b-io-grafia di giovanni rubino
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Le opere di impegno sociale dell'artista milanese Giovanni Rubino, tesi di laurea in comunicazione di Roberta AvventiTRANSCRIPT
INDICE
1. INTRODUZIONE.................................................................................................. 3
2. NOTIZIE BIOGRAFICHE .................................................................................. 5
3. CONTESTUALIZZAZIONE ............................................................................... 9
4. B-io-GRAFIA ....................................................................................................... 15
4.1 PORTO MARGHERA E MORTEDISON .................................................. 17
4.2 LA GALLERIA DI PORTA TICINESE E IL COLLETTIVO ................... 21
4.3 IL MANZO AUMENTA MANGEREMO AGNELLI ................................ 25
4.4 IL MURALES DI GIOIOSA JONICA ........................................................ 27
4.5 PAC .............................................................................................................. 29
4.6 SARAJEVO ................................................................................................. 33
4.6.1 Contesto di guerra.................................................................................. 33
4.6.2 Io volontario dell’arte a Sarajevo .......................................................... 34
4.6.3 Il ruolo della donna .................................................................................. 39
4.6.4 Corpo di guerra...................................................................................... 40
4.7 KIEV ............................................................................................................ 43
4.8 FAREMEMORIA ........................................................................................ 45
4.9 IL MURALES ALL’ALFAROMEO ........................................................... 48
5. ALTRE OPERE................................................................................................... 51
5.1 MARXCUPOLA.......................................................................................... 52
5.2 CHAMPAGNE MOLOTOV........................................................................ 53
5.3 ISRAELE ..................................................................................................... 54
5.4 LA LOTTA CHE PAGA.............................................................................. 55
6. CONCLUSIONI................................................................................................... 57
7. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................. 59
8. SITOGRAFIA ...................................................................................................... 61
9. FILMOGRAFIA .................................................................................................. 63
2
3
1. INTRODUZIONE
Inizialmente interessata ad una tesi sul fotogiornalismo di guerra, mi sono
avvicinata, durante le mie ricerche, alla figura di Giovanni Rubino, il quale, con il
suo diario Io, volontario dell’arte a Sarajevo e con alcuni filmati fatti in Bosnia, ha
documentato la guerra del ’92-‘95 con illustrazioni e audiovisivi. Sono dunque
rimasta tanto colpita dalla sua forte personalità sia artistica sia umana, da voler
incentrare la mia tesi di laurea su di lui e sui suoi lavori artistici. Rubino disegna e
dipinge su diversi supporti, dalla tela ai muri, ha realizzato alcuni cortometraggi e
documentari ed ha organizzato inoltre delle performance artistiche. La maggior parte
dei suoi lavori è stata fatta per motivi politici e sociali, la sua scelta infatti è stata
sempre quella di seguire le sue idee politiche, facendo opere utili e impegnate,
distanti però dal mercato economico dell’arte. Sono queste le opere che ho deciso di
approfondire qui di seguito. Ho scelto quindi di stilare una descrizione dei suoi
lavori principali, attraverso la traccia di B-io-grafia, una video-intervista del 2010 in
cui l’artista ripercorre le tappe fondamentali del suo percorso.
Non essendo stata pubblicata alcuna monografia su di lui e non essendo
reperibili molti documenti scritti sul suo conto, ho basato la mia ricerca attenendomi
ai materiali che lo stesso Rubino mi ha potuto fornire e alle lunghe conversazioni
che in questi mesi ho avuto il piacere di avere con lui.
La sua arte è caratterizzata da una forte capacità di testimonianza, “non
facilmente consumabile”;1 alcuni suoi lavori, quelli che mostrano la guerra in
particolare, ce la mostrano in maniera diversa rispetto a quella a cui siamo abituati
dalla televisione e dai giornali. A me, anestetizzata dal bombardamento mediatico
che ogni giorno a pranzo e cena ci mette di fronte a violenze e guerre come fossero
situazioni normali, hanno colpito i lavori fatti da Rubino, per quel loro valore
simbolico, che si aggiunge a quello descrittivo. E così questi “lasciano dentro una
maggiore eco emotiva rispetto ai reportage a cui siamo abituati”.2 Le sue opere
1 GIOVANNI RUBINO, da una mia intervista fatta nell’ottobre del 2010 2 Ibidem
4
infatti, vogliono proprio porre l’attenzione sui problemi, dalla guerra agli attentati
mafiosi, dalla resistenza alla lotta operaia; e Rubino si serve quindi dell’arte per
riportarli alla luce e così intensificarli. Il suo lavoro non si sposta quasi mai fuori dai
problemi del reale ma è anzi sempre ancorato ad esso, sempre con un contenuto
molto significativo, il quale viene raccontato da lui attraverso la pittura e alle
tecniche moderne, costantemente aggiornate.
Per quanto riguarda la
sua persona (figura 1),3 sono
rimasta particolarmente
colpita dall’entusiasmo
giovane e coinvolgente che
mi ha da subito mostrato.
Inizialmente titubante per i
pochi materiali scritti a
disposizione, mi sono
convinta a lavorare con lui e
su di lui, durante il nostro
primo incontro. Colpisce poi il suo impegno laico ma religioso per questioni
politiche e sociali; quel richiamo ad agire che lui ha definito un “obbligo morale” e
che è racchiuso nel termine volontario dell’arte, come se la sua fosse una vera e
continua missione di pace.
3 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, FABRIZIO GARGHETTI, La calda estate del
’93, Milano, 1993
Figura 2
Figura 1 Giovanni Rubino nel filmato La calda estate del ’93.
5
2. NOTIZIE BIOGRAFICHE
Giovanni Rubino, nato nel 1938 a Napoli, parlando delle sue origini tiene a
precisare di essere stato “allattato culturalmente”4 a Pompei, ponendo l’accento in
questo modo sull'importanza che ha avuto per lui l'apertura artistica della sua città
natale, così colma di pittura fuori dal tempo. Evidenzia poi la ricchezza di pittura
ancestrale di cui sono impregnati quei luoghi, pittura che ricorda quella di Goya e
degli impressionisti. Per la sua formazione pittorica, infatti, oltre all’aver frequentato
il liceo artistico a Napoli e poi l’Accademia a Milano, è stato essenziale l’essere
cresciuto immerso in quell’arte senza tempo. Si è occupato da giovane anche di
restauro di affreschi nelle chiese, formandosi così anche per quanto riguarda la
pittura storica tradizionale.
Nato in una famiglia di decoratori artigiani, fin da piccolo ha lavorato
nell’azienda familiare, producendo decorazioni per la carrozzeria. Lasciata
l’Accademia prima di averla terminata, ha continuato a formarsi da solo; molto
importante in questo è stato per lui l’aver visitato, a Londra, una mostra sulla pop art
e in particolare fu colpito dalle opere di Rauschenberg.5 Queste, infatti, lo
incoraggiarono a produrre dei figurativi rimanendo nel moderno, con tecniche che
vanno dalla fotografia alla lavorazione manuale.
Nella seconda metà degli anni ’60 intanto, a Milano, si costituì il gruppo Mec-
art6, movimento artistico nato tra Francia e Italia negli anni Sessanta attorno alle
posizioni del critico Pierre Restany. Era quella la risposta europea alla pop-art e si
basava principalmente sull’utilizzo del mezzo fotografico e di supporti pittorici
tradizionali, con lo scopo di produrre opere serializzabili. Rubino fu uno tra i primi a
farne parte, ma lasciò il gruppo dopo poco tempo per contestazione politica. La sua
pittura, infatti, è stata sempre in funzione politica militante e mai sottoposta al
4 GIOVANNI RUBINO, filmato B-io-grafia, 2010 5 Si veda capitolo 3 Contestualizzazione 6 Ibidem
6
circuito economico dell’arte. A Milano ha fatto poi l’insegnante ed attualmente è
pensionato.
Dalla sua biografia, presente nel catalogo Io volontario dell’arte a Sarajevo
leggiamo che ha progettato e organizzato cicli di mostre in spazi pubblici; oltre alla
"Mostra Incessante per il Cile"7c’è ad esempio la mostra “Poetico-politico” del
1974-78. Nel 1978 ha curato poi il coordinamento della rassegna "Pratica: Di/segno
Politico", allo Studio Marconi di Milano. È stato membro del gruppo austriaco
Secession Graz, ha organizzato il Collettivo Pittori di Porta Ticinese e ha coordinato
il lavoro “Nuovo-Spazio-Metropolitano”. Ha effettuato performance in occasione di
"Milanopoesia" nel 1987 e alla galleria La Zarina, a Verona nel 1994.
Ha partecipato a diverse mostre fra cui: XXIII Salon de la Jeune Peinture,
Parigi, 1967; "Le Monde en question", A.R.C., Museo di Arte Moderna, Parigi,
1967; Iki, Dusseldorf, 1973 - Art '74, Basilea, 1974; Quadriennale di Roma, 1975;
Expo di Bari, 1976 e 1977; Biennale di Venezia, 1976; "Mostra incessante per il
Cile", Rotonda della Besana, Milano, 1977; "For a better world", Socialisation of
Art, Slovenj Gradec, 1979; "Urbano reale, urbano virtuale", Triennale di Milano,
1979; Premio Città di Acireale, 1985; Premio Gallarate, 1985; "L'uomo a due ruote",
Spazio Ex Ansaldo, Milano, 1987; "Museo dei musei", Palazzo Strozzi, Firenze,
1988; Tokyo, 1990; "La coperta scoperta", Spazio Marzotto, Milano, 1990; Sarema
Arte, Fiera di Milano, 1992; Ciclismo & Arte, Bologna, 1993; Festival Video,
Goteborg, 1993; Cento Artisti per Milano, Permanente 1994- Dis/Locazione,
Bologna, 1995.
Tra le personali vengono poi citate: Galleria Apollinaire, 1973; Banca
Popolare di Milano, 1988; Galleria Uno, Sondrio, 1989; Nuovo Spazio Guicciardini,
1990; Galleria Mazzocchi, Parma, 1987; Galleria di Porta Ticinese, 1987; Galleria
Kriterion, 1990; Museo di Milano, 1992; Galleria Blanchaert, Milano, 1995.
7 Si veda Capitolo 4.2 La Galleria di Porta Ticinese e il Collettivo
7
Con i suoi video infine ha partecipato a vari festival tra cui: un festival ad
Amsterdam nel ’92; Bellaria festival Anteprima '96; Fano festival; V. Idea Genova
(1° premio); Rimini festival antologica Anteprima; Premio Babele, Milano, 1993 (1°
premio); Concorso a tema fisso, Bellaria, 1997 (1° premio); Premio Troisi,
Montecatini, (2° premio); Casteggio (premiato); festival internazionale a Berlino,
2001; festival internazionale a Lisbona, 2001.
8
9
3. CONTESTUALIZZAZIONE
Data “l’inadeguatezza del mondo dell’arte di fronte all’impellenza della lotta
di classe”,8 sul finire degli anni Settanta, alcune avanguardie artistiche maturano la
volontà di prendere parte ai duri conflitti sociali e alle tensioni politiche in atto,
elevando a soggetto delle opere l'impegno del “cittadino politicamente e socialmente
orientato”.9 Si tratta di una ricerca che tende sempre più a far coincidere l’aspetto
estetico dell’opera d’arte con quello politico, sociale ed ambientale.
Già a partire dai decenni precedenti però, in particolare dagli inizi degli anni
Cinquanta, varie correnti artistiche si erano dedicate a unire parole, immagini e
suoni per esplicitare con l’arte i messaggi di una corrente politica, rispondendo sin
da allora all'invito di governi o partiti a declinare una data visione sociale-culturale
nell'arte figurativa, promuovendo l'aderenza dei soggetti delle opere con l'attualità,
attraverso il realismo dei contenuti o della rappresentazione. Alla fine del decennio,
in questo ambito ad esempio erano moltissime le artiste impegnate nella lotta
femminista e nell’approfondimento di varie tematiche sociali come il divorzio o
l’aborto.
Esperienze artistiche performative e ambientali erano in quegli anni sempre
più frequenti e avvicinavano l’arte alla vita. Anche alla base del movimento Fluxus
c’era l’idea di rendere l’arte un “flusso continuo di esperienze reali”,10 e quindi parte
della vita stessa, un’arte “totale, vitale, indeterminata, come l’esperienza
quotidiana”.11
8 Ibidem 9 CRISTINA CASERO, ELENA DI RADDO (a cura di), Anni ’70: l’arte dell’impegno, Silvana
Editore, Milano, 2010, p. 49 10 MARTINA CORGNATI, MARIA ELISA LE DONNE et al., Arte contemporanea, vol 2. Anni
sessanta, Electa, Milano, 2008, p. 157 11 Ibidem
10
Alla fine degli anni Cinquanta si formava inoltre anche l’Internazionale
Situazionista (I.S.). Il concetto di situazione che ne sta alla base è inteso come
"costruzione concreta di ambienti momentanei di vita, e la loro trasformazione in
una qualità passionale superiore"12 con l’impiego di qualunque arte o tecnica. L’I.S.
è forse stato il più importante tentativo collettivo di costruire una critica alle
ideologie moderne considerate obsolete, in particolare nell’ambiente studentesco
universitario. Tra le loro preoccupazioni c’era quella di rompere in modo definitivo
con il mercato delle opere d’arte e quindi una contestazione ai mercanti d’arte,
critici, direttori di gallerie, etc. Un’esperienza importante per l’artista fu a questo
proposito l’occupazione del Teatro Municipale di Reggio Emilia nel ’67, insieme al
poeta Corrado Costa e al regista e situazionista francese Marc’O. Questa fu infatti
per lui una prima manifestazione in nome della libertà della cultura e dell’arte. La
stessa avversione alla mercificazione dell’arte è un argomento che è emerso più
volte durante le mie conversazioni con l’artista. Colpisce a questo proposito il fatto
che Rubino abbia rifiutato di comparire in varie pubblicazioni, anteponendo “la
realtà e la vita”13 a quello che sarebbe potuto essere scritto. È raro incontrare una
persona così disinteressata alla fama e all’aspetto economico che da essa deriva:
Giovanni Rubino nella sua attività mette anche davanti a questi il suo appassionato
impegno sociale e politico. Infatti “il compito del pittore -citando Cavazzoni,
Gherpelli e Vezzani- è quello di negarsi come tale e di trasformarsi in «operatore
culturale» al servizio della classe operaia”.14 È dunque in questo clima che si
sviluppano le opere di Giovanni Rubino, il quale ha sempre creduto che esista, oltre
all’arte autonoma, anche un’arte che è immersa nella storia e nei momenti sociali,
un’arte che sia alla portata di tutti. A questo proposito infatti dice:
12 GUY DEBORD, Rapporto sulla costruzione delle situazioni e sulle condizioni
dell’organizzazione e dell’azione della tendenza situazionista internazionale, a cura di
Omar Wisyam, Nautilus, Torino, 1957 13 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010 14 ERMANNO CAVAZZONI, GIUSEPPE GHERPELLI, VENCESLAO VEZZANI, in un documento che
mi è stato fornito da Giovanni Rubino
11
Il mio lavoro pittorico-fotografico-video è quasi sempre del tutto ispirato da una
tematica sociale perché sono marxista e credo nell’impegno per il cambiamento,
perché ho sempre pensato che un artista deve dare un contributo anche in quanto
tale oltre che come uomo.15
Negli anni Sessanta Rubino partecipò ad alcune mostre in Francia e in
particolare nel 1967 al Le Monde en Question, a Parigi, in cui espose insieme a
Bertini alcune sue tele pittorico-fotografiche che furono le prime opere che diedero
vita al gruppo Mec-art. L’artista, parlando del suo lavoro di quegli anni e delle sue
origini, sottolinea sempre però l’importanza che ha avuto per lui la pop-art, in
particolare con le opere di Rauschenberg, nell’uso di immagini foto-meccaniche nel
quadro, e a questo proposito dice:
Le mie matrici culturali sono state dall’inizio intese a rappresentazioni del reale,
quindi dei figurativi; su questo si è inserito il discorso pop-art perché recuperava
oltre a brani di linguaggio figurativo (vedi Rauschenberg) anche altri di quello
meccanico della fotografia. Rigardo a questo, sono stato tra i primi ad usarla, in
mostre del ’66, e ho cercato sempre di arrivare a fare un’opera di comunicazione
verso gli altri e non solo di espressione e quindi per me stesso. Ho sempre aspirato
ad un’arte di classe, non borghese ma democratica e impegnata.16
Udo Kultermann, nel suo “Nuove forme della pittura”, fece una rassegna
degli artisti emergenti, in cui, vicino ai pop-artisti citava anche Rubino e in
particolare Questione di fame (figura 2)17 del ’66. L’opera, che è l’insieme di una
fotografia di uno scontro razziale e di un dipinto che riprende una natura morta di
Còtan del Seicento, sottolinea, con il disarmante contrasto, il significato della prima:
Giovanni Rubino ha messo in rapporto foto documentario con frutta e verdura, la
combinazione ironicamente surreale, di un’inquadratura che richiama antiche
maestrie, e in cui certi particolari arieggiano la natura morta, con una penetrante
15 GIOVANNI RUBINO, http://www.farememoria.it/murales.swf 16 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit. 17 Opera di GIOVANNI RUBINO, Questione di fame, 1965-66
12
foto documentaria rileva la multiformità del reale, consentendo tutta una gamma di
possibilità interpretative.18
Figura 2 Questione di fame
Negli anni ’70 in particolare, il lavoro di Rubino ebbe un’esplicita
applicazione sociale, con la sua partecipazione a manifestazioni politiche di sinistra
e della lotta operaia per le quali ha prodotto manifesti, striscioni e alcuni murales.
Rubino continua dicendo: “In questi casi usavo la mia esperienza estetica per
potenziare la comunicazione visiva di messaggi politici, in quanto militante
coinvolsi anche altri artisti e li coordinai in un collettivo19 e con loro realizzai molti
murales a Milano.”20
18 UDO KULTERMANN, Nuove forme della pittura, a cura di Carlo Mainoldi, Feltrinelli,
Milano, 1969, p.18 19 Il Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese, approfondito nel capitolo 4.2 La
Galleria di Porta Ticinese e collettivo 20 GIOVANNI RUBINO, da http://www.farememoria.it/murales.swf
13
Lea Vergine, nel suo L’arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche 1960-
1990, scrive dell’arte degli anni Sessanta e Settanta, per quanto riguarda l’utilizzo di
immagini e slogan ad ampio raggio, definendola pittura da leggere o anche poesia da
guardare. Insieme a Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci ed altri,
viene citato anche Giovanni Rubino. A proposito dei loro lavori la critica d’arte
scrive:
Lettere alfabetiche, ideogrammi, corsivi, arabeschi, immagini, geroglifici, combinati
in modo da scuotere il linguaggio e la lettura d'uso abituale, sono i "materiali" della
Poesia Visiva. Segni che significano se stessi e rimandano ad altro da sé,
consentendo interpretazioni mutevoli. A volte si tratta di esprimere un'idea più
prepotentemente, raddoppiando l'intensità del messaggio; si ricorre all'antitesi del
segno e della figura. […] Alle immagini vengono accostate scritte con sapore di
contrasto, aventi funzione di stimolo in vista del processo associativo che avviene in
chi guarda. Così ci si rende conto che il significato attribuito a quella parola scritta o
stampata o a quella immagine letta abitualmente in tutt'altro contesto è, alla fine,
solo frutto di un condizionamento associazionistico istituzionalizzato dalle
convenzioni dei media.21
21 LEA VERGINE, L’arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche 1960-1990, Skira,
Milano, 1999, pp. 107-109
14
15
4. B-io-GRAFIA
Nell’inverno dello scorso anno, in occasione di una serata organizzata in un
circolo ARCI di Milano in cui veniva esposto e raccontato il suo lavoro artistico,
Rubino si fece intervistare e filmare seguendo una scaletta da lui preparata. È così
che nasce B-io-grafia, un filmato in cui l’artista ripercorre dalle origini fino ad oggi
le tappe più significative del suo percorso artistico, quelle opere che risultano essere
tutte “legate dal filo rosso”22 dell’impegno sociale e politico. Successivamente il
filmato è stato montato potendo inserire così anche delle immagini e alcuni tagli di
filmati in corrispondenza del parlato originale.
Il video, che dura circa quaranta minuti, è suddiviso in tredici capitoli e
ripercorre il suo lavoro artistico dalle origini, con la formazione del Collettivo di
Porta Ticinese e i primi progetti realizzati a partire dagli ultimi anni Sessanta fino
alle performance più recenti. Interessante poi, è stata anche la scelta di Rubino di
progettare lui stesso un filmato che raccontasse la sua vita e le sue opere, costruendo
una traccia per l’intervista, facendosi filmare e poi facendo montare tutto in un
video. La naturalezza e l’informalità dell’occasione lasciano trasparire la personalità
dell’artista, il filmato riesce quindi a raccontare e spiegare i suoi lavori in modo
esaustivo ma allo stesso tempo semplice e colloquiale.
Durante un nostro incontro, ho chiesto a Rubino se, a posteriori, avrebbe
preferito aver aggiunto o modificato qualcosa al filmato, la sua risposta è stata la
seguente:
Poiché allora l’intervista fu molto informale, non ho approfondito bene gli ultimi
periodi. Quello sulle lapidi, ad esempio, Farememoria: lì si accenna solo e non c’è
stato neanche modo di mettere altre immagini nel video. Ma quella sera avevo
sviluppato meglio l’argomento Mortedison, i murales, la storia di Agnelli e della
Galleria.23
22GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit. 23 Ibidem
16
17
4.1 PORTO MARGHERA E MORTEDISON
Il 27 febbraio 1973, durante lo sciopero generale dell’industria contro la
nocività, in cui gli operai del petrolchimico della Montecatini Edison protestavano
per la loro condizione in fabbrica, Giovanni Rubino scese in piazza con i lavoratori
dell’Assemblea Autonoma di Porto Marghera, rendendo così quella manifestazione
un’opera d’arte. Da un volantino intitolato “Nocività e ipocrisia”, leggiamo la
protesta dei membri dell’Assemblea Autonoma, i quali si ribellavano dicendo che
Porto Marghera (Morto Marghera) non sarebbe mai stato un porto ecologico:
Vi sentiamo parlare della salvezza di Venezia, della natura e dell’ambiente. In
fabbrica invece vediamo come tutto questo sia falso, vediamo come si tratti di nuovi
trucchetti per convincerci a lavorare come vogliono i padroni. Gli operai hanno
sempre saputo quanto fosse schifoso il lavoro, l’ambiente, la società nella quale
sono costretti.24
Figura 3 Mortedison, Marghera, 1973
24 Volantino presente nel sito http://www.farememoria.it/mortedison.swf
18
Rubino e il gruppo costruirono lì una croce a cui era legato un manichino
con una maschera antigas (figura 3),25 metafora della condizione degli operai in
fabbrica e simbolo di quello che essi non volevano diventare. Il progetto, inaugurato
il giorno prima alla galleria Apollinaire di Milano, una volta a Marghera fu presto
sequestrato dalla polizia; partecipò però alla Biennale di Venezia del 1976, nella sua
edizione dedicata all’ambiente sociale, organizzata e coordinata da Enrico Crispolti.
Su Montedison sono poi stati fatti diversi collage e fotomontaggi (figura
4),26 in cui il crocefisso, la scritta MORTEDISON e la maschera antigas sono stati
inseriti all’interno di alcune situazioni a loro estranee o non realizzabili veramente:
la maschera antigas addosso alla Gioconda, così come ad un bambino in spiaggia, il
crocifisso tra i cartelli di indicazioni stradali verso Porto Marghera, etc. Anche in
quest’occasione infine, è stato realizzato un prezioso filmato documentaristico che
mostra la costruzione della croce da parte degli operai e l’assemblaggio del
manichino insieme a Rubino e Corrado Costa.
Il suo contributo qui è importante non solo come opera artistica, ma
soprattutto in quanto azione militante politica contro l’inquinamento e la condizione
operaia. Mortedison rappresenta infatti per Rubino una tappa fondamentale; è infatti
questo il progetto pilota che ha permesso poi all’artista di raggruppare pittori e
intellettuali che facessero opere in sostegno alla lotta.
25 Ibidem 26 Ibidem
19
Figura 4 Fotomontaggio per Mortedison
Qualche anno dopo Rubino è stato chiamato da un Collettivo di Vercelli per
fare anche lì un lavoro simile a quello fatto a Marghera, ma questa volta per lo
smantellamento delle fabbriche. Rubino ha scelto dunque di realizzare per
quest’occasione un dipinto sul tema dell’improduttività delle fabbriche e sulla
politica del carciofo, dunque dell’abbattere una cosa a poco a poco, una foglia dopo
l’altra, e in questo caso ogni foglia rappresenta un’azienda (figura 5).27 Qui la
parola-chiave è stata SMONTEDISON, riprendendo lo stesso gioco di parole usato a
27 Immagine da un filmato di GIOVANNI RUBINO su Mortedison
20
Porto Marghera e con la stessa satira mostrata nell’occasione precedente. A questo
proposito cito le parole dello stesso Rubino, nel raccontarmi di questo progetto:
Qualche anno dopo Mortedison, fui chiamato a Vercelli, quindi all’altro capo del
nord Italia, dove c’era l’altro polo chimico. Allora però erano cambiati i tempi
quindi il mio lavoro non riguardava più il tema dell’inquinamento ma quello delle
fabbriche improduttive, la cosiddetta politica del carciofo, perché man mano
mettevano in disuso le fabbriche, a causa del calo della produzione chimica. Quindi
io fui chiamato da un collettivo di Vercelli e decisi di fare un murales su carta e,
poiché apparteneva allo stesso ciclo di Mortedison, facemmo un lavoro simile.
Come nel primo caso si trattava di morte, così in questo si trattava di smontare, usai
quindi qui lo stesso gioco di parole a formare poi “SMONTEDISON”.28
Figura 5 Murales Smontedison, Vercelli
28 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit.
21
4.2 LA GALLERIA DI PORTA TICINESE E IL
COLLETTIVO29
Nel 1973, nasceva a Milano la Galleria di Porta Ticinese, tenuta da Gigliola
Rovasino, luogo che diventò ben presto un importante punto d’incontro per artisti,
critici e pubblico. Nel libro di Casero e Di Raddo è presente una descrizione di
quella zona di Milano, che, “negli anni Settanta, aveva una composizione politica
assai connotata”:30
Da piazza XXIV Maggio alle Colonne di San Lorenzo c’era la più alta
concentrazione di sedi politiche extraparlamentari d’Europa: il Manifesto in Corso
San Gottardo, Avanguardia Operaia in via Vetere (poi Democrazia Proletaria), Lotta
Continua e le femministe […], il Movimento Studentesco […], gli anarchici, il
primo storico covo delle Brigate Rosse, la sede della prima “Controinformazione”
[…] era nello stesso cortile della Galleria di Porta Ticinese.31
In quello stesso anno c’era
stato il colpo di stato in Cile così,
insieme alla gallerista Rovasino e al
poeta Corrado Costa, Rubino decise di
organizzare la Mostra incessante per il
Cile, contro l’operato di Pinochet. La
mostra, che oltre a lui coinvolse anche
molti altri artisti italiani, durò fino a quando, nel ’77, fu ristabilita la democrazia in
quel Paese. La mostra fu affiancata anche dalla realizzazione di un murales dai
colori vivaci, in piazza Duomo a Milano durante uno sciopero per il golpe in Cile
(figura 6).32
29 Nel filmato B-io-grafia “Galleria di Porta Ticinese” e “Il collettivo” rappresentano due
capitoli distinti, ho preferito riunirli qui per la vicinanza degli argomenti 30 ELISABETTA LONGARI in C. CASERO, E. DI RADDO, Anni ’70: l’arte dell’impegno, cit., p.64 31 Ibidem 32 Immagine da un filmato
22
Gli artisti che avevano esposto le loro opere alla Galleria decisero poi di
riunirsi dando vita al Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese, decidendo così
di collaborare facendo interventi grafico-pittorici per la lotta di classe. Il collettivo,
infatti, a partire da quel primo progetto della mostra per il Cile, si impegnò sempre
nelle varie lotte politiche e sociali, criticando l’ideologia borghese, contribuendo
all’emancipazione del proletariato e arricchendo con i propri mezzi la
comunicazione politica. Fecero parte del collettivo, tra gli altri, artisti come Corrado
Costa, Gabriele Amadori, Roberto Sommariva.
Figura 6 Striscione per il Cile
23
Le loro prime opere furono tre tele per contestare la venuta di Kissinger a
Milano del 4 novembre 1974 (figura 7),33 il mese successivo produssero invece un
grande telone satirico sul governo Moro e sull’autoriduzione dei prezzi,34 oltre a due
tele su Agnelli. Mentre nel gennaio del seguente anno parteciparono con alcuni
manifesti allo sciopero in FIAT, poco dopo furono fatti anche diversi murales per la
campagna MSI fuorilegge (figura 8),35 il Movimento Sociale Italiano infatti era
ritenuto allora una vera e propria ricostruzione del partito fascista. Sono davvero
molti i dipinti, su teloni, carta o muri fatti dal Collettivo, per impegno politico o
anche semplicemente per il recupero e l’abbellimento del centro storico di Milano
(figura 9).36
Figura 7 Telone su Kissinger, 1974
33 Immagine da un filmato di GIOVANNI RUBINO 34 Si veda capitolo 4.3 Il manzo aumenta mangeremo Agnelli 35 Immagine da un filmato di GIOVANNI RUBINO 36 Ibidem
24
Per quanto riguarda la tecnica di realizzazione dei murale cito ancora Elisabetta
Longari:
Dei murales realizzati dal collettivo è importante chiarire la tecnica per certi versi
“classica”, perché fa uso della quadrellatura per riportare con il carboncino sul muro
lo schema della composizione precedentemente concepito in galleria dagli artisti. A
volte il disegno sommario tracciato su enormi rotoli veniva direttamente dipinto
sulla carta insieme alla gente e poi incollato al muro.37
Figura 8 Murales MSI fuorilegge
Figura 9 Murales per l’abbellimento del centro storico di Milano
37 ELISABETTA LONGARI in C. CASERO, E. DI RADDO, Anni ’70: l’arte dell’impegno, cit., p.64
25
4.3 IL MANZO AUMENTA MANGEREMO AGNELLI
Come successe per i murales fatti a Marghera e Vercelli, allo stesso modo,
con l’uguale utilizzo di uno slogan creativo ed ironico messo in circolo a livello
nazionale, vennero progettati e poi realizzati alcuni dipinti per le autoriduzioni dei
prezzi. Giovanni Rubino, a proposito di questo suo lavoro scrive: “Il mio lavoro
(comunque) era anche una ricerca per un uso militante della comunicazione che
trovava applicazione visiva nel sociale, nello spazio delle lotte al capitale.”38
Lo slogan usato nel murales principale fu in questo caso l’originale “Il
manzo aumenta mangeremo Agnelli” (figura 10),39 ripreso da una frase scritta su un
muro di Padova e riutilizzato da lui insieme al Collettivo nel loro dipinto che venne
fatto nel 1974 su un muro del quartiere St. Ambrogio di Milano. Anche questa opera
fu riconosciuta dalla critica d’arte ed esposta alla Biennale di Venezia, alla
Quadriennale di Roma e, dallo Studio Marconi.
Per lo stesso argomento, il collettivo ha realizzato, oltre al murales, anche
due grandi tele satiriche su Agnelli: Agnelli visita una famiglia operaia (figura 11)40
e Agnelli, partenza, in cui l’Avvocato è rappresentato seduto alla stazione accanto
ad alcune signore impellicciate, quest’opera è stata poi richiesta ed acquistata dallo
stesso Agnelli. Le due tele furono utilizzate per delle esposizioni istituzionali come
ad esempio la quadriennale di Roma del 1976.
38 GIOVANNI RUBINO, http://www.farememoria.it/murales.swf 39 Immagine da http://www.farememoria.it/murales.swf 40 Tratta da un filmato di GIOVANNI RUBINO
26
Figura 10 Murales, Milano, 1974
Figura 11 Tela fatta dal Collettivo, Agnelli visita una famiglia operaia
27
4.4 IL MURALES DI GIOIOSA JONICA
Nel ’78 è stato richiesto a Rubino di fare un murales in onore di Rocco Gatto
(figura 12),41 mugnaio comunista che si era rifiutato di pagare il pizzo e di chi come
lui è morto dopo aver combattuto la ‘ndrangheta. Gatto aveva portato in tribunale
gli estorsori, consapevole che in questo modo avrebbe decretato la sua condanna a
morte.
Il murales dai vivaci colori è stato realizzato insieme a Corrado Armocida,
artista locale, sulla grande facciata di un cinema in Piazza Vittorio Veneto a Gioiosa
Jonica, ed è stato richiesto da un gruppo di “compagni gioiosani”.42 Rubino a questo
riguardo scrive:
In quanto artista della CGIL aderii all’invito e proposi un progetto valutato e
accettato dai compagni di Gioiosa e realizzato sul posto con artisti locali. Il murales
fu risolto con una tecnica visiva particolare: l’anamorfosi, per poter compensare la
visione unitaria dato che l’immagine era divisa dalle due facciate del cinema.43
Parlando del lavoro fatto qui contro la ‘ndrangheta durante un nostro
incontro, Rubino ha fatto un paragone con quello che Guernica era stato
quarant’anni prima contro il Fascismo, un’opera d’arte politicamente impegnata e
schierata, un’arte con una funzione sociale, di contestazione o per la pace o contro la
guerra e la prepotenza. Trent’anni dopo, nel 2009, sorprendentemente, è stato
richiesto all’artista di restaurare il murales, sentito fortemente dalla città come
Quarto Stato dell’anti ‘ndrangheta e testimonianza dello sforzo dei calabresi nella
lotta per la legalità e la giustizia sociale.
41 Immagine da http://www.farememoria.it/murales.swf 42 GIOVANNI RUBINO, http://www.farememoria.it/murales.swf 43 Ibidem
28
Figura 12 Murales per Rocco Gatto a Gioiosa Jonica
29
4.5 PAC
Nel luglio del 1993 un attentato di origine mafiosa fece esplodere
un’autobomba nei pressi del Padiglione di Arte Contemporanea di Milano,
provocando cinque morti.
Dopo aver partecipato alla
manifestazione spontanea fatta a Milano il
giorno dopo l’esplosione, Rubino si è sentito
di dover fare però anche qualcosa in quanto
artista, non solo come cittadino. Per
quest’occasione quindi, ha scelto di
partecipare a quel dramma, restando lì a
dipingere in presa diretta, in modo
volutamente vistoso, portandosi quindi anche
il cavalletto di solito non usato, per la ventina
di giorni successiva all’esplosione. Rubino a
torso nudo e con una bandana in testa era lì ad
attirare l’attenzione su quel dramma (figura
13):44 il suo corpo a rappresentare il segnale
vivente di attenzione sull’avvenuto, sensibilizzando e drammatizzando. Parlandone,
Rubino dice:
Io quella notte non sentii gli scoppi ma venni a sapere dalla radio cos’era successo
quindi il mattino dopo ho pensato che sicuramente avrebbero fatto una
manifestazione e ci andai. Manifestando in quel grosso corteo, mi sono subito detto
“devo fare qualcosa”. Io infatti ho sempre cercato come militante di aggiungere
anche un contributo personale e quindi come artista, facendo o un manifesto politico
o un murale o ideando un’azione che potesse collaborare e aggiungere attenzione su
quel fenomeno. Allora cominciai sin da subito a filmare e decisi che avrei fatto
un’azione, cioè mi sarei messo lì a dipingere durante quella ventina di giorni.
44 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, B-io-grafia, 2010
Figura 13 Giovanni Rubino davanti alla Galleria d’arte contemporanea distrutta
30
Io disegnavo, facevo il vedutista moderno, allo stesso tempo però usavo anche il
corpo come segnale perché io ero lì tra quelle rovine a torso nudo, con una bendana
tra i capelli, con anche il cavalletto, insomma facevo un po’ di teatro. Questo
serviva anche ad attirare l’attenzione perché ci si chiedeva come mai un artista se ne
interessasse, cioè la gente pensava “la cosa è così forte che c’è anche un artista che
ci da una mano a drammatizzarla”, potenziando in questo modo l’attenzione su un
fatto così grosso e politico, perché in effetti quello era un messaggio della mafia.45
L’uso del corpo come segnale ricorda la corrente Fluxus degli anni
Sessanta,46 in cui il corpo era inteso “non più soltanto come strumento ma come
oggetto dell’intervento artistico, condizione di un «fare», di qualcosa che avviene
nel tempo prima ancora che nello spazio, e che si connota esso stesso come opera”.47
Questo riguarda in particolare opere come quella fatta da Beuys nel 1962,48 in cui
l’artista si è fatto “interprete della crisi sociale in atto”49 diventando egli stesso una
“scultura sociale”.50 La tematica sociale e politica fortemente presente in Giovanni
Rubino era una problematica presa in considerazione anche dal movimento artistico
Fluxus, soprattutto a partire dagli ultimi anni Sessanta.
Cito a proposito della performance fatta qui dall’artista anche un articolo di
Vittorio Fagone il quale, vedendolo dipingere tra i resti della Galleria, scrisse:
Giovanni Rubino ha ritrovato il senso delle rovine in luoghi, modi ed espressioni
che, a prima vista, possono apparire paradossali. […] Rubino non si dichiara fuori
dallo scenario drammaticamente crollato e sovvertito. L’artista, a torso nudo e con
una benda in testa, si aggira tra le rovine come un sopravvissuto che cerca reliquie
salvabili. Disegna e dipinge da posizioni precarie, spesso attorniato da una piccola
folla di curiosi, da sopra la colonnina del distributore di benzina di via Palestro, dal
45 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit. 46 Si veda anche il capitolo 3, Contestualizzazione 47 M. CORGNATI, M. E. LE DONNE et al., Arte contemporanea, vol 2. Anni sessanta, cit., p. 22 48 Opera di JOSEPH BEUYS, E in noi…sotto di noi…sotto terra, 1965 49 M. CORGNATI, M. E. LE DONNE et al., Arte contemporanea, vol 2. Anni sessanta, cit., p. 22 50 Ibidem
31
cassone di un camion che trasporta detriti, da una bicicletta sulla quale sta a
cavalcioni e anche su un improbabile “cavalletto da campagna”.51
Anche in questo caso l’artista ha realizzato e fatto realizzare alcuni filmati;
quello di Fabrizio Garghetti, in particolare, montato con la regia di Giovanni Rubino
con il titolo di La calda estate del ’93,52 è un precursore dei filmati che saranno poi
realizzati durante la guerra in Bosnia. Le immagini reali delle rovine, sovrapposte a
quelle dell’artista durante i suoi spostamenti in bicicletta, o circondato da persone
incuriosite, o impegnato a dipingere, o alle riprese dei dipinti stessi (figura 14),53
rendono il video un’ansiogena testimonianza di quell’evento drammatico. Fagone a
questo proposito continua:
Costruito con un felice uso della sezione sonora e con raffinate tecniche di
montaggio, il video mostra quasi di continuo, ma in trasparenza, il frenetico
disegnare e dipingere di Rubino. Le diverse prospettive delle rovine, il “va e vieni”
dei mezzi di scavo, l’aggirarsi dell’artista quasi sperduto, il mescolarsi della cronaca
[…] con l’apparizione rassicurante degli incolumi e candidi Sette savi di Fausto
Melotti, rendono un’atmosfera che risulta tragicamente consueta e imprendibile
distanziamento immaginativo.54
51 VITTORIO FAGONE, Pac, e le rovine ispirano la mano dell’artista, Avvenire, 20-10-93 52 GIOVANNI RUBINO, FABRIZIO GARGHETTI, La calda estate del ’93, 1993 53 GIOVANNI RUBINO, 1993 54 VITTORIO FAGONE, Pac, e le rovine ispirano la mano dell’artista, cit.
32
Figura 14 Dipinto per il P.A.C, Milano, 1993
33
4.6 SARAJEVO
4.6.1 Contesto di guerra
Tra il 1991 e il 1995 una serie di conflitti armati hanno coinvolto i diversi
territori appartenenti alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, causandone
infine anche lo scioglimento. Essi ebbero origine dal nazionalismo imperante nelle
diverse repubbliche (in particolare in Serbia, Croazia e Kosovo), già a partire dalla
fine degli anni ’80 ed anche da motivazioni economiche, politiche e religiose che
portavano a voler mettere fine all’esperienza della Repubblica Socialista Federale di
Jugoslavia.
Le stime parlano di novantaquattromila nomi, tra soldati e civili morti nella
guerra. Di questi oltre sessantamila sono bosgnacchi (68%), ovvero cittadini di
religione musulmana, i quali risultano essere le principali vittime del conflitto,
seguiti dai caduti serbi (26%) e poi ancora da quelli croati (5%).
Un esempio di arte impegnata sollecitata dalle realtà politiche e dalla storia,
un antesignano nel cinema dei disegni di Giovanni Rubino sulla guerra in Bosnia, è
La battaglia di Algeri, film del 1996 diretto da Gillo Pontecorvo. Il regista in quel
caso infatti, era stato incaricato dallo Stato di produrre un’opera per la memoria del
raggiungimento dell’indipendenza dell’Algeria dalla Francia. Ed è questa dunque
l’arte come la intende Rubino, l’arte che può avere una valenza politica, un’utilità
sociale, che non è solamente arte per la ricerca ma arte applicata, in rapporto con le
realtà politiche e sociali della Storia. Nel catalogo Io volontario dell’arte a Sarajevo,
il direttore della fotografia di La battaglia di Algeri, Marcello Gatti, entusiasta,
scrive di quanto le opere di Rubino (figura 15)55 gli facciano rivivere i momenti
vissuti da lui in Algeria:
Giovanni caro, ho veduto le due opere (video) che presentasti a Bellaria
(Anteprima), girato, disegnato con mani Michelagiolesche, dai modo alla fantasia di
55 Disegno di Giovanni Rubino, immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, Io,
volontario dell’arte a Sarajevo, 1995
34
volare, sprigionarsi in libertà, questi disegni e realtà, si sente anche l’odore; mi
ricordano cose accadute a me anni fa, carcere, confine, contatti con guerriglieri
venezuelani, sembrava che affianco avevi Pierpaolo Pasolini: è un’opera d’autore.
Opere inedite, amalgami l’arte e la tragedia. (…) Mi hai ricordato Guttuso, foglio
bagnato con i tuoi schizzi, carro armato, fotocopiatrice. È un enorme
bombardamento d’immagini come un mosaico, ci hai fatto partecipare anche a noi,
lo stesso tuo fiatone l’avevo anche io vedendolo. (…) Ha lo stesso ritmo del tuo
cuore, del tuo essere, come ti presenti a noi. (…) Sono certo che anche un cieco con
il suo tatto, vedrebbe, sentirebbe, le tue pitture.56
Figura 15 GIOVANNI RUBINO, disegno di un soldato italiano in Bosnia, 1995
56 MARCELLO GATTO in GIOVANNI RUBINO, Io, volontario dell’arte a Sarajevo, 1995
35
4.6.2 Io volontario dell’arte a Sarajevo
L’esperienza di Sarajevo viene da quella del P.A.C., così come anche la tecnica
pittorica utilizzata per realizzare le pitture in diretta fu la stessa usata per
l’esplosione alla Galleria di Milano. I due lavori sono collegati, infatti fu proprio
facendo la mostra del P.A.C. che decisi di andare a Sarajevo. Un gallerista mi disse
che quel modo così caldo e descrittivo, per delle situazioni così, avrei potuto
utilizzarlo anche per la guerra in Bosnia, ecco perché io poi mi sentii in dovere di
andare. L’esperienza è quindi parallela, Sarajevo ha il debito verso l’esperienza
pilota del P.A.C. che lo precede di due anni.57
Queste le parole dell’artista parlando, durante un nostro incontro della sua
esperienza di guerra. Fu spinto quindi da un “imperativo morale”58 Rubino, quando
andò in Bosnia la prima volta tra l’agosto e il settembre del 1995, proprio nei giorni
del tanto atteso arrivo degli aerei NATO, tappa decisiva per la fine di quella guerra.
Per intraprendere questo viaggio si è affiancato ad un convoglio di aiuti di volontari
per la pace, riuniti nell’associazione Sprofondo.
Quest’esperienza è stata molto importante per lui, perché ha fatto riaffiorare
nella sua mente i ricordi della seconda guerra mondiale vissuta durante l’infanzia
permettendogli di ricostruirli. La vita nei ricoveri, le malattie, la fame, l’arrivo degli
americani a Napoli: sono stati anche questi suoi ricordi a spingerlo ad andare, quella
“emozione biografica”,59 quella sua profonda conoscenza della situazione.
Partito con l’obiettivo di disegnare i principali luoghi storici distrutti dalla
guerra, come la Biblioteca di Sarajevo, “simbolo della cultura offesa”60 (figura
16),61 ha realizzato qui, oltre ai tantissimi dipinti, anche un video-diario del viaggio
e della sua permanenza in Bosnia. Durante quei giorni ha disegnato tutto quello che
57 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit. 58 Ibidem 59 Ibidem 60 FRANCESCA PENSA in GIOVANNI RUBINO, Io, volontario dell’arte a Sarajevo, 1995 61 Dipinto di GIOVANNI RUBINO, 1995
36
ha visto e vissuto: dalle scene di fame, ai convogli di guerra (figura 17),62 ai resti dei
bombardamenti, agli scoppi delle granate, ai morti.
Figura 16 GIOVANNI RUBINO, dipinto della biblioteca di Sarajevo distrutta, 1995
Interessante l’intervento di Francesca Pensa, insegnante collega di Rubino,
contenuto nel diario Io, volontario dell’arte a Sarajevo, a proposito del video e dei
disegni dell’artista:
Il video di Giovanni Rubino propone una testimonianza diretta della tragedia di
Sarajevo e della guerra nella ex-Jugoslavia. […] Il valore e l’efficacia anche
didattica di questo lavoro è riconoscibile infatti a diversi livelli. Il primo di essi è
proprio quello della memoria che non deve essere cancellata, dal ricordo che deve
restare come concreta e indelebile prova dell’orrore accaduto alla incredibile
vicinanza dei nostri confini, nella civile e ricca Europa. La seconda e importante
funzione dell’opera è quella di cercare di chiarire attraverso l’evidenza delle
immagini le complesse dinamiche e ragioni di questo conflitto, nato in un Paese nel
quale la coabitazione di popoli e religioni diverse è stata la causa deflagrante di una
62 Dipinto di GIOVANNI RUBINO, 1995
37
guerra e di un conflitto dirompenti. Ma la funzione forse più importante è quella
poetica: il video si propone soprattutto nella prima parte, come versione lirica degli
accadimenti reali. Il taglio delle inquadrature, la loro frequente mancata messa a
fuoco, il sovrapporsi di disegni e di immagini del reale trasformano la cronaca in un
racconto epico, nel quale l’emozione trasfigura la tragedia della guerra, senza
tuttavia cancellarne l’orrore.63
Il video-documentario ci mostra i suoi spostamenti, gli incontri con i soldati
italiani per strada o nelle caserme, le sue visite agli ospedali e ai ricoveri e lo
vediamo anche, ripreso da altre mani, disegnare i resti delle città bombardate.
Figura 17 Un soldato italiano in Bosnia, 1995
Il filmato, come accennato nel capitolo precedente, ricorda molto nello stile
quello realizzato per l’esplosione del Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano;
già a partire dai primi secondi di ripresa infatti, vediamo due scene simili, che
63 F. PENSA in GIOVANNI RUBINO, Io, volontario dell’arte a Sarajevo, cit.
38
riportano l’una all’altra: nel primo un fiammifero illumina un dipinto e poi si
accende in una fiammata, nel secondo una candela brucia il dipinto di un edificio
bosniaco. Entrambi dunque iniziano in quella stessa stanza buia, illuminata dalle
sole fiamme, ed entrambi raccolgono drammatici scorci documentaristici, alternati
ad altri in cui l’artista dipinge. Inaspettato e commovente è invece l’episodio del
filmato in cui Giovanni Rubino, sceso dal suo furgone, trova un libro di poesie sul
ciglio della strada, a ridosso di un campo di mine.
39
4.6.3 Il ruolo della donna
Sappiamo che tra le prime vittime della guerra in Bosnia Erzegovina ci sono
le donne che, tra il ’92 e il ’95, hanno subito enormi danni fisici e psichici. Sono più
di ventimila infatti le donne stuprate e circa cinquecento i figli nati da quelle
violenze.
Venivamo ammazzate, gettate nelle fosse comuni. Venivamo stuprate, arrestate,
incarcerate nelle prigioni e nei campi, torturate, usate da scudo vivente. Venivamo
obbligate al lavoro forzato, scacciate a forza dalle nostre città e villaggi, derubate
dei nostri averi e in mille altri modi umiliate brutalmente. Non di rado le bambine
tra i dodici e i quattordici anni venivano forzatamente separate dalle loro famiglie e
condotte in luoghi speciali dove venivano sottoposte, da parte dell'aggressore, a
orribili sevizie, stupri ed altre forme di tortura, compresa la mutilazione fisica e
l'assassinio.64
Questo il frammento di un articolo pubblicato da Amnesty International per
la campagna Mai più violenza sulle donne, citando un intervento a cura di Bakira
Hasecic, Amna Kovac, Adila Kovacevic, dell'associazione bosniaca Donna vittima
della guerra. Lo stupro etnico è stato usato come arma di guerra, come strategia per
eliminare un popolo, fecondando le donne bosniache con seme serbo, sottomettendo
così una collettività umana attraverso le sue donne. Questo meno di vent’anni fa, a
due passi dal nostro Paese.
64 http://www.balcanicaucaso.org/ita/aree/Italia/Guerra-in-Bosnia-la-violenza-sulle-donne,
BAKIRA HASECIC, AMNA KOVAC, ADILA KOVACEVIC, Guerra in Bosnia: la violenza sulle
donne, consultato il 24.10.10
40
4.6.4 Corpo di guerra
È soprattutto da questo tipo di violenza sulla donna, che ricorda le torture e
gli “esperimenti” fatti nei campi di concentramento nazisti, che Rubino è rimasto
colpito, vedendo le immagini attraverso già dalla televisione, ancor prima di arrivare
sul posto. Ed è dall’uso spietato che è stato fatto del corpo della donna come terreno
di battaglia che nasce Corpo di guerra (figura 18),65 cortometraggio che ha
realizzato nel 1998.
Nel filmato vediamo un soldatino giocattolo che avanza carponi sopra il
corpo nudo di una donna, suo campo di battaglia; è quindi questo rigido
accostamento dei due elementi di per sé lontani a creare il senso del filmato. In
trasparenza, come anche negli altri filmati visti, scorrono alcune intense illustrazioni
dell’Artista e in sottofondo audio solo un ritmo sonoro ripetitivo per dare
drammaticità alle immagini. Il video è breve ma martellante, così da risultare
ripetitivo e di forte impatto: i movimenti meccanici del soldatino sul corpo nudo e
indifeso di una donna angosciano infatti lo spettatore. Il simbolismo del
cortometraggio, cioè l’uso che viene fatto qui della donna come “terreno”, ricorda
poi l’ottica surrealista dei paesaggi ambigui di alcuni dipinti di Dalì. L’essenzialità e
l’immediatezza di questo filmato hanno permesso all’artista di partecipare a diversi
concorsi, anche all’estero, ricevendo ovunque numerosi apprezzamenti.
65 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, Corpo di guerra, 1998
41
Figura 18 Tratto dal filmato Corpo di guerra
42
43
4.7 KIEV
All’indomani delle elezioni presidenziali del 21 novembre 2004, svoltesi in
Ucraina, si sviluppò un movimento di protesta per chiedere la cancellazione del
risultato elettorale, che dava vincitore Janukovyc. La maggioranza dei deputati
infatti, contestava i risultati che sarebbero stati manomessi da significativi brogli.
Quella fu la sommossa che passò poi sotto il nome di rivoluzione arancione, dato il
colore adottato dall’avversario Juscenko, e dai suoi sostenitori. Centinaia di migliaia
di contestatori scesero quindi nella piazza principale di Kiev e la occuparono per più
di un mese, fino a quando il risultato elettorale non fu invalidato e furono fissate le
nuove elezioni.
Rubino per l’occasione andò a Kiev, con l’intenzione di restare solo qualche
giorno, ma vi rimase per l’intero mese, passando le sue giornate e talvolta anche le
notti, nella tendopoli che si era creata in piazza. Oltre ai disegni e ai dipinti realizzati
lì (figure 19, 20),66 ha voluto anche questa volta registrare alcuni episodi della vita
da campo degli arancioni e della loro rivoluzione. Il filmato, Capodanno a Kiev,67 è
un questa volta più documentaristico, non contiene dunque intramezzi con immagini
dei suoi dipinti se non alla fine e non è stato aggiunto un particolare audio in un
secondo momento. Il filmato è dunque molto grezzo ma è interessante perché ci
mostra comunque alcuni episodi particolari, che sono stati notati ed evidenziati
dall’occhio dell’artista.
66 Immagini tratte dal filmato GIOVANNI RUBINO, Capodanno a Kiev, 2005 67 Filmato di GIOVANNI RUBINO, Capodanno a Kiev, 2005
44
Figura 19 GIOVANNI RUBINO, dipinto sulla vita da campo a Kiev, 2005
Figura 20 GIOVANNI RUBINO, dipinto sulla vita da campo a Kiev, 2005
45
4.8 FAREMEMORIA
Farememoria è un progetto nato dalla partecipazione di Rubino a una mostra
di pittura sulle lapidi dei caduti della resistenza. Per quell’occasione infatti, l’artista
aveva deciso di fare una performance a partire dalla lapide di Alessandro Lugaresi,
che si trova proprio sulla strada in cui abita. Quella sua opera consisteva nel
ricalcare su un foglio di carta bianco i rilievi della lapide con la tecnica del frottage,
ovvero sovrapponendo il foglio alla lapide e sfregando la superficie con una matita.
Questa performance per essere documentata aveva bisogno però di essere
fotografata e ripresa, da qui la collaborazione di Rubino con un primo artista della
fotografia.
Figura 21 Foto di Ferdinando Scianna
Dopo quest’esperienza Rubino ha pensato di allargare il suo lavoro, con
nuove lapidi e nuovi fotografi, spostandosi in giro per l’Italia e all’estero, e ridando
così vita al ricordo dei giovani morti in passato per la nostra libertà, con un
linguaggio assolutamente nuovo. Così come era stato anche per il PAC, è ancora più
evidente qui il ruolo dell’artista come colui il quale attira l’attenzione su un
46
problema, mettendo in evidenza in questo caso le lapidi, a cui nessuno ormai faceva
più caso.
Del catalogo di Farememoria, tra i vari interventi, particolarmente
interessante quello di Giusi Busceti che descrive il percorso di Rubino come fosse
una via crucis:
Qui l’essenziale è non dimenticare, e alla sua maniera: alle ossa. Così la matita deve
toccare quest’ultima vita materiale, le “ultime lettere” di questi condannati a morte,
eroi per forza o per coraggio; ultime lettere, però, della lingua del mondo sulle loro
ossa: le lapidi. Le più dimenticate, dissimulate sotto un cartellone pubblicitario o
dall’insegna di un ristorante. L’artista ne inventa un dies irae, un giorno della
resurrezione, va a “scoprirle”, queste icone dell’addio: e ci conduce tutti con sé, a
scoprirle. […] E dunque eccoli, tutti i movimenti di un Requiem, celebrato ora
anche per i più oscuri caduti. Ecco le facce un po’ stupite o perplesse che guardano
per le strade, che assistono a tutte le stazioni della via crucis laica ma colma di
religiosa attenzione di Giovanni Rubino: svolte, portoni, strade ghiacciate dopo folta
nevicata di città, fermate del bus e stazioni del metrò sono le tappe di un uomo che
segue l’uomo, portando non la croce (che, quella, la portarono i caduti) ma la scala.
Alta, pesante, ingombrante, imbarazzante, scomoda compagnia che fa da bordone a
tutto il coro dei morti di quest’opera-video: che nessuno, più nessuno possa
ignorarla, che tutti vengano un po’ infastiditi dalla sua immagine di durezza e
spigolosità; che sia di scandalo, insomma, alla quiete pubblica: anche solo per la
semplicità di un gesto – lo scendere e salire quella scala, come di chi sta costruendo
una casa – che si fa rito, ossessivamente ripetuto, sempre uguale, fino allo
sfinimento che a tratti coglie lo spettatore. Sfinimento che dura un attimo per noi
ma, per chi si alza ogni mattina all’alba per salire su una impalcatura che a volte
diventa il suo patibolo, tutta la vita.
Fare memoria: sembra piatta una lapide, finche non ci trascini sopra una matita, che
evidenzia tutti i rilievi, tutte le asperità, i nervi scoperti di tutti i nomi, direbbe
Saramago, fisici della condizione umana, del corpo che non rifugge la morte. Fare
memoria: non è solo un tributo artistico mettersi al fianco, condividere la sorte di
chi scala il suo calvario. Non dimenticate quella scala, è la medesima che Rosso
Fiorentino, Pontormo o Tintoretto appoggiano alla croce. Per aiutare “la
deposizione” di quei corpi verso l’onore della sepoltura; e chi è sopravvissuto a
ricevere tra le braccia il peso di un dono estremo che, raccolto da un testamento
47
artistico, diventa memoria: ciò che non si cancella.68
Al progetto hanno collaborato fotografi illustri come: Ferdinando Scianna
(figura 21),69 Gianni Berengo Gardin, Cesare Colombo, Juliaan Hondius, Livio
Nepi, Giorgio Vianini, Barry Lewis (figura 23)70, Renzo Chiesa, Vincenzo Dragani,
Giovanni Ricci, Fabrizio Garghetti, Luciano Ferrara, Mario De Biasi, Paola Mattioli
(figura 22),71Angelo Golizia, Isabella Balena, Laura Elina Larmo, Antonio Ria.
Anche su Farememoria inoltre è stato fatto un filmato, il quale è una raccolta
di riprese cinematografiche e fotografie di alcune performance fatte a Milano tra il
2005 e il 2006, con l’aggiunta di varie interviste a protagonisti della resistenza o a
conoscenti dei caduti. Ad oggi Rubino si mostra ancora disponibile a continuare
quest’opera, Farememoria è quindi una collana di un lavoro che ancora non si è
concluso, una serie aperta.
68 GIUSI BUSCETI nel catalogo GIOVANNI RUBINO, Farememoria, Milano, 2006 69 FERDINANDO SCIANNA, Milano 70 BARRY LEWIS, Milano 71 PAOLA MATTIOLI, Milano, 2006
48
Figura 22 Foto di Paola Mattioli
Figura 23 Sequenza di foto di Barry Lewis
49
4.9 IL MURALES ALL’ALFAROMEO
Nel ‘78 fu organizzato un 25 aprile all’interno della fabbrica dell’Alfaromeo
di Arese, occasione per cui furono invitati a partecipare diversi licei artistici per
dipingere una sala della struttura. Rubino, che era iscritto al sindacato degli artisti ed
assistente di un professore in un liceo artistico di Milano, preparò il progetto per un
murales e accolse quindi l’iniziativa. Rappresentò quindi una serie di tappe della
storia operaia, a partire da alcune scene della resistenza, passando poi alla
ricostruzione di Sesto e delle grandi fabbriche fino al femminismo di quegli anni
(figura 24).72 Il murales fu realizzato anche in questa occasione con la tecnica
dell’anamorfosi, in modo da riuscire a coinvolgere tutto l’insieme della sala,
estendendo le figure su più lati e sul soffitto. Anche gli operai parteciparono,
contribuendo alla realizzazione del dipinto insieme a Rubino e ai suoi studenti.
L’artista lo scorso anno è potuto tornare nella fabbrica dismessa, facendo
foto e filmati al murales ancora intatto dopo trent’anni, e documentando anche gli
immensi spazi vuoti dei capannoni abbandonati.
72 Immagine tratta dal filmato di GIOVANNI RUBINO all’Alfaromeo, 2009
50
Figura 24 Murales all’Alfaromeo
51
5. ALTRE OPERE
Di seguito analizzerò brevemente quelle opere che, sebbene nel filmato B-io-
grafia occupino un capitolo intero, dai materiali a disposizione non è possibile
trattare in maniera adeguatamente approfondita.
Per quanto riguarda il lavoro non impegnato dell’artista, invece, non presente
quindi nella video intervista usata da traccia per questa tesi, cito letteralmente le
parole di Rubino da una mia intervista fatta nell’ottobre di quest’anno:
Ho fatto anche lavori basati su figurazioni autobiografiche, quindi io rappresentato
in vari topoi iconografici della pittura del genere ad esempio de La conversione di
San Paolo di Caravaggio oppure io con la donna; quindi una serie di icone
pittoriche di sempre della storia dell’arte. Per il resto ho sempre fatto opere che
avessero un contenuto: ho fatto parecchi quadri e anche molti video sul ciclismo,
alcuni anche molto belli, oppure su visioni Daliniane, doppie immagini, paesaggi
antropomorfi, rocce che sembrano figure umane, etc. Poi ho lavorato anche sulla
moneta, questo anche è un tema politico, era al tempo di Mani Pulite che feci tutto
questo ciclo di lavori e anche un video che si chiama Vendere cara la pelle
sull’icona della moneta.73
73 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit.
52
5.1 MARXCUPOLA
Il primo capitolo di B-io-grafia è dedicato a due lavori fatti da Rubino tra gli
anni ’60 e ’70. Il primo è Marxcupola è un progetto che fece parte di una serie di
opere esposte alla Galleria di Porta Ticinese per la polemica su Testori nel ‘78. Il
lavoro consiste nella rivisitazione laica di un dipinto del Sacro Monte di Varallo, un
insieme di cappelle “popolate da affreschi e sculture che raccontano la vita di Cristo,
realizzate fra la fine del XV e il XVIII secolo dai maggiori artisti piemontesi e
lombardi”.74 Nel suo dipinto Rubino però rappresentò l’icona Marx, con un sistema
grafico in cui l’immagine traspare da una serie di cerchi concentrici (figura 25).75
L’immagine di Marx divenne un affresco virtuale quando Rubino partecipò ad una
mostra in una chiesa sconsacrata e proiettò l’immagine sul soffitto.
Figura 25 Marxcupola
74 http://www.sacromontevarallo.eu 75 Immagine tratta da un filmato di GIOVANNI RUBINO
53
5.2 CHAMPAGNE MOLOTOV76
Champagne molotov (figura 26),77 secondo protagonista del primo capitolo
della videointervista è un “multiplo del movimento”,78 un’icona riproducibile in
serie, pensata come simbolo politico del ’68 e oggetto da vendere nei festival politici
giovanili. In questo caso furono preparate una serie di bottiglie di Champagne alle
quali erano stati legati dei fiammiferi antivento e diverse etichette riportanti alcune
date in cui la bomba molotov era stata usata in atti terroristici. Quelli erano gli anni
della strategia della tensione, tra il ’68 e il ’74 infatti furono più di cento gli attentati
in Italia; uno tra i più gravi quello a Piazza Fontana del 12 dicembre, data riportata
in un’edizione della bottiglia di Rubino. Le bottiglie furono presentate alla Biennale
di Venezia del ‘76.
Figura 26 Bottiglia Champagne Molotov
76 Marxcupola e Champagne Molotov rappresentano in B-io-grafia un unico capitolo che qui
ho preferito dividere 77 GIOVANNI RUBINO, 1968 78 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit.
54
5.3 ISRAELE
In B-io-grafia uno tra gli ultimi capitoli è dedicato all’esperienza di Rubino
in Israele. Durante un viaggio per interessi personali infatti, l’artista si è spinto
anche in zone a rischio come la striscia di Gaza e lungo i confini con il Libano,
documentando anche qui con disegni (figura 27)79 e filmati il visto e il vissuto. Le
riprese fatte non sono ancora state selezionate e montate, però è interessante che
l’artista anche quando in viaggio per motivi personali non dimentichi mai di
rappresentare artisticamente la realtà incontrata.
Figura 27 Il muro del pianto
79 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, B-io-grafia, cit.
55
5.4 LA LOTTA CHE PAGA
Rubino continua ancora oggi a dare il suo contributo di documentatore
creativo (figura 28),80 partecipando ad esempio, nell’agosto dello scorso anno alla
manifestazione sorta davanti all’INNSE di Lambrate durante lo sciopero contro la
chiusura della fabbrica. Anche in questa occasione ha realizzato alcuni filmati,
ancora non montati, e vari disegni.
Figura 28 Giovanni Rubino all’INNSE
80 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO all’INSSE, 2009
56
57
6. CONCLUSIONI
Ho ripercorso nel mio elaborato le opere con un valore sociale o politico di
Giovanni Rubino, scoprendole attraverso l’autore stesso e i materiali di cui lui mi ha
potuta fornire. È stato interessante notare come quasi tutti i momenti importanti del
suo operato artistico siano stati ripresi da una telecamera, come se, più ancora
dell’opera stessa, e quindi del dipinto o della performance, fosse importante la scelta
dell’evento storico e l’atto stesso di chi lo rende opera d’arte.
L’occhio dello spettatore diventa l’occhio del passante che, attirato dalla
figura dell’artista, riscopre o ricorda un periodo storico. Farememoria81 è forse il
caso più tangibile: sono talmente tante le lapidi sulle nostre strade che è difficile
ormai farci caso, ma Rubino su una scala intento a ricalcarle, un filmato, una foto,
possono certamente aiutare ad attirare lì la nostra attenzione. Una volta sensibilizzati
da queste immagini risulta naturale far caso, muovendosi nelle città, ai tanti segni
lasciatici dal passato cui normalmente non avremmo fatto caso. È questo che è
successo a me, ed è così che mi sono sentita io, richiamata a prestare attenzione alle
questioni sociali e politiche affrontate dall’artista. Ed è questo l’obiettivo che, a mio
parere, traspare dalla maggior parte dei suoi filmati, quelli in cui Rubino si fa
riprendere, o altre volte ancora lo fa da solo, improvvisando dei disegni o anche
facendo solo finta, dando rilievo al movimento della sua mano più che al risultato
finale: vedere i filmati non ancora tagliati e montati mi è stato utile per far caso
proprio a questi momenti.
Giovanni Rubino, si caratterizza e distingue da molti altri artisti
contemporanei per la scelta di essere sempre protagonista della sua arte non solo in
quanto creatore ma anche come oggetto della stessa. Infatti in tutti i suoi filmati lo
vediamo presente e in azione e questo per trasformare un evento sociale e politico,
quindi di per sé avulso dall’arte, in un’opera di valore artistico.
81 Si veda il capitolo 4.8 Farememoria
58
I suoi lavori sono talmente tanti che è stato difficile approfondire tutti quanto
avrei voluto, cosa che spero però di riuscire a fare in futuro; ho preferito quindi
descrivere dall’inizio alla fine il suo percorso, nel modo più completo possibile. È
stato per me importante e bello conoscere Rubino e aver avuto così l’opportunità,
attraverso lui e i suoi lavori, di venire in contatto con situazioni sociali e culturali
che prima non avevo preso in considerazione.
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• GIOVANNI RUBINO, Farememoria, 2005
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• GIOVANNI RUBINO, Filmato all’Alfaromeo trent’anni dopo, 2009
• GIOVANNI RUBINO, Filmato all’INNSE, 2009