outing. come (non) diventare pedofilo
Post on 16-Apr-2015
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AIUTATEMI, SONO NATO PEDOFILO
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DuUn bambino che gioca a testa in giù, un papà che con la videocamera lo riprende accanto
alla mamma che parla dell’importanza della privacy. Nella prima scena del documentario Das Outing questa civilissima famiglia tedesca a tutto fa pensare tranne che alla diagnosi di pedofila che penderà sulla testa di quel bambino timido una volta diventato adulto. Il film, presentato per la prima volta in Italia al Gender Docufilm Festival di Roma, racconta dalla viva voce del protagonista, Sven, com’è la vita quotidiana di una persona che scopre di avere – come da referto psichiatrico – un’inclinazione pedofila. Come lui solo in Germania esistono 250 mila persone con questo disturbo della sessualità (i
medici stessi ancora non sanno se chiamare la pedofilia patologia o inclinazione). Ma un conto è provare eccitazione sessuale davanti a un bambino e un conto è trasformare queste sensazioni in realtà, fino ad arrivare alla brutalità dell’abuso. «Per me qualsiasi tipo di contatto sessuale con bambini è tabù», specifica Sven a un certo punto delle riprese.
FGI BNVBNBVNOGHOUIGJIE in fondo i quattro anni in cui gli austriaci Sebastian Meise e Thomas Reider seguono Sven telecamere in spalla non sono altro che la testimonianza filmata - mai vista prima - del suo sforzo di tenere insieme una pulsione inconfessabile e la giornata tipo di uno
studente di archeologia che prende il treno, fa sport, va in vacanza e si trasferisce a Berlino per seguire un programma di recupero per casi come il suo. È proprio lì all’Istituto di medicina sociale Charité che i registi lo incontrano la prima volta al momento di girare Still life, un film in cui parlano di pedofilia ma in versione fiction. Sven non ha paura di comparire a volto scoperto (è un bel ragazzo biondo). Per lui il documentario è l’occasione di svelare a tutti il suo pesante segreto. Scopriamo così che Sven capisce di essere pedofilo a 16 anni, dopo aver letto sul giornale la notizia di uno uomo che aveva abusato e ucciso la nipotina di 10 anni. Da allora dice: «vivo con la paura di essere una bomba a orologeria ». Il senso di vergogna occupa tutti i suoi
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un’inclinazione sessuale di cui non si conoscono ancora le cause, il film è una sorta di psicoterapia di gruppo, non solo per chi, genitori, conoscenti e medici, è entrato in contatto con Sven, ma anche per gli spettatori che guardano il film.
JFGI BNVBNBVNOGHOUIGJIChe ci piaccia o meno «Sven è un membro della nostra società – spiega Meise intervistato a fine proiezione - dobbiamo aiutarlo a non agire le sue fantasie. Non solo per lui, ma soprattutto per il bene dei bambini. Se lo condanniamo per quello che è otterremo esattamente il contrario». La soglia tra chi ha fantasie pedofile e chi commette l’ignobile reato di pedofilia «sta nel non aver nulla da perdere», precisa nel film lo psichiatra che segue il ragazzo. Le remore morali non servono a nulla: per far sì che Sven non diventi un soggetto pericoloso l’importante è che abbia qualcosa per cui vale la pena vivere. Un amore (alla fine del film Sven comincerà a frequentare un ragazzo, un coetaneo), la comprensione della propria famiglia (che a metà lavorazione ha assistito con lui, sul divano di casa, alla proiezione di alcuni spezzoni del film, tra l’imbarazzato e l’inerme) e la certezza che finchè se ne può parlare, nonostante sia ancora un tabù, i più piccoli saranno in salvo. La bomba non esploderà. �
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pensieri isolandolo dal mondo degli altri. Per liberarsi da tale verdetto tenta il suicidio con una busta di plastica ma poi si arrende alla vita che avanza inesorabile. Non ha alternative e viene a patti con il suo disturbo. Trova lavoro come stimato archeologo, anche se passa il tempo libero a fotografare ossessivamente un bambino conosciuto al campo di basket, (un modo per assecondare le sue pulsioni senza far male a nessuno) e a chattare con persone con i suoi stessi gusti e disturbi sessuali. «Il desiderio genuino di affrontare la sua situazione per noi ha reso più facile far fronte agli aspetti della sua personalità che ci turbavano», racconta Thomas Reider. Sospeso quindi il giudizio su
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