la didattica per competenze - ic antonibon · 2016. 10. 3. · strategie, tecniche, strumenti...
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Franca Da Re
La didattica per competenze
APPRENDERE COMPETENZE, DESCRIVERLE, VALUTARLE
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Coordinamento redazionale: Paola MalettoRedazione: Cristina JaccodProgetto grafico: Elena PetruccelliCopertina: Sunrise Advertising, TorinoCoordinamento grafico: Elena PetruccelliImpaginazione elettronica: Centro Grafico Meridionale, NapoliControllo qualità: Elena PetruccelliSegreteria di redazione: Vilma Cravero
Franca Da Re è psicologa, dirigente scolastica. È stata insegnante di scuola primaria e psicopedagogista.Svolge attività di formazione su organizzazione scolastica, didattica, valutazione degli apprendimenti, autovalutazione d’istituto.In particolare si occupa di didattica per competenze, realizzando materiali di lavoro, modelli di curricolo, saggi e percorsi di formazione.È stata membro del Comitato tecnico scientifico della Rete di scuole “Rete veneta per le Competenze”, che ha prodotto un’ampia documentazione sulla didattica per competenze nella scuola del secondo ciclo.È autrice di pubblicazioni sulla valutazione, sulle metodologie didattiche, sulle competenze e su temi psicologici ed educativi.
Tutti i diritti riservati© 2013, Pearson Italia, Milano - Torino
FA 6518 00075GPer i passi antologici, per le citazioni, per le riproduzioni grafiche, cartografiche e fotografiche appartenenti alla proprietà di terzi, inseriti in quest’opera, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti.È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org
Stampato per conto della casa editrice pressoArti Grafiche DIAL, Mondovì (CN), Italia
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Indice
Competenza: verso una defi nizione condivisa 7
1. Le ragioni del successo del concetto di competenza 7
2. L’evoluzione del concetto nel tempo 8
Il passaggio dalle competenze alla competenza 10
3. Lo scenario europeo 11
Le otto competenze chiave di cittadinanza 11
L’EQF, ovvero i risultati in termini di conoscenze, abilità e competenze 12
Per approfondire il concetto di competenza 12
Il fi lo conduttore dei documenti europei 15
4. I riferimenti normativi nazionali 16
Fornire strumenti per la formazione della persona competente 19
1. Una didattica su misura per gli studenti 19
Un nuovo modo di insegnare 19
Come realizzare la didattica per competenze 20
2. Uno strumento fondamentale: l’unità di apprendimento 22
Alcuni esempi 23
3. L’insegnante: un ruolo di primo piano 24
Costruire un curricolo per competenze e descrivere i risultati di apprendimento 27
1. La formulazione del curricolo e il superamento del concetto di programmazione 27
Un lavoro di sinergie 28
2. Quali competenze? 28
L’allegato 2 alla OM 236 del 1993 sulla scheda di valutazione degli apprendimenti 29
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Il DM 139/07 sul nuovo obbligo di istruzione 30
Le Linee Guida ai Piani di Studio Provinciali per il primo ciclo della Provincia di Trento 34
I limiti del DM 139/07 e delle Linee Guida della Provincia di Trento 40
3. Le competenze chiave europee come quadro di riferimento unifi cante 41
Comunicazione nella madrelingua e Comunicazione nelle lingue straniere 42
Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia 42
Competenza digitale 43
Imparare a imparare 44
Competenze sociali e civiche 44
Spirito di iniziativa e imprenditorialità 47
Consapevolezza ed espressione culturale 48
4. Dalla critica dei documenti alla nostra proposta di descrizione delle competenze 49
La competenza chiave “Comunicazione nella madrelingua” 51
La competenza chiave “Imparare a imparare” 54
La competenza chiave “Competenze sociali e civiche” 57
La competenza chiave “Spirito di iniziativa e imprenditorialità” 60
L’articolazione di altre competenze chiave 62
5. “Evidenze” e “compiti signifi cativi” per mobilitare le competenze 62
6. Metodi di valutazione della padronanza: “livelli” e “rubrica” 63
L’“esportabilità” della rubrica 64
Un corretto apprezzamento delle competenze 66
Livelli di padronanza nella “Comunicazione nella madrelingua” 67
7. L’uso dei gradi come specifi cazione dei livelli di padronanza 70
La tabella dei gradi e le sue problematiche 71
8. Una proposta di percorso basato sulle competenze 72
Il Collegio dei Docenti fornisce le rubriche di competenza 72
Il Collegio dei Docenti mette a punto le unità di apprendimento 73
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Strategie, tecniche, strumenti didattici per costruire competenze 75
1. Una prospettiva per creare sapere 75
2. La rifl essione-ricostruzione come modalità metacognitiva 75
3. La fl essibilità delle tecniche didattiche per valorizzare le differenze individuali 76
Gli stili cognitivi 76
I diversi tipi di intelligenza 78
Gli stili di attribuzione e i loro effetti 79
Una didattica fl essibile 80
Una didattica induttiva 81
Mediatori didattici e simulazioni 82
Verso le teorie 82
Conoscenze e competenze 83
4. L’apprendimento sociale e cooperativo 84
Avviare al lavoro di gruppo 84
Vantaggi del lavoro di gruppo 85
5. Le teorie dell’apprendimento cooperativo 85
L’interdipendenza positiva nel gruppo 86
La responsabilità personale 87
L’interazione promozionale faccia a faccia 87
L’importanza delle competenze sociali: la classifi cazione delle abilità sociali di Goldstein 87
Il controllo o revisione del lavoro svolto insieme 89
La valutazione individuale e di gruppo 89
I gruppi piccoli ed eterogenei 90
6. L’unità di apprendimento come strumento di costruzione delle competenze 91
I vantaggi dell’UDA 92
L’UDA e il “programma” 92
Ottimizzare la didattica con la contestualizzazione 94
La consegna agli studenti 98
Il piano di lavoro dell’UDA 99
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Diagramma di Gantt 100
Un’UDA articolata 100
La rilevanza pubblica dell’UDA 101
Verifi ca, valutazione e certifi cazione delle competenze 103
1. Valutazione di competenza e valutazione di profi tto 103
Le fasi della valutazione 103
2. Verifi ca, valutazione, comunicazione 104
Metodi di verifi ca e prove (strutturate e non strutturate) 105
Effetti di distorsione della valutazione 106
Migliorare la valutazione 108
3. Le scale di misurazione 108
Le soglie e i criteri 109
4. Per riassumere: aspetti della verifi ca, della valutazione e della comunicazione 111
Verifi ca 111
Valutazione 111
Comunicazione 111
5. La certifi cazione delle competenze 112
Profi tto 112
Altre possibilità di comunicazione 113
Comunicazione della valutazione delle competenze 114
Mettere in rapporto competenza e profi tto 114
Griglia di osservazione per la valutazione dell’unità di apprendimento - Processo 117
Griglia di valutazione dell’unità di apprendimento - Prodotto 146
6. Conclusioni 149
Bibliografi a 151
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Competenza: verso una definizione condivisa
1. Le ragioni del successo del concetto di competenza
Il concetto di competenza, come la maggior parte dei concetti che fanno capo alle scienze umane e sociali, non è univoco ed è stato utilizzato nel tempo con va-lenze e sfumature semantiche differenti, a seconda del momento storico, del conte-sto e delle teorie di riferimento.
Possiamo rilevare che negli ultimi decenni l’interesse per le competenze si è sviluppato in diversi settori, dall’economia alla gestione aziendale, dalla psicologia alla formazione, dall’educazione all’istruzione, fino alla politica.
Vi sono diverse ragioni per cui l’interesse degli studiosi si è sempre più focaliz-zato sulle competenze:
a) nella società post-industriale il lavoro è mutato rispetto al passato, caricandosi via via di contenuti di conoscenza, mentre va contraendosi l’aspetto meramente manuale ed esecutivo;
b) aumenta e riveste sempre maggiore importanza l’aspetto “immateriale” del lavo-ro, legato a fattori come le relazioni interne ed esterne, la comunicazione, le ca-pacità metodologiche e strategiche, la responsabilità individuale, la condivisione dei valori aziendali;
c) la crescente globalizzazione del lavoro e delle relazioni economiche, con la con-seguente alta mobilità delle persone, determina la necessità di reperire strumenti di “comunicazione” del sapere e saper fare delle persone diversi dai semplici titoli di studio o dai curricoli, che non sempre sono in grado di documentare ciò che le persone realmente sanno e sanno fare;
d) la maggiore mobilità delle persone anche nel mercato interno del lavoro (da azienda ad azienda, da posto a posto) determina la necessità di valutare il poten-ziale umano per indirizzare, orientare, qualificare e riqualificare la manodopera;
e) nell’ambito della formazione e dell’istruzione, si constata che l’apprendimento fondato su semplici conoscenze e saperi procedurali conseguiti mediante ap-plicazione ed esercitazioni non garantisce la formazione di atteggiamenti fun-zionali alle richieste della vita e del lavoro, in particolare per quanto riguarda le capacità di problem solving, di assumere iniziative autonome flessibili, di
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mobilitare i saperi per gestire situazioni complesse e risolvere problemi. Sem-pre più spesso l’insegnamento basato sulla trasmissione del sapere genera negli studenti demotivazione, estraneità e disamore per lo studio, anche in conside-razione dell’importanza e della rilevanza che assumono per i giovani i saperi informali e non formali, realizzati al di fuori della scuola attraverso le esperienze extrascolastiche, di relazione e i mass-media.
Il concetto di competenza (l’apprendimento di competenze, l’esercizio della com-petenza, con i significati sempre più legati alla realizzazione personale che esso as-sume), dunque, sembra venire incontro alle mutate esigenze della società. Da qui il grande interesse del mondo della formazione, dell’economia e dell’impresa di molti Stati per la questione.
2. L’evoluzione del concetto nel tempo
Il concetto di “competenza” ha conosciuto un’interessante evoluzione nel tempo, che possiamo riconoscere in alcune definizioni che gli studiosi hanno elaborato nel corso degli anni, sia riferendosi a contesti strettamente lavorativi sia ad ambiti più ampi1. Vediamo qui di seguito questi differenti approcci.
1) Visione di chi concepisce la competenza come una somma di parti (conoscenze, abilità, capacità) e, quindi, pone a oggetto di cura i frammenti (conoscenze, abi-lità, capacità) e non il tutto. Ne riportiamo due esempi:
La competenza [può essere concepita] come un insieme articolato di elementi: le capacità, le conoscenze, le esperienze finalizzate.La capacità in termini generali può essere definita come la dotazione personale che permette di eseguire con successo una determinata prestazione, quindi la possibilità di riuscita nell’esecuzione di un compito o, in termini più vasti, di una prestazione lavorativa.L’esperienza finalizzata consiste nell’aver sperimentato particolari attività lavorative, o anche extralavorative, che hanno consentito di esercitare, provare, esprimere le capacità e le conoscenze possedute dalla persona.
W. Levati, M. Saraò, Il modello delle competenze, Franco Angeli, Milano 1998
Competenze: l’insieme delle conoscenze, delle abilità tecniche, cognitive e relazionali messe in atto nell’esercizio appropriato di attività o compiti lavorativi.Per competenze tecniche si intendono quelle associate ad un repertorio di proce-dure operative, richiedono esercizio, memorizzazione, discernimento fra situazioni predefinite ecc.
1 Le definizioni riportate sono tratte da Italia Forma (a cura di), Competenza e Competenze. Quadro di riferimento, materiali di lavoro ISFOL, Roma 2004.
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Per competenze cognitive si intendono quelle associate al problem setting/solving; sono capacità lavorative riguardanti la diagnosi, la presa di decisione, la valutazione di conseguenze ecc.Per competenze relazionali si intendono quelle associate al comunicare, cooperare, motivare; sono capacità di gestione delle interazioni lavorative con gli altri soggetti del proprio role-set.
Regione Emilia Romagna, Glossario dei termini utilizzati nei documenti di lavoro elaborati per la predisposizione delle politiche formative, 1997
2) Visione di chi concepisce la competenza come performance, quindi come un requisito relativo al piano organizzativo e non alla persona, e tende a costruire “dizionari di competenze” di matrice neo-tayloristica (più evidente nell’approc-cio britannico):
Competenza: la capacità di mettere in atto, in situazione di lavoro, un compor-tamento conforme agli standard richiesti. Il concetto di competenza incorpora la padronanza di significative skill e conoscenze tecniche e l’abilità di applicare tali skill e conoscenze al fine di risolvere problemi e rispondere alle contingenze, nonché l’abilità di trasferirle a nuove situazioni nel contesto occupazionale.
Investors in People UK, The Investors in People Standard, London 1996
Una caratteristica intrinseca di un individuo causalmente collegata ad una perfor-mance eccellente in una mansione. [La competenza] si compone di motivazioni, tratti, immagine di sé, ruoli sociali, conoscenze e abilità.
L. Spencer, S. Spencer, Competenza nel lavoro, Franco Angeli, Milano 1995
3) Visione di chi concepisce la competenza come l’atto della mobilitazione efficace della persona di fronte a problemi (OCDE, Le Boterf):
Le competenze sono costituite dall’attitudine individuale e, al limite, soggettiva, di utilizzare le proprie qualificazioni, i propri saper fare e le proprie conoscenze al fine di raggiungere un risultato. Infatti, non esistono competenze “oggettive”, tali da poter essere definite indipendentemente dagli individui nei quali esse si incarnano. Non ci sono le competenze in sé, ci sono soltanto le persone competenti.
OCDE, Qualifications et compétences professionnelles dans l’enseignement technique et la formation professionnelle. Évaluation et certification, OCDE, Paris 1966
La competenza non è uno stato od una conoscenza posseduta. Non è riducibile né a un sapere, né a ciò che si è acquisito con la formazione. [...] La competenza non risiede nelle risorse (conoscenze, capacità) da mobilizzare, ma nella mobilizzazione stessa di queste risorse. [...]. Qualunque competenza è finalizzata (o funzionale) e contestualizzata: essa non può dunque essere separata dalle proprie condizioni di “messa in opera”. [...] La competenza è un saper agire (o reagire) riconosciuto. Qua-lunque competenza, per esistere, necessita del giudizio altrui.
G. Le Boterf, De la compétence, Les éditions de l’Organisation, Paris 1994
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Ha suscitato grande interesse anche il cosiddetto “modello ISFOL delle competen-ze” (ISFOL, 1998) che sviluppava il concetto di competenza in una tripartizione di:
• competenze di base: competenze nella lingua madre e nella lingua straniera, nel campo dell’informatica, competenze scientifiche e matematiche, problem solving ecc.;
• competenze professionali: più strettamente legate a specifici contesti professio-nali (tecnologiche, commerciali, giuridiche ecc.);
• competenze trasversali: identificate come diagnosticare, relazionarsi, affronta-re ecc.
Il passaggio dalle competenze alla competenza
Da tutte queste definizioni emerge chiaramente una considerazione importante: la competenza è una integrazione di conoscenze (sapere), abilità (saper fare), capa-cità metacognitive e metodologiche (sapere come fare, trasferire, generalizzare, ac-quisire e organizzare informazioni, risolvere problemi), capacità personali e sociali (collaborare, relazionarsi, assumere iniziative, affrontare e gestire situazioni nuove e complesse, assumere responsabilità personali e sociali).
Potremmo annoverare il modello ISFOL tra il primo e il secondo approccio, mentre la prospettiva che ispira l’EQF (si veda più avanti) sposa la terza visione, che potrem-mo definire antropologica e sociale, ben evidenziata da Le Boterf.
Quest’ultima visione, che è quella che ci trova maggiormente concordi, descrive il passaggio dalle competenze alla competenza e dai 3 savoir (sapere, saper fare e saper essere) all’unico saper agire (e reagire). In quest’ottica, non esiste competen-za senza la co-presenza di tutti questi fattori. La competenza, quindi, viene intesa come la mobilitazione di conoscenze, abilità e risorse personali, per risolvere pro-blemi, assumere e portare a termine compiti in contesti professionali, sociali, di stu-dio, di lavoro, di sviluppo personale; in sintesi, cioè, un “sapere agito”. Sempre più si parla di “competenza”, piuttosto che di “competenze”. Si veda a questo proposito la definizione dell’OCDE: «Non ci sono le competenze in sé, ci sono soltanto le perso-ne competenti». Ciò significa che la competenza è una risorsa personale pervasiva, impiegabile dalla persona in tutte le manifestazioni della propria vita.
Ciò che rende la competenza tanto potente e la distingue dalle conoscenze e dalle abilità prese da sole è l’intervento e l’integrazione con le risorse e le capacità personali. Il fatto che la persona sappia mobilitare conoscenze e abilità attraverso l’impiego di capacità personali le permette di generalizzare a contesti differenti il modello d’azione e, inoltre, di reperire conoscenze e abilità nuove di fronte a con-testi che mutano, alimentando e accrescendo la competenza stessa.
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3. Lo scenario europeo
Dalla metà degli anni Novanta del Novecento, anche l’Unione Europea si è sem-pre più interessata alle competenze, ritenendole centrali per l’istruzione, l’educazio-ne, la formazione permanente, il lavoro, nella prospettiva della valorizzazione del “capitale umano” come fattore primario dello sviluppo.
Nelle Conclusioni ai lavori di Lisbona del Parlamento Europeo del 2000, si indi-cano già alcune strade da percorrere; tra le altre:
a) definizione delle competenze chiave europee per l’esercizio della cittadinanza attiva;
b) obiettivi di innalzamento dei livelli di istruzione e di allargamento dell’educazio-ne permanente;
c) riconoscimento degli apprendimenti non formali e informali, nel quadro dell’ap-prendimento formale.
Le otto competenze chiave di cittadinanza
In tutti i documenti successivi al testo del 2000 questi concetti vengono ripresi e approfonditi. Nella Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 maggio 2004 si insiste ancora maggiormente sulla questione del riconoscimento degli apprendimenti non formali e informali, affermando che essi contribuiscono a buon diritto, come quelli formali, a costruire la competenza; nella Raccomanda-zione del 18 dicembre 2006, vengono enunciate in maniera definitiva le otto com-petenze chiave per la cittadinanza europea. Recita il documento nel suo Allegato:
Le competenze sono definite in questa sede alla stregua di una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cit-tadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Il quadro di riferimento delinea otto competenze chiave:
1) comunicazione nella madrelingua;2) comunicazione nelle lingue straniere;3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;4) competenza digitale;5) imparare a imparare;6) competenze sociali e civiche;7) spirito di iniziativa e imprenditorialità;8) consapevolezza ed espressione culturale.
Le competenze chiave sono considerate ugualmente importanti, poiché ciascuna di esse può contribuire a una vita positiva nella società della conoscenza. Molte delle competenze si sovrappongono e sono correlate tra loro: aspetti essenziali a
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un ambito favoriscono la competenza in un altro. La competenza nelle abilità fon-damentali del linguaggio, della lettura, della scrittura e del calcolo e nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) è una pietra angolare per l’apprendi-mento, e il fatto di imparare a imparare è utile per tutte le attività di apprendimen-to. Vi sono diverse tematiche che si applicano nel quadro di riferimento: pensiero critico, creatività, iniziativa, capacità di risolvere i problemi, valutazione del rischio, assunzione di decisioni e capacità di gestione costruttiva dei sentimenti svolgono un ruolo importante per tutte e otto le competenze chiave.
L’EQF, ovvero i risultati in termini di conoscenze, abilità e competenze
In un documento successivo, la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, viene definito il Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF).
Quello che particolarmente ci interessa è che, nella Raccomandazione del 23 aprile 2008 sull’EQF, viene fornita una definizione di competenza che, data l’au-torevolezza dell’organismo che la formula, può permetterci di accantonare tutte le ambiguità semantiche e concettuali connesse alla polisemia del termine. Ci si può inoltre riferire alla formulazione europea per la ricchezza e profondità in essa contenute. I risultati dell’apprendimento, nella Raccomandazione, sono costituiti in termini di conoscenze, abilità, competenze. Ciascuno di questi concetti viene defi-nito nel seguente modo:
Conoscenze: risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative ad un set-tore di lavoro o di studio. Le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche;Abilità: indicano le capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Le abilità sono descritte come co-gnitive (comprendenti l’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) o pratiche (com-prendenti l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti);Competenze: comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità per-sonali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.
Per approfondire il concetto di competenza
Se analizziamo la definizione di “conoscenza”, contenuta nella Raccomandazio-ne, come «risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento» ci rendiamo conto che conoscenza non è sinonimo di “contenuto”. Non tutti i conte-nuti diventano conoscenze, ovvero patrimonio assimilato in modo permanente dal-la persona. Sappiamo, anche per esperienza personale, che non tutto ciò che ascol-tiamo, leggiamo e che ci viene spiegato viene assimilato permanentemente. Molte informazioni, infatti, sono selezionate e filtrate in base all’interesse personale, alla
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difficoltà percepita, al valore che attribuiamo al materiale. Ecco perché, come inse-gnanti, dobbiamo selezionare attentamente i contenuti che riteniamo indispensabili per costruire le abilità e le competenze e su quei contenuti dobbiamo agire con tutte le nostre capacità didattiche e personali perché diventino appunto “conoscenze” or-ganizzate e strutturate intorno a nuclei significativi dal punto di vista epistemologi-co e educativo. Le conoscenze rimangono dopo l’interrogazione, dopo l’esame, dopo la fine del percorso scolastico. Molto possiamo trattare in modo non approfondito, altro possiamo accennare o anche tralasciare. È importante, però, che noi fornia-mo capacità di ricerca, di selezione, di organizzazione dell’informazione, perché al bisogno le persone sappiano trovare le informazioni che non posseggono o hanno dimenticato, senza necessità di tenerle costantemente in memoria.
Il significato di “abilità”, fornito dalla Raccomandazione, come «capacità di ap-plicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolve-re problemi» sul fronte sia cognitivo sia pratico-organizzativo rimanda al concetto di “procedura” e di “processo”. In effetti, la definizione di know-how è, letteral-mente, “sapere come” e comprende, quindi, anche esperienza, conoscenza, bagaglio di conoscenze tecniche, profonda conoscenza del processo di come operare in un determinato settore. Le abilità, cognitive o pratiche, possono essere estremamente complesse e richiedere grande preparazione alla persona che le impiega per gestire situazioni e risolvere problemi.
La “competenza”, nella Raccomandazione del 2008, viene descritta come «com-provata [quindi manifestata da evidenze] capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche» nei più diversi contesti di vita, di studio e di lavoro. Abbiamo altrove detto che essa è “sapere agito”, capacità di mo-bilitare il sapere per risolvere problemi e gestire situazioni.
Sorge quindi legittimo l’interrogativo su in che cosa la competenza si differen-zi dall’abilità, anch’essa usata per risolvere problemi. Innanzitutto la competenza è caratteristica della persona, più che della situazione. Ricordiamo la definizione OCDE: «Non ci sono le competenze in sé, ci sono soltanto le persone competenti» e anche quella fornita da Le Boterf. La competenza non esiste se non nell’azione della persona in situazione. Non è legata, come l’abilità, a specifici processi o compiti, è pervasiva della persona, la quale, anche in mancanza di informazioni o saperi specifici, è capace di mobilitare abilità, capacità personali, sociali, metodologiche, metacognitive per affrontare la situazione, in caso di problemi legati sia al contesto personale sia a quello professionale. Mentre l’abilità è la profonda conoscenza di una procedura o di un processo tale da permettere anche di affrontare imprevisti nel processo stesso, la competenza è la capacità di affrontare situazioni slegate dalle situazioni note, generalizzando, trasferendo, creando nessi tra conoscenze e abilità possedute rispetto ad altri contesti, costruendone di nuove. Sono sicuramen-te implicate abilità di problem posing e problem solving, capacità di riflessione e generalizzazione, ma c’è qualcosa di più.
Nella definizione, infatti, si parla di «capacità personali e sociali», cioè della persona nella sua interezza che si mobilita e sa muoversi con la stessa flessibilità in tutti i contesti di esperienza. Nella competenza sono implicati gli aspetti relazionali,
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sociali, interpersonali. E, infine, la competenza è descritta, e sostanziata, da «re-sponsabilità e autonomia». Questo è l’aspetto più profondamente peculiare e inte-ressante del testo: responsabilità e autonomia sono un binomio inscindibile e hanno un grande significato etico, in particolare nel processo di formazione dei giovani nella scuola.
L’autonomia di cui parliamo non è soltanto la capacità di affrontare le situazioni da soli, senza che qualcuno ci dica cosa e come fare, ma è qualcosa di più profondo, di cui possiamo trovare riferimento in tutta la storia del pensiero dall’antichità a oggi. Uno dei significati più alti di autonomia lo troviamo in Immanuel Kant (1724-1804), riassumibile nella massima «Il cielo sopra di me, la legge morale dentro di me». Autonomia significa auto-governo, avere la “legge” dentro di sé, ovvero saper attribuire un significato personale alle norme, alle regole, ai patti, in modo che le proprie azioni non siano dettate da mere abitudini o dal timore dell’autorità o della sanzione. Il comportamento autonomo è sempre determinato da una scelta che ri-siede nella consapevolezza dell’azione.
Facciamo un esempio: a una cena un commensale afferma: «Non devo bere, perché se mi fermano e mi fanno la prova dell’etilometro mi tolgono i punti dalla patente». Un secondo commensale, invece, afferma: «Non bevo perché, dovendo guidare, potrei mettere in pericolo me stesso e soprattutto gli altri». Tutti e due i commensali osserveranno il comportamento corretto, ma tra i due c’è una profonda differenza. Il primo obbedisce per timore dell’autorità e della sanzione; probabil-mente, se fosse sicuro dell’impunità, trasgredirebbe e, comunque, non c’è alcun me-rito nella sua condotta. Il secondo, invece, osserverebbe il corretto comportamento in ogni caso, perché ha attribuito personale significato alla norma, che è quindi connaturata in lui, è “dentro di lui”.
Ecco perché l’autonomia è sempre accompagnata dalla responsabilità. L’agire autonomo è un’assunzione di responsabilità in relazione al proprio comportamento. Come insegnanti, siamo chiamati ad aiutare i giovani a diventare persone e cittadini competenti, quindi responsabili e autonomi. E se i ragazzi diventeranno persone e cittadini responsabili e autonomi, molto probabilmente lo saranno anche come lavoratori. In che modo potrebbe allora manifestarsi la competenza così definita in un giovane diplomato?
Pensiamo, ad esempio, a un brillante termo-tecnico: egli possiede eccellenti abilità e conoscenze tecniche per svolgere il proprio lavoro, conosce le norme di sicurezza e quelle giuridiche che regolano la sua professione, sa risolvere proble-mi e imprevisti connessi al proprio lavoro. Fin qui, ci siamo limitati a descrivere un termo-tecnico molto abile. Il termo-tecnico competente, però, possiede anche capacità personali e sociali, ovvero si relaziona correttamente con i superiori, i colleghi, i clienti; comunica in modo efficace e collabora agli obiettivi comuni. Sa muoversi in contesti nuovi, sia individualmente sia relazionandosi con altri per reperire le informazioni necessarie che ancora non possiede. Conosce e sa spiegare perché le norme giuridiche e di sicurezza prescrivono determinati accorgimen-ti, conosce e valuta le conseguenze sulle persone e sull’ambiente causate dalla loro non osservanza. Di conseguenza, le osserva scrupolosamente, spiega ai clienti
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perché è necessario farlo, non cerca scorciatoie dettate magari da interessi econo-mici suoi o del cliente. Non da ultimo, rilascia sempre ricevute e fatture e paga le tasse… In questo modo abbiamo descritto un cittadino corretto e un termo-tecnico competente.
Riassumendo, quindi, la competenza è la comprovata capacità di mobilitare co-noscenze e abilità, ma anche capacità personali, sociali e metodologiche, in tutte le situazioni di vita: lavoro, studio, sviluppo personale, relazioni, gestione delle situa-zioni, risoluzione di problemi, esecuzione di compiti. È una definizione che connota la persona competente in situazione, piuttosto che la situazione o il processo. Ciò che è più rilevante, però, è che le dimensioni che sostanziano la competenza, ciò che distingue la persona competente, sono la responsabilità e l’autonomia.
Il filo conduttore dei documenti europei
Possiamo comprendere ancora meglio il significato profondamente etico della definizione di “competenza” se la colleghiamo ai documenti europei che dall’inizio del millennio si sono occupati di capitale umano, di formazione, di educazione.
C’è, infatti, un filo conduttore in tutti i documenti i cui nodi principali sono i seguenti:
• l’Europa – nel contesto della “società e dell’economia della conoscenza” – ha bi-sogno di cittadini che acquisiscano lungo tutto l’arco della vita sempre maggiori conoscenze, abilità, competenze, per contribuire al proprio sviluppo personale e a quello della comunità;
• vengono definite otto competenze chiave che sono necessarie per esercitare la cittadinanza attiva e per l’inclusione sociale e che devono essere perseguite per tutto l’arco della vita: rileviamo che tra queste vi sono competenze metaco-gnitive, comunicative, socio-relazionali, di costruzione dell’identità sociale e culturale;
• nel quadro comune delle qualifiche e dei titoli, si invitano i paesi membri a perseguire, all’interno dei percorsi di educazione permanente, sempre maggio-ri risultati di apprendimento in termini di conoscenze, abilità, competenze. Le competenze sono definite come la capacità di mobilitare conoscenze, abilità, capacità personali, in termini di responsabilità e autonomia;
• la cultura, l’istruzione, la capacità tecnica servono indubbiamente per la realiz-zazione personale, ma rivestono anche un significato sociale. Le conoscenze, le abilità, le competenze servono a noi stessi, ma anche allo sviluppo e al benessere della comunità, e quindi l’interesse comune deve rivestire importanza – nelle condotte dei singoli – quanto l’interesse personale.
La cittadinanza attiva e l’inclusione sociale, dunque, si concretizzano nell’eserci-zio dell’autonomia, che non può essere disgiunta dalla responsabilità.
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Coloro che lavorano nel campo dell’educazione, dell’istruzione e della formazione sono chiamati a un compito altissimo, in particolare le persone che si occupano dei giovani. Non esiste apprendimento significativo che non si iscriva nella prospettiva della competenza. Il fine dell’istruzione e dell’educazione è la competenza; dato che la sostanza, il motore della competenza, è rappresentato dalle capacità personali, sociali, metodologiche e dall’esercizio dell’autonomia e della responsabilità, è ovvio che non può esistere un modello di istruzione che non si assuma compiti educativi.
L’assunzione di autonomia e responsabilità implica che la persona assimili e in-tegri dentro di sé i valori condivisi, la cura e l’attenzione per l’altro e per l’ambiente, l’adesione alle norme di convivenza, il loro rispetto non per timore della sanzione, ma per comprensione del loro valore di patto sociale. Questo esige che tutti coloro che sono impegnati nell’educare e nell’istruire, qualunque sia la disciplina di inse-gnamento, lavorino in coerenza e collaborazione verso i comuni traguardi, che non si esauriscono nei saperi specifici, che rimarrebbero sterili e ciechi se privati del valore che è dato loro dalla prospettiva della competenza.
In quest’ottica, anche l’educazione alla legalità assume un significato ordinario e quotidiano: lavorare perché i giovani che ci vengono affidati diventino cittadini autonomi e responsabili, tesi al benessere della comunità, consapevoli del significa-to dei patti sociali, ridurrebbe i comportamenti antisociali e illegali.
4. I riferimenti normativi nazionali
Il legislatore italiano ha accolto le sollecitazioni europee a orientare i curricoli verso le competenze nei documenti riguardanti l’istruzione e la formazione formu-lando una serie di provvedimenti:
• DPR 275/1999 (Regolamento per l’autonomia delle istituzioni scolastiche), art. 10, comma 3;
• L 53/2003, art. 3; D.lvo 59/2004, art. 8 (certificazione delle competenze);
• L 425/1997, art. 3, così come modificato dalla L 1/2007, art. 1, comma 1 (esami di Stato secondo ciclo);
• DM 139/2007 sull’elevamento dell’obbligo di istruzione e relativo documento tecnico;
• Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione settembre 2012;
• L 169/2008, art. 3; DPR 122/2009, art. 8 (valutazione degli apprendimenti e cer-tificazione delle competenze);
• DPR 87/2010 (Riordino degli Istituti Professionali); DPR 88/2010 (Riordino degli Istituti Tecnici); DPR 89/2010 (Riordino dei Licei);
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• Direttive Ministero dell’Istruzione n. 57 del 15.07.2010 e n. 65 del 28.07.2010 (Li-nee Guida per il curricolo del primo biennio rispettivamente degli istituti tecnici e dei professionali);
• Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 29 aprile 2010 (istruzione e formazione professionale);
• Intesa in Conferenza Unificata del 16 dicembre 2010 (istruzione e formazione professionale);
• Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 27 luglio 2011 (istruzione e formazione professionale);
• Direttive Ministero dell’Istruzione n. 4 e 5 del 16.01.2012 (Linee Guida per il curricolo del secondo biennio e quinto anno rispettivamente degli istituti tecnici e dei professionali);
• Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 19 gennaio 2012 (istruzione e forma-zione professionale).
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Fornire strumenti per la formazione
della persona competente
1. Una didattica su misura per gli studenti
Le competenze costituiscono il significato dell’istruzione, sono in grado di dare motivazione alle abilità, alle conoscenze e ai contenuti disciplinari. Attraverso la didattica per competenze, riusciamo a rispondere alle domande degli studenti, che celano un bisogno profondo di attribuire senso al proprio apprendimento e al proprio lavoro: «Perché studiamo la storia?», «A che serve imparare i polinomi e i sistemi di equazioni?». Nella didattica per competenze, si continua a studiare la storia e a risolvere i sistemi di equazioni, ma legando tali conoscenze e abilità a problemi concreti o ancorati alla realtà, oppure attraverso mediatori didattici e organizzazioni capaci di catturare l’interesse dell’allievo e mobilitare le sue risorse personali.
Se la competenza, come recita la Raccomandazione del Parlamento Europeo del 2008, è «comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo profes-sionale e personale», ovvero “sapere agito” in contesto significativo, si comprende che perseguire competenze presuppone un insegnamento che travalica la divisione disciplinare: non esistono, infatti, problemi e situazioni che si possano affrontare mobilitando un solo sapere disciplinare; di solito un problema si affronta da diversi punti di vista. Una dimostrazione di tutto ciò sta anche nell’affermazione sempre più ampia nel mondo del lavoro dei gruppi e delle organizzazioni, dove la formazio-ne di team di progetto eterogenei rispetto a competenze, funzioni, ruoli è la norma, soprattutto quando si tratta di mettere a punto nuovi prodotti o nuove strategie, risolvere crisi ecc.
Un nuovo modo di insegnare
Ai docenti si chiede di impostare la didattica e l’insegnamento in modo che gli alunni possano avvicinarsi al sapere attraverso l’esperienza e acquisire la teoria at-traverso un percorso induttivo, che passi dall’esperienza alla sua rappresentazione.
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La didattica per competenze si avvale di diverse strategie e tecniche sia didatti-che sia di organizzazione del gruppo classe:
• l’apparato tradizionale di didattiche di trasmissione delle conoscenze e di eserci-tazione di procedure (lezione frontale, esercitazione ecc.);
• la contestualizzazione dei concetti, dei principi, dei contenuti disciplinari nella realtà e nell’esperienza;
• la proposizione in chiave problematica e interlocutoria dei contenuti di cono-scenza e l’utilizzo di mediatori e tecniche didattiche vari e flessibili per valoriz-zare i diversi stili cognitivi e di apprendimento degli allievi;
• la valorizzazione dell’esperienza dell’allievo attraverso la proposta di problemi da risolvere, situazioni da gestire, prodotti da realizzare in autonomia e responsabili-tà, individualmente e in gruppo, utilizzando le conoscenze e le abilità già possedu-te e acquisendone di nuove, attraverso le procedure di problem solving e di ricerca;
• la riflessione e la riformulazione metacognitive continue, prima, durante e dopo l’azione, per trovare giustificazione, significato, fondamento e sistematizzazione al proprio procedere;
• l’apprendimento in contesto sociale e cooperativo per dare rilievo ai contributi, alle capacità e alle attitudini diverse e per favorire la mutua collaborazione e la reciprocità.
Insegnare per competenze, ovvero avvicinarsi al sapere attraverso l’esperienza, non significa abbandonare i contenuti, giacché essi rappresentano proprio il campo di esperienza in cui esercitare abilità e competenze. Essi, però, vanno accuratamente vagliati e selezionati, poiché non tutto è ugualmente rilevante e non tutto si può imparare; vanno proposti i contenuti irrinunciabili e fondamentali e la didattica deve fare il possibile perché essi si trasformino in conoscenze, ovvero in patrimonio permanente dell’allievo. Le conoscenze saranno quelle necessarie a supportare le abilità (intese come applicazione di conoscenze, procedure, metodi) e le competenze (capacità di agire e di re-agire di fronte ai problemi, utilizzando tutte le risorse per-sonali e agendo in autonomia e responsabilità).
Come realizzare la didattica per competenze
La didattica trasmissiva ed esercitativa non basta più: essa ci permette al massi-mo di conseguire conoscenze e abilità, ma non competenze; inoltre, genera sempre più estraniazione e rifiuto negli alunni, che troppo spesso non riescono a rintraccia-re il senso e il significato delle proposte e richieste della scuola. Per far loro conse-guire competenze, dobbiamo offrire agli allievi occasioni di assolvere in autonomia i “compiti significativi” (v. oltre), cioè compiti realizzati in contesto vero o verosimi-le e in situazioni di esperienza, che implichino la mobilitazione di saperi provenienti
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da campi disciplinari differenti, la capacità di generalizzare, organizzare il pensiero, fare ipotesi, collaborare, realizzare un prodotto materiale o immateriale. Il compito affidato non deve essere banale, ma legato a situazioni di esperienza concreta e un po’ più complesso rispetto alle conoscenze e abilità che l’alunno già possiede, per poter attivare il problem solving. Attraverso i compiti significativi non soltanto si mobilita ciò che si sa, ma si acquisiscono nuove conoscenze, abilità e consapevo-lezza di sé e delle proprie possibilità.
La competenza non è contrapposta alle conoscenze e alle abilità; queste ultime non sono che articolazioni della competenza, sono suoi aspetti, ma non la esauri-scono. Conoscenze e abilità, quindi, sono necessarie ma non sufficienti a costituire la competenza.
Proviamo a spiegarci con qualche esempio. Una persona potrebbe possedere conoscenze e procedure, ma non saperle applicare di fronte a un problema di esperienza, se non dietro precise istruzioni. In questo caso, parleremo di cono-scenza astratta, o magari esecutiva. Un’altra potrebbe possedere vaste conoscenze relative a diversi campi del sapere e avere acquisito capacità procedurali anche complesse applicate ad alcuni contesti, ma non essere in grado di generalizzare e soprattutto ristrutturare tali capacità in presenza di situazioni nuove e diverse. La stessa persona potrebbe anche non sapere spiegare in maniera completa il senso delle proprie azioni (ad esempio, il perché si devono applicare determinate norme tecniche e non altre, magari anch’esse efficienti, per costruire un manufatto). In questo caso, la competenza non è raggiunta, perché la persona non ha la capacità metodologica e metacognitiva di trasferire e dare senso al proprio sapere. Un’al-tra ancora potrebbe essere bravissima nei compiti pratici e organizzativi, ma non riuscire a riferire ciò che fa con le parole, né a collegarlo ad alcuna teoria. La stessa persona può incontrare difficoltà ad apprendere materiali presentati esclu-sivamente sotto l’aspetto teorico e attraverso il canale verbale. In questo caso, siamo di fronte a una persona che non possiede la capacità di rappresentazione dell’esperienza e dell’azione.
A scuola, gli alunni di questo tipo sono numerosi e per loro la didattica può fare molto, attraverso l’apprendimento per esperienza, accompagnato però dalla rifles-sione, dalla verbalizzazione, dalla rappresentazione a livelli sempre più astratti, fino alla teoria di riferimento. Per questi alunni, più che per gli altri, vale l’imperativo di dare parola all’esperienza.
Per tornare ai nostri esempi, un’altra persona ancora potrebbe essere ferratissima nelle conoscenze e nelle procedure relative a diversi contesti, sapere anche gene-ralizzare e trasferire tali capacità, ma essere incapace di relazionarsi positivamente con altri o, peggio, potrebbe utilizzare le proprie capacità contro le norme di convi-venza e danneggiare la comunità. Nel primo caso, potremmo essere di fronte a un esperto di gestione amministrativa e finanziaria, che sa tutto sui bilanci, le norme fiscali, la contabilità d’azienda, ma non sa relazionarsi in maniera proficua con nes-sun collega d’ufficio; nel secondo caso, a un chimico eccelso che mette il suo sapere al soldo di narcotrafficanti. In questi ultimi due casi, la competenza non viene rag-giunta per assenza di capacità relazionali e sociali, di autonomia e di responsabilità
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(intese kantianamente come capacità della persona di autogovernarsi e di attribuire significato alla legge morale e all’etica).
Perché noi possiamo parlare di competenza, pur a diversi livelli di padronanza, quindi, è necessario trovarci di fronte a una persona che possiede conoscenze, capa-cità procedurali (abilità), ma anche capacità metodologiche, personali, relazionali, sociali ed etiche, in particolar modo autonomia e responsabilità, per agire di fronte a problemi di diversa natura.
2. Uno strumento fondamentale: l’unità di apprendimento
Uno degli strumenti più completi per realizzare la didattica per competenze è la cosiddetta unità di apprendimento (UDA). Essa rappresenta un segmento, più o meno ampio e complesso, del curricolo, che si propone di far conseguire agli allievi aspetti di competenza (e ovviamente delle sue articolazioni in abilità e conoscenze), attraverso l’azione e l’esperienza.
Gli allievi sono chiamati a realizzare un prodotto materiale o immateriale (un manufatto, una brochure, la realizzazione di un evento ecc.), individualmente o in gruppo, mettendo a frutto conoscenze e abilità già possedute e acquisendone di nuo-ve attraverso il lavoro. La valutazione dell’unità viene effettuata tramite osservazioni di processo (impegno, costanza, motivazione; capacità di individuare problemi e di proporre ipotesi di soluzione, concretezza; collaborazione; capacità di fronteggiare le crisi, di collegare informazioni ecc.); analisi del prodotto (coerenza con la consegna, completezza, precisione, efficacia ecc.) e – fondamentale – una relazione individuale scritta e orale che renda conto del lavoro svolto, del percorso e delle scelte effettuate, delle esperienze condotte. La relazione ha un grande valore di riflessione metacogni-tiva (ovvero aiuta a dare senso al proprio sapere) e ha anche il compito insostituibile di “dare parola” all’esperienza, ciò che consente all’allievo di rappresentarla a livello astratto e concettuale. La capacità di rappresentare e di riflettere sull’esperienza at-traverso il linguaggio è alla base dei processi di astrazione e di simbolizzazione che portano a poter fare a meno dell’esperienza “qui e ora” e che sono indispensabili al conseguimento delle capacità progettuali, ideative e creative.
Ugualmente, l’apprendimento attraverso l’azione e la contestualizzazione con-sente agli allievi che si connotano prevalentemente come “astratti, verbali, centrati sulla teoria” di ancorare le proprie conoscenze a problemi reali e pratici.
Le competenze coinvolte in un’unità di apprendimento sono solitamente diverse; quasi sempre è interessata la comunicazione nella madrelingua; spesso le compe-tenze sociali del collaborare e partecipare e quelle metodologiche del problem sol-ving e dell’imparare a imparare. Si sceglie di porre il focus di attenzione prevalen-temente su alcune, poiché non sarebbe possibile tenerle tutte sotto controllo. L’unità di apprendimento è uno strumento potente perché travalica le singole discipline e fornisce elementi di valutazione a diversi insegnanti, che abbiano partecipato o meno alla sua progettazione e realizzazione.
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Una unità di apprendimento non esaurisce le competenze; servono osservazioni ripetute in contesti differenti. Le competenze, del resto, possono essere perseguite anche attraverso la didattica quotidiana, a patto che il docente abbia egli stesso la consapevolezza del significato e del senso di ciò che insegna e della valenza che ogni sapere riveste per l’esercizio della cittadinanza attiva.
Alcuni esempi
Prendiamo un insegnante che spiega la storia: la domanda più ricorrente da par-te dei giovani allievi di fronte alla successione storica di fatti, persone ed eventi è: «Perché studiarli, che sono tutti morti?». Spetta all’insegnante avvicinare questa di-sciplina ai ragazzi attraverso i quadri e le strutture di civiltà, analizzarne le trasfor-mazioni, leggervi i segni nel presente e inserirvi con naturalezza i personaggi e gli eventi fondamentali, quelli che costituiscono le “cesure” storiche. Naturalmente con i giovani allievi funziona meglio l’approccio narrativo anziché quello rigidamente “storicistico” e diacronico, che spesso connota ancora le pratiche didattiche delle nostre scuole. Lo studio delle vestigia del passato nel nostro ambiente, le testimo-nianze vive – dove è ancora possibile – o documentali, la metodologia “dalle storie alla storia”; l’interpretazione critica di eventi del presente attraverso una lettura del-le premesse nel passato, le riflessioni e l’analisi comparata di fatti storici alla luce, ad esempio, dei valori costituzionali e dei diritti umani per costruire competenze di cittadinanza; le ricerche sul campo, anche utilizzando le nuove tecnologie ecc. consentono agli allievi di comprendere e approcciare la storia come elemento vivo e immanente nella propria esperienza e non corpo estraneo confinato nei musei.
Prendiamo un insegnante di fisica alle prese con i concetti di velocità, accele-razione, inerzia e le relative formule. Se egli partisse dalle domande: «A che cosa servono tali concetti a un normale cittadino, che non sia un tecnico del settore? Come possono contribuire ad aumentare le competenze di cittadinanza?», potrebbe applicare i concetti fisici ai comportamenti stradali, ai rischi connessi alla velocità, magari servendosi di modellini, documenti, filmati ecc.
A questo proposito, un gruppo di valenti insegnanti di scienze del primo biennio di scuola superiore ha messo a punto un’unità di apprendimento di scienze integrate partendo da un aspetto fondamentale per la cittadinanza: come leggere il bugiar-dino (foglio illustrativo) dei farmaci. Attraverso l’analisi dei bugiardini, essi hanno affrontato elementi di chimica (i componenti e i principi attivi dei farmaci) e di bio-logia (gli effetti delle sostanze), fornendo, insieme alle conoscenze scientifiche, stru-menti di lettura e di gestione consapevole della quotidianità e della propria salute.
Naturalmente, l’utilità non va confusa con l’utilitarismo. In assoluto, non ci sono saperi “inutili”: caso mai possono esistere approcci astratti al sapere che non riesco-no a renderlo vivo e significativo. Gli allievi, e le persone in generale, apprendono le cose in modo permanente e consolidato tanto più esse rivestono per loro significato, valore e connotazione affettiva. Il resto si apprende soltanto fino all’interrogazione, o al termine degli studi, e poi si accantona, oppure si dimentica.
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La poesia, le arti, la musica non hanno rigorosamente una portata “utilitari-stica”, tuttavia possono essere grandemente apprezzate dagli allievi se toccano la loro affettività e le loro passioni. Possono inoltre rappresentare un valido aiuto nel campo dell’educazione affettivo-emotiva e nel consolidamento delle competenze di cittadinanza.
Pensiamo, ad esempio, alla ricostruzione di un fatto storico come l’olocausto. Lo scopo per cui noi affrontiamo tale evento non può essere soltanto storico. Il signifi-cato più alto è di cittadinanza, cioè quello di stimolare negli allievi riflessioni critiche sui valori dell’umanità, della convivenza, della democrazia, perché essi arrivino alla conclusione che tali fatti non dovrebbero mai più accadere. Se la ricostruzione che noi proponiamo alla classe fosse una ricerca attiva da parte degli allievi di testimonianze, immagini, testi e si concretizzasse nella realizzazione di un PowerPoint o di un do-cumentario dove testi informativi e immagini venissero accompagnati da musiche e testi letterari o poetici pertinenti (Primo Levi, Salvatore Quasimodo, Joyce Lussu), il linguaggio letterario e artistico avrebbe una funzione potentissima: quella di conno-tare emotivamente l’informazione, rendendola significativa e cementando gli elemen-ti costitutivi della competenza di cittadinanza. Nello stesso tempo, i poeti e i letterati assumerebbero agli occhi degli allievi l’alta statura di testimoni che compete loro.
Più in generale, i linguaggi letterari e artistici servono a fornire agli allievi stru-menti espressivi e di comprensione estetica che essi apprezzeranno a patto che noi riusciamo a porgerli in modo vivo e significativo; la letteratura, inoltre, contribui-sce a far comprendere che alcuni vissuti e significati sono universali, a prescindere dallo spazio e dal tempo, e ritrovarli nella narrazione permette di collocarci alla giusta distanza emotiva sia rispetto al testo sia rispetto ai vissuti personali che il testo stesso può evocare.
3. L’insegnante: un ruolo di primo piano
È importante sottolineare con forza che in tutto ciò ha enorme importanza l’at-teggiamento e lo spessore culturale e umano dell’insegnante. I giovani hanno biso-gno di modelli significativi in cui identificarsi. L’adulto educante passa prima ciò che è e poi ciò che sa, e il giovane attribuisce generalmente maggiore importanza a ciò che siamo rispetto a ciò che insegniamo. Dimensioni come la coerenza, l’autore-volezza, l’empatia, la serietà, l’equità, l’onestà professionale e intellettuale e – non ultimi – la passione e l’interesse che lasciamo trasparire insegnando sono poten-tissimi fattori di motivazione per gli allievi. Il “magister” è il docente che non solo passa conoscenza, ma regala esperienza, principi e chiavi di lettura della realtà, sa far capire il significato del sapere per la vita.
In questo senso hanno ragione coloro che sostengono che la didattica per com-petenze non è nulla di nuovo e che ritroviamo i suoi assunti fin dagli albori del pen-siero, in Epicuro, Socrate, Seneca; è altrettanto vero che tutti gli insegnanti avranno condotto esperienze di didattica per problemi, ricerche sul campo, riflessioni ecc.
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Il punto è che per perseguire competenze in modo sistematico e intenzionale è necessario che queste esperienze non restino casuali ed episodiche, ma diventino progettate, sistematiche, ordinarie, e che si inseriscano in un curricolo dove il con-cetto di competenza e il percorso per perseguirla sono resi espliciti e formalizzati per gli insegnanti prima di tutto, e quindi per gli studenti e le loro famiglie.
Questo è il cambiamento che ci viene richiesto. La didattica per competenze non può diventare l’ultima moda didattica. La posta in gioco è troppo alta: si tratta di riconquistare all’apprendimento e di fornire gli strumenti di cittadinanza alle gene-razioni più giovani, che rischiano di essere lasciate in balia di strumenti di informa-zione e intrattenimento dalle potenzialità positive innegabili, ma anche virtualmen-te distruttivi, se avvicinati senza le adeguate capacità di lettura e di analisi critica.
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Costruire un curricolo per competenze
e descrivere i risultati di apprendimento
1. La formulazione del curricolo e il superamento del concetto di programmazione
Il concetto di curricolo è maturato nel corso degli anni a livello nazionale e internazionale fino a raggiungere un’articolazione consistente e significativa. Da un’accezione restrittiva e malintesa – ancora presente nella pratica e nell’immagi-nario delle scuole – che faceva coincidere il curricolo con la programmazione di-dattica, ovvero con la mera esplicitazione degli obiettivi didattici riferiti alle diverse discipline, si è passati a una definizione molto più ricca e articolata. Quest’ultima connota il curricolo come il compendio della progettazione e della pianificazione dell’intera offerta formativa della scuola. Il curricolo, quindi, è il cuore della pro-gettualità scolastica: definisce le finalità, i risultati di apprendimento attesi per gli allievi, le strategie, i mezzi, i tempi, gli strumenti e i criteri di valutazione, le risorse interne ed esterne e la rete di relazioni che permetteranno agli allievi di conseguire le competenze.
Compito delle istituzioni scolastiche è formulare curricoli nel rispetto delle In-dicazioni Nazionali, mettendo al centro del processo di apprendimento gli allievi, le loro esigenze e le loro peculiarità, in collaborazione e sinergia con le famiglie e il territorio, in un’ottica di apprendimento permanente lungo tutto l’arco della vita.
In questo senso, è necessario superare la logica della programmazione discipli-nare a favore di una progettazione organica e integrata che si struttura a più livelli, con la collaborazione e l’interazione di diversi attori, di ambienti e risorse dentro e fuori l’istituzione scolastica.
Prima di definire i processi e i risultati dell’insegnamento, si tratta di formulare quelli dell’apprendimento, dando spazio alle motivazioni degli allievi e aiutandoli a costruire consapevolezza di sé, dei propri mezzi, dei propri punti di forza e di debolezza. Il curricolo predispone, organizza e riorganizza opportunità formative diverse e articolate, attraverso le quali l’allievo possa realizzarsi e sviluppare il suo personale percorso, in autonomia e responsabilità e nei diversi contesti relaziona-li (la classe, il gruppo dei pari, gli adulti ecc.). La progettazione curricolare tiene conto, inoltre, delle modalità di assunzione e riconoscimento degli apprendimenti conseguiti in contesti formali e non formali.
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Un lavoro di sinergie
Nell’ottica dell’apprendimento per competenze, tutto quanto abbiamo detto ri-chiede un’organizzazione flessibile dell’Istituto, una progettazione basata sul lavoro sinergico dei dipartimenti, dei gruppi di classi parallele, delle commissioni, dei con-sigli di classe o équipe pedagogiche, dei singoli docenti. Ciascuna di queste istanze organizzative costruisce i diversi aspetti del curricolo, dai più generali a quelli re-lativi all’attività quotidiana, superando la logica della frammentazione disciplinare, per tendere invece a una didattica finalizzata alla costruzione di competenze. La progettazione curricolare richiede anche la cooperazione all’interno di reti di scuole sul territorio, per mettere a punto offerte formative coerenti e condivise in comunità professionali e educative più ampie possibili.
Lydia Tornatore (1971, XXV) sottolineava, già diversi anni fa, un problema an-cora attuale:
Dovrebbe essere ormai pacifico come i curricoli delle nostre scuole non siano nati da una visione organica ma siano frutto di successivi adattamenti, modifiche, espansioni di un’impostazione originaria di tipo umanistico. Il quadro generale è ancor oggi la triparti-zione in materie letterarie, materie scientifiche, materie tecniche (in tempi di “educazione progressiva” si mettono accanto a queste materie le “attività” integrative). Questo quadro risponde ad una organizzazione del sapere che è oggi di gran lunga superata: basta pen-sare come in esso le “scienze” si identifichino senz’altro con le “scienze della natura”. La ricerca sul curricolo deve quindi proporsi il compito di mettere a punto una visione della “organizzazione della conoscenza” che sia più consentanea alla cultura di oggi.
La didattica per competenze risponde senz’altro al problema posto dalla Tornatore: perseguire competenze significa utilizzare i saperi disciplinari in modo integrato per affrontare evenienze e problemi concreti, mobilitare saperi diversi e risorse personali per gestire situazioni, costruendo nel contempo nuove conoscenze e abilità, sempre con la finalità ultima della formazione della persona e del cittadino. Ciò ovviamente supera anche la distinzione del tutto accademica e fittizia tra saperi umanistici e scientifici, che non trova più alcuna giustificazione – se mai l’ha avuta – nella realtà odierna.
2. Quali competenze?
Nella costruzione del curricolo, inteso come progettazione e pianificazione orga-nica, intenzionale e condivisa del percorso formativo degli allievi, la prima opera-zione da compiere è l’identificazione delle competenze da perseguire. Non sarebbe corretto partire dalle discipline: queste sono al servizio della competenza, fornisco-no i linguaggi, gli strumenti, i contenuti e i concetti, ma ciò che innanzitutto bi-sogna avere chiaro è il risultato finale dell’apprendimento, rappresentato, appunto, dalla competenza.
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In questa operazione, le Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, come già le In-dicazioni “Moratti”, non ci sono di molto aiuto. Esse, infatti, riportano “traguardi di competenza”: sarebbe necessario un lavoro di “distillazione” per rintracciare i nuclei fondamentali della disciplina e le competenze che possono essere perseguite.
Seguono poi degli “obiettivi per i traguardi” che sono espressi quasi sempre con verbi operativi e quindi possono essere presi come abilità. Tuttavia, c’è una diffe-renza concettuale, di “punto di vista”, tra abilità e obiettivi. Le abilità, infatti, appar-tengono al discente, sono dinamiche, si evolvono e si affinano. Gli obiettivi, invece, appartengono ai docenti, rappresentano le loro piste di lavoro e di programmazione e sono statici: una volta raggiunti, se ne pongono di nuovi. Questa distinzione può sembrare un sofisma, ma se pensiamo al curricolo come a uno strumento al servi-zio dell’allievo, che quindi lo metta al centro dell’azione, più che di “traguardi di competenza” e “obiettivi per i traguardi” dovremmo appunto ragionare in termini di competenze, articolate in abilità e conoscenze, come del resto indicano le Racco-mandazioni Europee.
Le Indicazioni Nazionali, tuttavia, sono il nostro principale riferimento e, come abbiamo detto, possiamo risalire, attraverso i traguardi e gli obiettivi, alle compe-tenze, abilità e conoscenze che gli allievi dovrebbero conseguire. Inoltre, le Indi-cazioni, nella loro emanazione del 2012, richiamano sovente e opportunamente gli insegnanti a ricercare i nessi tra discipline e a costruire percorsi didattici interdisci-plinari, anche se poi viene mantenuta al loro interno una rigorosa suddivisione di traguardi e obiettivi.
In questo percorso di identificazione delle competenze da perseguire, ci possono aiutare alcuni importanti documenti. Ne diamo di seguito una sintetica illustrazione.
L’allegato 2 alla OM 236 del 1993 sulla scheda di valutazione degli apprendimenti
Nel 1993 il Ministero della Pubblica Istruzione emanò un nuovo modello di scheda di valutazione sia per la scuola elementare sia per la scuola media, in sosti-tuzione di quella “narrativa” prevista dalla L 517 del 1977.
La scheda di valutazione prevedeva, per ogni disciplina, una lista di indicatori di padronanza che dovevano essere valutati su una scala alfabetica centenaria da A a E.
Nella tabella 3.1 riportiamo, a titolo di esempio, lo sviluppo di indicatori per la lingua italiana.
TABELLA 3.1
Indicatori Giudizio (da eccellente a gravemente insufficiente)
Ascoltare, comprendere, comunicare oralmente A B C D ELeggere e comprendere testi diversi A B C D EProdurre e rielaborare testi scritti di vario tipo A B C D ERiconoscere le strutture morfosintattiche della lingua e arricchire il lessico A B C D E
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Gli indicatori di padronanza, pur non inserendosi ancora nella prospettiva della competenza, permettevano, tuttavia, di strutturare già allora un curricolo articolato per abilità e conoscenze. Potevano, infatti, essere ulteriormente declinati in abili-tà più specifiche e conoscenze, a partire dalle quali era possibile strutturare unità didattiche e relativi strumenti di verifica e valutazione assai precisi e docimologi-camente rigorosi. La valutazione distinta per singoli indicatori permetteva di dare conto, in modo assai trasparente, dei punti di forza e di debolezza dell’allievo nella disciplina.
Gli indicatori, inoltre, rappresentavano un’esplicitazione dei nuclei fondamentali della disciplina, che era essenziale esplorare per poter dire di padroneggiarla.
Il Ministero, con l’intenzione di semplificare, negli anni successivi soppresse la valutazione distinta per indicatori e riformò il modello di scheda con l’indicazione di formulare un giudizio sintetico descrittivo per disciplina sulla scala ordinale “ottimo-distinto-buono-sufficiente-non sufficiente”. Gli indicatori rimasero come orientamento della valutazione sintetica. Tale semplificazione, in realtà, tolse tra-sparenza alla valutazione, riportando il giudizio alla disciplina nel suo complesso, togliendo forza alla potenza esplicativa degli indicatori e, di fatto, riducendo la valutazione a un voto, ancorché espresso mediante un aggettivo.
Tale modello rimase in vigore fino all’emanazione della L 169/2009 che ripristi-nò la valutazione in decimi. È utile precisare che, dal punto di vista docimologico e statistico, la valutazione mediante aggettivi e la valutazione in decimi sono equiva-lenti, trattandosi in entrambi i casi di scale ordinali.
Va anche evidenziato che la pagella, le schede di valutazione ecc. sono strumenti di comunicazione della valutazione e non coincidono con il processo di valutazione dei risultati di apprendimento. Il processo di valutazione deve essere un’operazione complessa, continua, che si basa su verifiche condotte con strumenti diversi e in modo sistematico. Gli esiti delle verifiche e delle osservazioni, opportunamente letti e interpretati in base a criteri esplicitati a priori, permettono ai docenti di esprimere valutazioni intermedie e finali sui diversi aspetti dell’apprendimento e, quindi, la comunicazione sintetica del giudizio tramite gli strumenti di comunicazione della valutazione. Di ciò si parlerà più diffusamente nei capitoli dedicati alla valutazione.
Ciò che interessa qui portare all’attenzione è il fatto che i vecchi indicatori, opportunamente rielaborati in prospettiva di competenza, possono costituire una valida ispirazione per l’individuazione dei risultati di apprendimento in termini di competenze da sviluppare nel curricolo.
Il DM 139/2007 sul nuovo obbligo di istruzione
Il DM 139/2007 sull’innalzamento dell’obbligo di istruzione fornisce le indica-zioni per il curricolo del biennio obbligatorio della scuola secondaria di secondo grado. Il documento esplicita le competenze essenziali che gli alunni dovrebbero conseguire nei quattro assi culturali (asse dei linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale), dentro i quali vengono raggruppate le competenze.
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Il DM 139/2007 esplicita indicatori di competenza che vengono anche sviluppati in abilità e conoscenze, nello spirito della Raccomandazione Europea del 23 aprile 2008. Gli indicatori di competenza non sono rigidamente ancorati alle specifiche discipline, anche se i riferimenti sono chiaramente reperibili.
Dal punto di vista metodologico, si tratta di un documento molto rigoroso che, nella prospettiva della continuità, può essere utilizzato per individuare le compe-tenze del primo ciclo.
Nella tabella 3.2 riportiamo l’esempio di declinazione dell’asse dei linguaggi che viene dato nel documento.
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Come si vede, il documento può essere utile anche come base d’appoggio per il primo ciclo. Si ponga attenzione agli indicatori: sono davvero simili a quelli della scheda di valutazione del 1993, anche se qui sono formulati correttamente in ter-mini di competenza: ad esempio, il primo e il terzo indicatore della lingua italiana collegano la padronanza della lingua alla competenza comunicativa (la lingua serve per comunicare), il che non veniva proposto dai vecchi indicatori, che infatti abbia-mo riferito più ad abilità che a competenze.
Il DM 139/2007 individua anche otto competenze di cittadinanza che i giovani dovrebbero possedere al termine dell’obbligo:1) Imparare a imparare2) Progettare3) Comunicare4) Collaborare e partecipare5) Agire in modo autonomo e responsabile6) Risolvere problemi7) Individuare collegamenti e relazioni8) Acquisire e interpretare l’informazione
Di queste, il documento dà le definizioni, fornisce abilità di massima, ma non ne fa oggetto di una declinazione puntuale in abilità e conoscenze, come per le competenze che si riferiscono alle discipline. In verità queste otto competenze, che vengono chiamate “competenze chiave di cittadinanza”, a ben vedere sono delle specificazioni di alcune delle otto competenze chiave europee.
“Imparare a imparare” è una competenza europea e a essa sono riconducibili anche “Individuare collegamenti e relazioni” e “Acquisire e interpretare l’informa-zione”; “Comunicare” è presente in due competenze chiave europee, “Comunica-zione nella madrelingua” e “Comunicazione nelle lingue straniere”; “Agire in modo autonomo e responsabile”, che è l’essenza stessa della competenza, e “Collaborare e partecipare” sono entrambe “Competenze sociali e civiche”; “Progettare” e “Risol-vere problemi” possono essere ricondotte allo “Spirito di iniziativa e imprendito-rialità”, anche se ovviamente, come del resto tutte le competenze, sono trasversali e interrelate. A nostro avviso sarebbe stato meglio riferirsi alle competenze chiave europee; un altro limite del documento è avere separato le competenze di cittadi-nanza da quelle degli assi culturali, generando il rischio che le prime diventino terra di nessuno e trasformando le competenze degli assi, private dei propri riferimenti sociali e metodologici, in macroabilità.
Le Linee Guida ai Piani di Studio Provinciali per il primo ciclo della Provincia di Trento
La Provincia di Trento, nella sua autonomia, ha facoltà di predisporre propri piani di studio e linee guida che si ispirano al quadro di riferimento nazionale, ma che possono anche differenziarsene.
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Le Linee Guida per la redazione dei curricoli del primo ciclo, emanate nel giugno del 2009, esplicitano le competenze da perseguire nelle diverse discipline, articolan-dole in abilità e conoscenze, con riferimento alla conclusione della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado.
Per omogeneità, riportiamo anche in questo caso lo sviluppo delle competenze riferite alla lingua (tabella 3.3). Per semplicità, sempre nella tabella 3.3, riportia-mo soltanto lo sviluppo riferito alla fine del ciclo, e non quello riferito alla scuola primaria.
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e co
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ersa
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he d
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azio
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: lett
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ella
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ua it
alia
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Sign
ifica
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nota
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nota
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• C
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antic
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nific
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par
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sico
ecc.
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esto
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Elem
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cost
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tes
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e na
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erso
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ama,
collo
cazi
one
nel t
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e n
ello
spa
zio,
tem
a, m
essa
ggio
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trec
cio
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ri e
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ere
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onal
i•
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criz
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ogg
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sogg
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rale
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zial
e…•
Info
rmaz
ioni
prin
cipa
li e
seco
ndar
ie•
La “
rego
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elle
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hi, c
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In questo caso, gli indicatori di competenza traggono ispirazione sia dal docu-mento del 1993 sia dal DM 139/2007.
I due documenti più recenti, il DM 139/2007 e le Linee Guida della Provincia di Trento, che esplicitamente si rifanno al concetto di competenza e alla definizione che ne viene data nella Raccomandazione del Parlamento Europeo del 23 aprile 2008 sull’EQF (il cui testo però era già noto come proposta di Raccomandazione fin dal 2006), hanno molti punti in comune. Ai fini della nostra trattazione, il docu-mento della Provincia di Trento ha il vantaggio di riferirsi specificamente al primo ciclo di istruzione.
I limiti del DM 139/2007 e delle Linee Guida della Provincia di Trento
I due documenti che abbiamo appena citato hanno molti punti a loro favore:
• sono direttamente ispirati alle definizioni di competenza del Parlamento Europeo;
• permettono ai curricoli impostati secondo questa logica di essere formulati in modo interconnesso nei diversi cicli di istruzione, favorendo la continuità;
• sono rigorosi dal punto di vista metodologico e forniscono alle scuole un mate-riale di lavoro già predisposto per la formulazione del curricolo.
Infatti, i risultati di apprendimento in termini di competenze sono già esplici-tati in modo chiaro, ma anche le abilità e le conoscenze sottese. Non mancano, specialmente nel documento di Trento, indicazioni metodologiche e operative che contribuiscono a orientare proficuamente la costruzione del curricolo da parte delle istituzioni scolastiche. Entrambi rappresentano punti di riferimento preziosi, ma condividono lo stesso limite: sono ancorati saldamente alle discipline e con difficoltà si individua un filo conduttore comune che le metta in relazione, anche se nel DM 139/2007 si registra l’apprezzabile sforzo di raggrupparle in assi cultu-rali. Tale sforzo, peraltro, viene vanificato nelle nuove Linee Guida per il curricolo degli Istituti Tecnici e Professionali, che sono redatte rigorosamente per disciplina. Il limite è ancora più evidente nelle Indicazioni dei Licei del 2010, dove non c’è traccia di indicatori di competenza e tanto meno di articolazioni in abilità e cono-scenze; le discipline, in termini di contenuti e conoscenze, tornano a essere l’unico riferimento.
Abbiamo più volte precisato che perseguire competenze richiede il superamento degli steccati disciplinari: se ci si mantiene ancorati alla specificità delle materie, si possono conseguire al massimo buone abilità, ma il rischio è di perdere di vista il senso e il significato del sapere e soprattutto di non avere a disposizione chiavi di lettura e strumenti per affrontare i problemi di realtà, che richiedono invece un approccio olistico e sistemico.
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3. Le competenze chiave europee come quadro di riferimento unificante
Le otto competenze chiave che, ricordiamo, sono definite come indispensabili per la realizzazione e lo sviluppo personale e sociale, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione, rappresentano bene il quadro di riferimento dell’istruzione e dell’educazione e sono in grado di costituire la cornice e lo sfondo per tutti i saperi e le competenze specifiche ancorate ai diversi settori in cui l’apprendimento e l’at-tività umana si dispiegano. Sono chiamate, appunto, “chiave”, perché sono a buon diritto delle “metacompetenze”, travalicano le specificità disciplinari, per delineare quegli strumenti culturali, metodologici, relazionali che permettono alle persone di partecipare e incidere sulla realtà.
Le Nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione del 2012, nel paragrafo della Premessa dedicato alle Fina-lità generali, recitano:
Il sistema scolastico italiano assume come orizzonte di riferimento verso cui tendere il quadro delle competenze-chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea (Raccomandazione del 18 dicembre 2006) […]. Nell’ambito del costante processo di elaborazione e verifica dei propri obiettivi e nell’attento confronto con gli altri sistemi scolastici europei, le Indicazioni Nazionali intendono promuovere e consolidare le competenze culturali basilari e irrinunciabili tese a sviluppare progressivamente, nel corso della vita, le competenze-chiave europee.
Il nuovo documento nazionale del primo ciclo assume quindi le competenze chiave come finalità dell’istruzione e orizzonte di riferimento. Le competenze di base e le discipline che a esse fanno capo devono tutte contribuire a perseguirle. Nella Premessa delle Nuove Indicazioni 2012 si insiste anche molto sulla necessità che le scuole, nella costruzione del curricolo, progettino percorsi di integrazione tra le diverse discipline, che stabiliscano nessi e ponti tra i diversi saperi. Le competen-ze chiave costituiscono senz’altro il più potente e valido nesso unificante.
È possibile costruire un curricolo a partire dalle competenze chiave: esso rappre-senterebbe uno strumento integrato, non strettamente riferito a questo o a quell’in-segnante, ma appartenente a tutti, capace di mettere in relazione tutti i saperi specifici.
La Raccomandazione del 18 dicembre 2006 descrive il significato, i legami, le implicazioni di ciascuna delle competenze chiave e addirittura fornisce indicazioni metodologiche su come perseguirle.
Se brevemente analizziamo anche in questa sede il significato di ognuna del-le otto competenze chiave, facilmente comprendiamo come davvero esse debbano diventare il riferimento unificante di ogni curricolo che si proponga di perseguire competenze.
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Comunicazione nella madrelingua e Comunicazione nelle lingue straniere
La formulazione rimanda direttamente al significato dell’apprendimento della lingua. Non si dice “padronanza della lingua”, ma “comunicazione”. Ciò significa che la scuola ha il compito di fornire gli strumenti per una completa padronanza della madrelingua, ma in funzione comunicativa. Si chiede di sviluppare negli al-lievi le competenze per l’interazione comunicativa orale, per la comprensione della lingua scritta, per la produzione di testi scritti adeguati ai diversi scopi e contesti comunicativi. La correttezza formale, la ricchezza del lessico, la capacità di gestione dei testi vanno insegnate, ma sempre accompagnate dall’attenzione ai diversi scopi, registri, contesti, destinatari. Particolare attenzione va riservata ai testi pragmatico-sociali, anche applicati ai linguaggi tecnici, all’argomentazione scritta e orale e ai testi informativi. Queste tipologie testuali, infatti, rivestono grande importanza nella comunicazione quotidiana, sia nelle relazioni personali sia in quelle professionali.
Ovviamente le medesime considerazioni si attagliano alle lingue straniere. La loro padronanza permette la comunicazione tra paesi e tra culture. Anche in questo caso, riveste grande valore la conoscenza della cosiddetta “microlingua”, ovvero quella che si adatta ai diversi contesti di vita e di lavoro e che permette di superare le barriere degli idiomi, ma anche delle culture.
Padroneggiare la lingua madre e le lingue straniere nella loro valenza comuni-cativa consente di aumentare a dismisura le proprie possibilità di autorealizzazione, di difesa, di comprensione del mondo e di relazione con gli altri.
In questa prospettiva, elementi come i registri comunicativi, gli scopi e le funzio-ni della lingua, le tipologie testuali, assumono un significato più profondo di quello eminentemente tecnico, poiché sono elementi che servono a modulare la comuni-cazione rispetto agli interlocutori, agli scopi, ai contesti.
La Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 a proposito della competenza “Comunicare nella madrelingua” conclude:
Un atteggiamento positivo nei confronti della comunicazione nella madrelingua comporta la disponibilità a un dialogo critico e costruttivo, la consapevolezza delle qualità estetiche e la volontà di perseguirle nonché un interesse a interagire con gli altri. Ciò comporta la consapevolezza dell’impatto della lingua sugli altri e la necessità di capire e usare la lingua in modo positivo e socialmente responsabile.
Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia
È di tutta evidenza l’importanza che la matematica assume nel nostro mondo. Essa è uno dei due metalinguaggi – insieme alla lingua – con cui ci rapportiamo alla realtà, con cui la misuriamo e la rappresentiamo. Le competenze matematiche ci permettono di avere un approccio critico a dati che leggiamo o che ci vengono pro-posti e a interpretazione di eventi e fenomeni; ci permettono di prendere decisioni
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ponderate di tipo economico o finanziario, di risolvere problemi quotidiani. Proprio come la lingua, la matematica è trasversale rispetto a tutte le altre discipline, per la sua potenza nel misurare e rappresentare i fenomeni. Possedere competenze ma-tematiche significa aumentare le proprie possibilità di pensiero critico, la propria autonomia personale, la possibilità di assumere decisioni responsabili.
La competenza scientifica di base ci permette ugualmente di leggere criticamente la realtà, di prendere decisioni, di assumere iniziative. Già il fatto di padroneggiare il metodo scientifico orienta il pensiero, la riflessività, il modo di approcciarsi ai problemi. Pensiamo a quante decisioni ci vengono richieste quotidianamente che richiedono informazioni scientifiche: il testamento biologico, le energie rinnovabili, o anche soltanto la lettura consapevole dell’etichetta degli alimenti.
Infatti, due degli indicatori di competenza dell’asse culturale scientifico-tecnolo-gico nel Documento sull’obbligo d’istruzione (DM 139/2007) recitano: «Analizzare qualitativamente e quantitativamente fenomeni legati alle trasformazioni di energia a partire dall’esperienza» ed «essere consapevole delle potenzialità delle tecnologie rispetto al contesto culturale e sociale in cui vengono applicate». Le abilità che co-stituiscono questi indicatori si riferiscono al sapersi rapportare ai fenomeni e agli eventi scientifici e tecnologici, sapendone valutare gli impatti sui diversi ecosistemi.
La scienza, inoltre, è in grado di spiegare i motivi per cui una tecnologia deve essere realizzata in un certo modo, secondo gli standard fissati dalle norme. Ecco che una virtuosa collaborazione tra il docente di scienze e quello di materie tecno-logiche può rendere gli studenti maggiormente consapevoli, ad esempio, del motivo per cui le norme obbligano a rispettare determinati protocolli nella realizzazione di impianti e macchinari (dato che il loro mancato rispetto avrebbe conseguenze ne-faste sull’ambiente e sulla vita delle persone). In questo modo, forse, avremmo più possibilità che i giovani diplomati diventino cittadini coscienziosi, quindi tecnici autonomi e responsabili, rispettosi e convinti delle norme tecniche che sono chia-mati a seguire nello svolgimento del proprio lavoro.
Nell’alveo delle competenze di base in scienza e tecnologia, anche alla luce della descrizione e degli obiettivi presenti nelle Indicazioni Nazionali del 2012, potremmo comprendere anche il contributo apportato dalla geografia. Questa disciplina, infat-ti, è accomunata alle scienze della Terra per l’ambito di indagine, e alla tecnologia per gli strumenti utilizzati; la matematica ne fornisce i linguaggi e gli strumenti per la misura e l’orientamento.
Competenza digitale
La competenza digitale non si esaurisce nell’apprendimento dell’informatica, come la competenza comunicativa non si esaurisce nella padronanza della lingua. La padronanza dell’informatica è ovviamente necessaria per maneggiare al meglio le nuove tecnologie, però la competenza si manifesta nell’utilizzare tale abilità, acqui-sita possibilmente al massimo grado, per semplificare il proprio e altrui lavoro e la vita dei cittadini, per risolvere problemi, per comunicare a distanza in tempo reale.
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È evidente che le nuove tecnologie possono essere utilizzate al servizio di tutti i saperi e la “Competenza digitale” assume anch’essa dignità di linguaggio altamente trasversale, a supporto della comunicazione, della ricerca e della soluzione dei più svariati problemi. Non è un caso che il Documento sull’obbligo di istruzione inse-risca le competenze relative alle nuove tecnologie nell’asse culturale dei linguaggi. L’Unione Europea, però, ha voluto farne una “competenza chiave” per l’importanza, la pervasività e l’alto impiego che essa ha assunto nella nostra società e per le po-tenzialità che le nuove tecnologie hanno di migliorare la vita delle persone.
Utilizzare le tecnologie al servizio della comunità significa anche non violare le regole della netiquette nella comunicazione, non agire come pirati della rete né tanto meno utilizzare la rete per commettere crimini. Vuol dire avere rispetto per la riser-vatezza altrui e non utilizzare videocellulari e social network per violarla. Significa, infine, sapersi difendere da chi utilizza la tecnologia proprio per questo scopo.
Ancora una volta, la padronanza delle nuove tecnologie diventa competenza quando viene utilizzata esercitando autonomia e responsabilità.
Data la diffusione delle nuove tecnologie tra i giovani, è urgente che la scuola si adoperi per insegnarne l’uso responsabile.
Imparare a imparare
“Imparare a imparare” non poteva che essere una competenza chiave, dato che si estrinseca nella padronanza delle abilità di studio, di ricerca, documentazione, con-fronto e selezione delle informazioni, organizzazione significativa delle conoscenze, abilità metodologiche e metacognitive.
Anch’essa, ovviamente, si applica a tutte le discipline e interessa ogni campo del sapere, poiché il suo esercizio permette non soltanto di acquisire le conoscenze, ma anche di selezionarle, valutarle, organizzarle e generalizzarle; permette di possedere metodi per imparare e quindi per acquisire nuova conoscenza; è la competenza ca-pace di rendere il sapere “autogenerativo”.
Nell’era digitale, inoltre, “Imparare a imparare” significa selezionare criticamente le informazioni reperibili dalla rete. Attraverso i motori di ricerca, tutti noi possia-mo acquisire facilmente una mole pressoché illimitata di informazioni su qualsiasi argomento. La rete è libera, e questo rappresenta la sua grande forza ma, allo stesso tempo, una sua notevole criticità: ciò significa che le informazioni della rete pos-sono essere ottime, mediocri o pessime, e talvolta pericolose. Tocca a noi insegnare ai ragazzi a vagliare le informazioni, attraverso la consultazione di siti autorevoli e attendibili e il confronto tra fonti diverse.
Competenze sociali e civiche
Non ci meraviglia che l’Unione Europea annoveri le “Competenze sociali e ci-viche” tra le competenze chiave. Se l’essenza della competenza è rappresentata da
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autonomia e responsabilità, è chiaro che non possiamo ritrovarla se non in cittadini rispettosi di sé, degli altri e dell’ambiente; attenti al benessere comune e alla parte-cipazione attiva e consapevole alla vita della comunità; cittadini, cioè, che abbiano acquisito e fatto proprio il significato delle norme come patto sociale, il cui rispetto non è dovuto al timore delle sanzioni o dei controlli esterni, ma all’adesione perso-nale. È questo il significato profondo del termine “autonomia”, come governo di sé, che risiede dentro se stessi, ovvero non in autorità esterne che reprimono e sanzio-nano, ma nella capacità autoregolativa degli individui responsabili.
Alla scuola, pertanto, si chiede di occuparsi delle “Competenze sociali e civiche” perché la formazione del cittadino è uno dei suoi obiettivi. Se compito della fa-miglia è di educare alle norme primarie della convivenza e al rispetto tra persone, compito della scuola, in collaborazione con la famiglia e con le altre agenzie educa-tive presenti nella comunità, è di insegnare ad applicare tali norme alla convivenza sociale, alla vita comunitaria, ai contesti di lavoro e di scambio. È compito della scuola, inoltre, dare il significato delle norme, costruire la consapevolezza della loro necessità per la corretta convivenza, contestualizzarle nella cultura e nella storia, fornire gli strumenti culturali per esercitarle. Tali strumenti risiedono nelle compe-tenze disciplinari e metacognitive, nelle competenze comunicative ed espressive, tutte esercitate appunto al servizio della comunità, in autonomia e responsabilità.
La definizione testuale che di questa competenza dà la Raccomandazione del Parlamento Europeo del 18.12.2006 è illuminante e merita di essere integralmente riportata:
Queste [le competenze sociali e civiche] includono competenze personali, inter-personali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che con-sentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più diversificate, come anche a risolvere i conflitti ove ciò sia necessario. La competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitici e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica.
Conoscenze, abilità e attitudini essenziali legate a tale competenzaA. La competenza sociale è collegata al benessere personale e sociale che richiede
la consapevolezza di ciò che gli individui devono fare per conseguire una salute fisica e mentale ottimali, intese anche quali risorse per se stessi, per la propria famiglia e per l’ambiente sociale immediato di appartenenza e la conoscenza del modo in cui uno stile di vita sano vi può contribuire. Per un’efficace parteci-pazione sociale e interpersonale è essenziale comprendere i codici di compor-tamento e le maniere generalmente accettati in diversi ambienti e società (ad esempio sul lavoro). È altresì importante conoscere i concetti di base riguardanti gli individui, i gruppi, le organizzazioni del lavoro, la parità e la non discriminazione tra i sessi, la società e la cultura. È essenziale inoltre comprendere le dimensioni multiculturali e socioeconomiche delle società europee e il modo in cui l’identità culturale nazionale interagisce con l’identità europea.
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La base comune di questa competenza comprende la capacità di comunicare in modo costruttivo in ambienti diversi, di mostrare tolleranza, di esprimere e di comprendere diversi punti di vista, di negoziare con la capacità di creare fiducia e di essere in consonanza con gli altri. Le persone dovrebbero essere in grado di venire a capo di stress e frustrazioni e di esprimere questi ultimi in modo costrut-tivo e dovrebbero anche distinguere tra la sfera personale e quella professionale.
La competenza si basa sull’attitudine alla collaborazione, l’assertività e l’integrità. Le persone dovrebbero provare interesse per lo sviluppo socioeconomico e la comunicazione interculturale, e dovrebbero apprezzare la diversità e rispettare gli altri ed essere pronte a superare i pregiudizi e a cercare compromessi.
B. La competenza civica si basa sulla conoscenza dei concetti di democrazia, giu-stizia, uguaglianza, cittadinanza e diritti civili, anche nella forma in cui essi sono formulati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nelle dichia-razioni internazionali e nella forma in cui sono applicati da diverse istituzioni a livello locale, regionale, nazionale, europeo e internazionale. Essa comprende la conoscenza delle vicende contemporanee nonché dei principali eventi e tenden-ze nella storia nazionale, europea e mondiale. Si dovrebbe inoltre sviluppare la consapevolezza degli obiettivi, dei valori e delle politiche dei movimenti sociali e politici. È altresì essenziale la conoscenza dell’integrazione europea, nonché delle strutture, dei principali obiettivi e dei valori dell’UE, come pure una consapevolez-za delle diversità e delle identità culturali in Europa.
Le abilità in materia di competenza civica riguardano la capacità di impegnarsi in modo efficace con gli altri nella sfera pubblica nonché di mostrare solidarietà e interesse per risolvere i problemi che riguardano la collettività locale e la comu-nità allargata. Ciò comporta una riflessione critica e creativa e la partecipazione costruttiva alle attività della collettività o del vicinato, come anche la presa di de-cisioni a tutti i livelli, da quello locale a quello nazionale ed europeo, in particolare mediante il voto.
Il pieno rispetto dei diritti umani, tra cui anche quello dell’uguaglianza quale base per la democrazia, la consapevolezza e la comprensione delle differenze tra si-stemi di valori di diversi gruppi religiosi o etnici pongono le basi per un atteggia-mento positivo. Ciò significa manifestare sia un senso di appartenenza al luogo in cui si vive, al proprio paese, all’UE e all’Europa in generale e al mondo, sia la disponibilità a partecipare al processo decisionale democratico a tutti i livelli. Vi rientra anche il fatto di dimostrare senso di responsabilità, nonché comprensione e rispetto per i valori condivisi, necessari ad assicurare la coesione della comunità, come il rispetto dei principi democratici. La partecipazione costruttiva comporta anche attività civili, il sostegno alla diversità sociale, alla coesione e allo sviluppo sostenibile e una disponibilità a rispettare i valori e la sfera privata degli altri.
In questo contesto, trova logico spazio l’insegnamento relativo a “Cittadinanza e Costituzione”, che fornisce gli strumenti culturali e critici per comprendere le norme, le regole, i patti che governano la convivenza democratica, a partire dalla Costituzione della Repubblica e dalle Carte Internazionali, attraverso il “corpus” di
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leggi che regolano la nostra vita quotidiana, fino agli Statuti degli Enti Locali e ai Regolamenti della scuola e della classe.
Spirito di iniziativa e imprenditorialità
La competenza “Spirito di iniziativa e imprenditorialità” non significa ovvia-mente che tutti dobbiamo possedere una partita IVA e dare vita a un’impresa… Signi-fica però che tutti i cittadini dovrebbero possedere competenze di base nel risolvere accuratamente problemi, nell’assumere decisioni ponderate, sapendone calcolare rischi, costi, benefici e opportunità, nel prendere iniziative, organizzando le azioni in base alle priorità, nell’ideare e gestire progetti, nell’agire in modo flessibile in contesti mutevoli. Se pensiamo a come oggi cambino velocemente gli scenari cultu-rali, economici e sociali, è indubbio che la scuola debba agire al meglio delle proprie possibilità per educare i propri allievi ad affrontare il cambiamento traendone le migliori opportunità, a provocarlo e governarlo quando ritenuto proficuo, ma anche ad accettarlo e gestirlo quando subìto, in modo da non farsene travolgere e, anzi, trarne motivo di ulteriore crescita e apprendimento.
Vediamo la definizione che di tale competenza dà la Raccomandazione del 18 dicembre 2006:
Il senso di iniziativa e l’imprenditorialità concernono la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. È una competenza che aiuta gli individui, non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di lavoro, ad avere consape-volezza del contesto in cui operano e a poter cogliere le opportunità che si offrono ed è un punto di partenza per le abilità e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno coloro che avviano o contribuiscono a un’attività sociale o commerciale. Essa dovrebbe includere la consapevolezza dei valori etici e promuovere il buon governo.
Conoscenze, abilità e attitudini essenziali legate a tale competenzaLa conoscenza necessaria a tal fine comprende l’abilità di identificare le opportunità disponibili per attività personali, professionali e/o economiche, comprese questioni più ampie che fanno da contesto al modo in cui le persone vivono e lavorano, come ad esempio una conoscenza generale del funzionamento dell’economia, delle op-portunità e sfide che si trovano ad affrontare i datori di lavoro o un’organizzazione. Le persone dovrebbero essere anche consapevoli della posizione etica delle impre-se e del modo in cui esse possono avere un effetto benefico, ad esempio mediante il commercio equo e solidale o costituendo un’impresa sociale.Le abilità concernono una gestione progettuale proattiva (che comprende ad esem-pio la capacità di pianificazione, di organizzazione, di gestione, di leadership e di dele-ga, di analisi, di comunicazione, di rendicontazione, di valutazione e di registrazione),
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la capacità di rappresentanza e negoziazione efficaci e la capacità di lavorare sia individualmente sia in collaborazione all’interno di gruppi. Occorre anche la capacità di discernimento e di identificare i propri punti di forza e i propri punti deboli e di soppesare e assumersi rischi all’occorrenza.Un’attitudine imprenditoriale è caratterizzata da spirito di iniziativa, capacità di anti-cipare gli eventi, indipendenza e innovazione nella vita privata e sociale come anche sul lavoro. In ciò rientrano la motivazione e la determinazione a raggiungere obiettivi, siano essi personali, o comuni con altri, anche sul lavoro.
Consapevolezza ed espressione culturale
La definizione che la Raccomandazione del 18 dicembre 2006 fornisce di questa competenza è la seguente:
Consapevolezza dell’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti dello spettacolo, la letteratura e le arti visive.
Conoscenze, abilità e attitudini essenziali legate a tale competenzaLa conoscenza culturale presuppone una consapevolezza del retaggio culturale lo-cale, nazionale ed europeo e della sua collocazione nel mondo. Essa riguarda una conoscenza di base delle principali opere culturali, comprese quelle della cultura popolare contemporanea. È essenziale cogliere la diversità culturale e linguistica in Europa e in altre parti del mondo, la necessità di preservarla e l’importanza dei fat-tori estetici nella vita quotidiana.Le abilità hanno a che fare sia con la valutazione sia con l’espressione: la valutazione e l’apprezzamento delle opere d’arte e delle esibizioni artistiche nonché l’autoe-spressione mediante un’ampia gamma di mezzi di comunicazione facendo uso delle capacità innate degli individui. Tra le abilità vi è anche la capacità di correlare i propri punti di vista creativi ed espressivi ai pareri degli altri e di identificare e realizzare opportunità sociali ed economiche nel contesto dell’attività culturale. L’espressione culturale è essenziale nello sviluppo delle abilità creative, che possono essere trasfe-rite in molti contesti professionali.Una solida comprensione della propria cultura e un senso di identità possono costi-tuire la base di un atteggiamento aperto verso la diversità dell’espressione culturale e del rispetto della stessa. Un atteggiamento positivo è legato anche alla creatività e alla disponibilità a coltivare la capacità estetica tramite l’autoespressione artistica e la partecipazione alla vita culturale.
L’ottava competenza chiave è l’alveo del patrimonio umanistico, dei significati dell’identità e dei retaggi. Qui trovano il proprio spazio la storia, la letteratura, la filoso-fia, le arti, il diritto, la comunicazione e l’espressione non verbali, l’educazione religiosa.
Questa competenza risponde alle grandi domande: «Chi siamo, da dove veniamo, dove siamo, dove stiamo andando?». In una società complessa e ormai multietnica
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e multiculturale come la nostra, la comprensione dei retaggi e della cultura è indi-spensabile per fondare l’identità personale e sociale. Il confronto con altre culture diventa proficuo e reciprocamente arricchente se tutti coloro che vi partecipano hanno una sicura identità, che si fonda sulla consapevolezza delle proprie origini, del significato dei patti sociali che regolano la convivenza, delle espressioni cultu-rali e artistiche con cui l’identità si manifesta. Soltanto in questo modo l’altro non è vissuto come minaccioso, ma, anzi, come soggetto con cui confrontarsi anche in modo acceso e assertivo. Una sicura identità ci permette di accogliere e integrare le altrui manifestazioni che possono arricchirci, di porgere senza arroganza i nostri migliori valori, ma nello stesso tempo di contrastare e opporci a tutte quelle mani-festazioni che palesemente sono in contrasto con i nostri valori fondamentali, quelli che trovano origine nell’evoluzione – anche tormentata – del nostro pensiero (dalle radici elleniche, romane, ebraico-cristiane, alle evoluzioni liberali e illuministiche, alle rivoluzioni economiche, politiche e sociali, fino ad arrivare alle grandi guerre che hanno permesso di contrastare i nazionalismi e di affermare le democrazie). Per quanto ci riguarda, i valori fondamentali risiedono in sintesi nel documento che rappresenta il nostro Vangelo laico, ovvero la Costituzione.
Nella prospettiva della competenza, l’insegnamento della storia, della letteratu-ra e delle arti, del diritto, della filosofia e della religione, assumono un significato potentissimo. Queste discipline davvero possono essere capaci di fondare l’identità collettiva, se insegnate con una visuale ampia e olistica. In questo modo troverebbe facile risposta, fra mille altre, anche la domanda nota e apparentemente impertinen-te, dei nostri studenti: «Perché studiare la storia, ché sono tutti morti?». La storia, in questa prospettiva, costruisce la competenza della consapevolezza e dell’espressione culturale rispondendo alle domande: «Da dove veniamo?», «Dove siamo?». Tutta-via è necessario fare anche chiaro riferimento alle “Competenze sociali e civiche”, quando, facendo tesoro delle lezioni del passato, proviamo a rispondere alla do-manda: «Dove andiamo?».
4. Dalla critica dei documenti alla nostra proposta di descrizione delle competenze
Come abbiamo già detto, secondo noi sia il DM 139/2007 sia le Linee Guida della Provincia di Trento hanno il limite di ancorarsi alle discipline, pur essendo docu-menti rigorosi e attenti alle definizioni europee. Il DM 139/2007, inoltre, definisce otto competenze di cittadinanza che rappresentano una specificazione delle compe-tenze chiave europee, piuttosto che riferirsi direttamente a quelle. Il rischio è che le competenze di cittadinanza siano viste come un’altra cosa rispetto alle discipline, e restino in realtà territorio inesplorato, tanto più che non sono state oggetto di articolazione in abilità e conoscenze, al contrario delle altre.
In realtà le competenze di cittadinanza dovrebbero essere l’aspetto sociale, rela-zionale, metodologico della competenza e quindi presenti in ogni contesto; ancor
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di più, questo aspetto della competenza è quello che maggiormente la qualifica e la distingue dalle mere abilità, perché rappresenta il fine e il significato dell’istruzione.
Le stesse competenze chiave europee, pur non essendo ordinate gerarchicamente e rappresentando esse stesse una rete, manifestano delle differenze al loro interno. Nelle prime quattro ravvisiamo chiaramente il grande contributo di saperi formali di provenienza disciplinare; nell’“Imparare a imparare” e nello “Spirito di iniziativa e imprenditorialità”, troviamo invece le abilità metodologiche e metacognitive ne-cessarie a reperire, organizzare e recuperare l’apprendimento e orientare l’azione; nell’ottava, oltre al contributo disciplinare, troviamo la consapevolezza identitaria; nella sesta, le “Competenze sociali e civiche”, troviamo l’essenza della convivenza e del rispetto. Le stesse otto competenze, per poter dispiegare la propria azione, de-vono essere agite in modo reticolare.
Tuttavia, la scelta “disciplinaristica” dei redattori dei due documenti che ab-biamo preso come esempio, anche se si può definire “timida”, può considerarsi un compromesso strategicamente ispirato. I docenti, infatti, sono abituati a ragionare per discipline, conoscenze e contenuti, e già il riferimento a competenze, abilità e conoscenze rappresenta un salto culturale non scontato per molti. Se l’indicazione fosse stata quella di partire direttamente dalle competenze chiave per arrivare alle competenze, abilità e conoscenze specifiche legate ai diversi saperi, probabilmente la maggioranza ne sarebbe rimasta disorientata.
La proposta che noi facciamo in questa sede tenta di saldare questi due percorsi – quello che parte dalle competenze chiave e quello che si riferisce alle discipline –, arrivando alla definizione di un curricolo che evidenzi con chiarezza le competenze specifiche delle discipline, che potremmo definire “di base”, collegandole conte-stualmente alle competenze chiave, ed esplicitando il riferimento concettuale e la finalità ultima delle competenze specifiche.
In altre parole, descriviamo pure le competenze specifiche di base riferite alle discipline, individuiamo gli indicatori di competenza, articoliamoli in abilità e co-noscenze, ma poi “incastoniamo” queste descrizioni nelle competenze chiave di riferimento, perché sia chiaro che la nostra opera didattica e educativa è orientata alla costruzione delle competenze chiave e che tutti i contenuti, le conoscenze e le abilità di qualsiasi disciplina sono al servizio di quelle competenze.
Nella tabella 3.4 facciamo l’esempio della competenza chiave “Comunicazione nella madrelingua”: essa è specificata dalle competenze di padronanza della lingua italiana, articolate in abilità e conoscenze. Le abilità possono essere agevolmente tratte dagli “obiettivi per i traguardi” delle Indicazioni Nazionali del 2012; le co-noscenze sono facilmente ricostruibili dalle abilità e dagli indicatori specifici di competenza. Per semplicità, riportiamo solo le competenze al termine della scuola secondaria di primo grado, senza riportare le tappe alla fine della terza classe della primaria e alla fine della scuola primaria. Le tabelle complete di descrizione delle competenze del curricolo sono invece riportate all’indirizzo:www.pearson.it/ladidatticapercompetenze.
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Nel caso della competenza “Imparare a imparare”, per l’individuazione delle competenze specifiche abbiamo tratto ispirazione dal DM 139/2007; l’articolazione in abilità e conoscenze, invece, è una nostra elaborazione (tabella 3.5).
Leggendo l’articolazione della competenza, appare molto chiaro che il fatto di perseguirla riguarda tutti i docenti e che le proposte a essa riferite sono presenti in tutte le discipline.
Ovviamente, anche la “Comunicazione nella madrelingua” riguarda tutti gli in-segnanti, dato che la lingua è il mediatore comune di ogni sapere, generale o specia-listico che sia, dei vissuti, delle esperienze e delle emozioni. Ma, come abbiamo più volte detto, la competenza è per sua natura trasversale e quindi non è strettamente riferibile a un ambito. Perciò il curricolo costruito su competenze – specialmente su competenze chiave – è il curricolo di tutti e di ciascuno, e nessuno può sostenere che una qualche parte non lo riguardi.
Prendiamo, ad esempio, un compito significativo come l’argomentare intorno a tesi su cui siamo concordi o, al contrario, su cui siamo discordi. Dover ricerca-re documenti a supporto della nostra argomentazione costruisce la competenza dell’“Imparare a imparare”; dover discutere in pubblico rispettando le regole della conversazione e della discussione, esprimendosi in modo chiaro, aumenta la com-petenza comunicativa, ma anche le “Competenze sociali e civiche” ecc.
Nella tabella 3.6 vediamo la descrizione della competenza chiave “Competenze sociali e civiche”.
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In questo caso, nell’individuazione delle competenze specifiche e di parte delle abilità e delle conoscenze, abbiamo tratto ispirazione dalle Linee Guida della Pro-vincia di Trento, dalle Linee Guida del Ministero sull’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” e dalle Indicazioni Nazionali 2012, anche se in queste ultime si può individuare un riferimento specifico soltanto in parte della disciplina “storia”.
Altra importante competenza chiave a cui non sono strettamente riferibili saperi disciplinari specifici è “Spirito di iniziativa e imprenditorialità (o intraprendenza)” (tabella 3.7).
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L’individuazione delle competenze specifiche e la loro articolazione è una nostra elaborazione, anche se possiamo trovare riferimento alle due competenze di citta-dinanza del DM 139/2007 “Progettare” e “Risolvere problemi”. Quest’ultima è una competenza irrinunciabile, poiché su essa si fonda gran parte della capacità di inci-dere sulla realtà e di orientarvisi, utilizzando gli strumenti dell’individuare, porre e risolvere problemi, dell’analisi di situazione, della presa di decisione in presenza di diverse possibilità, della pianificazione e dell’organizzazione.
L’articolazione di altre competenze chiave
La competenza chiave “Consapevolezza ed espressione culturale” è vasta e ar-ticolata: essa comprende, come abbiamo visto, i patrimoni identitari della storia, delle arti, della musica e della letteratura, della filosofia e dell’educazione religiosa.
Pur essendo una competenza unica e pervasiva, ai fini della sua descrizione e del-la costruzione di un curricolo teso al suo raggiungimento, abbiamo preferito scan-dirla in alcune dimensioni principali: la consapevolezza del patrimonio identitario storico; la consapevolezza culturale delle arti, della musica e della letteratura; la consapevolezza dell’espressività corporea. Sono distinzioni di tipo pragmatico, non concettuale: ancora una volta richiamiamo alla natura olistica della competenza.
Si è preferito fare un’analoga distinzione descrittiva per le competenze di base in matematica, scienza e tecnologia, distinguendo la descrizione della competenza matematica dalla descrizione delle competenze scientifico-tecnologiche, anche se sappiamo bene che gli strumenti della matematica (oltre che della lingua) sono fon-damentali per veicolare le competenze scientifico-tecnologiche.
Lo sviluppo completo delle descrizioni delle competenze del curricolo è riportato nelle tabelle all’indirizzo: www.pearson.it/ladidatticapercompetenze.
5. “Evidenze” e “compiti significativi” per mobilitare le competenze
La competenza, in quanto “sapere agito”, non esiste di per se stessa, ma esiste la persona che mobilita saperi, abilità e capacità personali di fronte a problemi da risolvere e situazioni concrete da gestire.
Le cosiddette “evidenze” sono delle performance che, se agite, possono testimo-niare il possesso della competenza da parte dell’allievo. Esse si riferiscono all’intero percorso di studio, sono “sentinella” della competenza. Naturalmente, nelle fasi intermedie del percorso, le evidenze si mostreranno agite con complessità minore, meno articolata, in ambiti di esperienza più circoscritti. Mano a mano che ci si avvi-cina alla fase finale del periodo considerato, l’evidenza dovrebbe manifestarsi agita nella sua massima completezza.
I Traguardi per lo sviluppo delle competenze contenuti nelle Indicazioni per il curricolo del 2012 sono quasi sempre formulati come buone evidenze, pertanto,
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dove possibile, li abbiamo utilizzati in questo senso nella nostra proposta di curricolo.
L’allievo può agire la competenza e mostrare le sue evidenze attraverso i cosid-detti “compiti significativi”, ovvero compiti realizzati in un contesto vero o vero-simile e in situazioni di esperienza, dove egli possa gestire situazioni e risolvere problemi in autonomia e responsabilità.
Suggeriamo, quindi, a puro titolo esemplificativo, una serie di possibili “compiti significativi” che gli alunni potrebbero svolgere, in gruppo e/o singolarmente. Essi, che nelle tabelle di curricolo del primo ciclo sono comuni sia per la scuola primaria sia per quella secondaria di primo grado, sono facilmente adattabili a ciascuno dei due gradi e se ne possono senza dubbio esplicitare altri. L’importante è che il com-pito affidato non sia banale, ma legato a situazioni di esperienza concreta e un po’ più complesso rispetto alle conoscenze e abilità già possedute, per utilizzare le ca-pacità personali, sociali e metodologiche e per costruire nuova conoscenza. In caso contrario, si tratterebbe di una mera esercitazione e non assisteremmo a nessuna mobilitazione di risorse personali.
Il “compito significativo” riveste notevole importanza per la valutazione della competenza: essa, infatti, può essere evidenziata, e quindi valutata, soltanto in una situazione concreta, quando l’allievo agisce in autonomia e responsabilità di fronte a una situazione nuova.
I compiti significativi possono diventare oggetto di “unità di apprendimento” più o meno articolate e complesse, che mirano a costruire competenze diverse.
6. Metodi di valutazione della padronanza: “livelli” e “rubrica”
La valutazione di una competenza si esprime tipicamente attraverso una breve descrizione di come la persona utilizza le conoscenze, le abilità e le capacità perso-nali possedute, e in quale grado di autonomia e responsabilità.
È necessario, quindi, articolare la competenza in livelli di padronanza. È così che operano molti framework utilizzati a livello internazionale (il Quadro Europeo delle Lingue, che si articola in sei livelli, da A1 a C2; i livelli di PISA per le competenze in comprensione del testo, matematica e scienze; l’EQF, che si articola in otto livelli e si applica alle qualifiche e ai titoli ottenuti nel secondo ciclo di istruzione, nell’Istru-zione Tecnica Superiore, all’Università, in contesto lavorativo).
Non avendo framework nazionali, nel nostro paese il compito potrebbe essere assunto dalle reti di scuole nel territorio. I livelli qui proposti sono quindi soggetti a validazioni e ovviamente passibili di modifica e integrazione.
L’insieme delle descrizioni delle competenze, abilità e conoscenze e l’articolazio-ne in livelli di padronanza viene definito “rubrica”.
Per quanto riguarda la padronanza, la nostra rubrica si articola in cinque livelli: i primi tre attesi nella scuola primaria (in particolare il terzo alla fine della primaria, ma anche all’inizio della scuola secondaria di primo grado), il quarto nella scuola
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secondaria di primo grado e il quinto alla fine del primo ciclo di istruzione. Esso po-trebbe caratterizzare alunni particolarmente competenti e capaci, che hanno dispiegato al meglio le proprie potenzialità, perciò riteniamo che i livelli tre, quattro e cinque possano essere tutti riscontrabili in differenti alunni anche al termine del ciclo. Il terzo livello è costituito – dove possibile – dai Traguardi per lo sviluppo delle competenze alla fine della scuola primaria descritti dalle Indicazioni Nazionali 2012, il quinto – sempre dove possibile – dai Traguardi alla fine della scuola secondaria di primo grado.
Per quanto riguarda le rubriche della scuola dell’infanzia, si articolano in quattro livelli di padronanza che descrivono i possibili diversi stadi evolutivi della compe-tenza, osservabili in bambini di quell’età. Il primo descrive un livello di padronanza del tutto iniziale, fatto di performance imitative ed esecutive, che possiamo ri-scontrare all’inizio della scuola dell’infanzia in bambini che non abbiano maturato molte esperienze motorie, linguistiche ed espressive. L’ultimo, invece, descrive un alunno piuttosto evoluto, al termine della scuola dell’infanzia, che ha potuto trarre vantaggio da un contesto esperienziale scolastico ed extrascolastico molto stimo-lante, che ne ha valorizzato tutte le potenzialità.
I livelli di padronanza della scuola dell’infanzia sono certamente ispirati ai Tra-guardi nei diversi campi di esperienza descritti dalle Indicazioni Nazionali 2012, ma descrivono con maggiore dettaglio le prestazioni che i bambini potrebbero offrire.
Naturalmente nessun allievo, sia della scuola dell’infanzia sia della scuola pri-maria e secondaria, corrisponderà mai perfettamente al profilo descritto dalla rubri-ca. Ciascuno possiederà appieno alcune caratteristiche, altre in minor misura, altre ancora per nulla. Noi assumeremo il livello che descrive il “colore” prevalente della padronanza, quello che più rispecchia le caratteristiche dell’allievo.
Potremmo superare questo “limite” delle rubriche di livelli soltanto costruendo una rubrica per ciascun allievo, cosa senz’altro possibile, ma molto dispendiosa e che non consentirebbe la definizione di un profilo “atteso” e confrontabile, utiliz-zabile da scuole diverse per valutare e certificare i risultati di apprendimento in termini di competenza.
L’“esportabilità” della rubrica
È del tutto legittimo che la scuola fissi degli standard circa le attese sull’appren-dimento e che la descrizione di questi standard sia fatta per essere confrontabile con altre scuole della stessa o di diversa tipologia, e comunicabile alle altre parti interessate (famiglia, comunità, Stato).
Del resto, anche quando assegniamo il voto di profitto, sappiamo che dietro un 8 ci sono alunni con risultati molto diversi, ma scegliamo ugualmente di attribuire quell’etichetta, perché meglio si adatta ai risultati di profitto conseguiti da ciascu-no. Sulla grande differenza esistente tra valutazione di profitto e valutazione della competenza, si parlerà più diffusamente nella parte dedicata alla valutazione.
Nel nostro modello, abbiamo scelto di articolare le rubriche e i livelli di padro-nanza per la competenza chiave (la sua articolazione) nel complesso, non per le
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singole competenze specifiche. Sarebbe infatti molto dispersivo e dispendioso dover costruire rubriche per tutte le competenze specifiche, e ciò altererebbe la natura stessa della competenza come entità olistica. Inoltre, sarebbe davvero sconsigliabile consegnare agli alunni e alle famiglie una certificazione di competenze che descriva 30/40 dimensioni specifiche.
È stata anche la scelta operata, ad esempio, dal framework europeo delle lingue (QCER) e da OCSE PISA. Il QCER ha sei livelli di padronanza della lingua, non distinti per la lingua orale, la lingua scritta ecc., e così pure i livelli di PISA.
Piuttosto, la descrizione rende conto brevemente di come l’allievo agisca tutte le dimensioni della padronanza (ad esempio, per la madrelingua: la comunicazione orale, la comprensione del testo, la produzione) e con quale grado di autonomia e responsabilità.
Vediamo lo sviluppo dei sei livelli del QCER, a titolo di esempio.
Livello avanzato• C2 È in grado di comprendere senza sforzo praticamente tutto ciò che ascolta o
legge. Sa riassumere informazioni tratte da diverse fonti, orali e scritte, ristrutturando
in un testo coerente le argomentazioni e le parti informative. Si esprime spon-taneamente, in modo molto scorrevole e preciso e rende distintamente sottili sfumature di significato anche in situazioni piuttosto complesse.
• C1 È in grado di comprendere un’ampia gamma di testi complessi e piuttosto lun-ghi e ne sa ricavare anche il significato implicito. Si esprime in modo scorrevole e spontaneo, senza un eccessivo sforzo per cercare le parole. Usa la lingua in modo flessibile ed efficace per scopi sociali, accademici e professionali. Sa produrre te-sti chiari, ben strutturati e articolati su argomenti complessi, mostrando di saper controllare le strutture discorsive, i connettivi e i meccanismi di coesione.
Livello intermedio• B2 È in grado di comprendere le idee fondamentali di testi complessi su argo-
menti sia concreti sia astratti, comprese le discussioni tecniche nel proprio settore di specializzazione. È in grado di interagire con relativa scioltezza e spontaneità, tanto che l’interazione con un parlante nativo si sviluppa senza eccessiva fatica e tensione. Sa produrre testi chiari e articolati su un’ampia gamma di argomenti ed esprimere un’opinione su un argomento d’attualità, esponendo i pro e i contro delle diverse opzioni.
• B1 È in grado di comprendere i punti essenziali di messaggi chiari in lingua standard su argomenti familiari che affronta normalmente al lavoro, a scuola, nel tempo libero ecc. Se la cava in molte situazioni che si possono presentare viaggiando in una regione dove si parla la lingua in questione. Sa produrre testi semplici e coerenti su argomenti che gli siano familiari o siano di suo interesse. È in grado di descrivere esperienze e avvenimenti, sogni, speranze, ambizioni, di esporre brevemente ragioni e dare spiegazioni su opinioni e progetti.
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Livello elementare• A2 Riesce a comprendere frasi isolate ed espressioni di uso frequente relative ad
ambiti di immediata rilevanza (ad esempio, informazioni di base sulla persona e sulla famiglia, acquisti, geografia locale, lavoro). Riesce a comunicare in attività semplici e di routine che richiedono solo uno scambio di informazioni semplice e diretto su argomenti familiari e abituali. Riesce a descrivere in termini semplici aspetti del proprio vissuto e del proprio ambiente ed elementi che si riferiscono a bisogni immediati.
• A1 Riesce a comprendere e utilizzare espressioni familiari di uso quotidiano e formule molto comuni per soddisfare bisogni di tipo concreto. Sa presentare se stesso/a e altri ed è in grado di porre domande su dati personali e rispondere a domande analoghe (il luogo dove abita, le persone che conosce, le cose che possiede). È in grado di interagire in modo semplice purché l’interlocutore parli lentamente e chiaramente e sia disposto a collaborare.
Un corretto apprezzamento delle competenze
Come si sarà potuto notare dalla lettura dei sei livelli del QCER, la descrizione dei livelli di padronanza è sempre fatta “in positivo”. Quando si parla di apprezzamento della competenza, infatti, si descrive ciò che c’è e mai ciò che non c’è. Dobbiamo inoltre assumere il concetto che non esiste un grado zero della competenza, soprat-tutto quando ci riferiamo alle competenze chiave e la persona ha praticato gli am-biti che connotano la competenza stessa. Per questo utilizziamo i livelli che descri-vono una complessità crescente della padronanza: da un livello embrionale, fatto di conoscenze limitate, abilità di tipo semplice ed esecutivo e autonomia ridotta, si arriva a livelli elevati in tutte le dimensioni. Il primo livello è davvero il più sempli-ce fra quelli che ci potremmo attendere da un allievo di normali possibilità (anche di bassa norma) in un determinato contesto. Per questo motivo, fissiamo delle “àn-core”, aspettandoci, ad esempio, un particolare livello in una specifica fascia d’età. Tali “àncore” sono auspicabili e dobbiamo fare il possibile perché siano raggiunte o persino superate, ma potrebbe accadere che alcuni allievi non le conseguano. La descrizione dei livelli di padronanza rappresenta un riferimento per uno standard, ma la valutazione e la certificazione di competenze servono proprio per attribuire a ciascuno, nelle diverse competenze, la padronanza effettivamente posseduta, al di là dell’anno di studio, dell’età anagrafica ecc. Quindi, ad esempio, un alunno di quinta in talune competenze potrebbe avere il livello 3, in altre il 2, in altre ancora magari il 4, a seconda del suo effettivo percorso evolutivo.
Pensiamo, ad esempio, a un allievo con difficoltà specifiche di apprendimento nella lingua: la sua competenza potrebbe corrispondere a un livello molto basso in uscita dalla scuola secondaria di primo grado, tuttavia le competenze matematiche e scientifiche, quelle sociali e civiche o metodologiche (“Imparare a imparare”, “Spi-rito di iniziativa”) potrebbero essere del tutto in linea con le attese o anche superiori.
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Naturalmente, il fatto che un alunno in certe competenze consegua un livello inferiore alle attese ci deve stimolare a formulare percorsi didattici e educativi ade-guati a colmare la differenza.
Eventuali revisioni operate da reti di scuole potrebbero articolare anche un nu-mero superiore di livelli; l’unico consiglio è di non articolare automaticamente il numero di livelli sul numero degli anni di scuola, dato che i livelli non corrispon-dono né a questi né all’età anagrafica, ma rappresentano percorsi evolutivi nel conseguimento della competenza.
Far corrispondere il numero di livelli agli anni di scuola potrebbe generare inde-bite e rischiose tendenze alla “corrispondenza biunivoca”, ad esempio: livello uno, classe prima; livello due, classe seconda ecc., mentre abbiamo visto che i percorsi individuali degli allievi possono seguire, nelle varie competenze, vie diversificate.
Livelli di padronanza nella “Comunicazione nella madrelingua”
Nella tabella 3.8 presentiamo un esempio di rubrica dei livelli di padronanza del-la competenza, riferito alla “Comunicazione nella madrelingua” per il primo ciclo di istruzione. Come abbiamo detto, abbiamo “ancorato” i primi tre livelli alla scuola primaria, mentre il quarto e il quinto alla scuola secondaria di primo grado: il terzo livello è riferito, dove possibile, ai Traguardi delle Indicazioni a fine primaria e fun-ge da ponte tra i due gradi di scuola.
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7. L’uso dei gradi come specificazione dei livelli di padronanza
Alla fine delle tabelle di curricolo (www.pearson.it/ladidatticapercompetenze) c’è una rubrica olistica dei gradi, cioè specificazioni applicabili a tutti i livelli di padro-nanza, per distinguere eventuali differenze individuali, all’interno di ciascun livello.
Sappiamo che un livello di padronanza può raggruppare alunni molto diversi tra loro: il grado ci permette di dare conto di eventuali differenze, pur sempre nell’am-bito dello stesso livello. Così, un alunno di terza media a cui è stato attribuito il livello di padronanza 5 in una determinata competenza, potrebbe, in realtà, per alcuni aspetti di essa, essere maggiormente esecutivo, oppure mobilitare alcune conoscenze o abilità meno strutturate. Il grado ci permette di dire che l’allievo, ad esempio, potrebbe essere collocato nel livello 5 non con un grado eccellente, ma con uno basilare, vicino quindi al livello 4, oppure, al contrario, proprio nella sua pienezza, ovvero al grado di eccellenza.
Ai gradi sono ancorate le etichette numeriche, da 6 a 10 (infatti la competenza può avere solo accezione positiva), che ci permettono di rispettare – per la scuola secondaria di primo grado – la normativa della L 169/2008 e del regolamento sulla valutazione DPR 122/2009, i quali prescrivono che la certificazione di competenza sia espressa con votazione in decimi. È una prescrizione che non condividiamo e argomenteremo tale convinzione nella parte dedicata alla valutazione, tuttavia la norma va rispettata.
Quando si dice che la competenza ha solo accezione positiva, si intende che essa documenta sempre ciò che l’alunno sa, non ciò che l’alunno non sa. Per questo si usano i livelli ad andamento verticale ascendente: qualora un allievo non consegua la competenza attesa, gli si certifica quella a un livello inferiore, pur sempre positi-vo, ma che documenta competenze meno strutturate rispetto a quelle attese.
Facciamo ancora l’esempio del QCER: se io volessi acquisire presso la Cambridge University una certificazione del mio livello di competenza in inglese, aspirando al livello B2, gli esaminatori mi sottoporrebbero alle prove previste per tale livello. Qualora io non dimostrassi di saper comunicare in inglese a livello B2, gli esamina-tori non mi rilascerebbero una certificazione negativa, ma, casomai, una certifica-zione di livello precedente, corrispondente alla mia reale padronanza della lingua.
Se utilizzassimo solo i gradi (basilare, adeguato, avanzato, eccellente ecc.) anco-rati a un preciso momento certificativo (fine scuola primaria o fine scuola secon-daria di primo grado), in realtà fotograferemmo una situazione statica; in genere, infatti, quando si descrivono le competenze riferendosi ai gradi, il “basilare” viene descritto come la soglia di “sufficienza” attesa in quell’anno scolastico. Però, nel caso in cui la competenza di un alunno non risultasse nemmeno al grado basilare, non avremmo modo di certificare comunque ciò che egli ha conseguito. Molto spes-so accade proprio questo, quando le scuole strutturano, ad esempio per certificare le competenze alla fine della scuola secondaria di primo grado, una scala fondata sui gradi, descrivendo il grado sufficiente con le prestazioni minime che ci si attendo-no per quella classe. Il fatto è che, almeno per qualche competenza, ci potrebbero
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essere allievi che non conseguono, a giudizio dei docenti, un grado neppure suffi-ciente. In questo caso, in teoria, la competenza non si dovrebbe certificare. Tuttavia, trattandosi di competenze relative a campi in cui l’allievo certamente si è cimentato fin dalla più tenera età, è impensabile che egli non possegga un livello minimo di competenza da certificare.
l livelli rispondono a questa esigenza, perché prescindono dalla classe o dall’età e descrivono la padronanza effettivamente posseduta, a partire dal livello più ele-mentare pensabile.
Infatti relativamente alle competenze chiave, non è pensabile un livello “zero” di competenza, tale da non potere essere certificato, per allievi che comunque hanno affrontato un percorso scolastico ed esperienziale di qualche anno.
I livelli, quindi, ci consentono una visione dinamica. Usando una metafora, pos-siamo dire che rappresentano il “film”, mentre i gradi rappresentano dei fotogrammi.
L’uso dei gradi non è essenziale ai fini della valutazione della competenza, per la quale sono sufficienti i livelli; tuttavia, qualora si decidesse di utilizzarli, essi permettono di aggiungere sfumature alla valutazione.
La tabella dei gradi e le sue problematiche
Nella tabella 3.9 presentiamo il prospetto olistico dei gradi. Come dicevamo, rife-rendoci all’art. 8 del DPR 122/2009 sulla valutazione, l’attribuzione del voto nume-rico alla valutazione della competenza sembra essere limitato alla scuola secondaria di secondo grado, quindi la riga del “voto” è superflua per la scuola primaria.
La necessità di dover articolare un voto numerico per le competenze in realtà inquina la valutazione, perché mette insieme una valutazione di profitto (il voto) e una valutazione di competenza, che rispondono a due logiche e funzioni diverse. Fino a quando, inoltre, la didattica non avrà raggiunto un’organizzazione soddisfa-cente per competenze, le due valutazioni in realtà documentano cose diverse e non comparabili.
Un’ulteriore complicazione è costituita dal fatto che le etichette numeriche in de-cimi hanno, nella percezione collettiva, un valore sia positivo sia negativo. Prendia-mo il caso di un alunno di terza media al quale in talune competenze attribuissimo il livello 3 o addirittura 2, ma con grado eccellente: dovremmo collegare al grado eccellente il valore 10 e ciò potrebbe ingenerare nell’utenza, se non accuratamente informata sull’utilizzo dello strumento, la convinzione che la situazione di quell’al-lievo sia ottimale, superiore magari a un allievo che fosse collocato nelle stesse com-petenze al livello 4, ma con grado “adeguato” e quindi con un valore numerico 7.
L’etichetta numerica, infatti, perché collegata alla consolidata esperienza scola-stica delle persone e alla valutazione di profitto, ha un impatto percettivo maggiore rispetto ai livelli di competenza, che invece hanno la funzione di stabilire l’effetti-va capacità della persona di mobilitare conoscenze, abilità, attitudini personali di fronte all’esperienza. Servirebbe quindi un’opera puntuale, assidua e costante di informazione sul senso della certificazione per rispettarne effettivamente lo spirito.
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Un’altra soluzione, che però tradisce lo spirito della valutazione di competenza come effettiva attribuzione di crediti alle persone, è quella di attribuire all’allievo l’etichetta numerica 6, indipendentemente dal grado, qualora la sua competenza fosse collocata a un livello non corrispondente a quello atteso. Propendiamo per la prima soluzione, anche se necessita di un maggiore sforzo di comunicazione.
Come si vede, la soluzione diventa artificiosa, ma il vizio è a monte, nel dover mettere assieme concetti valutativi che non hanno molto in comune.
Ovviamente la soluzione migliore sarebbe quella di eliminare l’etichetta numeri-ca dalla valutazione di competenza, apportando una modifica alla legge o comun-que fornendone un’interpretazione che permettesse di svincolare completamente la valutazione di profitto – attribuibile con qualsiasi scala, numerica, letterale, agget-tivale – dalla valutazione di competenza, che ha senso solo se collocata su livelli accompagnati da una descrizione.
TABELLA 3.9
Grado Basilare Adeguato Avanzato EccellenteVoto 6 7 8-9 10
Descrittore Padroneggia la maggior parte delle conoscen-ze e le abilità, in modo essenziale. Esegue i compiti richiesti con il supporto di domande stimolo e indicazioni dell’adulto o dei com-pagni.
Padroneggia in modo adeguato la maggior parte delle conoscenze e delle abilità. Porta a termine in autonomia e di propria iniziativa i compiti dove sono coinvolte conoscenze e abilità che padroneggia con sicurezza, mentre per gli altri si avvale del supporto dell’insegnan-te e dei compagni.
Padroneggia in modo adeguato tutte le cono-scenze e le abilità. Assu-me iniziative e porta a termine compiti affidati in modo responsabile e autonomo. È in grado di utilizzare conoscenze e abilità per risolvere problemi legati all’espe-rienza con istruzioni date e in contesti noti.
Padroneggia in modo completo e approfon-dito le conoscenze e le abilità. In contesti cono-sciuti, assume iniziative e porta a termine com-piti in modo autonomo e responsabile; è in gra-do di dare istruzioni ad altri; utilizza conoscen-ze e abilità per risol-vere autonomamente problemi; è in grado di reperire e organizza-re conoscenze nuove e di mettere a punto procedure di soluzione originali.
8. Una proposta di percorso basato sulle competenze
Riassumendo ciò che finora abbiamo detto, la nostra proposta di descrizione dei risultati di apprendimento in termini di competenze si articola nel seguente percorso.
Il Collegio dei Docenti fornisce le rubriche di competenza
Il Collegio dei Docenti (articolato in Commissioni verticali e trasversali rispetto alle discipline):
1) individua le competenze che l’allievo è chiamato a conseguire, attingendo dai riferimenti normativi specifici (Indicazioni Nazionali) o riferiti ad altre tipologie
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di scuola (biennio obbligatorio di scuola secondaria di secondo grado), alle prati-che autorevoli e consolidate nazionali e internazionali (ordinamenti di Province e Regioni autonome, PISA, QCER, EQF), qualora i primi non siano sufficientemente chiarificatori per l’individuazione delle competenze; tiene anche conto delle si-nergie con le altre parti interessate (ovviamente gli studenti, che sono al centro del curricolo, le famiglie, il territorio) e dei criteri organizzativi generali forniti dal Consiglio di istituto;
2) articola le competenze in abilità (nel nostro caso attingendo dagli obiettivi per i Traguardi delle Indicazioni Nazionali) e in conoscenze; sarebbe operazione estre-mamente utile, nell’ambito dell’individuazione delle abilità e delle conoscenze, stabilire anche i saperi essenziali (in termini di concetti, conoscenze) e i conte-nuti irrinunciabili; non tutto si può fare nel tempo a diposizione, quindi bisogna scegliere i contenuti che assolutamente devono diventare conoscenze, sostenere le abilità, alimentare le competenze;
3) riferisce e “incastona” le competenze di base nelle competenze chiave europee di riferimento. In questo modo le competenze “disciplinari” diventano specifica-zioni e declinazioni delle competenze chiave, che sono a buon diritto quelle da perseguire, rappresentando il fine e il significato dell’apprendimento;
4) formula i livelli di padronanza riferiti alle competenze chiave; i livelli rendono conto di come l’allievo padroneggia le abilità e le conoscenze e dell’autonomia e responsabilità con le quali agisce. I livelli sono ancorati a grandi tappe del percorso scolastico, ma non alla classe o all’età anagrafica; va tenuto conto, nella formulazione dei livelli, dei Traguardi ineludibili indicati dalle Indicazioni Nazionali alla fine dei diversi segmenti del percorso scolastico;
5) struttura esempi di “compiti significativi” che possono essere affidati all’allievo, mediante i quali egli evidenzia la capacità di agire la competenza in contesto di esperienza, conseguendo un risultato, in autonomia e responsabilità;
6) formula i criteri e individua gli strumenti generali per la verifica e la valutazio-ne dei risultati di apprendimento e per la loro documentazione e certificazione; dà indicazioni generali di tipo metodologico e organizzativo per l’organizzazio-ne di tempi, spazi, strategie e strumenti di gestione delle classi e del curricolo, al fine di offrire agli allievi le migliori opportunità per perseguire le proprie competenze.
Il Collegio dei Docenti mette a punto le unità di apprendimento
Fino a questo punto, il Collegio ha messo a disposizione dell’istituzione sco-lastica le rubriche di competenza, che comprendono la descrizione del percorso formativo in competenze articolate in abilità e conoscenze; gli esempi di compiti significativi; i livelli di padronanza. Il curricolo, centrato sulle competenze chiave, descrive organicamente il percorso in senso verticale, nel nostro caso di tutta la scuola dell’infanzia e di tutto il primo ciclo di istruzione.
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Nella redazione del curricolo il Collegio tiene conto, oltre che della normativa nazionale di riferimento, dei criteri generali forniti dal Consiglio di istituto, delle esigenze degli studenti, che sono i protagonisti attivi del proprio apprendimento, e delle sinergie con le famiglie e con il territorio.
Nella fase successiva il Collegio dei Docenti, articolato per Commissioni di clas-si parallele di docenti della stessa disciplina, ma anche di discipline diverse (ciò è auspicabile se si parla di competenza), mette a punto – distribuendoli nel tempo scuola annuale – percorsi di apprendimento (unità di apprendimento) più o meno complessi, estesi e articolati che, attraverso compiti significativi, perseguano diverse competenze. Vengono individuati anche gli strumenti e i criteri comuni per la veri-fica e la valutazione degli esiti di tali percorsi.
Questi percorsi vengono formulati anche dai Consigli di Classe e dalle équipe di docenti che operano con lo stesso gruppo di alunni e che hanno il compito di:• contestualizzare alla classe il curricolo di istituto;• concordare percorsi interdisciplinari e strutturare unità di apprendimento;• concordare regole, condotte, percorsi educativi e di cittadinanza;• stabilire criteri di verifica e valutazione condivisi anche sulla scorta dei criteri
del collegio dei docenti;• valutare collegialmente gli alunni;• coinvolgere le famiglie nei patti di corresponsabilità e nella partecipazione alla
vita della scuola;• strutturare percorsi personalizzati.
I singoli docenti contestualizzano nel proprio ambito le indicazioni provenienti dal curricolo di istituto e realizzano per la propria parte i percorsi messi a punto collegialmente.
Nell’azione individuale, i docenti predispongono l’attività didattica valorizzando l’esperienza degli allievi in un contesto significativo, la positiva interazione sociale e la collaborazione, la riflessione e l’autovalutazione, adottando le migliori strategie didattiche per il conseguimento delle conoscenze, delle abilità e delle competenze.
Nell’ottica della competenza, infatti, è costante lo sforzo di contestualizzare il più possibile i contenuti, ancorandoli all’esperienza concreta e spiegando il senso e il significato di ciò che si apprende al fine di poterlo agire come persone e come cittadini.
I singoli docenti verificano e valutano gli apprendimenti degli allievi per quanto riguarda gli aspetti di propria competenza, applicando in modo trasparente i criteri concordati collegialmente.
Il docente costituisce un modello in cui gli allievi possono positivamente identi-ficarsi, quindi l’attenzione alla relazione educativa con i singoli e la classe, la coe-renza e l’equità dei comportamenti, l’autorevolezza, la comunicazione sono aspetti irrinunciabili del profilo professionale del “docente competente”, ovviamente non disgiunti dalla preparazione specifica.
Altrettanto importanti per la crescita degli allievi sono le relazioni positive con i colleghi, il personale non docente e le famiglie.
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Strategie, tecniche, strumenti didattici
per costruire competenze
1. Una prospettiva per creare sapere
Per poter effettivamente offrire agli studenti occasioni utili a costruire la propria competenza, oltre alla creazione di un curricolo organico e sistematico è necessario predisporre strumenti, tecniche e strategie centrati sulla competenza.
Abbiamo già argomentato come la didattica tradizionale, basata prevalentemen-te sull’azione del docente, sulla trasmissione di conoscenze e sull’esercizio di proce-dure, permetta di conseguire al massimo delle buone abilità. La competenza, invece, si vede e si apprezza in situazione, come “sapere agito”, capacità di reagire alle sollecitazioni offerte dall’esperienza, mobilitando tutte le proprie risorse cognitive, pratiche, sociali, metodologiche, personali.
Accanto alle lezioni, alle esercitazioni, al consolidamento di procedure, che pure non vanno certo eliminati, è necessario prevedere discussioni, lavori in gruppo, studio di casi, soluzioni di problemi di esperienza, presa di decisioni, realizzazione di compiti significativi.
La competenza è costituita da conoscenze e abilità, quindi esse vanno assoluta-mente mantenute e fornite ai livelli più alti. Ciò che si differenzia è la prospettiva con cui esse vengono offerte agli alunni, attraverso approcci induttivi, improntati alla problematizzazione, alla costruzione sociale della conoscenza, alla contestua-lizzazione del sapere nell’esperienza, all’attribuzione di senso e significato ai con-tenuti e alle conoscenze.
Ai docenti non si chiede di insegnare cose diverse, ma di scegliere con accuratez-za i contenuti che vogliamo diventino conoscenze e abilità; di dare alle conoscenze una prospettiva diversa, collegata al significato etico della competenza per la for-mazione della persona e del cittadino.
2. La riflessione-ricostruzione come modalità metacognitiva
Una delle dimensioni fondamentali della competenza è la metacognizione, cioè la consapevolezza di un individuo del significato, della funzione, delle modalità e
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delle potenzialità del proprio sapere. La metacognizione si costruisce per larga parte attraverso la riflessione-ricostruzione dei processi con cui apprendiamo.
In questa prospettiva è quindi estremamente importante che all’alunno, posto di fronte a un compito, si chieda sempre come intenderà procedere, come sta pro-cedendo, come ha proceduto. Le domande: «Come intendi fare per...?», «Che cosa stai facendo?», «Come hai fatto per…?» vanno costantemente poste, meglio ancora coinvolgendo nella riflessione il gruppo classe.
È opportuno, inoltre, chiedere all’alunno l’esplicitazione scritta del procedimento che intende seguire e una relazione scritta e orale quando conduce esperimenti e pro-cedure, o realizza compiti di una certa complessità. Il nostro compito, infatti, è quello di partire dall’esperienza e di portarla a rappresentazione, concetto, idea, attraverso la parola. Nominare l’esperienza e riflettere su di essa favorisce la sua rappresenta-zione teorica e il processo di astrazione. Così come non possiamo insegnare sempli-cemente in modo astratto, formale e teorico senza contestualizzare, non possiamo nemmeno lasciare gli alunni fermi alla fase dell’esperienza e del “fare”. Soltanto attribuire la parola all’esperienza, attraverso la verbalizzazione orale e scritta, porta alla sua rappresentazione e quindi alla costruzione del sapere astratto e formale.
La conquista del pensiero formale è ovviamente fondamentale: esso connota il pensiero adulto maturo e permette di non dover essere costantemente ancorati all’esperienza “qui e ora”, che viene invece rappresentata nella mente attraverso le parole e le idee. Soltanto il processo di riflessione, inoltre, potenzia la capacità di generalizzare e applicare le soluzioni d’esperienza a contesti simili e differenti.
Il fatto di condurre le riflessioni e le analisi in gruppo, infine, permette di dif-fondere e generalizzare le capacità metacognitive, che risulteranno anche arricchite dal contributo comune.
3. La flessibilità delle tecniche didattiche per valorizzare le differenze individuali
L’utilizzo flessibile e versatile delle tecniche didattiche è indispensabile per la-sciare spazio alle differenti modalità di apprendimento che presenta la classe e per consolidare ciò che è stato imparato da ciascuno. Sappiamo che gli alunni sono diversi per stili cognitivi, per modalità di approccio al compito, per capacità di astrazione, per stili di attribuzione, per tipologie di pensiero e di intelligenza. Non sarebbe, però, possibile mettere in pratica strategie strettamente individualizzate; invece, variando le tecniche didattiche, si può andare incontro alle differenze in-dividuali, che, come vedremo, in gran parte sono raggruppabili in macrocategorie.
Gli stili cognitivi
Secondo alcune ricerche psico-pedagogiche, le persone si caratterizzano in base agli stili cognitivi che utilizzano, ovvero alle modalità di costruzione del pensiero,
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di ricordo e recupero dell’informazione, di assunzione decisionale e di approccio al compito. Gli stili, come vedremo di seguito, si connotano per polarità opposte (ana-litico/globale, verbale/ visuale ecc.), dove i due poli non sono necessariamente l’uno migliore o peggiore dell’altro, ma sono semplicemente diversi. In pratica, le polarità rappresentano soltanto delle strategie operative differenti, che possono essere più o meno efficaci a seconda della natura del compito e della situazione da affrontare. Per questo si raccomanda che la scuola si adoperi per fornire agli alunni strumenti e occasioni affinché essi imparino a sviluppare modalità flessibili e “miste” riguardo agli stili di apprendimento.
Vediamo gli stili nel dettaglio:
• stile sistematico-intuitivo: è uno stile di pensiero orientato alla costruzione di ipo-tesi. Le persone sistematiche tendono a privilegiare modalità graduali di pensiero, che si sviluppano passo per passo, mettendo in fila le informazioni e utilizzandole per costruire l’ipotesi; le persone intuitive, al contrario, utilizzano soltanto alcune delle informazioni per costruire un’ipotesi e, proseguendo nell’indagine, si servono delle ulteriori informazioni per confermare o meno l’ipotesi iniziale;
• stile analitico-globale: è uno stile di percezione legato alle modalità di accesso all’informazione. Le persone analitiche tendono a vedere nella realtà i partico-lari; le persone globali, al contrario, tendono a vedere la realtà in modo olistico, prestando minor attenzione ai dettagli. Con una battuta, potremmo dire che i globali tendono a vedere la foresta, gli analitici gli alberi;
• stile verbale-visuale: è una modalità di accesso, organizzazione e recupero dell’informazione. Le persone di tipo verbale tendono a ricordare meglio il mate-riale che si presenta loro sotto forma di parola, parlata o scritta; le persone visua-li, al contrario, tendono a ricordare meglio il materiale corredato di stimoli visivi (accentuazioni grafiche, come il grassetto, il colore; organizzazione particolare del testo, in tabelle, paragrafi, didascalie ecc.; ausili visivi, come foto e disegni);
• stile impulsivo-riflessivo: è una modalità di azione e assunzione di decisione. È l’unico caso tra gli stili in cui la polarità impulsiva va corretta, perché danneggia l’accuratezza delle decisioni e, se portata all’estremo, si connota come patologica. La persona impulsiva tende ad affrontare il compito e ad assumere decisioni senza analizzare accuratamente i dati a disposizione, ma passando direttamente “all’at-to”, incorrendo facilmente in errori e decisioni non efficaci. D’altra parte, anche una persona eccessivamente riflessiva va aiutata a velocizzare i propri processi decisionali, poiché modalità troppo lente possono rivelarsi poco efficaci in condi-zioni di crisi oppure nei casi in cui sia necessario decidere e agire in tempi rapidi;
• stile convergente-divergente: è uno stile di pensiero tale per cui le persone con-vergenti tendono a privilegiare modalità di pensiero e di azione improntate a procedure precise, meglio ancora se collaudate; al contrario, le persone divergenti tendono a percorrere modalità inusuali, nuove, innovative. È chiaro che, anche
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in questo caso, a seconda del compito, può essere più efficace una modalità con-vergente o una divergente. Ad esempio, un’azienda che abbia bisogno di mettere a punto un prodotto nuovo, si avvarrà più proficuamente di persone divergenti, ma nel momento in cui il prodotto deve essere realizzato su larga scala sarà ne-cessario che il processo produttivo segua procedure codificate e standardizzate, e quindi, in questo caso, le modalità convergenti si riveleranno più efficaci.
Dopo avere esaminato gli stili e le loro polarità, appare chiaro come sia prefe-ribile l’uso di modalità miste e flessibili, potendo così avere a disposizione una più vasta gamma di strategie solutive per problemi diversi. Una didattica versatile, che affidi compiti concreti, connotati dalla varietà dell’esperienza, e utilizzi stimoli di-versificati riesce più facilmente a raggiungere questo obiettivo.
I diversi tipi di intelligenza
Dalle ricerche in campo psicologico, sappiamo che le persone possono differen-ziarsi anche rispetto ai tipi di intelligenza. Secondo la teoria delle intelligenze mul-tiple dello psicologo Howard Gardner (nato nel 1943), ad esempio, ogni individuo possiede una “forma mentis” prevalente, che convive insieme ad altre con le quali si “miscela” in misura variabile. Si tratterebbe di doti genetiche, che si sviluppano in interazione con il contesto sociale.
Le dimensioni dell’intelligenza individuate da Gardner sono:• linguistica;• musicale;• logico-matematica;• spaziale e visiva;• corporeo-cinestetica;• sociale o interpersonale;• introspettiva o intrapersonale;• naturalistica.
Secondo un altro psicologo, Robert Sternberg (nato nel 1949), invece, il pensiero umano si compone di tre dimensioni fondamentali che si fondono in combinazioni personali e irripetibili di intelligenze diverse, in interazione con gli stili cognitivi:• pensiero analitico (capacità di giudicare, valutare, scomporre, fare confronti,
rilevare contrasti, esaminare dettagli);• pensiero creativo (scoprire, produrre novità, immaginare, intuire);• pensiero pratico (si realizza nell’organizzazione, nell’abilità di usare strumenti,
attuare concretamente progetti e piani mirati a obiettivi concreti).
L’aspetto interessante è che Sternberg sostiene che la didattica tradizionale tende a favorire gli alunni con pensiero analitico, penalizzando invece quelli con pensiero creativo e ancor più quelli con pensiero pratico-organizzativo. Lo studioso afferma
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che gli insegnanti, caratterizzandosi in prevalenza come persone di pensiero anali-tico, favoriscono gli alunni che somigliano a loro, attraverso una didattica preva-lentemente teorico-astratta e logico-deduttiva. Gli alunni analitici, infatti, di solito “riescono bene” nei test scolastici.
Al contrario, gli alunni creativi, che sovente percorrono strade che i docenti non si aspettano e hanno un approccio all’apprendimento che spesso non viene rico-nosciuto, hanno per lo più risultati medio-bassi nelle prove scolastiche; gli alunni di pensiero pratico, poi, che privilegiano un approccio induttivo e operativo all’ap-prendimento, troppo raramente trovano nella didattica tradizionale percorsi e pro-poste adatti a loro e generalmente hanno risultati scolastici bassi.
Ciò che Sternberg afferma in modo deciso è che le differenze di intelligenza non sono di tipo quantitativo, ma qualitativo, e che ogni tipologia è preziosa per la società. È piuttosto l’approccio didattico tradizionale ad avere la maggiore respon-sabilità nell’esperienza di insuccesso e inefficacia degli alunni creativi e pratici.
Gli stili di attribuzione e i loro effetti
I vissuti di efficacia o di non efficacia interferiscono anche con un altro aspetto molto importante del pensiero, ovvero con gli stili di attribuzione. Per stili di attri-buzione si intendono le modalità attraverso cui le persone si attribuiscono le ragioni del proprio successo o insuccesso. Non abbiamo qui la possibilità di approfondire la questione: ci limiteremo ad accennare le dimensioni principali dell’attribuzione e le caratteristiche del “buon elaboratore di informazioni”.
La teoria dell’attribuzione afferma che le persone si differenziano rispetto al cosiddetto “locus of control” dell’attribuzione. I soggetti con un locus of control interno attribuiscono il successo o l’insuccesso delle proprie performance a cause interne a sé, quali, ad esempio, l’impegno, il lavoro, le abilità; le persone con locus of control esterno, invece, tendono ad attribuire le cause a fattori esterni quali, ad esempio, la fortuna, le contingenze, la benevolenza/malevolenza dei docenti o dei superiori ecc. Un altro fattore che interferisce con gli stili attributivi è la percezione di stabilità/instabilità e di controllabilità/incontrollabilità delle cause.
Nella tabella 4.1 si riassume la combinazione degli elementi percepiti dalle per-sone, che costituiscono gli stili attributivi.
TABELLA 4.1
Cause non stabili controllabili
Cause non stabili non controllabili
Cause stabili non controllabili
Locus of control interno
Impegno, sforzo, lavoro, abilità, intelligenza
Abilità, intelligenza Abilità, intelligenza
Locus of control esterno
Fortuna, contingenze, benevo-lenza/malevolenza altrui
Fortuna, abilità, intelligenza
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Lo stile di attribuzione condiziona notevolmente il modo in cui le persone per-cepiscono la realtà, gli eventi, i compiti assegnati e come vengono elaborate le informazioni intorno a essi. Le persone con locus of control esterno, ad esempio, tendono a non attribuirsi mai la responsabilità degli avvenimenti, preferendo rife-rire le cause a eventi esterni, non dipendenti dal proprio controllo, quali la fortuna o le contingenze. Queste persone tendono a percepire come estranee al proprio controllo anche la propria abilità e la propria intelligenza, ritenendole dimensioni non variabili (stabili) e non controllabili. Le persone con locus of control interno, invece, riferiscono correttamente a se stessi cause come impegno, sforzo, lavoro, ritenendole variabili e controllabili. Coloro, però, che erroneamente ritengono che l’intelligenza e l’abilità siano fattori stabili e non controllabili rischiano, di fron-te a compiti complessi e difficili dove pure si sono impegnati, di non attribuire l’eventuale insuccesso alla difficoltà del compito, ma a una propria scarsa abilità o intelligenza, contro la quale ritengono non si possa fare nulla. Tale combinazione di attribuzioni è la più pericolosa, poiché la persona, alla lunga, tende a deprimere la propria autostima e la propria percezione di autoefficacia, sino a rifuggire dai compiti o ad accettare in modo rassegnato i nuovi insuccessi, giudicandoli inevi-tabili (profezia che si autoadempie).
Il “buon elaboratore di informazioni”, invece, è convinto che il successo può di-pendere da sé, da cause interne: sforzo, impegno, abilità personale; è convinto che tali fattori sono mutevoli (non stabili, dipendono da sé) e quindi controllabili; ha una visione dell’intelligenza come di una facoltà dinamica e plastica, quindi “incre-mentabile”; considera i problemi come opportunità e sfide da affrontare; considera l’errore non un fallimento, ma un grado della padronanza, un livello da cui partire o ripartire.
È stato dimostrato come lo stile di attribuzione cominci a formarsi molto preco-cemente e dipenda in gran parte dagli stili attributivi dei genitori e degli educatori e dai messaggi che questi rimandano al bambino come feedback rispetto alle sue azioni. È molto importante, quindi, che l’adulto che educa sia egli stesso “orientato alla padronanza”, che consideri gli errori come occasioni per ripensare il percorso, che non si sostituisca al figlio o all’allievo, ma che, una volta date le consegne, lo lasci procedere in autonomia, limitandosi a dare suggerimenti metodologici e a supportare la riflessione-ricostruzione.
Una didattica flessibile
La didattica per competenze, improntata ai compiti significativi, alla valorizza-zione dell’esperienza autonoma e responsabile, alla riflessione individuale e collet-tiva, può fare molto per stimolare uno stile di attribuzione funzionale alla corretta ed efficace percezione della realtà, che consenta anche una buona autovalutazione di sé e una buona autoefficacia.
Mettersi alla prova insieme ad altri in compiti di cui si condivide la responsabi-lità, avendo quindi la possibilità di sperimentare un successo condiviso, può aiutare
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gli alunni che hanno un atteggiamento depressivo riguardo alle proprie possibilità e capacità a correggere il proprio stile. In presenza di alunni che si impegnano sen-za però conseguire i risultati sperati, è molto importante che l’insegnante li aiuti a rivedere, correggere e potenziare le proprie strategie di apprendimento e proponga loro compiti non più semplici, ma in cui la difficoltà viene in qualche modo “spez-zettata” in passaggi diversi e successivi.
Bisogna anche ricordare che molti allievi hanno meno successo di quanto le loro possibilità consentano proprio per mancanza di strategie di reperimento, organiz-zazione, recupero delle informazioni e autoregolazione. Tali lacune, in un circolo vizioso, li portano a insuccessi ripetuti e al consolidamento di stili attributivi o interni depressivi o esterni non responsabili, e comunque non efficaci.
È indispensabile agire precocemente sulle abilità di studio, di acquisizione, sele-zione, organizzazione delle informazioni, attraverso proposte di strategie diverse e di compiti che possano metterle in atto, valorizzando al massimo l’apprendimento e il supporto reciproco tra pari.
Una didattica induttiva
Sempre a proposito di flessibilità didattica, nell’intento di venire incontro ai di-versi stili cognitivi, di apprendimento e di approccio al compito e ai gradi diversi di maturazione delle abilità di astrazione e di organizzazione, è molto importante che le proposte didattiche siano veicolate attraverso mediatori diversi. Compito della scuola è quello di arrivare alla teoria e ai linguaggi formali e simbolici, ma questo non può essere né il punto di partenza, né l’approccio prevalente, bensì un punto di arrivo, a cui giungere attraverso un percorso induttivo.
Le persone, nel loro percorso evolutivo, si formano idee e concetti a partire dall’esperienza. Per fare un esempio, probabilmente l’immagine mentale collegata al concetto di “cane” che abbiamo è quella del nostro cane, se ne abbiamo uno, oppure di un generico meticcio di taglia media che riassume in sé le caratteristiche più comuni di tutti i cani che abbiamo conosciuto. I concetti collegati a quello di “cane” saranno poi riferiti alle caratteristiche e agli attributi del cane (pelo, zampe, abbaiare ecc.) e a esperienze dirette e mediate condotte con i cani (lealtà, amicizia, affetto, guardia, veterinario, pulci, oppure morso, aggressione ecc.). Più il concetto è supportato da esperienze, più è ricco di relazioni e di nessi.
Possiamo avere anche molti concetti non riferiti a esperienze concrete, ed essi generalmente sono meno ricchi di nessi e di riferimenti, sono “sfocati”. Per restare nel mondo animale, un esempio potrebbe riguardare il concetto di “ornitorinco”. Poiché le nostre esperienze legate all’ornitorinco sono essenzialmente mediate e virtuali, i concetti collegati sono pochi e non saldamente formulati, oppure limitati al piano teorico.
Dal punto di vista didattico, ciò significa che il nostro sforzo, tutte le volte che è possibile, deve essere quello di contestualizzare le conoscenze in ambiti di esperienza.
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Mediatori didattici e simulazioni
I mediatori didattici attivi (esperienze pratiche, osservazioni sul campo, esperi-menti, attività manipolative) sono direttamente collegati all’esperienza concreta.
I mediatori didattici iconici (filmati, fotografie, disegni, ma anche schemi e tabelle) supportano l’esperienza rappresentandola a un livello più formale, ma ancorato alla realtà. I mediatori iconici, inoltre, facilitano l’acquisizione e il ricordo di materiale verbale per gli alunni che hanno uno stile prevalentemente visuale. Infine, suppliscono all’impossibilità di esperienze reali, quando queste non si possono concretamente con-durre (un esempio banale: se non posso portare un ambiente di savana in classe e non possiamo ovviamente recarci in Africa, un documentario è un buon sostituto).
I mediatori didattici analogici sono molto potenti e molto poco praticati. Sono simulazioni, role playing, compiti relativi al “mettersi nei panni di”, agire “come se” ecc. Sono importanti perché, oltre a impegnare attivamente l’allievo, lo collocano già su un piano simbolico, ma coinvolgendolo molto sul piano emotivo e personale, condizione che stimola la motivazione e consolida l’apprendimento.
Sono mediatori simbolici i “mercatini” per insegnare i concetti economici di spe-sa, guadagno, ricavo, peso netto, lordo, tara; le ricostruzioni storiche; le rappresen-tazioni e le drammatizzazioni di testi o di avvenimenti; compiti come il seguente: «Tu sei un tour operator e devi convincere noi della classe, che siamo i tuoi clienti, a comprare tutti un biglietto per il Messico. Tieni presente che abbiamo interessi diversi: chi il paesaggio e l’ambiente, chi l’economia, chi l’arte e la cultura, chi la storia, chi la politica. Organizza una presentazione in cui, con tutti i mezzi che ri-tieni opportuni (PowerPoint, cartelloni, filmati, foto, testi…), presenti ai tuoi clienti le diverse opportunità di un viaggio in Messico». Questo può essere definito un compito significativo, che utilizza un mediatore analogico, con il quale si vogliono costruire conoscenze di tipo geografico. Appare evidente che, attraverso un compito di questo genere, le conoscenze non vengono solo memorizzate, ma organizzate in categorie (paesaggio, economia, storia, cultura…) trasferibili a tutti i paesi che si volessero studiare e, quindi, si agisce sulla competenza di imparare a imparare; la necessità di argomentare e convincere sviluppa competenze di comunicazione, di iniziativa e intraprendenza, sociali e civiche. Infine, se la presentazione si avvale di supporti tecnologici, audiovisivi, iconici, non si possono trascurare le competenze digitali e artistiche.
Molti possono essere gli esempi di compiti significativi, più o meno complessi o articolati, centrati su conoscenze appartenenti a una o più discipline. Appare però evidente che, oltre alle conoscenze specifiche, un compito significativo sviluppa competenze diverse che vanno ben oltre uno specifico campo disciplinare.
Verso le teorie
Le esperienze condotte attraverso mediatori via via più formali (da quelli attivi, molto pratici, a quelli iconici, leggermente più astratti, agli analogici, già collocati
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su piano simbolico) devono sempre essere accompagnate dalla riflessione-ricostru-zione che porta alla rappresentazione formale e simbolica della realtà, ai linguaggi formali (lingua, matematica, linguaggi tecnici), alle teorie, che sono il traguardo a cui dobbiamo portare gli allievi.
Se li lasciassimo al piano della mera esperienza, negheremmo loro la possibilità di arrivare all’ideazione, alla rappresentazione formale, alla progettazione, alla ge-neralizzazione. Li condanneremmo a un costante “qui e ora” legato all’esperienza concreta, mentre il nostro sforzo è quello di dare parola all’esperienza e portarla a rappresentazione.
Questo è un percorso di tipo induttivo. Non è vietato percorrere la strada oppo-sta, dalla teoria all’esperienza, attraverso un percorso deduttivo. Ricordiamo però che l’esperienza, in questo caso, non può essere una mera esercitazione pratica delle conoscenze apprese, come troppo spesso avviene. Essa deve comunque essere con-testualizzata, attraverso compiti significativi, in contesti reali, veri o verosimili, nei quali l’allievo, individualmente e collettivamente, agisca in autonomia e responsa-bilità, per risolvere situazioni problematiche utilizzando conoscenze e abilità.
Il percorso induttivo, comunque, è più adatto ad allievi giovani, fino alla prima adolescenza, e a quelli che posseggono un pensiero prevalentemente pratico-orga-nizzativo o che non hanno sviluppato ancora sofisticate abilità di astrazione. Poiché partire dall’esperienza è più accessibile e motivante, la modalità induttiva funziona bene anche per gli alunni caratterizzati da pensiero analitico.
Conoscenze e competenze
È importante ricordare che la contrapposizione che a volte viene erroneamen-te posta tra conoscenze e competenze è davvero inesistente. Le competenze sono costituite di conoscenze e abilità. Le conoscenze supportano le abilità ed entrambe supportano la competenza, che non potrebbe strutturarsi ai livelli più alti senza di esse; tuttavia conoscenze e abilità non costituiscono da sole la competenza. Per sviluppare quest’ultima, è necessario che l’allievo sia messo di fronte a situazioni problematiche legate a contesti esperienziali; che sappia utilizzare le conoscenze e le abilità per affrontare e risolvere i problemi in autonomia e responsabilità, anche con la collaborazione e la relazione con altri; che sappia trasferire e generalizzare in contesti diversi le soluzioni trovate, attraverso l’acquisizione di metodi e strategie consapevoli e intenzionali (metacognizione), consolidati attraverso l’esperienza e la riflessione.
Nella didattica per competenze non si tratta di agire per addizione (“abbiamo dato sempre conoscenze e abilità, adesso diamo anche le competenze”), ma piut-tosto per integrazione. Non si tratta neppure di insegnare cose diverse rispetto alla tradizione, ma piuttosto di contestualizzare le conoscenze nell’esperienza, di spie-gare concretamente agli allievi che cosa possono fare con le proprie conoscenze in qualità di persone e cittadini, di aiutarli a usare le conoscenze e le abilità per agire sulla realtà in modo autonomo e responsabile. Le conoscenze vengono in questo
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modo potenziate acquisendo il valore che deve competere loro, proprio per l’eserci-zio della cittadinanza attiva e della partecipazione responsabile, per la realizzazione personale e sociale e per l’inclusione, nello spirito delle competenze chiave europee.
4. L’apprendimento sociale e cooperativo
La dimensione sociale è uno dei motori più potenti di apprendimento. Il con-fronto, lo scambio e la condivisione arricchiscono conoscenze, abilità cognitive, pratiche e metodologiche e costituiscono ovviamente occasioni per l’esercizio di competenze sociali, civiche e comunicative.
La capacità di lavorare in gruppo è tra le più ricercate oggi, dato che a tutti i livelli si richiedono costantemente interazioni sociali. Non esistono più professione o contesto di vita che non obblighino a interagire e relazionarsi costantemente con gli altri; la scuola, pertanto, che può avvalersi della costante presenza di un gruppo affettivo e di lavoro qual è la classe, può svolgere in questo senso un ruolo fonda-mentale. Potremmo dire che in una didattica della competenza, il lavoro di gruppo, anche solo in coppia, dovrebbe essere la norma, e il lavoro individuale – che pure non può mancare – la parte meno rilevante.
Sappiamo che il tutoraggio tra pari, ad esempio, funziona molto bene per recu-perare difficoltà sia cognitive sia relazionali. Un alunno che non abbia ben appreso qualcosa si sente più a suo agio a chiedere chiarimenti a un compagno di cui si fidi, piuttosto che all’insegnante, specie se dovesse farlo pubblicamente, di fronte all’intera classe. Dal compagno non ci si sente valutati e il linguaggio utilizzato è comune: tutto ciò fa sì che tra pari ci si possa spiegare meglio. Naturalmente non tutti gli alunni possiedono allo stesso livello le capacità empatiche e comunicative per fare da tutor; tuttavia, la pratica precoce al lavoro di gruppo e alla condivisione educano queste capacità e le migliorano, con vantaggi reciproci per tutti. Gli alunni che vengono aiutati possono vivere esperienze di supporto, interdipendenza posi-tiva, emulazione; quelli che aiutano, nello sforzo di spiegare concetti e procedure, miglioreranno le proprie abilità e potranno mettere in atto comportamenti di cura e assunzione di responsabilità verso gli altri.
Avviare al lavoro di gruppo
Lavorando in gruppo si impara, e per questo gli alunni dovrebbero essere avviati a questa pratica fin dai primi anni di scuola. Ciò che dissuade spesso gli insegnanti dal perseguire sistematicamente questa pratica è che hanno la percezione di non avere il controllo della classe, che si faccia troppa confusione e che non si arrivi a risultati soddisfacenti a fronte dell’apparente dispendio di tempo. È ovvio che quan-do gli alunni cominciano a lavorare insieme devono imparare a negoziare, condi-videre le decisioni, trovare una modalità di lavoro, misurare le reciproche relazioni.
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Risulta chiaro, quindi, che non possono essere silenziosi come durante un’attività strutturata condotta dall’insegnante, durante la quale, tuttavia, nessuno potreb-be esser certo che il silenzio sia sempre accompagnato da interesse e attenzione. D’altra parte, i gruppi di lavoro non possono essere costituiti in modo casuale: gli insegnanti avranno cura di mettere insieme alunni diversi per leadership, capacità di aderire al compito, profitto. Non possono essere troppo numerosi, anzi, nei primi anni si passerà gradualmente dalla coppia al gruppo di massimo quattro elementi. Si dovranno assegnare ruoli precisi ai membri e consegne ben strutturate, come del resto la pratica dell’apprendimento cooperativo spiega in modo esauriente.
Vantaggi del lavoro di gruppo
Non è superfluo ricordare che il lavoro di gruppo consente all’insegnante di osservare gli alunni con tranquillità mentre lavorano, registrando le dinamiche relazionali, la capacità di discussione, l’apporto individuale al gruppo ecc., tutte variabili difficili da rilevare se l’insegnante è impegnato in prima persona nella conduzione diretta della lezione.
Il gruppo, inoltre, riduce la “complessità” della classe. Quando gli alunni lavo-rano in gruppo, cioè, non ci sono 25 individui con cui interagire, ma 5-6 gruppi di lavoro; il gruppo, si sa, non è una somma di individui, ma un’entità autonoma diversa dai singoli membri. L’insegnante, in questo modo, ha l’onere di supportare 5-6 gruppi, non 25-30 individui.
Le consegne di lavoro, legate a contesti esperienziali, infine, generalmente sti-molano la motivazione e l’interesse. Per questi e altri motivi che approfondiremo in seguito la didattica per competenze si mostra particolarmente adatta a classi com-plesse e numerose, lungi dall’esserne ostacolata.
5. Le teorie dell’apprendimento cooperativo
Vediamo, seppure in estrema sintesi, alcuni elementi teorici che caratterizzano l’apprendimento cooperativo (cooperative learning1). Abbiamo già ampiamente ar-gomentato come nella didattica per competenze sia fondamentale che il docente sappia predisporre per gli allievi occasioni in cui portare a termine compiti in auto-nomia e responsabilità, individualmente e ancor di più in gruppo.
Valorizzare gli allievi ne incrementa l’autonomia, la responsabilità e l’autoeffi-cacia, permette loro di “prendersi cura” di altri e di sperimentare l’interdipendenza positiva, aumenta le loro competenze sociali, metodologiche e organizzative.
1 Le parti del paragrafo 5 riguardanti il cooperative learning sono state liberamente tratte da: P. Elle-rani, D. Pavan, L’apprendimento cooperativo come metodologia complessiva di gestione della classe, in: http://www.edscuola.it/archivio/comprensivi/cooperative_learning.htm.
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Gli allievi tra loro apprendono meglio, perché non si sentono “valutati”, e la co-operazione è particolarmente proficua nelle classi difficili, eterogenee e numerose.
L’espressione “cooperative learning” non significa genericamente “lavorare in gruppo”: non basta, infatti, organizzare la classe in gruppi perché si realizzino le condizioni per un’efficace collaborazione e per un buon apprendimento. Il coopera-tive learning fa riferimento a un insieme di principi, tecniche e metodi di conduzione della classe, in base ai quali gli studenti affrontano l’apprendimento delle discipline curricolari (o altro), lavorando in piccoli gruppi in modo interattivo, responsabile, collaborativo, solidale, e ricevendo valutazioni sulla base dei risultati ottenuti.
Sono numerose le prospettive teoriche, le indagini e le sperimentazioni che stanno alla base delle procedure di cooperative learning. Alle radici, possiamo rintracciare John Dewey (1859-1952), Francis Parker (1837-1902), Kurt Lewin (1890-1947), Ronald Lippit (1914-1986), Morton Deutsch (nato nel 1920) e, per certi aspetti, Gordon Allport (1897-1967) (teoria del contatto) e Carl Rogers (1902-1987) (person centered learning).
Nel panorama odierno si possono distinguere modelli diversi di cooperative le-arning (il “learning together” di David Johnson e Roger Johnson, il “group investi-gation” di Yael Sharan, lo “student team learning” di Robert Slavin, lo “structural approach” di Spencer Kagan, la “complex instruction” di Elizabeth Cohen ecc.), con aspetti peculiari che li differenziano gli uni dagli altri, ma con un insieme di caratteristiche condivise e fondamentali, riassunte da Mario Comoglio (1996) e Yael Sharan (1998), i quali sono giunti sostanzialmente al medesimo elenco:• interdipendenza positiva nel gruppo;• responsabilità personale (Sharan);• interazione promozionale faccia a faccia;• importanza delle competenze sociali;• controllo o revisione (riflessione) del lavoro svolto insieme;• valutazione individuale e di gruppo;• gruppi piccoli ed eterogenei.
L’interdipendenza positiva nel gruppo
L’interdipendenza positiva nel gruppo è quella condizione che permette di perce-pire che si è legati gli uni agli altri in modo da condividere la sorte: non c’è successo individuale se il gruppo fallisce, proprio come in una squadra di calcio che perde una partita sono poco significative le prodezze individuali di un cannoniere. D’al-tra parte, il successo di un alunno non esclude quello degli altri, come succede in genere nelle classi competitive, anzi contribuisce a migliorare il livello del gruppo. In gruppo cresce la motivazione a preoccuparsi della qualità dell’apprendimento di ogni compagno e la condivisione della soddisfazione per il successo di ognuno.
Il sentimento di interdipendenza può essere alimentato agendo su diversi livelli:
• gli obiettivi (interdipendenza di obiettivi): vengono dati obiettivi comuni a tutto il gruppo;
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• i compiti (interdipendenza di compito): si assegnano al gruppo compiti che nes-sun membro è in grado di eseguire da solo;
• i ruoli (interdipendenza di ruolo): si distribuiscono fra i membri i ruoli necessari a un buon andamento del gruppo;
• le risorse (interdipendenza di risorse): i materiali e gli strumenti di lavoro ven-gono forniti non individualmente, ma al gruppo che ne organizza l’utilizzo;
• la valutazione (interdipendenza di ricompensa): l’interdipendenza di ricompensa risulta molto forte quando il successo di ognuno dipende da quello di ogni altro membro del gruppo e quando la valutazione individuale risente sia della prestazio-ne personale sia della valutazione che viene attribuita alla prestazione del gruppo; l’interdipendenza, invece, è molto più debole quando la valutazione assegnata al gruppo si limita alla media dei punteggi conseguiti da ogni singolo membro.
La responsabilità personale
In merito alla responsabilità personale, è necessario che l’insegnante organizzi l’attività e la conseguente valutazione in modo da non lasciare spazio a chi “viaggia a rimorchio”, pago di un generico voto di gruppo, o a chi tende a sovraccaricarsi di lavoro, in virtù anche delle sue maggiori competenze.
È indispensabile quindi alimentare il senso di appartenenza e di interdipendenza positiva fra i membri del gruppo.
L’interazione promozionale faccia a faccia
L’interazione promozionale faccia a faccia può essere definita approssimativa-mente come «il clima generale di incoraggiamento e di collaborazione che si respira dentro il gruppo di lavoro, cioè la misura non solo reale, ma pure soggettivamen-te avvertita della fiducia e della disponibilità di ogni membro nei confronti degli altri» (M. Comoglio, Educare insegnando: apprendere ad applicare il cooperative learning, LAS, Roma 1999, p. 52). Vi concorrono fattori quali: il rispetto reciproco, l’aiuto e l’assistenza fra i membri, lo scambio di informazioni, materiali, feedback per migliorare le prestazioni successive, le discussioni per giungere a una migliore comprensione dei contenuti e/o dei problemi, l’impegno nello sforzo di raggiungere gli scopi comuni (D. Johnson, R. Johnson, 1996).
L’importanza delle competenze sociali: la classificazione delle abilità sociali di Goldstein
Abbiamo già visto come le abilità sociali siano essenziali nella realtà odierna e come, del resto, i contesti sociali siano rilevanti per conseguire e stabilizzare gli apprendi-menti, dal punto di vista sia delle conoscenze sia delle abilità pratiche, metodologiche,
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interpersonali e sociali. Lo psicologo Arnold Goldstein (1933-2002) ha proposto una vera e propria classificazione delle abilità essenziali che vengono più facilmente svi-luppate in un contesto di apprendimento cooperativo. A ben guardare, esse sosten-gono, se conseguite, le competenze sociali e civiche, nonché aspetti importanti delle competenze di “Imparare a imparare” e dello “Spirito di iniziativa e imprenditorialità”.
Riportiamo di seguito la classificazione di Goldstein.
Abilità iniziali• Iniziare una conversazione.• Mantenere una conversazione.• Chiudere una conversazione.• Ascoltare.
Abilità di espressione di sé• Esprimere un complimento, un apprezzamento.• Incoraggiare.• Chiedere aiuto.• Dare istruzioni.• Esprimere affetto.• Manifestare una critica.• Persuadere.• Esprimere rabbia.
Abilità per rispondere agli altri• Rispondere alle richieste.• Rispondere ai sentimenti degli altri.• Scusarsi.• Seguire istruzioni.• Rispondere alla persuasione.• Rispondere al fallimento.• Rispondere a messaggi contraddittori.• Rispondere a una critica.• Rispondere alla rabbia.
Abilità di pianificazione• Stabilire obiettivi.• Raccogliere informazioni.• Concentrarsi sul compito.• Valutare le proprie abilità.• Prepararsi a una conversazione stressante.• Gerarchizzare i problemi secondo priorità.• Prendere decisioni.
Abilità alternative al comportamento aggressivo• Identificare e interpretare le emozioni.
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• Attribuire le responsabilità.• Fare richieste.• Rilassarsi.• Autocontrollarsi.• Negoziare.• Aiutare gli altri.• Essere assertivi.
Il controllo o revisione del lavoro svolto insieme
Come abbiamo già detto in precedenza anche rispetto alla riflessione-ricostru-zione, gli studenti devono abituarsi, con la guida dell’insegnante, a tenere sotto controllo l’attività del gruppo in relazione alle competenze sociali che si voglio-no esercitare, allo sviluppo dell’interdipendenza positiva, alla realizzazione degli obiettivi conoscitivi e cognitivi legati al lavoro ecc. Si esamina, inoltre, il processo di apprendimento, ricavando informazioni utili dall’esperienza effettuata e facendo ipotesi su come eventualmente migliorarla in futuro.
Questa riflessione-revisione del lavoro di gruppo, che può essere condotta in itinere e/o alla fine di ogni attività, si è dimostrata una variabile importante nel miglioramento dei risultati e nel conseguimento di abilità metacognitive e di rap-presentazione teorica dell’esperienza.
La valutazione individuale e di gruppo
Attraverso la valutazione di gruppo viene valutata la qualità del lavoro del grup-po stesso, ma si debbono mettere a punto anche strumenti per la valutazione degli esiti individuali, nonché del contributo dei singoli all’esito comune. Gli alunni de-vono sapere che la qualità della propria valutazione individuale dipenderà anche dall’esito comune e dal contributo offerto da ciascuno.
Per la valutazione dei processi, si possono condurre osservazioni sul gruppo o sugli individui rispetto a dimensioni relazionali (interazioni positive, collaborazione, empatia, puntualità ecc.); cognitive e metacognitive (aderenza al compito, precisio-ne, capacità di reperire e utilizzare informazioni, di affrontare difficoltà, di elaborare strategie, di generalizzare ecc.); pratiche (capacità di realizzare e applicare ecc.).
Per la valutazione dei prodotti, si individueranno criteri che dipendono dal tipo di prodotto (ad esempio, per un manufatto si potrebbero considerare: accuratez-za, precisione, completezza, funzionalità, estetica, costo/qualità; se si tratta di un prodotto comunicativo, come un dépliant, si potrebbe tener conto dell’accuratezza delle informazioni, della completezza, dell’efficacia comunicativa ecc.).
Per la valutazione dell’apporto individuale al compito collettivo è molto im-portante, oltre all’osservazione del processo, la relazione finale di riflessione-ri-costruzione. Se un allievo non ha contribuito efficacemente al lavoro comune,
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inevitabilmente la relazione di ricostruzione metterà in luce i passaggi non pos-seduti con sicurezza dallo studente. Le lacune della ricostruzione, inoltre, possono fornire informazioni sulla loro origine (e quindi sulle misure di intervento): scarsa partecipazione al lavoro comune; partecipazione assidua, ma comprensione limitata dei risvolti del compito; partecipazione e comprensione positive, ma limitata capa-cità di verbalizzare l’esperienza oralmente o per iscritto.
Attraverso l’autovalutazione, poi, gli alunni giudicano il lavoro del gruppo e il pro-prio contributo e discutono mezzi e strategie per migliorarlo. Questo aspetto può essere anch’esso agevolmente sviluppato nella relazione finale di riflessione-ricostruzione.
I gruppi piccoli ed eterogenei
La scelta a favore dell’eterogeneità del gruppo accomuna sostanzialmente gli autori di tutti i modelli citati di cooperative learning. I Johnson e Kagan sosten-gono che le differenze di provenienza, cultura, sesso e competenze all’interno dei gruppi favoriscono attività di elaborazione, ragionamento e memorizzazione a lun-go termine dei contenuti, producono maggiori opportunità di peer tutoring e di sostegno e migliorano le relazioni tra alunni diversi per provenienza, condizioni, background, rendendo la classe più gestibile.
La Sharan e la Cohen strutturano il loro modello intorno alla proposta di com-piti complessi, quali una «ricerca» (Sharan) o «temi», «compiti aperti» (Cohen), che prevedano una molteplicità di abilità, proprio per garantire a tutti l’opportunità di mettere in gioco le diverse risorse possedute e contribuire al lavoro del gruppo.
Ciò nonostante, a volte può essere consigliabile formare gruppi più omogenei a causa dei limiti operativi che quelli eterogenei possono presentare in certe condi-zioni: dipendenza dal compagno più competente, scarsi stimoli per gli alunni più esperti, difficoltà a superare differenze o stereotipie molto accentuate ecc.
Per quanto riguarda il numero dei componenti, esso può variare da 2 a 4/5, senza superare questa cifra e tenendo presente che con l’aumentare del numero aumentano sicuramente le stimolazioni e le opportunità, ma sono necessari anche tempi più lunghi e maggiori competenze di tipo comunicativo e gestionale da parte degli alunni.
Nell’organizzazione per gruppi, la disposizione degli arredi deve favorire l’inter-dipendenza positiva, lo scambio e la collaborazione. I banchi sono disposti a cerchio o a ferro di cavallo, oppure divisi in tanti quadrati o triangoli (di 4-6 alunni per ciascuno). Nel primo caso, l’insegnante sta al centro, nel secondo si sposta da un gruppo all’altro.
Molti medici, però, si oppongono alla disposizione dei banchi in quadrati o triangoli perché in questo modo gli alunni sono costretti a voltarsi per seguire l’in-segnante o guardare la lavagna, spesso per periodi di tempo troppo lunghi.
Il medico Kathleen Finch della Klinik Bethesda, la clinica dei presidenti, teme che i ragazzi prendano il torcicollo. La soluzione? «L’unica saggia alternativa alle file – dice – è il ferro di cavallo».
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6. L’unità di apprendimento come strumento di costruzione delle competenze
L’unità di apprendimento (UDA) costituisce un percorso strutturato di apprendi-mento che ha lo scopo di costruire competenze attraverso la realizzazione di un prodotto, materiale o immateriale, in un contesto esperienziale. La struttura può ricordare quella dell’Unità didattica: entrambe, infatti, sono “moduli” di appren-dimento che si propongono di coprire fasi del curricolo. I due strumenti, però, si differenziano sostanzialmente (tabella 4.2).
TABELLA 4.2
Unità didattica Unità di apprendimentoÈ centrata su obiettivi del docente. È centrata su competenze degli allievi.
È centrata sull’azione del docente. È centrata sull’azione autonoma degli allievi.Parte da un obiettivo e, attraverso mediatori diversi, si propone di conseguire conoscenze e abilità.
Parte dalle competenze e, attraverso la realizzazione di un pro-dotto, si propone di conseguire nuove conoscenze, abilità e com-petenze.
Contiene un apparato di verifica e valutazione delle conoscenze e delle abilità.
Contiene un apparato di verifica e valutazione delle competenze, abilità e conoscenze, attraverso l’analisi del processo, del prodot-to e la riflessione-ricostruzione da parte dell’allievo.
È costituita prevalentemente di attività indivi-duali o collettive eterodirette da parte dell’in-segnante.
È costituita essenzialmente da un’attività di gruppo autonoma-mente condotta dagli studenti, con il supporto e la mediazione dell’insegnante.
Come abbiamo già avuto modo di vedere, l’UDA è un modulo progettato e strut-turato dall’insegnante che, per suo tramite, si propone di far conseguire agli allievi conoscenze, abilità e competenze in ordine a quanto progettato, appunto, nel cur-ricolo. Essa può essere molto complessa e articolata, coinvolgere gran parte degli insegnanti del Consiglio di Classe e mettere a fuoco diverse competenze, distribuen-dosi in un tempo relativamente lungo, oppure può essere più contenuta, coinvolgere alcuni insegnanti, mettere a fuoco soltanto alcune competenze e distribuirsi in un tempo ridotto. Le grandi UDA che coinvolgono molti, o addirittura tutti i docenti, generalmente hanno come focus principale le competenze sociali e civiche che pos-sono accomunare tutta l’équipe docente, attraverso, ad esempio, la realizzazione di
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percorsi di educazione ambientale o storico-sociale. Essi possono fornire spunti per le competenze scientifico-tecnologiche, di comunicazione, di indagine sociale, di iniziativa e imprenditorialità e, appunto, per costruire competenze sociali. Richie-dono uno sforzo di progettazione e di condivisione abbastanza elevato e quindi, per forza di cose, nel corso dell’anno se ne potranno realizzare non più di una o due.
Le UDA più semplici, invece, possono durare anche soltanto qualche settimana e indagare aspetti specifici del curricolo, permettendo così agli insegnanti di pro-gettarne diverse in autonomia, partendo dalle competenze a cui la propria discipli-na contribuisce particolarmente, oppure concordando percorsi comuni con alcuni colleghi. In questo modo, i docenti singoli, o coordinati a piccoli gruppi, possono mettere a punto una serie di UDA che mettano a fuoco diverse competenze nel corso dell’anno e che siano costituite da conoscenze e abilità provenienti dalle proprie discipline, fino a coprire tutta o gran parte della progettazione curricolare prevista.
Dentro un’UDA non c’è soltanto l’azione autonoma degli allievi, che pure ne è il motore principale: possono esserci lezioni frontali da parte dell’insegnante, che fornisce alla classe informazioni per la realizzazione del lavoro, esercitazioni per consolidare le abilità necessarie, lezioni conclusive che si propongono di sistema-tizzare, portare a modello (a teoria) l’esperienza condotta.
I vantaggi dell’UDA
L’unità di apprendimento mira allo sviluppo di competenze, ma, essendo queste costituite da abilità e conoscenze, serve anche a verificare e valutare il profitto. Il valore aggiunto è che abilità e conoscenze sono contestualizzate, messe al servizio di un problema, agite, e quindi acquistano agli occhi dell’allievo senso e significato e hanno maggiore opportunità di essere ricordate e consolidate.
L’altro grosso vantaggio è che l’insegnante ha l’opportunità non soltanto di va-lutare se l’allievo ha acquisito le conoscenze e le abilità, ma soprattutto se le sa impiegare, se sa mettersi in relazione con altri per portare a termine un compito, se sa agire con autonomia e responsabilità. Abbiamo inoltre già avuto occasione di richiamare l’attenzione sul fatto che, mentre gli allievi sono impegnati nel compito, l’insegnante ha l’opportunità di osservarli.
L’UDA e il “programma”
L’obiezione che viene fatta alla didattica condotta attraverso unità di apprendi-mento, e quindi attraverso il lavoro autonomo degli allievi, è che è dispendiosa dal punto di vista del tempo e che non consente quindi di coprire tutto il “programma”.
A questa obiezione si può rispondere con una serie di considerazioni. Vediamole.
• Non esistono più i programmi, ma indicazioni nazionali con traguardi di ap-prendimento che sono distribuiti su archi temporali medio-lunghi (ad esempio,
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per il primo ciclo: si parla di traguardi alla fine del quinto anno e del ciclo, con obiettivi scanditi alla fine del terzo, del quinto anno e al termine del ciclo).
• A norma del DPR 275/1999, la responsabilità di costruire il curricolo con riferi-mento ai traguardi è delle scuole, attraverso l’azione coordinata del Collegio dei Docenti e del Consiglio di Istituto, per la parte di sua competenza, riferita agli indirizzi generali e all’organizzazione. Ciò significa che è compito delle scuole organizzare autonomamente il curricolo in modo che i traguardi siano conse-guiti secondo le grandi tappe (fine della scuola dell’infanzia, fine della scuola primaria, fine della scuola secondaria di primo grado, termine dell’obbligo di istruzione, termine della scuola secondaria di secondo grado). A ben guardare, con l’eccezione della scuola dell’infanzia, sono anche le grandi tappe alla fine delle quali viene richiesta la certificazione delle competenze sino ad allora ac-quisite. I Collegi dei Docenti, tenuto conto delle indicazioni, nella progettazione del curricolo hanno la responsabilità di individuare gli aspetti fondanti, i saperi essenziali, i contenuti irrinunciabili che dovranno sostenere quelle conoscenze fondamentali che andranno a costituire le abilità e le competenze. Non tutto si può imparare e non tutto ha lo stesso peso e lo stesso valore. Molte conoscenze vengono acquisite dagli allievi fuori della scuola; giova, quindi, concentrarsi sull’approfondimento delle conoscenze e delle abilità essenziali e fornire stra-tegie e metodi per imparare, organizzare e dare significato alle conoscenze. Dal punto di vista delle conoscenze, il curricolo va quindi ridotto agli aspetti essenziali per lasciare maggiore spazio alla riflessione, alla contestualizzazione e al sapere agito. È ancora necessario precisare che se si intendono perseguire competenze, il curricolo deve essere organizzato intorno a esse. Ugualmente, ha più senso creare UDA organicamente riferite a un curricolo per competenze. In caso contrario, si rischierebbe di realizzare esperienze episodiche che non fanno riferimento a una progettazione organica e intenzionale. Le UDA sono la realizzazione pratica di un curricolo per competenze. È compito del Collegio e delle sue articolazioni (dipartimenti interdisciplinari, dipartimenti per classi parallele ecc.) individuare nuclei problematici di saperi riferiti a più discipline, che possono diventare oggetto di UDA in cui gli alunni esercitano competenza. I temi della salute e della sicurezza, le questioni ambientali, i grandi temi sociali, ad esempio, possono costituire “nuclei problematici” capaci di catalizzare cono-scenze e abilità provenienti da molte discipline e dove le competenze possono essere agite.
• Molte conoscenze sono ricorsive nel percorso scolastico; sono sempre pressappo-co le stesse, ma vengono esercitate in procedure e contesti sempre più complessi e articolati. Da un lato si dovrebbe fare lo sforzo di non ripetere nel tempo gli stessi contenuti con le stesse modalità, dall’altro si dovrebbe tenere conto di quanto gli allievi già sanno e non pretendere di partire sempre daccapo, come se non sapessero nulla di ciò che proponiamo. Questi accorgimenti, da soli, permet-terebbero di risparmiare molto tempo.
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• Il sodalizio e l’accordo tra insegnanti permetterebbero di capitalizzare le attivi-tà che gli alunni conducono in contesti diversi: ad esempio, se l’insegnante di scienze chiede di redigere una relazione su un esperimento, dobbiamo consi-derare che, da un punto di vista linguistico, essa non è nient’altro che un testo espositivo-informativo, che può essere valutato anche dall’insegnante di madre-lingua. Gli esempi di questo tipo sono peraltro innumerevoli.
• L’approccio tradizionale, improntato all’acquisizione della conoscenza e tutt’al più alla sua applicazione esercitativa per conseguire abilità, in moltissimi casi crea estraniazione e demotivazione da parte degli allievi, che si limitano a stu-diare per l’interrogazione e poi dimenticano. Non possiamo dire che in questo modo il nostro tempo sia stato ottimamente investito. È vero che siamo convinti di avere svolto molta parte del “programma”, ma una grande quantità dei saperi è stata bellamente messa da parte dagli alunni, che non hanno trasformato i contenuti affrontati in vere e proprie conoscenze capitalizzate.
Ottimizzare la didattica con la contestualizzazione
Crediamo che il migliore investimento di tempo sia scegliere davvero i conte-nuti e i saperi essenziali, e sforzarci di organizzare la didattica in modo che questi acquisiscano senso e significato per gli allievi e non vengano quindi dimenticati: l’apprendimento attraverso l’esperienza e la soluzione di problemi è senz’altro la strada maestra.
Le competenze non vengono necessariamente perseguite mediante unità di ap-prendimento. Abbiamo già argomentato come gli insegnanti possano contribuire alla costruzione di competenze mediante l’assegnazione di compiti significativi, la discussione collettiva, l’approccio problematico, la contestualizzazione delle co-noscenze, il loro riferimento all’esercizio della cittadinanza. Nello stesso tempo si costruisce competenza avendo cura di organizzare un ambiente di apprendimento improntato alla responsabilità, alla collaborazione, alla condivisione, alla solidarie-tà e al rispetto reciproco. Tutto ciò, come abbiamo detto altre volte, si persegue con l’utilizzo sapiente e coerente dell’ascolto, della parola e dell’esempio. Queste sono le poche, ma potenti armi di chi educa, che può offrire agli allievi la possibilità di lavorare e discutere insieme, imparando a negoziare i reciproci spazi.
Nella tabella 4.3 vediamo un esempio di UDA “semplice”, che può essere condot-ta anche da uno o due insegnanti in un tempo breve, ma che nei risultati, come vedremo, va a toccare aspetti utili a tutta l’équipe docente. Quando si lavora per competenze, infatti, anche se si parte da specifici aspetti, inevitabilmente si vanno a toccare altre competenze, poiché esse sono un reticolo inestricabile. Abbiamo del resto sostenuto che in realtà esiste la competenza e che parlare di competenze di-verse è solo un mezzo per affrontarne più facilmente i diversi aspetti.
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UNITÀ DI APPRENDIMENTODenominazione Differenziamoci!Compito-prodotto Produrre un manifesto pubblicitario per la promozione della raccolta diffe-
renziata, dopo avere analizzato la struttura e il linguaggio di alcune campa-gne pubblicitarie.
Competenze chiave e specifiche Competenze sociali e civicheA partire dall’ambito scolastico, assumere responsabilmente atteggiamenti e ruoli e sviluppare comportamenti di partecipazione attiva e comunitaria.
Sviluppare modalità consapevoli di esercizio della convivenza civile, di con-sapevolezza di sé, rispetto delle diversità, di confronto responsabile e di dialogo; comprendere il significato delle regole per la convivenza sociale e rispettarle.
Comunicazione nella madrelinguaLeggere, comprendere e interpretare testi scritti di vario tipo.
Produrre testi di vario tipo in relazione ai differenti scopi comunicativi.
Riflettere sulla lingua e sulle sue regole di funzionamento.
Spirito di iniziativa e imprenditorialitàEffettuare valutazioni rispetto alle informazioni, ai compiti, al proprio lavoro, al contesto; valutare alternative, prendere decisioni.
Assumere e portare a termine compiti e iniziative.
Pianificare e organizzare il proprio lavoro; realizzare semplici progetti.
Trovare soluzioni nuove a problemi di esperienza; adottare strategie di problem solving.
Imparare a imparareAcquisire e interpretare l’informazione.
Individuare collegamenti e relazioni; trasferire in altri contesti.
Abilità ConoscenzeCompetenze sociali e civicheDistinguere, all’interno dei mass media, le varie modalità di informazione, comprendendo le differenze fra carta stampata, canale radiotelevisivo, Internet.
Comprendere e spiegare in modo semplice il ruolo potenzialmente con-dizionante della pubblicità e delle mode e la conseguente necessità di non essere consumatore passivo e inconsapevole.
Agire rispettando le attrezzature proprie e altrui, le cose pubbliche, l’am-biente; adottare comportamenti di utilizzo oculato delle risorse naturali ed energetiche.
Partecipare all’attività di gruppo confrontandosi con gli altri, valutando le varie soluzioni proposte, assumendo e portando a termine ruoli e compiti; prestare aiuto a compagni e persone in difficoltà.
Caratteristiche dell’informazione nel-la società contemporanea e mezzi di informazione
Elementi generali di comunicazione interpersonale verbale e non verbale
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TABELLA 4.3
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Abilità ConoscenzeComunicazione nella madrelinguaUtilizzare testi funzionali di vario tipo per affrontare situazioni della vita quotidiana.
Ricavare informazioni esplicite e implicite da testi espositivi, per documen-tarsi su un argomento specifico o per realizzare scopi pratici.
Ricavare informazioni sfruttando le varie parti di un manuale di studio: indi-ce, capitoli, titoli, sommari, testi, riquadri, immagini, didascalie, apparati grafici.
Confrontare, su uno stesso argomento, informazioni ricavabili da più fonti, selezionando quelle ritenute più significative e affidabili.
Riformulare in modo sintetico le informazioni selezionate e riorganizzarle in modo personale.
Scrivere testi di forma diversa sulla base di modelli sperimentati, adeguan-doli a: situazione, argomento, scopo, destinatario, e selezionando il registro più adeguato.
Scrivere sintesi, anche sotto forma di schemi, di testi ascoltati o letti in vista di scopi specifici.
Comprendere e usare in modo appropriato i termini specialistici di base afferenti alle diverse discipline e anche ad ambiti di interesse personale.
Lessico fondamentale per la gestio-ne di semplici comunicazioni orali in contesti formali e informali
Principi di organizzazione del discor-so descrittivo, narrativo, espositivo, argomentativo
Strutture essenziali dei testi narrativi, espositivi, argomentativi
Varietà lessicali in rapporto ad ambiti e contesti diversi
Elementi strutturali di un testo scrit-to coerente e coeso
Uso dei dizionari
Modalità tecniche delle diverse for-me di produzione scritta: riassunto, lettera, relazioni ecc.
Fasi della produzione scritta: pianifi-cazione, stesura, revisione
Spirito di iniziativa e imprenditorialitàAssumere e completare iniziative nella vita personale e nel lavoro, valutando aspetti positivi e negativi di scelte diverse e le possibili conseguenze.
Pianificare azioni nell’ambito personale e del lavoro, individuando le priorità, giustificando le scelte e valutando gli esiti, reperendo anche possibili corret-tivi a quelli non soddisfacenti.
Descrivere le modalità con cui si sono operate le scelte.
Utilizzare strumenti di supporto alle decisioni.
Discutere e argomentare in gruppo i criteri e le motivazioni delle scelte, mettendo in luce fatti, rischi, opportunità e ascoltando le motivazioni altrui.
Pianificare l’esecuzione di un compito legato all’esperienza e a contesti noti, descrivendo le fasi, distribuendole nel tempo, individuando le risorse mate-riali e di lavoro necessarie e indicando quelle mancanti.
Attuare le soluzioni e valutare i risultati.
Fasi del problem solving
Le fasi di una procedura
Strumenti di progettazione: disegno tecnico; planning; semplici bilanci
Diagrammi di flusso
Modalità di decisione riflessiva
Strategie di argomentazione e di co-municazione assertiva
Imparare a imparareRicavare da fonti diverse (scritte, Internet ecc.) informazioni utili per i pro-pri scopi (per la preparazione di una semplice esposizione o per scopo di studio).
Utilizzare indici, schedari, dizionari, motori di ricerca, testimonianze e reperti.
Confrontare le informazioni provenienti da fonti diverse; selezionarle in base all’utilità a seconda del proprio scopo.
Collegare nuove informazioni ad altre già possedute.
Correlare conoscenze di diverse aree costruendo semplici collegamenti e quadri di sintesi.
Contestualizzare le informazioni provenienti da diverse fonti e aree discipli-nari alla propria esperienza; utilizzare le informazioni nella pratica quotidiana e nella soluzione di semplici problemi di esperienza o relativi allo studio.
Metodologie e strumenti di ricerca dell’informazione: bibliografie, sche-dari, dizionari, indici, motori di ricerca, testimonianze, reperti
Metodologie e strumenti di orga-nizzazione delle informazioni: sintesi, scalette, grafici, tabelle, diagrammi, mappe concettuali
Utenti destinatari Alunni della classe seconda della scuola secondaria di primo gradoPrerequisiti Saper utilizzare il programma Word per costruire un testo, inserire immagini,
salvare file.
Conoscere le modalità di differenziazione dei rifiuti urbani.
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Fase di applicazione Secondo quadrimestre (mesi di gennaio-febbraio)Tempi 15 ore di lingua italiana
5 ore di informatica
2 ore di arte e immagineEsperienze attivate Analisi di messaggi pubblicitari
Discussioni collettiveMetodologia Lezione
Discussione
Lavoro di gruppo
Problem solvingRisorse umane interne/esterne Insegnanti della classe
Personale non docente
AlunniStrumenti TV e videoregistratore; giornali e riviste; PC e software per la costruzione di
testi, stampanti, fotocopiatore, videoproiettore, scannerValutazione Valutazione del processo: osservazione degli alunni durante il lavoro me-
diante griglie di osservazione
Valutazione del prodotto: accuratezza, precisione, efficacia comunicativa, estetica del manifesto
Riflessione-ricostruzione attraverso una relazione scritta e orale: descrizione della procedura attuata, delle scelte operate e giustificazione delle stesse; autovalutazione
Il prodotto e la relazione verranno valutati dall’insegnante di lingua italiana e avranno lo stesso peso di una verifica: il prodotto verrà inoltre valutato dall’insegnante di arte e immagine sotto l’aspetto estetico e dall’insegnante di informatica per l’aspetto dell’utilizzo efficace del software; per entrambi il lavoro avrà lo stesso peso di una esercitazione pratica.
Il lavoro nel suo complesso verrà valutato dal Consiglio di Classe nella sua interezza per gli aspetti sociali, della collaborazione, dell’interazione positiva e dell’utilizzo delle conoscenze per produrre messaggi di contenuto civico e sociale, nonché per le abilità progettuali e realizzative.
Le abilità e le conoscenze previste dall’UDA verranno verificate, oltre che mediante il prodotto finale, attraverso colloqui, prove strutturate ed eser-citazioni pratiche.
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La consegna agli studenti
Per “consegna” si intende il documento che l’équipe dei docenti/formatori pre-senta agli studenti, sulla cui base essi si attivano e realizzano il prodotto, nei tempi e nei modi definiti, tenendo anche presenti i criteri di valutazione (tabella 4.4).
Il linguaggio deve essere accessibile, comprensibile, semplice e concreto.
TABELLA 4.4
CONSEGNA AGLI STUDENTITitolo UDADifferenziamoci!
Che cosa si chiede di fareDovrete produrre un manifesto pubblicitario per incoraggiare la raccolta differenziata.
In che modo (singoli, gruppi ecc.)Sarete organizzati in gruppi di lavoro composti da quattro persone. Ognuno di voi avrà un compito preciso all’interno del gruppo: il coordinatore, il verbalizzante (che scrive quanto viene deciso), il custode del tempo (che controlla che il tempo venga rispettato), l’osservatore che aiuta il coordinatore e richiama all’attenzione se si va fuori tema.
Quali prodottiUn manifesto contenente delle immagini e uno slogan
Che senso ha (a che cosa serve, per quali apprendimenti)Il prodotto servirà a farvi capire come funziona un messaggio pubblicitario. Infatti, esaminerete altri manifesti pub-blicitari pubblicati dai giornali e sketch trasmessi alla TV per vedere come vengono usate le parole e le immagini allo scopo di convincere il pubblico.Proverete a usare parole della lingua italiana al fine di attirare l’attenzione su un preciso messaggio (le cosiddette “figure retoriche”), proprio come avete visto fare nei messaggi pubblicitari dei giornali e della TV. Il lavoro, inoltre, ha lo scopo di produrre un messaggio per spingere la cittadinanza a un comportamento civico corretto (come la raccolta differenziata) e a fare riflettere voi stessi sulla sua importanza. Il lavoro di gruppo, infine, servirà a miglio-rare la vostra capacità di lavorare e collaborare con altri, confrontando idee e proposte diverse e arrivando a una decisione comune.
TempiIl lavoro verrà realizzato durante le ore di italiano nel mese di gennaio e nella prima metà di febbraio. Verranno inoltre impiegate alcune ore di arte e immagine e di informatica.
Risorse (strumenti, consulenze, opportunità ecc.)Useremo la TV e il videoregistratore per esaminare sketch pubblicitari televisivi; giornali e riviste per la pubblicità stampata; il PC per la costruzione del manifesto e il videoproiettore per confrontare i diversi prodotti dei gruppi.
Criteri di valutazioneVerrà osservato il vostro modo di lavorare: la collaborazione, il rispetto del tempo, la precisione e l’impegno, la capacità di portare a termine un compito in modo accurato. Il manifesto verrà valutato per l’accuratezza, la cor-rettezza linguistica, l’estetica (se si presenta bene, se è bello), per la capacità di convincere (efficacia comunicativa). Inoltre ognuno di voi dovrà scrivere una relazione che racconti il lavoro fatto, come avete proceduto, le scelte com-piute e il perché e una vostra valutazione del lavoro. Anche la relazione verrà valutata per l’accuratezza linguistica, la completezza, la giustificazione delle scelte.
Peso della UDAIl manifesto e la relazione verranno valutati dagli insegnanti di lingua italiana, di informatica e di arte e immagine e avranno lo stesso peso di una interrogazione.Il Consiglio di Classe, inoltre, valuterà l’intero lavoro per esprimere valutazioni sull’impegno, la capacità di lavorare insieme, la responsabilità e la condotta.
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Il piano di lavoro dell’UDA
UNITÀ DI APPRENDIMENTODifferenziamoci!
CoordinatoreInsegnante di lingua italiana
CollaboratoriInsegnante di informatica; insegnante di arte e immagine
Fasi di lavoro (tabella 4.5)
TABELLA 4.5
Fase Attività Strumenti Esiti Tempi Valutazione
1
Presentazione del compitoOrganizzazione dei gruppiRuoli e compitiBrain storming iniziale(italiano)
Consegna agli studenti
Prime ipotesi di pianificazione
2 ore Andamento del brain storming mediante osservazione
2
Analisi di sketch e manifesti pubblicitariDiscussione su testi e immagini(italiano)
TV, video, giornali, riviste
Riflessioni sull’uso delle immagini e sul lessicoRilevazione delle figure retoriche
3 ore Andamento delle discussioni; rilevazione dei termini
3
Esercitazioni in gruppo sull’utilizzo a scopo pubblicitario delle figure retoriche(italiano)
Dizionario, grammatiche
Produzione di testi 2 ore Valutazione dei testi e dell’uso dei termini in modo pertinente ed efficace
4Ideazione e realizzazione del manifesto(italiano e informatica)
PC, software Word, scanner
Bozze del manifesto 7 ore Valutazione del processo; valutazione del prodotto
5
Confronto collettivo dei diversi manifesti dal punto di vista estetico e comunicativo(arte e immagine)
PC, videoproiettore
Proposte correttive 2 ore Esiti della discussione
6Messa a punto definitiva e discussione finale(informatica e italiano)
PC, stampante Prodotto finale 2 ore Valutazione del prodotto finale
7Presentazione del manifesto al pubblico
PowerPoint, cartelloni
Presentazione pubblica
2 ore Valutazione della comunicazione in pubblico
8
Relazione individuale(italiano)
2 ore Valutazione del testo, della coerenza e coesione della ricostruzione, delle giustificazioni delle scelte
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Diagramma di Gantt
Il diagramma di Gantt è costituito da un asse orizzontale (che indica l’arco di tempo occupato dal progetto) e da un asse verticale (che rappresenta le attività co-stitutive del progetto).
Le barre orizzontali di lunghezza variabile rappresentano le sequenze e la durata di ogni fase del progetto. Nel caso di attività che si svolgano in parallelo, le barre si sovrappongono.
Questo diagramma permette la rappresentazione grafica di un calendario di at-tività ed è utile per pianificare e coordinare le varie fasi progettuali (tabella 4.6).
TABELLA 4.6
Tempi: gennaio-febbraioFasi 10-15 gennaio 17-22 gennaio 24-29 gennaio 1-5 febbraio 7-15 febbraio
1 X
2 X
3 X
4 X X
5 X
6 X
7 X
8 X
L’unità di apprendimento che abbiamo esemplificato, sostanzialmente, verte in-torno a competenze comunicative relative al testo pubblicitario. Costruisce cono-scenze e abilità linguistiche intorno al testo specifico, alle figure retoriche, alla combinazione di testi e immagini.
Le competenze comunicative applicate allo specifico testo pubblicitario, però, si intersecano con le competenze sociali e civiche relative all’analisi critica dei messaggi massmediali e dell’utilizzo della comunicazione a scopi civici e sociali (il comportamento corretto sulla raccolta differenziata). Le competenze sociali e civi-che sono coinvolte, oltre che nella riflessione sul comportamento relativo ai rifiuti, nel processo del lavoro di gruppo. Le competenze digitali sono sfruttate nell’utiliz-zo efficace del mezzo tecnologico per la costruzione del messaggio e così pure le competenze di consapevolezza ed espressione culturale, relativamente alla valenza artistica del messaggio. La progettazione e realizzazione del prodotto, inoltre, mo-bilita competenze di “Imparare a imparare” (reperimento e scelta di informazioni) e di “Spirito di iniziativa e intraprendenza”.
Un’UDA articolata
Un’unità di apprendimento più complessa, di cui quella appena esposta potrebbe diventare una parte, si incentrerebbe sull’intero percorso di analisi della raccolta
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differenziata: esame del problema; reperimento di informazioni scientifiche intor-no ai materiali, al loro processo di lavorazione, produzione, smaltimento; impatto sull’ambiente dei rifiuti non differenziati e non riciclati; studio dei mezzi di confe-rimento, differenziazione, stoccaggio dei rifiuti; ricerca sullo stato della produzione di rifiuti e sulla raccolta differenziata nel proprio Comune; ricerca sulle abitudini delle famiglie intorno alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti; analisi di stra-tegie per produrre meno rifiuti e quindi per un consumo consapevole, nonché per un uso più oculato delle risorse naturali ed energetiche; produzione di una guida per il consumo consapevole al fine di produrre meno rifiuti e per la raccolta diffe-renziata; costruzione di manufatti e oggetti con materiale di recupero; mostra finale del lavoro, con presentazione alla cittadinanza dell’intero lavoro e dei prodotti (uno dei quali potrebbe essere il famoso manifesto).
Un’unità di questo tipo coinvolgerebbe quasi tutto il Consiglio di Classe, potreb-be prevedere visite ai centri di conferimento e smaltimento, interviste a esperti, ri-cerche documentali ecc. Necessariamente impiegherebbe un tempo più elevato, ma, come si vede, potrebbe interessare quasi tutte le discipline relativamente alle quali costruirebbe numerose conoscenze e abilità; coinvolgerebbe molte competenze: co-municazione nella madrelingua, competenze in matematica, scienza e tecnologia, imparare a imparare, competenza digitale, competenze sociali e civiche, spirito di iniziativa e imprenditorialità.
La rilevanza pubblica dell’UDA
È molto importante che al prodotto di un’unità di apprendimento sia data una certa rilevanza pubblica, attraverso la sua presentazione alla scuola, ai genitori e, nel caso, all’intera cittadinanza. La rilevanza pubblica conferisce agli occhi degli studenti ulteriore valore al loro lavoro, aumentandone la motivazione in relazione a successivi impegni. Inoltre il fatto di effettuare una pubblica comunicazione co-stituisce esso stesso un compito significativo, attraverso il quale gli alunni devono sperimentare capacità di comunicare in pubblico con attenzione a destinatari diver-si, osservando un registro adeguato e sforzandosi di instaurare una comunicazione efficace.
Numerosi esempi di unità di apprendimento che prendono come ambito di esperienza temi di salute e benessere sono reperibili al seguente indirizzo: http://www.piazzadellecompetenze.net/index.php?title=Formare_persone_e_citta-dini_autonomi_responsabili_resilienti.
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Verifica, valutazione e certificazione delle competenze
1. Valutazione di competenza e valutazione di profitto
La valutazione delle competenze è senza dubbio una questione delicata che me-rita approfondimento. Abbiamo già detto che la competenza è una dimensione che si sviluppa dinamicamente in tempi medio-lunghi e che si può apprezzare soltanto mettendo l’alunno in situazione, di fronte a compiti significativi, per i quali possa agire e mobilitare le conoscenze e le abilità allo scopo di risolvere problemi.
Abbiamo anche detto che la competenza è costituita da conoscenze e abilità, anche se queste, da sole, non bastano a rendere una persona competente.
Nella didattica tradizionale, invece, viene effettuata una valutazione del profitto. In questo caso sono implicate quasi esclusivamente conoscenze e abilità, magari anche complesse, relative alle diverse discipline.
Profitto e competenza sono due concetti differenti e non sovrapponibili. Avremo modo di approfondire la questione nel corso di questo capitolo.
Prima, però, riteniamo utile ripassare alcuni concetti fondamentali relativi alla valutazione, che si tratti di valutazione di profitto o di valutazione di competenza.
Le fasi della valutazione
La valutazione, innanzitutto, non è un’operazione, ma un processo. Essa è im-manente al processo di apprendimento/insegnamento e ne costituisce il momento “intelligente”.
Il processo di apprendimento/insegnamento inizia con un atto valutativo: «Che cosa sanno già i nostri allievi? Che cosa hanno bisogno di imparare di nuovo? Quali conoscenze e abilità sono utili per affrontare i nuovi apprendimenti?». Questo pas-saggio viene chiamato “valutazione iniziale”, ed è estremamente importante, perché serve a contestualizzare il curricolo generale rispetto ai bisogni degli alunni di una specifica classe.
Nel corso dell’anno scolastico, conduciamo continuamente osservazioni e veri-fiche sull’andamento dei nostri allievi con strumenti di diverso tipo: osservazioni, verifiche strutturate e non, interrogazioni, esercitazioni pratiche ecc. I dati raccolti da tutte queste osservazioni servono a valutare il profitto degli allievi, ma ancora di più a tenere sotto controllo e registrare l’efficacia del nostro lavoro e delle nostre
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proposte. Servono, inoltre, a dare informazioni sistematiche di ritorno agli allievi rispetto al proprio andamento e a centrare l’attenzione sui punti di forza e quelli di debolezza. Questa fase del processo è chiamata “valutazione in itinere”, o, ancor meglio, “valutazione formativa”, proprio perché ha lo scopo principale di aiutare la formazione dell’allievo, attraverso il monitoraggio costante dell’apprendimento e dell’insegnamento.
Alla fine del percorso, viene espressa la “valutazione finale”. È chiaro che più accurate sono state la valutazione iniziale e quella formativa più possibilità ci sono che i risultati della valutazione finale siano positivi. La valutazione finale al termine di una classe intermedia ha comunque un rilevante valore formativo per il lavoro dell’anno successivo. Comporta sempre la “promozione” dell’allievo, non la sanzio-ne delle sue lacune. La valutazione serve a tenere sotto controllo il processo e a fare in modo di migliorarlo perché l’alunno consegua il maggiore successo possibile.
2. Verifica, valutazione, comunicazione
Analizziamo ora tre concetti distinti, tra loro certamente legati, ma diversi: veri-fica, valutazione e comunicazione della valutazione.
La verifica è la raccolta sistematica di dati attraverso strumenti diversi, strut-turati e non: test, prove strutturate, saggi, elaborazione di testi, questionari, prove pratiche, interrogazioni, osservazioni ecc. Nel momento della verifica, il docente si limita a raccogliere dati, a misurare dei fenomeni e a registrare dei comportamenti. In questa fase egli sospende il giudizio, nell’attesa di avere abbastanza dati da con-frontare per poi valutare. Una volta raccolto un numero sufficiente di dati, legge i diversi risultati, li raffronta e li interpreta in base a dei criteri.
Soltanto a questo punto potrà esprimere un giudizio, ovvero la valutazione vera e propria. La verifica, quindi, è la raccolta dei dati, mentre la valutazione è l’inter-pretazione del loro significato.
Da questa distinzione si può evincere che i dati desunti dalle verifiche, specie se con strumenti strutturati e standardizzati, possono essere di carattere prevalente-mente quantitativo, mentre il giudizio, la valutazione, rispondono a criteri qualita-tivi. Le verifiche registrano conoscenze, abilità, talvolta aspetti della competenza, mentre il giudizio valutativo rende conto anche dell’andamento dell’apprendimento in relazione a progressi, ristagni, regressi, impegno, motivazione, capacità critiche, abilità metodologiche.
Il giudizio, quindi, è una scelta che rientra nel campo della responsabilità de-gli insegnanti: questi debbono sempre essere in grado di esplicitare puntualmente le ragioni e i criteri che hanno supportato un giudizio piuttosto che un altro. La valutazione, in quanto scelta, è dunque un atto di responsabilità, basato su dati quantitativi e qualitativi assunti nel tempo e interpretati alla luce di criteri. Prefe-ribilmente essi dovrebbero venire esplicitati, condivisi e resi trasparenti all’interno del Consiglio di Classe e del Collegio dei Docenti.
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Per questo, la formulazione della valutazione mediante automatiche medie arit-metiche è la negazione della responsabilità. Si lascia alla sterilità dell’aritmetica un compito che deve essere dei docenti. Non si faccia ricorso alla pretesa che la media garantisca l’oggettività del giudizio, poiché nulla è più iniquo di uno strumento che pretende di negare variabili e differenze. Piuttosto che a una pretesa oggettività, della cui esistenza è lecito dubitare, dovremmo tendere all’“oggettivazione” della valutazione, ovvero a un giudizio in cui inevitabilmente esistono dei margini di discrezionalità e soggettività, ma che, sulla base di criteri trasparenti e condivisi, agiscono allo stesso modo per tutti gli alunni.
A questo proposito, in nota segnaliamo un testo fondamentale, in cui l’autore, Charles Hadji, docente presso l’Institut Universitaire de Formation des Maitres (IUFM) di Grenoble, esamina proprio le suddette questioni e dedica un intero capitolo alla questione della valutazione oggettiva e «oggettivata»1.
Metodi di verifica e prove (strutturate e non strutturate)
La verifica va condotta con un certo rigore metodologico. Innanzitutto, ci si aspetta che le prove siano “valide”, ovvero che misurino effettivamente ciò per cui sono costruite. Ad esempio, i testi teorici per conseguire la patente hanno lo scopo di misurare la conoscenza del codice della strada da parte dei candidati. Essi sono di tipo “oggettivo”, cioè prevedono risposte univoche a ogni quesito. Tuttavia, per come sono formulati, in diversi casi si presentano più come una prova di compren-sione del testo che come una prova di conoscenza del codice. È ragionevole, quindi, pensare che abbiano una dubbia validità.
Quando si costruisce una prova strutturata, è abbastanza semplice formulare quesiti che misurano conoscenze; molto più complesso, invece, è formulare buoni quesiti che misurino abilità complesse, capacità di inferenza, di transfert e di pro-blem solving. In questo caso, potrebbero essere poco discriminanti, perché quasi tutti gli allievi, a patto che studino, sono in grado di rispondere a quesiti di co-noscenza, mentre non è detto che tutti risolvano con la stessa perizia quesiti più complessi che vanno oltre la mera conoscenza o abilità strumentale.
Ugualmente, un allievo studioso, ma esecutivo, potrebbe essere meglio valutato in simili prove rispetto a uno studente meno assiduo, ma più brillante e intuitivo. Già queste considerazioni minano alla base la pretesa di “oggettività” delle cosid-dette prove oggettive, poiché, come si è visto, possono dare risultati differenti a seconda di come sono formulate.
Beninteso, esse danno preziose informazioni: se costruite accuratamente, for-niscono indicazioni non solo sulle conoscenze, ma anche su aspetti rilevanti della competenza. Ne sono testimonianza le prove OCSE PISA (che in verità sono semi-strutturate, dato che prevedono anche item a risposta aperta articolata) o le ultime INVALSI, specie di matematica. L’avvertenza è che le cosiddette prove oggettive non
1 C. Hadji, La valutazione delle azioni educative, Editrice La Scuola, Brescia 1995.
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possono essere assunte in modo assoluto, ma vanno accompagnate da altri stru-menti, soprattutto se non siamo certi che rispondano alle caratteristiche delle grandi prove nazionali e internazionali citate, le quali, non a caso, richiedono per la loro costruzione un lungo lavoro di équipe di specialisti interdisciplinari e di una messa alla prova di tipo statistico per la validazione.
Non sosteniamo, quindi, di evitare le prove strutturate, anzi, la raccomandazione è di costruirne di sempre più accurate e sofisticate o di utilizzare quelle scientifica-mente migliori disponibili sul mercato. Si raccomanda anche, però, di non trattarle come strumenti assoluti, e di usarle insieme ad altri, in modo da costruire una va-lidazione concorrente.
Le prove strutturate, con le avvertenze illustrate, sono le più semplici da leggere e interpretare, poiché prevedono risposte univoche con un punteggio predetermina-to. La loro vera difficoltà, come detto, è piuttosto nella costruzione.
Le prove non strutturate (questionari a risposta aperta articolata, saggi brevi, testi e relazioni, interrogazioni) hanno l’indubbio vantaggio di fornire indicazioni sulle capacità di ragionamento, di inferenza, di operare collegamenti e relazioni e di argomentare. In questo senso, sono più potenti delle prove strutturate per dare informazioni che vadano oltre la conoscenza e l’abilità strumentale. Esse, d’altro canto, sono più difficili da interpretare e necessitano di solidi criteri di lettura e di “accettabilità” delle risposte. La pratica ha dimostrato che è possibile arrivare a una buona univocità di lettura dei risultati delle prove non strutturate tra docenti diversi, se a monte è stata costruita e condivisa una precisa griglia di lettura dei risultati attesi e se si sono corrette collegialmente un certo numero di prove, al fine di “tararne” la lettura e l’interpretazione.
Effetti di distorsione della valutazione
Il professor Hadji, nel libro già citato, argomenta sulla «psicologia del valutatore scolastico»2 e mette in luce alcune distorsioni che inficiano l’affidabilità della valu-tazione, in base a ricerche sperimentali condotte tra gruppi diversi di insegnanti. A questi docenti sono stati dati da correggere gli stessi compiti di alunni ignoti, ac-compagnati, però, da informazioni diverse circa gli alunni che li avrebbero prodotti e senza l’ausilio di criteri aprioristicamente stabiliti per la lettura delle prove.
Le distorsioni opererebbero in base a tre grandi serie di fattori studiati dal dise-gno sperimentale:a) il possesso di informazioni date a priori sull’autore del compito da valutare;b) l’ordine di correzione dei compiti;c) la dinamica della raccolta dell’informazione.
2 C. Hadji, cit., 1995, pp. 75 e ss.
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In base alla prima serie di fattori, sembra assodato che gli stessi compiti sia-no valutati diversamente quando si danno ai valutatori informazioni diverse sugli alunni che avrebbero prodotto il compito.
In particolare:
1) la conoscenza dei voti precedenti influenza la valutazione della prova: uno stes-so compito ottiene voti più alti quando viene attribuito a un alunno che ha già ottenuto in passato voti alti, rispetto a quando viene attribuito a un alunno che ha già ottenuto voti bassi (in questo caso l’informazione giocherebbe un effetto “alone” che assimila il compito ad altri, stabilendo una indebita “dipendenza tra valutazioni” che non gioca certo a favore della valutazione come “promozione delle potenzialità”);
2) allo stesso modo, i compiti ottengono un voto migliore quando sono attribuiti ad alunni di livello alto (in riferimento alla situazione complessiva dell’allievo, non dei singoli compiti), rispetto a quando sono attribuiti ad alunni di livello basso;
3) il possesso di informazioni riguardanti l’origine socio-economica dell’alunno influenza i correttori: gli stessi compiti sono meglio valutati quando vengono attribuiti ad alunni di una scuola ritenuta d’eccellenza o prestigiosa; lo stesso effetto di distorsione interviene al riguardo dell’origine etnica dell’alunno.
In base alla seconda serie di fattori di distorsione, si sono registrati effetti d’or-dine o di contrasto, in relazione alla sequenza in cui vengono corretti i compiti:
1) effetti d’ordine: i compiti corretti per primi sono sopravvalutati, quelli corretti alla fine sono sottovalutati (tranne il primo compito, che viene sottovalutato);
2) effetti di contrasto: uno stesso compito è sottovalutato o sopravvalutato a seconda che i compiti corretti immediatamente prima siano stati giudicati ottimi o pessimi. In questi casi emerge un effetto comparativo in base al quale i compiti non sono corretti per se stessi, ma risultano ancorati a quelli precedenti e successivi.
In base alla terza serie di fattori, si sono messi in evidenza effetti propri del-la dinamica di raccolta dell’informazione. I valutatori, cioè, durante la lettura del compito raccolgono informazioni in base a criteri espliciti, ma più spesso impliciti, e questi criteri condizionano la lettura stessa del compito. Ad esempio, una ricerca ha permesso di verificare che gli insegnanti di lettere utilizzerebbero, nell’ordine, quattro categorie per valutare i testi: lo stile, l’espressione delle idee, l’ortografia, la presentazione; in matematica un’altra ricerca ha mostrato che gli errori di calcolo possono giocare un ruolo più importante degli errori di ragionamento.
Un altro effetto agisce durante la correzione del compito, che esige, per essere letto dall’inizio alla fine, un certo lasso di tempo: le prime informazioni raccolte provocano inferenze che guidano la lettura successiva. Ad esempio, se le scorret-tezze si trovano prevalentemente nella prima metà del compito, questo riceve una valutazione meno buona rispetto a quella che otterrebbe se gli errori si trovassero nella seconda metà.
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Migliorare la valutazione
Gli studi sperimentali ci hanno confermato che esistono effetti di distorsione della valutazione che è necessario conoscere per non incorrervi; la pratica, inoltre, ha dimostrato che si può migliorare l’affidabilità della valutazione conoscendone appunto i rischi e adottando misure che controllino gli effetti di cui abbiamo par-lato. In particolare, per le prove non strutturate, è necessario dotarsi di strumenti rigorosi di lettura che aiutino a tenere sotto controllo la discrezionalità delle valu-tazioni implicite. Le stesse misure valgono sia per le prove non strutturate scritte sia per le interrogazioni, dove però è necessario tenere sotto controllo anche i messaggi di valutazione implicita che noi mandiamo attraverso il linguaggio non verbale.
3. Le scale di misurazione
Proseguiamo ora con altri concetti legati alla pratica della verifica e della valu-tazione, utilizzati non sempre con la dovuta consapevolezza.
I risultati delle verifiche vengono collocati su scale di misurazione che devono essere trattate correttamente dal punto di vista statistico e misurativo.
Nella valutazione scolastica, come in tutte le misurazioni di fenomeni sociali, utilizziamo prevalentemente tre tipi di scale. Vediamo di che cosa si tratta.
a) Scala nominale: è la più semplice ed elementare e fornisce anche il minore nu-mero di informazioni. Serve essenzialmente a classificare secondo determinate caratteristiche. Ad esempio, in una prova pratica, potremmo utilizzarla per veri-ficare semplicemente chi ha superato la prova pratica e chi no; chi, ad esempio, riesce a salire sul quadro svedese e chi no. Questo tipo di scala consente di mi-surare frequenze (con quale frequenza si presenta la caratteristica: ad esempio, su 25 allievi, chi ha superato la prova potrebbe avere frequenza 18, chi non l’ha superata, 7), percentuali, proporzioni, la moda (ovvero l’indice con la frequenza più alta, nel nostro caso, 18) ecc.
b) Scala ordinale: è forse la più usata a scuola e consente di collocare su una sca-la graduata le prestazioni degli allievi. Ad esempio, potremmo dire che il testo dell’allievo X è eccellente, quello dell’allievo Y buono, quello dell’allievo Z suf-ficiente, quello dell’allievo K non sufficiente. In questo caso, la scala ordinale è costituita da aggettivi (eccellente-buono-sufficiente-non sufficiente); potrebbe essere costituita da lettere (A, B, C, D, E) con valore decrescente o da numeri: la famosa e utilizzatissima scala da 1 a 10 è una scala ordinale. Essa consente di apprezzare appunto l’ordine della caratteristica, ma non la sua precisa quantità, né l’esatta distanza dal grado precedente o successivo. In pratica: io posso dire che la prova dell’alunno A è migliore della prova dell’alunno B e che la distanza tra le due è di un grado della scala, ma non posso stabilire la quantità precisa di quella distanza, anche perché gli aggettivi, le lettere o i numeri costituiscono
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una fascia, una gamma, dove potrebbero collocarsi prove molto diverse. Infatti, dentro il voto 8, potrebbero essere collocate prove con caratteristiche diverse, ma che vengono tuttavia classificate buone, trovandosi il grado 8 nella fascia alta della scala. È come se dicessimo che oggi fa molto freddo, che ieri faceva freddo e che l’altro ieri non faceva molto freddo. Io posso inferire che negli ultimi tre giorni la temperatura si è gradualmente abbassata, ma non so di quanto. Per sa-pere di preciso la quantità e la distanza tra un grado e l’altro, dovrei introdurre un altro tipo di scala, ad esempio la scala Celsius dei gradi centigradi. Quindi potrei dire che oggi ci sono 2°, ieri 3° e l’altro ieri 4°. Così confermerei il progres-sivo abbassamento della temperatura, ma saprei dire anche di quanto, cosa che la semplice scala ordinale non permette di fare. Dal punto di vista statistico, la scala ordinale consente di rilevare frequenze, percentuali, di effettuare propor-zioni, di registrare la moda e la mediana.
c) Scala a intervalli: è la scala che permette di mettere in ordine le prestazioni dei soggetti secondo le loro caratteristiche, ma anche di apprezzare la distanza delle posizioni, poiché è costituita da intervalli numerici uguali e continui, in cui lo zero è fissato convenzionalmente (la scala Celsius che abbiamo appena citato è una scala a intervalli). Dal punto di vista statistico, è la più ricca di informazioni, perché consente tutte le operazioni matematiche e statistiche, sia descrittive sia inferenziali. È particolarmente adatta alle prove strutturate e semi-strutturate, dove sia possibile attribuire dei punteggi agli item. Solo questa scala, al contrario delle prime due, consente di operare la media; ciò significa che, dal punto di vi-sta matematico, operare la media con una scala ordinale, come quella decimale, sarebbe in realtà operazione scorretta e impropria. La media avrebbe senso come criterio per la valutazione nel solo caso di prove strutturate o semi-strutturate applicate su larga scala a cui si applicasse il criterio di lettura e valutazione rela-tivo. Questo introduce il concetto di criterio di lettura e valutazione delle prove.
Le soglie e i criteri
Quando somministriamo delle prove di verifica, possiamo attribuire loro dei punteggi o dei giudizi descrittivi che possono collocarsi su scale diverse; all’atto dell’interpretazione, abbiamo bisogno di stabilire delle “soglie”, in base alle quali dare un valore alla prova.
Ad esempio: poniamo di somministrare a una classe una prova strutturata su un punteggio variabile da 0 a 100. L’alunno A ottiene 80, l’alunno B 65, l’alunno C 72. I punteggi grezzi assoluti non dicono più di tanto. Abbiamo bisogno di stabilire quale valore assume allo scopo valutativo una prova di 80 punti, piuttosto che una prova di 65.
La lettura e l’interpretazione possono avvenire in base a due criteri: il criterio assoluto e il criterio relativo.
Il criterio assoluto stabilisce delle soglie a priori, già al momento della costruzio-ne della prova. Queste sono generalmente stabilite in relazione alla struttura della
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prova e allo standard fissato in base alla programmazione. Di solito nella valuta-zione scolastica delle singole classi viene utilizzato il criterio assoluto. Ad esempio, nella nostra prova i docenti potrebbero aver individuato delle fasce a priori in base alle quali i compiti che avessero ottenuto meno di 65 punti sarebbero stati giudicati non sufficienti; le prove da 65 a 75 sufficienti; quelle da 76 a 90 buone; quelle oltre il 90 ottime. Le fasce sono convenzionalmente fissate e generalmente dipendono dalla struttura della prova e dall’ampiezza della parte di curricolo che coprono. Ad esempio, in una prova di conoscenza e abilità strumentale che indaghi un ristretto settore di curricolo (un circoscritto argomento), i docenti potrebbero ragionevol-mente fissare la soglia della sufficienza anche a 80/100. Su batterie di prove molto articolate che coprono ampi settori di curricolo, generalmente la soglia di sufficien-za si aggira intorno al 60%.
Il criterio relativo attribuisce la valutazione solo dopo la somministrazione della prova e dipende dal suo andamento medio. Infatti, quando si giudica un compito con il criterio relativo, i risultati vengono elaborati calcolando la media e la devia-zione standard delle prestazioni del gruppo di alunni considerato. La soglia di suf-ficienza viene stabilita nella fascia compresa tra mezza deviazione standard sotto la media e mezza deviazione standard sopra. Le altre fasce vengono calcolate con un’ampiezza di una deviazione standard rispetto alla fascia media.
È necessario fare una precisazione importante: il criterio relativo ha senso e funziona bene se la stessa prova è somministrata a un campione molto ampio di persone, sicuramente oltre i 100 individui, ma ancora meglio oltre i 200. Questo perché l’attribuzione dei giudizi intorno alla media funziona equamente presuppo-nendo che i risultati della popolazione abbiano un andamento “normale”, secondo la curva di Gauss, o curva a “campana”, nella quale la media si colloca all’incirca a metà della distribuzione e coincide con la mediana e la moda. In realtà, gruppi piccoli come le classi non hanno mai un andamento gaussiano: la media è quasi sempre collocata nella parte alta o nella parte bassa della popolazione, perché in un ristretto campione di individui le caratteristiche individuali della maggioranza con-dizionano notevolmente l’andamento della popolazione. Ed è giusto che sia così: non ci dovremmo mai augurare che una classe abbia un andamento “normale”, perché questo corrisponde alla distribuzione casuale dei grandi numeri. In una clas-se sarebbe preferibile che la media si collocasse nella parte alta della distribuzione, costruendo una curva a “J”.
Il criterio relativo non va mai utilizzato per valutare classi singole, a meno che non utilizziamo prove presenti sul mercato (come le MT o le prove criteriali di ma-tematica), che sono state costruite e testate su ampi campioni di popolazione e le cui soglie sono state fissate sull’andamento di questi, detti campioni “normativi”. In questo caso, però, la nostra classe viene paragonata al campione normativo: è come se i suoi risultati entrassero a far parte del grande campione; letto in altri termini, il campione normativo funziona da criterio assoluto per la valutazione dei risultati della classe.
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4. Per riassumere: aspetti della verifica, della valutazione e della comunicazione
Verifica
Abbiamo quindi esplorato aspetti della verifica che riassumiamo: essa misura conoscenze, abilità e aspetti della competenza mediante prove strutturate, semi-strutturate, non strutturate, i cui risultati vengono posti su scale di vario tipo (nomi-nali, ordinali, a intervalli), e poi letti, confrontati e interpretati in base a determinati criteri (assoluti o relativi). La verifica non è espressione di giudizio, ma solo raccolta di elementi che poi vengono confrontati, letti e interpretati secondo criteri.
Valutazione
La valutazione è il processo di verifica, lettura, comparazione, interpretazione dei dati relativi all’apprendimento, condotto attraverso strumenti, contesti, condizioni diversi, e assunto in base a determinati criteri. Si rifà a caratteristiche di validità, at-tendibilità, equità e trasparenza. La valutazione è sempre personale e non compara-tiva; è legata a ciascun alunno, cioè deve essere condotta a partire dai suoi risultati, definibili in base a criteri fissati per tutti, ma questi stessi risultati non devono mai essere interpretati in base a quelli degli altri allievi. A questo proposito, abbiamo vi-sto che c’è un aspetto rischioso di valutazione comparativa anche leggendo le prove dello stesso allievo, quando tendiamo a sottostimarle o sovrastimarle non in base a criteri definiti sulla singola prova, ma a risultati di prove precedenti.
È vero che nell’espressione della valutazione dobbiamo tenere conto degli anda-menti nel tempo dell’allievo, ma sempre in funzione di promozione, considerando se vi siano stati progressi, se questi sono stati continui o discontinui, se vi siano stati regressi e perché siano avvenuti. Questo però non significa che noi leggiamo e valutiamo una prova paragonandola ai risultati di altre; ogni singola prova viene letta, interpretata, valutata per se stessa e solo successivamente i risultati vengono semplicemente confrontati e messi accanto ai risultati di altre prove e osservazioni per registrare un andamento.
La valutazione, abbiamo visto, è un processo complesso, sistematico e continuo.
Comunicazione
La comunicazione della valutazione è cosa diversa dalla valutazione, ma spesso viene confusa con essa. Mentre la valutazione è un processo che si inserisce or-ganicamente nell’apprendimento/insegnamento, la comunicazione è un’operazione che viene condotta in momenti stabiliti del percorso, mediante strumenti ammini-strativi (pagella, scheda di valutazione, tabelle degli esiti ecc.), generalmente ac-compagnati da una comunicazione personale agli allievi e ai genitori, che serve a
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illustrare appunto i criteri con cui si è pervenuti a quella valutazione, nell’ottica della trasparenza.
Le modalità di comunicazione della valutazione sono generalmente fissate per legge: ad esempio, attualmente è stabilito che la comunicazione del profitto av-venga mediante voti in decimi attribuiti alle discipline; che vi sia un voto per la condotta (a eccezione della scuola primaria, dove per la condotta si esprime un giudizio descrittivo); che la valutazione finale in esito agli esami di fine ciclo sia espressa sempre in decimi (scuola secondaria di primo grado) o in centesimi (scuola secondaria di secondo grado).
Per la verità, la legge interviene in questo caso anche sulle modalità con cui si debba pervenire al voto finale in esito agli esami di fine ciclo, cioè stabilendo di ricorrere a una rigida media aritmetica per la scuola secondaria di primo grado, pre-vista dal DPR 122/2009, e a una serie di voti ponderati per la scuola secondaria di secondo grado. La nostra opinione è che il metodo con cui si perviene al voto finale nell’esame di Stato della scuola secondaria di primo grado sia rigido e sostanzial-mente iniquo, mentre è equilibrato e sostanzialmente equo il sistema di pesi previsto per l’esame di Stato della scuola secondaria di secondo grado; sarebbe augurabile che i due sistemi fossero omogeneizzati, ma tenendo a modello il secondo grado e non il primo.
5. La certificazione delle competenze
La certificazione è un’operazione che attesta il possedimento di requisiti o titoli (il diploma, la certificazione linguistica, la certificazione di competenza). La certi-ficazione può essere esterna (ad esempio, la certificazione linguistica) o interna (la certificazione delle competenze, il diploma), a seconda delle normative nazionali e internazionali. È esterna se viene condotta da un organismo terzo indipendente (un ente certificatore accreditato, come nel caso della patente ECDL o della certificazione linguistica), interna se la certificazione è rilasciata dalla stessa autorità responsabile del percorso formativo, come accade per la certificazione delle competenze o per i diplomi di Stato nella normativa italiana.
Profitto
Nelle valutazioni scolastiche usuali viene valutato il profitto: esso misura preva-lentemente conoscenze e abilità disciplinari, attraverso strumenti e prove tradiziona-li, e si esprime per mezzo di voti numerici, letterali o aggettivali, assegnati, appunto, alle discipline, che oscillano tra una polarità positiva e una negativa (dove quella ne-gativa indica una mancata corrispondenza degli esiti a soglie attese fissate a priori).
In base agli esiti di profitto, vengono assunte decisioni sulla carriera scolastica dell’allievo (promozione, bocciatura).
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La valutazione del profitto, poiché, almeno allo stato attuale, misura prevalen-temente conoscenze e abilità, può essere condotta anche a scansioni ravvicinate di tempo: trimestri, quadrimestri, annualità. Dato che si esprime attraverso giudizi sin-tetici numerici, aggettivali o letterali attribuiti alle discipline, il voto di profitto ha bisogno di essere ulteriormente spiegato con una descrizione verbale o scritta, che illustri i criteri e le dimensioni sottostanti al giudizio sintetico. In pratica, il giudizio sintetico sulla disciplina o il voto finale apposto sui diplomi non rendono conto di preciso di che cosa sappia e sappia fare l’allievo e della qualità del suo apprendi-mento. Inoltre, uno stesso giudizio sintetico potrebbe avere significati profonda-mente differenti per docenti diversi, in scuole diverse o anche nella medesima. In qualche modo, quindi, il voto di profitto è “opaco” e non trasparente: per acquisire significato ha bisogno di una comunicazione ulteriore.
Altre possibilità di comunicazione
Esistono altre modalità per rendere più trasparente la valutazione di profitto? In passato se ne sono messe formalmente in atto alcune: la scheda di valutazione in uso nella scuola primaria in seguito all’OM 236/1993, ad esempio, scomponeva la disciplina in indicatori che rappresentavano grandi prestazioni ed evidenze, legate ai nuclei fondanti della disciplina, e che indicavano la padronanza della stessa. È vero che a ogni indicatore doveva essere attribuito un giudizio letterale su una scala pen-tenaria A-B-C-D-E, ma certamente la valutazione, rendendo conto di aspetti diversi della padronanza disciplinare piuttosto espliciti, era più trasparente di un voto sinte-tico. Prima di questa, era in uso la scheda descrittiva prevista dalla L 517/1977. Essa prevedeva che per ogni disciplina si esprimesse un giudizio descrittivo sull’allievo, che rendesse conto del suo andamento. L’intenzione era lodevole: descrivere la padronan-za, lasciando la possibilità di rendere conto dei risultati, dei processi, degli andamenti ecc. Il limite piuttosto sensibile era che esprimere giudizi individuali per ogni disci-plina diventava estremamente laborioso; inoltre i giudizi potevano essere comunque estremamente soggettivi o ripetitivi, per la difficoltà di articolare descrizioni persona-lizzate per ogni trimestre o quadrimestre. Un altro rischio concreto era l’utilizzo di un linguaggio tecnico “pedagogichese”, non sempre accessibile a tutti gli utenti.
Per questo, la scheda del 1993 ha introdotto una sintesi, concettualmente anche molto elevata, con gli indicatori di padronanza. Essa certamente ha rappresentato una mediazione molto alta e riuscita fra trasparenza e semplificazione nella comu-nicazione degli esiti del profitto e ha anche introdotto, nel periodo in cui è stata in vigore, un virtuoso dibattito nelle scuole sul processo di valutazione adatto a supportare una tale comunicazione. Infatti, si era posto il problema di come verifi-care e valutare con rigore le dimensioni sottostanti gli indicatori; in molte scuole il pretesto della scheda aveva introdotto una programmazione centrata su di essi, de-clinati a loro volta in abilità più specifiche e conoscenze: di fatto, un’articolazione non molto diversa da quella introdotta dalle Raccomandazioni Europee e assunta recentemente dalla Provincia di Trento e dal DM 139/2007.
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Nel 1995 è stata poi introdotta una “semplificazione”, che riportava il giudizio sintetico per disciplina: lungi dal semplificare, opacizzava nuovamente la comunica-zione, dato che la scala aggettivale non è molto diversa dalla scala decimale dei voti.
Comunicazione della valutazione delle competenze
La valutazione delle competenze, come abbiamo già avuto modo di spiegare, è essenzialmente diversa dalla valutazione del profitto e risponde anche a esigenze differenti.
Abbiamo già detto che la competenza non è un oggetto fisico: si vede solo in quanto “sapere agito”, ed è quindi necessario mettere gli alunni in condizione di svolgere un compito significativo che preveda la soluzione di un problema, la mes-sa a punto di un prodotto materiale o immateriale in autonomia e responsabilità, utilizzando le conoscenze, le abilità, le capacità personali, sociali, metodologiche in loro possesso o reperendone di nuove.
La valutazione della competenza si esprime mediante brevi descrizioni che ren-dano conto di che cosa l’allievo sa (conoscenze), sa fare (abilità), in che condizione e contesto e con che grado di autonomia e responsabilità, rispetto a una competen-za specifica e non rispetto a una disciplina. Come già spiegato, le descrizioni della padronanza delle competenze vengono differenziate in livelli che rendono conto del dispiegarsi della competenza da uno stadio embrionale, nel quale la persona possiede conoscenze essenziali e limitate, abilità strumentali, autonomia e ambito di responsabilità ridotti, fino a stadi molto elevati, in cui la persona possiede cono-scenze articolate, abilità strumentali e funzionali anche complesse, capacità di agire in autonomia e con ambiti di responsabilità progressivamente più ampi di fronte a problemi e in contesti sempre più complessi.
Le descrizioni dei livelli sono fissate a priori e valgono per tutti, essendo ancorate a un contesto scolastico (nel nostro caso) o professionale. Questo permette di avere a disposizione degli standard di riferimento per tutti gli allievi e, quindi, di orientare an-che il curricolo e le proposte didattiche, per fare in modo che i ragazzi conseguano ef-fettivamente i livelli augurati in tutte o nel maggior numero possibile di competenze.
La descrizione del livello di competenza può essere solo positiva, perché la fun-zione della certificazione di competenza è quella di testimoniare ciò che la persona sa e sa fare, anche se è molto poco, e non ciò che non sa. La certificazione di com-petenza è un’apertura di credito verso le risorse della persona e serve a testimoniare il livello raggiunto, qualunque sia, dal quale poter proseguire.
Mettere in rapporto competenza e profitto
Che relazione può esserci tra valutazione di profitto e valutazione di competen-za? Abbiamo appena detto che la valutazione di profitto ha una polarità positiva e una negativa, in base alle quali vengono prese decisioni sulla carriera scolastica; tale valutazione viene assunta a scansioni ravvicinate. La valutazione di competenza,
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sempre formulata in positivo, su livelli crescenti, viene espressa al termine di grandi tappe: della scuola primaria, del primo ciclo di istruzione, dell’obbligo, della scuola secondaria di secondo grado (o del percorso triennale o quadriennale di qualifica), poiché è una dimensione evolutiva che si esprime in tempi medio-lunghi.
Facciamo l’esempio di due allievi che frequentino un corso di qualifica per diven-tare elettricisti. Il primo, con un profitto molto basso, viene bocciato all’esame di qua-lifica, mentre il secondo, con un profitto brillante, viene promosso con un voto alto.
La certificazione di competenze del primo allievo non riporterà descrizioni del tipo: “Non sa leggere uno schema tecnico, non sa costruire un circuito, non sapreb-be da dove cominciare per installare un impianto ecc.”, ma piuttosto: “Supportato da un esperto, legge uno schema tecnico di un semplice impianto civile; dietro precise istruzioni e supervisione di un esperto, collabora all’installazione di piccoli impianti civili”. La certificazione del secondo allievo potrebbe riportare descrizioni come: “Sa leggere e interpretare in modo autonomo schemi tecnici di impianti civili e industriali; in autonomia, predispone e installa impianti a uso civile e, con la su-pervisione di un esperto, predispone e installa impianti industriali, curandone anche la manutenzione”. Un datore di lavoro che leggesse le due certificazioni potrebbe decidere di assumere entrambi gli allievi, stabilendo che il primo dovrà sostenere un lungo periodo di apprendistato e sarà intanto assegnato a compiti esecutivi e di supporto, mentre il secondo, dopo un breve periodo di apprendistato, potrà essere assegnato a compiti di istallazione e manutenzione in autonomia.
Il punto è che la certificazione è chiara in se stessa, non ha bisogno di ulteriori illustrazioni e specificazioni, è trasparente, rende conto di quanto la persona sa e sa fare rispetto a situazioni specifiche e concrete, e non del suo andamento rispetto a una disciplina.
La scuola, quindi, se lo ritiene opportuno, continuerà ad assumere decisioni di esito negativo rispetto alla carriera scolastica in base al profitto, ma ciò che le si chiede è comunque di rendere conto delle competenze maturate dall’allievo, non semplicemente del suo profitto.
Se la didattica fosse orientata sistematicamente alle competenze, in realtà compe-tenza e profitto ridurrebbero la distanza che li separa, anche se probabilmente non si sovrapporrebbero mai. Con un curricolo e una didattica orientati alla competenza, gli allievi sarebbero messi più di frequente in situazione di compiti significativi e quindi la valutazione non si limiterebbe alle conoscenze e alle abilità possedute, ma terrebbe maggiormente conto degli aspetti di competenza. Diciamo che la valutazione avrebbe a disposizione elementi di osservazione dell’alunno che nella didattica tradizionale non avrebbe e i docenti avrebbero la possibilità di vedere l’alunno in altri contesti, facendosene un’idea più ampia. La valutazione di profitto, quindi, potrebbe essere più completa, sensibile e articolata e tenere conto di maggiori e differenti aspetti.
Riassumendo, come e quando possiamo valutare le competenze? Attraverso l’osservazione degli allievi in contesti ordinari (come discutono e come articolano pensieri, ipotesi, argomentazioni, in che modo affrontano problemi, crisi e diffi-coltà, come si relazionano con altri e trasferiscono apprendimenti ecc.); attraverso i compiti significativi, nei quali, individualmente o in gruppo, devono gestire una
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situazione o risolvere un problema concreto usando ciò che sanno; attraverso le UDA, nelle quali il compito significativo diventa più complesso e articolato e ci si attende la realizzazione di un prodotto, materiale o immateriale; attraverso le co-siddette “prove esperte” o “prove autentiche”.
Nel capitolo precedente, abbiamo spiegato che l’UDA è un “modulo” formativo che serve a costruire aspetti delle competenze, conoscenze e abilità. L’UDA viene valutata in base al processo, al prodotto, alla riflessione-ricostruzione-autovalutazione. An-che il compito significativo può essere valutato alla stessa maniera, configurandosi, in effetti, come una microunità di apprendimento.
Per quanto riguarda la prova esperta, con quest’espressione si intende una prova di verifica che non si limiti a misurare conoscenze e abilità, ma anche le capacità dell’allievo di risolvere problemi, compiere scelte, argomentare, produrre un micro-progetto o un manufatto; in pratica mira a testare aspetti della competenza. Ha il vantaggio di poter essere somministrata a studenti di classi e scuole diverse, e quin-di permette di confrontare i dati. Si differenzia dall’unità di apprendimento perché, mentre questa si connota come percorso formativo (che poi viene verificato), la prova esperta ha il vero e proprio carattere di verifica. Mentre nell’UDA la situazione prevalente è il lavoro di gruppo, nella prova esperta prevale il lavoro individuale, anche se possono essere presenti situazioni di gruppo, ad esempio di brain storming rispetto alle modalità di affrontare la prova o, successivamente, una discussione collettiva su come ciascuno ha affrontato il compito.
La prova esperta mette letteralmente “alla prova” lo studente, privilegiando la modalità del problema, della decisione di scelta, del collaudo/verifica, della ricerca di un guasto o risposta a un reclamo, della soluzione di uno studio di caso basato sulla tecnica dell’“incidente” (ad esempio, ridefinire il progetto di una visita di istru-zione sulla base di un budget inferiore).
Vanno quindi scelti compiti che non siano un duplicato di quelli delle unità di apprendimento, ma che rappresentino diverse situazioni critiche, che lo studente fronteggia mostrando di possedere effettivamente (e autenticamente) le risorse (co-noscenze, abilità, capacità personali) da mobilitare per la loro positiva soluzione.
La prova esperta è una situazione “multifocale” dove gli aspetti culturali, ad esempio linguistici della comprensione o produzione del testo, e quelli matema-tici vertono intorno a un problema da risolvere, a una situazione da gestire. È un compito di una certa complessità e può impiegare anche molte ore, distribuite in giornate successive, in base alla natura della prova.
La prova esperta, somministrata alla fine di ogni anno, concorre alla valutazione della competenza e alla sua certificazione, insieme agli elementi forniti dalle UDA, dai compiti specifici, dalle attività ordinarie; concorre parimenti alla valutazione annuale del profitto, dove il suo peso potrebbe aggirarsi, in ragione della sua com-plessità, intorno al 20-25% del totale, a giudizio della Commissione di Dipartimento e del Consiglio di Classe.
Nelle tabelle 5.1 e 5.2 presentiamo un esempio di griglia di valutazione dell’UDA, che può servire anche per la prova esperta e, opportunamente semplificata o utilizza-ta in singole parti, per l’osservazione in contesti ordinari e per i compiti significativi.
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118
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119
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
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4
Com
pren
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dam
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120
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
CR
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LIVELLO ATTRIBUITO
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▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
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▼
COMPETENZA CHIAVE DI
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Padr
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COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
CR
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124
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
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2 1
COMPETENZE DI BASE IN SCIENZA E TECNOLOGIA - SCIENZE
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125
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▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
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RIFERIMENTO
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130
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133
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134
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135
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136
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139
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
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140
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COMPETENZA CHIAVE DI
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Questa griglia assume come elementi di osservazione le “evidenze” del curricolo riferite alle diverse competenze chiave, e come criteri le voci dei livelli di padronan-za che fanno capo alle diverse evidenze. In pratica, evidenze e livelli di competenza del curricolo vengono trasformati in griglia di osservazione.
La griglia è uno strumento di lavoro e può essere utilizzata in modo flessibile, a seconda della composizione dell’UDA. Possono essere utilizzate tutte o alcune voci, altre possono essere modificate e ne possono essere aggiunte di nuove.
Alcuni criteri riferiti alle competenze di Comunicazione nella madrelingua, Im-parare a imparare e Spirito di iniziativa e imprenditorialità possono essere utilizzati anche per la valutazione della fase di riflessione-ricostruzione-autovalutazione, re-alizzata mediante la relazione finale.
Le voci proposte per la valutazione del prodotto possono senz’altro variare a se-conda del tipo di prodotto e delle sue caratteristiche, ed essere integrate anche con valutazioni più precise e pertinenti, tarate sulle specifiche dell’oggetto.
I criteri di valutazione del prodotto potranno inoltre efficacemente concorrere alla valutazione delle competenze a cui specificamente esso si riferisce (ad esempio, se il prodotto è un manufatto o una ricerca di tipo tecnico-scientifico, servirà a mettere in luce le competenze in scienza e tecnologia; se il prodotto è un’indagine sociale, servirà a supportare la valutazione in matematica – gli strumenti statistici –,le competenze sociali e civiche ecc.).
I criteri di osservazione sono rappresentati dalle evidenze della competenza con-tenute nelle rubriche; i campi di osservazione descrivono i livelli di padronanza rispetto alle diverse evidenze e sono ripresi dai 5 livelli delle rubriche (cfr gli esempi di curricolo all’indirizzo: www.pearson.it/ladidatticapercompetenze).
In questo modo, in base alla padronanza che l’allievo avrà evidenziato nello svolgimento dell’UDA, sarà possibile valutare il suo lavoro immediatamente collo-candolo su uno dei cinque livelli delle rubriche. L’allievo potrà, nei diversi descritto-ri, collocarsi su una gamma omogenea (ad esempio, sempre sul livello 5), oppure in livelli diversi su evidenze diverse. La valutazione generale rispetto alla competenza in quella UDA risulterà da una ponderazione delle differenti risultanze.
Ne scaturirà un profilo di valutazione che, messo insieme ad altri elementi rac-colti nel tempo (UDA, compiti significativi, esperienze ecc.), potrà contribuire pro-gressivamente a costruire quel profilo generale della padronanza dell’allievo, che intercetterà i livelli della rubrica.
Abbiamo visto che un’UDA serve a mettere a fuoco aspetti di diverse competen-ze, ma una sola certamente non basta a costruire la padronanza della competenza. Infatti, la competenza è una dimensione evolutiva che si costruisce in tempi medio-lunghi e per questo serve un lavoro sistematico, intenzionale, protratto nel tempo per permettere agli allievi di acquisire le conoscenze e le abilità, ma anche di im-parare a utilizzarle per risolvere problemi e gestire consapevolmente situazioni in autonomia e responsabilità, relazionandosi con gli altri.
Quindi, i giudizi di diverse UDA condotte nel tempo su prove e in contesti diversi, i compiti significativi, le osservazioni sul lavoro quotidiano e ordinario dell’allievo alimenteranno tutti quel profilo generale che sarà messo a confronto con i profili
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3 La citazione è tratta dal saggio Che cos’è la cultura (1908) di Gaetano Salvemini (1873-1957).
dei livelli della rubrica. Nessun allievo avrà un profilo generale identico e sovrap-ponibile ai livelli della rubrica, come abbiamo già detto; tuttavia gli sarà attribuito il livello che meglio comprende e rispecchia il suo profilo generale.
Abbiamo già avuto modo di dire che la valutazione dell’UDA può servire a va-lutare, oltre che la competenza, anche il profitto. Poiché nell’UDA si costruiscono conoscenze, abilità e competenze e, infatti, certamente serve a valutare anche il profitto, anzi la valutazione avrà quella sensibilità e completezza maggiore che le deriva dall’aver apprezzato l’alunno in situazione. Nell’esempio di UDA che abbiamo riportato nel capitolo precedente, è stato anche previsto nell’apparato di valutazione che l’UDA sia utilizzata per la valutazione di profitto del singolo docente coinvolto e abbia un certo peso nella valutazione finale. Altra avvertenza: gli aspetti mera-mente legati a conoscenze e abilità possono essere valutati dai singoli docenti inte-ressati, ma la competenza è sempre oggetto di valutazione collegiale, poiché solo la visione concertata di più persone che abbiano potuto osservare l’alunno in contesti significativi diversi potrà esprimere una valutazione attendibile della competenza.
6. Conclusioni
È bene ribadire ancora una volta che l’approccio per competenze non significa che non si devono dare conoscenze. Tuttavia occorre tener presente che oggi la scuola non è più l’unica agenzia che fornisce conoscenza: il suo compito specifico è piuttosto quello di offrire metodi per acquisire conoscenza, per organizzarla in sistemi significativi e per contestualizzarla nell’esperienza.
I contenuti sono veicoli e strumenti di competenza, non fini; vanno operate scel-te per la selezione dei saperi essenziali e quindi è necessario uno sforzo di ricerca di metodologie, tecniche didattiche e atteggiamenti educativi che permettano che questi saperi – fatti di contenuti, concetti, teorie, principi – diventino conoscenza, ovvero capitale permanente della persona, possano supportare le abilità e, insieme a queste, fornire i mattoni per la competenza.
Perché insegnare per competenze?
• Perché sono il significato e lo scopo per cui si apprende.
• Perché sono ciò che effettivamente «resta in noi dopo che abbiamo dimenticato tutto quello che avevamo imparato»3.
• Perché permettono di valorizzare l’esperienza, costruire l’apprendimento attra-verso di essa e rappresentarla tramite la parola che opera riflessione.
• Perché è per questo che gli allievi ci vengono affidati dalla società, per aiutarli a diventare persone e cittadini autonomi e responsabili, capaci di realizzazione personale e sociale, cittadinanza attiva, inclusione; senza ciò nessun apprendi-mento, e prima ancora nessun insegnamento, hanno senso e significato.
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Bibliografia
AA.VV., Le professionalità educative, Carocci, Roma 2003Ajello A.M. (a cura di), La competenza, Il Mulino, Bologna 2002Ajello A.M., Meghnagi S. (a cura di), La competenza tra flessibilità e specializzazione, Franco
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