avanguardia

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SCUOLA PERCORSI OPERATIVI PER LA SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO Direttore Alessandro Cesareo Vicedirettore Mario Coda Elenco dei collaboratori Michelina Vermicelli Mario Coda Maria Chiara Canestrelli Andrea Masseroni Maria Rita Rossi Adelia Antoniolli Chiara Bussini Giovanna Petrella Lucia Monda Ivana Ercolanoni Ivana Vaccaroni Paola Faina Giovanna Scuderi Pierluigi Seri Annarita Bregliozzi Daniele Di Lorenzi Pasquale Astolfi Marisa D’Ulizia Luciana Leonelli Paola Ferri Amparo Ruiz Luján Riccardo Maria Gradassi Giuliana Aprile Maria Rita Boni Francesca Fomiatti Stampa Poligrafica Laziale - Frascati Impaginazione Roberto Accorsi (POKER PRINT COLOR srl) Supplemento alla rivista quadrimestrale “Avanguardia” Anno 19 - N. 57 - 2014 Registrata presso il Tribunale di Roma con il numero 00341/96 del 5.7.1996 m~ÖáåÉ Via G. Serafino, 8 00136 Roma Tel. 06 45468600 Fax 06 39738771 01-04 Sommario:- 20/02/15 14:11 Pagina 1

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Rivista italiana diretta da Elio Pecora.

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Page 1: Avanguardia

SCUOLA

PERCORSIOPERATIVI

PER LA SCUOLASECONDARIADI II GRADO

DirettoreAlessandro Cesareo

VicedirettoreMario Coda

Elenco dei collaboratoriMichelina VermicelliMario CodaMaria Chiara CanestrelliAndrea MasseroniMaria Rita RossiAdelia AntoniolliChiara BussiniGiovanna PetrellaLucia MondaIvana ErcolanoniIvana VaccaroniPaola FainaGiovanna ScuderiPierluigi SeriAnnarita BregliozziDaniele Di LorenziPasquale AstolfiMarisa D’UliziaLuciana LeonelliPaola FerriAmparo Ruiz LujánRiccardo Maria GradassiGiuliana AprileMaria Rita BoniFrancesca Fomiatti

StampaPoligrafica Laziale - Frascati

ImpaginazioneRoberto Accorsi (POKER PRINT COLOR srl)

Supplemento alla rivista quadrimestrale “Avanguardia”Anno 19 - N. 57 - 2014

Registrata presso il Tribunale di Romacon il numero 00341/96 del 5.7.1996

m~ÖáåÉVia G. Serafino, 800136 RomaTel. 06 45468600Fax 06 39738771

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SOMMARIO

EDITORIALE

Alessandro Cesareo Quello struggente dantismo leopardiano… 5

DIDATTICA MODULARE

Annamaria Coletti Strangi La ninna nanna della guerra di Trilussa e le ninne nanne fasciste di Cesare de Titta 14

Mario Coda Progetto “Rassegna stampa” 27

Alessandra Lami Il Grande Gatsby di Baz LuhrmannI Parte 37

Leonardo Letardi La simbologia del tempio nella via unitiva (I Parte) 79

Ivan Pozzoni Frammenti ametrici 100

A. Carone Fabiani - A.R. Celeste La grande bellezza: terza lettura 109

RECENSIONI, MOSTRE CONVEGNI

Alessandro Cesareo Angelamaria Onori Il canto della Diomedea, SED Editrice, Viterbo, 2014, pp.198 114

Alessandro Cesareo Incontro con l’autore, Sebastiano Ventresca 116

Mario Coda A Colloquio con Cetta De Luca 122

Il Direttore avverte: ora siamo anche su youtube!

Digitare www.youtube.itEffettuando dunque una breve ricerca all’interno del motore di ricercadi Youtube, digitando: “Avanguardia Alessandro Cesareo” sarà possibi-le visualizzare subito il video dell’intervista. Altrimenti, il sito da digitareè: http://www.youtube.com/watch?v=NIxWUe0XBe4

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Page 3: Avanguardia

Via Gualtiero Serafino, 8 - 00136 Roma - Tel. 06 45468600 - Fax 06 39738771E-mail: [email protected] - www.pagine.net

Le Novità

Elio Pecora (a cura di)Il cammino della Poesia

pp. 210 e 18,00

N. Maroccolo - P. Perilli (a cura di)Aspetto l’attesa e spero la speranza

pp. 124 e 15,00

Plinio PerilliGli amanti in volo (1998-2013)

pp. 166 e 16,00

Davide Gualtieri (a cura di)La Poesia Azera Contemporanea

pp. 184 e 18,00

Antonella AzzoniAmore e morte del cavaliere F. de S.

pp. 74 e 14,00

Claudio GattiNietta Scala Gatti (a c. di)

Viaggio nel cuore dell’informazione (l’ANSA)pp. 162 e 17,00

Leonello AnderliniUna vita comune o… quasi

pp. 198 e 19,00

Miriana NikolicInverno

pp. 148 e 14,00

Stefano RomitaGli Abitanti di Berderry

pp. 144 e 17,00

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5Alessandro Cesareo EDITORIALE

Quello struggente dantismo leopardiano…

Oggetto dell’Editoriale di questo nuovo numero di Avanguar-dia è la raffinata, rarefatta e toccante atmosfera poetica che,librandosi in particolar modo dal Purgatorio dantesco, arrivaa connotare alcuni tratti dell’idillio leopardiano. La preziosa e raffinata filigrana poetica tramite la quale l’in-tuizione lirica del poeta di Recanati si dipana, lungo l’ampio edocumentato percorso di maturazione concettuale ed espres-siva che conduce, prendendo inizio dalla solida impostazioneclassicheggiante delle Canzoni giovanili, fino alla struggentearmonia dei cosiddetti Grandi idilli presenta fin dall’inizio, egiova dirlo in questa fase introduttiva, delle marcate ed evi-denti connotazioni di carattere petrarchesco, le quali rendonopossibile l’individuazione e la connessa caratterizzazione di unasse lirico ed interpretativo che, stabilendo una netta e chiaraconnessione tra gli albori della nostra letteratura ed il Roman-ticismo, ci dimostra con chiarezza quanto i modelli che po-tremmo definire trecentisti abbiano coraggiosamente e tena-cemente influenzato ed improntato delle loro stesse peculiaritàquasi ogni forma di produzione lirica successiva ed abbiano di-latato la loro stessa incidenza per un arco temporale decisa-mente consistente.I Rerum vulgarium fragmenta del Petrarca rappresentano,pertanto, ed il Leopardi non ne fa mistero, la musa più con-cretamente presente nella canzone libera leopardiana, e que-sto non soltanto in virtù di quel diffuso petrarchismo segretoche, intuito e dimostrato dal De Lollis, caratterizza in manierarilevante anche il Foscolo, per arrivare fino a D’Annunzio, masoprattutto perché è lo stesso Leopardi che non si dà pensie-ro di rivisitare, ed in maniera autonoma ed originale, la ster-minata mole di luoghi poetici, descrizioni, immagini e situa-zioni rinvenibili nel Canzoniere petrarchesco, fonte d’ispira-zione e d’imitazione letteraria e stilistica.Che sia esistito, e che per certi versi possa sussistere ancora,

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una sorta di petrarchismo d’autore, frutto remoto della cano-nizzazione operata dal Bembo nel sec. XVI, è un dato di fat-to, ampiamente documentato e sul quale non è il caso di ri-tornare, così come lo studioso attento non potrà non coglie-re, scorrendo con la dovuta attenzione quel ponderoso cano-vaccio denominato Zibaldone, la smisurata copiosità dellefonti citate ed utilizzate, nonché l’evidente disinvoltura con cuiil giovanissimo poeta di Recanati rielaborava testi autori lin-guaggi e descrizioni, corredando gli abbozzi dei vari componi-menti poetici di un interessante nucleo descrittivo caratterizza-to da una sapiente mescolanza di prosimetro sincronico e pro-simetro diacronico. Un’interessante tecnica, quest’ultima, chericonduce direttamente al giovane Dante, autore della VitaNova e profondamente entusiasta dell’esperienza stilnovistaancora in fase di sviluppo.Analizzare lo Zibaldone equivarrebbe, pertanto, a scoprirvi in-teri secoli di storia letteraria e di evoluzione della lingua, in me-rito alla quale il Leopardi indica il Duecento ed il Trecentocome la sorgente vera ed inesausta della nostra lingua, ilche rende l’imitazione e la ripresa dei due nostri massimi poe-ti, nella fattispecie Dante e Petrarca, non solo doverosa, masoprattutto foriera di grandi novità e veicolo di una modalitàdel tutto innovativa d’intendere la poesia, la letteratura e glispecifici veicoli richiesti dalla comunicazione letteraria stessa,ivi comprese tutte le possibili sfumature richieste.Sulla ricchezza, sulla varietà e sull’armonica complessità delverso leopardiano, mirabilmente condotto dall’autore ad unaperfezione stilitico-espressiva che non ha eguali nella nostraletteratura, si è già scritto con evidente sovrabbondanza e perogni dove, sicchè non è il caso di ripetere quanto è stato giàdipanato o compiutamente argomentato, per cui non è il casodi riprendere il già tanto trattato tema relativo alla presenzadegli autori greci e latini, classici e non, nei versi degli Idilli,così come i fiumi d’inchiostro versati per raccontare l’evolu-zione degli stili poetici leopardiani venutisi a creare tra l’inizio

6EDITORIALE Alessandro Cesareo

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e la fine della produzione lirica del poeta recanatese non con-sentono di riprendere, in questa specifica sede, dei temi e de-gli argomenti in merito ai quali è stato detto, in concreto, tut-to quanto era possibile dire o intuire.Non si può infatti fare a meno di affrontare un aspetto non mol-to noto dell’ispirazione poetica leopardiana colta nella sua va-riegata complessità, ovvero la ripresa e l’imitazione, il più dellevolte frutto di un’ardita rivisitazione e di una rilettura in senso li-rico di alcuni luoghi della Divina Commedia, del padre Dante.In un contesto poetico che abbiamo testé definito diffusamen-te e compiutamente petrarchesco, il vocabolo dantismo, me-glio ancora l’espressione dantismo leopardiano, sembrano ri-suonare come delle note poco consone ad un impianto che,ponendo al centro l’esperienza interiore, letteraria e poetica,ben poco pareva avere a che fare con il possente impianto fi-losofico-teologico del viaggio ultraterreno cantato da Dante emoltissimo, invece, con l’esperienza di profondo discidium ed’insopprimibile languore malinconico che connota per unalunga serie di motivi il Canzoniere petrarchesco.Quanto qui detto si può dunque riassumere in un’unica, es-senziale domanda: come mai Leopardi, che aveva scorto edindividuato nel magistero di profondo rinnovamento formaleposto in essere dal Petrarca, non disdegna poi di riprendereimmagini, espressioni, situazioni e luoghi danteschi, tanto daestendere la ripresa del Poeta ben oltre i risvolti di un tirociniogiovanile, di cui pure sussistono significativi riscontri, per poiarrivare fino alla maturità espressiva che connota, ad es., il Ci-clo di Aspasia?I riferimenti testuali dei quali disponiamo, non molti in realtà, so-prattutto se quantitativamente messi a confronto con la stermi-nata mole di richiami petrarcheschi rinvenibili nei Canti, costi-tuiscono un interessante itinerario letterario e poetico che ac-compagna il Leopardi dall’adolescenza fino alla conclusione del-la parabola della sua esistenza terrena. In altre parole, ecco cheDante, lungi dall’essere per il poeta di Recanati un semplice in-

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teresse giovanile, costituisce un punto di riferimento per alcunescelte espressive che finiscono per connotare in maniera tutt’al-tro che irrilevante alcuni esiti della lirica leopardiana.A dir poco prezioso si rivela quanto fatto, in questo senso, daGiuseppe e Domenico De Robertis, cui spetta tutto il merito diavere individuato ed evidenziato quest’importante aspetto dellapoesia leopardiana, cui compete ora una visione d’insieme chemiri a fare il punto della situazione e che, nel contempo, provia suggerire delle ulteriori chiavi d’interpretazione.Se, infatti, sulla scorta di quanto dimostrato dal Binni, va rico-nosciuto al Leopardi il coraggio di una scelta che, al di là deiluoghi comuni e forse un tantino abusati, lo colloca ben oltreil solco tradizionale del poeta pessimista per così dire in trefasi, ecco che la dovuta attenzione per le scelte da lui consa-pevolmente e coerentemente operate in favore di una ripresadi Dante contribuiscono a svelare un ulteriore e senza dubbiointeressante aspetto di un uomo decisamente poliedrico, ver-satile e, in particolare, cultore di una serie d’interessi e di mo-dalità d’intendere la poetica e la poesia che possono in so-stanza sfuggire a quello che sarebbe un approccio tradiziona-le e normale con il poeta e con le sue opere, visto che tuttociò richiede un’attenzione particolare per il verso e, inoltre,per una scrupolosa analisi filologica dello stesso. È dunque importante tentare di stabilire se – ed in quale mi-sura - la ripresa di versi, vocaboli ed espressioni mutuati daDante corrisponda ad una o più fasi poetiche di evoluzione dellinguaggio leopardiano o se, invece, non afferisca ad una scel-ta più maturata e profonda, per tramite della quale il Leopar-di avrebbe individuato, nella Commedia ed in particolare nel-la seconda cantica, un ambito linguistico-espressivo particolar-mente degno d’interesse e di nota. L’analisi dei riferimenti a nostra disposizione, senza dubbionon rilevanti dal punto di vista quantitativo, dimostra tuttaviauna successione degna di nota, grazie alla quale è possibile in-dividuare una presenza costante di luoghi danteschi nei versi

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leopardiani. Essa accompagna l’evoluzione del gusto e dellostile del Leopardi e, quel che più conta, non costituisce unamera simpatia giovanile di un poeta appassionato di erudizio-ne e di classicità, ma finisce per costituire un tratto salienteche sopravvive alle varie tappe di maturazione della poeticaleopardiana che, nel farsi via via più “eroica” continua nel frat-tempo ad acquisire i tratti maturi di una scelta lirica di altissi-mo livello.Possiamo in sostanza convenire sul fatto che il Leopardi abbiaeffettivamente realizzato e completato, nel corso dell’elabora-zione del tessuto poetico che, sviluppandosi dall’edizione che,nel 1824, vide apparire le prime Canzoni, per poi arrivare,passando per l’edizione fiorentina del 1831, all’edizione Sta-rita del 1835, una continua, incessante azione di labor limaeche, muovendo da una sterminata massa di citazioni, riferi-menti, riprese testuali e processi imitativi di elevata qualità, loavrebbe ben presto condotto alla più maturata, elevata e raffi-nata espressione della canzone libera leopardiana.A riprova di ciò, il fatto che alcuni autori, assai presenti nellaprima ed assai importante fase della produzione poetica leo-pardiana, finiscano poi quasi per scomparire, o ricompaianosotto mutate forme, proprio perché nel frattempo il processodi maturazione linguistica e di rarefazione espressiva portatiavanti dal poeta erano approdati a degli esiti senza dubbio su-periori, nel senso della qualità, a quanto era stato preventiva-to o previsto dallo stesso.Tutto questo non vale per il Petrarca, la cui dolce fluidità e lacui intensa liricità sopravvivono, in tutto e per tutto, anche nel-le liriche che più delle altre esprimono il senso di una comple-ta e consapevolmente raggiunta maturità espressiva e stilistica.Se, dunque, anche Dante fosse stato, per il Leopardi stesso,un poeta cui guardare solo in gioventù, così come verrebbe dapensare nel leggere la Cantica in tre canti scritta dall’adole-scente Leopardi ed icasticamente contrassegnata dal più cheemblematico titolo In appressamento della morte, come giu-

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stificarne allora la presenza in quel così significativo idillio daltitolo Il passero solitario, in merito alla cui datazione non è disicuro da escludere l’importante ipotesi di una vera e propriacontraffazione d’autore? Già molto è stato scritto in merito aciò e non è il caso di riprendere qui la questione, ma certo èche sarà difficile negare il così evidente legame sussistente tralo struggente intenerisce ‘l core del verso….e la toccante ter-zina d’incipit del canto VIII del Purgatorio dantesco, laddoveleggiamo:

Era già l’ora che volge ‘l desioa’ navicanti e intenerisce ‘l corelo dì c’han detto a ‘dolci amici addio

né si può pensare, a mò di confutazione della tesi iniziale, chetale luogo dantesco costituisca l’espressione di un’imitazionetutta giovanile, vista la particolare portata e dato il rilevante si-gnificato, tanto stilistico che, per così dire, programmatico,che va riconosciuto al Passero Solitario.Un po’ più avanti, l’immagine ed il tema della squilla, nota-zione sonora altamente indefinita e fonte di struggente inde-terminatezza, presente in varie descrizioni leopardiane, comein effetti richiama il prosieguo del canto dantesco in oggetto,in cui leggiamo:

e che lo novo peregrin d’amore pungese ode squilla di lontano che paia pianger il giorno che si more

difficile negare, anche a questo punto, che l’armonia di questiversi non abbia costituito un importante punto di riferimentoper l’ispirazione leopardiana. Vero è che l’immagine poeticadel passero solitario è di ascendenza biblica, così come dimo-stra il salmo 101, in cui leggiamo vigilavi, et factus sum sicutpasser solitarius in tecto, così come lo stesso tema è in Pao-lino da Nola….., per poi riapparire in Petrarca ed in un so-

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netto del Bembo, ma è proprio questa copiosa dovizia di rife-rimenti letterari e poetici a rendere più significativa e mag-giormente incisiva la ripresa dantesca, come a voler ribadirel’importanza di rendere quest’immagine poetica così ricorren-te mutuando il linguaggio del Purgatorio e non quello del Pe-trarca. Una sorta di commixtio stilistica, dunque, che vede Petrar-ca presente per quanto riguarda la scelta del tema e Dante,invece, per ciò che compete all’utilizzo dello stile, tra l’altroderivante da un canto che, come l’ottavo del Purgatorio, svi-luppa il tema della nostalgia dell’esule e lo fa con accenti me-sti e pacati, rivisitati all’interno di un contesto elegiaco, ov-vero uno di quei tratti cui Leopardi guarderà con particolareattenzione per elaborare le linee portanti di quella che non atorto potremmo definire la poetica dell’indefinito e delvago.In altre parole, la presenza di Dante e la ripresa di un cantodel Purgatorio accompagnano Leopardi in quest’importantescelta di carattere evocativo e poetico, al cui interno vengonoad essere del tutto smorzati i toni aspri, le note troppo dolo-rose, onde rendere la descrizione frutto di una vera e propriamoralità naturale e, nel contempo, radicare con saggezza econ grande senso dell’equilibrio una linea poetica così impor-tante all’interno del solco di una tradizione inveterata ed am-piamente consolidata nel corso dei secoli.Ma andiamo all’incipit di un altro, importante idillio leopar-diano, che appartiene a pieno titolo ai cosiddetti grandi idilli.La certezza in merito alla datazione ed all’ambientazione dellostesso, infatti, non lasciano dubbi in merito, per cui abbiamodavanti una situazione diversa rispetto a quella che caratteriz-za il Passero Solitario.

Vaghe stelle dell’Oras,io non credea di tornar ancor per uso a contemplarvi sulpaterno giardino scintillanti…

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Al lettore attento non sarà sfuggito che trattasi delle Ricor-danze, testo assai importante tanto per la definizione del va-lore e del significato della poetica dell’indefinito e del vagoquanto per avanzare nella conoscenza delle scelte formali ope-rate dal Leopardi, con particolare riferimento al legame con iluoghi ed alle trame della memoria, e via discorrendo. L’aggettivo vago, giova ricordarlo, è anch’esso di ascendenzadantesca e ricorda il passo:

allor all’anima che pareva più vaga di saper drizzami io….

e scandisce il tono ed il contesto di un dialogo tutto interioredel poeta con le vaghe stelle, così come, qualche anno prima,rivolgendosi ad una fedele confidente quale può essere laLuna, il Leopardi scriveva:

O graziosa luna, io mi rammentoche, or volge l’anno,sovra questo colle io veniapien d’angoscia rimirarti….

Facendo ricorso anche in questo, specifico caso, ad un celebrepasso dantesco, ovvero quello in cui Francesca da Rimini, ri-volgendosi a Dante, lo definisce animal grazioso e benigno egli dimostra subito affetto e stima per essere lì, nell’aere perso,a fare visita a chi ha tinto il mondo di sangue, Leopardi con-ferma un’attenzione specifica per alcuni tratti della poetica dan-tesca ma, soprattutto, per quei risvolti di carattere espressivo alui più consoni e meglio conciliabili con quell’atmosfera vaga,indefinita e non troppo caratterizzata di cui egli ama rivestire iluoghi descritti negli Idilli, piccoli o grandi che siano, riuscen-do così a stemperare la crudezza della sofferenza provata e, nelcontempo, anche a mitigare la crudezza del dolore nei cui con-fini si consuma la sua esistenza, intra una gente zotica, vil.Difficile ammettere, arrivati a questo punto della nostra rifles-sione, che riprendere Dante costituisca, per il poeta di Reca-

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nati, un mero gioco retorico o un’ulteriore, evidente prova del-le sua più che raffinate abilità espressive, molte delle quali frut-to di un plurilinguismo ben organizzato e, soprattutto, di com-ponenti difficilmente separabili, visto che il processo di sintesie di armonizzazione tra le stesse aveva nel frattempo raggiun-to livelli d’incredibile perfezione e completezza.Se, dunque, Dante offre al Leopardi non solo un linguaggio poe-tico adatto all’elaborazione della poetica dell’indefinito e delvago, ma gli consente anche di ritagliare immagini di grande ef-fetto lirico e descrittivo, che si è detto essere diffuse un po’ in tut-te le fasi della produzione poetica leopardiana, come negare chela presenza di questi luoghi e di questi accenti danteschi costitui-sca una scelta consapevole e ben maturata da parte del poeta diRecanati e non soltanto, come si potrebbe invece ritenere ad unalettura più immediata e forse superficiale, un esercizio di retoricae d’imitazione letteraria che collocherebbe le riprese danteschesullo stesso piano di tutti gli altri autori che Leopardi conoscevaper aver studiato in maniera più che approfondita e dei qualiamò servirsi di tanto in tanto, ma con maggiore e più evidentedovizia negli anni giovanili e, quindi, nella fase dell’erudizione,come dimostrano appunto le Canzoni?La scelta di legare alla ripresa del linguaggio e delle immaginidantesche alcune, particolari situazioni ed espressioni di uncammino poetico complesso e lungimirante potrebbe infatticostituire l’effettiva prova che dall’autore della CommediaLeopardi non mutuò soltanto immagini frammentarie e spo-radiche, ma un vero e proprio approccio di carattere poeticoe stilistico, salvo poi trovare nell’innegabile rinnovamento for-male operato dal Petrarca una musa sempre valida, tale daguardare alla stessa come ad un riferimento costante, da in-trecciare, appunto, anche se in maniera non continuativa e si-stematica, con le suggestioni effettivamente e concretamentederivategli dalla lettura e rilettura della Commedia.

Il DirettoreAlessandro Cesareo

13Alessandro Cesareo EDITORIALE

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14LA NINNA NANNA DELLA GUERRA… Annamaria Coletti Strangi

La ninna-nanna della guerra di Trilussa e La ninna nanne fasciste di Cesare de Titta

L’argomento di questo breve saggio riguarda due canti di culla, il pri-mo del 1912, del grande poeta favolista e satirico, romano, Trilussa1,La ninna nanna de la guerra e l’altro del 1930, La ninna nannefasciste di Cesare de Titta, squisito poeta dell’anima abruzzese.Prima della riproduzione delle stesse, sembra utile una veloce pano-ramica sull’argomento2.Il termine “ninna nanna” (formula reduplicativa, in quanto, le due pa-role, nel linguaggio infantile, significano “sonno”), indica un cantoper addormentare il bambino, dalla struttura ritmica molto semplice,piuttosto libera, in adesione al verso, generalmente eterometrico.Spesso soliloquiale, spesso a bocca chiusa o con ripetizione di non-sense, come già la formula, detta carmen nel mondo romano, poi-ché proferita in forma ritmata, modellata su parole del tutto indipen-denti dal valore logico che si attribuisce loro nel discorso corrente equindi spesso incomprensibili, ha un andamento ritmico determinatodal movimento ondulatorio impresso alla culla o al bimbo tenuto trale braccia.Il riferimento più antico è in Platone3 che scrisse: “Quando le ma-dri vogliono addormentare i loro bambini che non prendono son-no facilmente, non li tengono fermi ma, al contrario, li muovono,cullandoli continuamente tra le braccia, e non restano silenziose,ma cantano loro qualche nenia e li ammaliano, così come vengonoguariti coloro che sono privi di senno per i furori bacchici, ricor-rendo, oltre che al movimento, anche alla danza e alla musica”. Trai canti di culla del mondo classico, tra gli altri, tenero quello da Teo-crito4, che Alcmena canta ai suoi gemelli Ercole e Ifile, suggestivele 12 neniae del Pontano5 dedicate al figlioletto Luciolus e com-moventi i versi del grande Pascoli latino6, che dà voce alla dispera-zione della schiava Thallusa, cui è stato strappato il figlioletto lat-tante: lalla lalla,lalla...Poiché le ninne nanne fanno parte delle culture di tutti i tempi erealtà, non si può negare che, accanto al raffinato e colto mondo dei

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15Annamaria Coletti Strangi LA NINNA NANNA DELLA GUERRA…

grandi poeti, che scrissero pregevoli ninne nanne, vi fossero, nel-l’ambiente, coevo e arretrato di pescatori, contadini, artigiani, ope-rai, dove era totale l’analfabetismo, esigenze artistiche e intellettuali,pur se in forme elementari. Infatti, la ninna nanna era uno degli stru-menti più efficaci che la cultura popolare avesse, come comunità enel privato, per relazionarsi alle nuove generazioni: i bambini, per co-municare e tramandare valori e regole della cultura popolare di ap-partenenza. Si può interpretarla come un testo poetico popolare cheesprime simbolicamente un universale umano, che diventa poi speci-fico di culture e comunità diverse ed, essendo creazione e patrimoniocollettivo, viene ad assumere di per sé una portata sociale e univer-sale indipendente dal valore creativo7. La comunicazione orale, nella cultura tradizionale, si esplica, oltreche nelle ninne nanne8, ugualmente nelle filastrocche, nelle saltarel-le, negli indovinelli, che hanno un compito educativo e rappresenta-no il primo approccio dei bambini con la melodia, le parole, i ritmitradizionali. La loro struttura e poetica musicale, come anche il lin-guaggio, sono scarni, essenziali, a volte rozzi: rime, allitterazioni, as-sonanze, simmetrie, figure etimologiche, con la loro cadenza mono-tona, aiutano oltre il sonno anche l’apprendimento. In particolare, laninna nanna, nella reiterazione-ritmico-melodica di parole apparen-temente o meno prive di senso, produce rilassamento e, col suo ef-fetto ipnotico, regolarizza il battito cardiaco e il ritmo del respiro, di-stende la muscolatura del bambino, facendolo rilassare e scivolare nelsonno ristoratore, in un attimo ricco di dolcezza e quasi magico. Questo, in particolare, nelle nenie, lì dove era giustificato dalle ripe-tizioni dei ritornelli, quasi a voler creare una malìa con la reiterazio-ne ossessiva di parole, anche senza senso o ritornelli, nella speranzache la divinità si piegasse alle preghiere, indotta e convinta dalle con-tinue anafore. Ernesto De Martino9, riguardo al tema più propria-mente magico delle ninne nanne, che risale a un livello primitivo diciviltà ricco di elementi arcaici, ricorda che, per esorcizzare il Mali-gno, sempre in agguato nel sonno, luogo di pericoli incontrollabili,l’unico antidoto era rifugiarsi in atteggiamenti magico-religiosi. Per ibimbi era invocata la protezione dei Santi, della Madonna, degli An-geli, costretti a convivere con zone d’ombra del Sacro, col suo voltooscuro: credenze divinatorie, tabù, scongiuri….Con l’avvento del Cristianesimo, infatti, alla figura del Sonno, perso-

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16LA NINNA NANNA DELLA GUERRA… Annamaria Coletti Strangi

nificato nel mondo pagano (cfr. G. Pontano, “Ninna nanna, per in-durre al sonno” “Grazioso bimbo, bimbo dolce come il miele, uniconato, dormi, chiudi, o tenerello, gli occhi, serra, o tenerello, le pal-pebre. / Il Sonno in persona: ‹Non serri, - dice - non chiudi gli oc-chietti?›), si aggiunge una presenza ultraterrena, divina, che veglia eprotegge il bimbo dal Maligno e dal male. A tal proposito si può citare la “preghiera a Gesù” nella deliziosaquanto nota Ninna Nanna10 di Johannes Brahms: “Buona sera,buona notte / adorno di rose, / cosparso di garofani, infìlati sottola coperta: / domani mattina, se Dio vuole, / ti risveglierai. / Buo-na sera, buona notte, / custodito dagli angioletti11 / che ti mostra-no in sogno / l’albero di Natale: / ora dormi beatamente e dolce-mente, contempla / in sogno il Paradiso”. L’accenno a Dio, agli an-geli, al Paradiso, contribuisce a creare un’atmosfera di serenità e pa-ce e di abbandono al sonno, spesso accompagnata, come già accen-nato, all’ondeggiamento nelle braccia, che procura grande benesse-re. Rosetta Durante12 evidenzia che l’oscillazione e il dondolìo che ac-compagnano le parole, esprimono un bisogno biologico sia riguardoal canto sia alle proprie pulsioni sessuali. Tale movimento si può ma-nifestare anche come espressione d’angoscia e grande tensione, co-me bisogno dell’individuo di rifugiarsi in una dimensione infantile, incui si evidenzia la necessità di essere protetti e cullati13. L’amore, lasollecitudine, l’affetto, a volte il dolore e le frustrazioni materne14, so-no gli stessi, in ogni tempo e latitudine.Tre erano, generalmente, i momenti salienti, comuni sia ai canti diculla aulici, che rurali15: 1)“l’approccio”, in cui si celebrano le qualitàdel lattante, in particolare la bellezza, e in cui ci si sofferma sull’amoreprovato su di lui; 2)“l’incantamento”, ovvero, il momento dell’incan-tesimo, in cui, come nel passato, il sonno viene personificato e chia-mato affinché intervenga e plachi il piccino, e viene riconfermato l’af-fetto materno; 3)“il commiato”, quando il bimbo, ormai addormen-tato viene adagiato nella culla, e affidato alla divinità perché lo veglidurante il sonno.Se la preghiera, appunto, alla Madonna, a Dio, agli Angeli, ai Santi,tra cui S. Anna, San Nicola16 etc. serviva a protezione e aiuto, la mi-naccia di chiamare il Gatto Mammone17, il Paputo, o Mazzamuriel-lo18, o Farfarello19 o l’Uomo nero20, etc., era, ed è, una consuetudineper convincere i bimbi recalcitranti, al sonno21.

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E ora, si riportano, nel testo, indipendentemente dal colore politico-sociale che le anima, e senza entrare nel merito, due interessanti edefficaci ninne nanne, in dialetto, la prima di Trilussa che, grazie al va-lore universale del canto di culla, diventa denuncia sociale, contro leingiustizie e gli orrori della guerra, la seconda, di Cesare de Titta, an-ch’essa a marcato sfondo politico, che sfocia nella preghiera e spe-ranza di un mondo migliore.

La ninna-nana de la guerra (1914)22:Ninna nanna, nanna ninna,er pupetto vò la zinna:dormi, dormi, cocco bello,sennò chiamo Farfarello23

Farfarello e Gujermone24

che se mette a pecorone,Gujermone e Ceccopeppe25

che se regge co le zeppe,co le zeppe d’un imperomezzo giallo e mezzo nero.

Ninna nanna, pija sonnoché se dormi nun vedraitante infamie e tanti guaiche succedeno ner monnofra le spade e li fucilide li popoli civili…

Ninna nanna, tu nun sentili sospiri e li lamentide la gente che se scannaper un matto che commanna;che se scanna e che s’ammazzaa vantaggio de la razza…o a vantaggio d’una fedeper un Dio che nun se vede,ma che serve da riparoar Sovrano macellaro26.

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Ché quer covo d’assassiniche c’insanguina la terrasa benone che la guerraè un gran giro de quatriniche prepara le risorsepe’ li ladri de le Borse.

Fa’ la nanna, cocco bello,finché dura ’sto macello:fa’ la ninna, ché domanirivedremo li sovraniche se scambieno la stimaboni amichi come prima.So’ cuggini e fra parenti27

nun se fanno comprimenti:torneranno più cordialili rapporti personali.

E riuniti fra de lorosenza l’ombra d’un rimorso,ce faranno un ber discorsosu la Pace e sur Lavorope’ quer popolo cojonerisparmiato dar cannone!

(ottobre 1914)

In questa composizione Trilussa, all’inizio della prima guerra mon-diale, si distacca dal consueto stile ironico e bonario per giungere fi-no a una vera e propria denuncia-invettiva. Questa ninna nanna eb-be un successo immediato e diventò una canzone, popolare soprat-tutto a Torino. Il testo fu pubblicato dai giornali socialisti piemontesidurante la guerra e fu poi ripreso da L’Ordine Nuovo di AntonioGramsci (1921), e arricchito da una nota di Palmiro Togliatti28 che neconfermava l’ampia diffusione.Canzone pacifista, fu raccolta sul campo tre volte e ricordata dai to-rinesi come canto dei soldati che partivano per la prima guerra mon-diale sulle tradotte o che erano già in trincea, sulla musica di una

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vecchia canzone dialettale, sempre piemontese, dal titolo “Fera-miù”, ovvero “robivecchi, rottamaio ambulante”29. La popolaritàche raggiunse si evince anche dai tanti versi apocrifi aggiunti e dal-le varie versioni cantate, raccolte in una grafia dialettale lontana daquella dell’Autore, con refusi come “coro” per “covo”, “profitto”per “vantaggio” “un giro de quattrini” per “un gran giro de quattri-ni”, non si sa se conseguenza di refusi tipografici o imprecisioni damemoria orale (ib.).Il canto di culla diventa pretesto, occasione di denuncia. La vera nin-na nanna riguarda solo alcuni versi, tra cui, logicamente, l’incipit. Neiprimi quattro il canto evidenzia la fame di latte del piccolo, oltre allaminaccia di chiamare un demone per chetarlo, tutti aspetti consuetidel canto di culla. Ancora altre, nel corso della poesia, sono le esor-tazioni a prender sonno per non ascoltare e vedere orrori e ingiustizieche sono, come già accennato, il tema centrale della nenia: Ninnananna, nanna ninna /er pupetto vò la zinna /…/ dormi, dormi, coc-co bello, / sennò chiamo Farfarello /…/ Ninna nanna, pija sonno /chè, se dormi nun vedrai /…/ Ninna nanna, tu non senti / …/ Fa lananna, cocco bello / finché dura sto macello / Fa la ninna …“Sonno”, quindi, come oblio, come conforto, come già aveva evi-denziato, secoli e secoli prima, Dante Alighieri30, in cui la funzionedella ninna nanna è consolatoria, legata al periodo felice dell’infan-zia, quando si dovrebbe essere lontani dalle crudeltà della vita, e ildormire dovrebbe offrire tregua e silenzio al dolore e all’ineluttabilitàdella sorte. Qui, nel dolore e nella disperazione di tanto scempio etante infamie, alla mercé d’imperatori e tiranni, imparentati tra di lo-ro, tesi ai propri interessi, tra infamie e violenze, a vantaggio di “unarazza”, il poeta vacilla, anche nella Fede. Non c’è, infatti, la sua luce,ma un “Dio che nun se vede”, che sarà pure presente, ma al mo-mento è nascosto e sordo. Dolorosissimi questi versi in cui domina il bieco interesse, e la guer-ra diventa solo un “business”, in un mondo atroce, in cui ci si senteabbandonati addirittura dal conforto divino. Protagonisti grandi im-peratori, tra cui Guglielmo II di Prussia e Germania, Francesco Giu-seppe I d’Austria, per la cui follia il popolo si scanna, persino a van-taggio di un Dio che serve da scudo e riparo a sovrani sanguinari, avantaggio delle Borse, che lucrano sulle guerre, mentre loro, prota-gonisti dei destini altrui e strettamente imparentati, senza alcun ri-

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morso, torneranno alla consueta armonia, ai soliti discorsi sulla pacee sul lavoro, dopo che tanto sangue del popolo “cojone” sia statoversato così copiosamente e ingiustamente.Nello stesso periodo, fu divulgata, contro gli orrori del primo conflit-to bellico, un tenero canto di culla, in cui si evince l’orrore per le atro-cità della guerra e lo straziante “non ritorno” dei “fanti”, semplici sol-dati, ma figli, cresciuti, amati e allevati da madri sollecite e tenere,pur senza volto e identità. Domina un dolore senza fine che com-muove e fa riflettere, in cui non c’è neanche un grido di sdegno, mal’accettazione, rassegnata, dell’ineluttabile destino di sangue e morte,con la giustificazione: “così va il mondo”. Tale famosa “Ninna nan-na delle 12 mamme”31 viene riportata in nota.Luce e pace, dominano, invece, in questa seconda nenia, splendidanella prima sestina, di Cesare de Titta (S. Eusanio del Sangro 1862-1933).

“Ninna nanne”“Fa scì la lune e ’ffa cuprì lu sole,famm’addurmì, Madonne, stu fijole;falle mette ‘nghe ‘llangele ‘n gamminepe’ ‘lluorte de lu ciele e lu ciardine.Bella Madonne, po’ gna l’arresvije,fajje ride dù stelle tra li cije.

Nu vèle d’ore se spanne,è tutte fiure lu monne…Ninna nanne!Pace e sonne!

Di questa poesia, eseguita in musica e canto, a Teramo il 21 marzodel 2003, dalla Corale Giuseppe Verdi, sempre di Teramo, diretta dalMaestro Ennio Vetuschi, con musiche di Camillo De Nardis, di cuiesiste un filmato in rete, nonostante una assai lunga ricerca, non si ètrovata traccia nelle opere edite del poeta. Si è scoperto poi, graziealla disponibilità dei suoi eredi nonchè proprietari del suo fondo (inparticolare della gentile signora Mirella Verratti, pronipote del poeta)e della curatrice dello stesso, prof.ssa Adelia Mancini, che essa è pre-sente nel carteggio e che, dalla stessa studiosa, è stata collocata nel

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21Annamaria Coletti Strangi LA NINNA NANNA DELLA GUERRA…

faldone Miscellanea, insieme con altri testi, sia editi, sia inediti32. Èdi tre sestine con altrettanti ritornelli, in tre fogli, da mano del copi-sta, mentre la traduzione in italiano è autografa del de Titta, con de-dica a “Sua Eccellenza Balbino Giuliano, Ministro della EducazioneNazionale”, con il titolo La ninna nanna fasciste. Non si può esclu-dere, peraltro, che, per questo motivo l’originale, mancante, possaessere stato inviato a un giornale locale, di cui non si ha traccia, e suquesto stampato in forma ridotta, e divulgato emendato delle due se-stine della propaganda fascista. È stata concessa, dalla curatrice delfondo, l’autorizzazione alla pubblicazione della poesia, eccola qui, al-la luce, in toto, dopo quasi un secolo dalla sua composizione:

La ninna nanne fasciste

Fa scì la lune e ’ffa cuprì lu sole,famm’addurmì, Madonne, stu fijole;falle mette ‘nghe ‘llangele ‘n gamminepe’ ‘lluorte de lu ciele e lu ciardine.Bella Madonne, po’ gna l’arresvije,fajje ride dù stelle tra li cije.

Nu vèle d’ore se spanne,è tutte fiure lu monne…Ninna nanne!Pace e sonne!

Je so’ ppese, Madonne, na crucetteNche la fettuccia triculore ‘n pette:è lu pupe cchiiù ccare de la villenche lu camiciuttélle de bbalille33.Fammele crésce fijje de valore,fàmmele diventà medaglia d’ore.

Nu vèle d’ore se spanne,è tutte fiure lu monne…Ninna nanne!Pace e sonne!

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Vulésse fa n’armate tutte fijjegna fece a Brom’antiche na famijje.Lu pétte de la mamme è larghe e ppronte,lu pette de la mamme è gna la fonte:cchiù ffijje allatte e cchiù nen se consume,lu pétte de la mamme è gna lu fiume.

Nu vèle d’ore se spanne,è tutte fiure lu monne…Ninna nanne!Pace e sonne!

Traduzione italiana autografa dell’Autore34:

Fa’ uscir la luna e fa’ coprire il sole,fa’ addormentar, Madonna, il mio figliolo:fallo metter cogli angeli in camminosu per gli orti del cielo e pei giardini.Quando lo svegli, poi, Madonna bella,fagli negli occhi ridere due stelle.

Un velo d’oro si spandee tutto fiori è il mondo…Ninna-nanna!Pace e sonno!

Appesa, gli ho, Madonna, una crocettaCon il nastrino tricolore al petto:è il pupetto più caro della villacon il camiciottino di balilla.Fammelo crescer figlio di valore,fammelo diventar medaglia d’oro.

Un velo d’oro si spandee tutto fiori è il mondo…Ninna-nanna!Pace e sonno!

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Vorrei far un’armata tutta figliCome fè a Roma antica una famiglia.Il seno della mamma è largo e pronto,è della mamma il sen come la fonte.Più figli allatta e più non si consuma,il seno della mamma è come il fiume.

Un velo d’oro si spandee tutto fiori è il mondo…Ninna-nanna!Pace e sonno!

Nella prima sestina, dolcissima è la ninna nanna, ricca di echi classicie di fede cristiana, in una natura incantata, protetta dalla Madre diDio. Il poeta invoca la luna perché sorga, e il sole perché tramonti,quindi, affinché faccia addormentare il bimbo e lo faccia accompa-gnare da un angelo negli orti e nei giardini del cielo, si rivolge alla Ma-donna, che possa fargli brillare due stelle sulle sue ciglia al momentodel risveglio, mentre un velo d’oro ricopre tutto il mondo pieno di fio-ri su cui l’artista si augura possano scendere la pace e il sonno. Il destarsi poteva essere una circostanza particolarmente delicata edifficile, non solo per la mortalità infantile, sempre altissima nel cor-so dei secoli, non solo per le consuete minacce, malattie, guerre etc.,ma anche perché il sonno era concepito come luogo di pericoli in-contenibili35. Se Alcmena, in Teocrito,36 dice: “«Miei piccoli figli, dor-mite un dolce sonno fino al risveglio, dormite anima mia, voi due,piccoli fratelli siete al sicuro, dolci figli. Beatamente possiate riposa-re, e beatamente vi sia concesso di giungere all’Aurora». Così dicen-do, scosse il grande scudo, e il sonno li catturò”, è perché si affida alcaso, augurando ai figli un sonno ristoratore fino al risveglio, il de Tit-ta, più di duemila anni dopo, si rifugia in rassicuranti atteggiamentireligiosi, raccomandandosi alla Madonna “Bella Madonne, po’ gnal’arresvijglie”, “Bella Madonna quando lo fai svegliare…” che sa divelata preghiera oltre che di rassicurazione (con, appena adombrato,il timore inconscio di perdita).Nella seconda sestina, di propaganda fascista insieme alla terza, ilpoeta si rivolge ancora alla Madonna, comunicandole che ha appesosul petto del suo piccino, il più caro della città, sul suo camiciottino

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da balilla, una croce con una fettuccia tricolore, raccomandandoglie-lo affinché lo faccia crescere figlio di valore, medaglia d’oro. Infine,nella terza, formula l’augurio di far venire su un’armata di figli, valo-rosi come quelli che resero grande Roma antica. Segue il riferimen-to al seno materno, da cui sgorga, come un fiume, latte in abbon-danza, inesauribile come una fonte. Tutt’intorno si spande un velod’oro insieme a una moltitudine di fiori che fanno da contorno al son-no del bimbo, la pace così si accompagna al sonno e il sonno alla pa-ce, che si dilata, dalla culla, fino a diventare Pace Universale.

Annamaria Coletti Strangi (Università degli Studi dell’Aquila)

NOTE

1 Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, dall’anagramma del suo cognome, creerà lo pseudonimo“Trilussa”.

2 È in corso di stampa un saggio dell’Autrice dal titolo “Lalla, lalla, lalla, aut dormi aut lacte: can-ti di culla da Teocrito a D’Annunzio”, che, partendo dal mondo classico, accompagna, attraverso isecoli, la storia delle ninne nanne. Alcuni passi, di quanto qui esposto, sono ripresi dallo stesso.

3 Leggi, VII,790E.; Platon, Les lois, Les Belles Lettres, Paris 1956, VII, pp.14-15. 4 Teocrito, Idilli e Epigrammi, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1993.Cfr. il XXIV idillio, vv.1-

17, riportati a p. 11 del saggio.5 G. Pontano, Carmina, De amore coniugali, Neniae, XII (a cura di Giuseppe Vitali), Venetia 1498

(cfr. Andrea Gustarelli, Milano 1934).6 Adolfo Gandiglio, La ninna nanna di “Thallusa”, in «Studi Pascoliani», Zanichelli Bologna 1927,

p. 41ss.7 Cfr. Anna Maria Disanto, Irene Petruccelli, Attualità delle Ninne Nanne, in «Quale psicologia»,

n. 14. Giugno 2005, p. 12.8 In Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della lingua italiana, Unione Tipografico-editrice Tori-

nese, 20° tomo, 2000, s.v. ninna nanna, si legge: “Voce detta delle balie, quando, nel ninnare ocullare i bambini, vogliono fargli addormentare, dicendo ninna nanna”.

9 Il “cantare il sonno” converge con l’incantarlo o scongiurarlo, affidandosi alla forza della formula discongiuro, all’uso di amuleti magici, alla magia delle parole della nenia; se gli antropologi hanno ac-costato le ninne nanne alle lamentazioni funebri delle prefiche, è anche perché sono accomunateda quella struttura magico rituale che accompagna le tappe significative della vita, come la nascitae la morte (Cfr. Ernesto De Martino, Sud e Magia, Feltrinelli, Milano, 1966; e Rosetta Durante, Ladonna nel canto popolare. La ninna nanna, Ed. Scientifica, Napoli 2002).

10 Dall’Op. 49, di Brahms, la lieder n. 4, “Wiegenlied”, nella traduzione di Francesco Bussi, Tutti iLieder di Johannes Brahms per voce e pianoforte, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2007, p. 65.

11 Sono spesso, infatti, gli Angeli a vegliare il sonno degli innocenti. Importante è la dimensione “do-mestica” dell’angelo custode ossia la sua attitudine a occuparsi dei problemi di tutti i giorni, relativialla vita dell’uomo, accanto all’attività di essere custodi, messaggeri e difensori del mondo dalla mal-vagità dei demoni. Salmo 90 (91),11:“Egli darà ordine ai suoi angeli / di custodirti in tutti i tuoi pas-si”. Cfr. Marco Bussagli, Angeli. Origini, storie e immagini delle creature celesti, Mondadori, Mi-lano 2006, p. 330.

12 Rosetta Durante, La donna nel canto popolare. La ninna nanna, Ed. Scientifica, Napoli 2002,p. 23.

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13 L’idea di benessere procurata dal dondolio contribuisce anche “all’inibizione della sofferenza per ibambini autistici”, cfr. Gaetano Persico, La ninna nanna. Dall’abbraccio materno alla psicofisio-logia delle relazioni umane, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2002, pp. 40-42: “L’auto don-dolarsi, nei momenti di sofferenza è un comportamento protomentale, poiché fa riferimento ai va-ri sistemi integrati propri dell’organismo…”.

14 Grazie allo studioso Lomax è riportato un equilibrio nel vagheggiato spesso idealizzato e mistifica-to ruolo materno, per far posto a un’analisi più meditata e critica: “L’immagine a volte falsa ed edul-corata della maternità sempre felice e rosea va ripensata nei termini di una forte ambivalenza dia-lettica profondamente naturale… inoltre l’aggressività mal celata nelle cantilene svela come se nel-l’addormentamento ci potesse essere un inconscio o immaginario desiderio di fare sparire i desti-natari per riprendersi, brevemente, dalle fatiche dell’allevamento”, cfr. Alan Lomax, Nuova ipote-si sul canto folkloristico italiano nel quadro della musica popolare in Italia, in ‹Nuovi Argo-menti›, n. 16/17, Carocci, Roma1956, p 128.

15 Cfr. Giovanni de Giacomo, ‹Rivista delle tradizioni popolari italiane›, Ed. Forni, Bologna 1894.16 Particolare il riferimento a S. Nicola, nel Sud Italia. Un invito al sonno a volte si traduceva in un’im-

magine di serena eutanasia, come il mandare il sonno con una palluccia d’oro in fronte al bimbo,senza nuocergli (cfr. Michele Straniero, Il ritmo, il rito, l’incanto, Postfazione a Ninne nanne.Condizione femminile, paura e gioco verbale nella tradizione popolare (a cura di Tito Saffioti),Emme Milano 1981, pag. 98. Molto era temuta la malattia e s’invocava così una “buona morte”:“Santa Nicola mia Santa Nicola, / e se ‘un me la vuoi dà ‘na bona sorte / meglio mandalle unabona morte” (da Palazzo San Gervasio-Potenza, ib. pag. 37).

17 Il Mammone, animale magico, enorme e terrificante della tradizione popolare, è un gatto (nel Me-dio Evo il gatto era associato al diavolo) atto a spaventare le mandrie, dall’espressione e movenzedemoniache. Cfr. Gian Paolo Caprettini, Alessandro Perissinotto, Cristina Carlevaris, Paola Osso,Dizionario della fiaba italiana, Maltemi, Roma 2000.

18 Paputo è il piccolo gnomo che porta i bimbi nel regno dei sogni, con un’immagine dolcemente mi-nacciosa. Chiamato anche monaciello o mazzamauriello, viene fatto risalire (cfr. Rino Duma, Ilfantastico mondo dei Lauri, ne “Il filo di Aracne, III, I, Galatina 2008) ai Numi tutelari della casa,Lares o alle larvae. Nel territorio napoletano e salentino poteva essere giocoso se blandito, e mi-naccioso se trascurato.

19 Vedasi nota 22.20 L’uomo nero ripetutamente minaccia di strappare il bimbo dalle braccia della madre (cfr. Giusep-

pe Bartoli, Luci ed ombre nelle ninne nanne. Maternità e ambivalenza affettiva, in C. Covato-a cura di-, Metamorfosi dell’identità. Per una storia delle Pedagogie narrate, Guerini Scientifi-ca, Milano 2006).

21 Francesco Maria Guaccio, Compendium Maleficarum, Einaudi, Torino 1993, pag. 27: “Il demo-nio è detto pure Aci, Alfito, Mormone, congrega di spettri che servono alle balie per atterrire i bim-bi e farli star buoni”.

22 La ninna-nanna de la guerra in Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1975, pp.500-501.Venne inizialmente inserita nella sezione “Lupi e agnelli”, pubblicata in “Da la guerra a la pace.1914-1919”, Mondadori, 1919, e ristampata nel 1927.

23 Farfarello è un diavolo, che qui assurge a spauracchio per terrorizzare i bambini come già l’uomonero etc. Cfr. Dante, Inf. XXII,94-96: Èl gran proposto, vòlto a Farfarello / che stralunava li’ oc-chi per federe, / disse: “Fatti ‘n costà, malvagio uccello”, e in G. Leopardi, Dialogo di Malam-bruno a Farfarello, cfr. Giacomo Leopardi, Operette Morali (a cura di Ottavio Bersoni), Monda-dori, Milano 1979.

24 Gujermone, ovvero Guglielmo II (1859-1941), Imperatore di Prussia e Germania. Sovrano reazio-nario e militarista, fu considerato fra i principali responsabili della prima guerra mondiale.

25 “Ceccopeppe”, soprannome, in Italia, di Francesco Giuseppe I d’Austria. Considerato tiranno, fudibattuto tra lo sviluppo economico e sociale dell’Europa e la sua concezione ereditaria di monar-ca, voluta da Dio. Portò, comunque, riforme in campo sociale. La sua aggressione alla Serbia die-de l’avvio alla I guerra mondiale.

26 L’accenno è vago, forse non specificamente diretto a Vittorio Emanuele II, Re d’Italia.27 Francesco Giuseppe e Vittorio Emanuele erano cugini, avendo in comune quattro bisnonni.

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28 Da L’Ordine nuovo, gennaio 1921, p. 2:“La poesia… è stata scritta… in uno dei più cupi perio-di della guerra europea e ha subito avuto un grande successo e una diffusione enorme tra il popo-lo, quantunque naturalmente, in quel tempo, il cantarla fosse reato di … disfattismo. Oggi è disfat-tista la realtà stessa che fa succedere sotto gli occhi degli uomini fatti che allora potevano sembra-re amare previsioni di un animo esacerbato. Perciò quello che allora era fantasia poetica ben puòvalere oggi come commento politico”.

29 Cfr. Cesare Bermani, L’ordine nuovo e il canto sociale, in ‹L’impegno›, a. XI, n. 1, aprile 1991.30 Purg.XXIII,111: “… prima fien triste che le guance impeli / colui che mo si consola con nan-

na”; Par. XV, 122-123: “L’una vegghiava a studio de la culla, / e, consolando, usava l’idioma/ che prima i padri e le madri trastulla”.

31 Odoardo Spadaro, cantautore e attore, curò un arrangiamento di questa commovente filastrocca-ninna nanna tradizionale toscana nel 1919, Ninna nanna delle dodici mamme: “Dodici mammesopra una panca / stavan facendo una cuffa bianca, / una cuffietta piena di fiocchi / dodici cuf-fie per i marmocchi, / per i marmocchi non giunti ancora / ma che ben presto, forse all’auro-ra, / avrebber messo il capino biondo / in faccia al sole, in faccia al mondo./ Dodici mamme so-pra una panca, / la ninna nanna che mai non stanca / canterellavano ai bei poppanti / dodicimamme, dodici canti. / Dormono tutti dentro la cuna, / dodici bimbi guardan la luna, / la can-deluccia si sta smorzando / dodici mamme stanno vegliando / Dodici veglie preghiere a Dio, /Dio buono, vigila il bimbo mio / Passano i giorni, passano gli anni / passan le fasce, le cuffie ei panni / spuntano i denti, un giorno in fretta / il nome mamma poi si balbetta. / Si chiede ilpappo, la minestrina, / un po’ per volta poi si cammina, / passano gli anni velocemente / re-stan le mamme, che amaramente / pensan a quando, sui suoi ginocchi / dondorellavano i beimarmocchi. / Un giorno scuotesi tutta la terra, /romba il cannone, questa è la guerra, / dodicimamme son trepidanti, / con gli altri partono dodici fanti. / Dodici vecchie, sopra una panca,/ come la neve la testa è bianca, / dodici vecchie testine bianche / vegliano sempre ma non sonstanche. / Dodici mamme, dodici cuori, / dodici affetti, mille dolori. / Dodici pianti, così va ilmondo, / dodici attese, nessun ritorno.

32 Ovvero: l’indice, in duplice redazione, di Canzoni Abruzzesi (1° volume), pubblicate dall’Autore, laNota pubblicata quale Postilla in Acqua, Foco e vento (1996); i testi di Lu Teatre Abruzzese e Luparlà native; i testi di Scioscia mè!; Contrasto; La ninna-nanna fasciste!

33 Tale soprannome fu attribuito all’intrepido monello che, nel dicembre del 1746 accese la scintilladell’insurrezione che scacciò gli austriaci oppressori da Genova, scagliando un sasso contro un drap-pello di soldati. A lui, divenuto simbolo di patriottismo, il regime fascista dedicò l’Opera Nazionale“Balilla”, organizzazione giovanile paramilitare che raccoglieva i giovani dagli 8 ai 14 anni, per l’as-sistenza e l’educazione fisica e morale dei giovani, fondata nel 1926.La divisa dei balilla era costi-tuita dalla classica camicia nera, fazzoletto azzurro, pantaloncini grigioverde, fascia nera, fez.

34 Essendo presente, nel carteggio, come già specificato, anche la traduzione autografa del poeta, siritiene utile riportarla, anche se la comprensione della poesia non crea problemi.

35 Era diffusa credenza che il sonno fosse una specie di morte temporanea, e lo scivolamento dallostato di veglia al sonno di un bimbo potesse essere accostato allo scivolare del vecchio dalla vegliadella vita al sonno della morte. Ovviamente per il bambino c’è il punto di ritorno (Rosetta Duran-te, La donna nel canto popolare. La ninna nanna, cit., pag. 24). Già si è accennato all’invito alsonno al bimbo provocato da una non invasiva “palluccia d’oro” in fronte (vedasi nota 16), cfr. Mi-chele Straniero, Il ritmo, il rito, l’incanto, cit., pag. 98.

36 Teocrito, Idilli e Epigrammi, cit.

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27Mario Coda PROGETTO “RASSEGNA STAMPA”

Progetto “Rassegna stampa”

Ovvero…una proposta di emeroteca di classe articolata in base aigrandi temi della storiografia contemporanea ed all’effettivo im-patto dai medesimi esercitato nei confronti dell’opinione pubbli-ca e, quindi, viste anche le importanti ricorrenze che caratteriz-zano l’anno 2005, all’interno di importanti testate di quotidiani.Il presente modulo, in questa sede delineato soltanto come sche-ma di lavoro, oltre che come proposta di raccolta di materiale perl’emeroteca di classe, rientra nelle molteplici strategie della didat-tica modulare che, soprattutto se applicate all’ambito della puraprassi storiografica, consentono d’introdurre evidenti novità nellapredisposizione delle metodologie essenziali in base alle quali ar-ticolare innovativi approcci alla disamina delle tematiche di carat-tere storico, in particolare di quelle legate al mondo contempora-neo e - in particolar modo – alla storia italiana ed europea degli ul-timi settanta-ottanta anni. Esso potrà dunque essere rivolto aglistudenti dell’ultimo anno degli istituti d’istruzione secondaria su-periore, con particolare valenza per gli indirizzi liceali.

SCHEDA DI LAVORO PER IL DOCENTE

Criteri di individuazione dei materiali:..........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Scelta e classificazione dei medesimi:..........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

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Suggerimenti per la lettura, l’analisi e l’interpretazionedei vari contributi di carta stampata:................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Indicazioni per la classificazione dei medesimi:................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

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Articolazione del progetto didattico:(desumibile dalla progettazione didattica annuale o biennale)................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Scansione delle varie fasi di lavoro:................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

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Criteri di valutazione:..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Griglia delle discipline coinvolte:..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

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“Caro Duce, riparto da Roma disperato.A Vostra Eccellenza mi rivolgo, e più che al Suosenso di giustizia, a quello della Sua pietà umana.Io riparto per Catania con la sola alternativa di finire mendicante o di farla finita…”

Così l’occhiello di un interessante articolo di Domizia Carafoli pub-blicato su Il Giornale di lunedì 13 dicembre 2004, nel quale peraltroleggiamo:

“In un saggio di ‘Nuova Storia contemporanea’ le lettere ineditedello scrittore siciliano (sc. Vitaliano Brancati) a Mussolini e alMinculpop (che cosa indica questa sigla? Indica forse una caricapolitica ancora oggi in qualche modo esistente?) negli anni Tren-ta per ottenere collaborazione con i giornali del regime. Una vol-ta risolti i problemi economici, si scoprì antifascista…”

Ma cerchiamo di saperne di più: chi era il personaggio citato nel bra-no appena letto? È l’autore stesso dell’articolo a risponderci; nel te-sto leggiamo infatti:

(La lettura dell’articolo si presenta, vista anche la relativa novità dell’operazione di-dattica, guidata e mediata)

“Nel 1935 Vitaliano Brancati aveva 28 anni. Nel ’22 aveva presola tessera del Pnf, (che cosa indica quest’altra sigla?), nel ’29 si eralaureato in lettere con una tesi su Federico De Roberto (conosciquesto autore? Quali i suoi contributi alla cultura italiana?). Subitodopo si era trasferito da Catania a Roma, iniziando a scrivere peril Tevere e poi per il settimanale letterario Quadrivio. Nel frat-tempo tentava l’avventura narrativa: Fedor, poema drammatico,nel ’28, Everest nel ’31, Piave nel ’32, opere poi ripudiate quan-do l’autore, molti anni dopo, scoprì la sua vocazione antifascista.Infine Brancati decise di ritornare in Sicilia. All’inizio degli anni Trenta, Brancati aveva rapporti piuttosto con-fidenziali con Mussolini, se è vero che fu proprio il Duce a consi-

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32PROGETTO “RASSEGNA STAMPA” Mario Coda

gliarli di lasciare un modesto posto di redattore al giornale cata-nese Popolo di Sicilia per collaborare con quotidiani nazionali dimaggior prestigio. Vitaliano seguì il consiglio ma presto dovetteaccorgersi che il mondo del grande giornalismo si rivelava impe-netrabile alle più alte raccomandazioni. Questo nonostante il fe-lice incontro con Mussolini del 1932 che aveva procurato al gio-vane ‘camerata’ due sovvenzioni straordinarie di 3000 lire cia-scuna e la promessa di uno stabile rapporto di collaborazione conLa Stampa.”

Analisi dei capoversi:Lo studente potrà riempire gli spazi tratteggiati con una sintesi orga-nica e convincente del contenuto dei brani seguenti ai singoli capo-versi:

“Ma al direttore del quotidiano torinese……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………”

“Disoccupato e senza soldi, Brancati pensa allora di ritornare alPopolo di Sicilia, rioccupando il suo vecchio posto……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………”

“Da Marinelli nessuna risposta. Si muove il padre di Vitaliano, ilconsigliere di prefettura Rosario Brancati che scrive……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………”

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“Non per questo i rapporti di Brancati con il Minculpop si inter-ruppero ma continuarono proficuamente finché lo scrittore riuscìa farsi finanziare e pubblicare un saggio su Leopardi e ad ottene-re una collaborazione fissa prima a Omnibus di Longanesi e poial settimanale Oggi. E siamo già al 1939. Due anni dopo Brancatipubblica Gli anni perduti e, risolti i problemi economici e senza piùbisogno di appellarsi insistentemente ‘al senso di giustizia e allapietà umana del Duce’, comincia a scoprirsi antifascista.”

Ma la stessa pagina del quotidiano contiene anche un interessante ar-ticolo di biografia, dal quale gli studenti potranno trarre interessantispunti di confronto e di discussione. L’articolo, a firma di MassimoCaprara, inizia così:

“Su ‘Antonio Gramsci, Storia e mito’ esce in questi giorni un li-bro acuto e penetrante di Luigi Nieddu per l’editore Marsilio(pagg.250. euro 21). Esso colma, anzi aggiunge, alcuni inediti par-ticolari alla complessa vicenda umana e politica del leader sardofondatore nel 1921 del Partito comunista d’Italia, figura di spic-co della cultura del Novecento ed emblematica vittima del-la violenza staliniana. Nieddu, con ricca e doviziosa documentazione fatta di notizie, ap-profondimenti, citazioni di prima mano, conferma innanzitutto lasconcertante verità: fu Togliatti a partecipare e forse a dirigere co-me mandante principale il più duro dei delitti, l’inganno, contro ladolorosa condizione in cui si trovava Gramsci, detenuto e malatonel carcere di Turi a Bari perché condannato dalla magistratura fa-scista a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni nel 1928 (ne sconterà dieci).

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“Per quanto riguarda, per esempio, i retroscena dei primi annidell’avventura gramsciana, Nieddu rivela che a sostenerli fu, peril periodo dal ’17 al ’21, una cospicua sovvenzione bolscevicaelargita da Aron Vizner e Jerzy Heryng, due russi-polacchi fun-zionari del Komintern che fornirono testi e pagarono anche lamaggior parte dei costi della rivista di Gramsci l’Ordine nuovo.La storia comunista è ricca di scioccanti realtà. Pri-ma crea poi distrugge con persecutoria illibertà chipensa con la propria testa”.

Altrettanto utili, inoltre, possono rivelarsi gli interventi pubblicati sulCorriere del 13 dicembre 2004, dove leggiamo, a firma di EnricoMannucci (Terza Pagina, p.27):

“La notte del 22 aprile 1945, verso le quattro, un aereo decollòdalla pista di Linate ancora in mano alle forze tedesche. Ci sali-rono quattordici persone, per affrontare un volo di 7-800 chilom-tri attraverso cieli controllati dagli angloamericani. Ma andò tut-to liscio, a parte un po’ di tensione al decollo perché i bagagli deipasseggeri superavano di cinque quintali il carico utile, e qualchecrisi di pianto delle signore a bordo.

(Lo studente riempia gli spazi seguenti con il contenuto dell’articolo, riportando isegmenti non trascritti nel presente modulo)

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“Oltre all’equipaggio, c’era una decina di civili, fra cui Maria Man-cini, - nata Petacci, la sorella di Claretta, emglio conosciuta comeMyriam di San Servolo nel ruolo di attrice - e Léon Degrelle, fon-datore dei rexisti, (lo studente provveda a raccogliere opportunomateriale documentario relativo al gruppo politico in questione) ladestra belga vicina al nazifascismo. In quel volo, o in uno analo-go, sarebbe potuto salire anche Mussolini, sfuggendo al destinoche l’attendeva a Dongo pochi giorni dopo.

………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………”

“Per qualche giorno, in Spagna, girò la voce che Mussolini stessone facesse parte, o almeno Claretta. I rapporti dell’ambasciata ita-liana davano questi nomi:………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………”

“Un ultimo particolare. Due lettere di Mussolini, prede appetibiliper i cacciatori di documenti connessi agli ultimi giorni del Duce,sono indirizzate a Franco e a Serrano Suner (ex ministro degliEsteri spagnolo nonché cognato del Caudillo) che, secondo tuttele testimonianze, il Mancini portava con sé e che consegnò alleautorità spagnole poco dopo l’arrivo. Di queste missive non si è

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saputo più nulla, nonostante le richieste della nostra ambasciataperché fossero restituite all’Italia tutte le carte portate dai fuggia-schi. Metterebbero in nuova luce le ultime mosse del Duce?”

Decisamente interessanti, inoltre, si presentano il titolo e l’occhiellodel contributo:

“Ultimo volo per la salvezza, senza Benito e Claretta…Sull’orlo del crollo, il Duce e l’amante non salirono sull’aereo. Mac’era la sorella di lei…‘Nuova Storia Contemporanea’ ricostruisce una fuga avventurosanella Spagna di Franco avvenuta il 22 aprile del ’45…”

Pagina per l’inserzione (comprensiva di indicazioni som-marie relative alle singole testate) di ulteriori contributiapparsi sulla stampa nel periodo gennaio-giugno 2014……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

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37Alessandra Lami IL GRANDE GATSBY DI BAZ LUHRMANN

Il Grande Gatsby di Baz LuhrmannI Parte

Il mio lavoro analizzerà Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald,uno dei capisaldi del Modernismo americano, prendendo le mossedagli adattamenti cinematografici realizzati da Jack Clayton e da BazLuhrmann.Quest’ultimo incrocia la narrazione fitzgeraldiana con la propria poe-tica, che è stata classificata sotto la categoria estetica del Camp:1 par-tendo dall’esperimento cinematografico rappresentato dal GrandeGatsby di Luhrmann, è mia intenzione sostenere una chiave di lettu-ra camp anche per il romanzo.Il primo capitolo sarà dedicato proprio al Grande Gatsby di F. S. Fitz-gerald e interpreterà il romanzo sulla base di una lettura camp dell’o-pera; il secondo capitolo si soffermerà su un’analisi dettagliata delGrande Gatsby di Luhrmann (2013), che farà esplodere la categoriaestetica che soggiace al romanzo e che finora non è mai stata sottoli-neata; il terzo capitolo evidenzierà, infine, il ruolo centrale che nell’in-terpretazione della narrazione fitzgeraldiana determina il Camp fa-cendo emergere, per antitesi, lo scarto compiuto rispetto alla classicalettura del libro, quella del Grande Gatsby di Jack Clayton (1974)2. Prima di inoltrarci dentro questo percorso è necessario premettereche cosa sia il Camp: entro questa categoria estetica si inserisconotutte quelle strategie di reazione contro l’alienazione operata da unasocietà impersonale, quali la teatralità, l’estetismo, il manierismo, l’i-ronia e l’eccesso. Mettendo in pratica vere e proprie strategie di sopravvivenza, ilCamp propone un modello di esistenza che consente di superare loscarto percepibile dal singolo al confronto con l’estensione illimitatadel mondo, prendendosene gioco grazie all’euforia:3 la distonia vienetrasformata in un gioco performativo dell’identità, perché il soggettosi fa finzione di sé e moltiplica il proprio sguardo sulla realtà. La coltivazione strategica di mutevoli performances o metamorfosiestetiche di volta in volta differenti trasforma il soggetto non in unmero contenitore, ma in un contenuto di una realtà sempre rinnova-ta, di cui risulta oggetto pienamente integrato nell’inarrestabile flussodi un’estetica performativa.

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38IL GRANDE GATSBY DI BAZ LUHRMANN Alessandra Lami

In questo senso, al nucleo tematico del Grande Gatsby o l’«irrealtàdella realtà»4 è ascrivibile la prerogativa di creare una pluralità di mon-di al variare dell’identità e il senso generale dell’opera scaturisce dal-l’estetica, nella fattispecie da un’estetica camp.L’uomo si discosta dal gioco borghese delle parti senza rimanere cri-stallizzato entro un’unica maschera d’identità, perché ne indossamolteplici giocando contemporaneamente il ruolo di più persone5:

«The actor exists only through its in(de)finite performing roles, the ideal sumof which correspond to his own performative “identity”, personality beingequal to a co-existence of personal on the stage of Being. Camp thus pre-supposes a collective, ritual and performative existence, in which it is the ob-ject itself to be set on a stage, being, in the process of campification, sub-jected (by the theatricalisation of its ruinous modes of production) and trans-vested. The subject is, in that very same process, objectified into a prop, apiece of theatrical furniture, a pure mask, dressing up with other intentions,or with an irreducible ambiguity of intentions, than its own declared ones.And both camp object and subject are made into a situation, a theatrical set-ting and scene, by taking which the actors constantly refer to an extempo-rised “script”, and to an audience (however present in absentia – witnessthe case of the arch-queen Norma Desmond in Sunset Boulevard – thatmay well be the subject which acknowledges itself as a plural subject, and in-habited by social codes) in front of which both camp object and subject per-form»6. «L’attore esiste soltanto attraverso gli in(de)finiti ruoli di cui offre perfor-mances, la summa ideale dei quali corrisponde alla sua identità “performa-tiva”, essendo la personalità pari alla co-esistenza del personaggio sul pal-coscenico dell’Essere. Così, il Camp presuppone un’esistenza collettiva, ri-tuale e performativa, nella quale è l’oggetto stesso a essere posto sul palco,essendo, nel processo di “campificazione”, soggettivato (dalla teatralizzazio-ne dei suoi effimeri modi di produzione) e travestito. Il soggetto è, in questoanalogo processo, oggettivato in uno strumento di scena, una pura ma-schera, che riveste altre intenzioni, o un’irriducibile ambiguità di intenzioni,rispetto a quelle dichiarate. E sia l’oggetto che il soggetto camp sono proiet-tati in una situazione, un’ambientazione teatrale o scena, assumendo lo stes-so ruolo performativo, nel quale gli attori fanno costantemente riferimentoa un estemporaneo canovaccio e a un pubblico (comunque presente in ab-sentia – testimone il caso di Norma Desmond in Viale del tramonto – che

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39Alessandra Lami IL GRANDE GATSBY DI BAZ LUHRMANN

può ben rappresentare il soggetto che si riconosce come un soggetto plura-le, e calato nei codici sociali), dinanzi al quale sia l’oggetto che il soggettocamp si fanno performativi» (traduzione mia).

Finora la critica non ha mai avanzato l’ipotesi di Gatsby come il sim-bolo del Camp e delle sue feste come il teatro di continue meta-morfosi estetiche, mentre torna a ribadire, seppur introducendo va-rianti, l’interpretazione tradizionale sia di Gatsby, irresistibilmente at-tratto dall’ambizione e dall’opulenza della società borghese, sia delsuo sogno, ovvero l’illusione romantica destinata a naufragare: que-sta è la chiave di lettura dell’adattamento cinematografico di Clayton.Per questo cineasta Gatsby si contrappone alla società quanto più sene contamina, facendo propria la medesima ipocrisia che condanna:si cela dietro la maschera dell’ideologia borghese e finisce per san-cirne la legittimità, senza combatterla.Al contrario, il Camp, come ben si evince dal Grande Gatsby diLuhrmann,7 conduce una protesta contro la repressione della società,sondando ai limiti della coscienza individuale le reazioni da parte delsingolo all’ordine costituito, perché

«il vero trucco non è indossare una maschera: è mascherare la mascherata»8.

Gatsby integra il principio di piacere con il principio di realtà finchéfa un uso cosciente della spersonalizzazione, reagendo agli eccessi delproibizionismo con gli eccessi del Camp: quanto più la società opa-cizza e rende indefinita l’identità dell’individuo, tanto più Gatsby pla-sma costruttivamente la propria identità e alimenta di prolifiche me-tamorfosi estetiche la pluralità della realtà.Tuttavia, rimarrà vittima della frenesia che lo porterà a considerare ilpassato più reale del presente e, vincolando la proiezione di sé al pro-prio amore per Daisy, cristallizzerà in quella che considererà la cau-sa del meccanismo identitario del Camp, resa ontologica sull’amata,i cerchi concentrici disegnati dalla continua metamorfosi di una for-ma che non si ripete mai identica a prima, ma all’istante si muta inun’altra, essendo ciascuna origine di un mutamento infinito. Gatsby, perciò, cederà alla pulsione di morte non opponendo più aThanatos la sconfinatezza di Eros e l’amore farà ricadere sull’iden-tità di Gatsby l’ambivalenza del narcisismo prodotta dalle sue meta-

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morfosi, specchiandosi in immagini illusorie quanto gli “occhi di Dio”del manifesto pubblicitario dell’oculista Eckleburg.Gatsby, allora, incarna sia il Camp che la morte del Camp perché,abbandonando questo modello di esistenza, farà crollare un simboloe non potrà che morire insieme a ciò che rappresenta: la meta-morfosi “borghese” costituisce l’ultimo ciclo percorso dall’identitàperformativa del personaggio, ma non per questo ne è causa, comeinvece viene prospettato da Clayton.L’interpretazione offerta da quest’ultimo fraintende lo spirito del li-bro, perché la “protesta” di Gatsby è svuotata di senso, che non sca-turisce più dalla forma, venendo inserita entro un processo di meta-morfosi infinito, bensì dalla vendetta: secondo Clayton, Gatsby sicontrappone quasi per capriccio alla società, di cui diventa complicecadendo nel peccato. Acconsentendo a diventare adultero e non ma-rito di Daisy, a differenza del romanzo, deve pagare per l’errore com-messo.Ora, dato che l’estetica performativa di Gatsby diventa una vera epropria chiave di lettura dell’esistenza grazie al Camp, nel GrandeGatsby grazie all’incarnazione di ciascuna metamorfosi estetica si an-ticipa la concezione mimetica e adattiva dell’arte del Post-Moderno:lo stile di Fitzgerald, oltre ad assumere un atteggiamento citazionalecaratteristicamente camp, è segnato dalla costante ibridazione di lin-guaggi (letterario e cinematografico in primo luogo), alimentata tan-to più da un “narratore inaffidabile”, tale da sovrapporre la prospet-tiva presente e quella passata ad ogni sua metamorfosi, che ricom-pone la dissonanza entro l’estetica della forma.Nick è uno dei molteplici doppioni dell’identità proteiforme di Gatsbye lo sdoppiamento, riflesso dalla scissione di Nick in auctor e agens,si ricompone entro una narrazione che intenzionalmente trasformala spersonalizzazione in un gioco di specchi e si rifrange in una mol-teplicità di punti di vista.La valenza meta-teatrale dell’estetica (letteraria ed extra-letteraria)che compie un uso sempre più cosciente della spersonalizzazione vie-ne sottolineato dal fluido dinamismo di “etichette” che la lettura delGrande Gatsby operata da Luhrmann estrae dal romanzo di Fitzge-rald: quest’ultimo si pone come trait d’union fra la concezione pla-tonica dell’arte intesa come “copia di copia” e quella mimetica eadattiva del Post-Moderno grazie a un’estetica performativa e camp,

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che colma lo scarto esistente fra forma e sostanza, significante e si-gnificato in quanto rappresenta

«the movement across, in the mobile and transversal relation of the two po-larities»9

(il movimento che incrocia lo scambio osmotico tra le due polarità).

L’estetica camp garantisce la fluidità di contorni a una narrazione chesi costruisce dinamicamente a seconda della metamorfosi incarnata eimpernia sulla ricomposizione di filtri dissonanti la spettroscopia deipunti di vista: così il senso del linguaggio scaturisce dallo scarto di unsignificante in un altro e il Camp, configurandosi come

«the unavoidable overlapping of subject and object of perception, of read ob-ject and reading subject (…) this move across grammatical boundaries»10

(l’indissolubile sovrapposizione fra soggetto e oggetto di percezione, fra l’og-getto conosciuto e il soggetto che conosce)

incrocia la categoria della linguistica strutturale della “forma dell’e-spressione” di Hjelmslev, da cui Francesco Orlando muove per in-terpretare in chiave psicanalitica la letteratura, a partire dalla deco-struzione del linguaggio. Questa teorizzazione permette di ravvisare l’esistenza di un «perfor-ming subject (soggetto performativo)»11 anche nel Grande Gatsby,analizzato alla luce di una prospettiva camp, nella figura di un narra-tore instabile, cosciente di essere oggetto di realtà quanto basta perdecostruirne la strutturazione monolitica e celarsi dietro una

«pure semiotic uncertainty, an hermeneutical wavering on surfaces doomedto failure – inauthenticity and vacuity»12

(pura indecidibilità semiotica, lo slittamento ondivago di prospettive erme-neutiche destinate a fallire – l’inautenticità e la vacuità):

ne è il prototipo Nick che, ad esempio, dietro le parole «forse fu lasua presenza (di Tom) a dare alla serata quell’atmosfera particolare dioppressione: fu una festa che nel mio ricordo rimane staccata da tut-te le altre»13 non espone alcun giudizio critico o distaccato riguardo alpunto di vista sostenuto in passato, ma per negazione ne ribadisce il

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coinvolgimento che determina una continua sovrapposizione di pro-spettive su di sé, come testimone-superstite.Un’estetica performativa, dunque, traspone sul piano della narrazio-ne le metamorfosi dell’identità a cui Gatsby si dedica con “passionecreatrice”, assurgendo a simbolo di una lettura camp della realtà edell’esistenza che plasma come fosse il demiurgo di un’arte mimeticae adattiva, già di platonica memoria: del resto, che l’estetica lettera-ria del Grande Gatsby si protenda verso una continua metamorfosinon soltanto è attestato dai numerosi riferimenti meta-testuali alla fi-losofia di Platone,14 ma il linguaggio si destruttura e si ricompone dal-la sua stessa decostruzione, secondo un procedimento camp che faingenerare senso da frequenti performances estetiche, le medesimecon cui nei dialoghi platonici la maieutica di Socrate determina unanarrazione in fieri15.Promuovendo una concezione mimetica e adattiva dell’arte anche ilcinema, inteso tanto come processo cognitivo quanto come prodot-to, nutre la finzione estetica dell’orizzonte di attesa del pubblico inuno scambio osmotico, trasformando l’adattamento di opere lettera-rie in ciò che Linda Hutcheon definisce «ripetere senza replicare»,16

dal momento che la creazione di senso attraverso un medium diffe-rente da quello di partenza scaturisce dal mutamento di forma e con-tribuisce attivamente alla maturazione dell’identità collettiva. Questa è la valenza camp dell’adattamento e, in particolar modo, vie-ne realizzata dal Grande Gatsby di Luhrmann, perché rappresentaGatsby come lo scioglimento e, insieme, l’emblema dei paradossi delCamp, in virtù del quale

«quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto, sel’uomo può vivere solo una vita, è come se non vivesse affatto»,

ma

«non si può mai sapere che cosa si deve volere perché si vive una vita sol-tanto e non si può né confrontarla con le proprie vite precedenti, né cor-reggerla nelle vite future. Non esiste alcun modo di stabilire quale decisionesia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo viveogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore cheentra in scena senza aver mai provato»17.

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Il Camp promuove uno sguardo critico e consapevole sul mondo edemistifica la ristrettezza di vedute della società, recuperando l’esten-sione illimitata della realtà attraverso la finzione. In questo modo, il Camp si oppone a ogni gerarchizzazione della so-cietà e rovescia la cultura dominante asserragliata intorno a presuntidogmi che esercitano un controllo totalitario e controverso sull’indi-viduo, appellandosi al suo diritto di vita o di morte.L’adattamento di Luhrmann fa emergere tutti questi aspetti, a diffe-renza di quello realizzato da Clayton, che produce un adattamentodel libro con una chiara ricaduta ideologica, non accettabile, propriocome gli ultimi risultati che la critica queer ha prodotto sul GrandeGatsby, rispetto alla quale un’interpretazione camp, che pure si in-serisce nei queer studies, dà risultati opposti. In ultima istanza, per comprendere l’errore compiuto da Jack Clay-ton è opportuno analizzare e confutare parallelamente l’interpreta-zione del Grande Gatsby offerta in un articolo del 2011 da MaggieGordon Froehlich18.Quest’ultima impernia il suo discorso sui rapporti di schiavitù-domi-nanza entro i quali collocherebbe non solo le differenze di etnia e diclasse sociale, bensì anche quelle di genere, stabilendo un’equivalen-za fra il mancato esercizio di potere sessuale e il genere sessuale fem-minile.In una società patriarcale e fallocentrica, l’assoggettamento sessualeal potere maschile offrirebbe la possibilità di accumulare capitale (at-tenente alla sfera maschile): l’istituzione di relazioni omoerotiche conuomini di potere, volti a riprodurre l’assoggettamento sessuale di ti-po femminile alla mascolinità, consentirebbe all’omosessuale di inse-rirsi con maggior facilità e versatilità nei rapporti gerarchizzati di po-tere. Il prototipo sarebbe Nick, che per accumulare denaro si assoggette-rebbe sessualmente a figure maschili di successo: tuttavia, si deve bentenere a mente che l’unico esempio che nel libro taccerebbe Nick diomosessualità sarebbe una sua notte in compagnia di uno squattri-nato fotografo, esente dai gangli di potere. Non si può negare, ma neanche affermare, dopotutto, la velata pati-na omosessuale che Nick assumerebbe, specie alla fine del secondocapitolo del Grande Gatsby, ma di qui a volerne fare un paradigmaideologico da inserire entro una società borghese e capitalistica, co-

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me il voler rintracciare nei rapporti fra Gatsby e i suoi “padrini” con-tatti di tipo omoerotico, se non addirittura pederastici, e in particola-re lo specchio dell’esperienza vissuta fra Fitzgerald e padre Fay, nonè condivisibile, per due motivi: in primo luogo perché non sono af-fatto testimoniati chiaramente i contatti omoerotici fra lo scrittore eil pastore cattolico, in secondo luogo perché l’interpretazione pro-spettata da Froelich nasconde il tentativo di rendere un’ideologia nonil punto di sbocco, ma la premessa di un giudizio critico tendenzioso. Maggie Gordon Froelich annulla la negazione freudiana che caratte-rizza tutti i personaggi del Grande Gatsby rendendoli complici di unsistema che tollera gli eccessi e gli abusi degli individui perché è il pri-mo a farne un uso strumentale, senza contare che lo stesso Fitzge-rald smentisce ciò, evidenziando come la dilagante accessibilità di ri-sorse e lo scialo siano in grado di scavalcare il materialismo del “ca-pitale umano” grazie all’euforia promossa dal Camp:

«The Jazz Age (seemed to race) along under its own power, served by great

filling stations full of money… Even when you broke, you didn’t worry aboutmoney, because it was in such profusion around you»19.

Con minor credito, inoltre, stimerei la giustificazione addotta dallabiografia di Fitzgerald, sia perché non c’è alcun elemento certo cheattesti un abuso sessuale subito dall’autore da parte di padre Fay, siaperché, ammesso che sia così, certamente Fitzgerald non avrebbeconferito alla protagonista femminile del Grande Gatsby, Daisy (incui è chiaro il riferimento all’amata Zelda), il cognome Fay, mutuatodalla realtà secondo un procedimento tipico dello scrittore.Lo stesso Clayton cade nella medesima distorsione ideologica spo-stando il fulcro del discorso sull’ideologia borghese, perché non spie-ga a livello di identità come Gatsby si renda vittima della società cheopera la repressione scardinandone l’ipocrisia a sue spese, ma sem-plifica la banale parabola di Gatsby come una caduta nel peccato.La mia tesi è volta a rovesciare questo punto di vista, che corrispon-de all’interpretazione tradizionale di Gatsby (cui sono riconducibili an-che le più recenti analisi che si collocano all’interno dei queer stu-dies), perché scioglie i paradossi dei motivi conduttori del romanzo(la distonia dell’individuo, il conflitto fra represso e repressione) gra-zie al Camp.

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Capitolo I

La narrazione del Grande Gatsby procede operando un continuo al-ternarsi di spezzoni o slicing of sketches,20 cioè un procedimento ci-tazionale di realtà che viene autenticata e sublimata dalla finzione: at-traverso un inarrestabile gioco di specchi la letteratura rifrange le me-tamorfosi estetiche dell’identità come a teatro, per mezzo di una nar-razione estremamente performativa. Per inquadrare la prospettiva entro la quale Il Grande Gatsby vienegenerato, si può partire dalla riflessione che in Per una teoria freu-diana della letteratura21 Francesco Orlando delinea a proposito del-le categorie identificanti la comunicazione letteraria e, in particolare,riguardo al “contesto” o insieme «di tutte le circostanze di realtà lon-tane nel tempo»22 e riguardo al “messaggio”. Ciò che interessa maggiormente è che in virtù delle continue inter-sezioni di realtà che la letteratura genera, appunto per questo essasopravvive, e non potrebbe farlo se non elevasse la realtà entro unpiano universale, sublimandone il carattere fittizio che misura la fre-quenza con la quale la realtà stessa muta attraverso la creazione e larielaborazione della realtà per mezzo della forma. Il messaggio, allora, si configura come condizione sì necessaria, manon sufficiente a identificare la comunicazione letteraria e Per unateoria freudiana della letteratura mostra come la ricerca di sensorisieda nell’irrealtà della realtà, nell’astrazione e, in ultimo, nella pre-sa di coscienza dell’estensione illimitata del reale: il mutamento dellecircostanze di realtà trova senso solo nella precarietà dell’esistenza, ilsuo essere insieme di forme che si ricompongono attraverso la sper-sonalizzazione e attraverso lo sdoppiamento che moltiplica lo sguar-do sul mondo, rendendo l’individuo plurale quanti più abiti della fin-zioni indossi su di sé. L’artificio è parte integrante del reale, come suggerisce l’equivalenzanella nostra mente fra finzione e realtà e ne è l’espressione direttal’acquisizione di un’identità performativa.Entro un’estetica camp le strategie di sopravvivenza quali la teatralità,l’estetismo, la spersonalizzazione si pongono come modelli interpre-tativi della realtà e la loro attuazione è sondata sino ai limiti delle rea-zioni (offerte dalla coscienza individuale) all’ordine costituito, per ne-gazione freudiana (si nega per affermare): la ricomposizione dei fram-

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menti di realtà si sviluppa entro un’estetica contrappuntistica che tra-sforma la dissonanza in punti di vista sulla realtà secondo un gioco difiltri o “etichette” che fanno perdere la distinzione fra copia ed origi-nale.Alla base della concezione mimetica e adattiva dell’arte nel Post-Mo-derno c’è l’incarnazione di un contenuto che si ripete e si manifestanella storia assumendo di volta in volta una forma differente: si inge-nera senso dalle infinite combinazioni fra significato e significante at-traverso il mutamento della “forma dell’espressione”, categoria cheOrlando mutua da Hjelmslev, per ribadire la validità di ciascuna in-carnazione della platonica “materia del contenuto”, altra categoriamutuata dal linguista strutturalista, ma non più attinente alla facciadei significanti, bensì del significato. Se è vero, dunque, che ciò che soggiace alla letteratura ed espandele sue radici fino ai confini della psicanalisi sussiste al di là di ogni so-vrastruttura o mutamento di forma della realtà, anzi, acquista sostan-za appunto grazie alla forma, la dimensione letteraria esce dall’auto-referenzialità dell’interlocuzione, perché l’autore si sdoppia nella fin-zione di sé come il primo di tutti i possibili referenti della narrazione.La concezione mimetica dell’arte, caratteristica del Post-Moderno,ma già di platonica memoria, si focalizza sulla sfera del non detto esorregge a livello teorico l’insieme delle strategie di sopravvivenzamesse in atto dal Camp, che si trasforma in una categoria esteticacapace di offrire un innovativo modello di interpretazione dellarealtà.La fluidità di contorni dell’arte, proiettando sullo scenario estetico in-cessanti metamorfosi, apre a plurime combinazioni fra significato esignificante, delle quali prima della parola è primissima espressionela musica (di cui Luhrmann fa uso come di un autonomo filtro narra-tivo, amplificando ciò che lo stesso Fitzgerald compie), tanto che IlGrande Gatsby svela il senso occultato delle cose per mezzo di Dai-sy, che

«incominciò a cantare seguendo la musica in un roco bisbiglio ritmico, do-nando a ogni parola un significato che non aveva mai avuto e non avrebbeavuto mai più. Quando la melodia si levò, la voce si aprì dolcemente a se-guirla, come fanno le voci di contralto, e ogni nota riversò nell’aria un po’della sua calda magia umana»23.

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La sua voce riflette tutte le contraddizioni che trovano sfogo nel Jazz:

«Its aim was the creation of spontaneous communities of listeners and per-formers – or, more radically, of performers willing to become listeners andlisteners able to become performers – who engage simoultaneously in ac-tive remembering and deliberate forgetting. Jazz is sensuous and even sin-uous; it is illicit, spontaneous, and unpredictable; it is ungenteel and unin-hibited; it scorns pretense, endorses protest, and celebrates change (…). Yeteven as it celebrates the present moment of new creation, jazz evokes andechoes old words and rhythmes that it treats as almost sacred. This double-ness made jazz the appropriate music of the Twenties. In one mood it ex-emplifies a radical principle of origination. Like the United States and mod-ernism, it is obsessed with the possibility of wholly new beginnings. (…).Jazz’s harmonies, born of contradictions, were one thing, however, whilecontradictions actually lived were another, as the strained and even torturedlives of scores of jazz musicians remind us»24.

Come riprova, a confermare l’applicazione al Grande Gatsby delmodello teorico individuato da Per una teoria freudiana della lette-ratura vi è l’affermazione dello stesso Orlando, cioè:

«Che rima, allitterazione, ritornello e altre forme di ripetizione di suoni ver-bali simili sfruttino nella poesia la stessa fonte di piacere, il ritrovamento delnoto, è pure generalmente riconosciuto»25.

Le potenzialità evocative e musicali che sembrano promanare diret-tamente dall’inconscio, del resto, vengono ampiamente sfruttate dalGrande Gatsby di Luhrmann, che nella descrizione della prima festadi Gatsby aggiunge alla narrazione, per il tramite della voce narran-te, parole rimanti ed assonanti, oltre a far scaturire la suggestione deimotivi musicali citati nel romanzo dalla contaminazione di sonoritàibride, capaci di trasmettere significato nonostante la perdita dellaforma originale26.La contrapposizione freudiana fra principio di piacere e principio direaltà, perciò, può essere risolta da parte del soggetto solo attraver-so un modellamento della propria identità e un uso consapevole eperformativo della spersonalizzazione come pratica di ibridazione colmondo, che ci consente di entrare in relazione con la realtà più am-

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pia come tutti e nessuno, singola particella unica in sé, capace di ar-ricchire la pluralità della realtà al pari delle altre.Questo procedimento smette di funzionare, qualora la realtà risultipiù menzognera della finzione: è la morte del Camp, che non è piùin grado di ricomporre la distonia e abbandona l’individuo in predaalla dissociazione dell’alienazione, causata tanto dalla repressione del-la società, quanto dal singolo che alimenta di ipocrisia lo sdoppia-mento interiore, riducendosi un misero brandello di carne, ossia unvano involucro di istinti e pulsioni. Il complesso rapporto fra finzione e realtà, che trovava sbocco in unaSur-realtà come quella di Gatsby, pertanto, ora viene sacrificato allegrottesche simulazioni di una realtà iper-materialistica e alla sterilitàdelle inferenze, la cui ipertrofia dilaga entro l’incipiente bombarda-mento mediatico degli scorci metropolitani che abbatte persino il mo-dello della flanerie di Baudelaire27.Applicando al Grande Gatsby il modello teorico delineato da Orlan-do, che organizza il represso proporzionalmente alle relazioni che ag-gancia con la società, dall’interiorizzazione conflittuale del desideriofino alla sua piena consapevolezza e legittimazione all’esterno, il ro-manzo rientra nello slittamento del ritorno del represso che procededal caso categorizzato come b) conscio ma non accettato, verso ilsuccessivo c) o accettato, ma non propugnato, sia perché un primoGatsby plasma la propria identità sulla base della spersonalizzazionecon una sorta (in)-coscienza, sia perché un secondo Gatsby, mano amano che si contamina con la società, ne cade vittima e la sua pro-lifica Sur-realtà perde terreno infrangendosi come un cristallo.Nella prima fase, la latenza del desiderio di Gatsby, che registra loscarto e la distonia ai limiti della realtà, gli consente di restituireun’immagine della propria identità quanto più indefinita e proteifor-me, per reazione a ciò che la società su di lui compie: prima checompaia come personaggio, noi lettori conosciamo Gatsby attraver-so le varianti di 1) cugino o nipote del Kaiser Wilhelm, 2) spia tede-sca di guerra, 3) assassino. In questo modo si spiega anche la suacontaminazione con l’ambiente mafioso, che non è mai totale coin-volgimento, ma definisce storicamente la protesta camp e, come ta-le, prettamente individuale del personaggio, assimilandola a quellacontro l’ordine pre-costituito condotta dagli emarginati della società. È un fatto che, finché Gatsby nella sua coscienza riesce, sdoppiando-

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si, ad arginare l’estensione infinita del desiderio attraverso l’applica-zione di una strategia camp di spersonalizzazione, teatralità ed esteti-smo sopravvive, assurgendo a simbolo del Camp; quindi Gatsby fasfogare il suo represso contaminandosi col mondo, ma si perde nellavacuità narcisistica e feticistica dell’esibizione di ciò che considera“personale” e gelosamente custodisce come tale, finché non cade vit-tima della dissociazione interiore prodotta dalla finzione d’amore.In questa chiave di lettura che coglie le interconnessioni del freudismocon un mondo che sta cambiando, perché quanto più diventa acces-sibile con l’incrementata disponibilità di mezzi, tanto più si frammen-ta e offre la sua dimensione nella spersonalizzazione, ai limiti dell’au-tomazione e dell’alienazione, il destinatario dell’opera letteraria è un«testimone superstite, esentato da ogni partecipazione al senso»28 e laletteratura inizia a essere sempre più auto-cosciente; quindi assumeuna funzione catartica e terapeutica rispetto agli effetti catastroficidello scontro dell’individuo con la bruta realtà, ai limiti della cura delsintomo, riproducendo lo sdoppiamento interiore che rende il singo-lo una finzione di sé attraverso la reduplicazione dell’autore come pri-mo referente della narrazione: a riflettere come in uno specchio l’e-sperienza di sdoppiamento personale dell’autore è la scissione delnarratore del Grande Gatsby in agens (Nick personaggio) e auctor(Nick che narra e sa anche meno di prima)29. Non è un caso che Il Grande Gatsby sia narrato interamente trami-te il filtro della digressione, cosicché anche il racconto stesso si de-costruisce a seconda delle metamorfosi performative del narratore,entro un’estetica che supera lo scarto della temporalità sublimando ledissonanze all’interno di una narrazione a-temporale, condotta insoggettiva, ma priva di una certa autorialità e a tutti gli effetti sper-sonalizzata. Questo tipo di narrazione rende la scrittura di Francis Scott Fitzgeraldparticolarmente versatile e adattabile soprattutto al cinema, che colsuo linguaggio visivo unisce showing e telling entro l’esaltazione del-la forma e del potere della forma che crea identità: spesso nel film diLuhrmann i frames che incorniciano Nick, esemplarmente posto inun sanatorio, nel presente del racconto si sovrappongono ai flash-back del passato senza alcuna soluzione di continuità. Passato e presente, allora, coincidono e anche il tempo del racconto sidecostruisce per ricomporsi in un’estetica che ricompone filtri disso-

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nanti, scarti e anacronismi attraverso la performatività, risultando nondi rado meta-teatrale. Fitzgerald non a caso è conosciuto soprattuttoper i suoi racconti e certamente la sua scrittura assorbì molteplici tec-niche dell’allora nascente cinema hollywoodiano, presso cui l’autoretrovò impiego come sceneggiatore e dove, peraltro, morì nel 1940. Ora, la poetica del simbolo che trova unità dalla ricomposizione diframmenti e acquista senso grazie alla forma vede già una sua primarealizzazione nel Tardo-Decadentismo o Estetismo, ma mai quantonell’estetica di Fitzgerald la teorizzazione dell’irrealtà che sublima eautentica la realtà è stata sistematica, pur lasciando in sospeso unacerta ambivalenza. Baz Luhrmann non opera diversamente, quando inserisce nel suoGrande Gatsby se stesso come comparsa e come direttore d’orche-stra il supervisore dell’intera musica del film, Anton Monsted che,non a caso, in un’estetica camp chiama Trimalcione, primo riferi-mento letterario di Fitzgerald tratto dal Satyricon petroniano (Tri-malchio è il titolo della primissima edizione del Grande Gatsby): ilromanzo oscilla inarrestabilmente fra Simbolismo e Realismo e Luhr-mann incrementa lo scambio fra queste due polarità.La costruzione di metafore, tuttavia, tanto nel Grande Gatsby quan-to nei suoi adattamenti cinematografici procede attraverso la ricom-posizione metonimica di segmenti: se Jakobson origina due distintiorientamenti letterari a seconda delle relazioni con cui il linguaggio faintersecare due termini (il Simbolismo per selezione metaforica, ilRealismo per combinazione metonimica),30 nel Grande Gatsby siravvisa un’osmosi tra i due procedimenti, essendo la narrazione ine-quivocabilmente protesa verso la contaminazione col linguaggio delcinema, che appunto crea parallelismi e metafore smontando e sele-zionando più segmenti di scene nel montaggio. Dunque anche per Il Grande Gatsby possiamo dire che

«metafore poetiche» procedono «collegando con profonda pertinenza or-

dini di idee lontanissimi in base a somiglianze razionalmente non meno pre-testuose dell’omofonia verbale»31.

Questa descrizione dà conto di come la traduzione del Grande Gat-sby di Fernanda Pivano sia fortemente onomatopeica e, ancora, inche modo un aggettivo qualificativo faccia acquistare senso nel pas-

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saggio dall’inanimato all’animato o, viceversa, dall’umano all’anima-le o all’oggetto cui si riferisce, per connotazione e non più mera de-notazione. In questo modo si possono leggere le connessioni che si stabilisconometonimicamente fra le due declinazioni aggettivali del significanteverbale “drappeggiare” a p. 12, per cui Jordan e Daisy vanno in-contro ad una metamorfosi voluttuosa, parallelamente a quella pro-dotta dal vento che irrompe dalle finestre nello stesso salone, tra-sformandolo in un pallone aerodinamico; così si spiega anche la me-tafora della “donna equilibrista” Jordan, campionessa di arguzie:

«Stava distesa sul divano, completamente immobile, e col mento un po’ sol-levato come se vi tenesse in equilibrio qualcosa in procinto di cadere»32.

Per tematizzare come i contorni di un’identità fluida siano sorrettidalla precarietà dell’esistenza e che l’ontologia della realtà vada de-costruita in favore di un uso cosciente della spersonalizzazione, val-gano le parole che Orlando trae dal Motto di spirito di Freud:

«Io sono pronto a rinviare l’appagamento, ma so io forse se domani ci saròancora? Di doman non c’è certezza. Sono pronto a rinunciare a tutte le viedi appagamento proibite dalla società, ma sono sicuro che la società micompenserà di questa rinuncia, aprendomi – sia pure con un certo rinvio –una delle vie permesse? Ciò che questi motti di spirito mormorano, è pos-sibile dirlo ad alta voce: che i desideri e le brame degli uomini hanno undiritto di farsi ascoltare accanto alla morale piena di pretese e priva diriguardi, e ai giorni nostri è stato detto in proposizioni energiche ed emo-zionanti che questa morale è solo la prescrizione egoistica dei ricchi e po-tenti, che possono in ogni caso appagare i loro desideri senza rinvio (…).La voce che si solleva in noi contro le esigenze della morale non potrà ve-nire soffocata. Ogni uomo leale finirà col fare questa confessione almeno difronte a se stesso (…). Bisogna che gli uomini connettano a tal punto laloro vita a quella degli altri, riescano a identificarsi con gli altri così in-timamente, che l’accorciamento della durata vitale propria risulti sor-montabile, e non si devono soddisfare indebitamente le esigenze e i bi-sogni propri, bensì lasciarli inappagati, perché solo il protrarsi di tanteesigenze inappagate può sviluppare la forza che ci vuole per modificarel’ordinamento sociale»33.

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Questa citazione ha il merito di individuare nell’ironia, promossa dalCamp, lo strumento principe utilizzato per scardinare il motivo del tem-pus edax, rintracciando già nell’Estetismo lo sviluppo di una strategiadi decostruzione della realtà: si legittima, così, la concezione dell’arteper l’arte e viene sostanziata la figura dell’esteta rispetto a quella ste-reotipata del gaudente trimalcionesco, che sfida la voracità del tempotramite lo scialacquamento del desiderio, di fatto mercificandolo. È evidenziando questa fusione che Gatsby si differenzia da Trimal-cione, inteso da Fitzgerald come etichetta, ovvero una delle tante me-tamorfosi dell’identità intrinsecamente performativa e proteiforme34.L’utilizzo dell’Estetismo riguarda sia Gatsby che Meyer Wolfsheim,ma il suo “padrino” malavitoso non si inserisce in una chiave di let-tura camp, perché esibisce così ossessivamente all’esterno la distoniainteriore da negare la società e crearsi un’etica che lo pone al mar-gine della propria coscienza, riducendosi a pedina dell’altrove men-tale di tutela di sé che si creano tutti i capimafia.Il risultato è che il personaggio non si configura soltanto come aliena-to dalla società, ma come chi viene bandito dalla realtà perché vi creadelle connessioni forzate, celandosi in una vera e propria realtà fitti-zia, come mostra la battuta con cui Meyer Wolfsheim entra in scena:

«Ho dato il denaro a Katspaugh e gli ho detto: “Va bene, Katspaugh, non dar-gli un soldo finché non tiene la bocca chiusa”. Ha chiuso la bocca subito»35

perché, evidentemente, l’uomo di malaffare in questione, Katspaugh,volendo osservare il mondo per come se lo immagina, per soddisfa-re interessi personalistici o ha ucciso un uomo oppure lo ha assimi-lato entro la sua logica costrittiva, dietro un tentativo di corruzione.Le contraddizioni emergenti dalle reazioni offerte dalla coscienza in-dividuale all’ordinamento sociale costituito esploderanno nell’accu-mulo del represso da parte di Gatsby, che vi assommerà la frustra-zione prodotta dall’impossibilità di realizzare un sogno, rendendoloontologico su Daisy. È la morte del Camp, e in Gatsby si verifica quando il personaggionon si spersonalizzerà più in uno, nessuno, centomila ma, come tut-ti gli altri, inizierà a stabilire connessioni strampalate e farraginose direaltà: Daisy diverrà la causa dell’esistenza di Jay Gatsby e non l’ori-gine delle metamorfosi concentriche della sua identità performativa.

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Tuttavia, secondo l’andamento tipicamente circolare del Camp, cheprocede per continui scarti di forme e di circostanze di realtà, nelGrande Gatsby si torna dalla fine al punto di partenza soltanto quan-do Gatsby muore e, crollando insieme a lui il simbolo che rappre-senta, si scioglie ogni paradosso: se il Camp privilegia la commedia,in questo caso la tragedia, per contrasto, consacra il carattere effi-mero e transeunte della finzione, perché la società è la morte dell’in-dividuo.La narrazione si mostra coerente con la chiave di lettura camp dal-l’incipit, quando Nick, secondo l’atteggiamento citazionale delCamp, ricorre alle parole di suo padre, usate come promemoria:

«Quando ti vien voglia di criticare qualcuno (…) ricordati che non tutti a que-sto mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu»,

tanto più che la concezione mimetica dell’arte, intesa come copia inassenza dell’originale, si afferma anche attraverso una citazionecamp del Ritratto di Dorian Gray:

«Non ho mai visto questo prozio, ma pare che gli assomigli; in particolare,pare che assomigli al quadro piuttosto brutto appeso nello studio di mio pa-dre»36.

Nick, perciò, reduplica Gatsby perché autentica la realtà tramite la fin-zione, in cui individua l’essenza della realtà medesima, cioè la «pro-messa che la roccaforte del mondo era saldamente basata sull’ala diuna fiaba»,37 realizzando questa stessa metamorfosi aerea e volatilequando afferma:

«La condotta può fondarsi sulla roccia salda o sulle paludi malfide, ma a uncerto punto non mi importa più su che cosa si fondi (…). Se la personalitàè una serie ininterrotta di gesti riusciti, allora c’era in lui (Gatsby) qualcosa displendido, una sensibilità acuita alle promesse della vita, come se egli fossecollegato a una di quelle macchine che registrano terremoti a ventimila chi-lometri di distanza»38.

L’assimilazione di Nick a Gatsby e al Camp, dunque, è offerto dallaspersonalizzazione di cui Nick compie un uso cosciente attraverso

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continue metamorfosi estetiche, per mezzo della de-realizzazione cheil narratore applica alla sua città natale, un non-luogo senza nome nétempo, senza contare che lo stesso Nick sancisce dallo smarrimentoil proprio diritto di cittadinanza nell’immaginaria propaggine dellametropoli di New York, West Egg (che corrisponde all’isola di Mah-nattan), indicando la strada da percorrere a uno sconosciuto.L’orientamento verso il Camp si fa, quindi, sempre più incalzante ela scrittura si protende verso una metamorfosi cinematografica, dacui mutua l’espediente di incorniciare gli sketches con colonne so-nore, così come ne desume il lessico:

«E così col sole e le grandi esplosioni di foglie che crescevano sugli alberi,proprio come crescono le cose nei film accelerati, mi venne la solita con-vinzione che la vita ricominciasse con l’estate»39.

Gli stessi personaggi entrano in scena evocando quasi col rumore deipropri passi l’essenza alata della finzione, che shakespearianamente «hameno sostanze dell’aria ed è più incostante del vento»,40 perché diven-tano oggetto integrato di realtà salendo sul palcoscenico della finzone:la “copia” di un Hotel de Ville della Normandia offerta dal favoloso ca-stello di Gatsby è emanazione diretta di quest’ultimo che, prima ancoradi conoscere, Nick definisce con una metonimia, cioè non come uomosenza volto, bensì «un palazzo abitato da un signore di quel nome»41.Questa descrizione non soltanto fa scomparire la dimensione umanae visiva di Gatsby, ma dà anche spazio alla simbolizzazione dell’indi-viduo per mezzo di un’estetica metonimica, che decostruisce consferzante ironia la realtà per ri-crearla sotto nuova forma. Le battutein forma di paradosso di Nick sono esemplari. Tra queste, è possibi-le ricordare:

«Quanto alla mia casa, era un pugno in un occhio, ma un pugno tanto pic-colo da essere trascurabile»; «E così andai a trovare due amici (Daisy e Tom) che conoscevo a malapena»; «Ero consapevole di voler guardare tutti consapevolmente, e insieme evita-vo gli occhi di tutti»; «Non si può smettere di frequentare una vecchia amica per via delle chiac-chere, e d’altra parte non avevo nessuna intenzione di farmi spingere dallechiacchere al matrimonio»42.

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Il Grande Gatsby fa emergere il contrasto tra la chiave di letturacamp dell’esistenza promossa da Gatsby e la brutalità della realtàdirompente dalla società riproponendo lo sdoppiamento sul narra-tore Nick, che non dimentica la sua educazione borghese quandoafferma:

«Sarei ridiventato il più limitato di tutti gli esperti, “l’uomo versato un po’ intutto”. Questa non è soltanto una battuta di spirito: dopo tutto la vita si os-serva con maggior vantaggio da una finestra sola»,43

ma la decostruisce come “etichetta” o prima metamorfosi della suaidentità performativa. Nick, dunque, fagocita l’ottica materialistica delle convenzioni bor-ghesi, che cristallizzano e, di fatto, annullano l’irrealtà della realtà,sebbene la dicotomia riemerga sotto forma dell’ossessiva mania peril controllo di Tom, esprimendone la negazione freudiana.Tom è irrigidito nell’immagine di sé fornita dalla sua educazione ed èincapace di reinventarsi, da quel suo essere

«uno di quegli uomini che raggiungono a ventun anni una fama così ben de-finita che tutto ciò che fanno dopo perde al confronto ogni importanza»44.

Tuttavia, Tom percepisce il senso di vuoto che aleggia intorno a sécompensandolo con una vitalità istintiva e primordiale, che sfocianell’inquietudine di dover salvare perennemente qualcuno o qualco-sa45 e rasenta la violenza dell’imperialismo, come quando cita La na-scita degli imperi di colore (1924) di Goddard.La moglie Daisy non tarderà a stancarsi di ridurre la felicità a com-promesso, ma non riuscirà comunque a spuntare il tentativo di di-staccarsi dalla gabbia dorata dell’opulenza della società e del narcisi-smo di Tom, ripudiando quello di Gatsby.Daisy viene de-realizzata dalla narrazione di Nick, che traspone inquesto senso il punto di vista di Gatsby e se ne immedesima facen-dolo proprio e reduplicandolo: Daisy manca di qualsiasi descrizionefisica, non ne conosciamo se non andando oltre nella lettura il colo-re (nero)46 dei capelli, né l’abito che indossa quando compare in sce-na, perché è il simbolo di una società che seduce ma dilacera e siidentifica con la sua voce

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«bassa e conturbante (…) che l’orecchio segue in tutte le sue modulazioni,come se ogni parola fosse un raggruppamento di note che non verrà maipiù ripetuto (…), un invito modulato, un “Ascoltami” bisbigliato, che pro-metteva per l’ora seguente cose gaie e interessanti come quelle vissute unminuto prima»47.

Daisy è l’incarnazione dello sdoppiamento della realtà che si ripercuo-te interiormente a livello di distonia e scissione fra represso e repres-sione: è una sirena, che non giustifica il proprio comportamento per-ché è qualificata da meri atti di circostanza (se beve, lo fa frenetica-mente per dimenticare eventi traumatici, come accade anche alla so-rella di Myrtle Wilson dopo la sciagura che tocca a quest’ultima). In questo senso, Daisy diventa lo specchio che rifrange l’assurdità delpassato che non si può ripetere e l’insensatezza dei presagi funestiche si manifestano nella realtà: avendo spesso la faccia rigata dallelacrime, si trasforma nella maschera di ciò che è irrimediabile, al pun-to che sarà lei stessa a determinare la decisiva capitolazione deglieventi. Anche Jordan Baker, Myrtle Wilson e tutte le comparse che ruotanoattorno ai protagonisti (Nick, Daisy, Gatsby e Tom) non se ne disco-stano, anzi, tendono istericamente ad assimilarsi allo stile di vita deiloro idoli, vivendo di riflesso rispetto alle loro immagini. La società, dunque, rovescia le intenzioni del Camp, perché noncompie un uso consapevole della spersonalizzazione, in modo da en-trare in simbiosi con la totalità della realtà come costante oggetto dimetamorfosi proteiformi, ma si nutre di protesi di realtà come surro-gati di un’umanità perduta e alimenta la mistificazione del reale e l’a-lienazione. Ad ogni modo, la volontà dell’individuo di integrarsi più ampiamenteentro l’orizzonte sconfinato dei desideri e delle aspettative riaffiora allacoscienza sotto forma di represso e chi non abbia il coraggio di im-prontare la propria identità alla pluralità rimane vittima della distonia:non è un caso che tutti personaggi che transitano nella zona grigia frail Camp e la società borghese (Daisy, Jordan, Nick, Myrtle e GeorgeWilson), almeno una volta per ciascuno nel corso della narrazione, pro-nunciano discorsi incoerenti rispetto alle circostanze, come effetto di-retto dell’alienazione esistenziale nella quale si trovano a vivere e, perquanto possibile a livello più o meno conscio, per reazione.

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Nick, ad esempio, usando la scrittura come terapia, lo dice aperta-mente:

«A volte Daisy e la signorina Baker parlavano d’improvviso con una discre-zione e incoerenza spiritosa che non era un semplice chiacchierare, ma eraqualcosa di freddo come i loro vestiti bianchi e gli occhi, impersonali nel-l’assenza di qualche desiderio»48.

In realtà, questi personaggi hanno paura di essere giudicati e di mi-surarsi con la parte di realtà che rifiutano, col risultato di rendere on-tologica la Paura stessa e di negare i propri desideri. In questo modo, l’irrealtà della realtà si trasforma in menzogna e il so-gno si spezza dietro il tentativo di evadere la realtà, non di migliorarla:è questo il meccanismo che conduce alla creazione di spettri, gettando“polvere sozza” sulla sostanza eterea del sogno, che si trasforma in unpresagio funesto49 come risultato dello sforzo di ravvisare per ciascunevento una causa, quando si tratta in realtà di un’inferenza. Un primo esempio della deformazione mostruosa del reale, innesca-ta storicamente dall’incalzante tecnologizzazione e conseguente alie-nazione della società è offerto dalla “presenza stridula e metallica” diMyrtle, che si esibisce ossessivamente all’amante grazie all’invenzio-ne del telefono (che torna freneticamente a tormentare anche Gat-sby, senza contare che Nick interrompe la relazione con Jordan pro-prio per telefono) ma, prima ancora, dal presagio che dà avvio a tut-ta la serie di riferimenti (immancabilmente forieri di sventura) che ci-tano le automobili, sempre associate alla morte, fino al simbolo del-la cosiddetta “automobile della morte” dell’incidente finale. Vale la pena evidenziare soltanto il primo, dietro il quale non si sten-ta a ravvisare una citazione dantesca, ampliata nel secondo capitolodedicato alla Valley of Ashes:

«L’intera città è disperata. Tutte le macchine hanno la ruota posteriore sini-stra dipinta di nero in segno di lutto e durante la notte sulla riva settentrio-nale del lago non tace il pianto»50.

Il capitolo si chiude con l’ipallage dell’«oscurità inquieta» (“unquietdarkness”),51 che in realtà si riferisce allo stato d’animo indotto dallarealtà nel soggetto narrante, Nick che, isolato dall’alienazione circo-

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stante, crea simboli di realtà destrutturando metonimicamente la nar-razione secondo un’estetica camp, che esplode nei capitoli successi-vi attraverso la presentazione di innumerevoli metamorfosi, non sol-tanto animalesche. La contaminazione con generi letterari tardo-gotici ed orrorifici apreil secondo capitolo del Grande Gatsby, perché descrive l’alienazionedella manodopera operaia che viene ridotta a un ammasso indistintodi cenere dalle vaghe sembianze antropomorfe, per effetto dellosguardo deformante della società che pone ai margini il riflesso opa-co e sgranato dei meccanismi di produzione: è la cenere che si solle-va da terra a restituire l’immagine dell’uomo – vittima di una mac-china statale invasiva e impersonale, che opera la repressione e per-segue scopi opportunistici con ogni mezzo.L’alienazione si materializza nelle figure dei minatori descritti comemostri di cenere dalle sembianze vagamente umane, perché sono pri-vati dell’identità dal materialismo della società.Il risultato è che i lavoratori, pur alimentando i meccanismi di produ-zione, ne sono esclusi non solo economicamente, bensì a livello di di-gnità umana, venendo ripagati dal nulla, poiché sono percepiti daivertici della società come rifiuti o ingranaggi, per assimilazione colprodotto che fabbricano. Abbondano le citazioni dall’Inferno di Dante (si parla di “spasimi dipolvere” o “spasms of bleak”, “fiumiciattolo sporco” o “foul river”,“lugubre scena” o “dismal scene”, “mucchi di cenere” o “ashhea-ps”),52 e Fitzgerald crea metonimicamente il simbolo della “cecitàeterna” (“eternal blindness”) perché la cenere che invade ogni cosaarriva a toccare anche l’insegna pubblicitaria degli occhiali del dottorT. J. Eckleburg.In questo universo deformato di spettri, con la figura di George Wil-son si traspone l’incarnazione del fantasma, un cadavere ambulante“smorto” e “anemico”, abbarbicato apaticamente alla moglie, attor-no alla quale investe tutte le (poche) sostanze economiche ricavatedalla propria rimessa di automobili. Se si tiene conto che queste ulti-me nel Grande Gatsby sono sempre associate alla morte, non puòesistervi miglior custode di Wilson. Continua la ricomposizione di frammenti di realtà e la metonimia concui viene descritto il garage di Wilson fa scambiare il contenuto per ilcontenitore, con Wilson che

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«andò nello sgabuzzino confondendosi immediatamente col color cementodelle pareti. Una polvere biancastra di cenere gli copriva il vestito scuro e icapelli scoloriti, come copriva tutto lì attorno, tranne le moglie che si avvi-cinò a Tom»53.

Alla fine la «polvere sozza che fluttuava nella scia dei (…) sogni»54 siriverserà anche sul cadavere smembrato di Myrtle Wilson e la ridu-zione del marito ad una macchina sarà equiparata alla metamorfositeriomorfa della stessa Myrtle, resa tanto più grottesca quanto piùtenterà di assimilarsi alla società borghese.Se la realtà più autentica è mandata in esilio e viene sostituita da unasocietà opulenta ed esibizionista, che nasconde una parte (la più lu-minosa) di sé, premesso che tutti i personaggi del Grande Gatsbynon siano esenti dal represso e da manifestazioni di evidente nega-zione freudiana, all’uomo non rimangono che le seguenti alternative: a) giacere a terra perché melmosamente invischiato nell’ombra e

polvere, già di oraziana e dantesca memoria (è il caso di Wilson); b) rinchiudere i propri sogni nelle rigide formalizzazioni borghesi e

trasformarli, così, in illusioni (Daisy e Gatsby in un secondo tem-po, Jordan e Nick quando è in coppia con Jordan);

c) esorcizzare il dirompente materialismo stagnante nelle convenzioniattraverso il vano dispendio di energia vitale, che misura la repres-sione del desiderio nella forma di pulsioni e istinti (Tom e Myrtle);

d) vivere il proprio esilio come la cacciata dal paradiso terrestre, ri-nunciando a sé per nascondersi entro una gabbia dorata come inb), all’interno della quale la coscienza è distrutta dal peso della con-danna, cosicché rimanga solo alienazione mentale (Meyer Wolf-sheim).

È evidente che i modelli c) e d) chiudono ciclicamente quello pro-spettato da a) e che l’interiorità lacerata progressivamente fuoriescain una climax della violenza verso l’esterno, ponendo l’uomo al biviotra la virulenza di una società auto-distruttiva e la guerra aperta neiconfronti di quest’ultima. Inoltre questa esemplificazione conferma eloquentemente che unastrategia di sopravvivenza c’è, e si manifesta nel primo Gatsby e nel-l’evoluzione di Nick, cioè nel graduale slittamento verso un modellocamp di esistenza, una volta fuori dal quale Gatsby puntualmentescompare.

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Per mettere ancora più a fuoco questo sistema di personaggi, si pos-sono prendere in esame quelle strategie di simulazione (teorizzate daBaudrillard come reazione all’alienazione), che valgono come sovra-strutture di cui si cela il mondo in cui viviamo, cioè

«una forma di assorbimento o di risucchio potenziale, in cui nessun sogget-to … può essere certo di non cadere (Meyer Wolfsheim), o … una di-strazione mortale (Daisy e Gatsby), … non si tratta più neanche di tra-

viare l’innocenza e la virtù – non ci sono più, per far questo, né abbastanzamorale né abbastanza perversione – (Tom e Myrtle)»55.

In quest’ottica assumono piena contestualizzazione il fantasma di Geor-ge Wilson e la grottesca metamorfosi della moglie, di cui Luhrmannmette in risalto l’animalesca massa corporea grazie al contrasto tra ladiscesa del personaggio dall’alto verso il basso di una scala e l’inqua-dratura di movimento opposto, condotto dal basso verso l’alto.La sfera dell’animalità connota sempre più Myrtle come ape reginadel festino improvvisato a New York con l’amate Tom; per l’occa-sione compra persino un cagnolino, cioè un finto Airdale; ma la me-tamorfosi animale intesa come surrogato di un’umanità irrimediabil-mente perduta scaturisce da un’ibridazione di forme distorte:56 manmano che lo sguardo si avvicina, l’immagine fotografica presa comel’ingrandimento di una gallina a dimensioni naturali assume la formadell’animale accovacciato sulla testa di una signora, cosa che, infine,fa capire che si tratta della testa della stessa donna, con indosso unvistoso cappello a forma di gallina o somigliante a una gigantescagallina.Ben riconoscibile nella scena è l’applicazione della tecnica cinemato-grafica dello zoom, che si ravvisa anche in altri due passi del capito-lo, laddove gli occhi di tutti i partecipanti al festino vengono puntaticome riflettori su un unico soggetto, prima Myrtle, poi Nick, che sisente additato come avesse commesso un irreparabile torto. L’altra tecnica cinematografica mutuata da una scrittura camp è l’u-nione tra zoom e zoptic, che investe letteralmente Myrtle, sroto-lando la focalizzazione che si chiude a cerchio sul soggetto in duesezioni che scorrono a velocità opposta, accelerata se inquadra di-rettamente il soggetto, rallentata se incornicia tutto ciò che ne è aldi fuori:

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«Il riso, i gesti, le affermazioni, divennero di momento in momento semprepiù violentemente affettati e con l’espandersi di lei la stanza si fece semprepiù piccola, finché parve che la donna girasse su un perno rumoroso e scric-chiolante nell’aria piena di fumo»57.

Myrtle, tuttavia, è un “ectoplasma” come la suddetta fotografia, cheNick qualifica come ritratto della madre della signora Wilson, conl’aggiunta alla descrizione rinnovata di sempre nuovi dettagli, secon-do il procedimento circolare del Camp: Myrtle cambia tre abiti nel-l’arco di nemmeno dodici ore, anzi la sua personalità si definisce inbase all’abito che indossa, ma le sue metamorfosi estetiche non sboc-cano in un uso camp della performatività, ma ristagnano nelle cri-stallizzazioni di maschere borghesi (e infatti arrivata al terzo abitoMyrtle comincia a darsi un tono borghese). La fito-morfizzazione dell’orchidea umana a pagina 111 si configuraanalogamente come reazione “spersonalizzata” e alienante agli ec-cessi del proibizionismo58.C’è di più: la frenesia come strumento di reazione all’intossicazioneprodotta ora dall’alcol (Nick confessa lapidariamente: «Mi sono ubria-cato soltanto due volte in vita mia. La seconda volta fu quel pome-riggio»59), ora dal fumo finisce per travolgere anche il cagnolino ap-pena acquistato da Myrtle, che

«era seduto sulla tavola e guardava con gli occhi accecati dal fumo, gemen-do fievolmente di quando in quando»60.

Inoltre, il meccanismo di negazione freudiana che intossica e stordi-sce è associato alla sostanza della lavanda che caratterizza tra gli al-tri soprattutto Gatsby e, prima ancora, Myrtle: la tragica fine di que-st’ultima si snoda parallelamente alla capitolazione di Gatsby, già digran lunga anticipata, cosicché dà colore alla sventura persino la cro-matura del taxi con cui Myrtle si fa trasportare a New York, incro-ciandosi con gli interni lavanda dell’automobile che riconduce dopocinque anni Daisy da Gatsby e si configura, così, come un ulteriorepresagio funesto.Merito di questo secondo capitolo, oltre a far risaltare per contrastocol suo pretenzioso festino l’effervescente festa di Gatsby che pren-derà piede nel terzo, sfruttando in questo tecniche narrative molto

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camp, è sottolineare come la distorsione di realtà sia frutto di infe-renze basate nulla altro che sulla banale evidenza: Daisy, nativa diLouisville e degna rappresentante del puritano Middle West, diventacattolica in bocca alla sorella di Myrtle, che in questo modo giustifical’impossibilità da parte di Tom a sposare l’amante. La menzogna si muove ad anello, insomma, intorno alla realtà, co-me dà conto la narrazione circolare di Fitzgerald, in grado di trala-sciare molti dettagli per ricomporli di volta in volta entro quadri direaltà che si arricchiscono di “etichette” sempre nuove: la narrazio-ne torna nella propria ansa dopo aver restituito ondate di flash ru-morosi e spumeggianti, di cui è esemplare la chiusa di capitolo:

« - La Bella e la Bestia… Solitudine… Il ponte di Brooklyn… Poi mi ri-trovai mezzo addormentato nel gelido piano inferiore della PennsylvaniaStation, a fissare la Tribune del mattino, in attesa del treno delle quattro».

Così, anche la frizzante festa di Gatsby, che lo identifica come simbo-lo del Camp, permea la narrazione attraverso la “gialla musica dacocktail” che deborda all’inizio del terzo capitolo, trascinando lungo lascia del suo movimento circolare ogni singolo brandello di realtà cheincrocia, in modo da ricomporne per metonimie i frammenti: la cro-matura che è all’insegna della generosa profusione di alcol, il “giallo”cocktail offerto agli ospiti, si propaga sonoramente attraverso i calicigiganteschi che si levano e dà colore alla musica “gialla” della festa, ri-specchiata da una narrazione circolare, improntata all’eccesso, l’accu-mulo iperbolico e il rovesciamento dato dal paradosso61. Si offra solo uno spezzone, molto cinematografico, di questi quadri,che Luhrmann traspone utilizzando inquadrature circolari e/o pano-ramiche oblique e dall’alto:

«Ora in giardino stavano ballando sulla tela; c’erano vecchi che spingevanole ragazze all’indietro in continui circoli sgraziati, coppie di classe che sistringevano tortuosamente secondo la moda, … tra un’esecuzione e l’altrala gente improvvisava “numeri” (…). Il carattere della composizione del si-gnor Tostoff mi sfuggì, perché proprio mentre ne veniva iniziata l’esecu-zione gli occhi mi caddero su Gatsby, in piedi, solo sui gradini di marmo,intento a passare lo sguardo da un gruppo all’altro approvando con gli oc-chi (…). Quando The Jazz History of the World fu terminata, le ragazze

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… si abbandonavano per scherzo all’indietro fra le braccia degli uomini;anche a gruppi interi sapendo che qualcuno avrebbe fermato la loro ca-duta (…). Uno degli uomini parlava con strana intensità a una giovane at-trice, e la moglie di lui dopo aver tentato di affrontare la situazione con unsorriso dignitoso e indifferente ebbe un collasso e decise di ricorrere ad at-tacchi laterali: gli compariva improvvisamente accanto a intervalli comeun diamante sprizzante collera e gli sibilava all’orecchio: “L’hai giurato!”(…). Benché le mogli convenissero che tanta malvagità superava ogni limi-te, la discussione finì in una breve zuffa ed entrambe vennero sollevate scal-cianti nella notte»62.

Il ritmo vorace delle feste che Gatsby apre nel suo castello è pur sem-pre scandito dalla tecnologia spersonalizzata di «una macchina chespremeva il sugo di duecento arance in mezz’ora, purché il pollice diun maggiordomo premesse duecento volte un dato bottoncino»,63 chequi risulta, però, l’appendice di una realtà sublimata nella sua esten-sione oltre i limiti imposti dalla finzione e dalla metamorfosi. In una società caratterizzata dalla perdita della nozione dell’originale,l’aura dorata64 dell’essenza della realtà non si perde attraverso la ri-producibilità tecnica, ma il senso ultimo delle cose scaturisce propriodalla partecipazione all’estensione illimitata della realtà attraversol’accumulo manieristico, l’iperbole, il paradosso e l’artificio, che sonole cifre della ripetizione dell’estetica della forma, sì circolare, ma divolta in volta sempre variata: non è Gatsby che compie un uso stru-mentale delle sue feste e di Nick, sono le «ombre (dei suoi visitatori)che si incipriavano e imbellettavano davanti a uno specchio invisibi-le»65 a spadroneggiare persino sull’ospitalità del padrone di casa, per-ché al di fuori del Camp il fluido dinamismo del punto di vista chegiunge sino alla personificazione dell’inanimato cede il passo nellaprospettiva egoistica ed impulsiva di soddisfazione dionisiaca e be-stiale di sé.La realtà, dunque, nel terzo capitolo viene simbolizzata entro unaSur-realtà, che ne sublima il carattere effimero e transeunte, per-mettendo al soggetto di inserirsi nella totalità del reale, di cui diven-ta a tutti gli effetti oggetto integrato. A questo punto, tutto diventapossibile:

«Poteva capitare perfino Gatsby, senza provocare alcuno stupore»66.

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A dare avvio alla festa è la falsa notizia che la controfigura di Gilda Graydelle rinomatissime Folies abbia dato inizio alle danze aprendo con loshimmy, stile in voga nell’Età del Jazz, inventato insieme a Frisco.L’atmosfera dominante è quella della naturalizzazione dell’artificio edella dimensione adattiva e imitativa di realtà, che fa sì che persino

«la luna prematura» sembrò «estratta senza dubbio, come la cena, dal cesti-no del fornitore»67.

Ora, certamente Gatsby è un personaggio umbratile, più ascrivibilealla luna che al sole, che fa disperdere il calore e la materia eterea deisogni (il vertice della Spannung da cui Jay Gatsby si infrange comeun “cristallo vuoto” si condensa in un verosimile “giorno più caldodell’anno”, analogamente a quanto accadrà nel romanzo Lo stranie-ro di Camus): la moltiplicazione della realtà si inserisce entro un ca-leidoscopio di doppioni, che realizzano un uso prolifico dell’identitàgrazie all’artificio, ma la finzione si squarcia sotto forma di menzognaa causa della repressione operata dalla società.In questo senso, l’uso consapevole della spersonalizzazione perde ter-reno rispetto all’alienazione e restituisce questa ambivalenza non sol-tanto l’immagine dello specchio,68 ma anche il fatto che a p. 145 laseconda e ultima occorrenza del sostantivo “canestro” o “cestino”(basket), che reduplica quello della finta luna di p. 47, interrompe ilcostruttivo meccanismo di “campificazione” che rendeva possibilel’impossibile e ora circoscrive l’assurdità della gabbia in cui l’uomo èbloccato dalla menzogna e dalle inferenze:

«(Tom) sbirciò sopra un circolo di teste nel garage illuminato soltanto da unalampada dalla luce gialla in una cesta di metallo oscillante al soffitto. Poiemise un suono gutturale e con un gesto violento delle braccia possenti si fe-ce largo»69.

La luna non illumina più uno scenario onirico che risulta un gioco diprestigio estratto dalla magica cesta dell’artificio, ma la realtà apparepiù grottesca e brutale di ogni finzione: Tom, infatti, scavalcando lafolla ansante sopra il cadavere di Myrtle Wilson si cala entro un con-testo allucinatorio, nel quale la luce fendente di una lampada asetticasimbolizza la vendetta che si abbatterà su Gatsby, considerato il solo

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colpevole dell’omicidio di Myrtle per effetto della distorsione deglisguardi sulla realtà. Tornando alla festa, infittiscono la sfera ludica dello scherzo (si parladi “parco divertimenti”, “serraglio”, “caravanserraglio”, “carrozzoneda circo”) le serie infinite di maschere e di doppioni che fanno la lo-ro comparsa nei movimenti di una narrazione collezionista e citazio-nale della realtà: un esempio su tutti, le “due gemelle da palcosceni-co”, vestite allo stesso modo, che non parlano se non coralmente esi fanno specularmente eco, contribuendo ciascuna, secondo le pro-prie distintive peculiarità, a creare originalità all’interno della ripeti-zione circolare di copie di realtà. Così, il modello camp di esistenza che viene tematizzato entro l’at-mosfera “imprevedibile” e “a sorpresa” delle spettacolari feste di Gat-sby si definisce per scarto rispetto all’alienazione della società, comequella che Nick attribuisce a

«quattro ragazze … mai le stesse … ma … così identiche le une alle altre cheera inevitabile credere di averle già viste. Ho dimenticato i loro nomi … e iloro cognomi erano o nomi melodiosi di fiori o di mesi o quelli più aspri dicapitalisti americani di cui le ragazze ammettevano, se si insisteva, di esserecugine»70.

Luhrmann rappresenta icasticamente la circolarità del Camp, che ri-compone le dissonanze registrabili specularmente fra i molteplicidoppioni dell’identità attraverso la presentazione delle due gemelleda palcoscenico come il Cigno Bianco e il Cigno Nero del Lago deiCigni, cioè due maschere uguali, ma di segno opposto che arricchi-scono le diverse facce della medesima identità, ciascuna con le pro-prie peculiarità. In questo capitolo manieristico è l’uso di citazioni da elementi carat-teristici di realtà letterarie precedenti, come “crepuscolo”, “romanti-co”, “gotico” nella spettrale “biblioteca gotica”71, regno di Occhio –di – gufo, il cui scetticismo fa eco al realismo materialistico di Tom («Ilfatto che avesse una donna a New York era in fondo meno sorpren-dente del fatto che si fosse lasciato impressionare da un libro»72. Il li-bro in questione è il già citato La nascita degli imperi di colore diGoddard, che riecheggia lo Stoddard citato da Occhio – di – gufo).A rendere possibile che il sogno diventi realtà è proprio Gatsby, che

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fa la sua comparsa come un volto che sorride e si prende gioco del-lo “scetticismo universale”, perché il simbolo che rappresenta graziealla metonimia del sorriso non crolla all’istante come le affettate ma-niere che esibisce, e lo spettatore dietro lo sguardo di Nick impie-gherà tempo per comprendere che quello stesso sorriso non è affat-to di circostanza, ma Gatsby è ingenuo da rasentare la credulità, per-ché confida nella persona che ha di fronte «come a lei sarebbe pia-ciuto credere in se stessa»73. Con lui le parole non bastano, per questo lascia quasi tutti i suoi di-scorsi in sospeso e bada, piuttosto, come un idolo, a selezionare lepoche parole da dispensare con cura, preferendo troncare frasi mol-to lunghe: questa è la spia della negazione freudiana di Gatsby, ri-flessa da Nick quando afferma:

«Mi chiesi se il fatto che (Gatsby) non beveva aiutasse a distinguerlo dagliospiti, perché mi pareva che diventasse sempre più corretto a misura chel’allegria generale cresceva»74.

Ogni festa che Gatsby dà è esclusiva, perché si irradia attraverso lapromanazione infinita del reale che, peritura ed effimera come la vo-ce di Daisy, conferma la teatralità della realtà: come uno spettacoloteatrale, sempre identico e diverso in ogni sua performance, Gatsbye la sua identità che viene emanata dalle spettacolari feste è presagodel senso di morte, anticipato dal siparietto in cui ritorna Occhio – di– gufo alla fine del capitolo, vacillante tra i rottami di un’automobile. Questo smembramento riflette quello compiuto sul reale dalle infe-renze e degli utilitarismi e Occhio – di – gufo viene accusato sino al-l’assurdità di aver guidato senza saperlo fare, anzi, proprio al fine disuicidarsi. In realtà, a “suicidarlo” sono le parziali inferenze e som-mari giudizi di chi lo osserva e non guarda oltre il proprio naso, col-pevolizzando la vittima fino a renderla complice dell’occhieggiantesocietà rapace, che ne incrementa la distruzione dall’interno.Inutile dire che questo primo esempio di incidente d’auto prelude al-la tragedia finale, determinata da circostanze analoghe, tanto più chesi lega all’ennesimo presagio di morte associato all’incidente d’autodi Tom durante la sua luna di miele, in cui si svela che il personaggioera in compagnia di un’amante casuale e già tradiva Daisy all’iniziodel matrimonio.

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È per questo che Occhio – di – gufo incarna lo scetticismo: nonespande la realtà attraverso le metamorfosi estetiche di un’identitàperformativa, ma colma lo scarto e la distonia coltivando sterili infe-renze, che finiscono per smascherare il vuoto in cui sono state ali-mentate, lo stesso

«vuoto improvviso (che) ora parve emanare dalle finestre e dalle grandi por-te (del palazzo di Gatsby), avvolgendo in un isolamento totale la figura delpadrone di casa, in piedi sulla veranda con le mani alzate in un gesto ceri-monioso di addio»75.

Occhio – di – gufo fa cadere le infinite propaggini di realtà alimenta-te da Gatsby come molteplici surrogati di una dimensione primigeniairrimediabilmente perduta, svuotando le metamorfosi estetiche diun’identità proteiforme, ossia lo specchio della pluralità della realtà,come fossero vane sovrastrutture. In realtà, Gatsby stesso è consapevole che sia la precarietà la carat-teristica peculiare dell’esistenza umana, ma se ne fa gioco grazie alCamp e, non a caso, dopo la prima guerra mondiale non torna dal-la ragazza, perché, presago del fatto che vincolarsi perennemente alei sarà la sua morte,

«sapeva che … incatenando per sempre le proprie visioni inesprimibili all’a-lito perituro di lei, la sua mente non avrebbe più spaziato come la mente diDio»76

e che avrebbe tradito la sua «concezione platonica»77.

La ragione per cui Baz Luhrmann fa scambiare da Gatsby gli occhidi Eckleburg con gli occhi di Dio va rintracciata nel comportamentodi un primo Gatsby “mimetico” che si adatta alla realtà e ai suoi ca-noni, credendo di potervi trovare collocazione attraverso la forma-zione di un’identità proteiforme; è nel momento in cui questo mec-canismo si contestualizza sempre più all’interno di metamorfosi daicontorni labili e di reazione all’alienazione della società che lo scartofa prorompere con forza lo scollamento dalla realtà prodotto dallafinzione, ed è allora che la società inizia a vivere di immagini e tra-mite un uso strumentale e manipolatorio della finzione distrugge i so-

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gni dell’individuo, illudendolo che il meccanicismo delle nuove tecno-logie non produca mere simulazioni di realtà, ma determini l’unicavia d’uscita dal labirinto.In questo senso, l’automobile di Gatsby risulta lo strumento che at-trae il personaggio verso la pulsione di morte, senza che il limiteestremo imposto da Thanatos possa più essere valicato neppure dal-la myse en abyme offerta dal narcisismo di Eros:

«L’avevo già vista. Tutti l’avevano vista. Era di un caldo color crema, lucen-te di cromatura, gonfiata qua e là nella sua lunghezza mostruosa da untrionfo di cavità per cappelli e provviste e utensili, e coperta da un labirin-to di parabrezza che rispecchiavano innumerevoli soli. Seduti dietro varistrati di cristallo in una specie di serra di cuoio verde, partimmo per lacittà»78.

Sarà Daisy stessa a incatenare Gatsby a questo meccanismo (allora sipotrà parlare di un secondo Gatsby), quando gli rivelerà il suo amo-re paragonandolo alla “réclame di uomo”, svuotando di senso ognistrategia performativa di sopravvivenza e incatenando la negazionefreudiana al tentativo coltivato da una moglie infelice, cioè l’evasionedalla gabbia dorata in cui è intrappolata dalla società.Nel quarto capitolo la corsa in automobile di Gatsby, che Luhrmannben traspone come una sfida contro un immaginario concorrente,rappresenta icasticamente il conflitto fra finzione e realtà, che entra-no in competizione osando superare, ciascuna, i propri limiti: la fin-zione esasperata supera la realtà per immaginazione (Nick è pervasodi risate incredule che subodorano la collusione di Gatsby con la ma-fia, prima ancora che incontri Meyer Wolfsheim e capisca che si trat-ti di un mafioso, tanto che si domanda «se dopo tutto non ci fosse inlui (Gatsby) qualcosa di sinistro»,79 e arriva a sminuire ciò che sta ascol-tando, allibito, immaginandosi Gatsby come «un fantoccio in turbanteche perdeva segatura da ogni poro mentre inseguiva una tigre nelBois de Boulogne»),80 ma la stessa realtà non è da meno: Myrtle Wil-son, che due capitoli prima aveva sbeffeggiato il marito quando Tomsarcasticamente «improvvisava: – George B. Wilson alla pompa dellabenzina, o qualcosa del genere»,81 ora «lavorava con ansante vitalità al-la pompa del garage mentre passavamo»82. La narrazione accelera tortuosamente verso la capitolazione finale

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sotto la spinta di presagi funesti e la società si spacca nei simulacri direaltà che restituisce, con le “dimore delle stelle del cinema” a NewYork brutalmente rovesciate da quella che appare, ormai, un’imita-zione degenere entro il palazzo di Gatsby, «dove distribuiva luce distelle a falene di ogni genere»83. Tanto più nel capitolo quinto il conflitto finzione-realtà è incentratosul desiderio e calato nella sfera della scissione interiore, perché Gat-sby fa sfociare il represso nella mistificazione, rendendo ontologicosu Daisy il filtro da cui osservare la realtà:

«Credo che rivalutasse l’intero contenuto della casa a seconda della reazioneche esso suscitava negli occhi di lei. A volte fissava gli oggetti come abbaglia-to, come se la presenza effettiva e stupefacente di lei rendesse tutto irreale (…).Forse gli era venuto in mente che il significato colossale di quella luce era or-mai finito per sempre. In confronto alla grande distanza che lo aveva separa-to da Daisy, la luce era sembrata molto vicina a lei, come se la toccasse. Erasembrata vicina come una stella alla luna. Ora era di nuovo la luce verde di unpontile. Il numero degli oggetti fatati era diminuito di uno»84.

È la moderna rivisitazione del mito di Orfeo, in cui il desiderio direaltà cade insieme alla realtà stessa: quando il cantore si volta versoil riflesso che scambia per la luce necessaria a riportare in vita l’amataEuridice, soltanto allora si accorge di averla già persa per sempre.Nel momento in cui Gatsby cessa di integrare il principio di piacerecon il principio di realtà attraverso l’uso cosciente della spersonaliz-zazione previsto dal Camp,

«la sua carriera di Trimalcione finì»85.

Tuttavia, l’affermazione di Nick:

«Mi raccontò tutto questo molto più tardi, ma io l’ho messo qui per smenti-re le prime voci fantastiche sui suoi precedenti, che non erano neanche lon-tanamente vere. Inoltre, me lo raccontò in un momento di confusione, quan-do ero arrivato al punto di credere qualsiasi e nessuna cosa sul suo conto»86

ha il merito di autenticare la finzione come dimensione più vera del-la realtà, recuperando attraverso le metamorfosi estetiche di una nar-

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razione “camp” la chiave di lettura dell’esistenza realizzata dalle plu-rimi performances dell’identità di Gatsby. Tuttavia, quando Gatsby rinnega l’intero presente in favore di un pas-sato che non sarà mai più o che non è mai stato, anche l’esteticacamp subisce un’inversione di marcia e la narrazione procede per el-lissi, sostituendo la moltiplicazione di sguardi con minacciosi presagidi sventura che si focalizzano per lo più sulla prima vittima che la di-storsione della realtà produce, Myrtle Wilson,

«così assorta da non accorgersi di essere osservata e le emozioni le passa-rono sul viso l’una dopo l’altra come le immagini in una pellicola girata alrallentatore»87.

Il ritmo della narrazione, così, con un rapidissimo scarto si avvolge suse stesso, seguendo i personaggi fino all’orlo dell’abisso, determina-to da inferenze senza senso: Tom, che in breve capisce che gli sonostate portate via sia la moglie che l’amante «si vide ritto, solo, sull’ul-tima barriera della civiltà»88 e Jordan pone a coronamento del tragi-co epilogo bislacchi sillogismi prodotti dalle inferenze:

«Lo (un tale di nome Biloxi) portarono a casa mia, perché abitavo vicinissi-mo alla chiesa. E ci rimase tre settimane, finché papà gli disse che dovevaandarsene. Il giorno dopo, papà è morto»89.

Ma il contrasto con la realtà dei sentimenti emerge in tutta la sua for-za stridente e nel sarcasmo della “colonna sonora” contrappuntisticadella scena in albergo, cioè la Marcia Nuziale di Mendelssohn, chefa affiorare alla coscienza di Daisy il represso e i rimorsi legati tantoalle promesse di fedeltà matrimoniale, quanto all’amore per Gatsby.La dimensione precaria dell’esistenza trova il suo simbolo in GeorgeWilson che, vacillante, perde la voce nel groviglio del non detto e siesprime soltanto attraverso un roco bisbiglio, prolungato incessante-mente dinanzi al trauma della moglie morta.Nick riesce a tirarsi fuori dalla repressione della società da personag-gio agens (e infatti si congeda da Daisy e Tom e tronca la relazionecon Jordan per telefono), ma anche da personaggio auctor, in mo-do da ripagare l’alienazione con pari moneta (è la reazione camp al-l’eccesso con l’eccesso).

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Gatsby, infine, cadendo vittima della dissociazione interiore prodottadall’alienazione esterna simbolizzerà la morte come peculiarità in-trinseca alla società: usando la sua sfavillante e iper-moderna piscinaper la prima volta nella sua ultima estate, cercherà di purificarsi dal-le inferenze ristagnando dentro le costrizioni indotte e il circolo ros-so che si disegna a pelo dell’acqua:

«Un alito di vento che riusciva appena a corrugare la superficie dell’acquabastò a interrompere l’accidentale percorso col suo carico accidentale. Unfascio di foglie, sfiorandolo, lo fece girare lentamente, tracciando nell’acquaun sottile circolo rosso»90.

Così, alla categoria del “Camp” si sostituisce quella del “grottesco”,in virtù della quale il secondo Gatsby, optando per il lusso da cui èstato abbagliato nella sua prima immagine rappresentata da Daisy,erroneamente sacrifica all’ambizione per il denaro il prolifico mecca-nismo di creazione di un’identità proteiforme e, tolto dalla realtà il ve-lo dell’irrealtà, il solo in grado di conferirle forma e senso,

«doveva aver guardato un cielo insolito tra le foglie spaventevoli e rabbrivi-dito nello scoprire che cosa grottesca è una rosa e com’è cruda la luce delsole su un’erba quasi non ancora creata. Un mondo nuovo, materiale senzaesser reale, dove poveri fantasmi respiravano sogni invece di aria… comequella figura cinerea, fantastica, che si avviava verso di lui attraverso gli al-beri amorfi (la Morte)»91.

Soltanto il dinamismo performativo del punto di vista grazie al qualesi osserva la realtà, dunque, potrà salvare la realtà dalla cristallizza-zione di significato: attraverso l’attuazione di strategie camp di so-pravvivenza l’individuo potrà “mascherare la mascherata” del giocoborghese delle parti e rintracciare nella finzione il senso ultimo dellecose, calando le performances dell’identità entro una narrazione chesi ricompone di continue metamorfosi estetiche. Il nucleo del romanzo è proprio questo e si incentra su una delle bat-tute finali di Nick:

«Non c’era nulla che potessi dire, tranne l’unico fatto che non si poteva di-re, cioè che non era vero»92.

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Ciò che Richard Dyer afferma sul Camp ci mette in guardia sul po-tere ricoperto dalla finzione, alla quale non dobbiamo guardarecon sospetto come fosse soltanto mistificazione, bensì abbraccian-do la totalità del suo enorme potenziale, cioè la capacità di am-pliare il nostro sguardo sul mondo attraverso l’esibizione perfor-mativa del punto di vista, una costante applicazione di “etichette”sulla realtà:

«A scuola ci insegnano che di fronte all’arte bisogna tenere un atteggia-mento cerimonioso, e guardando un film o la televisione siamo tentati dientrare in quel mondo come se fosse vero. Il camp ci mostra come l’ar-te e i media non siano fonti di verità ma di manufatti, cioè di modi par-ticolari di rappresentare, comprendere e interpretare il mondo e l’esi-stenza. L’arte e i media non ci restituiscono l’esistenza per come real-mente è (come potrebbero farlo?), ma l’esistenza per come alcuni pro-duttori e artisti la immaginano. Enfatizzando gli artifici impiegati dagli ar-tisti, il camp ci ricorda perciò in continuazione che quanto stiamo os-servando è soltanto un punto di vista sulla realtà. Questo non ci im-pedirà di goderne; semplicemente ci impedirà di credere troppo pronta-mente a quanto ci viene mostrato. Ci impedirà di pensare che chi dise-gna il nostro orizzonte culturale sappia meglio di noi che cosa sia l’e-sistenza»93.

L’essenza del mondo che scaturisce dal mutamento di forma e oscil-la perennemente fra il detto e il non detto si riflette in una narrazio-ne sempre più auto-cosciente, che fagocita l’autobiografismo e sispersonalizza come reazione atta a esorcizzare l’alienazione nellaquale l’autore viene sprofondato dalla società.Il Camp permette di superare la distonia percepita dall’individuo alconfronto con l’estensione illimitata della realtà per mezzo di un’e-stetica performativa promossa da un testimone-superstite, come ilnarratore del Grande Gatsby, inestricabilmente oscillante tra il pun-to di vista passato (Nick agens) e quello presente (Nick auctor):

«Ritrovai qualcosa: un ritmo sfuggente, un frammento di parole perdute, cheavevo udito da qualche parte molto tempo prima. Per un momento una fra-se cercò di prender forma nella mia bocca, e le labbra si schiusero comequelle di un muto, come se non fossero trattenute soltanto da un filo di aria

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stupita. Ma non diedero suono, e ciò che avevo quasi ritrovato divenne ine-sprimibile per sempre»94.

Come uno dei tanti doppioni dell’identità di Gatsby, Nick evita di ca-dere nello scetticismo, mostrandosi aperto al mutevole fluttuare delleforme o circostanze di realtà, al cui processo di creazione contribui-sce attivamente senza nulla escludere a priori:

«L’autunno scorso, quando ritornai dall’Est, mi pareva che il mondo interofosse in uniforme e in una specie di eterno “attenti” morale (…). SoltantoGatsby, colui che dà nome a questo libro, restava fuori dalla mia reazione:Gatsby, che rappresentava tutto ciò che suscita in me genuino disprezzo»95.

Per Nick, grazie alla reintegrazione di Gatsby, il mondo non rappre-senta un mero contenitore o una vuota sovrastruttura, ma la realtàacquista senso come contenuto di forme che ne sostanziano le innu-merevoli metamorfosi, e in questo senso si può riabilitare l’AmericanDream da parte del Grande Gatsby,96 nonostante il naufragio del so-gno del protagonista: il vero senso delle cose si può cogliere all’i-stante qualora ne venga offerta l’occasione, perché il sogno non si ri-vela per quello per rappresenta, ma per la fede nella quale si credeaffinché si realizzi. A questo punto, si può ben contestualizzare il finale del libro, cioè:

«E mentre la luna si levava più alta, le case caduche incominciarono a fon-dersi, finché lentamente divenni consapevole dell’antica isola che una voltafiorì per gli occhi dei marinai olandesi: un seno fresco, verde, del nuovomondo (…). Per un attimo fuggevole e incantato, l’uomo deve aver tratte-nuto il respiro di fronte a questo continente, costretto a una contemplazio-ne estetica, da lui non capita né desiderata (…). E mentre meditavo sul-l’antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima volta cheindividuò la luce verde all’estremità del mondo di Daisy. Aveva fatto moltastrada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva esserglisembrato così vicino da non poter sfuggire più. Non sapeva che il sogno eragià alle sue spalle (…). Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiasticoche anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma nonimporta: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia… euna bella mattina…

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Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posanel passato».

Grazie alla metamorfosi della forma che si riflette entro un’esteticaperformativa, dunque, l’artista può utilizzare le sue doti letterarie perestendere illimitatamente le propaggini di realtà, proprio come fa lasocietà con i propri mezzi e risorse.Con la presentazione di un testimone-superstite, la narrazione chetende alla spersonalizzazione si prende gioco di sé in maniera au-tocosciente e mette in crisi le dicotomie esistenti tra passato-pre-sente, narratore-personaggio e, infine, persino quella di narratore-autore.In questo modo, Fitzgerald si dimostra poeta-profeta97 e si protendeverso l’Avanguardia perché, come nel mito di Orfeo, dietro la ritua-lizzazione del mito ancestrale del cantore che perde l’amata in favo-re del suo canto, e quella del canto che si identifica con tutto ciò chesopravvive dentro e oltre la morte, Il Grande Gatsby si avvicina alSurrealismo (noto non a caso anche come Orfismo) tanto per la ten-denza a un certo automatismo nella scrittura, quanto per l’ossessio-ne figurativa verso l’immagine dell’occhio. Per concludere vorrei ricordare, a questo proposito, che al vicino1929 sono ascrivibili, oltre che il fenomeno della Grande Depres-sione ampiamente precorso dal Grande Gatsby (1925), un film e unlibro, anticipati dalla medesima narrazione modernista di Fitzgerald:Un chien andalou di Luis Bunuel e il suo celebre manifesto cinema-tografico del Surrealismo contenente la celeberrima immagine del-l’occhio tagliato; L’Urlo e Il Furore di William Faulkner, che fa arri-vare la sperimentazione modernista ai limiti della decostruzione e del-la figuralità, inserendo nella narrazione la riproduzione grafica del-l’insegna luminosa di monito “tenete d’occhio Mottson”,98 grazie a undisegno raffigurante appunto un occhio (inutile negare l’ispirazionefitzgeraldiana dall’insegna dell’oculista Eckleburg, così come l’influssocrescente che l’avanguardia pittorica esercita sulle arti, tanto che giàFitzgerald nel Grande Gatsby compie la descrizione di un immagi-nario dipinto – molto camp, come l’intera produzione di questo pit-tore – di El Greco99).

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NOTE

1 In questo modo è qualificabile la poetica del cineasta australiano, da sempre improntata all’euforiae alla fusione sinestetica di più filtri o linguaggi, dalla cui ricomposizione entro un’estetica perfor-mativa scaturisce il senso complessivo dell’opera, si pensi a William Shakespeare’s Romeo + Ju-liet (1996) e a Moulin Rouge (2001).

2 Quest’ultima è la chiave di lettura tardo-romantica. Sono state presentate molte altre interpretazio-ni del romanzo, come quella queer o la lettura che si richiama alla simbologia religiosa del GrandeGatsby. Una prospettiva completa è offerta da ERNEST H. LOCKRIDGE, Twentieth Century Inter-pretations of The Great Gatsby: A Collection of Critical Essays, Englewood Cliffs, New YorkPrentice Hall (1968).

3 Il Camp si configura, quindi, come la componente euforica e costruttiva, specularmente antiteticarispetto alla disforia che la queer theory, orientamento di pensiero in cui si colloca idealmente an-che il Camp, tematizza come malinconia, specialmente rispetto alla percezione di una sessualitànon etero-normativa.

4 FRANCIS SCOTT FITZGERALD, Il Grande Gatsby, traduzione di Fernanda Pivano (1950), edizione spe-ciale per «Repubblica» (2002), cit. p. 105: «Per un certo periodo queste fantasticherie gli procu-ravano (a Gatsby) uno sfogo dell’immaginazione… erano un’intuizione confortante dell’ir-realtà della realtà, una promessa che la roccaforte del mondo era saldamente basata sull’aladi una fiaba».Lo sdoppiamento dell’identità individuale in maschere o doppioni di sé già si profila per un perso-naggio marginale, Dan Cody, uno del “padrini di battesimo” di Gatsby, ibidem, cit., p. 106: «DanCody sobrio sapeva a quali stranezze si lasciasse trasportare Dan Cody ubriaco».

5 Cade a proposito il fatto che persona in latino vuol dire “personaggio” e la lingua inglese recupe-ra questo significato, scalzato in italiano da quello di “persona”.

6 FABIO CLETO, Camp: Queer Aesthetics and the Performing Subject: A Reader, Edinburgh Uni-versity Press (1999), cit., p. 25.

7 La “protesta” camp viene ascritta all’estetica performativa di Gatsby e coinvolge ogni personaggioche ne sia attratto, Nick, come già prima Daisy, a proposito della quale il cugino Nick afferma: «Misentii a disagio come se l’intera serata fosse stata un trucco per strapparmi il contributo diun’emozione», vedi F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit., p. 22. Inoltre, il modello di mondopromosso da Gatsby viene prospettato da Luhrmann come l’unico possibile riscatto esistenzialecontro il proibizionismo: è per questo che la “protesta” di Gatsby, sebbene sia camp e, dunque, rea-lizzabile soltanto a livello identitario e individuale, incrocia quella degli emarginati dalla società, afro-americani, immigrati, operai e donne, cioè figure totalmente cancellabili dalla narrazione fitzgeral-diana secondo Clayton, ma non Luhrmann.

8 HAROLD BEAVER, Segni omosessuali (in memoria di Roland Barthes), in «Riga» 27 (2008), PopCamp, cit. p. 416. Questo numero della rivista è curato da Fabio Cleto che, non a caso, già in F.CLETO, Camp, cit., riporta il medesimo testo di Beaver. I casi di coincidenza di antologizzazione daparte di Cleto nei due volumi, Camp e Pop Camp, sono numerosi, quindi non servirà indicarli ognivolta, trattandosi comunque dello stesso curatore.

9 F. CLETO, Camp, cit. p. 37. 10 Ibidem cit. pp. 11-12.11 Questa categoria gnoseologica offerta da Cleto nell’intero volume Camp corrisponde nella mia trat-

tazione alla categoria narratologica che individua il narratore di un’estetica performativa, quale IlGrande Gatsby.

12 F. CLETO, Camp, cit., p. 13.13 F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit., p. 110.14 Ibidem cit., p. 104: «I suoi genitori erano contadini fossilizzati e falliti: la sua fantasia non li

aveva del resto mai accettati come genitori. La verità è che Jay Gatsby di West Egg, LongIsland, era scaturito da una concezione platonica di se stesso. Era un figlio di Dio – frase che,se vuol dire qualcosa, vuol dire proprio questo». Vedi inoltre ibidem, cit., p. 117: «Così aspettò,ascoltando ancora un momento il diapason battuto su una stella (…). Daisy sbocciò per lui co-me un fiore, e l’incarnazione fu completa».

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15 La teorizzazione di un’estetica che assume valenza conoscitiva si rintraccia in tutti i dialoghi di Pla-tone, ma si inquadra in una cornice fortemente meta-teatrale nel Simposio, ove si riproduce la fe-nomenologia della realtà entro l’istituzionalizzazione dell’estetica, e non soltanto attraverso l’ususscribendi che simula l’oralità: nel Simposio, infatti, la filo-sofia intesa etimologicamente come“amore per la conoscenza” scaturisce dalla costante ibridazione fra esterno ed interno, finzione erealtà e il simposio si propone come “spettacolo a se stesso” (LUIGI ENRICO ROSSI, Il simposio gre-co arcaico e classico come spettacolo a se stesso, cit.).

16 LINDA HUTCHEON, Teoria degli adattamenti, Armando editore (2011), cit. p, 209.17 MILAN KUNDERA, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi (2007), cit., p. 16.18 MAGGIE GORDON FROEHLICH, Gatsby’s Mentors: Queer Relations Between Love and Money in

The Great Gatsby, in «Journal of Men’s studies», (Fall 2011).19 SACVAN BERCOVITCH, The Cambridge History of American literature, Cambridge University Press

(1999), cit., p. 137.20 Si consulti S. BERCOVITCH, The Cambridge History of American literature, cit.21 FRANCESCO ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura, cit. Egli apre questo saggio ri-

facendosi alla teoria delle funzioni della lingua e dei fattori costituenti la comunicazione letteraria diJakobson (messaggio, destinatore, destinatario, contesto, codice, contatto): al fine di decostruire l’u-nivocità fra forma e contenuto, significante e significato, scoperchia gli intrecci esistenti tra lettera-tura e psicanalisi teorizzando una letteratura che sia la trasposizione delle reazioni offerte dalla co-scienza individuale contro la repressione della società, nella prospettiva che «una materia che peripotesi non manca di costituire un ritorno del represso, e il ritorno del represso figurale su tut-te le facce della forma» (F. ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura, cit. p. 73) sia-no imprescindibili nella formazione del linguaggio e, come tali, individuabili.

22 Ibidem, cit. p. 12.23 F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit. pp. 114-15.24 S. BERCOVITCH, The Cambridge History of American literature, cit., pp. 112-13.25 F. ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura, cit., pp. 53-4.26 Matthew J. Bruccoli antologizza tutti i riferimenti mutuati dalla realtà, compresi i motivi musicali, da

parte di Fitzgerald. Si veda M. J. BRUCCOLI, F. S. Fitzgerald’s The Great Gatsby: A Literary Re-ference, Carroll & Graf (2002).

27 Vedi F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit., p. 61: «A volte il fascinoso crepuscolo della me-tropoli mi ossessionava di solitudine, e la sentivo negli altri poveri giovani impiegati che bi-ghellonavano davanti alle vetrine in attesa della cena solitaria nel ristorante, giovani impiega-ti all’imbrunire che sprecavano i momenti più belli della notte e della vita».

28 F. ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura, cit., p. 20.29 Nick è concepito come “narratore inaffidabile” da Kent Cartwright, vedi K. CARTWRIGHT, Nick Car-

raway as an Unreliable Narrator, «Papers on Language Literature: A Journal for Scholars andCritics of Language and Literature» (1984).

30 Si consulti FRANCO BRIOSCHI, COSTANZO DI GIROLAMO, MASSIMO FUSILLO, Introduzione alla lette-ratura, Carocci editore (2003), cit., p. 77.

31 F. ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura, cit., p. 53. Da queste premesse derival’analisi della Phèdre raciniana compiuta da Orlando, che «scompone nella serie di citazioni l’or-dine sintagmatico (metonimico) proprio del testo, trascurando relativamente gli aspetti che nedipendono come la successione reale dei versi e il racconto teatrale in corso, per privilegiarela ricostruzione di un ordine paradigmatico (metaforico) latente nel testo», vedi ibidem, cit., p.29.

32 F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit., p. 13.33 F. ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura, cit., pp. 48-49. 34 Ibidem, cit., p. 2. La differenza fra Gatsby e Trimalcione è marcata dal passo: «Questa capacità di

reazione non aveva niente a che fare con l’impressionabilità flaccida che viene classificata colnome di “temperamento creativo”: era una dote straordinaria di speranza, una prontezza ro-mantica quale non ho mai trovato in altri, e quale probabilmente non troverò mai più». Anche il ripetersi delle declinazioni dell’aggettivo “romantico” (sette sono le occorrenze in tutto ilromanzo) o della parola “crepuscolo”(dodici occorrenze) rientra nel processo adattivo di citazioni da

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realtà differenti (qui letterarie), che si cristallizzano e si frangono non appena si realizzano come eti-chette di realtà.

35 Ibidem, cit. p., 74.36 Ibidem, cit., p. 3. 37 Ibidem, cit. p., 105.38 Ibidem, cit. p., 2.39 Ibidem, cit. p., 8. 40 In Romeo e Giulietta è un’indimenticabile battuta tratta dal monologo di Mercutio su Queen Mab,

la levatrice delle fate.41 F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit., p. 9. 42 Ibidem, cit., p. 9, cit., p. 10, cit., p. 20, cit., p. 25.43 Ibidem, cit., p. 8.44 Ibidem, cit., p. 10.45 Ibidem: «Tom sarebbe rimasto eternamente in moto, alla nostalgica ricerca di qualche squadra

di calcio, drammaticamente compromessa nel campionato e di cui potesse rialzare le sorti».46 Ibidem, cit., p. 158.47 Ibidem, cit., pp. 13-14.48 Ibidem, cit., p. 17.49 Vedi ibidem, cit., pp. 14, 21, 25, 58, 73, 121, 134, senza contare tutti i presagi di sventura si-

tuati all’inizio del quarto capitolo, che intervallano la lista redatta da Nick sugli invitati al palazzo diGatsby.

50 Ibidem, cit. p., 14. La traduzione italiana certo facilita l’istituzione di una corrispondenza direttacon l’Inferno dantesco, ma tale influenza si ravvisa anche nel testo originale, che riporta: «there’sa persistent wail all night along the north shore», vedi F. S. FITZGERALD, The Great Gatsby, Pen-guin Books, Great Britain (1976), p. 16.

51 F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit., p. 26.52 F. S. FITZGERALD, The Great Gatsby, cit., pp. 29-30.53 F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit., p. 30.54 Ibidem, cit., p. 6.55 JEAN BAUDRILLARD, I simulacri e l’impostura, Pigreco (2009), cit., p. 54.56 Il citazionismo di realtà esasperato all’eccesso, che si esprime sotto forma dell’immagine della so-

cietà restituita da fotografie, quadri, ritagli di giornale e divenuta più autentica della società stessa,è attestato anche dal fatto che Nick associa a Jordan un carattere menzognero per quello che su dilei aveva letto sui giornali; inoltre il padre di Gatsby sventolerà la fotografia della casa del figlio, dicui Nick dirà: «L’aveva mostrata così spesso, che doveva sembrargli più reale della casa stessa»(F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit., p. 182).

57 Ibidem, cit. p. 35.58 L’assimilazione alla realtà vegetale qui è concepita come riduzione e diminuzione dell’identità uma-

na, cioè assume valore negativo, perché la finzione diventa da parte dei più oggetto di una mani-polazione strumentale: infatti, è risaputo che l’orchidea abbia sembianze falliche e Nick contesta ladistorsione utilitaristica che la società compie sulle feste di Gatsby, perché vi si assembrerebbero «ilmondo e la sua amante», vedi ibidem, cit., p. 65.

59 Ibidem, cit. p. 33.60 Ibidem, cit. p. 41.61 In questo caso si capovolge ironicamente il rapporto maschile-femminile, mentre l’iperbole si con-

cretizza figurativamente nei «bicchieri più grandi delle solite coppe» per servire champagne, ve-di ibidem, cit., p. 51. Procedimento analogo, che iconizza stavolta non la spazialità che si esten-de a dismisura, ma l’attesa illimitata, si ravvisa nel personaggio della già citata rosa degli invitatida Gatsby compilata a opera di Nick, un tale «i cui capelli … sono diventati bianchi come il co-tone, senza nessuna ragione al mondo, un pomeriggio d’inverno», ibidem, cit., p. 66. Questostesso meccanismo riflette e simbolizza la compressione della temporalità, anche narrativa, simil-mente a ciò che accade nel racconto fitzgeraldiano Il curioso caso di Benjamin Button, ma il pre-cedente più illustre si rintraccia nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, ove si descrivono dellegiovani-anziane dai bianchi capelli, per fare del paradosso e dello scarto la cifra della narrazione,

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così da restituire in un simbolo molto forte i disastrosi effetti prodotti dalla sterile ginecocrazia del-la regina Ipsipile.

62 Ibidem, cit., pp. 51-6.63 Ibidem, cit., p. 43.64 La luce aureata emanata dall’atmosfera luminosa che Gatsby è in grado di creare investe Jordan,

dalle braccia e spalle dorate (si veda F. S. FITZGERALD, il Grande Gatsby, cit., p. 47 e p. 84) e, so-prattutto, Daisy (ibidem, cit., p. 126), che in entrambi gli adattamenti cinematografici realizzati èsempre bionda, come del resto Gatsby, di cui manca assolutamente caratterizzazione fisica nel li-bro.

65 Ibidem, cit., p. 114.66 Ibidem, cit., p. 73.67 Ibidem, cit. p., 47.68 Ibidem, cit. p., 133: è dal punto di vista sdoppiato, rovesciato e irrimediabilmente scisso che Dai-

sy osserva la scena in cui non sa chi scegliere fra Tom e Gatsby, cioè da uno specchio.69 Ibidem, cit. p. 145.70 Ibidem, cit., p. 67.71 Ibidem, cit,. p. 49.72 Ibidem, cit., p. 25.73 Ibidem, cit, p. 92.74 Ibidem.75 Ibidem, cit. p. 60.76 Ibidem, cit. p., 117.77 Ibidem, cit. p., 104.78 Ibidem, cit. p., 68.79 Ibidem, cit., p.69.80 Ibidem, cit., p. 70.81 Ibidem, cit., p. 72.82 Ibidem.83 Ibidem, cit., p. 83.84 Ibidem, cit., pp. 98-9.85 Ibidem, cit. p., 119.86 Ibidem, cit. p., 107.87 Ibidem, cit. p., 131.88 Ibidem, cit. p., 136.89 Ibidem, cit. p., 134.90 Ibidem, cit., p. 171.91 F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit. p. 170.92 Ibidem, cit., p. 189.93 RICHARD DYER, Campare di camp, in «Riga» 27 (2008), Pop Camp, cit., p. 315.94 F. S. FITZGERALD, Il Grande Gatsby, cit., pp. 117-8.95 Ibidem, cit., p. 2.96 La critica ha ravvisato nella storia di Gatsby il fallimento del Sogno Americano, come riflesso del

naufragio del suo sogno “romantico”, si legga EMIN TUNC TANFER, The Great Gastby: The Tragedyof the American Dream on Long Island’s Gold Coast, Bloom’s Literary Criticism, Harold Bloom& B. Hobby (2009). Per contro, il suo mito è legato a una rinascita da JEFFREY STEINBRINK, “Boatsagainst the Current”: Mortality and the Myth of Renewal in The Great Gatsby, Bloom’s Liter-ary Criticism, Harold Bloom & B. Hobby (2009).

97 È Bercovitch, in The Cambridge History of American literature, che parla dei poeti della LostGeneration, quale Fitzgerald, come di profeti.

98 WILLIAM FAULKNER, L’Urlo e il Furore, Torino (1997), p. 278.99 Ibidem, cit. p. 187.

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La simbologia del tempio nella via unitiva (I Parte)

Introduzione

Si parla di simbolo quando una realtà sensibile che esiste per sé, eche in tal senso non è un simbolo, diventa portatrice di una pluralitàdi significati che corrispondono a una pluralità di livelli di vita. Cosìla montagna in sé non è un simbolo; lo diventa, quando significa al-tre realtà appartenenti a livelli di vita superiori.Il simbolo fa passare dal significante (es. scalare una montagna)al significato (es. ascesa spirituale), perché un certo continuum vi-tale assicura il passaggio del senso, ferma restando la distinzionedei diversi piani di esistenza: per esempio, la luce è l’ambiente vi-tale sia per il corpo che per lo spirito.Ciò che conta, nel simbolo, è il movimento che esso innesca: se nonsi sta attenti a questo, si rischia facilmente di sbagliarsi nell’interpre-tazione; nel movimento simbolico il significante è totalmente altro dalsignificato (come la luce solare lo è da Dio), ma non senza la neces-saria presenza di un continuum vitale e cioè di un rapporto naturaletra significante e significato (come l’aver sete di Dio da parte dell’an-ima si trova in una certa continuità con il desiderio vitale del corpo).Il simbolo quindi è un segno concreto che attraverso un rapporto nat-urale evoca un al di là da sé, ossia un invisibile; il significante è cos-tituito sempre da una realtà visibile che offre un passaggio e un’aper-tura verso qualcosa che sfugge alla dimensione dello spazio e del tem-po. Pertanto il simbolo rivela l’invisibile.Dio ci parla in un linguaggio simbolico che allo stesso tempo ci svelae ci rivela le verità spirituali che dobbiamo comprendere per poter ar-rivare a Lui. Allo stesso modo in cui noi diamo ai bambini dei libri il-lustrati che suscitano nel loro spirito in evoluzione una comprensioneintellettuale che altrimenti non potrebbero intuire, così ogni simbolodato da Dio ha un profondo significato che non potrebbe cogliersi al-trimenti. Quindi considerati i protagonisti del cammino: l’uomo, chiamato allapienezza, e Dio, centro di realizzazione di tale chiamata, il percorso

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mistico-simbolico tratteggiato in questo breve trattato è quello pro-posto da Santa Teresa di Avila, nelle sette mansioni della sua operail Castello Interiore, completato dalla dottrina mistica di San Gio-vanni della Croce, carmelitano scalzo, riformatore dell’Ordine in-sieme a Teresa.

CAPITOLO I LA SIMBOLOGIA DEL TEMPIO

«In tutte le religioni il tempio rappresenta il luogo in cui Dio si rendepresente in modo particolare per ricevere il culto dei suoi fedeli e dis-pensare i suoi favori. In senso molto generico esso è dunque un luo-go reso sacro dalla presenza della divinità».1

Il tempio è il luogo santo, luogo di comunione, d’incontro tra Cre-atore e creatura; luogo di preghiera, ringraziamento, lode e ado-razione da parte della creatura, e di donazione e comunicazione gra-tuita da parte del Creatore. Ogni popolo antico, ogni cultura ha avuto i suoi templi, i suoi luoghiconsacrati al culto divino; il sacro, la divinità, Dio, è ciò che venendoprima dell’uomo e trascendendolo, lo crea, così come crea l’interouniverso. Ciò da cui l’uomo è uscito è ciò che l’uomo ricerca; il sacroè dunque ciò che dona significato all’esistenza dell’uomo e motival’intero suo agire, il quale è volto al ricongiungimento di ciò che gli èal contempo famigliare ed estraneo, intimo e sconosciuto. Proprioperchè tale, il sacro suscita timore e fascino; e seppure l’uomo lo col-ga nell’esperienza quotidiana, non compare mai in se stesso, ma silascia mediare da fattori appartenenti al mondo, che rimandano adesso, in se stesso totalmente altro e trascendente.

1.1) Il tempio interiore

Ogni uomo, realizzate le giuste disposizioni interiori, è capace di as-coltare l’anelito innato, quella tensione al sommo bene, alla trascen-denza, alla sacralità, che è costitutiva del suo essere. Lo Spirito di Dioche segretamente dimora nell’uomo, quanto più questo vive in purez-

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za, tanto più è libero di esercitare la sua influenza su di lui, chiaman-dolo a Sé, secondo i suoi tempi e i suoi disegni.

1.1.1) Tempio di pietra, tempio interiore, tempio celeste

Il tempio di pietra, costruito dall’uomo religioso, anelante cioè allapienezza di Dio, è simbolo di una realtà spirituale più alta, quel luo-go d’incontro divino che è il cuore dell’uomo, il suo spirito. Questo èil microcosmo destinato a realizzarsi a somiglianza di Dio, di cui i san-ti in questi millenni di storia umana hanno parlato costantemente.Ogni anima è così destinata ad essere il vero tempio di Dio, di cui iltempio dell’antica alleanza è figura transitoria; le varie stanze cheportano all’Arca simboleggiano il cammino del singolo verso Dio,così ogni stanza con la propria funzione – altare degli olocausti, latavola dei pani, l’altare dei profumi – è immagine di quella realtà in-teriore che l’anima deve realizzare in sé per orientarsi al Santo deiSanti, della cui vita, bellezza e verità, è chiamata a partecipare dal-l’eternità. Ogni anima realizzata è a sua volta una pietra viva di quel-l’immenso edificio celeste che è la chiesa universale, il corpo misticodi Cristo, che cresce invisibilmente e silenziosamente mantenendosicoeso nell’unico Spirito d’amore.

1.1.2) Vocazione unitiva dell’uomo: la mistica

«Noi siamo il tempio del Dio vivente» (2Cor 6,16) scrive San Paoloriferendosi all’essere umano. Dio, che per la sua immensità si trovain tutte le cose per potenza, per presenza e per essenza, in quantosu tutto ha potere, tutto vede e a tutto ciò che esiste partecipal’essere, è presente in modo speciale nell’animo umano; i teologi emistici cristiani parlano di inabitazione divina. «Dobbiamo guardarcidall’immaginare la presenza di Dio in noi come quella di Cristo sacra-mentato nel tempio materiale o nel tabernacolo. In noi la sua pre-senza è infinitamente superiore. Siamo templi vivi di Dio e inmaniera vitale possediamo le divine persone».2

La SS. Trinità, inabitando nelle nostre anime, ci fa partecipare allasua natura e alla sua vita divina, ci genera come figli, e questo non

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avviene mediante un atto immediato, ma suppone un intervento diDio continuato e ininterrotto per tutto il tempo in cui l’anima si con-serva nella sua amicizia. Tutti i mistici affermano di sentire nel piùprofondo della loro anima la nobile presenza della SS.Trinità cheopera in essi in una forma intensissima. Quando questo percorsosperimentale raggiunge l’unione trasformante, le anime giunte a talialtezze non sanno né vogliono esprimersi con linguaggio terreno:quello che l’anima già sapeva e credeva per fede, qui lo sente quasicon la vista e con il tatto, un sentire di vita eterna che trasfoma pro-fondamente la struttura vitale della creatura umana.La mistica, l’unione tra la creatura e il Creatore, è il fine principaledell’inabitazione divina nelle nostre anime, è il fine principale dell’e-sistenza umana. Ogni anima in grazia porta la mistica in potenza, eogni potenza tende a passare all’atto; se non sperimenta ancora l’u-nione divina è perché non si è ancora liberamente e conveniente-mente staccata dalla realtà creaturale, e le sue potenze, le sue facoltàinteriori, sono legate e occupate, e non ha quindi rimosso quegli os-tacoli che limitano l’azione gravitazionale della Grazia.

1.2) Il castello interiore di Teresa D’Avila: approccioantropologico

Nel Castello interiore Santa Teresa racconta il viaggio spiritualedell’anima verso Dio, e lo fa distinguendo le singole tappe del cam-mino di orazione. In tutta l’opera ricorrono i simboli archetipici cheda sempre accompagnano l’esperienza umana: acqua, fuoco,dimora, matrimonio, vita e morte. L’autrice si serve del simbolo perspiegare le realtà del cammino di fede non esprimibile con il lin-guaggio comune. L’opera di Teresa Di Avila è tutta fondata suun’allegoria, quella del castello che simboleggia l’anima, e quindiquella del viaggio attraverso le stanze del castello; il viaggio stessoè allegoria del cammino interiore dell’uomo verso il suo centro piùprofondo, Dio.

Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol dia-mante o di un tersissimo cristallo, [...] per avere un’idea della sua eccellenzae dignità, basti pensare che Dio dice di averlo fatto a sua immagine, benché

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tra il castello e Dio vi sia sempre la differenza di Creatore e creatura, es-sendo anche l’anima una creatura.3

La nostra anima, la parte più profonda del nostro essere creata daDio a sua immagine, è tabernacolo unico e irripetibile della divinaTrinità. «Il Verbo Figlio di Dio, insieme con il Padre e con lo SpiritoSanto essenzialmente e presenzialmente se ne sta nascosto nell’inti-mo centro dell’anima».4 L’uomo è dimora di Dio, e lo stesso San Pao-lo afferma: «Santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1Cor 3,17).Ogni uomo è dunque dimora di Dio, che si comunica nella sua piùprofonda intimità, l’anima, fatta a Sua immagine: «Il Signore Dioprese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e locustodisse» (Gen 2,15). L’uomo immagine di Dio fu creato per col-laborare liberamente al progetto d’Amore di Dio, ed estendere perLui e in comunione con Lui il Suo regno d’amore.

1.2.1) Il mistero dell’iniquità

L’uomo aderisce liberamente alla volontà del serpente, non ascolta lavoce del Padre e apre le porte al male, che si insinua nel suo esserecome superbia, facendolo decadere nel peccato, cioè disgiungendo lacomunione di volontà tra creatura e Creatore. Il Padre allora interviene:«Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero del-la vita, ne mangi e viva sempre!» (Gen 3,22). L’uomo, prima che pos-sa dar modo al maligno di devastarlo completamente, viene tratto fuoridal paradiso terrestre; perdendo la comunione con Dio cade in uno sta-to di disgrazia e di morte, e giacché non è più capace di custodire lapropria anima, il Padre l’affida agli angeli: «Scacciò l’uomo e pose adoriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgo-rante, per custodire la via all’albero della vita» (Gen 3,24).

1.2.2) L’uomo, diviso in se stesso

Se l’uomo anela alla pienezza perduta, tanto che fin dal principio ifigli di Eva invocavano il nome di Dio, si ritrova però legato al pec-cato, eredità che sembra soffocare e ostacolare la sua aspirazione.

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L’uomo non è più degno della pienezza, sembra che Dio stesso lotragga fuori dal partecipare alla sua divinità come nella condizioneoriginaria, per salvarlo dalle conseguenze che tale conoscenza o di-vinità porterebbero in un figlio del peccato: morte eterna, una con-dizione simile a quella degli angeli decaduti. Dio previene tale situ-azione ridimensionando l’uomo, ma poi promettendogli il Redentoree quindi la liberazione dalla schiavitù del peccato, che lui dovràguadagnarsi con l’adesione libera e totale al Crocifisso Risorto.

1.2.3) Cristo, centro della storia

L’essere umano nasce erede della scelta dei progenitori, e subiscetutte le conseguenze del peccato d’origine. Dio però nel suo disegnoimperscrutabile ha promesso fin dal principio un Salvatore, nel qualel’umanità potesse ritovare la strada della Verità, della Vita: Gesù, Uo-mo-Dio incarnatosi liberamente per amore dell’umanità dispersa,con il suo sacrificio «ci meritò la vita soprannaturale persa con il pec-cato di Adamo»5 restituendo così ad ogni uomo di buona volontà ladignità di figlio di Dio. Tutto questo però si realizza nella misura in cui, radicati in Lui, lasci-amo agire in noi la Grazia impetrata: «Quando un uomo vuole obbe-dire a Dio con tutto il suo cuore, egli è liberato e purificato da ognipeccato, per mezzo del sangue del nostro Signore. Si lega e si uniscea Dio e Dio a lui».6 Il cammino esige che l’uomo si faccia docile allaGrazia, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo, il maestro interiore:«Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomointeriore».7 «Portate il vostro sguardo al centro, dove è situato l’ap-partamento o il palazzo del Re. Egli vi abita come in una palmista, dicui non si può prendere il buono se non togliendo le molte foglie chelo coprono».8

Mediante l’adesione costante e totale di fede, all’uomo è promessa ineredità la vita vera, quella pienezza per la quale è stato creato; il rag-giungimento della meta comporta un cammino, e questo comportasacrificio, in quanto la condizione di partenza è quella di non salvez-za, e l’uomo ne deve uscire rinnegando se stesso; in Gesù Cristo,mistero di Dio e mistero dell’uomo, ogni uomo può trovare risposteconcrete alle eterne domande.

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1.1.4) Risplenda l’ospite interiore

Il cammino coinvolge la totalità dell’essere umano, e lavorando sul-l’interiore, che è il fondamento, sarà ben orientato l’esteriore, evi-tando di cadere nel fariseismo denunciato dai profeti e da Gesù:«Questo popolo mi onora con la lingua ma il suo cuore è lontano dame». (Is 29,13) È dunque importante coltivare l’interiorità, l’ascolto eil dono di se stessi, in quanto «Dio è spirito, e quelli che lo adoranodevono adorarlo in spirito e verità» (Gv 4,23-24). È il mistero dei trenta anni di vita nascosta di Gesù: «Voi però restatein città, fino a quando non sarete rivestiti di potenza dall’alto» (Lc24,49-50). «Quindi l’anima che vuole trovarlo, deve allontanarsi sec-ondo l’affetto e la volontà da tutte le cose, e ritirarsi in sommo rac-coglimento dentro di sé, come se tutto il resto non esistesse».9

Se vogliamo riaquistare la libertà dei figli di Dio dobbiamo rinasceredallo Spirito, si tratta di un qualcosa di semplice, ma non facile,rimettersi nelle mani del Padre, aspettare tendendo l’orecchio, senzaanticipare mai l’azione del suo Spirito, affinché possa battezzarci nelsuo fuoco: «Egli dimora presso di voi e sarà in voi. [...] Vi guiderà al-la verità tutta intera» (Gv 14,17; 16,13). «Sono persuasa che Dio nonconceda questa grazia se non a coloro che van staccandosi da tutto,se non con l’opera, perché impediti dal loro stato, almeno con ildesiderio».10 Consapevole di questa altissima vocazione Santa Teresaesclama:

Anime redente dal sangue di Gesù Cristo, aprite gli occhi e abbiate pietà divoi stesse! Com’è possibile che, persuase di questa verità, non procuriate ditogliere la pece che copre il vostro cristallo? Che confusione e pietà nonpotere, per nostra colpa, intendere noi stessi e conoscere chi siamo!11

1.3) Il percorso mistico-simbolico di Teresa d’Avila

La prospettiva antropologica presentata, viene recepita da Teresad’Avila attraverso la personale esperienza di vita, e viene da lei af-frontata e riproposta mediante un significativo simbolismo mistico:Vi prego di considerare come si trasformi questo castello merav-iglioso e risplendente, questa perla orientale, quest’albero di vita pi-

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antato nelle stesse acque vive della vita che è Dio, quando s’imbrattidi peccato mortale. Non vi sono tenebre così dense, né così tantotetre e buie, che non ne siano superate e di molto.Il Sole che gli compartiva tanta bellezza e splendore è come se piùnon vi sia, perché, pur rimanendo ancora nel suo centro, l’anima tut-tavia non ne partecipa più. Si deve intanto considerare che la fonte, o, a meglio dire, il Solesplendente che sta nel centro dell’anima, non perde per questo il suosplendore né la sua bellezza. Continua a star nell’anima, e non vi ènulla che lo possa scolorire. Supponete un cristallo esposto ai raggi del sole, ravvolto in un pan-no molto nero: il sole dardeggerà sulla stoffa, ma il cristallo non neverrà illuminato.12

Pur essendo l’anima dimora di Dio, è come un castello interiore inrovine, un’immagine che deve essere ricomposta ed una somiglianzaancora da acquistare nel cammino della vita spirituale. Chiamata allacomunione con Dio, essa si ritrova lontana, con la percezione di unaincapacità di entrare in contatto con Lui e di rispondere al suoamore. In questa paradossale situazione della vocazione e della effet-tiva condizione, si apre l’itinerario verso il paradiso perduto, verso larealizzazione della perfetta immagine e somiglianza, verso la pienaunione con Lui.Santa Teresa presenta un cammino di crescita e di maturità verso lasantità, dove ascesi e mistica, sforzi umani e grazia divina si intrec-ciano delineando il percorso di perfezione, suddiviso in sette tappe.Dai giardini del castello, immagine della vita mondana, dove lo spiri-to dissipa abitualmente le sue energie, l’essere umano è chiamato,per, con e in Gesù, Via Verità e Vita, ad immergersi nell’edificio del-la propria interiorità, l’anima, tempio dell’Altissimo, e man mano chesi avvicina alla stanza regale dimora di Dio, la sua Luce si fa più in-tensa e si riversa costantemente nelle stanze attraversate purifican-dole, fino a raggiungere lo stesso corpo, portando la persona allaguarigione, alla rinascita. Stanza per stanza ci si immerge in una lucepiù profonda perché più vicini alla sorgente della Vita, fino a rag-giungere la piena comunione Trinitaria.Per rendere comprensibile l’esperienza di Dio che l’anima fa in sestessa, Teresa approfondisce in maniera incisiva il simbolismo deltempio interiore presentando l’immagine del castello. La dottoressa

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mistica, spiega come le verità del Vangelo sono verità di vita, veritàdinamiche che ogni chiamato assimila e sperimenta personalmentenel cammino, come personale e unica è l’adesione alla fede che ilchiamato deve esprimere liberamente e singolarmente. Chiamati acamminare insieme nella Chiesa per essere attraverso di essa istruitie nutriti mediante l’obbedianza, la Parola e i Sacramenti, la rispostae l’adesione restano arbitrio del soggetto, che solo Dio conosce, inquanto il cammino unitivo, che è il fine della chiamata, si consumanell’intimità dell’anima e coinvolge il Creatore e la singola creatura,sebbene abbia conseguenze universali. L’uso del linguaggio simboli-co è per Teresa necessario per meglio esternare e far comprenderel’esperienza interiore di Dio; il concetto sembra sterile e inadeguatoa comunicare la fede vissuta nell’intimità della coscienza; ecco alloral’utilità del simbolo, mezzo vitale, semplice, diretto per comunicarequell’esperienza stessa.

CAPITOLO IILE MANSIONI: SIMBOLI DELLA MATURAZIONE

DELLA COSCIENZA IN DIO

L’attenzione di coloro che vivono sopravvivendo è tutta rivolta al-l’esterno, al mondo, nel quale disperdono le proprie forze, nutren-dosi di realtà transitorie che pongono come fondamento e finalitàdella propria vita. In questo orizzonte la vita si dispiega egoistica-mente, trasformandosi in lotta per la sopravvivenza, dove le animeprocedono subendo tutte le conseguenze delle proprie scelte: tene-bra e dolore. Costoro ignorano per offuscamento o negano, per tim-ore o per durezza, quella voce interiore innata che ci spinge a daresenso all’esistenza in base a ciò che la trascende: Dio uno e vero; es-si accettano in questo modo la relatività e la contingenza del reale,condizione che li libera da Dio ma che gli impoverisce l’orizzonte direaltà e la propria stessa identità di uomini. La loro diventa una trag-ica, anche implicita consapevolezza del non-senso del vivere, con-dannati a morire perché privi di riferimenti buoni, veritieri, eterni.

Le nostre preoccupazioni si fermano tutte alla rozzezza del castone, alle mu-ra del castello, ossia a questi nostri corpi. Abituate a un continuo contatto

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con i rettili e gli animali che stanno intorno al castello, si son fatte quasicome quelli, e non sanno più vincersi, nonostante la nobiltà della loro natu-ra e la possibilità che hanno di trattare nientemeno che con Dio.13

La Santa ripetutamente fa riferimento alla bellezza delle stanze e al-lo splendore dei tesori nascosti nel castello, sottolineando come lacecità e la paralisi interiore dovuta al peccato impedisca general-mente di poter vedere e gustare questi tesori. Il castello è la totalitàdell’essere umano, creato a immagine di Dio; il monarca del castelloè Dio stesso, che regge l’universo e ogni creatura, e in modo singo-lare l’uomo; le stanze sono le realtà interiori ed esteriori a cui lo spir-ito si relaziona; gli abitanti sono i sensi e le potenze, le facoltà del-l’anima; lo stato di queste dipende dalla condizione dello spiritoumano, e tanto più lo spirito umano è unito al divino, tanto più i suoistrumenti si purificano e rafforzano partecipando della sua perfezionee santità. Le mansioni sono i gradini che ci separano dal re del castel-lo, e ogni mansione ci permette di conoscere più stanze e avvicinar-ci di più all’appartamento reale; ogni mansione segna una condizionespirituale più elevata perché più prossima a Dio; le bestie velenoseche di consueto entrano nelle prime stanze del castello sono le ten-tazioni del mondo e della carne, i debiti e i lacci del peccato, che ciannebbiano dall’interno in quanto nostri personali, e ci deviano dal-l’esterno in quanto propri di ogni essere umano; gli intrusi sono le le-gioni nemiche, che per invidia tentano l’anima nel suo tragitto di ver-ità fino le ultime mansioni, ostacolandone la conversione e il cammi-no in mille modi, e allontanandosi poi gradualmente, timorosi dellapresenza del Re.

2.1) Prime mansioni

È l’amore che si accende in queste anime verso Colui che è la pienez-za, la causa di questo moto di conversione; la grazia ferisce l’anima,che inappagata dalla creazione, intravede tuttavia in essa la bellezza,l’impronta del Creatore, ed inizia a cercare questo Tutto che sente es-sere ciò che profondamente le manca. Considerando se stessa e prendendo coscienza di quello che è il suostato, e di quello che potrebbe essere, riconosce che la strada per cui

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cammina non è quella che conduce all’Amato; Egli infatti abita silen-ziosamente l’interno del cuore dell’uomo, e l’anima è chiamata afarne esperienza, fino a raggiungere la pienezza dell’unione divina:

Così l’anima mia s’impregnava di divinità e pareva godere delle tre divinePersone che teneva in sé. [...] Si comunicavano a tutte le cose create, nes-suna esclusa, senza cessare di rimanere in me.14

Essendo però la tenebra contraria alla luce, come l’attaccamento allecose e agli esseri creati lo è a Dio, l’anima inizia ad uscire dalla con-dizione in cui si trova ed a rientrare in sé, spinta dal desiderio difondersi con la Luce, cominciando a percepire che:

Tutto l’essere delle creature, paragonato con quello di Dio è niente. [...]Ogni beltà creata messa a confronto con quella infinita di Dio, è somma de-formità. [...]Ogni gentilezza e grazia delle creature, paragonate con quelle di Dio sonosomma scortesia e goffaggine. [...] Ogni sapienza ed abilità umana, dinanzi all’infinita sapienza dell’Eterno, èpura e somma ignoranza. [...]Ogni genere di dominio e libertà del mondo, paragonati con la libertà e ildominio dello spirito di Dio, sono somma angustia e schiavitù. [...]Tutti i diletti e gusti che la volontà prova nei beni creati, messi in confrontocon la pienezza di Dio, costituiscono pena, tormento e amarezza. [...]Tutte le ricchezze e glorie del creato messe a confronto con la ricchezza egloria che è Dio, sono grande povertà e miseria.15

Così l’anima che pone il suo affetto nelle cose create non potrà giun-gere all’unione con Dio né qui in terra mediante la trasformazioneamorosa, né in cielo per mezzo della visione beatifica, se prima nonsi libererà di quell’affetto; l’amore ha la proprietà di rendere uguali, equindi l’anima attaccata al creato è lontana dal predisporsi all’in-finitezza e perfezione dell’Altissimo. Qui tuttavia siamo agli inizi del cammino, e finalmente queste animeentrano nelle prime stanze del pianterreno, gli atrii della propria co-scienza, portando però con sé un’infinità di animaletti, i quali non so-lo impediscono di vedere le bellezze del castello, ma neppure per-mettono di rimanervi in pace.

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L’essere umano in genere si muove perché è costantemente bisog-noso e insoddisfatto; imbrigliato nel mondo non riesce a trovare pacené in esso né in se stesso, attaccato alle cose create ripone in essesperanze, gioie e timori che gli impediscono di trascendersi e aprirsialle eterne: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tuttequeste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). «Il regno di Dio èin voi!» (Lc 17,21). «La porta per entrare in questo castello è l’o-razione e la meditazione».16 Si tratta di rientrare in se stessi, e aprirsial dialogo con il Re del castello. Nella prima mansione, centrata sultema della conversione, emerge con forza la realtà della preghiera;essa è conoscenza di noi stessi e di Dio, è un atteggiamento che devedivenire abito, quel vegliate e pregate coincidenti con un continuoraccoglimento, e una costante apertura al mistero di Dio. Lapreghiera, deve permeare tutto il cammino, essa è l’asse portante,come dal respiro dipende la vita del corpo, così dalla preghiera quel-la dell’anima.

Quanto a coloro che non hanno cominciato io li scongiuro, per amore diDio, di non privarsi di un tanto bene. Qui non vi è nulla da temere, ma tut-to da desiderare. [...] L’orazione è apportatrice di tanti beni, ed è anzi cosìnecessaria che nessuno può immaginare un maggior danno che tralasciarla.[...] Se Dio vuole entrare in un’anima per prendervi le sue delizie e ricolmarladi beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura edesiderosa di riceverlo. Ma se invece di appianargli la via, gliela ingombri-amo d’ostacoli, in che modo ha da venire?17

Il nostro Signore e maestro ci insegna la preghiera del Padre Nostro,in cui sono fissati i cardini della rivelazione divina; Santa Teresa videdica un’intera opera, il Cammino di Perfezione, e spiega come inquesta orazione sia contentuta tutta la verità necessaria per predis-porsi, mediante l’azione e la meditazione, al raccoglimento interioree all’unione con l’ospite divino. Ella tuttavia, trattando della prima mansione e dell’anima che vi si in-troduce, la presenta come se quest’ultima fosse incapace di vedere laluce delle prime stanze, perché sebbene non stia in condizione dipeccato mortale, le bestie e gli animali che sono il fango del mondo,i desideri, i pensieri e le faccende mondane, non gli permettono divedere altro che loro; ne consegue quindi grande turbamento. In

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questo stato l’anima si sente impedita di considerare se stessa, e lesembra che di tale turbamento proprio non possa liberarsi; per pot-er avanzare nel cammino tuttavia si dovrà disbrigare di tutto ciò chenon è indispensabile al suo stato.

Ciò è di tanta importanza che se non comincia subito a farlo, non solo nonarriverà alla mansione principale, ma sarà pure impossibile che, senzagrande pericolo, rimanga nella mansione che occupa, benché già nel castel-lo: fra tante bestie velenose è impossibile che una volta o l’altra non ne ven-ga morsicata.18

San Giovanni della Croce spiega i due effetti che gli appetiti, ossiagli attaccamenti disordinati alle cose create, causano nell’anima:quello privativo, che consiste nella separazione dello spirito umanoda quello divino, e quello positivo, ossia l’effetto particolare che unainclinazione disordinata apporta nell’anima; alcuni la stancano, inquanto fanno crescere una sete che poi non appagano; altri la tor-mentano, come colui che, nudo, si corica su di un letto di spine; al-tri ancora la oscurano, come vapori che impediscono di vedere losplendore del sole; alcuni la macchiano, come la fuliggine deturpaun bel volto; altri la intiepidiscono, come acqua calda in un recipi-ente scoperto; e se ogni appetito è causa di un effetto determinato,in gradi minori va a scatenare tutti gli altri. San Giovanni insistemolto su come questa perla preziosa, questo castello di diamanteche è l’anima umana, sia oscurata da appetiti che non solo non ar-recano alcun bene, ma impediscono allo spirito di realizzarsi nellacomunione divina.

L’affetto che ella ha per tutte le creature è come tenebra fitta al Suo cospet-to, e finché l’anima ne è avvolta e non fa nulla per liberarsene, non può es-sere illuminata e posseduta dalla pura e semplice luce divina.19

Le potenze e le facoltà dell’anima sono qui estremamente deboli, esi lasciano vincere facilmente, cosa che non accade a coloro che sitrovano nelle mansioni più alte: «Coloro che si trovano in questo sta-to devono far di tutto per ricorrere spesso al Signore, e non avendovassalli capaci di difenderli, prendere per intercessori la benedettaMadre di Dio e i suoi santi, perché combattano per loro».20

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2.2) Seconde mansioni

Le seconde mansioni sono scenario di una durissima lotta per il con-trollo e il governo del castello, dove il cavaliere (lo spirito dell’uomo)cerca di fare ordine in se stesso, affrontando bestie e avversari (lespinte della natura corrotta propria e altrui) attraverso il controllodegli abitanti, i servi e le guardie del castello (le facoltà dell’anima, ipensieri, i desideri, i moti interiori e le attività esteriori).

Parlo dunque di coloro che han già cominciato a far orazione e hanno inte-so quanto importi non rimanere nelle prime mansioni, benché non sappi-ano ancora uscirne definitivamente. Ciò dipende dal non fuggire le occa-sioni, cosa assai pericolosa.21

Nelle seconde mansioni ci è richiesta grande perseveranza, pienafiducia nel Signore, nonché la capacità di rialzarci prontamente dopoesser caduti.

Essendosi avvicinate all’appartamento di Sua Maestà, ne sentono gli inviti ecapiscono di aver in Lui un buon vicinante, grande in bontà e misericordia.[...] Questo nostro Signore vede tanto volentieri che noi l’amiamo e ne cer-chiamo la compagnia, che non lascia di quando in quando di chiamarci per-ché andiamo a Lui. [...] Queste voci ed inviti si odono nelle parole di certebuone persone, nelle prediche, nelle buone letture e in tutti quegli altri mo-di di cui Dio si serve per far sentire le sue chiamate: prove, malattie e certeverità che Egli fa conoscere nei momenti che si consacrano all’orazione, siapure svogliatamente, ma da Lui molto stimati.22

L’anima è chiamata a fare continui salti nel buio, in quanto nonpossiede ancora quel bene a cui anela, e al contempo gli è richiestodi fare sacrifici per poter uscire dalla condizione in cui si trova; deveaver fede, abbandonare la terra d’Egitto e lasciarsi guidare nel deser-to in vista dello stabilirsi nella terra promessa:

Non mi meraviglierei se chi non ne ha esperienza volesse essere sicuro di avernepoi qualche premio. Ma voi già sapete che vi attende il cento per uno fin da ques-ta vita e che il Signore dice: Chiedete e vi sarà dato. Se non credete a ciò cheEgli dice nel Vangelo, sorelle, mi rompo io la testa per persuadervene.23

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La preghiera come ascesa e apertura del cuore a Dio deve divenireabito, un pregare senza stancarsi mai, quel pregare nel segretodi cui parla il divino maestro. Questa come già detto è necessariaperché si possa procedere nel cammino, perché le virtù e i donidello Spirito possano crescere e fiorire; perseveranza e umiltàsono le uniche direttive che Gesù comunica riguardo allapreghiera, evitando in questo modo di imprigionare lo Spirito cheliberamente e per infinite strade istruisce i figli di Dio; a propositoTeresa afferma:

L’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto d’amicizia,un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamod’essere amati. [...] È necessario che i principianti indaghino dove ricavanomaggior frutto.24 [...]Il profitto dell’anima non è nel molto pensare ma nel molto amare, e questoamore si acquista determinadosi ad operare e a patire.25

Non è l’aridità che ci impedisce di amare, perché l’amore è un attodi volontà; è anzi nell’aridità e nella tentazione che dimostriamo diperseverare nella fedeltà all’Amato. Allo stesso modo non è il gustospirituale che possiamo provare a determinare la nostra condizionespirituale; l’anima saprà di stare nella giusta via quando l’unico suogusto sarà quello di essere una cosa sola col Crocifisso Risorto.Perseverando in questo amoroso dialogo, vocale e mentale, l’o-razione va via via semplificandosi e tanto più si fa puro e permanentel’orientamento d’amore dell’anima a Dio, tanto più essa si lascia per-meare dall’ospite divino, che le comunica progressivamente la SuaVita:

Non dovete temere di morir di sete, il Signore chiama tutti, e a coloro chelo seguono dà da bere in mille modi, affinché nessuno muoia. Si tratta in-fatti di una fontana abbondante, da cui derivano vari ruscelli, alcuni piccoli,altri grandi, e altri con piccole pozze. Queste sono per i bambini, coloro chesono al principio e ai quali basta quel poco: mostrandone loro in gran copia,non si farebbe che spaventarli.26

Qui siamo ancora al principio, tuttavia rispetto alla prima mansione,gli abitanti del castello, (le potenze dell’anima: volontà e intelletto) si

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sono fortificati e rafforzati, e il desiderio di saper rispondere pronta-mente all’amore di Dio e ai suoi richiami si fa più forte:

La volontà s’inclina ad amare il Signore per le innumerevoli attrattive di cuilo scopre fornito. E avendo ricevuto da Lui tante dimostrazioni di amore,desidera di ripagarlo almeno in qualche cosa. Soprattutto la colpisce il pen-siero che questo vero Amante non solo non l’abbandona, ma le resta sem-pre vicino per darle l’essere e la vita. [...]L’intelletto le fa capire che un amico migliore non si potrà mai trovare, nep-pure in molti anni di vita; che il mondo è pieno di falsità; che i piaceri deldemonio apportano inquietudine, contraddizioni e travagli; che fuori delcastello non vi è sicurezza né pace, e che non bisogna frequentare le casealtrui, perché, volendolo, si può godere in casa propria ogni abbondanza dibeni.27

Allo stesso tempo anche gli attacchi del nemico si rafforzano: quil’anima va soggetta a gravi pene, specialmente se il demonio, ri-conoscendo le sue attitudini e qualità, la vede capace di andar moltoinnanzi, perché allora raduna tutto l’inferno per costringerla ad usciredal castello.

I demoni mettono innanzi tutti i beni e i piaceri del mondo, [...] suggerisconoil ricordo dei parenti e degli amici; e siccome in questa mansione si desideradi far un po’ di penitenza, la mostrano come contraria alla salute, e mille al-tre difficoltà.28

In linea con Teresa, San Giovanni afferma:

Felice l’anima che saprà lottare contro la bestia dell’Apocalisse che ha setteteste, contrarie ai sette gradi di amore, con le quali fa guerra a ciascuno diquesti e combatte con l’anima in ognuna delle sette mansioni in cui ella siesercita guadagnando progressivamente tutti i gradi dell’amore di Dio [...]sino all’unione e trasformazione divina.29

A questo punto Santa Teresa supplica le anime di affidarsi alla mis-ericordia di Dio e di non lasciarsi vincere dalle tentazioni e dai richi-ami del mondo, di non scoraggiarsi per le cadute ma di perseverarein Dio, confidando in Lui e non in se stesse:

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Perciò, se qualche volta cadete, non dovete così avvilirvi da lasciare d’andareinnanzi. Da quella caduta il Signore saprà cavare del bene, come il venditoredi triaca, che per far prova della sua efficacia beve prima il veleno. Il signoredel castello senza dubbio premierà la nostra buona volontà e il nostro im-pegno fino il giorno in cui ci libererà totalmente dai pericoli delle bestie eserpenti velenosi [...] godendo fin da questa vita, tale abbondanza di beni dasuperare qualsiasi desiderio.30

2.3) Terze mansioni

Le terze mansioni sono un periodo delicato della vita cristiana: il cav-aliere, il nostro spirito, ha raggiunto un tempo di tregua, i serpenti ele bestie sembrano essere spariti e la lotta pacificata, gli intrusi e gliavversari scomparsi, i servi e i vassalli sottomessi alla sua autorità. Ilcastello, o almeno l’ala che gli compete, sembra sottomessa all’au-torità del cavaliere, che spera adesso di ottenere una promozione daparte del Re, per lavorare con Lui e godere della sua presenza.

Esse ora – e credo che ve ne siano molte nel mondo, per misericordia di Dio– desiderano ardentemente di non offendere il Signore, si guardano anchedai peccati veniali, amano la penitenza, hanno le loro ore di raccoglimento,impiegano bene il tempo, si esercitano in opere di carità verso il prossimo,sono molto regolate nel parlare e nel vestire, e quelle che hanno famiglia latengono assai bene.31

La pace e la vittoria, l’apparente consolidamento nelle virtù non de-vono ingannare, l’anima rischia di cullarsi e retrocedere. La Santaconsiglia le anime fin qui arrivate di non tenersi nulla per se stesse, eper quanto è in loro potere spingersi verso il Signore attraverso unaprofonda ascesi:

Accelerare il passo vuol dire grande umiltà. [...] Se per recarci da un paesea un altro sono sufficienti otto giorni di viaggio, vi par forse ben fatto imp-iegarvi un anno intero, per nevi ed acque, fra alberghi e cattivi sentieri? [...]Non essendoci mortificate, il viaggio ci diverrà noiosissimo e pesante, men-tre gli altri, liberatisi da ogni impaccio, saliranno alle mansioni di cui mi res-ta da parlare.32

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L’anima perseverando in questo cammino può sperimentare l’ariditàdella soglia, l’inaccessibilità degli appartamenti reali:

Certo che con le vostre energie non potete entrare in tutte le sue mansioni,neppure se vi sembra di essere assai forti, a meno che non v’introduca lostesso Signore del castello. Perciò, se incontrate resistenza, vi consiglio distarvene tranquille, per non disturbarlo in tal maniera da chiudervene persempre l’entrata.33

La Santa consiglia alle anime giunte dinanzi l’appartamento reale, dimantenersi fedeli e umili vassalle, sperare, ma non pretendere: nontutti i servi, infatti, hanno accesso alle stanze regali, la chiave restal’umiltà, e la fedeltà in quelle prove che purificandoci ci renderannodegne di progredire verso il Signore.

Non so per che motivo non posso lasciar di credere che sia per mancanzadi umiltà se costoro tanto si affliggono per le aridità che soffrono. [...] Quan-do un’anima è veramente umile, anche se Dio non le dà consolazioni, ledarà sempre tal pace e conformità da sentirsi più contenta delle altre, nonos-tante tutte le loro delizie. [...] Il Signore desidera che io mi conformi al suovolere mantenendomi in pace.34

L’anima come il giovane del Vangelo, domanda cosa le manca peressere perfetta, avendo fatto tutto quello che sapeva di dover fare, eda parte sua il Sovrano del castello, di fronte a tanta buona volontà,risponde sottoponendola a determinate prove attraverso le quali lasperimenta e la tempra.In questo modo, l’ospite divino tocca le nostre debolezze più pro-fonde, le infermità che non siamo in grado di vedere; e giacché ingenere da soli non arriviamo a far tale lavoro di purificazione e rin-uncia, anzitutto a causa della nostra cecità, ci induce a focalizzare l’at-tenzione laddove vuole, in modo da suscitare una risposta, unareazione della volontà. Coloro che rispondono con fede a questeprove, avanzano in meriti, virtù e grazia; fioriscono infatti atteggia-menti di umiltà verso Dio, di obbedienza ai direttori e al maestro in-teriore, di amore vero e compassionevole verso gli altri. «Le animeche per bontà di Dio sono giunte a questo stato – favore non picco-lo, per essere vicinissime a salire più in alto – approfitteranno molto,

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secondo me, se cercheranno di esercitarsi attentamente nella pron-tezza dell’obbedienza».35 Come il fiore che emana tutto il suo profu-mo nell’istante in cui viene schiacciato, così l’anima che si mantieneversatile nelle prove di fuoco del suo Signore lasciandosi condurreper mano, avanza sicura nel cammino dello Spirito:

Egli ama molto l’umiltà, e se vi riterrete indegne di neppure entrare nelleterze mansioni, otterrete dalla sua benevolenza che vi faccia presto entrarenelle quinte. Allora, recandovi in esse frequentemente, lo potrete servire cosìbene da meritare che v’introduca nella sua stessa mansione, da cui non us-cirete mai più.36

L’anima sostenuta dalla Grazia si spinge in avanti, sforzandosi comese tutto dipendesse da lei, e accogliendo tutto come dono dall’Alto;è quindi chiamata a fare quanto le è umanamente possibile per pu-rificarsi con le sue forze, nell’intento di rendersi trasparente canale diluce:

È necessario che rinunzi a qualunque piacere sensibile che non sia pura-mente a onore e gloria di Dio e che rimanga vuota per amore di GesùCristo, il quale in vita non ebbe e non volle altro piacere che quello di farela volontà del Padre, suo cibo e nutrimento. [...] L’anima deve procurare dilasciare i sensi all’oscuro di tutto. [...] In questa nudità troverà il suo riposopoiché non desidera niente e niente la appesantisce nella sua ascesa versol’alto.37

Giovanni della Croce ricorda che l’anima deve spingersi fin dove lasua consapevolezza arriva, condizione quasi sempre necessaria, cheporta Dio a comunicarsi internamente e portare avanti il lavoro di pu-rificazione e sublimazione. Il programma spirituale che consiglia acoloro che aspirano alla perfetta unione, è il seguente:

Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente. Per giungereal possesso del tutto, non voler possedere niente. Per giungere ad esseretutto, non voler essere niente. Per giungere alla conoscenza del tutto, noncercare di sapere qualche cosa in niente. Per venire a ciò che non godi, de-vi passare per dove non godi. Per giungere a ciò che non sai, devi passareper dove non sai. Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare

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per dove ora niente hai. Per giungere a ciò che non sei, devi passare perdove ora non sei. Quando ti fermi su qualche cosa, tralasci di slanciarti ver-so il tutto. Per giungere interamente al tutto, devi totalmente rinnegarti intutto.38

Coloro che superate le prime lotte, e ottenuta una certa stabilità e do-minio di sé, non si fermano a riposare ma assetati di Vita continuanola corsa verso le acque eterne, si avviano allo stato di proficenti, doveinizia a manifestarsi la vita illuminativa-contemplativa.

NOTE

1 A. PIGNA, «Tempio», in Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, a cura del Pontificio Istituto dispiritualità «Teresianum» - E.Ancilli, III, Città Nuova, Roma 1995, 2454-2457.

2 A. R. MARIN, Teologia della perfezione cristiana, San Paolo, Milano 1987, 209.3 TERESA DI GESÙ, Opere. Castello Interiore, Postulazione generale dei Carmelitani Scalzi, Roma

1981, 761.762.4 GIOVANNI DELLA CROCE, Opere. Cantico Spirituale B, Postulazione generale dei Carmelitani

Scalzi, Roma 1985, 510. 5 A. R. MARIN, Teologia della perfezione cristiana, San Paolo, Milano 1987, 56.6 GIOVANNI DI RUYSBROECK, Le Tabernacle spirituel, trad. dei benedettini di Oosterhout, Vro-

mant 1930, 27.7 AGOSTINO DI IPPONA, Opere. La Vera Religione, Città Nuova, Roma 1995, n. 39 (72).8 TERESA DI GESÙ, M, 770.9 GIOVANNI DELLA CROCE, CB, 510.10 TERESA DI GESÙ, M, 817.11 Idem, 768.12 TERESA DI GESÙ, M, 767.13 TERESA DI GESÙ, M, 762.14 TERESA DI GESÙ, R, 492.15 GIOVANNI DELLA CROCE, S, 23.24.25.16 TERESA DI GESÙ, M, 765.17 TERESA DI GESÙ, V, 95.97.98.18 TERESA DI GESÙ, M, 774-775.19 GIOVANNI DELLA CROCE, S, 21.20 TERESA DI GESÙ, M, 768.21 Idem, 778.22 TERESA DI GESÙ, M, 779.23 TERESA DI GESÙ, C, 64724 TERESA DI GESÙ, V, 95.135.25 TERESA DI GESÙ, F, 1104.26 TERESA DI GESÙ, C, 631.27 TERESA DI GESÙ, M, 780.28 TERESA DI GESÙ, M, 780.29 GIOVANNI DELLA CROCE, S, 108.30 TERESA DI GESÙ, M, 783.31 TERESA DI GESÙ, M, 789.32 Idem, 796.797.33 Idem, 965.

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34 TERESA DI GESÙ, M, 790.791-792.794.35 Idem, 789-799.36 Idem, 965.37 GIOVANNI DELLA CROCE, S, 58.59.60.38 Idem, 60-61.

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Frammenti ametrici

MANO, NELLA MANOin memoriam (Walter e Samuele)

Che senso hanno ricordi sfocatidi due mani, e due mani,sacrificate sull’altare d’una adolescenza asfissiatad’ansie baudelairiane e ossidi di carbonio?

Due mani,e due mani.

L’oblio della mortevi conduce a non vedervi mai uomini, rivivendo ritorni eterni nel sogno d’una notte infinita, annata 1995, da alunni del Liceo Classico Zucchi,e condannandocia non dimenticare,a non dimenticare.

Mani su volante,mani su tubo elastomero rosso, stretto attorno ai buchi delle bracciadi divinità tossicomani,mani su tubo di scappamento, senza scappatoie,mani su mani, mano nella mano, dietro ai sedili anteriori d’una Uno, bianca, d’inverno.

E, ammantati di sonno, correste,in cerca d’Occidente.

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101Ivan Pozzoni FRAMMENTI AMETRICI

CANZONE DEI DUE NEONATI MORTI

I battiti del tuo cuore anestetizzati dalla densità del liquido amnioticonon sanno trovare una via d’uscita,non sanno trovare i battiti d’un altro cuore,annegando in cerca del confortod’un dialogo con un neonato morto.

Chiami tuo fratello, tuo fratellodovrebbe essere nello strano vocabolariodei neonati vivi, e intanto sogni di vivereuna vita da sogno, non diverrai un minatore delle miniere della Saar,né un venditore di automobili,non diverrai un logistico,né un meccanico, o un sacerdote.

Chiami tuo fratello, oggetto estraneo d’affetto fino all’infezione che da giorni ha smesso di sognare, scandendo una ninna nanna,rubandola alla voce che ti batte in testa, attraverso il cordone ombelicale,mentalizzando, con tutto l’amore di un neonato condannato a morte,la voce dolce che ti canterà una neniadinnanzi a un’anonima stele tombale.

Cullato da un silenzio irrealeti addormenti, attendendomi, fratello,nel limbo dei neonati morti.

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102FRAMMENTI AMETRICI Ivan Pozzoni

IL GRIGIO

Passando tra le scaled’una casa comunale,straniero, troverai un tesoro d’ossa e carne fuori dal normale,svezzato, nelle nottid’irridente Primavera,a bottiglie di Barbera.

Bambino scalzo,sandali di neve,allevato a calci in culoda un amore che non videil terrore nei tuoi occhiincrostati di smeraldo,dentro a fondi di bicchierecomperati in saldo.Uomo senza denti,sorriso stentato,non lasciare che vendanoi tuoi intenti nelle saled’un’asta d’antiquariato,non lasciare che ridanodei tuoi vestiti stinti,delle tue storie d’amorecaotiche come labirinti.

Passando tra le scaled’una casa comunale,straniero, troverai un tesoro d’ossa e carne fuori dal normale,svezzato, nelle nottid’irridente Primavera,a bottiglie di Barbera.

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103Ivan Pozzoni FRAMMENTI AMETRICI

I BASSIFONDI DELL’INFERNO

Non domandavi nientedi diverso da ciò che i sedicennid’ogni momento e temporichiedono, ingenuamente,ai diavoli d’ogni tempo e momento,desiderosa di rispetto e di attenzione,con quella voglia matta d’aprire una finestrasu un’adolescenza subitacome il carceriere vive la prigione,ma, fragile, contavi i battiti della tua connessione internetsenza avvederti che, chi era seduto all’altro lato della linea veniva dall’inferno, nel tuo chattar serena con un diavolo moderno.

Domandavi, cento, e cento volte ancora: «Come farò, a sentirmi bella?».

Il diavolo tentatore ti scriveva di confrontarti a una modella della televisione, di non mangiare cibi calorici, di vomitare, associando lassativiall’apnea d’una ferrea disciplina alimentare,disinfestando ogni macchia di sporcoda un corpo in crescita ormonale,fregandosi le mani d’aver trovato un nuovo scheletro da aggiungerealla sua danza macabra infernale.

Domandavi, cento, e cento volte ancora: «Come farò, a sentirmi grande?».

Il diavolo suadenteti chiedeva di mostrarti

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104FRAMMENTI AMETRICI Ivan Pozzoni

in cam senza mutande,d’ubriacarti senza ritegnoalle feste in discoteca,di darti all’uno e all’altro,chiudendo i sentimenti in una teca,di chiuderti, alla vita, nella vita,di vivere e lasciarti vivere,senza discutere coi morti,vivendo come zombiesenza ricambi d’abito,costruendo mondi assordanti sotto i rimbombi dei tuoi lombi.

Domandavi, cento, e cento volte ancora: «Come farò, a sentirmi amata?».

Il diavolo, mentendo,ti diceva di ostentarti uniformata nei vestiti, sempre all’ultima moda, ammiccando seducente, accentuando ogni tua curvasenza dare ascolto al rischiodi finire in testacoda,trasformando in necessarioogni accessorio, tollerando sul tuo derma l’indelebile marchio della marca,condannata ogni diversitàallo spettro della forca.

Fanciulled’ogni tempo e d’ogni momento,contro ogni istanza educativadisobbedite a chi, diavolo moderno,dall’alto delle cattedre, dall’alto dei castingsradiotelevisivi, dall’alto d’una scrivania aziendale,innalzi i vostri voli da usignoloai bassifondi dell’inferno.

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105Ivan Pozzoni FRAMMENTI AMETRICI

LA NOSTRA GENERAZIONE MUORE DI STENTI

Lontano da conflitti toscani,e da ogni Muda, nella confortevole abitazioneche una modernità diversamente abileha convinto tutti ad acquistare,sennò s’è fuori moda,s’atteatra una storia, da Ugolino post-moderno, chiusa tra muri di cementodove chi muore, muore d’infartoe chi resta, muore di stento.

Generazione inversarispetto ad ogni medioevo,senza assistenza o regola sociale,viveva cieco e sordo,e orfano di madre,

nel vano di una casa comunale,insieme a un uomo troppo vecchio e troppo stanco,senza sentirlo, senza vederlo,chiamato padre.

Padre, muori d’infartoe non me ne sono neanche accorto,non sentendo i tuoi rumori di dolore,non vedendo le smorfie di terroredi abbandonarmi a me stesso,non appena tu sia mortocondannandomi a chiamarti tutti i giorni,ad alta voce, fuor d’ascolto,e a morire d’inedia,d’un inedia senza volto.

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106FRAMMENTI AMETRICI Ivan Pozzoni

GRAMSCI AL CONTRARIO

Chiuso fuori, a fior di metafora,dalla tua cella d’idee sofferenti,attaccato alle sbarre,scuotendo col collo i nodi scorsoidelle catene d’oroche insidianoi tuoi asfittici assedialle città del sole,nelle nottate innaffiatedalle lacrime d’un cielosteso ad essiccare,vorrei esser te,Gramsci al contrario,sorpreso chino sulle assi artiched’uno scrittoio scalcinatoa recitare serenate contro i rosari di regime,immerso nelle faucidelle tristezze a basso costo, renitente.

Fuori dalla cella,carcerato d’oneri sociali,afflitto dalla somadi non esser natobambino in bancarotta,vorrei esser te,Gramsci al contrario,vittima d’una mente indomitamai indotta a scenderea transazioni o transumanze,senza dimenticar d’essereumano in un mondo d’uomini,condannato all’ergastolod’una esistenza spesastando alla finestra.

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107Ivan Pozzoni FRAMMENTI AMETRICI

Guardo nella tua cellasudicia, Gramsci al contrario, e, attaccato alle sbarre, ti chiedo di farmi entrare.

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108FRAMMENTI AMETRICI Ivan Pozzoni

JE M’APPELLE BONAVENTURE

Questa mattina s’attacca ai vetri dei miei occhiali,come ogni avvento antimeridiano abitudinario,l’incappare in un venditore, di libri, extra-comunitariofuori da uno dei mille soliti bar cittadini:sentirti cantilenare, col solito slang universale«Amigo, tu compra mio libro, scritto da fratello d’Africa»,ha arrestato la mia corsa folle da turista occidentale.

«Mio nome è Bonaventure»,il tuo nome è Bonaventure,indomito leone d’Africa,l’Africa che non ho mai sentito mia,oscura, fuori da ogni colonizzazioneellenica o dall’imperium latino,fuori dal mio mondo classico,conquistato in nottate di traduzionida vocaboli simili al francese,difeso dalle colonne d’Ercole.

«Vengo di Camerun»Qui, in Italia, sud di nessun nord,forse troverai un buon impiego da magazziniere o da facchino sottopagato in un’azienda di trasporti,scambiando ninnoli con cartamoneta sulle affollate spiagge romagnole,ci incontreremo all’entrata di una libreria,con sottobraccio (tu, o io?) volumi da due soldi.

«Sono morto di Aids, stamattina».Il tuo nome è Bonaventure,il sabato ha continuato a consumarsi,noi abbiamo continuato a tirar dritto,schiavi della nostra abitudine a non voltarci mai,mirando a stordirci tra i rumori del traffico milanese.

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109Achille Carone Fabiani - Anna Rita Celeste LA GRANDE BELLEZZA…

La grande bellezza: terza lettura

Dedichiamo la presente riflessione critica a Davide Frega di Torre Annunziata, avvocato e letterato esemplare, scomparso di recente

A noi sembra che l’opera presenti una “partitura” di contenuti consottesa ambizione filosofica, più che psicologica e/o morale. Infatti,le vicende di natura personale riferite dal personaggio principale “in-vestono”, nella evoluzione narrativa, quelle dei genere umano, sicchéil percorso psicologico diventa una “rivisitazione” di tipo esistenzialepiù vasta (lo si vedrà meglio più avanti, nella esposizione di altre fi-gure e/o personaggi, quale, Suora Maria - di ampio respiro storicopur dentro la specifica narrativa; ad es.: il ricordo nostalgico e do-lente, di tipo leopardiano, dell’incontro con la prima ragazza con laquale non si realizzerà mai un rapporto di amore (quindi, il rimpian-to di un rapporto solo vagheggiato), per cause rimaste inconsce e checomunque lascerà altra lesione nella memoria; ciò costituisce un seg-mento di carattere individuale ma pur sempre di rilievo generale; adesempio la “soubrette”, partecipe delle varie feste da ballo (di grup-po) disegna il modello di “disfacimento” fisico - psichico, riferibile atutti gli altri invitati.Va premesso che emerge un profilo di ispirazione “felliniana” (la dol-ce vita) ma con notevoli differenze (invero, Fellini denunciava una cul-tura personale naturalmente laica senza istanze di carattere religiosoe/o filosofico; le sue descrizioni di squarci di vita mondana appariva-no eleganti e misurate, intese a dare un affresco della città eterna,mediante la raffigurazione di una nobiltà particolare, di contro a que-ste del film in esame che risultano pressoché volgari, nonché ecces-sive, nella trasgressione (tempus regit actum).Di poi si osserva che non si rinviene la vena del decadentismo di ma-niera, pure se alcuni riferimenti letterali (citazioni di D’Annunzio, perbocca di Carlo Verdone) appaiano allocati forzosamente rispetto agliatteggiamenti più onesti ed autentici del personaggio principale (cer-tamente, di carattere autobiografico). Quest’ultimo risulta portatore ed “intercettatore” di una profonda in-quietudine (segno del tempo, che, a volte, appare “provocata” dalla

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ambientazione esterna, data dalle antiche vestigia di Roma), motiva-ta da:1) la ricerca affannosa di una fede, ma non quale interesse prima-

rio (lo si coglie da un desiderio latente di parlarne con qualcuno,disponibile a tanto; c’è, invero, il tentativo di farlo anche con unprelato di occasione, ma esso non trova esito poiché il prelato sisottrae);

2) un certo approdo al pessimismo, esaustivo, che non lascia mar-gine a nuove riflessioni; ad esempio: la forte critica disfattistaverso la donna che aveva sostenuto, in seno a quel salotto cultu-rale di maniera, la piena realizzazione di se stessa, siccome for-matasi, dall’esercizio di notevoli impegni sociali e politici, anchequale soggetto politico;

3) un vago richiamo alla “inutilità” culturale del consorzio civile, lad-dove si rinvengono “chiacchiericcio” e “superficialità”;

4) la presenza costante di un senso di tristezza che accompagna lamusica e le scene, dunque omnipervasiva (per Platone la musicadà un fascino alla tristezza);

5) l’insorgere di un senso di commozione allorquando il protagoni-sta rivisita, in una specie di sacrario, le immagini rilevate da unsuo conoscente, su di sé, riproducenti il volto giorno per giorno,per una serie di anni sino all’età adulta (verosimilmente, si inten-de rappresentare il concetto secondo cui un uomo avrebbe ognigiorno una personalità diversa, o, comunque, un atteggiamentoespressivo diverso per sé e per il prossimo);

6) la diffusa disposizione d’animo a sentire soprattutto “la fine del-le cose”;

7) l’insorgere di un terribile senso di angoscia, allorquando il per-sonaggio sente dire dal letterato Verdone che egli vuole “andarevia per sempre lasciando tutti così”;

8) l’insorgere dell’amara conclusione, sempre in capo al protagoni-sta, di non volere occuparsi “dell’altrove”, nonostante le esigen-ze spirituali che egli tenta ripetutamente di esprimere e di met-tere a confronto col prossimo;

9) un vago richiamo al pessimismo Pascaliano, laddove sì enuncia lainevitabile conclusione dello “squallore” della condizione umana;

10) la ennesima constatazione che la ricerca del senso della vita di-venta non più perseguibile, come non è perseguibile l’interesse

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111Achille Carone Fabiani - Anna Rita Celeste LA GRANDE BELLEZZA…

ad un rapporto etico ed estetico (quale processo di integrazionecon l’arte)” con le solenni sculture classiche poste alla attenzionedello spettatore (il “vivere” l’opera d’arte classica risulta oggi im-possibile e resta solo la semplice umana distaccata osservazione),contrariamente alla cultura greca-arcaica di un tempo, laddove ilrapporto stretto e concreto fra la persona fisica e la divinità “pro-duceva” un’opera d’arte di assoluto realismo e, nel contempo, diassoluto idealismo (cioè, realtà e mito si fondevano, si integrava-no, sicché l’opera diventava vivibile).

11) La ennesima constatazione che la sofferenza umana, che sareb-be la vita, cessa solo con la morte; ma, a questo punto, la libe-razione da una vita sofferente, cioè la idealizzazione di essa co-me trascendenza, può aver luogo solo col martirio come feno-meno di estrema fatica umana (a questo punto, vengono in rilie-vo grandi figure storiche esemplari: Maria Teresa di Calcutta -nel film, Suora Maria -; Francesco D’Assisi; Violetta della Tra-viata di Verdi, per vero figura più letteraria che storica; SuoraMaria realizza l’esigenza spirituale della trascendenza – con l’a-scensione assai sofferta della scala Santa, assimilabile alla soffer-ta musica ascensionale di Bach, dopo aver vissuto interamenteed integralmente la realtà della povertà materiale; “la povertànon si racconta, si vive”; Francesco, che perseguiva il postulatodella povertà e dell’annullamento di se stesso per assumerequanto più possibile il prossimo cioè il diverso da sé, realizza inprimis, l’integrazione con la “nuda terra”, quindi, trova il per-corso della identificazione con Gesù di Nazareth e così trascen-de a suo modo; Violetta attua la redenzione con la espiazione dicolpe passate.

12) Vari sono gli eventi umani rappresentati nelle sequenze del filmche vanno oltre il senso di decadentismo che ispira l’autore, si-no a costituire un atteggiamento poco attendibile, anzi mera-mente artificioso: esempi: a) la sequenza della giovane donnache dopo aver gridato al prossimo le parole “non mi amo”, silancia, con vigore, contro le mura di un acquedotto romano, conl’evidente proposito di farla finita, anche se poi sembra soprav-vivere; b) le sequenze del giovane di nome Andrea dal contegnodisperato - rispetto a quello più composto di sua madre - il qua-le anticipa agli amici più volte l’ineluttabilità del proprio suicidio

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sino a realizzarlo quasi in modo spettacolare; c) la scena in cui lostesso accoglie la madre, tutto nudo e dipinto di rosso, urlando-le “mamma mi fai arrossire” che delinea un disagio del figlio cer-tamente trascurato dalla madre, dedita, in una società decaden-te, ad attività futili e ricche e comunque esterne al rapporto conil figlio; d) le considerazioni, quasi perverse, che il protagonistafa sull’evento del funerale del giovane suicida, allorquando egliafferma che “il funerale è l’evento mondano per eccellenza co-me se si andasse in scena, e non bisogna mai piangere perchénon bisogna rubare la scena al dolore dei parenti” (quasi che lospettacolo del funerale riproduca il teatro della vita;) poi però ilprotagonista, chiamato a sorreggere la bare assieme ad altri ami-ci, sbotta letteralmente a piangere e smentisce se stesso; verosi-milmente, si rappresenta il contrasto tra la razionalità pura for-zosa ed i cosiddetti sentimenti insopprimibili dell’uomo; e) la lun-ga sequenza della bimba che costretta dai genitori a dipingereavanti un folto gruppo di spettatori, fra i quali galleristi di rino-manza, arriva come una indemoniata - anzi presa da un furoreartistico eccezionale - ad “imbrattare” una grande tela con il get-tito di secchi di vernice e con interventi delle braccia e delle ma-ni (la circostanza resta un mistero interpretativo di non poco con-to) f) la sequenza del lanciatore di coltelli perfettamente incoe-rente col contesto del film, se non come traccia storica di spet-tacolo circense (Fellini); g) la sovrapposizione costante e scoordi-nata di simboli tipici;h-sospetti ricordi di infanzia del protagoni-sta (in giardino con le suore) che nulla aggiungono alla valenzadell’opera, in quanto rispondenti a caratteristiche della persona-lità di ognuno di noi (i ricordi di infanzia si appartengono a ognu-no di noi); i) la sequenza della donna intellettuale che afferma“Roma è la città che ha realizzato il marxismo”, “che ha realiz-zato il collettivismo puro” (nulla giustifica nel contesto della nar-rativa, tale “inciso ideologico” e non si capisce come esso possaessere armonizzato con gli altri elementi di ordine ideologico; l)la sequenza del turista giapponese che cade a terra e muore col-pito dalla bellezza di Roma; m) l’altra sequenza che rappresentauna donna che canta una melodia dal senso semplicemente evo-cativo; n) la scarsa distinzione fra eventi di natura biografica edeventi tipici della storia umana;

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Da ultimo, valga osservare che: non è dato intuire subito il senso del-le numerose allegorie ricorrenti nella rappresentazione (distese di ac-qua ed aree di colore intenso), ma per questo lato, forse risorge uncerto linguaggio di Fellini espressione di surrealismo e/o evocazionemisteriosa e fantastica della memoria quale caratteristica imperscru-tabile dello excursus interiore.Comunque, si ritiene che l’opera possa censurarsi quale carica ditroppi e troppo frequenti elementi simbolici (es. volo degli stormi, lavisione della sommità di una cupola e della grata di essa, forse qualiluoghi di introspezione psicologica del protagonista cui fa riscontro lavoce di una bimba la quale dice verso il protagonista “tu non sei nes-suno; ed ancora, caricata dì espressioni e di atteggiamenti decadentiche sembrerebbero prevaricare gli altri profili (“la mia vita non è nien-te”, confesserà più tardi il protagonista in un momento di riflessio-ne,anzi, egli arriverà a chiedere al “mago” esperto di sparizioni di “fa-re sparire anche lui”).In definitiva, l’eccessivo simbolismo c/o allegorismo e/o diffuso de-cadentismo arriva ad inquinare, formalmente e sostanzialmente, larobusta linea tematica dell’opera, in quanto arriva a “prendere” unsenso dispersivo, anzi caotico, di irrazionalità fine a se stessa (in net-to contrasto con i propositi di ordine filosofico, compreso il rischio diprovocare interpretazioni fuorvianti dell’opera, verso i lettori).Nel complesso, però, si può affermare che discenda una valutazionepositiva dello sforzo che l’autore dell’opera sostiene per continuare lasua tematica (“ricerca del senso della vita”, ricerca della fede, ricercadel significato di molti simboli della natura e dell’opera storica chel’uomo realizza, tutti principi della cui nobiltà sarebbe ingiusto so-spettare), mai appagante però le sue esigenze di radicata laicità.

Achille Carone FabianiAnna Rita Celeste

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Recensioni, mostre convegni

Alessandro Cesareo presenta:

Angelamaria Onori, Il canto della Diomedea, SED Editrice, Viterbo, 2014, pp.198.

Accenti di rara melodia poetica, anche se espressa in una prosa snel-la e lineare, ma anche echi soffusi di suoni lontani, altamente indefi-niti e struggenti, danno a questo nuovo lavoro di Angelamaria Ono-ri un tocco di tale raffinatezza e di così rara bellezza che il lettore re-sta semplicemente incantato e rapito nel leggere, ad esempio, unapagina come questa e nel cogliervi un’ulteriore, importante occasio-ne di maturazione stilistica e di evoluzione espressiva.Scrive infatti l’autrice in un passo del romanzo:

Ecco, il gabbiano ha attirato la mia attenzione, mi sono divagatadal pensare alla mia distrazione. Scruto intorno…, lo sguardo siposa su un masso a destra; il mio libro è lì, dove non lo avrei maimesso. Qualcuno deve avercelo posato, al riparo dalla marea, per-ché, sicuramente, l’avevo dimenticato sulla sabbia, anzi, accorta-mente, vi ha messo sopra un ciottolo piatto per impedire alle pa-gine di sfogliarsi con la brezza della sera. Solo una persona puòaverlo fatto, ma non lo vedo nuotare sotto il pelo dell’acqua: de-ve aver esaurito il tempo a sua disposizione e, come ogni giornoda che sono qui, è risalito di corsa in paese. Sorrido immaginan-do la scena.

Una donna sola approda in un’isola, in cerca di silenzio e di solitudi-ne, o forse soltanto per dimenticare (o per rivivere a distanza?) idrammi del suo passato, ed ecco che, dall’incontro con Mujo, essatorna invece a vivere e sente nascere e crescere di nuovo quella par-te di sé che credeva fosse addormentata o, forse, anche spenta persempre, dopo tanto soffrire.Ma il perché della complessità (e della bellezza) del suo stato d’ani-mo si può comprendere soltanto quando nella narrazione viene in-trodotta, con un abile espediente narrativo, la bella ed insicura Ge-

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nevieve, ragazza educata con rigore e severità ed il cui nome, fruttodi un necessario compromesso tra i genitori, avrebbe voluto poterlegarantire un futuro diverso da quello che, in realtà, le toccherà insorte. È lei, infatti, la vera protagonista di questa pregevole opera diAngelamaria Onori. Dalla sua penna e dalla sua delicatezza espres-siva è ora nato, dopo i precedenti assaggi letterari e dopo l’approc-cio verista de Il padrone dei girasoli, un altro ed ancor più raffina-to capolavoro.La protagonista appare dunque in tutta la sua umanità solo nella se-conda parte del romanzo, nella quale il lettore viene introdotto quasia sorpresa dopo aver letto delle pagine indimenticabili, caratterizzateda un elevato potere evocativo e, inoltre, da un’evidente capacità de-scrittiva. L’isola, con le sue meraviglie, i suoi colori, i suoi odori, i suoisapori, costituisce infatti il primo dei vari mondi che, all’interno del-l’opera, la Onori tratteggia con grande abilità e con evidente mae-stria.L’ingresso nel secondo è quello che si realizza con la narrazione del-l’adolescenza di Genevieve ed al cui interno si profilano i motivi delsuo entusiasmo e, nel tempo stesso, del suo dramma. Difficile e con-torto il suo rapporto con il giovane che ama e, soprattutto, comples-so e soffocante il mondo degli adulti che la circonda e che, in so-stanza, le impedisce di vivere.Da esperta conoscitrice dell’animo umano ed abile indagatrice dellepieghe della psicologia femminile quale, in effetti, è, ecco che l’autri-ce ci offre, con questa sua nuova opera, un altro, magistrale esempiodella propria capacità narrativa e della propria linearità espressiva, ilche renderà particolarmente avvincente la lettura de Il Canto dellaDiomedea.Questa particolare specie di volatile, ricorda infatti Mujo alla prota-gonista, non è un gabbiano, appartiene ad una specie diversa, èun’anitra selvatica delle paludi; si è insediata qui dal tempo deitempi, ha le penne blu scuro e le piume del petto grigio tortora…;il gabbiano ha un piumaggio diverso. All’isola viene chiamata Dio-medea…., la chiamerò Medea, che ne dice? Ed è proprio nell’alo-ne misterioso che la circonda che è forse da ricercare il senso profon-do dell’intera storia qui narrata.

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Incontro con l’autore… Sebastiano Ventresca

Davvero indimenticabile è, e tale si presenta, la vacanza così nitida-mente e lucidamente narrata da Sebastiano Ventresca in questo suoultimo romanzo, giunto a coronamento di una produzione letterariapiù che quarantennale e davanti alla quale diventa difficile non rico-noscere, come viene poi fatto, i tratti essenziali di una narrativa ma-tura, disinvolta, chiara, frutto di conquiste lentamente maturate neltempo e, inoltre, in evidente sintonia con le esigenze più dirette e,inoltre, con le necessità più immediate del nostro tempo.Un’epoca difficile, quella che stiamo vivendo, anche perché forte-mente contrassegnata dall’inarrestabile vacillare di un intero mondodi valori, un tempo considerati e vissuti come stabili e duraturi, maoggi quotidianamente sottoposti a degli attacchi rovinosi che, oltre ametterne in dubbio la validità, ne minano anche la consistenza e l’ef-ficacia.Una sfida, questa, che l’autore, reso forte e tetragono nei confronti del-la vita grazie a tutta una serie di esperienze, di situazioni, di circostan-ze, accetta con estrema disinvoltura e che dimostra di non temere.Per chi, infatti, ha conosciuto Sebastiano Ventresca quando descri-veva, con tono accattivante, ma anche marcatamente imbevuto direalismo, l’emblematico personaggio di Zizzerlino il cococciaro, ri-tornare oggi sui suoi scritti significa scoprire un ulteriore, significati-vo passo verso una più marcata ed ammirevole maturità di tipo stili-stico-espressivo.Quest’ultima, importante dote, scandita attraverso le numerose unitànarrative in cui si articola e si sviluppa il tema narrato nella trama diUna vacanza indimenticabile, introduce il lettore nell’analisi d’inte-ressanti quadri di vita che, come quello iniziale, che vede protagonistiSergio e Berto, oppure come quello successivo, dedicato a Carlo eBianchina, lasciano emergere, e fin da subito, la più spiccata abilitàdell’autore nell’individuare e nel presentare caratteri e profili, molti deiquali delineati come una sorta di percorso in via di sviluppo.Pare, infatti, soprattutto secondo quest’ultima, importante categoria,che il racconto non si concluda, ma che continui una sorta di svilup-po ideale e quasi metanarrativo, per poi afferire ad orizzonti più ele-

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vati, la bellezza e la grandezza dei quali è ravvisabile nel contesto dialcune descrizioni di tipi umani, una delle quali, ad esempio, è quellaravvisabile nella Tragica storia di Marilia, ovvero di, come narra l’au-tore, “una bellissima ragazza di undici anni, così gentile e sorridenteche, quando passava per strada, tutti la chiamavano per nome o sifermavano a rimirarla. Sembrava un piccola fata, dalla quale era ine-vitabile essere attratti e ammaliati”.Una triste vicenda locale, dunque, quella della bella ragazza prema-turamente scomparsa, ma non solo, dato che dalla vicenda che dallanarrazione della vicenda che la riguarda si apre un vero e propriopercorso descrittivo ed interpretativo, avente al centro il sempliceBerto che, assai turbato dal racconto, è subito dopo potentemente at-territo anche dal solo approssimarsi dell’odore delle streghe, davantial quale reagisce con un moto di vero e proprio terrore.Una terra forte, ancora saldamente legata ai ritmi, sani ed invalicabi-li, di madre natura, è dunque quella che l’autore propone in questepagine e della quale si avverte viepiù la presenza quando si fa riferi-mento all’impotenza della scienza medica, definita del tutto ineffica-ce nei confronti del cosiddetto male buio, sicché c’è bisogno di ri-correre ad una stravagante Ampolla a becco che, depositaria di unamillenaria ed antica tradizione, sembra porsi come il deus ex machi-na di una situazione di difficile soluzione.E che dire dell’infaticabile, inarrestabile Valicamonti? Senza dubbio,un bel po’ della sua energia e del suo vigore sono quelli stessi che ca-ratterizzano, accompagnano e connotano l’autore, tenacemente pro-teso verso il raggiungimento di un obiettivo da cui né l’età, né le dif-ficoltà della vita, riescono a distoglierlo. È infatti in questa sua tenacia ed in questa sua fiducia pressoché in-crollabile che va ricercata, e tutta intera, la pienezza di una coscien-za narrativa che, prima ancora di raccontare la vita, ha saputo cono-scerla, interpretarla e gustarla a fondo, onde offrire ai singoli lettorinon solo un assaggio, ma un’idea completa ed avvincente del me-stiere esercitato dallo scrittore, nonché dell’innegabile importanza delruolo svolto dallo stesso. È quanto si può arguire con maggiore chiarezza e con maggiore cer-tezza dalla lettura e dall’analisi delle due unità narrative dell’opera, ov-vero Felice ritorno e Addio, dalla lettura delle quali si può dedurrecon chiarezza che la vita non è di sicuro una passeggiata, per cui,

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considerando che “il distacco è quasi sempre triste e lascia dei segniprofondi nell’anima, sia di chi parte che di chi resta”, è senza dubbioimportante che, a conclusione di Una vacanza indimenticabile, cia-scuno torni a casa contento, arricchito, sereno, così come si può conchiarezza evincere da una pagina vicina all’explicit del romanzo, incui leggiamo:“La vacanza di questi ultimi era finita. Forse, il giorno dopo, essi do-vevano riprendere il lavoro interrotto. Ma, sul loro volto abbronzato,persisteva un’aria dolce e svagata, propria della villeggiatura, che par-lava eloquentemente di sole caldo, di gite all’aria aperta, di serate ma-giche al chiaro di luna. Di tutto il bagaglio della vita serena appenatrascorsa, insomma, che il distacco e la lontananza facevano appari-re sempre più bella, più desiderabile e più cara. Attenuatosi il mago-ne, Berto si avvicinò al finestrino, alla sua destra, e si volse a rimira-re il mare”.Ed è con queste parole dello stesso autore che è possibile avviare unnuovo percorso d’ingresso nell’importante tema letterario della va-canza e del viaggio, con cui i lettori potranno arricchire se stessi e po-tenziare, nel contempo, il proprio interesse e la propria curiosità. Unsentito grazie a Sebastiano Ventresca, dunque, per il suo stile chiaro,lineare, incisivo, ma anche per l’abbondante ricchezza e per l’incon-taminata freschezza del suo mondo interiore, da cui il lettore vienecatturato ed ammaliato, ma anche condotto all’interno di un percor-so di conoscenza e di crescita dal valore non comune e, soprattutto,pienamente in linea con le marcate esigenze di questa nostra e cosìparticolare epoca.

* * *

Ed ancora, In Una volta, che tempi, avvincente raccolta di poesiescritte in dialetto di Torre dei Nolfi ed opportunamente tradotte in ita-liano, compaiono tutte le tematiche più importanti e maggiormenteincisive di un’epoca purtroppo destinata a vivere dei drammi forseancor più grandi di quelli qui descritti, e davanti ai quali non rimanealtro da fare se non chinare il capo e, quindi, così facendo, accetta-re quanto accade o quanto inizia a fare parte del nostro essere, dellanostra normale e lineare quotidianità e, quindi, della nostra espe-rienza.

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Detti e canti popolari, invocazioni dialettali, dispetti, usanze legate airiti nuziali ed ai dolorosi riti funebri, modalità di vivere e festeggiareil Carnevale, feste di paese, pratiche agricole e legate alla pastorizia,ivi compresa la distribuzione, pubblica e gratuita, di granturco cottosulla piazza del paese, costituiscono, soprattutto se debitamente ecompiutamente intrecciate a riti religiosi dell’importanza e del valoredel Corpus Domini, degli interessanti spunti di riflessione davanti aiquali la nostra civiltà, per così dire tecnocratica, non può non inter-rogarsi, finanche a stupirsi e a scoprire, all’interno degli incantevolibozzetti delineati in ogni poesia di Sebastiano Ventresca, una vera epropria chiave di lettura e d’interpretazione di un mondo che, appa-rentemente sommerso e cancellato dalle ali del tempo, torna invecea farsi sentire e, soprattutto, a farsi cogliere in tutta quanta la sua bel-lezza, la sua fragranza e la sua coinvolgente intensità.Ammaliante poeta, oltre che disinvolto ed avvincente scrittore, l’au-tore propone dunque qui il tema del recupero memoriale ed am-bientale di quello che lui con intenso amore e con più che raffinataarguzia definisce Lu paisielle mie, il quale viene così ad essere im-mortalato in questa lirica che apre la raccolta e che fornisce al letto-re un’interessante e stimolante chiave di lettura, di analisi e d’inter-pretazione dell’intera silloge. Lo stesso dicasi in merito all’importanza ed al valore della Festa delBuon Consiglio, celebrata il ventisei aprile e fonte, tanto per lui cheper quanti gli stanno attorno, di forte batticuore, di rimpianto e dismania, un po’ come quando l’autore, nell’indimenticabile lirica Ma-rossa me’, ricorda la meravigliosa figura della nonna che, magistral-mente ritratta ai piedi di una quercia, vuole fargli un dono di granderispetto e di grande valore, un dono che egli non potrà mai dimenti-care.È dunque il tempo degli Acorelli, segno tangibile ed icastico di unabella epoca purtroppo già trascorsa e, inoltre, ricordo indelebile del-le persone care oramai da tempo scomparse da questa terra, prezio-se figure amate alle quali vanno tutto l’effetto e la stima del poeta,appassionato e disinteressato cantore dei legami familiari e della pu-rezza, bella ed intensa, degli affetti che li rendono possibili e che li ca-ratterizzano.E che dire della poesia Savame quetrele, che a chi conosce poco ildialetto del posto può suonare come titolo strano, ma che vuole in

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realtà dire e, con la massima semplicità possibile, ovvero ciò che rie-sce sempre assai bene all’autore, Eravamo ragazzi, testo in cui l’al-legria ed il gusto della vita pervadono, ed in totale pienezza, ogni ver-so ed ogni parola?Quei ragazzi di allora mangiavano poco, è vero, ma per loro il mon-do non era ancora rovesciato, e volersi bene e condividere il presen-te equivaleva a vivere nel modo più bello e veritiero tutta quanta l’e-sistenza che si andava allora dipanando sotto i loro stessi occhi, edera proprio quella la loro vita, e nient’altro di più, o di meglio, o didiverso, perché in quello che stavano vivendo i giovani di allora, edunque l’autore stesso, avevano già da tempo individuato e radicatola loro unica, attraente ragione di esistenza e di vita.Altrettanto invitante, e forse proprio perché espressione della poeti-ca delle piccole cose, ovvero quelle che il poeta latino Catullo defini-rebbe nugae, è la lirica dedicata al Topolino, in cui leggiamo:

Appena arrivato,la prima mattina,venne un topolino,che faccia verdina!...“Questo posto”, mi disse,con voce moscia,“non è per te,ma per un’amica mia”…

Immagini fluide, contesti attraenti, versificazione sciolta, termini ap-propriati… tutto questo è e rappresenta, in buona sostanza, la rac-colta Una volta, che tempi, in cui Sebastiano Ventresca, abile e ver-satile interprete di un importante bifrontismo stilistico, che lo portaad operare con estrema disinvoltura nell’ambito della lingua italianae del vernacolo, ci offre un ulteriore ed importante saggio tanto del-la grandezza e della vastità del suo mondo interiore che della profon-da ed avvincente maturità stilistico-espressiva cui egli è stato capacedi approdare e, così facendo, di caratterizzare un’epoca, un tempo,fino a fare di tutto ciò una vera e propria scelta di vita, nonché un au-tentico connotato d’identità letteraria ed umana, cui l’autore èprofondamente legato ed alle radici della quale riaffiorano l’impor-tanza, la bellezza e la grandezza della civiltà contadina colta in tutto

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quanto il suo fascino e la sua innegabile, intramontabile grandezza.Liriche da leggere più volte e da gustare a fondo, dunque, sonoquelle qui proposte, davanti alle quali è dunque possibile rinvenireil coerente e proficuo incarnarsi ed inverarsi di un’autentica e piùche radicata coscienza letteraria, accanto alla quale si profila ancheuna profonda coscienza di tipo civile ed anche politico, magistral-mente e seccamente espressa nel breve frammento in cui l’autoredescrive ciò che, oggi come oggi, appare essere ogni giorno spac-ciato come esempio di democrazia, ma che tale, in realtà, davveronon è…tutt’altro!

Alessandro Cesareo

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A colloquio con Cetta De Luca

D. – SCRIVERE è anche in-dividuare un farmaco comerimedio agli affanni delquotidiano. Anche tu ritie-ni di muoverti secondoquesto tipo di ottica?

R. – Leggendo questa doman-da mi è subito venuto in men-te Leopardi. Ho pensato aisuoi giorni di “studio matto edisperatissimo” e mi sonochiesta se le cose che ha scrit-

to in seguito siano state una cura alla sua depressione. Non cre-do, semmai cassa di risonanza. Io credo che si scriva per colmarei silenzi della propria solitudine. L’essere umano ha bisogno diconfrontarsi, di trovare risposte diverse dalle proprie alle infinitedomande che costantemente si pone. Quando l’interlocutoremanca, scrivere è il miglior modo per prendere le distanze da sestessi. In questo senso posso definire la SCRITTURA come un ri-medio. Una volta si scrivevano i diari (e ancora qualcuno lo fa),sfogatoio quotidiano di dubbi, angosce e frustrazioni (chissà per-ché è sempre stato complicato scriverli nei momenti di gioia…).Ora si scrivono romanzi, o poesie, o memoir. Io scrivo perché mipiace farlo, lo trovo uno straordinario sistema per comunicarecon chi non conosco, un modo per entrare in contatto senza met-termi in gioco direttamente. La scrittura è il mio filtro, mi dà iltempo di soppesare l’importanza e la validità di un incontro.

D. – Il tempo dello scrivere ed il tempo del narrare.

R – Credo che le due “azioni” siano parallele. Non riesco a concepi-re una narrazione distante dalla scrittura e, in genere, i tempi coinci-dono pur senza sovrapposizione. La storia arriva, in qualche modo,

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da qualche parte, si narra perché ha bisogno di essere ascoltata. E inquel momento bisogna fermare le parole da qualche parte, perchénon siano dimenticate. Poi accade anche che, durante il tragitto dal-la mente alle dita, alcuni particolari, alcune vicende, scantonino in al-tri percorsi narrativi, altre derive possibili, altre soluzioni inattese. Ilbello della scrittura è proprio questo: gli eventi possono essere modi-ficati prima di scrivere la parola fine.

D. – I sentimenti forti che predominano nella tastiera deltuo pc.

R – La passione. C’è sempre, trasuda dalle immagini che provo adescrivere, dalle parole che scelgo per raccontare un fatto, unpensiero, una scelta. E non mi riferisco solo alla passione tra uo-mo e donna, ma alla passione in senso lato, quella che ci muovee ci fa accantonare la ragione. Trovo che questo tipo di passionesia essenzialmente femminile, e nelle mie storie le donne ci sonosempre, donne di oggi, problematiche, dense, legate alla terra ealla natura che è madre, progenitrice. Ecco, oltre alla passione,c’è il sentimento pànico della vita nei miei scritti, una sorta di bi-sogno istintivo di riportare tutto alle origini, all’essenza semplicedella nostra primitiva umanità, prima che la civiltà la rendessecomplicata.

Da “Quella volta che sono morta” - Ricordo la sfida del quaderno arighe di terza elementare. Una riga larga e una più sottile. Ma cheperfidia. Serviva a rimpicciolire la grafia. Io che scrivevo talmente lar-go che con tre parole dovevo andare a capo, ero in profondo imba-razzo. Ogni volta che dovevo scrivere fissavo quel foglio per diversiminuti, per decidere le misure, un po’ come prendere la rincorsa eaffrontare la sfida. Io e le righe diseguali. Tanti bambini hanno riportato traumi emotivia vita per questo, ne sono certa. E sono diventati tutti medici, dallegrafie incomprensibili. Colpa delle righe della terza elementare. Ionon sono diventata medico. Io risolvevo all’epoca con un diversivo.Per prendere coraggio mi allenavo facendo cornicette sul bordo su-periore e inferiore del foglio. Sempre più complesse, man mano che

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prendevo confidenza con le misure. È lì che è cominciata la mia pas-sione per il cubismo, che quando ho visitato il Moma a New York misono sentita una di famiglia tra quei dipinti, compresa, accettata.Quello che non feci mai, durante quel fatale anno di terza elementa-re, e neppure in seguito, quando ormai la compulsione si era con-clamata, fu di chiedere aiuto. Non chiesi mai alla maestra come do-vevo fare per far entrare le mie enormi lettere in quelle righe così pic-cole. E non lo chiesi neppure a mio padre, tantomeno a mia madre.Mi arrangiai da sola. Sfogandomi coi ghirigori. Figuriamoci. Figuria-moci se l’avessi fatto. Chiedere aiuto. Io. È così che comincia l’isola-mento. Non sono gli altri che ti ci mettono. Ci vai da sola. Ti mettiin castigo da sola per orgoglio, per dimostrare quanto sei brava e for-te, o magari perché pensi che gli altri non siano all’altezza di aiutar-ti. Ma che ne sai a otto anni se gli altri sono all’altezza di aiutarti ono? Forse l’hai chiesto, una volta, l’aiuto, e sei rimasta delusa. I bam-bini ricordano tutto. Solo che poi da grandi se ne dimenticano. Ri-mane solo l’effetto dell’oltraggio subito. E vanno in analisi. A volteper anni. Per disseppellire qualcosa che, a ben pensare, meglio sa-rebbe se restasse sommerso.Da “Nata in una casa di donne” - Teresina era gelosa. Non di Gior-gio, di lui non lo fu mai. Non riusciva ad accettare il fatto che le fi-glie, tutte, indistintamente, pur riconoscendole il ruolo di genitorepredominante, cercassero continuamente il consenso del padre. An-che se poi non davano peso ai suoi rimbrotti, non temevano le suepunizioni e non gli confidavano i loro piccoli segreti, un complimen-to del padre valeva più di qualsiasi regalo.Lei le lodava, le ascoltava, le confortava, ma Giorgio riceveva i piùgrandi sorrisi quando, magari sbadatamente, diceva a una di loro“Brava!”.Se nel rapporto di coppia è vero che in amore vince chi fugge, lo stes-so vale nel rapporto tra genitori e figli, anzi, quanto più è marcato il di-sinteresse tanto più forte e spasmodica è la ricerca di una correspon-sione. Perché da un padre e da una madre ci si aspetta un amore in-condizionato, senza limiti e senza tempo; i figli non nascono di lorospontanea volontà, non bussano un bel dì alla porta di una coppia perannunciare “Eccomi! Dove mi metto?”, non sono ospiti inattesi e nonprogrammati alla festa della vita. Ma neppure possono essere conside-rati il “bene rifugio” delle crisi coniugali, o i bastoni della vecchiaia.

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I figli arrivano perché voluti, desiderati, amati senza riserve prima an-cora di esistere, così dovrebbe essere, sempre. A volte però non sitratta di mancanza di amore. È che non si sa come fare a dirlo, a di-mostrarlo, e se con una donna tutto sommato è naturale, con un fi-glio bisogna saperlo fare. Non ci sono gesti intimi e privati, non ci so-no parole piene di passione né versi scritti per l’occasione; c’è solol’esempio ricevuto, fatto di un susseguirsi di piccoli gesti, di abitudiniquotidiane, di sguardi d’intesa, gesti che un padre impara da un altropadre, perché a sua volta è stato figlio e ne ha potuto assaporare ilgusto delicato e indelebile.

Giorgio non ricordava cos’era la dolcezza, né aveva mai conosciutola confidenza verso i genitori. La guerra gli aveva portato via tutto enon c’era stato più tempo per recuperare l’amore. Quindi fuggivadalle braccia strette intorno al collo, fuggiva dalle manine paffutelleche gli pizzicavano le guance, fuggiva dalle labbra bagnate e freschedi saliva che rubavano baci. Impostava lo sguardo severo, con una ru-ga a solcargli la fronte, e innalzava un muro che teneva lontane le suefiglie, lontano lui, via da tutto questo sentire, provare, via dai pensie-ri che ancora sapevano volare.E Lucia lo inseguiva. E Cristina lo inseguiva. E poi Vera e in ultimoAngela lo inseguirono. E Teresina non riusciva a capire.

Qualche notizia su Cetta De Lucawww.cettadeluca.wordpress.com

Sono nata in Calabria qualche anno fa e sono appassionata di viaggi, di storia me-dievale e rinascimentale e letteratura dell‘800 e del ‘900 italiano. Adoro cucinare.Il mio primo romanzo, Colui che ritorna (Edizioni Melody – Dicembre 2011)ha vinto il Premio Giuria Narrativa dell’edizione 2012 del Concorso Europeo ArtiLetterarie Via Francigena. Nata in una casa di donne è il mio secondo lavoro, è stato pubblicato nelfebbraio 2013 con il marchio L’Erudita da Giulio Perrone Editore, secondo classi-ficato al Concorso Sirmione Lugana Camuni Narrativa 2013. Nel 2014 è uscita laversione digitale e la seconda edizione in brossura.

Ho pubblicato altro (solo in versione eBook):Cetteide – In vacanza con mia madre (raccolta di racconti di viaggioumoristici);

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Appunti (raccolta di poesie – nella versione in lingua inglese “Appunti, Notesfrom the heart”);TanguEros (Due racconti erotici – Esperimento di co-scrittura con Marco Reale)Quella volta che sono morta (romanzo breve) – DuDag Edizioni;

E ancora, solo in brossura:Storie in 100 parole (Partecipazione all’antologia di racconti brevi pubblica-ta da Giulio Perrone Editore – Settembre 2013);La nudità dei fiori (Partecipazione all’antologia di poesie erotiche pubblicatada Giulio Perrone Editore – Settembre 2013);Se soltanto parlassimo (Partecipazione agli Incontri Poetici, ospite DaciaMaraini, pubblicata da Giulio Perrone Editore - Gennaio 2014).

Poiché scrivo molto, collaboro con diversi blog e siti:http://inoltreilblog.wordpress.com (Inoltre di Saverio Simonelli).http://svolgimento.blogspot.it (Tutta colpa della Maestra).http://www.artapartofculture.net (Magazine online di Isabella Moroni).

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