atti del corso: percorsi multidisciplinari per l’educazione ambientale… · 2015-10-23 ·...

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SCUOLA MEDIA “V. DA FELTRE” BOBBIO (Pc) Centro Documentazione Studi Ambientali della Val Trebbia Atti del corso: PERCORSI MULTIDISCIPLINARI PER L’EDUCAZIONE AMBIENTALE: IL LABORATORIO Bobbio 11-12-13 settembre 2000

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SCUOLA MEDIA “V. DA FELTRE” BOBBIO (Pc)

Centro Documentazione Studi Ambientali della Val Trebbia

Atti del corso:

PERCORSI MULTIDISCIPLINARI

PER L’EDUCAZIONE AMBIENTALE:

IL LABORATORIO

Bobbio 11-12-13 settembre 2000

SOMMARIO

1. INTRODUZIONE E PRESENTAZIONE DEL LAVORO (Prof. Adele Mazzari, Preside S.M.S. di Bobbio, Direttore del corso)

2. RELAZIONI

➢ Risvolti economici della questione ambientale (dott. Giovanni Piva)

➢ Storia-Ambiente, Ambiente-Storia (Prof. Giuseppe Papagno)

➢ Il concetto di ambiente nei trattati internazionali (Prof.ssa Teresa Andena)

➢ Ambiente e formazione (Prof. Giancarlo Sacchi)

3. ATTIVITA’ DI LABORATORIO

➢ Lab. 1 Uso didattico di un museo Dott.ssa M. Luigia Pagliani➢ Lab. 2 “I mulini dell’Erba Grassa” Elena Castelli, Stella Carini➢ Lab. 3 Il risparmio energetico Prof. Ferruccio Carra

1. INTRODUZIONE E PRESENTAZIONE DEL LAVORO3

(Prof. Adele Mazzari, Preside S.M.S. di Bobbio, Direttore del corso)

Il corso proposto ha inteso continuare il cammino di studio e di analisi delle metodologie didattiche applicate all’educazione ambientale iniziato nell’anno scolastico 1994-95 con il corso: Percorsi multidisciplinari per l’edu-cazione ambientale: il greto del fiume e nell’anno scolastico 1995-96 con il corso: Percorsi multidisciplinari per l’educazione ambientale: l’uso didattico del parco. Nel 1996 è stato realizzato il corso Itinerari formativi pluridiscipli-nari ed interdisciplinari finalizzati all’educazione ambientale: uso didattico del parco e delle aree protette (aspetti antropici). Nel 1997 è stato realizzato il corso: Percorsi multidisciplinari per l’educazione ambientale: la qualità ur-bana in cui si è continuato nella linea di approfondimento delle dinamiche di impatto dell’attività umana sul territorio e dello sviluppo compatibile, studiando la città come ecosistema. Nel 1998 si è approfondito il problema della sostenibilità studiando il concetto di limite (carrying capacity) di un sistema ambientale correlata allo sfruttamento delle risorse da esso fornite. In sostanza l’ambiente stesso è fonte di sostentamento per le comunità uma-ne ed animali (ambiente come risorsa). Si è affrontato il problema dal punto di vista della gestione del territorio, del riequilibrio ecologico, della fruizio-ne e tamponamento degli impatti.

ContenutiCon il presente corso si è inteso approfondire la relazione tra la gestione

delle risorse e la conservazione ambientale e l’ambiente culturale su cui si innestano i processi decisionali. La sostenibilità richiede infatti scelte, ma le scelte si innestano su un tessuto sociale, culturale, economico, contempora-neamente ne sono il prodotto e su di questo producono effetti anche profon-di. Le scelte producono inoltre conflitti in quanto necessariamente favorisco-no determinati settori o interessi. Implicano un mutamento di comporta-menti che può essere più o meno condiviso. L’indagine è dunque tesa a svi-scerare, per quanto possibile, questa rete di interazioni secondo la consueta logica multidisciplinare.

➢ Risvolti economici della situazione ambientale (Relatore Prof. G. Piva)➢ Storia-Ambiente, Ambiente-Storia (Relatore Prof. F. Papagno Dipartimento di Storia - Università degli Studi di Parma)➢ Il concetto di ambiente nei trattati internazionali (Relatore Prof.ssa Teresa Andena)➢ Ambiente e formazione (Relatore Prof. G. Sacchi)

Le relazioni sono state integrate da laboratori didattici di approfondimen-to monotematico collegati con le relazioni sopraindicate nonché da visite

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2. RELAZIONI

RISvoLTI ECoNomICI DELLA qUESTIoNE AmbIENTALE.(dott. Giovanni Piva)

Taglia la foresta dei tuoi desideri prima di tagliare un albero vero e proprio (meditazione buddista)Bobbio 8 settembre 1999

Schema • Situazione globale; i dati di base • Politiche ambientali e sistema economico• Dalla protezione alla conservazione; il valore dell’ambiente• Verso una politica di sistema: le aree protette

Schema produttivo naturale e umano(Fonte M. Bresso, per un’economia ecologica Nis 1993)Rapporto ecosistema terrestre/umano

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guidate.

Lab. 1 museo della città: uso didattico di un museo - Dott.ssa m. Luigia Pagliani

Lab. 2 Un percorso naturalistico: “Erba Grassa” - Elena Castelli, Stella CariniLab. 3 Il risparmio energetico - Prof. Ferruccio Carra

SToRIA-AmbIENTE, AmbIENTE-SToRIAProf. Giuseppe Papagno

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Le politiche ambientali

I beni ambientali• Sono beni pubblici o quasi-pubblici, (commons) ovvero caratterizzati dal-

la non escludibilità• La non escludibilità nell’uso e la (relativa) abbondanza nella disponibilità

portano i soggetti economici a non considerarne il costo

I beni privati• Hanno un valore facilmente individuabile tramite il meccanismo della do-

manda e dell’offerta. I meccanismi di mercato permettono di rendere esplicita la quantità che si vorrebbe consumare e il prezzo che si è disposti a pagare

I beni ambientali• Hanno un valore non facilmente identificabile; gli operatori non dichiara-

no correttamente la quantità che vorrebbero consumare ed il prezzo che sono disposti a pagare. vi sono sovente comportamenti opportunistici (free rider)

Gli interventi di politica ambientale• Possono avere un costo che ricade sull’intera collettività oppure un costo

che ricade solo su alcuni operatori• Hanno benefici diffusi e spesso difficilmente localizzabili• Hanno costi immediati e benefici di lungo periodo

Per la scelta degli interventi e per la valutazione delle possibili alternative si fa riferimento al valore totale del bene che si vuole conservare ché è rap-presentato (oCSE) dalla somma dei valori di uso e di non uso ovvero da:• 1. Valore di uso: utilità direttamente percepita dai consumatori• 2. Valore di non uso che a sua volta è dato dalla somma dei:• Valori di opzione; ovvero il valore attribuito alla assicurazione che il bene

sia disponibile in futuro• Valore di esistenza, legato alla possibilità di preservare il bene dalla di-

struzione• Valore di lascito, ovvero della possibilità di godere del bene da parte delle

generazioni future• In base al valore totale si individuano le alternative possibili attraverso

analisi del tipo costi-benefici; o con le metodologie più complesse della valutazione strategica di impatto ambientale ritenendo quale obiettivo fondamentale la conservazione del beneficio sociale ritraibile dalla deci-sione di politica ambientale

Valore dei beni ambientali

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Nella storia si è passati da ecosistemi in cui l’influenza delle attività antro-piche sul totale delle relazioni era ridotta a sistemi in cui l’attività umana ri-empie l’insieme delle relazioni possibili

In una visione non sostenibile le risorse naturali vengono trasformate nel

sistema economico, restano residui il cui destino non viene deciso dal siste-ma economico

Confronto fra crescita economica e andamento demografico (Fonte world watch institute)

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Ecosistema “vuoto”

Ecosistema terrestre/Ecosistema umano

Ecosistema “pieno”

• Di natura tecnica: l’estrema complessità delle relazioni e la tendenza dei sistemi all’omeostasi (autoregolazione) rendono visibile il problema am-bientale solo in caso di “rottura di carico”

• Di natura economica (costi localizzati, benefici diffusi)• Di natura sociale (interessi e tradizioni)• Certezza dei costi, incertezza dei risultati• Indeterminatezza dei modelli (1) • Vincoli concentrati a carico solo di alcuni soggetti• Rapporti tra popolazioni locali e collettività più ampie

I principi1. Principio di sostenibilità: Sostenibilità Economica: mantenimento del capitale Sostenibilità Sociale: basata su di un elevato grado di equità e giustizia so-

ciale Sostenibilità Ecologica: mantenimento dell’utilizzo di risorse entro la ca-

pacità di carico (carryng capacity) dei sistemi2. Principio precauzionale: l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve

servire da pretesto per rinviare l’adozione di misure adeguate ed effettive (anche in rapporto ai costi) dirette a prevenire il degrado ambientale

3. Principio di partecipazione e di responsabilità: le comunità coinvolte devono partecipare al modello di sviluppo che viene loro proposto, vi deve essere consapevolezza diffusa degli scopi degli interventi e dei vantaggi che questi andranno a realizzare.

4. Principio di cooperazione fra le istituzioni e la società: La popolazione deve potersi esprimere in merito alle scelte che riguardano il proprio futuro, e le amministrazioni che decidono devono mettere in atto meccanismi isti-tuzionali di ascolto che permettano anche modifiche ai progetti e pro-grammi

5. Principio di sussidiarietà: gli scopi della politica ambientale devono essere perseguiti al livello più basso possibile, l’intervento delle entità superiori avviene solo per valori di elevata rilevanza collettiva che le comunità e le amministrazioni locali non sono in grado di sostenere e gestire

6. Principio di negoziabilità: i sistemi dei vincoli devono essere attenuati dalla posa in opera di incentivi; il beneficio delle politiche ambientali in genere non è limitato alla sola collettività che ne sostiene i costi; questa deve esse-re perciò in qualche modo indennizzata

7. PPP (polluters payers principle OCDE 1975) Principio “Chi inquina Paga”, è il principio di imputazione dei costi al produttore dell’inquinamento e del consumo di risorse ambientali.

Livelli di azione• Diffusione della conoscenza scientifica e di accessibilità delle informazioni• Soggetti portatori di interessi e decisori collettivi• Possibilità di influenzare in senso sostenibile le scelte individuali e collet-

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Metodi di valutazione dei beni ambientali

Tipo valutazione Unità misura metodo valutazione

Non monetaria Parametri tecnici matrici di impatto

valori convenzionali Coefficienti applicati a prezzi mKT

Prezzi di mercato (estimo tradizionale) v. produzione

monetaria v. complementare

v. surrogazione

v. trasf.

Surplus consumatore Indiretti: costi viaggio e metodo edonimetrico

Diretti valutazione contingente

Problemi di gestione delle politiche ambientali

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Possibili approcci alla questione ambientale (1)Approccio romantico: l’uomo immerso nella natura al cospetto di forze estre-

me vive in un’area immensa e incontaminata e soddisfa il desiderio interiore di elevazione morale e spirituale

Approccio eroico-alpinistico; l’uomo è destinato a dominare la natura com-piendo grandi imprese, grandi scalate e grandi conquiste

Approccio idilliaco: basato sulla percezione di bellezza del paesaggio

Possibili approcci alla questione ambientale (2)Approccio naturalistico: proteggere l’integrità ecologica del sistema senza

considerare le interazioni con le attività umane e la storia del territorio (esa-spera la conflittualità)

Approccio integrato (olistico) approccio multiobiettivo che coniuga la neces-sità di tutelare l’ambiente con le esigenze delle collettività umane, parte dal-la misurazione delle capacità di carico dei sistemi e definisce modelli di ge-stione e tutela che permettono la fruizione delle risorse senza intaccarne gli stock (Conf.Caracas 1994) o permettendo alle generazioni future di fruirne in egual misura (comm. bruntland 1987)

Basi per un approccio integratoNaturalistiche: evitare la frammentazione degli habitat e la perdita di vitali-

tà delle popolazioni. Individuare i sistemi ecologici, le aree a maggiore valo-re naturalistico ed a più elevata sensibilità

Economiche: mantenere le popolazioni umane sul territorio, proporre sen-tieri di sviluppo compatibili

Sociali: mantenere l’insieme delle sedimentazioni artistiche culturali, archi-tettoniche che esprimono il genius loci di un territorio

Possibili approcci alla questione ambientale (3)Ad ogni approccio corrisponde un’epoca.1872-1950 i parchi storici1950-1970 crescita senza sviluppo1970-1990 Crescita dell’ambientalismo1990 ...compatibilità fra ecologia ed economia (?)

Dalla protezione alla conservazione• Protezione: apposizione di un sistema di vincoli in modo da mantenere la

staticità della situazione• Conservazione; concetto dinamico che tiene conto dell’evolversi delle

molteplici relazioni.

Le tappe1872-1950: Parco di Yellowstone, grandi parchi nazionali africani e america-ni, “parchi nazionali storici”1971 “comunicazioni in materia di ambiente “ del Consiglio d’Europa

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tive

Modelli• Gestione “esclusiva” fondata sull’assoluta predominanza degli obiettivi

di protezione definiti dall’alto, su strategie di valore esclusivamente “tec-nocratico” individuate e non modificabili, su strumenti spesso avulsi dal sentire comune.

• Gestione “inclusiva” o partecipativa: gli obiettivi di tutela si compenetra-no con lo sviluppo sociale ed economico dei soggetti coinvolti; le strategie e gli strumenti di azione vengono identificati tramite un procedimento “concertato” di acquisizione di conoscenze e di responsabilità diffuse

PoSIZIoNE IDEoLoGICA SULL’AmbIENTE

Per una teoria della conservazioneDall’approccio romantico all’approccio integrato

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le e dell’ambiente, promuovere l’egricoltura sostenibile, adottare strategie globali di sviluppo rurale

Per le politiche dei trasporti, dell’energia, dell’industria e del turismo pone l’obiettivo di internalizzare i costi ambientali e di adottare pratiche innovati-ve verso la sostenibilità

Individua strumenti di tipo verticale:Contabilità ambientale, applicazione di oneri ambientali, riforma dei sussi-

di che hanno effetti negativi sulla sostenibilità, promuove accordi volontari e il concetto di responsabilità ambientale nonché strumenti fiscali per l’am-biente

E strumenti di tipo orizzontale quali la vIA strategica, l’ecoaudit e l’ecolabel

Contributo delle aree protette allo sviluppo sostenibile• Mantenimento delle risorse genetiche nel loro ambiente naturale tramite

la protezione delle specie minacciate dalla presenza umana e tramite la conservazione degli habitat

• Protezione delle popolazioni dalle calamità naturali• Difesa del suolo e delle acque nelle zone soggette ad erosione• Regimazione e depurazione delle acque per la protezione di zone umide e

foreste• Mantenimento della vegetazione in zone a bassa produttività e nelle aree

sensibili• Miglioramento del reddito e della occupazione tramite il turismo e trami-

te la valorizzazione delle produzioni tipiche

Le aree protette• Lucido libro Abruzzo

Modelli di gestioneLa pianificazione ambientale si propone di utilizzare il sapere scientifico e

tecnico al fine di proporre alternative per l’assunzione di decisioni di inte-resse generale

È un processo conoscitivo, lo spazio fisico nel suo insieme deve essere letto insieme alle realtà con cui si relaziona al fine di individuarne gli usi idonei e le possibili e necessarie trasformazioni

È un processo articolato in obiettivi, strategie, strumenti ed azioniÈ un processo di gestione del consenso che fa riferimento ai modelli dico-

tomici della gestione inclusiva e di quella esclusivaGestione inclusiva ed esclusiva

Gestione esclusivaSi compie una separazione totale fra gli interessi naturalistici e quelli della

collettività locale, i cittadini vengono scoraggiati dalla gestione e in alcuni casi si attua il trasferimento delle comunità umane. modello pesantemente

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1972-77 1° programma europeo di azione per l’ambiente (compatibilità fra sviluppo e conservazione per un equilibrio ecologico soddisfacente) 1978-81 2° programma di azione sull’inquinamento, tecnologie pulite1979 Convenzione “uccelli” e dir. 409/79 “conservazione specie protette”1982 Carta mondiale della natura1982-86 3° programma “politica di controllo degli inquinamenti e politica di prevenzione dei danni all’ambiente”, nasce la normativa vIA1986 ministero dell’ambiente1987 Rapporto bruntland1987 -1992 4° programma comunitario di azione ambientale, si pone l’accen-to sulla necessità di avviare uno sviluppo attento alla qualità delle produzio-ni ed alla qualità dell’ambiente1987 atto unico1992 direttiva 92/43 avvia l’istituzione di una rete organica di habitat natu-rali (Natura 2000), attiva lo strumento finanziario LIFE1992 Convenzione di Rio (biodiversità, clima, dichiarazione foreste)1992-98 5° programma europeo di azione “sviluppo sostenibile”, persegue la trasformazione del modello di crescita verso la realizzazione di forme di svi-luppo sostenibile favorendo la rivitalizzazione, il riciclo e la minimizzazione della produzione di rifiuti, l’integrazione delle politiche dell’ambiente nelle politiche generali comunitarie, ricercando la creazione di strumenti integrati per favorire le relazioni fra le diverse categorie di attori ed i principali sog-getti economici.

Il 5° programma di azioneIndividua i livelli minimi di base per la salvaguardia ambientale, gli impe-

gni prioritari per i Paesi membri, le norme e disposizioni comuni per l’inte-grità del mercato interno.

obiettivo finale= ripristino della continuità territoriale degli habitatovvero: mantenere diversità biologica all’interno dello spazio europeo con

gestione sostenibile del territorio dapprima all’interno e attorno alla rete dei SIC e poi a livello generale.

Coinvolge i settori di attività del turismo, dei trasporti, delle foreste, degli insediamenti residenziali, dello svago, dei servizi ausiliari, dell’energia, del-le industrie che devono commisurare l’impiego delle risorse naturali con la capacità di carico dei sistemi.

La decisione del consiglio UE del 24/09/98 proroga il 5° programma con obiettivi prioritari:

1) migliorare il quadro normativo2) migliorare la cooperazione fra gli stati membri3) migliorare le partecipazione dei cittadini4) accrescere l’efficacia delle ispezioni ambientaliÈ di cornice alle politiche comunitarie:Per l’agricoltura pone l’obiettivo di: Integrare le politiche di sviluppo rura-

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le attività antropiche locali

Attività di un parco• Promozione: il parco coordina l’immagine del luogo producendo un mar-

chio di qualità locale• Educazione: diffusione di un messaggio trasversale di consapevolezza

ambientale• Ricerca scientifica: sperimentazione interventi innovatori, monitoraggio

equilibri naturali dell’area

Obiettivi strategici• Completamento dei sistemi (Alpi, Appennino, isole, pianure)• Sostegno dell’occupazione e sviluppo aree deboli• Manutenzione del territorio• Sviluppo competenze.

Sistema aree protetteStato ottimale di conservazione

(fonte UE)Per un habitat lo stato di conservazione è ottimale se:

• L’areale è stabile o in aumento• La struttura specifica e le funzioni necessarie per il mantenimento a lungo

termine esistono e continueranno ad esistere nell’immediato futuro• Lo stato di conservazione delle specie è ottimale

vincolistico che trova applicazione solo negli ambienti di elevatissimo valore naturalistico ed elevatissima suscettibilità

Gestione inclusivaAttuato dai Paesi occidentali, i benefici delle aree protette per le generazio-

ni presenti e future fanno parte dei fini di gestione; modello di tipo parteci-pativo che prevede prima e durante la fase pianificatoria la raccolta di infor-mazioni circa il valore che le collettività territoriali attribuiscono alle risorse naturali e circa le misure compensative cui far ricorso per fronteggiare le li-mitazioni.

Base della gestione inclusiva = partecipazioneMeccanismi per attivare la partecipazione

Educazione ambientale basata sul duplice coinvolgimento razionale ed emotivo

Presa di coscienza collettivaAcquisizione comune delle conoscenze di baseAcquisizione di atteggiamento di disponibilità da parte di tutti gli operatoriAcquisizione diffusa di competenze e capacità di valutazioneIndividuazione collettiva e responsabile degli obiettivi comuni

Impatto di un’area protetta sulle collettività localimodifiche nei diritti di uso del suolo, di proprietà e di uso delle risorse lo-

cali (—)modifiche nelle relazioni economiche e sociali (+-)modifiche nella dipendenza economica dalle risorse locali (+-)

Modalità di attenuazione dei contrastiConfronto preliminareraccolta idee e desideri

La legge quadro sulle aree protette, fondamenti• Modello organico e coordinato di tutela ambientale fra stato, regioni, or-

ganismi tecnici• Unitarietà del sistema.• Superiorità dell’interesse naturalistico attenuata da meccanismi partecipa-

tivi• Pianificazione globale nell’uso del territorio• Gerarchizzazione del livello di protezione

Obiettivi di una strategia di conservazione (approccio integrato )• Primari: salvaguardia del patrimonio di biodiversità, mantenimento equi-

libri ecologici, difesa del territorio dal dissesto idrogeologico, sostenibilità dello sviluppo locale

• Indotti: valorizzazione risorse locali, integrazione fra le azioni di tutela e

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Stato ottimale di conservazione (fonte UE)Per una specie lo stato di conservazione è ottimale se:

• I dati della dinamica della popolazione indicano la possibile sopravviven-za a lungo termine nell’habitat

• L’areale di distribuzione non è in diminuzione• L’habitat è sufficientemente grande per mantenere a lungo le popolazioni

(non frammentazione)Confronto fra budget UE (Fonte WWF 1999)

1918

IL “SISTEmA APPENNINo”

I. Premessa

vi è una tendenza globale che si sta verificando ovunque nel mondo: l’ab-bandono delle terre marginali per il trasferimento sempre più massiccio del-le popolazioni extra-urbane nelle città. Ciò avviene nelle Americhe, nell’Afri-ca, in oriente e nella stessa Europa, dove il fenomeno è cominciato assai pri-ma.

Il che significa che la popolazione mondiale si sta urbanizzando ovunque e ovunque si assiste alla conseguente desertificazione del territorio. In questo contesto generale anche il territorio appenninico della Provincia di Parma ma il fenomeno riguarda tutto l’Appennino - non sfugge a questa nuova di-mensione dell’abitare nel mondo.

questo fenomeno massiccio e globale sta creando profonde alterazioni nel paesaggio umano e territoriale. A una tendenza plurimillenaria di estensio-ne orizzontale degli insediamenti degli uomini e delle loro attività che ha portato alla occupazione della Terra, ora se ne sta opponendo un’altra oppo-sta, per cui la Terra viene abitata per “punti densi” e tra un punto e l’altro sta uno spazio, destinato per lo più all’attraversamento, sempre più spesso desertificato della presenza e delle attività umane.

Tutto ciò implica un problema che presenta, a mio avviso, tre opzioni pos-sibili:

1. lasciare che il fenomeno continui senza opporvisi, perché significa contra-stare una tendenza globale;

2. cercare di restituire a questi spazi una compartecipazione attiva ai sistemi economici in dinamica evolutiva;

3. considerare il territorio come una “risorsa” futura da tutelare e quindi correggere la tendenza generale del fenomeno con opere di manutenzione sul territorio e con correttivi culturali.

Non credo che vi siano altre opzioni per questa come per tutte le terre mar-ginali che subiscono forme di abbandono da parte umana. Su queste, dun-que, e sui problemi che esse presentano bisognerà concentrare l’attenzione se si vuole esprimere una qualsiasi progettualità.

II. Lo stato dI fatto Per avere idee più chiare circa le decisioni da prendere, occorrerà conside-

rare lo stato di fatto attuale. In linea generale, un qualsiasi territorio extra-urbano regge nella sua costi-

tuzione se, in riferimento alla popolazione che vi abita, funziona in modo

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1. perdita di conoscenza del territorio.La rarefazione delle attività economiche sul territorio comporta una pro-

gressiva “distanza” tra popolazione e proprio habitat quanto a conoscenze “locali”. La perdita di “nominazione” nella conoscenza diffusa -i luoghi avevano tutti una propria toponomastica riferita a qualità del terreno, posi-zione, economicità, coltivazione e così via- è la prima conseguenza. Al di-stanziarsi e all’abbandono, le generazioni successive perdono con estrema rapidità quest’insieme di conoscenze, che testimonia il divaricarsi della loro aderenza rispetto ai luoghi che divengono perciò sempre più estranei.

2. abbandono in gran parte della manutenzione del territorio. Non occorre rileggere Goethe e il suo viaggio in Italia quando egli defini-

va, come l’abate Stoppani, il nostro come il “bel paese” per le sue coltivazio-ni a giardino, per la dolcezza delle sue terre collinari e per la feracità delle pianure.

Un territorio bello è, al tempo stesso, un territorio ben coltivato, mantenu-to nei suoi caratteri con cura attenta e continua. Un territorio, invece, abban-donato dalla mano umana, dopo essere stato per secoli un luogo di incontro tra natura e coltura (e con ciò cultura), entra in un degrado progressivo e di-viene assai rapidamente poco piacevole alla vista. La situazione peggiora in Appennino che, per la sua struttura gracile, è oltretutto facile alla frana.

Certo, taluni luoghi rimangono di pregio e degni d’attrazione. ma si tratta per lo più di punti o di aste e non certo del complesso territoriale.

Il gruppo che assieme a me sta studiando la val Ceno ha riscontrato, ad esempio, la quasi purezza delle acque del Ceno, che però qua e là sono de-turpate nel loro corso dalla presenza di “cave”. Ecco un esempio del mutato “senso di risorsa” che sta avvenendo qua e là in Appennino. Nulla da dire che le cave siano necessarie alle attività economiche che si svolgono altrove. ma l’attività di escavazione non restituisce nulla ai luoghi in cambio degli sventramenti inevitabili che essa causa. Anche questa può essere considerata in questo contesto un’attività di rapina in quanto contravviene alla regola della reciprocità “locale”, per cui a ciò che si toglie va restituito qualcosa di pari valore in cambio.

quest’ultima espressione implica qualcosa di rilevante. Infatti è ovunque diventato un detto comune che, ad esempio, le valli appenniniche siano al-trettanti ecosistemi. bene, un ecosistema sopravvive se può rigenerarsi con i propri ritmi interni. ma nel caso di inteferenze esterne occorrebbe predispor-re dei correttivi col carattere della reciprocità, altrimenti l’ecosistema decade inevitabilmente.

ora, in definitiva, l’abbandono dell’Appennino, riveste due tendenze: - da un lato vi è degrado nei luoghi coltivati sia per i metodi di coltivazione

e sia per essere le coltivazioni a tessere e non a livello di “sistema”. Il degra-do, naturalmente, è ancor più consistente nelle coltivazioni abbandonate;

- dall’altro si assiste a un ampliamento del selvatico. ovunque in Italia e così

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dinamico ed equilibrato la congiunzione di tre elementi tra loro intrecciati: - la sua conoscenza generale e specifica come risorsa “economica”, e a que-

sto termine va conferita una valenza generale ; - la sua aderenza a quel territorio con un insieme di attività di natura econo-

mica da cui trae vantaggio per vivere; - il suo riconoscimento che esso ha un “valore” complessivo per cui è un

“bene” starvi e continuare sia ad abitare come a svolgere talune attività.Il terzo punto è spesso una sorta di “esito” inconsapevole. Che un territo-

rio abbia un “valore” significa infatti che i protagonisti lo vedono non solo una risorsa economica ma anche come un fatto culturale che li riguarda da vicino perché esso è lo specchio della loro stessa identità complessiva. In una parola, esso è il “loro paesaggio”. ma questa maturità consapevole è venuta assai spesso più dall’esterno che dai protagonisti del luogo, tranne talune eccezioni, anche rilevanti, come, ad esempio, il Tirolo italiano o certe parti della Toscana o dell’Umbria. Su ciò, comunque, si tornerà oltre.

Quanto al primo elemento -conoscenza generale e specifica come risorsa economica- è quasi unanime la considerazioone che un problema dell’Ap-pennino si pone proprio in quanto esso è sempre meno risorsa economica nel contesto generale del sistema economico allargato e, in modo specifico, per le popolazioni che ancora vi abitano. Non vi sarabbero convegni come questo presente se ciò non costituisse il problema cruciale.

Circa il secondo elemento -attivazione delle risorse locali per tradurle in attività a contenuto economico- è a tutti chiaro che l’agricoltura, un tempo il supporto generale di tutta l’economia appenninica, è oggi assai spesso di risulta, cioè un’attività non primaria né fondamentale.

Da un lato, perché una non piccola parte della popolazione gravita ormai sui centri della pianura per le loro attività economiche.

Dall’altro, perché essa è rimasta spesso un’attività di persone che sono en-trate nella terza età e che la praticano in modo “leggero”. Anzi, qualcuno l’ha addirittura definita un’attività di “rapina”, nel senso che si prende dal territorio quel che esso dà quasi spontaneamente senza restituirvi quelle at-tenzioni che meriterebbe una coltivazione attenta e moderna. Per esempio, da una breve analisi, pur se non definitiva, sembra che in val Ceno esistano solo due stalle con complessivi quaranta capi di bestiame vaccino. Come di-re: nulla.

Ciò è dovuto anche al fatto che non esisteva e non esiste una produzione agricola di forte qualità e”peculiare”, che offra al mercato attuale prodotti degni di distinzione qualitativa. ora, senza una produzione “locale” forte si è immediatamente emarginati dai sistemi più moderni e più attrezzati di produzione agricola di regioni più avanzate. E, ancora, senza prodotti con una propria identità specifica di qualità sul mercato urbano, si interrompono quegli scambi che in passato avevano creato i flussi economici con la pianu-ra che sopperivano almeno in parte alle carenze di materiali e prodotti locali. In tal modo l’isolamento diventa più consistente e genera un insieme di con-seguenze, che possono così essere schematizzate:

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anche in Appennino, il bosco sta riguadagnado spazio. Certo, spesso si tratta di bosco con piante di piccola taglia che riproduce in parte il bosco ceduo che in passato occupava ampi spazi e che era destinato ai carbonai per fare carbone di legna. ma l’ampliamento del bosco è reale e va conside-rato pur sempre come una dilatazione della “naturalità” negli Appennini e come possibile risorsa per un domani.Ultimo elemento, ma non inferiore per importanza agli altri due, è la

bassa considerazione del “valore” dell’Appennino. L’insieme delle consi-derazioni fatte porta a ritenere che per le popolazioni locali sia sempre me-no forte la “presa culturale” che il loro habitat costituisca un “vero valore”, lo specchio della loro identità forte, anche se sentono in modo acuto come questa tendenza allo spopolamento e all’abbandono del territorio sia pro-gressivamente penalizzante per la qualità della vita nei vari centri dell’Ap-pennino.

III. ProPoste PossIbILI

L’analisi fatta è certo sintetica e sbrigativa. ma, se ha qualche possibilità di essere verosimile, dà qualche indicazione sulle scelte rispetto alle tre opzioni indicate all’inizio, e cioè lasciare che il fenomeno continui nella sua “natura-lità”; cercare invece di contrastarlo con iniziative atte a restituire attività eco-nomiche al territorio; fare solo opere di correzione rispetto a un fenomeno indominabile nella sua tendeza con interventi sul territorio e sulla “cultura” del territorio.

Da quanto s’è detto, il punto cruciale del “sistema Appennino”sta nel fatto che la popolazione abbandona l’habitat perché non vi riconosce più la sua capacità di essere, come in un passato anche non lontano, una vera risorsa nel sistema economico attuale. ma se è così, poiché sono le attività economi-che che, da un lato, mantengono il territorio e che, dall’altro, lo rendono at-to a diventare un “valore”, tutta la dinamica del sistema decade

Secondo le opzioni enunciate si consideri quella che vuole reimmettere l’Appennino nella dinamica economica moderna.

1. Opzione di contrasto economico del fenomeno dell’abbandono.Per reinnescare il sistema occorrerebbe che le popolazioni locali -soprattut-

to per iniziativa propria ma anche con stimoli esterni- entrino nella “convin-zione effettuale” che l’Appennino sia ancora una effettiva risorsa economi-camente e culturalmente di valore.

ma, ciò detto, si rivela alquanto difficile agire sui due aspetti del problema: nel generare una tale convinzione per trattenere la popolazione in loco in virtù di prospettive non generiche ma precise e coinvolgenti il territorio in quanto tale. ora, stante l’abbandono dell’agricoltura, vi sono due possibilità: turismo e industria.

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a. AspettAtivA turisticA

È in genere frequente il ricorso ad essa come soluzione dei molteplici pro-blemi connessi ai territori marginali. ma un incremento turistico in un terri-torio già soggetto a degrado costituisce un problema acuto in un’epoca in cui il turismo si sta mondializzando specie in riferimento a luoghi ad alta attrat-tiva per la peculiarità singolare di certi caratteri. Una considerazione che so-lo forzatamente e con scarsa credibilità può essere fatta per l’Appennino, che esso non può vantare né tradizioni turistiche né luoghi di alta attrattiva.

Certo, può esservi il turismo della seconda casa, specie per gli abitanti del-le città di pianura. ma risolve il problema?

Si può fare una simulazione su due casi attuali esistenti.

A: i cittadini acquistano abitazioni abbandonate come seconda casa.Che accade in tale contesto? Al cittadino interessa l’abitazione, possibil-

mente vicino o entro un paesaggio “naturale” ma a lui non interessa affatto il terreno. Dunque, acquisterà preferibilmente l’abitazione con un po’ di ter-ra intorno ma non di più. ma con ciò non si ottiene nulla nei confronti della tutela del territorio che è la vera “risorsa” che si vorrebbe salvare e tutelare.

B: costruzione di villette ad uso di seconda casa per i cittadini.Il beneficio sta nell’utilizzare un po’ di manodopera locale mentre tutti i

materiali di costruzione vengono dalla città. Ciò non innesca un’attività edi-lizia locale continuativa, se non quella di risulta (piccole riparazioni e così via). qualche vantaggio lo ricevono le botteghe di alimentari ma non è cre-dibile che ciò inneschi problemi di ampio sviluppo economico né di manu-tenzione del territorio, perché anche le villette sono altrettante “isole” nel contesto ambientale.

Infatti, soprattutto, rimane sempre il problema della manutenzione del ter-ritorio. Ammettiamo che il Comune -o i Comuni di un’area- si accolli in par-te questa attività per boschi, sentieri, zone di ricreazione , di picnic e così via. Il “costo” di queste attività nuove è compensato dalle effettive nuove entrate nel Comune? Si dirà che altrove ciò avviene. ma ciò avviene se ven-gono soddisfatte in modo combinato due condizioni rilevanti: attività com-plementare del turismo rispetto ad altre attività economiche locali sufficien-temente remunerative che indirettamente collaborano proprio a mantenere e tutelare la “bellezza” del territorio (esempio Alto Adige), alta densità della presenza turistica per un arco di tempo prolungato.

ora, nessuno di questi due casi sembra darsi per l’Appennino, almeno in tempi brevi.

La prima condizione è quella più importante. Nel caso-modello Alto Adi-ge, il turismo ha tradizione e profondità temporale, per cui esiste una cultu-ra dell’accoglienza da parte delle popolazioni locali. ma la base di tutto è stata e continua ad essere l’attenta “coltura” del territorio che ha portato a una profonda “cultura” del territorio, visto come parte essenziale della pro-

Se sono questi gli elementi da prendere in carico, occorre rendersi conto che qui la variabile “tempo” gioca la parte di protagonista. Nel senso che una simile aspettativa ha veramente bisogno di una dimensione temporale prolungata perché vi siano probabilità che si possa incidere su questi due punti.

Incidere con dei correttivi, come s’è detto, abbandonando le aspettative immediate di una conversione turistica, che va comunque stimolata senza attendersi però fin d’ora da essa la soluzione al problema, o di una indu-strializzazione assai meno realistica.

All’inizio s’è detto che il processo economico in atto tende a concentrarsi su punti e che ciò rende marginali territori un tempo vastamente antropizza-ti, come l’Appennino.

S’è, inoltre, anche fatto cenno al fatto che ora, in questa prima fase di mon-dializzazione turistica, fanno aggio i luoghi sparsi per il mondo con alta at-trattiva, specie se di natura esotica, che penalizzano perciò le zone che non presentano tali caratteri.

ma vi sono talune considerazioni da fare che appaiono ragionevoli:- anzitutto, che in un tempo non così futuro buona parte della popolazione

avrà più tempo disponibile e che dovrà utilizzarlo per il “piacere” in mo-do meno puntuale -cioè sempre meno: areoporto A -> volo - Aeroporto b, visita e ritorno con lo stesso sistema a salto di canguro -> ritorno ad aero-porto A- ma invece in modi più continuativi e periodici;

- in secondo luogo, che l’inurbamento sta già innescando il senso di una “perdita”, quella della propria “naturalità”, che faceva in qualche modo “convivere” gli uomini con l’ambiente . Per cui la frequentazione della natura è sempre più sentita non solo come svago o sport ma anche come problema culturale inerente alla propria identità di uomini;

- in terzo luogo che si assiste ad una elevazione della cultura media in ogni luogo in virtù dei sistemi di comunicazione attuali e che un incremento del livello culturale rappresenta una nuova considerazione della propria qualità della vita e del mondo circostante. E che ciò vale anche e non da meno per un incremento delle conoscenze naturalistiche;

- ancora, che tutto ciò potrebbe innalzare di molto la domanda di “natura” attorno ai centri di sempre più alta densità urbana, con una domanda pe-rò alquanto diversa dal “modello seconda casa” oggi ancora abituale;

- infine, che quest’insieme si risolva in una nuova tendenza culturale, quel-la non di stare come ora “sul” territorio semplicemente calpestandolo ma, invece, quella di starvi “dentro” convivendo con esso e partecipando alla sua vita.

In relazione a queste “possibilità”, è compito soprattutto delle istituzioni trovare i sistemi e le risorse per tutelare con interventi mirati il “valore” del-la naturalità del territorio. ora, in questa dimensione, il “vuoto” che si sta creando in Appennino, invece che un problema negativo, va considerato co-me una straordinaria opportunità che non sarebbe data se i sistemi di colti-vazione e le relazioni uomini-territorio continuassero nel solco della tradi-

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pria identità. A tal punto che non è possibile per un non residente acquistare terra o case in Tirolo e anche acquisire la residenza è quanto mai complesso.

Il turismo, dunque, si innesta su una manutenzione eccezionale del territo-rio per le attività economiche che vi si svolgono e che la comunità istituzio-nale nel suo complesso tutela fortemente considerandole essenziali per il proprio benessere economico e culturale. e, non da meno, per la tutela della propria identità.

ora, questo è proprio quel che manca in Appennino. Per cui interventi esterni, per quanto diano qualche vantaggio locale, non sono in grado di af-frontare alle radici il problema. Contrastare il fenomeno, quindi, senza che la popolazione locale sappia ritrovare, pur con stimoli e suggerimenti esterni, questa nuova aderenza al territorio e al suo valore, rischiano di essere picco-le isole in un territorio che continuerebbe a degradarsi.

b. industriA

Trasferire in Appennino impianti industriali o attività economiche consi-mili, a parte i gravi problemi di natura ecologica e di costi, potrebbe radicare parte della popolazione ai luoghi, ma solo per “punti”. Cioè si innesterebbe anche in Appennino -quasi paradossalmente- la tendenza mondiale a con-centrare la popolazione in centri urbani. ma ciò contribuirebbe ancor più all’abbandono del territorio. Così non si affronterebbe ancora una volta il problema cruciale, che sta nel come restituire all’Appennino nella sua gene-ralitàe globalità il carattere di “risorsa” economica.

2. Opzione del lasciare che il fenomeno continui con l’attuale tendenza.È chiaro che potrebbe essere fatto. ma ciò contravviene a un preciso postu-

lato, e cioè che il territorio costituisce pur sempre un bene e che il suo de-grado rappresenta nel tempo una perdita secca intollerabile economicamen-te e culturalmente. Le istituzioni, inoltre, hanno proprio il preciso compito di valorizzare quanto più è possibile quanto esiste. Infine, una politica del lasciare che le cose vadano verso il degrado significa anche un ben scarso ri-spetto per quelle popolazioni che ancora resistono in Appennino e che in buona parte aspettano, come i soldati di Dino buzzati ne “Il deserto dei Tar-tari”, che qualcosa di nuovo si presenti all’orizzonte.

Per quanto possibile, quindi, questa è un’opzione da scartare.

3. Opzione di creare correttivi al fenomeno in corso, ovvero di considera-re l’Appennino come risorsa ecologica e umana.

Lo si è detto: i punti focali sono due:- che il territorio rimanga e divenga ancor più risorsa;- che la popolazione locale residente sia indotta a considerarlo tale e che

per essa divenga “valore”.

è interesse diretto delle università o delle istituzioni scientifiche, delle asso-ciazioni a vario titolo interessate a tale dinamica e delle istituzioni, locali e non locali, che questi centri di cultura sorgano e abbiano la più vasta diffu-sione e considerazione.

Per uscire dall’astratto, ritengo che questi centri di cultura debbano essere direttamente implicati nelle “ricerche”.

Ad esempio ad essi andrebbero affidati taluni aspetti del grande progetto, come l’Atlante dei nomi locali, che individuano passate attività e funzioni dei luoghi, l’Atlante delle specie vegetali e animali e loro geografia, l’Atlante dei sentieri intervalle, esistenti e desueti, l’Atlante di attività economiche estinte (mulini), la ri-proposizione di sentieri e percorsi nel senso della latitudine lungo tutto l’Ap-pennino da Est a ovest e viceversa, dato che questi erano più spesso i rappor-ti delle popolazioni originarie che non quelli lungo il corso di valle, che servi-vano invece le comunicazioni a lunga distanza. E così via. E in ciò le scuole, ma non solo loro, potrebbero esservi implicate come “nodi” territoriali.

Lo si è detto la conoscenza costituisce sempre la base per una aderenza al territorio e tanto più se la conoscenza è attenta all’analisi del territorio come “risorsa economica ecologico umana” del prossimo futuro in cui queste per-sone potrebbero esservi coinvolte come altrettanti ospiti e “guide indiane”.

La conoscenza, tuttavia, è sempre un modo arduo ed ha bisogno di model-li non solo per diventare tale ma per divenire patrimonio trasmissibile ad al-tri. Le esperienze –come ben si sa– non si trasmettono ma al massimo si rac-contano. qui di seguito, pertanto, avanzo l’ipotesi d’un modello conoscitivo, che è stato pubblicato altrove in un volume (Giuseppe Papagno,Un modello per la storia. materiale, Attività, Funzione, Diabasis, Reggio Emilia 2000), che ne tratta più ampiamente la parte teorica assieme ad un certo numero di case studies, dove si cerca di coglierne l’efficacia e l’attendibilità. qui di se-guito ripropongo una delle tematiche là svolte, sperando che sia di qualche utililità nel contesto sopra affrontato, che ne costituisce, tra le righe, un’espli-citazione.

Il saggio qui di seguito esposto è il risultato della mia partecipazione al convegno internazionale tenutosi a Pisa nel 1992 sul Geographical Information System, supporto informatico indispensabile per la conoscenza del territorio. Pubblicato allora in forma sintetica e in inglese, è stato poi “ritoccato” ed ampliato in talune sue prospettive, che sono qui riproposte.

IV. Un modeLLo Per conoscere e Per agIre

1. Vedere il tempo

Contributo alla discussione sulla dinamica spazio-temporale1 Dobbiamo riconoscere che il tempo separa l'uomo dalla natura,

oppure possiamo costruire un modello conoscitivo

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zione, che non aveva affatto questo obiettivo.Per cui le istituzioni si debbono sostituire alla popolazione nel prospettare

questo progetto di valorizzazione e prendersi carico della globalità del pro-blema.

ma deve essere altrettanto chiaro che progetti di questa dimensione neces-sitano di:

- grande intelligenza conoscitiva a livello scientifico-culturale;- grandi risorse economiche per tempi prolungati;- acuta sensibilità culturale in chiunque vi si dedichi nell’adattarsi ai luo-

ghi, alla loro natura e dimensione storico-temporale sotto ogni aspetto.

In pratica ciò significa orientarsi su due approcci combinati: 1. elaborare un progetto di rivalorizzazione dell’Appennino come risorsa

ecologica e umana rivolto all’Unione Europea.Tale progetto, però, deve essere tale nella formulazione e nelle applicazioni

per cui l’esperienza fatta sugli Appennini sia, in tutto o in parte, un patrimo-nio trasferibile altrove, cioè in tutte quelle terre marginali europee che han-no davanti a sé la prospettiva del degrado se non si affronta la rivalorizza-zione.

Il che comporta che istituzioni, università e varie associazioni si sentano direttamente implicate per problemi economici, culturali e di politica del territorio. È augurabile che si costituisca un pool capace di dare credibilità scientifica, culturale e di politica generale a un tale progetto, e tale da sapersi imporre alla attenzione della Unione Europea come una sorta di progetto pi-lota per le aree divenute o in via di divenire marginali.

2. creare poli di cultura sul territorio. Personalmente ritengo che nei limiti più ampi possibili le popolazioni lo-

cali vadano coinvolte per una varietà di ragioni: - anzittutto, per non sottrarle al loro ambiente e per non renderle ostili a

progetti che, come è accaduto per certi parchi, piombano sulla loro testa dall’esterno e che perciò vengono sentiti “estranei” e “dannosi”.

- inoltre, perché innumerevoli dati confermano che assai spesso le cono-scenze empiriche locali costituiscono un prezioso e spesso basilare fonda-mento di conoscenze altrimenti non ottenibili, specie nella dimensione della temporalità, sia essa inerente alle attività umane come ai processi naturali.

- infine, perché senza la partecipazione, anche se faticosa, della popolazio-ne locale non si avrebbe nel tempo quel mix di “natura e cultura” che rap-presenta il tessuto insostituibile perché un territorio divenga una “attiva” risorsa economica e un “bene culturale vissuto come valore”.

I modi per dar vita a questi centri di cultura sono vari ma occorre dire che

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mettere a fuoco per sbozzare poi il telaio di un nuovo “modello conoscitivo”.

2. Vedere il tempo: Grande Muraglia e Via EmiliaAl ritorno dal viaggio lunare, gli astronauti americani affermarono che

l'unico manufatto umano visibile dalla Luna era la Grande muraglia cinese, mentre nella nostra immaginazione avrebbero dovuto esserlo i grandi centri urbani di Londra, New York, Tokyo e così via.

“Grande” e “visibile”, quindi, non sono forse sinonimi. va, allora, analiz-zato meglio cosa sia il “vedere”. Ciò che connota “in più” la Grande mura-glia è la sua antichità, superata solo dalle piramidi egiziane, invisibili, però, dalla Luna perché punti e non incisione sul territorio. Ciò pone interrogativi sul rapporto tra il vedere e grandezza, natura, temporalità e distanza spazia-le degli oggetti dall'osservatore.

Un altro esempio chiarirà i termini del problema. Esaminando in computer una immagine da satellite dell’area di milano assieme a Carlo Jacob, inge-gnere allora alla Ibm di milano, notai con grande sorpresa che, mentre erano evidenti le vecchie strade statali -soprattutto, la via Emilia- che uscivano dalla città, non si vedevano, invece, le autostrade. qui in gioco non era certo la grandezza, data la maggior ampiezza dell'autostrada rispetto a quella del-le strade statali. L'unica differenza tra via Emilia e autostrada -quasi paralle-le ma l'una visibile e l'altra non- sta solo nel Tempo, la prima antica mentre l’altra assai recente. Il satellite aveva fedelmente registrato questa distinzio-ne e la macchina aveva “fotografato il tempo”. Possibile?

vedere il tempo: che significa? In oltre duemila anni, la via Emilia ha fini-to col modellare lo spazio attorno a sé. Campi, insediamenti, vie che vi con-fluiscono o che dipartono, appaiono tutti orientati sulla strada. Più che dal nastro d'asfalto, il percorso si coglie dal suo “intorno”, che evidenzia l'orga-nizzazione artificiale dello spazio e degli oggetti, indotta o determinata pro-prio dalla sua presenza “attiva nel tempo”.

All'opposto, l'autostrada diviene invisibile, proprio perché, recente nel tempo, non ha ancora costituito una matrice d’organizzazione spaziale “in-cisiva” sul territorio. L’ambiente, dunque, da un lato, è profondamente orientato, mentre dall'altro, lo è a tal punto superficialmente che, ad una “certa distanza nello spazio”, la macchina fotografica ne ignora l’esistenza, indipendentemente dalla dimensione. Sembra, dunque, che il visibile, oltre che quantità in rapporto allo spazio, sia anche una “qualità” in relazione al tempo, il che andrebbe ampiamente verificato per cogliervi, se possibile, del-le regole.

Del resto, non vanno lette così le scoperte di località archeologiche sotto terreni coltivati, tramite la fotografia aerea? La colorazione più densa del ter-reno non indica forse che vi è stata lì una maggiore attività umana rispetto a quella circostante? Ancora una volta, una densità umana più “profonda” nel tempo rispetto a quella più “superficiale” si “vede” nello spazio. In gioco, quindi, è anzitutto “vedere il tempo” in certe sue relazioni con lo spazio.

Gli esempi inducono a trarre le seguenti indicazioni:

che sia aperto all'idea del tempo umano come espressioneesasperata di un divenire che condividiamo con l'universo?

I. Prigogine, I. Stengers, Tra il tempo e l'eternità.

1. Geographical Information System e conoscenza del mondo. 2. Vedere il tempo: Grande Muraglia e Via Emilia. 3. I boschi della Val Visdende e il Modello. 4. Storia e calcolatore. 5. Il telaio del gran gioco. 6. La cornice dei dati. 7. La qualità dei dati. 8. I caratteri dei dati: la compatibilità. 9. Il mondo così com’è e i sogni.

1. Geographical Information System e conoscenza del mondoIl Geographical Information System è la “rappresentazione ragionata” di tutte

le cose “visibili” del mondo. Esso non può, allora, evitare di confrontarsi con il problema che sta alla base: la conoscenza del mondo. Sottraendovisi pùò fornire informazioni a base spaziale, utili a conoscenze topografiche, topolo-giche e d’identità formale degli oggetti, ma inutilizzabili a tal fine.

I processi di conoscenza sul mondo si sono evoluti lungo tre direttrici (ico-nica, logico-concettuale e matematica), nel passato, sempre disgiunte2. L'intro-duzione del calcolatore pare coniugarle in un processo integrato. qui le im-magini del mondo divengono visioni scomponibili in punti determinati ma-tematicamente e spazialmente ed il linguaggio, che coglie identità, proprietà e regole atte a spiegare le relazioni, può anch'esso essere espresso in modo matematico. Pare quindi realizzarsi l'antica attesa d’un mondo conoscibile su un livello d’omogeneità.

Proprio qui insorgono le difficoltà. In un famoso dialogo, Einstein e Tago-re discutono se il mondo sia eterno o mutevole. Ilya Prigogine lo ripropone nel volume sopra citato e sposa la tesi di Tagore d’un universo, naturale e umano, collocato nel tempo e in continua dinamica, contro la visione d’Ein-stein d’un mondo eterno e stabile nelle sue regole. Tuttavia, la logica attuale non sa spiegare la dinamica e tale impotenza si riflette sulla struttura logica del calcolatore e, quindi, sulle sue potenzialità di costituire uno strumento efficace atto a far conoscere scientificamente le dinamiche del mondo tramite la visione.

L'immagine torna ad essere nel calcolatore l'accesso privilegiato alla cono-scenza del mondo, ma, tuttavia, l'integrazione dei tre modi implica l'elabo-razione d’un nuovo modello conoscitivo, basato sulla dinamica d’ogni siste-ma, delle sue trasformazioni e, quindi, sul tempo.

Inserire la temporalità nella conoscenza del mondo comporta passare dalle strutture stabili, con tempo tendenzialmente zero, alle strutture instabili, do-tate invece di temporalità, dalla statica di laboratorio alla dinamica del reale, dalla linearità dei processi ai sistemi complessi, dalle permanenze alle tra-sformazioni, dalle implicazioni alle combinazioni.

I problemi implicati, pertanto, sono il tempo e la relativa logica, che occorre

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naturale e l’altro artificiale. questa è la condizione forse più generale d'ogni territorio, che lascia ai due estremi sistemi completamente (o quasi) artificia-li (città) e (pochi) solo naturali (foreste, paludi, ...) privi d’interferenze reci-proche.

In secondo luogo, i due sistemi si definiscono per composizione e dinami-ca secondo le stesse componenti dal carattere generale e astratto (materiali – Attività-Funzioni), pur essendo l’uno naturale (Sn) e l’altro artificiale (Sa). Concretezza e specificità di ciascun sistema si coglie individuando, per ogni singolo componente, il relativo “dato” concreto. Tale operazione si compie con l’analisi, naturalistica e storica, fatta sul fenomeno nella sua sintesi, così come si ricava dalla dizione sulle carte veneziane di “bosco bandito”.

In terzo luogo, si nota che il materiale (bosco) di Sn è anche materiale di Sa, che l'Attività in entrambi (maturazione e Taglio) tende a coincidere, men-tre solo le rispettive Funzioni (Auto riproduzione e Navi) divergono. I siste-mi hanno, dunque, due elementi in comune, mentre restano autonome le funzioni. La temporalità, altro volto della dinamica, sta nella tenuta dei due sistemi e del sistema complessivo nello spazio.

Così come sono, i due sistemi sono reciprocamente compatibili ed entrambi realizzano il massimo dell'utilità. Se si altera l'intensità d’una o più compo-nenti, che sono variabili, la modificazione coinvolge la dinamica complessa dei due sistemi. Data la dinamica compatibile, essa può provenire solo da al-tri sistemi, che, tuttavia, per incidere, devono presentare in comune con quelli individuati almeno una componente, la cui variazione movimenta l'insieme.

Scoppia, ad esempio, la Guerra di Candia. venezia decide di allestire in breve tempo un gran numero di Navi. questo nuovo sistema si forma su Navi (materiale), Guerra (Attività) e sconfitta dei Turchi (Funzione). Navi è, dunque, in comune ai due sistemi, ma con qualifiche diverse. Nel nuovo si-stema, infatti, Navi, da Funzione, diviene materiale e nel processo innescato aumenta l'Attività di Taglio da bosco. Taglio e maturazione, allora, divergo-no quanto a ritmo. Ne soffre il materiale bosco, comune al sistema naturale e artificiale, e le Funzioni d’Auto-riproduzione e Navi. In tal modo, insom-ma, i due sistemi possono divenire incompatibili per l'alterazione innescata dal sistema Guerra di Candia che ha variato Navi.

In pendenza della Guerra di Candia, entra in bosco una specie nuova d’in-setti (materiale) che, per sostenersi, (Funzione) divora (Attività) le gemme delle piante d’Auto-riproduzione (materiale). maturazione ne soffre assie-me anche a bosco. ma anche Taglio e Navi vi sono subito implicate e l’in-compatibilità tra sistemi può arrivare a toccare Guerra e Sconfitta dei Turchi. All'opposto, alla guerra succede un lungo periodo di pace e gli insetti vola-no via. Scema, perciò, la domanda di Navi, Taglio diminuisce ma ciò non in-cide su bosco, perché l’Attività del sistema naturale (maturazione) vi prov-vede con i propri processi di selezione.

Naturalmente ciò non significa che “se una farfalla muove le ali in Amaz-zonia vi sara una tempesta a New York”, come recita un famoso aforisma. Le variazioni d’un sistema si estendono solo a quelli con cui comunica, e

- la distanza da cui si compie un'osservazione e la temporalità degli oggetti possono essere in relazione,

- la visibilità pare slegata dalla dimensione degli oggetti, ma connessa, inve-ce, con la loro temporalità,

- il tempo pare entità visibile o invisibile in certe condizioni,- la temporalità appare strettamente collegata con l'attività della cosa,- l'attività, e la visibilità o meno in certe condizioni, è l'insieme di relazioni

che la cosa stabilisce con lo spazio,- la natura della cosa identifica tali attività.

1. I boschi della Val Visdende e il Modello.Tra Sappada e Santo Stefano di Cadore si trova val visdende. vi si accede

per una strada sterrata che corre lungo il fianco del torrente Cordevole, tra go-le di materiale composito e friabile. Piene del torrente e frane delle pareti alte-rano ogni anno il percorso, ragione per cui l'accesso precario pare aver preser-vato la bellezza naturale della valle, un autentico piccolo paradiso alpino.

Nelle carte sei-settecentesche della Repubblica di venezia, tuttavia, val visdende compare come luogo di “bosco bandito”, con proibizione ai privati del taglio di piante, riservate alle navi dell'Arsenale. La bellezza "naturale" dei boschi, dunque, più che alla strada, si deve ad una ragione storica, ma come risultato indiretto, poiché questo non rientrava certo negli scopi di ve-nezia. Si provi ora ad analizzare il problema.

In gioco vi sono due sistemi: il primo artificiale della Repubblica (Sa), l’al-tro, invece, naturale del bosco (Sn).

venezia (Sa) vede nei boschi un materiale (m) da cui, con un'attività ragio-nata di taglio (A), ricavare alberi e fasciame in funzione navale (F). La conti-nuità del sistema naturale bosco (Sn) -sussistenza del materiale bosco (m), attività d’inseminazione, selezione e maturazione (A), e funzione d’autori-produzione (F)- rappresenta, quindi, per il sistema artificiale (Sa) di venezia il massimo dell'utilità, la stessa che è anche del sistema naturale (Sn). I due sistemi sono tra loro altamente compatibili, pur nelle rispettive dinamiche orientate su diverse funzioni.

Su un piano, l'insieme si configura in questo modo e suggerisce un certo numero d’osservazioni.

Sn = M Bosco Sa = M Sn = F Sa = F Auto riproduzione Arsenale Sn = A Maturazione Sa = A Taglio

Anzitutto, esso combina in uno solo i due sistemi di diversa origine, uno

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- la definizione dell’elemento del sistema non è data, ma risulta sempre dal sistema di cui è parte e, quindi, può essere di volta in volta materiale, Attività o Funzione;

- ogni “cosa”, pertanto, può essere sempre o materiale, o Attività o Fun-zione ed è, pertanto, in sé anch'essa un sistema MAF;

- ogni “cosa” è, dunque, una e molteplice (mAF), perché dipende dalla sua posizione in uno o più sistemi, contemporaneamente;

- l'essere una “cosa” una e molteplice ad un tempo pone interrogativi alla validità del principio di non contraddizione parmenideo (le cose sono o non sono);

- intaccare il principio di non contraddizione può portare a dare altro si-gnificato alle dicotomie e ad inaugurare un'altra logica.

4. Storia e calcolatoreLa storia costituisce l'insieme delle cose avvenute nel tempo e, quindi, at-

traversa l'uomo, la natura e la conoscenza. È, però, ingenuo ritenere che es-sa riguardi solo ciò che è avvenuto. Secondo la tradizione, lo svolgimento della storia si suddivide in passato, presente e futuro. Gli ultimi due termini sono, da un lato, considerati inafferrabili ma, dall'altro, si sostiene che tra es-si vi sia una relazione. Inseriti nel modello, così come sono, ne viene che Pas-sato è materiale, Presente è Attività e Futuro è Funzione, con gli ultimi due tecnicamente "fuori" dalla storia. Ponendosi, però, in un suo qualsiasi punto nel passato, così non avviene, perché in questo caso le tre parti sono, invece, disponibili come “laboratorio” dinamico, per cogliere capacità e portata del modello.

L'avvenuto storico-umano, dunque, rappresenta un banco di prova di gran portata per saggiare la praticabilità del modello. Il che non accade con riferi-mento a molti altri terreni scientifici, che non dispongono di “archivi” storici disponibili con serie continue di dati. Nell'area della storia -non intesa come sola disciplina bensì come l'avvenuto- si possono compiere, dunque, simula-zioni di gran rilievo e da queste può scaturire una legittimità del modello.

Così, i processi di “falsificazione” non sono solo logici, secondo la visione di K. Popper, ma logico-temporali e in un processo inverso di quello da lui codificato4. La dinamica del modello -e con essa il tempo- deve disvelarsi en-tro la temporalità degli eventi e del loro modo di relazionarsi con lo spazio.

vista la gran proliferazione di sistemi, che il modello mAF fa subito scatta-re, occorre uno strumento adeguato, assai potente e flessibile, pena l'impos-sibilità d’applicare il modello. Esso dovrebbe essere tale da unire alla sem-plicità d'impianto, circa la logica, la capacità di rincorrere sistemi assai com-plessi ed estesi nello spazio e nel tempo. L'unico oggi in grado, almeno in parte, di rispondere a tale requisito è proprio il calcolatore.

Si osservi, per inciso, che l'uso di tale strumento è coerente al modello: Mente (m), Calcolatore (A), Conoscenza (F). occorre, tuttavia, che ciascuno dei tre elementi sia sempre visionabile secondo il modello. Possono certamente esserlo mente, assai flessibile nell'apprendere nuovi processi logici e anche,

questi ad altri comunicanti, in dinamiche a tre. Per vedere il sistema com-plesso, occorre immaginare delle ragnatele a tre dimensioni, composte di triangoli di diversa estensione, ognuno dei quali ne contiene di più piccoli ed è contenuto in più grandi. ogni ragnatela tocca solo in alcuni punti le vi-cine e sono questi i punti “sensibili” alle variazioni. queste, però, comunica-no il movimento solo fino ad un certo punto, oltre il quale esso si smorza. I sistemi hanno una certa flessibilità e possono assorbire in un loro spettro va-riazioni che provengono dal loro esterno.

quindi, ogni variazione in ciascuna variabile innesca modificazioni in ogni sistema comunicante e nel loro insieme, che può permanere, mutare o degra-darsi in relazione alla compatibilità o meno scaturita dalla nuova dinamica.

In epoca medievale, ad esempio, il duplice bisogno umano d’energia (le-gna e terra) portò alla scomparsa di molti boschi appenninici, alla distruzio-ne, quindi, d’un materiale. In taluni casi, come nelle Comunalia, rimase, tut-tavia, un'economia mista di coltivo, pascolo e raccolta di prodotti naturali. Sistemi naturali e umani si sovrapposero nell'area della raccolta e in queste intersezioni, il comune materiale bosco divenne uno spazio a Funzioni diffe-renziate (Sn: Auto-riproduzione; Sa: Energia), mentre le Attività comuni di maturazione (Sn) e Raccolta (Sa), pur con diverse Funzioni, rendevano com-patibili i due sistemi.

Si può avanzare, così, l'ipotesi che ogni sistema materiale-Attività-Funzio-ne (per semplicità d’ora in poi mAF) tende a mantenere la propria dinamica intrinseca e in ciò realizza la sua massima utilità? Ciò, forse, permette di ri-cavare una sorta di principio generale: la tendenza d’ogni sistema a conser-vare la propria dinamica, per garantirsi l'autosussistenza nella temporalità. Da qui sorge la tendenza a catturare energia da sistemi tangenti, sempre allo stesso fine, qualora la dinamica si affievolisca. Tale principio suggerisce ap-procci alquanto diversi da quello espresso nella nozione d’equilibrio, cui hanno fatto riferimento fino a poco tempo fa le scienze naturali e la fisica.

La massima utilità è il risultato d’un processo complesso, dato che i sistemi non si trovano quasi mai isolati. I modi con cui si combinano, quindi, defini-scono compatibilità e incompatibilità d’ogni sistema, in sé e nei confronti di quello più ampio in cui si trova inserito, ma indicano anche il livello d’utili-tà raggiunto.

Da quanto detto emerge:- il telaio di un modello di sistema di relazioni, basato sulla reciproca di-

namica dei tre elementi Materiale, Attività e Funzione (MAF);- l'applicabilità di tale modello a natura, uomo e loro combinazione;- la dinamicità del sistema, in sé nelle relazioni con altri sistemi,l'utilità,

cui il sistema tende, coincide con il principio della conservazione della dinamica;

- la temporalità, che definisce la tenuta del sistema,- la definizione di un sistema, che deriva dalla sua relazione dinamica e

temporale con altri sistemi tangenti, con cui ha in comune almeno un ele-mento;

sformazionali, bensì combinazioni diverse tra A, da un lato, e b e C, dall'altro.A questo punto, è lecito chiedersi se tali combinazioni non siano in qualche

modo “iscritte” nel materiale di A e che solo per un accidente storico si cono-scono C e D, ma che potrebbero darsi altre combinazioni, secondo i fenome-ni che A tocca o da cui è investito. Il che pare possibile, con il solo limite po-sto dal materiale di A di combinarsi in modo compatibile con altri fenomeni. Il problema principale starebbe, allora, nel capire la proprietà del materiale di A. queste sono anch’esse definibili in mAF, cioè, in materiale, Attività e Funzione di A. Il gioco, così, … continua.

Per quanto esposto in modo assai succinto, il gioco esplode subito in una miriade di combinazioni. Ammesso che tale ipotesi regga, su una regola si compie questo gioco, che pare, dunque, una via verosimile per l’immensa proliferazione delle “cose”, sia nella natura sia nel mondo umano, cui si è posti di fronte. In modo più semplice rispetto al caso o alle regole trasfor-mazionali, il gioco si effettua sempre con la stessa regola, ma è sempre nuo-vo nelle sue giocate e nei suoi esiti a ragnatela.

vi si accosti ora il “principio della conservazione della dinamica”, sopra postulato, e se ne ricaverà che, nell'ambito della natura dell'uomo, ogni “co-sa” vuole e continua a voler giocare, ampliando a dismisura il numero delle combinazioni. All'opposto, esse si riducono solo quando alcuni giocatori - si tratta, in genere, solo degli uomini - pasticciano la regola volontariamente e ne bloccano il funzionamento “naturale”.

Passando all'applicazione concreta, tre paiono le fasi da affrontare sui dati: la cornice entro cui essi vanno colti, la loro qualità e i caratteri.

6. La cornice dei dati 1. Il tempo zero

Siamo di fronte al nostro mondo: vogliamo misurarlo, calcolarlo ma anche, e non da meno, capirlo. Da quella parte, che ci coinvolge e che spesso coin-cide con la nostra ecumene, scaturisce, infatti, la nostra identità, forse non ancora da quel reciproco abbraccio tra uomo e natura, come diceva Plinio, ma è pur sempre un’identità da giocare.

Da dove partire? quale tempo prendere? qualsiasi conoscenza, che vo-glia identificare chi siamo, non può che partire dal mondo così com'e oggi. Il fatto che un GIS oggi debba far conto su immagini fotografiche o satellitari del mondo così com’è, non va visto come un fatto "tecnico". Al contrario, es-so deve essere considerato come “metodo”.

questa Terra, in ogni latitudine e longitudine, è un’immensa riserva arche-ologica, in cui occorre saper scavare a partire da quel che esiste e che, possi-bilmente, si vede, perché, quel che oggi ingombra con la sua presenza il mondo c’intriga o c’impiccia ma, soprattutto, ci definisce. Con ciò, piaccia o no, bisogna fare e saper fare, quotidianamente ed in continuità, i conti. S’ini-zia con l’affrontare il mondo così com’è, al presente, e si deve poi finire sem-pre con l’oggi, dopo aver cercato di capirlo giocando con il tempo. La conge-

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teoricamente, Conoscenza.Calcolatore, invece, con la sua struttura basata sul codice binario e il suo

fondarsi sul SI \ No non ripropone, forse, la logica dell’implicazione e non quella del modello mAF, con le sue combinazioni dinamiche estensive? L'in-terrogativo è cruciale. Uno strumento inadatto al fare mette in crisi il proces-so, anche se non forse nell'inerzia. vi sono, infatti, trucchi e astuzie da prati-care, con cui approssimarsi a risultati utili, anche se non alla massima utilità.

5. Il telaio del gran giocoIl gioco pare una matrice universale dove spazio, energia e tempo attivano

proprietà, ruoli e funzioni in una dinamica continua.quali sono le sue regole? Nell'ipotesi di m. Eigen e R. Winkler, la natura

complica le sue regole per attivare la trasformazione, che sarebbe impossibi-le nella sola ripetizione costante della regola. Continuità e discontinuità agi-scono, quindi, contemporaneamente, con l'avvertenza, però, che la maggiore complessità delle regole è, a sua volta, “regolare”, perché non viene dal caso, come sosteneva J. monod, ma è un sistema conoscibile.

Postulare “regole trasformazionali” ricorda assai da vicino la “grammatica generativa trasformazionale” di Noam Chomsky e pare essere un’ipotesi ne-cessaria per spiegare come la natura, area delle leggi (o delle costanti statisti-che, dopo il principio d’indeterminazione enunciato da W. Heisenberg nel 1926), muta, cambia, subisce innovazioni o trasformazioni.

Così, si assegna alla natura la capacità d’essere un soggetto che agisce di continuo nell’alterare le sue stesse regole per rendere il gioco nuovo e più interessante per altri esiti. vista nel dopo, ogni vicenda può condurre a tale conclusione. Seguendo, invece, il processo dall'interno, è difficile capire dove, come e a qual fine scaturiscano le regole trasformazionali. Se, infatti, un ecosi-stema raggiunge l’equilibrio, perché mai dovrebbe operarsi in sé una tra-sformazione, se non per via dell’intervento d’un evento esterno?

Si tocca qui un aspetto fondamentale del metodo scientifico che, per ana-lizzare e studiare i fenomeni, è più o meno costretto ad isolarli da ciò che li attornia. Reimmessi nel mondo circostante, i fenomeni appaiono spesso co-me altrettanti "blocchi", che interferiscono l'uno con l'altro solo per sistemi interi: A è toccato da b e da C e, quindi, subisce delle interferenze in un certo tempo-spazio. La trasformazione del fenomeno A non sarà, tuttavia, identica se, altrove, l'interferenza proviene da C e D, ma, se è identica, ciò significa che D è del tutto ininfluente. Logico, almeno in parte, ma è questa l'unica forma di spiegazione?

Si ammetta, ad esempio, che A e b diano origine al fenomeno C ma che in un'altra situazione A con C finisca in D. In ciò nulla di nuovo. Non potrebbe, tuttavia, ciò significare che le capacità di A di dare origine a fenomeni diver-si (C e D) dipendono dalle sue potenzialità intrinseche di collegarsi con altri fenomeni? Ciò è come affermare che il materiale di cui è composto A scatta con b in un certo modo, dando origine a C, mentre poi con C scatta in un al-tro modo e dà origine a D. In tal caso, C e D non sono effetti di regole tra-

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la rivoluzione del neolitico ed oggi. Senza quest'ipotesi, che individua nel “come” e non nel “perché” eventi accaduti e possibili, è vano parlare di sto-ria, con libero arbitrio umano e capacità della natura di riorientarsi. Fuori della staticità immutabile dell'eternità, è il tempo a diventare protagonista, con la storia che esso coinvolge. Tempo e storia portano con sé diversità e divenire, “decisioni” nel senso di combinazioni nuove.

Non si passi, però, da passate illusioni di certezze ad altre, ugualmente fo-riere di travisazioni. Il modello mAF afferma che una Funzione (Legittima-zione, quindi Teoria) interviene quando materiale e Attività diventano conti-nui nel tempo, compatibili per qualità e dinamiche e tesi a realizzare la loro massima utilità. Non è dato teorizzare, dunque, prima che un materiale prenda corpo Attivo nel tempo.

La capacità strategica di carpire un tempo futuro resta, quindi, sempre pre-caria, perché dipende dal realizzarsi o no di certe combinazioni tra quelle possibili. Non è questo, forse, l’altro volto della libertà? Un futuro certo, te-oricamente certo, non è un vincolo terribile, che finirebbe col proporci pro-blemi angosciosi? In sintesi, ciò significa che la storia non ha “un senso” ma solo quel senso che di volta in volta si combina (decide?) tra i possibili in ogni momento.

Il modello, quindi, pone la regola ed anche il modo di applicarla per capi-re il mondo, ma non indica mai di per sé quale esito sortirà tra i molteplici possibili dalla sua applicazione, sia nei fatti sia a livello teorico. Ciò perché tempo, divenire e diversità, costituiscono la ricchezza del mondo ma anche il limite.

2. I nomiNell’immagine digitalizzata d’un territorio e visibile su un calcolatore,

ogni cosa va georeferenziata e poi identificata con un nome (casa, campo, bosco, ...).

quale nome? Sulla val visdende vi sarà “bosco”, ma, indicando l'esistente con un nome generale, si esclude quella temporalità che fa di quel bosco un “individuo”. La dizione bosco bandito dice assai di più, ma per ottenerla oc-corre conoscere la cartografia antica. Non si va molto oltre, però, anche così, se non si raccolgono altre informazioni specifiche, sul tipo di chi ha “bandi-to” il bosco, quando, per quanto tempo e come mai l’ha fatto. Su altro ver-sante vanno poi conosciuti i caratteri del bosco e suo comportamento nel tempo.

Il processo dal nome generico (bosco) a quello proprio (Bosco bandito della Val Visdende) segna il passaggio dall’informazione quantitativa, astratta e concettuale, a quella qualitativa, specifica e di relazione con altre cose con nomi propri.

In prima istanza vi è sempre il nome generico, ma con quale utilità? Il Di-zionario della lingua italiana G. Devoto definisce, ad esempio, “ponte” una “Struttura [m] che consente a vie di comunicazione terrestri [A] l'attraversa-mento [F] di corsi d'acqua o d’avvallamenti". La dizione ricalca il modello

rie di cose che ci attorniano è, infatti, carica di temporalità. questi materiali, che occupano spazio sono, in sé, altrettanti tempi, Materiali del Tempo, tra cui, non ultimo, v’è l'uomo stesso e la sua identità. Con un linguaggio a noi forse più vicino, si potrebbe affermare che qualsiasi informazione rimane stretta-mente coniugata con il supporto materiale che la include. Per cui differen-ziare informazione e supporto è non solamente arduo ma, soprattutto, in sé cosa assai problematica. Il tempo è certo una categoria a dimensione genera-le, ma se ne può parlare solo se si faccia riferimento ben chiaro e preciso ai “materiali” in cui esso è “visibile” e “trattabile”.

Negli esempi fatti nel primo capitolo (il vecchio africano, Farenheit 451, Costantinopoli, il Palio di Siena, il museo etnografico di Lisbona, a cui si rin-via) l'espressione materiali del tempo crea, infatti, una relazione diretta tra la “dimensione” temporale, il processo d’identità storica d’un gruppo e i mate-riali implicati.

Più che il senso della storia, con tutte le razionalizzazioni a posteriori, va recuperato, allora, il senso del presente storico, al pari di Plinio o Tacito, che vedevano, capivano e annotavano il loro tempo con quelli precedenti, per pregnanza di materiale e senso. Stare nell'oggi, tornare ad ieri e riconvergere su oggi implica, dunque, un gioco di tempi cui certo non s’è forse abituati.

ogni volta che v’e il tempo, si applica, invece e con naturalezza, la sequen-za lineare, senza compiere un andirivieni, che, invece, confonde e crea disor-dine. Tale schema fa così parte della nostra mentalità che, quasi a paradosso, anche quei testi che parlano di disordine sono ordinati in una “storia”, con premessa, argomentazione e conclusione. Così, la linearità del volume fini-sce, pur non volendo, con l'esorcizzare il tempo e col riproporre l'antica me-tafora del labirinto, disordine geometrizzato in uno spazio determinato e fuori del mondo.

Il "tempo zero" è, dunque, l’oggi per metodo e per senso.Nel mondo, che appare dalla fotografia aerea o da satellite, compaiono co-

se coesistenti nello spazio ma diverse per temporalità. vedervi il tempo rap-presenta il problema cruciale e, per recuperarne la dimensione (la quarta), occorre reimmettere le diversità e le qualità tra e sulle cose. Ristabilire le re-ciproche “distanze” significa cogliere il divenire, con passato, presente e fu-turi possibili ma, non da meno, “conoscere”, perché, senza capire queste dif-ferenze intrinseche tra le cose e tra le cose e noi, non si può né pensare, né parlare né agire. Nel mondo così com’è coesistono panoplie di materiali del tempo, cui bisogna restituire la corrispondente identità.

Il tempo zero è, quindi, la combinazione di tutti i tempi (e materiali del tempo) che vi confluiscono, in una coabitazione a volte facile, altra difficile o precaria, ma sempre reciprocamente dinamica. La freccia del tempo ricade su questo mondo e prosegue oltre. Per capirla, occorre simulare d’essere in un qualsiasi punto del suo percorso e spostarsi con libertà e metodo per ri-petere la sua corsa in modo diverso rispetto alla ricostruzione che, fino al presente, s’è compiuta.

I futuri possibili stanno davanti a noi ma anche davanti ad ogni punto, tra

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Alla Funzione, il tempo con la legittimazione all'esistenza.- quali sono le proprietà della legittimazione?- in quale quantità \ qualità si manifesta?- qual è la sua durata?

Proprietà. Una casa o un fiume deve possedere certe proprietà per essere tale. In più,

affinché quell’elemento mantenga la sua natura originaria e non si "rompa", deve esserci una compatibilità complessiva tra le proprietà, pur in presenza di variazioni reciproche. I dati specifici vanno riferiti a tale proprietà per va-lutare la permanenza o meno di quell'elemento con i suoi caratteri.

Si tratta, dunque, per ciascun elemento e per ogni sistema individuati co-me presenti nel territorio, di costruire una sorta di tipo e di fare delle classi-ficazioni con indici di variabilità. Riconoscimento e attribuzione delle pro-prietà sono operazioni essenziali, in quanto è proprio su questa base che vanno colte le dinamiche nel territorio.

ogni dato è sempre rappresentativo d’una classe, ma poiché va anche rife-rito ad un nome specifico, ne viene che anche per le proprietà dei dati deb-bono farsi due tipi di indici, uno concettuale e uno storico.

Quantità / qualità.

I dati si possono presentare a tempo zero: questa strada statale che collega X e Y, oggi, come si può leggere in qualsiasi atlante stradale. In tal caso il dato indica più che altro un “tipo” o una classe che entra in un sistema di classificazione generale e astratto.

quello stesso dato tuttavia figura anche come ultimo d’una serie storica che lo riguarda. I dati, infatti, scorrono lungo il tempo in modo seriale. Un tale carattere emerge dall'insieme di registrazioni o rappresentazioni fatte nel tempo su quel dato. Il profilo che evidenzia la serie costituisce un dato a sua volta, di primaria importanza, perché la quantità sta ad indicare l’in-tensità del fenomeno nel tempo e suggerisce la sua “qualità temporale”, vale a dire permanenze, modificazioni o trasformazioni, passaggi di stato e così via.

Durata.

“Io non posso esprimere a parole quel sapere del tempo che pur credevo di avere”, dice Sant'Agostino. Il tempo, dunque, se è in sé indicibile, è pur sem-pre un vissuto. Lo è, forse, tramite le “cose”? Tutti i tempi del passato che occupano uno spazio (materiali del tempo) ci sono allora compresenti, se il tempo si svela attraverso le “cose”. Ancora, se il tempo è fondamento d'ogni processo di conoscenza, la nostra identita attuale e futura, come quella della natura, rimane strettamente collegata, ancorata, alle dinamiche tra le cose e tra noi e le cose.

mAF -qui inserito nella definizione- e va notato come, in genere, le cose d'origine umana sono così definite per coerenza con il senso comune.

Non così avviene per fauna, flora e geologia, dove la notazione deriva dal-le scienze. Il meccanismo descrittivo scientifico, infatti, ha sostituito quello funzionale umano. vi fa eccezione ciò che è antropomorfizzato, come cane, ad esempio, “nome comune dei mammiferi derivati della famiglia dei Cani-di derivati dalla specie Canis familiaris, allevati dall'uomo fin dai tempi più antichi e noti per la loro fedeltà, ...”, frase che si avvicina molto al modello mAF, in quanto è attribuita una funzione.

Le definizioni tipo mAF danno indicazioni preziose per iniziare a posizio-nare il sistema della cosa in sé e per iniziare a rappresentare un sistema di relazioni, anche se a temporalità zero. Se, ad esempio, in un fiume esiste un ponte crollato, nel Data Base georeferenziato del GIS esso non va rubricato alla voce “ponte”, essendo decaduti gli elementi del sistema che lo definiva-no in mAF, secondo la definizione di ponte, e potrebbe comparire, invece, sotto "ostacoli artificiali nel fiume" o "relitti" o altro, a condizione che la defi-nizione alla voce data e nuovo sistema siano coerenti.

Ciò significa che, per costruire un GIS, per prima cosa occorre creare un vocabolario computerizzato di terminologie astratte secondo il modello mAF. Inoltre, tale vocabolario deve avere le due proprietà d’essere altamen-te mobile e in grado di creare altrettanti neologismi quanti sono i nuovi si-stemi che si formano per le trasformazioni cui le “cose” sono sottoposte dal variare del sistema mAF o di ciascuna delle variabili.

Collateralmente, occorre creare, sempre in mAF, il “vocabolario tempora-lizzato” di quel particolare territorio, con nomi specifici delle cose, che rin-viano a schede di temporalità.

7. La qualità dei datiogni cosa deve divenire entità misurabile e calcolabile in modo tale da

rendersi omogenea con altre cose, anch'esse restituite in analoga forma. Il dato va organizzato sotto i tre registri di materiali, Attività e Funzione, che qui di seguito assumono la dizione di Proprietà, quantità / qualità, Durata. Lo schema illustrato vale per materiale, Attività e Funzioni e pone uguali in-terrogativi agli elementi del modello, nel seguente modo.

Al Materiale, lo spazio:- quali sono le proprietà dello spazio?- con quale quantità \ qualità si manifesta?- qual è la sua durata?

All'Attività, l'energia:- qual è la proprietà dell'energia?- con quale quantità \ qualità si manifesta?- qual è la sua durata?

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prima che il sistema si realizzasse.Secondo il modello, quindi, i problemi di definizione delle cose si rivelano

primari proprio in relazione alla dinamica dei sistemi per saper cogliere, nei fatti o in previsione, compatibilità e incompatibilità. Si deve procedere, però, con un’onomastica specifica. Ciò accade in qualche occasione. L’ANAS, l’azienda che cura le strade statali, ad esempio, all'inizio di molti paesi an-nuncia che quella strada, da quel momento e fino all’uscita del paese, è una “traversa interna”, di cui pertanto declina la responsabilità quanto a manu-tenzione. In effetti, dentro il paese essa diviene “altro” da una strada statale e, come tale, ha un diverso “nome”.

Altro caso, le dinamiche della citata via Emilia, all'origine via consolare che collegava, con la via Flaminia, Roma alla pianura padana. Le città che vi sorsero, da Rimini a Piacenza, erano disposte tutte ad un giorno di cam-mino l’una dall'altra. In età imperiale la via è parte del sistema di comuni-cazioni tra Roma e Colonia. Le invasioni barbariche la ridussero ad una via “interrotta” in molti punti che collegava, a malapena, le città vicine. Roma e Colonia non funzionavano più da poli attrattori. Divisa poi tra gli stati padani, fu una strada interna agli stati e tra stati vicini, più che via a lunga distanza tra terminali visibili. Con l’Unità italiana recuperò la funzione di collegamento tra i poli di milano e Roma. La costruzione dell'Autostrada del Sole l'ha, infine, ridotta di nuovo al ruolo di via di comunicazione tra città e città.

La sua funzione, dunque, sembra oggi essere passata all'Autostrada del Sole. È poi vero? quest’ultima presenta entrate e uscite sulle vecchie città emiliane, come se esse fossero ancora le tappe delle legioni romane, mentre i ritmi sono diventati assai diversi. È previsto il raddoppio, con poche uscite intermedie tra milano e Roma, come la futura ferrovia ad alta velocità (TAv), che tra milano e Roma farà tappa solo a bologna e Firenze.

La pluralità di sistemi, di cui ha fatto parte nel tempo, ha mutato molte volte la via Emilia, facendone un “uno e molteplice” singolare, anche se con lo stesso nome. Così, il sistema materiale strada si triplicherà con vari nomi secondo le diverse Attività e Funzioni: strada vicinale tra città (via Emilia), autostrada per medie distanze (Autosole attuale), strada a collegamenti po-lari (Autosole futura). Ciò è in relazione alla diversità di mezzi usati (m), al ritmo dei collegamenti (A) e alle destinazioni assegnate (F) al sistema strada. Compatibili sulla via consolare Emilia all'epoca romana, oggi le loro “diver-sita” rendono incompatibile il materiale via Emilia ed esigono, pena il caos, materiali, altrettanto e compatibilmente, diversi.

Gli esempi, per quanto sbrigativi, evidenziano che la questione delle com-patibilità ha una radice forte nella struttura dei materiali e del sistema di cui essi fanno parte. Non meno importanti sono gli altri sistemi che interferisco-no. La fine di Roma, come polo del sistema delle vie consolari per mille e quattrocento anni, ha segnato la Funzione della via Emilia. quando Roma ha riacquistato quel ruolo, solo per l’Italia, i nuovi mezzi di comunicazione e le nuove dimensioni dello spazio hanno fatto emergere, assieme ad altre po-

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S‘è detto che ogni elemento e sistema, in campo naturale e umano, ha pro-prietà attive volte alla realizzazione o alla permanenza delle sue ragioni d’esistenza. mutamenti nelle proprieta o nelle attività si comunicano e inci-dono direttamente sulle legittimazioni. È vero, però, anche l'inverso. Impu-tazioni diverse alle legittimazioni si ripercuotono subito su proprietà ed atti-vità. Durata e legittimazione esprimono, quindi, il carattere temporale e qualitativo del dato, che si coglie attraverso la serialità temporale delle sue proprietà e delle relative attività, all'interno del sistema e in relazione ai dati-sistemi comunicanti. questi, infatti, trasmettono o subiscono le variazioni che mobilizzano gli assetti.

8. I caratteri dei dati: la compatibilitàI sistemi esistenti, naturali o umani, sono dotati ciascuno di proprietà,

quantità\qualità e durate in una propria dinamica. Poiché ogni sistema non si trova isolato, ma interferisce con altri comunicanti spazialmente, le sue possibilità di coesistenza dipendono strettamente dall'esame delle compati-bilità tra le dinamiche dei sistemi implicati.

L’esame va compiuto combinando da un lato i due o più sistemi implicati e, dall'altro, ripercorrendo le rispettive dinamiche con i dati che si riferisco-no alla loro composizione, per vedere quali siano le variazioni e quali effetti si riversino sulla dinamica.

L'esempio dei boschi della val visdende illustra qual è il processo da com-piere. Per illustrare cosa significhino le dinamiche si farà un altro esempio.

A margine d’una strada che esce da una città, una società costruisce un ipermercato (Fi). Il relativo parcheggio conta 500 posti auto (mi), perché da analisi di mercato risulta che, in una situazione ottimale, l'afflusso d'auto dei clienti (Ai) non supererà tale capienza. Il Comune ritiene adeguati parcheg-gio e via d'accesso. Ad opera finita, però, il nuovo flusso sulla strada aumen-ta il traffico e, verso sera, si formano intasamenti, specie all'uscita dal par-cheggio verso la città. Il Comune ritiene che il disagio (Fc), derivato dall'in-cremento di traffico (Ac) sulla strada (mc), è sopportabile, perché limitato ad una stretta fascia oraria, e lascia così com’è la strada. L'intasamento ricade però sul parcheggio, che non si libera con il ritmo stabilito. molti clienti, al-lora, decidono di disertare quel supermercato e vanno da un concorrente, con danno per la Società.

qual è il problema? Il fatto è che la strada (mc), per un certo tratto, non fi-gura più come strada d’entrata e uscita dalla città (Ac), che assicura questo flusso generale (Fc), ma anche come via d'accesso e deflusso al e dal par-cheggio (mci). In quel tratto, dunque, il materiale strada è “diventato” di-verso (mci). Lasciato, invece, nella precedente proprietà (mc) e non ade-guandolo al nuovo sistema che incontra (mi, Ai, Fi), si rivela d’altra dinami-ca e diviene subito incompatibile al Supermercato e al suo parcheggio. Esso non realizza la massima utilità e lo stesso accade alla strada. Il caos che ne risulta per entrambi i sistemi sembra senza autori, mentre è proprio il con-trario, dato che la dinamica era “visibile” e misurabile dai progettisti ancor

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scaturiscono dalla combinazione tra materiali ed Attività, in un sistema di sistemi in cui nulla è immutabile, anche quando si vorrebbe fermare il mon-do per avere qualche certezza. I sogni scaturiscono dalla tensione tra la co-noscenza scientifica del “mondo così com’è” e le incompatibilità insorte tra noi e le cose. Essi costituiscono l’altro lato della visione del mondo e anch’es-si, quindi, divengono e nulla impedisce che ne sorgano di nuovi.

Per cui, come diceva H. Bergson, “occorre aspettare che lo zucchero si sciolga”.

IL CONCETTO DI “AMBIENTE” NEI TRATTATI INTERNAZIONALIProf.ssa Teresa Andena

IntroduzioneNell’ambito di questa trattazione intendo mettere in relazione l’evoluzio-

ne della normativa internazionale in materia di ambiente e l’evoluzione dell’ambiente culturale dal punto di vista scientifico e delle scienze umane. Sostanzialmente le convenzioni ed i trattati sono l’epifenomeno di un modo di pensare che si diffonde per effetto dell’intreccio tra eventi catastrofici e sviluppo delle conoscenze scientifiche. L’ambiente culturale insomma guida la scelta politica, ma l’ambiente culturale si modifica per effetto degli eventi e delle scoperte scientifiche. Non voglio indicare chi arriva prima o dopo an-che perché , se spesso lo sviluppo scientifico precede la cultura di massa, ag-giornandone i contenuti e le sensibilità, trae comunque spunto per i suoi studi dagli eventi e dalle situazioni contingenti. L’opinione pubblica a sua volta influenzata dagli eventi, lavora sull’asse della scelta politica in regime di interdipendenza. Gli organi gestionali poi, chiedono alla scienza risposte ai problemi ambientali, risposte che sempre più spesso in tempi recenti non hanno quel grado di certezza necessario ai processi decisionali, ma soprat-tutto sono espresse in un linguaggio che è diverso da quello del politico e del cosiddetto uomo qualunque. questo fatto rappresenta un grosso proble-ma perché attuare una scelta politica o gestionale significa percepire un pro-blema, comprenderlo e conoscerlo nei dettagli.

Politica ambientale internazionale

L’ ‘800: ambiente come conservazione Il primo intervento di protezione ambientale risale al ‘700 con l’intervento

francese di salvaguardia delle mauritius, ma gli studi scientifici ecologici co-

larità, nuove vie.In definitiva, la designazione del nome individua un sistema, da verificare

poi con tutta la serie di dati che si richiedono, in estensione e profondità, con riferimento ai sistemi implicati. A loro volta i dati, così come sono stati in-quadrati, suggeriscono definizione e ridefinizione del\dei sistema\i. I pro-cessi d’analisi e sintesi in atto sono, come il tempo, un va e vieni continuo, e costituiscono il “divenire della mente” verso il problema che essa ha dinanzi a sé e che deve affrontare impostandone le soluzioni.

9. Il mondo così com’è e i “sogni”.Alla fine, si torna al tema d’apertura: come si può comprendere il mondo?osservando il mondo dal modello e dalla sua dinamica, la conoscenza

sull'avvenire non è mai un dato preventivabile ma l'esito d’un processo complesso sempre rinnovato e dinamico che deve ancora avvenire. Nulla, dunque, si può dire in tale ambito, proprio per coerenza con il modello stes-so. Per il passato, il modello può forse recuperare quelle conoscenze disper-se per l'uso d’altri modelli e renderle utili per l’oggi e il domani.

L'affermazione generale possibile, se s’ipotizza un mondo in divenire, è che la comprensione scaturisce solo da un modello conoscitivo che stia e ci ponga entro il divenire, sapendo che quest’ultimo è inafferrabile nel suo scorrere, proprio per tale sua proprietà. Si può conoscere, quindi, solo la re-gola del gioco, mentre gli esiti rimangono sempre problematici. questo, pe-rò, non è poco, per saper vedere, conoscere ed anche sognare.

Certo, se viene a cadere la visione d’un mondo eterno, con le leggi immu-tabili e con un Dio che non gioca mai a dadi, allora s’è perso il sogno pluri-millenario di comprendere il mondo per tenerlo. Su un altro versante, non si riacquista, però, il sogno di vivere in sintonia con il mondo, non più forzato a stare in schemi stretti? Non si recupera anche quella dimensione che resti-tuisce all’uomo il posto “dentro” il mondo e non tendenzialmente “sopra”? La divaricazione attuale, tra “fare” e “visione del mondo”, non esprime, for-se, il disagio di non essere più “dentro” il mondo ma ai suoi margini, per i diversi ritmi temporali?

La scoperta del tempo e della dinamica ha un altro aspetto. Gli uomini si sono collocati volontariamente tra una visione del mondo che doveva essere perfetta e armonica ed una realtà fenomenica mutevole, forse anche illuso-ria, ma fortemente incidente sulla vita dell’uomo e della natura. questa for-bice, che ha stretto l’uomo tra l’essere e il divenire, ha rappresentato per in-numerevoli generazioni il dramma più profondo, carico di valori, emozioni e pensieri contraddittori ma, anche una gran matrice di sogni.

Uscire da questa forbice può persino essere assai più drammatico che ri-manervi. Esiste una scelta? A fronte d’un caos dilagante, stare col divenire pare l’unica via corretta. È il caos, da sempre, e non l’ordine, ad additarci la possibilità di nuove soluzioni. quanto ai sogni, essi sono le nostre profonde emozioni, i valori, il “senso”, che diamo a noi stessi e al mondo nel suo pro-cedere, la Funzione alla nostra Ecumene. Non diversamente dal passato, essi

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minciano solo nella II metà dell’ ‘800: il termine “ambiente” infatti viene uti-lizzato nei lavori scientifici nel 1866 contestualmente al termine “ecologia” con E. Haeckel, discepolo di Darwin. Gli studi di questo genere si sviluppa-no dunque a partire dalla seconda metà dell’800 prevalentemente nell’ambi-to delle scienze naturali e della geografia. Nell’ ‘800 non abbiamo una vera e propria politica ambientale internazionale, abbiamo piuttosto degli accordi internazionali su problemi specifici, ma questo non significa che non ci siano degli impegni locali di tipo conservativo (1883 Accordo internazionale di Pa-rigi per la protezione delle foche nel mare di behring, 1895 Convenzione in-ternazionale di Parigi per la protezione degli uccelli utili in agricoltura,1902 Convenzione per la protezione degli uccelli selvatici, 1909 Congresso inter-nazionale per la protezione dei paesaggi). Gli Stati dell’occidente si sono preoccupati con diversa tempestività della conservazione di lembi di natura incontaminata da sottrarre all’avanzare dell’urbanesimo e delle trasforma-zioni industriali. Gli Stati Uniti sono stati i primi a inaugurare una grande politica dei parchi con la creazione di vaste aree protette già a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Si pensi al Yellowstone Park (1873) o al Yose-mite Park e al Sequoia Park (1890). In Europa una simile politica protezioni-stica prende l’avvio solo con i primi del XX secolo. I primi a iniziare sono i paesi nordici: Svezia (1906) Russia (1912) -che oggi dispone dei parchi più grandi per estensione dei territori- Svizzera (1914). ma già nel 1916 la Spa-gna si dotò della prima Ley General de Parques Nacionales e due anni più tardi vennero istituiti i primi due parchi nazionali di Covadonga e ordesa. In Germania il primo Naturschuzpark, il Lüneburger Heide venne realizzato nel 1921. Poco dopo, nel 1922, è la volta dell’Italia con l’istituzione del Parco del Gran Paradiso (1922), poi del Parco Nazionale d’Abruzzo (1923). questi parchi erano nati come riserve di caccia reali. Il primo viene istituito per evi-tare l’estinzione dello stambecco, il secondo per proteggere il camoscio d’Abruzzo e l’orso marsicano. Successivamente vengono istituiti il Parco del Circeo (1934) e dello Stelvio(1935)1. La filosofia, comune all’ 800 ed al I ven-tennio del 900, che sta alla base di questi interventi è quella di creare dei san-tuari naturalistici, una sorta di museo all’aperto in cui conservare i resti dell’ambiente naturale compromesso dall’avanzata delle attività di sfrutta-mento dell’ambiente ad opera dell’uomo, con l’idea dell’esistenza di una se-parazione oggettiva tra natura e società umana. Significativa testimonianza del modo di intendere la protezione ambientale tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900 è la frase del presidente americano F. D. Roosevelt del 1932 “la civil-tà di un Paese si vede anche da quanti sono e da come sono gestiti i suoi par-chi”.

La prima metà del ‘900 Ambito politicoCome abbiamo visto nella breve sequenza temporale di istituzione dei

parchi il modo di vedere l’ambiente naturale è di tipo ottocentesco e quindi dà luogo ad operazioni di tipo conservativo. Un’attività sistematica di politi-

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biente, ma nasce in un contesto di guerra fredda in cui il problema nucleare comincia a manifestarsi soprattutto in relazione alle implicazioni belliche. questo è anche un periodo in cui l’ambiente culturale manifesta l’affermarsi delle istanze pacifiste che provengono e sono sostenute da alcuni dei prota-gonisti dello sviluppo nucleare come Einstein. Pochi mesi dopo la sua morte (nel 1955) viene pubblicato il testamento spirituale del genio a cura di b. Russel e sottoscritto da diversi premi Nobel (bridgeman, Infeld, muller, Po-well, Kukawa e F. Joliot Curie). Nel breve discorso l’elemento centrale è la preoccupazione per le sorti dell’umanità in caso di uso di armi nucleari, ma non v’è traccia di considerazioni per gli altri esseri viventi o per l’ambiente nella sua globalità. questa caratteristica è comune anche a trattati sulla non proliferazione nucleare. Del resto anche nella normativa italiana in relazione all’uso pacifico dell’energia nucleare, redatta in recepimento dei numerosi accordi e trattati internazionali non troviamo traccia di riferimenti al proble-ma ambientale, ma solo quantificazione di danni alle persone o alle cose. Sul piano scientifico gli studi sulle radiazioni ionizzanti cominciano negli anni ‘40: si tratta però di lavori di radiobiologia (effetti delle radiazioni sugli esse-ri viventi come singoli individui) e non di radioecologia (effetti delle radia-zioni su comunità biotiche strutturate)…Il primo simposio di radioecologia è del 1961 nel Colorado2.

L’ambiente marino è il primo oggetto di attenzione internazionale anche per le dimensioni tipicamente transnazionali dell’inquinamento connesso. Il problema dell’inquinamento è però in realtà un problema di conflitto negli usi del mare: il trasporto, la pesca, l’uso ricreativo. occorre ricordare che proprio nel ‘67 avviene il disastro della Torrey Canyon che sversa in mare 200.000 tonnellate di petrolio. Negli anni ‘60 nascono i primi gruppi organiz-zati per la protezione dell’ambiente tra cui ricordiamo il WWF (1966) e gli Amici della Terra (1969).

Gli anni Settanta: il concetto di limiteIl problema ambientale esplode poi nel periodo che va da 1968-70. A li-

vello di ambientalismo vediamo che in Germania i movimenti pacifisti di protesta si riorganizzano all’insegna della protezione ambientale nella se-conda metà degli anni ‘70. Propongono una cultura alternativa che ha come elementi principali: forme di ascetismo, solidarietà per il prossimo, uso at-tento dell’energia e delle risorse naturali. Siamo del resto negli anni della co-siddetta “crisi petrolifera” che inizia nel 1973 per raggiungere l’apice nel 1980. L’idea centrale degli anni ‘70 è quella della “astronave Terra” 3 a sotto-lineare la limitazione complessiva delle risorse disponibili. Negli anni ‘70 si abbandona il concetto che la conservazione dell’ambiente passi attraverso l’istituzione di santuari passando da una concezione statica ad una dinamica di sviluppo. La prima trattazione organica dei limiti dello sviluppo su basi scientifiche risale al 1972 con la descrizione degli scenari di crescita della po-polazione umana dell’economia globale per il secolo venturo. questo lavoro viene commissionato al gruppo del mIT guidato da Forrester dal cosiddetto

ca ambientale internazionale inizia nel 1913 quando i ministri degli affari esteri di diciannove stati si riuniscono a berna costituendo una Commissio-ne consultiva permanente per la Protezione della Natura. Nel 1923 si tiene a Parigi il I Congresso internazionale per la protezione della Natura che porta all’istituzione nel 1928 di un Ufficio internazionale di protezione della natu-ra a bruxelles che rappresenta la prima istituzione internazionale stabile in questo ambito. Il II Congresso internazionale per la protezione della Natura si celebra nel 1932 in cui si inizia (e sarà la tendenza costante degli anni ‘30) ad accentuare l’attenzione al problema del conflitto tra cultura e natura. Le due guerre mondiali rappresentano evidentemente periodi di stasi nell’atti-vità politica internazionale.

La III Conferenza per la protezione internazionale della natura di basilea nel 1946 pone le basi per la pubblicazione nel 1951 dello “Stato della prote-zione della natura nel mondo nel 1950” che rappresenta la prima manifesta-zione della coscienza dell’internazionalizzazione del problema ambientale.

Ambito scientificoNel ‘900 si arricchisce dei contributi delle scienze sociali (ecologia urbana

della scuola di Chicago). Gli anni ‘20 30 sono considerati gli anni d’oro della ricerca ecologica in quanto in questa fase si registrano gli studi sulla dinami-ca delle popolazioni di volterra. D’Ancona, vernadsky e Kostitzin. Negli studi dei naturalisti dell’epoca si inizia ad intravedere una critica alla gestio-ne politica dell’ambiente che sarà l’elemento fondamentale delle battaglie dei movimenti ecologisti degli anni ‘60 e ‘70.

L’ambiente culturale è diversificato per la presenza di forti differenze di impianto ideologico nei vari Paesi europei.

Gli anni Sessanta: la protesta, ambientalismo e pacifismoL’attenzione ai problemi dell’ambiente, a livello politico, si afferma stabil-

mente negli anni Sessanta. Ambito politicoIl primo trattato internazionale nel dopoguerra è la Convenzione di Lon-

dra per la prevenzione dell’inquinamento marino da petrolio (1954) sulla prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi, questo viene seguito da:• Convenzione di Ginevra del 1958 di regolamentazione della pesca.• Convenzione di Parigi del 1960 sulla responsabilità contro terzi nel campo

dell’energia nucleare. • La convenzione di Bruxelles del 1962 relativa all’inquinamento da navi a

propulsione nucleare. • La convenzione di Montego Bay del 1967 che considera puntualmente tut-

te le fonti possibili di inquinamento all’ambiente marino e regola i rappor-ti tra navi e relativi stati di appartenenza, stato costiero e stato del porto. Si parla per la prima volta di problemi ambientali all’oNU nel 1968. Pos-

siamo quindi in questi anni verificare due poli di interesse principali: il nu-cleare e l’ambiente marino. Nel primo caso la stipula non deriva tanto da una percezione dell’alterazione dello stato complessivo di salute dell’am-

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dose che viene perseguita fin dall’antichità (si pensi alle opere di drenaggio per la bonifica della maremma operate prima dagli Etruschi e poi dai Roma-ni) e nella prima metà del nostro secolo che culmina con il trattamento in-tensivo con antiparassitari negli anni ‘50 per l’eradicazione della malaria (si passa in un decennio da 75 milioni a meno di 5 milioni di casi di malaria nel decennio che va dal ‘39, anno della scoperta del DDT, al ‘49). Sostanzialmen-te passa in secondo piano il problema dell’insalubrità delle zone umide per scoprire che sono ecosistemi di elevato valore biologico. Ritengo che in que-sto ambito giochino un ruolo importante l’arretramento complessivo del co-lonialismo (per cui la malaria come altre malattie tropicali non sono più un grosso problema per l’Europa e gli Stati Uniti) e gli studi sulla tossicità degli antiparassitari che culminano con la messa al bando del DDT. Un elemento di riscontro è anche il dato del blocco di tutti gli studi sulle malattie tropicali e soprattutto per lo sviluppo di nuovi farmaci chemioterapici . È abbastanza significativo come testimonianza del clima di preoccupazione in questo sen-so il libro di Rachel Carson “Primavera silenziosa” del 1962. L’autrice racco-glie tutti gli studi sui problemi connessi con l’uso massiccio di antiparassita-ri dal punto di vista della salute dell’uomo e degli effetti sugli esseri viventi e sulle catene alimentari. ■ Sempre nel 1972 si tiene a Stoccolma la Conferenza delle Nazioni Unite

sull’ambiente umano che rappresenta una tappa fondamentale in quanto è il primo momento in cui si dibatte di ambiente in sé. In questa sede si portano all’attenzione pubblica mondiale i problemi ambientali più ur-genti e si definisce il primo Programma delle Nazioni Unite per l’ambien-te (United Nations Environment Programme), organismo con il compito di fungere da catalizzatore per le politiche ambientali. Il limite fondamen-tale della Conferenza di Stoccolma è rappresentato dalla situazione politi-ca del periodo, l’ USSR non partecipa infatti alla conclusione dei lavori. È interessante notare che i contenuti della conferenza hanno un tenore com-pletamente opposto alle istanze dei movimenti ecologisti dell’epoca. Nel documento infatti noi troviamo il principio che la natura va comunque gestita in funzione dei bisogni di sviluppo dell’uomo, mentre nel biologi-smo sociale degli ecologisti l’uomo non è altro dalla natura e quindi deve adeguarsi ad essa. L’ecologia diviene un modo di vivere non più semplice conservazione della natura. Siamo negli anni, infatti, in cui l’ambientali-smo si colora dei toni più catastrofici per esempio con Commoner:

La prima legge dell’ecologia: ogni cosa è connessa con qualsiasi altra cosaLa seconda legge dell’ecologia: ogni cosa deve finire da qualche parteLa terza legge dell’ecologia: la natura è l’unica a sapere il fatto suoLa quarta legge dell’ecologia: non si distribuiscono pasti gratuiti5

Gli elementi che cominciano a delinearsi nel documento di Stoccolma sono: - si percepisce la preoccupazione per il futuro e soprattutto per le

Club di Roma (gruppo internazionale di scienziati, statisti e uomini d’affari fondato da Aurelio Peccei) e finanziato dalla volkswagen Foundation per verificare le relazioni tra: crescita della popolazione, capitale industriale, produzione degli alimenti e inquinamento. Rappresenta il primo tentativo di pensiero globale sui problemi ambientali con l’ausilio di modelli matema-tici con l’uso del calcolatore. Le previsioni, ampiamente divulgate (e forse tradite nei toni) dalla stampa, erano del raggiungimento dei limiti della cre-scita entro il 2072 con conseguente collasso del sistema, in condizioni di co-stanza del trend di crescita.

Nel 1975 viene fondato il WordlWatch Institute che dal 1830 pubblica ogni anno il rapporto “ The state of the wordl” in italiano lo stato del mondo pubblicato da ISEDI sempre sui temi dei limiti dello sviluppo e della soste-nibilità.

Sul piano giuridico occorre notare che l’asserzione e verifica della limita-tezza ed esauribilità delle risorse naturali comporta una revisione delle cate-gorie giuridiche che stanno alla base del diritto nella cultura europea ed ita-liana rappresentata dal diritto romano. In quest’ambito l’ambiente e le risorse naturali come l’aria e l’acqua non erano considerati come beni ma res com-munes omnium (cose comuni di tutti) di cui non ci si può appropriare, né go-dere in esclusiva. Adesso invece vengono qualificati come beni giuridici veri e propri con un valore economico determinabile4. Sul piano politico interna-zionale si assiste ad una intensificazione di attività con una serie di conferen-ze delle Nazioni Unite su questi temi. I motivi centrali che vengono dibattuti sono: la conservazione di ambienti, lo sfruttamento delle risorse naturali non rinnovabili, l’inquinamento inteso come sversamento di sostanze chimiche.■ Il 2 febbraio 1972, fu firmata a Ramsar, in Iran, la Convenzione interna-

zionale per la protezione delle zone umide di importanza internaziona-le come habitat per gli uccelli, da allora conosciuta appunto come Con-venzione di Ramsar. Gli stati firmatari (tra cui l’Italia) si sono assunti al-cuni obblighi fondamentali:

• Designare almeno una zona umida da includere nella Lista delle zone umide di importanza internazionale;

• Promuovere l’uso “corretto” delle zone umide nel proprio territorio;• Consultarsi con le altre parti contraenti nella gestione delle zone umide

che sono condivise tra più nazioni;• Creare aree protette in corrispondenza delle zone umide di importanza

internazionale o meno.oggi sono oltre 80 le nazioni che hanno sottoscritto questo documento

che rappresenta una delle prime manifestazioni di cooperazione internazio-nale in tema di tutela ambientale.

L’UNESCo svolge funzione di depositario della Convenzione, il Segreta-rio della Convenzione o Ramsar Convention bureau, è indipendente ammi-nistrato dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natu-ra) e ha sede a Gland in Svizzera. questa convenzione rappresenta una netta inversione di tendenza rispetto alla politica di risanamento delle zone palu-

generazioni future, questione che starà alla base dei successivi discorsi di sostenibilità (Pr.n.1-2)

- la percezione della necessità di mantenere la capacità della Terra di produrre risorse rinnovabili

- l’individuazione della pianificazione e della gestione come stru-menti privilegiati per la realizzazione degli obiettivi di salva-guardia

- si introduce il concetto di ecosviluppo inteso come sviluppo economico che deve tener conto della tutela ambientale (Princi-pio n. 8)

- i problemi ambientali presi prevalentemente in considerazione sono: lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, l’inquina-mento

A scopo documentativo riportiamo integralmente i 26 principi della Confe-renza di Stoccolma

Dichiarazione di Stoccolma (1972) I 26 PRINCIPI

1. L’uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all’eguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere, ed è altamente responsabile della protezione e del miglioramento dell’ambiente davanti alle generazioni future. Per questo le politiche che pro-muovono e perpetuano l’apartheid, la segregazione razziale, la discriminazio-ne, il colonialismo ed altre forme di oppressione e di dominanza straniera, vanno condannate ed eliminate.

2. Le risorse naturali della Terra, ivi incluse l’aria, l’acqua, la flora, la fauna e particolarmente il sistema ecologico naturale, devono essere salvaguardate a beneficio delle generazioni presenti e future, mediante una programmazione accurata o una appropriata amministrazione.

3. La capacità della Terra di produrre risorse naturali rinnovabili deve essere mantenuta e, ove ciò sia possibile, ripristinata e migliorata.

4. L’uomo ha la responsabilità specifica di salvaguardare e amministrare saggia-mente la vita selvaggia e il suo habitat, messi ora in pericolo dalla combina-zione di fattori avversi. La conservazione della natura, ivi compresa la vita selvaggia, deve perciò avere particolare considerazione nella pianificazione dello sviluppo economico.

5. Le risorse non rinnovabili della Terra devono essere utilizzate in modo da evi-tarne l’esaurimento futuro e da assicurare che i benefici del loro sfruttamento siano condivisi da tutta l’umanità.

6. Gli scarichi di sostanze tossiche o di altre sostanze in quantità e in concentra-zioni di cui la natura non possa neutralizzare gli effetti, devono essere arresta-ti per evitare che gli ecosistemi ne ritraggano danni gravi o irreparabili. La giusta lotta di tutti i Paesi contro l’inquinamento deve essere appoggiata.

7. Gli Stati devono prendere tutte le misure possibili per prevenire l’inquina-mento dei mari con sostanze che possano mettere a repentaglio la salute uma-na, danneggiare le risorse organiche marine, distruggere valori estetici o di-

sturbare altri usi legittimi dei mari.8. Lo sviluppo economico e sociale è il solo modo per assicurare all’uomo un am-

biente di vita e di lavoro favorevole e per creare sulla Terra le conduzioni ne-cessarie al miglioramento del tenore di vita.

9. Le deficienze ambientali dovute alle condizioni di sottosviluppo ed ai disastri naturali pongono gravi problemi e possono essere colmate, accelerando lo svi-luppo mediante il trasferimento di congrue risorse finanziarie e l’assistenza tecnica, quando richiesta, in aggiunta agli sforzi compiuti da Paesi in via di sviluppo stessi.

10. Per i Paesi in via di sviluppo, la stabilità dei prezzi, adeguati guadagni per i beni di prima necessità e materie prime, sono essenziali ai fini della tutela dell’ambiente, poiché i fattori economici devono essere presi in considerazione, così come i processi ecologici.

11. Le politiche ecologiche di tutti gli Stati devono tendere ad elevare il potenziale attuale e futuro di progresso dei Paesi in via di dì sviluppo, invece di compro-mettere o impedire il raggiungimento di un tenore di vita migliore per tutti. Gli Stati e le organizzazioni internazionali dovranno accordarsi nel modo più adeguato per far fronte alle eventuali conseguenze economiche e internaziona-li delle misure ecologiche.

12. Si dovranno mettere a disposizione risorse atte a conservare e migliorare l’am-biente, tenendo particolarmente conto dei bisogni specifici dei Paesi in via di sviluppo, dei costi che essi incontreranno introducendo la tutela dell’ambiente nel proprio programma di sviluppo e della necessità di fornire loro, se ne fan-no richiesta, aiuti internazionale di ordine tecnico e finanziario a tale scopo.

13. Per una più razionale amministrazione delle risorse e migliorare così l’ambien-te, gli Stati dovranno adottare nel pianificare lo sviluppo misure integrate e co-ordinate, tali da assicurare che detto sviluppo sia compatibile con la necessità di proteggere e migliorare l’ambiente umano a beneficio delle loro popolazioni.

14. La pianificazione razionale è uno strumento essenziale per conciliare gli impe-rativi dello sviluppo con quelli della partecipazione e del miglioramento dell’ambiente.

15. Nella pianificazione edile e urbana occorre evitare gli effetti negativi sull’am-biente, ricavandone i massimi vantaggi sociali, economici ed ecologici per tut-ti. In considerazione di ciò, i progetti destinati a favorire il colonialismo e la dominazione razziale devono essere abbandonati.

16. Nelle regioni in cui il tasso di crescita della popolazione o la sua concentrazio-ne eccessiva rischia di avere un’influenza dannosa sull’ambiente o sullo svi-luppo, ed in quelle in cui la scarsa densità di popolazione impedisca il miglio-ramento dell’ambiente e freni lo sviluppo, si dovranno adottare misure di poli-tica demografica che, rispettando i diritti fondamentali dell’uomo, siano giu-dicati appropriati dai governi interessati.

17. Appropriate istituzioni nazionali devono assumersi il compito di pianificare, amministrare e controllare le risorse ambientali dei rispettivi Paesi, al fine di migliorare l’ambiente.

18. Allo scopo di incoraggiare lo sviluppo economico e sociale, la scienza e la tecno-

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zionali, sulla eliminazione e la completa distruzione di tali armi

• Nel 1973 viene sottoscritta la Convenzione di Washington CITES sul commercio internazionale delle specie a rischio, nel 1974 a bucarest ha luogo la Conferenza sulla popolazione, nel 1976 a vancouver si tiene la conferenza sull’Habitat, nel Mar della Plata nel 1977 si tiene la confe-renza sull’acqua, a Nairobi nel 1977 ha luogo la conferenza sulla deser-tificazione, nel 1979 viene firmata la Convenzione di Ginevra sulla pre-venzione ed il controllo dell’inquinamento atmosferico transfrontaliero.

Gli anni ‘70 sono tutti un fervere di studi per la determinazione dei livelli di rischio delle sostanze inquinanti, di adeguamenti delle legislazioni nazio-nali, di studio delle tecniche di disinquinamento delle acque e dell’aria. An-che per effetto della pressione dell’opinione pubblica allarmata da una serie di disastri tra cui ricordiamo:

- Il 10 luglio del 1976 si ha la fuoriuscita di diossina dall’ICmESA di Varese;

- Nel 1978 la petroliera Amoco Cadiz riversa in mare, al largo delle coste francesi, 1,6 milioni di barili di greggio;

- nel 1979 dal pozzo petrolifero Ixtoc I, nel golfo del messico, fuo-riescono 3,3 milioni di barili.

Gli anni ‘80: i problemi planetariL’elemento caratterizzante degli anni ‘80 è lo spostamento dell’attenzione

dai problemi specifici di inquinamento, che in generale hanno una scala lo-cale ai grandi problemi su scala mondiale come il buco dell’ozono e l’effetto serra. L’esistenza della fascia dell’ozono fu scoperta da Chapman nel 1930 e da questo stesso fu studiata la dinamica di produzione del gas. Negli anni ‘50-60 ci si accorse che la quantità stimata di ozono calcolata dalle equazioni di Chapman era maggiore del reale. L’introduzione sul mercato dei CFC ri-sale al lontano 1931, inizialmente come mezzi frigorigeni. Per le loro caratte-ristiche inusuali si sono diffusi anche in settori diversi (resine espanse, aero-sol, solvenza) e la loro produzione ebbe notevole impulso a partire dagli an-ni ‘50. Nel 1971 gli studi sugli ossidi di azoto e sul vapore acqueo prodotti dagli aerei supersonici ne ipotizzano la pericolosità come fattore di altera-zione dello strato di ozono.

D’altra parte, non erano note altre classi di composti che riunissero caratte-ristiche funzionali e doti di sicurezza. Dalla metà degli anni ‘70 le misure di Rowlands e molina segnalano il verificarsi di profonde variazioni nella com-posizione dell’atmosfera con un rapido aumento della concentrazione di cloro dovuto alle incrementate emissioni di CFCl3 e CF2Cl2. Con le prime misurazioni in aria si trovò che la stabilità dei CFC consentiva loro di attra-versare indisturbati l’atmosfera e si rilevò che ogni molecola di CFC 11 e 12 prodotta e rilasciata nell’atmosfera andava ad accumularsi nella troposfera. Inizialmente si badò poco a questo fenomeno, in seguito molti gruppi di stu-dio si interrogarono sul destino di queste grosse quantità di CFC: sicura-mente essi non potevano accrescersi incontrollati indefinitamente. ma la loro

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logia devono essere impiegate per identificare, evitare e controllare i pericoli eco-logici e per risolvere i problemi ambientali ai fini del bene comune dell’umanità.

19. L’educazione sui problemi ambientali, svolta sia fra le giovani generazioni sia fra gli adulti, dando la dovuta considerazione ai meno abbienti, è essenziale per ampliare la base di un’opinione informativa e per inculcare negli indivi-dui, nelle società e nelle collettività il senso di responsabilità per la protezione e il miglioramento dell’ambiente nella sua piena dimensione umana. E’ altresì essenziale che i mezzi di comunicazione di massa evitino di contribuire al de-terioramento dell’ambiente. Al contrario, essi devono diffondere informazioni educative sulla necessità di proteggere e migliorare l’ambiente, in modo da mettere in grado l’uomo di evolversi e progredire sotto ogni aspetto.

20. La ricerca scientifica e lo sviluppo, visti nel contesto dei problemi ecologici na-zionali o multinazionali, devono essere incoraggiati in tutti i Paesi, special-mente in quelli in via di sviluppo. A questo riguardo, deve essere appoggiato e incoraggiato il libero scambio delle informazioni scientifiche e delle esperienze, per facilitare la soluzione dei problemi ecologici. Inoltre, occorre che le tecnolo-gie ambientali siano rese disponibili per i Paesi in via di sviluppo in termini tali da incoraggiare la loro larga diffusione, senza costituire per detti Paesi un onere economico.

21. La Carta delle Nazioni Unite e i principi del diritto internazionale riconosco-no agli Stati il diritto sovrano di sfruttare le risorse in loro possesso, secondo le loro politiche ambientali, ed il dovere di impedire che le attività svolte entro la propria giurisdizione o sotto il proprio controllo non arrechino danni all’ambiente di altri Stati o a zone situate al di fuori dei limiti della loro giuri-sdizione nazionale.

22. Gli Stati devono collaborare al perfezionamento del codice di diritto interna-zionale per quanto concerne la responsabilità e la riparazione dei danni causa-ti all’ambiente in zone al di fuori delle rispettive giurisdizioni a causa di atti-vità svolte entro la giurisdizione dei singoli Stati o sotto il loro controllo.

23. Senza trascurare i principi generali concordati dalle organizzazioni interna-zionali o le disposizioni e i livelli minimi stabiliti con norme nazionali, sarà essenziale considerare in ogni caso i sistemi di valutazione prevalenti in cia-scuno Stato, ad evitare l’applicazione di norme valide per i Paesi più avanzati, ma che possono essere inadatte o comportare notevoli disagi sociali per i Paesi in via di sviluppo.

24. La cooperazione per mezzo di accordi internazionali o in altra forma è impor-tante per impedire, eliminare o ridurre e controllare efficacemente gli effetti nocivi arrecati all’ambiente da attività svolte in ogni campo, tenendo partico-larmente conto della sovranità e degli interessi di tutti gli Stati.

25. Gli Stati devono garantire alle organizzazioni internazionali una funzione co-ordinatrice, efficace e dinamica per la protezione e il miglioramento dell’am-biente.

26. L’uomo e il suo ambiente devono essere preservati dagli effetti delle armi nu-cleari e di tutti gli altri mezzi di distruzione di massa. Gli Stati devono sfor-zarsi di giungere sollecitamente ad un accordo, nei relativi organismi interna-

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inerzia li rendeva insensibili alle ossidazioni e alle precipitazioni della tropo-sfera; divenne chiaro che i CFC raggiungevano attraverso la troposfera il li-vello dello strato di ozono e, superatolo, incontravano finalmente le lun-ghezze d’onda Uv in grado di fotodissociarli Negli anni ‘70-‘80 dunque gli scienziati cominciarono ad accorgersi che le attività svolte dall’uomo stava-no intaccando e danneggiando l’ozonosfera. Lanciato il satellite meteorolo-gico Nimbus 4 per conoscere le caratteristiche della nostra atmosfera, si sco-pre, dai rilievi compiuti dalle sonde, che verranno poi definitivamente accer-tati nel 1978 e nel 1985 un vero e proprio buco nello strato di ozono polare sull’Antartide (diminuzione del 40% tra il 1977 ed il 1984). Non protetto da questo strato, il passaggio dei raggi ultravioletti nell’atmosfera avviene in misura maggiore, causando l’aumento delle radiazioni con gravi effetti bio-logici sull’uomo (tumori della pelle, riduzione delle funzioni del sistema im-munitario, lesioni agli occhi) e sugli altri esseri viventi (l’aumento di irradia-zione Uv porta ad una riduzione della funzione fotosintetica con conse-guente riduzione del rendimento dei sistemi vegetali).

queste insidie, tangibili e non solo potenziali, hanno indotto molti Paesi a prendere in seria considerazione la minaccia allo strato di ozono. Gli approc-ci sono stati di diverso tipo: alcuni Paesi agiscono unilateralmente abolendo la produzione di FREoN sul proprio territorio nazionale (come gli USA nel 1978), ma il coinvolgimento internazionale definitivo risale al 1981 quando il Governing Council dell’UNEP (United Nations Environment Programme) approvò una risoluzione che chiedeva all’Executive Director, di elaborare, con il contributo di esperti scientifici e legali, una “Convenzione per la prote-zione dello strato di ozono”. La Convenzione è stata finalizzata e adottata da una Conferenza Diplomatica tenutasi a vienna nel marzo 1986 ed è stata sot-toscritta da 28 Paesi; attraverso una serie ravvicinata di incontri mirati è stato redatto il documento finale, che è stato approvato da 23 stati il 16 settembre 1987 a Montreal. In seguito ad altre riunioni (Helsinki 1989, Londra 1990, Nairobi 1991, Rio de Janeiro 1992), nel novembre del 1992 alla Conferenza in-tergovernativa che si è svolta a Copenaghen, sotto l’egida o.N.U., 93 Paesi hanno raggiunto un accordo in merito alle sostanze responsabili della distru-zione dell’ozono, superando in parte le forti resistenze legate agli interessi delle aziende produttrici. Il Protocollo, nel suo complesso, prevedeva la di-smissione progressiva della produzione e dell’impiego, tra il 1986 e il 1996, (riduzione del 75% entro il 1994 e totale eliminazione entro il 1995 )delle so-stanze per le quali si disponeva sin dall’inizio di un’ampia conoscenza delle potenzialità di danno all’ozono stratosferico (ad es. i principali CFC, gli ha-lons, ecc.). Successivamente, l’aumento delle conoscenze relative agli effetti di molte altre sostanze, anche proposte in sostituzione dei CFC, hanno evi-denziato la necessità di dismettere progressivamente anche altri prodotti (HCFC, HBFC) nell’arco del periodo dal 1996 al 2000. Infine, a partire dal 1991 sono stati evidenziati gli effetti dannosi del bromuro di metile e la loro entità; quindi, anche per questo prodotto è stata proposta una dismissione in tempi ristretti (UNEP/Wmo). Per tali motivi a Nairobi fu deciso nel 1991 di:

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• considerare ufficialmente il bromuro di metile come sostanza lesiva dell’ozono stratosferico;

• bloccare il consumo nei paesi sviluppati ai livelli del 1991. molti Paesi hanno sottoscritto questo impegno (USA, Israele, Austria, bel-

gio, Canada, Danimarca, Finlandia, Germania, Italia, olanda, Svezia, Svizze-ra, Regno Unito) ma non tutti lo hanno ancora messo in pratica (USA, Israe-le, belgio, Italia, Regno Unito).

La dannosità del bromuro di metile deriva dal fatto che esso, una volta ri-lasciato nell’ambiente, raggiunge la stratosfera 50 volte più rapidamente di qualunque altra sostanza lesiva dell’ozono. E per tale motivo esercita la sua azione di danno in modo accelerato e quindi maggiore nell’immediato ad ogni altra sostanza lesiva dello strato di ozono oggi conosciuta (almeno un fattore 50 rispetto ad un’equivalente quantità di CFC). Secondo l’UNEP e il WMO (WMO,1994; TEAP, 1995) l’eliminazione totale delle emissioni di bro-muro di metile comporterebbe una riduzione del 42% delle perdite di ozono stratosferico e rappresenterebbe, quindi, il contributo principale di riduzio-ne tra tutti quelli previsti dal Protocollo di montreal.

Il secondo problema che si affaccia negli anni ‘80 è quello della gestione dei rifiuti in generale e dei tossico nocivi in particolare. A partire dagli anni ‘60 assistiamo ad un progressivo incremento delle quantità di rifiuti prodotti pro capite. Agli onori della cronaca assurgono casi di trasporto di prodotti tossico nocivi verso discariche nel terzo mondo. Del 1989 la Convenzione per il controllo della movimentazione transfrontaliera e dello smaltimento dei rifiuti speciali tossico nocivi .

Il terzo problema affrontato negli anni ‘80 è quello delle piogge acide. I pri-mi allarmi risalgono agli anni ‘60, ma la registrazione del declino delle gran-di foreste è degli anni ‘80.Gli Stati Uniti rendono esecutivo il National Acid Precipitation Assessment Program (NAPAP) che pubblica nel ‘90 il primo rapporto.

Gli anni ‘90: il dubbio e l’incertezza nella previsione del futuroNel 1992 viene ripreso il lavoro sui limiti dello sviluppo del Club di Roma

a cura dei meadows e si verifica che le trasformazioni sopravvenute dal 1972 erano andate ben oltre i limiti dello sviluppo previsti dal modello ini-ziale . Si era fuori dai limiti di sostenibilità (sustainable growth) questa pa-rola rappresenta un nucleo concettuale attorno cui ruotano tutte le discus-sioni recenti anche per l’ambiguità intrinseca del termine. Lo sviluppo soste-nibile rappresenta, nell’accezione del club di Roma una visione globale del concetto di sviluppo, una strategia che si articola a diversi livelli: in sintesi potrebbe essere definito come una forma di sviluppo non solo economico, ma anche sociale in cui la crescita economica avviene entro i limiti delle pos-sibilità ecologiche degli ecosistemi e della loro capacità di soddisfare i biso-gni delle generazioni future.

Il dibattito scientifico si arricchisce di ulteriori strumenti come l’applicazio-ne a contesti complessi della teoria del caos e della cosiddetta “dinamica dei

so la creazione di nuovi livelli di cooperazione tra gli stati, i settori chiave della società ed i popoli, Operando in direzione di accordi internazionali che rispettino gli interessi di tutti e tutelino l’integrità del sistema globale dell’ambiente e dello sviluppo, Riconoscendo la natura integrale ed interdi-pendente della terra, la nostra casa, Proclama che:

Principio 1 Gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura.

Principio 2 Conformemente alla Carta delle Nazioni Unite ed ai principi del diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse secondo le loro politiche ambientali e di sviluppo, ed han-no il dovere di assicurare che le attività sottoposte alla loro giurisdizione o al loro controllo non causino danni all’ambiente di altri stati o di zone situate oltre i limiti della giurisdizione nazionale.

Principio 3 Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all’ambiente ed allo sviluppo delle generazioni presenti e future.

Principio 4 Al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo.

Principio 5 Tutti gli stati e tutti i popoli coopereranno al compito essen-ziale di eliminare la povertà, come requisito indispensabile per lo svilup-po sostenibile, al fine di ridurre le disparità tra i tenori di vita e soddisfare meglio i bisogni della maggioranza delle popolazioni del mondo.

Principio 6 Si accorderà speciale priorità alla situazione ed alle esigenze specifiche dei paesi in via di sviluppo, in particolare di quelli meno svi-luppati e di quelli più vulnerabili sotto il profilo ambientale. Le azioni in-ternazionali in materia di ambiente e di sviluppo dovranno anche prende-re in considerazione gli interessi e le esigenze di tutti i paesi.

Principio 7 Gli Stati coopereranno in uno spirito di partnership globale per conservare, tutelare e ripristinare la salute e l’integrità dell’ecosistema terrestre. In considerazione del differente contributo al degrado ambienta-le globale, gli Stati hanno responsabilità comuni ma differenziate. I paesi sviluppati riconoscono la responsabilità che incombe loro nel persegui-mento internazionale dello sviluppo sostenibile date le pressioni che le lo-ro società esercitano sull’ambiente globale e le tecnologie e risorse finan-ziarie di cui dispongono.

Principio 8 Al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile e ad una qualità di vita migliore per tutti i popoli, gli Stati dovranno ridurre ed eli-minare i modi di produzione e consumo insostenibili e promuovere poli-tiche demografiche adeguate.

Principio 9 Gli Stati dovranno cooperare onde rafforzare le capacità isti-tuzionali endogene per lo sviluppo sostenibile, migliorando la compren-sione scientifica mediante scambi di conoscenze scientifiche e tecnologi-che e facilitando la preparazione, l’adattamento, la diffusione ed il trasfe-

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sistemi” che hanno la caratteristica di essere squisitamente qualitativi e quindi di difficile applicazione per considerazioni di tipo predittivo

Conferenza di Rio de Janeiro (Earth Summit) su ambiente e sviluppo (1992)

Un importante punto di arrivo è la Conferenza di Rio de Janeiro (Earth Summit) su ambiente e sviluppo del 19926. questa viene convocata prenden-do le mosse dal rapporto Brundtland (dal nome del norvegese Gro Harlem brundtland presidente della Commissione mondiale Ambiente e sviluppo istituita nel 1983 dall’oNU) in cui viene introdotto il concetto di sostenibilità inteso come “soddisfazione delle necessità del presente senza per questo compromettere la capacità delle generazioni future a soddisfare i loro propri bisogni”. In questo rapporto dunque si inizia ad intravedere la considerazio-ne della stretta interdipendenza tra protezione dell’ambiente e crescita eco-nomica. Nel corso del Summit di Rio, tenutosi tra il 3 ed il 14 giugno 1992 ci si pone l’obiettivo di trovare un equilibrio tra le esigenze economiche , socia-li ed ambientali delle generazioni presenti e future e si tenta di affrontare tali problemi a livello globale armonizzando necessità ed interessi dei paesi in-dustrializzati ed in via di sviluppo. A Rio si riuniscono i rappresentanti di 172 governi, 108 capi di stato o di governo e vengono formulati tre accordi fondamentali: • Agenda 21 che rappresenta un piano di azione globale per la promozio-

ne di uno sviluppo sostenibile, prevede 2500 raccomandazioni d’azione con proposte dettagliate per la lotta alla povertà, il cambiamento dei modelli di produzione e consumo, le dinamiche demografiche, la con-servazione e la gestione delle risorse naturali, la protezione dell’atmo-sfera, degli oceani e della biodiversità, la prevenzione della deforesta-zione, l’agricoltura sostenibile.

• La Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo che rappresenta un insieme di principi che definiscono i diritti ed i doveri degli Stati. I con-cetti più significativi in essa contenuti sono:

- La considerazione che l’incertezza scientifica non deve essere un alibi per ritardare l’adozione di misure per la protezione dell’ambiente

- Gli stati possono sfruttare le loro risorse, ma non devono arreca-re danno all’ambiente di altri stati

- Lo sviluppo sostenibile implica la lotta alla povertà

LA DICHIARAZIONE DI RIO SULL’ AMBIENTE E LO SVILUPPO (*)

PreamboloLa conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, Riunita a Rio

de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992, Riaffermando la Dichiarazione della conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente adottata a Stoccolma il 16 giugno 1972 e nell’intento di continuare la costruzione iniziata con essa, Allo scopo di instaurare una nuova ed equa partnership globale , attraver-

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Principio 16 Le autorità nazionali dovranno adoperarsi a promuovere l’”internalizzazione” dei costi per la tutela ambientale e l’uso di strumenti economici, considerando che è in principio l’ inquinatore a dover sostene-re il costo dell’inquinamento, tenendo nel debito conto l’interesse pubbli-co e senza distorcere il commercio internazionale e gli investimenti.

Principio 17 La valutazione d’impatto ambientale, come strumento na-zionale, sarà effettuata nel caso di attività proposte che siano suscettibili di avere effetti negativi rilevanti sull’ambiente e dipendano dalla decisio-ne di un’autorità nazionale competente.

Principio 18 Gli stati notificheranno immediatamente agli altri stati ogni catastrofe naturale o ogni altra situazione d’emergenza che sia suscettibile di produrre effetti nocivi improvvisi sull’ ambiente di tali stati. La comu-nità internazionale compirà ogni sforzo per aiutare gli stati così colpiti.

Principio 19 Gli Stati invieranno notificazione previa e tempestiva agli Stati potenzialmente coinvolti e comunicheranno loro tutte le informazio-ni pertinenti sulle attività che possono avere effetti trasfrontalieri seria-mente negativi sull’ambiente ed avvicineranno fin dall’inizio con tali Stati consultazioni in buona fede.

Principio 20 Le donne hanno un ruolo vitale nella gestione dell’ambien-te e nello sviluppo. la loro piena partecipazione è quindi essenziale per la realizzazione di uno sviluppo sostenibile.

Principio 21 La creatività, gli ideali e il coraggio dei giovani di tutto il mondo devono essere mobilitati per forgiare una partnership globale ido-nea a garantire uno sviluppo sostenibile ed assicurare a ciascuno un futu-ro migliore.

Principio 22 Le popolazioni e comunità indigene e le altre collettività lo-cali hanno un ruolo vitale nella gestione dell’ambiente e nello sviluppo grazie alle loro conoscenze e pratiche tradizionali. Gli Stati dovranno rico-noscere le loro identità, la loro cultura ed i loro interessi ed accordare ad esse tutto il sostegno necessario a consentire la loro efficace partecipazio-ne alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile.

Principio 23 L’ambiente e le risorse naturali dei popoli in stato di op-pressione , dominazione ed occupazione saranno protetti

Principio 24 La guerra esercita un’azione intrinsecamente distruttiva sullo sviluppo sostenibile. Gli Stati rispetteranno il diritto internazionale relativo alla protezione dell’ambiente in tempi di conflitto armato e, se necessario, coopereranno al suo progressivo sviluppo.

Principio 25 La pace, lo sviluppo e la protezione dell’ambiente sono in-terdipendenti e indivisibili.

Principio 26 Gli Stati risolveranno le loro controversie ambientali in mo-do pacifico e con mezzi adeguati in conformità alla Carta delle Nazioni Unite.

Principio 27 Gli stati ed i popoli coopereranno in buona fede ed in uno spirito di partnership all’applicazione dei principi consacrati nella presen-te Dichiarazione ed alla progressiva elaborazione del diritto internaziona-

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rimento di tecnologie, comprese le tecnologie nuove e innovative.Principio 10 Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello

di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi li-velli. Al livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività pericolose nella comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipa-zione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sa-rà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed ammini-strativi, compresi i mezzi di ricorso e di indennizzo.

Principio 11 Gli Stati adotteranno misure legislative efficaci in materia ambientale. Gli standard ecologici, gli obbiettivi e le priorità di gestione dell’ambiente dovranno riflettere il contesto ambientale e di sviluppo nel quale si applicano. Gli standard applicati da alcuni paesi possono essere inadeguati per altri paesi, in particolare per i paesi in via di sviluppo, e imporre loro un costo economico e sociale ingiustif icato. Principio 12 Gli Stati dovranno cooperare per promuovere un sistema economico internazionale aperto e favorevole, idoneo a generare una cre-scita economica ed uno sviluppo sostenibile in tutti i paesi ed a consentire una lotta più efficace ai problemi del degrado ambientale. Le misure di politica commerciale a fini ecologici non dovranno costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o ingiustificata o una restrizione dissimulata al commercio internazionale. Si dovrà evitare ogni azione unilaterale diretta a risolvere i grandi problemi ambientali al di fuori della giurisdizione del paese importatore. Le misure di lotta ai problemi ecologici trasfrontalieri o mondiali dovranno essere basate, per quanto è possibile, su un consen-so internazionale.

Principio 13 Gli Stati svilupperanno il diritto nazionale in materia di re-sponsabilità per i danni causati dall’inquinamento e altri danni all’am-biente e per l’indennizzo delle vittime. Essi coopereranno, in modo rapido e più determinato, allo sviluppo progressivo del diritto internazionale in materia di responsabilità e di indennizzo per gli effetti nocivi del danno ambientale causato da attività svolte nell’ambito della loro giurisdizione o sotto il loro controllo in zone situate al di fuori della loro giurisdizione.

Principio 14 Gli Stati dovranno cooperare efficacemente per scoraggiare o prevenire il dislocamento o il trasferimento in altri stati di tutte le attivi-tà e sostanze che provocano un grave degrado ambientale o sono giudica-te nocive per la salute umana.

Principio 15 Al fine di proteggere l’ ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il metodo precauzionale. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica as-soluta non deve servire da pretesto per rinviare l’abolizione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il de-grado ambientale.

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le in materia di sviluppo sostenibile.(*) da Rio 1992. vertice per la Terra, a cura di G.C. Garaguso e S. marchi-

sio, Ed. Frannco Angeli, milano 1993. 32 pag.

• La Dichiarazione dei principi forestali con la funzione di guida nella gestione del patrimonio forestale mondiale nella direzione della soteni-bilità. Nel 1995 a seguito di questa dichiarazione viene istituito il Comi-tato intergovernativo sulle foreste .

La novità emergente legata al concetto di sostenibilità deriva dalla consi-derazione di una serie di necessità intrinsecamente connesse con l’impianto concettuale di Rio: l’integrazione della questione ambientale ad ogni livello di governo, la definizione di un modello di pianificazione, gestione e con-trollo del territorio, l’informazione ai cittadini sullo stato dell’ambiente e sulle politiche perseguite

Dopo la Conferenza di RioCon la Conferenza di Rio entrano in vigore la Convenzione oNU sulla bio-

diversità e la Convenzione oNU sul cambiamento climatico (entrata in vigo-re dal 21 marzo 1994 e firmata da 165 stati). Le Nazioni Unite istituiscono una Commissione dell’oNU sullo sviluppo sostenibile con il compito di mo-nitorare l’attuazione dell’Agenda 21. Nel maggio del 1994 viene riunita la Conferenza Globale sullo Sviluppo Sostenibile degli Stati Isola in via di svi-luppo. Nel 1995 viene negoziato l’accordo sulle migrazioni degli stock di pe-sci. Nel 1996 entra in vigore la Convenzione dell’oNU sulla desertificazione.

Dal 23 al 27 giugno 1997 si riunisce una sessione speciale delle Nazioni unite (Earth summit +5) per rivedere criticamente il processo attuativo dell’agenda 217.

Il protocollo di Kyoto ed il dibattito sul climaIl dibattito sul clima prende l’avvio addirittura nel 1860 quando vengono

formulate le prime ipotesi che le variazioni della composizione dell’atmosfe-ra comporti cambiamenti climatici. Alla fien del secolo scorso Arrhenius fa i primi calcoli sulla relazione tra concentrazione di anidride carbonica ed effet-to serra stimando che un raddoppio della concentrazione del gas comporti un riscaldamento globale da 4 a 6°C. Nel 1957 parte un rilevamento sistema-tico dei dati sulla concentrazione di anidride carbonica a mauna Loa con ve-rifica in Antartide e in altre stazione nel mondo. Nel 1956 viene elaborato il primo modello matematico globale sull’atmosfera (Norman Philips) e nel 1963 viene realizzato il primo laboratorio della National oceanic Atmosferic Administration per la costruzione di modelli matematici sull’atmosfera. Nel 1976 si confermano le stime di Arrhenius (raddoppio di Co2, incremento di 3 °C) Nel 1976 lo studio di F. Press che accertano l’aumento dall’inizio del seco-lo, del tenore di Co2 nella troposfera da 290 a 330 ppm portano alla.convoca-zione della I conferenza mondiale sul clima. Gli scienziati del Comitato Inter-governativo sui mutamenti del Clima (IPCC) nel 1992, considerando l’incre-

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mento dei gas serra immessi nell’atmosfera e l’inerzia termica degli oceani, stimarono che: si dovrebbe avere in meno di vent’anni un ulteriore aumento del 20% di Co2 e l’aumento del 100% in meno di quarant’anni. Il problema centrale dei modelli matematici previsionali sull’atmosfera è l’ordine di gran-dezza, modeste fluttuazioni che possono avere valenza solo locale, se trasfe-rite in modello globali possono modificare radicalmente gli scenari previsio-nali. Il nodo del problema sta nella difficoltà di estrapolare considerazioni generali da dati puntuali. Nonostante i dubbi della scienza il mondo politico si è questa volta mosso con rapidità: nel 1995 viene convocata la I conferenza delle parti per la Convenzione quadro sul cambiamento del clima.

Dall’1 al 10 dicembre 1997 a Kyoto viene approvato un atto esecutivo fir-mato da 55 paesi, che impegna i paesi industrializzati e quelli con economia di transizione (Est europeo) a ridurre del 5% le emissioni antropogeniche di gas serra entro il 2010. Per l’anidride carbonica, il metano ed il protossido d’azoto l’anno preso come riferimento è il 1990, per i fluorocarburi idrati i perfluorocarburi e l’esafluoruro di zolfo, in quanto lesivi della fascia di ozo-no in stratosfera si prende come riferimento il 1995, anno in cui viene firma-to il Protocollo di montreal che ha come oggetto appunto le emissioni che producono danni all’ozono stratosferico.

La riduzione del 5% non è ripartita in modo uniforme: i paesi dell’Unione europea devono ridurre la quota di emissione dell’8%, gli Stati Uniti del 7%, il Giappone del 6%. Per Russia, Nuova Zelanda ed Ucraina si prevede il mantenimento dei livelli di emissione, mentre la Norvegia può aumentare le proprie emissioni dell’1%, l’Australia dell’8%, l’Islanda del 10%.

Se si considera che dal 1990 al 1997 le emissioni di gas serra sono aumenta-te mediamente del 20 %, la riduzione effettiva proposta dal protocollo di Kyoto ammonta dunque ad un valore reale del 25%. Per i Paesi in via di svi-luppo non si prevedono limitazioni delle emissioni per non comprometterne lo sviluppo economico, coerentemente con quanto discusso e deliberato alla Conferenza di Rio. Nei paesi in via di sviluppo tuttavia la crescita delle emissioni sta avvenendo ad una velocità tripla di quella dei paesi industria-lizzati (25% dal 1990 al 1995 contro 8% nello stesso periodo) e ciò di fatto può vanificare entro il 2010 l’impegno di riduzione. Dunque il documento prevede una serie di obblighi che possono così raggrupparsi:

a) obblighi sul breve termine volti alla limitazione delle possibilità di cambiamenti climatici globali, o comunque alla mitigazione di tali cambia-menti, indotti dalle attività umane, mediante azioni o contromisure che agi-scono soprattutto sulle cause principali dei cambiamenti climatici, quali ad esempio le emissioni in atmosfera di gas ed inquinanti capaci di aumentare l’effetto serra naturale del nostro pianeta;

b) obblighi sul medio termine volti alla mitigazione degli effetti dei cam-biamenti climatici globali con azioni e contromisure che agiscono soprattut-to sulla prevenzione dei possibili danni e sulla minimizzazione delle preve-dibili conseguenze negative indotte dai cambiamenti climatici sull’ambiente naturale, l’ambiente antropizzato e lo sviluppo socio-economico, quali ad

che gli obblighi di cui al paragrafo 2 dell’art. 4 della Convenzione;iii) i Paesi sviluppati (sono 25 Paesi elencati nell’Annesso II della Conven-

zione), che sono tenuti a rispettare, oltre quelli precedenti, anche gli obblighi di cui al paragrafo 3 dell’art. 4 della Convenzione” 8.

Le principali novità rappresentate dal Protocollo di Kyoto sono:• la cosiddetta joint implementation ovvero l’attuazione congiunta degli

impegni presi dai paesi sottoscrittori con la possibilità di attuare una differente ripartizione che non alteri l’impegno complessivamente preso

• l’emission trading ovvero la possibilità di cedere o acquistare i diritti di emissione a o da un altro paese. Tale commercializzazione è tuttavia vincolata alla definizione di un progetto cooperativo tra i due paesi fi-nalizzato alla riduzione dei gas serra, non può sostituire l’adempimento degli impegni presi, l’accordo deve essere ufficializzato e approvato da entrambi i paesi

• il clean development mechanism ovvero la promozione del trasferimen-to di tecnologie e conoscenze dai paesi più sviluppati ai paesi poveri per lo sviluppo sostenibile

Il protocollo di Kyoto in versione integrale, in italiano9.CONFERENZA DELLE PARTITerza sessioneKyoto, 1-10 dicembre 1997Punto 5 dell’Agenda dei lavoriPROTOCOLLO DI KYOTO PER LA CONVENZIONE QUADRO DELLE

NAZIONI UNITE SUI CAMBIAMENTI CLIMATICILe Parti di questo Protocollo,essendo Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti

Climatici, di qui in avanti denominata ‘la Convenzione’, perseguendo l’obiettivo finale della Convenzione, stabilito nell’Articolo 2, richiamando le disposizioni della Convenzione, sotto la guida delle indicazioni all’Articolo 3 della Convenzio-ne, in applicazione del Mandato di Berlino adottato con la decisione 1/CP.1 della Conferenza delle Parti della Convenzione, durante la sua prima sessione, hanno concordato quanto segue:■ Articolo 1

Per gli scopi di questo Protocollo, si utilizzeranno le definizioni contenute nell’Articolo 1 della Convenzione. Inoltre:

1. con ‘Conferenza delle Parti’ si intende la Conferenza delle Parti della Conven-zione.

2. con ‘Convenzione’ si intende la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, adottata a New York il 9 maggio 1992

3. con ‘Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici’ si intende il Co-mitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici fondato nel 1988 con-giuntamente dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale e dal Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite.

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esempio i danni all’agricoltura ed alle risorse idriche (prodotti da processi di aridificazione e desertificazione nella fascia temperata subtropicale), la sali-nizzazione delle falde freatiche e la distruzione degli ambienti costieri indot-ti dall’innalzamento del livello del mare, ecc.;

c) obblighi sul lungo termine volti all’adattamento dell’umanità ai cam-biamenti climatici e, quindi, ad un nuovo ambiente naturale globale diverso da quello attuale e la cui evoluzione è causata appunto dai cambiamenti cli-matici globali, mediante azioni o contromisure che agiscono soprattutto sul-la programmazione dell’uso del territorio e delle risorse naturali e sulla pia-nificazione dello sviluppo socio-economico mondiale.

Se consideriamo gli impegni contenuti nella Convenzione sopra citata in termini di obiettivi settoriali da raggiungere, la tipologia degli obblighi può essere così sintetizzata:

1) obblighi di natura politica e socio-economica nazionale nei settori più rilevanti delle attività umane, quali la produzione e l’uso dell’energia, i pro-cessi ed i prodotti industriali, l’agricoltura e la produzione agro-alimentare, la gestione dei rifiuti, ecc.

2) obblighi di natura politica e socio-economica internazionale per la co-operazione internazionale, in particolare tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo o con economia in transizione, per il trasferimento di nuove tecnologie, e soprattutto di know-how, capaci di promuovere crescita econo-mica e benessere sociale con impatti ambientali bassi e comunque non pre-giudizievoli sugli equilibri del sistema climatico globale;

3) obblighi di natura tecnico-scientifica per la partecipazione ai grandi programmi di ricerca scientifica internazionale su ambiente globale e cam-biamenti climatici e ai grandi sistemi internazionali per le osservazioni glo-bali della terra e del clima, e per lo sviluppo dell’innovazione tecnologica nei vari settori, industriale, energetico e produttivo;

4) obblighi di natura culturale e sociale per l’informazione del pubblico e la diffusione delle informazioni sui problemi e le implicazioni dei cambia-menti climatici sui complessi equilibri tra sistema ambientale e sistema cli-matico globale, nonché la formazione culturale e professionale delle nuove generazione su tali tematiche.

Nella Convenzione UN-FCCC impegni ed obblighi non sono dettagliati in termini di azioni concrete da effettuare, modalità operative di attuazione, tempi da rispettare o altro, ma vengono enunciati in termini generali e sud-dividendoli per gruppi di Paesi a cui sono indirizzati. I gruppi di Paesi pre-visti sono tre:

i) tutti i Paesi aderenti alle Nazioni Unite, le organizzazioni intergoverna-tive e gli altri firmatari della Convenzione, che sono tenuti a rispettare gli obblighi generali di cui al paragrafo 1 dell’art. 4 della Convenzione, oltre quelli di cui all’art. 5 (ricerca ed osservazioni sistematiche) e all’art. 6 (edu-cazione, formazione e informazione del pubblico);

ii) i Paesi sviluppati e quelli ad economia in transizione (sono 36 Paesi elencati nell’Annesso I della Convenzione), che sono tenuti a rispettare an-

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Parti dovranno dar vita ad iniziative per condividere le proprie esperienze e scambiare informazioni su tali politiche e misure, incluso lo sviluppo di siste-mi per migliorare la loro comparabilità, trasparenza ed efficacia. La Conferen-za delle Parti,

agendo come Conferenza delle Parti del Protocollo, dovrà, durante la prima sessione o quanto prima possibile, considerare le modalità per facilitare tale cooperazione, tenendo conto di tutte le informazioni pertinenti.

2. Le Parti incluse nell’Annesso I dovranno perseguire la limitazione o riduzio-ne delle emissioni di gas ad effetto serra, non inclusi nel Protocollo di Montre-al, relativi ai depositi di combustibile in uso nell’aviazione e nella marina, operando rispettivamente con l’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile e l’Organizzazione Internazionale Marittima .

3. Le Parti incluse nell’Annesso I dovranno cercare di attuare politiche e misure, ai sensi del presente Articolo, in modo da ridurre al minimo effetti contrari, in-clusi gli effetti contrari del cambiamento climatico, gli effetti sul commercio internazionale, e gli impatti sociali, ambientali ed economici sulle altre Parti, in special modo le Parti paesi in via di sviluppo ed, in particolare, quelle iden-tificate nell’Articolo 4, paragrafi 8 e 9 della Convenzione, in considerazione dell’Articolo 3 della Convenzione. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, può intraprendere ulteriori azioni, se op-portune, per promuovere l’attuazione delle disposizioni del presente paragrafo.

4. Nel caso in cui la Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, decida che sarebbe positivo coordinare tutte le politiche e le mi-sure presenti nel precedente paragrafo 1(a), tenendo conto delle diverse circo-stanze nazionali e dei diversi effetti potenziali, dovrà considerare i modi e i mezzi per elaborare il coordinamento di tali politiche e misure.

■ Articolo 31. Le Parti incluse nell’Annesso I dovranno, individualmente o congiuntamente,

assicurare che le emissioni antropogeniche aggregate equivalenti di biossido di carbonio, dei gas ad effetto serra elencati nell’Allegato A, non superino le quantità stabilite, calcolate in conformità agli impegni assunti sulle limitazio-ni quantificate delle emissioni ed sulle riduzioni specificate nell’Allegato B ed in accordo con le disposizioni del presente Articolo, con il fine di ridurre le emissioni globali di tali gas di almeno il 5 per cento, rispetto ai livelli del 1990, nel periodo di adempimento 2008 - 2012.

2. Entro il 2005, ciascuna Parte inclusa nell’Annesso I dovrà aver fatto progres-si dimostrabili per raggiungere gli impegni assunti nell’ambito del presente Protocollo.

3. Le variazioni nette, dei gas ad effetto serra, relative ad emissioni da sorgenti ed assorbimenti da meccanismi di rimozione, risultanti dalla variazione nella destinazione d’uso del territorio e dalle attività boschive, limitatamente all’im-boschimento, rimboschimento e disboscamento a partire dal 1990, misurate come verificabili variazioni nell’inventario, in ogni periodo di adempimento, saranno utilizzate per assolvere gli impegni assunti, ai sensi del presente Ar-ticolo, da ciascuna Parte inclusa nell’Annesso I. Le emissioni dei gas ad effetto

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4. con ‘Protocollo di Montreal’ si intende il Protocollo di Montreal sulle sostan-ze che riducono lo strato di ozono, adottato a Montreal il 16 settembre 1987 ed in seguito corretto ed emendato.

5. con ‘Parti presenti e votanti’ si intendono le Parti presenti e che esprimono un voto affermativo o negativo.

6. con ‘Parte’ si intende, a meno che il contesto non indichi diversamente, una Parte del Protocollo.

7. con ‘Parte inclusa nell’Annesso I’ si intende una Parte inclusa nell’Annesso I della Convenzione, inclusi eventuali emendamenti, oppure una Parte che ha presentato notifica ai sensi dell’Articolo 4, paragrafo 2(g), della Convenzione.

■ Articolo 21. Ciascuna Parte inclusa nell’Annesso I, nell’adempimento dei propri impegni

di limitazione quantificata e di riduzione delle emissioni, ai sensi dell’Articolo 3, al fine di promuovere uno sviluppo sostenibile, dovrà:

a) attuare e/o elaborare ulteriormente politiche e misure compatibilmente con le proprie circostanze nazionali, come:

(i) il miglioramento dell’efficienza energetica in settori rilevanti dell’economia nazionale;

(ii) la protezione ed il miglioramento dei meccanismi di rimozione e di raccol-ta dei gas ad effetto serra, non inclusi nel Protocollo di Montreal, prendendo in considerazione gli impegni assunti nell’ambito di rilevanti accordi interna-zionali relativi all’ambiente; la promozione di modalità sostenibili di gestione del patrimonio forestale, dell’imboschimento e del rimboschimento

(iii) la promozione di forme sostenibili di agricoltura alla luce di considerazio-ni riguardanti il cambiamento climatico;

(iv) la promozione, la ricerca, lo sviluppo e la maggiore utilizzazione di nuove forme di energia rinnovabile, di tecnologie per la cattura e l’isolamento del biossido di carbonio e di tecnologie avanzate ed innovative compatibili con l’ambiente;

(v) la progressiva riduzione o eliminazione delle limitazioni di mercato, degli incentivi fiscali, delle esenzioni da tasse e contributi e dei sussidi, in tutti i settori responsabili di emissioni dei gas ad effetto serra, che ostacolano il rag-giungimento dell’obiettivo finale della Convenzione e l’utilizzo degli strumen-ti dell’economia di mercato;

(vi) l’incoraggiamento di riforme appropriate, in settori rilevanti, mirati alla promozione di politiche e misure che limitino o riducano le emissioni dei gas ad effetto serra, non inclusi nel Protocollo di Montreal;

(vii) le misure per limitare e/o ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra, non inclusi nel Protocollo di Montreal, nel settore dei trasporti;

(viii) la limitazione e/o riduzione di metano attraverso il recupero e l’utilizzo nel trattamento dei rifiuti, come pure nella produzione, trasporto e distribu-zione di energia;

(b) cooperare con altre Parti per migliorare l’efficacia individuale e combinata delle loro politiche e misure, adottate ai sensi del presente Articolo, in applica-zione dell’Articolo 4, paragrafo 2(e)(i), della Convenzione. A questo fine, tali

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scuna Parte, inclusa nell’Annesso I, sarà uguale alla percentuale ad essa as-segnata, riportata nell’Allegato B, delle emissioni antropogeniche aggregate equivalenti di biossido di carbonio, dei gas ad effetto serra elencate nell’Alle-gato A e relative al 1990, oppure alle emissioni relative ad altro periodo o an-no di riferimento, ai sensi del precedente paragrafo 5, moltiplicate per cinque. Quelle Parti incluse nell’Annesso I, per le quali la variazione nella destina-zione d’uso del territorio e la silvicoltura hanno costituito una fonte netta di emissioni di gas ad effetto serra nel 1990, dovranno includere nelle emissioni, relative all’anno 1990 o ad altro periodo di riferimento, le emissioni antropo-geniche aggregate equivalenti di biossido di carbonio, al netto delle rimozioni relative all’anno 1990, derivanti dalla variazione nella destinazione d’uso del territorio, al fine di calcolare la quota loro assegnata.

8. Qualsiasi Parte inclusa nell’Annesso I può utilizzare il 1995 come anno di ri-ferimento per gli idrofluorocarburi, i perfluorocarburi e l’esafluoruro di zolfo, ai fini delle operazioni di calcolo riportate nel precedente paragrafo 7.

9. Gli impegni relativi ai successivi periodi di adempimento, per le Parti incluse nell’Annesso I, dovranno essere determinati con emendamenti all’Allegato B del presente Protocollo, e saranno adottati in conformità alle disposizioni pre-viste dall’Articolo 20, paragrafo 7. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, inizierà la valutazione di tali impegni almeno sette anni prima del termine del primo periodo di adempimento, men-zionato nel precedente paragrafo 7.

10. Qualsiasi unità di riduzione delle emissioni, o qualsiasi frazione della quota assegnata, che una Parte acquisisce da un’altra Parte in conformità con le di-sposizioni previste dall’Articolo 6 e dall’Articolo 16 bis, dovrà essere somma-ta alla quota assegnata a quella Parte.

11. Qualsiasi unità di riduzione delle emissioni, o qualsiasi frazione della quota assegnata, che una Parte trasferisce a un’altra Parte in conformità con le di-sposizioni previste dall’Articolo 6 e dall’Articolo 16 bis, dovrà essere sottratta alla quota assegnata a quella Parte.

12. Qualsiasi riduzione accertata delle emissioni, che una Parte acquisisce da un’altra Parte in conformità con le disposizioni previste dall’Articolo 12, do-vrà essere sommata alla quota assegnata a quella Parte.

13. Se le emissioni di una Parte inclusa nell’Annesso I, durante un periodo di adempimento, sono minori della quota ad essa assegnata ai sensi del presente Articolo, tale differenza dovrà, essere sommata, su richiesta della Parte inte-ressata, alla quota assegnata alla Parte medesima per i successivi periodi di adempimento.

14. Ciascuna Parte inclusa nell’Annesso I dovrà porre ogni sforzo per attuare gli impegni menzionati nel precedente paragrafo 1, in modo tale da minimizzare gli effetti sociali, ambientali ed economici contrari sui paesi in via di sviluppo, Parti della Convenzione, in particolare quelli identificati nell’Articolo 4, pa-ragrafo 8 e 9 della Convenzione. In linea con le decisioni della Conferenza delle Parti, rilevanti per l’attuazione di tali paragrafi, la Conferenza delle Parti, agendo come Conferenza delle Parti del Protocollo, dovrà, nella prima

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serra da sorgenti e gli assorbimenti da meccanismi di rimozione, associati con quelle attività dovranno essere presentate con modalità trasparenti e verifica-bili, e riesaminate in conformità agli Articoli 7 e 8.

4. Precedentemente alla prima sessione della Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, ciascuna Parte inclusa nell’Annesso I dovrà fornire per l’esame dell’Organo Sussidiario della Convenzione per la Consulenza Scientifica e Tecnologica, i dati che permettono di stabilire il livel-lo delle quantità di carbonio nel 1990 e consentono di eseguire una stima delle variazioni di tali livelli di carbonio, negli anni successivi. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, dovrà, durante la sua prima sessione o quanto prima possibile, decidere le modalità, le regole e le linee guida riguardo a come e a quali delle ulteriori attività indotte dall’uomo, legate alle variazioni delle emissioni e rimozioni di gas ad effetto serra nei ter-reni agricoli, nonché nelle categorie della variazione di destinazione d’uso del territorio e boschiva, dovranno essere sommate o sottratte alla quota assegna-ta alle Parti, incluse nell’Annesso I, tenendo conto della indeterminazione, della trasparenza delle relazioni, della verificabilità, della lavoro metodologico del ‘Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici’, delle raccoman-dazioni fornite dall’Organo Sussidiario della Convenzione per la Consulenza Scientifica e Tecnologica, in conformità all’Articolo 5 e delle decisioni adottate dalla Conferenza delle Parti. Tale decisione verrà applicata al secondo e ai suc-cessivi periodi di adempimento. Una Parte può scegliere di applicare tale deci-sione sulle ulteriori attività indotte dall’uomo, per il primo periodo di adempi-mento, a condizione che queste attività abbiano avuto luogo fin dal 1990.

5. Le Parti incluse nell’Annesso I, soggette ad un processo di transizione verso una economia di mercato, il cui anno o periodo di riferimento è stato stabilito in conformità alla decisione 9/CP.2 della Conferenza delle Parti, durante la sua seconda sessione, potranno utilizzare tale periodo o anno di riferimento per l’attuazione degli impegni assunti ai sensi del presente Articolo. Qualsiasi altra Parte, inclusa nell’Annesso I, soggetta ad un processo di transizione verso una economia di mercato, che non abbia ancora presentato la sua prima comunicazione nazionale, in conformità all’Articolo 12 della Convenzione, può ugualmente notificare alla Conferenza delle Parti, agente come Conferen-za delle Parti del Protocollo, che intende utilizzare un anno o periodo storico di riferimento, diverso dal 1990, per l’attuazione dei propri impegni assunti ai sensi del presente Articolo. La Conferenza delle Parti, agente come Conferen-za delle Parti del Protocollo, si riserverà di decidere se accettare tale notifica.

6. Tenendo conto dell’Articolo 4, paragrafo 6, della Convenzione, nell’attuazio-ne degli impegni assunti ai sensi di questo Protocollo, diversi da quelli speci-ficati nel presente Articolo, un certo grado di flessibilità dovrà essere consen-tito dalla Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Pro-tocollo, alle Parti incluse nell’Annesso I che sono soggette ad un processo di transizione verso l’economia di mercato.

7. Nel primo periodo di adempimento degli impegni per la riduzione e la limita-zione quantificata delle emissioni, dal 2008 al 2012, la quota assegnata cia-

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sorbimenti da meccanismi di rimozione di tutti i gas ad effetto serra non in-clusi nel Protocollo di Montreal. Le linee guida per tali sistemi nazionali, che utilizzeranno le metodologie specificate nel seguente paragrafo 2, dovranno essere decise dalla Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, durante la sua prima sessione.

2. Le metodologie utilizzate per la stima delle emissioni antropogeniche da sor-genti e degli assorbimenti da meccanismi di rimozione di tutti i gas ad effetto serra non inclusi nel Protocollo di Montreal. saranno quelle accettate dal Co-mitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici e concordate dalla Confe-renza delle Parti, durante la sua terza sessione. Laddove tali metodologie non vengano utilizzate, verranno applicate degli adattamenti appropriati, in con-formità con le metodologie approvate dalla Conferenza delle Parti, agente co-me Conferenza delle Parti del Protocollo, durante la sua prima sessione. Ba-sandosi sul lavoro del, inter alia, Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici e sulle raccomandazioni fornite dall’Organo Sussidiario della Con-venzione per la Consulenza Scientifica e Tecnologica, la Conferenza delle Par-ti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, effettuerà regolarmente un esame, e se opportuno, una revisione di tali metodologie e adattamenti, te-nendo pienamente conto di ogni decisione pertinente della Conferenza delle Parti. Qualsiasi revisione a metodologie o adattamenti verrà effettuata solo ai fini di accertare l’adempimento degli obblighi assunti ai sensi dell’Articolo 3, relativi a qualsiasi periodo di adempimento adottato successivamente a quella revisione.

3. I potenziali di riscaldamento globale utilizzati per calcolare l’equivalenza in biossido di carbonio delle emissioni antropogeniche da sorgenti ed degli assor-bimenti da meccanismi di rimozione dei gas ad effetto serra, non inclusi nel Protocollo di Montreal, elencati nell’Allegato A, dovranno essere quelli accet-tati dal Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, e concordati dalla Conferenza delle Parti, durante la sua terza sessione. Basandosi sul la-voro del, inter alia, Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici e sulle raccomandazioni fornite dall’Organo Sussidiario della Convenzione per la Consulenza Scientifica e Tecnologica, la Conferenza delle Parti, agente co-me Conferenza delle Parti del Protocollo, effettuerà regolarmente un esame e, se opportuno, una revisione del potenziale di riscaldamento globale di ciascu-no di tali gas ad effetto serra, tenendo pienamente conto di ogni decisione per-tinente della Conferenza delle Parti. Qualsiasi revisione dei potenziali di ri-scaldamento globale avrà effetto solo su quegli impegni assunti, ai sensi dell’Articolo 3, relativi a qualsiasi periodo di adempimento adottato successi-vamente a quella revisione.

■ Articolo 61. Allo scopo di adempiere agli impegni assunti ai sensi dell’Articolo 3, qualsiasi

Parte inclusa nell’Annesso I, può trasferire a, o acquisire da, una qualsiasi al-tra di tali Parti, quote di riduzione delle emissioni risultanti da progetti fina-lizzati alla riduzione delle emissioni antropogeniche da sorgenti ed all’aumen-to degli assorbimenti da meccanismi di rimozione dei gas ad effetto serra, in

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sessione, considerare quali azioni siano necessarie per minimizzare gli effetti negativi del cambiamento climatico e/o gli effetti delle misure adottate sulle Parti, a cui ci si riferisce in quei paragrafi. Tra le questioni da prendere in considerazione, dovranno esservi la creazione di fondi assicurativi e il trasfe-rimento di tecnologie.

■ Articolo 41. Per qualsiasi Parte inclusa nell’Annesso I, che abbia concordato un’azione

congiunta per l’ attuazione degli impegni assunti ai sensi dell’Articolo 3, si dovrà ritenere che gli impegni siano stati assolti, a condizione che le proprie emissioni antropogeniche equivalenti di biossido di carbonio, aggregate e combinate, dei gas ad effetto serra elencati nell’Allegato A, non ecceda la quo-ta ad essa assegnata, calcolata in conformità ai relativi impegni di limitazione quantificata e riduzione delle emissioni, elencata nell’Allegato B, ed in accor-do con le disposizioni dell’Articolo 3. Il rispettivo livello di emissione asse-gnato a ciascuna delle Parti dell’accordo dovrà essere stabilito in sede di tale accordo.

2. Le Parti di un qualsiasi tale accordo dovranno notificare al Segretariato i ter-mini dell’accordo, alla data del deposito dei rispettivi strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o adesione. Il Segretariato dovrà, a sua volta, in-formare le Parti ed i firmatari della Convenzione, dei termini dell’accordo.

3. L’accordo rimarrà in vigore per la durata del periodo di adempimento specifi-cato nell’Articolo 3, paragrafo 7.

4. Se le Parti, agendo congiuntamente, operano all’interno di, o insieme con, un’organizzazione di integrazione economica regionale, una qualsiasi varia-zione nella composizione di tale organizzazione, dopo l’adozione di questo Protocollo, non dovrà influenzare gli impegni già esistenti ai sensi del Proto-collo. Una qualsiasi variazione nella composizione dell’organizzazione avrà effetto solo ai fini dell’attuazione degli impegni assunti ai sensi dell’Articolo 3, che siano adottati successivamente a quella variazione.

5. Nell’eventualità di un fallimento, delle Parti di tale accordo, nel raggiungi-mento del livello totale combinato delle riduzioni di emissioni, ciascuna Parte di tale accordo sarà responsabile per il proprio livello di emissioni, stabilito nell’accordo.

6. Se le Parti, agendo congiuntamente, operano all’interno di, o insieme con, un’organizzazione di integrazione economica regionale, che sia essa stessa una Parte in questo Protocollo, ogni Stato membro di tale organizzazione di integrazione economica regionale, individualmente, o congiuntamente con l’organizzazione di integrazione economica regionale, agendo ai sensi dell’Ar-ticolo 23, nell’eventualità di un fallimento nel raggiungimento del livello to-tale combinato delle riduzioni di emissioni, dovrà essere responsabile del pro-prio livello di emissioni, come notificato in conformità a questo Articolo.

■ Articolo 51. Ciascuna Parte inclusa nell’Annesso I dovrà rendere operativo, non più tardi

di un anno prima dell’inizio del primo periodo di adempimento, un sistema nazionale per la stima delle emissioni antropogeniche da sorgenti e degli as-

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chiesta dalla Convenzione, successivamente all’entrata in vigore del presente Protocollo e dopo l’adozione di linee guida come disposto nel successivo para-grafo 4. La frequenza con cui le informazioni, richieste ai sensi del presente Articolo, dovranno essere presentate successivamente sarà stabilita dalla Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, prendendo in considerazione qualsiasi tabella temporale, per la presentazione delle Comunicazioni Nazionali, deciso dalla Conferenza delle Parti.

4. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, adotterà nella sua prima sessione, e riesaminerà periodicamente in seguito, le linee guida per la preparazione delle informazioni richieste ai sensi del pre-sente Articolo, considerando le linee guida per la preparazione delle Comuni-cazioni Nazionali delle Parti incluse nell’Annesso I, adottate dalla Conferen-za delle Parti. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, deciderà anche sulle modalità per il calcolo delle quote assegna-te, prima del primo periodo di adempimento.

■ Articolo 81. Le informazioni presentate ai sensi dell’Articolo 7 da ciascuna Parte inclusa

nell’Annesso I verranno esaminate da gruppi di esperti in applicazione delle pertinenti decisioni della Conferenza delle Parti, ed in conformità con le linee guida adottate per questo scopo dalla Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, ai sensi nel seguente paragrafo 4. Le in-formazioni presentate ai sensi dell’Articolo 7, paragrafo 1, da ciascuna Parte inclusa nell’Annesso I, verranno esaminate come parte della compilazione e del contabilità annuale degli inventari delle emissioni e delle quote assegnate. Inoltre, le informazioni presentate ai sensi dell’Articolo 7, paragrafo 2, da cia-scuna Parte inclusa nell’Annesso I verranno esaminate come parte della revi-sione delle Comunicazioni Nazionali.

2. I gruppi di esperti saranno coordinati dal Segretariato e saranno composti da esperti selezionati fra quelli nominati dalle Parti della Convenzione e, se op-portuno, da organizzazioni intergovernative, in conformità con le indicazioni fornite a questo scopo dalla Conferenza delle Parti.

3. Il processo di revisione dovrà fornire una valutazione tecnica ampia ed esau-riente di tutti gli aspetti relativi alla attuazione del Protocollo, realizzata dalla Parte in esame. I gruppi di esperti prepareranno un rapporto per la Conferen-za delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, valutando l’attuazione degli impegni assunti dalla Parte in esame ed identificando qual-siasi problema potenziale ed i fattori che possono influenzarne l’adempimento. Tali rapporti verranno fatti pervenire dal Segretariato a tutte le Parti della Convenzione. Il Segretariato dovrà compilare un elenco delle questioni ine-renti l’attuazione, indicate in tali rapporti, per ulteriori considerazioni della Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo.

4. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, adotterà, durante la sua prima sessione, e riesaminerà periodicamente in se-guito, le linee guida per l’analisi da parte dei gruppi di esperti del processo di attuazione, tenendo in considerazione le decisioni pertinenti della Conferenza

qualsiasi settore dell’economia, a patto che : qualsiasi di tali progetti abbia l’approvazione delle Parti coinvolte;

(b) qualsiasi di tali progetti produca una riduzione delle emissioni da sorgenti o un incremento degli assorbimenti da meccanismi di rimozione, dei gas ad ef-fetto serra, che sia aggiuntivo a qualunque altro che altrimenti avrebbe luogo;

(c) non vi sia l’acquisizione di unità di riduzione delle emissioni, se non esiste adempimento degli obblighi assunti ai sensi degli Articoli 5 e 7;

(d) l’acquisizione di unità di riduzione delle emissioni dovrà essere supple-mentare alle azioni interne finalizzate all’adempimento agli impegni assunti ai sensi dell’Articolo 3.

2. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, può, alla sua prima sessione o quanto prima possibile in seguito, elaborare ul-teriori linee guida per l’attuazione di questo Articolo, nonché per l’azione di verifica e la preparazione dei rapporti.

3. Una Parte inclusa nell’Annesso I, può autorizzare entità legali a partecipare, sotto la propria responsabilità, in azioni che conducano alla creazione, al tra-sferimento od all’acquisizione di unità di riduzione delle emissioni, ai sensi del presente Articolo.

4. Nel caso in cui si identifichi un problema di attuazione delle condizioni a cui ci si riferisce in questo paragrafo, riguardante una delle Parti incluse nell’An-nesso I, in conformità con le pertinenti disposizioni dell’Articolo 8, il trasferi-mento e l’acquisizione delle unità di riduzione delle emissioni, potrà conti-nuare anche dopo l’identificazione del problema, a patto che le unità non pos-sano essere utilizzate da una Parte per adempiere ai propri impegni, assunti ai sensi dell’Articolo 3, fino a quando qualsiasi questione di adempimento non sia stata risolta.

■ Articolo 71. Ogni Parte inclusa nell’Annesso I dovrà comprendere nell’inventario annua-

le delle emissioni antropogeniche da sorgenti e degli assorbimenti da meccani-smi di rimozione dei gas ad effetto serra non inclusi nel Protocollo di Montre-al, presentato come stabilito dalle pertinenti decisioni della Conferenza delle Parti, le informazioni supplementari, da determinarsi secondo le disposizioni del paragrafo 4, necessarie allo scopo di assicurare l’osservanza delle disposi-zioni dell’Articolo 3.

2. Ciascuna Parte inclusa nell’Annesso I dovrà comprendere nella propria Co-municazione Nazionale, presentata ai sensi dell’Articolo 12 della Convenzio-ne, le informazioni aggiuntive, da determinarsi secondo le disposizioni del successivo paragrafo 4, necessarie a dimostrare l’adempimento agli impegni assunti ai sensi del presente Protocollo

3. Ciascuna Parte inclusa nell’Annesso I dovrà presentare le informazioni ri-chieste annualmente, ai sensi del precedente paragrafo 1, ad iniziare dal pri-mo inventario previsto dalla Convenzione per il primo anno del periodo di adempimento, successivo all’entrata in vigore del presente Protocollo.

Ciascuna di tali Parti dovrà presentare le informazioni richieste ai sensi del precedente paragrafo 2, come parte della prima Comunicazione Nazionale ri-

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zionali e, dove opportuno, quelli regionali contenenti misure per mitigare i cambiamenti climatici e per facilitare un adeguato adattamento ad essi:

(i) questi programmi potrebbero, inter alia, riguardare il settore energetico, i trasporti e settori industriali come pure l’agricoltura, la silvicoltura e la ge-stione dei rifiuti. Inoltre, le tecnologie di adattamento e i metodi per migliora-re la pianificazione urbanistica potrebbero favorire l’adattamento ai cambia-menti climatici; e

(ii) le Parti incluse nell’Annesso 1 dovranno presentare informazioni sulle azioni intraprese ai sensi di questo Protocollo, inclusi i programmi nazionali, in conformità alle linee guida esposte nell’Articolo 8; e le altre Parti dovranno cercare di includere nelle loro Comunicazioni Nazionali, dove opportuno, in-formazioni sui programmi che contengono misure che le Parti ritengono pos-sano contribuire ad affrontare i cambiamenti climatici e i loro effetti negativi, incluso l’abbattimento dell’aumento delle emissioni dei gas serra, ed il miglio-ramento degli assorbimenti da meccanismi di rimozione, sulla formazione professionale e sulle misure di adattamento.

(c) Cooperare nella promozione di modalità efficaci per lo sviluppo, l’applica-zione e la diffusione, e compiere tutti i passi possibili per promuovere, facilita-re e finanziare, dove opportuno, il trasferimento o l’accesso a tecnologie a compatibilità ambientale, a conoscenze, pratiche e processi pertinenti il cam-biamento climatico, in particolare verso i paesi in via di sviluppo, inclusa la formulazione di politiche e programmi per il trasferimento effettivo di tecno-logie a compatibilità ambientale, che siano di pubblica proprietà o di pubblico dominio, e la creazione di un ambiente idoneo per il settore privato, per pro-muovere e perfezionare l’accesso ed il trasferimento di tecnologie a compatibi-lità ambientale;

(d) cooperare nella ricerca scientifica e tecnica e promuovere il mantenimento e lo sviluppo di strutture di osservazione sistematica e sviluppo di archivi di dati, per ridurre le incertezze relative al sistema climatico, agli impatti nega-tivi dei cambiamenti climatici ed alle conseguenze economiche e sociali delle diverse strategie di risposta, e promuovere lo sviluppo e il rafforzamento delle capacità endogene e delle capacità di partecipare negli sforzi, nei programmi e nelle reti di ricerca e osservazione sistematica, internazionali e intergoverna-tivi, tenendo conto dell’Articolo 5 della Convenzione;

(e) cooperare e promuovere, a livello internazionale, e, dove opportuno, usan-do strutture esistenti, lo sviluppo e l’attuazione di programmi di educazione e formazione, includendo il rafforzamento della formazione professionale nazio-nale, in particolare le capacità umane e istituzionali e lo scambio e il distacca-mento di personale per addestrare esperti in questo campo, specialmente nei paesi in via di sviluppo, e facilitare, a livello nazionale, la pubblica consapevo-lezza ed il pubblico accesso alle informazioni sul cambiamento climatico. Ap-propriate modalità dovrebbero essere sviluppate per attuare tali attività, attra-verso i competenti organi della Convenzione, tenendo conto dell’Articolo 6 della stessa;

(f) includere nelle proprie Comunicazioni Nazionali le informazioni sui pro-

delle Parti.5. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo,

con l’assistenza dell’Organo Sussidiario della Convenzione per l’Attuazione e, se opportuno, dell’Organo Sussidiario della Convenzione per la Consulen-za Scientifica e Tecnologica, dovrà considerare:

(a) Le informazioni presentate dalle Parti ai sensi dell’Articolo 7 e i rapporti dei gruppi di esperti su esse, condotte ai sensi di questo Articolo; e

(b) Quelle questioni di attuazione elencate dal Segretariato, ai sensi del prece-dente paragrafo 3, come pure ogni tipo di questione sollevata dalle Parti.

6. In applicazione delle proprie considerazioni sulle informazioni di cui al prece-dente paragrafo 5, la Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, prenderà decisioni su qualsiasi materia necessaria per l’attuazione di questo Protocollo.

■ Articolo 91. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo,

riesaminerà periodicamente questo Protocollo alla luce delle migliori informa-zioni scientifiche disponibili e di studi di valutazione sui cambiamenti clima-tici e relativi impatti, come pure di informazioni pertinenti di tipo tecnico, so-ciale ed economico. Tali riesami saranno coordinati con altri pertinenti previ-sti dalla Convenzione, in particolare quelli richiesti dall’Articolo 4, paragrafo 2(d) ed Articolo 7, paragrafo 2(a) della Convenzione stessa. Basandosi su questi riesami, la Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, assumerà le decisioni opportune.

Il primo riesame avrà luogo durante la seconda sessione della Conferenza del-le Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo. Ulteriori riesami saranno effettuate ad intervalli regolari ed in modo tempestivo.

■ Articolo 10 Tutte le Parti, tenendo conto delle loro comuni ma differenziate responsabili-

tà, delle loro specifiche priorità di sviluppo nazionali e regionali, degli obietti-vi e delle circostanze, senza introdurre nessun nuovo impegno per le Parti non incluse nell’Annesso I, ma riaffermando gli impegni esistenti ai sensi dell’Articolo 4, paragrafo 1, della Convenzione, e continuando nell’attuazione di tali impegni, al fine di raggiungere uno sviluppo sostenibile, tenendo conto dell’Articolo 4, paragrafi 3, 5 e 7, della Convenzione, dovranno:

(a) formulare, dove rilevante e nella misura possibile, programmi nazionali economicamente convenienti ed efficaci, e dove opportuno, programmi regio-nali per migliorare la qualità dei fattori locali di emissione, dei dati sulle atti-vità e/o dei modelli che riflettono le condizioni socio-economiche di ciascuna Parte per la preparazione ed il periodico aggiornamento degli inventari nazio-nali delle emissioni antropogeniche da sorgente ed assorbimenti da meccani-smi di rimozione dei gas serra ad effetto serra non previsti dal Protocollo di Montreal, utilizzando metodologie comparabili che devono essere approvate dalla Conferenza delle Parti, e conformi con le linee guida per le Comunica-zioni Nazionali adottate dalla Conferenza delle Parti;

(b) formulare, attuare, pubblicare e aggiornare regolarmente i programmi na-

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(b) le Parti incluse nell’Annesso I possono utilizzare le riduzioni certificate delle emissioni derivanti da tali attività programmatiche per contribuire in parte all’adempimento dei propri impegni sulle limitazioni quantificate e le riduzioni delle emissioni, ai sensi del l’Articolo 3, come stabilito dalla Confe-renza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo.

4. Il “Clean Development Mechanism” dovrà essere soggetto all’autorità ed alle raccomandazioni della Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, ed dovrà essere sottoposto alla supervisione di un comi-tato esecutivo del “Clean Development Mechanism”.

5. Le riduzioni di emissioni, risultanti da ciascuna attività programmatica, do-vranno essere certificate da enti operativi, che saranno designati dalla Confe-renza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, sulla ba-se di:

(a) partecipazione volontaria approvata da ciascuna Parte coinvolta; (b) benefici a lungo termine, reali e misurabili, relativi alla mitigazione dei

cambiamenti climatici; e (c) riduzioni delle emissioni che siano aggiuntive rispetto a qualsiasi altra ri-

duzione che avrebbe luogo in assenza dell’attività programmatica certificata.6. Il “Clean Development Mechanism” dovrà servire ad aiutare il finanziamen-

to di attività programmatiche, se necessario.7. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo,

durante la sua prima sessione, dovrà elaborare modalità e procedure con l’obiettivo di assicurare la trasparenza, l’efficienza e la responsabilità attra-verso delle verifiche indipendenti delle attività di progetto.

8. La Conferenza della Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, dovrà assicurare che una frazione dei ricavi derivanti dalle attività program-matiche certificate venga utilizzata per coprire le spese amministrative, come pure per assistere le Parti, paesi in via di sviluppo, che sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, per far fronte ai co-sti del processo di adattamento.

9. La partecipazione nell’ambito del “Clean Development Mechanism” , incluse le attività menzionate nel precedente paragrafo 3(a), e l’acquisizione di ridu-zioni certificate delle emissioni, può coinvolgere enti privati e/o pubblici, ed è soggetta a qualsivoglia raccomandazione fornita dal comitato esecutivo del “Clean Development Mechanism”.

10. Le riduzioni delle emissioni certificate, ottenute durante il periodo che va dal 2000 fino all’inizio del primo periodo di adempimento, possono essere utiliz-zate per raggiungere l’osservanza degli impegni relativi al suddetto primo pe-riodo.

■ Articolo 131. La Conferenza delle Parti, organo supremo della Convenzione, agirà come

Conferenza delle Parti del Protocollo.2. Le Parti della Convenzione che non sono Parti di questo Protocollo possono

partecipare come osservatori durante lo svolgimento di ogni sessione della Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo.

grammi e le attività intraprese in applicazione di questo Articolo, in confor-mità con le pertinenti decisioni della Conferenza delle Parti; e

(g) dare piena considerazione all’Articolo 4, paragrafo 8, della Convenzione, nell’adempimento agli impegni assunti ai sensi di questo Articolo.

■ Articolo 111. Nell’attuazione dell’Articolo 10, le Parti dovranno tenere conto delle disposi-

zioni dell’Articolo 4, paragrafi 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione.2. Nel contesto dell’attuazione dell’articolo 4, paragrafo 1, della Convenzione,

in conformità alle disposizioni dell’Articolo 4, paragrafo 3, ed Articolo 11 del-la Convenzione, e attraverso l’entità o le entità operanti del meccanismo fi-nanziario della Convenzione, i paesi sviluppati Parte della Convenzione altre Parti, paesi sviluppati inclusi nell’Annesso II della Convenzione dovranno:

(a) fornire nuove ed ulteriori risorse finanziarie per far fronte costi complessi-vi concordati, sostenuti dai paesi in via di sviluppo per perfezionare e portare a compimento gli impegni esistenti ai sensi dell’Articolo 4, paragrafo 1(a) della Convenzione, che sono compresi nell’Articolo 10, sottoparagrafo (a); e

(b) inoltre, fornire tali risorse finanziarie, comprese quelle necessarie al trasfe-rimento di tecnologie, indispensabili ai paesi in via di sviluppo per far fronte ai costi totali aggiuntivi concordati per perfezionare e portare a compimento gli impegni previsti dall’Articolo 4, paragrafo 1 della Convenzione, che sono compresi nell’Articolo 10, e che sono stati concordati tra una Parte paese in via di sviluppo e l’entità o le entità internazionali previste dall’Articolo 11 della Convenzione, in conformità con quell’Articolo. L’adempimento di tali impegni esistenti dovrà tenere conto della necessità di adeguatezza e previsio-ne nel flusso dei fondi, e l’importanza di una adeguata divisione delle spese tra le Parti, paesi industrializzati. Le raccomandazioni riguardanti il mecca-nismo finanziario della Convenzione nelle pertinenti decisioni della Confe-renza delle Parti, incluse quelle concordate prima dell’adozione di questo Pro-tocollo, dovranno essere applicate, mutatis mutandis, alle disposizioni di que-sto paragrafo.

3. Le Parti paesi sviluppati ed altre Parti, paesi sviluppati inclusi nell’Annesso II della Convenzione possono anche fornire, e le Parti paesi in via di sviluppo possono servirsene, risorse finanziarie per l’attuazione dell’Articolo 10, attra-verso canali bilaterali, regionali e multilaterali.

■ Articolo 121. Viene qui definito il “Clean Development Mechanism”.2. Lo scopo del “Clean Development Mechanism” dovrà essere quello di assiste-

re le Parti non incluse nell’Annesso I nel raggiungimento di uno sviluppo so-stenibile e nel contribuire all’ obiettivo finale della Convenzione, e di assistere le Parti incluse nell’Annesso I nel raggiungimento dell’adempimento ai pro-pri impegni sulle limitazioni quantificate e le riduzione delle emissione, ai sensi dell’Articolo 3.

3. Ai sensi del “Clean Development Mechanism” : (a) le Parti non incluse nell’Annesso I trarranno beneficio da attività pro-

grammatiche, aventi come risultato riduzioni certificate delle emissioni; e

ne di questo Protocollo; (i) cercare ed utilizzare, laddove opportuno, i servizi e la cooperazione, e le in-

formazioni fornite da organizzazioni internazionali competenti ed da organi intergovernativi e non governativi; e

(j) esercitare qualsiasi altra funzione che potrà essere necessaria per l’attua-zione di questo Protocollo, e prendere in considerazione qualsiasi incarico ri-sultante dalle decisioni della Conferenza delle Parti.

5. Le regole di procedura della Conferenza delle Parti e le procedure finanziarie della Convenzione saranno applicate mutatis mutandis ai sensi di questo Pro-tocollo, a meno che non venga deciso diversamente, per consenso, dalla Con-ferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo.

6. La prima sessione della Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, verrà convocata dal Segretariato in coincidenza della pri-ma sessione della Conferenza delle Parti, in programma dopo la data di entra-ta in vigore di questo Protocollo.

Le successive sessioni ordinarie della Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, verranno tenute ogni anno ed in conco-mitanza con le sessioni ordinarie della Conferenza delle Parti, a meno che non venga deciso diversamente dalla Conferenza delle Parti, agente come Confe-renza delle Parti del Protocollo

7. Le sessioni straordinarie della Conferenza delle Parti, agente come Confe-renza delle Parti del Protocollo, verranno tenute in ogni altra data, come sa-rà ritenuto necessario dalla Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, o su richiesta scritta di una qualsiasi delle Parti, a condizione che, entro sei mesi dalla comunicazione alle Parti delle richiesta, effettuata dal Segretariato, questa venga appoggiata da almeno un terzo del-le Parti.

8. Le Nazioni Unite, le sue agenzie specializzate e l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, come pure tutti i suoi Stati membri od osservatori che non siano parte della Convenzione, potranno essere rappresentati, come os-servatori, alle sessioni della Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo.

Qualsiasi organo o agenzia, sia nazionale che internazionale, governativa o non governativa, che sia qualificata nelle materie riguardanti questo Proto-collo e che abbia informato il Segretariato della volontà di essere rappresenta-ta, come osservatore, ad una sessione della Conferenza delle Parti, agente co-me Conferenza delle Parti del Protocollo, può essere così ammessa, a meno che almeno un terzo delle Parti non presenti obiezione. L’ammissione e la partecipazione di osservatori dovrà essere soggetta alle regole di procedura, cui si fa riferimento nel precedente paragrafo 5.

■ Articolo 141. Il Segretariato, istituito dall’Articolo 8 della Convenzione, avrà la funzione

di Segretariato di questo Protocollo.2. L’Articolo 8, paragrafo 2, della Convenzione, sulle funzioni del Segretariato,

e l’Articolo 8, paragrafo 3, della Convenzione, sulle disposizioni per il fun-

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Quando la Conferenza delle Parti agisce come Conferenza delle Parti del Pro-tocollo, le decisioni ai sensi del Protocollo verranno assunte solo da coloro che ne sono Parte.

3. Quando la Conferenza delle Parti, agisce come Conferenza delle Parti del Protocollo, qualsiasi membro del comitato direttivo della Conferenza delle Parti che rappresenti una Parte della Convenzione ma, in quel momento, non una Parte di questo Protocollo, verrà sostituito da un membro aggiuntivo che sarà eletto da e tra le Parti di questo Protocollo.

4. La Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo, dovrà attuare un regolare riesame dell’attuazione di questo Protocollo, effet-tuata dalle Parti, ed dovrà assumere, come parte del proprio mandato, le ne-cessarie decisioni per promuovere la sua effettiva attuazione.

Essa eseguirà le funzioni assegnategli da questo Protocollo e dovrà: (a) valutare, sulla base di tutte le informazioni rese ad essa disponibili, in

conformità con le disposizioni di questo Protocollo, la attuazione del Protocol-lo realizzata dalle Parti, gli effetti globali delle misure adottate in applicazione del Protocollo, in particolare gli effetti sociali, economici ed ambientali, come pure il loro impatto cumulativo ed una stima della misura dei progressi effet-tuati nel raggiungimento dell’obiettivo finale della Convenzione;

(b) esaminare periodicamente gli obblighi assunti delle Parti ai sensi di questo Protocollo, dando dovuta considerazione a qualsiasi riesame richiesto dall’Ar-ticolo 4, paragrafo 2(d), e Articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione, alla luce dell’obiettivo finale della Convenzione, dell’esperienza acquisita nel corso del-la sua attuazione e dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologi-che, e, a questo proposito, dovrà considerare ed adottare periodici rapporti sulla attuazione di questo Protocollo;

(c) promuovere e facilitare lo scambio di informazioni sulle misure adottate dalle Parti per affrontare i cambiamenti climatici ed i loro effetti, tenendo in considerazione le diverse circostanze, responsabilità e capacità delle Parti, ed i loro rispettivi impegni, ai sensi di questo Protocollo;

(d) facilitare, su richiesta di due o più Parti, il coordinamento delle misure da loro adottate per affrontare i cambiamenti climatici ed i loro effetti, tenendo in considerazione le diverse circostanze, responsabilità e capacità delle Parti, ed i loro rispettivi impegni, ai sensi di questo Protocollo;

(e) promuovere e guidare, in conformità con l’obiettivo finale della Conven-zione e le disposizioni di questo Protocollo, e tenendo pienamente in conside-razione le pertinenti decisioni della Conferenza delle Parti, lo sviluppo ed il periodico perfezionamento di metodologie comparabili per la effettiva attua-zione di questo Protocollo, che dovranno essere concordate dalla Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo;

(f) fornire raccomandazioni su qualsiasi materia necessaria per l’attuazione questo Protocollo;

(g) cercare di mobilitare ulteriori risorse finanziarie in conformità con l’Arti-colo 11, paragrafo 2;

(h) creare organi sussidiari, se verranno considerati necessari, per la attuazio-

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di adempiere agli impegni sulle limitazioni quantificate e sulle riduzioni e delle emissioni, stabiliti ai sensi di questo Articolo.

■ Articolo 17 La Conferenza delle Parti, agendo come Conferenza delle Parti del Protocollo,

durante la sua prima sessione, dovrà approvare procedure e meccanismi ap-propriati ed efficaci, per individuare e per trattare i casi di inadempienza alle disposizioni di questo Protocollo, includendo lo sviluppo di una lista indicati-va di conseguenze, tenendo in considerazione la causa, il tipo, il grado e la frequenza di inadempienza. Qualsiasi procedura o meccanismo, creato ai sen-si di questo Articolo, che comporti delle conseguenze vincolanti, verrà adotta-to per mezzo di un emendamento a questo Protocollo.

■ Articolo 18 Le disposizioni dell’articolo 14 della Convenzione, sulla composizione delle

vertenze, sarà applicato mutatis mutandis, a questo Protocollo.■ Articolo 191. Qualsiasi Parte può proporre emendamenti a questo Protocollo.2. Gli emendamenti a questo Protocollo verranno adottati durante una sessione

ordinaria della Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo. Il testo di qualsiasi proposta di emendamento a questo Protocollo dovrà essere comunicato alle Parti dal Segretariato, almeno sei mesi prima della sessione in cui ne verrà proposta l’adozione. Il Segretariato dovrà inol-tre comunicare il testo di ogni proposta di emendamento alle Parti ed ai fir-matari della Convenzione e, per conoscenza, al Depositario.

3. Le Parti dovranno porre ogni sforzo per raggiungere un accordo per consen-so, su qualsiasi proposta di emendamento a questo Protocollo. Se si sarà com-piuto ogni tentativo per raggiungere il consenso e non si sarà raggiunto al-cun accordo, l’emendamento, sarà, come ultima risorsa, adottato con un voto che raggiunga la maggioranza dei tre quarti delle Parti presenti e votanti alla sessione. L’emendamento adottato sarà comunicato dal Segretariato al Depo-sitario, che lo trasmetterà a tutte le Parti per l’accettazione.

4. Gli strumenti di accettazione relativi ad un emendamento verranno deposita-ti presso il Depositario. Un emendamento adottato ai sensi del precedente pa-ragrafo 3, entrerà in vigore, per quelle Parti che lo avranno accettato, il no-vantesimo giorno dalla data in cui il Depositario, avrà ricevuto lo strumento di accettazione, da almeno tre quarti delle Parti di questo Protocollo.

5. L’emendamento entrerà in vigore per ogni altra Parte, il novantesimo giorno dalla data in cui quella Parte avrà depositato il proprio strumento di accetta-zione del suddetto emendamento, presso il Depositario.

■ Articolo 201. Gli allegati a questo Protocollo costituiscono una parte integrale di esso e,

qualora non venga disposto diversamente, un riferimento a questo Protocollo costituisce, allo stesso tempo, un riferimento a qualsiasi allegato di esso. Ogni allegato adottato successivamente all’entrata in vigore di questo Protocollo dovrà essere limitato a liste, moduli ed ad altro tipo di materiale di natura de-scrittiva che abbia carattere scientifico, tecnico, procedurale o amministrati-

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zionamento del Segretariato, verranno applicati, mutatis mutandis, a questo Protocollo. Il Segretariato, inoltre, dovrà esercitare le funzioni assegnategli ai sensi di questo Protocollo.

■ Articolo 151. L’Organo Sussidiario per la Consulenza Scientifica e Tecnologica e l’Organo

Sussidiario per l’Attuazione della Convenzione, istituiti dagli Articoli 9 e 10 della Convenzione, avranno rispettivamente la funzione di, Organo Sussidia-rio per la Consulenza Scientifica e Tecnologica e Organo Sussidiario per l’At-tuazione per questo Protocollo. Le disposizioni relative alle funzioni di questi due organi, come stabilito dalla Convenzione, verranno applicate mutatis mutandis a questo

Protocollo. Le sessioni delle riunioni dell’Organo Sussidiario per la Consu-lenza Scientifica e Tecnologica e dell’Organo Sussidiario per l’Attuazione, di questo Protocollo, saranno tenute in coincidenza con le riunioni, rispettiva-mente, dell’Organo Sussidiario della Convenzione per la Consulenza Scienti-fica e Tecnologica e dell’Organo Sussidiario della Convenzione per l’Attua-zione della Convenzione.

2. Le Parti della Convenzione che non sono anche Parti di questo Protocollo possono partecipare come osservatori ai lavori di ogni sessione degli Organi Sussidiari. Quando gli Organi Sussidiari agiscono come Organi Sussidiari del Protocollo, le decisioni ai sensi di questo Protocollo verranno assunte solo dalle Parti del Protocollo.

3. Quando gli Organi Sussidiari istituiti dagli Articoli 9 e 10 della Convenzio-ne, esercitano le proprie funzioni in relazione a tematiche concernenti questo Protocollo, ogni membro del Comitato Direttivo di tali Organi Sussidiari, che rappresenti una Parte della Convenzione ma, a in quel momento, non una parte in questo Protocollo, verrà sostituito da un membro aggiuntivo che ver-rà eletto da e tra le Parti di questo Protocollo.

■ Articolo 16 La Conferenza delle Parti, agendo come Conferenza delle Parti del Protocollo,

prenderà in considerazione, non appena sia realizzabile, l’applicazione a que-sto Protocollo, del processo consultivo multilaterale, cui si fa riferimento nell’Articolo 13 della Convenzione, nonché le modifiche ad esso apportare, laddove opportuno, alla luce di ogni pertinente decisione che può essere adot-tata dalla Conferenza delle Parti. Qualsiasi processo consultivo multilaterale che possa essere applicato a questo Protocollo dovrà rendere operativi, senza pregiudizio, le procedure ed i meccanismi stabiliti in conformità all’Articolo 17.

Articolo 16 bis La Conferenza delle Parti definirà i principi pertinenti, le modalità, le regole

e le linee guida, in particolare per la verifica, la preparazione dei rapporti e la contabilità relativa al mercato delle emissioni. Le Parti incluse nell’Annesso B possono partecipare al mercato delle emissioni al fine di adempiere ai propri impegni assunti ai sensi dell’Articolo 3 di questo Protocollo. Qualunque di tali transizioni dovrà essere integrativa alle azioni nazionali realizzate al fine

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite sarà il Depositario di questo Pro-tocollo.

■ Articolo 231. Questo Protocollo sarà disponibile per la firma e sottoposto alla ratifica, ac-

cettazione o approvazione da parte degli Stati e delle organizzazioni di inte-grazione economica regionale, che siano Parte della Convenzione. Rimarrà disponibile per la firma presso le Nazioni Unite a New York dal 16 marzo 1998 al 15 marzo 1999. Questo Protocollo sarà disponibile per ulteriori ade-sioni a partire dal giorno seguente alla data nella quale sarà chiuso per la fir-ma. Gli strumenti di ratifica, accettazione, approvazione od adesione verran-no depositati presso il Depositario.

Qualsiasi organizzazione di integrazione economica regionale che diventi Parte di questo Protocollo, senza che alcuno dei suoi Stati membri sia Parte di esso, sarà vincolata a tutti gli obblighi derivanti da questo Protocollo. Nel caso di tali organizzazioni, in cui uno o più Stati membri di essa siano Parte di questo Protocollo, l’organizzazione ed i propri Stati membri decideranno in merito alle loro rispettive responsabilità per l’adempimento ai loro obblighi assunti ai sensi di questo Protocollo. In tali casi, l’organizzazione e i propri Stati membri non potranno esercitare simultaneamente i propri diritti, ai sensi di questo Protocollo.

Con i loro strumenti di ratifica, accettazione, approvazione od adesione, le or-ganizzazioni di integrazione economica regionale dichiareranno il grado della propria competenza riguardo alle materie regolate da questo Protocollo. Tali organizzazioni, inoltre, dovranno informare il Depositario, che informerà le Parti, di qualsiasi sostanziale modifica nella portata della propria competenza.

■ Articolo 241. Questo Protocollo entrerà in vigore il novantesimo giorno successivo alla da-

ta in cui non meno di 55 Parti della Convenzione, comprese Parti incluse nell’Annesso I, che siano responsabili, in totale, per almeno il 55 per cento delle emissioni totali di biossido di carbonio relative al 1990 delle Parti inclu-se nell’Annesso I, abbiano depositato i propri strumenti di ratifica, accetta-zione, approvazione od adesione.

2. Per gli scopi di questo Articolo, il totale delle emissioni di biossido di carbo-nio per il 1990 delle Parti incluse nell’Annesso I, si intende l’ammontare co-municato alla data di adozione di questo Protocollo, o precedentemente ad es-sa, dalle Parti incluse nell’Annesso I, nelle rispettive prime Comunicazioni Nazionali presentate in conformità all’Articolo 12 della Convenzione.

3. Per ciascun Stato od organizzazione di integrazione economica regionale che ratifichi, accetti o approvi questo Protocollo, o che vi aderisca dopo che le con-dizioni stabilite dal precedente paragrafo 1, riguardo all’entrata in vigore, siano state soddisfatte, questo Protocollo entrerà in vigore il novantesimo giorno successivo alla data in cui lo strumento di ratifica, accettazione, ap-provazione od adesione è stato depositato.

4. Per gli scopi di questo Articolo, qualsiasi strumento depositato da una orga-nizzazione di integrazione economica regionale non sarà considerato come

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vo.2. Qualsiasi Parte può presentare proposte per un allegato di questo Protocollo e

può presentare emendamenti agli allegati di questo Protocollo.3. Gli allegati di questo Protocollo, e gli emendamenti agli allegati di questo

Protocollo, dovranno essere adottati durante una sessione ordinaria della Conferenza delle Parti, agente come Conferenza delle Parti del Protocollo. Il testo di qualsiasi proposta di allegato, o di emendamento ad un allegato, do-vrà essere comunicato alle Parti dal Segretariato, almeno sei mesi prima della sessione in cui ne verrà proposta per l’adozione. Il Segretariato comunicherà inoltre il testo di ogni proposta di allegato o di emendamento ad un allegato, alle Parti ed ai firmatari delle Convenzione e, per conoscenza, al Depositario.

4. Le Parti dovranno porre ogni sforzo per raggiungere un accordo per consen-so, su qualsiasi proposta di allegato o di emendamento ad un allegato di que-sto Protocollo. Se si sarà compiuto ogni tentativo per raggiungere il consenso e non si sarà raggiunto alcun accordo, l’allegato o l’emendamento all’allega-to, sarà, come ultima risorsa, adottato con un voto che raggiunga la maggio-ranza dei tre quarti delle Parti presenti e votanti alla sessione. L’allegato o l’emendamento all’allegato, così adottato, sarà comunicato dal Segretariato al Depositario, che lo trasmetterà a tutte le Parti per l’accettazione.

5. Un allegato, diverso dall’allegato A o B, che sia stato adottato o emendato ai sensi dei precedenti paragrafi 3 e 4, entrerà in vigore per tutte le Parti di que-sto Protocollo, sei mesi dopo la data della comunicazione, dal Segretariato alle Parti, dell’adozione o dell’emendamento all’allegato, eccetto per quelle Parti che abbiano notificato al Depositario, per iscritto entro quel periodo, la non accettazione dell’allegato o dell’emendamento all’allegato. L’allegato o l’emen-damento all’allegato, entrerà in vigore, per le Parti che abbiano ritirato la propria notifica di non accettazione, il novantesimo giorno successivo alla da-ta in cui il Depositario avrà ricevuto informazione del ritiro di tale notifica.

Se l’adozione di un allegato o di un emendamento ad un allegato implica un emendamento a questo Protocollo, tale allegato o emendamento all’allegato non entrerà in vigore fino a quando l’emendamento al Protocollo sarà entrato in vigore.

7. Emendamenti agli allegati A e B di questo Protocollo saranno adottati ed en-treranno in vigore, in conformità alla procedura specificata nell’Articolo 19, a condizione che qualsiasi emendamento all’Allegato B sia adottato solo con il consenso scritto della Parte interessata.

■ Articolo 211. Ciascuna Parte avrà a disposizione un voto, fatta eccezione per quanto stabi-

lito nel seguente paragrafo 2.2. Le organizzazioni di integrazione economica regionale, nell’area di loro com-

petenza, eserciteranno il loro diritto di voto con un numero di voti uguale al numero dei propri Stati membri, che sono Parte di questo Protocollo. Tale or-ganizzazione non potrà esercitare il proprio diritto di voto se uno dei propri Stati membri eserciterà il suo diritto di voto, e viceversa.

■ Articolo 22

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Altre produzioniProduzione di carburi alogenati ed esafluoruro di zolfoConsumo di carburi alogenati ed esafluoruro di zolfoAltroSolventi e altri prodotti d’usoAgricolturaFermentazione entericaTrattamento del letameColtivazione del risoTerreni agricoliIncendi controllati delle savaneAltroRifiutiDiscariche per rifiuti solidiTrattamento delle acque reflueIncenerimento dei rifiutiAltro

Allegato BParte Obiettivo quantificato di limitazione delle emissioni o di riduzione (varia-

zione percentuale rispetto all’anno o periodo base)

Austria 108Austria 92Belgio 92Bulgaria* 92Canada 94Croazia* 95Repubblica Ceca* 92Danimarca 92Estonia* 92ComunitàEuropea 92Finlandia 92Francia 92Germania 92Grecia 92Ungheria* 94Islanda 110Irlanda 92Italia 92Giappone 94Lettonia* 92Liechtenstein 92Lituania* 92Lussemburgo 92

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aggiuntivo a quelli depositati dagli Stati membri dell’organizzazione.■ Articolo 25 Nessuna riserva può essere avanzata a questo Protocollo.■ Articolo 261. In qualsiasi momento, trascorsi tre anni dalla data in cui questo Protocollo è

entrato in vigore per una Parte, tale Parte può ritirarsi da questo Protocollo presentando una notifica scritta al Depositario.

2. Tale ritiro avrà effetto dopo un anno dalla data in cui il Depositario ha rice-vuto la notifica del ritiro, oppure in una data successiva che può essere speci-ficata nella notifica stessa.

3. Qualsiasi Parte che notifichi il ritiro dalla adesione alla Convenzione dovrà essere considerata analogamente come ritirata dalla adesione a questo Proto-collo.

■ Articolo 27 L’originale di questo Protocollo, del quale i testi in arabo, cinese, inglese,

francese, russo e spagnolo sono ugualmente autentici, sarà depositato presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite.

Redatto in Kyoto il dieci di dicembre millenovecentonovantasette.

Allegato AGas ad effetto serraBiossido di carbonio (CO2)Metano (CH4)Ossido di Azoto (N2O)Idrofluorocarburi (HFC8)Perfluorocarburi (PFC)Esafluoruro di zolfo (SF6)

Categorie di settori/sorgentiEnergiaCombustione di carburantiIndustrie nel settore energeticoIndustrie manifatturiere ed ediliTrasportiAltri settoriAltroEmissioni fuoriuscite da carburantiCarburanti solidiPetrolio e gas naturaleAltroProcessi industrialiProdotti mineraliIndustria chimicaMetallurgia

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sui dati ambientali. Seguono la conferenza di Lucerna nel 1993 e da quella di Sofia nel 1995 che raccolgono ed approfondiscono le istanze provenien-ti dalla Conferenza di Rio . Nel 1994 ad Aalborg (Danimarca) si tiene la Conferenza europea sulle città sostenibili e nello stesso anno viene istitui-ta l’Agenzia Europea per l’ambiente con funzione scientifica di studio, di divulgazione di dati sull’ambiente, di realizzazione di reti informative11.L’atto più recente in materia di sviluppo sostenibile e prote-zione dell’ambiente in ambito europeo è il Consiglio di Amsterdam del giugno 1997.

Rispetto alla conferenza di Rio la Comunità Europea introduce il con-cetto di “sviluppo durevole” che è anche il segno della direzione della poli-tica dell’Unione Europea del quinto programma della Comunità in mate-ria ambientale. Le direttrici sono: di coinvolgere nella responsabilità delle scelte di un maggior numero di settori e di integrare elementi normativi e strumenti finanziari. vengono individuati cinque settori chiave, il cui im-patto ambientale è importante (industria, energia trasporti, agricoltura e turismo), sette temi di approfondimento (cambiamento climatico, qualità dell’aria, ambiente urbano, zone costiere, gestione dei rifiuti, gestione del-le risorse idriche, protezione della natura) e tre settori che richiedono una gestione di rischio (rischi industriali, sicurezza naturale e protezione ra-dioattiva, protezione civile e urgenze ambientali).

In questa direzione vanno: • la valutazione delle incidenze ambientali, introdotto nella normativa

comunitaria nel 1985 e modificato nel senso di un allargamento dell’ambito decisionale in senso internazionale nel caso di costruzione di impianti come centrali elettriche, inceneritori di rifiuti pericolosi, di-sboscamento di grandi superfici o addirittura qualora si adottino pro-grammi o piani di sviluppo;

• lo sviluppo da parte delle amministrazioni, a tutti i livelli, di metodi di gestione amministrativa rispettosi dell’ambiente

• l’istituzione di strumenti di incentivazione ecologica e collaborazione tra soggetto pubblico ed industria. In questa direzione va il Regolamen-to CEE n. 880/92 che riguarda l’assegnazione di un marchio di qualità ecologica “ECoLAbEL” a quei prodotti che nel loro ciclo di vita, a par-tire dalla fase produttiva hanno un basso impatto ambientale. L’Ecoau-dit viene invece assegnato a quegli insediamenti industriali che integra-no le esigenze produttive con la protezione dell’ambiente. Nel 1995 vie-ne introdotto il Sistema comunitario di ecogestione ed audit (EmAS).

Dal punto di vista finanziario la Comunità europea ha istituito fondi strutturali ( Fondo Sociale Europeo, Fondo agricolo di orientamento e di garanzia, lo Strumento finanziario di orientamento della pesca) a sostegno delle regioni svantaggiate. Nel quinquennio 1994-99 la dotazione dei fon-di è stata dell’ordine di 140 miliardi di ecu da destinarsi ad azioni di for-mazione, a progetti di integrazione di sviluppo regionale e protezione dell’ambiente, a misure di sostegno alla politica agricola comune nel senso

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Monaco 92Paesi Bassi 92Nuova Zelanda 100Norvegia 101Polonia* 94Portogallo 92Romania* 92Federazione Russa* 100Slovacchia* 92Slovenia* 92Spagna 92Svezia 92Svizzera 92Ucraina* 100Regno Unito della Gran Bretagnae Irlanda del Nord 92Stati Uniti d’America 93

* Paesi che stanno attraversando il processo di transizione verso un’economia di mercato.

(1) L’Unione Europea e i propri Stati Membri attueranno i rispettivi impegni ai sensi dell’Articolo 3, paragrafo1, in conformità con le disposizioni dell’Articolo 4.

Ambiente e comunità europeaLe prime iniziative comunitarie in materia ambientale risalgono al 1972.

Negli anni ‘70-’80 la Comunità europea adotta almeno 200 provvedimenti in materia ambientale aventi lo scopo di limitare le emissioni di inquinan-ti. L’Atto unico europeo del 1986, successivamente integrato dal trattato di maastricht, integra l’ambiente nelle politiche comunitarie, conferisce un fondamento giuridico specifico all’azione in materia ambientale, con-sidera come principi d’azione in materia ambientale: la prevenzione, la correzione alla fonte, la sanzione economica a chi inquina. Nel trattato di maastricht (1992) vengono introdotti i principi di precauzione e sviluppo sostenibile e viene istituito un fondo di coesione per l’integrazione di am-biente e sviluppo.

La comunità europea ha fatto precedere la conferenza di Rio da una se-rie di incontri: la conferenza interministeriale di bergen nel maggio del 1990 in cui viene introdotto il concetto di sviluppo sostenibile in ambito europeo, nel giugno del 1990 a Dublino ha luogo un incontro tra i ministri dell’ambiente dell’Unione Europea e dell’EFTA (associazione europea di libero scambio, nel 1991 a Dobris (ex Cecoslovacchia) si ha la prima confe-renza paneuroea in cui si elabora il primo rapporto sullo stato dell’am-biente10. La valutazione di Dobris rappresenta il primo di una serie di strumenti complementari nella linea del rafforzamento dell’informazione

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3. ATTIVITA’ DI LABORATORIO

LAboRAToRIo 1: USo DIDATTICo DI UN mUSEo

Per una storia della didattica dei beni culturali: alcuni elementi.di Maria Luigia Pagliani, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Re-

gione Emilia Romagna

PremessaAlla fine del XvIII secolo la Rivoluzione francese da un lato e gli effetti

culturali del pensiero illuminista dall’ altro, comportano sostanziali muta-menti nella generale coscienza del valore del patrimonio artistico e storico e della necessità della sua salvaguardia e fruizione.

Le sei lettere scritte a miranda nel 1796 da quatremére de quincy rappre-sentano una sorta di moderno manifesto sull’importanza delle opere d’arte e sulla necessità di conservarle nel loro contesto originario , unica condizio-ne in cui possono esprimere pienamente la fitta rete dei legami e dei signi-ficati e risultare quindi meglio leggibili.

“ Il vero museo di Roma, quello di cui parlo, si compone, è vero, di statue, di colossi, di templi, di obelischi...di mobili, d’utensili etc. etc., ma nondime-no è composto dai luoghi, dai siti dalle montagne, dalle strade, dalle vie an-tiche, dalle rispettive posizioni della città in rovina , dai rapporti geografici, dalle relazioni fra tutti gli oggetti, dai ricordi dalle tradizioni locali, dagli usi ancora esistenti, dai paragoni e dai confronti che non si possono fare se non

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di agricoltura sostenibile ed al settore della pesca e dell’acquacultura.I più importanti settori di intervento comunitario sono stati: la lotta

all’inquinamento idrico ed alla protezione delle acque da balneazione, la lotta contro l’inquinamento atmosferico in relazione agli aspetti climatici, al tenore di piombo delle benzine, all’ambiente urbano, la lotta contro il rumore, la lotta contro l’inquinamento di origine chimica ed i rischi delle biotecnologie, l’eliminazione dei rifiuti, la protezione della natura nel sen-so della conservazione degli habitat naturali e della flora e fauna selvati-che12.

Sul piano dell’informazione ed educazione ambientale, in realizzazione di uno dei presupposti di Rio che è il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte, le tappe sono rappresentate da: Conferenza di belgrado sull’educa-zione ambientale del 197513, Conferenza intergovernativa di Tbilisi del 1977,14 Conferenza di mosca del 1987, Congresso mondiale di Toronto del 1992, la conferenza di Salonicco del 199715.

■ I problemi apertiAttualmente i problemi legislativi aperti sono quelli relativi i microin-

quinamenti degli alimenti che alcuni fatti di cronaca periodicamente portano alla ribalta. La normativa in questo settore è piuttosto complessa anche per il numero di sostanze che possono essere presenti come residui negli alimenti e la conseguente difficoltà nella loro determinazione anali-tica. Alcune sostanze inoltre, come la diossina ed i furani sono diffuse nell’ambiente da diversi decenni e non essendo biodegradabili risalgono le catene alimentari tendendo all’accumulo. E’ perciò particolarmente dif-ficile determinare quel rapporto causa effetto che è necessario per il con-trollo e la sanzione.

Un altro problema emergente è quello dell’impatto delle biotecnologie sull’ambiente. In Italia la normativa in materia inizia ad esistere a partire dal 1997 in forma di ordinanze del ministero della Sanità e riguarda so-prattutto il problema degli embrioni umani e la loro commercializzazione (che è vietata) e la clonazione umana ed animale (che è anch’essa vietata). In ambito europeo vige la direttiva 98/44/CE sulla protezione delle in-venzioni biotecnologiche. Il problema fondamentale è rappresentato dal fatto che gli studi di settore procedono ad alta velocità, ma non sono an-cora disponibili dati certi sugli effetti prodotti sull’ambiente e sulla biodi-versità dell’introduzione di razze selezionate o comunque di prodotti transgenici16.

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AmbIENTE E FoRmAZIoNE(Prof. Giancarlo Sacchi)

Sembra paradossale, ma poco tempo è trascorso da quando l’educazione ambientale andava legittimata all’interno del curricolo scolastico, da quando si riteneva che si dovesse introdurre nella scuola uno spazio di sensibilizza-zione alla protezione dell’ambiente, un comportamento che educava alla convivenza, una modalità per esercitare al metodo scientifico, una forma di didattica attiva, al dibattito attuale che definisce un intreccio tra nuovi con-tenuti culturali e professionali, qualità della vita e autonomia degli istituti scolastici, nel proporre un’offerta formativa che muove dalla conoscenza del proprio ambiente, non solo come ambito naturale, ma come dimensione an-tropologico - culturale, che dalla propria identità locale va verso la globalità ed il progressivo allargamento ed arricchimento del sistema formativo.

Un tempo breve per una grande svolta, maturata proprio recentemente, che può giustificare quella “pluralità di opzioni metodologiche” che coin-volge la scuola nell’ampliamento e nel miglioramento continuo delle proprie attività e la sua capacità di essere “sistema esperto” sia per i giovani allievi che per la comunità intera.

Da una parte dunque l’educazione ambientale non costituisce un abbelli-mento sia sul piano del curricolo che più in generale dei rapporti economici, tecnologici e sociali, ma il concetto di “sostenibilità” costringe ad interrogar-si sulle strategie che stanno alla base dell’organizzazione territoriale, dall’al-tra non può costituire soltanto un obiettivo pedagogico, ma un nuovo “pun-to di vista” che riformula le conoscenze, rivede i processi di apprendimento, modifica le strutture del sistema..

E’ da superare dunque anche il termine di educazione ambientale per evi-tare una visione idealistica ma scarsamente incisiva sui modelli di insegna-mento/apprendimento: si sa che fine fanno le educazioni... nella scuola ita-liana, per arrivare ad un vero e proprio “paradigma” ambientale che serva da “nuova epistemologia”, e dal quale discenda una didattica altrettanto rinnovata.

E’ in questi ultimi tempi, come si è detto, che sono venuti a maturazione entrambi i versanti, quello ambientale con le problematiche legate all’impat-to ed allo sviluppo sostenibile, non solo sul piano delle politiche di settore, ma come elemento strategico per l’intera società, e quello culturale come esi-genza di elaborazione e di trasmissione di questi saperi secondo un’ottica ecosistemica.

E’ su quest’ultimo punto la sfida per la formazione nel terzo millennio, sul quale la ricerca pedagogica deve impegnarsi se vuole veramente trasformare il piano cognitivo e produrre nuova educazione.

Il cambiamento si gioca su tre livelli: i saperi, i progetti, il territorio.Appositamente recenti ed autorevoli pronunciamenti non parlano di inno-

vare i programmi di insegnamento o della ricerca sul piano disciplinare, ma

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nel paese stesso”.Dietro le parole di quatremére si intravedono le truppe napoleoniche che

in Italia, in quegli stessi giorni , razziano capolavori destinati al Louvre, grande museo e autentico monumento - nel progetto napoleonico- della gloire francese.

ma nell’accorato appello affiorano anche i timori per il patrimonio artisti-co e monumentale francese , seriamente minacciato dall’ansia di cancellare ogni traccia dell’antico e odiato regime. L’Assemblea già nel 1789, aveva de-liberato che “ tutti i beni ecclesiastici fossero a disposizione della nazione “. In ogni caso è da rilevare come si affermi , pur nelle contraddizioni del par-ticolare momento storico, un importante principio : le opere d’arte apparten-gono alla nazione e contribuiscono a ricostruirne la storia.

Allo stato spetta dunque il compito di conservare il patrimonio artistico e al tempo stesso assicurarne la fruizione pubblica. I cittadini cui viene garan-tito l’accesso alle opere , trovano in esse motivo di istruzione e di arricchi-mento culturale. Insieme dunque ad una moderna consapevolezza del va-lore e dell’importanza sociale del patrimonio artistico e storico, si rafforza il principio di garantire l’accesso al pubblico e prende forma anche la nozione di didattica e di valorizzazione.

La visita al Louvre per i francesi è un dovere, basti pensare alla festa di nozze di Gervasia, la lavandaia parigina che Zola descrive così: “Secoli e secoli d’arte passavano davanti al loro ignorante stupore: la delicata sempli-cità dei Primitivi, lo splendore dei veneziani, la vita forte e bella di luce de-gli olandesi: ma loro si interessavano di più ai copisti che dipingevano tran-quilli con i cavalletti piantati in mezzo alla gente (…) alcuni pittori accorse-ro con la bocca storta dal sorriso, curiosi si sedevano anticipatamente sulle panchette per assistere comodamente alla sfilata (…)E il corteo già stanco, rimettendoci in dignità, trascinava le scarpe chiodate, battendo i tacchi sui pavimenti sonori, con lo scalpiccìo di un gregge sbandato, abbandonato in mezzo a quelle sale così linde e ben curate.”

Il principio generale di una corretta informazione culturale nel museo so-no compiutamente espressi nell’ Encyclopedie di Diderot e D’Alambert, al-la voce “Gabinetto di scienze naturali”. vi si legge :” l’accesso è facile, ognu-no può entrare a piacere, divertirsi e istruirsi. I prodotti della natura vi sono esposti senza falsi ornamenti, senza alcun apparato, eccetto quello suggerito dal buon gusto, dall’eleganza e dalla conoscenza degli oggetti: si risponde con gentilezza alle domande che si riferiscono alla storia naturale”.

A questi principi si ispira il museo nazionale di storia naturale riorganiz-zato a Parigi nel 1790 su suggerimento di alcuni studiosi tra i quali il La-mark. Il museo è il luogo di studio delle scienze naturali e delle loro applica-zioni. Nel museo accanto alle visite tradizionali all’orto botanico e ai serra-gli delle fiere si tengono corsi e lezioni. mentre in appositi laboratori gli studiosi procedono con le ricerche e gli esperimenti.

Si pongono quindi le basi per una moderna attività didattica e di informa-

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va, ma vi è sempre più spazio per accrescere le specializzazioni e veri e pro-pri profili professionali in campo ambientale, che, partiti da contributi disci-plinari diversificati, si dimostrano sempre più efficaci se agiscono in stretta connessione interdisciplinare: una norma relativa all’ambiente non è fondata solo sull’evoluzione del diritto civile, così come le applicazioni tecnologiche devono farsi carico dell’impatto ambientale e così via. Anche questo manda chiari segnali all’ambito formativo.

E’ quindi quello della formazione in campo ambientale un ambito che de-ve subire ancora progressivi assestamenti, e, proprio perché zona di confine e contenitore di sintesi, oggetto di frequenti cambiamenti. E’ un sapere che si va consolidando, che cresce nella misura in cui coinvolge non solo gli spe-cialisti ma tutti i cittadini ai quali pertanto è richiesta una formazione per-manente.

UNA STRETTA RELAZIoNE TRA AmbIENTE E FoRmAZIoNEAmbiente e formazione possono stringere un efficace patto pedagogico,

hanno in comune un’architettura quanto mai attuale, come si è visto, sulle politiche di entrambi i versanti, ma si può tentare di dimostrare che la loro somiglianza non riguarda solo il piano orizzontale, quello fenomenologico, ma anche quello verticale, quello per così dire epistemologico, dei fonda-menti e dei significati.

La relazione tra i caratteri dell’ambiente e quelli della formazione consente da un lato di individuare degli elementi forti di riconoscibilità dell’ambiente stesso, anche al fine di incominciare a definire il paradigma ambientale, e dall’altro di rivalutare l’ambiente educativo. In entrambi i casi si tratta di ambienti reali, di vita, in evoluzione, caratterizzati da complessità, che si esprimono appunto in un’ottica di relazione, finalizzati alla costruzione di un’identità, capace però di “collocare nel mondo”.

Si parte dunque con il concetto di spazio/territorio, caratterizzato da un approccio bottom up, da una determinata connotazione, dalla ricerca di un equilibrio ecosistemico tra elementi naturali, capacità trasformative e rela-zioni sociali, dall’elaborazione di un progetto formativo che si preoccupi della qualità della vita. “Agire localmente” dunque, ma il territorio si allarga e le preoccupazioni formative - ambientali aumentano fino ad indurci a “pensare globalmente”.

Si passa quindi al concetto di relazione come interdipendenza, come già detto, degli elementi naturali, ma anche di quelli culturali, i saperi, vecchi e nuovi, ma anche i significati e i soggetti che incarnano la relazione educati-va. Si pensi all’attuale dibattito sulle “competenze” non intese come perfor-mances, ma come unità complesse di apprendimento trasformativo, capita-lizzabili e rinnovabili.

Soggiunge il processo, l’idea che lo sviluppo sostenibile si coniughi con la formazione permanente, in una stretta connessione tra innovazione e ap-prendimento, che accompagna la vita del singolo ed il progresso della socie-

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viene individuato il livello dei saperi. Non è una questione linguistica, ma un nuovo orizzonte culturale; infatti non si tratta più di programmi da ap-plicare all’interno di un sistema centralistico che cerca di uniformare gli ap-prendimenti per effetto di un’omogeneità di contenuti imposti, astraendo così la scuola dal proprio contesto, e nemmeno si tratta di agire all’interno dei rigidi confini delle discipline attualmente presenti nella scuola e nell’uni-versità, da cui la prima trae sostanziale ispirazione anche per quanto riguar-da la preparazione degli insegnanti.

Lo sfondo dei saperi si colloca nei curricoli scolastici come lievito e non co-me vincolo, consente di operare secondo un’ottica di qualità, ma anche di li-bertà e di autonomia, di individuare i punti di irrinunciabilità, ma si presta alla personalizzazione dei percorsi formativi ed all’interscambio tra i sistemi, alla collaborazione tra discipline per l’identifiazione di contenuti e di modali-tà trasversali utili a configurare le forti relazioni esistenti nel campo ambien-tale ed a renderne didatticamente efficaci le valenze formative complesse.

In questo contesto c’è un forte supporto alla metodologia della ricerca sia come modalità di costruzione della conoscenza che come uso del pensiero rigoroso nel rapporto diretto con la realtà.

Il paradigma ambientale aiuta a non aver paura del presente e del reale, per cui talvolta ci si rifugia nel “distanziamento critico”, così correndo il ri-schio opposto dell’obsolescenza e della demotivazione.

All’interno di tale dinamica è possibile valorizzare l’aspetto metacognitivo oggi determinante negli apprendimenti di situazioni complesse, nella persi-stenza delle competenze nel tempo e nello spazio, in un’ottica di formazione lungo tutto l’arco della vita.

Lavorare sull’ambiente e nell’ambiente non vuol dire agire all’interno di una disciplina o peggio ancora introdurre una nuova disciplina nella scuola. Significa operare per progetti, all’interno del “Piano dell’offerta Formativa”. qui le varie discipline ed attività si mettono in rete, devono interpretare e costruire un’architettura che vede nell’integrazione dinamica del trasforma-tivo e del conservativo il perseguimento dell’equilibrio non solo tra gli ele-menti naturali ma in maniera prospettica anche tra quelli culturali. Elementi antropologici, naturalistici, economici, tecnologici, si ricombinano continua-mente in progetti ai quali i giovani in formazione partecipano all’interno della loro comunità e che costituiscono la palestra per la loro avventura co-gnitiva e formativa.

Adottare…l’ambiente consente di monitorare costantemente il proprio ter-ritorio. I nostri giovani vivono una realtà mediatica, virtuale, soffrono di anomia e agiscono spesso senza punti di riferimento. Adottare l’ambiente vuol dire innanzitutto competenza e consapevolezza per ciò che ci circonda, in cui ci si riconosce, che da la spinta per crescere, che va tutelato e nello stesso tempo promosso, ma i grandi eventi dell’ambiente non consentono di chiudersi nel proprio isolato paradiso, l’etica ambientale dipende da ciascu-no e dai comportamenti individuali e sociali.

Tutti quindi devono essere educati ed alfabetizzati secondo tale prospetti-

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zione culturale: le visite , i corsi per il pubblico, il museo come luogo di spe-rimentazione, in quel caso scientifica.

ma la riflessione teorica francese non sembra destinata a diffondersi nel nostrro paese.

In Italia la situazione, un secolo più tardi, appare assai lontana dagli sce-nari di metodo delineati oltralpe.

Anche se sono già diffuse nelle città le “guide del forestiere” ,tuttavia l’ in-formazione sulle collezioni museali appare scarna. Rendiconti, cataloghi compaiono su bollettini e riviste specializzate, mentre sui giornali compaio-no le notizie delle scoperte principali e della vita del museo.

Già il Conestabile nel 1874 lamentava la mancanza degli indispensabili strumenti di comunicazione .” Siamo in difetto di indicazioni e di guide a stampa; (mancano) quei cataloghi destinati ad andare per le mani di tutti, a rendere vivamente utile la visita dei musei, a dar notizia breve, ma succosa ed esatta degli oggetti almeno principali delle varie classi di antichità…do-vremmo avere dappertutto libri o libretti agevoli a maneggiare sul modello dei musei di berlino e di monaco…”

Nell’ottocento i modelli da seguire vengono dunque dai musei stranieri: i musei di Stoccolma e Copenaghen . questi ultimi secondo gli studiosi dell’epoca sono all’avanguardia non solo nel campo dell’ordinamento mu-seale ma anche in quello della divulgazione. vi si pubblicano , racconta l’ar-cheologo Luigi Pigorini, guide in diverse lingue, trattati di carattere “popo-lare” sulle antichità e la loro importanza storica e artistica, si tengono confe-renze, si istituiscono piccole collezioni nelle scuole per l’istruzione della gio-ventù .

Per la scuola italiana le cose funzionano in altro modo , lo testimonia l’ar-cheologo modenese Carlo boni “Troverei sommamente utile che almeno una volta l’anno, sotto la guida del loro maestro, gli alunni si recassero in città a visitare i musei d’Archeologia, dove udendo dalla viva voce del mae-stro riassunti a grandi tratti i principali avvenimenti del proprio paese, avendo sott’occhi le reliquie dei tempi cui la lezione si riferisce, e che quasi la documentano ,ne riporterebbero una impronta incancellabile nella mente, così a molti si aprirebbe un assai più vasto orizzonte di cognizioni. Di certo poi tali escursioni lascerebbero più profitto, che non ne lasci qualche periodo del libro di storia ,appreso a memoria, con mille sforzi per essere recitato, ordinariamente senza comprenderlo ,nel giorno solenne dell’esame” Dalle parole di Giacomo boni, che richiamano uno dei capisaldi del rapporto scuola-museo, la gita d’istruzione ,molta strada è stata percorsa, soprattutto in questo secolo.

Alla necessità, ormai sempre più diffusa di “ spiegare” non solo il patri-monio museale, ma i beni culturali nel loro complesso sia al mondo della scuola sia alle diverse fasce di pubblico, ha contribuito in modo decisivo la definizione della moderna nozione di bene culturale elaborata intorno agli anni Settanta di questo secolo. vi hanno concorso numerosi fattori : dalla scolarizzazione di massa al rinnovamento degli studi storiografici, dalla de-

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tà. Tale componente temporale interseca quella spaziale territoriale a soste-gno della dimensione antropologica ed evolutiva.

L’ambiente è un sistema, ma anche la formazione si propone in un’ottica fortemente sistemica. L’aspetto cognitivo non è più né sequenziale nè gerar-chizzato all’interno dei processi formativi e del passaggio dalla scuola alla così detta vita attiva, ma di tipo reticolare, per mappe concettuali; esso deve fare i conti con la motivazione, conditio sine qua non riconosciuta ormai dai più incalliti cognitivisti per ottenere un efficace apprendimento.

Il saper fare, frutto di esperienza e di sperimentazioni, rappresenta poi la lunghezza d’onda di maggiore efficienza della domanda di formazione, in-dicata per le attuali situazioni di complessità.

Nel rapporto tra significati, obiettivi, funzionalità e finalità si sprigiona tutta la valenza dell’approccio ai valori. E’ qui che si sperimentano le più profonde integrazioni tra i due mondi oggetto di questa trattazione, non solo per ragio-ni etiche in senso stretto, ma il rafforzamento di questa stessa dimensione va-loriale, nonché per la massimizzazione degli obiettivi pedagogici.

Non solo dunque perché i giovani sono moralmente sensibili alla tutela dell’ambiente, ma soprattutto forse perché la modalità relazionale uomo - natura, uomo - altro uomo, e quella esperienziale, sembrano essere più cre-dibili e per questo meglio rappresentabili in termini appunto di valori.

Infine l’ambiente è un bene. E’ un bene naturale e quindi un vincolo, ma è anche un bene economico. E’ un bene da sottoporre a normative, per codifi-care comportamenti corretti nei suoi riguardi, ma è anche oggetto di proces-si di sfruttamento delle relative risorse. In entrambi i casi si possono ottenere risultati in termini di acquisizione di professionalità e di ricerca specialistica, ma anche sociale, giuridica, pedagogica, ecc.

La spinta innovativa dunque c’è stata: l’ambiente interessa alla formazio-ne, non solo come oggetto, ma potremmo dire come “epistema”; la forma-zione interessa all’ambiente come strategia pedagogica e organizzazione di-dattica. C’è però ancora molta strada da fare da entrambi i lati, per far uscire l’educazione ambientale dallo stato di pura azione sociale e dal ristretto spe-cialismo, al fine di portarla in modo adeguato ad incidere sul curricolo in una scuola per tutti a misura di ciascuno.

Le condizioni si vanno delineando in maniera sempre più favorevole affin-chè un PoF “verde” non sia soltanto l’espressione di un’associazione am-bientalista, ma una “opzione metodologica” che la scuola dell’autonomia re-alizza nella convinzione di non aver sottratto nulla al diritto allo studio e di aver dato un contributo alla crescita complessiva del territorio.

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niche di fusione proposte nella mostra dedicata al tema delle terramare di modena )

vi sono poi i laboratori, come ad esempio quello del museo internazionale delle ceramiche di Faenza .qui è attivo da molti anni il laboratorio “Giocare con l’arte” ideato da bruno munari . qui i bambini si accostano al museo attraverso la sperimentazione. In uno spazio appositamente ideato per loro , apprendono ,in forma di gioco, alcune tecniche ceramiche, dalle più sempli-ci alle più complesse.

Ancora solo per fare un esempio della varietà di “offerta didattica” nella nostra regione ricordo il museo civico archeologico di bologna. qui le pro-poste sono tematiche e legate ai periodi storici documentati nel museo: cul-tura egizia, età etrusca, età romana. vi è il lavoro preparatorio in aula didat-tica anche con personale specializzato e l’ausilio di immagini, ricostruzio-ni, plastici cui segue la visita guidata da personale specializzato nelle sale; sono a disposizione i quaderni didattici , servizi di informazione e appro-fondimento per i docenti.

per i vari cicli scolastici. Su questa linea di forte collaborazione di parità progettuale tra musei, cu-

ratori delle collezioni e scuola, insistono peraltro, oltre alle recenti innova-zioni nell’organizzazione scolastica, anche la legge 112 che in rapporto alle attività di valorizzazione prevede espressamente “l’organizzazione di atti-vità didattiche e divulgative in collaborazione con gli istituti di istruzione “ e l’accordo quadro tra l’allora ministero per i beni culturali e il ministero della Pubblica Istruzione ( 20 marzo 1998) .

Contestualmente si fa strada la nuova nozione di educazione al patrimo-nio, che sposta l’attenzione sulle vaste potenzialità informative e formative di tutti i beni culturali , anche nei musei, ma non solo nei musei.

Si recupera così la dimensione territoriale , il contesto topografico, paesag-gistico e storico dal quale molte delle opere custodite nei musei concreta-mente provengono. Così l’istituzione museale si inserisce in modo più esplicito nella la fitta rete dei legami che da sempre lo connotano e che ne fanno l’espressione culturale di uno specifico territorio e della sua storia, re-cuperando anche sul piano educativo una forte identità , una migliore fun-zione ed una specifica valenza, anche di servizio educativo, all’interno del contesto generale.

Appendice

Il percorso didattico nell’Abbazia di San Colombano

Anche la proposta didattica realizzata all’interno dell’Abbazia di San co-lombano si riallaccia alle esperienze e alle sopra bervemente richiamate.

Il percorso didattico che occupa l’antico refettorio ,il cosiddetto lavamani e i sotterranei corrispondenti, recupera alla pubblica fruizione alcuni am-

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mocratizzazione della società all’ imporsi su vasta scala dei mezzi di comu-nicazione.

Si abbandona quindi la tradizionale concezione di opera d’arte e capola-voro , che comportava una forte gerarchizzazione delle diverse produzioni artistiche (basti pensare alle cosiddette “arti minori” destinate , d’ora in avanti, ad una forte rivalutazione). Si identifica quindi una nozione molto ampia di patrimonio artistico e storico che ne sottolinea le valenze antro-pologiche, i nessi storici, i legami territoriali.

Didattica e informazione culturale :alcune esperienze.

oggi l’informazione culturale e la didattica in senso proprio, sono orga-nizzate, dentro e fuori il museo, anche in modi molto sofisticati : con l’aiuto delle nuove tecnologie, ricorrendo ai modelli di trasmissione del mondo del-la comunicazione, avvalendosi di tecniche di analisi tipiche del mondo pub-blicitario.

Nella sostanza il museo, qualunque sia la sua natura , storico, artistico, ar-cheologico, naturalistico, della civiltà contadina , conserva il suo ruolo “sto-rico” di laboratorio per tutti ,ove di apprende, si discute, si mettono a punto metodi e criteri per letture storiche ed estetiche.

Appare difficile persino ricordare tutte le attività rivolte al mondo della scuola nel settore dei beni culturali sia a livello nazionale sia a livello re-gionale. Proprio per questo motivo si vogliono proporre in queste pagine so-lo alcune considerazioni sui linee generali dei metodi adottati in Emilia Ro-magna.

Il lavoro avviato sul finire degli anni Sessanta nei grandi musei, come ad esempio gli Uffizi ,o la Galleria borghese , con le prime visite mirate e i pri-mi quaderni didattici si è via via arricchito nei contenuti e diffuso nello spazio.

Non è facile né realizzare una bibliografia completa ed esaustiva, né ag-giornare un catalogo su scala regionale dei numerosi programmi di lavoro rivolti da

musei , Enti locali e associazioni al mondo della scuola sui temi variegati del patrimonio artistico e storico.

Dalle grandi sedi museali l’offerta si è estesa al territorio, ai piccoli musei, alle realtà che , sia pure prive di veri e propri musei scoprono e lavorano sulle molteplici valenze paesaggistiche ,storiche e monumentali del loro contesto geografico.

L’attività didattica dentro e fuori il museo è molto diversificata . vi so-no le visite tradizionali con personale specializzato. vi sono gli atelier , do-ve si sperimentano antiche tecniche , basti ricordare ad esempio il labora-torio di tessitura realizzato nel 1998 alla Reggia di Colorno in occasione del-la mostra dedicata agli arazzi; o le esperienze di archeologia sperimentale ( scheggiatura delle selci al museo Donini di San Lazzaro di Savena , o le tec-

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LAboRAToRIo 2: I mULINI DELL’ERbA GRASSAA cura di Stella Carini e Elena Castelli

Il laboratorio descritto ed oggetto di approfondimento nel corso di aggior-namento è stato elaborato nel corso di attività di stage scuola- lavoro di stu-denti delle Iv indirizzo scientifico-tecnologico dell’Istituto “G.m. Colombi-ni” di Piacenza presso Centro di Documentazione di studi ambientali di bobbio. Il senso dell’esperienza è stata quella di verificare la sinergia tra ambiente e lavoro dal punto di vista educativo.

Le alunne impegnate hanno svolto le seguenti attività:• Localizzazione e definizione del percorso • Raccolta ed elaborazione dati su: struttura geologica della zona, vegeta-

zione, utilizzazione del suolo, le costruzioni (ovvero i mulini), le carat-teristiche delle acque del torrente bobbio. Le fonti utilizzate sono state di tipo bibliografico, per quanto attiene all’elemento teorico. L’elemento storico è stato ricostruito anche con l’ausilio di interviste.

• Studio delle carte topografica, litologica, utilizzo reale del suolo.• Sperimentazione del percorso, con raccolta di materiale fotografico,

campionamento mineralogico e vegetazionale. Raccolta di campioni di acque e successiva analisi.

• Redazione di un documento riepilogativo in formato testo e serie di diapositive.

L’esperienza è durata due settimane di lavoro intensivo per un totale di 30 ore.

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bienti dell’abbazia , altrimenti chiusi, e al tempo stesso illustra la storia di bobbio.

Non vi sono custoditi materiali e opere originali . L’unico originale presente sono infatti il contenitore stesso e i suoi apparati

decorativi. Non è dunque luogo preminentemente di contemplazione esteti-ca , a ciò sono vocati il museo di San Colombano, le splendide chiese bob-biesi, gli edifici del centro storico, il fiume e i suoi paesaggi.

vi si comunicano idee, concetti, suggestioni, vi si ricostruisce, con la flessi-bilità consentita anche dall’impiego delle nuove tecnologie, il contesto cultu-rale bobbiese . Si tratta di una sorta di “aula didattica” dove si recuperano informazioni, si prepara una visita, si appagano curiosità che , il rigore di al-lestimento dovuto a manufatti originali di altissima qualità formale, o le ne-cessità conservative , non sempre consentono di soddisfare in un percorso museale tradizionale.

Il percorso è strutturato per isole tematiche a struttura simmetrica. ogni momento è rappresentato da un pannello con testi e immagini . ogni pan-nello contiene rimandi visivi e testuali alla città ,e al territorio. In pratica si invita il visitatore a proseguire la visita ben oltre il percorso museale, nella città e nel territorio segnalando resti e monumenti che ancora oggi testimo-niano le vicende più antiche del sito.

Elementi fotografici e testuali sono stati realizzati con procedimenti infor-matici, e sono facilmente e rapidamente sostituibili sostituibili per consenti-re una adeguata manutenzione.

Il percorso di tipo tradizionale è integrato da postazioni su calcolatore de-dicate alla produzione dello scriptorium bobiense e una ricostruzione del complesso abbaziale.

Il costante rimando alle testimonianze del centro storico e agli oggetti conservati nel museo di San Colombano si presta alla elaborazione di per-corsi specifici anche tematici che prendendo lo spunto dai temi suggeriti nel percorso didattico si dirigano verso il museo di San Colombano e la cit-tà in un’ ottica di fruizione integrata del patrimonio artistico e storico bob-biese.

Riferimenti bibliografici :AA.vv. Per un museo della Città, bobbio ottobre 1997AA.vv, Proposte per un piano di lavoro culturale, bobbio marzo 1998P. Garbini, montecassino del Nord, “medioevo”, II, 11,1998,p.7.

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possibile questo impatto ambientale.L’architettura bioecologica costituisce oggi una risposta allo stato di pro-

gressivo degrado e distruzione dell’ambiente che ci ospita . Essa si occupa di tutte quelle attività connesse, in qualunque modo, alla salvaguardia ed al ri-sanamento del territorio, della città e dell’abitazione.

ma che cosa s’intende per bioecologico in architettura? Il suffisso “bio” si riferisce alla auspicata presenza di “vita” in un’architettura ormai per diver-si aspetti, sempre più morente; un’architettura fatta per la vita, in grado di creare case, e quindi città, intese come organismi viventi.

Il termine “ecologico” rappresenta invece l’esplicitazione della volontà che l’architettura crei luoghi che sappiamo rapportarsi in modo equilibrato con l’ambiente in cui si inseriscono e che necessariamente trasformano.

Pensiamo l’architettura bioecologica come una radicale rilettura, una sorta di rifondazione dell’architettura stessa che prende origine da un vasto cam-po di ricerche fortemente interdisciplinari e interconnesse.

L’architettura stessa che prende origine da un vasto campo di ricerche for-temente interdisciplinari e interconnesse.

L’architettura bioecologica non è una delle tante fissazioni e stranezze di chi vuole fare ecologia a tutti i costi, ma é una forma più umana di pensare l’abitazione come uno spazio organizzato , realmente rispondente alle esi-genze di chi la occupa, per garantire il benessere psicofisico.

Essa si avvale di studi e tecniche d’avanguardia, integrandoli al recupero di tecniche e materiali tradizionali. Il “recupero della storia” non deve essere inteso come un rifiuto di tutto ciò che é moderno, ma come recupero di quel-le tradizioni costruttive dimenticate troppo facilmente, le quali hanno dalla loro parte una validità comprovata dal tempo e una economicità garantita dal ricorso a materiali e maestranze locali. Il “valore del luogo” vuole dare il giusto peso alle caratteristiche locali, ambientali e geologiche, di un luogo destinato ad accogliere un manufatto abitativo, ritenendo assurda la proget-tazione standardizzata, la non riconoscibilità di un’edilizia che presenta le stesse caratteristiche in luoghi completamente diversi per caratteristiche am-bientali e climatiche.

queste problematiche devono essere affrontate tramite un’attenta proget-tazione che sappia guardare all’uomo e alla sua salute psicofisica, e che sap-pia superare il conflitto ambiente - costruito realizzando edifici che si inte-grano perfettamente nel territorio.

La progettazione dell’edificio bioecologico.“L’architettura bioecologica considera l’edificio come un organismo vivo,

che deve inserirsi naturalmente nello spazio e non costituisce una barriera sigillata tra l’esterno e l’interno, consentendo all’uomo di vivere in quell’ equilibrio universale a cui il suo organismo si é conformato nel corso dei millenni.

Inoltre essa é “totale” intendendo con ciò che deve occuparsi non solo dell’edificazione, ma anche della ristrutturazione e dell’intervento sul terri-

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LAboRAToRIo 3: IL RISPARmIo ENERGETICoProf. Ferruccio Carra

La parola abitare significa qualcosa di più che avere un tetto per ripararsi ed una congrua superficie a disposizione.

Significa, incontrare altri esseri umani per scambiare prodotti , idee e senti-menti; significa accordarsi con alcuni di loro ed accettare regole e valori co-muni; significa essere se stessi e scegliere un piccolo mondo personale.

Nel primo caso si parlerà di abitare collettivo nel secondo abitare pubblico e nel terzo abitare privato.

L’insieme di questi spazi, città, edificio pubblico e casa privata costituisco-no un ambiente totale.

L’ambiente deve necessariamente essere in rapporto con la natura.Abitare significa quindi instaurare un legame profondo e positivo con il

luogo.Instaurare un rapporto amichevole con il sito, rispettando il luogo e cer-

cando di rivelarne le potenzialità e la vocazione.Così facendo l’insediamento interpreterà il sito e lo trasformerà in quel

luogo dove la vita può esprimersi.La terra che ci ospita sta vivendo un periodo di grave crisi, probabilmente

già ora largamente irreversibile.Sono stati ampiamente superati i limiti che la Terra può sopportare. Con-

sumi sfrenati, tecnologie sempre più distruttive e accrescimento della popo-lazione mondiale hanno già alterato il fragile equilibrio del pianeta, danneg-giando la nostra salute e, provocando la scomparsa dei valori sociali indi-spensabili al nostro benessere.

Non si tratta di smettere di consumare, ma possiamo consumare senza spreco ed in maniera oculata.

Il costruire é tra le principali attività umane che producono degrado e in-quinamento; essendo quindi un atto di violenza sulla natura e sul territorio, é necessario cercare attraverso una serie di scelte oculate di limitare il più

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accada è indispensabile che vengano utilizzati materiali naturali e traspiran-ti sia nelle strutture (murature e isolamenti) che nelle finiture superficiali (intonaci, rivestimenti, tinteggi).

Un materiale naturale deve però essere anche ecologico e questo avviene solo quando la produzione, il trasporto e la lavorazione, non comportano un gravoso dispendio di energia, l’utilizzo di sostanze tossiche e un impatto ambientale negativo. Importante é inoltre la loro riciclabilità e rigenerabilità.

I materiali naturali che più soddisfano queste esigenze e la cui presenza é tuttora abbondante sono l’argilla (e quindi i laterizi), la calce, il gesso e il le-gno le cui scorte possono essere garantite con una gestione equilibrata dello sfruttamento dei boschi. A questi prodotti si possono aggiungere le fibre na-turali e materiali da esse derivati come la cellulosa.IL SoLARE PASSIvo

Uno degli obiettivi principali dell’architettura bioecologica consiste nel contenimento dei consumi energetici; questo lo si può ottenere tramite l’otti-mizzazione delle relazioni energetiche dell’edificio con l’ambiente naturale, attraverso il disegno architettonico, l’attenta disposizione degli spazi, l’uti-lizzo di adeguati materiali e tecnologie.

L’obbiettivo é quello di sfruttare al massimo l’energia del sole attraverso semplici accorgimenti costruttivi:- gli ambienti principali di un edificio devono essere rivolti a sud, mentre gli

spazi di servizio vengono posizionati a nord e fungono da zona tampone;- l’inserimento a sud di una serra o giardino d’inverno, insieme ad una mu-

ratura retrostante adeguatamente dimensionata, permette l’assorbimento di calore che viene poi lentamente immesso negli ambienti interni durante la giornata;

- il surriscaldamento estivo viene impedito tramite un’adeguata piantuma-zione di alberi a foglia caduca e attraverso la previsione di elementi agget-tanti sulle vetrate che nel periodo estivo, per la diversa inclinazione sola-re, riparano dalla radiazione solare diretta;

- il raffrescamento estivo viene ottenuto creando un’adeguata ventilazione che sfrutta il principio per cui l’aria calda sale verso l’alto(effetto-camino).

GLI ImPIANTIImpianto di riscaldamento

L’obiettivo del riscaldamento biologico é quello di attuare una forma di ri-scaldamento simile a quella esistente in natura, privilegiando cioè il calore trasmesso per irraggiamento: il calore radiante riscalda il corpo e le superfici con raggi infrarossi senza movimentare aria e polvere.

questo tipo di calore, che si raggiunge con l’utilizzo di elementi e sistemi di riscaldamento come stufe in maiolica, stufe-camino, pareti e pavimenti radianti con circuito ad acqua, convettori a battiscopa, permette il raggiungi-mento di un clima interno sano con minore temperatura dell’aria a parità di sensazione di calore, un giusto livello di umidità, l’assenza di movimenti

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torio.

IL LUoGo.Il primo importante elemento progettuale é l’analisi del luogo su cui si co-

struisce per individuare tutti quegli elementi che condizioneranno la proget-tazione.

Innanzitutto i fattori climatici: il clima, le temperature stagionali, la dire-zione dei venti, il soleggiamento, questi elementi determinano la forma, la struttura, l’orientamento dell’edificio nonché la disposizione degli spazi in-terni al fine di sfruttare al massimo queste energie che ci vengono fornite gratuitamente dalla natura( per esempio il vento può essere un fattore di di-sturbo in inverno, da cui ci si può però riparare tramite adeguata piantuma-zione, ma può essere sfruttato per il raffrescamento estivo)

L’analisi del luogo comporta inoltre l’attento studio del suolo e delle radia-zioni che emana.

La terra infatti é come un enorme magnete che genera un campo magneti-co grazie al quale il nostro organismo si é sviluppato e sopravvive. Esistono però delle irregolarità del terreno che, provocano radiazioni concentrate, al-terano il campo magnetico naturale risultando quindi nocive: ciò avviene in corrispondenza di falde, di corsi d’acqua sotterranei, di reticoli magnetici. Nei secoli passati l’uomo é sempre stato sensibile a queste radiazioni e ha sempre evitato di costruire in luoghi perturbati: oggi noi, immersi come sia-mo in un ambiente inquinato, abbiamo perso questa capacità percettiva; ma ciò non toglie che queste radiazioni influiscono ugualmente sull’organismo in modo negativo . E’’ quindi necessario individuare queste emissioni ed or-ganizzare gli ambienti interni in modo tale che gli spazi destinati a soste prolungate (studio, lavoro, riposo) evitino i punti di mAGGIoR perturba-zione.

Da individuare anche la presenza di gas radon, (un gas radioattivo insapo-re e inodore, la cui presenza può essere eliminata prevedendo un vespaio aerato), e di fonti esterne di inquinamento (linee elettriche, emittenti radio e radar, ferrovie, arterie di traffico che portano rumori, emissioni di sostanze nocive, radioattività). A questi elementi difficilmente si può rimediare se non al momento della scelta del luogo da abitare: é qui che dovrebbe inter-venire una corretta politica urbanistica guidata non solo da principi econo-mici ma da una più diffusa responsabilità sulla salute pubblica.

LA STRUTTURAL’edificio deve divenire la nostra “terza pelle” che protegge il nostro orga-

nismo dagli agenti esterni consentendone il suo benessere fisico. La struttu-ra, i muri, la copertura, le pareti, devono quindi respirare, permettere lo scambio d’aria, la libera uscita dei vapori, devono consentire il passaggio delle onde cosmiche e di tutte le energie essenziali per la vita. Perché questo

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Gli edifici costruiti anche solo un secolo fa, con tecnologie semplici, si pre-stano più facilmente al risanamento bioecologico rispetto all’attuale parco edilizio. Inoltre i lavori di ristrutturazione rispetto alla nuova edificazione rispecchiano maggiormente la scelta ecologica di non sottrarre territorio alla natura “riciclando” edifici esistenti.

I CoSTILa realizzazione di una casa bioecologica o la ristrutturazione in termini

bioecologici, richiede certamente un maggior investimento. Se però il costo di costruzione viene valutato in relazione alla vita dell’edificio i conti cam-biano; i metodi costruttivi degli edifici bioecologici garantiscono una mag-gior durevolezza nel tempo di impianti e strutture, richiedono una minore manutenzione e consentono un elevato risparmio energetico; nel giro di po-chi anni si recupera la maggiore spesa e si entra in fase di guadagno.

Chi vive oggi nei “moderni” edifici conosce tutti quei problemi che sorgo-no negli anni; umidità e comparsa di muffe, degrado delle superfici e dei materiali, inefficienza degli impianti; anche questi sono costi, che col tempo non possono che aumentare.

Tra i costi sono da considerare anche i costi sulla salute; i costi sociali dell’abitare in ambienti inquinati sono oggi elevatissimi; da ciò deriva che una corretta politica dell’abitare sano, oltre ad essere conveniente per il sin-golo cittadino e la sua salute, potrebbe essere molto conveniente anche per lo Stato, le cui spese in materia di sanità pubblica sono sempre più elevate e insostenibili.

La norma prioritaria da seguire nell’architettura bioecologica é quella lega-ta al ” bUoN CoSTRUIRE ” troppo spesso dimenticata per motivi di ordine economico, di mercato e di tempo; é una questione legata alla cultura nel ri-spetto del prossimo ma anche e soprattutto di sé.

Non si tratta di innovare o stravolgere le tecniche edificatorie, ma di risco-prire anche quello che era stato “inventato” in passato traducendolo in chia-ve moderna, con sensibilità e competenza.

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d’aria e di polveri.Altro aspetto positivo di questi impianti é il basso consumo energetico.L’impianto di riscaldamento va dimensionato per il periodo di minor ren-

dimento del sistema solare passivo.

Impianto elettricoIl complesso delle installazioni e apparecchiature elettriche abitualmente

presenti in una casa moderna crea un clima elettrico innaturale che provoca evidenti effetti sull’organismo (a lungo termine possono indurre insonnia, disturbi, cardiocircolatori, malesseri vari)

E’ quindi necessaria un’attenta progettazione dell’impianto che individui quegli accorgimenti atti a ridurre gli effetti negativi dei campi magnetici. In-nanzitutto é importante razionalizzare l’impianto evitando un’eccessiva di-stribuzione di prese, interrutori e punti luce, quindi realizzare una rete di di-stribuzione a stella con a monte un disgiuntore che toglie la corrente nei cir-cuiti non attivati, annullando quindi i campi magnetici presenti anche quan-do gli apparecchi non sono utilizzati. I cavi non dovrebbero passare vicino a zone di sosta prolungata, come il letto ed essere eventualmente schermati.

Impianto idricoAnche per quanto riguarda l’impianto idrico é necessaria un’attenta pro-

gettazione che miri ad una razionalizzazione distributiva: concentrare in po-che colonne la distribuzione di acqua calda e fredda risulta economico sia nella realizzazione che nella manutenzione e consente inoltre un certo ri-sparmio energetico ( i brevi percorsi dell’acqua calda portano ad una minore dispersione di calore e minore spreco d’acqua)

E’ necessario prestare attenzione ai materiali delle tubature perché i mate-riali plastici generalmente utilizzati cedono sostanze tossiche all’acqua; idea-le sarebbe l’utilizzo di acciaio inox il cui costo elevato può essere compensa-to dalla riduzione dei percorsi.

Da prestare attenzione anche all’isolamento acustico delle tubature che non devono essere poste a diretto contatto con le murature e alla scelta di rubinetterie silenziose.

Interessante per il risparmio idrico sarebbe prevedere la realizzazione di impianti per la raccolta dell’acqua piovana e delle acque bianche.

LA RISTRUTTURAZIoNEL’architettura bioecologica non é rivolta solo alle nuove edificazioni, anche

una ristrutturazione può trasformare in modo rilevante le condizioni clima-tiche di un edificio. La sostituzione dei materiali di rivestimento artificiali, l’eliminazione di barriere al vapore, il ridispongo o adeguamento degli im-pianti tecnici (elettrico, idrico e riscaldamento) la scelta di un arredamento realizzato in materiali naturali, migliorerebbero in maniera consistente la qualità della casa.

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Note:Ferruccio Carra, Architetto, insegna al Liceo Artistico “B.Cassinari” di Piacenza, svolge l’attivi-

tà di architetto professionista ed é studioso di tematiche ambientali e di progettazione ecologica.

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