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Volantino di informazione e diffusione delle attività culturali, sportive e socialiTRANSCRIPT
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volantino di informazione e diffusione delle attività culturali, sociali e sportive
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informazioni ai sensidelle leggi n.47/48 e n. 62/01
A...periodico Volantino di informazione e diffusione
delle Attività Culturali, Sociali e Sportive
www.aperiodico.infofacebook/volantino.aperiodico
www.chicory.eu
Coordinamento: Andrea Fontecchia Venanzio Cellitti
Hanno collaborato: Antonio Cappucci Luigi Pro Francesco Savelloni
Luogo della pubblicazione: Ferentino
Anno pubblicazione: 2015
Impaginazione e Grafica: Venanzio Cellitti
Immagine di Copertina: Opera di Giancarlo Canepa
Disclaimer e copyright: La presente pubblicazione è soggetta ad aggiorna-menti non periodici e non rientra nella categoria del prodotto editoriale dif- fuso al pubblico con periodicità regolare come stabilito dalla legge 8 febbraio 1948, n. 47 e legge 7 marzo 2001, n.62. Le fo- tografie pubblicate sono di esclusiva proprietà dei singoli autori, pertanto tutto il materiale pubblicato è coperto da copyright ed il suo utilizzo è consentito esclusivamente pre-via autorizzazione scritta del titolare e/o acquisto dei diritti di utilizzo. Le fotografie ove compaiono delle persone sono sta-te realiz- zate cogliendo momenti di vita quotidiana in luoghi pubblici e sono state realizzate senza scopo di lucro, con inten-to esclusi- vamente culturale e artistico, come consentito dalla normativa vigente sulla privacy. I soggetti ritratti potranno in qualsiasi mo- mento e senza nessuna spiegazione chiedere che vengano ri- mosse dalle gallerie e nodal database se lo ritenes-sero necessario.
A TUTTE LE ASSOCIAZIONI!!
Si ricorda a tutte le associazioni operanti nel- l’ambito culturale, sportivo o sociale che gli
spazi sull’A...periodico sono gratuiti. Basta inviare un articolo tramite e-mail:
Un pensiero alla memoria di Sergio Collalti
Il 2015 ha visto, tra gli eventi che ritengo meritino di essere segnalati, la dipartita del concittadino Sergio Collalti, personaggio di rilievo nel panorama cittadino. Lo voglio ri-cordare con alcune righe tratte dal libro di Giuseppe Coppotelli: “In Ordine Sparso – sognando l’alba di un nuovo giorno” edito dall’as-sessorato alla cultura del comune di Ferentino nel 1998. Per la verità a lui non piaceva il ritratto che ne usciva dal libro ma resta un docu-mento cartaceo che ritengo meriti di essere letto nella sua brevità (con-sta di 62 pagine). La vicenda da cui ho estrapolato quanto segue è a pag. 55 e seg. in un paragrafo dal titolo “dalle macerie fumanti un anelito di libertà” in cui si narrano eventi sul finire della guerra del 1940-45. “Un altro sabotaggio, consistente in un furto d’armi poste all’interno di un camion dell’esercito italiano, ce lo racconta Sergio Collalti, ge-store del bar omonimo. “la notte tra il 12 e il 13 settembre 1943, con Enzo Cellitti e Angelo Coppotelli, dal camion OM parcheggiato lungo Viale Elena (ora Guglielmo Marco-ni) portammo via pistole Berretta cal. 9, fucili, bombe a mano Balilla. Armi e munizioni che nascondem-
mo sotto il bar Vascello. Quando venimmo a sapere che nella zona di Monte Scalambra (Serrone) operava un gruppo di partigiani del GAP, comandato da Antonello Trombadori, organizzammo il tra-sferimento caricando le armi su un camioncino”. Esistono altre versioni di questo racconto con ulteriori particola-ri nel libro “Vicende di Guerra” di Virgilio Reali o nelle registrazioni che ho ripreso dalla viva voce del registrazioni, appartenenti alla mia collezione, sono tuttora inedite e aspettano che mi decida ad omoge-neizzarli per la diffusione. Prima di chiudere questo pezzo voglio però aggiungere un aneddo-to che mi raccontò lo stesso Sergio Collalti che lo aveva appreso da un anziano che aveva assistito alla scena. L’evento riguarda il passag-gio in Ferentino di Giuseppe Gari-baldi prima che il paese divenisse italiano, ricordo dalle sue parole lo sconcerto dell’eroe dei due mon-di per la fredda accoglienza ed il distacco che i nostri concittadini gli riservarono nella zona di bor-go Sant’Agata. Non so se in futuro questa figura avrà onori di cronaca ma sicuramente Sergio Collalti re-sta un personaggio ed il simbolo di un periodo per la mia generazione.
Indice
p. 3 Ferentino anni cinquantadi Antonio Cappucci
p. 4 La “Paura” - notizie e formula....di Andrea Fontecchia
p. 5 Qualche notizia sugli usi e sul malocchio...
di Andrea Fontecchia
p. 6-7 Il Testamento di Aulo Quintilio Prisco nell’equinozio...
di Luigi Pro e Andrea Fontecchia
p. 8-9 Genealogia dei Fontecchia...di Andrea Fontecchia
p. 10 Concetto di Performance...di Francesco Savelloni
p. 11 Poesie...di Giancarlo Canepa
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“Ho un ricordo vivo e chiaro di Ferentino degli anni cinquanta, un ricordo della vita del mio
paese fatto di flash nitidi che mi si ripropongono frequentemente e quasi prepotentemente e che non nascondo di favorire perché mi raccontano il suo passato illustre e mi parlano della sua gente laboriosa e fiera.
Il mio è un ricordo di un adolescente, non attratto dalla televisione o distratto dai videogames, non disturbato dai rumori dei motorini, che fruiva liberamente del suo territorio cittadino, giocava nelle piazzette del vicinato, faceva scorribande ovunque, comunicava spontaneamente con tutto e con tutti.
Ancor più, nel percorrere le strade, poteva osservare gli artigiani al lavoro, ascoltare le voci, i discorsi dei passanti, assorbire la vita e coglierne, sia pure inconsapevolmente, l’essenza.
Infatti le strade, che oggi sono quasi sempre vuote o percorse da gente frettolosa, erano un palcoscenico gremito di persone che vivevano liberamente fuori delle abitazioni tutte le loro vicende e tutti i loro rapporti umani.
Basti pensare che gli usci delle case e le porte delle botteghe e degli uffici erano quasi sempre aperti e così voci, rumori, canti, discussioni e talvolta anche litigi, riempivano la strada dove la vita fruiva nella sua completezza.
Ferentino, negli anni dei miei ricordi, che si riferiscono all’immediato dopoguerra, era senza dubbio una città ferita ma nonostante tutto un certo fermento la percorreva e la animava grazie alla naturale umana volontà di ricominciare e soprattutto alla fierezza dell’anima ferentinate che favorirono tante iniziative di carattere professionale, artigianale e commerciale.Lungo Via Consolare e vicoli
adiacenti, insistevano quasi duecento botteghe, laboratori ed uffici che la rendevano una cittadina viva ed attiva che, con mio giustificato orgoglio, merita un resoconto più approfondito della sua realtà economica.
Pertanto con l’aiuto della memoria remota che, come sappiamo, si sviluppa con il passare degli anni, con il supporto di un’antica mappa di Ferentino, tratta dall’archivio dello studio tecnico di mio padre Gaetano Cappucci, alimentato dall’amore da lui trasmessomi per Ferentino di cui fu sindaco e podestà, tenterò una passeggiata lungo la principale strada e la ricostruzione dell’economia di metà secolo.”
Antonio Cappucci
prefazione e immagini tratte dal libro:
Ferentino anni cinquanta - passeggiata per via consolare
- ricordi della Ferentino del dopoguerra e delle attività economiche
a cura di Antonio Cappucciillustrazioni di Piero Cellitti
Ferentino anni cinquanta
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Qualche anno fa, in questo stesso contesto pubbli-cammo l’antica formula per togliere il “malocchio”,
ora è la volta di quella de “la Paura”. Non posso in que-sto contesto affrontare la cosa a 360 gradi, sia per man-canza di competenze, sia di spazi. Cosa siano e quale importanza avessero nella popolazione “il malocchio” e “la paura”, debbo darlo per scontato. Se finora però non se ne erano trasmesse le formule, oltre alla riser-vatezza delle stesse ben conservata dalle ciarma-trici popolari, è a causa della particolare tra-smissione delle formule stesse che avviene oral-mente ed esclusivamen-te la notte di Natale (24 dicembre). Così è stato nei secoli con una pre-dominanza di trasmis-sione di tipo matriarcale e, appunto nella notte di Natale del 2014, dopo averci provato per anni, ho ricevuto questo importante tassello di tradizione popolare. Non lo scrivo scriteriatamente ma nel rispetto del sostrato culturale da cui provengo e con il fine di salvare dall’oblio una tradizione che va sparendo. Come per quella contro il Malocchio la for-mula sarà leggibile con uno specchio, per evitarla a chi eventualmente dovesse risentirsene, mentre i movimen-ti saranno “in chiaro” perché visibili a chi presenzia a questo rituale. Qualche osservazione che mi è sorta du-rante questo lavoro l’aggiungo dove ritengo opportuno, a conoscenza dei posteri. Questo rito ha lo scopo di “togliere la paura” e viene praticato dopo uno spavento o un fatto ritenuto spaven-tevole per evitare, dicono gli anziani, che di punto in bianco al malcapitato “si geli il sangue”. Il rito in sé consiste nel massaggiare energicamente la schiena del paziente ripetendo la nenia e segnando la parte con il segno di croce. Massaggiare poi un brac-cio del paziente, ripetendo la nenia e segnandolo con la croce a fine procedimento. Stessa procedura per l’altro braccio, con una gamba e poi con l’altra, infine unendo le gambe del paziente si ripete il procedimento e si se-
gnano insieme. Questo rito va ripetuto per 3 sere conse-cutive (o per 3 volte secondo alcune tradizioni). Ogni volta che si pratica il rito bisogna farsi dare qual-cosa dal paziente per validare l’effetto dello stesso. Il “compenso” non deve essere necessariamente in denaro anzi, non in questa accezione era in voga nel popolo. La “paura” va tolta dalle 12 alle 17 (prima del tramonto,
specificò la fonte), men-tre per mantenere effica-ce il “potere” di toglierla bisogna “ricaricare” di energia la mano stru-sciandola sul muro della scalinata della Santissi-ma Trinità, nel santua-rio omonimo sul monte Autore in Vallepietra, facendo il percorso e ri-petendo il modo per 3 volte.
La nenia, trasmissibile solo nella notte del 24 dicembre, mi fu trasmessa in dialetto e cerco di riportarla fedel-mente.
Sono convinto che, sia questa formula che quella per to-gliere il malocchio, abbiano diverse varianti dovute non solo all’oralità della trasmissione, ma anche alle diverse provenienze (di aree, di paesi ecc…), non è facile però - e se ne intuisce il motivo - riuscire a farne un lavoro omogeneo e completo magari paragonandone diverse. Lo stesso dicasi delle provenienze mescolatesi nei secoli con incontri, parentele, legami e contaminazioni varie.
La “Paura”Notizia e formula di una tradizione popolare
“Prima la mano santa e poi chella me. Io ci passo questa mano santa che è stata alle mura santa della Santissima Trinità. Io ci passo [= tolgo nda] questa paura con il sole e con la luna con le 500 nerva le 500 messa di Natale che in cielo furono scritte e in terra furono dette. Alla calata degli sole non ci deve sta [=essere] più sto dolore. Alla ca-lata della luna non ci deve sta più sta paura. In nome della Santissima Trinità questa paura se ne va in santità, in nome di Gesù questa paura non ci deve sta più e in nome della vergine Maria questa paura se ne deve andare via” .
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Ho avuto la fortuna, recentemen-te, di trovare un libro: Medicina
popolare e civiltà contadina – ricettario – formule magiche – soprannaturale – credenze popolari. Scritto da Domeni-co Torre (1913-1992), medico di origi-ne siciliana che visse per circa 50 anni ad Anagni. Il libro pubblicato postu-mo nel 1994, l’ho trovato cercandone un altro dello stesso autore (Medicina popolare, usi, costumi e tradizioni della Ciociaria) che purtroppo non sono ancora riuscito a reperire. In questa opera ho incontrato un in-teressante paragrafo sul malocchio dove sono pubblicate notizie e curio-sità anche del nostro paese. Ne riporto qualche estratto che potrebbe interes-sare altri ricercatori.
«… A Ferentino, durante un forte temporale, per allontanare i fulmi-ni dalla casa o dalla stalla, si usava gettare lontano un ferro di cavallo perché attirasse i fulmini. Il colpito dal malocchio o dall’”occhio cattivo” accusa una cefalea nucale o fronta-le, persistente, causa del malessere e di uno stato depressivo, dimagrisce, e persino può anche morire. In que-sti casi il popolo ciociaro ricorre ad una “guaritrice”, che fa sulla fronte del sofferente con il pollice destro un segno di croce e, sottovoce, dice: “Signo in nome di Maria, chistu male se ne va via! Signo in nome di Gesù, chistu male se ne va giù! Signo in nome della Santissima Trinità, Chistu male se ne và in santità!»
E qualche guaritrice aggiunge: “Secon-do il Vangelo di S. Luca”. Subito dopo, chi ha recitato l’orazione, bagna il pol-pastrello del mignolo destro in una tazzina contenente dell’olio di oliva e fa in modo che una goccia d’olio cada dentro un piatto pieno di acqua. Se la goccia a contatto con l’acqua scompa-re e si sparge repentinamente nell’ac-qua del piatto disegnando “come delle serpi”, o, in qualche caso, la “faccia della morte”, allora significa che il ma-locchio è stato fatto sul serio! In tali casi l’orazione va ripetuta più volte
ed il malocchio sarà stato tolto solo quando la goccia d’olio rimarrà più o meno tonda e ben visibile, sul piatto, solo allora finirà l’orazione. Questa è la cura che si fa ad Anagni.
«…A Ferentino contro il malocchio usano recitare il seguente scongiuro:“Chisti so du occhi c’au fatt gli maloc-chi dui tu fau caté dui tu fau rizzà. In nome della Santissima Trinità chi-sti malocchi su nu vau ‘n santità. In nome della Vergine Maria chisti ma-locchi vadùnù via. In nome di S. Gio-vanni e di S. Liberatore alla calata digliu sulo se ne vata via chisto dolu-
ro” (Questi sono due occhi che hanno fatto il malocchio due ti fanno cadere due ti fanno alzare. Nel nome della Santissima Trinità [questo malocchio ndA] se ne vada in Santità. Nel nome della Vergine Maria questi malocchi vadano via. Nel nome di S. Giovanni e di S. Liberatore al tramonto del sole se ne vada via questo dolore!)»[Domenico Torre: Medicina Popo-lare e Civiltà contadina, Cangemi editore, 1994 – pg 174 e seg.]
Un’altra formula, simile a una in uso in Amaseno, raccolta a Ferentino ha una variante laddove sostituisce S. Michele con S. Eutichio. La riporto in breve presa dallo stesso libro pre-cedente:
“Segni la tempia, segni la fronteTu segni l’occhi, segni la uocca.Si sò malocchi du mala genteCu jetta gli affitti [sibili] accome a
surpente,si è che nnudo [nodo] si è fattura,si è malannu du curpuraturaje chiedo alla Madonna i a San Da-mianocu stu dulore passi a ‘stu cristiano;i pù ‘l putere cù mù dà ‘l Signoreje t’ordino da gnirtunu, dulore.…Je chiedo a San Michele i a San Re-dentoCu ‘stu dolore su gli porti ‘l vento” [Amaseno]…Je chiedu a S. Uticchi a S. RedentuCu stu duloru su gli porti via gli véntu [Ferentino]Questa formula riportata da Emidio Affinati fu raccolta da Zà Clutilda, 85enne casalinga di Ferentino. Lo stesso Affinati (ancora dal libro men-zionato) riporta anche quest’altra formula: Quattru i quattr’occhi levumu ‘sti malocchiIn nomu dulla Santissima Trinità, chistu malu Su nu vada ‘n santità.N’occhi fa gli malocchiDui gli fau puru,tre so’ sicuri.Quattru gli malocchi è fattu.Occhi niri, occhi bianchiFatuvu aretu, no annanti.In nomu dulla Santissima TernitàChistu malu su nu vada ‘n santità.In nomu dulla Verginu MariaChistu malu su nu vada via.
Su queste formule e sicuramente su al-tre varianti che non sono ancora note, ci sarebbe da scrivere e studiare, dai termini ai significati alla numerologia insita ed esplicita. Per ora basti questo sperando in tempi migliori per la cul-tura che ci permettano di aggiungere qualche altro tassello a questi misteri della tradizione popolare.
Qualche notizia sugli usi e sul malocchio in Ferentino
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Si è voluto esaminare, lo scorso 23 settembre 2015,
l’effetto dell’equinozio d’autunno in relazione con
il Testamento di Aulo Quintilio Prisco, documento
epigrafico del I sec. a.C. situato nel lato sud del colle
di Ferentino (poco fuori la
porta denominata Archi di
Casamari).
L’esperimento empirico è
stato materialmente eseguito
il 23 settembre alle ore 7.03.
Il primo raggio di sole al
suo spuntare all’orizzonte
est, ha illuminato in pieno il
Monumento!
Dal 23 di settembre,
timidamente il sole si sposta
verso sud per raggiungere
il punto massimo il 23
dicembre con il solstizio
d’inverno dal quale poi
risale verso il meridiano
raggiungendolo il 21 marzo,
data dell’equinozio di
primavera. Incrementandosi
da tale data le giornate di luce, si giunge all’alba
del solstizio d’estate il 21 giugno. Si chiude così un
epiciclo temporale o anno solare di osservazione
ritornando nuovamente all’equinozio d’autunno il 23
settembre. Questa in breve la ciclicità solare con cui
l’Uomo, dalla notte dei tempi, ha dovuto fare i suoi
conti.
Nello specifico. Il Monumento è orientato ad Est
quale punto cardinale.
L’equinozio d’autunno, importante nel calendario
astronomico, è una realtà che non trova solidarietà
nel panorama attuale dove la coscienza, atta ad
includere la parte spirituale della realtà, latita ai
margini della consapevolezza percettiva. Ci sono utili
parametri per effettuare un palese confronto tra le
varie attitudini storicamente riscontrate nella civiltà
pagana. Il primo raggio di sole feconda l’immagine
del Mito illuminando la via della solennità mistica
al fedele.
Il monumento eretto in
offerta al Patrono suggerisce
la natura di un Tempio
Iniziatico conclamato
dal punto cardinale in
riferimento al sorgere del
sole (est).
Nessun rito pubblico
segna i festeggiamenti in
onore del solstizio d’estate
nella tradizione romana
tuttavia, si svolgeva una
festa l’11 giugno alla DEA
REGOLATRICE DEL
TEMPO: MATER MATUTA
AURORA. Mentre il
solstizio d’inverno veniva
rappresentato da Angerona
con la fine dell’inquietante
processo di diminuzione
della luce e grazie al suo divino intervento si
ampliava il giorno. Infine il 9 gennaio era festeggiato
l’AGONIUM di Giano (inizio dell’anno).
La vita di una Mitologia deriva dalla vitalità sociale
dei suoi simboli in quanto metafore che comunicano
non semplicemente l’idea, ma il senso di una reale
partecipazione alla realizzazione della trascendenza
verso l’infinito. Il primo messaggio cosmogonico di
infinito immortale, lo ritroviamo nella Upanisad,
IX sec. A.C. Nella rappresentazione artistica del
guardaporta del palazzo di Assurnasirpal II a Nimrud
dove il corpo di un toro con piedi di leone, ali e petto
di aquila e testa di uomo antropomorfo, rappresenta
un rimando ai 4 segni zodiacali dei 2 equinozi
(primavera-autunno). I 4 segni rappresentano
Il Testamento di Aulo Quintilio Prisco nell’equinozio d’autunno
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un’unica forma simbolica dietro la quale risiedeva
il dio Assur.
Nella visione del profeta Ezechiele (1, 5-11) della
fine del VI sec. A.C. abbiamo la presenza degli
stessi quattro animali davanti al trono divino.
Nell’iconografia cristiana gli stessi animali sono il
simbolo dei 4 evangelisti e, con la chiara allusione ai
4 punti cardinali rappresentano la Creazione.
Per maggiore chiarezza riassumiamo così:
Marco, leone, segno di Fuoco – Sud
Luca, toro, segno di terra – Ovest
Matteo, uomo, segno umanità – Nord
Giovanni, aquila, segno di aria – Est
Quattro sono i simboli evangelici, quattro i venti
principali, quattro i pilastri della Chiesa (secondo
Ireneo vescovo in Gallia nel II sec. D.C.).
L’iconografia popolare designa un luogo divinatorio
per il culto devozionale. La continuità del sito
sacro non implica necessariamente né persistenza
rituale, né perennità di credenza. Ciononostante,
l’esistenza di pratiche d’incubazione, prevedevano
il conferimento del messaggio garantista per il
fedele portando il gesto di riverenza alla lode nei
confronti delle autorità filantropiche. Nei pressi del
monumento di Aulo Quintilio Prisco sono emersi
nel tempo vari oggetti votivi. Non ci confrontiamo
con le fonti oracolari di Patrasso, et similia, quanto
al monumento in rappresentanza di un tramite con il
Divino. Fra i luoghi eletti in Grecia, i fedeli salivano
a Delfi per consultare l’oracolo nei santuari profetici.
A distanza di tempo, nello spazio occupato dalla
tradizione di una Roma imperiale in continua
espansione sul piano territoriale e culturale,
i riferimenti pervenuti dall’analisi del nostro
Monumento epigrafico, ci conducono a considerare
l’allineamento astronomico quale messaggio
devozionale per le attività di supporto giuridico/
sacramentale.
Luigi Pro
Andrea Fontecchia
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Costruire un albero genealogico non è mai di per se un lavoro facile spesso anzi, ci si arena proprio
davanti ai primi problemi. Questo se si protende verso un lavoro approfondito e non ci si accontenta dei “tito-li nobiliari” che tutti abbiamo stando ai sistemi per assonan-za che possiamo tro-vare anche nei cen-tri commerciali. Un percorso serio inizia ascoltando gli anziani della famiglia e conti-nua spulciando carte e registri di nascite e morte. Una buona fonte sono le chie-se, qualora si riesca ad accedere ai loro archivi. Nella mia esperienza non sono riuscito ad accedere a documenti di prima mano e quel-lo che sono riuscito a mettere insieme è anche frutto di congetture personali, valide fino a prova contraria. L’input è stato dato dai ricordi di famiglia e quindi par-tono e arrivano a me: Fontecchia Andrea, nato ad Ana-gni il 21.04.1977 primo di 3 figli (Paola 27.11.1978 e Luigia 30.12.1988); mio padre Franco; nato a Ferentino il 30.06.1949, primo di 5 figli (Luciano, Pasquale, Anto-nietta e Laura). Sposato con Di Marco Ida quinta figlia di Antonio e Rosa Fon-tecchia (02.03.1915 -figlia di Mariano); Il padre, Lui-gi (10.05.1924-10.06.1982), sposato con Elena Caliciotti (13.11.1925), quarto figlio di seconde nozze (settimo su otto totali) di Ambrogio (‘Mbro-si) nato 05.02.1889 (m.1964). Sposò Rosa e ne ebbe 3 figli: Fernando, Bruno, Angela (‘ngilina). In seconde nozze sposò Barbara De Santis da cui ebbe 5 figli: Rosa, Giovanni (Giuvagni), Domenico (Memmo), Luigi e Maria. Tra i Fratelli ricordo Mariano, mio bisnonno ma-
terno che ebbe 2 figlie Palma (Palmina) e Rosa, subì 9 anni di carcere dal 1916. Il padre, Nicola (15.07.1848) sposò Lucrezia Calabrese fi-glia di Filippo. Tra i primi abitanti del quartiere Tofe vive-
va nella casa (oramai rudere) poco sopra l’attuale chiesa dove lavorava per “soc-cida” per sor Pippo Lucaccini era figlio di Amedeo 17.02.1818 sposò Anna Vittoria Coppotelli fu Loren-zo figlio di Domenico sposato con Piruzzo Antonina, facevano parte della parrocchia di S. Ippolito. Da qui non ci sono elementi per conti-nuare cronologica-
mente. Ho preso un’altra strada che riporta 2 possibili opzioni: 1. Domenico, nato nel 1763 (55 anni pri-ma di Amedeo, comunque in età fertile), quinto figlio di Ambrogio dopo: Camilla (1755), Fortunato (1758, ci sono noti i nomi dei figli; Barbara n 1786, Filippo n 1787, Vittorio n 1790, Giuseppe n 1793), Pasquale (1760) Fran-cesco Antonio (1762) e prima di Arcangelo (1765 di cui ci è nota una figlia, Benedetta, 1788);
2. D o m e -nico, nato nel 1786 (32 anni prima di Amedeo), secondo figlio di Nicola dopo Maria Antonietta (1784) e prima di Francesca (1788), Caterina (1790), Le-onardo (1792), Leo-narda (1793), e Gio-vanni (1795). Da qui, grazie alla
disponibilità di Giuliana Martini della cattedrale di S. Giovanni e Paolo, abbiamo ritrovato tutti i “Fontecchia” presenti a Ferentino fino alla prima attestazione. Questi i risultati secondo l’antichità dei ceppi familiari:
Genealogia dei Fontecchia in Ferentino
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1. Fontecchia Eleuterio di Antonio, n 1668 il più antico nato in Ferentino. 2. Della famiglia Fontecchia Vincenzo di Capistrano (torneremo successivamente a questa pro-venienza) abbiamo: Clelia (1681), Domenico Antonio (1690), Loreto (1693), Domenico Antonio (1697), An-gela (1701), Francesco Antonio (1758), Felice (1766), Sebastiano (1769), Domenico Antonio (1773). Ovviamen-te non tutti figli ma riportati come un’u-nica famiglia. 3 . Fontecchia Giusep-pe di Capistrano nella cui famiglia abbiamo: Basilio (1718), Francesco (1719), Maria Rosa (1730). Per Completezza di informazione, sic-come possibile, ag-giungo queste ulteriori famiglie: 1. Fontecchia Donato, nota una figlia Eleo-nora (1761) 2. Fontecchia Angelo di cui è noto Pietro Antonio (1764) 3. Fontecchia Giovanni Battista alla cui fa-miglia sono ascritti: Elisabetta (1770), Giovanna Maria (1777), Maria (1784), Nicola (1788) 4. Fontecchia Giovanni di cui ci è nota Be-nedetta (1794).
Questo è quanto sono riuscito a trovare, considerato che purtroppo le fonti non sono state sempre di prima mano e che il libro dei morti nel duomo cittadino non è ancora stato indicizzato e quindi non se ne è potuto far uso. La signora Giuliana Martini è stata gentilissima nel suppor-tare questa ricerca e non ha nascosto che sui registri delle nascite, in quelli che non sono andati perduti, ci sarebbe da studiare e lavorare. Il rinvio delle attestazioni di provenienza, laddove pre-senti, sono dovute a mie personali osservazioni. Ho chie-sto esplicitamente e mi è stato confermato che i testi ri-portano Capistrano, località di 20,94 Kmq in Calabria, provincia di Vibo Valentia. Ho reperito, grazie al signor Mario Pasceri che me ne ha fatto omaggio un’opera di storia locale relativa a questo paese, scritta da Giovan-ni Manfrida dal titolo “Capistrano ieri e oggi” edita nel
1987. Purtroppo però in questo libro non ho trovato informazioni inerenti la mia ricerca. Capistrano è un piccolo paese di collina di circa mille abitanti ad oggi, si trova intorno ai 350 metri slm ed è ad alta sismicità. Non offre oggi, e non sembra lo facesse prima, grandi opportunità. Questo ha interrotto il percorso preso nella ricerca e sto valutando altre strade.
La richiesta di confer-ma del luogo la chiesi per via della somi-glianza tra il nome di questo paese con Ca-pestrano in Abruzzo, provincia di L’Aquila. Paese di meno di 900 abitanti nella valle del Tirino a circa 450 metri di altezza slm. La propensione verso questo paese piuttosto di quello calabrese era dovuta alla vicinanza con il paese di Fon-tecchio, anch’esso in
provincia di L’Aquila e a una distanza di circa 25 Km in linea d’aria. Fontecchio lo avevo associato per via dell’uso cinquecentesco di usare il nome del paese di provenien-za per gli emigranti (quest’uso è noto soprattutto per la contestuale epopea degli ebrei che in quel secolo veniva-no allontanati dai paesi di residenza). Nei fatti, tutti e 3 i paesi che ho nominato sono paesi a tendenza agricola e questo mi ha portato a esaminare il motivo degli spo-stamenti (fino a quello verso Ferentino). Nella mia idea, tenendo in considerazione i costi per spostare un’intera famiglia piuttosto che solo le forze lavoro, i movimenti sono stati causati da bisogni economici piuttosto che da persecuzioni o conseguentemente a eventi politici.Ulteriori strade potrei averle esaminando le situazioni politiche del tempo e mi riservo di farlo qualora se ne presenti occasione. Intanto grazie a Leda Virgili ho sapu-to che nel 1668 il vescovo in Ferentino era Ottavio Ron-cioni di Roma, già governatore di Rieti, il predecessore era Enea Spennazzi di Siena (imparentato con Innocenzo XI).Diffondo questa ricerca perchè sia fruibile per quanti ne possano trarre spunto o magari essere d’aiuto nel prose-guirla.
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Circa vent’anni fa ritorna alle sue radici GIANCARLO CANEPA a Ferentino presentandosi come artista e performer introducendo
il concetto di workshop e performance e proprio da queste due parole parte l’avventura di questo eclettico signore.
Ovviamente trova un paese impreparato alle suddette nozioni artistiche ma con tenacia e abnegazione inizia una serie di
rassegne artistiche (come ad esempio 8arte).L’arte non è più pittura ma inizia a essere interattiva e incomincia
a prendere “fisicità”.
ISTALLAZIONI, SCULTURE, PERFORMACE, WORKSHOP ecc. ecc. … tutto è realizzato con materiali di riciclo, riesce così a
dar vita alle sue opere.
GIANCARLO porta avanti il concetto di PERFORMANCE con il suo corpo, ricrea nuove forme e tragitti nello spazio ridefinendo il luogo e coinvolgendo il pubblico; una sorta
di “satiro danzante” vestito di bianco coinvolge non solo gli astanti ma interagisce anche con gli elementi presenti sul
posto.Rispetto alle arti figurative la performance nasce e muore
sul posto con lo scopo di lasciare gli spettatori con un accrescimento emotivo…
Il corpo ha sostituito la tela, si ritorna a una danza ancestrale insieme al ritmo scandito da qualche rumorosa bandella di
metallo, un arte effimera che lascia interrogativi e dopo tutte queste convulse evoluzioni fisiche il PERFORMER finisce
per terra come fosse ritornato alle origini in posizione fetale…
Nel WORKSHOP Giancarlo e i suoi collaboratori cercano sul posto materiali poveri e in disuso per dargli vita
nelle INSTALLAZIONI che rimangono sul posto per un determinato tempo. Esse sono composte da: TUBI,
BIDONI, MOBILI, FERRO… Gli artisti ridanno nuova vita agli scarti della società denunciando il consumismo e
il degrado ambientale.8 ARTE è stata un impegno sociale oltre che
artistico e GIANCARLO sempre in prima LINEA, CONTROCORRENTE e fiero di essere “SCOMODO”.
Ha lasciato questi concetti e speriamo che i nuovi artisti riprendano l’AURA e lo spirito creativo di
GIANCARLO creando sempre un mondo migliore e pieno di colore…
ST 3TCAFFE’ ELETTRICO
CONCETTO DI PERFORMANCE E WORKSHOP
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Lo scalatore
Chi percorrela strada dell’Amoreè come impavidoscalatore,prima o dopoviene notatoper il suo ardireo per il suo perire.Maiper il suo mentire.
L’architetto inesistente
Intarsi di poesiaper ideali architetture:
cascate di fioriaffrescate
sulle ampie facciate;finestre aperte
su piccoli universi;portoni ridenti
per i loro bianchi scaloni;bizzarri tetti,
simili a cappellinidi scanzonati ragazzetti.
Tutto questo progettanella propria mente
l’architetto inesistente,la cui architettura
non può essere pertinentecon quella del potente.
Mecca
Ferentino,mio dolce
paese natio,Mecca della
mia vita,per lasciare
angosce e sofferenze,per trovare
soave confortonel sentire l’eco
non ancora spentodel richiamo
materno, sospesotra i quieti ulivi
dove l’ombradella mia infanzia
mi riconducea itinerari smarriti.
Poesie tratte da “Cinquanta frammenti per undici rossoblu” di Giancarlo Canepa
stampato in proprio nel 1990, in occasione dei 50 anni dell’autore.
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