più lisergici e li mischiano a sonorità lo-, tra cambi di tempo e spazio.L’amore degli inglesi per l’Ellade è qui denitivamente ricambiato. Il disco percorre con grazia il

perimetro di un buco nero, la scorciatoia tra sperimentazione e musica easy-listening. Un baratro chestanno imparando ad illuminare. [6,5/10] • Pablo

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To You MomWE ARE LIONSGhost Records, 2015 

Secondo lavoro per il duo friulano composto da Massimiliano Santonie Luca Lorenzi dopo l’EP I Am Ian, risalente ormai a quattro anni fa.

Anticipato dall’uscita del singolo On A Friday, che ne coglie per intero lospirito malinconico e crepuscolare, We Are Lions è una breve escursionenel pop elettronico ora più inquieto e vibrante come in pezzi comeCharming Karma o Royal Victory, pulsanti di bassi e decisamente calati inatmosfere anni ‘90, ora più morbido e melodico, come nella psichedelica

Some Good Answers o nella cover di God di John Lennon. L’uso dei synth arricchisce ancor più i suonie rimanda ad atmosfere e suggestioni metropolitane, venate di tristezza novembrina, ma non privedi calore e di spunti melodici e avvolgenti. Viene in mente l’autunno in bilico tra l’inverno in arrivo eil ricordo dell’estate. In questo vi è il punto debole del disco, una forse eccessiva incertezza tra duestagioni musicali, tra due stati d’animo che danno un senso di incompletezza e di incoerenza (e i momentipiù sicuri e trascinanti sono quelli maggiormente ritmici e oscuri). Ma anche questo approccio indeciso

è forse una scelta più ponderata di quanto sembri. Nel complesso un lavoro abbastanza riuscito, nonparticolarmente originale e con un cantato non sempre convincente, ma interessante, da ascoltare inattesa di conferme più coraggiose. [6] • Vinenz Puian

ZuCORTAR TODOIpecac Recordings, 2015 

Dopo le recenti prove di Goodnight,Civilization e lo spiazzante The LeftHand Path, tributo alle passioni di gioventù (Coil, Throbbing Gristle eNeubauten) in compagnia dell’ingombrante Eugene Robinson (Oxbow),Cortar Todo segna il ritorno sul formato full length con il nuovo batteristaGabe Serbian (The Locust).In questo ultimo capitolo di una immaginaria trilogia sulla guerra, vengonoriprese le trame di quel discorso che unisce tanto critica personale alla

civilizzazione, una lotta al nemico esterno o interiore che sia, e dall’altro una ricerca individuale fatta ditrascendenza e di ascesi attraverso il potere terapeutico del suono.Dall’ apertura oscura e sinistra di “ The Unseen War” in cui vagheggia il fantasma di Ayler alla sabbatiana“Rudra Dances Over Burning Rome ”, passando per il dramma evocativo di “ A Sky Burial”, no allarigenerazione di “Pantokrator” , dove il canto dello sciamano e curando indigeno Shipibo ci accompagnasino alla chiusura.Un’urgenza espressiva aora dalla volontà di scavare dentro certe questioni, talmente soocatedall’ipnosi sociale che ci coinvolge tutti ,tanto da essere così dicile disseppellirle.L’obbiettivo del trio romano è sempre stato quello di arrivare a percepire una realtà più vasta,dimostrando la volontà di immergersi verso nuovi e inesplorati stati di coscienza, con la consapevolezzache il suono possa inuire su di essa. Una reazione a questa mancanza di fondamenta li porta a rifuggireverso modalità più antiche della mente. Non celate sono infatti la passione di Mai e Pupillo per losciamanesimo e per il voodoo.Emerge così dalle pieghe di questo lavoro un uso quasi catartico del suono attento alle sfumature eteso a scandagliare le diverse potenzialità del rumore, in una fusione nuova rispetto al passato di suonielettronici ,distorsioni chitarristi con i contributi di Stefano Pilia e Lorenzo Stecconi, no al manifestarsiorizzontale di ussi sonori su cui si stagliano compatti unisoni ritmici a cui i nostri ci hanno ormai abituato.La rabbia che traspare dal disco sembra lasciare dietro di sé solo cenere, ma è forse proprio qui che sinasconde la chiave di volta dell’intero lavoro.In fondo Cortar todo, non è altro, che una nuova (ri)partenza.  [8/10] • giam sai

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IcicleTHEOREMS

Herd Records, 2015 

Icicle è il progetto solista di Krassy Halatchev, bulgaro di nascita,canadese di adozione, trasferitosi a Montreal per fuggire dalla Bulgaria

comunista. Theorems è il secondo album pubblicato dall’artista (dopoResurgence), in cui Halatchev racchiude una personale e ben riuscitadeclinazione di rock classico di ispirazione 90s. Bassista e cantante,l’artista produce interamente Theorems per pubblicarlo con l’etichettadi cui è fondatore, la Herd Records. L’album somiglia a molte cose, manon si sputtana mai. Certo, i vari Beck, Depeche Mode, o anche Soul Coghing fanno capolino qua elà nella fantasia di chi ascolta, ma l’impronta espressiva fuoriesce uniformemente da tutto l’album,tra carattere recitativo (I Am An Ant) e guitar rock (U-turn). Ri mentali e testi autoreferenziali siinseguono solcando ampie venature strumentali piacevolmente demodè e non scontate. È piuttostodicile spiegare l’album, che nella sua semplicità compensa una scelta dei suoni poco accattivante,seppur molto varia. L’alternative (neanche troppo) rock contaminato nell’elettronica, diciamocelo,s’era risentito. Coke, pop corn & bubble gum è proprio uno dei casi più eloquenti in cui l’album si perde,somigliando molto a un demo dimostrativo (di vari suoni da tastiere di marche che non nominerò) enon lascia il segno, pur basandosi su ri rockettoni e progressioni armoniche che tutti ci divertiamoa suonare. Probabilmente i momenti più introspettivi sono i lati migliori di un album che palesa unavolontà espressiva a tutto tondo (come accade in On and on, ad esempio) ma una produzione nonsempre ecace. Una menzione va ai testi di alcune tracce, scritti a quattro mani con il poeta JoelJenkins, che rendono l’album un buon tentativo, con buoni spunti, ma di cui non sempre si riesce aseguire il lo.  [5,5/10] • Bernardo Mattioni

sa BruneaFORMER

Piccola Bottega Popolare, 2015 

Former è un sorprendente tuo nel passato, nei colorati anni ’60 deicoretti soul e delle tastiere talvolta acide e psichedeliche. Estremamenteeclettico, trascinante e coinvolgente, il primo album della leccese SoaBrunetta stupisce soprattutto per la capacità di reinventare un genereprincipalmente del passato come il soul grazie alle contaminazionimoderne di rock ed elettronica e a degli arrangiamenti decisamentedegni di nota. Le tastiere sono spesso una presenza costante, cheunita alla vivacità della chitarra e ai tocchi di colore del basso e della tromba in alcuni pezzi creanoun ensemble musicale davvero particolare. Il vero arricchimento musicale però è dato dai corettisoul che sono segno caratterizzante dell’album e che costituiscono una linea musicale vera e propria,soprattutto in Low. Low è proprio il tipo di pezzo che piazzato ad apertura del disco non lascia nessunapossibilità di deludere le aspettative di ascolto, basteranno i primi 20 secondi per esserne certi. Icampionamenti d’apertura di Arthur and I portano una carica più moderna e anche un intermezzodi basso e tastiere in puro funk style che risulta piacevole. In questo mega mélange di energie nonmancano i pezzi più delicati come la cullante Take Me Somewhere e la conclusiva Black Little Star cheriescono a rilassare l’ascoltatore anche dopo gli altri brani molto ritmati e più incisivi. Soa Brunetta,dalla voce aascinante e carismatica, dalla splendida pronuncia inglese e dalle radici soul, di talento ne

ha da vendere e sicuramente le si prospetta davanti un percorso musicale sempre cangiante, propriocome Former.  [8,5/10] • Daniela Fabozzi

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INTERVISTE RUBRICHERECENSIONILIVE

Meanza & DeOUAut Records, 2015 

Meanza appartiene a quella folta schiera di indagatori del suono che,stregati da esso, arrivano a spingersi continuamente oltre. È attento a

delineare un percorso personale che comprende progetto installatividi sound art, quali ad esempio Cicadas, piccoli insetti robotici, costruiticon componenti elettronici e microcontroller e dall’altro la militanza inband quali Toxidoll, e le collaborazioni con il chitarrista Andrea Faccioli.In questo nuovo capitolo , targato Aut Records, lo troviamo in compagnia

di Filipe Dias De, membro fondatore di Altes Finanzamt, musicista e scrittore, che aronta uno studiodel sitar applicato a contesti di musica improvvisata in ambito sperimentale.I due ci orono un viaggio aascinante e ambiguo, frutto di una indagine intelligente e meditata inun ambiguità fatta di passato e futuro, di citazionismo e negazione di esso. All’insegna di un equilibriofatto di improvvisazione radicale, elettroacustica, glitch, space ambient e dove ipotetici mantra vengonoopportunamente de-sacralizzati in quanto piegati e trasgurati nel caos delle concitazioni post-

moderne.Le sovrapposizioni di “Spree 2”, dopo un inizio immateriale lasciano spazio a temi aascinanti e liquidi,sostenuti da un impianto ritmico del tutto inaspettato.Il tribalismo digitale di “Nominale Steigung” caratterizzato da pattern ritmici fatti di rintocchi , frasipitchate e slide. Il viaggio freak di “OSC” , sitar in evidenza sostenuto da droni e frequenze da spacemovie e ancora i lamenti urbani di “Puppets”, e la materialità ostentata di “Età del Ferro” che sconnain territori cageiani.Una ricerca in bilico tra atmosfere lisergiche proiettate nel futuro ignoto, folk frantumato, antiaccademismo, e la consapevolezza propria di chi vuole portare la propria indagine sonora a un livellosuperiore. [7/10] • giam sai

The Stash RaidersAPOCALYPTIPOPHopeful Monsters Records, 2015  

Se già Neil Young descrisse in “Zuma” il saccheggio dell’impero aztecoda parte degli spagnoli con un sapiente mix di psichedelia e folk, ilviaggio intrapreso da questi banditi siciliani ha invece più a che fare conl’avventura libera e selvaggia nel mondo del post rock contaminato. E le

contaminazioni di questo disco sono parecchie, a cominciare dalla nuovascena psichedelica di Flaming Lips o MGMT, per poi passare attraversoritmiche più caraibiche di brani come “Cairo” o “He’s a Fisherman, He’s

a Chef”, in cui spiccano percussioni sfrenate, accordi aperti di chitarra e coloratissimi passaggi di sax.E in questa jungla di arrangiamenti spesso si rimane un po’ interdetti dalle brusche virate acide degliorgani di Sasha Tilotta, che assieme alla voce di Francesca Giunta costruisce una maniera di cantare forsepiù simile a un mantra che a una vera e propria armonia. Il viaggio nel mondo in technicolor degli StashRiders non si esaurisce tuttavia in un banale revivalismo pop, ma trova la sua ragion d’essere in genericome il jazz e il funk, su cui si innesta la loro vena sperimentale. Un esempio in tal senso è “Me, You AndEverybody Knows”, pezzo che si avvicina molto allo “spaghetti funk” dei Calibro 35. Il nale dell’album,costituito da una coppia di tracce noise in cui gli eetti sintetici e orientaleggianti la fanno da padrona,

ritorna ad anello verso quell’acidità che è forse l’unica costante di un album ricco di spunti, suggestionid’altri tempi, e soprattutto di gran fascino. [7,5/10] • Aber giui

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RUBRICHERECENSIONILIVEINTERVISTE

Faribe Du (givanna carne e Mirk sinrie)MIRAZH

Digressione Music, 2014 

“Quello che state per ascoltare non è un disco sul viaggio. Quello chestate per ascoltare è un disco sul racconto; sulla capacità di suggestione

della musica, sulla potenza evocativa della parola. Un itinerario forse,ma immaginario; un aascinante percorso in dodici brani, dodicipagine di un diario in cui si descrivono posti lontanissimi, mai visti,mai visitati, forse mai esistiti, eppure raccontati”. Questo il manifestoprogrammatico del duo composto da Giovanna Carone (voce) da MirkoSignorile (pianoforte), che - a tre anni di distanza dal loro primo lavoro – rinnovano il loro sodaliziocon “Mirazh”, un album che in modo assai esplicito si ispira a due testi letterari: “Le città invisibili” diItalo Calvino e “Il libro dei viaggi” di Beniamino di Tudela. Le eleganti trame sonore dello strumentoed il timbro evocativo della voce danno vita ad un percorso musicale che si muove attraverso sentieripoco battuti, toccando il jazz e la canzone d’autore, la lingua italiana e quella yiddish. Un esperimentoindubbiamente colto e ranato, ma che ha forse il difetto di rivolgersi soprattutto all’intelletto e meno

al lato emozionale di chi ascolta. Non si può tuttavia fare a meno di menzionare la elevata qualità deitesti di Marisa Romano e Luca Basso, che riescono in molti casi a raggiungere vette poetiche piuttostoinsolite nel panorama contemporaneo. Impossibile restare insensibili di fronte a talune suggestioni,come in “Bauci sospesa” (“Gambe sottili che sostengono il cielo / la fantasia se ne sta tra bugie / efavolose verità come luce”) o in “Eufemia Bazar” (“Ma nel blu della sera, / luci di fuochi / fondono voltie sagome, / cambiano voci e favole, / la memoria respira laggiù / e non ricordi quale sia / la verità”).

[7/10] • Daniele Bello

Wertoμνημη (MNEME)

Doremillaro (sb) Recs, 2015 

-Inserire Floppy 1 di 4- Devo dire che ogni tanto fa bene ricordare itempi passati, quando le colonne sonore cominciarono ad espandere laloro sfera d’azione anche ai videgiochi. Dischi molli da colonizzare madischi decisamente ostici per i nostri compositori elettronici del tempo.Lo spazio virtuale a loro disposizione era veramente limitato e si dovevafare di necessità virtù pilotando i suoni in 8bit, spesso e volentieri poidirettamente in linguaggio macchina e non premendo i bottoncionidella Fisher-Price come in alcuni sequencer di adesso.-Inserire Floppy 3 di 4- Sarebbe ormai l’ora di creare una bella storiograa di quegli esploratori, pazzi e

intraprendenti come pochi, della musica digitale nei videogiochi e non per omaggiarli il dovuto; colgoinfatti l’occasione per lanciare l’appello a qualche storico della musica elettronica che si prodighi ariguardo.-Inserire Floppy 2 di 4- E queste colonne sonore quindi dovevano perdurare ore e ore per far perdere ilgiocatore tra questi suoni grezzi nelle avventure più immaginate nella propria mente che visuali nelloschermo. Werto ti gioca questi retrogame davanti e con la musica a tutto volume.-Inserire nuovamente Floppy 3 di 4- Comincia il suo album con delle tracce da perfetta colonna sonoradi videogame, ho dovuto accendere qualche gioco del ‘96 per sentirmi a mio agio per tutta la duratadell’album, per poi maltrattare sempre più quei suoni di salti, giravolte e palline infuocate.-Inserire Floppy 4 di 4- Werto le maltratta stracciandole e comprimendole, non ti aiuta più a nirenessun quadro, ti chiede concentrazione risucchiandoti indietro da questo salto nel vuoto nei ricordid’infanzia. Si dice che Werto suoni un Game Boy, di certo è uno dei nomi più in vista della scena chiptuneitaliana. [7,5/10] • Plasma

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INTERVISTE RUBRICHERECENSIONILIVE

ZollePORKESTRABloody Sound Fucktory, 2015 

“Solo chi conosce la disinvoltura di un bovino mentre defeca puòcomprendere la genesi dei brani degli Zolle”. Si potrebbe chiudere con

questa citazione autobiograca la mia recensione anche perché agli Zollenon gliene fotte un cazzo delle parole e il loro percorso strumentale èscatarrato direttamente nei nostri timpani senza alcuna esitazione.I vantaggi del rock duro “immediato” sono gli stessi di un debrillatore:se l’eetto non è istantaneo sei fottuto!

Figli di un immaginario visceralmente godereccio, gli Zolle assumono nel loro “Porkestra” una dichiarataattitudine suina: da Porkediem no a Porkangelogabriele l’ascolto è compatto come un blocco dimarmo. Non c’è spazio per interpretazioni di alcun tipo. L’ispirazione suina che forgia le singole traccerimanda un disco storico (datato 1987), il frontalissimo “Mean’s Man Dream” degli olandesi Gore chesulla copertina ragurava semplicemente un lercio vecchio coltello da macellaio. Anche lì parlavano iri, grevi e ridondanti, claustrofobici ma anche liberatori. Ecco, qui è come se la brutale essenzialità dei

Gore riprendesse con un vigore più contemporaneo, rivendicando una sua personale connotazione noiseltrata da insana goliardia godereccia e butcheriana di tanto metal estremo!Da segnalare la Bloody Sound Fucktory, indipendentissima e superlativa etichetta marchigiana.

[8/10] • Anthony Ettorre

L’IoBONTONSeahorse Recordings, 2015 

A primo impatto pensando al titolo, BonTon può lasciare intuire qualchecosa di tranquillo e pacato. Au contraire il disco vuole essere l’oppostodel bon ton e delle convenzioni sociali e questo lo si può capire già da unprimo ascolto di Zero, che è una critica scoppiettante agli opportunismie ai Super-Io che circolano decisamente in eccesso. Dai piedi del Vesuvio,

il giovane cantautore Flavio Ciotola (in arte L’Io) sforna un albumdavvero considerevole sotto diversi punti di vista soprattutto per essere

il suo disco d’esordio. Oltre ad avere una spiccata originalità nella creazione dei testi, L’Io è un veropolistrumentalista; ha infatti suonato tutti gli strumenti presenti nel disco (ad eccezione della batteria).La voce bella carica e denita completa il quadro. Spiegami perché mi innamoro sempre delle troie èun pezzo dal videoclip parte integrante della canzone che già di per sé fa sorridere. Vela e motore èinvece una tagliente provocazione ad un vecchio amico che merita di essere ascoltata già solo per lascelta di alcune parole. I testi de L’Io sono da apprezzare per la veridicità del quotidiano, soprattutto peri piccoli elementi non convenzionali che solitamente nessun cantautore inserisce nelle canzoni (la salivasul cuscino…) e questo non lo fa in maniera trash ma con ironia, tanta sana ironia condita da un buonalternative pop-rock. Con le sue canzoni L’Io fa anche riettere su tanti comportamenti e contesti di oggi

ma sempre col sorriso sulle labbra e questa è una capacità di espressione che gli va riconosciuta. Validoartista per il cantautorato indie pop-rock nostrano.  [8,5/10] • Daniela Fabozzi]

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RUBRICHERECENSIONILIVEINTERVISTE

WinonaFULMINE

Seahorse Recordings, 2015 

Quando sento un gruppo composto da tre persone so già cosa mi aspettae raramente rimango disatteso, un suono potente, aggressivo che lascia

poco ato e riempie tutto: anche in questo caso non mi sono sbagliato.I Winona vengono da Carpi e la vita di provincia è sicuramente un temaricorrente nelle loro liriche; è forse da queste zone che più si avverte ilmalcontento di una generazione e che viene fuori con più forza.La musica che esce da questo loro primo lavoro aonda a piene mani nelpost-grunge degli anni 90, e non poteva essere altrimenti perché si abbina con una voce che poco concedealla melodia e alla ranatezza e molto alla grinta e alla rabbia: sia i testi che il modo di cantare mi hannoricordato molto il beneamato Capovilla che tanti proseliti ha creato nel nostro paese (giustamente!),specialmente Peggio di quel che temevo sembra proprio uscita da un disco del Teatro degli Orrori.Potremmo dividere l’album in due parti, le prime sette canzoni scorrono veloci, rabbiose, come un“fulmine” appunto che scorre e ti lascia una carica elettrica notevole, ma poi si ferma improvvisamente:

con Domani diluvia si abbandona la frenesia, il muro sonoro della chitarra e della batteria che hannoimpregnato l’aria e si passa alla sola chitarra acustica e voce, con testo e soprattutto modo di cantare(mi riferisco alla quasi assenza di metrica e denizione della strofa) che si ricollega al conterraneo (operlomeno ferrarese di adozione) Vasco Brondi. Da questa canzone in poi seguono la già citata Peggiodi quel che temevo e due canzoni corali, più aperte e “solari”(le virgolette sono d’obbligo non stiamoparlando di canzoni estive) che chiudono il lavoro lasciando in denitiva un tocco di positività dopol’asprezza delle precedenti canzoni.Insomma un lavoro ben fatto, che mostra un gruppo capace di prendere dal passato e dal presente,dando però un proprio tocco personale. [6,5/10] • Piergiorgio Castaldi

VesselsDILATE

Bias, 2015 

Nuovo lavoro per il gruppo di Leeds che propone un’immersione neluido mondo dell’elettronica contemporanea. In bilico tra inuenzetechno, danceoor e inussi post rock, etnici e pop, il disco si dipana inun susseguirsi di bassi, di synth e di percussioni che incedono, prendonoquota, si dilatano no a coagularsi intorno a linee melodiche semplicima accattivanti. E inne precipitano di nuovo verso la terra vibranti e

intensi. Vertical ed Elliptic racchiudono tutto il percorso e il districarsidi questo progetto attraverso reminiscenze e suggestioni, dalle atmosfere rarefatte e tribali allo stessotempo dei Talk Talk all’architettura ritmica di Apparat. In linea con l’elettronica odierna, Trentemøllerne rappresenta forse il culmine, gli stili, le emozioni, le atmosfere si sovrappongono, si mescolano, siannullano per rigenerarsi in un caleidoscopio di colori e sfumature. Troviamo così l’incedere progressivoe sintetico di Echo In o di Attica opposto all’espansione liquida, spaziale ma palpitante e profonda di AsYou Are o di On Monos, non a caso questi ultimi due gli unici pezzi cantati del lavoro. O ci abbandoniamoin Glass Lake che parte emotiva e incalzante di synth e di percussioni per proiettarci denitivamente nelcosmo, dissolvendosi in echi e schegge lontane. Inne ci perdiamo nella lunga cavalcata psichedelica diOn Your Own Ten Toes dilatata e percussiva che cresce malinconica ed evocativa pulsando di energiaper poi spegnersi delicatamente verso la notte e l’oscurità. Degna conclusione di un ottimo lavoro,

ricco di spunti, omogeneo nelle sue sfaccettature e destinato all’ascolto non soltanto di un pubblico diappassionati, ma di chiunque voglia cimentarsi con l’elettronica odierna. [7,5/10] • Vincenzo Pugliano

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ValloneMultiversiMusita, 2015 

Il press kit dice che Vallone, progetto di Paolo Farina, prende il nomeda un personaggio a me sconosciuto, tale Andrea Vallone, calciatore

professionista, giornalista, attore e partigiano. Roba da far impallidirechi, come me, riesce a malapena a fare un paio di cose decentemente.Un disco di cantautorato molto pop e molto patinato, che ha dalla suauna produzione impeccabile (assieme a Farina, Lele Battista e PaoloLafelice). Dieci canzoni morbide, a volte giocose e altre più malinconiche,

che raccontano piccoli grandi drammi e rivelazioni di esistenze più o meno comuni, tutto il contrario delVallone di cui sopra. Le montagne sono alte e Oltre fantasticano di mondi senza barriere, uguaglianzae ower power. Giulia giura e Camilla, due ritratti femminili di dolore e libertà; Polo Nord, una favolamarinaresca che nasconde una storia di alienazione e solitudine, Non sognare, un invito un po’fricchettone a cambiare le nostre vite, con il contrasto amaro/ironico della successiva Sette anni fa, chemostra invece come i sogni e i desideri della gioventù vadano spesso ad annacquarsi tra il cemento delle

periferie e le grandi e piccole tragedie degli accidenti dell’esistenza. Chiude l’album Quando saremo, unreggae old school solare, che fa della rilassata giocosità degli accordi in levare una catarsi per un’altrastoria di sogni di riscatto dalla grigi routine di ogni giorno. Le inuenze di Vallone sono da ritrovarsiun po’ ovunque, dal cantautorato italiano a una certa scuola di elegante songwriting anni settantaamericano, e indubbiamente i pezzi che compongono Multiversi sono ben strutturati e perfettamenteeseguiti. Il punto dolente di questo disco è che suona inevitabilmente datato, glio di un altro tempo edi un altro sentire. Pur nella sua malinconia di fondo, ottimisticamente proteso verso un senso poeticodell’esistenza che, se pure attraente in questi anni di vuoto nichilismo, forse non appartiene all’oggi.

[6/10] • Marco Petrelli

Mulo Muto / B E T ATape Crash #11: The ExaminationOld Bicycle records, 2014 

Tape Crash n 11 della Old Bicycle Records, etichetta italo svizzera chesi distingue per le proposte musicali estreme e per gli artwork intriganti.Il lato A è adato agli svizzeri Mulo Muto e si consuma in una discretastraticazione di micro elementi noise a costruire una trama quanto

mai composita, e ricca di mistero, dove l’atmosfera sa di antico e diinesplorato; il lungo brano nasce dagli abissi del silenzio per ergersicon calma e senza invadenza tra interferenze e oscillazioni, feedbacks,

gracchiamenti e bruciature.Per B E T A il discorso è leggermente dierente. Soluzioni sonore dicilmente identicabili, sfuggenti,arpeggi chitarristici, interventi vocali presto suggeriti e subito abbandonati.Il noise chitarristico di “Kill Collins!” nel suo gracidare continuo introduce la cover dei Death in June(Behind the rose), e la sinistra psichedelia con memorie desert di ”Karma, please”, si candida senza indugia brano più interessante del lotto.Una produzione volutamente lo- confeziona un lavoro costituito da droni avvolgenti nel cui sostratoriecheggiano suoni apparentemente familiari. Di tanto in tanto vengono portate alla luce porzioni di

tracce melodiche, ma è comunque l’oscurità ad avere la meglio.Una pericolosa saturazione mantrica in cui è piacevole e doveroso perdersi… [7/10] • giam sai

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Sycamore AgePERFEct lAUgHtER

Santeria, 2015 

I Sycamore Age sono un gruppo aretino composto da FrancescoChimenti, Stefano Santoni e Davide Andreoni che si avvalgono a loro

volta della partecipazione di competenti polistrumentisti quali LucaCherubini, Samuel Angus McGehee, Nicola Mondani e Franco Pratesi.La band, con questo secondo album esplora e plasma composizioniimpegnative dalla realizzazione ampollosa, elaborata ed aascinante.Gli undici pezzi contenuti in “Perfect Laughter” sono dei suggestiviesercizi di musica composta in totale libertà espressiva. Un caleidoscopio di suoni ricchi di sfumature, diinussi, di suggestioni. Un incontro fra la memoria psycho-folk, i ati sincopati, le armonie balcaniche,gli arrangiamenti d’archi e i perimetri elettronici.Risulta dicile categorizzare e descrivere tutti i brani, molto meglio ascoltarli e scoprire da soli lesorprendenti sfaccettature.Ci limitiamo a citare “7”, una baraonda percussiva e disarmonica con coro di fanfare come sottofondo

che apre l’album, “Noise Of Falls”, una ballata dal piano melodico, rituale, in scuola John Lennon,“Frowning Days Odd Nights”, brano scherzoso, leggero, “Cheap Chores” dalle soronità noise tipichedell’industrial e “Monkey Mountain” che rievoca l’evaporata genialità Barrettiana di “AstronomyDomine”. [6,5/10] • gabriee o

CranchiNON CANTO PER CANTARE

In The Bottle Records, 2015 

Dichiaratamente schierati dalla parte del combat folk questo disco hapoco a che fare con il genere citato, ma nemmeno si rifa completamente

al pop intimistico del cantautorato italiano. E’ pregnato da diverseauenze musicali e arriva da un percorso musicale ben denito. ICranchi, band di radice politicamente militante, pubblicano così il loroterzo disco, chiaro nelle intenzioni e schietto nei contenuti. Liberamenteispirato ad una citazione di un cantautore cileno resistente alla dittaturadel suo paese, lui è Victor Jara e il periodo storico è quello della salita al potere di Pinochet. Diecitracce di liberazione, speranza e rassegnazione, ma anche di lotta e spiritualità, e così come tante sonole tematiche sentimentali che lo compongono, sono altrettanti gli stili da cui si attinge nel raccontarli.Del combat folk l’intima coscienza militante, del cantautorato la narrazione pura e semplice, dellamusica popolare la semplicità degli accordi e un groove elementare. Sono le corde, le tante corde acontraddistinguere il sound della band, arpeggi costanti e caldi si intrecciano alle armonie degli archi edettano il tempo insieme alla batteria. ‘Non canto per cantare’ non lascia spazio all’immaginazione, mada speranza, lascia nella mente di chi lo ascolta la forza della libertà. [6,5/10] • Maruka Pee

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Maya gaaiiEXogEN tANtRAGarage Records, 2015 

Dopo il debutto discograco con “Analogic Signals from the Sun“ perla giovane etichetta Garage Records, i Maya Galattici, ci presentano“Exogen Tantra”, dieci nuove tracce di rock soavemente vintage checonfermano la crescita artistica di questa band e dei suoi componenti,veterani dell’underground italiano. L’intero album è caratterizzatoda accenti psichedelici e abbaglianti, dall’inconfondibile sound brit-rock/brit-pop analogico. L’album si apre con una delle tracce più belle

“Alligator” di incantevole bellezza, seguono “I Want A Head”, “I Kill The Machine” cantata con un eettoda voce computerizzata in stile cyborg synthpop anni ottanta, “Where My Mind Goes When I Sleep”orecchiabile e sublime, “The Way To Have Happiness” quasi sussurrata, “Mothers Blues”, “While TheDay Explodes In The Sum”, “In The Morning”, liquida e ritmata, “Listening to the radio” sapientementearrangiata e in chiusura la traccia strumentale Stereonauts. Un bel disco, di facile ascolto che perònon emoziona ma intrattiene piacevolmente “orecchie” un po’ nostalgiche. I Maya Galattici sono:Alessandro Antonel (Voce, chitarra e tastiere), Marco Pagot (Basso, chitarre, sintetizzatore e voce) eYacopo Mazzer (Violino). [6,5/10] • gabriee o

OoopopoiooOOoopopoiooOTremoloa Records, 2015 

Vincenzo Vasi e Valeria Sturba, al loro esordio discograco dopodue anni di intensa attività, danno alla luce la loro prima fatica.

L’elemento centrale del progetto OoopopoiooO è il theremin, il padredegli strumenti elettronici, veicolo prediletto di tanta avanguardiae psichedelia contemporanea. Le oscillazioni di questo singolarestrumento fanno da tappeto sonoro di un’opera decisamentestravagante quanto rassicurante e avvolgente. Musica cinetica e

cinematica per la sua grazia dinamica: il duo di thereministi stupisce per le variabili proposte, perl’utilizzo inusuale e ricco del più inconsueto degli strumenti. Il magnetismo dei due musici dà vitaad una bizzarra sequenza di ranati brani non identicabile in alcun genere, se non nella più puraavanguardia. La presenza di violini, basso, piccole percussioni, voci e calibrata elettronica favorisce unascolto uido e piacevole.“OoopopoiooO è un progetto trasversale”di due artisti completi totalmente dediti al loro percorso di

ricerca attraversato da mille universi sonori in totale armonia.Morbida bizzarria che non manca di accenti di ascolto easy, né di capitoli ipnotici e magici. OoopopoiooOè un universo di incanto musicale onirico in cui si resta piacevolmente immersi. Grandi applausi!

[8/10] • Anthony Ettorre

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Moa BonesSPUN

Inner Ear Records, 2015 

La Inner Ear, etichetta di Patrasso, sforna un altro piccolo gioiello.Moa Bones è la one man band costituita da Dimitris Aronis, songwriter

ateniese giunto al secondo LP dopo Aquarelles, preceduto a sua voltadall’EP By My Side. Spun è un tributo alla folk song americana, di cuiDimitris si conferma interprete appassionato e appassionante. Comenella migliore delle tradizioni lo-, il disco è registrato in camera daletto, prodotto interamente da Moa Bones. Ma se le note di Spunvengono incise in chissà quale angolo della Grecia, esse sono giunte alle orecchie e alle mani delsongwriter ateniese attraverso il tempo (gli anni ’60) e lo spazio (la grande campagna statunitense).Ispirato da anni di viaggi, esperienze e incontri, l’album racchiude tutta la polvere, i cani, le donzelle ei chilometri coincisi con l’esistenza di Dimitris. Eccezion fatta per l’ispirazione della traccia Skopelitis,dedicata al chitarrista greco-americano Nicky Skopelitis, l’intero album sembra fatto apposta perviaggiare tra boschi e lost highways. A metà tra Lambchop e Iron & Wine (ma volendo ci potete sentire

anche tutto il folk-rock americano degli ultimo 50 anni), Spun è un prodotto decisamente derivativo,ammettiamolo. Questa, purtroppo, sembrerebbe essere la sua più grande pecca, ma la bontà delprodotto, che non stona mai se non quando deve per ragioni di copione, riesce a reggere i possenticolpi del confronto con i mostri sacri. Hey e The Journey hanno tutte le carte in regola per reggerebotta con grandi nomi folk-pop come Stealers Wheel, mentre Come On è molto vicina a un placido NeilYoung. Insomma, l’album è commoventemente delicato, splendidamente demodè nella sua semplicitàe incredibilmente preciso, in termine di carne al fuoco: né poca né troppa. Un disco da tenere sopra alcaminetto o comunque accanto a sé, fedele come un cane che dorme steso su una veranda in legno.

[7/10] • Bernardo Mattioni

PuntinEspansioneL’ESSERE PERFETTO

Ululati dall’Underground Records, 2015 

I PuntinEspansione sono un gruppo maturo, hanno alle spalle diecianni di attività e due album prima di questo “L’essere perfetto”, anchese il loro sound in questo lavoro si dierenzia in maniera sostanzialedai precedenti lavori: qui il folk lascia spazio al rock e a sonorità piùaspre e decise. Per questa loro decisiva svolta si sono adati a GaetanoCamporeale, storico tastierista di Caparezza, qui co-autore di tutti ibrani e ad Antonio Porcelli, tecnico del suono di Capa, che si è occupatodi missaggio e registrazioni, e sicuramente l’album ne esce molto arricchito da questi incontri.Il suono è infatti preciso, ricco, senza sbavature e delinea una tecnica notevole in cui tutti gli strumentihanno un ruolo paritario e ugualmente decisivo, molto presenti sono eetti elettronici che a volteampliano e ammorbidiscono il suono, come in Odore di bosco, altre volte lo scuriscono e lo tagliano,come in Lasciato qui.I testi arontano temi personali, arontando il mondo con una discreta ironia e quasi con distacco,penso ad Animale Social Network e Tiritera, oppure in maniera molto più sentita nel brano che chiudeil disco Succederà; in generale non posso dire che i testi mi abbiano colpito molto e questo comesempre è un punto a sfavore del cantare in italiano che comunque preferisco al nascondersi dietroun inglese più o meno incerto.Le nove canzoni di questo album sono in denitiva molto orecchiabili egradevoli anche se non riescono a stimolare mancando un po’ di originalità e di “appeal”; insomma lastruttura è ottima, ma mi sembra manchi una precisa via da seguire e da inseguire con l’anima e con ilcuore, quasi spaesati in un mondo che non sembra appartenere loro, vorrei sentirli nel prossimo lavoropiù a loro agio in questo mondo rock. [6/10] • Piergiorgio Castaldi

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I.MuriTRAFFICO MENTALEAutoprodotto, 2015 

I.MURI colpiscono subito pesante, aprendo Traco Mentale conChiacchiere, un ri ingrassato da una linea di basso sensuale e massiccia.

Queens of the Stone Age, Agnelli, Alice in Chains, Manson, FranzFerdinand; solo alcune delle somiglianze che mi saltano immediatamentein mente. Stoner compattissimo e giusto un po’ malato, che il trioabruzzese maneggia con eleganza, senza lesinare su ri lenti e pesantie melodie sporche, orecchiabili e ballerecce. Chiego continua sulla

stessa linea, scivolosa e fuori di testa, un po’ musica da striptease e un po’ da incidente in autostrada.Confessa, il singolo estratto, apre e chiude come un brit-garage passando per uno special psych-doom(scritto suona male, ma suona veramente bene). Distratti dal gioco è un bluesaccio che si trascina trafalsetti e bordoni no a Humana, venata di Soundgarden, con coda stridente di feedback. L’albumsi rilassa su Mercanti di…, che aggiunge note solenni e dilatate di synth, un tocco di space rock à laAmplier. Da qui in poi I.MURI si abbandonano sempre più spesso alla creazione di atmosfere sintetico-

chitarristiche, mostrando l’altra faccia di Traco Mentale, quella più onirica e psichedelica (Tratti, viagginel cosmo di oydiana memoria). Tutti questi paragoni, più che un segno di “già sentito” sono in realtà ilriconoscimento dell’ottima qualità di questo disco, composto d’inuenze diverse e ben amalgamate fradi loro. È un disco che mi ha divertito, soprattutto il suo lato più pesante e ipnotico, un muro (nessunabattuta) spesso, solido, costruito su una ritmica incalzante. Un esordio molto, molto interessante eincalzante, vario, da ascoltare e riascoltare.  [7/10] • Marco Petrelli

ThomasFINSeahorse Recordings 2014 

Questa band piemontese nata nel marzo 2001 dopo molti anni trascorsi“on the road” con live spesso caratterizzati da improvvisazioni, solo nel2010 decide di registrare debuttando con il primo album “Mr. Thomas’Travelogue Fantastic” (Automatic/Goodfellas) poi ancora tour in Italia ein Europa.L’attuale formazione è composta da Giordano Menegazzi alle tastiere,Enrico Di Marzio alla chitarra elettrica, Nicolò Gallo al basso, Sergio

Sciammacca alla batteria e Massimiliano Zaccone a synth, voci e percussioni.Questo secondo lavoro in studio non delude le aspettative dell’ascoltatore, composto da undici brani chesi intrecciano in una produzione ricercata nel suono e nella composizione. Registrato e prodotto dallostesso cantante della band, Massimiliano Zaccone negli studi Audiomokette per Seahorse Recordings,l’album “Fin” è un perfetto mix tra funk e groove che strizza l’occhio ad intuizioni psichedeliche.Apre l’album “Universe Is Me”, pezzo elettronico, bizzarro ma non entusiasmante. Segue “LowlandBoletus” sicuramente più originale e divertente, dal perfetto ritmo funky e dalla sorprendente evoluzionerock. La melodia di una seraca arpa ci introduce poi al miglior pezzo dell’album, “Masturbation”, un po’soul un po’ funk che sembra quasi un gradito omaggio a Frank Zappa. Con la quarta traccia tutto cambia,tutto rallenta, “Tether” infatti, è un bel pezzo lento dai toni black e jazz. Con un evidente richiamo a“Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict “ dei PinkFloyd si apre “Miracolo italiano”, tribale e beardo. Da qui in poi, secondo noi, l’album perde di verve eprosegue con pezzi interessanti ma anonimi.Concludendo, “Fin” è davvero dicile da categorizzare, ma proprio per questo motivo va assolutamenteascoltato. [7/10] • gabriee o

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RUBRICHERECENSIONILIVEINTERVISTE

Nei-ShiNEI-SHI

Snowdonia / Torredei Records, 2014 

Attori passati, o mai stati, recitano le loro battute. Alda Merini racconta,solo per me: ho la sensazione di vedere tutti senza conoscerli; eppure

nella notte, è così chiaro il turbamento su quel volto anonimo. Nei-Shiè un piano sequenza organizzato per arrivare a quell’imo dove l’oblio,è la gravità della coscienza. Tutto il resto si distrugge e confonde. Branidensi, mai orecchiabili, compongono una narrazione per immagini,che a tratti corteggia il reading vero e proprio: l’intervista alla Merinisull’esperienza in manicomio tocca corde nascoste. Tutto nel disco è un tentativo di suggestione, discoperta introspettiva, che viaggia molto lentamente come impone l’intimità, ma anche il sonno. Lachitarra arpeggiata è la costante che via via si sperimenta e unisce con vari suoni elettronici, in unaforma, talvolta troppo prolissa, di ricerca dell’emozione. Continui ponti vengono tesi: tra veglia esogno, tra vista e udito. La dimensione, ibrida per forza, di questo lavoro è avanti e indietro, nel suomodo di concepire musica. Una voce sussurra con dolcezza, le ultime parole disturbate.[6/10] • Pab

gibbeABOUT PLACES

I Make Records, 2015 

Era ‘Disappearing One’ ora è tornato ad essere semplicementeGiobbe, inutile nascordere un anima chiaramente fragile dietro unnome ben costruito. Questo disco è esattamente il racconto di sestesso, un viaggio introspettivo senza troppi se e ma, senza giri di testiprepotentemente ‘acculturati’ senza troppe maschere teatrali, ed ècantanto interamente in un ottimo inglese. Strano a dirsi, è talmentenaturale da sembrare alquanto credibile, non fosse che la bio dice benaltro. Giobbe è un incontro assai intimo tra uno sfacciato Chris Martin e un timidissimo Je Buckley, èragione e sentimento fusi insieme da una incantevole melodia. Giobbe (Fabio Giobbe) scrive, compone,suona e canta di posti in cui ha vissuto o in cui lo ha fatto la sua mente, usa la musica come mezzo diaccompagnamento ai suoi testi, è gradevole, misurato e pacato, non eccede mai ma per questo nonaatica l’ascolto. E’ puro. [7/10] • Maruska Pesce

MonolithEVEN MORE

Hazy Music, 2015 

Roccioso di nome e di fatto, il quartetto di Modena costruisce unostoner rock di qualità, screziato di echi grunge – la voce di AndreaMarzoli in tal senso ricorda la rabbia generazionale dell’indimenticatoLayne Staley – e sonorità più psichedeliche. Il tutto, come dicevamo,poggiato saldamente sulla potentissima sezione ritmica di RiccardoCocetti e Enrico Busi, capaci di picchiar duro e al tempo stesso di

dilatare il groove quanto basta, no a creare atmosfere malinconichee introspettive come quelle di Beautiful and Damned o Cockroach, dove le distorsioni di MassimilianoCodeluppi formano un abbraccio caldo e al tempo stesso soocante, da cui dicilmente ci si riescea liberare. E la forza di questa band al suo primo album full length sta forse in questo: unire la furiacieca in stile Seattle, quella che ti spara dritto in faccia ciò che hai dentro, alla morbidezza avvolgentedi organi e fuzz, che cullano la bestia che hai dentro no a calmarla. Almeno n quando una splendidaLuna Arancione – traduzione italiana dello splendido pezzo che chiude il disco – non sorgerà ancoradalle profondità dello spazio per risvegliarla. [7/10] • Aber giui

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SalamoneIL PALLIATIVOAutoprodotto, 2015 

Come nel medioevo esisteva ad esempio il lone cavalleresco (o chiper lui), oggi abbiamo il lone della musica Folk che strizza l’occhio allamusica Balcanica. Nulla i male in questo, il problema è la realizzazione.Il cantautore palermitano Salamone rispecchia tutti i cliché (ma tuttitutti!!) di questo genere che ormai è diventato uno stile manieristico.In questo disco ben arrangiato, ci sono tutte le tematiche del genere, ilpopolo vittima, il governante cattivo, il musicista squattrinato ma libero,

il vino e il cantautore che libera le coscienze della povera gente...Insomma non ci troviamo davanti a argomenti molto originali, e in realtà tutto il disco sembra risentiredel contributo dei MCR, basti pensare che la quarta traccia nisce con l’annuncio della morte di unragazzo al G8 di Genova, argomento serissimo trattato davvero con basso spessore.Che altro dire; è suonato e arrangiato bene (un po’ di confusione ritmica delle chitarre in alcuni punti),con trombe, clarinetti e mandolini; le idee musicali sono anche carine (sempre dentro ai margini delgenere), ma ripercorre strade già battute e ultimamente aollate.Un’altra cosa, la linea melodica della voce è praticamente la stessa per ogni brano, e varia tra un VinicioCapossela e un “quando non so inventare una linea melodica urlo”. Se facessimo zapping tra un branoe l’altro durante l’esecuzione potremmo trovarci di fronte ad un fenomeno di continuità e coerenzamelodica e metrica della parte cantata. No, non è un pregio; questo risulta molto pesante in un disco.Si perché sono sicurissimo che live Salamone sia un vero mago; coinvolgente divertente, esilarante, dicetutto per non dire niente, tanto la gente balla e non ascolta, o meglio ascolta le parole chiave, tipo “vino”,

“sono tutti ladri”, “avete tolto il pane al popolo” ecc...sono sicuro che un concerto di Salamone sarebbeun successo di popolarità... [5/10] • Manu Dante

INTERVISTE RUBRICHERECENSIONILIVE

Electric VioletIN REAL LIFERed Cat Records, 2015 

Il gruppo nasce ad Ancona ed esordisce con questo album proprioquest’anno. Il disco è piacevole sin dal primo ascolto, e anche se non

cattura l’ascoltatore per l’originalità, si sente che è un disco suonatobene, pensato e curato.Gli undici brani funzionano bene soprattutto se l’ascoltatore è impegnatoin altre attività, perché questo disco riesce a sparire e a ricomparire neimomenti di più interesse, facendoci godere delle melodie vocali, delle

ritmiche spesso quadrate e dei tanti suoni di synth. Tutto questo è possibile tramite l’utilizzo dei pedali(nota di lunga durata che rimane ferma e le altre voci che si muovono) quasi sempre adati alle tastiere,e a Petrucci (voce) che indubbiamente riesce a destare interesse con la sua energia.Rimane comunque un disco ibrido di generi (rock, brit-pop, elettronica), ma sintetizziamo pure dicendoche il disco tira verso il pop-rock, ricordando a volte gli Evanescence, a volte i Muse, a volte la musicaelettronica “danzereccia”; invece alcuni brani si prestano ad essere squisitamente radiofonici, comeHeath Undone o In Real Life.La base musicale ha spesso un carattere hard, sia negli arrangiamenti sia nei suoni, ma questa durezza èsmorzata, nel bene e nel male, dalle parti cantate che risultano energiche e melensi allo stesso tempo.Insomma questo disco pare avere l’intento di accontentare un po’ tutti, e sinceramente, ad un ascolto“distratto”, riesce davvero a colpire nel segno e dunque come primo lavoro si può essere soddisfatti; poisi sa “il secondo album è sempre più dicile”... [6/10] • Manu Dane

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EP

Orelle

PRIMULAE RADIXBlack Candy Records, 2015 

Ci hanno visto lungo alla Black Candy, quando hanno deciso diristampare il primo EP di Orelle, al secolo Elisabetta Pasquale fromBisceglie, scoperta durante la scorsa edizione del Rock Contest aFirenze. Nota di colore: non sono sicuro, ma dovrebbe essere l’artistadel roster Black Candy geogracamente più lontana dalla casa madre.Talentuosissima, Elisabetta: imbracciando contrabbasso, basso echitarra acustica, la giovane artista pugliese riesce ad ingabbiare in ununico extended play le reazioni base di un lavoro completo e maturo. Unica pecca, la resa fonica della

batteria, in alcuni sparuti frangenti, che non regge il passo del resto. Autoprodotto all’inizio del 2015e ristampato a giugno dall’etichetta orentina, Primulae Radix è un piccolo trattato di pop d’autore,le cui convincenti melodie sono sostenute da arrangiamenti robusti e versatili. La forte componenteblack (accordi dissonanti, tempi dispari, fraseggi funk) si interseca ad un’attitudine vocale tra il pop e ilcantautorato, con qualche digressione più rock. Caos è un singolo e metà tra i Radiohead di Everythingin its right place e Fiona Apple, mentre Incantevole si apre con un groove di basso e atmosfere allaJamie Cullum, con un outro più caustica e riona. Ipotesi plausibile è forse la più mainstream delle seitracce contenute nell’EP, seguita da Perfect thought. Ballata dell’inetto è l’ultima espressione in forma-canzone di Orelle, nonché secondo singolo del disco. La Nostra trova anche il tempo per un congedostrumentale, Apex, che accompagna l’ascoltatore verso l’uscita di questa breve e piacevolissimamanciata di minuti, sucienti per convincere chi cerchi qualcosa di accessibile ma non scontato, a

pochi passi dall’autunno che avanza. Bravissima. [7,5/10] • Bernardo Mattioni

RUBRICHERECENSIONILIVEINTERVISTE

Vanessa Van Basten

DIsINtEgRAtIoNTaxi Driver Records, 2015 

Non so quanto sia apprezzabile un lavoro del genere, che rende ilconne tra l’omaggio e lo ‘scimmiottamento’ molto labile. Interessante earticolato senza dubbio, ma nulla di eclatante. Stilisticamente azzardato,pecca di troppa presunzione , di certo il risultato non è musicalmentescadente ma nemmeno originale. Una forzatura altamente inutile acanzoni che andavano lasciate la dove erano, troppo o troppo pocoperno per i Cure. Tra l’altro non ci si è sbizzarriti neanche troppo atentare di dare un impronta personale agli arrangiamenti, qualche caricatura e distorsioni fuori controllo

fanno la dierenza. Fortuna che è un ep, si sarebbe rischiato di oltraggiare intoccabili pezzi di storiamusicale. La new wave non va d’accordo col metal. [5/10] • Maruska Pesce

Invia il tuo album alla casella [email protected] o all’indirizzo postale che trovi sul nostro sito web.Potrebbe trovare spazio tra i dischi recensiti suquesta rivista.

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RECENSIONILIVEINTERVISTE RUBRICHE

N A gd sin

FROM THE DISTANCEAltrOck / Fading Records, 2015 

Questo è un bel disco, suonato da musicisti capaci, meticolosi,competenti e scrupolosi; non di meno questo disco è registrato bene,da tecnici audio competenti e con buona strumentazione.E’ inutile che ci prendiamo in giro, l’home recording ha sdoganato unamassa di proposte musicali e ha messo in circolazione nuove idee. Tuttobellissimo, ma il prezzo pagato (dobbiamo ammetterlo) è anche unlivellamento tra chi è capace (al di la di studi e titoli) e chi si improvvisa.

Non sta a me sciogliere questo nodo, ma segnalo che inevitabilmente questo disco ha una qualitàdiversa.È un disco progressive che attinge con sapienza dai maestri King Crimson, Yes, Marillion per arrivare aassaporare sfumature tratte dai Dream Theather, Steve Wilson e Opeth, ha degli aascinanti incastriritmici, poliritmie e cambi di metro che si sostituiscono al contemporaneo abuso dell’overdrive (o chiper lui) delle chitarre, cosa che può allargare il pubblico.Infatti sono sicuro che anche i non appassionati del genere possano trovare fruibile questo disco;l’alternanza tra brani elaborati e brani apparentemente più semplici è equilibrata, la dolcezza delleballad (come Aru hi no yoru deshita) è contrapposta alle tracce più aggressive. In più, il calibrato usodi strumenti come vibraphone, glockenspiel, oboe, corno inglese, non fa altro che sottolineare la regiacompetente degli arrangiamenti. Ovviamente non possiamo aermare che sia un disco rivoluzionario,anzi, il disco è “seduto”, nel senso che non eccede mai in estrosità sperimentali, piuttosto invece rimanemolto composto e ordinato, quasi congelato, ma non per incapacità, forse più per un conservatorismodovuto al rispetto della tradizione progressive - rock. [8/10] • Manu Dante

Sdang!Il gIoRNo DEllE AltElENEAutoprodotto, 2015 

Duo bresciano composto da Alessandro Pedretti alla batteria e NicolaPanteghini alla chitarra, gli Sdang! suonano con energia, passione e

tecnica, proponendo un’esposiva miscela di post rock, progressive, metale grunge rabbiosa e malinconica allo stesso tempo. Nel Giorno dellealtelene si alternano infatti momenti decisi e incalzanti, quasi furiosinel loro procedere tra arpeggi, distorsioni e ritmica travolgente ad altripiù pacati e sommessi, nei quali rifugiarsi dopo tanta foga. Ad esempio

nel conclusivo Il ponte del diavolo, tra intense suggestioni anni ‘90, i battiti accessi e vibranti trovanosfogo in uno lungo respiro crepuscolare, quasi psichedelico. È attraverso questo dialogo tra sensazioni eambientazioni apparentemente divergenti che emerge l’attenzione dei due alla costruzione armonica,alla ricerca di melodie convincenti, alla capacità evocativa della musica, il sentimento e la tecnica infattinon perdono mai di vista questo obiettivo. Il risultato è un suono ricco, avvolgente, immediato pur nellesue straticazioni e rimandi. Ultima menzione per il brano Il giorno delle altalene che dà il titolo all’EP, un

pezzo emotivamente intenso che fa sobbalzare il cuore richiamando atmosfere lontane nel passato, masenza nostalgie o didascaliche citazioni, pregio notevole di tutto il lavoro!  [7/10] • Vincenzo Pugliano

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RECENSIONILIVEINTERVISTE RUBRICHE

-Ri ScoM-Amo fare questo lavoroquanto probabilmente v’Voi il vostro.Dimostratemelo.

Riparto con estrema didenzada uno scomparto di 3 Ciddì, scelti mediaMente, veloceMente.Ho dicoltà a scrivere questo numero, eventi distanti e circostanziali distraggono il mio intento.Probabilmente sono solo annoiata e il materiale che scartabello all’interno dell’enorme scatolone,che la redazione mi dona da visionare, risulta un pot-pourri dal gusto ambiguo. Tutto sembra rigorosa-mente eguale, un cliché vintage con ben poca poesia. E rivedo l’accoppiata illustratore/cantautore, gliinvolucri di plastica rigida non riciclabile, i fuori formati fuorché pensati e così via.

È come spremere un mapo senza succo (rif. alla copertina puramente non casuale).Ma dov’è nita la magia? Dove sono niti quei Ciddì che esplodono Vitalità?

E mi chiedo come alla soglia del 2016 ancora non esistano (ai miei orizzonti) “ciddì sistema”, che espri-mano più verità contemporaneamente. Qualcosa di scorporabile, spazi interlacciati con il tempo, conla luce, l’olfatto... Pacchetti dotati di pin digitali. Esperienzali, multilevel.

Verrebbe quasi la voglia di lanciarvi una sda,Etichette ed Artisti, noi siamo ascoltatori con orecchie transgender!Anche perché il mio “Ciddì” è un termine ancora aperto... qualcosa da costruire insieme. Visiono anche

vecchie cassette, vinili, e/o nuovi formati da reinterpretare. Anche senza forma, ma che in qualchemodo giungano am’Me, sicamente, con una bandierina “eSseOesSe” di richiamo.

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RECENSIONILIVEINTERVISTE RUBRICHE

Notturno Americano

Difetti:  cupo, poco leggibile anchenei suoi testi ammorbiditi (bianchi oneri?) e nelle info Ciddì totalmenteassenti.

Pregi:  cupo, ma perfettamente an-nodato al tema musicale, il librettosembra tridimensionarsi attraversola trama del sua graca. Ottima resadel roSso nel giallo incarnato e ve-nato di verde.

Nei-shi

Difetti: da non inlare in una borsa, peggio sefemminile. Se vuoi esporlo, teme la luce e lapolvere. Se vuoi conservarlo sarà dicile, è unfuori formato dilatato, una sorta di big cartoondove un viso annega in un rosSo cielo.

Pregi: la sua essenza metasica lo rende adattoad un regalo, ottimo per cogliere l’attimo. Leg-gero, ma profondo quanto basta, incarna il suo

essere nella mano e nel gommino salva cd.

gi eefaniCalvino

Difetti: la confezione realizzata con un foglio A4 ripiegato non assicuraresistenza. Lo apri con timore di non riuscire a richiuderlo, easygoing...ci sono canali YouTube dedicati!

Pregi: ottima graca, perfettamente calibrata alla piega. Redville fafaville con la sua esplosiva B.B. (Benedetta Bartolucci). Non compra-telo il Ciddì, deliziatevi con il vinile.

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RECENSIONILIVEINTERVISTE RUBRICHERECENSIONILIVEINTERVISTE RUBRICHE

L’OPINIONEDELL’INCOMPETENTE

Ascoltare un disco di musica strumentale fal’eetto di bere un caè amaro ad uno che èabituato a berlo con lo zucchero. Ti costringead apprezzare il gusto vero della sostanza chestai ingerendo. La voce è come un dolcicanteche appiattisce il gusto, anestetizza le papille

gustative, fa perdere le sfumature.Esistono o esistettero delle voci umane così belleda poter competere con uno strumento musicaleben suonato? Mi viene in mente solo quella di ElvisPresley.Nella musica di oggigiorno la voce umana èla costosa spezia che insaporisce la pietanza.Deve avere una sua connotazione particolare,caratteristica. A volte è rauca, a volte è nasale, avolte presa in prestito dall’opera lirica. Spesso haun sapore forte, coprente, che rende le pietanze

perfettamente riconoscibili tra loro ma, proprioper questo, fa sì chesiano veramentenuove ed originalisolo alla loroorigine, diventanopoi inevitabilmenteripetitive, scontate,c o m m e r c i a l i . I nquesto disco invecela voce non c’è e i

musicisti amalgamano bene i loro strumenti in unaorchestra che è un corpo unico e ben funzionante.A riempire il palcoscenico non c’è però una vocesolista o una personalità riconosciuta per cui se nedeve occupare l’ascoltatore facendo ricorso alla suafantasia ed immaginazione. Nel disco, nell’ordinein cui vengono proposti i brani, troviamo: “ScherzoAnd Trio” intrigante motivetto veloce a base dipianoforte che fa pensare al sottofondo musicaledelle comiche anni 30; “Lifeboat (Lovers Rock)”con iniziale sax strappacore e poi il violoncello colquale si spicca il volo e si va ad ammirare il mondodall’alto del cielo immenso, coinvolgente, tanto,

da rimanerci col ato sospeso; “Nothing ReallyBlue”che è lentissimo, ipnotico, notturno; “CageDead “ e i suoi tristi violini; “Vega” dal lento vagaredi pianoforte accompagnato da un ato che nonso riconoscere (forse un oboe) in una specie disoundtrack da lm d’amore di quelli con tantodi nale tristerrimo e strappalacrime; “Yodel3” dov’è la sarmonica ad eseguire, al postodella voce umana, il tipico richiamo delle valli;“Organum” in cui lo strumento dominante non èun organo lento e pomposo (da chiesa tanto percapirci) ma dall’incedere veloce e ritmato dellecornamuse scozzesi; “Another One From Porlock”moderno, quasi techno; “Thorn Tree Wind” dalsuono abissale, angosciante, come ci fossimopersi nel vuoto siderale; “Silver Star Of Bologna”con i suoi virtuosismi al piano senza altri intrusi;ed ancora “Discover America” dove violini edarchi in un adagio classico dipingono inizialmentela bella America delle distese e delle praterieper poi cambiare ritmo, tanto da farlo diventarefrenetico, come quello della vita nelle metropoli(in sottofondo riconoscibile e nitido un richiamoa “When the Saints Go Marching In”, celebregospel cantato da Luis Armstrong); “PythagorasOn The Line” che è un piccolo brano sperimentalerealizzato col suono di un telefono che squillalibero e poco più; “Kora Kora” dov’è ancora ilpianoforte a tiranneggiare; “Lie Back And ThinkOf England“ bellissimo pezzo di musica classica,davvero bello, arioso e maestoso.Qui avrebbero potuto terminarlo ‘sto disco esarebbe stato perfetto. In coda troviamo invecealtri 2 brani che potevano risparmiarci. Non tantola malinconica “Red Shorts” quanto la sperimentaleed insopportabile “Passing Through” con 5 minuti5 riempiti dal suono (rumore) di una goccia che

cade... eccheccazz!).Per concludere, prendere ognitanto un caè amaro potrebbe farci bene!Felice Vita! Rubby 

“I nostri corpi sono prigioni per le nostre anime. Il sangue e la pelle non sono che le sbarre del nostroconno. Ma non dovete temere. La carne è destinata a decomporsi. La morte trasforma tutto incenere e, così facendo, libera l’anima dal suo carceriere”.

Dal lm del 2006 “ The Fountain - L’albero della vita“ 

Penguin Cafe Orchestra - Union Cafe

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“CHI L’HA VISTI?”Ovvero: Breve scheda di identità di gruppi inutiliscomparsi nel nulla e che (per ora) ci hanno risparmia-

to una reunion ancora più inutile. a cura di Mazzinga M.

SHAMPOOgenere: Bubblegum Britpunkpop. 

Nazionalità: Inglese.Formazione: Jacqueline “Jacqui” Blake (voce); Caroline “Carrie” Askew (voce).Diraa: We Are Shampoo (Lp, 1994); Shampoo Or Nothing (Lp, 1995); Girl Power (Lp, 1996);

Absolute Shampoo (Lp, 2000 disponibile solo via internet causa mancanza di un vero e proprio contrattodiscograco). Ed un paio di “greatest hits” per il mercato nipponico.

Segni particolari: Sciampiste canterine.Data e luogo della scomparsa: Fine 2000, da qualche parte nel World Wide Web.Miv per ui arann (fre) rirdae: Il singolo “Trouble”. E una serie di altri brani prestati a deicapolavori della cinematograa mondiale come ad esempio: Power Rangers; Barb Wire e Casper.

Motivo per cui dovrebbero essere dimenticate e mai più riesumate: L’apparizione delle bamboleBratz. Degne sostitute del duo con il vantaggio che i produttori (nella versione in “gomma e plastica”)non sono mai riuscite a farle cantare.

ARCADEgenere: Glam Metal.Nazionalità: Statunitense.

Formazione: Stephen Pearcy (voce); Fred Coury (batteria – sostituito da Ray Luzier nel ‘95); Frankie

Wilsex (chitarra - sostituito da Tony Marcus nel ‘94); Michael Andrews (basso) Donny Syracuse (chitarra).Diraa: Arcade (Lp, 1993); A/2 (Lp, 1994); A/3: Live and Unreleased (Lp “postumo” di live e demo,2000); A/4: Calm Before The Storm (Lp compilation, 2006).Segni particolari: La A cerchiata. Usata “ad minchiam”.Data e luogo della scomparsa: 1995, sulla Salerno/Reggio Calabria.

Miv per ui arann (fre) rirdai:Aver battezzato la maggior parte delle loro uscite discograche

ispirandosi alle principali arterie stradali del “Belpaese”.Motivo per cui dovrebbero essere dimenticati e mai più riesumati: Perché ascoltarli in autoradiodurante i frequenti ingorghi del GRA non solo non è di alcun conforto ma, se possibile, ti fa incazzare