an introduction to philosophy

17
 Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Scienze dell’educazione Prof. LORENZO FOSSATI Corso di Storia della filosofia Materiali II LUCIA URBANI ULIVI Introduzi one alla filosofia Eupress Ftl, Lugano 2005, pp. 11-46. 1. Primi passi 1.1. Rivoluzione concettuale Se è vero, come dice Martin Heidegger 1 , e come hanno ripetuto anche diversi autori ed epigoni dell’esistenzialismo, che noi esseri umani siamo gettati nel mondo, occorre chiarire che cosa si in- tenda per gettatezza. Non va t anto intesa come il tono emozionale di estraneità o di angoscia che ac- compagna solo occasionalmente (tranne il caso di patologie psichiche) il vissuto emozionale quoti- diano, quanto come la consapevolezza che il mondo nel quale siamo nati e viviamo ha una storia passata e un futuro che vanno ben oltre i limiti della vita individuale, e che tale storia determina la attuale configurazione del mondo. I caratteri del mondo, inoltre, nella gran parte non sono oggetto della possibilità di intervento del singolo, il quale, trovandosi in una realtà precostituita, può a ra- gione dire di sentirsi gettato. Così inteso, lo heideggeriano siamo gettati non è poi tanto diverso da quel senso di meraviglia con cui per Aristotele 2  ha inizio l a filosofia. Provare un senso di meraviglia di fronte al mondo vuol dire uscire da una vita istintuale e irriflessa, vissuta in maniera per così dire automatizzata, e iniziare a prendere in considerazione il mondo come un oggetto fino a quel mo- mento adoperato, ma non conosciuto. Si scoprono problemi e questioni, si pongono domande che il vissuto naturale, ordinario, non metteva in luce: di qui il senso di stupore, e il desiderio di cercare risposte. La meraviglia è, dunque, la reazione emozionale di fronte alla complessità problematica del mondo che la nostra riflessione inizia a farci scorgere. Va da sé che il percorso filosofico deve dissipare la gettatezza o la meraviglia da cui prende le mos- se; per quanto la filosofia non possa né debba (vedremo perché) pretendere di risolvere ogni pro- blema concettuale, certamente da essa è giusto pretendere una capacità di orientamento e di com- prensione grazie a cui possiamo trovarci a nostro agio in un mondo non più estraneo, ma reso fami- liare dalla conoscenza. Già con questo primo passo ci allontaniamo da Heidegger, per il quale l’essere gettato è strutturale ed essenziale al nostro trovarci nel mondo ed è impossibile da dissipare con la conoscenza concettuale. Si è sopra osservato che il mondo nel quale come individui nasciamo ha un suo assetto, che lo ha plasmato attraverso la storia; esso ci viene trasmesso come bagaglio culturale e diventa in ognuno di noi l’accettazione del «si dice», «si pensa» così efficacemente messo in luce da Heidegger 3 . Diven- ta, per dirla con parole più semplici, quel senso comune, quel modo di pensare ordinario che ognu- no di noi possiede. Se sottoponiamo ad analisi filosofica tale senso comune, anche nelle differenti forme che assume a seconda delle diverse provenienze etniche, culturali, sociali, regionali, religiose, ecc., scopriamo che 1  M. HEIDEGGER, Sein und Zeit , Niemeyer, Halle 1927; tr. it. di P. C HIODI, Essere e tempo, UTET, Torino 1969, p. 227. Il soggetto, dice Heidegger, si sente gettato ( Geworfen) nel mondo in un modo radicalmente enigmatico, cioè incomprensibile. 2  ARISTOTELE, Metafisica, a cura di G. REALE, testo greco a fronte, Bompiani, Milano 2000, I, 982 b. 3  M. HEIDEGGER, Essere e tempo, p. 260.

Upload: francesco-brentano

Post on 07-Oct-2015

14 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

A philosophical essay on logic, truth and metaphisics

TRANSCRIPT

  • Facolt di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Scienze delleducazione

    Prof. LORENZO FOSSATI Corso di Storia della filosofia

    Materiali II

    LUCIA URBANI ULIVI Introduzione alla filosofia Eupress Ftl, Lugano 2005, pp. 11-46.

    1. Primi passi

    1.1. Rivoluzione concettuale Se vero, come dice Martin Heidegger1, e come hanno ripetuto anche diversi autori ed epigoni dellesistenzialismo, che noi esseri umani siamo gettati nel mondo, occorre chiarire che cosa si in-tenda per gettatezza. Non va tanto intesa come il tono emozionale di estraneit o di angoscia che ac-compagna solo occasionalmente (tranne il caso di patologie psichiche) il vissuto emozionale quoti-diano, quanto come la consapevolezza che il mondo nel quale siamo nati e viviamo ha una storia passata e un futuro che vanno ben oltre i limiti della vita individuale, e che tale storia determina la attuale configurazione del mondo. I caratteri del mondo, inoltre, nella gran parte non sono oggetto della possibilit di intervento del singolo, il quale, trovandosi in una realt precostituita, pu a ra-gione dire di sentirsi gettato. Cos inteso, lo heideggeriano siamo gettati non poi tanto diverso da quel senso di meraviglia con cui per Aristotele2 ha inizio la filosofia. Provare un senso di meraviglia di fronte al mondo vuol dire uscire da una vita istintuale e irriflessa, vissuta in maniera per cos dire automatizzata, e iniziare a prendere in considerazione il mondo come un oggetto fino a quel mo-mento adoperato, ma non conosciuto. Si scoprono problemi e questioni, si pongono domande che il vissuto naturale, ordinario, non metteva in luce: di qui il senso di stupore, e il desiderio di cercare risposte. La meraviglia , dunque, la reazione emozionale di fronte alla complessit problematica del mondo che la nostra riflessione inizia a farci scorgere. Va da s che il percorso filosofico deve dissipare la gettatezza o la meraviglia da cui prende le mos-se; per quanto la filosofia non possa n debba (vedremo perch) pretendere di risolvere ogni pro-blema concettuale, certamente da essa giusto pretendere una capacit di orientamento e di com-prensione grazie a cui possiamo trovarci a nostro agio in un mondo non pi estraneo, ma reso fami-liare dalla conoscenza. Gi con questo primo passo ci allontaniamo da Heidegger, per il quale lessere gettato strutturale ed essenziale al nostro trovarci nel mondo ed impossibile da dissipare con la conoscenza concettuale. Si sopra osservato che il mondo nel quale come individui nasciamo ha un suo assetto, che lo ha plasmato attraverso la storia; esso ci viene trasmesso come bagaglio culturale e diventa in ognuno di noi laccettazione del si dice, si pensa cos efficacemente messo in luce da Heidegger3. Diven-ta, per dirla con parole pi semplici, quel senso comune, quel modo di pensare ordinario che ognu-no di noi possiede. Se sottoponiamo ad analisi filosofica tale senso comune, anche nelle differenti forme che assume a seconda delle diverse provenienze etniche, culturali, sociali, regionali, religiose, ecc., scopriamo che

    1 M. HEIDEGGER, Sein und Zeit, Niemeyer, Halle 1927; tr. it. di P. CHIODI, Essere e tempo, UTET, Torino 1969, p. 227.

    Il soggetto, dice Heidegger, si sente gettato (Geworfen) nel mondo in un modo radicalmente enigmatico, cio incomprensibile. 2 ARISTOTELE, Metafisica, a cura di G. REALE, testo greco a fronte, Bompiani, Milano 2000, I, 982 b.

    3 M. HEIDEGGER, Essere e tempo, p. 260.

  • 2

    esso, ben lungi dallessere filosoficamente neutro, risulta invece pesantemente impregnato di una filosofia nascosta, criptica, che determina i nostri giudizi, le valutazioni, le affermazioni, le certez-ze, i dubbi, le scelte politiche, e cos via. Si tratta, come aveva in tempi non lontani osservato Ber-trand Russell4, di una conoscenza troppo sicura di s, vaga e contraddittoria, alla quale aderiamo senza esserne affatto consapevoli. In particolare, la cultura occidentale contemporanea, quella in cui viviamo, presenta forti sedimentazioni di tipo materialista e meccanicista; si tratta di uneredit filo-sofica dualista di ascendenza cartesiana, che oggi, dimenticatane per lo pi la derivazione filosofica, sentita in genere come un intoccabile stereotipo.

    ESEMPIO. Il pregiudizio materialistico e meccanicistico molto chiaro nel modo in cui consideria-mo il nostro corpo rispetto alle malattie. Andando dal medico entrambi, medico e paziente, conside-riamo il corpo come una macchina sofisticata e complessa le cui malattie vanno lette come inceppa-menti o alterazioni di tipo fisico. Gli interventi terapeutici hanno lo scopo di ripristinare la funziona-lit fisica, e sono considerati tanto pi efficaci quanto pi il sintomo esaminato isolatamente rispet-to al resto del corpo. Se ad esempio vogliamo curarci per un mal di stomaco ricorrente, anzitutto an-dremo da uno specialista in gastroenterologia, poi faremo una serie di analisi di laboratorio. Avremo cos seguito alla lettera, probabilmente senza rendercene conto, il secondo precetto di conoscenza che Cartesio ci d in Discorso sul metodo, allorch esorta a dividere ciascuna delle difficolt che esaminassi in tante piccole parti quanto fosse possibile e necessario per risolverle meglio5. Le pro-cedure mediche che vengono seguite per curare il mal di stomaco prendono in considerazione lo stomaco isolandolo dal resto dellorganismo e presuppongono che il corpo non sia altro che una macchina, per conoscere la quale sufficiente un approccio materiale e analitico. In ci la cultura della nostra epoca non fa che seguire, senza saperlo, oltre al precetto analitico cartesiano, anche quel-la teoria del meccanicismo animale pure introdotta da Descartes e ben esemplificata in Discorso sul metodo6, ove il cuore viene descritto come una macchina a scambio termico.

    Fare filosofia vuol dire, come primo passo, assumere un atteggiamento di spregiudicatezza radicale, per usare lespressione di Sofia Vanni Rovighi7, che consiste nel non utilizzare assunti e opinioni provenienti dal senso comune o anche dal pensiero filosofico, se non dopo averli sottoposti allesame critico. Qui si aprono due possibili obiezioni. La prima obiezione ci viene dalla corrente di pensiero chia-mata ermeneutica, molto in voga sino a tempi recenti, che sostiene che luomo condizionato da una certa pre-comprensione del mondo presente nel linguaggio, e che i tentativi di sfuggire a tali pre-comprensioni sono destinati al fallimento, in quanto al pi a una pre-comprensione ne viene so-stituita unaltra. La risposta a questa obiezione duplice; in primo luogo possiamo chiedere quali prove mai possano esserci che tutta la conoscenza frutto di pre-comprensioni. Nulla pu essere additato come prova in grado di corroborare lasserzione che tutto frutto di pre-comprensioni, in quanto qualunque asserzione portata a suo sostegno sarebbe essa stessa una pre-comprensione; in altre parole, se tutta la conoscenza non fosse altro che una raccolta di pre-comprensioni, anche laffermazione che sostiene ci una pre-comprensione, e ha uno statuto gnoseologico equivalente alle altre affermazioni. Con il risultato di non avere nessun privilegio conoscitivo rispetto a ogni al-tra affermazione, e neppure rispetto allaffermazione contraria, per la quale non tutta la conoscen-za frutto di pre-comprensioni. In secondo luogo, per poter riconoscere come tale una pre-comprensione, occorre oggettivarla, prendere le distanze da essa, giudicarla: in tal modo quella che nasceva come pre-comprensione diviene, a seguito della riflessione filosofica, una post-comprensione, cio come giudizio critico. In altre parole, se laffermazione tutto pre-comprensione vuole avere senso, deve essere in grado di fornire almeno un esempio di pre-comprensione: ma ci non possibile, in quanto ogni esempio mostra qualcosa che era una pre-

    4 B. RUSSELL, An Outline of Philosophy, Allen & Unwin, London 1927; tr. it. di A. VISALBERGHI e A. VISSERT HOOFT

    MUSACCHIO, Sintesi filosofica, La Nuova Italia, Firenze 1966, p. 3. 5 R. DESCARTES, Discours de la mthode, Ian Maire, Leyde 1637; tr. it. di L. URBANI ULIVI, Discorso sul metodo, Bom-

    piani, Milano 2002, p. 121. 6 Ibid., pp. 177-195.

    7 S. VANNI ROVIGHI, Elementi di filosofia, 3 voll., La Scuola, Brescia varie edizioni, vol. 1, pp. 97-103.

  • 3

    comprensione, prima dellesame critico, ma che, una volta esemplificata, non lo pi. Cio qualun-que esempio di pre-comprensione si colloca da un punto di vista di verit oggettiva. Dobbiamo quindi concludere che laffermazione tutto pre-comprensione razionalmente insostenibile; va dunque collocata tra le affermazioni irrazionali, in particolare tra quelle retorico-emozionali, e va intesa come unespressione di terrorismo filosofico, non diversa, nella sua struttura logica, da ana-loghe espressioni ricorrenti nella storia del pensiero, quali il genio maligno di Descartes8 o il pi moderno cervello nella vasca di Hilary Putnam9. Parlo di terrorismo filosofico in quanto si tratta di affermazioni indimostrabili e insostenibili, spesso contraddittorie, comunque inquietanti e de-strutturanti, che vengono presentate come tesi filosofiche plausibili e sostenibili, impossibili da con-futare. La seconda obiezione allesercizio della spregiudicatezza radicale in filosofia sostiene che una tota-le criticit non praticabile in quanto essa consisterebbe in un processo infinito, incapace di accer-tare la stabile verit di una certa affermazione. A tali obiezioni si risponde sostenendo che possibile avviare una rivoluzione concettuale abban-donando i preconcetti di cui troviamo intriso il mondo senza con ci avviare un processo incapace di cogliere verit stabili. Desidero sostenere ora che tale revisione critica non solo possibile, ma necessaria, e che si consegue semplicemente facendo entrare nella costruzione filosofica esclusiva-mente ci che sia stato sottoposto al vaglio critico. Sono perfettamente consapevole che limpresa non facile, che i pregiudizi correnti ci tendono costantemente lagguato di una facile adesione; per evitarli sar utile non solo la nostra attenzione, ma anche il contributo derivante dal dibattito filoso-fico, che, se correttamente inteso, aiuta a chiarire, precisare, correggere, completare quello che si sostenuto. In tal modo si mette in atto una vera rivoluzione concettuale, in quanto il bagaglio acritico di par-tenza viene sostituito con un bagaglio filosofico che potrebbe anche consistere in una riconquista critica di quello da cui si era partiti ottenuto grazie allesercizio di una riflessione autonoma e per-sonale.

    1.2. Lessico filosofico Per finalizzare tale rivoluzione concettuale occorre anzitutto affinare la precisione linguistica; a questo scopo occorre riflettere su ogni termine che si intende usare per individuare in primo luogo quale sia il significato corrente, o, come spesso avviene, i diversi significati ordinari con cui un cer-to termine usato, per passare successivamente a una ricognizione dei suoi significati filosofici.

    ESEMPIO. Prendiamo la parola causa. Nel senso corrente, quello che ognuno di noi usa nel lin-guaggio ordinario, per causa si intende ci che provoca un mutamento o una trasformazione; se con-trolliamo in un vocabolario di italiano, ad esempio lo Zingarelli, troviamo che per causa si intende Lantecedente invariabile di un fenomeno oppure Ci che origine, motivo, ragione determinan-te di qualcosa. Spesso i filosofi analitici di tradizione anglosassone prendono la definizione che si trova nel vocabolario come punto di partenza per una riflessione filosofico-concettuale; va per tenu-to presente che la definizione che troviamo nel vocabolario la registrazione del significato ordina-rio di un termine, anche se esposta con maggior precisione linguistica. Cio la parola nel suo signifi-cato ordinario e la definizione del vocabolario si collocano sullo stesso piano di cultura corrente. Se vogliamo superare quel livello, preferibile dare unocchiata ai significati filosofici del termine in questione. Nel caso di causa scopriamo allora che causa come antecedente invariabile non IL si-gnificato filosofico, ma UNO DEI significati filosofici, in particolare quello introdotto da Hume; scopriamo anche che per Aristotele ci sono quattro cause, delle quali la rivoluzione scientifica del 600 prese in considerazione solo una, la causa efficiente, lasciando in ombra la causa materiale, quella formale e quella finale. Scopriamo, infine, che la fisica del 900 riformula in modo del tutto

    8 R. DESCARTES, Meditationes de prima philosophia, Michel Soly, Paris 1641; tr. it. di L. URBANI ULIVI, Meditazioni

    metafisiche, Bompiani, Milano 2001, pp. 157-158. 9 H. PUTNAM, Reason, Truth and History, Cambridge University Press, Cambridge 1981; tr. it. di A.N. RADICATI DI

    BROZOLO, Ragione, verit e storia, Il Saggiatore, Milano 1985, pp.7- 27. Putnam propone lesperimento mentale di uno scienziato che separa un cervello dal corpo e lo immerge una vasca di sostanze nutritive. Il cervello, opportunamente stimolato, vive lillusione di avere un corpo e di muoversi nel mondo.

  • 4

    nuovo il concetto di causa, e che la filosofia non ha ancora provveduto a una soddisfacente rielabora-zione di tale concetto10.

    Con un tale lavoro di presa di coscienza storico-critica ci abituiamo a considerare le parole come dei contenitori vasti e articolati di significati solo raramente univoci, e ci abituiamo di conseguenza a capire la necessit di precisare il pi chiaramente e compiutamente possibile il significato che in-tendiamo attribuire a una certa parola. In tal modo evitiamo gli equivoci e i fraintendimenti cos frequenti sia nella cultura corrente che in filosofia. Il lavoro di precisazione lessicale molto importante anche nella lettura diretta dei testi filosofici; sar possibile osservare come lo stesso termine venga usato con significati diversi da autori diversi, e anche come differenti significati si intreccino nello stesso termine usato da uno stesso autore o in opere diverse o nella stessa opera.

    ESEMPIO. Il termine mente per Aristotele11 significa lintelligenza presente nel corpo e animatri-ce di tutte le sue funzioni, mentre per Descartes la mente il puro pensiero totalmente separato e so-stanzialmente diverso dal corpo. In Metafisica di Aristotele uno dei problemi principali della critica stato quello di dipanarne le polisemie, cio i molteplici significati attribuiti a uno stesso termine; ad esempio il termine essere ha quattro significati principali, il termine sostanza ne ha pure almeno quattro. Aristotele stesso era consapevole di molti di tali significati, che rintraccia e precisa nel corso del testo, ma numerosi altri sono stati individuati dagli interpreti e lettori successivi.

    Spesso lopera dello storico consiste nella individuazione di tali diversi significati e nel chiarimento delle differenti occasioni di uso, in modo da giungere a identificare un lessico che potr essere re-lativo a un testo, un autore, un periodo, una corrente che funga da mappa di orientamento storico e concettuale relativamente a un certo problema o a un certo argomento.

    1.3. Cassetta degli attrezzi La rivoluzione concettuale o, come preferiva chiamarla Sofia Vanni Rovighi, la spregiudicatezza radicale e la precisione lessicale sono i primi due attrezzi del mestiere di filosofo che dobbiamo ri-porre nella nostra cassetta. A questi ne vanno aggiunti molti altri: capacit argomentativa, cultura storica formata attraverso la lettura diretta dei testi filosofici, capacit di gestire la letteratura secon-daria, percezione della rilevanza teoretica di certi problemi, ecc. Tutto ci costituisce una cassetta degli attrezzi (limmagine di Descartes, e viene in epoca contemporanea ripresa da Quine), e, come ogni cassetta di attrezzi, costituisce una premessa indispensabile per lesecuzione di un lavo-ro, ma non il lavoro, e neppure il fine del filosofare. Il lavoro consiste nellacquisizione di una vi-sione critica di se stessi e del mondo, e sar inevitabilmente personale, proprio di ogni singolo esse-re umano pensante. Perch la si costituisca nel migliore dei modi lo studio della filosofia indi-spensabile in quanto offre modelli, ipotesi, argomentazioni che facilitano lelaborazione personale e la portano a soluzioni che difficilmente sarebbe possibile raggiungere lelaborazione personale e la portano a soluzioni che difficilmente sarebbe possibile raggiungere in prima persona. Ma va ribadi-to che ognuno forma la propria personalit critica e riflessiva, e che lesito sar personale per ognu-no, segnato dalle esperienze, dagli studi, dallambiente. Un tale lavoro formativo non si acquista con un colpo di pistola (secondo limmagine di Hegel), allimprovviso, ma ha bisogno di condizioni senza le quali non possiamo realizzarlo, e tali condizioni sono, appunto, la consapevolezza cultura-le, linformazione storica, la capacit critica e argomentativa.

    1.4. Non si pu non fare filosofia Di fronte allimpegno che la filosofia richiede qualcuno pu essere tentato di rinunciare; a ben guardare la rinuncia risulta impraticabile. Infatti tutti esprimono valutazioni, giudizi, osservazioni; ma possibile valutare, giudicare, osservare solo utilizzando unetica, una logica, una fenomenolo-

    10 Sul concetto di causa disponibile leccellente studio di J.L. MACKIE, The Cement of the Universe. A Study of Causa-

    tion, Clarendon, Oxford 1980. 11

    ARISTOTELE, Lanima, a cura di G. Movia, testo greco a fronte, Bompiani, Milano 2001.

  • 5

    gia, che per lo pi sono implicite, vaghe, approssimative, probabilmente anche contraddittorie, ma non per questo meno presenti o necessarie a formulare delle opinioni. Lunica uscita dalla filosofia la totale rinuncia a qualunque valutazione, giudizio, osservazione; e ci non solo difficilmente attuabile da un punto di vista pratico (chi scelga tale posizione deve rinunciare a qualunque condan-na, ad esempio, del nazismo o della pedofilia, in quanto tali condanne vanno derivate da unetica), ma anche insostenibile da un punto di vista teorico, visto che in primo luogo argomentare contro la filosofia gi farla e visto anche che essa comunque presente nel pensiero ordinario e nella cultu-ra corrente. Schopenhauer ha obiettato contro lipotesi da me sostenuta12, e cio che la filosofia va fatta con competenza e acquisendo una certa strumentazione professionale, e ha sostenuto che la vera filoso-fia si fa per la strada e nelle osterie e non nelle aule universitarie; c del vero in quel che Schopen-hauer dice, ma va capito e chiarito. Egli mette giustamente in guardia il filosofo di professione, dunque tipicamente il professore universitario, dal rischio di involuzione gergale e asfittica del lin-guaggio e del pensiero; e non ci stupiamo di tale segnale di allarme di Schopenhauer se pensiamo che il mondo culturale nel quale egli opera quello della filosofia tedesca della prima met dellOttocento dominata dallidealismo hegeliano. Peraltro le parole di Schopenhauer confermano la mia tesi: tutti gli esseri umani fanno filosofia, anche al bar, o allo stadio, o in discoteca, quando esprimono commenti e giudizi generali. Prendendo atto che la filosofia viene comunque fatta, be-ne farla impegnandosi al meglio, cio praticando i testi filosofici, acquisendo senso storico, senso critico, precisione concettuale e linguistica. Laffinamento e lo sviluppo di tali capacit formativo e fondamentale non solo per le domeniche del pensiero o per chi fa della filosofia una professione a tempo pieno, ma anche per la quotidianit, in quanto rende pi consapevoli e critiche le nostre valu-tazioni, le nostre capacit di comprensione, il nostro modo di affrontare problemi nuovi, anche negli atti apparentemente pi semplici e scontati di ogni giorno. E sar con diversa comprensione che guarderemo un film, leggeremo il giornale, ascolteremo i discorsi dei politici o gli slogan pubblici-tari.

    ESEMPIO. Molti hanno visto il film Matrix e si sono chiesti se sia o no possibile che noi viviamo in Matrix. Il senso comune in genere orientato a dare una risposta negativa a questa ipotesi, ma non in grado di argomentare a favore di tale sua opzione realista e comunque non riesce a controbattere efficacemente a chi sostenga che invece pu darsi che noi viviamo in Matrix. Occorre una capacit di riflessione critica e una certa pratica filosofica per costruire una risposta. Una possibile strategia con-siste anzitutto nellosservare che lipotesi che viviamo in Matrix unipotesi scettica espressa in un linguaggio visivo anzich concettuale; ipotizzare che siamo in Matrix equivale a negare ogni attendi-bilit allesperienza sensoriale ordinaria, che ci attesta la realt del mondo e lattendibilit delle no-stre percezioni. Le ipotesi che respingono in toto la conoscenza o i dati sensoriali sono, appunto, ipo-tesi scettiche. In filosofia le ha introdotte sotto forma di metafore suggestive Descartes, formulando lipotesi che siamo preda di un genio maligno o di un dio ingannatore che sistematicamente ci fa ve-dere quello che non c e ci fa credere il falso, ma erano presenti nel pensiero filosofico fin dallantichit. Dunque per rispondere allipotesi che viviamo in Matrix occorre elaborare una rispo-sta anti-scettica, che potrebbe essere la seguente: siccome non c nulla che renda verosimile lipotesi che viviamo in Matrix, non c nulla che la corrobori n argomentativamente, n sperimen-talmente, si tratta non di unipotesi da prendere in considerazione, ma di una pura fantasia. La sua at-trattiva non dovuta alla forza concettuale, ma alla presa emozionale che il linguaggio visivo ha su di noi. Matrix stesso non riesce a fare a meno dellipotesi realista, visto che ha bisogno di un creato-re, reale, di Matrix, come Descartes ha bisogno di un dio ingannatore che conosce la verit, in quanto sa di starci ingannando. La debolezza di tali forme di scetticismo consiste nel fatto che non riescono a negare in modo radicale il realismo: per negarlo lo usano o lo presuppongono. Se vero che tutti vivono in Matrix, Matrix non pu essere raccontato; il fatto stesso di raccontarlo richiede ladesione a una realt non illusoria che capace di smascherare lillusoriet di Matrix. Analogamente se il dio

    12 Schopenhauer inveisce spesso contro la filosofia universitaria; cfr. ad esempio Prefazione alla seconda edizione di Il

    mondo come volont e come rappresentazione, tr. it. di N. Palanga, A. Vigliani, Mondadori, Milano 1989, pp. 15-16 e pp. 23- 26.

  • 6

    ingannatore di Descartes non sapesse di starci ingannando, distinguendo cos tra colui che inganna e colui che viene ingannato, non potrebbe ingannarci.

    2. La filosofia

    Come si pu facilmente constatare sia prendendo in considerazione la storia della filosofia che esa-minando il pensiero a noi contemporaneo, non c una definizione di filosofia che tutti i filosofi sia-no disposti a sottoscrivere, cos come non c una singola affermazione o argomentazione sulla qua-le tutti siano daccordo. Questo un fatto con il quale molti filosofi amano poco confrontarsi, e che spesso viene utilizzato come argomento anti-filosofico generico; altri filosofi che lo prendono in considerazione lo trasformano in una posizione filosofica, ed elaborano il prospettivismo. Per tale concezione ogni filosofo, e ogni essere umano, d senso alla vita e al sapere in relazione al suo pun-to di vista individuale: non esistono conoscenze o valori assoluti, e le diverse prospettive sono in-compatibili. La mancanza di posizioni filosofiche comuni, dunque, induce alcuni al relativismo (di cui il prospettivismo una delle molte possibili varianti), e spinge altri al dogmatismo, cio allaffermazione intransigente di una posizione, il cui rifiuto considerato segno di debolezza ar-gomentativa o intuitiva. Vanno fatte alcune riflessioni sia per quanto riguarda il relativismo che per il dogmatismo. Per quanto concerne il dogmatismo, che pretende di accettare solo affermazioni certe e incontrover-tibili, la sua debolezza consiste nella pretesa di applicare i requisiti logico-formali di correttezza, quale appunto lincontrovertibilit, ad ambiti o irriducibili formalmente o riducibili solo a prezzo di un grave depauperamento della reale complessit di un ambito o di un tema. In altre parole il dog-matico, preso dallansia di certezza e di necessit, pretende che in filosofia si ammettano esclusiva-mente proposizioni incontrovertibili, dimenticando che tale pretesa vale nei sistemi formali (ma og-gi tale pretesa non pi neppure soddisfatta da tutte le diverse logiche disponibili) le cui condizioni di verit sono stabilite nellistituzione del sistema stesso e non pregiudizialmente estendibile a o-gni ambito di conoscenza. Per quanto riguarda il relativismo, che una forma di scetticismo, per esso valgono le considerazio-ni antiscettiche che verranno svolte pi avanti. in generale si pu osservare che chi sostiene che la conoscenza relativa ritiene per che laffermazione la conoscenza relativa valga in modo as-soluto, contraddicendo la sua stessa tesi, che sosteneva che tutta la conoscenza relativa. Posti di fronte allalternativa relativismo-dogmatismo, che sembra possedere la forza schiacciante di escludere ogni altra possibilit, va osservato che c un assunto comune, implicito, che entrambe ta-li posizioni condividono; sia per il relativista che per il dogmatico nella elaborazione di una prospet-tiva filosofica interviene esclusivamente la ragione, intesa come corretta applicazione di regole lo-giche. Entrambi condividono, in altri termini, un riduzionismo intellettualistico, che ritiene che il solo strumento di comprensione del mondo sia la ragione pura, cio priva di elementi sensibili ed emozionali. La differenza tra il dogmatico e il relativista che mentre il dogmatico ritiene ancora illusoriamente che sia possibile una filosofia puramente razionale, il relativista nega tale possibili-t, mostrando per di essere un dogmatico deluso. Luscita da dogmatismo e relativismo ci lascia lonere di un ripensamento del concetto di ragione, che verr considerato pi avanti (2.5.).

    2.1. Che cosa la filosofia In un primo senso approssimativo e generico si pu affermare che fare filosofia vuol dire pensare s e il mondo come oggetti, o, in altre parole, oggettivare se stessi e il mondo esprimendo tale oggetti-vazione in linguaggio concettuale. Questo concetto pu essere espresso con una terminologia diver-sa, e si pu dire che fare filosofia vuol dire elaborare concettualmente la coscienza di s e del mon-do. Nelle definizioni sopra proposte alcuni termini possono essere provvisoriamente lasciati nel signifi-cato ordinario, come pensare, se stessi, mondo, concetto, ma la parola coscienza deve essere in

  • 7

    qualche misura chiarita subito. Si tratta di un termine che sia nel linguaggio ordinario che in filoso-fia viene usato con significati molto diversi a seconda delle epoche, degli ambienti culturali degli autori, senza che risultino chiari i confini rispetto ad altri termini quali coscienza, autocoscienza, au-toriflessione, autoconsapevolezza, consapevolezza, introspezione. Va tenuto presente che si tratta di parole di enorme rilievo sia in singoli pensatori del passato (basta pensare al cogito in Descartes e alla coscienza in Hegel), come pure nel pensiero contemporaneo, che a essi dedica un settore gi ri-levante, e in continua espansione, vale a dire la filosofia della mente13. Pur consapevole della com-plessit di tali temi, qui posso limitarmi a un semplice chiarimento lessicale; va per subito detto che la confusione terminologica e semantica tale che il chiarimento non pu limitarsi a registrare i diversi usi e significati, in quanto sarebbe solo una mappa delle divergenze, sovrapposizioni, cam-biamenti, ma deve proporre unopzione semantico-concettuale che valga come filo conduttore e che in certa misura converger con gli usi filosofici e ordinari dei termini in questione, in altra misura necessariamente diverger. Con il termine coscienza intendo la capacit di un individuo di confi-gurarsi come un centro di attivit e di identit dotato di un confine che lo separa dallambiente e-sterno; per autocoscienza intendo la capacit di assumere i dati della coscienza come oggetti, cio di portare lattenzione e la riflessione su quanto la coscienza presenta. Due sono le grandi categorie che lautocoscienza assume come distinti oggetti di riflessione, cio lio e il mondo esterno. Assu-mendo in questo senso i termini coscienza e autocoscienza, la coscienza va attribuita a ogni vivente, lautocoscienza solamente agli esseri umani. In filosofia a indicare ci che chiamo qui coscienza troviamo termini quali sentire, percepire, sensazione, consapevolezza, coscienza daccesso; per au-tocoscienza troviamo coscienza riflettente, introspezione, pensiero, autoriflessione, autoconsapevo-lezza, consapevolezza, ecc.14 Fare filosofia, si detto, non solo pensare s, ma anche pensare il mondo come oggetto. Occorre intendersi con chiarezza su che cosa implichi lassunzione del mondo a oggetto di riflessione filoso-fica. Va subito precisato che in qualunque modo si pensi il mondo, il pensiero sul mondo eccede la possibilit di una verifica empirica; se anche dicessi, ponendomi in quella posizione di naturalismo dominante in larga parte della filosofia analitica contemporanea, che esistono solo gli enti osserva-bili o scientificamente provati, tale affermazione naturalistica non suscettibile di ricevere confer-me empiriche. Lesistenza dei soli enti empirici non unaffermazione tratta dallempirico e non neppure suscettibile di verifiche empiriche; il che vuol dire che unaffermazione meta-empirica, detta, in un linguaggio filosofico tradizionale, metafisica. pure certamente metafisica la posizione materialista, che sostiene che la natura ultima di ci che popola il mondo pura materia; la pura materia infatti non controllabile sperimentalmente, dunque il suo luogo non lempirico, ma il meta-empirico. Se si daccordo nel sostenere che fare filosofia vuol dire assumere il mondo come oggetto di indagine, deve essere chiaro che ci comporta laccettazione di un piano eccedente la possibilit di verifica empirica, dunque di un piano metafisico. Ha costituito una vexata quaestio filosofica il problema del punto di partenza in filosofia: bene partire dal mondo empirico, cos come dato ai sensi (posizione aristotelica), oppure preferibile non soffermarsi sui dati sensoriali rintracciando la razionalit pura del mondo (posizione platonica)? Non sar forse meglio privilegiare i dati introspettivi, come invita a fare Descartes, o preferibile partire dalla descrizione della realt pensata come propone lidealismo? Le alternative di inizio sono innumerevoli, e la definizione dellavvio stata molto rilevante in quanto la scelta iniziale stabiliva la configurazione dellintero sistema; si pu dire, in modo ovviamente un po paradossale, che linizio conteneva la fine. Ladozione del metodo critico sopra sostenuta ci consente di sdrammatiz-zare la questione dellinizio, in quanto, quale che sia il punto davvio, esso verr sottoposto ad ana-

    13 Gli studi sulla filosofia della mente affollano gli scaffali delle librerie; per un primo approccio chiaro e informato si

    pu utilmente consultare S. NANNINI, Lanima e il corpo. Unintroduzione storica alla filosofia della mente, Laterza, Bari 2002. Pi complesso ed esigente da un punto di vista critico E.J. LOWE, An Introduction to the Philosophy of the Mind, Cambridge University Press, Cambridge 2000. 14

    Gli studi sulla coscienza sono numerosissimi; per un primo orientamento problematico e lessicale cfr. T. CRANE, Ele-ments of Mind. An Introduction to the Philosophy of Mind, Oxford University Press, Oxford 2001; tr. it. di C. NIZZO, Fenomeni mentali. Unintroduzione alla filosofia della mente, Cortina, Milano 2003; si veda in particolare il III capito-lo, La coscienza, pp. 103-150.

  • 8

    lisi critica. Tra le varie possibilit disponibili, scelgo di partire dal mondo empirico cos come ci dato fenomenologicamente in quanto si tratta del punto di partenza maggiormente condiviso da tutti gli esseri umani, a prescindere da differenze culturali, religiose, sociali; resta chiaro lobiettivo filo-sofico di spiegarlo fornendo ragioni, cio argomentando. Esprimendo sia fiducia nella ragione che consapevolezza dei suoi limiti, il discorso filosofico sar articolato in modo argomentativo, senza pretese aprioristiche circa la sua completezza o definitivit, rivolto a tutti gli esseri umani in quanto accomunati dalla ragione, come soggetti liberi e capaci di controllo razionale. Ne risulta una visione della filosofia come sistema aperto e come impresa coo-perativa e collettiva.

    2.2. Premesse filosofiche Intendiamo dunque la filosofia come la strategia razionale per comprendere ed esprimere concet-tualmente quanto ci dato nel mondo empirico, noi stessi inclusi. Va subito messo in chiaro che in tale definizione lattendibilit della ragione come strumento di co-noscenza viene accettata come premessa indimostrabile, cio non suscettibile di previa dimostrazio-ne razionale. Non possibile dare una prova razionale dellefficacia conoscitiva della ragione per il motivo che se volessimo provarla utilizzando la ragione cadremmo in una petizione di principio; se volessimo provarla senza usare la ragione, e dunque facendo appello allintuizione o allovviet del-la cosa, la ragione non risulterebbe provata razionalmente, ma appunto invocata, o assunta extrara-zionalmente. In questa fase della nostra riflessione la ragione non pu che valere come premessa; il che non e-sclude, come vedremo pi avanti, che si rifletta sul suo significato e che si sottoponga a revisione critica quello corrente; usandola, infatti, si osserva come funzione, quali ne siano le condizioni, qua-li i limiti. Se la fiducia nella ragione la prima premessa di qualunque lavoro filosofico, ce ne una seconda che bene dichiarare, in quanto essa viene quasi sempre adottata in modo non dichiarato. Si tratta dellaffermazione della libert umana; lo sforzo di comprensione di s e del mondo che la filoso-fia, lesposizione dei risultati al controllo razionale, luso costante del vaglio critico, sono possibili per il fatto che il discorso si svolge tra persone libere. Se si assumesse, come premessa implicita, che gli esseri umani non sono liberi, ma determinati, ad esempio, dalla chimica biologica o dalle pulsioni inconsce, la riflessione filosofica verrebbe ad essere considerata come il risultato necessa-rio di quella chimica o di quei meccanismi pulsionali; a quel punto per capire noi stessi sarebbe molto pi utile studiare biochimica o psicoanalisi che fare filosofia. Potrebbe anche essere ipotizza-to il caso che il nostro comportamento sia il risultato di una serie necessaria di condizionamenti, che cio viviamo in una struttura deterministica e che la filosofia consista nel prenderne atto in modo non liberamente ma necessariamente critico. A tale ipotesi si pu ribattere osservando che lasserzione deterministica assunta come premessa cos come la libert la nostra premessa al discorso filosofico; trattandosi di premesse, non sono discutibili in quanto premesse; ci non vuol dire che non saranno successivamente discusse nella sede appropriata, che la filosofia morale. Pe-raltro va sottolineato che c unasimmetria tra ladozione della libert e quella del determinismo come premesse al discorso filosofico; mentre se si accetta il determinismo lipotesi che siamo liberi non viene presa in considerazione, se si ipotizza che siamo liberi vengono prese in considerazione e vagliate tutte le ipotesi, compresa quella che la libert sia illusoria. Dunque la premessa che siamo liberi pi permissiva della premessa deterministica. Almeno preliminarmente occorre comunque osservare che laffermazione della libert come una delle due premesse di chi si accinga a filosofare non vuol dire considerare la libert come un colpo di pistola, per usare ancora una volta la celebre espressione di Hegel, sostenendo che o si total-mente e comunque liberi, oppure non lo si affatto. La libert, pur assunta come premessa, va inte-sa in modo da rendere conto dellampia gamma dei comportamenti umani, talora patentemente con-dizionati, talaltra evidentemente liberi. Per cui ci riconosceremo certamente capaci di libert, e ca-paci di riconoscere e correggere eventuali ragionamenti e azioni che nascono da condizionamenti che non avremo paura di chiamare col loro nome.

  • 9

    ESEMPIO. Prendiamo un tipico caso di azione non libera, cio quegli atti mancati, che Freud ha spiegato15 non come errori casuali e non significativi del linguaggio o del comportamento, ma come strettamente dipendenti da un conflitto tra pulsioni inconsce e piano cosciente. Un atto mancato tipi-co arrivare in ritardo a un appuntamento; il ritardo, dice Freud, non mai imputabile al caso, o alle condizioni del traffico, ma sempre il risultato di un conflitto. In particolare il conflitto tra il deside-rio cosciente di arrivare allappuntamento e lopposizione inconscia, cio il desiderio inconscio di non arrivare. Chi ritarda non si comporta in modo libero, ma totalmente determinato da un preciso conflitto che la coscienza respinge. Tanto pi il nostro comportamento causato da conflitti e pul-sioni, tanto meno libero. La lezione da trarre a questo punto non , come spesso si detto, e come lo stesso Freud probabilmente avrebbe sottoscritto, che gli esseri umani sono totalmente determinati dallinconscio. Se ci fosse vero, infatti, non avrebbe senso la lunga e difficile via della terapia anali-tica; al faticoso lavoro di far emergere i contenuti inconsci perch la coscienza possa riconoscerli e accettarli, sarebbe pi semplice sostituire loccultamento dei sintomi attraverso, ad esempio, terapie farmacologiche. Altrimenti detto, se luomo non fosse libero, almeno potenzialmente, non ci sarebbe spazio per la terapia analitica; al contrario, la psicoanalisi pu essere considerata come quella terapia che consente di acquistare maggiori spazi di libert a colui che viene considerato malato proprio per-ch agisce senza possibilit di scegliere, costretto a ripetere schemi coatti di comportamento. Dunque la libert umana un presupposto implicito anche per la psicoanalisi e, anche per la psicoanalisi, qualcosa che possibile incrementare.

    2.3. Argomentazione e retorica Se consideriamo la filosofia come una strategia di conoscenza concettuale di noi stessi e del mondo per cos dire in fieri, cio non conclusa, ma aperta a miglioramenti e precisazioni, che svolta da e tra soggetti razionali e liberi, possiamo a questo punto chiederci quali strumenti essa utilizzi per raggiungere i suoi obiettivi. Indagando la storia del pensiero filosofico, vediamo che due sono le modalit pi utilizzate: largomentazione razionale e la retorica16. La retorica ha come scopo principale la creazione di consenso tramite la persuasione; utilizza a tal fine tutti quegli strumenti del discorso ornato, metaforico, figurato, efficace, abile, che tradizional-mente sono considerati pi adatti a suscitare adesioni emozionali; la validit di un discorso retorico viene misurata in funzione della sua attrattiva artistico-letteraria, per cui considerato un buon ar-gomento retorico quello che risulta pi persuasivo. Il suo obiettivo non diverso da quello che si pongono gli slogan pubblicitari o i comizi politici. Se storicamente Gorgia viene considerato il fon-datore della retorica, troviamo una forte presenza del discorrere retorico sia nel pensiero di Heideg-ger che nel decostruzionismo di Derrida, per il quale la filosofia solo una delle infinite possibili pratiche di scrittura. Chi condivide un approccio retorico in filosofia ritiene che gli enunciati non abbiano valore di veri-t e che non ci sia una realt oggettiva a dare senso al discorso filosofico, disprezza la logica, largomentazione razionale cos come viene intesa di solito e adotta sovente una posizione ni-chilista. Sulla retorica come strumento per fare filosofia va osservato che suscitare adesioni emozionali vuol dire cercare di evitare il controllo critico proprio della ragione; che chi mira alla persuasione tende ad abbassare il livello di libero giudizio di chi gli sta di fronte, ampliando la zona non sottoposta a controllo, estendendo i vincoli nascosti, lasciando occulta lesplicitazione concettuale. Rispetto alle premesse sopra dichiarate, e cio la fiducia nella ragione e nella libert, latteggiamento retorico in netta contrapposizione: alla ragione sostituisce la persuasione, alla libert ladesione emozionale.

    15 S. FREUD, Zum Psychopathologie des Alltagslebens (ber Vergessen, Versprechen, Vergreifen, Aberglaube und Irr-

    tum), in Monatsschrift fr Psychiatrie und Neurologie, 10 (1), pp. 1-32, e (2), pp. 95-143, luglio e agosto 1901; tr. it. di C.F. PIAZZA, M. RANCHETTI, E. SAGITTARIO, Psicopatologia della vita quotidiana. Dimenticanze, lapsus, sbadatag-gini, superstizioni ed errori, in Opere. 1900-1905, vol. IV, Boringhieri, Torino 1970, pp. 51-297. 16

    ARISTOTELE, Retorica e Poetica, a cura di M. ZANATTA, UTET, Torino 2004. Limpostazione aristotelica ripresa nel pensiero contemporaneo dalla corrente detta della nuova retorica, la cui esposizione pi significativa si trova in C. PERELMAN - L. OLBRECHTS-TYTECA, Trait de largumentation, PUF, Paris 1958; tr. it. di C. SCHICK, M. MAYER, E. BARASSI, Trattato dellargomentazione. La nuova retorica, Einaudi, Torino 1966; gli autori esaminano le argomenta-zioni utilizzate come mezzi di prova nelle scienze umane, con lintento di completare la teoria della dimostrazione logi-co-matematica, che a partire da Descartes era stata considerata come lunica argomentazione valida.

  • 10

    Chi scrive non pu che considerare la retorica una cattiva maestra di filosofia, al cui innegabile fa-scino bene resistere. Quanto allargomentazione, essa lo strumento filosofico utilizzato da coloro che intendono la filo-sofia come comprensione concettuale; argomentare vuol dire addurre ragioni, indicare motivi, sag-giare ipotesi, esplicitando ogni passaggio e sottoponendo ogni affermazione alla riflessione critica, sia propria che altrui. Largomentazione si rivolge a tutti gli esseri umani, considerati uguali in quanto dotati di ragione, come a soggetti capaci di controllo razionale e liberi nel giudizio. Tende a dichiarare le premesse, a esplicitare limplicito, evitando il nascosto, lindicibile, lo sfuggente.

    2.4. La ragione Fin qui abbiamo utilizzato la parola ragione secondo un significato di senso comune filosofico, sul quale ora necessario riflettere e che occorre precisare. Guardando al modo in cui il significato di ragione venuto costituendosi nella storia del pensiero, vediamo che uno svincolo semantico fon-damentale si afferma nel pensiero seicentesco con la rivoluzione scientifica. La nuova scienza di Galileo e successivamente di Newton ottiene limmenso successo epistemologico di esprimere in linguaggio matematico le osservazioni empiriche e strumentali. Impone dunque un modello di co-noscenza in cui i dati forniti dallesperienza diventano razionali nel momento in cui sono espressi seguendo regole matematiche o logiche. Ragionare diviene sempre pi sinonimo di manipolare se-condo regole formali, e il ragionamento inteso come la capacit di seguire correttamente tali rego-le. Da ci consegue che c un unico modello per la ragione, che pur esercitandosi in ambiti diversi a seconda delle differenti discipline a cui si applichi, non assume dai diversi ambiti regole diverse, ma solo oggetti diversi. La ragione viene considerata uno strumento universale e le sue regole sono fondamentalmente regole logiche. Di tale significato siamo ancora oggi eredi, sia a livello di discorso ordinario che a livello filosofico. Nel senso comune essere razionali vuol dire non commettere errori logici, e nel linguaggio filosofi-co razionalit normalmente intesa come capacit di manipolare simboli seguendo procedure codi-ficate dalla logica. storia recentissima, di oggi, quella che riconosce regole di razionalit diverse a discipline diverse, quali la biologia, la fisica, la psicoanalisi, la logica, la medicina, ecc., per cui ci che ammesso come razionale in fisica risponde a regole totalmente diverse a ci che si riconosce come razionale ad esempio in chimica o in medicina. Cominciamo oggi ad assistere a una frantumazione del monolitico primato della ragione logica in favore di ragioni che adattano il loro statuto alloggetto proprio di ogni disciplina. La parola ragione abbandona il significato univoco fin qui ritenuto e tende allequivocit semantica: ogni disciplina ha il proprio significato di ragione. Tale polverizzazione fa nascere il problema epistemologico della possibilit di un discorso interdisciplinare: se ogni campo ha il suo concetto di ragione, come pos-sono comunicare il biologo e lo psicanalista, il fisico e il medico, rimanendo su un piano razionale? Si tratta di problemi relativi alla ragione la cui soluzione spetta tipicamente alla filosofia; svilupper qui sotto una proposta che, orientativa e approssimativa, pu per valere come esempio di lavoro filosofico finalizzato a una migliore comprensione, anche disciplinare, di un certo problema teorico. La ragione intesa, tradizionalmente, come capacit di manipolare simboli secondo regole, frutto di una riduzione logicista del pensiero a regole. Tale riduzione in grado di rendere conto in modo e-gregio di campi formali del pensiero, quali appunto la logica o certa filosofia del linguaggio, ma mostra la sua inadeguatezza a comprendere problemi pragmatici o etici o a rendere conto del di-scorso metafisico o anche a considerare soddisfacenti molte spiegazioni e teorie scientifiche.

    ESEMPIO. Il neuroscienziato Damasio, nel suo celebre libro Lerrore di Cartesio 17, riporta alcuni casi di pazienti con danni nellarea prefrontale del cervello; tale lesione lascia intatte le facolt cogni-tive e le capacit di ragionare, ma altera la personalit del paziente. Damasio riferisce il caso di El-liot, al quale fu asportata parte dei lobi prefrontali per rimuovere un tumore. Dopo lintervento le fa-colt cognitive di Elliot, superiori alla media, rimasero intatte, ma il suo carattere si trasform, e da

    17 A.R. DAMASIO, Descartes Error. Emotion, Reason and the Human Brain, Grosset-Putnam, New York 1994; tr. it. di

    F. MACALUSO, Lerrore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 1995.

  • 11

    persona professionalmente scrupolosa e affidabile divenne disattento e distratto, e da marito e padre affettuoso divenne inaffidabile e freddo. Sottoposto a numerosi test, si venne evidenziando con chia-rezza sempre maggiore che la lesione cerebrale aveva intaccato le sue capacit decisionali, e che queste erano connesse con le emozioni: in Elliot la reattivit emotiva risultava fortemente ridotta, e ci alterava lintera personalit. Sulla base di questa e altre osservazioni Damasio giunse a formulare la teoria per la quale una riduzione dellemozione pu costituire una fonte ugualmente significativa di comportamento irrazionale18, o, in altri termini, a ipotizzare che negli esseri umani i sistemi fisici che governano le emozioni interagiscono profondamente con quelli logici, e che lazione appropriata a un contesto nasce dalla loro cooperazione. Elliot si comportava in maniera globalmente irrazionale in quanto le capacit logiche, intatte, ma non coadiuvate dalle emozioni, non erano sufficienti a pro-durre un comportamento razionale.

    Tenendo conto di quanto le neuroscienze vanno oggi scoprendo sul rapporto tra corpo, emozioni e ragione, la mente umana appare sempre pi chiaramente come una funzione che non pu prescinde-re dal corpo e dagli stati emozionali. Assistiamo dunque a una netta smentita del dualismo tuttora dominante. Il dualismo antropologico venne formulato in forma mitica e metaforica da Platone, e successivamente fu espresso con rigore filosofico da Descartes nel 600. Per il dualismo la ragione (o la mente, o, nel linguaggio cartesiano, lo spirito) totalmente indipendente dal corpo e dalle e-mozioni, e si realizza nel darsi e nel seguire regole formali, senza interferenze fisiche o emozionali. In ci Descartes si opponeva nettamente alla tradizione Scolastica, che derivava invece da Aristote-le una prospettiva olistica sulluomo; per Aristotele la ragione incarnata nellessere umano, e si esprime sia nella costituzione corporea, sia negli stati emozionali, sia nelle funzioni logiche e argo-mentative. Ciascuno di questi piani partecipa al sistema, cio interviene nel funzionamento degli al-tri, e considerarne uno separatamente dagli altri legittimo, purch non si dimentichi che tale sepa-razione un artificio categoriale, perch essi funzionano insieme. Osserviamo dunque che c una buona convergenza tra gli orientamenti pi recenti e la posizione aristotelica circa il modo di considerare la ragione, e che da tali prospettive si pu trarre unipotesi filosofica. La ragione pu essere considerata come quella capacit di realizzare strategie di comprensione del mondo e di se stessi che si serve di argomentazioni, capace di orientarsi tra le varie ipotesi grazie al contributo delle emozioni, che si manifesta e si esprime anche nel corpo; che, dunque, non va iden-tificata solamente con quanto presente allautocoscienza, ma in azione anche a livello inconscio, sia nelle attivit fisiche che non giungono allautocoscienza (digerire, secernere ormoni, ecc.), sia in vissuti emozionali e cognitivi non consapevoli (il contenuto latente dei sogni, lantipatia o lattrazione provata per qualcuno). La ragione viene cos notevolmente svincolata dalla logica, e ci rende possibile capire e spiegare alcuni comportamenti che altrimenti sarebbero incomprensibili, o che verrebbero semplicemente bollati come irrazionali. Con tale nuovo concetto di ragione siamo infatti in grado di distinguere tra logico e razionale, e ci ci consentir di capire che ci possono essere comportamenti illogici, ma ra-zionali, come pure comportamenti logici, ma razionali.

    ESEMPIO. Facciamo due esempi di divergenza tra logica e razionalit; il primo esempio mostra un comportamento razionale, anche se illogico. Sono consapevole che per eliminare la piaga dei bambi-ni impiegati per mendicare necessario non dare loro lelemosina; uscendo da casa vedo un bambino pallido e vestito di stracci che allunga la mano; ci penso un attimo e gli d dei soldi. Il mio compor-tamento chiaramente illogico rispetto allanalisi socioeconomica, che conosco e condivido, del fe-nomeno dei mendicanti, ma perfettamente razionale rispetto alla considerazione, sollecitata dalla situazione, per cui quel bambino, se non porta denaro alla sera a chi lo ha messo in strada, verr pic-chiato e maltrattato; se voglio evitare questo perfettamente razionale dargli del denaro. Un secondo esempio mostra un comportamento logico, ma irrazionale. Sono stata invitata a pranzo sia da Gio-vanni che da Franco; voglio comportarmi in modo rigorosamente logico e per decidere con quale dei due uscire faccio due elenchi di argomenti, uno a favore del pranzo con Giovanni e uno a favore del

    18 Ibid. p. 96.

  • 12

    pranzo con Franco; continuo ad accumulare argomenti, finch mi accorgo che lorario fissato per il pranzo passato da un pezzo, con il risultato che non uscir con nessuno dei due. Avere due graditi inviti a pranzo, volerne accettare uno e essere incapace di scegliere tra i due un comportamento chiaramente irrazionale, determinato dalladesione a vincoli di una razionalit puramente logica. chiaro che se le mie azioni sono ispirate alla sola logica, il comportamento che ne consegue sar spesso del tutto irrazionale.

    2.5. Conclusione Possiamo a questo punto adottare lipotesi che la filosofia consista nella comprensione razionale di noi stessi e del mondo, partendo dai dati di senso comune e scientifici che abbiamo a disposizione, per sottoporli a vaglio critico e riflessione concettuale. La nostra pratica filosofica riconosce e uti-lizza la razionalit, intesa come capacit concettuale e argomentativa in grado utilizzare la logica, ma consapevole dei limiti della logica, in particolare del fatto che la logica formalizza regole di procedura argomentativa, ma non esercita nessun controllo sulloggetto a cui le regole vengono ap-plicate, cio sul materiale del ragionamento.

    3. Filosofia e religione

    La filosofia, cos come stata definita sopra, una strategia di conoscenza che non si considera de-finitiva o conclusa, ma dichiaratamente aperta a nuove conoscenze scientifiche, a nuove esperien-ze, a nuovi problemi. Chi voglia risposte complete e definitive, che valgano per ogni situazione e che non si lascino da modificare se non marginalmente e perifericamente dagli specifici problemi posti dalle singole situazioni, non pu che trovarle altrove, in particolare nella religione. Quest ul-tima si avvale di conoscenze che le giungono grazie a una Rivelazione divina e che integrano (o ri-baltano, a seconda dei casi) in una prospettiva soprannaturale quanto luomo aveva potuto raggiun-gere in modo naturale; in tal modo offre una spiegazione globale e definitiva ai problemi inizial-mente posti e solo parzialmente e provvisoriamente risolti dalla filosofia. Filosofia e religione dunque non hanno un oggetto tematico diverso, ma risolvono con strumenti di-versi lo stesso problema, che quello di noi stessi e del mondo. Volendo essere pi precisi, possiamo dire che la religione comincia dove la filosofia finisce. La fi-losofia, e la metafisica in particolare, ci consente di giungere al Dio dei filosofi o, per meglio dire, a quei caratteri attribuibili a un ente che deve esserci perch il reale risulti intelligibile, cio razionale e razionalmente comprensibile. Ma per sapere che tale ente Dio, cio colui che si rivela nella reli-gione, dobbiamo appunto rivolgerci alla religione.

    3.1. Il Dio dei filosofi e il Dio dellesperienza personale doveroso segnalare in questa sede come oltre alla via filosofico-razionale e a quella prospettata dalla rivelazione religiosa si apra una terza via, percorsa anche da alcuni filosofi, che si appella allesperienza personale degli esseri umani. Rintracciandone la genealogia, troviamo nella religione greca dellantichit gli antecedenti a noi in qualche modo culturalmente familiari di tale via. Il mondo pagano era animato dalla presenza del divino, e il fiume dellesperienza religiosa scorreva nelle pratiche sciamaniche (ad esempio gli ora-coli) o nelle guarigioni miracolose (quali quelle del tempio di Esculapio). Si trattava di pratiche il cui scopo era di favorire o suscitare esperienze personali non ordinarie; esse inevitabilmente sfocia-vano in un fortissimo ridimensionamento del contributo della ragione, se non in un suo totale accan-tonamento. Tale atteggiamento viene ereditato e convogliato in ambito cristiano dai mistici di ogni tempo e, tra i filosofi, da Pascal19 e da Kierkegaard20; anche Tommaso dAquino, che non certo

    19 B. PASCAL, Oeuvres de Blaise Pascal, a cura di L. BRUNSCHVICG - P. BOUTROUX - F. GAZIER, 14 voll., Hachette, Pa-

    ris 1904-1914 (edizione detta Brunschvicg maior); tr. it. parziale di A. BAUSOLA e R. TAPELLA, Pensieri. Opuscoli. Let-tere, Rusconi, Milano 1978. Bausola nella Introduzione sottolinea: Pascal insiste molto sul sentimento del cuore, sulla carit, dono di Dio, per la conoscenza autentica di Dio (p. 23).

  • 13

    sospetto di avere mai svalutato la ragione, ebbe, verso la fine della vita, una esperienza mistica mentre celebrava la Messa, in seguito alla quale sembra che abbia detto che tutte le sue opere filoso-fiche e teologiche non gli sembravano che paglia. Sia i mistici che i filosofi misticheggianti svaluta-no la ragione naturale, considerata come un serio ostacolo allesperienza del divino, e osservano che la filosofia fraintende il soggetto umano e rende impossibile una relazione diretta con Dio. Insistono sulla necessit di uscire dalla conoscenza schematica e concettuale propria della ragione e sullabbandono del piano mentale in favore di un rapporto ben pi autentico e completo di fede vis-suta. Sottolineano lincommensurabilit della filosofia al vissuto personale: la filosofia utilizza la sola ragione, lesperienza di Dio abbandona la ragione e segue il coeur, secondo lespressione di Pascal. Qui si impongono alcune riflessioni filosofiche. Va anzitutto riconosciuto che le due vie sono in-conciliabili, o sono conciliabili solo in minima parte e in modo non significativo. infatti vero che gli argomenti con cui la ragione arriva al Dio dei filosofi restano nel piano mentale e sono incapaci di raggiungere un livello di coinvolgimento personale totale, tale da suscitare la fede nel singolo uomo. pure vero che per chi fa esperienza del divino gli argomenti razionali sono un misero frammento, se non una falsificazione totale, di una realt indicibilmente pi ricca e pi vasta. Cos come vero che la ragione considera la fede esperita come un fatto privato, personale, non comuni-cabile nelle specifiche modalit concettuali del discorso filosofico. Cos considerate le due strade non hanno in comune pressoch nulla; il filosofo obietta al mistico lincomunicabilit dellesperienza mistica, il mistico obietta al filosofo linutilit del percorso razionale per raggiunge-re la fede. Per il filosofo ci che il mistico dice incontrollabile, per il mistico ci che dice il filosofo danno-so, perch fuorviante. Se le due vie sono confrontate in modo da farne risaltare le differenze, si deve concludere che hanno poco o niente in comune; ma se il confronto orientato a capirne la specificit, si pu osservare che esse agiscono in ambiti diversi, non necessariamente in opposizione. La ragione copre un vasto ambito di appartenenza: comune a tutti gli uomini, di comunit culturali e religiose diverse, e rivolge il suo discorso a tutti. Lesperienza immediata e diretta di Dio di pochi, a qualunque ambito religioso ci si riferisca: pochi sono i mistici cristiani, come sono pochi i sufi musulmani, o i taoisti cinesi, o gli illuminati buddisti. La mistica, o esperienza di Dio che dir si voglia, eccede la comunicazione e il controllo razionale, mentre la filosofia si rivolge a tutti ed oggetto di confronto e controllo pubblici. Non sembra allora necessario concludere che luna esclude o rende inutile laltra, quanto piuttosto che si muovono su piani diversi, cos come sono non confrontabili le sensazioni olfattive e unequazione matematica. La filosofia si rivolge a coloro che si pongono sul piano razionale, la mistica a coloro che lo vogliono oltrepassare. Anche la religione rivelata, con la sua fede nella divinit del Rivelante, eccede il livello della ragio-ne naturale, in quanto che lautore della rivelazione sia Dio oggetto di fede, e non di prova razio-nale; da questo punto di vista la religione rivelata, pur soddisfacendo un bisogno naturale di spiega-zione di s e del mondo proprio di ogni uomo, pone la spiegazione su un piano non naturale, ma so-prannaturale, e risulta impercorribile con i mezzi della razionalit ordinaria. Acquista allora senso il percorso filosofico a Dio, pur con i suoi limiti rispetto alla fede rivelata e a quella vissuta; pu infat-ti essere considerato come una premessa sostenibile sul piano della ragione naturale, accessibile a ogni essere umano; in altre parole la riflessione razionale su Dio pu essere considerata come pre-paratoria della religione, cio, nellespressione medievale, come primordia fidei.

    20 S.A. KIERKEGAARD, Briciole di filosofia e Postilla non scientifica, tr. it. di C. FABRO, Bologna, Zanichelli 1972. Sono

    queste le due opere in cui Kierkegaard mette specificamente a tema linfinito divario tra Dio e luomo, in particolare per quanto riguarda le facolt intellettuali umane.

  • 14

    4. Filosofia e scienza

    Anche il termine scienza, come molte altre parole culturalmente e filosoficamente rilevanti, un vasto contenitore che accoglie significati diversi, che vanno distinti sia dal punto di vista storico che da quello concettuale. In particolare il crinale semantico pi significativo per il pensiero filosofico quello tra il significato di scienza antecedente a Galilei e quello a lui successivo.

    4.1. La scienza nella tradizione aristotelico-scolastica Il senso pre-galileiano del termine scienza di impronta aristotelica; in quella tradizione la scien-za era considerata come parte della filosofia per una precisa ragione filosofica, o, meglio, metafisi-ca. Per Aristotele i corpi naturali, cos come si presentano fenomenologicamente, sono separati gli uni dagli altri e sono soggetti al divenire; tale dato di osservazione richiede una spiegazione metafi-sica, e Aristotele fa ricorso alla sua teoria della forma sostanziale. Nella tradizione aristotelico-scolastica questultima anche detta, con termini sinonimi, essenza, natura, quod quid erat esse, quidditas; volendo esprimere un senso simile con una terminologia a noi contemporanea potremmo dire che gli enti naturali sono complessit organizzate e che i viventi posseggono inoltre lautopoiesi. La forma sostanziale per Aristotele ci che rende unico ogni ente, e che garantisce lidentit di ogni ente con se stesso e la sua differenza rispetto a ogni altro; si tratta chiaramente di un modo al di l del fisico, e dunque metafisico, per spiegare il dato di fatto percettivo per cui gli enti vengono colti come individui in s e separati dagli altri. Ci non vuol dire per che la forma so-stanziale di un singolo ente ci sia immediatamente e totalmente conosciuta.

    ESEMPIO. Ogni essere ha la sua propria forma sostanziale, che nel caso degli esseri umani chia-miamo anima; essa organizza, cio riunisce e fa funzionare insieme, una complessit di aspetti diver-si, quali i costituenti materiali, quelli psichici, le abilit cognitive, quelle linguistiche, ecc. Quando noi incontriamo il nostro amico Franco ci che percepiamo la manifestazione sensibile di tale com-plessit organizzata, non direttamente lorganizzazione. Non vediamo lessenza, ma il modo in cui essa si manifesta nellempirico. Tale modo ci dice qualcosa della forma sostanziale, ma non ce la fa conoscere n direttamente, n totalmente. Scoprire nellamico aspetti inattesi, conoscerlo sempre meglio, possibile proprio perch la sua essenza non colta in modo totale ed esaustivo, ma appros-simativamente e parzialmente.

    La teoria metafisica della forma sostanziale costituisce lo sfondo teorico della scienza aristotelica e Scolastica. Fare scienza in tali contesti vuol dire avvicinarsi a cogliere le forme sostanziali con pre-cisione sempre maggiore e, in particolare, vuol dire raccogliere dati di osservazione empirica e ri-condurli a essenze di cui sono manifestazione. Le scienze naturali che emergono da tale cornice metafisica mantengono una forte dipendenza teo-rico-concettuale dalla metafisica stessa, e considerano ogni dato sensibile, anche qualitativo (colori, profumi, ecc.), egualmente rilevante ai fini della comprensione scientifica del mondo, in quanto la forma sostanziale si esprime e si manifesta in ogni aspetto di un ente. Descrivere scientificamente i corpi fisici vuol dire, per tale tradizione, rintracciare il legame dimostrativo che ci consente di pas-sare dalla conoscenza percettiva e osservativa a quella delle forme sostanziali. Entro tale contesto non c un solo metodo, e neppure un privilegio metodologico o epistemologico, cos come non c una sola scienza, e neppure una scienza privilegiata.

    4.2. La scienza nel significato post-galileiano Galileo Galilei recide con un taglio chirurgico ogni legame con il pensiero aristotelico e inaugura quel concetto di scienza, ancora oggi largamente condiviso, secondo il quale la scienza deve consi-stere in una raccolta di dati sperimentali le cui leggi vanno espresse in linguaggio matematico e del-le quali possibile dare una verifica empirica. La descrizione qualitativa del mondo totalmente abbandonata, in quanto le qualit secondarie (odori, profumi, colori) per Galilei ineriscono solo al soggetto senziente, mentre la scienza si deve occupare esclusivamente delle qualit primarie (moto locale, estensione), che sono quelle che possono essere espresse con linguaggio matemati-

  • 15

    co, cio formale21. La rivoluzione galileiana fu pienamente recepita da Descartes che, come filoso-fo, volle dare un inquadramento filosofico a quanto Galilei aveva proposto come scienziato. Per la metafisica cartesiana le qualit secondarie non solo non sono suscettibili di trattazione scientifica, ma semplicemente non esistono; ci di cui il mondo ontologicamente effettivamente costituito so-no le qualit primarie, in particolare lestensione (res extensa), espressa dalla matematica nel modo pi preciso e certo. Descartes, come si vede, commette lerrore detto riduzionistico, in quanto passa dalla legittima affermazione la fisica si occupa solo di ci di cui possibile dare le leggi matema-tizzate alla illegittima conseguenza ontologica esiste solo ci che possibile esprimere in lin-guaggio matematico. Tale errore riduzionistico in azione ancora oggi, ad esempio quando i bio-logi organicisti, inconsapevoli eredi del cartesianesimo, affermano che i rimedi omeopatici non pos-sono avere alcun effetto terapeutico in quanto non contengono molecole materiali dellelemento da cui sono tratti; passano cos dallosservazione che i rimedi omeopatici non contengono molecole di un certo elemento alla conclusione riduzionistica per cui ci che non materialmente misurabile non esiste. Sappiamo che per Descartes esisteva, oltre alla res extensa, anche la res cogitans, cogli-bile attraverso lautoriflessione. Essa non stata presa in considerazione dal pensiero scientifico, in quanto non esprimibile in linguaggio matematico e in quanto non sottoponibile a controllo og-gettivo.

    4.3. Scienza e filosofia La scienza, sia nellaccezione post-galileiana che in quella aristotelica, si occupa degli aspetti parti-colari di ci che esiste; la filosofia invece degli aspetti universali, che accomunano gli enti. Se consideriamo ora la scienza nellaccezione moderna, come verifica empirica di leggi universali ottenute per via induttiva a partire da osservazioni particolari, la sua distinzione dalla filosofia pu essere espressa nel modo seguente: la filosofia la disciplina che assume lesistenza di validit per le quali non possibile un controllo esclusivamente operativo; la scienza linsieme delle discipline che assumono lesistenza di validit per le quali possibile un controllo operativo. La filosofia, in particolare, assume come suo oggetto formale (laspetto delle cose che viene preso in considerazione), le cose in quanto esse sono tutte un qualcosa, cio in tanto in quanto sono enti, e non in quanto sono questa o quella cosa empirica. Altrimenti detto: con i sensi (eventualmente este-si e migliorati grazie ai risultati delle singole scienze), noi cogliamo il mondo come costituito da singole cose empiriche, i cui aspetti particolari sono indagabili sensorialmente o scientificamente; se per ci chiediamo in che cosa consiste il loro essere, lessere di tali cose, la domanda, e la rispo-sta, escono dallambito empirico ed entrano in quello filosofico. La filosofia assume a questo punto che esista ci per cui le cose sono cose, e che esso sia lessere; tale essere non ovviamente suscet-tibile di controllo operativo, cio di verifiche sperimentali che provino la tenuta ontologica del con-cetto; esso infatti serve per spiegare filosoficamente lempirico, e dunque non reperibile tra le cose empiriche, pur essendo tratto deduttivamente da esse. Non diversamente da quel che avviene quan-do, sentendo bussare a una porta chiusa a chiave che non pu essere aperta, chi dentro deduce che qualcuno fuori ha bussato: anche in questo caso si assume lesistenza di una validit (c qualcuno) senza che sia possibile controllare che qualcuno effettivamente c (infatti impossibile aprire la porta). Peraltro lassunzione che c qualcuno consente una spiegazione del bussare che si sente allinterno; se si rifiuta di fare lassunzione (perch non se ne pu controllare la validit), si deve ri-nunciare alla spiegazione. La scienza, invece, considera non pertinenti tutte le ipotesi per le quali il controllo operativo non possibile; basti ricordare, a tale proposito, che lassunzione della teoria della relativit generale di Einstein tra le teorie scientifiche dipesa da fortunate circostanze astronomiche che ne resero pos-sibile la conferma empirica, mancando le quali oggi la relativit sarebbe solo una stramberia fisica espressa in una matematica particolarmente complessa.

    21 G. GALILEI, Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari, in Opere, Edizione Nazionale, Barbera, Firenze

    1890-1909, vol. V, pp. 187-188.

  • 16

    4.4. Le scienze come prolungamento o estensione sensoriale Un problema particolarmente sentito da alcuni filosofi quello del rapporto tra dati sensoriali e mondo fisico, cio tra limmagine del mondo testimoniata dai sensi e quella che invece ci rimanda la fisica. Pensiamo ad esempio al sole sensoriale e al sole della fisica; il primo un disco brillante di dimensioni uguale alla luna, che si muove in modo costante nel cielo diurno; la fisica, invece, ci spiega che il sole impiega 8 minuti per far giungere a noi i suoi raggi (dunque nel momento in cui lo guardiamo potrebbe essere esploso da 7 minuti), ha dimensioni ben maggiori di quelle della luna, ha un moto solo apparente, ed sede di continue reazioni atomiche che ci sfuggono totalmente da un punto di vista percettivo. Tali due immagini del sole, osserva in epoca contemporanea Bertrand Russell22, ma gi nel 600 lo aveva messo in luce Descartes, non hanno nulla in comune. Si pone al-lora il problema: quale delle due quella vera? Formulata in termini di reciproca esclusione la que-stione non ha possibilit di soluzione; riformulata e approfondita, pu essere invece capita. Una via la seguente: i dati sensoriali allo stato puro non esistono, in quanto ci che vediamo a livello di percezione sensoriale sempre unelaborazione cerebrale e culturale di qualcosa di fisico; i dati sensoriali sono cio carichi di teoria (theory ladden), pur essendo causati da cose non teoriche, ma fisiche. Dunque tra i dati sensoriali e la fisica non c contrasto, in quanto non esistono dati senso-riali puri; la divergenza tra immagine sensoriale e immagine fisica del mondo una differenza di elaborazione teorica, implicita, non dichiarata, veloce, nel caso dei dati sensoriali, esplicita, control-lata, articolata nel caso della fisica. In tal modo possiamo considerare le scienze come estensioni dei sensi, e non come a essi antiteti-che. Questa, sia ben chiaro, solo unindicazione di soluzione, la cui giustificazione dettagliata ri-chiederebbe un livello ben pi complesso di spiegazione. Ho voluto accennarla comunque per mo-strare come un dilemma filosofico classico non sia un muro senza nessuna possibile uscita, ma mo-stri una breccia qualora venga diversamente formulato.

    4.5. Ci che il fisico dice come scienziato e ci che dice come filosofo Come stato detto sopra, la realt cui sia la fisica che la filosofia si rivolgono per sottoporla a inda-gine conoscitiva la stessa, e diversi sono solo gli aspetti della stessa realt che le due discipline prendono in considerazione. Occorre tenere presente unulteriore precisazione. Mentre lo stesso uomo pu essere sia fisico che filosofo (basta pensare a Einstein), ci che dice come fisico va con-trollato in ambito scientifico, ci che afferma come filosofo va discusso in ambito filosofico. Pu quindi accadere che un grande fisico abbia posizioni discutibilissime o superficiali in filosofia; in modo analogo, quando un filosofo interviene direttamente nel dibattito scientifico o quando espone teorie scientifiche (in questo caso possiamo pensare a Bergson), le sue affermazioni vanno control-late dalla comunit scientifica, e non da altri filosofi. Altra questione, e pi sottile, invece quella dei presupposti filosofici che anche i fisici non posso-no non avere nel momento in cui fanno fisica, e dei quali possono non avere consapevolezza. Si visto, infatti, come una filosofia implicita sedimentata nel modo di pensare di ognuno di noi, e dunque anche negli scienziati. Tale filosofia recepta per lo pi non passa nelle teorie scientifiche, nel senso che le teorie scientifiche non la inglobano come loro parte, ma certamente lo scienziato quando fa scienza pensa seguendo le leggi ordinarie del pensiero umano, in particolare rispettando la logica dellargomentazione e il principio di non contraddizione. Lindagine su tali leggi e su tali principi rimane di competenza del filosofo, anche se tali leggi sono di fatto seguite (possedute, direbbe Aristotele) anche dal fisico. Quanto al problema di elementi filosofici incorporati in una te-oria scientifica e fatti passare per scientifici, un esempio interessante costituito dalle critiche che vengono oggi mosse al neo-darwinismo. Il neo-darwinismo la sintesi che la biologia, con i suoi diversi rami quali la genetica, lembriologia, la paleontologia, lanatomia comparata, offre per spiegare il mondo dei viventi in ac-cordo alla teoria dellevoluzione di Darwin. Secondo i neo-darwiniani per spiegare la complessit e variet dei viventi sono sufficienti due meccanismi, cio le mutazioni genetiche casuali e la soprav-

    22 B. RUSSELL, Human Knowledge: Its Scope and Limits, Allen & Unwin, London 1948; tr. it di C. PELLIZZI, La cono-

    scenza umana. Le sue possibilit e i suoi limiti, Longanesi, Milano 19632, pp. 211- 212.

  • 17

    vivenza del pi adatto. Oggi la biochimica contesta tale spiegazione accusandola di non essere scientifica, cio di essere incapace di rendere conto di come effettivamente e concretamente si passi, ad esempio, da una cellula fotosensibile allocchio umano. Per molti biochimici23, infatti, il neo-darwiniano spiega tale passaggio con petizioni di principio, dicendo che visto che in alcuni organi-smi semplici ci sono cellule fotosensibili e negli esseri umani ci sono occhi altamente complessi, questi ultimi derivano evolutivamente dai primi in quanto i viventi si evolvono gli uni a partire da-gli altri. Per tali obiettori la teoria evolutiva un pregiudizio filosofico che viene fatto passare sotto letichetta di teoria scientifica.

    4.6. Il filosofo deve essere contemporaneo della scienza del suo tempo Visto che la filosofia abbiamo argomentato in favore di un avvio della filosofia dallempirico, e vi-sto pure che le scienze possono essere utilmente considerate non antitetiche alle informazioni sul mondo che ci vengono date dai sensi, ma anzi come una loro utile estensione, consegue ovviamente che il filosofo debba tenersi aggiornato sui risultati delle varie discipline, che gli rimandano una se-rie di informazioni sul mondo da utilizzare in filosofia. Non che la filosofia debba ridursi a divulga-zione scientifica, ma certo non deve riflettere punti di vista abbandonati in fisica o in biologia. Ad esempio, limmagine dello spazio e del tempo che la teoria della relativit oggi ci rimanda ben di-versa dallimmagine dello spazio e del tempo della meccanica di Newton; un filosofo che trascuri ci o si esprime in modo del tutto irrelato allempirico, o guarda a un empirico che la scienza attuale ha totalmente riconfigurato. Dunque, per evitare entrambi i rischi, occorre essere informati almeno sulle acquisizioni pi consolidate nelle varie discipline scientifiche.

    23 Unesposizione chiara delle critiche che la biochimica rivolge al neo-darwinismo data da M.J. BEHE, Darwins

    Black Box. The Biochemical Challenge to Evolution, The Free Press, New York 1996.