arte e letteratura - rose.uzh.ch€¦ · l’arte, con l’affetto che ogni opera esige da chi...

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Martedì, 28 erosi» ISSI — Num. 197 l i b e r a s t a m p a Par s ARTE e LETTERATURA PAGINA QUINDICINALE Redazione ; Eros BelUnelli "LE STRADE ROSSE,, La sia pur operosa provincia letteraria ticinese, alùinè, spesso provincia rima ne; come una rasa d’affitto: con i pette golezzi, le invidie, le comunelle; tra p a no e piano, tra porta e porta; ci hanno, magari voce in capitolo gli scontenti, gli sciocchi, 1 vanagloriosi. E riesce diffici le far credere che una recensione non; entri il fastid oso fumacchio di un turi bolo 0 il pepe dispiaciuto di un nostrano salame. Crede l’amico Soldini che del suo libro cercheremo di parlare come fosse quello, di, un autore di Roccaverdina: serena mente e tuttavia con sincera « pietas » per l’arte, con l’affetto che ogni opera esige da chi ravvicina. Da qualche anno è venuta a rinverdire le benemerite fronde laureate del. nostro Parnaso una. schiera di giovani tra i ven ti e i trent’anni; Adriano Soldini già vi occupa un non piccolo posto.per un appor to tempestivo e assai dignitoso di poesia e di cWtlca militante. Professore d’italiano e latino al Oinnasio di Lugano, il Sold ni non antepone — sono parole sue — « il tanfo scolastico al libero sentimento del l’uomo ». E’ un esempio di come si debba lievitare con tormento il già importante compito di un educatore. « Le strade rosse » (con .l’impegno di un volume — centoquattro pagine fitte che conosce il fervore di una lunga amo rosa fatica, per dare carne alla prima creatura dei propri sogni) viene cosi a completare, in una istanza superiore, una vocazione indubitabile. B ci. sembra .che esso rappresenti in certo* qij“al"'m'òdó' lo sfociare logico delie due • àttìvità precedenti : da^una parte il prosatore (informatissimo delie più mor'. derne correnti della prosa italiana, nu trito di salde letture), dall’altra il poeta non più alle prime armi. I diciassette qua dri e quadretti del libro, più qhe prose, le’ avranno chiamate prose liriche, per quel tanto di incandescenza e dj vibra zione del sentimento che ne informa le regioni migliori. Non si dimentichi poi qhe siamo di fronte al primo Hbro di un giovane: « Le stfade rosse » sono ambientate perciò nel paese, e più nella casa, e più nella rac colta cerchia di affetti familiar;;. rievo cazioni autobiografiche o comunque in .prima persona; nè un romanzo nè un se guito di novelle, ma un riunirsi di im pressioni: pagine di diario,. infonm)^.,An- chp,questo è buon segno, a ben,vedere: di modestia e di s ncerità non petulàntè'; il Soldini fa il primo passo ed è passo sicuro; ma per i sentieri diruti vuol farsi le ossa. Sicuro di sè, poi, il Soldini può essefe davvero. Per poco che si guardi a una pagina del suo libro apparirà' Una dovizia di.mezzi espressivi (parole è sintassi) fra 1 non più frequenti alia letteratura tici nese. L’autore sa il fatto suo come po chi. Lo sostengono e nutrono assidui stu di! universitari, la comunione cori il Ia lino e la filologia romanza: dà frutti per radei profonde. Dopo tante pagine ap prossimative. dopo tanto dialetto « italia nizzato », fa bene riconoséere anche fra noi una prosa che si stacchi da pastoie regionali e potrebbe essere perfettamente compresa, mettiamo, a Caltan setta o a Trieste. Il suo è italiano e basta. Come conosca la lingua, quanto prezìo- saméntei*’adotiei-l*.’il termine esatto usu fruendo <ii.ogni riposta ricchezza, giu dichino i lettori : quanti di loro conoscono il significato preciso di «bautta», «cap- pezzàgne », « trutina », « mesere », « igua ne », « geco », « redola », « bigattiere », « affane i «« gote macubine », < pesca du racina »? Di fronte a tanta copia di materiale sti- I stlco, fa specie, all’opposto, una altret tanto insolita modestia di argomenti. «In fondo al nostro cuore sta regina la poe sia delle cose piccole e trascurate», «Bea to chi sa pensare all’eterno e alla spe- C za seduto su una ripa breve e colu te di fronte » (pp. 69-70) : ricordi del l’adolescenza, incontri con vecchi e lu certole ragni calabroni e alberi e ragaz- .zè del Mendrisiotto, temporali, feste di ■carnevale, telai, conocch e, carezze ma terne, accensione imberbi: piccole grandi cose trascurate. Il problema estetico e la novità del Soldini, si concentrano proprio nel con trasto tra i ricchi mezzi espressivi e la flebile sostanza del canto. Pericola di re torica, dunque, pericolo di infingimenti parnassiahu pericolo di una compiacen za letteraria di contro all’umiltà dell’as- BUnto. 8e ne è ben accorto lo scrittore quando ha detto: «volevo cedere alla re tòrica... nobilitare la fronda umile del bosso in un serto di mirto ». E fin dove ha vinto la tentazone? Fin dove ha se guito la sua regola che « vai meglio pa tirli i ricordi dimessi e .-^iaditi, che co prirli di fa'si ori o di prospettive dipin te»? (p. 85). La tentazione, dobbiamo dire che si sente in troppe pagine, è un veleno'Sot- . tile, nascosto in certe « toumures » come ; .«notte puMulante di patente mistero», in certo «vieppiù », „in certe*, inversioni co me* « corrotti corpi », in Certi non indi spensabili latinismi come « Evangelio » per Vangelo: la lettura diventa difficile; e.se benedici la fatica di ricerca del voca boli pertinenti e precisi, frutti rari di un ; gài™nó'''^l)ftbs’cmttì Che è il tuo, meno ti place lo .sforzo per seguire un’altalena sintattica o un preziosismo leggermente accademico. Pure, di contro alle ingegnose alchimie, altrettanto sinceramènfe annoteremo ra dure di pura bellezza, illuminazioni rag giunte, momenti in cui l’autore non co manda più e più non organizza, ma si abbandona, si esalta e raggiunge il can to. Molto spesso senti aprirsi all’improv viso immagini insuete, sei condotto a con clusioni umane, a saggi pensieri: e vi giungi per vie impensate, riconosci i’estro fantastico che posseggono gli artisti nati, il dono di trasfigurazione che non si compera e non si impara. 11 tono generale del libro, quando non scade, come dicevamo, in certa fastidiosa compiacenza, è simpaticamente vero, mai languido e romantico, ma di una aurora- ie mestizia. Soldini ci pare aperto agli amori sottili, ad una malinconiosa visione, che afferra i particolari e sa trarre da essi il significato fraterno e filosofico della vita Questa ricefea dell’uomo e delle cose, si sente avvenuta attraverso un dolore assiduo, una nostalgia della bontà e della bellezza. Non c’è pagina di « Le strade rosse » che non faccia dono di una osservazione acuta, di un accostament'óTelice. Ci limi teremo, tuttavia, a qualche nota sparsa. L’amore per la terra mendrisiotta, in particolare per la regione tra il Lavag gio e la Paloppia, e Novazzano e Stabio e Qoldrerio, è una delle forze più vive del libro. Mancava finora alla nostra let teratura un’opera che dicesse le bellezze di quella terra e di quella gente con tan ta partecipazione dell’animo e tocchi co si sicuri. Non per nulla il volume si in titola: « Le strade rosse », ispirandosi in special modo al penultimo capitolo «Stra de rosse di collina», per il quale il pae saggio dei ricordi si concentra e poten zia nel colore inconfondibile delle strade di laggiù: «Il rosa pallido, polveroso, scompare, balza vivo il rosso mattone»; « Di qui escono le carrate di detriti che hanno fatto il colore bellissimo delle stra de sulle quali basta spruzzare un po’ d’ac qua perchè si avvivino come il carbone nelle stufe dei poveri »; « Ora queste stra de dell’infanzia si sono a poco a poco la sciate inghiottire dall’asfalto duro e pu lito... Come queste strade i ricordi ohe il tempo sconvolge e limita, arruffa e rode, risorgono improvvisamente per av viamenti fortuiti e impensati » (pp, 84- 85). E che dire di certi ritratti di vecchi e di ragazze, di lucertole o di fanciulli! Sulle note di una sinfonietta vergiliana, esplodono fantasticherie che vorremmo forse impropriamente chiamare surrea liste; e s’accampano, d’altra parte, vio lente e crude osservazioni che diremmo veriste (a mo’ d'esempio rimandiamo il lettore a pp. 57 e 58: che ammiri la fu ga delle « scarpine leggere » di ragazze correnti verso, la luna; a pagina 63 la pazzia delle lucertole senza più sole; e per le osservazioni realistiche — ma ben lontano sia il fotografico Zola — a pa gina 22 i vecchi come tacchini, a pag na 24 i vomiti lamentosi della donna, a pa gina 16 il sudore degli uomini che la vorano) . Chiuderemo queste osservazioni sparse indicando una delle prose più riuscite del libro, il capitolo quinto: «Desiderio del Sud », eco di un viaggio nell’Italia me ridionale al Servizio del « Dono svizze ro ». Staremmo per dire che mal come in questo argomento di carattere non ti cinese, il Soldini si è dimostrato figlio della sua terra. Egli vi appalesa un’entu siasmo esclusivo, a tratti rissoso, per lo spirito latino e mediterraneo. Non ama i «freddi alberi del nord... un po’ irritan ti ». Come ha amato di spirituale amore i doganieri italiani, lo scimmiesco mer cante siciliano, cosi ama le popolane dal l’incedere greco, ama la superstizione e la miseria del Sud, appunto perchè sente una parentela ancestrale, di sangue e di cultura con l’umanesimo, la saggezza, la libertà, il buon senso, ■ l’arte di saper vi vere e meditare di cui le genti d’Italia, specie del Sud Italia, sono maestre. Tale sentimento antico gli ha dato emozioni, ci pare, anche più forti e pure di quanto non abbiano saputo le piccole cose del suo pxcolo mondo. Ne sono venute pagi ne essenziali, nello stile e nell’anima, di mentiche di studio, nude di una salutare nudità. Bastino queste notizie a spiegarvi ce rne il libro del Soldini (stampato dalla Tipografia Commerciale, nell’accurata veste delle edizioni de « Il Roccolo » e illustrato con gusto da Giuseppe Bolzo ni) s a un compagno di lettura che ognu no dovrebbe procurarsi e interrogare. En trato con solerte modestia nella bibliote ca ticinese, il Soldini dà caparra di una strada sempre più sicura che ci augu- liamo possa portarlo lontano. UGO FASOLIS cometa,, di Riccardo Bacchelli Proprio negli stessi giorni in cui ap pariva nelle vetrine, il nuovo romanzo « tragicomico » « La Cometa », di Riccar do Bacchelli, usciva pure il carteggio Ch'oce-'Vossler. Tra gli aneddoti di quel carteggio, uno di Croce cavava da una vecchia commedia napoletana, In una lettera da collocare tra il 1938 e il 1939, a commen to della grave situazione dell’Ewopa, che stava per precipitare in quest’ultimo con flitto; cosi come questo dopoguerra è l’ambiente della cometa « tragicomica » di Bacchelli. « In questi giorni, scriveva il Croce, « stiamo allegri in Europa. Io penso ad « una vecchia commedia na.poletana, a «proposito della cometa che nel 1857, o « 11 intorno, annunziava l’imminente fine « del mondo. Vi era messa in scena una « famiglia spaventata, che si agitava o « faceva i suoi apparecchi, aspettando la « (ometa, e in essa un vecchietto che si « era chiuso in uno stanzino, e di tanto « in tonto veniva fuori con una berretta «da notte sulla testa, un lume in mano, «e domandava agli altri di casa: Si vive so si muore?». L’autore del « Mulino del Po » e del « Diavolo a Pontelungo », ohe quasi sem pre (e certamente nelle sue opere miglio ri sempre), ha arricchito o sostanziato le sue invenzioni romanzesche d’una com plessa intelligenza storica, ha portato nel sUo nuovo romanzo qualcosa di quell’ar guzia con cui il Croce affrontava la brut tezza del presente — nell’aneddoto rife rito. Tragedia e commedia; partecipa zione ai dolori e alla complessa e in quieta condizione morale 'di questo dopo- [gistlci; anche questi, del resto, tutt’altro guerra: e un freno altresì, un dominio e che una novità nell’arte del Bacchelli. riso dell’intelletto, nel comico, nel fan tastico, nel burlesco, (josi tragedia e bur la si accompagnano, nel romanzo: indi ce di una diretta partecipazione al mon do morale di questo dopoguerra, la parte che spetta alla tragedia. Ambizione, in vece, la parte comica, di ridurre e alli neare anche il presente sotto il segno della favola, dell’antica commedia, con le sue rigorose partizioni, e la sua misura classica, come per una decisa assunzio ne del comico e favoloso, operato dal con trollo culturale e intellettuale dell’auto re. Il giuoco è infatti la parte maggio re, e artisticamente ^ la più felice del ro manzo. li Bacchèlìi racconta l’impresa di un astrologo imbioglione, che, con l’in venzione della cometa, riesce a far allo e basso nel paese di Fumalvento, rispar miato dalle brutture della guerra. Questa è la trovata: e intoi-ho si spiega la vita complessa e ridanciana e sensuale di quel lo strano paese. Felici i ritratti di don na. Felice il ritratto del protagonista e autore della tragica ' burla. Questa parte si smorza però e sbiadisce nel consumar si vano della febbrile attesa e presunzio ne della fine del mondo, dovuta alla co meta. Vi è poi l’altra parte, tragica, che spes so cade negli effetti più facili e torbi di, ai quali sempre il Bacchelli ha mo strato di indulgere un po’ troppo. Que sta parte si ricorda per le imprese di un gruppo di giovani terroristi, giovani de linquenti al comando di una ragazza. Fanno da connettivo tra queste due prin cipali tendenze, tragica e fiabesca e co mica, alcuni temi più propriamente sag- Della solitudine Una sera tardi in montagna, per una ragione qualsiasi, la luce elettrica se ne va. Al buio annaspate verso una giacca appesa ad una porta. Uno zoyanello dopo l’altro, e dentro un armadio' ecco scova ta una vecchia lampada a' petrolio. E' strana l'impressione che si ha a far na scere la luce dietro la grossa boccia b an ca, a levare su e giù lo stoppino, mode rando la -lingua di fuoco vacillante e ra pinosa. La luce si spande in una chiazza grigia, attorno al tavolo appena, illumi na qualche libro, un vasn^di fiori, tut- t’attorno lascia un’ombra compatta. Se qualcuno è già a letto, bello par lare trai uce e ombra: soffiare via parole accanto alla lampada e altre riceverne, come da una lontananza che 'esclude le pareti. Fuori è la notte, e non una voce s’alza dai prati già umidi; il pastore ca po, questa sera, ha già detto il suo Van gelo. Lo sa a memoria, (1 brano sempre ugua-’ .e e stupendo dell’inizio del Vange lo di San Giovanni, e ogni sera, verso le nove, porta alla bocca un imbuto, e den tro soffia le parole sacre con una voce che pare quella di Dio nel dramma d’tO- gnuno ». Vien g'.ùla voce disilo sbalzo, scuoia via sui prati, rompe contro le balze, ritor na fioca a confondersi'con'il fiotto nuo vo delle parole, come un murmure, la no ta lunga d’un pedal d’organo. Lo ascoltano lassù i pastori nella ba ta, già dentro le coperte e pieni di sonno, poche vecchie sugli scalini delle case, ab- brividite dentro lo,.gcfglle, nero, gli occhi .solo vividi nel buio, l’uomo del mulo ad dossato al muro della posta, come un be duino, che par-la da solo e fuma, e a vol te ripete un versetto, a mezza voce, e poi se passa qualcuno, tossisce, perché non lo prendano per un semplice di sp rito. Sempre più buio, all’improvviso : nelle case, una luce dopo l’altra se ne va, so lo resta un lucignolo, come un po’ di brace, lontano. Qualcuno che si è buttato stracco sul giaciglio,. che ha dimenti cato di spegnere. Mi piace stare alla finestra, guardare fino a tardi, quel lume: pensare all’uomo che dorme, da solo, nella stanza. Forse la luce non io raggiunge: il letto deve es sere accanto alla stufa di pietra, e solo l’ombra lo toceg. La lampada è vicina alla finestra. L’uomo si è alzato presto, stamattina, •è andato all’alpe cori le bestie. Ha man giato come un pastore sull’alpe, ha par lato con nessuno. Era nuvolo, quest oggi, e i forestieri non si sono mossi dalle se die a sdraio accanto all’albergo. E’ stato lì a guardare le bestie, un pezzo, come si guarda, in casa, una sedia, un tavolo, tanto esse sanno stare al loro posto. Allora giusta del sole è tornato giù a mungere, in un prato del paese. Le vac che, da sole, han trovato la stalla .lui, la strada dell’osteria. Dentro, a quell’ora, nessuno. La ragazza lo ha servito come un povero, adesso che ci-sono i forestie ri, gente che dà la mancia e trova sem pre una parola fac'.le, a due sensi. Tornando a casa, al buio, anche lui ha sentito il brano del Vangelo. Ha pensato ai suoi morti. Si è buttato sul letto, vesti to, cosi. E si è messo, pesante, a dormi re’ La lampada è rimasta accesa vicino alia finestra. Sola, in tutto il paese, se ncn penso alla mia. Ora che mi sono le vato in piedi e ho soffiato dentro il per tugio -dello stoppino. Al buio ho cercato il caro letto: per metà, caldo, per metà, diaccio GIOVANNI BONAUUMI Rlederalp, luglio 51 In queste parti gli episodi tragici e con essi tutta la descrizione e il giudizio mo rale su questo dopoguerra si fanno più dichiarati, più scoperti; e prendono un accento e un significato più unito e coe rente. In sostanza, tutta questa sezione del romanzo tende a un significato sag gistico. Ed è appunto tale significato, di ambizione saggistica, che si illimpidlsce nella favola, e presta alla comicità della burla, della commedia, come una vista ulteriore, un’arguzia sottaciuta, un valo re esemplare. E qui sta veramente l’in venzione artistica, poetica, del romanzo. Il suo centro ideale, felice. Di qua dira mano le trovate, i ritratti, e 1 protago nisti e gli episodi felici, in questa così composita e cerebrale macchina roman zesca. Tutto infatti si alterna e avvicen da in modo da scoprire la natura intel lettuale, complicata, dell’invenzione. Ohe è poi, anche questo, un carattere consue to della narrativa del Bacchelli, ma qui Un quadro di primavera La gente siede sul prato come un fiore fresco e con beato orgoglio offre alla luce il suo nuovo colore. Sono verdi gli squallidi abissi, la pianura è un letto il mare 'è un tulle leggero che invita alle nozze. Vorrei riposare qui e non dire parole come una piccola pianta che nella nostra lunga giornata di dolore nasce, vive in silenzio e muore quando il sole ci spoglia e ci lascia soli. - GIANNINA ANGIOLETTI forse è più scoperto, o più stride che nel le altre opere. A rafforzare questa im pressione contribuisce la scrittura, varia e d’impasto scopertamente accademico, o dotto; contribuiscono le descrizioni e le liriche. Perchè infine al fondo della nar rativa di Bacchelli è sempre ima sostan za lirica, che porta lo scrittore a fermar si compiaciuto in episodi o invenzioni en tro le invenzioni, o in luoghi goduti nel la loro particolare bellezza, nel loro par ticolare valore Urico. Nella «Cometa», prevale, tuttavia, su questa, l’altra ten denza, all’lntelUgenza storica, all’assun zione del presente in un ideale contrap punto con le tradizioni, col passato. Pro prio per questa accentuazione «La Co meta» si stacca, oltre che per il tema favoloso e comico, dagli altri suol ro manzi di questi ultimi anni, volti piutto sto a un’invenzione, in sostanza, Urica, come, appunto, il « Fiore della Mirabilis », «Il pianto del figlio di Lais», «Lo sguar do di Gesù». E si richiama piuttosto, al «Rabdomante». Ma è pure. In sostanza, un documento (e questo va oltre la felicissi ma riuscita di tutta la parte centrale, co mica e ridanciana) della piena maturità della complessa arte del Bacchelli. ALDO BOKLENGHI LOUIS JOUVET Non vecchio, sessantaquattrenne, ma stroncato da una carriera tanto fulgida quanto infaticabile, è moi-to la settima na scorsa il grande attore e regista fran cese Louis Jouvet. Uomo di teatro, so prattutto, era però conosciuto da noi co me interprete cinematografico, poiché an che al cinema, fortunatamente, Jouvet dedicò la sua nuova ed esemplare arte di attore. Sarà quindi difficile anche per noi, che pur mai abbiamo avuto il pia cere di sentirlo e vederlo in una delle sue stupende realizzazioni teatrali, dimen ticare la sua maschera dall’espressione imperiosa, la sua dizione netta, legger mente brusca e saltellante: dizione che ad ogni istante rivelava il controllo di una intehigenza, di una volontà che nien te concedevano all’imprevisto. La carriera di Louis Jouvet, come quel la di Antoine, ex-impiegato del gas, co me quella di Barrault, prima di tutto pro digioso mimo, come quella di Lugné-Poe, scopritore di bellezze nuove, come quella Sl^tìSpeau, grande 'rinnovatore delia mes sa in scena, è un bellissimo esempio di energia. Jouvet debuttò nella vita come aiuto- farmacista. Oggi, facile è intuire ch’egli, nella penombra di un retrobottega della «banlieune» parigina, fra pozioni e flacon- cini, veleni e barattoli, sognasse scene e teatri. Potè realizzare le .sue speranze nel momento in cui Copeau fondò il « 'Vieux- Colombier ». Gran momento, tornante de cisivo nella storia del teatro. Accanto a un colai maestro c’erano scrittori d’avve nire come Duhamel, Jules Romains. Vil- drac, e attori fino ad allora sconosciuti ma sorretti da potente ardore, i quali in tendevano praticare l’arte teatrale come una vera religione. Non ci si attaccava che ai capolavori, a Shakespeare, cono sciuto assai male in quell’epoca in Fran cia, al repertorio di Molière con il desin derio di sbarazzarlo d’una venerabile pol vere, a opere dimenticate e misconosciute come « Carrosse du Saint-Sacrement * di Merimée, che, da allora, è passata di successo in successo. Subito il giovane Jouvet s'impose. (3ra- datamente passò da ruoli secondari a parti di primo piano, affermandosi con autorità. Aveva quella che in gergo tea trale si chiama «presenza». Qualità che manca a non pochi attori. Poi, scomparso il « Vieux-Colombier », partito Copeau per fondare una scuola d’arte drammatica in un villaggio della Borgogna, Jouvet volò con le sue proprio ah. Diventò regista alla « Oomèdie des Champs-Elysées ». mise in scena * Knock ou le triomphe de la médeelne », uno dei più grandi successi del teatro contemporaneo, opera alla quale, generp- samentc, si promettevano una trentina di rappresentazioni. Jules Romains, autore della commedia, raccontò degli scrupoli che Jouvet aveva, poiché sempre dubi tava di sè, raccontò di quel che furono le prove, una lotta senza tregua per rag giungere un limite di perfezione. Si sa il resto: il trionfo dell’opera che è stata tradotta in tutte le lingue, e la millesima recita della quale è stata rea-, lizzata da Jouvet stesso all’inizio del 1950 8. PflXisi* In sedilo Jouvet assunse la direzione nell’Ateneo. E all’Ateneo rivelò, im^se Jean Giraudoux, conosciuto fino allora solo come romanziere e che, al contrario, è soprattutto, per il gran pubblico e an- che per i critici, Vautere di « Ondine », di «La guerre de Troie n’aura Pas Ijeu;, di « Intermezzo » e della « Folle de Chail- ■'^Durante la guerra Jouvet fece una lun ga «tournée» nell’America nel Sud,,ne gli Stati Uniti e nel Canada. Ha difeso su questo fronte il prestigio deU’arte fran- Infine, venne Molière. E qui raggiunse l’apice della .sua arte, già sublime nel dottor Knock. Diede memorabili e glorio se recito de «L’Ecole des femmes», del «Don Juan», del «Tartuffe» per la rea lizzazione del quale collaborò, nella deco razione, Braque, uno dei maestri del cu- blsmo. Negli intervalli lavorava per il cinema. Quest’attività fece universale la .sua glo ria, dovuta a un’arte raffinatamente In- telligente e sobria, controllatameiite bi*u- *°Ma il teatro fu la sua grande, esempla re passione: e per h teatro, in teatro mori. Una conierma e un ricnnoscimenio Sizmlicnliva nljermazione — che viene a cónfermiire h serietà dei nostri artisti, lo impegno con il quale si presentano al giu dizio dei critici e del pubblico ottenuto due pittori ticinesi. Felice Filippini e Mario Moglia. che hanno vinto ri.spetli- vomente il primo e il secondo premio del concorso • Paesaggio dell Allo ì orbano r, indetto dalla Scuola <Amici delle Belle Arti » di Asconu. •Le duecento e più tele presentale indicano che mollissimi pittori ticinesi e confede, rati hanno partecipalo al concorso: laper- mozione dei due pittori nostri assume co- ■si inirlicolnre valore. E se per Filippini non si tratta che di una conferma, per Mogliit è finalmente la soddisfazione di veder ri conosciute le sue forti qiiidllà di pittrfe. Moglia meritava da lungo tempo questa soddisfazione, che premia la sua diligente non chiassosa attività di artista.

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Martedì, 28 erosi» ISSI — Num. 197 l i b e r a s t a m p a Par s

A R T E e L E T T E R A T U R A PAGINA QUINDICINALE Redazione ; Eros BelUnelli

"LE STRADE ROSSE,,La sia pur operosa provincia letteraria

ticinese, alùinè, spesso provincia rima­ne; come una rasa d’affitto: con i pette­golezzi, le invidie, le comunelle; tra p a ­no e piano, tra porta e porta; ci hanno, magari voce in capitolo gli scontenti, gli sciocchi, 1 vanagloriosi. E riesce diffici­le far credere che una recensione non; entri il fastid oso fumacchio di un turi­bolo 0 il pepe dispiaciuto di un nostrano salame.

Crede l’amico Soldini che del suo libro cercheremo di parlare come fosse quello, di, un autore di Roccaverdina: serena­mente e tuttavia con sincera « pietas » per l’arte, con l’affetto che ogni opera esige da chi ravvicina.

Da qualche anno è venuta a rinverdire le benemerite fronde laureate del. nostro Parnaso una. schiera di giovani tra i ven­ti e i trent’anni; Adriano Soldini già vi occupa un non piccolo posto.per un appor­to tempestivo e assai dignitoso di poesia e di cWtlca militante. Professore d’italiano e latino al Oinnasio di Lugano, il Sold ni non antepone — sono parole sue — « il tanfo scolastico al libero sentimento del l’uomo ». E’ un esempio di come si debba lievitare con tormento il già importante compito di un educatore.

« Le strade rosse » (con .l’impegno di un volume — centoquattro pagine fitte che conosce il fervore di una lunga amo­rosa fatica, per dare carne alla prima creatura dei propri sogni) viene cosi a completare, in una istanza superiore, una vocazione indubitabile.

B ci. sembra .che esso rappresenti in certo* qij“al"'m'òdó' lo sfociare logico delie due • àttìvità precedenti : da^una parte il prosatore (informatissimo delie più mor'. derne correnti della prosa italiana, nu trito di salde letture), dall’altra il poeta non più alle prime armi. I diciassette qua­dri e quadretti del libro, più qhe prose, le’ avranno chiamate prose liriche, per quel tanto di incandescenza e dj vibra­zione del sentimento che ne informa le regioni migliori.

Non si dimentichi poi qhe siamo di fronte al primo Hbro di un giovane: « Le stfade rosse » sono ambientate perciò nel paese, e più nella casa, e più nella rac­colta cerchia di affetti familiar;;. rievo­cazioni autobiografiche o comunque in .prima persona; nè un romanzo nè un se­guito di novelle, ma un riunirsi di im­pressioni: pagine di diario,. infonm)^.,An- chp,questo è buon segno, a ben,vedere: di modestia e di s ncerità non petulàntè'; il Soldini fa il primo passo ed è passo sicuro; ma per i sentieri diruti vuol farsi le ossa.

Sicuro di sè, poi, il Soldini può essefe davvero. Per poco che si guardi a una pagina del suo libro apparirà' Una dovizia di.mezzi espressivi (parole è sintassi) fra 1 non più frequenti alia letteratura tici­nese. L’autore sa il fatto suo come po­chi. Lo sostengono e nutrono assidui stu­di! universitari, la comunione cori il Ia­lino e la filologia romanza: dà frutti per rade i profonde. Dopo tante pagine ap­prossimative. dopo tanto dialetto « italia­nizzato », fa bene riconoséere anche fra noi una prosa che si stacchi da pastoie regionali e potrebbe essere perfettamente compresa, mettiamo, a Caltan setta o a Trieste. Il suo è italiano e basta.

Come conosca la lingua, quanto prezìo- saméntei*’adotiei-l*.’il termine esatto usu­fruendo <ii.ogni riposta ricchezza, giu­dichino i lettori : quanti di loro conoscono il significato preciso di «bautta», «cap- pezzàgne », « trutina », « mesere », « igua­ne », « geco », « redola », « bigattiere »,« affane i «« gote macubine », < pesca du­racina »?

Di fronte a tanta copia di materiale sti- I stlco, fa specie, all’opposto, una altret­tanto insolita modestia di argomenti. «In fondo al nostro cuore sta regina la poe­sia delle cose piccole e trascurate», «Bea­to chi sa pensare all’eterno e alla spe-

Cza seduto su una ripa breve e colu­te di fronte » (pp. 69-70) : ricordi del­

l’adolescenza, incontri con vecchi e lu­certole ragni calabroni e alberi e ragaz-

.zè del Mendrisiotto, temporali, feste di ■carnevale, telai, conocch e, carezze ma­terne, accensione imberbi: piccole grandi cose trascurate.

Il problema estetico e la novità del Soldini, si concentrano proprio nel con­trasto tra i ricchi mezzi espressivi e la flebile sostanza del canto. Pericola di re­torica, dunque, pericolo di infingimenti parnassiahu pericolo di una compiacen­za letteraria di contro all’umiltà dell’as- BUnto. 8e ne è ben accorto lo scrittore quando ha detto: «volevo cedere alla re­tòrica... nobilitare la fronda umile del bosso in un serto di mirto ». E fin dove ha vinto la tentazone? Fin dove ha se­guito la sua regola che « vai meglio pa­tirli i ricordi dimessi e .-^iaditi, che co­prirli di fa'si ori o di prospettive dipin­te»? (p. 85).

La tentazione, dobbiamo dire che si sente in troppe pagine, è un veleno'Sot-

. tile, nascosto in certe « toumures » come ; .«notte puMulante di patente mistero», in certo «vieppiù », „in certe*, inversioni co­me* « corrotti corpi », in Certi non indi­spensabili latinismi come « Evangelio » per Vangelo: la lettura diventa difficile; e.se benedici la fatica di ricerca del voca­boli pertinenti e precisi, frutti rari di un

; gài™nó'''^l)ftbs’cmttì Che è il tuo, meno ti place lo .sforzo per seguire un’altalena sintattica o un preziosismo leggermente accademico.

Pure, di contro alle ingegnose alchimie, altrettanto sinceramènfe annoteremo ra­dure di pura bellezza, illuminazioni rag­giunte, momenti in cui l’autore non co­manda più e più non organizza, ma si abbandona, si esalta e raggiunge il can­to. Molto spesso senti aprirsi all’improv­viso immagini insuete, sei condotto a con­clusioni umane, a saggi pensieri: e vi giungi per vie impensate, riconosci i’estro fantastico che posseggono gli artisti nati, il dono di trasfigurazione che non si compera e non si impara.

11 tono generale del libro, quando non scade, come dicevamo, in certa fastidiosa compiacenza, è simpaticamente vero, mai languido e romantico, ma di una aurora- ie mestizia. Soldini ci pare aperto agli amori sottili, ad una malinconiosa visione, che afferra i particolari e sa trarre da essi il significato fraterno e filosofico della vita Questa ricefea dell’uomo e delle cose, si sente avvenuta attraverso un dolore assiduo, una nostalgia della bontà e della bellezza.

Non c’è pagina di « Le strade rosse » che non faccia dono di una osservazione acuta, di un accostament'óTelice. Ci limi­teremo, tuttavia, a qualche nota sparsa.

L’amore per la terra mendrisiotta, in particolare per la regione tra il Lavag­gio e la Paloppia, e Novazzano e Stabio e Qoldrerio, è una delle forze più vive del libro. Mancava finora alla nostra let­teratura un’opera che dicesse le bellezze

di quella terra e di quella gente con tan­ta partecipazione dell’animo e tocchi co­si sicuri. Non per nulla il volume si in­titola: « Le strade rosse », ispirandosi in special modo al penultimo capitolo «Stra­de rosse di collina», per il quale il pae­saggio dei ricordi si concentra e poten­zia nel colore inconfondibile delle strade di laggiù: «Il rosa pallido, polveroso, scompare, balza vivo il rosso mattone»;« Di qui escono le carrate di detriti che hanno fatto il colore bellissimo delle stra­de sulle quali basta spruzzare un po’ d’ac­qua perchè si avvivino come il carbone nelle stufe dei poveri »; « Ora queste stra­de dell’infanzia si sono a poco a poco la­sciate inghiottire dall’asfalto duro e pu­lito... Come queste strade i ricordi ohe il tempo sconvolge e limita, arruffa e rode, risorgono improvvisamente per av­viamenti fortuiti e impensati » (pp, 84- 85).

E che dire di certi ritratti di vecchi e di ragazze, di lucertole o di fanciulli! Sulle note di una sinfonietta vergiliana, esplodono fantasticherie che vorremmo forse impropriamente chiamare surrea­liste; e s’accampano, d’altra parte, vio­lente e crude osservazioni che diremmo veriste (a mo’ d'esempio rimandiamo il lettore a pp. 57 e 58: che ammiri la fu­ga delle « scarpine leggere » di ragazze correnti verso, la luna; a pagina 63 la pazzia delle lucertole senza più sole; e per le osservazioni realistiche — ma ben lontano sia il fotografico Zola — a pa­gina 22 i vecchi come tacchini, a pag na 24 i vomiti lamentosi della donna, a pa­gina 16 il sudore degli uomini che la­vorano) .

Chiuderemo queste osservazioni sparse

indicando una delle prose più riuscite del libro, il capitolo quinto: «Desiderio del Sud », eco di un viaggio nell’Italia me­ridionale al Servizio del « Dono svizze­ro ». Staremmo per dire che mal come in questo argomento di carattere non ti­cinese, il Soldini si è dimostrato figlio della sua terra. Egli vi appalesa un’entu­siasmo esclusivo, a tratti rissoso, per lo spirito latino e mediterraneo. Non ama i «freddi alberi del nord... un po’ irritan­ti ». Come ha amato di spirituale amore i doganieri italiani, lo scimmiesco mer­cante siciliano, cosi ama le popolane dal­l’incedere greco, ama la superstizione e la miseria del Sud, appunto perchè sente una parentela ancestrale, di sangue e di cultura con l’umanesimo, la saggezza, la libertà, il buon senso, ■ l’arte di saper vi­vere e meditare di cui le genti d’Italia, specie del Sud Italia, sono maestre. Tale sentimento antico gli ha dato emozioni, ci pare, anche più forti e pure di quanto non abbiano saputo le piccole cose del suo pxcolo mondo. Ne sono venute pagi­ne essenziali, nello stile e nell’anima, di­mentiche di studio, nude di una salutare nudità.

Bastino queste notizie a spiegarvi ce­rne il libro del Soldini (stampato dalla Tipografia Commerciale, nell’accurata veste delle edizioni de « Il Roccolo » e illustrato con gusto da Giuseppe Bolzo­ni) s a un compagno di lettura che ognu­no dovrebbe procurarsi e interrogare. En­trato con solerte modestia nella bibliote­ca ticinese, il Soldini dà caparra di una strada sempre più sicura che ci augu- liamo possa portarlo lontano.

UGO FASOLIS

cometa,, di Riccardo BacchelliProprio negli stessi giorni in cui ap­

pariva nelle vetrine, il nuovo romanzo « tragicomico » « La Cometa », di Riccar­do Bacchelli, usciva pure il carteggio Ch'oce-'Vossler.

Tra gli aneddoti di quel carteggio, uno di Croce cavava da una vecchia commedia napoletana, In una lettera da collocare tra il 1938 e il 1939, a commen­to della grave situazione dell’Ewopa, che stava per precipitare in quest’ultimo con­flitto; cosi come questo dopoguerra è l’ambiente della cometa « tragicomica » di Bacchelli.

« In questi giorni, scriveva il Croce, « stiamo allegri in Europa. Io penso ad « una vecchia commedia na.poletana, a «proposito della cometa che nel 1857, o « 11 intorno, annunziava l’imminente fine « del mondo. Vi era messa in scena una « famiglia spaventata, che si agitava o « faceva i suoi apparecchi, aspettando la « (ometa, e in essa un vecchietto che si « era chiuso in uno stanzino, e di tanto « in tonto veniva fuori con una berretta «da notte sulla testa, un lume in mano, «e domandava agli altri di casa: Si vive so si muore?».

L’autore del « Mulino del Po » e del « Diavolo a Pontelungo », ohe quasi sem­pre (e certamente nelle sue opere miglio­ri sempre), ha arricchito o sostanziato le sue invenzioni romanzesche d’una com­plessa intelligenza storica, ha portato nel sUo nuovo romanzo qualcosa di quell’ar­guzia con cui il Croce affrontava la brut­tezza del presente — nell’aneddoto rife­rito. Tragedia e commedia; partecipa­zione ai dolori e alla complessa e in­

quieta condizione morale 'di questo dopo- [ gistlci; anche questi, del resto, tu tt’altro guerra: e un freno altresì, un dominio e che una novità nell’arte del Bacchelli.riso dell’intelletto, nel comico, nel fan­tastico, nel burlesco, (josi tragedia e bur­la si accompagnano, nel romanzo: indi­ce di una diretta partecipazione al mon­do morale di questo dopoguerra, la parte che spetta alla tragedia. Ambizione, in­vece, la parte comica, di ridurre e alli­neare anche il presente sotto il segno della favola, dell’antica commedia, con le sue rigorose partizioni, e la sua misura classica, come per una decisa assunzio­ne del comico e favoloso, operato dal con­trollo culturale e intellettuale dell’auto­re. Il giuoco è infatti la parte maggio­re, e artisticamente ̂ la più felice del ro­manzo. li Bacchèlìi racconta l’impresa di un astrologo imbioglione, che, con l’in­venzione della cometa, riesce a far allo e basso nel paese di Fumalvento, rispar­miato dalle brutture della guerra. Questa è la trovata: e intoi-ho si spiega la vita complessa e ridanciana e sensuale di quel­lo strano paese. Felici i ritratti di don­na. Felice il ritratto del protagonista e autore della tragica ' burla. Questa parte si smorza però e sbiadisce nel consumar­si vano della febbrile attesa e presunzio­ne della fine del mondo, dovuta alla co­meta.

Vi è poi l’altra parte, tragica, che spes­so cade negli effetti più facili e torbi­di, ai quali sempre il Bacchelli ha mo­strato di indulgere un po’ troppo. Que­sta parte si ricorda per le imprese di un gruppo di giovani terroristi, giovani de­linquenti al comando di una ragazza. Fanno da connettivo tra queste due prin­cipali tendenze, tragica e fiabesca e co­mica, alcuni temi più propriamente sag-

Della solitudineUna sera tardi in montagna, per una

ragione qualsiasi, la luce elettrica se ne va. Al buio annaspate verso una giacca appesa ad una porta. Uno zoyanello dopo l’altro, e dentro un armadio' ecco scova­ta una vecchia lampada a' petrolio. E' strana l'impressione che si ha a far na­scere la luce dietro la grossa boccia b an­ca, a levare su e giù lo stoppino, mode­rando la -lingua di fuoco vacillante e ra­pinosa. La luce si spande in una chiazza grigia, attorno al tavolo appena, illumi­na qualche libro, un vasn^di fiori, tut- t’attorno lascia un’ombra compatta.

Se qualcuno è già a letto, |è bello par­lare trai uce e ombra: soffiare via parole accanto alla lampada e altre riceverne, come da una lontananza che 'esclude le pareti. Fuori è la notte, e non una voce s’alza dai prati già umidi; il pastore ca­po, questa sera, ha già detto il suo Van­gelo. Lo sa a memoria, (1 brano sempre ugua-’.e e stupendo dell’inizio del Vange­lo di San Giovanni, e ogni sera, verso le nove, porta alla bocca un imbuto, e den­tro soffia le parole sacre con una voce che pare quella di Dio nel dramma d’tO- gnuno ».

Vien g'.ùla voce disilo sbalzo, scuoia via sui prati, rompe contro le balze, ritor­na fioca a confondersi'con'il fiotto nuo­vo delle parole, come un murmure, la no­ta lunga d ’un pedal d’organo.

Lo ascoltano lassù i pastori nella ba ta, già dentro le coperte e pieni di sonno, poche vecchie sugli scalini delle case, ab- brividite dentro lo,.gcfglle, nero, gli occhi

.solo vividi nel buio, l’uomo del mulo ad­dossato al muro della posta, come un be­duino, che par-la da solo e fuma, e a vol­te ripete un versetto, a mezza voce, e poi se passa qualcuno, tossisce, perché non lo prendano per un semplice di sp rito.

Sempre più buio, all’improvviso : nelle case, una luce dopo l’altra se ne va, so­lo resta un lucignolo, come un po’ di brace, lontano. Qualcuno che si è buttato stracco sul giaciglio,. che ha dimenti­cato di spegnere.

Mi piace stare alla finestra, guardare fino a tardi, quel lume: pensare all’uomo che dorme, da solo, nella stanza. Forse la luce non io raggiunge: il letto deve es­sere accanto alla stufa di pietra, e solo l’ombra lo toceg. La lampada è vicina alla finestra.

L’uomo si è alzato presto, stamattina, •è andato all’alpe cori le bestie. Ha man­giato come un pastore sull’alpe, ha par­lato con nessuno. Era nuvolo, quest oggi, e i forestieri non si sono mossi dalle se­die a sdraio accanto all’albergo. E’ stato lì a guardare le bestie, un pezzo, come si guarda, in casa, una sedia, un tavolo, tanto esse sanno stare al loro posto.

Allora giusta del sole è tornato giù a mungere, in un prato del paese. Le vac­che, da sole, han trovato la stalla .lui, la strada dell’osteria. Dentro, a quell’ora, nessuno. La ragazza lo ha servito come un povero, adesso che ci-sono i forestie­ri, gente che dà la mancia e trova sem­pre una parola fac'.le, a due sensi.

Tornando a casa, al buio, anche lui ha sentito il brano del Vangelo. Ha pensato ai suoi morti. Si è buttato sul letto, vesti­to, cosi. E si è messo, pesante, a dormi­re’ La lampada è rimasta accesa vicino alia finestra. Sola, in tutto il paese, se ncn penso alla mia. Ora che mi sono le­vato in piedi e ho soffiato dentro il per­tugio -dello stoppino. Al buio ho cercato il caro letto: per metà, caldo, per metà, diaccio

GIOVANNI BONAUUMIRlederalp, luglio 51

In queste parti gli episodi tragici e con essi tutta la descrizione e il giudizio mo­rale su questo dopoguerra si fanno più dichiarati, più scoperti; e prendono un accento e un significato più unito e coe­rente. In sostanza, tutta questa sezione del romanzo tende a un significato sag­gistico. Ed è appunto tale significato, di ambizione saggistica, che si illimpidlsce nella favola, e presta alla comicità della burla, della commedia, come una vista ulteriore, un’arguzia sottaciuta, un valo­re esemplare. E qui sta veramente l’in venzione artistica, poetica, del romanzo. Il suo centro ideale, felice. Di qua dira­mano le trovate, i ritratti, e 1 protago­nisti e gli episodi felici, in questa così composita e cerebrale macchina roman­zesca. Tutto infatti si alterna e avvicen­da in modo da scoprire la natura intel­lettuale, complicata, dell’invenzione. Ohe è poi, anche questo, un carattere consue­to della narrativa del Bacchelli, ma qui

Un quadro di primaveraLa gente siede sul prato com e un fiore fresco e con beato orgoglio offre alla luce il suo nuovo colore.Sono verd i gli squallid i abissi, la pianura è un letto il mare 'è un tu lle leggero che invita alle nozze.Vorrei riposare qui e non dire parolecome una piccola piantache nella nostra lungagiornata d i dolorenasce, vive in silenzio e m uorequando il sole ci spogliae ci lascia soli. -

GIANNINA ANGIOLETTI

forse è più scoperto, o più stride che nel­le altre opere. A rafforzare questa im­pressione contribuisce la scrittura, varia e d’impasto scopertamente accademico, o dotto; contribuiscono le descrizioni e le liriche. Perchè infine al fondo della nar­rativa di Bacchelli è sempre ima sostan­za lirica, che porta lo scrittore a fermar­si compiaciuto in episodi o invenzioni en­tro le invenzioni, o in luoghi goduti nel­la loro particolare bellezza, nel loro par­ticolare valore Urico. Nella «Cometa», prevale, tuttavia, su questa, l’altra ten­denza, all’lntelUgenza storica, all’assun­zione del presente in un ideale contrap­punto con le tradizioni, col passato. Pro­prio per questa accentuazione «La Co­meta» si stacca, oltre che per il tema favoloso e comico, dagli altri suol ro­manzi di questi ultimi anni, volti piutto­sto a un’invenzione, in sostanza, Urica, come, appunto, il « Fiore della Mirabilis », «Il pianto del figlio di Lais», «Lo sguar­do di Gesù». E si richiama piuttosto, al «Rabdomante». Ma è pure. In sostanza, un documento (e questo va oltre la felicissi­ma riuscita di tutta la parte centrale, co­mica e ridanciana) della piena maturità della complessa arte del Bacchelli.

ALDO BOKLENGHI

LOUIS JOUVETNon vecchio, sessantaquattrenne, ma

stroncato da una carriera tanto fulgida quanto infaticabile, è moi-to la settima­na scorsa il grande attore e regista fran­cese Louis Jouvet. Uomo di teatro, so­prattutto, era però conosciuto da noi co­me interprete cinematografico, poiché an­che al cinema, fortunatamente, Jouvet dedicò la sua nuova ed esemplare arte di attore. Sarà quindi difficile anche per noi, che pur mai abbiamo avuto il pia­cere di sentirlo e vederlo in una delle sue stupende realizzazioni teatrali, dimen­ticare la sua maschera dall’espressione imperiosa, la sua dizione netta, legger­mente brusca e saltellante: dizione che ad ogni istante rivelava il controllo di una intehigenza, di una volontà che nien­te concedevano all’imprevisto.

La carriera di Louis Jouvet, come quel­la di Antoine, ex-impiegato del gas, co­me quella di Barrault, prima di tutto pro­digioso mimo, come quella di Lugné-Poe, scopritore di bellezze nuove, come quella Sl^tìSpeau, grande 'rinnovatore delia mes­sa in scena, è un bellissimo esempio di energia.

Jouvet debuttò nella vita come aiuto- farmacista. Oggi, facile è intuire ch’egli, nella penombra di un retrobottega della «banlieune» parigina, fra pozioni e flacon- cini, veleni e barattoli, sognasse scene e teatri. Potè realizzare le .sue speranze nel momento in cui Copeau fondò il « 'Vieux- Colombier ». Gran momento, tornante de­cisivo nella storia del teatro. Accanto a un colai maestro c’erano scrittori d’avve­nire come Duhamel, Jules Romains. Vil- drac, e attori fino ad allora sconosciuti ma sorretti da potente ardore, i quali in­tendevano praticare l’arte teatrale come una vera religione. Non ci si attaccava che ai capolavori, a Shakespeare, cono­sciuto assai male in quell’epoca in Fran­cia, al repertorio di Molière con il desin derio di sbarazzarlo d’una venerabile pol­vere, a opere dimenticate e misconosciute come « Carrosse du Saint-Sacrement * di Merimée, che, da allora, è passata di successo in successo.

Subito il giovane Jouvet s'impose. (3ra- datamente passò da ruoli secondari a parti di primo piano, affermandosi con autorità. Aveva quella che in gergo tea­trale si chiama «presenza». Qualità che manca a non pochi attori.

Poi, scomparso il « Vieux-Colombier », partito Copeau per fondare una scuola d’arte drammatica in un villaggio della Borgogna, Jouvet volò con le sue proprio ah. Diventò regista alla « Oomèdie des Champs-Elysées ». Là mise in scena * Knock ou le triomphe de la médeelne », uno dei più grandi successi del teatro contemporaneo, opera alla quale, generp- samentc, si promettevano una trentina di rappresentazioni. Jules Romains, autore della commedia, raccontò degli scrupoli che Jouvet aveva, poiché sempre dubi­tava di sè, raccontò di quel che furono le prove, una lotta senza tregua per rag­giungere un limite di perfezione.

Si sa il resto: il trionfo dell’opera che è stata tradotta in tutte le lingue, e la millesima recita della quale è stata rea-, lizzata da Jouvet stesso all’inizio del 1950 8. PflXisi*

In sed ilo Jouvet assunse la direzione nell’Ateneo. E all’Ateneo rivelò, im ^se Jean Giraudoux, conosciuto fino allora solo come romanziere e che, al contrario, è soprattutto, per il gran pubblico e an- che per i critici, Vautere di « Ondine », di «La guerre de Troie n ’aura Pas Ijeu;, di « Intermezzo » e della « Folle de Chail-

■'^Durante la guerra Jouvet fece una lun­ga «tournée» nell’America nel Sud,,ne­gli Stati Uniti e nel Canada. Ha difeso su questo fronte il prestigio deU’arte fran-

Infine, venne Molière. E qui raggiunse l’apice della .sua arte, già sublime nel dottor Knock. Diede memorabili e glorio­se recito de «L’Ecole des femmes», del «Don Juan», del «Tartuffe» per la rea­lizzazione del quale collaborò, nella deco­razione, Braque, uno dei maestri del cu- b l s m o .

Negli intervalli lavorava per il cinema. Quest’attività fece universale la .sua glo­ria, dovuta a un’arte raffinatamente In- telligente e sobria, controllatameiite bi*u-

*°Ma il teatro fu la sua grande, esempla­re passione: e per h teatro, in teatro mori.

Una conierma e un ricnnoscimenio■ Sizmlicnliva nljermazione — che viene a cónfermiire h serietà dei nostri artisti, lo impegno con il quale si presentano al giu­dizio dei critici e del pubblico — ottenuto due pittori ticinesi. Felice Filippini e Mario Moglia. che hanno vinto ri.spetli- vomente il primo e il secondo premio del concorso • Paesaggio dell Allo ì orbano r, indetto dalla Scuola < Amici delle Belle Arti » di Asconu.•Le duecento e più tele presentale indicano

che mollissimi pittori ticinesi e confede, rati hanno partecipalo al concorso: laper- mozione dei due pittori nostri assume co- ■si inirlicolnre valore. E se per Filippini non si tratta che di una conferma, per Mogliit è finalmente la soddisfazione di veder ri­conosciute le sue forti qiiidllà di pittrfe.

Moglia meritava da lungo tempo questa soddisfazione, che premia la sua diligente non chiassosa attività di artista.