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18 CRONACHE il Giornale Domenica 26 ottobre 2008

I l FenomenoTransgenera-zionale piace aifigli, ai genito-ri,ainonni,aibi-

snonni. Quando simette al pianoforte esuona L’orologio de-gli dei, Aria, Panic, lemusiche che sono fil-trate da quel rovo di

ricci incuihanascosto la testa,gli «alleviani» -ècosì che si chiamano fradi loro - trattengono ilrespiro, molti piangono. Qualcosa d’incom-prensibile,mai vistoprima, a parteMozart. Lofermanoper strada,gli strappanoautografi, loaccarezzano, lo baciano. Giovanni Allevi nonprova neppure a sottrarsi, anzi si dona comeun agnello sacrificale. Ho visto una signoradal piglio severo, sedicente seguace di unosciamanodellaMongolia,afferrargliconforzale mani per infondergli le energie cosmichedel Tudup emneer, che non so cosa sia madeve far benone, perché alla fine gli ha urlato:«Non avere paura, Giovanni! Non morirai!». Inun liceo di Ascoli Piceno, la sua città natale,una studentessa gli ha fatto firmare l’etichettadiunabottigliavuotasucuiavevascritto: «Con-tiene aria che è stata attraversata dalle note diGiovanniAllevi». Aunconcertouna ragazzinal’hacostrettoaschioccarleunbaciosullaguan-cia, poi ha applicato sulla pelle un pezzo dinastro adesivo, l’ha strappato e l’ha esibito al-la folla adorante: «Ho il Dna di Giovanni Alle-vi!».Persinoi12apostolidell’omonimopremiolet-terarioveronese ispiratodaOrioVergani, con-segnato pochi giorni fa a Giovanni Minoli peril libro Opus Dei, si sono trovati d’accordo -dopo 30 edizioni che avevano iscritto nell’al-bod’oro nomi come GianniBrera, EgistoCor-radi, Giovanni Mosca, Claudio Magris, EnzoBettiza, Paolo Mieli - nell’istituire un «Ricono-scimento all’arte» di questo trentanovenne.Come abbia fatto a conquistare i 12 giurati re-frattari alle mode, fra i quali ieri spiccavanoIndroMontanelli, EnzoBiagi eCesareMarchi,oggi Ferruccio De Bortoli, Sergio Romano eVittorio Zucconi, rimane un mistero. La trap-pola emotiva dev’essere ben congegnata sec’ècascato financoGiorgioNapolitano, classe1925: al Teatro delle Muse di Ancona, dopoaver ascoltato l’Inno delle Marche compostodaAllevi, il capodello Stato ha infranto il ceri-moniale ed è scattato in piedi per andare astringerelamanoalmaestro, «e ioperallungar-gli la mia mi sono dovuto inginocchiare sulpalco davanti al presidente».Ma non fu sempre così perquesto musicista, diploma-to in pianoforte e in compo-sizione col massimo dei votie laureato con lode in filoso-fia, che si definisce «cespu-gliopensatore». Lamemoriatorna al 9 aprile 1991, gior-no del suo ventiduesimocompleanno: «Napoli, pri-mo concerto lontano da ca-sa. Trasferta in treno, da so-lo. Smoking comprato perl’occasione. Entro in sala econto: cinque persone. Unasignoradelpubblico,dolcis-sima, cerca di mettermi amio agio: “Se crede, può an-che non suonare, fa lo stesso”. Riesco solo abalbettare:mano,giàchecisiamo...Allabattu-ta22dellaSarabandadiBachentrauncoppiaelegantissima.Luidicea lei: “Manonc’ènessu-no!”. Girano i tacchi e se ne vanno, sento ilrumore della porta a vetri che sbatte. Vorreimorire. Mi aggrappo alle note. Alla fine partel’applauso. Sono cinque ma è fortissimo, nonfinisce più. Cinque: il mio pubblico. Provounacommozioneviolenta.Me libaciounoperunoconlosguardo. Ilconcertoeragratis.Ave-vo speso tutti i soldi per il viaggio. Passai lanotte in smokingnella sala d’aspettodella sta-zione, fra barboni e prostitute».Quindici anni dopo, ancora a Napoli, Audito-riumScarlatti,primatappa italianadelNocon-cept tour. Neppureunbiglietto invenduto.Al-

la fine del concerto una signora si fa largo tracentinaia di ragazzi: «Maestro, voi siete sem-pre così bravo! Solo che l’altra volta eravamoin cinque a sentirvi...». Senza quei cinque nonsarebbe mai arrivato ai 50.000 di piazza delDuomo a Milano. Senza quei cinque que-st’estatenonavrebberegistrato25tuttoesauri-tonellecittà italianedovehapresentatoEvolu-tion, il suo sesto Cd. Senza quei cinque nonavrebbegià fattoquattro tournéeinCinaenel-l’agostoscorsononloavrebberochiamatonel-laCittàProibitadiPechinoa tenere il concertodelle Olimpiadi accompagnato dalla Chinaphilharmonic orchestra. Senza quei cinquenon avrebbe già venduto 70.000 copie di Evo-lution, eprim’ancora 150.000di Joy, 90.000diNoconcept,80.000diAllevilive, recordimpen-

sabili per un pianista. Senzaquei cinque non avrebbesuonatoperbentrevolte,so-loposti inpiedi, alBlueNotediNewYorkdov’eranodica-sa Duke Ellington, Ella Fitz-gerald, Mile Davis. Senzaquei cinque non sarebbe inpartenza per il Giappone,dovesi esibirà il 4novembrea Nagoya, il 6 a Yokohama eil 9 a Tokyo. Senza quei cin-que Allevi non avrebbe maiscritto La musica in testa, 9edizioni, 60.000 copie ven-dute,e InviaggioconlaStre-ga, cheusciràsempredaRiz-zoli il 26 novembre.

Luca Goldoni dice che lei suona come parla eparla come suona.

«Ha ragione. C’è un istinto musicale anche nelmio linguaggio. Sembra semplicità, invece ècomplessità risolta. La sublimazione dell’im-perfetto. Basta con la perfezione! Non se nepuò più».

Non ha paura che questo successo travolgen-te finisca?

«È la mia ansia perenne, il mio lato oscuro.Quattro giorni la settimana mi chiudo in mestessoenonpensoadaltro. Iososoltantocom-porreesuonare. Se il pubblicomiabbandona,nonhopoltroneacuiaggrapparmi,perchémisono sempre tenuto lontano da logiche di po-tere. E di gente in giro che speranella mia finece n’è parecchia, non creda».

Di chi sta parlando?«Sul mondo accademico ho avuto un impattodevastante.Comel’Islamsullaciviltàocciden-tale.Miconsiderano il risultatodiun’esplosio-ne di follia collettiva. Per loro sono un fintoumileches’approfittadell’ignoranzadellepla-tee».

Faccia qualche nome.«Enrico Girardi del Corriere della Sera sostie-ne che rappresento il peggio della musica ita-lianad’oggi, che sonounbluff comecomposi-tore e un pessimo pianista. Luca Francesconi,direttoredel settoremusicadellaBiennale, hadichiarato che la mia è finta musica classica,che arrangio il già noto solo per vendere».

Invece che musica è?«Musica classica contemporanea. Il fatto chesiamoltoamatanoncontrasta con le sueorigi-ni cólte. Non ho mai usato la contaminazione,non ho arrangiato Bach per la sigla di Quark,neimiebraninonci sononotedi batteria, bas-si elettrici o chitarre distorte. Evolution l’horealizzatoconun’orchestrasinfonica, iVirtuo-si italiani».

Fedele alle origini familiari.«Sì,miopadreNazarenoèclarinettista,miama-dre Fiorella cantante lirica, ma entrambi han-no dovuto adattarsi a fare gli insegnanti. È ildrammadi migliaia di musicisti. I miei genito-ri non volevano che suonassi. A 4 anni ho tro-vato la chiave del pianoforte di casa, un Beck-stein, e a 6 ho cominciato ad ascoltare in loroassenza la Turandot, tutti i pomeriggi».

Come ha esordito?«Nel 1991 sonopartitoper la naia:Car aOrvie-to, poi nella banda dell’esercito alla Cecchi-gnoladiRoma.Mihannomessoallamaggiori-tà. Davo da mangiare a Bemolle, il gatto delcomandante della caserma, e pulivo l’ufficiodel direttore della banda. Lì dentro c’era unpianoforte. Il tenente colonnello s’accorseche lo suonavo di nascosto fra una spolveratae l’altra ed ebbe l’idea un po’ folle di farmidiventare il solista della banda. Andai in tour-née nei teatri per i restanti sei mesi della leva.Suonavo la Rapsodia in blu di Gershwin e ilConcerto di Varsavia di Addinsell».

E poi i primi successi con Jovanotti.«Secondo lui dovevo sentirmi come un calcia-tore convocato nella nazionale. Quando deci-si di andarmene per la mia strada, ci rimasemale».

Più sentito?«MimandaqualcheSms.Solosaluti.Congratu-lazioni mai».

Ha sempre avuto i capelli come l’omino deilampostyl Presbitero?

«No, li ho sempre avuti cortissimi. Me li sonofatticresceredalgiornodel trasferimentoaMi-lano, dieci anni fa».

Usa qualcosa per incrementare la matassa?«Oddio,madevopropriodirlo?Nonèpubblici-tà?».

Che c’entra? Allora anche dire che lei ha incisosei Cd e scritto due libri è pubblicità.

«Guardi, ho provato di tutto. Alla fine mi sonofermato al balsamo Hydra-ricci della Garnier.Rende il riccio definito».

Perché si stabilì a Milano?«Volevodiventare pianista ecompositore. Mangiare eratempo sottratto allo studio,quindiperunannohoversa-tounascatolettadi tonnoso-pragli spaghettiappenasco-lati, ilpiattopiùrapido,nien-t’altro, un fatto di pura so-pravvivenza. Mi mantenevocon le supplenze di educa-zionemusicale o come inse-gnante di sostegno deglialunni dislessici nelle scuo-le dell’hinterland, Barona,ParcoLambro,Linate.Distri-buivo volantini sui Navigli.Epoi facevo il cameriere neicatering».

Per avvicinare Riccardo Muti.«Anche. Accadde il 7 dicembre del 2000, allacena di gala della Scala. Mi feci assegnare altavolodove ilmaestro sedevacon la famigliaealtriospiti.Volevoconsegnargli13dita, ilmioCd, ma avevo il problema di dove nasconder-lo.Ginevramiprestòil suogrembiule,cheave-va una bella tasca sul davanti. Servivo i vini inguantibianchi. Il cuoremiscoppiava.Alla finepresi coraggio e gli porsi il disco. Muti ne fupiù divertito che sorpreso. Si alzò in piedi, mistrinse la mano. “Pensate, è un pianista, hainciso questo Cd e s’è travestito da cameriereper incontrarmi!”, si rivolse ai commensali.Poi ame: “Le risponderò sicuramente”.Quan-do più tardi tornai per sparecchiare, trovai ildisco abbandonato sulla poltroncina».

Che tristezza.«E invece l’annoscorso chi ti vedo inprima filaad ascoltarmi al Teatro Sociale di Piangipane,aRavenna?RiccardoMuti!Abbiamomangiatoinsieme i cappelletti. Alla finemi ha chiesto difargli avere le mie partiture d’orchestra. “Sta-volta non le dimenticheremo sulla sedia”, miha sorriso la moglie Cristina».

Gliele ha spedite?«Non ancora. La riverenza mi blocca. Ci homesso otto anni a capirlo: nella vita artisticanon sono ammessi salti. La strada resta quellatracciata dal direttore del conservatorio Giu-seppe Verdi di Milano, che mi sibilò: “Se fossiuno dei miei predecessori, come IldebrandoPizzetti, lacaccerei!”.Mibocciavaalleaudizio-ni libere, salvo poi ricevermi in ufficio peresternarmi la sua ammirazione: “Lei oggi hasuonato qualcosa di... di... di geniale, ecco, ametà strada fra lamusica classica e il jazz”. Co-me ho osato saltare la trafila tradizionale? Pri-ma vinci il premio Busoni, poi entri nel girodelle agenzie che ti ordinano che cosa devieseguire, infine ilpubblicovanei teatriasenti-re quello che ha vinto il Busoni. Il guaio è chel’annodopoilpremio loassegnanoaunaltroetu sei tagliato fuori. Ho preferito suonare lamusica composta da me. Chopin, il mio idolo,Ravel, Liszt, Debussy facevano lo stesso».

Però non pretendevano una torta al cioccola-to nel contratto...

«Devo sempre mangiarne almeno una fetta incamerinoprimadiandaresulpalco.Èunacoc-cola per vincere la paura».

Non è il suo unico tic.«No, è vero. Riservo un giorno della settimanaadattività speciali, tipo telefonare senzamoti-vo a nominativi presi a caso dalla rubrica delcellulare, persone che rimangono sbalorditeperchénonhonulladipraticodadirgli.Oppu-re annuso tutto ciò che incontro e alla sera sti-lo una classifica dell’olfatto».

Ha registrato «Joy» senza averlo mai suonatoprima, se non nella sua testa. Indro Montanel-li faceva lo stesso con i propri articoli: se lirecitava mentalmente passeggiando nei giar-dini di via Palestro, poi andava al giornale e limetteva su carta.

«Quando la musica mi assale, non vedo più lepersone, non riconosco le strade di Milano».

Non teme di sprofondare nella pazzia, come ilsuo collega David Helfgott, protagonista delfilm «Shine»?

«Il mio amico David è venuto l’anno scorso inItalia. Una delle prime cose che ha chiesto èstata: “Dov’èAllevi?”.SonoandatoasentirloalBlue Note di Milano. Alla fine del concerto miha chiamato sul palco e mi ha abbracciato.Non si staccava più. “Your music, your mu-sic”, la tuamusica,continuavaaripetere.Guar-dandolo, ho visto la fine che farò».

Soffre ancora di attacchi di panico?«Sì, ma la loro intensità puntiforme è diminui-ta.Adessoduranoun interopomeriggioenonhobisognodell’ambulanza, lacui sirenamihaispiratoilbranoPanicnellacorsaverso l’ospe-dale. Li considero forze ataviche, cosmiche,che mi trapassano. Non li respingo più. Li ac-cetto e li benedico. Arrivano quando la ragio-nepretende di capire chi sono, cosa sto facen-do, dove sto andando».

E la sua musica? Quella da dove arriva, se l’èmai chiesto?

«È un mistero, un’entità immateriale che entranellenostre vite. Per umiltà nonvoglio pensa-

re che arrivi da Dio. Non miconsidero né un tramite conla divinità né un ideale dicomportamento. Non capi-sco niente, non sono nien-te».

Panico da Borsa mai?«Non so neppure quanti sol-di ho sul conto corrente. Vi-vo in un bilocale sui Navigli,nonho l’auto,mipiaceusaremetrò e tram. Mi sento vici-noall’umanitàdispersaeget-tata nell’esistenza di cui par-la Heidegger».

Quanto denaro ha con sé?(Fruganelle tascheetirafuo-ri un brandellodi menù, sul

quale ha scritto a matita «Dodici apostoli» eun pentagramma). «Ho solo questo, un ap-punto che ho annotato ieri sera durante la ce-nainmioonore.Èunprocedimentomatemati-coper trasformare leparole inmelodia.Aognilettera corrisponde una nota. Lo usava ancheBach».

Paga tanto di assicurazione per le mani?«Il mio staff ha provato a telefonare ai Lloyd’sper sottoscrivere una polizza, ma da Londrahanno risposto che farei bene ad assicurarmiil cervello».

A chi deve di più?«AmiamoglieNada.Hacredutoinme.Èdiffici-le trovareunapersonachecrede inciòche fai».

(426. Continua)

stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

“ “

Ha già venduto 400milaCd. Fa il tutto esauritodagli Usa al Giappone

Merito del gatto Bemollee di un anno di pranzi

solo con tonno in scatolaOra arriva il nuovo libro

Molti sperano nella mia

rovina. Sulle accademie

ho lo stesso impatto

dell’Islam sull’Occidente

David Helfgott, il genio

del film «Shine», ha

voluto abbracciarmi. Lì

ho visto la fine che farò

di Stefano Lorenzetto

tipi italiani

ANSIA DA SUCCESSO

GIOVANNI ALLEVI

ATTACCHI DI PANICO

CESPUGLIO PENSATORE Giovanni Allevi firma autografi. «Per umiltà non voglio pensare che la musica arrivi da Dio» [Sartori/Fotoland]

Il pianista idolo dei giovaniesordì con 5 spettatori«Scrivo la musica sui menù»Si travestì da cameriere per avvicinare Riccardo MutiI Lloyd’s di Londra: più che le mani le assicuriamo il cervello

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