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Pubblicazione Gratuita / Bimestrale / Anno III / Numero 18 N°18 LUGLIO/AGOSTO 2013 SWIMMING SWIMMING libera creatività italiana

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E' in arrivo il numero estivo di ArteSera che com’è nella nostra tradizione vacanziera sarà dedicato al tema del viaggio…Un viaggio che questa volta attraversa la creatività italiana, fatta di artisti, designer e aziende: una risorsa vitale da sostenere, promuovere, che può essere il miglior portabandiera di un’identità nazionale resa opaca e sofferente dalla storia politica e sociale recente. Vogliamo raccontare un universo fluido e sorprendente, dove si mescolano arte, musica,video, performance, letteratura: una piccola rassegna preziosa, che sarà il nucleo di un più ampio progetto con forme e derive diverse.

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Pubblicazione Gratuita / Bimestrale / Anno III / Numero 18N°18 LUGLIO/AGOSTO 2013

SWIMMINGSWIMMINGlibera creatività italiana

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In certi momenti storici di crisi economica e culturale, e di sistema, bisogna ricordare prima di tutto a se stessi, e poi agli altri, chi si è.Avere consapevolezza della propria identità per vivere il presente, progettare il futuro, con pienezza e positività. Non dimenticando il passato.

Si riparte, o si continua, sempre dal punto in cui si è giunti, da ciò che siamo.L’Italia deve ripartire dalla sua creatività, un talento diventato un marchio, riconosciuto internazionalmente, una dimensione che va dall’arte, dalle arti, a tutto ciò che è il grande mondo del design (dalla moda al food). Ambiti talmente limitrofi e permeabili, che spesso si sovrappongono, e sui cui confini molti artisti lavorano, creando meravigliose contaminazioni. Progetti liberi e cutting edge, che non vogliono definizioni e generi di appartenenza. Questo a noi sembra essere lo spirito più contemporaneo in cui si incarna l’italian life style.L’enorme e prezioso capitale che costituisce tutta la dimensione della creatività italiana è una risorsa vitale da andare a scoprire e raccontare, da promuovere. Una galassia mai ferma di piccoli e grandi nomi che formano un tessuto prestigioso, pieno di vita e dinamismo, che può essere il miglior portabandiera di un’identità nazionale resa opaca e in sofferenza da una storia politica e sociale recente. Un potenziale capace di traghettare e ridar forza a un intero sistema, un ambito in cui la creatività italiana può ritornare a essere l’eccellenza della nostra cultura e della nostra economia. Con questo numero di luglio parte un progetto con cui ArteSera cercherà di raccontare la creatività contemporanea italiana attraverso un largo sguardo che ne comprenda tutte le sue declinazioni. Un flusso dove si mescolano arte, musica, cinema, performance, letteratura, design. Abbiamo raccolto un fascio di progetti, dalla natura ibrida, sovversivi nella loro libertà, nutriti di stimoli e stilemi diversi, che rappresentano una parte del tutto. Che sono un’indicazione di marcia, la prospettiva della cultura italiana.

Direttore eDitorialeAnnalisa Russo

Direttore resPonsabile Olga Gambari

special editor Giuseppe Ghignone

segreteria di redazione Chiara Lucchino

art direction e progetto grafico Francesco Serasso

Hanno collaboratoAngela Ardisson, Stefano Arienti, Maura Banfo, Enrico Bassi, Marco Bernardi, Luca Bertolo, Veronique Bigò, Gisella Borioli, Sergio Cascavilla, Giancarlo Cristiani, Michela De Petris, Stefania Galegati, Piero Gilardi, Corrado Levi, Irina Novarese, Rossana Orlandi, Flora Ribera, Piergiorgio Robino, Roberta Tedesco, Federica Caterina Teti, Patrick Tuttofuoco, Elisa Sighicelli.

ContattiArteSera ProduzioniLungo Po Luigi Cadorna, 7 - 10124 [email protected]

TITOLO, TITOLO?

biMestrale / anno iii / nuMero 18Luglio/Agosto 2013

di Olga Gambari e Annalisa Russo

stampaSTIGE S.p.a.

Pubblicità[email protected]

Testata giornalistica registrata. Registrazione numero N°55 del 25 Ottobre 2010 presso il Tribunale di Torino Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n°20817

Tutti i diritti riservati: nessuna parte di questa rivista può essere riprodotta in alcuna forma, tramite stampa fotocopia o qualsiasi altro mezzo, senza autorizzazione scritta dei produttori.

diventiamo eroi quando decidiamo di scegliere la felicità. DAVID BOWIE

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MÉNAGE À TROIS (un po’ rivisto)

L o spirito di Ménage à trois è quello dello scambio e con questo nome, non poteva essere altrimenti. L’idea è semplice: invitare un’artista, un videomaker e uno

stampatore a lavorare insieme. Ciascuno mette le proprie idee e competenze al servizio degli altri al fine di creare un lavoro stampato, un video e una mostra finale dove vengono svelati i frutti della convivenza. Ménage à trois è nato nel giugno del 2012 come costola di PrintAboutMe (che a sua volta è un progetto in difesa della grafica d’arte contemporanea, alternativa e indipendente, messo in piedi da giovani artisti, stampatori e curatori che, attraverso una politica di auto-sostenimento e collaborazione, hanno dato vita a un circuito internazionale. http://www.printaboutme.it). Le prime cavie sono state Roberto Necco di Elyron e gli AuroraMeccanica. Nel marzo 2013 la seconda edizione del progetto ha ospitato Sophie Lécuyer e Claudio Malpede. Entrambe le residenze hanno visto come stampatore Paolo Berra e si sono svolte nel suo studio di serigrafia mentre le mostre finali sono state ospitate nello spazio della Van Der Gallery. Del progetto non esiste un vero e proprio bando. Essendo nato dalla voglia di confronto e di apertura verso l’esterno (e l’estero) chiunque (artista, videomaker o stampatore) può mandarci il proprio portfolio e proporsi per la residenza o proporci una residenza. Nella logica del progetto, infatti, c’è la volontà che Ménage à trois possa essere portato in giro per l’Italia, ospitato da altri laboratori o studi, per creare una rete di collaborazione e scambio.

http://www.printaboutme.it/m-e-n-ag-e-a-t-r-o-i-sStefano Riba

L’HOMELESS TOUR DEIGARDEN OF ALIBIS

H omeless è un tour un po’ particolare. Loro, i musicisti, i Garden of Alibis (che sono Andrea Dutto, Stefano Dughera, Vladimiro Orengo e Giacomo Felicioli,

giovane band torinese che non sta mai ferma e si inventa sempre formule nuove per far girare la sua musica), portano la musica e da bere- sono sponsorizzati dalla Bacardi. Gli altri, gli ospiti, mettono la casa e portano gente, il pubblico. Oltre che dare ai quattro dei GOA un letto e la cucina a disposizione. Per il resto è una classica tournee, che è partita da Torino e arriverà a Palermo, attraverso l’Italia dall’estate fino all’autunno.Una formula innovativa di live, che diventa esperimento di socializzazione, che permette di avere un basso costo di realizzazione e un’enorme condivisione di ogni aspetto. I concerti si tengono nelle case private di una rete di persone che, tramite soprattutto i social network, si è resa disponibile ad ospitare i musicisti.

www.gardenofalibis.com

DANIELE GALLIANOThe man who managed to get pussy off his mind*

L a storia di un uomo che riesce a togliersi il sesso femminile dalla testa diventa un film d’animazione che segna il debutto al cinema di Daniele Galliano.

Incomincia con un’inquadratura dall’alto. Una stanza. Un letto. Un uomo sotto le lenzuola. E un volo di fantasmi che penetrano in lui, un assalto di figure femminili. Poi, così come inizia, dall’alto finisce: lo sguardo si allontana, inquadrando via via il palazzo, il quartiere, la città, la Terra, la mappa del Mondo. In mezzo, c’è la storia dell’uomo che riesce a togliersi la figa dalla testa. Dura 2’38” ed è uno spettacolo, con la luna che vola via dal cielo come un palloncino bucato. Uno strepitoso film d’animazione. Un’opera d’arte, essendo opera di un artista. The man who managed to get pussy off his mind è il debutto nel cinema di Daniele Galliano, uno dei più importanti pittori italiani degli ultimi vent’anni, nato a Pinerolo, classe 1961. Sono 1200 disegni di 5 centimetri per 8, fatti con micromina e gomma temperata a spillo. Una bella invenzione di trama e di poesia firmata da Galliano con la collaborazione di Davide Borsa e Marco Quattrocolo.Realizzato in tre mesi (visto nel suo studio pieno di quadri, cavalletti, bici, strumenti musicali, tavoli, libri e un ping pong), verrà presentato in autunno alla Gam e, prima, in un paio di festival d’animazione. È una sorpresa in bianco e nero che riempie gli occhi di colore.

*Gian Luca Favetto(tratto dal sito di www.torino.repubblica.it, 6\4\2013)

RASSEGNA

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RASSEGNA

ANTONIO MARRAS

Il Consiglio Accademico dell’Accademia di Belle Arti di Brera ha da qualche giorno assegnato ad Antonio Marras il prestigioso doppio titolo di Accademico d’Italia, il

titolo di Socio Onorario, e il Diploma di Laurea di Secondo Livello in Arti Visive - Honoris Causa. Perché Marras (Alghero 1961) è un artista difficile da imbrigliare in una definizione. Certo stilista, come dichiara la sua carriera che l’ha anche visto direttore artistico della maison Kenzo. Ma poi anche visionario creativo, amante dell’arte, del teatro e della letteratura, del design, del cinema, ambiti con i quali contamina il suo fare, e a cui presta la sua immaginazione. Poesia, pittura, scultura e architettura si uniscono in un unico flusso anarchico e poetico fatto di stoffe, cuciture, segni. “Per me non ci sono confini tra le arti. Quello che cerco di fare con il mio lavoro è sconfinare, andare oltre, cercare link con altre discipline. Voglio distruggere le barriere per dialogare con il teatro, la danza, la poesia”. Molti dicono che sia un poeta.

INTERVISTA A GIULIA CAIRA

I l tuo lavoro si nutre di letteratura, cinema come imma-gine, teatro come idea di messa in scena, musica. Stilemi che si mescolano in una texture personalissima e ibrida.

Questo modo di procedere per me è molto istintivo, parte da un’idea, come in questo caso di Evil Sisters, in cui lo spunto è stato un evento di cronaca (un litigio tra due ragazze accaduto dieci anni fa, terminato con l’uccisione di una da parte dell’altra, in un appartamento proprio sopra Le Roi, a Torino, dove si svolge il video di Giulia Caira Evil Sisters, ndr). Poi mi si forma in testa un’immagine precisa, sorge da sola, e alla fine diventa assolutamente autonoma dal motivo contingente che l’ha, in qualche modo, prodotta. È un’immagine che, nel suo farsi, si nutre naturalmente di tanto altro, di elementi che arrivano da altrove, da altre dimensioni linguistiche e narrative, sensoriali, così come anche dall’inconscio. Un materiale denso, un testo che si va a comporre, definire, ripulire, a cui io dò ordine via via, sviluppando il lavoro. Nel tempo l’identità della mia immagine si sta sempre più avvicinando al cinema, anche perché io lavoro proprio come in un vero set. Dall’altra parte, però, la struttura cinematografica è completamente destrutturata, per suggerire un percorso più inconscio del pensiero, non immediatamente riconducibile e riconoscibile.La mitica sala da ballo Lutrario-Le Roi (progettata da Carlo Mollino a cavallo degli anni ‘50\’60) ha un legame diretto con il fatto di cronaca che ti ha suscitato l’idea di lavorare sul tema della conflittualità femminile, ma diventa anche un luogo immaginifico perfetto per il tuo progetto.

Sono partita dal fatto che Evil Sisters doveva assolutamente essere girato in quello spazio e che doveva essere una messa in scena, che interpretasse quell’evento nel suo significato collettivo, perché sono convinta che quando accadono fatti così drammatici in qualche modo c’è una responsabilità sociale. Questo lavoro fa parte di un progetto più ampio che è quello sulla nostra guerra, quella che stiamo vivendo nelle relazioni, nella difficoltà della quotidianità, una guerra reale e non dichiarata. L’altra faccia della medaglia.Per questo è un lavoro che non dà risposte, ma che vuole suscitare domande, diverse però da quelle che siamo abituati a sentire, e che si rifanno sempre agli stereotipi più facili e rassicuranti.

DAVIDE MANULI

Per Davide Manuli il cinema è una dimensione di immaginario libero, dove la realtà è sempre un punto di vista relati-vo, parallelo, in cui si fondono stilemi che arrivano da tutto il mondo dell’arte, alta e bassa. Il suo di punto di vista è comunque e sempre visionario, immaginifico. Di grande sperimentazione e libertà linguistica. Alla fine degli anni ’80

è attore all’Actor Studio e al Lee Strasberg Institute, poi assistente di Al Pacino e Charly Laughton. Recita, scrive sceneg-giature e fa un libro poetico-fotografico con l’artista Fabio Paleari. Dal 1997 gira corti, lunghi, documentari (come quello su Abel Ferrara, mai terminato). Ora è nelle sale italiane il suo ultimo film, La leggenda di Kaspar Hauser (seconda parte di un dittico ideale cominciato con Beket, che era un’audace rilettura di Aspettando Godot di Beckett, in cui però, i due protagonisti di Manuli, stanchi di aspettare Godot, decidono di andarlo a cercare dando vita a un viaggio surreale), un’interpretazione lisergica di un testo già portato sullo schermo da un altro visionario, Herzog. Il meccanismo del lancio del film è molto particolare, anomalo, segue la prassi del tour di un gruppo musicale. Il film è interpretato da Vincent Gallo, Fabrizio Gifuni, Claudia Gerini e Silvia Calderoli, attrice della compagnia dei Motus, che è l’androgino Hauser. Ci sono Dj, pusher, sceriffi, un messia, un prete.Girato in Sardegna - nei luoghi dove tanti western in passato hanno trovato paesaggio e suggestioni -, in pellicola e in bianco e nero, La leggenda di Kaspar Hauser è dedicato al non-senso della comunicazione contemporanea. Grande ricerca stilistica, una narrazione che si fa icastica, sullo sfondo di visualizzazioni astratte come quadri metafisici e simbolisti. C’è anche un monologo scritto da Giuseppe Genna. Come sempre la musica, soprattutto quella elettronica, ha un ruolo fondamentale nel lavoro di Manuli: l’artista francese Vitalic ha creato le particolari sonorità del film, un battito cardiaco “non umano”.

HAMSTERS STUDIO

Non sono i primi ad attingere al mondo animale per darsi un nome, ma il senso dell’appellativo Hamsters, ovvero criceti, per definire il collettivo milanese lo

troviamo originale e soprattutto attinente. Come raccontano gli stessi autori, Marco Teatro, Davide Ratzo Ratti e Fabrizio, detto Bicio, Folco Zambelli, il nome nasce nel loro contesto progettuale, ambito in cui uno dei tre componenti inizia a girare più velocemente degli altri per dare forma ad un’idea. Così, scherzosamente, affiora l’idea di un cervello dove alberga un criceto in gabbia che da un momento all’altro inizia a far girare la sua ruota, e senza concedere tempo alle spiegazioni porta avanti il progetto.Hamsters Studio è un’avventura creativa nata secondo la più legittima delle cause, “per affinità lavorativa”. Lo studio apre nel 2008 con un unico obiettivo: quello di dare forma ai propri pensieri, alla propria weltanschauung; è laboratorio creativo, artigianale, indipendente e artistico che si muove secondo multiformi ambiti. Li vediamo realizzare gli oggetti di scena per Old Woman e il Macbeth di Bob Wilson, collaborare alle creazioni spettacolari di Margherita Palli, progettare con Gianni Carluccio, ideare oggetti di design per Italo Rota, e ancora installazioni, site-specific e decorazioni d’interni. I protagonisti del laboratorio sono artisti e creativi, designer, scenografi e grafici, realizzatori di progetti artigianali unici. I tre componenti emergono operando attraverso tre modelli formativi differenti e il loro punto di forza sembra essere quello di saper operare in sinergia, dando sempre spazio “al criceto” che si mette in moto e stando al suo seguito.

HAMSTERS FOTO

“Sono un poeta? Sono un artista? Non so, ma le incursioni nell’arte fanno parte di me. Del resto, da sempre, per chi lavora in questo campo, l’arte è stata fonte privilegiata di ispirazione e vi è uno stretto confronto dialettico tra mondo dell’arte e mondo della moda. Molti parlano di abolizione dei confini tra i due territori, altri discutono se sia l’arte ad ispirare la moda o la moda l’arte. E’ un lungo discorso: si tratta di due realtà che s’incontrano e scontrano, alimentandosi reciprocamente.”Difficile dire, invece, se i suoi disegni siano bozzetti di moda, ritratti, schizzi, scrittura automatica, story-board.“L’arte per me è una passione, e come tale va coltivata. Mi informo, la cerco e vi dedico tutto il tempo che posso. Se una mostra, una performance o uno spettacolo mi interessano, nulla mi frena e rinuncio a tutto pur di non perdermeli. Per chiunque faccia il mio mestiere l’arte è una molla potentissima e una grande fonte di ispirazione, e io sono sempre affamato di immagini e di suggestioni…”.

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M A S B E D O

L a libertà di meticciare è il vostro segno. Un fare comune al mondo dell’arte?

Nell’arte, al di là di dichiarazioni e etichette, in realtà c’è molta più rigidità e paura di farlo fino in fondo.Noi siamo sempre stati videoartisti puri. Lavoriamo sul piano registico creando delle cose che non esistono. Facciamo vedere al pubblico che siamo artigiani che stanno creando le immagini, ma il pubblico, anche e contemporaneamente, vede nello schermo la rappresentazione iper-estetica delle immagini che stiamo costruendo. Per noi è fondamentale la relazione dell’arte con altri linguaggi, far vedere anche tutti i rischi che l’arte corre. Per esempio l’errore, il brutto, sono tutti elementi che si cerca di mettere sotto il tappetino, invece noi li mostriamo, nel tentativo di ricerca di bellezza.Ma il pubblico dell’arte è spesso distante da questo tipo di ricerca. Ce ne siamo accorti chiaramente quando abbiamo presentato un video girato in Islanda, Glima (2008), che ha viaggiato da RomaEuropa alla Tanzhaus di Düsseldorf: era una cosa particolare, che contaminava il teatro-danza con l’arte. E ancora di più quest’anno, con il progetto Le Remède de Fortune ispirato a Guillaume de Machaut, musicista visionario e geniale del Trecento, che abbiamo portato in scena con l’orchestra Sentieri Selvaggi e Fanny Ardant a RomaEuropa, imbastito sulla dinamica dell’improvvisazione dal vivo. Ci sono state due date a Roma e una al Teatro Strehler di Milano. In sala non c’era una sola persona dell’arte. Per dire, che il mondo dell’arte non ti segue in questi territori, che sono magnifici perché tu, oltre alla tua capacità di saper essere

un videoartista, devi attuare anche un piano registico dell’immagine. Come può bastarti nella vita fare solo e unicamente video? Riempire musei e gallerie mettendo dei plasma o dei proiettori? Devi metterti in discussione. Steve McQueen e Sam Taylor Wood sono stati nel territorio dell’arte, poi hanno iniziato a far fatica, hanno avuto bisogno di espandersi, ma non era un capriccio, era un’urgenza. Bisogna rompere questa etichetta dell’artista contemporaneo che rimane solo nel suo sistema feudale, perché è limitante. Per sé e per il pubblico. State lavorando a un progetto con la coppia di registi Ricci\Forte (che in realtà si definiscono art-makers) Il prossimo progetto non so neanche dire esattamente che cosa sia. Sarà una performance multimediale fatta in collaborazione con Ricci\Forte: andremo su una piccola isola e imposteremo un impianto registico tipo cinema, per due\tre giorni, che verrà messo in streaming. Fuori da qualsiasi definizione e contesto. Ne faremo un’opera a cinque schermi, un’azione diretta e performativa che viene filtrata dalle telecamere, utilizzando un’estetica “filmottica”. Il video ha proprio in sé questa possibilità e questa esigenza. Per noi il meticciare, il mettere insieme, l’imbastardire è diventato un atto politico, dimostrativo. Io dico sempre che bisogna ritornare a fare gli artisti che stanno con gli artisti, che voglio avere amici artisti, perché mi interessa che il poeta, lo scrittore stiano con il pittore, che il pittore sia amico del jazzista, cioè che torni una dinamica di fusione, del rimettersi insieme.

Avete sempre avuto rapporti diretti con gli scrittori e i musicisti, gli attori con cui collaborate.Ci interessa solo questa modalità di collaborazione. Con lo scrittore francese Michel Houellebecq abbiamo lavorato cinque anni, lui ha sempre scritto cose originali creando il progetto direttamente con noi. Dal primo 11.22.03 - che è il video che ci ha lanciato, lo presentammo nel 2002 ad Arco a Madrid dove vinse come migliore opera, suscitando anche un grande dibattito). Un lavoro durissimo, teatro spinto con due schermi, musica d’organo e sound-design curato da alcuni elementi del gruppo dei Bluvertigo fino a Il mondo non è un panorama con Juliette Binoche. Già dall’inizio noi siamo partiti meticciati. Con il gruppo musicale dei Marlene Kuntz abbiamo collaborato spesso: Glima, nel 2008, poi Schegge d’Incanto (in cui recitavano Sonia Bergamasco e Ramon Tarès della Fura dels Baus) alla Biennale di Venezia l’anno dopo, insieme a Gianni Maroccolo. E qualche giorno fa con loro abbiamo fatto una performance improvvisata e libera a Ca’Foscari, a Venezia, tra suoni e immagini.Vogliamo sempre prendere un’idea, metterla nel territorio della complessità e continuare a spostare oltre il confine, rischiare.

State lavorando anche a un film.Sì, un lungo per le sale. Con il mondo del cinema abbiamo avuto spesso contatti. Nel 2010 siamo andati a Basilea, a Art Unlimited con la video-installazione Kreppa Babies, su cinque schermi, un lavoro sociale forte. Anche lì l’atteggiamento del mondo dell’arte è

stato di disinteresse a priori. Poi il regista Davide Ferrario vede il lavoro, se ne innamora e ci chiede di farne un’edizione a schermo unico. In sette mesi siamo già stati a nove festival, da Venezia Roma, Reykjavík, Copenhagen, Parigi. E io mi chiedo, come è possibile, che uno stesso lavoro, in ambiti diversi, susciti reazioni così opposte?Il film che stiamo girando, è formato da 5 capitoli che parlano di altrettante donne, che stanno cercando di resistere. Il tema è la mancanza, il titolo infatti è proprio De lac (la mancanza). Queste donne vivono in paesaggi assolutamente allucinanti, con una visionarietà tra Terrence Malick e Lars von Trier. Ci sono serre che galleggiano, abiti bianchi sospesi su villaggi di pescatori, laghi caldi che emettono vapori, fari su scogli. Non si vede nessuno, solo queste donne. Due episodi li abbiamo girati in Islanda, il prossimo sarà a Ginostra, un omaggio ad Antonioni, al suo film L’avventura. C’è un aspetto pittorico e scultoreo nella composizione delle vostre immagini, pur animate da una grande dinamicità performativa, legata alla danza e al cinema. Un’idea di opera totale, wagneriana.Abbiamo una visione sacrale dell’arte. E noi citiamo proprio Wagner come esempio dell’opera d’arte totale, alla quale aspiriamo, che ci interessa.C’era un poeta spagnolo che diceva di vedere l’arte come un’arma di resistenza alla vita. L’artista è un parassita, cioè colui che si attacca alla realtà, la vede e la succhia per portare sacralità, di ritorno, all’interno stesso della realtà.

Nicolò Massazza (1973, Milano) e Iacopo Bedogni (1970, Sarzana)

www.masbedo.org

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FOCUS BIENNALE

INTORNO ALLA BIENNALEtesto di OLGA GAMBARI

“Nel 1907 furono costruiti i primi padiglioni stranieri… A più di cent’anni di distanza tutto il mondo della cultura si riunisce ancora a Venezia ogni due anni… La Biennale comprende anco-ra solo 28 Padiglioni nazionali ai Giardini, mentre le altre nazioni si vedono costrette a cercare

nel labirinto di Venezia uno spazio da affittare… Ma che cosa ci racconta l’architettura dei Giardini? Ribadisce chiaramente un vecchio, obsoleto, ordine che non corrisponde alla realtà attuale… Il mio progetto Venezia, Venezia riproduce, nel Padiglione Cileno, uno dei tanti ponti di Venezia. Sul ponte è collocata una vasca metallica piena d’acqua. Ogni tre minuti una struttura dall’aspetto riconoscibile comincia a emergere e si erge al di sopra della superficie. È una fedele riproduzione dei Giardini…che restano in superficie solo per alcuni secondi… per poi ridiscendere… e scomparire… Ho cercato di creare uno scenario futuro in cui i Giardini sono scomparsi…per suggerire che non sono in grado di accogliere la natura globalizzata della cultura contemporanea…questa fantasia storica viene messa a confronto con la rappresentazione di un altro momento culturale storico: una fotografia…che ritrae l’artista italo-argentino Lucio Fontana mentre visita il suo studio al ritorno a Milano dall’Argentina nel 1946 alla fine della seconda guerra mondiale… L’immagine innesta un flashback…gli artisti italiani di allora… furono in grado di superare anni d’isolamento e di distruzione e di riportare la cultura italiana nel mondo…La cultura, quindi, può influenzare il cambiamento.”

www.alfredojaar.net/venezia2013.press

T he Unconnected – The Third Internet Pavilion, è un progetto di Miltos Manetas, curato da Francesco Urbano Ragazzi, che ha preso casa nell’antico Oratorio di San Ludovico a Dorsoduro durante la Biennale di Venezia in corso. All’interno l’artista greco ha realizzato un ciclo di dipinti a olio, ispirati alle pitture sacre e devozionali del Rinascimento Veneziano. I santi

patroni dell’Internet Pavilion sono gli Unconnected: quelle persone che nonostante tutto vivono ancora senza email, website e social network, incredibilmente immuni dalla dipendenza da internet. In un’epoca come la nostra, in cui i confini tra reale e virtuale si sono cancellati, queste persone sembrano incarnare le antiche figure dei monaci o dei santi, che si estraevano in vite ascetiche e isolate. Non è facile conoscerli. Due mesi prima della Biennale è stato lanciato su Facebook un censimento on line perché ciascuno indicasse il nome di qualche Unconnnected che conosceva personalmente. Tra loro sono usciti vari personaggi, tra cui anche Luigi Ontani e Enzo Cucchi. Arte connessa, arte sconnessa?

www.padiglioneinternet.com

L’idea innovativa e provocatoria è di prestare attenzione alle varie scene artistiche locali, in occasione di eventi internazionali e mondani del sistema dell’arte globale,

che travolgono i luoghi dove vengono accolti come colonie parassite e cannibali. Tutto parte qualche mese fa dalla vetrina di una trattoria storica milanese, Il Carpaccio, in zona Porta Venezia, da cui il nome del progetto, Crepaccio, ironico e leggero. Un mini-museo su strada che offre una vetrina a giovani artisti emergenti milanesi. Poi c’è stato il Padiglione Crepaccio a Venezia, in occasione dell’inaugurazione della Biennale d’arte, con un gruppo di studenti di accademia e Iuav che ha esposto in una casa all’interno di un palazzetto seicentesco, proprio dietro al Teatro La Fenice. Cuore del progetto Caroline Corbetta (aiutata da alcuni collaboratori come gli artisti Marcello Maloberti e Yuri Ancarani), che dice* “Il Padiglione Crepaccio at yoox.com (I Veneziani) è dedicato ai giovani artisti che studiano e lavorano a Venezia e che quando, una volta ogni due anni, la loro città si trasforma nel palcoscenico per l’arte contemporanea più importante al mondo, non ne traggono particolare vantaggio in termini di visibilità. Praticamente spariscono. Allora noi cerchiamo di offrirgliela, questa visibilità… Noi ci stiamo

muovendo in un modo che definirei mimetico all’interno del sistema, ragionando sulle sue regole per imbastire una provocazione e sollecitare una riflessione… Il paradosso, infatti, è che a Venezia sembra che nessun curatore, nemmeno l’ultimo arrivato tra gli stagisti delle mega-realtà internazionali atterrate in città (Pinault e Prada su tutti), abbia mai visitato i loro studi. È come se mancasse un ponte tra questi due mondi”. Il clima delle inaugurazioni e delle mostre è informale, accogliente, molto curato, un invito dove gli ospiti speciali sono il pubblico e gli artisti. Solo loro al centro. Dopo le mostre i lavori continuano a essere esposti e in vendita sulla piattaforma on line di yoox.com (vetrina che dal 2000 si occupa di vendere prodotti legati alla creatività, dalla moda all’arte), sponsor del progetto. La vetrina milanese dell’arte ha appena inaugurato una seconda mostra “Pòta!” con diciotto studenti dell’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo, curata da Liliana Moro, artista storica della scena contemporanea, e milanese, simbolo di un riconoscimento globale-locale, e quindi, semplicemente perfetta.

* intervista tratta da Domusweb.it, maggio 2013ALFREDO JAAR, PADIGLIONE DEL CILE, ARSENALE

THE THIRD INTERNET PAVILION

IL PADIGLIONE CREPACCIO

ROMEO CASTELLUCCI

avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità. Auriti progettò un edificio di 136 piani che, nella sua idea, doveva raggiungere i 700 metri di altezza e occupare più di 16 isolati di Washington. “L’impresa rimase incompiuta, ma il sogno di una conoscenza universale e totalizzante attraversa tutta la storia dell’arte e dell’umanità e accomuna personaggi eccentrici a molti artisti, scrittori, scienziati e profeti che hanno cercato, spesso invano, di costruire un’immagine del mondo capace di sintetizzarne l’infinita varietà e ricchezza” dice Gioni.Il secondo è il cuore della mostra. È Il Libro Rosso di Carl Gustav Jung: decine delle tavole disegnate a mano da Jung, tra il 1914 e il 1930, sono esposte come quadri, come porte d’accesso su un altrove, disposte a cerchio, con illuminazione bassa. Raccontano di sogni e

ossessioni, visioni e incubi, a occhi aperti, turbamenti, l’inconscio, la memoria, l’immaginario, paure e desideri. Introducono al corpo dell’esposizione, un risucchio fatto di disegni, foto, arazzi, video, tavole enciclopediche, bestiari, labirinti, performance, scritture, installazioni, dipinti, disegni, sculture. Una sezione è curata da Cindy Sherman, una wunderkammer dentro a un’altra, scatole cinesi dove bisogna lasciarsi sprofondare, lasciarsi stupire, senza aspettative, senza giudizi. Si scopre la bellezza in opere che non si presentano come tali, perché ognuno ha i propri feticci, la sua immaginazione e la sua storia personale.

Così facendo Gioni esplora e porta dentro al concetto dell’arte tutto lo scibile umano, l’umano fare, pensare, sentire. Ha costruito, appunto, un palazzo enciclopedico- che è proprio il titolo della sua biennale-, che è un po’ un castello fatato, dove perdersi e curiosare. Abbatte i concetti di cultura alta e bassa, di outsider e insider, di professionisti e dilettanti, di arti minori e maggiori. Una scelta familiare a quella che è la cultura anglosassone, americana soprattutto, e che è anche, e naturalmente, debitrice e sorella della ricerca iniziata da Dubuffet con l’art brut.Due sono i punti di partenza di tutto il progetto.Il primo è ideale, è l’ispirazione. Nel 1955 Marino Auriti depositò all’ufficio brevetti statunitense il progetto di un Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che

N on solo le opere ma anche, e soprattutto, il pro-getto stesso. Un progetto speciale, colto e ac-cogliente, coraggioso, libero, personale. Certo, un progetto anche molto museale, che non tiene conto del ruolo di esplorazione nell’attualità

che la Biennale dovrebbe avere. Ma pazienza. La Biennale di Massimiliano Gioni è un viaggio libero nel mondo, tra pas-sato e presente, oltre sistemi, categorie, generi. Una wunder-kammer dove l’arte è qualcosa che scorre libero e folle, che avvolge persone diverse, ambiti impensabili. Gioni presenta lavori di sconosciuti per lo più, soprattutto al sistema dell’ar-te contemporanea. Non ci sono movimenti, scuole, facezie, solo la giungla meravigliosamente anarchica della creativi-tà. Nessun drappello di nomi di punta (a parte i due leoni alla carriera, andati a due leonesse, Marisa Merz e Maria Lassnig), storici o new entry, ma artisti spesso inconsapevoli, che facevano mille altri mestieri, che non sapeva di fare arte, seguivano solo un istinto, una necessità. Arte come destino, liberazione, ossessione. Magia che si compie, prima per sé, poi per gli altri.

A.J. maggio 2013

Il prossimo 2 agosto a Venezia verrà assegnato il Leone d’oro alla carriera della Biennale di Venezia al regista Romeo Castellucci, fondatore della Socìetas Raffaello Sanzio. Jan Fabre dice che “quando si parla dell’Italia, io, il primo nome che faccio, è quello di Romeo Castellucci”. Sicuramente uno degli artisti più creativi e noti al mondo, poco conosciuto e riconosciuto solo nella sua patria, l’Italia, dove lavora pochissimo.Le motivazioni di questo premio le ha scritte di sua mano il Direttore artistico della sezione Teatro della Biennale, il regista catalano Alex Rigola: “Per la sua

capacità di creare un nuovo linguaggio scenico in cui si mescolano il teatro, la musica e le arti plastiche… Per averci trasportato in mondi paralleli per poi riportarci indietro e rivedere i nostri stessi mondi e trovarli differenti… Per aver unito strettamente il suo nome alla parola Arte. Per aver fatto dell’Italia un riferimento internazionale attraverso la creazione e la rappresentazione delle sue opere alla fine del XX secolo e all’inizio del XXI… E per essere stato una grande fonte di ispirazione per le generazioni successive a cui ha regalato un magma di nuovi linguaggi scenici”.

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LUOGHI DELLA CREATIVITà

FARm CuLTuRAL PARk (FAvARA)

F arm Cultural Park è un Centro Culturale e Turistico Contempo-raneo diffuso, insediato nella par-te più antica del Centro Storico di Favara, paese Siciliano a 6 km

dalla Valle dei Templi di Agrigento.In pratica il centro storico diroccato e abbandonato è stato via via ristrutturato e trasformato in centro d’arte, con una forma partecipata di ripopolazione e azione. Si tratta di un’istituzione culturale privata, impegnata in un progetto di utilità sociale e sviluppo sostenibile: dare alla città di Favara e ai territori limitrofi una nuova identità connessa alla sperimentazione di nuovi modi di pensare, abitare e vivere. Gli autori, i sognatori, sono Florinda Saieva e Andrea Bartoli, insieme a Enzo Castelli e a un gruppo di giovani architetti: hanno deciso di non trasferirsi all’estero, di restare in Sicilia, di non lamentarsi di quello che

non accade, di diventare protagonisti di un piccolo ma significativo cambiamento, di restituire un piccolo pezzo di mondo migliore di quello che hanno ricevuto. I Sette Cortili sono una sorta di Kasba Siciliana, sette piccole corti collegate tra loro che ospitano una serie di piccoli palazzotti e nascondono alcuni piccoli ma meravigliosi giardini di matrice araba. Dal 2010 costituiscono il cuore pulsante delle attività culturali di FKP. Una programmazione culturale vitale e aperta a tutti: mostre temporanee e installazioni permanenti, residenze per artisti, workshop, presentazioni di libri, concorsi di Architettura hanno fatto guadagnare nel 2011 il Premio Cultura di Gestione di Federculture e nel 2012 l’invito alla XXIII Biennale di Architettura di Venezia.

http://www.farm-culturalpark.com

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LUOGHI DELLA CREATIVITà

BIRRIFICIO mETZGER (TORINO)

CIBO E DINTORNI

mANIFATTuRE kNOSS (LECCE)

Le Manifatture Knos di Lecce sono un esperimento culturale e sociale in continuo divenire, nate dal progetto di riqualificazione di una vecchia scuola di formazione per operai metalmeccanici abbandonata da anni. Il coinvolgimento spontaneo di cittadini, artisti e professionisti, che si sono presi cura di restituire alla città un bene comune, ha dato vita a un centro internazionale di ricerca

formazione e produzione culturale (di proprietà della Provincia di Lecce che lo ha affidato all’associazione culturale Sud Est nel dicembre 2006), basato sull’autonomia artistica e organizzativa. Molti dei partecipanti a questo percorso hanno ideato e promosso progetti culturali innovativi, nell’ambito del cinema, del teatro, della danza, della musica, dell’editoria, dell’infanzia, delle arti applicate, del design, dell’arte contemporanea, della progettazione partecipata, che li hanno condotti a dare vita a realtà associative. In questi anni sono nate importanti collaborazioni con centri culturali - a Marsiglia, Parigi, Kyoto, Santiago del Cile, Jaffa - per la creazione di una rete internazionale che favorisca lo scambio proficuo e costante di esperienze differenti. Nel 2008 trova casa qui Radio Popolare Salento; nel 2010, in una nuova porzione dello spazio, ha preso casa il Cineporto dell’Apulia Film Commission. to be continued…

http://www.manifattureknos.org

S ono cuochi, attori, performer, grafici, designer, musicisti e molto altro. Forzano i confini del concetto del food mai dimenticandosi, però, della cucina come esperienza di materie prime, lavorate e consumate da bocche che, oltre a

papille gustative, sono anche occhi, orecchie, cervello, cuore. L’atto del cucinare stesso diventa momento artistico in cui accade qualcosa di speciale, un melting ripieno, ma di stimoli. CuochiVolanti a Torino, The Fooders a Roma. Sono realtà difficili da descrivere in breve e con precisione,

perchè fanno cucina, fanno cultura, si divertono e fanno star bene. Le loro sono azioni gastro-performative. Anche se ti recapitano la cena a casa in bicicletta. Rendono il cibo un’esperienza creativa sfaccettata, ricca, una piattaforma di esperienze. La tua casa e la tua cucina trasformata in un palcoscenico per una sera. Cene a sorpresa, dove l’indirizzo si sa all’ultimo, allestite in luoghi inaspettati e condotte come serate uniche, dove si entra a far parte di performance, di teatro, spettacoli. Per esempio i CuochiVolanti riuniscono ogni anno la summa della loro identità ibrida

nel festival “Play with food”, una piattaforma che raccoglie eventi di linguaggi e forme artistiche diverse, accomunate dal cibo. Per esempio The Fooders sono stati tra i primi in assoluto a inventarsi gli spettacoli di live cooking, salendo sul palco con cibo, illustrazioni grafiche dei loro piatti come fossero opere, spartiti, e poi musica con dj (amano l’hip hop newyorchese).

http://www.cuochivolanti.itwww.thefooders.it

U n’ex fabbrica di birra, uno spazio flessibile dal fascino post-industriale si è trasformato in un centro di cultura contemporanea. A partire da gennaio 2012, grazie alla collaborazione di due associazioni (MicroMacro Art Zone e Innovazione Club di Lavoro) sono stati attivati diversi progetti: Macerie, Transition

Zone, Un’altra storia... Parliamo del Birrifficio Metzger, CCC. Recentemente inaugurato, si è imposto per le collaborazioni attuate e per una filosofia di fondo, che prende spunto dal modello delle Kunsthaus, con l’obiettivo di creare uno spazio che possa ospitare le arti in piena libertà creativa. Il progetto è indipendente e autofinanziato, con la volontà di affermare che si può fare, anche senza il sostegno pubblico.

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