atharvaveda

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file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt ATHARVAVEDA Inni magici Introduzione di SAVERIO SANI A cura di CHATIA ORLANDI e SAVERIO SANI TEA INTRODUZIONE La magia ha sempre svolto in ogni societ… un ruolo molto importante nello sviluppo dello spirito umano. Soprattutto nell'antichit… l'uomo si Š sempre sentito circondato da innumerevoli pericoli, reali o immaginari, spiegabili o misteriosi, dai quali cercava di difendersi. E se per certe minacce alla sua incolumit… poteva attribuire le cause a dei fattori noti, come, ad esempio, gli eventi atmosferici o gli assalti dei nemici, non altrettanto era in grado di fare nel caso di pericoli per i quali non riusciva a individuare l'origine e la provenienza: quando aveva a che fare con malattie che rendevano deformi i corpi e addirittura portavano le persone alla morte, o quando l'incapacit… di procreare o di avere rapporti sessuali metteva in pericolo la possibilit… di procurarsi una discendenza, oppure ancora quando un improvviso incendio gli distruggeva il raccolto o la casa, attribuiva le cause di questi mali ad agenti misteriosi e nascosti che risultavano, per ci• stesso, ancora pi— temibili. Questo tipo di ragionamento, basato sull'analogia, si estendeva anche ai modi con cui si cercava di difendersi: cos•, se il lancio di frecce appuntite sortiva l'effetto di uccidere i nemici in carne ed ossa, le stesse armi, usate simbolicamente, dovevano in qualche modo essere efficaci anche contro i nemici che non si potevano vedere. Allo stesso modo, se il fuoco era capace di tenere lontane le bestie feroci, era pensabile che questo stesso potesse sventare gli attacchi di misteriose potenze malefiche; o se, ancora, l'acqua era in grado di restituire la pulizia ad un corpo che si era sporcato nel lavoro o nella caccia, doveva essere anche in grado di restituire la purezza perduta a causa di una profanazione. Partendo da questi presupposti, Š facile immaginare come in uno stato sociale ancora rudimentale tutto fosse magico: la magia, l'arte cioŠ che presume di dominare le forze della natura in vista dell'ottenimento di scopi pratici, era un bisogno e una funzione come quella di cacciare, pesare o lavorare il legno e la pietra. Ma l'arte e la tecnica della magia non erano - e non dovevano essere - appannaggio di tutti, bens• file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (1 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

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    ATHARVAVEDA

    Inni magici

    Introduzione di

    SAVERIO SANI

    A cura di

    CHATIA ORLANDI e SAVERIO SANI

    TEA

    INTRODUZIONE

    La magia ha sempre svolto in ogni societ un ruolo molto importante nello sviluppo dello spirito umano. Soprattutto nell'antichit l'uomo si sempre sentito circondato da innumerevoli pericoli, reali o immaginari, spiegabili o misteriosi, dai quali cercava di difendersi. E se per certe minacce alla sua incolumit poteva attribuire le cause a dei fattori noti, come, ad esempio, gli eventi atmosferici o gli assalti dei nemici, non altrettanto era in grado di fare nel caso di pericoli per i quali non riusciva a individuare l'origine e la provenienza: quando aveva a che fare con malattie che rendevano deformi i corpi e addirittura portavano le persone alla morte, o quando l'incapacit di procreare o di avere rapporti sessuali metteva in pericolo la possibilit di procurarsi una discendenza, oppure ancora quando un improvviso incendio gli distruggeva il raccolto o la casa, attribuiva le cause di questi mali ad agenti misteriosi e nascosti che risultavano, per ci stesso, ancora pi temibili. Questo tipo di ragionamento, basato sull'analogia, si estendeva anche ai modi con cui si cercava di difendersi: cos, se il lancio di frecce appuntite sortiva l'effetto di uccidere i nemici in carne ed ossa, le stesse armi, usate simbolicamente, dovevano in qualche modo essere efficaci anche contro i nemici che non si potevano vedere. Allo stesso modo, se il fuoco era capace di tenere lontane le bestie feroci, era pensabile che questo stesso potesse sventare gli attacchi di misteriose potenze malefiche; o se, ancora, l'acqua era in grado di restituire la pulizia ad un corpo che si era sporcato nel lavoro o nella caccia, doveva essere anche in grado di restituire la purezza perduta a causa di una profanazione. Partendo da questi presupposti, facile immaginare come in uno stato sociale ancora rudimentale tutto fosse magico: la magia, l'arte cio che presume di dominare le forze della natura in vista dell'ottenimento di scopi pratici, era un bisogno e una funzione come quella di cacciare, pesare o lavorare il legno e la pietra. Ma l'arte e la tecnica della magia non erano - e non dovevano essere - appannaggio di tutti, bens

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    di pochi eletti che, gelosi delle proprie prerogative, trasmettevano per via ereditaria quelle conoscenze attraverso le quali facevano credere alla gente comune di saper modificare la realt. Su queste conoscenze l'India ci ha lasciato un formulario magico tra i pi antichi e tra i pi ampi e completi, l'Atharvaveda, la cui composizione databile con ogni Probabilit al periodo compreso tra il 1000 e l'800 a. C. ed successiva allo spostamento degli Indo-Ari verso zone pi orientali della pianura indo-gangetica. La composizione dell'Atharvaveda risale quindi al periodo pi antico della storia letteraria e religiosa dell'India, quello che va, secondo l'opinione della maggior parte degli studiosi1 , dal 1500 a.C., epoca a cui si fa risalire la penetrazione degli Indo-Ari nel Nord nel Subcontinente, alla seconda met del VI sec. a. C., quando cio comincia a sorgere il Buddhismo. Durante questi secoli si andarono formando quei testi della letteratura religiosa indiana che comprende vari tipi di opere, dalle quattro raccolte (samhita) di inni laudativi e ritualistici alle opere di esegesi e commento (brahmana) e di speculazione liturgica e filosofica (upanisad). Dal titolo Veda (veda = "sapienza") da cui sono contraddistinti i pi importanti e i pi antichi di questi testi, cio la samhita, questa letteratura viene designata, nel suo complesso, come "letteratura vedica". L'Atharvavedasamhita (letteralmente "La raccolta della sapienza degli Atharvan") costituisce il quarto dei libri sapienziali dell'India antica: esso contiene 731 inni o sukta (lett. "ben detto"), per un totale di circa 6.000 strofe. I componimenti, a parti i libri XV e XVI redatti quasi completamente in prosa, sono metrici. Tuttavia in alcuni passi dove si ha mescolanza di versi e di prosa, difficile qualche volta stabilire se si tratti di versi corrotti a causa di interpolazioni o di prosa ritmica. L'intera opera suddivisa in venti libri o kanda, ma gli ultimi due sono un'aggiunta pi tarda. Il XX libro composto quasi essenzialmente di inni presi dalle parti pi recenti del Rgveda, da cui proviene anche un settimo delle strofe del resto della raccolta; la maggior parte di esse tratta dal X libro e, in misura minore, dal I e dall'VIII. Come per il Rgveda, la sistemazione dei libri all'interno della raccolta mostra anche per l'Atharvaveda un'accurata attivit editoriale. I primi sette libri contengono per lo pi inni brevi e quasi tutti a care magico: il I libro ci sono inni di quattro versi, nel II di cinque, nel III di sei, nel IV di sette. Le strofe del libro V vanno da un minimo di otto ad un massimo di diciotto. Il libro VI contiene per lo pi inni di tre strofe e il VII Inni quasi tutti di una o due strofe. I libri VIII- XIV, XVII e XVIII sono composti di inni molto lunghi, dei quali il pi corto, di ventuno strofe, apre l'intera serie (VIII, I), quello pi lungo (XVIII, 4), di ottantuno, la chiude. Il libro XV e gran parte del XVI, che interrompono la serie, come abbiamo detto, non sono metrici, ma composti in una prosa gi simile a quella dei brahmana. Contemporaneamente a questo ordinamento puramente meccanico, che tiene conto del numero delle strofe negli inni, stato qua l seguito anche un criterio basato sul contenuto, tanto vero che a volte si susseguono due, tre, e talora anche pi inni con lo stesso argomento. Inoltre mentre i libri I - VII contengono inni brevi di contenuto miscellaneo e quelli VIII XII sono dedicati ciascuno ad un solo argomento: il libro XIII Glorifica il Dio Sole col nome di Rohita, il XIV contiene solo preghiere nuziali, il XV si rivolge ad un Ente supremo col nome di Vratya, il XVI e il XVII contengono formule per avere sicurezza e una lunga vita e il XVIII dedicato agli inni funebri. L'Atharvaveda ha occupato per lungo tempo una posizione subordinata rispetto alle altre tre raccolte, la Rgveda samhita ("La raccolta della sapienza delle strofe"), la Samvedasamhita ("La raccolta della sapienza delle formule sacrificali". Nei brahmana e nel Canone Buddhista rammentata infatti quasi esclusivamente quella che gli Indiani chiamavano la trayi vidya, cio la "triplice sapienza". Di questa non faceva parte l'Atharvaveda al quale, anche quando veniva rammentato2 , era destinata una posizione separata rispetto alle altre samhita: evidentemente causa di ci era il suo contenuto lontano dall'ufficialit della religione e del rituale riconosciuto dai brahmani.

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    Questa raccolta entr quindi pi tardi delle altre tre - forse intorno al 200 a.C. - a far parte delle opere canoniche della religione vedica, cio dopo che gli inni che la compongono erano stati rimodellati su quelli del Rgveda e messi in relazione stretta col rituale brahmanico. Cos, a partire dall'epica e dalla letteratura puranica, dove si comincia a parlare di "quadruplice sapienza", troviamo finalmente l'Atharvaveda riconosciuto ormai a pieno diritto. L'essere stato a lungo tenuto in disparte il motivo per cui la sua tradizione risulta pi recente: l'Atharvaveda ci mostra infatti gi attuata la divisione della popolazione in quattro caste, nel Rgveda invece solo accennata, e condizioni sociali analoghe a quelle evidenziate dallo Yajurveda; gli dei hanno perso quella individualit che avevano nella raccolta pi antica, essendo divenuti ormai dei semplici allontanatori di demoni; gli inni speculativi presentano un diverso sviluppo del pensiero metafisico; la lingua ha un aspetto meno arcaico. Tale recenziorit riguarda tuttavia solo la redazione e non i singoli inni: il contenuto e il formulario, che si intravedono al di sotto dei rimaneggiamenti redazionali e degli adattamenti in senso brahmanico - che furono indispensabili per l'inserimento della raccolta nel canone -, ci portano molto pi indietro di ogni altro libro sacro dell'India; ci rivelano infatti una fase in cui prevalgono quelle credenze elementari che precedono normalmente il costituirsi di una religione codificata. I dati che l'Atharvaveda ci offre sono dunque di grande interesse per completare l'idea che dell'epoca vedica ci si pu fare in base agli altri Veda: bench rimaneggiato in funzione sacerdotale, vi sopravvivono elementi di folklore e di poesia popolare in misura ben pi grande che nel resto della letteratura vedica e vi sono conservate antiche credenze e superstizioni che determinano, oggi come millenni fa, il pensiero e i sentimenti degli strati pi bassi della popolazione indiana. La raccolta costituisce pertanto un documento importante per l'etnologia e la storia delle religioni e una fonte di estremo valore per la conoscenza della reale fede popolare, la quale credeva nella stregoneria e in tutta una serie di demoni, folletti e spiriti maligni, ritenuti responsabili di tutto ci che di male e di non spiegabile capitava all'uomo. Tali credenze sono altres la testimonianza dell'avvenuto innesto nei culti primitivi, praticati dalle popolazioni autoctone gi prima dell'arrivo dei ari - e che si ritrovano ancora oggi qua e l presso le stirpi non arie della giungla - di procedimenti magici che risalgono all'et indoeuropea. Si osservino, per esempio, questi versi tratti dall'inno IV, 12, per guarire una gamba fratturata: Che il tuo midollo stia con il midollo: la tua articolazione con l'articolazione. La parte di carne che ti strappata possa ricrescere: possa ricrescere anche l'osso. Che il midollo si riunisca con il midollo; Che la pelle ricresca con la pelle; Che il sangue e l'osso ti ricrescano; Che la carne ricresca con la carne.

    E` sorprendente come essi presentino notevoli somiglianze con uno dei cosiddetti Merseburger Zauberspruche, formule magiche in antico alto tedesco, conservate nella Biblioteca del duomo di Merseburgo:

    Osso con osso, sangue con sangue, articolazione con articolazione come se fossero incollati.

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    Questo parallelismo formulare fra ambiti geograficamente cos distanti certamente testimonianza di una remotissima antichit. La raccolta dei testi che formano l'Atharvaveda nel suo aspetto attuale si era andata costituendo lungo un arco di vari secoli. Essa ebbe in un primo momento il titolo Atharvangirasas, dai nomi delle due principali cerchie di poeti - maghi, chiamati Atharvanas e Angirasas, che, secondo la tradizione, sarebbero stati i compositori delle formule magiche. La corrispondenza appossimativa del termine sanscrito athar con quello avestico atar "fuoco" ci fa intravedere nell'Atharvan una sorta di sacerdote che conosceva per tradizione familiare la difficile arte di produrre il fuoco tramite lo sfregamento di due legnetti e di conservarlo acceso per i bisogni della comunit. Il termine angiras non ha una etimologia sicura, ma pare tuttavia riferirsi anch'esso a sacerdoti che avevano relazione con il fuoco. I due vacaboli passarono poi dalla designazione di una certa classe o famiglia sacerdotale a quella di "formula magica". La tradizione successiva classific quindi i testi magici in due diversi tipi, dando loro il nome delle due cerchie sacerdotali: il termine atharvan venne cos a indicare le formule di magia bianca relative alle pratiche benefiche, riconosciute dalla letteratura brahmanica come santa "pacificanti" e paustika "che procurano prosperit"; le formule di magia nera, relative alle pratiche ostili e di stregoneria (ytu), dette abhicara e definite ghora "terribili", furono invece chiamate angiras. Il nome Atharvaveda, dato normalmente a quella samhita, dunque l'abbreviazione di Atharvangirasovedasamhita, titolo che sarebbe correttamente da interpretare come "La raccolta della sapienza degli incantesimi di magia bianca e di magia nera". La suddivisione degli incantesimi nei due tipi non si riscontra tuttavia nell'ordinamento degli inni all'interno della raccolta. E ci abbastanza naturale, in quanto un incantesimo difensivo, nel momento stesso in cui protegge contro qualcosa o qualcuno, diventa offensivo nei confronti di quest'ultimo. Si susseguono quindi attraverso i venti libri della raccolta imprecazioni e suppliche, maledizioni ed esorcismi; i rituali pi svariati si trovano l'uno accanto all'altro. Alcuni inni, specialmente quelli in prosa, si limitano ad enunciare esplicitamente e concretamente quello che si desidera ottenere per loro tramite, altri esprimono con insistenza quasi monotona la stessa idea, altri ancora non mancano di attrattiva poetica, mentre altri si presentano con un realismo estremamente brutale. Oltre a quelli di contenuto magico, vi sono poi anche componimenti destinati a fini sacri e che venivano utilizzati per determinati riti. Nell'Atharvaveda sono confluiti infine anche brani di contenuto teosofico e cosmogonico che appartengono a un'epoca pi vicina a quella delle Upanisad, come quelli in cui si descrive la creazione del mondo (XIX, 6) o l dove si ricerca un principio primo (II, I) o come l'inno nel quale si rappresenta il tempo (kala) come la base ultima dell'universo (XIX, 53). Anche la recitazione di questi inni era spesso tuttavia associata all'esecuzione di determinati rituali magici. Non mancano nella raccolta neppure cenni a fatti di probabile realt storica come nei versi (XX, 127, 7 e segg.), dove il re Pariksit, che, in base alle testimonianze puraniche, si pu collocare intorno al 1400 a. C., viene celebrato come portatore di pace e di prosperit ed rappresentato come ancora vivente. La maggior attrattiva di questa raccolta resta tuttavia nel fatto che in essa affiora, per la prima volta nella letteratura indiana, quell'elemento magico che raggiunger pi tardi, verso la fine del primo millennio dell'era volgare, il suo pieno sviluppo nel tantrismo. L'uso di incantesimi e pratiche magiche rimase per lungo tempo proibito ed osteggiato, ma rivest sempre una grande importanza. Addirittura, esso era prescritto ai sovrani, in certi particolari frangenti, anche da Kautaliya (III sec. d. C.), il cosiddetto Machiavelli indiano, nel suo trattato politico, l'Arthasastra e da Vatsyayana (IV sec. d. C.), nel Kamasutra. E perfino Manu nel suo trattato di leggi, il Dharmasastra (IV sec. d. C.), autorizza i brahmani all'uso di carmi atharvavedici contro i loro nemici. Gi verso la fine del periodo vedico, era stata affiancata all'Atharvaveda un'opera chiamata

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    Kausikasutra, una sorta di manuale magico che prende il nome dalla scuola sacerdotale dei Kausika che l'hanno conservata. In questo manuale sono descritti molti dei rituali che erano accompagnati dalla recitazione dei carmi atharvanici. L'intento che questi carmi perseguono , come ovvio, il raggiungimento di scopi pratici, un raccolto abbondante, la buona salute e una lunga vita, la fortuna in amore e l'arte della seduzione, la fecondit della donna e del bestiame, la vittoria nella contesa oratoria, nel gioco dei dadi o nella battaglia, il rinsaldamento della concordia familiare, il successo nelle attivit commerciali, la ricchezza, la prevalere sugli altri; si cercava anche di fare il male provocando la morte di un nemico o rendendo impotente un rivale in amore attraverso la recitazione di tremende maledizioni; i mali di cui ci si voleva liberare con l'ausilio di questi inni erano i pi svariati: le malattie - soprattutto la febbre, la tisi, l'idropisia, la lebbra -, ma anche le fratture e le ferite potevano essere guarite; potevano essere scacciati i demoni ed annullate le influenze malefiche che malvagi operatori di magia (yatudhana) esercitavano sugli altri; anche le colpe dovute a profanazioni o a cattive influenze di eventi infausti o straordinarii venivano cancellate dalla recitazione di apposite formule. Gli inni dell'Atharvaveda erano dunque in grado, nella credenza dell'uomo vedico, di modificare il corso naturale degli eventi e di influire su di essi provocando effetti sia risanatori sia malefici. L'efficacia di un incantesimo, come pure la riuscita di un sacrificio, dipendeva dalle parole che lo accompagnavano e dalla corretta recitazione di esse. Proprio per questo motivo l'Atharvaveda fu affidato al sacerdote chiamato brahman, che, durante il sacrificio, doveva scongiurare, con apposite formule, l'effetto negativo di eventuali errori di pronuncia che si verificassero da parte degli altri tre officianti, cio lo hotr "il libatore" che recitava le strofe del Rgveda, l'adhvaryu "l'accompagnatore" che pronunciava le formule dello Yajurveda e l'udgatr "l'intonatore" che cantava le melodie del Samaveda. Questo fatto contribu non poco ad accrescere l'autorit del quarto Veda, che in certi testi era chiamato anche Brahmaveda dal nome del sacerdote che lo recitava, e di quest'ultimo a cui fu attribuito il titolo di sarvavid "onnisciente", in quanto egli dominava la conoscenza della parola formulare (brahman) che era considerata il mezzo di coercizione pi potente di cui un mago-esorcista potesse disporre. La parola infatti, secondo la concezione indiana ha funzione creatrice: la matrice dell'esistenza, non cosa diversa dalla sostanza che essa designa, ma anzi la realt stessa. Quindi conoscere la parola voleva dire conoscere la sostanza e conoscere significava avere potere. Per questo motivo il primo inno dell'Atharvaveda, quello che apre l'intera raccolta - e che gi nell'antichit portava un titolo, Purva, cio "Il Primo" - un incantesimo per ottenere la perfetta conoscenza dei suoni della lingua sanscrita: ad essi si allude con la formula, volutamente un po' sibillina:

    Dei tre volte sette che vanno attorno, portatori di tutte [le forme, il Signore della parola mi conceda oggi i poteri e le [ manifestazioni

    Questo inno veniva fatto recitare allo studente che si accingeva allo studio del Veda. Il cerimoniale prevedeva che il maestro legasse al collo del discepolo le lingue di tre uccelli noti per la loro abilit nell'imitare i suoni - e in particolar modo la voce umana - tra i quali il pappagallo e la gracula religiosa (o merlo indiano). Queste lingue venivano poi fatte mangiare allo studente in modo che acquistasse l'abilit di imitare correttamente ci che udiva (srutam) dal maestro. Colui che aveva la consapevolezza di conoscere la parola poteva arrivare addirittura a dichiarare (VI, 61, 3):

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    Io ho generato la terra e il cielo, io ho generato le stagioni e i sette fiumi. Io con la mia parola rendo vero quello che non vero...

    L'orgoglio per il potere che tale conoscenza conferisce sottolineato dalla triplice ripetizione all'inizio di ogni verso del pronome "io", l'espressione del quale normalmente superflua in sanscrito. Perch dunque una cosa si verificasse bastava dirla con le parole che il mago conosceva: ecco che in questi incantesimi si enunciano, come se stessero veramente realizzandosi in quel momento, tutti gli effetti che si vogliono provocare: "io perforo..." ", io frantumo...", "io esorcizzo...", "io faccio morire..." sono espressioni usate con grande frequenza. I suoni che compongono la parola non sono casuali ma si riferiscono a determinati significati; il rapporto tra parola e significato esiste infatti da sempre ed immutabile; in particolare eterno ed immutabile il rapporto tra il significato e i suoni che lo rappresentano, cio esiste un rapporto biunivoco tra il suono e l'oggetto designato. Questo fatto comporta che nell'Atharvaveda siano particolarmente frequenti peculiarit stilistiche di tipo fonetico, come la rima, l'allitterazione e la paronomasia, che ci permettono di riconoscere una composizione come inno magico in base alla sua forma e alla tecnica versificatoria, oltre che in base al suo contenuto e all'uso al quale era destinato. Anche la ripetizione e il parallelismo sono espedienti retorici tra i pi frequenti negli inni. Questi stilemi suggeriscono infatti un'idea di completezza e di esattezza che ulteriormente ricercata ed ampliata attraverso l'uso di formule polari e attraverso il procedimento dell'accumulo di sinonimi o di parole comunque correlate dal punto di vista del significato. Per mezzo dell'enumerazione, che spesso lunghissima e monotona, dei vari elementi da proteggere o dei mali da allontanare, chi recita un incantesimo ha a disposizione il mezzo pi appropriato per raggiungere con esattezza e precisione l'oggetto che persegue: per essere sicuri che nulla rimanga escluso dal procedimento magico, si preferisce enumerare tutte le parti che costituiscono una totalit piuttosto che la totalit stessa in forma sintetica. Uno dei campi preferiti di applicazione di questo particolare tipo di magia basata sulla parola la lotta contro le malattie che, per l'indiano, costituiscono il pi frequente e il pi terribile dei flagelli che sono scatenati contro gli uomini dai demoni, suscitati ed evocati a loro volta dai malvagi yatudhana o "stregoni". Questi riti risanatori sono chiamati bhaisajyani "di guarigione": essi sono indirizzati alle malattie stesse, immaginate come degli esseri demoniaci che assalgono l'uomo dall'esterno e se ne impossessano riducendolo in uno stato di prostrazione tale da portarlo alla morte. Le malattie, allo stesso modo degli altri demoni e dei vermi, che come presso altri popoli sono designati come responsabili di stati di morbosit, sono immaginate ordinate in gerarchie e, al pari degli uomini, legate fra loro da vincoli da parentela: cos la febbre, cui si rivolge col nome di Takman, chiamata il re delle malattie e ha la consunzione e la tosse come fratello e sorella e la scabbia come cugina. Allo stesso modo i vermi, contro i quali vengono recitati numerosi incantesimi, sono immaginati come maschi e come femmine e vengono menzionati il loro re e il loro governatore, oltre ai loro fratelli, sorelle e genitori. Per cacciare queste entit malvagie e distruttrici e maghi facevano corso ad amuleti e a particolari erbe di cui vantavano la conoscenza e di cui intessevano lodi come a divinit guerriere per ingraziarsele ed esortarle al combattimento contro i demoni e le streghe: si tratta per lo pi di piante dal forte profumo di cui tuttavia difficile compiere un'identificazione con piante reali. Per la parte in cui si occupa di scacciare le malattie l'Atharvaveda anche il pi antico libro di medicina indiana e costituisce la migliore rappresentazione di medicina primitiva che ci sia pervenuta

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    in una letteratura. Le malattie sono descritte attraverso i loro segni esteriori ed contro di questi che il medico-esorcista interviene, poich per lui non esistono cause se non soprannaturali e non c' quindi da indagare sulla natura del male. La cura affidata alla recitazione di formule magiche, accompagnata dall'uso di erbe ed amuleti, dirette a scacciare gli enti dannosi e i rimedi sono applicati secondo un principio di allopatia o di omeopatia: il bianco della lebbra curato con una pianta scura; la febbre che brucia si cerca di scaricarla su una rana dalla pelle umida; il giallo dell'itterizia si manda presso uccelli dal giallo piumaggio, mentre si invoca sul paziente il colore rosso di un toro fulvo. Altre volte si cerca di trovare altre vittime per le creature demoniache che infestano un paziente; e si invitano i vari mali a trasferirsi presso nemici o popoli stranieri in modo che abbandonino quelli che stanno tormentando. Fanno da naturale complemento agli inni contro le malattie quelli chiamati ayusyani "che conferiscono lunga vita". Sono inni che si recitavano in momenti particolari della vita familiare, come nell'occasione del primo taglio di capelli o della prima rasatura o nei riti di iniziazione. In questi inni si chiedeva una vita lunga cento anni (saradh satam) e l'allontanamento dei rischi di una morte prematura: per la concezione antico- indiana solo la marzo te per vecchiaia una morte naturale ed augurabile, le altre morti, che sono cento, e che comprendono sia quelle per mano altrui sia quelle causate dalle malattie, sono innaturali e pertanto vengono allontanate ed esorcizzate per mezzo di numerosissimi incantesimi Sempre intesi a favorire l'uomo, ma questa volta nei suoi beni e nelle sue attivit, vi sono gli inni chiamati paustikani "di benedizione "che accompagnavano la costruzione di una casa, l'aratura di un campo o la semina, e con i quali il contadino il pastore o il mercante cercavano di ottenere fortuna e prosperit. Di grande importanza sono poi anche gli inni espiatori (prayascittani), poich l'espiazione si rendeva necessaria non solo nel caso di infrazioni a regole della morale o di trasgressioni religiose o del comportamento civile (quali, per esempio, il matrimonio di un fratello minore avvenuto prima di quello del maggiore), ma anche nel caso di sacrifici o cerimonie non compiute secondo le regole o nel caso di presagi infausti come il volo di qualche uccello malaugurante (ad esempio un piccione che si posasse sul focolare domestico) o il verificarsi di un parto gemellare nel bestiame o ancora la nascita di un bambino sotto una cattiva stella. Secondo la concezione indiana tutto ci che male - malattia o sfortuna, colpa o peccato - causato dagli spiriti maligni. All'influenza di entit demoniache attribuito anche l'insorgere di discordie familiare, che potevano diventare causa di disgregazione di un'intera cerchia, esponendola agli attacchi di avversari e nemici. La coesione pi importante da restaurare era tuttavia quella tra marito e moglie: gli incantesimi destinati a questo scopo rientrano tra quelli chiamati strikarmani "riti delle donne", fra i quali sono compresi quelli d'amore e quelli per avere figli, la cui vera finalit era procurare alla famiglia la discendenza e la continuit, ma, soprattutto, figli maschi; questi soli infatti erano in grado di celebrare i riti che permettevano al capofamiglia, una volta morto, di raggiungere il posto che gli spettava nel mondo dei Pitr. Due diversi tipi di incantesimi sono classificati tra i riti delle donne: il primo comprende quelli di carattere pacifico ed augurale, atti a provocare il matrimonio e il concepimento di figli: con queste formule si cercava di trovar marito a una fanciulla (II, 36) o una sposa ad un giovane (VI, 82); oppure si cercava di accelerare il pi possibile la fecondazione della donna per l'ottenimento di un figlio (III, 23), si invoca la protezione della gravidanza e la buona riuscita del parto stesso (VIII, 6). Il secondo tipo di incantesimi costituito invece da formule da maledizione contro i rivali in amore (III, I8) e contro ci che poteva in qualche modo distruggere o disturbare la vita di coppia, come la

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    gelosia e gli intrighi (VI, I38). Improntati a una certa violenza sono quegli inni intesi a costringere una persona ad amare contro la sua volont: sono incantesimi in cui soprattutto una pianta dal dolce sapore (madugha) invocata per forzare l'innamoramento (I, 34). La difesa contro le persone o le entit malvagie si attuava attraverso la recitazione di inni chiamati abhicarikani ("relativi agli incantesimi"): si tratta di esorcismi e maledizioni caratterizzati da un accanimento e una ferocia che non mancano di una certa attrattiva estetica, come ad esempio quelli contro la fattura (V, 14; IV, 17; IV, I8; V, 3I ), immaginata con fattezze e caratteristiche umane e dagli affari terribili. In questi incantesimi nessuna differenza fatta tra demoni, malvagi stregoni e fattucchiere: contro di loro invocato Agni Dio del fuoco, perch li distrugga. Numerosi nomi di demoni, alcuni dal curioso significato, altri di etimologia inspiegabile, sono rammentati in questi inni. L'esorcista li pronuncia vantandosi di conoscerli e di averli scoperti; questo infatti il solo modo in cui potr dominarli e ridurli all'impotenza. Conoscere il nome di qualcuno significa infatti in magia aver presa su di lui, secondo la convinzione che il nome coincide con la persona che lo porta e non mai rappresentazione opposta alla realt, bens la realt stessa. Quindi per il mago qualunque operazione venga compiuta sul nome provoca effetto sulla personalit significativo che ", pronunciare il nome in sanscrito si dica con un'espressione che tradotta letteralmente equivale a "afferrare il nome": grbhnati nama. Era cos sentito nell'India antica il timore che sul nome venissero operate pratiche malefiche che il cerimoniale per l'imposizione del nome o un neonato prevedeva che, oltre al nome detto "di saluto" o abihvadaniya, cio quello con il quale tutti in seguito lo avrebbero chiamato, gli se ne desse anche un altro, che era poi quello vero, conosciuto solo dai genitori e che doveva rimanere segreto, per evitare che persone malevole potessero usarlo per compiere malefici contro di lui. L'esorcista fa quindi di tutto per scoprire il nome degli esseri demoniaci, mentre questi, da parte loro, fanno di tutto per tenerlo nascosto. Cos, come si impiega ogni mezzo per stanare i demoni dalla tenebra nella quale si avvolgono per non essere riconosciuti, allo stesso modo si fanno incantesimi per riuscire a sapere il loro nome. Un'altra particolarit di tipo terminologico sottolinea e chiarisce ancora di pi l'importanza del nome e della parola nella magia indiana; il fatto che il verbo che traduciamo con "esorcizzare" lo stesso che significa anche "spiegare, fare un'etimologia": nirvacati. E` chiaro che se di un nome si conosce il vero significato, la persona o l'essere che lo portano divengono privi di ogni difesa e sono alla merc di colui che del loro nome si impossessato (cio lo ha pronunciato). Quando il mago dunque arriva a conoscere i nomi degli esseri da esorcizzare, se ne vanta proclamandoli. Ecco, per esempio, che, in un inno (VIII, 6) per salvaguardare le donne incinte, viene passata in rassegna tutta una serie di mostri orrendi e di esseri demoniaci che insidiano le future madri cercando di farle abortire; lo scopo di questa enumerazione nome per nome di esorcizzare questi demoni e permettere che la gravidanza giunga felicemente a termine. La serie lunghissima e i nomi fanno per lo pi riferimento a caratteristiche fisiche mostruose e raccapriccianti, che insistono spesso sulla deformit degli organi sessuali, simbolo di sterilit, o anche all'effetto malvagio che questi esseri intenderebbero provocare. Primo fra tutti viene evocato Durnaman, cio quello "Dal nome difficile da spiegare" poi Vatsapa "Quello che beve come un vitello", che quindi sottrae tutto il latte alla futura madre, Malimluca il "Ladro" (ovviamente di feti), Palijaka "Quello che disturba vAsresa "Quello che avvolge" Vavrivasas "Quello che abita nei vestiti, Rksagriva "Dal collo di orso", Tundika "Il fornito di grugno", Kravyad "Quello me mangia la carne cruda", Reriha "Quello che lecca", Kuksila il "Panciuto", Kukubha il "Gobbo", Karuma il "Lamentoso" , ed ancora vari altri demoni il cui nome si riferisce a strane abitudini come quella di danzare di sera intorno alle case, o di ragliare come asini belare come capre,

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    o di tirare calci nelle natiche alle donne. L'aspetto con cui vengono descritti terrificante: hanno la bocca rossa di sangue, una gobba che supera in altezza il loro stesso corpo, corna nelle mani, le punte dei piedi di dietro e i calcagni rivolti in avanti, i testicoli grandi come vasi, il pelo irsuto, i capelli lunghi, e hanno inoltre due bocche, quattro occhi, e cinque piedi, e sono senza dita; strisciano aggrovigliandosi ed attorcigliandosi rie fuggono dal sole che con la sua luce li renderebbe riconoscibili. Contro tutti questi l'esorcista invoca Brahmanaspai, il Dio della parola perch li riconosca e, una volta svelato il loro nome, li annienti. La pronuncia e la spiegazione di tutti i singoli nomi uno per uno si unisce quindi con il procedimento dell'enumerazione che indicativo dell'esigenza di riuscire a contenere tutta la realt cogliendola in ogni suo aspetto particolare senza tralasciare alcun elemento. Rientrano, infine, ancora nella tipologia degli inni magici quelli recitati per i re, in particolare gli esorcismi contro i nemici e le benedizioni per accrescere la loro potenza: troviamo, tra questi, inni che si riferiscono alla consacrazione del sovrano che viene spruzzato con acqua santificata e fatto camminare su una pelle di tigre, simbolo di regalit. A riprova del fatto che gli inni atharvavedici erano stati brahmanizzati e quindi accolti nell'ambito dell'ufficialit, vi poi tutta una serie di formule, atte a proteggere la sovranit e le prerogative degli stessi brahmani. Attraverso il lancio di maledizioni tremende essi assicuravano alla loro casta immunit e privilegi, come il possesso indiscusso delle vacche che, attraverso il latte e il burro, costituivano la principale fonte di cibo e erano patrimonio delle famiglie pi ricche che dovevano darle ai sacerdoti come compenso per il compimento dei sacrifici. Tale prerogativa era stata fatta divenire da parte dei brahmani una legge naturale, per cui rovine e sciagure sarebbero capitate a coloro che per stoltezza l'avessero infranta dimostrandosi non generosi nel dare le vacche a coloro cui spettavano per diritto divino. Allo stesso modo sacre ed inviolabili erano le loro propriet, dal bestiame alle mogli: il profanarle provocava un'enorme serie di eventi catastrofici. Il testo dell'Atharvaveda ci stato conservato in due redazioni: una quello chiamata Saunakiya, che prende il nome dalla scuola Saunaka che l'ha tramandata; l pi conosciuta in Occidente e la meglio conservata; essa ci giunta, camere il Rgveda, provvista delle indicazioni degli accenti e corredata dalla versione padapatha; l'altra, la Paippalada dal nome di un mitico saggio Pippalada, detta anche Kasmiriana dal luogo del ritrovamento del primo manoscritto su corteggia di betulla, conservata in maniera pi lacunosa, senza la segnatura degli accenti e senza il padapatha; contiene un numero maggiore di strofe (circa 6.500) e presenta una diversa disposizione del testo. L'ordinamento meno sofisticato e pi rudimentale degli inni indicativo di una maggiore antichit rispetto alla Saunakiya e il testo che essa rappresenta spesso pi originale e pi autentico.

    SAVERIO SANI.

    NOTA BIBLIOGRAFICA

    L'edizione principale dell'Atharvaveda Atharvaveda (Saunaka) with the Pada-patha and Sayanacarya's commentary, a cura di VISHVA BANDHU in collaborazione con BHIM DEV, VIDYANIDHI e MUNISHVAR DEV, Hoshyarpur 1960-1964, di cui ora esiste la traslitterazione in caratteri latini a cura di CH. ORLANDI, Gli inni dell'Atharvaveda (Saunaka), Giardini, Pisa 1991; un'altra edizione, Atharva-Veda-Samhita, a cura di R. ROTH e W.D. WHITNEY, Berlin 1855-1856

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    (1924, rist. a Bonn 1966), presenta delle correzioni al testo che talora si sono seguite nella presente traduzione. Tra le traduzioni complete, la pi attendibile quella di W.D. WHITNEY, Atharva-Veda Samhita. Translated with a Critical and Exegetical Commentary, a cura di W.D. Whitney, revisione a cura di Ch. R. Lanman, Cambridge (Mass.) 1905 (rist. Delhi 1971); pi invecchiata invece quella di R.T.H. GRIFFITH, The Hymns of the Atharvaveda translated with a popular commentary, Benare 1895-1896 (rist. Benare 1916, 1968). Tra le traduzioni parziali possiamo citare: A. WEBER, Ertes Buch des Atharvaveda, in "Indische Studien" XIII (1873), pp. 129- 216; ID., Drittes Buch des Atharvaveda, in "Indische Studien" XVII (1855), pp. 177-314; ID., Viertes Buch des Atharvaveda, in "Indische STudien" XVIII (1898), pp. I-153; ID., Funftes Buch des Atharvaveda, in "Indische Studien" XVIII (1898), pp. 154-288; J. GRILL, Hudert Lieder des Atharva-Veda, 2 voll., Stuttgart 1888 (rist. Wiesbaden 1971); V. Henry, Le livre VII et IX de l'Atharva-Veda, traduits et commentes, Paris 1894; ID., Les livres X, XI et XII de l'Atharva-Veda, traduits et comments, Paris 1896; M. BLOOMFIELD, Hymns of the Atharva-Veda (=Sacred Books of the East, vol. 42), Oxford 1897 (rist. Delhi 1967). Traduzioni in italiano: V. PAPESSO, Inni dell'Atharva-Veda, Bologna 1933, ripubblicato, con aggiornamenti bibliografici e l'aggiunta del testo a fronte, col titolo Atharvaveda. Il Veda delle formule magiche, a cura di P. ROSSI, Mimesis, Milano 1994; R. AMBROSINI, Magia e sapienza dell'India antica. Inni dell'Atharva-Veda, CLUEB, Bologna 1984; CH. ORLANDI e S. SANI (a cura di) Atharvaveda. Inni magici, UTET, Torino 1992. Opere di riferimento generale: A. BERGAIGNE, La religion vedique d'aprs les humnes du Rig-Veda, Paris 1878-1883 (rist. Paris 1963); M. BLOOMFIELD, The Atharva-Veda, Strassburg 1899; W. CALAND, Altindisches Zauberritual. Probe einer Ubersetzung der zichtigsten Theile des Kausika-Sutra, Amsterdam 1900 (rist. Wiesbaden 1967); V. HENRY, La magie dans l'Inde antique, Paris 1903; A.A. MACDONELL e A.B. Keith, Vedic Index of Names and Subjects, Oxford 1912 (rist. Delhi 1967); S. SCHAYER, Die Struktur der magischen Weltanschauung nach dem Atharva-Veda und den Brahmana-Texten, Munchen 1925; (rist. Delhi 1970); L. RENOU e J. FILLIOZAT, L'Inde classique. Manuel des etudes indiennes, Paris 1947-1949 (rist. Paris 1985); A. L. BASHAM, The Wonder that was India. A Survey of the culture of the Indian Sub-continent before the Coming of the Muslims, New York 1959; M. BUSSAGLI, Profili dell'India antica e moderna, Torino 1959; O. BOTTO, Letterature antiche dell'India, Padova 1969; A. SEPPILLI, Poesia e magia, Torino 1971; J. GONDA, Vedic Literature: (Sambitas and Brahmanas), Wiesbaden 1975; M. STUTLEY e J. STUTLEY, A Dictionary of Hinduism. Its Mythology, Folklore and Development 1500, London 1977 (trad. it. Dizionario dell'induismo, a cura di G. MILANETTI, Roma 1980); M. STUTLEY, Ancient Indian Magic ad Folklore. An Introduction, London 1980; V. PISANI, Le letterature in sanscrito, pali e pracrito, in V. PISANI e L.P. MISHRA, Le letterature dell'India, Milano 1993. Sulla storia, la cultura e la religione degli antichi indiani: H. ZIMMER, Altindisches Leben. Die cultur der vedischen Arier nach den samhitadargestellt, Berlin 1879; A.A. MACDONELL, Vedic Mythology, Strassburg 1898 (rist. Delhi 1974); N. J. SHENDE, The Religion and Philosophy of the Atharvaveda, Poona 1952 (rist. Poona 1985); J. GONDA, Die Religionem Indiens, I. Veda und alterer Hinduismusm Stuttgart 1960; A. T. EMBREE e F. WILHELM, Indien. Geschichte des Subkontinents von Induskultur bis wum der Beginn der englischen Herrschaft, Frankfurt 1967 (trad. it. India. Dalla civilt dell'Indo fino all'inizio del dominio inglese, a cura di M. Attardo Magrini, Milano 1968); J. VARENNE, Cosmogonies vdiques, Paris 1982; A. SORRENTINO, Pertinenze etnolinguistiche nell'India vedica. Annali del Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico. Sezione Linguistica", VI (1984), PP. 15-38.

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    Sulla medicina dell'Atharvaveda. A. F. HOERNLE, Studies in the Medicine of Ancient India, Oxford 1905; J. FILLIOZAT, Magie et mdicine, Paris 1943; E. BENVENISTE, La doctrine mdicale des Indo-Europens, in "Revue de l'histoire des religions" CXXX (1945), pp. 5-12; J. FILLIOZAT, Les sciences dans l'Inde antique, Paris 1955; T. BURROW, Sanskrit "jalasa", in W.B. Henning Memorial Volume, London 1970, pp. 89-97; J. FILLIOZAT, La doctrine classique de la mdicine indienne; ses origines et ses parallles grecques, Paris 1975; K. G. ZYSK, Religious Healing in the Veda, Philadelphia 1985. Per gli elementi stilistici si veda: J. GONDA, Stylistic studies over Atharva-Veda I-VII, Wegeningen 1938; ID., Stylistic repetition in the Veda, Amsterdam 1959; S. SANI, Tecnica enumeratoria e potere magico del nome negli incantesimi dell'Atharvaveda, in Studi vedici e medio-indiani; Pisa 1981, pp. 101-138; ID., L'inno magico, in Atharvaveda. Inni magici, a cura di CH. ORLANDI e S. SANI, cit., pp. 23-47; Id., La terra e la nuvola in un incantesimo per la pioggia: a proposito di AV. VII, 19 (18), in "Studi e saggi linguistici" XXXII (1992), pp. 255- 270. Su singoli problemi: A. WEBER, Vesische Hochzeitspruche, in "Indische Studien" V (1862), pp. 177-266; S.K. LAL, Krtya, in "Purana" XVII (1975), PP. 52-62; R. LAZZERONI, Sscr. "urdhva-": per un'etimologia staticia, in "Studi e saggi linguistici" XV (1975), pp. 20-35; S. SANI, Proposta di interpretazione di sscr. "durnaman", in Studi vedici e medio-indiani, Pisa 1981, pp. 139- 152; T. GOUDRIAN, Vedic "krtya" and the Terminology of Magic, in Sanskrit and World Culture, Berlin 1986, pp. 450-456; S. SANI, Valore semantico e identificazione di funzioni: il verbo "hanti" nel "Rgveda" e nell'"Atharvaveda", in "Studi e saggi linguistici" XXX (1990), pp. 61-77; Id., "Madugha" ou la violence de la douceur, in "Bulletin d'Etudes Indiennes" VII-VIII (1989-1990), pp. 239-260.

    NOTA AL TESTO

    La presente traduzione stata condotta sull'edizione Atharvaveda (Saunaka) with the Pada-patha and Sayanacarya's commentary, a cur adi VISHVA BANDHU in collaborazione con BHIM DEV, VIDYANDHI e MUNSHVAR DEV, Hoshyarpur 1960-1964. La scelta di testi qui presentata tratta dal volume Atharvaveda. Inni magici, a cura di C. ORLANDI e S. SANI, UTET, cit., cui si rimanda per tutti i riferimenti a inni non compresi in questo volume. Gli innni tradotti sono stati ordinati secondo un criterio antologico che li raggruppa in varie sezioni. L'Indice dei passi tradotti d comunque conto della sequenza originaria nella Raccolta. Per i nomi propri e per i termini sanscriti si far riferimento al Glossario. Nel testo e nelle note sono state utilizzate le seguenti abbreviazioni:AV. = AtharvavedaRV. = RgvedaTaitt. Br. = Taittirya BrahmanaKaus. Su = Kausika SutraMbh. = Mahabharata

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    NOTE SULLA PRONUNCIA E LA TRASLITTERAZIONE DELLE PAROLE SANSCRITE

    Le vocali a, i, u hanno pronuncia simile a quella italiana (tuttavia la a ha un suono pi vicino a quello della vocale della parola inglese but); quando sono segnate a, i, u sono "lunghe" e hanno perci una durata maggiore; e e o sono sempre lunghe in quanto originari dittonghi; r una volcale e si legge come nel nome sloveno di Trieste, Trst. Le consonanti non diacriticate hanno lo stesso valore che in intaliano tranne le seguenti: c = sempre palatale come nell'italiano pace anche davanti ad a, o e u: (es. candra "luna" si legge ciandra); j = indica sempre la palatale sonora dell'italiano gelo (es. jata "nato" si legge giata); g = invece sempre velare anche davanti a i ed e (es. giri "montagna" si legge ghiri); s = sempre sorda come l's iniziale italiana anche quando tra vocali; h = indica un'aspirazione sia da sola (es. maha - "grande") che dopo altre consonanti (es. yatha "come"). Inoltre il gruppo -gn non va letto come nell'italiano agnello, ma comenel tedesco regnen. Consonanti diacriticate: n = si pronuncia come la -n- di italiano angolo; t, d = si pronunciano come la t e la d dell'inglese (es. table, door) o del siciliano beddu; n = si pronuncia come la n italiana, ma con la lingua rivolta verso il palato; s, S = si pronunciano come sc- di italiano scena;

    L'accento normalmente sulla penultima sillaba se questa contiene una vocale lunga o una vocale davanti a pi di una consonante, altrimenti sulla terz'ultima. Le parole composte si accentano sull'ultimo membro del composto.

    ATHARVAVEDA Inni magici

    LA POTENZA MAGICA DELLA PAROLA

    Questa prima breve sezione contiene carmi che celebrano la sacra sapienza dei brahmani, tramandata di generazione in generazione all'interno delle famiglie dei veggenti, simboleggiata dalla parola che con il suo potere magico in grado di portare a buon fine ogni esorcismo e di promuovere qualunque azione tanto benefica quanto malefica.

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    Il possesso e il mantenimento di questa sacra sapienza era motivo di vanto per chi sapeva e poteva servirsene, in quanto poteva ricavarne fortuna e ricchezza ed ogni sorta di vantaggi per s e per gli altri. Chi possedeva il potere mentale derivato dalla conoscenza della parola poteva dichiarare di aver generato cielo e terra e tutto quanto il mondo e poteva permettersi di affermare ci che vero come ci che non vero; lui solo era in grado di ottenere lunga vita tra gli dei. Il potere magico della parola era dunque un bene molto grande: come per tutti gli altri beni se ne implorava allora la concessione da parte degli dei; ma si temeva anche di perderlo: in questo caso si recitavano allora delle formule che permettessero di recuperarlo.

    PER OTTENERE LA CONOSCENZA SACRA

    Quest'inno, che apre l'intera raccolta dell'Atharvaveda, solitamente citato dalla tradizione indiana col nome di "primo" (purva) ed impiegato nella cerimonia per la "produzione della sapienza" (medhajanana).

    (I, I)

    1

    Dei tre volte sette che vanno attorno, portatori di tutte le forme , il Signore della parola della mi conceda oggi i poteri e le manifestazioni.

    2

    Torna, o Signore della parola, con la tua mente divina. Fai restare in me e sia in me, proprio in me la sapienza divina .

    3

    Ecco proprio qui agganciala a me come gli estremi dell'arco con la corda. Che il Signore della parola mi dia i suoi doni. Sia proprio in me la sapienza divina.

    4

    Abbiamo invocato il Signore della parola; che il Signore della parola invochi ora noi. Uniamoci alla sapienza divina. Possa io non essere privato della sapienza divina!

    LA POTENZA DELL'ESORCISTA

    E` il vanto di chi conosce e sa applicare il potere magico della parola sacra.

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    (VI, 61)

    1

    Che le acque mi portino ci che dolce; il sole me l'ha portato per darmi la luce. Che gli dei e tutti quelli che sono nati dalla penitenza e il Dio Savitr mi concedano ampio spazio.

    2

    Io ho creato in tutta la loro estensione la terra e il cielo; io ho generato le sette stagioni tutte insieme. Io con la mia parola rendo vero quello che non vero; io mi rivolgo alla divina parola e alle genti.

    3 Io ho generato la terra e il cielo, io ho generato le stagioni e i sette fiumi. Io con la mia parola rendo vero quello che non vero, io che ho goduto di Agni e Soma come compagni.

    PER AVERE POTERE MENTALE

    (VI, 108)

    1

    Tu, o potere mentale, vieni per primo a noi con le vacche e i cavalli, tu con i raggi del sole: tu sei per noi degno di sacrificio.

    2

    Io invoco, per avere l'aiuto degli dei, per primo il potere mentale che si ottiene con la formula, provocato con la formula, celebrato dagli rsi, assimilato dagli studenti dei veda.

    3

    Quel potere mentale che conoscono gli Rbhu, quel potere mentale che gli Asura conoscono, quello splendido potere mentale che gli rsi conoscono, facciamolo entrare in me.

    4

    Con quel potere mentale che gli rsi creatori, provvisti di potere mentale conoscono, con questo potere mentale tu ora, o Agni, rendimi pieno di potere mentale.

    5

    Facciamo entrare in me con la formula il potere mentale alla sera, il potere mentale alla mattina, il potere mentale verso la met del giorno, con i raggi del sole.

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    PER RECUPERARE IL MAGICO POTERE DELLA PAROLA

    (VII, 68 [66 ]

    1

    Se andato a finire nell'atmosfera, se andato nel vento, se andato tra gli alberi o se andato tra i cespugli: che questo potere della parola, che gli animali hanno udito mentre veniva pronunciato, ritorni da noi.

    LA POTENZA DEL BRAHMANO

    Esaltazione della potenza del brahmano che, grazie alla sua conoscenza, il solo in grado di ottenere espiazione o favori. E` usato come incantesimo per ottenere ogni sorta di benefici.

    (VII, 108 [103])

    Quale ksatriya desiderando benessere ci risollever da questa biasimevole calunnia? O chi desideroso di sacrificio, o chi che desideroso di elargizioni, chi ottiene lunga vita fra gli dei?

    MALEDIZIONI

    In questa sezione sono stati raccolti quegli incantesimi di magia nera che hanno come fine di procurare il male a quelli che negli inni sono pi volte definiti "coloro che ci odiano e che noi odiamo". Si tratta degli avversari, nei nemici personali, dei rivali in vari campi - soprattutto in amore - di cui si desidera la morte e la distruzione per difendersi dalla loro volont di cuocere. Per raggiungere i propri scopi ci si rivolge per aiuto a divinit per altro benevole come Indra che viene invocato perch frantumi e distrugga i nemici con il suo vajra, Agni perch li bruci con la sua vampa o le acque perch concedano indifferenziata e vigore. Altre volte sono invocate invece entit demoniache come Nirrti e Grahi oppure si ricorre ad amuleti costruiti con l'erba darbha che molto efficace nella lotta contro i rivali. I mali che si augurano a "chi ci odia" sono i pi svariati: si va dalla frantumazione della testa alla castrazione; dallo sprofondamento negli abissi pi profondi all'allontanamento per le strade pi lontane; ma l'augurio pi frequente che si rivolge al nemico la morte, provocata nelle forme e con i mezzi pi disparati. Anche i brahmani ricorrono alla magia nera per difendere i privilegi di cui sono detentori; gravissime maledizioni sono infatti lanciate verso coloro che intendano ledere le loro prerogative. Gli inni X,5 , XVI,6, XVI,7 e XVI,8 sono stati messi all'inizio della sezione perch forniscono

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    esempi di maledizioni pi generiche, valide per qualunque tipo di rivale e perch contengono, si pu dire, un campionario di tutti i mali che si possono augurare. Il gruppo di inni che seguono costituiscono come casi particolari di maledizioni che colpiscono il nemico ora in un modo, ora in un altro. Seguono poi gli inni tesi a salvaguardare i privilegi dei brahmani ed infine due inni che, per la loro forma composita, sono stati sistemati alla fine di questa sezione.

    MALEDIZIONI TREMENDE

    Gli inni, X, 5, XVI, 6, XVI, 7 e XVI, 8 sono tremende maledizioni contro rivali, nemici e tutti coloro che abbiano intenzioni malvagie. La volont di colpire la persona odiata si manifesta in lunghe serie di attacchi che hanno per fine sia il danno fisico (castrazione, malattie, morte), sia l'impedimento del nemico nella realizzazione delle proprie intenzioni. L'esclusione dagli elementi naturali come terra, acqua, atmosfera, cielo, spazio o dalle manifestazioni essenziali della vita pubblica e privata come i sacrifici o la recitazione dei versi formulari o, infine, dalle funzioni vitali come il respirare e il mangiare il mezzo con cui con estrema precisione analitica ci si augura la morte dell'avversario. L'inno XVI, 8 costituito dalla ripetizione ossessiva per ben 27 volte della stessa formula di maledizione in cui varia di volta in volta soltanto l'entit a cui si chiede di provocare la morte della persona odiata.

    (X, 5)

    1

    Voi siete la forza di Indra; voi siete il potere di Indra; voi siete l'energia di Indra; voi siete la potenza virile di Indra; voi siete l'eroismo di Indra; io vi unisco con le unioni della formula per unione vittoriosa.

    2

    Voi siete la forza di Indra; voi siete il potere di Indra; vi siete l'energia di Indra; voi siete la potenza virile di Indra; voi siete l'eroismo di Indra: io vi unisco con le unioni del potere per un'unione vittoriosa.

    3

    Voi siete la forza di Indra; voi siete il potere di Indra; voi siete l'energia di Indra; voi siete la potenza virile di Indra; voi siete l'eroismo di Indra: io vi unisco con le unioni di Indra per un'unione vittoriosa.

    4

    Voi siete la forza di Indra; voi siete il potere di Indra; voi siete l'energia di Indra; voi siete la

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    potenza virile di Indra; voi siete l'esorcismo di Indra: io vi unisco con le unioni di Soma per un'unione vittoriosa.

    5

    Voi siete la forza di Indra; voi siete il potere di Indra; voi siete l'energia di Indra; voi siete la potenza virile di Indra; voi siete l'eroismo di Indra; io vi unisco con le unioni delle acque per un'unione vittoriosa.

    6

    Voi siete la forza di Indra; voi siete il potere di Indra; voi siete l'energia di Indra; voi siete la potenza virile di Indra; poi siete l'eroismo di Indra: che tutti gli esseri siano a mia disposizione per un'unione vittoriosa. Voi siete unite a me, o acque.

    7

    Voi siete la parte di Agni, l'essenza delle acque, o Acque celesti. Ponete in noi vigore vitale. Per mezzo della funzione di Prajapati io vi depongo per questo mondo.

    8

    Voi siete la parte di Indra, l'essenza delle acque, o Acque celesti. Ponete in noi vigore vitale. Per mezzo della funzione di Prajapati io vi depongo per questo mondo.

    9

    Voi siete la parte di Soma, l'essenza delle acque, o Acque celesti. Ponete in noi vigore vitale. Per mezzo della funzione di Prajapati io vi depongo per questo mondo.

    10

    Voi siete la parte di Varuna, l'essenza delle acque, o Acque celesti. Ponete in noi vigore vitale. Per mezzo della funzione di Prajapati io vi depongo per questo mondo.

    11

    Voi siete la parte di Mitra e Varuna, l'essenza delle acque, o Acque celesti. Ponete in noi vigore vitale. Per mezzo della funzione di Prajapati io vi depongo per questo mondo.

    12

    Voi siete la parte di Yama, l'essenza delle acque, o Acque celesti. Ponete in noi vigore vitale. Per mezzo della funzione di Prajapati io vi depongo per questo mondo.

    13

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (17 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    Voi siete la parte dei Padri, l'essenza italiane acque, o Acque celesti. Ponete in noi vigore vitale. Per mezzo della funzione di Prajapati io vi depongo per questo mondo.

    14 Voi siete la parte del Dio Saviatr, l'essenza delle acque, o Acque celesti. Ponete in noi vigore vitale. Per mezzo della funzione di Prajapati io vi depongo per questo mondo.

    15

    Quella che di voi, o Acque, la parte delle acque all'interno delle acque relativa alla formula sacrificale, che serve per l'oblazione io ora la faccio scorrere: possa non lavarmici. Noi la facciamo passare su colui che ci odia e che noi odiamo: possa io ucciderlo, possa io abbatterlo con questa formula, con questo atto, con questa arma.

    16

    Quello che di voi, o Acque, il flusso delle acque all'interno delle acque relativo alla formula sacrificale, che serve per l'oblazione io ora lo faccio scorrere: possa non lavarmici. Noi lo facciamo passare su colui che ci odia e che noi odiamo: possa io ucciderlo, possa io abbatterlo con questa formula, con questo atto, con questa arma.

    17

    Quello che di voi, o Acque, il vitello delle acque all'interno delle acque relativo alla formula sacrificale, che serve per l'oblazione io ora lo faccio scorrere: possa non lavarmici. Noi lo facciamo passare su colui che ci odia e che noi odiamo: possa io ucciderlo, possa io abbatterlo con questa formula, con questo atto, con questa arma.

    18

    Quello che di voi, o Acque, il toro delle acque all'interno delle acque relativo alla formula sacrificale, che serve per l'oblazione io ora lo faccio scorrere: possa non lavarmici. Noi lo facciamo passare su colui che ci odia e che noi odiamo: possa io ucciderlo, possa io abbatterlo con questa formula, con questo atto, con questa arma.

    19

    Quello che di voi, o Acque, l'embrione d'oro delle acque all'interno delle acque relativo alla formula sacrificale, che serve per l'oblazione io ora lo faccio scorrere: possa non lavarmici. Noi lo facciamo passare su colui che ci odia e che noi odiamo: possa io ucciderlo, possa io abbatterlo con questa formula, con questo atto, con questa arma.

    20

    Quella che di voi, o Acque, la divina e variopinta pietra delle acque all'interno delle acque

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (18 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    relativa alla formula sacrificale, che serve per l'oblazione io ora la faccio scorrere: possa non lavarmici. Noi la facciamo passare su colui che ci odia e che noi odiamo: possa io ucciderlo, possa io abbatterlo con questa formula, con questo atto, con questa arma.

    21

    Quelli che di voi, o Acque, sono i fuochi delle acque all'interno delle acque relativi alla formula sacrificale, che servono per l'oblazione io ora li faccio scorrere: possa non lavarmici. Noi li facciamo passare su colui che ci odia e che noi odiamo: possa io ucciderlo, possa io abbatterlo con questa con questo atto, con questa arma.

    22

    Qualunque cosa di falso noi abbiamo detto da tre anni a questa parte, che le acque mi proteggano da ogni pericolo e dall'angoscia.

    23

    Io vi spingo verso l'oceano, andate nella vostra sede, senza subire danni per interi anni. Che niente ci danneggi in nessun caso.

    24

    Le acque non sono contaminate: portino via da noi la contaminazione, via da noi il peccato, via da noi il pericolo, esse dal bell'aspetto; portino via da noi il cattivo sogno, via da noi l'impurit.

    25

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dalla terra, con l'energia di Agni. Io vado dietro alla terra. Dalla partecipazione della terra escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale.

    26

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dall'atmosfera, con l'energia di Vayu. Io vado dietro all'atmosfera. Dalla partecipazione dell'atmosfera escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo. Possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale.

    27

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dal cielo, con l'energia del Sole. Io vado dietro al cielo. Dalla partecipazione del cielo escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo. Possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale. 28

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (19 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dai punti cardinali, con l'energia della mente. Io vado dietro ai punti cardinali. Dalla partecipazione dei punti cardinali escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo. Possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale.

    29

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dallo spazio, con l'energia del vento. Io vado dietro allo spazio. Dalla partecipazione dello spazio escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo. Possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale.

    30

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dai versi, con l'energia dei canti. Io vado dietro ai versi. Dalla partecipazione dei versi escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo. Possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale.

    31

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide rii vali, suscitato dal sacrificio, con l'energia della formula. Io vado dietro al sacrificio. Dalla partecipazione del sacrificio escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo per possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale.

    32

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dalle erbe, con l'energia di Soma. Io vado dietro alle erbe. Dalla partecipazione delle erbe escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo. Possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale.

    33

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dalle acque con l'energia di Varuna. Io vado dietro alle acque. Dalla partecipazione delle acque escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo. Possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale.

    34

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dall'aratura, con l'energia del cibo. Io vado dietro all'aratura. Dalla partecipazione dell'aratura escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo. Possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale. 35

    Tu sei il passo di Visnu, sei quello che uccide i rivali, suscitato dal soffio vitale, con l'energia dell'uomo. Io vado dietro al soffio vitale. Dalla partecipazione del soffio vitale escludiamo colui che ci odia e che noi odiamo. Possa egli non vivere, lo abbandoni il soffio vitale.

    36

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (20 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    Noi possediamo ci che abbiamo conquistato, noi possediamo ci che venuto alla luce. Io ho sconfitto tutti i malvagi che combattono contro di noi. Di "X", discendente di "Y", figlio di madre "Z"1 ora il vigore e l'energia vitale avvolgo, ora in respiro e la vita: lo faccio cadere all'ingi.

    37

    Io seguo il corso del sole, il suo corso verso destra. Me questa direzione mi procuri ricchezza, mi procuri un vigore vitale da brahmano.

    38

    Io mi volgo verso i punti cardinali pieni di luce. Che essi mi procurino ricchezza, mi procurino un vigore vitale da brahmano.

    39

    Io mi volgo verso i sette rsi. Che essi mi procurino ricchezza, mi procurino un vigore vitale da brahmano.

    40

    Io mi volgo verso la formula. Che essa mi procuri ricchezza, mi procuri un vigore vitale da brahmano.

    41

    Io mi volgo verso i brahmani. Che essi mi procurino ricchezza, mi procurino un vigore vitale da brahmano.

    42

    Quello a cui diamo la caccia possiamo abbatterlo con armi di morte. Noi lo abbiamo fatto cadere nella bocca spalancata di Agni che sta pi in alto.

    43

    La freccia lo ha colpito con le zanne di Vaisvanara. Che lo divori questa offerta e il potentissimo divino combustibile. 44

    Tu sei il legame del re Varuna. Lega allora "X", discendente di "Y", figlio di madre "Z" nel cibo e nel respiro.

    45

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (21 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    Di quel tuo cibo, o Signore dell'atmosfera, che sta sulla terra, concedine a noi, o Signore dell'atmosfera, o o Prajapati.

    46

    Io ho reso onore alle acque celesti: con il loro liquido ci siamo bagnati. Io son venuto, o Agni, ricco di latte: forniscimi ora di vigore vitale.

    47

    Forniscimi, o Agni, di vigore vitale, di prole e da vita. Possano gli dei conoscermi in questo modo; possa Indra conoscermi insieme con gli rsi.

    48

    Con quelle maledizioni, o Agni, che oggi i due2 potrebbero lanciare in coppia, con quelle aspre parole che chi maledice pronuncia, con quella freccia che nata dalla furia della mente perfora gli stregoni nel cuore.

    49

    Frantuma e caccia via con il calore, o Agni, gli stregoni; frantuma e caccia via con la fiamma il demone; frantuma e caccia via gli adoratori dei falsi dei, frantuma e caccia via quei fuochi molto brillanti che si cibano di vite.

    50

    Io che so lancio il vajra delle acque dalle quattro punte per spezzare la testa a quest'uomo; spezzi tutte le sue membra. Che gli dei me lo consentano.

    (XVI, 6)

    1

    Oggi siamo risultati vincitori, oggi abbiamo vinto, oggi siamo divenuti senza colpa.

    2 O aurora, svanisca quel cattivo sogno di cui abbiamo avuto paura.

    3

    Portalo lontano a colui che ci odia, portalo lontano a colui che ci maledice.

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (22 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    4

    Lo facciamo andare da colui che odiamo e che ci odia.

    5

    La divina aurora in accordo con la formula; la divina formula in accordo con l'aurora.

    6

    Il signore dell'aurora in accordo col signore della formula; il signore della formula in accordo col signore dell'aurora.

    7

    Essi portino lontano da qui verso "X" gli araya, i durnaman, le sadanva,

    8

    le kumbhika, le dusika, i piyaka3,

    9

    il brutto sogno in stato di veglia, il brutto sogno durante il sonno,

    10

    i desideri che non si avverano, i desideri di povert, i legami dell'odio da cui non ci si pu liberare:

    11

    tutto ci verso "X", o Agni, gli dei portino lontano da qui, affinch questi sia un castrato, uno che vacilla, un incapace.

    (XVI, 7)

    1

    Con questo4 lo perforo, con uno strumento di disgrazia lo perforo, con un mezzo di annientamento lo perforo, con la sfortuna lo perforo, per mezzo di Grahi lo perforo, con la tenebra lo perforo.

    2

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (23 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    Lo faccio comparire al mio cospetto con i terribili e crudeli ordini degli dei.

    3

    Lo pongo tra le due zanne di Vasivanara.

    4

    Cos, non cos possa essa inghiottirlo.

    5

    Quello che ci odia sia in odio a se stesso; quello che noi odiamo sia in odio a se stesso.

    6

    Escludiamo colui che ci odia dalla partecipazione del cielo, della terra, dell'atmosfera .

    7

    O tu dai buoni cammini, o tu provvisto di vista ,

    8

    io caccio via questo cattivo sogno su "X", discendente di "Y", figlio della madre "Z".

    9

    Da ci che ho intrapreso in ogni occasione, da ci che ho intrapreso di sera, da ci che ho intrapreso sul far della notte,

    10

    da ci che ho intrapreso da sveglio, da ci che ho intrapreso da addormentato, da ci che ho intrapreso di giorno, da ci che ho intrapreso di notte,

    11

    da ci che di giorno in giorno intraprendo, da tutto questo io elimino costui.

    12

    Abbattilo, divertitici, spezzagli le costole .

    13 Che egli non viva, che lo spirito vitale lo abbandoni.

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (24 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    (XVI, 8)

    1

    1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale, noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame, noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio di Grahi. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo, ora lo faccio cadere all'ingi.

    2

    5. 1 Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi proviamo "X": quell'" X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio di Nirrti. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    3

    6. 1 Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini. 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio dell'annientamento. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    4

    7. 1 Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale, noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X".

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (25 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    3. Egli non sia liberato dal laccio del dissolvimento. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    5

    8. 1 Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio della sventura. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    6

    9. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale, noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli, noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio delle sorelle degli dei. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    7

    10.1 Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio di Brhaspati. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo; ora lo faccio cadere all'ingi.

    8

    11. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio di Prajapati. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (26 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

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    9

    12. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio degli rsi. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    10

    13. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'" X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio dei discendenti degli rsi. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    11

    14. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio degli Angiras. 4 . Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    12

    15. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio dei discendenti dei degli Angiras. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    13 16. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi

    file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt (27 di 210)10/18/2008 7:41:53 AM

  • file:///C|/Program%20Files/eMule/Incoming/Atharva%20Veda%20(Ital).txt

    possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio degli Atharvan. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    14

    17. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio dei discendenti degli Atharvan. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    15

    18. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'" X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio degli alberi signori della foresta. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    16

    19. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio di quelli che derivano dagli i signori della foresta. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi. 17

    20.1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini:

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    2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'" x" discendente di "Y", figlio di madre" z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio delle stagioni. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    18

    21. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'" X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio dei periodi formati dalle stagioni. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    19

    22. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che e "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio dei mesi. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

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    23. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'" X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio dei mezzi mesi. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    21 25. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio delle due parti in cui diviso il giorno.

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    4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    23

    26. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio del Cielo e della terra. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    24

    27. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio, noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio di Indra e Agni. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    25

    28. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci e venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possediamo il bestiame; noi possediamo i figli; noi possediamo gli uomini: 2. del possesso di tutto ci noi priviamo "X": quell'"X" discendente di "Y", figlio di madre "Z" che "X". 3. Egli non sia liberato dal laccio di Mitra e Varuna. 4. Di lui il vigore e l'energia vitale, il respiro e la vita ora avvolgo: ora lo faccio cadere all'ingi.

    26

    29. 1. Noi possediamo ci che abbiamo conquistato; noi possediamo ci che venuto alla luce; noi possediamo l'ordine; noi possediamo l'energia vitale; noi possediamo la formula; noi possediamo il sole; noi possediamo il sacrificio; noi possed