aprile/maggio2010
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Eco di CassandraTRANSCRIPT
Iniziativa patrocinata dall’Ateneo FEDERICO II
Anno II - Numero VII Febbraio-Marzo 2010 Testata registrata al Tribunale di Napoli n. 99 del 22-12-08
L’eco di Cassandra n° VIII anno II
Direttore Responsabile: Lorenzo Crea
Fondatori: Leonarda Di Meo
Giancarlo Marino
Mara Russo
Impaginazione e Gestione sito
web: Alessandra Marziale
Redattori: Ilena Ambrosio; Simona Bonetti;
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Cristiano; Fabrizio De Rosa, Mirella De
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Pietro, Serena Di Vito; Matteo
Dell'Aria; Giovanni Di Benedetto;
Jundra Elce; Giulia Esposito; Sabrina
Gamella, Antonella Giacomaniello;
Simona Grieco; Sara Imbriani;
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Lobefalo; Enrica Mossetti; Angela
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Indice News Echi dall’Ateneo : San Carlo per i giovani
A tu per tu: con Alessandro Baricco
Dossier: L’ombra sul Novecento
Lettere in…chiostro: Recensioni Libri
Dietro lo schermo: Cinema e Tv
Arte in scena: Teatro
Il giardino di Epicuro: Riflessioni
Eventi
L’eco di Cassandra n° VIII anno II
A tu per tu con
Presentazione del libro “L'uomo verticale” di Davide Longo
Oggi lei ci presenta il libro “L'uomo verticale” di
Davide Longo, chi è costui ?
Davide Longo è uno scrittore al suo terzo romanzo, mio
ex allievo, anche lui piemontese che ha già pubblicato
due libri “Un mattino Engalen”e “Mangiatore di
pietre”
Che significa il titolo ?
E' un modo di dire spagnolo e significa un uomo tutto di
un pezzo, una persona coraggiosa e audace. Leonardo
(il protagonista del libro nda) non sembra potersi
identificarsi in questa apostrofazione. Egli è un
intellettuale appartato, evita la violenza, è un mite,
ricorda molto l'inetto di Svevo, apparentemente è la
vittima predestinata
E invece ?
E invece, come Zeno Cosini, la sua inettitudine lo rende
vincente. In tale libro è ben manifesto il coraggio nella
passività.
Che cosa le è piaciuto del libro ?
Oltre al fatto che Davide scrive bene, ciò che mi ha
entusiasmato è la velocità del libro. In un primo
momento è composto, lento, ti induce alla riflessione,
nella seconda parte è forsennata, dinamica. Inoltre si
nota il gusto per la metafora in un scritto prosaico e la
ricchezza d'immagini che si sovrappongono ai dialoghi.
Il libro a quale genere può essere ascritto ?
E' una via di mezzo tra il saggio politico e il genere
apocalittico che ha grande successo in America, basta
pensare a Corman McCarthy. L'opera è ambientata in
un futuro italiano non identificato completamento
sfaldato, in cui tutto anche i rapporti umani si sono rotti,
è sempre inverno ma poi quando si dialoga o si ricorda
la scrittura diventa amara e feroce. L'unica cosa che può
rinsaldare tutto in questo ambiente gelido è un
piccolissimo fuoco alimentato continuamente dai
bambini.
Andrea Panico
Alessandro Baricco (Torino 1958-) è un
noto scrittore, critico e regista italiano.
S'impone alla critica e al pubblico
italiano fin dai primi anni '90 con
romanzi “Castelli di rabbia”(1991),
“Oceano
mare”(1993),”Seta”(1996),”City”(1999)
e “Senza sangue”(2002) scatenando le
più disparate critiche tra estimatori
(Fernanda Pivano) e detrattori (Giulio
Ferroni). Giunge al trionfo con
“Novecento. Un monologo”(1994) da cui
vengono tratte
una pièce
teatrale con
Arnoldo Foà e
la
sceneggiatura
per il film di
Giuseppe Tornatore “La leggenda del
pianista sull'oceano”(1998). Tra i suoi
ultimi lavori il libro “I barbari”(2008) e
il film “Lezione 21”(2008).
“Davide Longo, tra le voci più importanti della nuova narrativa, scrive un romanzo sul nostro paese senza mai nominarlo, un luogo dove l'odio comanda, unisce e divide gli uomini ridotti a distruggersi e umiliarsi per sopravvivere”
L’eco di Cassandra n° VIII anno II
"Tutto ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale. “
Hegel
La sofferenza è dunque razionale?
Quest’articolo non vuole partito, né colore, né bandiera
Nella volontà di renderlo tale si è solo rincorsi una chimera, di fatti, ben presto si fa strada una prima ed importante soggettivizzazione operata già nella scelta dei brani da considerare. Si arriva così alla conclusione che chi scrive non è una penna bensì un pensiero che prepotente si fa inchiostro.
La penna di chi l’ha scritto seguirà il filo rosso immaginario di due libri divertendosi ad intrecciarlo e intersecarlo, sono libri scritti a non molti anni di distanza tra loro e da noi: “Se questo è un uomo” di Primo Levi e “Tutto scorre…” di Vasilij Grossman. Se non si hanno dubbi sulle tematiche del primo, probabilmente ai molti il secondo potrebbe destare qualche perplessità maggiore. Il Grossman scrisse “Tutto scorre…” tra il 1955 e il 1963, considerato il suo testamento, ha un duplice obiettivo: da un lato sottolineare la tortura della vita nei campi e dall’altro sottolineare la più sottile tortura di quanti ritornano e riconoscono la bassezza e il terrore negli occhi dei conoscenti e soprattutto il vero ruolo di Lenin e del suo spregio della libertà nella costruzione del mondo sovietico. “Per qualche ora possiamo essere infelici alla maniera degli uomini liberi. Strano, in qualche giorno, si ha sempre l’impressione di essere fortunati, che una qualche circostanza, magari infinitesima, ci trattenga sull’orlo della disperazione e ci conceda di vivere. Chi è colpevole, chi pagherà… Bisogna riflettere, non bisogna affrettarsi a rispondere. Come comportarsi con gli assassini delatori? Ma aspettiamo ancora, riflettiamo; non emetteremo la sentenza senza aver prima ponderato. Lui adempiva il suo dovere, non attuava vendette. Chi sottoporre al processo? La natura dell’uomo! È lei a generare questi cumuli di menzogna, di obiezioni, di vigliaccheria, di debolezza. Noi non crediamo alla più ovvia e facile deduzione: che l’uomo sia fondamentalmente brutale, egoista e stolto come si comporta quando ogni sovrastruttura civile sia tolta, e che lo Haftling non sia dunque che l’uomo senza inibizione. Noi pensiamo piuttosto che null’altro si può concludere, se non che di fronte al bisogno e al disagio fisico, assillanti, molte consuetudini e molti istinti sociali sono ridotti al silenzio. Tutta la sua vita era stato un unico grande atto di obbedienza, non una volta che avesse disobbedito. Ed ecco
L’eco di Cassandra n° VIII anno II
adesso che ricordava che un dubbio c’era. Lui aveva solo finto che non ci fosse. Il fatto è che, fosse pure convinto dell’innocenza di Bucharin, avrebbe comunque votato per la sua condanna a morte. Gli era più comodo non avere dubbi e votare. Quando piove si vorrebbe poter piangere. È novembre, piove da dieci giorni, e la terra è come il fondo di una palude. Ogni cosa di legno ha odore di funghi. Se potessi farei dieci passi a sinistra, c’è la tettoia sarei al riparo; mi basterebbe anche un sacco per coprirmi le spalle, o solamente la speranza di un fuoco dove asciugarmi; o magari un cencio asciutto da mettermi tra la camicia e la schiena. Ci penso, fra un colpo di pala e l’altro, e credo proprio che avere un cencio asciutto sarebbe felicità positiva. Da stamattina siamo confitti nella melma, a gambe larghe senza muovere i piedi dalle due buche che si sono scavati nel terreno vischioso; oscillando sulle anche a ogni colpo di pala. Ti avevo chiesto come avevano potuto, i tedeschi, nelle camere a gas, uccidere i bambini ebrei. Come potevano vivere, dopo questo? Quasi che gli uomini, e Dio, non li avrebbero giudicati. E tu dicesti: -Uno è il castigo del carnefice: lui, che non considera la sua vittima un uomo, cessa di essere uomo lui stesso; egli uccide l’uomo che è in lui, è il suo proprio carnefice; la vittima, invece, resterà un uomo nei secoli, per quanto tu lo distrugga- La neve si era ormai sciolta quando gli uomini cominciarono a gonfiare,era sopraggiunto l’edema da fame. Ora io ti chiedo: come ha potuto accadere tutto questo?”.
Se leggendo l’articolo non siete riusciti a scindere le parti che appartenevano ad un testo o all’altro vuol dire che la sofferenza, da che punto di vista si guardi, non è ammissibile in nessuna società civile.
C’è da fare una precisazione che lo stesso Levi sottolinea nell’Appendice del 1976 all’edizione scolastica di “Se questo è un uomo”, di fatti, il Levi indica “La sostanziale differenza tra i campi di concentramento tedeschi e russi: i campi sovietici non sono luoghi in cui il soggiorno è gradevole ma la morte dei prigionieri non era espressamente ricercata, era certo un incidente assai frequente, tollerato con brutale indifferenza, ma sostanzialmente non voluto e dovuto alla fame. Nel lugubre confronto tra
due modelli di inferno bisogna aggiungere che nei lager tedeschi, in generale si entrava per non uscirne: non era previsto alcun termine altro che la morte. Per contro nei campi sovietici un termine, seppur lungo, è sempre esistito. I campi di concentramento sovietici rimangono pur sempre una manifestazione deplorevole di illegalità e di disumanità. Non hanno nulla a che fare con il socialismo. È facile rappresentarsi un socialismo senza Lager: in molte parti del mondo è stato realizzato. Un nazismo senza Lager invece non è pensabile”.
Jundra Elce
L’eco di Cassandra n°VIII anno II
News News News News
Da un po' di tempo in Facoltà si aggirano graziose signorine in tailleur verde che distribuiscono
brochure, figure che invitano a visitare il nuovo teatro San Carlo, completamente tirato a lucido,
dopo i lavori fatti tra il 2009 ed il 2010. Il San Carlo viene in Facoltà per attirare i giovani che, si sa,
sono poco inclini all'opera e ai balletti. Ma
quest'anno il vecchio Mozart della locandina indossa
i blue jeans e per i minori di trent'anni ci sono
tantissime opportunità di risparmio. Pagare di meno
è un incentivo per avvicinare i giovani all'opera e
per farli innamorare della musica classica. Il teatro
mette a disposizione delle formule davvero
convenienti: le Card speciali con cui ognuno può
“comporre la propria stagione”. Già, perché con una
formula di soli 70,00 euro si può assistere ad un
opera e a ben quattro concerti, e con soli 40,00 euro,
invece, si ha diritto ad assistere a 4 concerti. La
stagione lirica è ricchissima, e si ha veramente
l'imbarazzo della scelta. Si va da Maria Stuarda alla
Traviata, passando per La Vedova Allegra. E ancora
più ricca è la stagione sinfonica. Insomma, dopo
un'opera di restauro durata due anni e circa 65
milioni spesi per renderlo all'avanguardia (è stato
ristrutturato proprio tutto: dal palco ai camerini),
vale davvero la pena farci un salto e provare
l'emozione dell'opera in uno dei più antichi teatri d'Europa. E per essere davvero all'avanguardia il
teatro San Carlo non poteva mancare su facebook, altro tentativo di attirare le giovani masse nei
suoi spazi rinnovati che aspettano solo pubblico giovane.
Francesca Bianco
L’eco di Cassandra n° VIII anno II
Inchiostro Libri
Nell’ambito della settimana dedicata alle
donne, in occasione dell’8 marzo, alla
Soprintendenza Archivistica per la Campania
è stato presentato il volume sesto della collana
Archivio per la storia delle donne, edito da Il
pozzo di Giacobbe e a cura di Adriana
Valerio, della Fondazione P. Valerio. Tema
dell’incontro: La monacazione forzata. Fonti
e archivi per la storia delle donne. Gli archivi
sono “luoghi vivi”-sottolinea Adriana Valerio
“nel senso che è qui che si possono trovare i
documenti primari che danno poi il via alle
ulteriori indagini” ad esempio, certificati di
nascita o di battesimo. Spesso, poi, affiorano
notizie documentarie circa le donne e le loro
attività, così da ribaltare l’idea di un loro
ruolo marginale. In virtù di questa posizione
subalterna, le donne non hanno potuto
scegliere liberamente il proprio futuro e,
pertanto, sono state costrette spesso alla
monacazione. In realtà è proprio nei luoghi
sacri a loro deputati, che le donne hanno
espresso le loro potenzialità e conoscenze: il
monastero era non solo luogo di fede ma
anche di committenza artistica, di cultura e di
potere e dalle indagini su oltre 120 monasteri
napoletani, si è evinto che essi possedevano
una sala teatro (lo dimostra, ad esempio, il
fatto che erano il sito per eccellenza delle
feste del potere angioino). Numerosi poi gli
esempi letterari del monacarsi delle donne,
non per libera scelta, al di là del famosissimo
esempio manzoniano di Gertrude, come ha
sottolineato Giuseppina Scognamiglio,
docente di Letteratura teatrale italiana: dal
Gianbattista Pergolese di Francesco
Mastriani (amore contrastato con Maria
Spinelli, fanciulla napoletana di buona
famiglia, costretta nel 1834 a monacarsi), al
Ferdinando di Annibale Ruccello (in cui c’è
un rapporto intimo tra il sacerdote don
Catellino e la donna borbonica, Clotilde), e
già ne La tirannia domestica, ovvero la
Rachele, romanzo del 1793 di Pietro Napoli
Signorelli e fonte - afferma la docente - di
Manzoni per la sua Gertrude. Tantissimi altri
esempi si potrebbero addurre, tra questi Le
religiose alla moda di Dalbono (1768) o
ancora Diderot ed Enrichetta Caracciolo.
Nell’occasione è stato letto un passo da Ecce
Virgo, testo teatrale di Angela di Maso, da lei
interpretato con Arnolfo Petri. Moderatrice
dell’incontro, la Soprintendente archivistica
Maria Luisa Storchi.
Fiorina Izzo
L’eco di Cassandra n° VIII anno II
Inchiostro Libri
un romanzo di Lara Kant
Narrata in prima persona quasi come un
diario, La barca senza porto è una storia
particolare ispirata alla tragica esperienza di
Emma, una ragazza che Lara Kant incontrò
durante uno dei suoi viaggi e che le fece
sorprendenti dichiarazioni. L’autrice presenta
le vicende per poi lasciare la parola alla
protagonista, alternando dialogo e voce
narrante, senza che il lettore ne percepisca il
passaggio repentino. Così il romanzo si
addentra, a mano a mano, nella vita privata di
una fragile bambina di un orfanotrofio,
ritraendola nel suo diventar donna
prematuramente, quando soffre e si rialza,
quando parte e poi ritorna. La parte più cruda
della vita di Emma viene raccontata in modo
dettagliato e raccapricciante: a 13 anni, venne
stuprata dal padre di una sua amica, una
violenza che, in principio, la ragazzina
identifica come un tentativo di omicidio, e
che, poi, la fa precipitare in un gravissimo
stato di anoressia. Quando tutto sembrava
finito, accade qualcosa di prodigioso che
spinge quella mente passiva e affranta a
reagire e ad intraprendere una dura e lunga
lotta contro la morte. Con un’insolita forza di
volontà, Emma riesce a salvarsi, dimostrando
come sia possibile risollevarsi anche dalle
tenebre più oscure del dolore per ritrovare il
sorriso e la voglia di vivere. Racconto
struggente e a tratti commovente mette in
risalto i lati oscuri del destino, mostrando, da
un lato, la sofferenza umana in tutta la sua
tragicità, dall’altro, la possibilità di riscatto
anche in fin di vita.
Antonella Anna Giacomaniello
L’eco di Cassandra n°VIII anno II
Nel corso delle lezioni, gli studenti del Master
di II livello in “Letteratura, scrittura e critica
teatrale” incontrano artisti, autori, registi e
attori teatrali e, dopo Ernesto Maiheux e le
sorelle Rondinella, è la volta di Eduardo
Tartaglia, che da qualche tempo,
parallelamente agli impegni teatrali, è alle
prese con il cinema. Infatti, dal 12 marzo è
uscito in 150 copie in tutta Italia, prodotto da
Medusa, La valigia sul letto. Anche questo
terzo lavoro cinematografico del Tartaglia,
vede luce al teatro, in quanto trasposizione di
un precedente lavoro teatrale. Il tutto nasce,
dice Tartaglia, dalla osservazione della città,
Napoli, che è «metafora di se stessa, in cui
vivono ed operano personaggi interessanti ed
intriganti e, quindi, facili oggetti di scrittura».
Comicità assoluta, teatrante se così si può
dire, si innesta in un contesto sociale
contemporaneo, tra crisi sentimentale ed
economica della vita dei due protagonisti,
Achille Lo Chiummo e sua moglie Brigida,
che si ritrovano così al centro di mille
disavventure: sfrattati, senza più una casa né
un luogo sicuro in cui vivere, trovano riparo e
“acquistano” come propria dimora un cantiere
della metropolitana, ma poi si ritroveranno a
scappare, cercando addirittura di cambiare
identità grazie ad uno stratagemma
(cancellare una lettera dal cognome del
nonno), finendo poi per ritrovarsi parenti del
boss pentito Antimo Lo Ciummo. Tuttavia,
precisa il regista-attore, «La valigia sul letto
non è un film sulla camorra e nemmeno sulla
precarietà del lavoro degli ultimi anni. Volevo
descrivere principalmente le reazioni,
tipicamente napoletane, a questi due gravi
problemi. Trovare una via di fuga originale ai
problemi della vita è un classico della
commedia napoletana». Ed inoltre, la
L’eco di Cassandra n°VIII anno II
napoletanità non deve divenire un ostacolo
alla comunicazione bensì un valore
aggiunto, ragion per cui egli in questo
nuovo lavoro ha cercato di adottare un
codice espressivo più consono al cinema,
ben consapevole, infatti, che il limite dei
due film precedenti era quello di «aver
usato un modo di recitare e di narrare la
vicenda tipico del teatro comico
napoletano. Come attore cerco di
migliorarmi ogni volta, anche per questo
motivo coinvolgo professionisti talentuosi
come Maurizio Casagrande e Veronica
Mazza, due attori molto più bravi di me
che mi spingono a dare sempre il
massimo». Difficoltà ci sono state, come
afferma la stessa Mazza (compagna di
Tartaglia anche nella vita) «Interpretare
questo personaggio è stata una grande
sfida: all’inizio mi spaventava molto perché
Brigida sostiene il suo compagno anche di
fronte all’evidenza dell’errore, perciò ho
cercato di rendere le sue scelte simpatiche
allo spettatore ma allo stesso tempo volevo
che si rendessero conto che sono sbagliate e
immorali». Nel cast oltre a Ernesto
Mahieux, Peppe Miale, Nunzia Schiano e
Marjo Berasategui (attrice spagnola ma
napoletana d’adozione), anche Alena
Seredova che «perfettamente inserita in un
contesto di napoletani», veste i panni di un
serial killer della camorra, giunta dell’Est
per uccidere il pentito Antimo Lo Ciummo
(Biagio Izzo), un ex capoclan narcisista e
amante delle donne.
Fiorina Izzo
L’eco di Cassandra n°VIII anno II
L’ultimo lavoro del patriarca del cinema americano, Clint
Eastwood, è un film che rivive la storica pagina del primo
mondiale di rugby assegnato al
Sudafrica, nel 1995, durante lo
stato di transizione successivo
all’apartheid e poco dopo
l'insediamento di Nelson Mandela
come presidente della nazione.
Tra gli interpreti Morgan
Freeman, nel ruolo dell'ex
presidente del Sud Africa, e Matt
Damon in quello di Francois Pienaar, capitano del team South
Africa Springboks.
Il film, intitolato inizialmente The Human Factor, è stato
ribattezzato Invictus, dal latino “Invincibile”, riferito ad un
poema di William Earnest Henley del 1875, spesso citato da
Mandela. La pellicola prende spunto, inoltre, dal libro di John
Carlin intitolato Ama il tuo nemico.
Mandela, leader della lotta contro le leggi razziali, uscito da
poco di prigione, diventa presidente del Sudafrica grazie alle
libere elezioni. Così anche il mondo dello sport viene coinvolto
dall'evento: sulla scena internazionale ritornano gli
Springboks, la nazionale sudafricana, bandita, ormai dagli
anni '80, dai campi di tutto il mondo a causa dell'apartheid.
In occasione della cerimonia di apertura del campionato
mondiale, l'ingresso in campo del presidente Mandela, che
indossa la verde maglia di jersey degli Springboks, segna un
passo decisivo nel cammino verso la pace tra bianchi e neri.
I critici hanno inserito questo film tra le opere meno personali
del regista Eastwood, ma di grande respiro narrativo,
censurando un insolito eccesso di retorica.
Antonella Anna Giacomaniello
TITOLO ORIGINALE:
Invictus
GENERE:
Dramma, Biografico
ANNO DI PRODUZIONE:
2009
NAZIONE: United States
DISTRIBUZIONE:
Warner Bros
ANNO DI
DISTRIBUZIONE:
2010
DATA DI USCITA:
26-02-2010
REGIA:
Clint Eastwood
CAST:
Matt Damon (Francois
Pienaar)
Morgan Freeman (Nelson
Mandela)
Robert Hobbs
L’eco di Cassandra n°VIII anno II
Da poco nelle sale è
uscito il nuovo film
diretto da Tim
Burton Alice in
Wonderland, che
prende spunto dal
romanzo di Lewis
Carroll Alice nel
paese delle
meraviglie e dall’omonimo cartone prodotto
dalla Walt Disney. Questa volta però Tim
Burton ha scelto di presentare avvenimenti
successivi a quelli già narrati. Infatti, a cadere
nel buco del Bianconiglio è una Alice già
adulta, che ormai si è dimenticato di quel
mondo “delle meraviglie”. Il film si apre con
una breve scena dove una Alice ancora
bambina si sveglia nottetempo in preda ad un
incubo ricorrente in cui, come dirà al padre,
vede un bruco blu e tanti altri strani
personaggi. Con un salto temporale,
ritroviamo Alice (Mia Wasikowska) ormai
diciannovenne che
partecipa ad una festa
dove riceverà una
proposta di matrimonio da
un lord inglese. Senza
rispondere, presa dal
panico, fugge in un bosco
dove scorge un coniglio bianco, incuriosita
inizierà a seguirlo. Ed è qui che Alice cade
nuovamente nella tana del Bianconiglio,
passaggio per quel mondo delle meraviglie
che lei credeva un sogno. Una volta entrata
nel paese delle meraviglie, attraverso una
piccolisima porta alla quale accederà
rimpicciolendosi grazie ad una pozione, si
trova davanti buffi personaggi che sostengono
che lei è l’Alice sbagliata. Sono personaggi a
noi già noti come il
Bianconiglio, lo
Stregatto ed il
Cappellaio Matto
(Jonny Deep) o il
Brucaliffo. Alice è
stata richiamata in
quel mondo per un
motivo ben preciso: è
la prescelta per la lotta
tra la Regina Rossa
(Helena Bonham
Carter) e la Regina Bianca (Anne Hathaway),
il suo compito sarà quello di uccidere il
Cicciarampa e liberare il paese delle
meraviglie. Tim Burton è riuscito a dare
l’idea di un mondo abbastanza inquietante,
animato da personaggi particolari, resi ancor
più strani dal grande effetto 3D che rafforza
la partecipazione al mondo surreale che viene
rappresentato. Il cast è molto buono: rilevanti
in particolare Jonny Deep, che ben interpreta
la stravaganza del cappellaio, ed Helena
Bonham Carter, che riesce, con semplicità, a
rappresentare la malvagità della Regina
Rossa. Il film non è certo uno dei migliori di
Tim Burton, ma risulta senz’altro ben fatto
per la cura dei costumi e dell’ambientazione.
Enrica Mossetti
L’eco di Cassandra n° VIII anno II
Se attuassimo
l’esperimento de Le
lettere persiane, il
grande romanzo di
Monesquieu in cui un
colto turista persiano in
Francia racconta la realtà
occidentale nel XVIII secolo, vista da un
uomo di cultura, religione e costumi
radicalmente opposti a quelli d’oltralpe,
all’Italia di oggi, cosa potremmo vedere
attraverso lo sguardo altrui?
Il nostro straniero, o persiano (o anche
padano!), ci racconterebbe di un luogo dove la
televisione trasmette show dal budget
milionario in cui una bella signora dai vestiti
appariscenti, tutti lustrini e lamé, presenta a
un pubblico sussiegoso canzone pseudo-
patriottiche; o curiosi spettacoli chiamati
reality show, in cui c’è una bizzarra
sovrapposizione tra chi dovrebbe fare la tv e
chi dovrebbe guardarla: chi dovrebbe stare a
casa con telecomando ed in poltrona, è invece
in studio, disinvolto e scaltro a fare il proprio
spettacolo.
E che dire del “Popolo viola”? Viola? Sarà
forse una confessione del cattolicesimo?
Un’altra etnia italiana? Un movimento! Un
movimento che si muove autonomamente,
senza gerarchie, senza un comitato direttivo e
comitati locali, senza un leader, nelle piazze?
E in cosa si riconosce? No alla guerra? Basta
effetto serra? Il credo comune è “Signor B.
vai a casa”? Oh buon Allah…
«Caro Uzbek,» direbbe il nostro turista
persiano «nella televisione italiana non sono
riuscito a rintracciare la libera informazione».
Eh già, il nostro disorientato straniero si
chiederebbe perché mai i giornalisti che fanno
il loro mestiere devono essere rimbrottati dal
governo; perché esista il conflitto di interessi
applicabile alla sfera dell’informazione,
perché alcune notizie debbano strisciare su
internet piuttosto che essere diffuse dai canali
nazionali. Nelle sue lettere concluderebbe che
l’Italia è proprio il paese del sole e della
canzone: l’opinione pubblica, infatti, è
infiammata più spesso e più ingentemente dai
talent show che danno da fare ai discografici
che dai bavagli ai giornalisti. Confuso e
incredulo il nostro visitatore scriverebbe
infine al suo corrispondente: “Qui l’aria che
tira non mi piace Uzbek, c’è odore di regime.
Io torno in Iraq”.
Angela Marino
L’eco di Cassandra n°VIII anno II
“Italia mia, benché 'l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sí spesse veggio,
piacemi almen che ' miei sospir' sian quali
spera 'l Tevero et l'Arno,
e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio…”
Così parlava all'Italia Francesco Petrarca nella sua canzone, quando
sognava un'Italia libera dalle lotte provocate dai principi, esortandoli a
cacciare dal loro suolo le milizie mercenarie germaniche. All'epoca era un
poeta a dolersi per le sorti dell'Italia, oggi c'è un principe che esorta l'Italia
a dolersi per la sua sorte. Il soggetto in questione è Emanuele Filiberto di
Savoia, appartenente ad una casata nobiliare che ha segnato la storia
dell'Italia moderna, ponendosi a capo del movimento di unificazione nazionale, che portò alla
proclamazione del Regno d'Italia nel 1861. Con l'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana
il 1° gennaio del 1948 i discendenti maschi di Casa Savoia furono costretti all'esilio, conclusosi nel
2002. Da quel momento in poi Emanuele Filiberto ha cominciato la sua ascesa nel mondo dello
spettacolo, non si sa in base a quale talento, probabilmente lo stesso che fa tanto apprezzare i così
detti “tronisti” del talk show della De Filippi, in fondo di mezzo c'è sempre un trono! Sicuramente
questa è stata la strada più facile per farsi apprezzare dal popolo, quella di essere alla moda e su
questo punto lo pseudo principe non si è fatto mancare nulla, lo abbiamo visto passare di
programma televisivo in programma televisivo facendo il ballerino, l'opinionista e persino il
cantante a Sanremo. Non mi stupisce il fatto che un nobile di sangue, senza particolari abilità, sia
potuto entrare nel mondo dello spettacolo, ciò che mi indigna è che anche un programma come
Sanremo che dovrebbe essere l'emblema del talento musicale sia diventato il trionfo dei
“personaggi”. A Sanremo, infatti, ha vinto un personaggio del talent show di Maria De Filippi,
Valerio Scanu e si è classificato terzo il protagonista di un altro talent show targato rai, Marco
Mengoni vincitore di X-Factor. In un concorso musicale, come in qualsiasi altro contesto in cui
dovrebbe essere premiato il talento andrebbe votato l'artista, non il fenomeno televisivo. L'utilizzo
delle scorciatoie è ormai diventata una consuetudine in qualsiasi campo, dal mondo della
televisione a quello della politica, dove la regola che vige è che se ne parli, anche male, ma
l'importante è che se ne parli. Sul grande palcoscenico italiano tornano in scena le maschere, la più
apprezzata è quella della “vittima”, l'eroe tormentato ed escluso dal gruppo dei cattivi, lo pseudo
principe si è completamente immedesimato in questo ruolo a Sanremo, rievocando nella sua
canzone l'immagine del bambino che soffriva lontano dall'Italia. In realtà questo personaggio è
pieno di contraddizioni, afferma di amare l'Italia, ma velatamente critica il risultato di una
decisione costituzionale, afferma di credere in un ideale, probabilmente quello della monarchia,
basata sul principio che coloro che sono nati in una determinata dinastia sono superiori agli altri e
dunque possono comandarli, ma allo stesso tempo si duole per il popolo che possiede poco e
niente. Emanuele Filiberto è solo uno dei tanti personaggi che esprime le diverse contraddizioni
che caratterizzano il nostro Paese, è amato dal popolo, forse perché troppo abituato a credere nelle
apparenze.
Alessandra Marziale
L’eco di Cassandra n°VIII anno II
Il 1 marzo 2010 attraverso una nuova legge liberticida, i programmi d'informazione targati RAI e
solo RAI non potranno essere trasmessi per circa un mese, quello delle elezioni regionali. Da un
giorno all' altro (nel vero senso del lemma) sono stati cancellati “ANNOZERO” di Santoro, Vauro,
Travaglio, “PORTA A PORTA” di Bruno Vespa, “BALLARO'” di Floris, Crozza e “ULTIMA
PAROLA” di Paragone. Tutto questo nonostante la strenua, indefessa, pervicace battaglia di Zavoli,
Garimberti, alcuni politici, molti giornalisti e la stragrande maggioranza del “POPOLO LIBERO”
quello vero, non quello utopico di Berlusconi. Quel popolo libero che si sente rappresentato, difeso,
sostenuto e sostiene quel meraviglioso magma vitale chiamato “POPOLO VIOLA” e che coerente
con gli articoli della Costituzione difende, come non mai da tutte le volte che il Cavaliere assume il
controllo totale del suo feudo chiamato italia con capitale Arcore e succursale Palazzo Grazioli,
sopratutto l'Art. 21 che recita:
Se questo fondamentale articolo non esistesse o per merito di un efferato
e allucinato progetto di legge firmato Ghedini e Co. venisse epurato o
addirittura estinto per Nostro Signore sarebbe una grande soddisfazione,
il suo più riuscito miracolo. Sì, Berlusconi, il creatore del “Popolo della
Libertà” ribattezzato “Popolo dell'Amore” e prossimamente “Popolo
della Carità Misericordiosa” odia e teme tutto ciò che è contrario al suo
Verbo. Il solito avvilente paradosso, ma si sa l'Italia è il popolo del
paradosso (Pirandello docet). Lui asserisce furente di subire da tutti attacchi faziosi e che la par
condicio in tv è una norma assolutista. Come tutti i Crizia vomita contumelie gravissime, in una
democrazia, verso alcuni conduttori, giornalisti e magistrati, ma nemmeno si degna di comparire
davanti a loro e spiegare le sue ragioni come ha fatto Bertolaso. Vorrei rammentare al Presidente
del Consiglio il significato di due termini
Faziosità: Attaccamento viscerale, aggressivo e immotivato agli interessi di una sola parte.
Termine nato nel 1919 (DEVOTO-OLI)
Par condicio: Parità di condizione, per quanto riguarda l'accesso dei mass media, assicurata a
ogni partito o raggruppamento politico (DEVOTO-OLI)
Ebbene sia Santoro che Floris, da professionisti aderiscono a questo secondo principio, addirittura il
giornalista campano si deve trainare sempre quei giannizzeri di Belpietro, Sallusti e Ghedini che
creano solo confusione e in mancanza di controrepliche valide, tracimano con urli beceri e insulti
Tutti hanno diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,
lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta
ad autorizzazione o censure.
L’eco di Cassandra n°VIII anno II
inammissibili. Vespa, a mio dire, aderisce meno a tale principio, in quanto consente di far parlare e
straparlare Berlusconi per tre ore senza controinterrogatorio. Quando
il Cda prese la I decisione, ahimè provvisoria, di non far intervenire,
in questo nefasto mese, politici, Santoro ideò una splendida puntata
sulla droga chiamata “PROIBITO” a cui parteciparono Morgan,
cantante, Barbara Palombelli, giornalista, Antonio Scurati, scrittore e
Marco Baldini, conduttore radiofonico. Ma Nostro Signore e i suoi
angeli non ci stanno e da perfetto discente di Licio Gelli attua la
massima “COLPIRE QUALCUNO PER EDUCARLI TUTTI”..
Questa volta non è riuscito ad emanare un nuovo “Editto Bulgaro”
quello che violentò, stuprò la cultura e la libertà cancellando, nel 2004, dagli schermi tv Santoro,
Biagi, Luttazzi, Massimo Fini, Freccero, Sabina Guzzanti e Paolo Rossi forse perché è più solo di
prima con un Fini che non ci sta e una Lega che lo deride. L'Egoarca cerca di tenere duro vedendo
complotti da per tutto e rivoltandosi, immergendosi nella sua fetida e rancida melma a pari di
Nerone, Caligola ed Eliogabalo. Il nostro liberticida che nessuno riesce a fermare, guardate un po', è
ricattabile da uno stuolo di puttane assoldate da lui per sollazzarsi! Italia paese della farsa e della
beffa. Un nugolo di abiuristi della libertà non ci può negare l'informazione pubblica infarcendoci di
programmi triti e ritriti, di ragazze sculettanti, discinte e ammiccanti
e noiosi reality, verso cui io non ho nulla in contrario a che siano
trasmessi, ma giacchè la Rai vive del canone dei nostri soldi
vogliamo essere tutelati; nelle sue reti privati, di cui Berlusconi è il
padrone si può permettere di tutto anche di pisciare addosso a suoi
dissidenti. In un paese che, come profetizzò Pasolini, ingurgita la
merda rendendoci passivi noi dobbiamo ribellarci. Ma dove è finita
quella RAI che in prima serata oltre ai sublimi Supervarietà,
trasmetteva talk-show i cui protagOisti si chiamavano Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini,
Leonarda Sciascia, Italo Calvino, Primo Levi ? Adesso l'opinione pubblica è morta o almeno si è
estinta in quanto non si conoscono più i fatti e i msfatti del Belpaese ma in cambio sappiamo tutto
dei furori erotici e delle scurrilità dei reality show e delle misure esorbitante e gonfiate di alcune
ragazze. Ma perchè non viene letta la Costituzione ? I pensieri dei grandi italiani liberi del
Novecento e di questo Duemila? Noi abbiamo l'obbligo di sostenere tutte le persone che hanno
speso e spendono la loro vita guidate dal Dio-Libertà. Un ultima notizia: Marcello Dell'Utri
(liberticida) ha ritrovato un appunto di “Petrolio” di Pasolini (padre della libertà). Sarà vero ? Mah!
Mistero dei misteri italiani.
Andrea Panico
L’eco di Cassandra n° VIII anno II
Ecuba di Euripide al Teatro
Stabile di Napoli
Ha debuttato lo scorso 3 marzo, con repliche
fino al 14 al Teatro Stabile di Napoli, lo
spettacolo Ecuba di Euripide con protagonista
Isa Danieli, presentato dalla Compagnia Gli
Ipocriti nell'adattamento e la regia di Carlo
Cerciello. La grande Isa Danieli ha interpretato,
dunque, una delle più moderne figure femminili
della tragedia greca, Ecuba, che da regina di
Troia diventa schiava degli Achei per poi essere
testimone di un’ineluttabile storia: da un lato,
assiste, infatti, alla morte, per mano dei nemici
greci, della figlia Polissena, dall’altro, per la
mano amica del re Polimestore, a quella del
figlio Polidoro. Una doppia tragedia che indurrà
la protagonista, madre e regina, ad uccidere per
vendetta i figli di Polimestore e ad accecare il
loro padre.
Accanto ad Isa Danieli hanno recitato anche
Franco Acampora, Fortunato Cerlino, Ciro
Damiano, Niko Mucci, Imma Villa, Raffaele
Ausiello, Caterina Pontrandolfo, Autilia Ranieri
e Daniela Vitale. Le scene sono state curate da
Roberto Crea, i costumi da Daniela Ciancio, le
musiche da Paolo Coletta, le luci da Cesare
Accetta, le immagini video da Filippo
Andreatta.
“Ecuba” scrive Carlo Cerciello nella lunga nota
di regia “è un testo straordinariamente moderno,
in cui accanto ad una crudeltà spietata, tanto
assimilabile a quella delle nostrane faide
criminali, dove in nome dell’onore e dei vincoli
parentali si può ottenere soddisfazione per il
torto subito, trovano posto l’amore
meraviglioso, assoluto di una madre e quelle
richieste di pietà e giustizia disattese dalla
consapevole sordità del potere, cui oggi siamo
purtroppo abituati”.
Antonella Anna Giacomaniello
Il gabbiano di Marco
Bernardi al Teatro Bellini
Deve avere ancora qualcosa da raccontarci Il
Gabbiano, dramma in 4 atti scritto da Cechov
nel 1895, se registi e attori, giovani e maestri
avvertono, tuttora, la necessità di confrontarsi
con un testo tanto "misterioso" per coglierne a
pieno fascino e valenza drammaturgica. È
quello che è capitato anche a Marco Bernardi
che, al suo secondo incontro con il
drammaturgo russo, dopo Il giardino dei ciliegi,
dal 2 al 7 marzo, ha portato l’opera al Teatro
Bellini di Napoli.
Con straordinaria maestria, il regista mette in
rilievo il burrascoso rapporto genitori-figli, il
contrasto fra nuovo e vecchio teatro che
caratterizza il passaggio da una generazione
all’altra. Il cast formato da Patrizia Milani,
Carlo Simoni e Maurizio Donadoni permette di
rendere la contemporaneità di un dramma che,
sebbene ambientato nel 1895, è ancora attuale
per i sentimenti e le sofferenze raccontate. Il
metaforico gabbiano del titolo nasconde, in
realtà, amori e odi, grida e sussurri, inquietudini
ed infelicità. C’è l’amore nelle sue forme più
ciniche e spietate, ci sono i sentimenti di chi
vive in modo malinconico e disincantato, c’è la
vecchiaia anagrafica che non rinuncia ai suoi
sogni e poi c’è l’arte e il teatro che, pur
rinnovandosi, non perdono la forza delle
emozioni.
Antonella Anna Giacomaniello
L’eco di Cassandra n° VIII anno II
È stato aperto al pubblico lo scorso 4 marzo, nel Carcere alto di
Castel Sant'Elmo, il "Museo del 900 a Napoli". Nato da un progetto
di Nicola Spinosa, il Museo intende documentare quanto realizzato a
Napoli nel corso del XX secolo. Si tratta di un'esposizione di circa
150 opere, tra dipinti, sculture, disegni ed incisioni, di 90 autori,
partenopei e non, disposte in un percorso cronologico suddiviso per
sezioni: dalla documentazione della Secessione dei ventitré del 1909
o del primo Futurismo a Napoli degli anni 1910-1914, al movimento
dei Circumvisionisti e del secondo Futurismo. Seguono varie testimonianze del periodo tra i due
conflitti mondiali fino alle esperienze del secondo dopoguerra (1948-1958). Alcune sezioni sono
poi riservate agli anni Settanta, con sperimentazioni di tipo poetico-visivo. La sezione conclusiva è
dedicata, infine, all'attività di quegli artisti che, pur continuando ad operare dopo il 1980, si erano
già affermati in città prima che il sisma del 23 novembre colpisse e segnasse la città e altre aree
meridionali. Il Museo dispone, inoltre, di un catalogo edito da Electa, con le presentazioni del
Presidente della Giunta Regionale Antonio Bassolino, del Direttore Generale per il Paesaggio, le
Belle Arti, l'Architettura e l'Arte Contemporanee Roberto Cecchi e del Soprintendente Lorenza
Mochi Onori. La scelta degli artisti e delle opere è stata curata da Angela Tecce, direttrice del
complesso di Castel Sant'Elmo, con la costante collaborazione dello stesso Nicola Spinosa, mentre
la realizzazione del Museo si è resa possibile per il diretto coinvolgimento nel progetto della
Regione Campania Assessorato al Turismo e Assessorato ai Beni Culturali, con l'utilizzo dei fondi
disponibili grazie al co-finanziamento dell'Unione Europea POR- FESR Campania 2007-2013.
Antonella Anna Giacomaniello
Il 3 marzo scorso in aula Pessina, nella sede Centrale di Corso Umberto, si è tenuto un importante
seminario dal titolo “Il diritto dell'informazione e della comunicazione”, in occasione della
ripubblicazione del libro omonimo di Paolo Caretti, costituzionalista dell'Università di Firenze. Il
seminario è stato organizzato da Sandro Staiano, coordinatore del dottorato di ricerca in Diritto ed
Economia dell'Istituto Italiano di Scienze Umane, ed è anche il primo ad introdurre il seminario,
ritenendo che il tema del diritto dell'informazione alla luce degli ultimi fatti di cronaca politica, sia
un tema attualissimo che trova spunto proprio con i fatti di questi giorni, ovvero la delibera che
limita l'informazione politica in Rai, durante la campagna elettorale. Il professor Staiano illustra i
fondamenti del testo di Caretti, un manuale adatto a studenti più maturi, ritenendo che la ««la libertà
di espressione non è solo una libertà che si aggiunge alle altre, ma ne è fondamento», inoltre il
prof. etichetta il rapporto tra comunicazione e magistratura come “controverso e frammentato”.
Interviene anche Ottavio Grandinetti, docente esperto di diritto dell'informazione e della
comunicazione, che apprezza del manuale di Caretti «la matrice unitaria che resta allo studente» e
analizza la situazione di diarchia tra le due tipologie di programmi informativi: i notiziari e i
programmi di approfondimenti. «Diarchia in quanto la Rai vede dettare le regole dalla
Commissione di Vigilanza, che riceve pressioni dai partiti politici. Questa Commissione si
assoggetta alle regole politiche e ciò determina violazioni della legge sulla par condicio».
Francesca Bianco
L’eco di Cassandra n°VIII anno II
Per ricordare la figura di Salvatore Di Giacomo, drammaturgo, poeta
e autore di canzoni, l'Università Federico II in collaborazione con il
Dipartimento di Filologia Moderna e il Master di II livello in
Letteratura, Scrittura e Critica Teatrale, ha organizzato una giornata
di studio (10 marzo 2010) dal titolo Ritorna Di Giacomo? Bilancio e
prospettive di una storia a 150 anni dalla nascita (1860-2010).
L'obiettivo di fondo era tentare una ricostruzione del complesso
profilo di Di Giacomo, inserendo in una prospettiva interdisciplinare i
nuclei tematici e i nodi fondamentali della sua scrittura, senza
tralasciare la storia linguistica dei testi (interventi dei docenti N. De Blasi e P. Bianchi), i
rapporti con le arti figurative e il cinema (prof. E. Massarese e P. Iaccio), la feconda attività
giornalistica intesa come importante “palestra letteraria” (D. Trotta e S. De Stefano). Ed è
quanto emerso nel corso delle tre distinte sessioni congressuali: l’opera del poliedrico
Salvatore Di Giacomo continua ad affascinare numerosi studiosi, nonché semplici lettori
anche a distanza di secoli. Dopo il saluto iniziale del preside della Facoltà, Arturo De Vivo, si
è registrato il primo intervento del convegno, firmato da Toni Iermano, docente di
Letteratura italiana all’Università di Cassino e studioso di Di Giacomo intitolato Ma solitario
e lento / more 'o mutivo antico.
Affermatosi giovanissimo nell’ambiente culturale napoletano, Di Giacomo vive a pieno il suo
tempo registrandone i cambiamenti che coinvolgevano quella sua città, Napoli, folle e
irrazionale, che fa da modello alle sue novelle ( pubblicate su La Gazzetta letteraria già dal
1778-79). Lui, che può essere considerato il primo cronista, assiste e registra i mutamenti
seguenti al Risanamento e che investono anche il piano del linguaggio, cosicché nella sua
opera convivono tradizione e innovazione. Le radici della sua scrittura affondano, dunque, in
Napoli – come sottolineato da Pasquale Sabbatino – “città disgraziata, in mano di gente senza
ingegno e senza cuore”. Certo, la realtà era la sua fonte di ispirazione proprio come la
pittura, come nel caso di L‟acciso ed è quanto affermato dal prof. Raffaele Giglio nel suo
intervento Pittura e poesia in Salvatore Di Giacomo: per Paglietta (questo lo pseudonimo con
cui si firmava come critico d’arte) l’opera d’arte doveva “esprimere la realtà e comunicare
emozione”, come nel caso della poesia „Na tavernella (1907). La giornata di studi si profila,
dunque, come un tentativo di indagine a tutto tondo sull’immagine di Di Giacomo e la sua
immensa opera, che spazia dal giornalismo alla novellistica, dalla musica alla saggistica, dal
teatro con l’Assunta Spina e O mese mariano (quest’ultimo, uno dei drammi più toccanti di Di
Giacomo, come ha specificato Giuseppina Scognamiglio nel suo intervento Titina De Filippo
interprete sublime del digiacomiano) alla biografia (Vincenzo Caputo, Il dubbio
“impaziente”dell‟arte. Salvatore Di Giacomo biografo: Morelli, Dalbono, Gemito).
In definitiva, l’estrema varietà linguistica non deve essere rapportata all’attività di poeta,
ridare una classicità all’autore di Assunta Spina e, pertanto, una ricostruzione filologica dei
suoi testi, seppur complessa sembra doverosa.
Fiorina Izzo