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PRIMO INCONTRO 2016
“AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI
ANIMALI ESOTICI”
Centro Studi Palazzo Trecchi Cremona
19-20 Marzo 2016
Responsabile Scientifico: Capasso Michele, Med Vet, SpecPACS Napoli
Società Italiana Veterinari per Animali Esotici Via Trecchi 20
Cremona (Italy) Tel 0372 403500
[email protected] - www.sivae.it
PRIMO INCONTRO SIVAE 2016
“AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI ANIMALI ESOTICI”
CREMONA - PALAZZO TRECCHI
19/20 Marzo 2016 Responsabile scientifico Michele Capasso
PROGRAMMA SCIENTIFICO
Sabato 19 Marzo Ora Titolo Relazione Relatore 8.30 Registrazione dei partecipanti 9.30 Studio anatomico comparativo tramite l'utilizzo della
transilluminazione e della radiologia in gechi leopardini (Eublepharis macularius)
Susanna Censi
9,50 La valutazione ed il trattamento delle più comuni alterazioni neurologiche negli uccelli
Biagio Chianese
10,10 Valutazione della pressione intraoculare e variazioni circadiane in 35 esemplari di petauro dello zucchero (Petaurus breviceps)
Gianluca Deli
10,30 Pausa 11,00 La medicina d'emergenza nel furetto: tra scienza e
clinica Nicola Di Girolamo
12.00 Occlusione intestinale e costipazione in una testudo horsfieldii: importanza del supporto nutrizionale
Alberto Acosta Ojeda
12,20 Necrosi della muscolatura scheletrica, associata ad una infezione sostenuta da Clostridium limosum, in un Alligatore del Mississipi (Alligator mississipiensins)
Riccardo Mancini
12,40 Trattamento chirurgico di un sarcoma indifferenziato in una iguana verde (iguana iguana) in corso di stasi post ovulatoria
Federico Franchini
13.00 Assemblea soci 13,30 Pausa pranzo 14,30 Il LASER nella medicina degli animali esotici: principi ed
applicazioni in terapia e chirurgia Giordano Nardini
15,30 Lipidosi epatica e iperglicemia in un coniglio: un caso di diabete mellito?
Alessandro Guerra
15,50 Linfoma mediastinico in coniglio Elizabet Fernandez Palomares
16.10 Pausa 16,40 Diagnosi biomolecolare delle malattie infettive dei
cheloni: conoscerne i limiti per sfruttarne i vantaggi Silvia Preziuso
17,40 Forma atipica di vaiolo nel canarino Elena Circella 18,00 Ascesso odontogenico nel coniglio: marsupializzazione
"avanzata" Daniele Vitolo
18,20 Discussione e termine della giornata E a seguire aperitivo offerto da
Domenica 20 Marzo Ora Titolo Relazione Relatore 9,30 Edema sottocutaneo generalizzato in un Elefante Indiano
(Elephas maximus): approccio clinico
Riccardo Mancini
9,50 Frattura/lussazione calcaneare nel coniglio da compagnia: cosa fare?
Antonio Filippi
10,10 La torsione di lobo epatico nel coniglio: stato dell’arte e 3 casi clinici
Daniele Petrini
10.30 Pausa 11,00 Nuove strategie diagnostiche nella parassitologia degli
animali non convenzionali Giuseppe Cringoli Laura Rinaldi
12,00 Linfoma multicentrico leucemico in una morelia viridis trattato con prednisolone e l-asparaginasi
Emanuele Lubian
12,20 Discussione e chiusura dei lavori Consegna attestati di partecipazione
GLI ORGANIZZATORI DELL’EVENTO SI IMPEGNANO A RISPETTARE IL PROGRAMMA PUBBLICATO CHE RIMANE SUSCETTIBILE DI VARIAZIONI PER CAUSE DI FORZA MAGGIORE È PROIBITO FILMARE O FOTOGRAFARE LE PRESENTAZIONI DEI RELATORI L’ISCRIZIONE COMPRENDE: • Atti delle relazioni in formato cartaceo • Attestato di frequenza • 1 light lunch
Si ringraziano gli sponsor per la buona riuscita dell’evento
Studio anatomico comparativo tramite l'utilizzo della transilluminazione e della radiologia in gechi leopardini (Eublepharis macularius) Susanna Censi Med Vet, Brembate (BG) La transilluminazione è una valida metodologia diagnostica tradizionalmente utilizzata nella pratica veterinaria di alcuni rettili (gechi e ofidi dalla pelle chiara e trasparente) che permette la valutazione anatomica di questi animali. Rispetto ad altri strumenti diagnostici, la transilluminazione offre alcuni vantaggi: è un metodo non invasivo, dinamico, non richiede l'immobilizzazione degli animali, minimizzando così possibili reazioni da stress, non è laborioso e ha un costo basso. In letteratura sono riportati pochi studi circa l'utilizzo della transilluminazione nella medicina del geco leopardo (Eublepharis macularius). Questo studio si propone l’obiettivo di fornire le prime indicazioni utili per applicare correttamente la procedura della transilluminazione nei gechi leopardo. Inoltre, tramite l’utilizzo della transilluminazione e di studi radiografici dei soggetti si è voluta determinare l’efficacia di queste metodologie diagnostiche in questa specie. Lo studio effettuato ha coinvolto 12 esemplari di gechi leopardo, in buono stato di salute, uniformemente distribuiti per quanto riguarda il sesso (6 femmine e 6 maschi) e di età adulta compresa tra 1 e 5 anni. Ciascun animale è stato esaminato sia mediante l’uso della transilluminazione sia attraverso uno studio radiografico. Per la procedura di transilluminazione è stata utilizzata una piccola sorgente luminosa a LED. La sorgente di luce è stata posizionata a livello di tre diverse regioni anatomiche (testa, torace e addome). Per esaminare la testa sono state scelte le proiezioni di sinistra e di destra latero-laterale, la proiezione ventro-dorsale e quella dorso-ventrale (con bocca aperta e chiusa); per valutare il torace e l’addome sono state selezionate la proiezione perpendicolare dorso-ventrale e la proiezione laterale (inclinata di 45 ° sia a sinistra che a destra ) in quattro diversi punti preliminarmente stabiliti. Tutte le proiezioni di transilluminazione sono state fotografate con una macchina fotografica reflex. Le immagini sono state catturate in vista frontale e di 45 ° da entrambi i lati. Per gli studi radiografici è stato utilizzato un sistema di imaging digitale; sono state effettuate le proiezioni standard latero-laterale e dorso- ventrale. La transilluminazione ha permesso una chiara identificazione di diverse strutture - canale esterno dell'orecchio, lingua, faringe, palato, battito cardiaco, vene pelviche e vena ventrale addominale - che non sono visibili utilizzando la radiologia. La transilluminazione ha permesso una buona visualizzazione dello stomaco, probabilmente utile per la conferma della presenza di corpi estranei. Inoltre, l'immagine della vena ventrale addominale potrebbe essere un risultato di rilievo per la raccolta di campioni ematici. D’altra parte, la valutazione della struttura scheletrica è nettamente superiore utilizzando la radiologia; ciò rappresenta un punto critico della tecnica di transilluminazione, essendo i gechi leopardini ad alto rischio di malattia ossea metabolica. In conclusione, questi risultati preliminari suggeriscono che la transilluminazione potrebbe essere una valida procedura diagnostica essendo complementare alla radiografia. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per valutare meglio i vantaggi ed i limiti della transilluminazione nei gechi leopardini.
LA VALUTAZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLE PIÙ COMUNI ALTERAZIONI
NEUROLOGICHE NEGLI UCCELLI
Dr. Biagio Chianese, DVM, SMIPPV, ESVNM
Il sistema nervoso gioca un ruolo estremamente importante in qualsiasi processo fisiologico
dell’organismo. Un’alterazione di tale sistema determina la comparsa di segni neurologici ben
precisi, attribuibili a lesioni facilmente localizzabili in base alla neuroanatomia. Le sindromi
neurologiche possono colpire indistintamente sia il sistema nervoso centrale, costituito dal cervello
ed il midollo spinale, che il sistema nervoso periferico, che comprende i nervi cranici, le radici
nervose spinali, i nervi periferici e le giunzioni neuromuscolari.
La neuroanatomia e l’esame neurologico sono sempre stati considerati un capitolo non semplice
della medicina interna, tuttavia i segni clinici attribuibili a patologie del sistema nervoso sono di
frequente riscontro nella pratica clinica veterinaria.
L’attenzione per le specie non convenzionali è cresciuta constantemente negli ultimi anni, grazie
anche all’aumento della loro detenzione ed alla disponibilità di Medici Veterinari sempre più
competenti in materia. L’alto grado di specializzazione ha fatto sì che sempre più proprietari
richiedessero le migliori cure attuabili per il proprio animale: infatti, oggi più che mai, il clinico
“esotico” è chiamato a fornire protocolli diagnostici e terapeutici all’avanguardia.
Ogni buon clinico dovrebbe sempre essere in grado di localizzare la zona anatomica colpita
attraverso un attento esame neurologico e decidere il miglior approccio diagnostico e terapeutico.
La conoscenza delle differenze neuroanatomiche degli uccelli rispetto ai mammiferi è di
fondamentale importanza per la valutazione del danno neurologico.
RICHIAMI DI NEUROANATOMIA E NEUROFISIOLOGIA
L’organizzazione del sistema nervoso aviare ricorda molto quello dei mammiferi, da cui però
differisce per la presenza di strutture specializzate che in parte condividono con la classe dei rettili,
per l’appartenenza alla stessa evoluzione filogenetica.
Comparando il midollo spinale aviare con quello dei mammiferi si può notare la presenza del seno
romboidale, detto anche lombosacrale, che ha sostituito la cauda equina ed il filum terminale dei
mammiferi. I mutamenti neurologici sono dovuti all’adattamento del sistema nervoso alla
particolare locomozione della specie aviare.
Il controllo dei movimenti delle ali e degli arti è dovuto rispettivamente al motoneurone inferiore
del plesso brachiale e di quello lombare. La coordinazione dei movimenti, invece, è data dal
cervelletto, particolarmente sviluppato negli uccelli, anche se il suo ruolo non è stato ancora ben
definito.
Per una visione completa della neuroanatomia degli uccelli si rimanda a testi specifici.
L’ESAME NEUROLOGICO
Il sospetto di una disfunzione neurologica può sorgere già a partire dal motivo della visita nonchè
da un’attenta anamnesi. L’esame clinico, il tempo di insorgenza dei segni e la loro evoluzione
possono fornire indicazioni circa il tipo di lesione o, altrimenti, indirizzare verso disordini specie-
specifici.
L’esame neurologico degli uccelli, che non differisce molto da quello dei mammiferi, se non per
alcune differenze anatomiche, è necessario affinchè si localizzi neuroanatomicamente la lesione,
si stabilisca la sua gravità e si emetta una prognosi.
Va ricordato, che prima di eseguire l’esame neurologico, è necessario effettuare: un esame obiettivo
generale quanto più completo possibile, profilo ematobiochimico di base, un esame delle feci e
tamponi cloacali e delle coane per escludere il coinvolgimento di altri apparati, che potrebbero
contribuire a peggiorare il quadro clinico.
E’ bene che l’esame neurologico venga eseguito lontano da rumori molesti, magari in una stanza
tranquilla e senza la presenza di altri animali. Inoltre è preferibile eseguire l’esame ossservando
sempre lo stesso schema, sintetizzato come segue:
1. Stato del sensorio, postura ed atteggiamenti particolari;
2. Reazioni posturali;
3. Esame dei nervi cranici;
4. Riflessi spinali;
5. Valutazione del dolore superficiale e del dolore profondo.
Talvolta è necessario adattare questo schema al carattere del paziente che si ha davanti: per
esempio preferendo l’esecuzione di un test meno invasivo prima di uno più invasivo si eviterà una
risposta cosciente alterata in pazienti molto agitati.
Invece, nei pazienti tetraplegici, è preferibile valutare dapprima i nervi cranici piuttosto che le
reazioni posturali in modo da localizzare in maniera rapida la lesione e, nel caso in cui questa si trovi
a livello spinale, adottare tutte le misure di sicurezza per evitare un peggioramento della situazione
clinica durante le manovre di spostamento.
Osservazione: è una fase di estrema importanza poiché ci permette di valutare lo stato mentale, la
postura ed eventuali atteggiamenti particolari assunti dal paziente. Infatti, uno degli errori più
frequenti è proprio l’omissione dell’osservazione.
Palpazione: ci permette di apprezzare eventuali anomalie trofico-muscolari, da disuso o
neurogene, asimmettrie e presenza di masse. Durante questa fase è possibile eseguire le reazioni
posturali.
REAZIONI POSTURALI
Queste sono abbastanza complesse da un punto di vista neurologico e richiedono l’integrità
completa sia delle vie sensitive che motorie, nonchè dei centri di integrazione cerebrale.
Una lesione in una qualsiasi parte di queste vie determinerà l’alterazione delle reazioni posturali.
Negli uccelli una delle reazioni posturali di più facile esecuzione e di buona affidabilità, è la prova
del posizionamento propriocettivo, che può essere eseguita in due modi differenti:
a) Posizionando la zampa con il dorso poggiato su di una superficie piana si valuterà il tempo
di riposizionamento del piede;
b) Poggiando una zampa per volta su di un foglio di carta ed allontanando quest’ultimo dalla
superficie palmare si osserverà il tempo di riposizionamento dell’arto.
Un altro modo per valutare il posizionamento propriocettivo nel paziente aviare consiste nell’offrire
un posatoio al soggetto e valutare il modo in cui questo vi sale e si regge in equilibrio.
La risposta delle ali non è valutabile routinariamente.
ESAME DEI NERVI CRANICI
Ci permette di stabilire se la lesione è intracranica e se questa è di tipo localizzato o diffuso.
Fondamentalmente, non ci sono diversità di esecuzione rispetto ai test effettuati sui carnivori
domestici. I risultati vanno però interpretati tenendo conto di alcune differenze sostanziali
dell’innervazione tipica di alcune parti della testa degli uccelli.
Nervi cranici Funzione Test applicabili
I. Olfattivo olfatto Risposta agli odori (alcool)
II. Ottico visione Risposta alla minaccia
III. Oculomotore Moventi mm. oculari estrinseci ed intrinseci e palpebra superiore
Risposta alla minaccia, riflesso pupillare e posizione del globo oculare
IV. Trocleare Movimenti mm. estrinseci Posizione del globo oculare
RIFLESSI SPINALI
I riflessi spinali valutabili negli uccelli sono :
Riflesso flessorio degli arti : viene eseguito applicando uno stimolo pressorio alle dita mediali e
laterali di un arto e valutando la flessione delle articolazioni dell’arto coinvolto. L’integrità del nervo
ischiatico e del segmento spinale a livello del plesso sacrale sono indispensabili per una corretta
esplicazione di tale riflesso.
Riflesso flessorio delle ali : valuta l’integrità dell’arco riflesso del segmento spinale che coinvolge il
plesso brachiale. Viene eseguito applicando uno stimolo pressorio a livello delle copritrici primarie.
L’assenza o la diminuzione di tale riflesso indica una lesione al plesso brachiale o ad uno dei suoi
nervi.
Riflesso patellare: poco attendibile e non sempre valutabile negli uccelli di piccola taglia.
Riflesso cloacale: valuta l’integrità del plesso pudendo e dei nervi dei segmenti caudali del midollo
spinale. Viene eseguito pinzettando o pungendo con un ago lo sfintere cloacale esterno e valutando
il grado di contrazione dello sfintere.
DOLORE SUPERFICIALE E PROFONDO
Tenendo conto che negli uccelli non è presente il riflesso pannicolare, è possibile valutare la
percezione cutanea del dolore superficiale semplicemente pinzettando la pelle del dorso oppure
tirando gentilmente le piume ed osservando la reazione del soggetto.
La valutazione della nocicezione viene riservata solo a quegli animali che mostrano lesioni alla
colonna vertebrale. Essa viene considerata un indice prognostico molto attendibile. Si esegue
V. Trigemino Sensibilità del becco e della faccia, movimenti del becco
Riflesso palpebrale,palpazione della mandibola e risposta alla minaccia
VI. Abducente Movimenti muscoli estrinseci e della terza palpebra
Posizione del globo oculare
VII. Facciale Muscoli espressione facciale Non applicabile
VIII. Vestibolococleare Udito ed equilibrio Riflesso oculocefalico, Risposta ad un suono improvviso
IX. Glossofaringeo Muscoli faringe, laringe, siringe e gozzo
Riflesso della deglutizione
X. Vago Muscoli laringe, faringe, esofago e gozzo
Riflesso della deglutizione e riflesso oculocardiaco
XI. Accessorio Del Vago Muscoli superficiali del collo Non applicabile
XII. Ipoglosso Muscoli della lingua, della trachea e della siringe
Ispezione e presa della lingua
pinzettando le dita degli arti oppure i tessuti sottostanti le copritrici primarie. Va ricordato che la
flessione dell’arto o dell’ala non indica la percezione del dolore da parte del soggetto.
APPROCCIO DIAGNOSTICO ALLE PATOLOGIE NEUROLOGICHE
Dopo aver eseguito un esame clinico completo si possono eseguire degli accertamenti diagnostici
per confermare la diagnosi di sospetto od escludere alcune diagnosi differenziali. Negli ultimi anni,
grazie al progresso della diagnostica per immagini anche nella medicina degli animali esotici, oltre
alle radiografie, sono oggi disponbili anche la TAC e la RMN. Inoltre in alcuni centri specialistici è
possibile effettuare studi elettrodiagnostici come l’elettromiografia e gli studi sulla conduzione
nervosa attraverso i potenziali evocati.
L’ approccio iniziale meno invasivo e più economico è rappresentato dallo studio radiografico.
Le radiografie andrebbero idealmente eseguite in sedazione o anestesia generale per permettere il
corretto posizionamento del paziente ed evitargli ulteriori stress. Le due proiezioni più utilizzate
sono la Latero-Laterale e la Ventro-Dorsale. Lo scheletro del paziente deve essere completamente
esteso per permetterne la visualizzazione completa.
La Mielografia
Durante l’esecuzione dello studio radiografico è possibile utilizzare anche del mezzo di contrasto
(mdc) per valutare eventuali compressioni midollari. La mielografia si effettua utlizzando come mdc
lo Ioexolo alla dose di 0,88 ml/kg. L’ago più adatto è quello da 27 gauge e la somministrazione del
mdc va effettuata con velocità pari a 0,5 ml/min ed eseguendo le radiografie dopo circa 10 minuti.
L’ago va inserito nello spazio toracolombare prendendo come punto di riferimento le prominenze
ossee delle creste iliache ed il primo spazio intervertebrale craniale. Va ricordato che non in tutte le
specie è possibile effettuare la mielografia (nelle anatre, nei cigni e nelle oche, per esempio, non è
possibile eseguire la puntura toracolombare) e che tale procedura richiede anche una certa
manualità dell’esecutore.
E’ possibile, inoltre, la puntura della cisterna cerebellomidollare per il prelievo del liquido
cefalorachidiano ma, il rischio di creare danni iatrogeni, per le ridotte dimensioni di questa, e l’alta
percentuale di emorragie, dovute ad un plesso venoso molto sviluppato, ne limitano l’impiego.
La Tac e la RMN
La TAC e la RMN rivestono un ruolo molto importante nella diagnostica neurologica. Sia l’una che
l’altra tecnica devono essere eseguite in anestesia generale. La prima utilizza radiazioni ionizzanti
per riprodurre sezioni o strati corporei del paziente ed effettuare ricostruzioni tridimensionali
attraverso l’uso di un elaboratore, mentre, la RMN ricava immagini basate sulle differenze di densità
dei tessuti colpiti dai raggi all’interno di un campo magnetico pulsatile. Il vantaggio della TAC è
quello di svelare modificazioni del tessuto osseo in maniera molto più attendibile rispetto a quelle
che si possono osservare con le sole radiografie.
Inoltre la TAC può essere utilizzata anche per localizzare le lesioni intracraniche, nonostante la sua
sensibilità sia di circa l’80% contro i 95% della RMN. Quest’ultima è attualmente il miglior mezzo
diagnostico in caso di lesioni neurologiche. Il vero vantaggio della RMN rispetto alla TAC è la
possibilità di visualizzare il tronco encefalico craniale posto nella fossa caudale del cranio, di
ottenere un maggior dettaglio dei tessuti molli nonché l’eliminazione delle radiazioni ionizzanti.
Lo svantaggio di entrambe le tecniche, oltre al costo elevato, è la necessità di ricorrere all’anestesia
generale non sempre attuabile nei pazienti aviari defedati a causa dell’elevato rischio
anestesiologico e della durata non sempre breve degli studi.
Elettrodiagnostica
Il ricorso all’ elettrofisiologia per lo studio del sistema neuromuscolare costituisce, attualmente, un
valido ausilio nella diagnosi delle patologie neuromuscolari, per la valutazione, la progressione o la
regressione della lesione ed il grado di recupero. Il paziente va sottoposto ad anestesia generale per
l’esecuzione di tali studi. SI può ricorrere all’elettromiografia per lo studio dell’attività elettrica dei
muscoli. Essa esamina l’integrità dell’unità motoria, formata dal motoneurone inferiore e dalle fibre
muscolari da esso innervate, attraverso l’utilizzo di aghi ipodermici da 27 gauge. Normalmente,
all’interno dei muscoli non si registra alcuna attività elettrica dopo che l’ago è stato correttamente
inserito e stabilizzato. Qualsiasi alterazione del tracciato elettromiografico (Potenziali di
fibrillazione, Onde positive etc) è indicativa di un’alterazione muscolare. Inoltre, sono disponibili
altri test, più specifici ed approfonditi, come i potenziali evocati e gli studi sulla conduzione nervosa,
che permettono di differenziare l’assonotmesi dalla neuroprassia e pertanto restringere ancor di
più il campo delle diagnosi differenziali. Tuttavia, i dati disponibili a riguardo restano ancora limitati
a pochi studi.
ALTERAZIONI NEUROLOGICHE COMUNI
Per facilitare il compito del clinico è preferibile suddividere le alterazioni neurologiche in due
categorie: patologie intracraniche e patologie spinali o neuromuscolari.
È opportuno ricordare il significato di atassia ovvero andatura incoordinata dovuta a lesioni spinali,
vestibolari o cerebellari e che spesso è il primo segno clinico visibile in un paziente con un deficit
neurologico.
Purtroppo, data la complessità e l’ampiezza degli argomenti non sarà possibile trattarli in maniera
dettagliata in questa sede ma si prenderanno in considerazione solo le cause più frequenti.
PATOLOGIE INTRACRANICHE
In caso di patologie intracraniche il soggetto potrà mostrare: alterazioni del sensorio, come
depressione, stupore o coma; alterazioni dei nervi cranici; crisi convulsive; nistagmo e deviazione
laterale della testa; tremori o movimenti involontari.
Tra le cause più importanti annoveriamo l’encefalomalacia da carenze nutrizionali, le encefaliti virali
(Influenza aviare, Newcastle, Polyomavirus, West Nile, PDD) e batteriche (Clamidia, Listeria,
Salmonella, Pasteurella), parassitarie e protozoarie ( Schistosoma sp, Toxoplasma, Trichomonas).
Degne di nota sono le intossicazioni da piombo e zinco, organofosforici, carbamati e pesticidi.
Seppur rara va ricordata l’epilessia primaria o secondaria. Un importante capitolo è rappresentato
dalle patologie neoplastiche, frequenti nei pappagallini ondulati, e dalle patologie metaboliche
come l’encefalopatia epatica, l’ipoglicemia e l’ipocalcemia.
Alterazioni del sensorio
Possono essere dovute a stati carenziali, patologie metaboliche, trauma cranico, grave parassitosi
ed a patologie infettive che colpiscono il sistema nervoso centrale. Il soggetto può mostrare
depressione ( ottundimento del sensorio ma con risposta conservata verso gli stimoli esterni),
stupore (stato di incoscienza con risposta solo agli stimoli dolorosi) e coma (stato di incoscienza con
assenza di risposta agli stimoli dolorosi).
Il trattamento prevede l’individuazione della causa scatenante, una terapia di supporto con
fluidoterapia di mantenimento e supporto nutrizonale. Il soggetto deve essere tenuto in un posto
pulito ed a temperatura controllata.
Crisi convulsive
Possono essere dovute a patologie o lesioni che colpiscono il telencefalo e/o il diencefalo come:
malattie infettive (Paramyxovirus, Poliomavirus, Herpesvirus, Clamidia, meningiti batteriche)
neoplasie, infiammazioni, accidenti vascolari o patologie degenerative. Vengono suddivise in crisi
parziali o crisi totali di tipo tonico-clonico.
Il trattamento prevede l’individuazione della causa scatenante e la somministrazione di diazepam
alla dose di 0,5-1,0 mg/kg EV o IO ripetuta al massimo per tre volte. Se l’attività convulsiva non si è
arrestata si può utilizzare il fenobarbitale alla dose di 1-2 mg/kg EV o IO o IM ogni 12 ore.
Dopo le prime 48 ore si può passare ad una terapia orale con fenobarbitale ad una dose compresa
tra 1-10 mg/kg PO ogni 12 ore.
Nel caso in cui si voglia bloccare l’attività convulsiva e contemporaneamente procedere con le
indagini diagnostiche si può utilizzare l’anestesia gassosa.
Deviazione della testa e nistagmo
La deviazione della testa può essere dovuta a patologie sia periferiche che centrali ed è in genere
legata alla presenza di lesioni asimmetriche del sistema vestibolare. Spesso è associata a nistagmo
che può essere di tipo verticale, orizzontale o rotatorio. Il nistagmo può essere diretto in qualsiasi
direzione sia nel caso di lesioni periferiche che centrali. Nel nistagmo orizzontale la fase rapida è
generalmente diretta nella direzione opposta a quella della lesione.
Il trattamento prevede l’individuazione della causa scatenante e una terapia mirata all’eziologia
sospettata o accertata. Bisogna inoltre provvedere a soddisfare il fabbisogno nutrizionale del
paziente ed instaurare una terapia di supporto adeguata.
Tremori e movimenti involontari
I tremori generalizzati possono essere dovuti sia a patologie diffuse che multifocali coinvolgenti le
meningi, le radici nervose, i nervi periferici o i muscoli. Patologie sistemiche, come disequilibri
elettrolitici, patologie renali ed epatiche oppure l’ipoglicemia, possono provocare tremori molto
simili a quelli dovuti a patologie neurologiche primarie. Un particolare tipo di tremore della testa o
del corpo, correlato a disfunzioni cerebellari, è quello intenzionale, caratterizzato da movimenti
parossistici della testa legati a momenti particolari come la prensione del cibo o l’abbeveramento.
Il trattamento prevede l’identificazione della causa scatenante, la somministrazione di farmaci
anticonvulsivanti e/o glucocorticoidi. Non va inoltre sottovalutata la terapia di supporto e la
reintegrazione dei fluidi.
PATOLOGIE SPINALI E NEUROMUSCOLARI
Si caratterizzano per la presenza di paresi o plegia di uno o più arti o delle ali. Il termine“paresi”
indica una ridotta funzione motoria mentre “plegia” ne indica la sua completa assenza.
Possiamo distinguere:
Monoparesi/monoplegia : funzione motoria ridotta o assente di un solo arto o ala;
Emiparesi/emiplegia : funzione motoria ridotta o assente di arto ed ala di un solo lato;
Tetraparesi/tetraplegia : funzione motoria ridotta o assente di entrambe le ali e gli arti;
Paraparesi/paraplegia : funzione motoria ridotta o assente di entrambi gli arti.
Così come per le patologie intracraniche, le cause di queste alterazioni spinali sono molteplici e
possono essere dovute a cause infettive e/o infiammatorie, degenerative, traumatiche,
neoplastiche, tossiche, a stati carenziali ed accidenti vascolari.
Tra le patologie che possono provocare alterazioni spinali ricordiamo: la PDD, riportata come causa
di neuriti periferiche del nervo sciatico, brachiale e vago nei pappagalli; la malattia di Marek e la
Reticoloendoteliosi che determinano l’ingrossamento dei nervi a causa di infiltrati linfoidi
determinanti paralisi; La malattia di Newcastle e la poliencefalomielite dei lorichetti.
Tra le cause tossiche annoveriamo nuovamente l’intossicazione da Piombo e Zinco, da
organofosforici e carbamati e l’ingestione di piante tossiche come l’oleandro.
Il trauma spinale e i traumi dei nervi periferici sono problematiche comuni nei pappagalli tenuti
liberi per casa, che spesso possono urtare violentemente contro ostacoli o vetrate.
Nei tacchini viene riportato anche l’embolo fibrocartilagineo come causa vascolare di paresi acuta
e atassia, mentre nelle anatre l’ingestione di esotossina botulinica determina la paralisi dei muscoli
cervicali, che spesso inizia dapprima con la paralisi delle zampe per poi progredire verso le ali.
Il trattamento prevede l’identificazione della causa scatenante da effettuarsi attraverso
l’isolamento batterico o virale, la determinazione della quantità di metalli presenti nel torrente
circolatorio oppure indagini di diagnostica per immagini, e l’instaurazione di una terapia adeguata.
BIBLIOGRAFIA
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VALUTAZIONE DELLA PRESSIONE INTRAOCULARE E VARIAZIONI CIRCADIANE IN 35 ESEMPLARI DI PETAURO DELLO ZUCCHERO (Petaurus breviceps)
G. Deli1, D. Petrini2, D. Mari3, R. Arcelli3
1Libero professionista, Roma, Italia; 2Libero professionista, Pisa, Italia ; 3Dipartimento di medicina veterinaria, Perugia, Italia
Uno fra gli esami diagnostici più importanti in medicina veterinaria è rappresentato dalla tonometria, ovvero la misurazione della pressione intraoculare (IOP); quest’ultima deriva dall'equilibrio tra produzione e drenaggio dell'umor acqueo. Fino a non molti anni fa l’utilizzo della tonometria veniva limitato alla diagnosi di glaucoma (in cui la IOP aumenta). Tuttavia può rappresentare uno degli esami collaterali di scelta in corso di uveite anteriore (dove avremo una riduzione della IOP) e di tutte quelle condizioni patologiche che presentano come sintomo principale arrossamento dell’occhio, quali cheratite, congiuntivite, sclerite, e cellulite orbitale (in cui la IOP potrà risultare variabilmente alterata). Inoltre, a seguito della conferma di uveite o glaucoma, la tonometria dovrebbe rappresentare lo strumento essen-ziale e indispensabile per il monitoraggio della risposta alla terapia, attraverso la quale il clinico potrà decidere se modificare o interrompere la terapia stessa. Pertanto, la misura-zione della IOP è parte integrante di una valutazione oftalmica accurata. In oculistica umana esistono differenti metodiche per la misurazione della IOP: fra queste avremo tecniche più invasive di altre, che presenteranno quindi dei limiti alla loro applicabi-lità in medicina veterinaria. In generale ricordiamo che le tecniche esistenti sono: tonometria Goldmann (considerata il gold standard), tonometro di Perkins (tonometro ad applanazione portatile, utile nei bam-bini), tonometria dinamica a contorno (influenzato dalla curvatura corneale), tonometria senza contatto (o tonometria a getto d’aria), tonometria ad indentazione elettronica (deve essere utilizzato un collirio anestetico per desensibilizzare l’occhio), pneumotonometria (co-stituito da un pistone galleggiante su un cuscinetto d’aria: l'equilibrio tra il flusso d'aria pro-veniente dalla macchina, e la resistenza al flusso offerta dalla cornea influenzano il movi-mento del pistone e questo movimento è usato per calcolare la pressione intraoculare) to-nometria ad indentazione (o tonometria a depressione), tonometria non-corneale e trans-palpebrale (non comporta il contatto con la cornea e quindi non richiede l'utilizzo routinario di un anestetico topico durante l’uso, risultando però poco affidabile se utilizzato da solo), tonometria digitale (avviene premendo delicatamente il dito indice contro la cornea di un occhio chiuso: questo metodo è estremamente operatore-dipendente e notoriamente poco affidabile e riproducibile). Nel nostro studio la scelta dello strumento è stata dettata principalmente dalla poco agevole contenzione dei pazienti e dalle ridotte dimensioni dell’occhio. Scartando la tono pen (ap-planation tonometry), che presenta una eccessiva superficie di contatto non adatta per le dimensioni della cornea di questi animali, la scelta è ricaduta sulla tono vet® (rebound to-nometry), risultando essere sicuramente più performante, data la ridotta superficie di con-tatto. I tonometri rebound (tonometri a rimbalzo) calcolano la pressione intraoculare facendo rimbalzare una piccola sonda di metallo con punta in plastica contro la cornea. Il dispositivo utilizza una bobina di induzione per magnetizzare la sonda e "spararla" contro la cornea. Non appena la sonda rimbalza contro la cornea e torna indietro verso il dispositivo, si viene a creare una corrente di induzione da cui è poi possibile determinare la pressione intraocu-lare. Il tonometro a rimbalzo è portatile e non richiede l'uso di colliri anestetici. Una IOP elevata determinerà una maggiore decelerazione del pistone con un ridotto tempo di ritorno allo strumento. Questa tecnica è influenzata in misura variabile dalla tensione superficiale oculare e quindi deve essere eseguita prima dell'applicazione di qualsiasi farmaco topico:
sedativi, tranquillanti e farmaci anestetici possono causare un abbassato della IOP per ri-duzione del tono muscolare degli annessi extraoculari. La ketamina può di contro aumentare temporaneamente la IOP. Altro elemento che influisce la misurazione della IOP con questo tipo di strumento è lo spessore della cornea che varia da esemplare a esemplare, così come con l'età e la specie di appartenenza. Anche la collaborazione del paziente è un fattore importante, e occorre prestare attenzione per ridurre al minimo la pressione applicata in-torno al collo e alla zona orbitale. Variazioni possono essere presenti anche durante l’arco della giornata.
Con questo studio abbiamo voluto misurare la IOP nel petauro dello zucchero (Petaurus breviceps). In quanto animale notturno, gli occhi si presentano molto grandi, e posti lateral-mente al cranio, caratteristica che gli permette di avere un ampio campo visivo. Le misura-zioni sono state effettuate mediante tonometria rebound (TonoVet®): risultando essere una tecnica atraumatica, non si è resa necessaria l’applicazione di un anestetico locale, per le ragioni menzionate in precedenza. Le misurazioni sono state effettuate considerando la taratura sia per cane che per cavallo: la prima è stata quella con risultati più omogenei. Gli animali sono stati divisi in due gruppi in base all'età: il primo gruppo comprendeva gli animali da 3 a 11 mesi, il secondo da 1 a 4 anni. Dato che la vita media in cattività dei petauri si attesta intorno ai 12-15 anni (6-8aa), comparabile a quella media di un cane, la fascia di età degli esemplari esaminati (4mm-5aa) può quindi essere considerata come un gruppo uniforme che rientra in un’unica fascia (giovani). Secondo studi precedenti effettuati su altre specie, il sesso non è una variabile discriminante. Considerando le fluttuazioni circadiane della IOP in altre specie, le misurazioni sono state registrate in due periodi distinti: da 17:00 alle 19:00, e dalle 21:00 alle 23:00, quando l'animale è completamente attivo. I dati raccolti mostrano che la IOP è maggiore negli animali giovani, come osservato in altri specie. Ogni soggetto è stato sostenuto dallo stesso operatore cercando di limitare il contatto delle mani con la testa dell’animale. Inoltre per minimizzare eventuali interferenze si è deciso di effet-tuare le misurazione direttamente nel loro ambiente, e scartando le misurazioni degli esem-plari più agitati e/o stressati. OCT (optical coerence tonometry): solo su alcuni esemplari è stata effettuata, contestual-mente alla misurazione della pressione, anche la misurazione del distretto anteriore dell’oc-chio. questo ha permesso di rilevare lo spessore corneale e l’angolo di curvatura. I dati raccolti evidenziano come nel primo gruppo la IOP media sia superiore a quella del secondo gruppo, supponendo una analogia con altre specie come ad esempio il cane. Le difficoltà riscontrate nell'effettuare tali misurazioni, che sono assolutamente indolori, sono state legate principalmente alla ridotta addomesticazione degli animali. Scopo ultimo del presente lavoro è quello di creare un range di riferimento della IOP nel petauro dello zucchero utilizzando un numero di soggetti statisticamente significativo in quanto, in letteratura, secondo le attuali conoscenze degli autori, non esistono dati a riguardo. Considerando l’aspettativa di vita del petauro (12-15aa), studi successivi saranno necessari per la valutazione della IOP anche in soggetti anziani ed il loro con-fronto con quelli presi in esame nel presente studio (4mm-5aa).
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mas J. Kern
La medicina d'emergenza nel furetto: tra scienza e clinica
Nicola di Girolamo, Med Vet, MSc (Evidence Based Health Care), Resident ECZM
(Herpetology) GPCert(ExAP); Sara Pagliarani, Med Vet
Clinica per Animali Esotici, via Sandro Giovannini 53, 00137 Roma, Italia
Il furetto (Mustela putorius furo) è un carnivoro della famiglia dei Mustelidi derivante
dall’addomesticamento della puzzola (Mustela putorius), avvenuto in territorio europeo più di
duemila anni fa. Le più frequenti situazioni di emergenza che si riscontrano in questo piccolo
mammifero, riguardano gli apparati gastrointestinale o cardiocircolatorio, oppure le patologie
neoplastiche e/o endocrine. Il medico veterinario che opera in urgenza deve necessariamente avere
familiarità con questi animali, la cui anatomia e fisiologia si discostano in maniera importante da
quella del cane e del gatto.
In questa presentazione tratteremo le patologie che richiedono un trattamento di emergenza più
comuni.
Anamnesi
Il segnalamento e la storia clinica dell’animale sono di importanza cruciale per poter stilare una lista
di diagnosi differenziali; dopo aver discusso con il proprietario le ragioni alla base della visita,
includendo anche la comparsa e la progressione dei sintomi clinici riscontrati, è necessario ottenere
una descrizione dettagliata della storia dell’animale. È importante infatti porre al proprietario
domande specifiche, tra le quali quelle relative alla dieta somministrata, all’ambiente in cui l’animale
vive, la convivenza con animali della stessa o di diversa specie:
Esame fisico
Prima di eseguire la visita è sempre opportuno osservare il furetto mentre si muove libero nella
stanza, al fine di valutare la deambulazione e lo stato del sensorio. In caso di emergenza è di
importanza vitale auscultare i campi polmonari e cardiaci al fine di constatare l’eventuale presenza
di distress cardiorespiratorio e di aritmie cardiache. L’abbondante scialorrea e i conati sono
riconducibili a problematiche gastrointestinali. Un segno importante di dolore addominale,
riscontrabile tipicamente nel furetto, è il bruxismo o digrignamento dei denti.
Corpi estranei gastrointestinali
I corpi estranei gastrointestinali (GI) sono frequentemente riscontrati nei furetti giovani;
gommapiuma, spugne e oggetti di plastica morbida quali le suole delle scarpe e i giocattoli per
bambini sono tra i materiali preferiti. Anche i tappi per le orecchie sono di frequente riscontro, mentre
I corpi estranei lineari sono più rari.
I segni clinici più importanti in caso di corpo estraneo GI sono anoressia ed abbattimento. A
seconda della localizzazione del corpo estraneo possono osservarsi vomito, segni riconducibili a
nausea e dolore addominale, o diarrea, con eventuale melena.
Alcuni corpi estranei possono essere palpabili durante l’esame fisico diretto, in particolar modo quelli
a livello intestinale. In associazione al corpo estraneo può essere presente una variabile quantità di
gas e la conseguente presenza di ileo segmentale visibile nell’esame radiografico. Una possibile
ostruzione è sempre associata ad una distensione gassosa dello stomaco o un pronunciato pattern
gassoso intestinale. Un esame ecografico addominale può confermare la patologia. Una serie di
radiografie effettuate dopo somministrazione di mezzo di contrasto può essere utile per identificare
una subocclusione.
Il trattamento in corso di presenza di corpo estraneo GI varia in base alla localizzazione dell’oggetto
identificato e ai segni clinici riscontrati nel paziente. In caso di corpi estranei localizzati nel primo
tratto intestinale la chirurgia è spesso necessaria. Se il corpo estraneo si trova in esofago (raro) o
stomaco, si può tentare la rimozione per via endoscopica.
Malattie infiammatorie intestinali - Gastroenterite linfoplasmocitica ed eosinofilica
Raramente queste patologie necessitano di un trattamento in emergenza. Le enteriti infiltrative o
infiammatorie sono solitamente riscontrate un furetti di media età o anziani. Pur non essendo stati
condotti studi clinici a riguardo, vi è il sospetto che la gastroenterite eosinofilica sia associata ad
intolleranze alimentari o sequela di infezioni virali da Coronavirus (Robert Wagner, comunicazione
personale). I segni clinici includono anoressia, perdita cronica di peso, diarrea cronica e vomito, ma
anche nausea e dolore addominale. All’esame fisico si possono rilevare anse intestinali ispessite e
linfonodi mesenterici aumentati di volume. È necessario stabilizzare i furetti affetti tramite
somministrazione di fluidi prima di ottenere una diagnosi definitiva mediante utilizzo di endoscopio
al fine di effettuare una biopsia a livello gastrico o intestinale. Il prednisone è la molecola d’elezione
utilizzata nel trattamento di questa condizione patologica. Altre molecole di possibile impiego sono
l’azatioprina e la ciclosporina. Antivirali specifici non sono mai stati impiegati sistematicamente.
Insulinoma
L’insulinoma o tumore delle cellule beta del pancreas è probabilmente la neoplasia più frequente
nei furetti. L’insorgere dei segni clinici può variare fortemente da soggetto a soggetto; alcuni individui
possono infatti presentare esordio acuto con episodi intermittenti di ipoglicemia, mentre altri
presentare segni clinici ad esordio subacuto. Tra i segni di ipoglicemia si ricordano depressione, lo
star-gazing, paresi dei posteriori, atassia e nausea. I furetti colpiti da insulinoma spesso diventano
più letargici, dormono più spesso e più a lungo; se la condizione di ipoglicemia peggiora possono
insorgere collassi fino ad episodi convulsivi.
L’esame fisico diretto spesso non riporta nulla di significativo, escludendo la debolezza
generalizzata del soggetto, atassia, collassi e una possibile perdita di peso.
La diagnosi solitamente si basa sulla storia clinica del soggetto, sugli esami clinici e su una
ipoglicemia persistente. Il livello fisiologico di glucosio nel sangue del furetto è compreso nel range
di 90 – 120 mg/dL; una glicemia inferiore a 90 mg/dL deve far sospettare la patologia, mentre un
valore inferiore a 70 mg/dL è fortemente suggestivo di insulinoma. Un’altra causa di ipoglicemia è
la persistente mancata assunzione di cibo; altre rare cause comprendono patologie epatiche,
neoplasie, sepsi e il colpo di calore. È fondamentale sapere che i glucometri portatili ad uso umano
(ad esempio Accu-chek Aviva) tendono a sottostimare significativamente (in media di 30 mg/dL) la
glicemia del furetto (Petritz et al., 2013). Di conseguenza bisogna sempre avvalersi di uno strumento
che utilizzi la metodica ad esochinasi per la misurazione della glicemia (ad esempio tutti gli strumenti
laboratoristici di chimica liquida, ed il VetScan, Abaxis). Nel furetto con insulinoma le restanti voci
dell’esame biochimico possono essere all’interno dei range fisiologici; un innalzamento dei valori
degli enzimi epatici può essere riscontrato in corso di lipidosi epatica secondaria, o, molto meno
frequentemente, di metastasi del tumore delle cellule beta al fegato. Altri siti in cui raramente si
incontrano metastasi di insulinomi sono i polmoni. L’esame radiografico total-body difficilmente
riporta qualche alterazione caratteristica. L’ecografia addominale con sonde a media-alta frequenza
è fondamentale per verificare lo stato del pancreas. Da ricordare che i linfonodi gastrici sono spesso
megalici.
Episodi ipoglicemici di lieve-moderata entità possono essere trattati senza dover ricorrere
all’ospedalizzazione semplicemente somministrando, qualora il furetto sia in grado di deglutire, del
cibo a base di proteine animali altamente digeribili. Al contrario, il ricovero è consigliato in corso di
gravi episodi ipoglicemici che non rispondo al trattamento orale o in cui l’animale abbia collassi o
sindromi convulsive. In questi casi è infatti necessario somministrare una dose tra 0.25 e 0.50 mL
di destrosio al 50% endovena lentamente in 10-15 minuti diluendo il destrosio 1:1 con della
soluzione salina sterile. In caso di somministrazione di destrosio non diluito infatti le cellule beta del
pancreas ancora funzionali potrebbero essere stimolate a produrre maggiori quantitativi di insulina
portando quindi a un continuo circolo vizioso ipoglicemico; in questi casi quindi è consigliato
somministrare desametasone sodio fosfato (0.1 mg/Kg per via endovenosa) per facilitare l’entrata
di glucosio nelle cellule. A seconda della risposta dell’animale alla somministrazione del bolo
intravenoso di destrosio, si può offrire al furetto dell’alimento ad alto contenuto proteico oppure
mantenerlo sotto infusione continua endovenosa di destrosio al 2.5% o al 5%. È però importante
che la fluidoterapia sia mantenuta in maniera costante in quanto, il continuo arresto e ripresa
dell’infusione stimolano in maniera continuativa la secrezione di insulina peggiorando
potenzialmente la prognosi e le condizioni del paziente.
Qualora il paziente non risponda alla somministrazione di destrosio è consigliato somministrare
midazolam (0.2 – 0.5 mg/Kg per via endovenosa) o di diazepam (1 – 2 mg per via endovenosa fino
all’effetto desiderato) per far cessare le crisi. Qualora l’animale continui a soffrire a causa della
persistente e grave ipoglicemia si può ricorrere alla somministrazione di desametasone (0.5 – 1.0
mg/Kg, bolo endovenoso somministrato lentamente in 6 ore, ripetendo il trattamento ogni 12-24 ore
al bisogno).
Anche se le recidive sono frequenti, la terapia chirurgica di rimozione delle cellule beta del pancreas
è considerata la terapia d’elezione.
L’educazione dei proprietari si dimostra cruciale per la gestione del furetto affetto da insulinoma; è
necessario infatti che il proprietario riconosca i segni di ipoglicemia in modo da prevenire il collasso
e gli eventuali episodi convulsivi.
Fondamentale discernere le crisi ipoglicemiche da crisi tetaniche da ipocalcemia ionica. Infatti sono
riportati casi di ipoparatiroidismo e pseudoipoparatiroidismo nel furetto nei quali si stabilizzavano i
furetti con somministrazione endovenosa di calcio gluconato sotto controllo elettrocardiografico
(Wilson et al., 2003; de Matos et al., 2014).
Sindrome da residuo ovarico
I furetti sono animali ad ovulazione indotta e le femmine in estro permangono in calore fino al
momento dell’accoppiamento o della stimolazione iatrogena all’ovulazione. La persistenza dell’estro
e la conseguente elevata concentrazione ematica di estrogeni porta ad effetti importanti a livello di
tessuto ematopoietico che risultano in una importante, e potenzialmente fatale, pancitopenia.
Questa condizione in passato era estremamente comune, tuttavia, in seguito alle sterilizzazioni
routinarie delle femmine Marshall è diventata un’evenienza molto meno comune.
Poiché la sterilizzazione chirurgica preventiva è ad oggi sconsigliata (Shoemaker et al. 2000, vedi
paragrafo successivo), la sindrome del residuo ovarico è sempre meno comune. La sindrome del
residuo ovarico si riscontra tipicamente nelle femmine Marshall di età inferiore ai 2 anni in cui è stata
accidentalmente lasciata una piccola porzione di ovaio in sede al momento della sterilizzazione
chirurgica.
Tra i segni clinici si ricordano letargia, debolezza, vulva edematosa e possibile scolo vulvare; negli
stadi gravi della patologia si possono osservare emorragie, melena, petecchie ed ecchimosi
secondarie a trombocitopenia e alopecia di origine endocrina.
La diagnosi si basa sull’esame fisico diretto, esame emocromocitometrico e conta reticolocitaria;
sono raccomandati anche l’esame ecografico addominale e l’esame citologico da aspirato di midollo
osseo.
Furetti che presentano una grave anemia devono essere posti sotto ossigeno e ossiglobulina per
via endovenosa (11-15 mL/Kg in 4 ore) fino a quando non sia possibile effettuare una trasfusione di
sangue intero. Il trattamento prevede la chirurgia esplorativa per rimuovere il residuo di tessuto
ovarico.
Patologie delle ghiandole surrenali
Le patologie delle ghiandole surrenali del furetto comprendono l’iperplasia e la neoplasia benigna o
maligna; anche se sporadicamente, sono stati diagnosticati casi di ipercortisolismo (morbo di
Cushing) e iperaldosteronismo. La malattia surrenalica nel furetto tipicamente esita nell’aumento
degli ormoni sessuali (estrogeni, progestinici e androgeni), ma non dei glucocorticoidi. Questa
condizione patologica è di frequente riscontro in furetti sterilizzati; studi hanno dimostrato come la
causa principale della malattia surrenalica sia la gonadectomia e come il tempo medio di sviluppo
della malattia dalla sterilizzazione sia di 3.5 anni. Il segno clinico più consistente è rappresentato da
un’alopecia endocrina simmetrica a livello di dorso, che tipicamente inizia alla base della coda e
prosegue lungo il rachide; approssimativamente circa un terzo dei furetti presenta anche un intenso
prurito in questa zona. Circa il 75% delle femmine con patologie surrenaliche presenta edema
vulvare; gli individui di sesso maschile presentano occasionalmente disuria o stranguria secondarie
a prostatomegalia androgeno indotta. I furetti con patologie surrenaliche croniche mostrano una
lieve-moderata anemia non rigenerativa estrogeno dipendente. L’esame ultrasonografico
rappresenta la metodica diagnostica d’elezione; lo spessore di una normale ghiandola surrenale è
di circa 3 mm o inferiore a questo valore; la patologia è associata a cambiamento di forma e
dimensioni della ghiandola, dalla classica forma a fagiolo fino ad assumere una forma
rotondeggiante con un diametro maggiore di 3.5 mm. La diagnosi può essere anche supportata
dagli esami ormonali messi a punto dall’Università del Tennessee che prevedono la misurazione
dei livelli sierici di estradiolo, 17-idrossiprogesterone e androstenidione.
I furetti affetti da malattia surrenalica andrebbero sempre trattati con GnRH-agonisti, come la
Deslorelina acetato (Suprelorin, Virbac). Se l’aumento della ghiandola è monolaterale, la terapia
d’elezione prevede la rimozione chirurgica della ghiandola interessata. Nel caso entrambe le
ghiandole surrenali siano aumentate di volume il trattamento chirurgico è questionabile, e molti
autori propendono per il solo trattamento medico.
Diabete
I furetti, al pari degli altri carnivori domestici, possono essere presentati a visita in stato di grave
iperglicemia e di chetoacidosi diabetica. Il diabete mellito spontaneo è una condizione poco comune
nel furetto. Il diabete mellito iatrogeno è più frequente come sequela del trattamento chirurgico
dell’insulinoma. In un caso si è rivelata utile l’impego della insulina glargina (0.5 UI) ogni 12 ore
(Hess, 2012).
Linfoma
Il linfoma, o linfosarcoma, è la terza patologia di origine neoplastica riscontrata più di frequente nel
furetto. Le tipologie di neoplasia coinvolgenti i linfociti maturi e ben differenziati, insieme al linfoma
linfocitico, sono tra le più frequenti ritrovabili nella pratica clinica nei furetti anziani; questa patologia
affligge inizialmente i linfonodi, invadendo successivamente anche il parenchima. I furetti affetti da
questa patologia possono essere presentati all’esame clinico per una letargia di tipo intermittente o
cronico oppure per anoressia con conseguente perdita di peso. Il riscontro clinico più importante in
corso di linfosarcoma o linfoma è una linfoadenopatia generalizzata in cui i linfonodi appaiano alla
palpazione come asimmetrici e stabili.
Nei furetti di età inferiore ai 2 anni si riscontra più facilmente il linfosarcoma linfoblastico in cui,
qualora siano presenti masse a livello di mediastino craniale, spesso di può riscontrare versamento
pleurico e dispnea. All’esame clinico diretto il torace si presenta come non comprimibile e né
murmuri cardiaci né aritmie sono auscultabili. Anche se raramente riscontrate, metastasi polmonari
possono essere riscontrate in corso di linfosarcoma linfocitico o linfoblastico.
La diagnosi si basa sulla valutazione citologica o istologica dei linfonodi o del versamento pleurico.
Il linfoma splenico nei furetti è evenienza poco frequente e spesso un aspirato di questo organo può
rilevare solamente una ematopoiesi extramidollare. La conta dei globuli bianchi spesso è aspecifica,
mentre la conta dei linfociti può risultare fortemente elevata. I protocolli chemioterapici utilizzati nel
furetto sono gli stessi utilizzati nella pratica clinica del cane e del gatto; questi animali sono in grado
di tollerare bene la chemioterapia anche se in letteratura la remissione della neoplasia è riportata
solo nel 10% dei casi. Una terapia alternativa è costituita da prednisone (2.2 mg/Kg per via orale
ogni 24 ore) che può ridurre la crescita tumorale per diversi mesi.
Anemia
Dopo aver confermato la presenza di una condizione di anemia è necessario valutare anche la
presenza di microcitosi o policromasia, gli indici eritrocitari quali il volume corpuscolare medio (MCV)
e la concentrazione media di emoglobina corpuscolare (MCHC) ed effettuare una conta
reticolocitaria. In corso di anemia rigenerativa si può osservare microcitosi ed un’elevata conta di
reticolociti, mentre un’anemia di tipo non regenerativo è associata a globuli rossi normocitici e
normocromici.
L’anemia rigenerativa nel furetto è di frequente causata da emorragie gastrointestinali secondarie a
gastrite da Helicobacter. L’anemia emolitica immuno-mediata non è stata invece descritta in questi
animali.
La causa principale di anemia non-rigenerativa risiede nelle patologie croniche delle surrenali.
Anche se non frequente, la principale causa di pancitopenia è la presenza di tossicità estrogeno-
dipendente in corso di sindrome del tessuto ovarico residuo. Anche un’infiltrazione neoplastica del
midollo osseo in corso di linfoma può essere un’altra causa potenziale di pancitopenia.
Trombocitopenia
La trombocitopenia primaria immuno-mediata non è mai stata riportata nel furetto; tuttavia sono stati
descritti casi di pancitopenia estrogeno-indotta.
Coagulopatie
Le coaugulopatie sono riportate con frequenza molto bassa in questa specie, probabilmente a causa
della scarsa disponibilità di parametri a cui fare riferimento. Coagulopatie secondarie a ingestione
di rodenticidi a base di warfarin sono invece riportate in letteratura e andrebbero gestite in maniera
non dissimile rispetto alla medicina dei carnivori domestici.
Patologie cardiovascolari
Come primo sospetto clinico in furetti condotti a visita d’emergenza per una alterazione nella
respirazione si devono tenere in considerazione le patologie cardiache. Esse sono frequentemente
riscontrate in furetti di tutte le età, più comuni sono le patologie a carico delle valvole cardiache. In
letteratura sono descritte un esiguo numero di patologie congenite cardiache, che esitano in
sintomatologia solamente ad età avanzata. Il primo approccio solitamente consiste nell’esecuzione
di una radiografia toracica. Si può impiegare un apposito sistema VHS per la misurazione del cuore
in comparazione alla dimensione vertebrale. Frequentissima la presenza di versamento pleurico,
sia in patologie del cuore sinistro che del cuore destro. In tal caso è necessario aspirare il liquido
preferibilmente evitando la sedazione per i rischi anestesiologici. Gli autori hanno avuto successo
con l’applicazione di crema anestetica topica a base di lidocaina 2.5% + prilocaina 2.5% (EMLA,
Astrazeneca) nel punto di accesso dell’ago a farfalla per la toracentesi. Grandi quantità (30-50 ml)
di fluido possono essere aspirate durante la toracentesi. Una volta eseguita la toracentesi bisogna
ripetere i radiogrammi per verificare la presenza di edema polmonare. Nel caso in cui sia presente
l’edema va trattato con una terapia aggressiva a base di furosemide (4 mg/kg) e l’ecocardiografia
deve essere eseguita quanto prima. In seguito alla stabilizzazione del paziente, ed a seconda della
diagnosi, si manterrà un dosaggio di furosemide intorno ai 1-2 mg/kg/giorno in un paio di
somministrazioni e eventualmente pimobendan, ACE-inibitori e digossina, quando necessario. La
diagnosi ecocardiografica è necessaria per una corretta gestione a lungo termine di questi casi.
Speciale attenzione va rivolta alle anomalie del ritmo cardiaco, essendo i blocchi atrio-ventricolari
di terzo grado particolarmente frequenti nel furetto ed associati ad una frequenza cardiaca di circa
70 battiti per minuto (normalità: 180-280 bpm). L’elettrocardiogramma è diagnostico.
Virus dell’influenza umana
Diversi ceppi del virus dell’influenza umana possono contagiare il furetto con trasmissione dalle
persone agli animali, dagli animali alle persone o da furetto a furetto. I sintomi clinici sono
riscontrabili entro 48 ore dopo l’esposizione, per cui è sempre necessario chiedere ai proprietari se
vi sono stati recentemente dei casi di influenza in casa. I segni clinici sono propriamente specifici
del tratto respiratorio superiore, tra i quali, scolo nasale, starnuti, congestione, febbre, e importante
letargia e anoressia. Il coinvolgimento delle vie aeree inferiori è molto meno comune e solitamente
è riscontrabile in corso di infezioni batteriche secondarie. I furetti affetti dal virus dell’influenza
spesso vengono presentati a visita molto abbattuti e la durata dei sintomi clinici varia dai 7 ai 14
giorni. La terapia prevede intensive cure di supporto (alimentazione forzata e fluidoterapia) e la
somministrazione di antistaminici (quali la difenidramina, 2-4 mg/Kg per via orale ogni 8-12 ore) per
allievare la congestione.
Masse mediastiniche
La presenza di masse mediastiniche craniali per esempio in caso di linfosarcoma è tipicamente
associata a versamento pleurico e dispnea, in particolar modo nei furetti di giovane età. La diagnosi
definitiva si ha per mezzo di un esame ultrasonografico o tomografico con agoaspirato della massa,
laparoscopia o biopsia chirurgica della stessa. Recentemente sono stati descritti una serie di casi
di furetti affetti da timoma.
Virus del cimurro canino
I furetti sono particolarmente sensibili al virus del cimurro canino (CDV, canine distemper virus in
inglese); anche se l’incidenza non è particolarmente elevata nei furetti domestici, la patologia deve
essere tenuta in considerazione in soggetti non vaccinati che presentino sintomi clinici riconducibili
a questa. I segni clinici includono febbre, anoressia, scolo oculo-nasale, tosse, ipercheratosi dei
cuscinetti e rash cutaneo a livello di labbra e mento. Il vomito e la diarrea sono raramente riscontrati
nei furetti affetti da CDV. Il tasso di mortalità è intorno al 100%, anche se in letteratura sono descritti
casi di furetti sopravvissuti all’infezione trattati con siero iperimmune.
Patologie urogenitali
La più importante causa di disordini del tratto urogenitale nel furetto maschio è la prostatomegalia
secondaria a patologie surrenaliche. Anche i calcoli da struvite in passato risultavano essere un’
importante problematica, ma in seguito all’introduzione di diete commerciali specifiche per questa
specie l’incidenza è diminuita; i calcoli erano frequente riscontro in furetti alimentati con diete a base
di proteine vegetali che stimolavano la formazione di urine alcaline e la conseguente precipitazione
di fosfato ammonio di magnesio (o cristallo di struvite).
Ad oggi la causa principale di ostruzione uretrale è causata da un aumento dei livelli ematici di
androgeni conseguentemente a patologie surrenaliche che porta quindi a metaplasia squamosa
dell’epitelio ghiandolare prostatico e la formazione di cisti prostatiche a parete spessa. In alcuni casi
queste cisti possono andare incontro a infezione. I segni clinici includono pollachiuria, stranguria o
disuria; i furetti sono presentati in visita con stato del sensorio depresso, deboli o molto doloranti e
in alcuni casi, questi segnali aspecifici di malattia possono essere osservati anche in assenza di
disuria.
La diagnosi si basa sul segnalamento, storia clinica e ed esame fisico diretto; durante quest’ultimo
infatti, in corso di ostruzione uretrale il clinico dovrebbe essere in grado di palpare la vescica del
furetto che risulterà fortemente distesa.
Nel caso sopra descritto la cateterizzazione urinaria si presenta come una procedura da eseguire
con emergenza; in caso non sia possibile effettuarla si può ricorrere ad una cistotomia percutanea
per permettere la fuoriuscita percutanea di urina fino al momento in cui non possa essere portato a
termine un trattamento di tipo definitivo. Il posizionamento del tubo da cistostomia temporaneo può
essere effettuato come avviene nel cane e nel gatto e può rimanere in sede per un tempo compreso
tra 1 e 3 giorni con l’animale in sedazione continua, ma è una procedura sconsigliata dagli autori.
Durante il posizionamento del catetere urinario sotto anestesia è importante monitorare
l’elettrocardiogramma per evidenziare possibili segni di iperkaliemia, quali la perdita dell’onda P,
aumento dell’ampiezza del complesso QRS, onde T più acute e un ridotto intervallo QY. In generale
la cateterizzazione riesce nel maschio sedato con la giusta calma. Il catetere può essere rimosso,
successivamente a terapia medica o chirurgica, solamente dopo che il furetto sia in grado di urinare
autonomamente. In questi casi si deve trattare l’aumento degli ormoni sessuali, garantendo però la
minzione. In alcuni casi può essere necessaria la uretrostomia, tecnica chirurgica facilmente
eseguibile se il catetere urinario è in sede. La ferita può essere lasciata guarire per seconda
intenzione.
Un trattamento medico in corso di iperkaliemia può essere necessario qualora sia presente
un’aritmia in associazione con una povera perfusione vascolare e sintomi neurologici; in questo
caso è necessario somministrare calcio gluconato (50-100 mg/Kg lentamente per via intravenosa)
monitorando costantemente l’ECG, oppure somministrare insulina (0.2 UI/Kg per via endovenosa)
seguita da glucosio (1-2 g per via endovenosa per ogni unità di insulina somministrata) in modo da
prevenire una condizione di ipoglicemia.
Importante è anche prelevare una campione di urine ed effettuare analisi, urinocoltura e
antibiogramma ed un campione di sangue per valutare la conta dei globuli rossi, e per valutare i
parametri biochimici (in particolar modo il BUN, la creatinina, gli elettroliti, la glicemia, il PCV e le
proteine totali). L’iperkaliemia e l’acidosi metabolica sono riscontrate frequentemente in corso di
ostruzione uretrale (2).
All’esame radiografico è utile valutare l’intero tratto urinario per evidenziare la presenza di uroliti
radiopachi; una prostatomegalia può apparire con un’area radiopaca dorsalmente alla vescica che
sposta quest’ultima più ventralmente verso la parte più ventrale dell’addome. L’esame
ultrasonografico può rivelarsi utile per identificare le cisti prostastiche o i calcoli da struvite.
Traumi
Le ferite traumatiche sono evenienze molto comuni nei furetti, in particolar modo a causa della loro
indole curiosa e della loro predisposizione a scavare. Questi animali possono anche di frequente
scontrarsi con altri animali domestici portando anche a gravi lacerazioni cutanee.
Come conseguenza di traumi si possono instaurare alcune condizioni che altrimenti non sarebbero
riscontrate con grande frequenza nel furetto quali il pneumotorace e le fratture ossee, soprattutto a
carico dello scheletro appendicolare. Il trattamento in corso di fratture ossee e di altre ferite
traumatiche è lo stesso prescelto in corso di emergenze nei gattini (2).
Miofascite idiopatica
La miofascite idiopatica o polimiopatia infiammatoria spontanea del furetto è stata riconosciuta per
la prima volta nel 2003. La causa primaria di questa patologia non è stata identificata, anche se,
tuttavia, si ritiene che possa essere di natura immuno-mediata. Colpisce prevalentemente i giovani
furetti, anche se è stato descritto in letteratura un caso di miofascite idiopatica anche in un furetto
di media età.
Tra i segni clinici si riscontrano febbre elevata, letargia, anoressia, paresi dei posteriori e atassia,
dolore al movimento e feci anormali. All’esame biochimico si può rilevare leucocitosi con neutrofilia
matura, anemia non rigenerativa di entità medio-moderata, innalzamento dell’ALT, iperglicemia e
ipoalbuminemia.
Anche se in passato è stato tentato un approccio farmacologico molto ampio, comprendente sia
antibiotici, agenti antifiammatori non steroidei, glucocorticoidi, analgesici, interferone e
ciclofosfammide tutti i furetti affetti da miofascite idiopatica sono deceduti durante il trattamento.
Colpo di calore
A causa della conformazione lunga e sottile del loro corpo e dell’assenza di ghiandole sudoripare i
furetti sono animali molto suscettibili alle alte temperature. Possono infatti andare incontro al colpo
di calore qualora le temperature ambientali superino i 27 °C e anche l’umidità si presenti molto
elevata. Il primo segno riscontrabile di insofferenza è la respirazione a bocca aperta e la postura
prona dell’animale; spesso il furetto è anche particolarmente letargico e i cuscinetti palmari e plantari
insieme alle mucose esplorabili possono essere di colore rosso brillante. Possono essere presenti
anche nausea, diarrea e vomito, a volte anche con sangue, tachicardia, aritmie e tachipnea, ma non
necessariamente un’elevata temperatura corporea. Segni più gravi riscontrabili in corso di colpo di
calore includono anche segni di disfunzione del sistema nervoso centrale quali opistotono, pupille
fisse e dilatate, attività convulsiva, collasso fino al coma, ma anche segni di coagulazione intravasale
disseminata quali porpora emorragica, emorragie congiuntivali, melena, diarrea sanguinolenta,
emottisi e ematuria. L’esame chimico del sangue può mettere in evidenza patologie coagulative e
emoconcentrazione, mentre disordini biochimici possono essere presenti in corso di danno
d’organo. Innalzamenti di creatina chinasi (CK), aspartato aminotransferasi (AST) e ALT sono tra i
reperti più riscontrati insieme a azotemia e iperkaliemia. L’analisi delle urine può rilevare proteinuria,
ematuria, mioglobinuria o cilindri granulari.
E’ necessario raffreddare il paziente il prima possibile, utilizzando, ad esempio, guanti in lattice
riempiti di acqua a temperatura ambiente, non troppo fredda, fino a quando la temperatura corporea
non rientri nei range di normalità della specie. Impostare subito un’aggressiva fluidoterapia
intravenosa per re-idratare e mantenere la pressione sanguigna del furetto e per prevenire la
coagulazione intravasale disseminata e l’insufficienza renale.
Patologie oculari
Raramente i furetti sono condotti a visita per emergenze relative a oculopatie. Batteri delle specie
Staphylococcus e Corynebacterium vengono normalmente isolati dalla congiuntiva di furetti adulti
sani. In furetti con buftalmo è sempre necessario misurare la pressione intraoculare per escludere
la presenza di glaucoma. La pressione intraoculare dei furetti sani dovrebbe essere intorno ai 13-
18 mmHg se misurata con TonoPen e di 13-15 mmHg se misurata con TonoVet (Di Girolamo et al.,
2013). Le cause di esoftalmo riportate nel furetto sono masse retrorbitali (linfomi ed ascessi
odontogenici). Il trattamento dell’esoftalmo o del buftalmo deve essere chiaramente atto a rimuovere
la causa sottostante.
Articoli citati e letteratura consigliata
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Occlusione intestinale e costipazione in una Testudo horsfieldii: importanza del supporto
nutrizionale
Alberto Acosta
Med. Vet. PhD
Reparto di Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici
Clinica Veterinaria Roma Sud.
Direttore Sanitario Dottoressa Daniela Mignacca
Via Pilade Mazza, 24 00173, Roma
Si descrive il caso clinico di una Testudo horsfieldii femmina di due anni di età e 110 g che è stata portata in clinica con
anamnesi di anoressia (più di 48 ore), mancata produzione di feci (più di 48 ore), forte abbattimento, grave
disidratazione e debolezza degli arti posteriori. L’esame Radiografico diretto (Rx) in doppia proiezione (DV, LL) e la
Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), Ricostruzioni 3D-VR (Volume Rendering), hanno mostrato dilatazione
intestinale associata alla presenza di abbondante materiale radioattenuante non occludente (piccoli punti radiopachi che
sono stati attribuiti all’ingestione del substrato: sabbia). Queste indagini insieme all’anamnesi hanno permesso di
stabilire la causa primaria che ha provocato l’ostruzione (errori di gestione, ingestione di sabbia). Si discutono i
vantaggi e svantaggi dell’approccio medico conservativo che ha previsto: idratazione per via orale e parenterale, bagni
tiepidi, alimentazione forzata, olio di vasellina per via cloacale e metronidazolo OS per prevenire il passaggio di germi
dalla mucosa mal perfusa e traslocazione batterica. Dopo un ricovero di 48 ore il paziente ha defecato normalmente e
dalla Rx (96 h) di controllo si è potuto rilevare una diminuzione della dilatazione intestinale, un minor contenuto del
materiale radiodenso, così come uno spostamento del materiale sabbioso verso la parte finale dell’intestino. Il paziente è
stato dimesso dopo un ricovero di 96h, ha ripreso a mangiare, da oltre un mese vive normalmente.
Parole chiave: ostruzione intestinale, costipazione, testudo, supporto nutrizionale
Introduzione
Sono numerose le cause di ostruzione intestinale e/o costipazione (stipsi) nei cheloni5. In primo
luogo possiamo citare gli errori di gestione: temperatura troppo bassa che causa problemi digestivi;
insufficiente umidità ambientale che causa disidratazione. Insufficiente acqua da bere.
Alimentazione basata solo o prevalentemente su alimenti commerciali secchi. Mancanza di attività
fisica o movimento (insufficiente spazio nella teca o terrario)7,8,9. Ingestione di corpi estranei (pezzi
di substrato, sabbia, sassi, ghiaia o altri oggetti)4. Presenza di una grande quantità di parassiti
intestinali (ossiuridi, ascaridi)2,3,10. Iperparatiroidismo secondario nutrizionale (IPTSN),
osteodistrofia fibrosa o malattia ossea metabolica (MOM) per la carenza di calcio, che è
indispensabile per l’attività della muscolatura dell’intestino7. Presenza di calcoli (uroliti) a livello
della cloaca che possono bloccare il passaggio delle feci e contribuire di conseguenza alla
formazione di fecalomi11,12.
I sintomi che si possono osservare in caso di stasi intestinale o ileo comprendono: anoressia,
mancata emissione di feci (costipazione/stipsi) , depressione, rigurgito, paresi degli arti posteriori e
talvolta diarrea emorragica9,15. Come abbiamo visto la costipazione è solo un sintomo, e può
dipendere da più malattie; prima di procedere alla terapia occorre cercare di identificare le cause
che l’hanno provocata. A tale scopo l’esame radiografico è uno dei più semplici da eseguire5,6, 16. La
terapia consiste inizialmente, oltre che nell’eventuale correzione delle cause ambientali, nella
reidratazione per via orale e nella somministrazione di olio di vaselina. Sono molto utili anche i
bagni in acqua tiepida e i clisteri. Nei casi più ostinati si deve ricorrere all’intervento chirurgico3, 14,
20.
L’obbiettivo di questo studio è stato descrivere un caso clinico di occlusione
intestinale/costipazione in una tartaruga Testudo horsfieldii e valutare l’efficacia del supporto
nutrizionale come elemento fondamentale della terapia medica conservativa.
Descrizione del caso clinico:
Testudo horsfieldii femmina (Camilla), di due anni di età, con 110 g di peso corporeo, con un
quadro di anoressia e assenza di feci da più di 48 ore. La proprietaria ha riferito di aver cambiato il
substrato. Precedentemente utilizzava il tutolo di mais, poi ha introdotto della sabbia consigliata ad
un negozio da animali. Dato che dopo l’introduzione della sabbia l’animale ha mostrato irritazione
oculare (motivo primario della visita), ha nuovamente cambiato al tutolo. La dieta si basava
prevalentemente da verdure (zucchine, lattuga) e frutta (prugna, pesche). Secondo la proprietaria
l’animale aveva a disposizione: integrazione con l’osso di seppia come supplemento di calcio,
lampada riscaldante spot e lampada UVB specifica per rettili, tutte e due funzionanti e acquistate da
solo qualche mese.
All’esame clinico il paziente risultava molto abbattuto e fortemente disidratato, gli occhi erano
leggermente chiusi e infossati, è rispondeva poco agli stimoli esterni, gli arti posteriori erano in
estensione e ipotonici. All’esplorazione della cavità orale le mucose erano pallide ma non si
osservavano alterazioni patologiche. La corazza e il piastrone risultavano integri senza lesioni o
segni di malattia metabolica.
E’ stato eseguito un esame radiografico diretto in doppia proiezione (DV e LL) che indicava
dilatazione intestinale con presenza di abbondate materiale radioattenuante non occludente (piccoli
punti radiodensi, attribuibili all’ingestione del substrato sabbia vs. tutolo). Questo materiale
occupava gran parte del colon prossimale e colon distale (figure 1 e 2).
Figura 1. Radiografia total body diretta in proiezione dorso-ventrale (DV) che mostra abbondate materiale
radio attenuante non occludente compatibile con costipazione da ingestione di materiale sabbioso nel colon
prossimale e distale
Figura 2. Radiografia total body diretta in proiezione Latero-Laterale (DV) compatibile con costipazione da
ingestione di sabbia
L’esame radiografico ha confermato l’ipotesi diagnostica di occlusione/costipazione intestinale e ha
rivelato come possibile causa l’ingestione del substrato. Questi riscontri giustificavano l’anoressia e
l’assenza di feci, così come il forte abbattimento e la disidratazione. In questo caso il grado elevato
di disidratazione si potrebbe spiegare non solo per la mancata ingestione di cibo e acqua (anoressia),
anche per l’arresto nell’assorbimento dei liquidi e per il sequestro di liquidi nel lume intestinale
(disidratazione da ipovolemia relativa, alterazioni elettrolitiche con ipopotassiemia). Temendo
alterazioni da perfusione dovute ad un aumento della pressione endoluminale e alla distensione
intestinale, ischemia della mucosa e possibili lacerazioni intestinali non è stato eseguito l’esame
contrastografico12, 18. Pratica che alcuni autori21 sostengono di scarsa utilità, dato il prolungato
tempo di transito gastrointestinale in questa specie.
Nonostante fosse abbastanza chiara la diagnosi è stata inoltre eseguita una tomografia assiale
computerizzata (TAC) con ricostruzioni 3D-VR (Volume Rendering) che fornisce un’informazione
più accurata della radiografia tradizionale perché priva di deformazioni, ingrandimenti,
sovrapposizioni e artefatti15, 17, 18. In effetti da questo studio si è potuto constatare che il materiale
ingerito aveva una radiodensità simile alle ossa (figura 3), quindi da attribuire senz’ombra di dubbio
all’ingestione di un considerevole quantitativo di materiale calcareo come la sabbia e non al tutolo,
dato che quest’ultimo risulta radiotrasparente.
A B
C
C
Figura 3. Immagine A; B; C. Tomografia computerizzata, ricostruzioni 3D-VR (Volume Rendering: 120
kV, 1670 mA, 0.8 mm SD, W: 783, L: 263). E’ stata alzata la soglia d’intensità dei voxel per visualizzare
solo il tessuto osseo. Viene così messo in risalto il materiale intestinale di radiodensità simile al tessuto
osseo (radio attenuante, non occludente) compatibile con la sabbia (Immagine C)
Il paziente è stato immediatamente ricoverato e messo in incubatrice alla temperatura media della
POTZ (Preferred Optimum Temperature Zone: 28-30 °C) e con umidità relativa del 75-80%. E’
stata eseguita fluidoterapia parenterale per via sottocutanea (SC) nella zona compresa tra
l’inserzione dell’arto anteriore e il collo con una miscela di NaCl 0,9%, Ringer Lattato, Glucosio
5% in proporzione 1/3+1/3+1/3 (20 ml/kg/die). I fluidi sono stati riscaldati alla temperatura media
della POTZ prima della somministrazione.
In più è stato somministrato olio di Vasellina (0.5ml) per via cloacale; tutto tre volte al giorno con
l’obbiettivo di idratare e lenire i segmenti intestinali e favorire il passaggio e l’espulsione del
materiale sabbioso. Bagni di acqua tiepida, 4 volte al giorno per 15 minuti sono stati effettuati per
favorire l’idratazione e la defecazione. Nelle prime 24 ore non c’è stata produzione di feci di
nessun tipo, solo urina con abbondanti urati.
Per contrastare gli effetti negativi dell’anoressia (ipoglicemia, lipidosi epatica, chetoacidosi), e per
favorire la motilità dell’intestino e di conseguenza stimolare l’azione propulsiva del tratto
gastrointestinale, è stata eseguita l’alimentazione forzata (tramite sonda orogastrica in metallo, con
OxBow Critical Care Herbivore® 0.1 g/ 0.2 ml H2O). La quantità di alimento da somministrare è
stata calcolata in base all’Energia Metabolica Richiesta dal paziente (RER, Kcal/die) tramite la
formula: RER =10 x (peso corporeo in kg)0,75 e poi adattata alla situazione clinica del paziente
moltiplicando il RER per il coefficiente variabile 0.98 (ipometabolismo). Per evitare la sindrome da
rialimentazione dato che il paziente era molto emaciato per i primi due giorni è stato somministrato
solo il 20% del fabbisogno energetico, poi il 60%27.
Per prevenire il passaggio di germi dalla mucosa mal perfusa alla sottomucosa, alterazioni nella
barriera mucosa e traslocazione batterica1, è stato eseguito un trattamento con metronidazolo
(Flagyl CPR 250 mg, 50 mg/kg per OS, SID per 3 giorni).
Basandoci nell’ipotesi che una dieta povera di calcio, vitamine e minerali può spingere il rettile ad
ingerire materiali estranei come ossa, sabbia e ghiaia nel tentativo di procurarsi i nutrimenti
mancanti, è stata attuata un’integrazione con Stimulfos (Derivato organico del fosforo, vitamine del
gruppo B e Pantotenato di Calcio) 2-3 gocce per OS, SID. Tale associazione è in grado di svolgere
un’azione stimolante utile in molte situazioni patologiche e parafisiologiche e trova indicazioni in
tutte le situazioni in cui è utile una stimolazione delle capacità reattive dell’organismo26.
Dopo 48 di ricovero l’animale ha cominciato a defecare (inizialmente dopo un bagno). Le prime
feci sono state molto disidratate e grandi, ma nonostante ciò sono state espulse in autonomia. Dato
che un’elevata carica parassitaria (in particolare ossiuridi e ascaridi) nei cheloni in cattività può
favorire o peggiorare un quadro di ostruzione intestinale abbiamo fatto un’analisi parassitologico
delle prime feci espulse per escludere o meno la presenza di parassiti intestinali3,10,11. L’esame
microscopico delle feci dopo flottazione è risultato negativo.
Al quarto giorno del ricovero (96 h) l’animale defecava in autonomia, le feci erano meno disidratate
e di dimensione più vicine alla normalità, ancora non mangiava da solo, quindi si continuava con
l’alimentazione assistita, ma si mostrava meno abbattuto, più reattivo agli stimoli e con gli occhi
meno infossati. Prima di dimetterlo è stata effettuata un’ultima radiografia di controllo (figura 4)
che mostrava l’intestino meno dilatato e con minor contenuto di materiale radio attenuante, così
come un leggero spostamento del contenuto verso la porzione caudale dell’intestino. Questi
riscontri suggerivano un ripristino della normale motilità intestinale. Due giorni dopo le dimissioni
è stato effettuato un controllo telefonico, dove la proprietaria ha riferito defecazione e appetito
normali, riscontro che suggeriva il completo ripristino delle funzionalità intestinale.
Figura 4. Radiografia total body in proiezione dorso-ventrale (DV), 96 ore dopo il ricovero, che mostra
l’intestino meno dilatato con minor contenuto di materiale radiopaco il quale comincia a spostarsi in
direzione cloacale (freccia).
Discussioni
Il riscontro di corpi stranei gastrointestinali/occlusione intestinale nelle radiografie dei rettili è
molto comune3,5. La causa di questa allotrofagia è principalmente dovuta a malnutrizione. In
letteratura si riportano numerosi casi di ostruzione dovuti all’ingestione di ossa, sabbia, sassolini,
ghiaia, guscio di molluschi, ami da pesca, ecc. In questo fenomeno pare abbiano un ruolo cruciale le
carenze di calcio, vitamine e minerali che spingono i rettili ad ingerire materiali estranei nel
tentativo di procurarsi i nutrimenti mancanti10, 12. Tuttavia, nel caso descritto questo no sembra
essere stato il fattore scatenante l’ingestione del materiare estraneo (sabbia), dato che il paziente
non mostrava segni di malattia osseo metabolica. Al nostro avviso la causa fondamentale è stata la
cattiva gestione, dato che è stato utilizzato come substrato un materiale inadeguato. Questo
riscontro conferma i risultati riportati in letteratura che annoverano altre possibile cause come:
cattiva gestione, temperature inadeguate, parassitismo intestinale, disidratazione, inattività, cloaciti,
intussuscezione, fecalomi, stenosi pelvica, urolitiasi e aderenze 7,8,9.
Il supporto nutrizionale è fondamentale nella terapia intensiva dei rettili; non solo in quelli con
occlusione intestinale. L’alimentazione è ovviamente molto importante per fornire proteine ed
energia. In generale molti di questi pazienti si presentano infatti defedati, disidratati e gravemente
malnutriti, dato che tendono a manifestare anoressia anche di lunga durata quando sottoposti a forti
stress come per esempio il dolore causato dalla distensione delle anse intestinali occluse o mal
perfuse. Nel caso descritto abbiamo iniziato con una somministrazione del 20% del totale
dell’energia richiesta per evitare la sindrome da rialimentazione21, 22, 23, e abbiamo preferito la sonda
rigida orogastrica date le piccole dimensioni del paziente.
Studi recenti dimostrano che nei casi di ileo dinamico (arresto del transito intestinale non dovuti a fattori
meccanici che occludono il lume) l’alimentazione assistita favorisce l’idratazione intestinale e stimola
l’azione propulsiva del tratto gastrointestinale. Ciò nonostante va attuata con cautela, previamente
dovrà essere identificata la causa che ha provocato l’ostruzione, e bisognerà eseguire dei
radiogrammi in serie per valutare l’eventuale ripristino della motilità intestinale24. Nel caso
descritto, l’alimentazione sembra essere stata decisiva per la ripresa delle normali funzionalità
digestive, dato che solo 48 ore dopo l’inizio dell’alimentazione assistita l’animale ha cominciato a
defecare e già a 96 h le radiografie mostravano un leggero spostamento del materiale
radioattenuante verso la porzione finale del tratto digerente (fig. 4). In questo caso i radiogrammi
non mostravano segni di torsione, rottura o intussuscezione (ostruzione meccanica, totale), quindi
l’alimentazione forzata era fortemente consigliata 2,4,.
Il supporto nutrizionale gastroenterico non dovrebbe essere istituito sino a che il paziente non sia
stato reidratato e i valori di glucosio ematico non rientrino nei valori di normalità. Gli animali
fortemente disidratati potrebbero non essere in grado di digerire cibo solido e il materiale potrebbe
permanere nello stomaco come risultato di una ridotta mobilità gastrointestinale e aggravare ancora
di più il quadro clinico. Nel caso descritto, sono stati di particolare importanza i bagni in acqua
tiepida: questo metodo di reidratazione è degno di essere menzionato perché nella gestione di un
paziente rettile può far parte del piano terapeutico o comunque essere di complemento ad un piano
di fluidoterapia. Già dopo i primi bagni il paziente mostrava meno infossamento oculare e la prima
defecazione è avvenuta durante un bagno. Questo conferma i risultati riportati in letteratura che
sostengono che l’assorbimento di acqua può avvenire attraverso la cloaca, e che inoltre in
particolare nei cheloni, il bagno stimola il fisiologico comportamento di assunzione dell’acqua5,25.
Un altro fattore importante nella valutazione del presente caso, è rappresentato dal supporto
termico, altro elemento cardine nella gestione dei cheloni con ostruzione intestinale. Mantenere il
paziente nel rango della POTZ è stato fondamentale per aumentare il metabolismo, favorire
l’assorbimento e la farmacodinamica dei farmaci così come l’idratazione orale e parenterale che
sono serviti d’imput per la motilità intestinale26. Quando l’animale non mangia la temperatura
corporea cala, il metabolismo rallenta, le riserve di glicogeno vengono depauperate in 24 ore, e la
gluconeogenesi non comincia prima di diversi giorni. La temperatura corporea gioca un ruolo
primario nella risposta compensatoria di questi animali che, come detto sopra, quando la
temperatura rettale cala eccessivamente i recettori adrenergici diventano refrattari alle catecolamine
contribuendo a mantenere bassa la frequenza cardiaca, a ridurre la vasocostrizione periferica e di
conseguenza la ipomotilità intestinale20-26.
Nel caso riportato il pazienti ha reagito in maniera ottimale all’approccio medico utilizzato e il
ripristino delle principali funzioni digestive (defecazione e ripresa dell’alimentazione volontaria) è
stato più rapido rispetto alle normali aspettative (48 h vs. 96). Nella nostra esperienza l’utilizzo
dell’alimentazione assistita è stato il punto di forza e ha contribuito a ridurre del 25% i tempi di
recupero del paziente. In conclusione, sebbene siano necessari altri studi a riguardo, possiamo
affermare che un approccio medico che comprenda l’alimentazione assistita può diventare un
concreto ed utile strumento per ridurre i tempi di ripresa nei casi di ostruzione
intestinale/costipazione non occludente nei cheloni e per velocizzare il recupero di questi pazienti.
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Necrosi dei muscoli scheletrici associata a un infezione sostenuta da Clostridium limosum, in
un Alligatore del Mississipi (Alligator mississipiensis)
Un Alligatore americano (Alligator mississipiensis) di quarantasette anni, è stato
sottoposto a visita clinica, a causa di una larga ferita cronica ulcerata che attraversava
tutta la parte dorsale del corpo. Come riferito dal proprietario, la lesione ha avuto
origine da una ferita più piccola, verificatasi circa un anno prima, causata dal morso
di un altro alligatore. Alla visita clinica l'animale si presentava apatico e inappetente.
Le aree coinvolte dalla lesione e le circostanti erano senza scaglie con la muscolatura
sottostante esposta, traslucida ed emanante cattivo odore. Dopo curettage chirurgico,
è stata eseguita una biopsia sia delle zone coinvolte dall’infezione sia dei tessuti
muscolari sani adiacenti. L'animale è stato poi trattato con una terapia antibiotica
locale (sulfatiazolo e formaldeide), ossitetraciclina somministrato per via
intramuscolare e metronidazolo per via orale. L'esame istologico ha evidenziato la
necrosi muscolare associata a cambiamenti indotti dal gas e numerosi batteri
morfologicamente compatibili con i clostridi. Le lesioni osservate sono simili a quelle
descritte per la miosite da clostridi in altre specie domestiche, quindi un'infezione dei
muscoli scheletrici indotta da questi agenti patogeni è stata presa in considerazione in
relazione alle gravi lesioni muscolari presenti in questo alligatore. A causa della
grande quantità di batteri naturalmente presenti nella bocca di questi animali,
l'infezione da Clostridium perfringens, si è diffusa sotto le scaglie. Questa infezione
in seguito si è diffusa nei muscoli sottostanti, dando inizio al processo patologico
degenerativo. L'esame istologico ha mostrato un processo degenerativo noto come
miosite gangrenosa. Questo processo patologico è stato descritto in molte specie
animali, ma per la prima volta è stato trovato e descritto nell’alligatore e riportato in
questo caso clinico. Dopo l'esecuzione della PCR dai tessuti prelevati, è stato
identificato e isolato l’agente patogeno: Clostridium limosum, batterio che causa
necrosi e morte per insufficienza cardiaca.
TRATTAMENTO CHIRURGICO DI UN SARCOMA INDIFFERENZIATO IN UNA
IGUANA VERDE (Iguana iguana) IN CORSO DI STASI POST OVULATORIA
FRANCHINI FEDERICO, Med Vet Montegrotto Terme (PD)
Introduzione
Nei rettili, dopo le procedure minori, le principali chirurgie richieste sono le celiotomie per la risoluzione di patologie
dell’apparato gastrointestinale ma soprattutto riproduttore, in particolare la stasi pre e post ovulatoria. In letteratura sono
poche le descrizioni di neoplasie addominali e dell’apparato riproduttore in esemplari di iguana.
Nella pratica clinica la sintomatologia riferibile a stasi pre e post ovulatoria è abbastanza conosciuta e codificata, ma si
impone sempre una diagnosi differenziale al fine di stabilire la reale causa della patologia sottostante.
Discussione del caso
Segnalamento ed anamnesi
Un esemplare maschio di iguana verde (Iguana iguana), di 14 anni di età e del peso corporeo di 4,1 Kg, è stato presentato
a visita per un aumento di volume dell’addome nell’ultima settimana e appetito capriccioso negli ultimi giorni.
All’anamnesi il paziente era ben gestito ed alimentato. Alla visita clinica il paziente si presentava in buone condizioni
fisiche generali, vigile e reattivo. Dopo aver eseguito la visita clinica si è verificata la corretta determinazione del sesso
che, dopo 14 anni e altre visite mediche sostenute, si dava ormai per scontato. Il paziente, invece, si rivela essere una
femmina, nonostante all’anamnesi non erano stati descritti episodi di ovodeposizione. Cambia quindi il piano
diagnostico e le possibili diagnosi differenziali, facendo risalire a prima della lista l’ipotesi di una distocia.
Diagnostica Clinica
Sono stati quindi proposti un prelievo ematico, per eseguire un esame biochimico e la lettura dello striscio ematico, uno
studio radiografico ed ecografia addominale, dai cui esiti si prospetta una stasi preovulatoria. Sulla base dell’evoluzione
clinica ed in particolare per la volontà della proprietaria si opta per mettere a disposizione del paziente un substrato
adatto alla deposizione e di attendere l’evoluzione della sintomatologia o la deposizione delle uova in previsione di
ricontrollare il paziente dopo 15-20 giorni.
Dopo circa un mese il proprietario è stato ricontattato per un follow-up telefonico, al quale ci ha riferito che l’animale
si era ripreso e che aveva ripreso a mangiare, ma ancora non era avvenuta alcuna deposizione.
A circa due mesi di distanza dalla prima visita, i proprietari si ripresentano in urgenza, per un notevole aumento di
volume dell’addome e una perdita dell’appetito sfociata in anoressia. Vengono nuovamente eseguite delle proiezioni
radiografiche dell’addome e l’ecografia addominale dalle quali emerge che oltre alle uova in via di sviluppo è presente
anche una massa addominale di circa 9 cm di diametro, di dubbia origine. Informata della situazione e delle gravi
condizioni dell’animale, alla proprietaria viene prospettata l’esecuzione di una CT per definire bene il problema e
l’origine e le connessioni anatomiche della massa. Per motivi economici la proprietaria non accetta e preferisce eseguire
direttamente una celiotomia esplorativa con eventuale rimozione della massa e delle uova ritenute.
Risoluzione Chirurgica
La paziente viene quindi preparata per la chirurgia, premedicata e anestetizzata con propofol per via endovenosa. Viene
mantenuta in anestesia tramite anestetico inalatorio (isofluorano) previa intubazione tracheale. Viene eseguita una
laparotomia e, una volta identificate le uova ritenute e la massa, vengono entrambe asportate con non poche difficoltà.
La paziente si risveglia lentamente ma nei tre giorni successivi, con terapie specifiche e di supporto, si riprende e viene
dimessa.
La massa, di circa 400gr di peso, è stata sottoposta ad esame istologico, il cui esito ha indicato la natura della massa
come una neoplasia nodulare, altamente cellulare, non capsulata ed infiltrante, costituita da una popolazione pleomorfa
di cellule rotondeggianti e fusate disposte in fasci attorno ai vasi. La diagnosi istologica ha ricondotto quindi ad un
sarcoma indifferenziato.
CONCLUSIONI
Questo caso dimostra come non dobbiamo fidarci delle apparenze, e come l’esecuzione di una visita clinica corretta
possa condizionare non solo la diagnosi ma anche la prognosi. Nel caso specifico la paziente ha avuto una buona ripresa
ed è stata dimessa precocemente, la chirurgia è stata risolutiva. Dieci mesi dopo purtroppo è stata trovata morta, dopo
un giorno di apatia e riluttanza al movimento. L’impossibilità di eseguire una necroscopia ci ha impedito di verificare
l’eventualità di una metastatizzazione della malattia e la sua eventuale localizzazione ovvero se la causa del decesso era
da attribuirsi ad un’origine diversa.
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IL LASER NELLA MEDICINA DEGLI ANIMALI ESOTICI:
PRINCIPI ED APPLICAZIONI IN TERAPIA E CHIRURGIA
Giordano Nardini* (Medico veterinario, PhD, Dipl. ECZM (Herpetology),
Chiara Simonini* (Medico veterinario),
*Clinica Veterinaria Modena Sud, Spilamberto (Mo)
La diffusione degli animali non convenzionali (NAC) come nuovi pet ha dato un ulteriore impulso
allo studio delle loro caratteristiche, del loro comportamento e della loro medicina.
Dal punto di vista medico esistono molte differenze rispetto alla medicina degli animali
convenzionali, legate alle caratteristiche anatomiche, alle dimensioni, alle caratteristiche fisiologiche,
allo stress indotto durante le manipolazioni.
Sia nel campo terapeutico che chirurgico si sta affermando sempre di più la metodica laser, soprattutto
in soggetti di piccole dimensioni, per i vantaggi che offre relativi alla mini-invasivitá, alla maggior
precisione e alla riduzione del dolore (anche post-operatorio).
Il termine LASER è l’acronimo di “LIGHT AMPLIFICATION BY THE STIMULATED
EMISSION OF RADIATION”, ossia un’onda luminosa monocromatica, coerente ed intensa in grado
di attivare a livello cellulare e tissutale determinati effetti biologici.
É bene sottolineare che il laser terapeutico e il laser chirurgico non sono lo stesso strumento. Il primo
sfrutta principalmente i diodi come sorgente e può utilizzare sia basse potenze (P <500 mW: low level
laser treatment LLLT) che alte potenze (P > 500 mW: high level laser light treatment HLLLT). Il
secondo può essere a diodi, a CO2 o YAG (cristallo attivo di ittrio e alluminio) e utilizza unicamente
le alte potenze (P nell’ordine di alcuni Watt).
Durante l’utilizzo di una metodica laser, tutti gli operatori presenti all’interno della stessa stanza
devono munirsi di adeguati occhiali protettivi per evitare danni alla retina, così come gli occhi del
paziente dovrebbero essere protetti mediante garze.
LASERTERAPIA. Tutti i laser terapeutici lavorano su lunghezze d’onda comprese tra 630 e 905 nm
(rosso-infrarosso) che permettono di raggiungere profondità fino a 6-7 cm, agendo pertanto a livello
cutaneo, sottocutaneo, muscolare, osseo e articolare.
La Laserterapia rappresenta un interessante supporto alle comuni terapie farmacologiche o il
trattamento di elezione nei confronti di alcune patologie che non rispondono alle terapie tradizionali.
A seguito di interessanti risultati clinici nell’applicazione della laserterapia in corso di alopecia nel
cane, questa è stata impiegata anche nel furetto dove ha avuto ottimi riscontri, con stimolo della
ricrescita del pelo e riduzione di prurito in casi di alopecia da iperadrenocorticismo in corso di lesioni
cutanee da grattamento, già dalle prime applicazioni.
La stessa tecnica è stata impiegata negli uccelli da compagnia affetti da autodeplumazione, con
riscontri altalenanti (15 giorni di applicazioni giornaliere). Ù
Il laser terapeutico si è dimostrato un utile supporto nella gestione di patologie dentali e ascessi nel
coniglio. Grazie all’azione antinfiammatoria e antidolorifica, la somministrazione di 4-5 applicazioni
laser a cadenza giornaliera, prima della chirurgia di estrazione dentale e l’associazione all’antibiotico
nella fase post-chirurgica favoriscono un recupero più rapido e limitano le complicanze come lo
sviluppo di infezioni o la deiscenza dei punti intra-orali. In caso di ascessi dentali il trattamento ne
favorisce la riduzione delle dimensioni in fase pre-chirurgica, facilitando la chirurgia e migliorando i
tempi di guarigione.
Applicazione con laser terapeutico in corso di autodeplumazione in un pappagallo (Amazzone fronte azzurra)
Lo stesso effetto è stato ottenuto in caso di ascessi auricolari e sottocutanei delle tartarughe, con
riduzione della componente infiammatoria. L’utilizzo del laser in questi casi è in grado di ridurre
l’edema della zona trattata in pochi giorni. In nessuno di questi casi la laserterapia però sostituirsi alla
chirurgia, che tuttavia risulta facilitata dalle migliori condizioni dei tessuti.
A seconda delle dimensioni dell’animale e delle caratteristiche dell’apparecchio laser, gli effetti
benefici della laserterapia possono essere sfruttati anche in tessuti più profondi, a livello osseo ed
articolare. Nel campo degli animali esotici la laserterapia è stata impiegata per il trattamento di
fenomeni artrosici e artritici di conigli anziani e in corso di artriti asettiche in cheloni, con esiti
soddisfacenti.
Applicazione di laserterapia su un ascesso odontogenico
di un coniglio
Applicazione di laserterapia pre-operatoria su un
ascesso auricolare di una tartaruga (Trachemys spp.)
L’applicazione più comune del laser terapeutico rimane ad oggi il trattamento delle ferite, a partire
dalla cicatrizzazione per seconda intenzione delle ferite chirurgiche, fino a ferite contaminate
caratterizzate dalla perdita anche di ampie zone di tessuto, in tutte le specie.
La terapia con laser permette infatti di ridurre dolore e infiammazione, e favorisce una più rapida
rigenerazione dei tessuti con riduzione dei tempi di guarigione, sfruttando in primo luogo l’azione sui
fibroblasti immaturi.
Si sconsiglia invece l’uso del laser su tessuti che sanguinano e in caso di sospetta neoplasia, in quanto
è presupponibile il rischio di una bio-stimolazione anche sulle cellule tumorali con effetti non
prevedibili. Si consiglia, in caso di neoformazioni, di eseguire sempre un esame citologico e/o
istologico.
Nell’impostare un corretto protocollo terapeutico è bene tenere in considerazione che:
- I dosaggi vanno mantenuti bassi nel trattamento di patologie acute, dove il tessuto è già in
fase reattiva, mentre vanno alzati in corso di patologie croniche;
- L’impulso laser agisce solamente su tessuti vascolarizzati per cui non ha effetti benefici in
corso di necrosi. In questi casi deve essere applicato ai margini della ferita per stimolare la
rigenerazione a partire dai tessuti sani;
- Il laser riduce enormemente la sua capacità di penetrazione se utilizzato su tessuti non
tricotomizzati o sporchi;
- Il manipolo deve sempre essere mantenuto perpendicolare alla superficie da trattare;
- I trattamenti possono essere eseguiti a scansione (si tratta una zona ampia muovendo
lentamente il manipolo su tutta la superficie) o per punti (si individuano dei punti trigger che
vengono stimolati ad ogni trattamento).
Applicazione con laser terapeutico in un coniglio in corso di artrosi
della colonna vertebrale
LASERCHIRURGIA. I laser chirurgici che, come detto in precedenza impiegano alte potenze,
sfruttano l’effetto fototermico e fotomeccanico per tagliare e coagulare i tessuti.
In ambito veterinario sono disponibili diversi laser, ma i più diffusi sono sicuramente il laser a diodi
e il laser a CO2.
La chirurgia mediante laser, rispetto alla chirurgia tradizionale, offre una maggior precisione, minor
rischio di emorragia e minor dolore post-operatorio.
Inoltre l’uso del laser a diodi, in associazione ad endoscopi e fibre ottiche, permette di eseguire delle
procedure chirurgiche mini-invasive nella pratica chirurgica degli animali non convenzionali.
Il laser chirurgico a diodi può essere utilizzato a contatto con il tessuto (modalità a contatto) , sia ad
una certa distanza con il tessuto (modalità non a contatto) ottenendo effetti diversi sui tessuti: taglio
di precisione nel primo caso, maggiori effetti emostatici nel secondo. Il laser a CO2 presenta un
distanziatore fisso nel manipolo che consente la focalizzazione corretta del fascio per un taglio di
precisione ed un migliore controllo degli effetti indotti sui tessuti trattati.
Applicazione Laserterapia su ferita del
carapace in una testudo hermanni
Applicazione Laserterapia post- chirurgia in
seguito ad asportazione di un ascesso cutaneo
in un ratto nudo
Nella modalità “a contatto” abbiamo una precisione di taglio e coagulazione del tessuto molto elevata,
associata a minima vaporizzazione dei tessuti circostanti e minore profondità di azione, questa
aumenta invece con la modalità “non a contatto”.
Il livello di potenza può variare: generalmente si utilizzano 2-4 Watt in corso di chirurgia laser
endoscopica, 4-8 Watt in corso di chirurgia laser generale (nel caso del diodi la fibra è contenuta in
un apposito manipolo), 5-10 Watt per l’ablazione dei tessuti cutanei dei rettili. La potenza necessaria
dipende molto dal tipo di tessuto trattato, dalla sua pigmentazione e vascolarizzazione.
La chirurgia laser generale può essere condotta con impulso continuo (CW), quando si tratta di
tagliare (es. exeresi cutanea) o in modalità “pulsata”/frequenzata per chirurgie su strutture molto
delicate per consentire ai tessuti di raffreddarsi e ridurre così gli effetti termici collaterali.
Nei rettili la chirurgia laser è stata impiegata con successo in numerose procedure quali celiotomia,
ovariectomia, cistotomia, enterotomia, enterectomia, ascessi, neoplasie, amputazione coda o pene,
chirurgia orale.
Ovariectomia in Trachemys scripta scripta Amputazione del pene in Trachemys
scripta scripta in seguito a prolasso
Negli uccelli il laser si è mostrato di grande utilità per la rapida coagulazione dei vasi sanguigni in
corso di chirurgie per limitare la perdita di sangue, fondamentale in questi animali. Le principali
applicazioni sono la rimozione di cisti, neoplasie, ascessi cutanei, amputazione di arti o ali, ablazione
di granulomi da sacchi aerei.
Nei piccoli mammiferi, oltre a orchiectomia e ovarioisterectomia, asportazione di ascessi e masse
cutanee, trova impiego con successo nella chirurgia di surrenectomia e pancreasectomia nel furetto e
mastectomia nei piccoli roditori.
In conclusione l’utilizzo del laser ha dimostrato ottime potenzialità nella medicina degli animali
esotici, sia dal punto di vista terapeutico che chirurgico.
La Laserterapia ha il vantaggio di essere poco o per nulla invasiva, non dolorosa, con tempi contenuti
di applicazione e di essere di facile esecuzione. Negli animali acquatici permette di evitare l’impiego
di pomate e fa sì che i pazienti possano tornare in acqua immediatamente dopo il trattamento.
In lagomorfi e piccoli roditori riduce il senso di fastidio e prurito del processo cicatriziale, evitando
di indurre l’animale al grattamento e al leccamento.
Uno dei maggiori limiti messi in evidenza è il bisogno di diversi trattamenti settimanali: ove possibile
si consiglia il ricovero dell’animale almeno nelle prime fasi del trattamento (prime 3-4 applicazioni).
La Laserchirurgia si è dimostrata essere una valida alternativa alla chirurgia tradizionale negli animali
esotici anch’essa per la sua caratteristica di mini-invasività, maggior precisione, minor rischio di
emorragia e minore dolore post-operatorio, costituendo in alcuni casi la procedura ‘Gold Standard’.
Asportazione mediante laser di una cisti delle penne
(Lump) in un canarino gloster
Asportazione di neoplasia della ghiandola
ventrale in un gerbillo
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LIPIDOSI EPATICA E IPERGLICEMIA IN UN CONIGLIO: UN CASO DI DIABETE MELLITO? Alessandro Guerra, Dmv 1 1 Clinica Veterinaria Arcella, Padova, ITA
Introduzione
Nonostante il diabete mellito rappresenti una patologia estremamente rara nel coniglio da compagnia (2)
l'iperglicemia talvolta associata alla glicosuria è di frequente riscontro clinico, e può essere associata a stress,
dolore acuto, patologie gastrointestinali da stasi/occlusione, lipidosi epatica, utilizzo di corticosteroidi (3, 4).
Il case report descrive un caso di lipidosi epatica in un coniglio associata a iperglicemia, glicosuria e pu/pd;
viene discusso il trattamento con insulina e vengono descritti i riscontri clinici e ematobiochimici per un arco
temporale di 24 mesi.
Il diabete mellito nel coniglio: il modello sperimentale
Il diabete mellito ad insorgenza spontanea nel coniglio da compagnia è una patologia poco o per nulla
conosciuta, generalmente descritta come rara e talvolta addirittura come non esistente.
Tuttavia risulta ricchissima la bibliografia concernente il diabete mellito farmacologicamente indotto nel
coniglio da laboratorio per finalità scientifiche.
Il diabete mellito negli animali da laboratorio viene indotto distruggendo selettivamente le isole pancreatiche
mediante l’utilizzo di diversi protocolli farmacologici (streptozocina, alloxano), ai fini di ottenere un
pancreas privo della sua competenza endocrina.
Spesso nel coniglio la somministrazione di tali farmaci può rivelarsi fatale (per nefrotossicità dose
dipendente o paradossalmente per una fase iniziale di grave ipoglicemia) o viceversa indurre uno stato
transitorio di diabete che regredisce spontaneamente, vanificando così la possibilità di condurre ricerche
sulla fase cronica della patologia.
Recentemente (1) è stata standardizzata una metodica in grado di indurre e gestire farmacologicamente il
diabete mellito nel coniglio per un periodo di tempo tale (non inferiore a 12 mesi) da poter studiare gli effetti
anatomoistopatologici, clinici ed ematobiochimici legati all’iperglicemia cronica.
In questo studio il diabete mellito di tipo 1 (trattato con insulina) nel coniglio risulta caratterizzato dal punto
di vista clinico da poliuria, polidipsia, polifagia e dimagrimento.
L’iperglicemia è stata trattata con la somministrazione di insulina regolare (sc sid) a dosaggi variabili da 1 a
4 UI/kg a seconda della severità dell’iperglicemia.
In tutti i conigli diabetici sono stati riscontrati aumenti significativi di colesterolo e trigliceridi (con riscontro
istopatologico di steatosi epatica), disfunzioni renali caratterizzate da poliuria, proteinuria e severi aumenti di
creatinina e BUN (arteriosclerosi jalina e atrofia glomerulare), iperglicemia persistente e chetoacidosi (con
aumento dei valori plasmatici di betaidrossibutirrato e chetonuria); gli altri enzimi plasmatici valutati (ALT,
AST, CK, LDH) non hanno subito variazioni significative; alcuni tra i conigli esaminati hanno sviluppato
anemia (presumibilmente legata al danno renale).
Descrizione del caso
Protagonista del caso clinico è Pimpa, femmina intera di razza olandese nana di 2 anni e 4 mesi, in leggero
sovrappeso (1,9 kg); viene correttamente nutrita con fieno e vegetali freschi, il proprietario riferisce che
quotidianamente viene offerta frutta.
L'animale viene riferito per anoressia acuta e scialorrea; la visita clinica (effettuata con l'otoscopio) esclude
patologie dentali ma riscontra una lesione a carico della lingua. La stomatoscopia in sedazione profonda
rivela un'ulcerazione monolaterale a carico della lingua causata dalla presenza di materiale ligneo incastrato
tra il I e il II molariforme inferiore.
Il paziente dopo una breve terapia antibiotica (enrofloxacina 5 mg/kg sid) ottiene un rapido e pieno recupero;
tuttavia a distanza di 2 mesi viene riferito per abbattimento, disoressia, dimagrimento (1,6 kg), lieve pu/pd.
L'esame ematobiochimico rivela iperglicemia (481 mg/dl), ipokaliemia e severi aumenti di AST, ALT, LDH,
fosforo, fosfatasi alcalina, colesterolo e trigliceridi. Come indagini collaterali si esegue una radiografia (che
dimostra epatomegalia) e l'ecografia addominale (che conferma la steatosi epatica). Formulata la diagnosi di
lipidosi epatica, si prescrive una terapia epatoprotettiva aspecifica con silimarina e si raccomanda di
escludere dalla dieta la frutta e qualsiasi ortaggio ad elevato tenore calorico.
Nel corso del mese seguente l'animale riacquista appetito e vitalità ma perde peso (1,5 kg) e si intensifica la
pu/pd.
I due follow up, eseguiti a 2 e a 4 settimane dall'esordio della lipidosi, dimostrano un decremento di AST,
ALT e fosfatasi alcalina contro un incremento di fosforo, azotemia e glucosio (con un picco massimo di 816
mg/ml); rimangono elevati LDH, trigliceridi e colesterolo mentre permane l'ipokaliemia. Nella stessa
occasione si valutano le urine, che dimostrano ipostenuria , moderata proteinuria, glicosuria e chetonuria;
l'emogasanalisi rivela uno stato di chetoacidosi.
Sulla base delle similitudini cliniche e laboratoristiche con il diabete mellito descritto nel coniglio in
sperimentazione si giunge alla diagnosi di diabete mellito e si inizia la terapia con insulina, inizialmente
utilizzando l’insulina regolare (a dosaggi variabili da 1 a 2 UI/kg sc) per poi utilizzare l’insulina intermedia
alla dose di 1 UI/kg sc bid.
Nel corso dei successivi 20 mesi il paziente ha riguadagnato peso fino a raggiungere l'obesità (2,2 kg), la
terapia sembra ben tollerata e il proprietario riferisce l'assenza di pu/pd.
I tre successivi follow up (eseguiti a 2, 7 e 20 mesi dall'inizio della terapia con insulina) dimostrano la
scomparsa della lipemia, i marker epatorenali sono ritornati entro i range fisiologici e la glicemia si attesta
ora su valori < 200 mg/dl; le urine non presentano più glicosuria né chetonuria e sono isostenuriche.
Il paziente infine (a distanza di 24 mesi dall'esordio della lipidosi epatica) viene nuovamente riferito per
letargia, disoressia, dimagrimento (1,6 kg) e una gravissima pododermatite; la visita clinica riscontra
epatomegalia e ittero.
L'ultima valutazione, eseguita poco prima del decesso dell'animale, ha dimostrato una riacutizzazione della
lipidosi epatica con grave iperglicemia (680 mg/ml) e alterazioni della funzionalità epatorenale con
trigliceridi > 5000 mg/dl e iperbilirubinemia (3,42 mg/dl); l'emogas analisi dimostra un quadro di
chetoacidosi e l'esame delle urine rivela nuovamente glicosuria, chetonuria e ipostenuria.
Conclusioni
Il caso descrive l'efficacia clinica e gli effetti ematobiochimici dell'insulina isofano in un caso di diabete
mellito in un coniglio da compagnia caratterizzato da lipidosi epatica associata a iperglicemia.
I riscontri laboratoristici risultano simili e sovrapponibili ai modelli sperimentali di diabete mellito di tipo 1,
anche se il caso clinico esaminato si distingue per una disfunzione epatica di tipo
degenerativo/infiammatorio cronico riacutizzata.
In modo particolare si osserva una correlazione positiva tra la gravità dell’iperglicemia e l’aumento di
trigliceridi, colesterolo, fosfatasi alcalina, bilirubina totale, AST, ALT, LDH, BUN, calcio e fosforo.
L'assenza di un riscontro autoptico e anatomoistopatologico preclude purtroppo la possibilità di ulteriori
approfondimenti diagnostici.
Bibliografia
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289614
2 Jelk V. (2015) Diagnostics and successful management of diabetes mellitus in a pet rabbit, ICARE paris
2015 proceedings pp 374
3 Harcourt-Brown F. (2004) Textbook of rabbit medicine, Elsevier pp 149, 260, 265
4 Fudge A.M. (2000) Laboratory medicine avian and exotic pet, Saunders pp 293, 312, 323
Indirizzo per corrispondenza
Dott. Alessandro Guerra - Clinica Veterinaria Arcella, via Cardinal Callegari 48, 35100 Padova (PD), Italia -
Tel 049/600002 - Cell 338 6638704 - E-mail [email protected]
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Glicemia 75-155 mg/dl 481 mg/dl 660 mg/dl 816 mg/dl 142 mg/dl 323 mg/dl 144 mg/dl 680 mg/dl
Azotemia 13-29 mg/dl 27 mg/dl 27 mg/dl 42 mg/dl 35 mg/dl 31 mg/dl 28 mg/dl 42 mg/dl
Creatinina 0,5-2,5 mg/dl 0,34 mg/dl 0,69 mg/dl 0,12 mg/dl 0,89 mg/dl 0,66 mg/dl 1,36 mg/dl 0,69 mg/dl
Proteine totali 5,4-8,3 g/dl 6,71 mg/dl 6,3 mg/dl 19,69 mg/dl 8,67 mg/dl 7,04 mg/dl 7,36 mg/dl 8,62 mg/dl
Albumina 2,4-4,6 g/dl 3,19 g/dl 3,95 g/dl 3,83 g/dl 4,27 g/dl 4,35 g/dl 3,99 g/dl 3,40 g/dl
Calcio 5,6-12,5 mg/dl 14,76 mg/dl 11,76 mg/dl 17,83 mg/dl 10,38 mg/dl 8,63 mg/dl 9,77 mg/dl 15,19 mg/dl
Fosforo 4-6,9 mg/dl 11,95 mg/dl 4,36 mg/dl 14,96 mg/dl 3,25 mg/dl 3,45 mg/dl 2,95 mg/dl 13,52 mg/dl
AST (GOT) 14-113 U/l 631 U/l 118 U/l 12 U/l 43 U/l 40 U/l 45 U/l *
ALT (GPT) 48-80 U/l 701 U/l 206 U/l 300 U/l 81 U/l 51 U/l 48 U/l *
Fosfatasi Alcalina
678 mg/dl 316 mg/dl 147 mg/dl 55 mg/dl 88 mg/dl 45 mg/dl 342 mg/dl
Bilirubina totale
0-0,7 mg/dl 0,5 mg/dl 0,07 mg/dl * 0,07 mg/dl 0,04 mg/dl 0,02 mg/dl 3,42 mg/dl
Trigliceridi 243-390 mg/dl > 1000 mg/dl 731 mg/dl > 1000 mg/dl 127 mg/dl 172 mg/dl 130 mg/dl 5510 mg/dl
Colesterolo 10-80 mg/dl 245 mg/dl 73 mg/dl 250 mg/dl 47 mg/dl 32 mg/dl 32 mg/dl 670 mg/dl
LDH 34-129 U/l 623 U/l 359 U/l 526 U/l 316 U/l 445 U/l 103 U/l 652 U/l
Sodio (Na) 131-155 mEq/l 138 mEq/l 135 mEq/l 130,3 mEq/l 144 mEq/l 140 mEq/l 141 mEq/l 138 mEq/l
Potassio (K) 3,6-6,9 mEq/l 3,49 mEq/l 3,61 mEq/l 3,58 mEq/l 4,55 mEq/l 4,53 mEq/l 4,50 mEq/l 3,72 mEq/l
Cloro 92-112 mEq/l 122 mEq/l 99 mEq/l 123 mEq/l 107 mEq/l 107 mEq/l 103 mEq/l 136 mEq/l
* valore non misurato a causa dell’elevata iperlipemia
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Trigliceridi (mg/dl)
0
100
200
300
400
500
600
700
800
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Colesterolo (mg/dl)
0
100
200
300
400
500
600
700
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11
AST (GOT) U/l
0
100
200
300
400
500
600
700
800
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11
ALT (GPT) U/l
0
100
200
300
400
500
600
700
800
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Fosfatasi alcalina
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Glicemia (mg/dl)
0
100
200
300
400
500
600
700
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
LDH (U/l)
0
5
10
15
20
25
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35
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12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Azotemia (mg/dl)
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Creatinina (mg/dl)
0
2
4
6
8
10
12
14
16
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12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Calcio (mg/dl)
0
2
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6
8
10
12
14
16
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Fosforo (mg/dl)
Fosforo (mg/dl)
120
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135
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150
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Sodio (Na) mEq/l
0
0,5
1
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2
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3
3,5
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5
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Potassio (K) mEq/l
0
20
40
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120
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160
12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12
Cloro (Cl) mEq/l
CASO CLINICO DI ELIZABET FERNANDEZ PALOMARES, COL 756. HOSPITAL CANIS MALLORCA.
MASSA MEDIASTINICA IN UNA CONIGLIA.
PRESENTAZIONE DEL CASO CLINICO.
Fu portata in visita in ospedale una coniglia chiamata “ Orejas” di otto anni , non sterilizata e di 1,8kg di
peso.
La coniglia convive con cani ed un pappagallo oltre alla famiglia con cui abita e gode di semilibertà in casa.
Non é stata mai vaccinata e neppure ha mai fatto trattamenti preventivi antiparassitari; inoltre la sua alimen-
tazione non era corretta e comunque mangiava fieno, verdure e pellets.
Durante la visita, fu osservata una dermatite umida a livello della parte ventrale del collo probabilmente
secondaria ad un comportamento ossessivo-compulsivo di leccamento in quella zona cutanea. Tutto co-
minciò dopo un trattamento sistemico con prednisolone prescritto da un collega, nel tentativo di ridurre
un esoftalmo bilaterale, probabilmente secondario a una massa mediastinica individuata radiologicamente.
Durante la visita abbiamo anche notato un nodulo mammario.
Dopo aver raccolto una anamnesi clínica dettagliata per comprendere questo problema dermatoogico ab-
biamo scartato l’ipotesi di sostanze irritanti ambientali, di lesioni traumatiche , e di autostrappamento del
pelo a causa di pregresse false gravidanze .
DIAGNOSi DIFERENZIALI E CAUSE.
Avendo raccolto tutte le informazioni utili, i diagnostici diferenziali più probabili comprendevano per l’esof-
talmo bilaterale: un atteggiamento di paura, la copresenza di maschi in età riproduttiva, una condizione pa-
rafisiologica , ascessi retrobulbari, glaucomi bilaterali o una síndrome paraneoplasica.
Sospettavamo che questa dermatite era secondaria a tre possibili cause:
1) un eccessivo overpreening, perche l’animale si sentiva sporco dopo la somministrazione dei farmaci orali
2) Falsa gravidanza (pseudociesi)
3) neoformazione mediastinica
ESAMI COLLATERALI RACCOMANDATI
Lastre del cranio e del torace in doppia proiezione. In questo caso le lastre del torace sono state fondamentali
per poter fare il diagnosi di una massa che spostava cranialmente la trachea e non lasciava diferenziare bene
il cuore in torace.
Ematologia: non ci ha dato nessuna informazione utile.
Ecografia addominale, per scartare problemi uterini legati alla età e al sesso del coniglio.
Una citología ecoguidata con ago aspirato. Questa prova , anche se praticata da molti autori, si presenta nella
letteratura come una técnica rischiosa poiché puo provocare una rottura della capsula nel caso si trattasse
di un tumore con potenziale disseminazione delle cellule neoplasiche nel torrente circolatorio
TERAPIA SUGGERITA
Il trattamento iniziale confidò nel fatto che la dermatite non fosse molto avanzata e consistette nella som-
ministrazione di sulfatrimetroprim 40mg/kg/12ore PO, duphalac 2ml/Kg q12h PO, imbracatura per impedire
alla coniglia di toccarsi il collo e trattamento tópico con clorhexidina diluita q8ore.
In questo caso fu raccomandata l’ asportazione di questa massa mediastinica tramite chirurgia toracica e con
il successivo esame istopatologico indispensabile per giungere ad una diagnosi eziologica.
La coniglia è stata premedicata con : Midazolam 2mg/kg IM, ketamina 0,1mg/kg IM, medetomidina: 20
mcg/kg IM, buprenorfina 0,01-0,05mg/kg SC/ 12ore IM. Induzione con propofol; 10mg/kg IV ( dose efetto) e
mantenimento con isofluorano 1,5% con l’animale intubato con la tecnica alla cieca.
Orejas e stata monitorata per tutto il tempo dal nostro diplomato in anestesiologia Francesco Aprea.
La técnica eseguita è stata una sternotomia mediana. Abbiamo impiegato l’elettrobisturi per la scontinua-
zione della muscolatura pettorale. Siccome l’animale era molto piccolo, si è sostituito il finochietto con un
gelpi.
Con una pinza bipolare si e fatta la dissezione dei tessuti molli entorno la massa cística, la qualle è stata
individualizata ed estratta, per allestire poi il campione per l’istopatologia
La chisusura sternale e venuta fatta con dei punti a U con un monofilamento assorbibile del 0 e la cute con
un non assorbibile del 3/0.
La terapia prescritta é stata: metoclopramide 2mg/kg/8ore PO, finche ci fosse una defecazione corretta, en-
roflosacin 5-10mg/kg/12ore SC ( diluita con del siero) per 12 giorni, poi modificata con sulfratrimetroprim
40mg/kg q12ore 15 giorni PO, ranitidina 4mg/kg q12ore PO 5-7 giorni, tramadolo 4mg/kg q8-12ore PO 5
giorni e meloxicam 0,3mg/kg q12ore per 5-7 giorni.
DISCUSSIONE.
I resultati arrivati ci confermarono che eravamo davanti un LINFOMA. Il linfoma è il secondo tumore piu
comune nei conigli, esso può comparire tra i 7 mesi ed i 9,5 anni. La durata della malattia comprende da una
settimana ai dieci mesi
Un recente studio condotto presso l’ Universita di Berlino per opera di K. Muller dimostrò che il 61% delle
masse mediastiniche corrispondevano i timomi, il 29% linfomi e il resto sarcomi di timo, cisti timiche con
timiti purulente e gli adenomi tiroidei ectópici.
Non sono stati pubblicati protocolli terapeutici specifici, ma hanno fatto delle prove con il prednisolone, la
doxorrubicina, l’asparginasi, la vincristina e la ciclofosfamida tra gli altri. Le dosi sono extrapolabili a quelle
del gatto domestico , e al proprietario deve sempre essere presentata una autorizzazione a procedere extra
label avvertendoli dei rischi e degli effetti collaterali potenziali di simili terapie.
La comparsa di queste masse nei conigli può avvenire in presenza di malattie intercorrenti come l’
insufficienza renale cronica o cardiaca. Nel caso di Orejas sospetavamo dei problemi uterini ma poiché non
avevamo visto metástasi e avevamo un buon profilo ematologico prechirurgico il paziente era potenzial-
mente un buon candidato per l’intervento chirurgico. Pertanto la decisione di operarlo fu presa prima che la
sintomatología potesse peggiorare e prima che le dimensioni del tumore intratoracico potessero aumentare
troppo. Oltretutto le dimensioni della massa neoplastica non si era ridotta dopo due settimane di terapia con
corticosteroidi , anzi stava aumentando provocando un problema di tipo respiratorio (dispnea) per compres-
sione.
Durante i follow-up postchirurgici Orejas mostrò parecchie complicazioni tipiche: apertura della ferita
torácica per autotraumatismo e sfregamento dello sterno sul pavimento , anoressia, perdita di peso, ferite
alle punte delle orecchie con il collare elissabethiano, messo per limitare lo strappamento dei peli nella faccia
ventrale del collo infettando la ferita, una pododermatite secondaria alla limitazione dei movimenti
postchirurgica e le necrosi tissutale legata all’inoculazione sottocutanea di enrofloxacin, anche se il farmaco
veniva sempre diluito con soluzione fisiologica.
Il follow up é durato complessivamente un mese e mezzo, cercando di risolvere man mano tutti i problemi
che via via insorgevano, e non appena fu rincresciuto il pelo del collo, sulle zampe e sul torace fu tolto il
collare elisabettiano. Da quel momento la coniglia migliorò, non mostrando più strappamento del pelo ne
dispnea o altro.
La terapia usata dall’autore è stata a base di prednisolone 2mg/kg/24h e doxiciclina a 2,5mg/kg q12ore.
Orejas morì un’anno dopo per altri motivi diversi dal linfoma.
"DIAGNOSI BIO-MOLECOLARE DELLE MALATTIE INFETTIVE DEI CHELONI:
CONOSCERNE I LIMITI PER SFRUTTARNE I VANTAGGI"
Silvia Preziuso, DVM, PhD
Scuola di Bioscienze e Medicina Veterinaria, Università di Camerino
Via Circonvallazione 93/95, 62024 Matelica (MC)
Tel. 0737/404019, fax 0737/404002, e-mail: [email protected]; web: docenti.unicam.it
I metodi bio-molecolari per la diagnosi delle malattie infettive sono vari ed in continua evoluzione, sia
in campo umano che veterinario. La scoperta della Polymerase Chain Reaction (PCR) ha rivoluzionato
anche il mondo della diagnostica, rendendo disponibile uno strumento importante. In questa trattazione
ci si limiterà all'applicazione della PCR alla diagnosi delle malattie infettive dei cheloni, ma in realtà le
applicazioni sono estremeamente numerose in molti campi della medicina.
La PCR è uno strumento; in quanto tale, può essere utilizzato in svariati modi, con finalità diverse e
con esiti differenti a seconda della preparazione, competenza ed abilità di chi lo usa, al pari di altri
strumenti di indagine a disposizione del medico veterinario.
Il medico veterinario, in genere, non ama addentrarsi in argomenti così “piccoli” e lontani dal paziente.
I volumi di reazione in PCR sono di pochi microlitri, e ciò che il laboratorista si trova di fronte consiste
in poche centinia di microgrammi di DNA o RNA del paziente. Tuttavia il risultato che si ottiene può
avere grande impatto sulla gestione dell'animale, di un gruppo di animali o di un allevamento.
In medicina umana la diagnostica in PCR viene generalmente effettuata in maniera automatizzata,
utilizzando strumenti e kit diagnostici ottimizzati e commercializzati da aziende multinazionali
biotecnologiche, secondo protocolli standardizzati. Il sistema si sostiene grazie all'elevato numero di
analisi effettuate e al più limitato numero di agenti infettivi da ricercare rispetto alla molteplicità di
specie animali e relativi agenti patogeni che caratterizzano l'ambito veterinario. In questo caso
l'ottimizzazione e la commercializzazione di kit standardizzati viene giustificata solo per alcune
zoonosi (es. West Nile Disease), per screening di massa a livello zootecnico, o per le più diffuse
malattie di cane e gatto. Per quanto riguarda i rettili, il settore è molto indietro, anche per quanto
concerne la conoscenza degli agenti infettivi responsabili di malattie significative e il sequenziamento
del loro genoma, indispensabile per lo sviluppo di test bio-molecolari efficaci.
L'obiettivo di questa relazione è quello di mostrare le potenzialità dell'applicazione diagnostica della
PCR, evidenziandone anche i limiti, affinché il medico veterinario possa disporre di strumenti
valutativi ed interpretativi e possa interfacciarsi al meglio con i colleghi laboratoristi.
Partendo brevemente dalle nozioni basilari utili per capire le diverse tecniche molecolari utilizzate in
campo diagnostico, verrà focalizzata l'attenzione sulle attuali conoscenze riguardo la diagnosi in PCR
delle malattie dei cheloni, con particolare riferimento alle infezioni da herpesvirus nelle tartarughe ed
alle recenti novità ezio-epidemiologiche di queste malattie.
Il punto di patenza sono le domande che frequentemente vengono poste nella pratica diagnostica.
Quale e quanto materiale devo prelevare? Come lo conservo? Come viene processato?
La diagnosi in PCR consiste essenzialmente nelle seguenti fasi:
1- estrazione di DNA e/o RNA
2- eventuale retrotrascrizione del RNA in DNA copia (cDNA)
3- amplificazione mediante PCR
4- evidenziazione dell'amplificato prodotto
1- estrazione di DNA e/o RNA
Il medico veterinario preleva il campione più rappresentativo ed idoneo in cui ricercare l'agente
eziologico di interesse. Per quanto riguarda agenti a DNA (batteri, DNA-virus, protozoi, ecc), il
campione può essere conservato a temperatura di refrigerazione per 2-3 giorni. Per tempi superiori è
consigliabile il congelamento. In questa fase il pericolo maggiore è che enzimi presenti nel campione
lisino il DNA. La spedizione in laboratorio è consigliabile avvenga a temperatura di refrigerazione ma,
in considerazione delle esperienze pregresse e dei minori costi per l'invio, non si sono avuti problemi
con spedizioni di tamponi a temperatura ambiente. Le quantità di materiale di partenza necessario per
l'analisi variano a seconda dei protocolli. A titolo indicativo, vengono utilizzati 10-25 mg di omogenato
di organi, l'intero tampone (da preferire quelli con bastoncino di plastica piuttosto che di legno), 150
microL di materiale liquido o sangue, oppure circa 200 grammi di feci. Occorre ricordare la necessità
di una adeguata etichettatura dei campioni, soprattutto se prelevati da più soggetti
contemporaneamente. In quest'ultimo caso è fondamentale usare materiale di prelievo monouso ed
evitare di cross-contaminare i campioni. E' utile comunicare se l'animale, al momento del prelievo, è
sintomatico o se si tratta di un controllo routinario su animali asintomatici.
Esistono diverse modalità di estrazione degli acidi nucleici, tra i quali i più diffusi consitono nell'uso di
solventi organici (es. estrazione del DNA attraverso metodo fenolo-cloroformio-alcool isoamilico) o
nel legame con silice o particelle di vetro. Vari kit commerciali includono membrane di silice o filtri
con fibre di vetro, che permettono maggiore rapidità, standardizzazione e, nei laboratori più grandi,
automazione. A parte la digestione in proteasi, che dura da un'ora per i campioni più semplici (come
tamponi) a 12 ore per i campioni più compatti (tessuti), l'estrazione e purificazione con kit commerciali
richiede cira 30 minuti di tempo, mentre con i solventi organici possono essere necessarie oltre 12 ore.
In caso di ricerca di RNA-virus, più labili di quelli a DNA, occorre prendere accordi con il laboratorio
per conservare opportunamente il campione e prevenire la lisi da parte di RNAsi.
2- eventuale retrotrascrizione del RNA in DNA copia (cDNA)
La PCR si effettua su filamenti di DNA stampo, quindi l'RNA estratto deve essere retrotrascritto in
DNA copia mediante una reazione enzimatica, che richiede circa 30-60 minuti di tempo.
3- amplificazione mediante PCR
La PCR consiste nella sintesi, ripetuta in genere 35-45 volte,
di tratti di DNA sulla base di DNA “stampo”; ogni segmento
prodotto agirà da stampo nella reazione successiva. Pertanto,
considerando che il DNA è formato da due filamenti, nella
prima reazione ogni filamento agirà da stampo per la sintesi di
un nuovo filamento, ottenendo quattro filamenti al termine del
primo ciclo di reazione (Fig. 1). Nel secondo ciclo i filamenti
disponibili come stampo saranno 4, e saranno quindi prodotti
8 filamenti. Semplificando, per ogni molecola di DNA
presente nel campione, alla fine della PCR si ottengono 2n
filamenti di DNA, dove n è il numero di cicli di reazione.
Per target ben rappresentati ed abbondanti possono essere
sufficienti 35 cicli di amplificazione. Nel caso si sospetti che il
materiale genetico presente nel campione sia scarso, si
possono effettuare fino a 45 cicli di amplificazione.
L'obiettivo di questa amplificazione è quello di ottenere una
quantità di DNA prodotto tale da essere “visibile” con strumenti di rilevazione (vedi dopo). Fig. 1: sintesi esponenziale di DNA
L'elemento cardine della PCR sono i “primer” due piccole sequenze di 18-30 nucleotidi (adenina (A),
timina (T), guanina (G), citosina (C)), che si legano specificatamente al filamento di DNA da
amplificare, e che costituiscono il sito di inizio della replicazione (Fig. 2).
Pertanto sono le sequenze dei primer a definire la specificità della PCR per un determinato agente o
gruppo di agenti. E' possibile disegnare primer per identificare specificatamente un agente eziologico
(es. Mycoplasma agassizii) o tutti gi agenti appartenenti ad uno stesso genere (es. Mycoplasma spp.) o
famiglia (es. Herpesviridae) (vedi dopo).
Le sequenze dei primer influenzano tempi e temperature da utilizzare nella PCR. Per ogni coppia di
primer (forward e reverse) deve essere ottimizzato un protocollo. Variando la temperatura di reazione si
può aumentare la sensibilità e ridurre la specificità o viceversa. Questo viene fatto in particolari
condizioni (ecco perché è fondamentale il dialogo con il laboratorista!), altrimenti si utilizza il
protocollo ottimizzato che ha la migliore combinazione sensibilità/specificità.
I primer possono essere inclusi in kit commerciali (se disponibili), oppure vengono disegnati e validati
appositamente. In ogni caso, il disegno dei primer avviene dopo un attento studio delle sequenze
genomiche di un particolare agente, depositate in banche dati open access (es. PubMed) o in possesso
privato dello sviluppatore. Le banche dati open access e la collaborazione di scienziati di tutto il mondo
sono fondamentali per condividere la conoscenza e permettere di disegnare primer validi. Chi ottiene
degli amplificati mediante PCR, può sequenziare i prodotti ed inserre in banca dati ciò che ha trovato.
Queste informazioni saranno utili ad altri ricercatori per disegnare i primer per le loro necessità. Primer
non specifici possono dare luogo a false positività; al contrario, false negatività si possono avere in
caso di primer disegnati sulla base di sequenze genetiche ad alta frequenza di mutazione.
I geni di batteri e virus infatti hanno dei siti “conservati”, cioè stabili, che tendenzialmente non mutano
e che sono identici in tutti i batteri e virus dello stesso genere/famiglia. Altri siti sono invece fortemente
variabili e sono identici solo tra agenti appartenenti alla stessa specie. Sfruttando queste caratteristiche
si possono disegnare primer per identificare mediante PCR tutti gli Herpesviridae di tartaruga, tutti gli
Herpesviridae di tutte le specie animali, oppure specificatamente Testudinid herpesvius tipo 1 o tipo 3
(vedi sotto). Pertanto la scelta dei primer e l'ottimizzazione del protocollo di PCR per quei primer è
personale, ed è ciò che caratterizza il laboratorio (per le prove “ufficiali” invece il discorso è diverso).
In una reazione di PCR il DNA/cDNA viene aggiunto ad una miscela contenente una polimerasi (taq),
nucleotidi, sali minerali, acqua e primer. La PCR viene effettuata nei termociclizzatori, che incubano i
microtubi a temperature specifiche per un certo tempo e per un numero di cicli che varia in genere tra
35 e 45.
In una prima fase, di denaturazione, generamente effettuata a 94-95°C, i doppi filameti della molecola
di DNA si aprono (Fig. 3).
In una seconda fase, di annealing, i primer si legano specificatamente al filamento stampo. La
temperatura di incubazione in questa fase deve essere ottimizata e dipende dalla composizione dei
primer. Temperature troppo basse potrebbero fare legare i primer a sequenze non specifiche,
determinando falsi positivi, mentre temperature troppo alte o comunque non idonee non
Fig.
2: i primer Forward e Reverse sono i siti di innesco della PCR
permetterebbero il legame alla sequenza specifica, anche se presente, determinano così dei falsi
negativi.
In una terza fase, di estensione, viene sintetizzato il filamento complementare a quello a cui si è legato
il primer, utilizzandolo come stampo. Queste tre fasi si susseguono fino al completamento dei cicli.
Affinché una PCR venga complatata occorrono circa 2-3,5 ore.
4- evidenziazione dell'amplificato prodotto
Il prodotto ottenuto mediante PCR può essere visualizzato in vari modi. Sinteticamente, il metodo più
tradizionale è la corsa elettroforetica in gel di agarosio, che richiede circa 40-60 minuti. Con particolari
filtri ed apparecchi è possibile fotografare la corsa elettroforetica e memorizzarla in archivio.
Visualizzando i prodotti di PCR in gel di agarosio, si osserverà una banda specifica di ampiezza pari a
quella attesa (distanza in basi nucleotidiche della sequenza complementare al primer forward e al
primer reverse nella sequenza dell'agente oggetto di indagine depositata in banca dati). Per maggiore
sicurezza il prodotto di PCR può essere sequenziato, procedura che però implica tempi e costi
aggiuntivi.
I più moderni e costosi sistemi di evidenziazione dell'amplificato si basano sulla rilevazione della
fluorescenza emessa da particolari molecole e sono alla base della metodica di Real Time PCR. A
seconda della chimica e della metodologia utilizzata in Real Time PCR, si parla di SybrGreen PCR o di
TaqMan PCR. Anche in questo caso la scelta dei primer e delle sonde è determinante per la buona
riuscita della prova. Gli strumenti attualmente disponibili possono essere interfacciati a computer con
software per l'interpretazione automatica dei risultati.
Che differenza c'è tra PCR, nested PCR, real time PCR? Per PCR si intende generalmente una reazione singola, come quella sopra descritta, in cui un tratto di
acido nucleico viene amplificato per 35-45 cicli mediante l'ausilio di almeno due primer specifici per la
sequenza ricercata.La nested PCR consiste
in una seconda reazione di PCR, eseguita
sul prodotto della prima PCR, mediante
l'ausilio di una coppia di primer con
sequenze generalmente interne al tratto
amplificato con la prima reazione (Fig. 4).
Questa procedura ha il vantaggio di una
maggiore sensibilità, in quanto il segmento
di acido nucleico viene amplificato 70-90
volte invece di 35-45. Questo fa sì che siano
evidenziabili quantità di acido nucleico
target molto più basse rispetto a quanto sia
possibile con l'uso di una singola PCR.
Altro vantaggio è la maggiore specificità.
Infatti i primer della nested PCR si
legheranno al prodotto ottenuto dalla prima
PCR soltanto se questo si è formato in
maniera specifica. Al contrario, se si fosse
prodotto un aspecifico, i primer della
seconda reazione non si legherebbero e
quindi il risultato sarebbe negativo. Gli
svantaggi consistono in una maggiore
necessità di tempo (circa doppio rispetto ad
Fig. 4: schematizzazione della nested PCR
una PCR singola) e di reagenti (doppi rispetto ad una PCR singola).
La real time PCR ha il vantaggio della singola PCR, con l'aggiunta che non necessita della manualità
per eseguire l'elettroforesi, in quanto il risultato è visualizzabile sullo strumento. In genere, la tecnica
Sybr green è più semplice, meno costosa ma è sempre opportuno aggiungere una fase di analisi della
melt curve per verificare la specificità dei prodotti ottenuti, che richiede del tempo aggiuntivo rispetto
alla sola PCR. La tecnica Taqman è più rapida e più specifica, ma è più costosa dal punto di vista di
reagenti, e recentemente è stato visto che sequenze molto variabili (es. RNA-virus) potrebbero non
essere riconosciute nel caso avvengano mutazioni proprio nel segmento target della sonda.
Quindi, in linea generale, la real-time e la nested PCR sono più sensibili della singola PCR. Nella
nostra esperienza, la nested PCR ha una sensibilità paragonabile alla sybr green, necessita di più
reagenti e di più tempo, ma è più specifica ed ha minor rischio di contaminazione. Inoltre i prodotti di
PCR possono essere sequenziati (e la specificità delle sequenze può essere verificata in banca dati),
mentre quelli della real time PCR no. Mentre per le infezioni batteriche generalmente la PCR singola
con alto numero di cicli di amplificazione è sufficiente a rilevare l'agente eziologico, nelle infezioni
virali occorre utlizzare la nested PCR o la real time PCR per l'analisi del campione clinico.
La PCR permette di rilevare tutti gli Herpesvirus di tartaruga? Dipende dalle sequenze dei primer che vengono utilizzate. Inizialmente si parlava generalmente di
herpesvirus della tartaruga. Successivi studi e segnalazioni hanno permesso di rilevare, ad oggi,
l'esistenza di quattro herpesvirus diversi nella tartaruga di terra. Non esiste una classificazione ufficiale,
ma gli studiosi hanno proposto la denominazione di Testudinid Herpesvirus (TeHV) tipo 1-4.
Esiste un pò di confusione nella letteratura scientifica riguardo la denominazione dei diversi TeHV
identificati nelle diverse aree gografiche e chiamati in modo diverso in diverse pubblicazioni.
Attualmente gli herpesvirus di tartaruga descritti sono:
TeHV-1 presente in Eurasia, generalmente associato a bassa mortalità e morbidità
TeHV-2 isolato negli Stati Uniti d'America dalla tartaruga del deserto Gopherus agassizii
TeHV-3 presente in Eurasia, generalmente associato ad alta mortalità e morbidità
TeHV-4 isolato da una tartaruga originaria del Sud Africa e diffusa in Sud Africa e Namibia
Questi virus sono ancora oggetto di studio da parte dei ricercatori. Importanti studi di sequenziamento
hanno permesso di rilevare tratti più variabili e tratti più conservati del genoma di questi virus.
Utilizzando primer specifici per i tratti conservati, è possibile effettuare PCR in grado di rilevare tutti
gli herpesvirus che hanno quello stesso tratto genetico. Utilizzando primer specifici per i segmenti
variabili, è possibile identificare solo uno specifico tipo di TeHV (Fig. 5).
Pertanto, a scopo diagnostico, occorre preferire la tecnica più sensibile e che assicuri di rilevare il
maggior numero di tipi di TeHV noti. A scopo epidemiologico, invece, è possibile impiegare PCR
specifiche per un solo tipo virale. Ad esempio, se venisse impiegata una PCR per rilevare
specificatamente TeHV-1 in una tartaruga infetta da TeHV-3, la PCR risulterebbe negativa. Se invece
venisse impiegata una PCR per rilevare qualunque TeHV ad oggi noto, la tartaruga risulterebbe
positiva. In quest'ultimo caso però non si potrebbe sapere immediatamente il tipo di appartenenza del
TeHV infettante, a meno che non si effettuino il sequenziamento del prodotto ed il confronto
filogenetico con le sequenze note dei TeHV oppure ulteriori PCR differenziali (alcune delle quali sono
però ancora in fase di sviluppo). Il tipo di indagine più opportuno dipende dalla situazione specifica in
cui ci si trova. Ad esempio, ai fini di controllo in collezioni zoologiche, potrebbe essere sufficiente
sapere che la tartaruga è infetta da herpesvirus, senza necessità di conoscerne il tipo di appartenenza. In
caso di campione clinico, invece, conoscere il tipo di appartenenza potrebbe essere utile per valutare la
prognosi e decidere la terapia da intraprendere. Infatti sembrerebbe che TeHV-3 sia più patogeno di
TeHV-1, anche se queste osservazioni preliminari devono ancora essere dimostrate da specifici studi
scientifici.
Il costante monitoraggio delle sequenze virali, lo studio filogenetico e la correlazione con dati
epidemiologici (morbidità, mortalità), forme cliniche e gestione sanitaria è quindi fondamentale per
mantenere un elevato livello diagnostico e fornire utili feedback ai clinici. A questo scopo è
indispensabile la creazione di network collaborativi, nazionali ed internazionali.
Perché è utile effettuare la diagnosi in PCR? Quali sono i limiti? La diagnosi in PCR è utile per quanto riguarda la gestione sanitaria dell'animale. Un animale con
ipersecrezione oculo-nasale e placche nella cavità orale non sempre è affetto da herpesvirosi. In questo
caso il trattamento con antivirale potrebbe non essere il più appropriato. L'uso indiscriminato degli
antivirali, al pari di quello degli antibiotici, può facilitare l'insorgenza di resistenze e rendere inutili i
farmaci disponibili nel medio periodo.
Fig. 5: a seconda dei primer utilizzati, possono essere individuate sequenze specifiche di alcuni TeHV
o comuni a tutti TeHV
Inoltre un animale infetto da TeHV sarà tale per tutta la vita e rappresenta una possibile sorgente di
infezione per altri soggetti. Sapere che un animale è infetto da TeHV può condizionare la sua gestione,
ad esempio mantenendolo in un gruppo separato dai non infetti, prestando particolare attenzione ad
evitare stress ed immunodepressioni che favorirebbero il manifestarsi dei sintomi, ecc.
I limiti della PCR sono rappresentati soprattutto dal fatto che gli animali infetti non sintomatici in
genere non eliminano virus o lo eliminano in quantità inferiori al detection limit degli strumenti
diagnostici. Pertanto è sempre opportuno dare una corretta informazione ai proprietari, per evitare
spiacevoli incomprensioni.
La PCR rivela se un determinato campione prelevato in un determinato momento contiene particelle
virali/batteriche. Il problema diagnostico dei virus latenti esiste in tutte le specie animali. Nelle specie
di maggior interesse economico sono d'ausilio i test indiretti. Nei rettili gli studi sul sistema
immunitario sono ancora preliminari ed i finanziamenti/interessi conomici sono molto limitati. Questo
siuramente non fa ben sperare né per lo sviluppo di metodi diagnostici integrativi, né per la messa a
punto di vaccini, almeno nel breve periodo.
Alcune letture di approfondimento:
Origgi F. Testudinid heresviruses: a review. Journal of Herpetological Medicine and Surgery
2012, 22;1-2:42-54.
Ariel E. Viruses in reptiles. Vet Res. 2011, 21;42:100.
Marschang R.E. Viruses infecting reptiles. Viruses. 2011, 3(11):2087-126.
FORMA ATIPICA DI VAIOLO NEL CANARINO
Elena Circella1, Nicola Pugliese1, Michele Marino1, Alessandra Tondo2, Diana Romito1, Francesco
D’Onghia1, Antonio Camarda1
1Sezione di Patologia Aviare, Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari, S.P.
per Casamassima km. 3, Valenzano (BA), Italia
2Libero professionista nel settore della Medicina degli Animali Esotici
Corresponding Author: Prof. Elena Circella, tel. 080/4679829 – fax. 080/4679910 – email:
I Poxvirus aviari sono gli agenti eziologici del vaiolo aviare. Essi appartengono al genere Avipoxvirus,
sottofamiglia Chordopoxvirinae e famiglia Poxviridae (Fauquet et al., 2005). Secondo il Comitato
Internazionale per la Tassonomia dei Virus attualmente si annoverano 10 specie all'interno del genere
Avipoxvirus, tra cui il Poxvirus del pollo, il Poxvirus del canarino, il Poxvirus del tacchino, il Poxvirus del
piccione ed il Poxvirus degli psittacidi. Tra le varie specie, le più studiate e meglio caratterizzate sono i
Poxvirus del pollo e del canarino (Afonso et al., 2000, Tulman et al., 2004, Laidlaw et Skinner, 2004).
Si tratta di virus di grandi dimensioni (258 x 354 nm), di forma simile ad un mattone, dotati di doppia
membrana lipoproteica che riveste un core biconcavo fiancheggiato da due corpi laterali di natura proteica. Il
genoma consiste in una molecola lineare di DNA a doppio filamento, le cui dimensioni non superano i 365
kb. La regione centrale del genoma contiene i geni che possiedono funzioni comuni relativamente conservate
tra i poxvirus, al contrario dei geni situati in posizione terminale che codificano per un’ampia gamma di
proteine determinanti nella selezione dello spettro d‘ospite (Tulman et al., 2004).
In corso di infezione, il virus replica all’interno della cellula inducendo la formazione di corpi inclusi
intracitoplasmatici, corpi di Bollinger, corrispondenti alle sedi di replicazione e di assemblaggio del virus
(Weli et Tryland, 2011). Nonostante siano sensibili a ad etere e cloroformio e nel complesso a diversi
disinfettanti e detergenti, questi virus mostrano una notevole resistenza quando rimangono protetti da
materiale organico quali croste o residui cutanei. È stato dimostrato già in passato che nelle croste le particelle
virali possono sopravvivere per anni (Tripathy, 1993). Resistono inoltre a condizioni ambientali estreme quali
la siccità (Tripathy, 1993). Pertanto, oggetti e attrezzature (ad esempio i posatoi) venuti in contatto con un
animale malato possono essere fonte di infezione persistente nel tempo.
Il vaiolo aviare può colpire numerose specie di volatili. Nel pollame, in cui l’infezione è più nota, attualmente
si riscontra nei soggetti rurali mentre nell’allevamento intensivo il vaiolo rappresenta una patologia piuttosto
rara, grazie all’utilizzo negli anni del vaccino.
Il vaiolo è invece piuttosto frequente nei rapaci sia diurni che notturni. Tra i volatili d’affezione, i canarini
risultano particolarmente sensibili e la malattia è frequente negli allevamenti. Al contrario, i pappagalli
risultano piuttosto resistenti ed il vaiolo in queste specie si riscontra difficilmente.
Dal punto di vista clinico, il vaiolo si può manifestare in forme diverse. Tra queste, la più diffusa è la forma
crostosa, definita anche come forma secca, caratterizzata da lesioni vescicolari a livello delle aree deplumate
della cute, e quindi nelle aree perioculari, intorno al becco, alle narici e sulle zampe. Le vescicole si riempiono
di un essudato citrino, trasparente e, in genere, si accrescono fino a rompersi evolvendo in lesioni crostose.
Quando le croste si seccano completamente, fenomeno che può avvenire anche in diverse settimane, cadono
lasciando cicatrici evidenti, avvallate, talvolta molto estese (Gerlach, 1994). Questa forma è quella che
tipicamente si osserva nei polli, nei rapaci e nei piccioni e colpisce i soggetti adulti, è generalmente lieve e ha,
il più delle volte, un’evoluzione benigna.
Anche nel canarino, il vaiolo si manifesta come forma crostosa. Anche in questa specie, il vaiolo viene
osservato prevalentemente negli adulti ed in soggetti sessualmente maturi, ha un andamento tendenzialmente
benigno, un’evoluzione lenta ed è classicamente caratterizzato da lesioni cutanee crostose molto tipiche che
si riscontrano soprattutto a livello delle zampe e di altre aree apterili, come la commessura del becco e la
regione periorbitale. Tuttavia, il vaiolo è particolarmente temuto dagli allevatori di canarini, in quanto è una
patologia molto diffusa negli allevamenti ed i canarini presentano una particolare sensibilità all’infezione che
è accompagnata, in questa specie, da tassi di mortalità più elevati. Inoltre nei nidiacei di canarino si verificano
stati viremici, con diffusione del virus in diversi organi, che possono portare a morte l’intera nidiata. Pertanto,
durante il periodo riproduttivo, il tasso di mortalità si eleva ulteriormente soprattutto in seguito alla morte dei
novelli.
In questo lavoro, viene riportato un caso clinico relativo al riscontro di una forma atipica di vaiolo in un
allevamento di canarini, caratterizzato da una grave forma respiratoria ed un più alto tasso di mortalità.
Nell’allevamento colpito erano presenti circa 200 soggetti, di cui 60 riproduttori e circa 140 novelli.
Nell’allevamento è stata osservata la comparsa di una grave forma respiratoria, manifestata con dispnea molto
pronunciata, che ha riguardato indiscriminatamente sia adulti che novelli. I soggetti colpiti hanno inizialmente
presentato il tipico ticchettio della coda legato ad un aumento della escursione addominale in concomitanza
degli atti respiratori. In pochi giorni, si evidenziava l’emissione di fischi, rantoli e rumori respiratori cui
seguiva, in breve tempo, una dispnea sempre più pronunciata che portava l’animale a fame d’aria e
respirazione a becco aperto. Nei canarini colpiti non venivano evidenziati segni di scolo nasale, congiuntivite,
gonfiori dei seni infra e periorbitali o altre manifestazioni legate ad un coinvolgimento dei primi distretti
respiratori, come seni e cavità nasali. Alla sintomatologia spesso seguiva la morte del soggetto. In totale, la
mortalità ha interessato circa 60 canarini e quindi ha raggiunto un tasso pari al 30 %. In nessun animale
venivano rilevate lesioni in sede cutanea.
Considerata la sintomatologia osservata ed il coinvolgimento esclusivo del distretto respiratorio, nella diagnosi
differenziale sono state considerate possibili infezioni respiratorie virali, batteriche ed un’infestazione massiva
da Sternostoma tracheacolum (acariasi respiratoria del canarino). Pertanto, è stato effettuato inizialmente un
trattamento nei confronti di queste ultime, cercando di arginare il problema e ridurre le ripercussioni sul
gruppo colpito, in attesa degli accertamenti diagnostici. In particolare, l’allevamento è stato trattato
collettivamente con doxiciclina in acqua da bere (250 mg/litro) e con somministrazione individuale spot on di
Fipronil, senza alcun esito. Comparsa la mortalità, alcuni soggetti sono stati portati presso la sezione di
Patologia Aviare del Dipartimento di Medicina Veterinaria per accertamenti diagnostici. I soggetti sono stati
sottoposti ad autopsia e successive analisi. In sede autoptica, venivano evidenziate lesioni che coinvolgevano
esclusivamente il distretto respiratorio. In particolare, una forte congestione era presente a livello della laringe
e tra gli anelli tracheali. Nei soggetti in cui la sintomatologia si era maggiormente protratta prima del verificarsi
del decesso, erano presenti membrane fibrinocaseose che occludevano la laringe e/o il lume tracheale, che
avevano determinato la morte per asfissia. In tali soggetti, si rilevava anche congestione polmonare. Non
venivano evidenziate lesioni a carico di altri organi o apparati. Sono stati effettuati esami batteriologici a
partire da campioni di laringe, trachea, polmone, fegato e sangue del cuore su terreni arricchiti e selettivi,
incubati a 37 °C, che hanno escluso un’eziologia di tipo batterico. A partire da campioni di laringe, trachea e
polmone, sono state effettuate indagini virologiche mediante PCR (Polymerase Chain Reaction), volte alla
ricerca di Orthomixovirus e Paramixovirus mediante primers e protocolli precedentemente descritti (Pang et
al., 2002). Tali esami hanno consentito di escludere rispettivamente l’influenza aviare e la pseudopeste aviare.
Gli stessi campioni laringei, tracheali e polmonari sono stati sottoposti a PCR per Avipoxvirus attraverso il
protocollo di (Lee and Lee, 1997). Le reazioni di PCR hanno portato ad evidenziare le bande di peso
molecolare atteso (578 bp).
Gli amplificati ottenuti in PCR sono stati sottoposti a clonaggio e sequenziamento. L’analisi di sequenza ha
confermato la positività dei campioni al vaiolo. Poiché le sequenze risultavano identiche tra loro, solo una di
esse è stata utilizzata per la filogenesi.
Dall’analisi filogenetica si osserva che la sequenza in esame clusterizza con le altre sequenze di canarypox
virus depositate in GenBank e confrontate. Inoltre dall’allineamento con BLAST (Altschul et al.,1990) delle
stesse sequenze, risulta che l’identità nucleotidica è pari al 99%.
Al contrario, le percentuali di identità tra la sequenza scelta ed Avipoxvirus infettanti altre specie di volatili
variavano dal 77% della sequenza del virus identificato nell’inseparabile al 76% delle sequenze dei virus del
pollo e dei rapaci, confermando una maggiore distanza evolutiva.
Nell’allevamento è stata praticata la vaccinazione d’emergenza per puntura alare con vaccino commerciale ed
un trattamento in acqua da bere con isoprinosina (500mg/litro) per 4 settimane (Todisco et al., 2007),
ottenendo una riduzione della sintomatologia ed il successivo arresto della mortalità.
La forma di vaiolo riscontrata nel caso riportato è alquanto insolita. Infatti, il vaiolo pur essendo molto diffuso
nei canarini, si manifesta in forma cutanea negli adulti ed in forma setticemica nei novelli. La forma descritta
è risultata invece una grave forma difterica a livello dell’albero respiratorio che ha colpito indiscriminatamente
adulti e novelli. Le ripercussioni cliniche ed anatomopatologiche evidenziate nel corso del focolaio ricalcano
per certi aspetti la forma umida o difterica del vaiolo, che è una forma di vaiolo più rara e che si osserva molto
meno frequentemente di quella cutanea sia nel pollo che in altre specie aviari, caratterizzata da lesioni che
possono potenzialmente coinvolgere orofaringe, lingua, laringe e tratto superiore della trachea, costituite da
foci di infiammazione fibrinosa fortemente adesi alla mucosa sottostante (Tripathy et Cunningham, 1984;
Tripathy, 1993). Anche in questo caso i soggetti colpiti vanno incontro a morte facilmente ma è raro che le
lesioni siano occludenti, come invece osservato nei canarini di questo focolaio di infezione, mentre è più facile
che la mortalità sia legata a complicazioni per infezioni batteriche secondarie, che sono state invece escluse
nei canarini analizzati mediante le indagini batteriologiche.
Nei canarini, la positività riscontrata nei campioni poteva variare. Infatti, nella maggior parte dei casi, in uno
stesso animale il virus era evidenziabile in PCR a livello di laringe e trachea e non nei polmoni. Questi
risultavano più facilmente positivi nei soggetti che presentavano la forte congestione a livello tracheale e che
erano deceduti prima della formazione delle lesioni difteriche. Sembrerebbe pertanto che il virus abbia avuto,
nell’ambito dell’apparato respiratorio, una localizzazione diversa a seconda dell’evoluzione clinica che la
malattia ha avuto nei canarini, diffondendosi con maggiore facilità al distretto polmonare nelle evoluzioni
iperacute in cui vi era forte congestione e concentrandosi maggiormente in lesioni più circoscritte nei casi più
protratti in cui si sono formate le lesioni difteriche occludenti il lume dell’albero respiratorio.
La stretta localizzazione del virus nel distretto respiratorio ha probabilmente influenzato la morbilità e la
mortalità piuttosto elevate che hanno caratterizzato il focolaio osservato. Infatti, generalmente la trasmissione
del vaiolo in un gruppo di animali è lenta con un numero di soggetti colpiti più basso, probabilmente perché
essendo frequenti le lesioni cutanee, la diffusione del virus nell’ambiente avviene attraverso le croste e le
desquamazioni cutanee più che mediante espirazioni ed essudati respiratori.
Pertanto, la via di trasmissione più utilizzata in questi casi dal virus è quella indiretta attraverso la puntura di
artropodi ematofagi come zanzare o acari che fungono da vettori passivi. Questi artropodi spesso inoculano il
virus al momento del pasto di sangue e con i loro spostamenti contribuiscono a diffonderlo nell’ambiente.
Altre volte, gli insetti veicolano il virus solo sulla loro superficie esterna. In questi casi, l’infezione può
avvenire anche attraverso l’ingestione, da parte dei volatili, di questi artropodi. Sono coinvolti in questo tipo
di trasmissione insetti non ematofagi, quali ad esempio Alphitobius diaperinus, coleottero che comunemente
si trova nelle lettiere e che pertanto riveste un importante ruolo epidemiologico soprattutto nel pollame (Locke
et al. 1965; Shirinov et al. 1972; Akey et al. 1981; Sileo et al. 1990). In questi casi, l’ingresso del virus viene
facilitato dalla presenza di soluzioni di continuo, anche minime, della mucosa. Una volta penetrato
nell’organismo, il virus replica nel sito di ingresso e da qui può diffondere in circolo, dando origine ad una
prima viremia. Questo evento può consentire ai virioni di raggiungere gli organi linfatici e il fegato e, dopo
una fase di replicazione in queste sedi, esso può tornare in circolo provocando una seconda viremia che esita
in una localizzazione del virus nuovamente in sedi cutanee, generalmente deplumate (Mayr et Kaaden, 2007).
L'invasione sistemica è agevolata dal fatto che gli APV hanno sviluppato diversi meccanismi per evadere la
risposta immunitaria dell’ospite. Il virus, viene poi eliminato attraverso la puntura di insetti ematofagi durante
la diffusione sistemica, oppure attraverso le croste cutanee (Ritchie, 1995) e solo in caso di lesioni difteriche
attraverso l’espirazione o colpi di tosse, come osservato nei canarini del focolaio descritto. Condizioni di
promiscuità e di elevato affollamento favoriscono notevolmente la trasmissione del virus (Forrester et
Spalding 2003), analogamente a quanto si riscontrava nell’allevamento colpito in cui, come di consueto
avviene negli allevamenti di canarini, più soggetti erano presenti nello stesso locale a stretto contatto tra loro.
Fattori altrettanto importanti sono quelli climatici, tra cui la temperatura e l'umidità elevate che possono
favorire lo sviluppo e la replicazione non solo di vettori (Van Riper et al. 2002) ma anche di elevate
concentrazioni del virus (Akey et al. 1981).
La forma respiratoria di vaiolo riscontrata nei canarini ha comportato qualche difficoltà pratica per la diagnosi
in vivo. Infatti, la diagnosi in vivo generalmente è agevole in quanto si possono utilizzare le croste cutanee,
facilmente asportabili durante la valutazione clinica dei canarini, in cui si può evidenziare il virus in diverse
maniere. Una delle tecniche utilizzabili è la coltivazione del virus sulle uova embrionate, inoculate sulla
membrana corion-allantoidea (CAM), su cui si evidenziano i caratteristici pocks, tondeggianti, compatti e
biancastri, di circa 0,5 cm, che corrispondono alle sedi di replicazione del virus (Cox, 1980). Il virus può
essere facilmente riscontrato nelle croste cutanee anche in microscopia elettronica, eccellente mezzo per la
diagnosi di vaiolo aviare (Beaver et Chetum, 1963), anche se di più difficile applicabilità considerata la
necessità di disporre di un microscopio elettronico e di competenze specifiche nel campo della microscopia
elettronica. Le tecniche molecolari come la PCR consentono una diagnosi rapida e sicura. La PCR adottata in
questo lavoro basandosi sull’analisi di una regione conservata corrispondente al gene P4b, codificante per
una proteina del core virale (Huw Lee et Hwa Lee, 1997), ha consentito anche una successiva valutazione
filogenetica del virus identificato. Attualmente infatti la filogenesi dei virus del vaiolo si basa proprio
sull’analisi di questa regione (Manarolla et al., 2010). Nel focolaio descritto la PCR è stata tuttavia applicata
a campioni d’organo, come diagnosi post-mortem. Infatti, non essendo presenti lesioni cutanee, il virus era
identificabile solo a livello dell’albero respiratorio, ma date le ridotte dimensioni dei canarini sarebbe stata
inapplicabile l’esecuzione di una diagnosi in vivo mediante tamponi sulla mucosa laringotracheale.
Analogamente test sierologici, che prevedono il prelievo di un quantitativo di sangue piuttosto cospicuo per
permettere di ottenere del siero sufficiente per fare una titolazione, sono inapplicabili in piccole specie come
i canarini, oltre alla difficoltà di avere test specifici considerata la specie specificità immunitaria indotta dai
diversi poxvirus (Smits et al., 2005).
La localizzazione delle lesioni con la conseguente grave sintomatologia respiratoria, accompagnata dalla totale
assenza di lesioni cutanee, indurrebbe ad ipotizzare un particolare tropismo del ceppo identificato nel focolaio,
rispetto agli stipiti virali che causano la forma classica di vaiolo nel canarino, per l’apparato respiratorio.
Tuttavia, la filogenesi del frammento genomico analizzato non ha evidenziato alcuna differenza tra questo
ceppo e gli stipiti di vaiolo del canarino depositati in GenBank. Essendo la regione su cui si basano attualmente
le ricerche filogenetiche dei virus del vaiolo aviare (Manarolla et al., 2010), una regione molto conservata,
ulteriori elementi potrebbero derivare dall’analisi di altre porzioni del genoma, di dimensioni molto elevate
per poterlo agevolmente sequenziare in toto, a supporto di questa ipotesi.
I miglioramenti osservati in allevamento, ottenuti in seguito alla vaccinazione d’emergenza, portano a
sottolineare l’importanza di ricorrere costantemente alla vaccinazione per il vaiolo negli allevamenti di
canarini. Tuttavia attualmente il vaccino, che per essere efficace deve essere specifico e pertanto prodotto a
partire dal poxvirus del canarino, non è in commercio e nell’allevamento è stato possibile praticare la
vaccinazione solo perché era disponibile una scorta di una partita precedente.
In assenza del vaccino, può risultare utile la somministrazione di immunostimolanti come isoprinosina e di
trattamenti di supporto a base di vitamina A, C ed acidi grassi Ω3 e Ω6, il cui effetto protettivo e regolatore è
ben documentato.
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ASCESSO ODONTOGENICO NEL CONIGLIO: MARSUPIALIZZAZIONE "AVANZATA" Daniele Vitolo Med Vet, San Donato Milanese (MI)
Nelle patologie dentali del coniglio le infezioni periapicali rivestono un ruolo di grande importanza
soprattutto quando divengono responsabili della formazione di ascessi facciali. Tale entità patologica
prende l'aggettivo odontogenico in relazione alla sua patogenesi.
Il trattamento degli ascessi di origine dentale è ad oggi una sfida terapeutica per cui sono descritte
diverse opzioni, principalmente chirurgiche, accomunate dallo scopo di rimuovere il materiale
necrotico e infetto nel modo più radicale possibile. L'approccio chirurgico dovrebbe mirare ad
ottenere l'escissione completa dell'ascesso compresa la capsula. Purtroppo le strutture anatomiche
coinvolte e le tempistiche d'intervento spesso tardive (per la fisiopatologia dell'infezione/ascessi
periapicale), non rendono sempre possibile la completa e corretta attuazione di questa tecnica
chirurgica.
Alternative possibili sono il drenaggio e il curettage chirurgico con eventualmente l'utilizzo di perle
di polimetilmetacrilato, calcio idrossilato o ceramiche bioattive che sono lasciate in situ prima di
suturare la cute. Tale soluzione appare però largamente insufficiente a rimuovere interamente
l'infezione e il tessuto necrotico per cui esita quasi inevitabilmente in una recidiva.
Ad oggi Il trattamento che sembra fornire risultati migliori è la marsupializzazione. Quest’opzione
consiste nell'escindere la capsula nel modo più completo possibile lasciando aperto il difetto di
tessuto che si viene a creare. Qualora l'infezione coinvolga un segmento osseo si procede alla
rimozione quanto più radicale della necrosi ossea e del sequestro, in caso sia presente. Il bordo della
cavità osteomielitica ottenuta viene infine suturato, insieme ai tessuti circostanti, alla cute per
ritardare la guarigione del gap e permettere un debridment continuo del sito chirurgico. La gestione
post chirurgica è altrettanto importante e consiste in medicazioni quotidiane dove si utilizzano
soluzioni antisettiche che irrigando la ferita agevolano la rimozione manuale della fibrina e
dell'eventuale pus presente. Successivamente alla detersione e allo sbrigliamento viene riportato
nella gestione della guarigione per seconda intenzione l’utilizzo di miele medicato, pomate/unguenti
o garze antibiotate scelte sulla base dell’esperienza clinica personale. Recentemente, inoltre è stata
proposta l'impiego della laserterapia durante le medicazioni con lo scopo di ridurre l'infezione e
stimolare la rigenerazione tissutale.
Il principale svantaggio di queste opzioni terapeutiche consiste nella necessità di sottoporre il
paziente a medicazioni frequenti, spesso dolorose che, se compiute dal personale medico,
prevedono una lunga degenza oppure un frequente trasporto del paziente, se compiute dal
proprietario possono risultare inadeguate e poco accettate da quest’ultimo per l'impatto psicologico
che comportano.
In medicina umana, attraverso la Word Union of Wound Healing Societies, si è sviluppato l'uso di
medicazioni definite "avanzate" che controllano il microambiente della ferita e ne gestiscono
l'essudato. Seppur non vi sia consenso sulla definizione di medicazione avanzata è possibile
descriverla come una medicazione in materiale dotato di biocompatibilità in grado di interagire con
la sede di lesione e stimolarne la guarigione mantenendo umidità e pH ottimali ed inibendo la
crescita batterica. Tra le numerose possibilità presenti in commercio, la nostra esperienza si è
concentrata sull’utilizzo di garze con fibre di idroalginato e carbossimetilcellulosa (CMC) intrecciate
a fibre di argento (Silvercell®). Tale scelta si è basata sulla elevata capacità di assorbenza dimostrata
in lesioni con abbondante presenza di essudato.
Gli alginati sono infatti composti con notevole potere assorbente in grado di formare un gel che,
mantenendo l'ambiente ad umidità controllata, risulta particolarmente efficace nel debridment
autolitico. In base alle caratteristiche descritte tali materiali risultano molto utili per le lesioni
cavitarie. Nelle garze in oggetto di studio le fibre di idroalginati sono preparate con l'aggiunta di ioni
calcio, caratteristica che ne determina una minor solubilità e una maggior resistenza, in modo tale
da mantenerne l’integrità anche in presenza di abbondante essudato. Le fibre di
carbossimetilcellulosa forniscono un’ulteriore capacità di assorbenza alla garza, in quanto
quest’ultime si imbibiscono rapidamente e trattengono, anche sotto pressione, i liquidi.
Il processo di guarigione, assicurato dai materiali sopra descritti, necessita anche del controllo della
popolazione batterica della ferita. A questo fine circa un terzo della garza è costituita da fibre di
argento. Gli ioni argento esplicano un'azione battericida con diversi meccanismi: si legano alla
membrana cellulare, disgregandola, e alle proteine a livello citoplasmatico, interferendo con la
produzione di energia, con la funzione enzimatica e con la divisione cellulare. E’ importante ricordare
che la ionizzazione dell'atomo di argento, al fine di indurre la morte della cellula batterica, avviene
a contatto con l'aria ma risulta facilitata in ambiente acquoso.
Inoltre la casa produttrice della garza Silvercell® riporta una durata dell’attività battericida di oltre
una settimana, anche in presenza di abbondante essudato.
In conclusione possiamo riassumere che le caratteristiche delle medicazioni all'argento, e nello
specifico quella presa in esame, sono: elevate assorbenza e attività antibatterica, entrambe
mantenute nel tempo. Appare evidente che nella terapia degli ascessi odontogenici attraverso la
marsupializzazione queste due caratteristiche sono essenziali. Ricordiamo che nelle medicazioni
“standard” vi è però la necessità di una gestione quotidiana al fine di continuare il debridment della
ferita e permettere una adeguata guarigione per seconda intenzione. Inoltre si è già fatto riferimento
come tale gestione nella pratica clinica, per varie esigenze, a volte venga demandata al proprietario
del paziente. Il limite di questa opzione terapeutica è in relazione al fatto che tale manualità anche
se non necessita di una importante curva di apprendimento è comunque un atto medico e se non
ben fatto potrebbe peggiorare un quadro già normalmente instabile. Oltre a ciò anche quando tale
procedura viene effettuata in ambito domestico quotidianamente, richiede un follow-up veterinario
il più frequente possibile, con un disagio sia per il paziente che per il proprietario.
In relazione all'ipotesi di una sensibile diminuzione della frequenza delle medicazioni si sviluppa
l'interesse per le garze biocompatibili contenenti argento. A conoscenza degli autori ad oggi non vi
sono segnalati protocolli d'utilizzo di medicazioni avanzate nel trattamento degli ascessi nel coniglio.
Lo scopo del presente lavoro è la descrizione dell'utilizzo di una garza con fibre di idroalginato e
carbossimetilcellulosa intrecciate a fibre d'argento (Silvercell®) nel management post chirurgico
degli ascessi odontogenici nel coniglio.
La gestione della marsupializzazione deve seguire i principi indicati dall' ©International Wound Bed
Preparation Advisory Board riassunti nell'acronimo TIME (T ad indicare la gestione dei Tessuti, I per
il controllo di infiammazione e infezione, M moisture balance cioè adeguata umidità ed E relativo ai
bordi Epiteliali).
Non si vuole descrivere in maniera dettagliata l’approccio chirurgico all’ascesso odontogenico, così
come tutte le fasi di diagnostica che precedono l'intervento con la pianificazione delle estrazioni
del/dei denti coinvolti. I quali qualora risultassero di impossibile estrazione con approccio intraorale
si procederà alla stessa tramite approccio extraorale, una volta incisa la capsula dell'ascesso durante
il trattamento chirurgico qui di seguito riportato. Prestiamo però particolare attenzione a questa
fase, quella della marsupializzazione che inizierà con l'isolamento della capsula dai tessuti circostanti
fino al punto in cui essa si inserisce sulla base ossea, a questo livello verrà incisa ed asportata con il
relativo contenuto. É molto importante mantenere un approccio risolutivo e rimuovere
completamente i tessuti necrotici compreso quello osteomielitico. Se non si reputasse adeguata la
rimozione del tessuto necrotico è possibile continuare lo sbrigliamento attraverso quello enzimatico.
Risulta evidente come già questa fase sia in stretta correlazione alle linee guida sopra indicate, nello
specifico la “T” (con appunto la valutazione dei tessuti) oltre che alla “I”, iniziando la gestione dell’
infezione.
I successivi elementi della ferita da valutare, cioè, l’infezione e l’infiammazione con l’aggiunta del
controllo dell’ essudato vengono assicurati dall’utilizzo della medicazione avanzata.
Difatti nella fase successiva il sito della marsupializzazione viene irrigato con ringer lattato sterile e
colmato con la garza Silvercell®, fissandola ai margini mediante punti metallici.
In seguito, vengono valutati i margini della lesione (il bordo epiteliale). Nel caso della
marsupializzazione, senza l’applicazione della garza in esame, abbiamo detto che i margini vengono
suturati con la cute al fine di permettere un frequente, trattamento di detersione, debridment e
applicazione di prodotti topici. Invece l'utilizzo delle medicazioni avanzate non prevede il
mantenimento del sito chirurgico aperto, in quanto si impiega una garza per colmare il gap che viene
sostituita settimanalmente, la ferita operatoria non viene completamente suturata, quando è
possibile, per favorire il cambio della medicazione. Inoltre nella casistica avuta l'utilizzo dei punti
metallici si è dimostrato un ottima alternativa, per semplicità e velocità di utilizzo, anche nelle
medicazioni successive, con paziente vigile.
Tali controlli avvengono con una frequenza che a priori non è possibile indicare; per quanto tempo
si possa lasciare la garza nel sito della marsupializzazione dipende da numerose variabili relative
soprattutto alla patogenesi e alla gravità della odontopatia all'origine dell'infezione apicale. In
sostanza durante il processo di guarigione è necessario valutare costantemente, come ricordato
appunto dall’acronimo sopracitato, l’aspetto dei tessuti coinvolti, la presenza di infezione e di
essudato, così come i margini della ferita. Secondo l'esperienza degli autori, in base alla modesta
casistica presa in esame, la frequenza del cambio della garza Silvercell® nel sito chirurgico avviene
dai 5 giorni, al primo controllo nelle ferite particolarmente essudative, ai 7-10 giorni, in tutti gli altri
casi.
Ad ogni controllo medico il paziente viene sottoposto, attraverso un'azione meccanica (curette,
garze imbevute con perossido d’idrogeno) alla pulizia della cavità e rimozione della fibrina e del
materiale organico formatisi. Da indicare che quest’ ultimo nasce dall’interazione tra la garza ed il
letto della ferita, ed è responsabile dell’odore sgradevole che potrebbe essere percepito. Inoltre tale
biocompatibilità della garza Silvercell® con il sito della marsupializzazione comporta modificazioni
dell’aspetto di quest’ultima che vanno quindi considerati normali. Successivamente il sito chirurgico
viene irrigato con ringer lattato sterile e la garza Silvercell® viene riposizionata e fissata lungo i
margini con punti metallici. I controlli, in condizioni ottimali, si susseguono una volta alla settimana,
fino alla completa guarigione sovente raggiunta al 3° o 4° controllo.
L'utilizzo della medicazione avanzata risulta particolarmente utile anche nei casi in cui vi è una
comunicazione della cavità osteomielitica con il cavo orale. Vi possono essere infatti situazioni in cui
non sia possibile suturare la gengiva nel sito di estrazione con la creazione di una fistola e il
conseguente passaggio di saliva e/o materiale alimentare nel letto della ferita a livello della
marsupializzazione, interferendo con il processo di guarigione. Le garze in oggetto aiutano la
gestione di questa complicanza colmando la cavità osteomielitica e interfacciandosi con la cavità
orale diminuiscono la potenziale contaminazione batterica via fistola.
Parallelamente all'azione locale si imposta una terapia antibiotica sistemica in relazione al risultato
dell'esame colturale ottenuto inviando parte della capsula escissa in sede chirurgica. Si ricorda infatti
che nella gestione delle ferite, quelle secondarie a marsupializzazione sono da considerarsi come
quelle da frattura esposta con osteomielite.
In conclusione l'utilizzo delle medicazioni avanzate, con garze all’argento, nel trattamento degli
ascessi odontogenici nel coniglio permette un adeguato processo di guarigione anche con una
notevole diminuzione della frequenza di trattamenti locali da effettuare. Inoltre non deve essere
sottovalutata la compliance e la soddisfazione del proprietario sia in merito al risultato estetico sia
in relazione ad una riduzione della gestione domestica.
É evidente che la casistica che proponiamo non rifletta le caratteristiche, in primis per l'esiguo
numero, di un lavoro da cui si possano trarre conclusioni per una medicina basate sull'evidenza. Lo
scopo è stato quello di descrivere la nostra esperienza e di fornire uno spunto di riflessione per
l'attività clinica e l'eventuale organizzazione di un lavoro scientifico a tutti gli effetti.
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Frattura/lussazione calcaneare nel coniglio da compagnia: cosa fare?
Filippi Antonio Med Vet, Mestre (VE)
Introduzione Le fratture nel coniglio da compagnia sono frequenti ed il loro trattamento è complicato dalla dimensione dei pazienti e dalla loro indole. La maggior parte delle fratture e lussazioni nel coniglio sono autoindotte o legate a piccoli traumi domestici (2,5). Tra i problemi ortopedici la lussazione intertarsica, con o senza frattura calcaneare, è una patologia tra le più comuni e gravi, che pone grossi dilemmi riguardo l’approccio: conservativo vs chirurgico e quale approccio chirurgico sia il migliore(1,2). Tali lesioni sono probabilmente secondarie all’abitudine dei conigli di battere i piedi per paura/minaccia, e spesso sono complicate da infezioni secondarie all’esposizione dell’osso; la lussazione intertarsica complicata da infezioni può rendere necessaria l’amputazione dell’arto (1,4,5).
Descrizione del caso
Si descrivono sei casi di lussazione intertarsica con o senza frattura calcaneare secondaria ad autotraumatismo. Quattro di queste lesioni risultano esposte (a,b,c,e) e vengono trattate chirurgicamente con curettage aggressivo della ferita e fissazione delle fratture; due non esposte (d,f) vengono trattate una chirurgicamente ed una in maniera conservativa. Il trattamento chirurgico nel caso a consiste nell’applicazione di un singolo filo di kirschner endomidollare dal calcaneo al 4° osso tarsale, il caso e con l’applicazione di un fissatore esterno trans articolare tibio-tarsico, nei casi b, c, d vengono applicati due fili di kirschner lisci endomidollari inseriti dal calcaneo attraverso il tarso ed uniti ad un filo passante per le teste dei metatarsi in modalità tie-in ottenendo così una artrodesi intertarsica. Il caso f viene trattato conservativamente. Controlli e radiografie sono eseguiti a cadenza mensile. Quattro casi (a,b,c, e) hanno avuto complicazioni gravi, uno(e) ha richiesto una revisione chirurgica, uno (b) è deceduto per motivi non inerenti la patologia ortopedica due giorni dopo la chirurgia. I casi a e c hanno avuto un ritardo di consolidamento con sviluppo di pseudoartrosi ipertrofiche e calli esuberanti. Nonostante le numerose complicazioni e la lenta guarigione la ripresa funzionale viene considerata buona.
Conclusioni Come riportato dalla Harcourt-Brown (1), nonostante la buona ripresa funzionale dell’arto, il risultato del trattamento chirurgico delle lussazioni viene considerato scarso a causa dell’incapacità di ottenere una buona riduzione, dell’esuberanza del callo osseo e delle potenziali osteomieliti. La lussazione trattata conservativamente ha garantito un buon esito funzionale dell’arto con una grave alterazione della conformazione articolare. L’applicazione di due chiodi centromidollari legati ad un filo passante per i metatarsi sembra essere comunque promettente. L’unico fattore prognostico valido è la presenza o meno di esposizione del focolaio. E’ quindi necessario trattare con urgenza le fratture/lussazioni calcaneari per evitare la contaminazione secondaria del focolaio.
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LA TORSIONE DI LOBO EPATICO NEL CONIGLIO: STATO DELL’ARTE E 3 CASI CLINICI
Petrini Daniele Med Vet, Pisa La torsione di lobo epatico è una patologia poco comune ed è descritta nell’uomo, nel cavallo, nel cane, nel maiale, nella lontra, nel topo, nel ratto e nel coniglio. In letteratura veterinaria sono scarsi i lavori che trattano questa patologia infatti sono riportati solo pochi casi nel coniglio, mentre sono più numerosi quelli descritti nel cane. Nel coniglio il lobo più colpito è il caudato (62%), probabilmente a causa della vicinanza con la regione ilare dorsale del fegato e di una lassità dei legamenti epatici. I segni clinici di torsione di lobo epatico nel coniglio non sono spesso specifici e possono variare: anoressia, letargia, diminuzione dei pellet fecali emessi, alterazioni posturali; in letteratura è descritta anche assenza di sintomatologia. Spesso è concomitante la presenza di sindrome gastroenterica con distensione o dilatazione gastrica. Gli esami biochimici mostrano di solito un aumento delle transaminasi, della fosfatasi alcalina, della bun, della creatinina e l’anemia è un reperto molto comune in corso di torsione di lobo epatico nel coniglio. L’esame radiografico non sempre è utile per la diagnosi mentre l’ecografia riveste un ruolo fondamentale. La diagnosi si raggiunge con l’ausilio della diagnostica per immagini, degli esami ematobiochimici o direttamente durante la laparotomia esplorativa. Questo lavoro descrive la torsione di lobo epatico nel coniglio valutandone gli aspetti clinici, la diagnostica di laboratorio, la terapia, la prognosi e il follow up. Verranno illustrati 3 casi clinici con relativo iter, due con esito fausto ed uno infausto. Ciascuno di questi sarà corredato da descrizione clinica, esame radiografico ed ecografico, esami di laboratorio completi, descrizione della tecnica chirurgica, descrizione istologica del lobo e follow up. A causa della grave anemia presente in un caso, è stato necessario ricorrere anche ad una trasfusione ematica subito prima della chirurgia. La prognosi per gli animali in cui la diagnosi è effettuata precocemente e che quindi vengono sottoposti a terapia chirurgica immediata, è fausta ed eccellente. BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
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- Clinical Techniques: Successful Managemet of Liver Lobe Torsion in a Domestic Rabbit (Oryctolagus cuniculus) by Surgical Lobectomy. Taylor H. R., Staff C. D. Journal of Exotic Pet Medicine, Vol 16, No 3 (July), (2007), pp 175-178
- Liver lobe torsion in three adult rabbits. Wenger S., Barrett EL, Pearson GR, et al. J Sm Anim Pract. 50 (2009) pp 310-305
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Nuove strategie diagnostiche nella parassitologia degli animali non convenzionali
Prof. Giuseppe Cringoli
Unità di Parassitologia e Malattie Parassitarie,
Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali,
Università degli Studi di Napoli Federico II, Via della Veterinaria, 1, 80137 Napoli
Negli ultimi anni, anche nei Paesi occidentali si è assistito ad un notevole incremento della presenza
degli animali “esotici e non convenzionali” ed alla sempre più ampia diffusione di queste specie
come “pets”.
Tuttavia, le conoscenze dei medici veterinari a riguardo dei problemi sanitari ed in particolare delle
parassitosi, non sembrano ancora rispondere in maniera adeguata alle necessità, anche a causa della
carenza ed incompletezza della letteratura scientifica in questo contesto. Sono ancora limitati gli
studi sulla fauna parassitologica di questi animali e sono lacunose le notizie circa l’identificazione
di alcune specie parassite rinvenute, che restano ancora “senza nome”.
Un’ulteriore difficoltà è legata al fatto che le feci di questi animali contengono spesso pollini,
nonché uova di ecto ed endoparassiti (pseudoparassiti) degli animali utilizzati come alimento, che
pertanto possono fuorviare una corretta interpretazione dei risultati di un esame parassitologico.
In tutti i casi, va pima di tutto ribadito che anche nel campo della parassitologia una diagnosi di
qualità richiede l’utilizzo di tecniche di elevata sensibilità, specificità, accuratezza, precisione,
riproducibilità e capacità di identificare rapidamente gli elementi parassitari.
L’esame copromicroscopico è a tutt’oggi l’approccio diagnostico maggiormente utilizzato per la
diagnosi parassitologica sia in medicina veterinaria che in medicina umana. Esso si avvale di
tecniche qualitative e tecniche quantitative. Nello specifico, le prime sono finalizzate alla messa in
evidenza degli elementi parassitari presenti nei campioni di feci (uova, larve, oocisti e cisti - EP), le
seconde (Faecal Egg Count - FEC) consentono anche la conta degli EP, espressa poi come uova per
grammo di feci (UPG), larve per grammo di feci (LPG), oocisti per grammo di feci (OPG) e cisti
per grammo di feci (CPG).
Presso i laboratori dell’Unità di Parassitologia e Malattie Parassitarie del Dipartimento di Medicina
Veterinaria e Produzioni Animali dell’ Università degli Studi di Napoli Federico II, sono state
messe a punto le tecniche FLOTAC e le tecniche Mini-FLOTAC, nuove tecniche
copromicroscopiche quali-quantitative multivalenti, altamente sensibili, precise ed accurate per una
diagnosi di qualità delle infezioni parassitarie degli animali e dell’uomo (Cringoli et al., 2010;
Cringoli et al., 2013). Queste tecniche presentano anche il vantaggio di poter essere eseguite sia su
campioni di feci fresche che su campioni fissati (e.g. formalina 5%). La possibilità di poter lavorare
su campioni fissati consente una migliore programmazione delle attività di laboratorio e,
soprattutto, garantisce la sicurezza del personale esposto ad eventuali rischi sanitari legati alla
presenza di elementi infettanti (virus, batteri, protozoi, ecc) nei campioni di feci fresche.
Le tecniche FLOTAC (basic, dual, double e pellet\) si basano sull’utilizzo del FLOTAC, un
apparato di forma circolare che si compone di tre elementi: base, disco di traslazione e disco di
lettura che, nell’insieme, delimitano due camere di flottazione di 5 ml cadauna (volume totale = 10
ml) e che permettono un ingrandimento massimo di 400x. Su ogni camera di flottazione è inciso un
reticolo di lettura 18x18 mm. Alcuni accessori (vite, chiavetta, fondo, adattatore per centrifuga ed
adattatore per microscopio) sono a corredo del FLOTAC, necessari per la fase di centrifugazione
(tutte le tecniche FLOTAC prevedono una fase di centrifugazione) ed il successivo esame al
microscopio.
La FLOTAC basic technique prevede, durante l’esame del campione, l’utilizzo di una sola
soluzione flottante (SF), la più efficiente per l’EP di interesse. Questa tecnica, di elevata sensibilità,
è particolarmente indicata per la messa in evidenza e per la enumerazione di livelli bassi o molto
bassi di EP di una sola specie parassita (infezioni monospecifiche naturali o sperimentali) o di EP di
parassiti differenti, ma che hanno lo stesso comportamento (in termini di flottazione) nei riguardi
della SF scelta. Con questa tecnica, la sensibilità analitica è pari a 1 UPG/LPG/OPG/CPG.
La FLOTAC dual technique prevede l’impiego di 2 SF complementari (in termini di peso specifico
e/o capacità flottante), utilizzate in parallelo sullo stesso campione di feci. Questa tecnica è
particolarmente indicata per screening diagnostici e per studi epidemiologici con campioni
contenenti EP appartenenti a specie e/o generi parassitari diversi per i quali sono necessarie SF
differenti, che facciano affiorare con la massima efficienza gli EP di interesse. Con questa tecnica
la sensibilità analitica è pari a 2 UPG/LPG/OPG/CPG.
La FLOTAC double technique prevede l’esame in parallelo di due campioni diversi provenienti da
due soggetti differenti utilizzando uno stesso FLOTAC, destinando una camera di flottazione ad un
campione e l’altra camera di flottazione all’altro campione e utilizzando la stessa SF. Con questa
tecnica la sensibilità analitica è pari a 2 UPG/LPG/OPG/CPG.
Le FLOTAC pellet techniques - Le tecniche FLOTAC di cui sopra partono da un campione di feci a
peso noto; le tecniche pellet sono state sviluppate per campioni di feci fresche o fissate, il cui peso
di partenza (o all’interno del fissativo) non è noto, situazione che si verifica frequentemente nella
routine diagnostica o in caso di indagini epidemiologiche, dove non sempre è possibile pesare il
campione. In questo caso, un peso di riferimento standardizzato è il “pellet” ottenuto dopo
filtrazione e centrifugazione di un’aliquota misurata del campione di partenza.
Le tecniche FLOTAC sono state ampiamente validate e standardizzate per la diagnosi
parassitologica in campo medico veterinario e medico.
In particolare, la FLOTAC dual technique (adoperando in parallelo due soluzioni flottanti: SF2 - a
base di sodio cloruro, con densità pari a 1.200 ed SF7 - a base di zinco solfato, con densità pari a
1.350) è stata utilizzata per la diagnosi in diversi animali esotici e non convenzionali: rettili (i.e.
tartarughe, serpenti, sauri) (Rinaldi et al., 2012; Dipineto et al., 2012), mammiferi dello zoo
(Maesano et al., 2014) e roditori pets (i.e. guinea pig, scoiattoli, criceti, cincillà, ratti, topi, furetti)
(d’Ovidio et al., 2014a; d’Ovidio et al., 2014b; d’Ovidio et al., 2015a; d’Ovidio et al., 2015b).
Il Mini-FLOTAC è un’evoluzione delle tecniche FLOTAC, per effettuare FEC multivalenti in
laboratori con risorse limitate (i.e. dove non è disponibile la centrifuga).
Il Mini-FLOTAC è composto da due elementi: base e disco di lettura, che, nell’insieme, delimitano
due camere di flottazione di 1 ml cadauna (volume totale = 2 ml) e che permettono un
ingrandimento massimo di 400x. Su ogni camera di flottazione è inciso un reticolo di lettura 18x18
mm, come per il FLOTAC. Il Mini-FLOTAC è inoltre dotato di due accessori: chiavetta, necessaria
per la traslazione dell’apparato e l’adattatore per microscopio. Le tecniche Mini-FLOTAC (fresh
faeces e fixed faeces), non necessitano della centrifugazione e si suggerisce l’utilizzo combinato con
il Fill-FLOTAC che facilita le prime quattro fasi delle tecniche: prelievo e misurazione del
campione, omogeneizzazione, filtrazione e riempimento del Mini-FLOTAC.
Il Fill-FLOTAC è un kit composto da un bicchiere graduato, un coperchio con filtro e un’asta con
cono raccoglitore/omogeneizzatore. Vi sono due versioni del Fill-FLOTAC: Fill 2, che permette di
analizzare 2g di feci, viene suggerito per i campioni di cani, gatti, animali esotici, non
convenzionali e uomo e Fill 5, che permette di analizzare 5g di feci e viene suggerito per gli
erbivori. Il Fill-FLOTAC è un sistema chiuso, disegnato principalmente per la sicurezza
dell’operatore, riducendo al minimo il contatto con il campione di feci fresche o fissate.
Ad oggi, le tecniche Mini-FLOTAC sono state utilizzate e validate per la diagnosi dei più comuni
parassiti dell’uomo (Barda et al., 2013a, b, c; Assefa et al., 2014; Barda et al., 2014a, b; Nikolay et
al., 2014; Smith et al., 2015; Barda et al., 2015; Benjamin-Chung et al., 2015) e del cane (Maurelli
et al., 2014; Lima et al., 2015), di Toxoplasma nei gatti (Djokic et al., 2014), di strongili
gastrointestinali negli ovini (Rinaldi et al., 2014; Godber et al., 2015), di Eimeria nelle capre (Silva
et al., 2013), di Calicophoron daubneyi nei bovini (Malrait et al., 2015) e di Parascaris nei cavalli
(Donoghue et al., 2015). Il Mini-FLOTAC è stato utilizzato anche per la diagnosi del lievito
Macrorhabdus ornithogaster negli uccelli (Borrelli et al., 2015).
Studi preliminari, non ancora pubblicati, effettuati su animali esotici e non convenzionali, hanno
evidenziato un’elevata sensibilità, accuratezza e precisione delle tecniche Mini-FLOTAC e
un’ottima alternativa diagnostica in ambulatori e laboratori non equipaggiati con centrifuga per
l’utilizzo delle tecniche FLOTAC.
Per ulteriori informazioni in merito alle tecniche FLOTAC e Mini-FLOTAC consultare il sito
www.parassitologia.unina.it.
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LINFOMA MULTICENTRICO LEUCEMICO IN UNA MORELIA VIRIDIS TRATTATO CON
PREDNISOLONE E L-ASPARAGINASI
Emanuele Lubian, DVM 1,4, Diana Binanti, DVM, PhD, ECVP 2, Vincenzo Montinaro, DVM 3, Michele Benedetto, DVM 4, Massimo
Millefanti, DVM 1 1 Freelance, Ambulatorio veterinario, Gaggiano, Italy 2 Pathologist, AbLab srls, Sarzana, Italy 3 Freelance, CVN Srl, Nerviano, Italy 4 Freelance, Clinica Veterinaria Città di Vigevano, Vigevano, Italy
Il presente studio descrive l’approccio clinico, la terapia, gli esami macroscopici e microscopici in un caso di
linfoma leucemico con una massa timica primaria in una Morelia viridis.
Una femmina di Morelia viridis, captive-bred, di 4 anni e 620 g di peso, è stata portata a visita per un
inspessimento del corpo nella regione cardiaca insorto nei pochi giorni antecedenti. Non riuscendo a valutare
la presenza dell’itto cardiaco in questa regione non è stata imputata al cuore la causa dell’ispessimento, d’altro
canto l’itto stesso non era percepibile in altri segmenti corporei. Per tale ragione è stata effettuata l’ecografia
della regione per definire la natura dell’organo aumentato di volume, essa ha rilevato la presenza di una lesione
nodulare posta cranio ventralmente al cuore (impedendone perciò la percezione dell’itto dall’esterno). Tale
lesione aveva dimensioni di 6,11 cm di lunghezza; 3,33 cm di larghezza e 4,29 cm di profondità (misurazione
effettuata dalla colonna vertebrale vista l’impossibilità di poter misurare la massa dall’interno). L’analisi
citologica, effettuata dopo prelievo eco-guidato ha rilevato la presenza di una popolazione monomorfica di
cellule rotondeggianti, con elevato rapporto nucleo/citoplasmatico, citoplasma leggermente eosinofilo, nucleo
da rotondo ad ovalare, con nucleolo centrale spesso evidente, non erano visibili mitosi nei campioni analizzati;
tale lesione era quindi compatibile con linfoma. L’esame del sangue invece ha mostrato un notevole
incremento delle cellule della linea bianca (leucocitosi) caratterizzata da leggera eterofilia e marcata linfocitosi,
circa 80 x 103/mm2 (non esistendo valori di riferimento in letteratura relativi alla specie in questione si è
considerato quelli di specie simili, e, nei boidae, a seconda della specie, il valore normale può variare da circa
0,5-353/mm2), tali cellule linfoidi mostravano caratteristiche molto simili a quelle riscontrate nella massa
principale. I restanti valori ematochimici (sono stati analizzati AST, BA, CK, UA, Glu, Ca, Fos, TP, Alb, Glob,
K, Na) erano completamente nella norma. E’ stata così emessa la diagnosi di linfoma leucemico. Nei pochi
giorni successivi, in attesa di definire l’eventuale approccio terapeutico, sono comparsi una serie di noduli
cutanei diffusi su tutto il corpo; l’analisi citologica degli stessi ha mostrato la stessa popolazione cellulare
presente nella massa primaria.
Basandosi sulla scarsa bibliografia presente è stata inizialmente impostata una terapia a base di prednisolone
2 mg/kg IM q24h e, una settimana dopo, una singola iniezione di L-asparaginasi 400 U/kg IM, pensando
eventualmente di aggiungere in seguito anche la lomustina impostando un protocollo terapeutico simile a
quello utilizzato per cani e gatti. Prima e durante la terapia la massa principale (quella localizzata nell’area
cardiaca) è stata misurata più volte a distanza di 4-7 giorni per monitorare meglio la sua eventuale riduzione.
In questo periodo sono stati anche raccolti 2 prelievi ematici (per ematologia ed ematochimica) per valutare
l’eventuale sofferenza organica dovuta alla terapia; i prelievi sono stati entrambi cardiaci e la valutazione
emocromocitometrica è stata effettuata tramite valutazione dello striscio ematico e conta con camera di
Neubauer, mentre l’ematochimica è stata fatta usando Vetscan Abaxis.
Dopo un mese dall’inizio della terapia si è verificato un prolasso cloacale, il quale è stato riposizionato più
volte ma con continue recidive. Nel frattempo l’animale ha manifestato una grave stomatite. Per queste ragioni
è stata incominciata una terapia con enrofloxacina 10 mg/kg IM q24h.
La misurazione della massa principale ha mostrato un continuo cambiamento nelle dimensioni caratterizzato
comunque da una progressiva diminuzione del volume. Relativamente alle analisi ematiche il riscontro
emocromocitometrico è stato differente rispetto a quello ematochimico: l’ematocrito è progressivamente sceso
da un valore di circa 11 x 106 /mm2 fino a 5 x 106 /mm2, la notevole presenza di reticolociti soprattutto nello
stadio terminale della patologia è comunque segno che l’anemia fosse rigenerativa, la conta della linea bianca
invece è gravemente salita da circa 80 x 103/mm2 fino a 500 x 103/mm2; l’ematochimico ha mostrato un
notevole squilibrio elettrolitico nel prelievo effettuato ad un mese dall’inizio della terapia (durante il prolasso),
caratterizzato da severa iponatriemia, severa iperkaliemia e leggera ipocalcemia (sempre considerando valori
di riferimento relativi ad altri boidae), rientrati nella norma col prelievo effettuato prima dell’eutanasia, anche
la AST era notevolmente aumentata fino ad un valore di 207 U/L nel prelievo effettuato ad un mese dall’inizio
della terapia per poi tornare a 16 U/L con l’ultimo esame effettuato; gli altri valori analizzati (PT, Alb, Glob,
Fos, CK, Glu) sono sempre risultati nella norma.
Nonostante, dopo due mesi di terapia, la massa principale fosse diminuita (6,18 cm di lunghezza; 3,15 cm di
larghezza e 3,68 cm di profondità), le restanti masse fossero scomparse e i valori ematochimici fossero rientrati
nella norma, a causa dell’eccessiva perdita di peso, del peggioramento dei segni clinici e dei valori ematologici,
l’animale è stato sottoposto ad eutanasia in accordo col proprietario.
L’esame autoptico ha mostrato in primis una grossa massa biancastra localizzata molto vicino al cuore che
avvolgeva sia l’esofago che la trachea, tale massa che comprimeva il cuore, era localizzata nell’area timica.
Sia i reni che la milza si presentavano enormemente ingranditi e biancastri. Un segmento di intestino risultava
invaginato per una lunghezza approssimativa di 10 cm, la sezione della parete intestinale si mostrava circa
dieci volte più spessa rispetto alla norma e biancastra, con evidente perdita dell’architettura. Fegato e polmoni
risultavano estremamente iperemici anche se non mostravano alterazioni macroscopiche di rilievo. Sono stati
raccolti campioni da tutti gli organi per l’esame istologico, inclusi sistema nervoso centrale e midollo osseo
dopo che testa e vertebre sono state poste nel decalcificatore.
L’esame istologico ha evidenziato che la massa principale era riconducibile al timo, il quale risultava
completamente sostituito dalla lesione neoplastica, non capsulata e non demarcata a crescita infiltrante,
densamente cellulare, formata da cellule rotonde. La neoplasia circondava e comprimeva la trachea e l’esofago,
infiltrandone la parete, non più riconoscibile con eccezione dell’epitelio di rivestimento; la neoplasia infiltrava
inoltre abbondantemente il tessuto adiposo periferico. Anche la parete cardiaca era multifocalmente infiltrata
da cellule dalla massa neoplastica la quale risultava parzialmente adesa alla sua superficie craniale. I polmoni
mostravano un’architettura completamente sovvertita dalla neoplasia descritta; si osservavano aggregati di
cellule rotonde a livello interstiziale e perivascolare; il restante parenchima era marcatamente iperemico.
Anche a livello splenico il parenchima era completamente sostituito da una distesa di cellule rotonde con
caratteristiche sovrapponibili a quelle descritte nella massa principale, vi erano inoltre aree di necrosi ed
emorragie multifocali. Il parenchima epatico risultava anch’esso diffusamente iperemico e caratterizzato da
reperti degenerativi con epatociti con citoplasma ricco di vacuoli otticamente vuoti, sono inoltre presenti
cellule infiammatorie costituite da granulociti eterofili, linfociti ed un minor numero di macrofagi, frammisti
a materiale necrotico. A livello gastrico è mantenuta l’architettura e la stratigrafia sebbene vi siano focolai
aggregati di cellule rotonde neoplastiche che infiltrano la lamina propria. A livello intestinale si osserva come
la parete di entrambi i segmenti invaginati è completamente sostituita da una distesa di cellule rotonde (con
aspetto corrispondente a quello della massa principale) che infiltrano e sostituiscono la tonaca mucosa,
sottomucosa e muscolare, raggiungendo il versante sieroso dell’organo. Il pancreas mostrava marcati reperti
autolitici con focali aggregati di cellule rotonde che infiltrano il parenchima dell’organo. Entrambi i reni
mostravano parenchima infiltrato dalle medesime cellule della massa principale, le quali separavano
marcatamente anche i tubuli e i glomeruli renali. A livello cutaneo erano diffusamente presenti degli aggregati
nodulari nel tessuto muscolare a margini sfumati ed infiltranti formati da cellule rotonde neoplastiche
frammiste a detrito necrotico e granulociti eterofili. Infine, le cellule neoplastiche linfoidi infiltravano
abbondantemente e multifocalmente la muscolatura scheletrica paravertebrale ed il cavo vertebrale. A livello
encefalico invece non si osservano cellule neoplastiche.
Contrariamente ad altri studi precedentemente effettuati su altri boidi tale animale non mostrava corpi inclusi
in nessuno dei campioni analizzati.
L’esame anatomopatologico ha così dimostrato la presenza di una neoplasia linfoide diffusa con probabile
massa primaria nella regione timica che ha interessato reni, milza, trachea, polmoni, esofago, stomaco,
intestino, midollo osseo, cute e muscolatura scheletrica. La diagnosi finale è di linfoma leucemico con
diffusione sistemica. Purtroppo però non è stato tuttavia possibile individuare, sulla sola base istopatologia,
l’origine primaria della neoplasia e quindi discernere tra un linfoma leucemico con coinvolgimento secondario
del midollo (che resta comunque il sospetto principale) o una leucemia primaria.
Come conclusione va sottolineato che le lesioni neoplastiche nei serpenti sono rare, però tra queste il linfoma
è quello più riportato. Tuttavia le descrizioni di un possibile approccio terapeutico sono estremamente rare in
letteratura veterinaria. Purtroppo tale caso clinico non essendo andato a buon fine non fornisce una soluzione
terapeutica sicura a questa patologia, tale soluzione è stata segnalata come valida in corso di lesioni simili nei
rettili ma non vi sono studi in questa classe di animali che dimostrino la reale efficacia. Invece l’associazione
di prednisolone ed L-asparaginasi è una soluzione spesso utilizzata in altri animali domestici convenzionali
per il trattamento del linfoma e ha dimostrato dei buoni risultati; lo stesso varrebbe per la lomustina, farmaco
che in questo caso non è stato utilizzato visti i valori molto alterati del prelievo ad un mese di distanza, quando
era prevista la sua somministrazione. In ogni caso questo caso clinico può essere utilizzato come punto di
partenza per valutare eventuali approcci terapeutici per questa patologia.
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Relatori e moderatori
Alberto Acosta Ojeda
Laureto nel 2003 in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università Agraria dell’Avana
(Cuba), con una tesi sulla Clinica e Patologia Aviaria. Dal 2003 al 2005 ha frequentato un Master su Produzione e
Nutrizione Animale. Nel 2008 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca presso La facoltà Di Medicina Veterinaria
dell’Università Agraria dell’Avana con una tesi sul Metabolismo Minerale in Medicina Aviaria. Nel corso del dottorato
(2005-2008) ha trascorso un periodo di perfezionamento di 11 mesi presso il dipartimento di Biotecnologie
dell’Università di Vienna (IFA, Tulln). Dal 2008 al 2010 ha lavorato come ricercatore presso il Dipartimento di Nutrizione
Animale degli Animali Monogastrici dell’Istituto di Scienza Animale (ICA, Cuba). Nel 2015 ha ottenuto il
Riconoscimento della laurea in Medicina Veterinaria in Italia e si è iscritto all’Albo dell’Ordine dei Medici Veterinari
della Provincia di Roma. Dal 2015 svolge attività di Libero Professionista presso la “Clinica Veterinaria Roma Sud” nel
settore della Clinica e Chirurgia degli Animali Esotici. Le sue principali attività cliniche e scientifiche sono legate alla
nutrizione clinica e alla medicina interna (gastroenterologia) degli animali non convenzionali.
Susanna Censi
Medico Veterinario, DVM. Laureata a pieni voti in Medicina Veterinaria nel 2008 presso l’Università degli Studi di
Milano con tesi sperimentale “Il lama nell’altopiano Andino: analisi dei fattori che influenzano il peso alla nascita.” Tesi
elaborata in campo ad Arequipa (Perù). Nel 2005 conclude un periodo all’estero di 12 mesi presso l’Università
Autonoma di Barcellona come studente – progetto Erasmus. Nel 2010 diventa socia dell’Ambulatorio Veterinario
Brembo a Brembate (BG) e dal 2014 riveste al suo interno il ruolo di Direttore Sanitario. Collabora con ambulatori e
cliniche veterinarie di Bergamo e provincia, occupandosi di medicina degli animali non convenzionali. Dal 2009 è socio
SIVAE partecipando a diversi corsi e congressi. Frequenta da vari anni l’Ambulatorio Veterinario dei dott. Ferlini,
Granata e Millefanti a Gaggiano (MI) applicandosi nella pratica della medicina e chirurgia degli animali non
convenzionali.
Biagio Chianese
Si laurea con lode all'Università Federico II di Napoli nel 2012. Fin da subito dimostra uno spiccato interesse per gli
animali esotici e selvatici e per la neurologia. Ha partecipato a vari congressi nazionali ed internazionali ed a
workshops sotto la guida della dott.ssa Anna Meredith ( Dipl. ECZM Small mammals). Nel 2013 svolge attività di
Tirocinio Specialistico presso il reparto di Neurologia e Neurochirurgia della Clinica Veterinaria Roma Sud, con il dott.
D. Corlazzoli (Dipl. ECVN) e nel 2014 svolge un periodo di studio presso il dipartimento di Neurologia e Neurochirugia
della Small Animal Clinic all'Animal Health Trust in UK sotto la supervisione della dott.ssa L. De Risio ( Dipl. ECVN).
Successivamente ha lavorato come medico di pronto soccorso e come referente per la medicina e la chirurgia degli
animali esotici presso varie strutture di Napoli. È Membro dell' ESVN, SCIVAC e della SIVAE di cui è stato assistente di
corso. Da giugno 2014 lavora presso l'Ospedale Veterinario Santa Chiara dove ricopre il ruolo di medico di pronto
soccorso e referente per la Medicina e Chirurgia degli animali esotici. E’ specialista in Malattie Infettive, Profilassi e
Polizia Veterinaria. Attualmente è impegnato per conseguire il GPcert in Exotic Animal Practice.
Elena Circella
Laurea in Medicina Veterinaria (106/110) presso l’Università di Bari. Dottorato di Ricerca in Patologia Aviare, del
Coniglio e della Selvaggina (2000) presso l’Università di Perugia. Specializzazione in Tecnologia e Patologia delle
specie avicole, del coniglio e della selvaggina (50/50) (2002) e in Biochimica marina e Biotecnologie applicate
all’acquacoltura (47/50) (2005) presso l’Università di Bari. Professore di Patologia Aviare presso la Facoltà di Medicina
Veterinaria dell’Università di Teramo (2000-2002). Dal 2005 Ricercatore e dal 2008 Professore aggregato presso
l’Università di Bari. Docente di Patologia del coniglio nel corso di Medicina Veterinaria. Docente del Dottorato di
ricerca in Patologia e Sanità animale. Docente della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive, Profilassi e Polizia
Veterinaria e della Scuola di Specializzazione in Tecnologia e Patologia delle Specie Avicole, del Coniglio e della
Selvaggina. Relatore di tesi di Laurea, Dottorato e Specializzazione. Vincitrice Premio della Società Italiana di Patologia
Aviare (SIPA), per il miglior lavoro scientifico di virologia (2006). Autore/coautore di pubblicazioni scientifiche su libri,
riviste nazionali ed internazionali e relatore a congressi nazionali ed internazionali.
Giuseppe Cringoli, Prof, Dipl EVPC, Napoli
Giuseppe Cringoli è Professore Ordinario di Parassitologia e Malattie Parassitarie degli Animali presso il Dipartimento
di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Università degli Studi di Napoli Federico II. Dal 2001 è Direttore del
Centro Regionale per il Monitoraggio delle Parassitosi (Regione Campania), dal 2006 è Diplomate dell’European
Veterinary Parasitology College (EVPC). Dal 2012 è coordinatore del Coordinatore del Corso di Dottorato di Ricerca in
“Scienze Veterinarie” dell’Università Federico II. I principali interessi scientifici riguardano la epidemiologia, la diagnosi
ed il controllo di protozoi, elminti ed artropodi di interesse veterinario. E’ inventore del FLOTAC, Mini-FLOTAC e Fill-
FLOTAC. E’ referee di numerose riviste internazionali e cofondatore (nonché membro dell’editorial board) della Rivista
Scientifica Internazionale Geospatial Health. E’ stato Responsabile Scientifico di Unità di Ricerca di Progetti di Rilevanza
Internazionale e coordinatore e/o Responsabile Scientifico di Unità di Ricerca di Progetti di Rilevanza Nazionale. La
produzione scientifica consta di circa 750 lavori, pubblicati su riviste scientifiche nazionali ed internazionali e/o
presentati a congressi nazionali e internazionali, oltre che capitoli di libri.
Gianluca Deli, Med Vet
Laureatosi presso l’Università di Perugia, con una tesi sperimentale dal titolo “La Cryptosporidiosi nei rettili”, si è da
subito occupato di animali non convenzionali. Ha frequentato alcune delle principali cliniche veterinarie italiane che si
occupano della cura di questi animali. Socio SIVAE dal 2009, di cui è il Delegato per l’Umbria, svolge attività di libero
professionista come referente per gli animali non convenzionali presso: Centro Veterinario Gregorio VII (Roma), Clinica
Veterinaria Zoospedale Flaminio (Roma), Ambulatorio Veterinario Santa Lucia (Perugia). Collabora attivamente con la
facoltà di Medicina Veterinaria di Perugia partecipando alla stesura di lavori scientifici e come correlatore di Tesi di
Laurea; ha organizzato diversi seminari sempre nell'ambito dei non convenzionali. È autore di diversi articoli pubblicati
su alcune riviste divulgative. Ha completato l’Itinerario Didattico SIVAE 2009-2011. Ha conseguito il diploma a seguito
del completamento dell’Itinerario Didattico (accreditato ESVPS) SIVAE/SCIVAC: GPCert in Exotic Animal Practice.
Accreditato FNOVI per "Medicina dei piccoli mammiferi" e “Medicina e Chirurgia di Rettili e Anfibi”. Ha svolto attività
clinico-medica presso la Tufts University, la UGA e Maisons-Alfort. Socio AEMV, AVULP, SivasZoo.
Nicola Di Girolamo, Med Ved
Nicola Di Girolamo è resident dello European College of Zoological Medicine presso la Clinica per Animali Esotici ed
editore associato di BMC Veterinary Research. Svolge attualmente un dottorato in Scienze Veterinarie all’università di
Bologna. Nel 2014 ha conseguito un master all’università di Oxford in medicina basata sull’evidenza. È autore di una
quarantina di pubblicazioni su riviste internazionali peer-reviewed. È co-chair del comitato per l'educazione dell'ARAV
e delegato italiano del comitato internazionale. Si interessa nell'applicazione della medicina basata sull'evidenza in
veterinaria.
Elizabet Fernandez Palomares
Elízabet Fernández Palomares Veterinaria Col n 756 COVIB. Laureata in Medicina Veterinaria per la Facolta di Cordoba
(Spagna) a Gennaio 2007. Erasmus e Free Mover a la Facolta Veterinaria di Parma ( 2004-2006) Ha lavorato per diverse
Cliniche , Ospedali veterinari e centri veterinari offrendo i suoi servizi su animali esotici. Destacano: Clínica Exóticos
(Madrid), Hospital Aragó (Mallorca), Marineland ( Mallorca) e Hospital Veterinario Canis Mallorca (posto dove lavora
da quattro anni). Asistente a piu da quaranta corsi su animali esotici tanto in Spagna come in Italia. Relatrice in
Conferenze, Master e corsi vari per veterinari e assistenti veterinari. Articoli per riviste veterinarie spagnole.
Colaboratrice in programmi di radio. Master In Medicina e chirurgia sugli animali esotici. Inoltre é Coordinatora dei
“Master di Medicina e chirurgia sugli animali esotici, básico e avanzato” della dita “ Servet Oriental Formacion". Socia
GMCAE, SIVAE, AVIORNIS.
Antonio Filippi
Dott. Antonio Filippi Curriculum Vitae Si laurea in Medicina Veterinaria nel 2003 con la tesi sperimentale “L’uso del
Melengestrolo Acetato come metodo contraccettivo nelle scimmie” sviluppata durante una externship presso il Lincoln
Park Zoo di Chicago. Segue nel 2005 un periodo formativo presso il dr. Corlazzoli alla clinica Roma Sud e presso il dr.
Selleri alla clinica Veterinaria Caffarella. Dal 2006 svolge la libera professione in diverse strutture occupandosi
prevalentemente di chirurgia, ed in particolare di ortopedia e neurologia clinica e chirurgica. Partecipa a diversi
convegni e corsi nazionali ed internazionali. Dal 2008 collabora con la Clinica Veterinaria Santa Cecilia a Vicenza dove
affianca la Dr.ssa Sola nella gestione chirurgica degli animali esotici.
Federico Franchini
Federico Franchini Med Vet, Padova Laureato con lode presso l’Università degli Studi di Padova nel settembre 2014
con tesi di laurea sullo studio di alcune malattie infettive dei cinghiali del Parco Colli Euganei. Subito dopo
l’abilitazione professionale inizia un tirocinio formativo presso la Clinica Veterinaria Euganea, Monselice (PD), del dott.
Bedin, con particolare interesse nella medicina e chirurgia degli Animali Esotici e Non Convenzionali. Da maggio 2015
diventa collaboratore presso la Clinica Veterinaria Euganea.
Alessandro Guerra
laureato nel 2003 presso l'Università di Parma, si interessa fin da subito della clinica degli animali esotici e delle specie
non convenzionali. lavora dal 2004 presso le Cliniche Veterinarie Arcella di Padova e Sirio di Vicenza dove si occupa
esclusivamente di Medicina, Chirurgia e Endoscopia degli animali non convenzionali. collabora con AAE (Associazione
Animali Esotici) e altre associazioni poste a tutela delle specie non convenzionali, occasionalmente collabora come
consulente per il Corpo Forestale dello Stato ha svolto attività di consulenza e formazione del personale presso
aziende e pet-shop con l'obbiettivo di divulgare le conoscenze sulla corretta gestione, profilassi e alimentazione delle
specie esotiche.
Emanuele Lubian, Med Vet
Lubian Emanuele si laurea a Milano nel 2010 in Medicina Veterinaria con voto 110/110 e tesi dal titolo “Composizione
microbiologica cloacale in T. hermanni sane e con cloacite”; da allora dedica principalmente la sua attività alla cura
degli animali esotici e selvatici. Ha svolto periodi di tirocinio presso strutture specializzate in medicina di animali non
convenzionali, ha partecipato a numerosi congressi dedicati alla medicina veterinaria e alle scienze naturali, ha
collaborato a progetti di divulgazione scientifica e di tutela ambientale, svolgendo anche il ruolo di relatore a
conferenze nazionali ed internazionali. Nel 2015 ha ottenuto il GPCert in Exotic Animal Practice. E’ autore del libro
“Gechi nani” pubblicato da Testudo Edizioni nel 2013. Attualmente lavora in diverse cliniche e ambulatori e come free
lance dedicandosi per lo più alla medicina degli animali esotici, è impegnato nella stesura del libro “Urodeli” e occupa
il ruolo di direttore sanitario presso il centro di recupero della fauna selvatica LIPU di Magenta.
Riccardo Mancini
Dott. Riccardo Mancini, Medico Veterinario iscritto all’Ordine dei Medici Veterinari della Provincia di Bologna n°1762.
Nato a Lamezia Terme (Cz) il 10 gennaio 1985. Laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di
Bologna-ALMA MATER STUDIORUM, il 23 Ottobre 2012 discutendo una tesi dal titolo “Elementi traccia e parametri
ematobiochimici in Struthio camelus”. E' socio della SIVAE dal 2015. A febbraio 2013 è stato vincitore di una borsa di
studio dal titolo:”studio dell’efficacia della terapia antiendotossica nel paziente equino ricoverato”, presso l’Università
degli Studi di Bologna-ALMA MATER STUDIORUM. Fin dall’inizio della propria carriera ha sviluppato particolare
interesse per la medicina e la chirurgia degli animali esotici, selvatici e da zoo, diventando autore di pubblicazioni di
interesse nazionale ed internazionale. Specializzato in Tecnologia e Patologia delle Specie Avicole, del Coniglio e della
Selvaggina presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Giordano Nardini, Med Vet
Laureato a Bologna nell’Aprile 2004. E' presidente della SIVAE dal 2014. Diplomato ECZM (subspecialità Herpetology).
Socio fondatore della Clinica Veterinaria MODENA SUD a Spilamberto (MO), dove è responsabile della Medicina e
Chirurgia degli animali esotici. Dottore di ricerca in Morfofisiologia e Patologia Veterinaria presso l’Università degli
Studi Bologna. Membro del Comitato Internazionale dell’ARAV. Relatore a corsi e congressi nazionali ed internazionali
sulla medicina e chirurgia degli animali esotici. Autore di pubblicazioni di interesse nazionale ed internazionale sulla
medicina degli animali esotici. Svolge attività di consulenza per parchi e centri di recupero. E' stato Professore a
contratto presso l’Università degli Studi di Teramo - Corso di Laurea in Tutela e Benessere Animale.
Daniele Petrini
Si laurea con lode nel 2008 presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa con una tesi sperimentale dal titolo:
“Iperadrenocorticismo nel furetto (Mustela putorius furo)”. Sin dai primi anni dell’università frequenta cliniche per
piccoli animali occupandosi prevalentemente della medicina e chirurgia degli animali non convenzionali. Partecipa a
numerosi congressi e corsi in Italia e all’estero ed è relatore abituale in seminari nazionali ed internazionali riguardanti
la medicina degli animali esotici.Lavora come freelance in Toscana occupandosi esclusivamente di medicina e chirurga
degli animali esotici, anestesia e medicina d’urgenza con passione per i piccoli Mammiferi esotici. Dal 2013 è delegato
regionale SIVAE toscana. Nel 2015 consegue il titolo di General Practitioner in Exotic Animal Practice GPCert (ExAP).
Sta completando un master universitario di II livello in ‘Anestesia e terapia del dolore degli animali da compagnia e dei
non convenzionali’ presso l’ateneo pisano.
Silvia Preziuso
Silvia Preziuso, DVM, PhD Laureata con lode in Medicina Veterinaria (1998) e in Scienze e Tecnologie delle Produzioni
Animali (2004) presso l’Università di Pisa, consegue il Dottorato di Ricerca (2002) svolgendo parte del proprio progetto
presso la Colorado State University (USA). Dal 2005 è ricercatore presso l’Università di Camerino nel settore scientifico
disciplinare “Malattie infettive degli animali domestici”. L’attività di studio e ricerca comprende prevalentemente
l’epidemiologia, la tipizzazione e l’identificazione degli agenti infettivi degli animali mediante tecniche di biologia
molecolare. Dal 2009 si occupa della messa a punto di metodi bio-molecolari per lo studio delle malattie infettive dei
rettili. Dal 2005 è titolare di vari insegnamenti universitari nell'ambito dei corsi di laurea e delle scuole di
specializzazione attivi presso l'Università di Camerino, tra cui “Malattie tropicali e degli animali esotici” e
“Microbiologia e virologia, tecniche e metodologie diagnostiche in microbiologia”. E' autore di oltre 100 pubblicazioni
scientifiche, prevalentemente internazionali, tra cui 25 articoli su riviste dotate di impact factor. Svolge attività di
volontariato nelle scuole primarie per la divulgazione della conoscenza sugli animali non convenzionali e selvatici.
Laura Rinaldi, As EVPC, Napoli
Laura Rinaldi, PhD in Veterinary Sciences, è Professore Associato di Parassitologia e Malattie Parassitarie degli Animali
presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Dal
2006 è Associate Member dell'European Veterinary Parasitology College. Nel 2013 ha conseguito la abilitazione
scientifica nazionale per il ruolo di Professore Ordinario per il settore concorsuale 07/H3. Da oltre 15 anni svolge
attività didattica inerente la Parassitologia Veterinaria e le Malattie Parassitarie presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II. La produzione scientifica consta di più di 300 lavori, pubblicati su riviste scientifiche nazionali ed
internazionali indicizzate e/o presentati a congressi nazionali e internazionali. I principali interessi scientifici riguardano
la epidemiologia, la diagnosi ed il controllo di protozoi, elminti ed artropodi di interesse veterinario. Nel 2011 ha vinto
il Premo Internazionale “Peter Nansen Young Scientist” conferitole dalla associazione scientifica mondiale WAAVP. Fa
parte del Management Commitee ed è Leader di numerosi progetti europei. E’ presidente della International Society
of Geospatial Health ed è Associate/Section editor/referee di numerose riviste internazionali.
Gaetano Daniele Vitolo
Si laurea a pieni voti, nel 2006 presso la facoltà di medicina veterinaria dell'Università degli studi di Milano con la tesi:
“indagine epidemiologica sulle zoonosi della volpe nella Valle d'Aran (Spagna)”. Inizia l'attività clinica occupandosi di
piccoli animali, prevalentemente di medicina interna e d'urgenza presso cliniche veterinarie 24h nel milanese. Si
avvicina così a gli animali esotici. Dal 2009 iscritto SIVAE, frequenta corsi, seminari ed inizia a lavorare con colleghi che
si occupano di medicina degli animali esotici tra cui il dott. Millefanti e il dott. Crosta. Dopo un periodo presso la
clinica veterinaria del Loro Parque di Tenerife inizia una collaborazione, stabilmente dal 2011, presso la Clinica
Veterinaria Turro del dott. Massimo d'Acierno dove ad oggi è socio titolare e direttore sanitario.