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Le donne e il lager

Alessandra ChiappanoINSMLIIstituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia

La specificità della deportazione femminile

Negli anni Cinquanta e Sessanta la memorialistica e gli studi sui Lager privilegiavano un’ottica maschile. Autori più noti erano Levi, Caleffi, Pappalettera

Primi studi di genere in USA

Dibattito agevolato sia per diffusione Gender Studies sia per diffusione di studi specifici sulla Shoah

Studi pioneristici di Joan Ringelheim: 1983 primo seminario su donne e Shoah

Necessità di studiare “le differenze tra le esperienze degli uomini e delle donne e le differenze tra le esperienze delle donne”.

Sviluppo di ampio dibattito

Fioriscono gli studi di storiche “femministe” Marlene Heinemann, Sybil Milton, Myrna

Goldenberg. Nei loro studi evidenziarono la specificità

delle risposte femminili al mondo del Lager, soprattutto le strategie di sopravvivenza, quelle che si possono definire “eroiche virtù femminili”

Milton e Goldenberg: le “famiglie artificiali” In particolare sottolinearono l’esistenza di

legami più solidi e solidali fra le donne e la creazione di “famiglie artificiali”:

“Small groups of women in the same barracks or work crews formed little families and bonded together for mutual help”

Temi ricorrenti negli studi sulle donne e la shoah

Le differenze, anche nelle modalità del racconto, sono legate alla sfera del corpo e della sessualità:

Amenorrea, maternità, abusi sessuali

“La "soluzione finale" mirava nelle intenzioni dei suoi inventori ad assicurare l'annientamento di tutti gli ebrei […] Tuttavia la strada verso l'annientamento era segnata da eventi che colpivano in modo specifico gli uomini in quanto uomini e le donne in quanto donne”

Raoul Hilberg

Esiste evidenza di una specificità della deportazione femminile nelle testimonianze?

Insistenza da parte delle donne, sia deportate politiche che ebree, su alcuni temi che ricorrono nella loro narrazione, quasi sempre legati alla sfera del corpo

Arrivo in campo

Le donne venivano spogliate, private di tutti i loro effetti personali, depilate e spesso rapate: questa era la regola per le ebree a Birkenau. Ma il procedimento era analogo anche a Ravensbrück.Tutto questo avveniva di fronte al personale delle SS ed esponeva le prigioniere alla mercé degli sguardi maschili

Due testimoni a confronto. Lidia Rolfi e Luciana Nissim: Lidia Rolfi:

“Poi quell’ordine, terrificante, di… di svestirci nude. Adesso svestirti nuda non ti farebbe più nessun effetto, allora era diverso, allora con me c’erano delle donne anziane. Non avevo mai visto, nude, né anziane né donne incinte ”

Luciana Nissim: Finita la cerimonia del tatuaggio la prima delle

mie compagne viene fatta sedere su uno sgabello; una pettinatrice è accanto a lei, e le taglia i capelli. Quella povera figlia è così terribilmente sorpresa, che non può neanche piangere, ma noi vediamo con immensa pena cadere i suoi riccioli uno ad uno, finché non resta che il suo povero cranio pelato. Il soldato va e viene, ma non vede in noi delle donne: ormai siamo delle Häftlinge. Noi siamo disperate, quasi tutte piangono: siamo nude e fa freddo

Maternità negata

Ad Auschwitz le donne giovani con i bambini piccoli erano immediatamente inviate alla camera a gas:

“So che i vecchi e i bambini che arrivano qui sono condannati, e che la mamma che ha un bambino in braccio, fosse pure la più bella, la più sana, la più forte delle donne, andrà inesorabilmente in gas col suo bimbo”.

Spesso le dottoresse per salvare le madri uccidevano i bambini:

...” le dottoresse del Revier uccidevano il le dottoresse del Revier uccidevano il bambino, senza che i tedeschi sapessero che bambino, senza che i tedeschi sapessero che era nato. Nella mia baracca, la dottoressa in era nato. Nella mia baracca, la dottoressa in capo uccise così due bambini neonati: nessuno, capo uccise così due bambini neonati: nessuno, oltre a noi, ne seppe nulla”. L. Nissimoltre a noi, ne seppe nulla”. L. Nissim

Olga Lengyel , medico ungherese, conferma: “Le Olga Lengyel , medico ungherese, conferma: “Le SS fecero di noi delle assassine”SS fecero di noi delle assassine”

Ravensbrück

La baracca 32 era per le donne incinte e i bambini, ma non c’erano nè medicine nè razioni supplementari, così i bambini morivano.

Savina Rupel dà alla luce un bambino, Danilo, che vive solo 14 giorni

Savina Rupel:

“E questa creatura i primi giorni piangeva un poco, e io non avevo nulla per cambiarlo, avevo solo quei due stracci. I primi due o tre giorni si lamentava, anche piangeva. Dopo otto, dieci giorni, gli veniva fuori solo un filo di voce ... L'ultimo giorno, non sentivo più neanche quel lamento, né apriva la bocca più, ha cominciato proprio ad essere freddo, freddo, freddo e duro”

Esami medici e stelizzazione In molte testimonianze relative a

Ravensbrück le donne menzionano visite ginecologiche che collegano con la mancanza di mestruazioni e con processi di sterilizzazione. Non si trovano riferimenti di questo genere nelle testimonianze relative a Birkenau.

La procedura era percepita come estremamente umiliante

Amenorrea

In tutte le testimonianze le donne sottolineano il fatto di aver sofferto di amenorrea.

Amenorrea

Come sottolinea Marlene Heinemann:

“Amenorrhea must be considered a form of psychological assault on a woman’s identity, since most women had no idea whether it would return if they survived”

Lavoro

Sia a Auschwitz-Birkenau, che a Ravensbrück, lavorare all’aperto o al chiuso, svolgere un lavoro faticoso o relativamente leggero era fondamentale per la salvezza.

Ad Auschwitz-Birkenau

Sia Giuliana Fiorentino Tedeschi che Liliana Segre lavorando come operaie al chiuso riescono a sopravvivere

Si trova in una situazione di relativo privilegio anche Luciana Nissim che è medico al Revier

Non è così fortunata Vanda Maestro che infatti non sopravvive.

A Ravensbrück

Sono relativamente fortunate le donne che lavorano alla Siemens perchè possono contare su condizioni abitative e lavorative un poco migliori, come testimoniano Lidia Rolfi Beccaria e Bianca Paganini Mori

Amicizia

Le amicizie fra le donne sembrano essere state di maggiore intensità. Su questo tema ci sono diverse testimonianze, fra cui quella di Giuliana Fiorentino Tedeschi

Amicizia

“La vita delle prigioniere è come una maglia, i cui punti sono solidi se intrecciati l’uno all’altro; ma se il filo si recide, quel punto invisibile che si snoda sfugge fra gli altri e si perde”

“Così sperimentai cos’era la mano di Zilly, una piccola mano calda, modesta e paziente , che la sera tratteneva la mia, che mi aggiustava le coperte intorno alle spalle, mentre al mio orecchio una voce tranquilla e materna sussurrava : “buona notte cara; mia figlia ha la tua età!”.

Amicizia

“Così trovai Olga un giorno e rimanemmo nascoste all’angolo del blocco. Sentii d’improvviso che avrei potuto parlare e che lei avrebbe potuto intendermi. Io parlai senso dionisiaco della vita e lei parlò dello spirito e del corpo. […] Ci scegliemmo compagne”

Le ricette

In molte memorie scritte dalle donne ci sono descrizioni di scambi di ricette fra le prigioniere. La storica Myrna Goldenberg ha sottolineato:

“Food talk often had an ironic effect. Such talk was salutary because it fostered social relationship, reinforced religious values and rituals, and strengthened women’s sense of purpose”

Ricette

Sia ad Auschwitz che a Ravensbrück lo scambio di ricette era usuale.Si sono conservati anche dei libri di ricette scritti in campo.

Ricorda Giuliana Fiorentino Tedeschi:”le francesi parlavano del riso con la maionese ed io pensavo chissà come sarà!”

La liberazione

Per le donne la liberazione non fu facile: molte si trovarono da sole per le vie della Germania distrutta. Alcune, liberate da Ravensbrück dovettero affrontare stupri da parte dei liberatori sovietici. Questo è accaduto, ad esempio, a Pierina Bianco e Fausta Finzi.

La liberazione

In molti casi le donne si avviarono verso casa accodandosi a IMI e ex soldati. Per alcune il viaggio verso casa fu molto lungo. Uno degli scritti sul ritorno a casa è il volume di Lidia Beccaria Rolfi, L’esile filo della memoria. Lidia ricorda le sue esperienze sulla strada del ritorno insieme a due ragazzine ebree scampate ad Auschwitz.Ricorda, ed è un ricordo comune anche ad altre exdeportate, la gioia nel vedere la natura rifiorire intorno a lei.

Il silenzio

Il ritorno a casa fu contrassegnato da un silenzio doloroso. Molte donne furono accusate in modo più o meno esplicito di essersi vendute per sopravvivere.Così, a parte poche, le ex-deportate si chiusero in un dignitoso silenzio che si è rotto soprattutto a partire dagli anni Ottanta.

Raccontare il LagerNissim e Tedeschi

Fanno eccezione gli scritti di 5 donne ebree, tra cui Luciana Nissim Momigliano e Giuliana Fiorentino Tedeschi, che hanno pubblicato le loro memorie nel 1946.

Raccontare il Lager

Sia Luciana che Giuliana scrissero le loro memorie nel corso del 1946; entrambi i libri furono pubblicati presso piccoli editori e furono ben presto dimenticati. Sono stati ripubblicati solo recentemente dalla Giuntina. Si tratta di testi abbastanza diversi: il lavoro di Luciana è maggiormente documentario, mentre il testo di Giuliana è più vicino ad una opera di letteratura

Raccontare il Lager

Entrambi i testi offrono numerosi spunti che pemettono di accostarsi alla shoah attraverso una ottica di genere. E ci consentono di comprendere la specificità della deporazione femmnile. In entrambi i testi ci sono puntuali riferimenti alla nudità, all’amicizia in campo, alle nascite, alla mancanza delle mestruazioni.

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