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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE Corso di Laurea Specialistica in PEDAGOGISTA PER UNA SCUOLA INNOVATIVA. I PROGETTI INCLUSIVI DI BILINGUISMO Prova finale in: Didattica e Pedagogia Speciale Relatore Presentata da Prof.ssa Roberta Caldin Romilda Danesi Sessione: III Anno accademico: 2009/2010

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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA

FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE

Corso di Laurea Specialistica in PEDAGOGISTA

PER UNA SCUOLA INNOVATIVA.

I PROGETTI INCLUSIVI DI

BILINGUISMO

Prova finale in:

Didattica e Pedagogia Speciale Relatore Presentata da Prof.ssa Roberta Caldin Romilda Danesi

Sessione: III

Anno accademico: 2009/2010

"LE LINGUE NON APPARTENGONO AI PAESI, MA ALLE PERSONE CHE LE USANO E LE FANNO VIVERE"

(Abdourahman A. Waberi)

A Gabriele, a Claudia, alla mia famiglia, ai miei colleghi, ai miei amici, che mi hanno guidato ed accompagnato in questa avventura:

Grazie!

INDICE

Introduzione pag. 3

PARTE I

Passato, Presente e Futuro dell’educazione dei sordi in Italia

1 Capitolo. STORIA DELL’EDUCAZIONE DELLA COMUNITA’

SORDA

1.1 Primi accenni ai “sordomuti” e alla loro educazione (antichità – metà XVIII sec. pag. 7

1.2 Estensione dell'educazione dei “sordomuti” e diffusione delle scuole pubbliche (metà XVIII sec. – fine XIX sec.) pag. 22

1.3 Riforma del metodo d’insegnamento (metà XVIII sec. – prima metà XX sec.) pag. 35

1.4 Brevi cenni storici sulla lingua dei segni italiana nell’educazione dei sordi pag. 43

2 Capitolo. EDUCAZIONE D’OGGI PER SORDI

2.1 I cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni pag. 51

2.2 L’influenza del pensiero pedagogico e filosofico del passato sulla visione presente e futura pag. 52

PARTE SECONDA

Il bambino sordo nella società italiana

1 Capitolo. EDUCAZIONE BILINGUE DEL BAMBINO SORDO

1.1 Sordità pag. 58

1.2 Apprendimento e linguaggio nel bambino sordo e nel bambino udente pag. 64

1.3 Bilinguismo e Comunicazione pag. 75

1.4 Educazione Bilingue del bambino in età prescolare pag. 85

1.5 La comunicazione ed educazione del bambino sordo in Italia pag. 87

1.6 Il bambino sordo e la sua famiglia pag. 101

2 Capitolo. EDUCARE ALLA LINGUA DEI SEGNI

2.1 Introduzione alla Lingua dei Segni, Cultura e Comunità Sorda Italiana pag. 106

2.2 Insegnare la lingua dei segni ai bambini sordi pag. 121

2.3 Insegnare la lingua dei segni ai familiari ed ai professionisti pag. 125

3 Capitolo. PROFILI PROFESSIONALI COLLEGATI ALLA COMUNITA’

SORDA pag. 130 PARTE TERZA

Percorsi educativi per bambini con la lingua dei segni italiana: fondamenti pedagogici di un’esperienza educativa nella Scuola d’infanzia 1 Capitolo. ESPERIENZE DI PROGETTI DI BILINGUISMO NELLE

SCUOLE ITALIANE 1.1L’intervento educativo nel contesto familiare, scolastico ed extrascolastico pag. 146

1.2 Apprendere e insegnare la lingua dei segni italiana pag. 157

2 Capitolo. LA SITUAZIONE ITALIANA DEL BILINGUISMO IN ALCUNI PROGETTI DELLA SCUOLA D’INFANZIA

2.1 Progetto, organizzazione, tempo e sistema scolastico dell’educazione bilingue per bambini sordi pag. 172

2.2 Esperienze di bilinguismo in alcune Scuole dell’Infanzia pubbliche e private presenti in Italia pag. 182

2.3 Esperienza lavorativa: Educatore e Docente LIS pag. 192

3 Capitolo. CONCLUSIONI E PROPOSTE PER IL FUTURO pag. 204

ALLEGATI

• Consiglio d’Europa: Riconoscimento ufficiale per la Lingua dei Segni pag. 219

• La Legislazione Europea pag. 223

• Dichiarazione dei diritti delle persone con minoranze uditive pag. 225

• Scuola Materna ed Elementare specializzata 173° Circolo Didattico presso l'ISISS (Istituto Statale di Istruzione Specializzata per Sordi) di Roma pag. 227

• Progetto di bilinguismo: "Lingua italiana - lingua italiana dei segni (Lis)" per l'integrazione dei bambini sordi presso la Direzione Didattica Statale di Cossato (Biella) pag. 235

• Progetto di Bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e udenti nella scuola comune presso la Pia Fondazione Elena Vendramin Calergi Valmarana di Noventa Padovana (Padova) pag. 241

• “Progetto Vivilis” collaborazione interistituzionale: Istituto Comprensivo Jacopo Barozzi di Milano, Ente Nazionale Sordi di Milano e Provincia di Milano pag. 246

• Progetto per l’integrazione in gruppo di studenti sordi nella scuola ordinaria presso l’Istituto dei Sordi di Torino (Pianezza) pag. 248

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI pag. 254

INTRODUZIONE

L’argomento della presente tesi nasce dal desiderio di comprendere,

analizzare e valutare i progetti di bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi

e udenti, laddove questa, ancora oggi, vede le istituzioni scolastiche impreparate

ad affrontare l’educazione dei sordi.

Ho avuto la possibilità di sperimentare personalmente, grazie alle mie esperienze

lavorative, un’ottima realtà di integrazione scolastica dei bambini sordi, una realtà

del bilinguismo, Lingua dei Segni Italiana e Lingua Italiana.

Il lavoro, svolto presso la Scuola dell’Infanzia “Il Giardino” dell’Istituto

Comprensivo “Santini” di Noventa Padovana, mi ha fatto crescere e maturare

professionalmente nel ruolo di pedagogista permettendomi di conoscere i metodi e

le attività legate al progetto di bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e

udenti, con l’uso dei segni nell’ambito scolastico. L’esperienza di studio e lavoro

mi ha incoraggiato a voler analizzare ed indagare in modo più approfondito il

bilinguismo precoce nel bambino sordo, i percorsi educativi per bambini con la

LIS, le esperienze di progetti di bilinguismo e il sistema scolastico-educativo della

Scuola dell’infanzia presenti in Italia con lo scopo dell’integrazione dei bambini

sordi e udenti.

Il fatto di non sentire priva il soggetto dell’acquisizione spontanea del

linguaggio verbale e contestualmente può alterare, se non adeguatamente educato,

la formazione degli schemi di adattamento che assecondano la maturazione e lo

sviluppo della persona. Per questo, la costruzione dell’identità sorda per un

bambino trova difficoltà a costruirsi, integrarsi, emergere nella società.

L’isolamento sensoriale diviene isolamento comunicativo con conseguenze

dirompenti sul comportamento, quali: l’irrequietezza, il disagio, l’instabilità,

l’ansia, la paura, l’incomunicabilità. La persona sorda, se non usufruisce di

interventi precoci, può rischiare di interiorizzare la realtà in modo distorto. Il

contatto e la conoscenza del mondo avviene, per il sordo, prevalentemente

attraverso la vista, che gli consente di prendere coscienza sia del movimento, sia

dell’appartenenza dell’oggetto all’ambiente. E’ importante creare le condizioni

per potenziare questa abilità visiva nel canale comunicativo attraverso la

labiolettura che integra l’informazione uditiva selettiva senza tuttavia trascurare

l’attività di imitazione verbale poiché rappresenta la base per produrre il

linguaggio orale. Il recupero funzionale della sordità è possibile mediante

l’applicazione precoce di una protesi, la terapia logopedia e l’istruzione scolastica.

Lo psicologo russo Lev Vygotskij sottolinea il fatto che per un bambino sordo, la

sordità rappresenta una normalità, e non una condizione di malattia:

“Egli avverte l’handicap solo indirettamente o secondariamente come

risultato delle sue esperienze sociali”1

Il bambino sordo ha le stesse potenzialità di apprendimento del bambino udente e

la differenza tra i due bambini, e di cui occorre tener conto nell’educazione, sta

nell’uso privilegiato nei sordi del canale sensoriale utilizzato nella

comunicazione: la vista.

Per questi motivi ha il diritto di apprendere le due lingue, la lingua dei segni e la

lingua italiana: delineeremo meglio le caratteristiche dell’educazione bilingue e

analizzeremo attraverso i modelli storici della motivazione proposti

dall’educazione linguistica, quali sono le motivazioni che portano il bambino

sordo, il bambino udente, la famiglia e i profili professionali ad apprendere la LIS.

La Lingua dei Segni Italiana è una vera e propria lingua, con una sua grammatica

ed una sua cultura, e come tale permette non solo di comunicare, ma anche di

sviluppare il pensiero e le abilità cognitive.

La tesi è costituita da 3 parti.

Nella prima parte si dimostrerà a grandi linee l’evoluzione dei Sordi dal punto di

vista storico: come dall’emarginazione si è giunti all’istituzione delle prime forme

di educazione per le persone sorde, riportando la storia dell’educazione dei sordi

dall’antichità fino ai recenti sviluppi, nei metodi del panorama italiano

sottolineando che c’è un forte cambiamento che avviene oggi nella Comunità

Sorda Italiana.

La seconda parte è dedicata all’educazione bilingue del bambino sordo nella

società italiana, considerando che la parola sordità viene generalmente usata per

indicare il deficit sensoriale uditivo non come un “handicap” fisico da mascherare 1 Lev Vygotskij, Pensiero e Linguaggio, Giunti Editore, Firenze, 2007.

o curare bensì come una risorsa umana generatrice di cultura. Il “problema “ della

sordità ha le sue radici nel rapporto dell’individuo con la società. La sordità è

invisibile: è riconoscibile solo al momento di comunicare. Così le persone sorde

non sempre ricevono da parte degli udenti tutte quelle attenzioni e la disponibilità

necessarie per comunicare e integrarsi. Questa esclusione causa un forte stress che

aggrava notevolmente l’handicap. Tra le ragioni del comportamento aggressivo di

un bambino sordo c’è forse anche il senso di impotenza provato dal sordo di

fronte alle difficoltà di comunicazione con i genitori, i compagni di scuola, gli

insegnanti.

La terza parte della tesi è di tipo esperienzale e, attraverso alcuni progetti di

bilinguismo nelle scuole italiane, dimostra come viene utilizzato il metodo

scolastico ed educativo per i bambini sordi. La tesi vuole essere la testimonianza

dei progetti bilingui nelle scuole dell’infanzia presenti in Italia e anche delle

esperienze di integrazione scolastica e sociale per bambini sordi e udenti.

Il sistema educativo-scolastico della Scuola dell’Infanzia per bambini sordi è

mutato e il progetto pedagogico specifico costituisce lo strumento attraverso il

quale la scuola dell’infanzia esprime la propria identità e la propria intenzionalità

educativa. Nel progetto pedagogico di scuola, la cui elaborazione compete

all’Ente Nazionale Sordi in collaborazione con tutte le Istituzioni e/o gli

Organismi locali, regionali, statali nel campo dell'istruzione, dell'educazione

scolastica che a vario titolo sono implicati nella vita della scuola, trovano

esplicitazione le finalità da perseguire e gli indirizzi da assicurare per

l'inserimento, la formazione professionale, l'avviamento al lavoro e la piena

integrazione sociale e l'autonomia della persona sorda.

La fonte principale per l’elaborazione del progetto pedagogico di scuola per

bambini sordi è costituita dal Progetto di Educazione Bilingue. Tale documento,

assieme ad altre fonti tra le quali in primis lo Statuto della scuola, nel progetto

pedagogico viene interpretato e specificato alla luce di bisogni educativi peculiari

della comunità, sorda e udenti, in cui la scuola è inserita. Insieme alla

progettazione educativa e alla programmazione didattica, il progetto pedagogico

costituisce uno dei nessi che garantiscono continuità e coerenza a quella relazione

articolata e complessa che intercorre tra l’istituzione, i suoi fini e l’azione

educativa. L’educazione bilingue e il progetto pedagogico di scuola trovano

ulteriore specificazione nella programmazione curriculare, a proposito della quale

va messo in rilievo il ruolo fondamentale dell’insegnante nell’attivare modalità

progettuali e operative in grado di favorire nel bambino sordo processi di co-

costruzione della conoscenza. Ciò sulla base di quell’idea di bambino sordo come

protagonista della propria crescita, che molto chiaramente è delineata nel testo del

progetto di bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e udenti. All’interno

del progetto di bilinguismo operano diverse figure professionali importanti per la

vita del bambino sordo: l’insegnante curriculare, di sostegno, la logopedista, il

neuropsichiatria infantile, l’assistente alla comunicazione, l’educatore sordo, il

docente LIS, ecc.

Nella conclusione verranno esposte le ipotesi svolte dai ricercatori e dalla mia

esperienza di lavoro sul perché il bambino sordo, qualunque sia il livello della sua

perdita uditiva, dovrebbe avere il diritto di crescere bilingue tramite la conoscenza

e l’uso sia della lingua dei segni sia della lingua orale; il bambino potrà acquisire

appieno le sue capacità cognitive, linguistiche e sociali grazie ad alcuni progetti di

bilinguismo nelle scuole dell’infanzia presenti in Italia, studi e ricerche volti a

migliorare e a capire questo problema.

PARTE PRIMA

Passato, Presente e Futuro dell’educazione dei sordi in Italia

In questo capitolo daremo una breve panoramica dell’educazione dei sordi e delle

modalità secondo le quali questa si è svolta lungo i secoli2. A questo fine sarà

opportuno distinguere i diversi periodi, generalmente riconosciuti, ciascuno dei

quali caratterizzato da particolari approcci al problema, da ideologie e da

strumenti didattici talvolta anche in contrasto l’uno con l’altro.

1 CAPITOLO

STORIA DELL’EDUCAZIONE DELLA COMUNITÀ SORDA

1.1 Primi accenni ai “sordomuti” e alla loro educazione (antichità – metà XVIII sec.)

In antichità, non si poteva sapere se esisteva la comunità sorda, sebbene passi

dell’Antico Testamento testimoniano che il sordo veniva accettato nella società

non per un senso di compassione, ma in quanto opera della creazione divina,

degna quindi di rispetto: “Chi ha dato la bocca all’uomo, o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io,

il

Signore?”

Quel periodo, che ha inizio con i tempi biblici, attraversa la civiltà Greca,

Romana, Ebraica, per potersi poi considerare concluso con l’inizio del ‘500; il

pregiudizio nei confronti dei sordi era elevato come dimostravano le leggi

ebraiche che consideravano le persone sorde irresponsabili e la parola

“sordomuto” nella lingua ebraica significava ritardato ( shoté) oppure piccolo

d’età (katan). Ad esempio: “Ma il sordo intelligente che sa comunicare e che

capisce rientra nel diritto giuridico secondo la legislazione per il sordo in materia

2Ferreri G., Conti I., Lane H., Guida Teorico-Pratica per gli Educatori dei Sordomuti e dei Logopedisti (parte sesta), Disegno Storico dell’Educazione dei Sordomuti (parti prima, seconda e terza, 1880 - Le principali fonti consultate per la compilazione del capitolo sono: When the Mind Hears: a History of the Deaf, e Sacks, O., Vedere Voci: un Viaggio nel Mondo dei Sordi, Adelphi, Milano, 1991.

di legge matrimoniale (Shulchau – Aruch)” 3 ad esempio con il termine Cheresh

(sordomuto), colui che non sente e non parla, e con il termine Illem (muto), colui

che capisce ma non parla….per quanto la comunicazione visivo-gestuale sia stata

sempre generalmente osteggiata. Anche due grandi autorevoli autori greci

avevano compiuto osservazioni contrapposte. Platone scrisse il suo pensiero

positivo dicendo che il ”linguaggio dei segni dei sordi si riteneva adatto ad

esprimere sia pensieri che sentimenti”4 mentre “Aristotele, che, insieme a Platone,

fu tra i primi a compiere studi sulla formazione del linguaggio, nella “Storia degli

animali” afferma negativamente che «coloro che sono sordi sono in tutti i casi

anche muti, possono cioè emettere suoni ma non possono parlare», e poiché

kophoi (sordo) ed eneos (muto) significavano anche «stupido», questa confusione

di termini generò l’erronea ma logica interpretazione che fu attribuita nei secoli a

venire alle parole di Aristotele, cioè che i nati sordi dovessero essere considerati

«insensati ed incapaci di ragionare» e ,di conseguenza, non educabili”5.

Nel Vecchio Testamento, le Sacre Scritture considerano i sordomuti come esseri

incompleti, deboli, bisognosi della grazia di Dio. Ancora non si conosce il legame

causale sordità-mutismo, e l’incapacità di articolare i suoni viene creduta la

conseguenza di un nodo alla lingua, nodo che Gesù Cristo, toccandola, scioglie.

Per quanto riguarda i Greci, è innanzi tutto necessario sfatare la credenza che

questi sacrificassero i neonati sordomuti (cosa che avveniva invece per i deboli e

per i deformi), principalmente perché né la sordità né il mutismo erano evidenti

dai primi giorni di vita. Se diamo ora uno sguardo alla letteratura Greca, ci

accorgeremo della mancata comprensione, da parte di questo popolo, della

relazione tra sordità e mutismo. I primi accenni all’argomento parlano, infatti, di

guarigioni dal mutismo, e non dalla sordità o dal sordomutismo6. Neanche 2-3-4 Porcari Li Destri, G. & Volterra, V., Passato e presente. Uno sguardo all'educazione dei sordi in Italia, Gnocchi Editore.Napoli, 1995.Radutzky, E. Cenni storici sull’educazione dei sordi e la lingua dei segni, (pag.3,4,5,6). 5 Le informazioni sono comunque approssimative: non si conosce nemmeno la data di tali guarigioni, le quali sembrano tra l’altro dovute ad un intervento divino.

Ippocrate (460 a.C. ca.-377 a.C. ca.), di molto posteriore a questi accenni, coglie

questo legame.

Aristotele è uno dei primi ad affermare che i sordi dalla nascita siano di

conseguenza anche muti, ma vede il motivo di ciò nella presenza di

“[...] una relazione di simpatia tra gli organi dell'udito e quelli della loquela.” 7.

Egli considera, inoltre, i sordomuti come ineducabili, dal momento che la loro

sordità costituisce un impedimento alla ricezione della parola, unico strumento in

grado, secondo Aristotele, di trasmettere l’insegnamento e la disciplina.

Da questi pochi esempi risulta chiaro come ancora scarsa e tentennante fosse ai

tempi dei Greci la conoscenza del fenomeno del sordomutismo.

La situazione per i Romani è simile e il Diritto Romano diceva che i sordi erano

come i “mentecatti”, coniugando, in questo modo, un pregiudizio fisiologico e

psicologico all’impossibilità di fornire un’educazione; inoltre erano considerati

“incapaci: non potevano stipulare, né essere tutori; non potevano fare da testimoni

nei testamenti, né fare essi stessi testamento"

Ciò dimostra ancora l'ignoranza da parte dei Romani, del legame sordità.-

mutismo, e la persuasione che si trattasse di individui incurabili ed ineducabili. A

conferma di ciò si potrebbero portare anche gli accenni ai sordomuti dati da autori

come Plauto, Lucrezio, Marziale. Neanche presso di loro i neonati sordomuti

venivano sacrificati: lo testimonia il fatto che il Diritto Romano parla di loro (e

quindi dovevano per forza esservi, nella società romana, dei sordomuti adulti)

“[...] classificava i sordi e i muti coi mentecatti e coi furiosi.”8

Non mancano comunque, nella letteratura latina, resoconti dell’incontro con dei

sordomuti intelligenti: Plinio narra di un certo Quinto Pedio, particolarmente

dotato nell’arte della pittura. Ammiano Marcellino riporta invece di un giovane

sordomuto che l’imperatore Giuliano aveva portato con sé dalla Persia, e in grado

di esprimersi e farsi comprendere attraverso i gesti. San Gerolamo (347 d.C.-420)

scrisse in "Commentarius in epistulam Pauli ad Galates": 7Ferreri G, Disegno Storico dell'Educazione dei Sordomuti. Parte prima: le Origini e il Primo Periodo Storico, Milano, 1916, ( pag. 11). 8Ibid., pag. 13.

" i sordi possono apprendere il Vangelo per mezzo dei segni".

È il primo documento che cita i segni come mezzo per l'istruzione dei sordi; in

assoluto è anche il primo documento storico che menziona l'esistenza dei segni.

Certamente è ancora troppo poco per poter affermare l'esistenza di una vera e

propria lingua dei segni già ai tempi di San Gerolamo (IV sec d.C.) ma viene

eliminato del tutto il dubbio che i segni siano stati un mezzo artificiale di

comunicazione inventato nell'era moderna o nel periodo medioevale.

I segni sono più antichi di molte altre lingue: la loro nascita, come mezzo di

comunicazione, possiamo affermare che si perde nella notte dei tempi.

Nel corpo legislativo che risale all'impero Giustiniano (527-565 d.C.) troviamo

l'istituzione di restrizioni legali per i sordi, il Codice Giustiniano (531, prende il

nome dall'Imperatore Giustiniano I che riformò il diritto romano) precisa che:

"i sordomuti, divenuti per caso tali, possono usufruire dei loro diritti civili a

condizione che sappiano leggere e scrivere".

Questa citazione del Codice Giustiniano testimonia l'esistenza dei sordi che

potevano leggere e scrivere già ai tempi dell'impero romano e che nel tentativo di

operare distinzioni legali per poter ottenere pieni diritti dal punto di vista legale.

Si può ben immaginare come, non ricevendo i sordi alcuna istruzione, gli unici in

grado di scrivere fossero i sordi post-linguistici, mentre tutti i sordi pre-linguistici

venivano privati di diritti e doveri dal punto di vista legale e assegnati a tutori che

avevano un totale controllo sulla loro vita.

Nel Medioevo (476-1492, V-XV sec.) si ritorna ad una vera e propria

persecuzione nei confronti dei sordi: furono soppressi del tutto quei diritti che

erano già stati concessi al tempo dell'Imperatore Giustiniano. Durante il

feudalesimo (X-XII sec) essi vennero completamente emarginati, in quanto la

sordità non permetteva loro di combattere in guerra, che era il principale interesse

dei signori del tempo, non potevano ereditare, né celebrare la messa, né contrarre

matrimonio, a meno di una dispensa papale. Ma nonostante tali decisioni si

continuava a discutere del ruolo sociale dei sordi, se fosse possibile processarli

per un reato, concedere loro di prendere i voti, se si potesse torturarli, ecc.

Se volessimo ora sintetizzare questo primo periodo, che Igino Conti definisce

anche come “periodo preistorico”9 dell’educazione dei sordomuti, potremmo dire

che in esso prevalgono:

Ÿ il pregiudizio, che porta a considerare il sordomuto come un individuo stolto,

da compatire in quanto infelice, incapace di ricevere la parola e, di conseguenza,

estraniato dai sacramenti o da una qualsiasi educazione, incapace di produrre la

parola e perciò selvaggio, spesso neanche riconosciuto giuridicamente10;

Ÿ l’ignoranza in merito al fenomeno del sordomutismo, ovvero in merito alle sue

cause, alla relazione sordità-mutismo, alla distinzione tra sordomutismo e ritardo

mentale.

Alla diffusione e al tramandarsi di entrambi questi atteggiamenti è da imputare il

fatto che per secoli non si sia pensato ad una rivalutazione del sordomuto come

individuo e alla possibilità di istruirlo ed educarlo.

Nel periodo che si estende dal XVI fino alla metà del XVII secolo (data della

fondazione delle prime scuole pubbliche per sordomuti) ha origine la vera e

propria istruzione dei sordomuti. Con l'inizio del XVI secolo si apre un periodo di

nuove sperimentazioni e diffusione delle conoscenze anche a livello

internazionale. Proprio quest'atmosfera porterà diversi scrittori ad ipotizzare

l'educabilità dei sordomuti e a concentrarsi su questo argomento, favorendo così

lo sviluppo di studi e ricerche di tipo medico, linguistico, storico, ecc, intorno al

fenomeno del sordomutismo.

Nel campo medico lo stato delle conoscenze non era ancora in grado di fornire

una valida interpretazione di cosa fossero la sordità e il mutismo: l'idea principale

sulle cause della sordità era da ricercare nella connessione tra nervi della lingua e

dell'orecchio.

Un'altra teoria era quella che la bocca fosse collegata alla "tromba di Eustachio" e

9 Ferreri G., Conti I., Lane H., Guida Teorico-Pratica per gli Educatori dei Sordomuti e dei Logopedisti , Disegno Storico dell’Educazione dei Sordomuti, Scuola Grafica Padre Monti S.A., Saronno (Varese), 1966, parte sesta, Storia dell’Educazione dei Sordomuti, (pag. 491). 10Di diverso tipo saranno i pregiudizi intorno ai sordomuti nei secoli successivi. Si comincerà col credere che non valga la pena di educare degli individui i cui risultati non ripagheranno i nostri sforzi, per poi finire con la convinzione che, per educare, i sordomuti basti semplicemente una buona dose di pazienza.

che quindi la cura consisteva nell'urlare nella bocca dei sordi.

Nel XIV secolo Bartolo della Marca D'Ancona (1314-1357), giureconsulto

italiano e scrittore, nel suo "Digesta Nova" afferma di aver conosciuto un uomo

completamente sordo, chiamato Nellus De Gabrielis, nato a Euguba, che era cosi

intelligente da comprendere facilmente le persone grazie alla lettura dei

movimenti delle labbra (è il primo testo nella storia conosciuta che citi la lettura

labiale) fu il primo a sostenere la possibilità di istruire i sordi, sia attraverso i

segni sia con la lingua parlata, dando così maggior impulso ad eventuali riforme

legislative nei riguardi dei soggetti sordi.

L'educazione verbale delle persone sorde, sebbene argomenti di grande attualità, è

soggetto a continui mutamenti ed evoluzioni. È al XV secolo che risalgono i primi

documenti scritti relativi ai sordomuti e alla loro condizione all'interno della loro

società: il seguente testo è tratto da un manoscritto del XV secolo (1420)

proveniente dal monastero vastenense che rappresenta il primo dizionario della

lingua dei segni conosciuto.

La prima persona a parlare in maniera seria della possibilità di educare i

sordomuti è Girolamo Cardano (1501-1576). Trattasi di un medico, filosofo e

matematico che, forse ispirato da uno scritto di Rudolf Agricola11, arriva alla

conclusione che la parola non sia indispensabile per l'educazione di un individuo,

e che un sordomuto possa perciò venire istruito in modo più che soddisfacente

attraverso la scrittura e la lettura. Fabrizio d'Acquapendente (1533-1619)

condivide il pensiero di Cardano, e non manca di sottolineare il legame sordità-

mutismo.

In considerazione del carattere conciso di questa carrellata storica, ci limitiamo a

questi brevi ma importantissimi esempi. Per chi fosse ulteriormente interessato, si

consiglia la consultazione delle enciclopedie e dei volumi di Giulio Ferreri citati

in bibliografia.

È giunto ora il momento di osservare in cosa consiste l'arte di educare e istruire i

sordomuti nel periodo che va dall’età greca all’età medievale. Si noti innanzi tutto 11 Rudolf Agricola (1443 ca.-1485 ca.) racconta con stupore del suo incontro con un sordomuto (sottolineando la relazione tra sordità e conseguente mutismo) capace di comunicare grazie alla padronanza della lingua scritta.

il carattere privato e individuale di tale arte: i primi maestri dei sordomuti sono

maestri privati. I loro alunni sono figli di persone ricche (che si possono

permettere l'alto costo di questo tipo di istruzione) ed influenti (spesso nobili, per

cui l'educazione dei figli sordomuti è necessaria affinché questi vengano

riconosciuti giuridicamente capaci, per ovvie questioni di eredità e passaggio di

titoli nobiliari). L'educazione dei sordomuti è perciò in questo periodo un

privilegio di pochi fortunati; la maggior parte dei sordomuti rimane nell’ignoranza

e nella miseria. Inoltre, prevale il carattere di segretezza e mistero intorno al

metodo usato da ognuno dei maestri che tra poco citeremo. Analizziamone i

motivi:

Ÿ la gelosia del metodo da loro scoperto, a volte in buona fede (ignoravano che

lo stesso metodo fosse già stato scoperto da qualcun altro), ma più spesso in mala

fede (desiderosi di apparire come gli unici inventori del miracoloso metodo,

nascondevano il fatto che lo stesso fosse già stato adottato);

Ÿ la venalità (desiderando di essere gli unici a beneficiare economicamente del

suddetto metodo, non pensavano che la divulgazione di questo avrebbe portato un

beneficio ben maggiore, non economico ma sociale, a centinaia di sordomuti

bisognosi).

Il metodo di educazione utilizzato dai primi maestri dei sordomuti è comunque

press'a poco sempre lo stesso. A variare sono l'importanza data a questo o a quello

strumento didattico e l'accento posto su questo o quell'aspetto dell'insegnamento.

Diamone ora una panoramica generale: il metodo su cui si concentrano questi

primi maestri è quello orale. Si presuppone un’approfondita conoscenza, da parte

dell'insegnante, dell'apparato di produzione dei suoni e delle diverse posizioni

articolatorie12. Il punto di partenza è l'assunto che, nell’istruzione di un individuo,

il senso dell'udito possa essere sostituito da quello della vista. Come dice George

12 I trattati e i volumi di questo periodo sull'educazione orale dei sordomuti iniziano frequentemente con una descrizione degli organi dell'apparato fonatorio, del percorso della aria dai polmoni alla bocca, e proseguono con la classificazione dei diversi suoni a seconda delle posizioni articolatorie. Questi studi rappresentano i primordi dell'odierna fonetica articolatoria.

Dalgarno (1626 ca.-1687), famoso pedagogista del tempo, nel suo

Didascalocophus (1680),

“[...] non si vede quindi una ragione per cui la mente umana debba apprendere

più facilmente le immagini acustiche di quelle ottiche della parola.”13.

Anche Johann Konrad Amman (1669-1724) dirà, nel suo Surdus Loquens (1692),

che

“[...] l'uomo nasce con l'innata facoltà della loquela, ma questa non passa all'atto

se non per gli stimoli dell'udito. Così i nati sordi non possono parlare se per via

di un artificio non si inducano a parlare partendo dall'imitazione della parola nei

suoi elementi.”14.

Si procede dunque con l'insegnamento dell'articolazione dei suoni. L'alunno

apprenderà innanzi tutto la distinzione tra respirazione a funzione vegetativa

(fenomeno involontario, atto all'ossigenazione del sangue) e respirazione fonica

(ovvero per l'emissione dei suoni). In un secondo tempo si passerà

all'apprendimento delle diverse posizioni articolatorie dei singoli suoni. Secondo

molti, conviene concentrarsi inizialmente sulle vocali, per poi passare

all'apprendimento delle consonanti. Come afferma, infatti, Amman, nel già

accennato Surdus Loquens.

“[...] il parlare risulta tanto più chiaro e distinto quanto più nette e chiare sono le

vocali. Talché sfuggono anche parecchi difetti di articolazione in chi parla con

voce metallica e con chiarezza di vocali.”15.

Il passo successivo consiste nell'apprendimento, da parte dell'alunno, delle sillabe,

poi di gruppi fonetici sempre più complessi, infine delle parole. Come già

accennato il mezzo attraverso il quale il sordomuto può imparare tutto questo è il

senso della vista. Osservando i movimenti del maestro nella pronuncia dei suoni,

ed agevolato inoltre dal senso del tatto, (per percepire le vibrazioni dei diversi

suoni grazie alla leggera pressione sulla gola del maestro prima, e sulla propria

poi) l'alunno compirà il processo di apprendimento osservazione-imitazione. Potrà 13 Citato da Ferreri, Giulio; op.cit., pag. 91. 14 Citato da Ferreri, Giulio; op.cit., pag. 104. 15 Citato da Ferreri, Giulio; op.cit. Pag. 108.

essere utile toccare anche le labbra e la bocca del maestro, servirsi di uno specchio

per un continuo riscontro personale da parte dell'alunno in merito ai movimenti

articolatori ed alle corrispondenti vibrazioni ottenute, così come parimenti

necessaria sarà la costante illuminazione e relativa vicinanza della bocca del

parlante. A seconda del maestro, viene consigliato e praticato l'uso della mimica e

dei gesti, oppure di un più preciso alfabeto manuale, per comunicare inizialmente

con l'allievo, ma altri preferiscono direttamente la parola come mezzo e fine

dell'educazione. Vediamo dunque come ci siano delle lievi variazioni

nell'applicazione di un metodo i cui concetti basilari rimangono invariati. A

proposito della lettura labiale (ovvero del riconoscimento del suono o dei gruppi

di suoni emessi, grazie alla semplice ma attenta osservazione dei movimenti della

bocca del parlante) tutti i maestri di questo periodo incorrono nell'errore di

considerarla un'attitudine che si svilupperà spontaneamente in tutti gli allievi (in

misura maggiore in quelli più dotati), anziché una complessa operazione da

insegnare e controllare sistematicamente.

Le fasi successive non sono propriamente inerenti al nostro campo di studio, ma

sono comunque parti fondamentali dell'istruzione di un sordomuto, ed è perciò

indispensabile perlomeno accennarvi. Dopo l'insegnamento dell'articolazione,

ovvero di pronuncia di suoni e parole, è necessario insegnare al sordomuto il

senso delle parole da lui pronunciate. Si entra pertanto nella fase

dell'insegnamento della lingua, della lettura e della scrittura, per la quale si

assoceranno i singoli suoni al corrispondente simbolo grafico, e le parole (oltre

che al corrispondente simbolo grafico) all'oggetto, all’azione o alla qualità che

rappresentano. Il metodo di insegnamento consigliato è quello occasionale-

oggettivo16. A questo punto si potrà passare all'insegnamento di altre materie,

quali la religione, la storia, ecc.17 16 Insegnare secondo il metodo occasionale-oggettivo significa partire da esempi o situazioni pratiche, per dedurne poi le regole e i principi grammaticali, e considerare ogni momento come possibile occasione d'istruzione. 17 La British Universities Encyclopaedia (riferimenti completi in bibliografia) ci fornisce alla voce “Deaf and Dumb” una concisa ma interessante definizione del metodo orale: “To gain a sense means of reproducing sound the pupil can be led to feel the vibrations by placing the hand on the thorax. The course of instruction may proceed through the various sounds as represented by the letters of the alphabet, the phonetic value being taught - not the name of the letter. The order of presenting these symbols varies to some extent in different countries and schools; but in all the principle prevails of

Ovviamente, il metodo sopra spiegato18 sembra all'apparenza semplice, sbrigativo,

e ben ordinato passo per passo (e molti maestri dei sordomuti sembrano essere

stati d'accordo con questa prima impressione). In realtà, ogni educatore ha seguito

percorsi diversi, impiegando molto tempo, e sforzi non sempre ripagati da

soddisfacenti risultati. Inoltre, le critiche mosse in maniera sempre più insistente

dai fautori del metodo mimico (le quali evidenziano proprio gli scarsi risultati di

quello orale in proporzione alla fatica impiegata, e la venalità dei suoi esecutori)

rischiano di far apparire quello orale come poco efficace a chi per la prima volta si

accosta al suo studio.

È giunto infine il momento di citare i nomi di alcuni tra i più conosciuti e

importanti maestri che questo periodo. Ci teniamo a precisare che si tratta solo di

una breve rassegna: i nomi degli educatori dei sordomuti non si limitano certo al

modesto elenco che stiamo per fornire.

Primo fra tutti va ricordato il monaco benedettino Pedro Ponce de León (1520-

1584), che nel monastero spagnolo di S. Salvador de Oña ebbe tra i suoi alunni

Francisco e Pedro de Velasco, fratelli del connestabile di Castiglia, più una loro

sorella. Poco si sa del metodo da lui impiegato, ma pare che per comunicare con i

suoi allievi si servisse di un alfabeto manuale che era stato inizialmente ideato per

proceeding from the simple to the difficult, regard being had to the ability of perception by the pupil, and the muscular effort required in producing the sound. Although the child is encouraged to learn mainly by imitation, the teacher may require to place the speech-organs in position; while long and continuous practice is necessary before any degree of muscular facility is apparent. As the course progresses, the syllabic combination of sounds leads to the spoken word and sentence, while attention is also paid to the development of accent, emphasis, intonation, and fluency of speech. Since imitation is the governing principle required of the deaf child in learning speech, his eye is being constantly trained to observe the various positions assumed by the vocal organs, and from this experience follows the ability to lip-read.”. (Al fine di poter acquisire un mezzo sensoriale per la produzione dei suoni, l’alunno può essere indotto a percepire le vibrazioni posizionando la mano sul torace. L’istruzione può procedere passando attraverso i vari suoni, rappresentati dalle lettere dell’alfabeto; di essi si insegnerà il valore fonetico - non il nome della lettera. L’ordine di presentazione di questi simboli può subire delle variazioni a seconda della nazione e della scuola; ma ovunque prevale il principio di procedere da quelli semplici a quelli complessi, tenendo conto della capacità di percezione dell’allievo, e dello sforzo muscolare richiesto per la produzione del suono. Nonostante il bambino venga incoraggiato ad apprendere principalmente per imitazione, l’insegnante potrebbe doverne posizionare gli organi articolatori; sarà comunque necessario un lungo e continuo esercizio prima di poter notare una certa padronanza del movimento muscolare. Col procedere dell’istruzione, la combinazione dei suoni in sillabe porterà alla parola ed alla frase; nel frattempo ci si concentrerà anche sullo sviluppo dell’accento, dell’enfasi, dell’intonazione e della scorrevolazza del discorso. Dal momento che l’imitazione è il principio predominante richiesto al bambino sordo nell’apprendimento della parola, l’occhio di questo viene costantemente allenato all’osservazione delle diverse posizioni assunte dagli organi articolatori, e da questo esercizio deriva la capacità di leggere le labbra.) 18 Questo metodo può anche essere adottato nella correzione di balbuzie e difetti di pronuncia.

permettere agli ammalati di pregare senza dover recitare (ad ogni segno

corrisponde una preghiera). Non vi è nulla di certo in merito all'esistenza di

eventuali manoscritti lasciati da Pedro Ponce, ma si crede che egli insegnasse ai

suoi allievi, oltre alla parola, anche diverse lingue e materie. Si può senza dubbio

considerare Pedro Ponce come il vero e unico precursore del metodo orale.

Dopo di lui va ricordato Emanuel Ramirez de Carrion (m. nel 1663), che a

distanza di circa mezzo secolo pare aver istruito un altro appartenente alla stirpe

dei de Velasco: Luis de Velasco, fratello di Bernardino Hernandez de Velasco,

connestabile di Castiglia. Si dice che il giovane Luis avesse imparato in pochi

anni a leggere, scrivere, parlare. Ramirez de Carrion si è attribuito il merito

dell’istruzione di diversi sordomuti di notevole influenza (tra i quali Emanuele

Filiberto Amedeo, Principe di Carignano e successivamente governatore di Ivrea

ed Asti) e dell'invenzione, oltre che del metodo di istruzione, anche di un sistema

di riduzione delle lettere che avrebbe reso l’insegnamento della lettura più breve e

più semplice (ma di questo parleremo in seguito). In realtà, questa presunta

genialità ostentata da Ramirez de Carrion altro non ha fatto che insospettire coloro

che, in passato come oggi, lo hanno accusato e lo accusano di plagio nei confronti

di Pedro Ponce e di Juan Pablo Bonet (a cui stiamo per accennare).

Per quanto riguarda gli scritti in materia, si può ritenere proprio il sopraccitato

Juan Pablo Bonet (1560 ca.-1633 ca.) come l'autore del primo trattato teorico-

pratico sull'educazione verbale dei sordomuti. Questo trattato porta il titolo di

Riduzione delle Lettere ai loro Elementi Primitivi e Arte d'Insegnare a Parlare ai

Muti, ed è del 1620.

Il metodo di riduzione delle lettere consiste, in poche parole, nel pronunciare i

suoni da esse rappresentati, anziché nominare le lettere per esteso. Questo

procedimento, sostiene Bonet, snellisce e semplifica l'apprendimento della lettura,

e può essere di grande aiuto nell'educazione dei sordomuti.

Anche intorno alla figura di Bonet, comunque, vi sono molti dubbi e molte

incertezze. Alcuni credono che il giovane Luis de Velasco sia stato allievo suo e

non di Ramirez de Carrion, altri credono invece che Bonet abbia copiato il metodo

di Pedro Ponce senza aver mai educato alcun sordomuto. Il libro di Bonet è in

ogni caso divenuto molto popolare specialmente in Inghilterra, grazie ad un certo

Kenelm Digby (1603-1665). Il Cavaliere Digby accenna (in un suo scritto della

metà del '600) ad un suo soggiorno in Spagna nel 1623, al conseguente incontro

con un sordomuto educato alla parola19, al libro contenente più dettagliate

informazioni in merito alla questione (il libro di Bonet). I dati forniti dal racconto

di Digby sono imprecisi ed incoerenti (egli attribuirebbe, infatti, l'educazione di

Luis de Velasco a Bonet, cosa di cui non si è tuttora certi), ma hanno fatto del

libro di Bonet un testo molto diffuso e studiato dai dotti della società inglese.

L'influenza del sopraccitato libro è stata fondamentale, per esempio, su due

uomini di cultura come il dott. John Wallis (1616-1703) ed il dott. William Holder

(1616-1698), studiosi della natura del linguaggio e autori di trattati teorici sullo

studio, la classificazione e la produzione dei suoni ma, per quel che riguarda l'arte

di istruire i sordomuti, sicuramente più esperti nella teoria che nella pratica

(nonostante la breve controversia fra i due, che si assurgevano entrambi a

precursore del metodo orale in Inghilterra). Lo stesso si può dire di altri

personaggi colti ed influenti, come John Bulwer (1614-1684) e George Dalgarno

(1626 ca.-1687).

Un importante educatore dei sordomuti, di origine svizzera ma vissuto a lungo in

Olanda e molto influente per gli educatori dei sordomuti in Germania, è Johann

Konrad Amman (1669-1724)20. Le sue opere (il Surdus Loquens del 1692, e la

Dissertatio de Loquela del 1700, pubblicate in latino) descrivono in modo

scientifico e ordinato la produzione della voce e dei suoni, e le fasi di educazione

alla parola di un soggetto sordomuto. A differenza di altri, Amman non fu solo

teorico, ma anche pratico dell'arte di istruire i sordomuti secondo il metodo orale

(corrispondente in realtà al metodo praticato da Pedro Ponce e dai suoi

successori), ed i suoi scritti furono per lungo tempo dei capisaldi dell'educazione

dei sordomuti in Germania.

L'ultimo maestro dei sordomuti di questo periodo che ci apprestiamo a citare,

nonostante le sue origini portoghesi, è legato all'istruzione orale dei sordomuti in

19 Probabilmente Luis de Velasco. 20 Incerta è la data di morte di Amman: alcuni testi riportano il 1730.

Francia: trattasi di Jacob Rodriguez Pereire (1715-1780). L'interesse di Pereire

per i sordomuti nasce dal desiderio di educare alla parola la propria sorella, nata

sorda probabilmente a causa del legame consanguineo tra i genitori. Pereire si

documenta molto sull'argomento, legge numerosi scritti21, tra i quali le opere di

Bonet, Holder, Wallis, Amman, ed è presto pronto per dedicarsi a quest'impresa in

maniera pratica. Tra i suoi allievi contiamo Marie Marois, Aaron Beaumarin, Azy

d'Etavigny e diversi altri, i cui risultati si possono definire discretamente

soddisfacenti (acquisizione della parola, della lettura, della scrittura, e conoscenza

di materie come ad esempio la religione). Il metodo adottato da Pereire viene

mantenuto segreto dal suo esecutore, ma di poco si discosta da quello già

conosciuto di Pedro Ponce.

Si conclude così questo secondo periodo dell'educazione dei sordomuti: i tempi

sono maturi per un tipo più generalizzato di istruzione, ovvero quella delle scuole

pubbliche.

L'inizio della storia dell'educazione dei sordi, comunque, quasi sempre si fa

coincidere con un docente di filosofia di Heidelberg (Germania) Rudulfus

Agricolae (1442-1485); nel suo "De Invenzione Dialectica" egli scrisse:

"Ecco un prodigio: ho visto un sordo dai primi anni della sua vita, e quindi muto,

che tuttavia aveva appreso a capire tutto ciò che veniva scritto da altre persone, e

che egli stesso esprimeva con la scrittura tutti i suoi pensieri, come se avesse

avuto l'immagine della parola".

Questa notizia fece sensazione a quei tempi poiché per la prima volta nella storia

si cita il caso di un sordo che ha imparato a leggere e a scrivere, i suoi scritti

furono però pubblicati solo 100 anni dopo la sua morte.

L'invenzione di Gutenberg (1450) della stampa tipografica consentì poi una rapida

diffusione di copie degli originali degli antichi testi e degli studi e delle ricerche

su di essi compiuti, allargando la base di un sapere fino allora depositato nelle

mani di pochi privilegiati, sortendo con effetti positivi anche per l'educazione dei

bambini sordi.

21 La Francia è in questo periodo un terreno fecondo per la pubblicazione e la divulgazione di opere letterarie, inclusi diversi studi attuali e di grande interesse sul fenomeno della sordità.

Dopo un secolo il matematico, medico e filosofo italiano Girolamo Cardano

(1501-1576), che si era dedicato in modo particolare allo studio della fisiologia

dell'orecchio, della bocca e del cervello, per primo afferma la possibilità e

necessità di poter istruire i sordi, sostenendo che il senso dell'udito e delle

vocalizzazioni della parola non erano indispensabili per la comprensione delle

idee. Per primo dunque espose un principio teorico basato su un’osservazione,

conseguente alla citazione di Rodolfo Agricola:

è possibile insegnare ad un sordo a leggere e a scrivere, per cui si può sostituire

con la lettura l'udito e con la scrittura la parola verbalizzata, sostenne che la

favella è il mezzo più importante per lo sviluppo dell'intelligenza umana.

Nei suoi scritti, "Paralipomena", Rodolfo Agricola cita la sua teoria di poter

istruire i sordi e su questa base formulò prima di ogni altro il principio teorico

della possibilità d'istruire il sordomuto, "facendo in modo che egli leggendo oda e

scrivendo parli" e affermò che i filosofi, Girolamo e Rodolfo, possono manifestare

i loro pensieri sia con la parola che con i segni.

Nel suo "De utilitate ex adversi capienza" scrive:

"il sordomuto deve imparare a leggere e a scrivere (…). L'impresa è difficile,

senza dubbi, ma tuttavia è possibile al sordomuto…"

"anche i sordomuti onorano e venerano Dio, e, poiché sono dotati di intelligenza,

nulla impedisce che coltivino le arti più sofisticate ed eseguano opere di valore…"

Si dice che Cardano avesse addirittura elaborato una sorta di codice per

l'insegnamento ai sordi, ma non ci sono mai giunte testimonianze scritte di ciò: le

fonti storiche narrano che il suo particolare interesse verso la sordità nascesse dal

fatto che il suo primogenito fosse sordo.

Fabrizio d’Acquapendente (1533-1619), docente di anatomia dell'Università di

Padova, condivide il pensiero di Cardano, pubblica due trattati (arditi per il suo

tempo) in cui si sottolinea la grande differenza esistente tra la pantomima,

rappresentata in tutt'Italia sin dall'antica Roma, e l'uso naturale dei segni da parte

dei sordi, e non manca di sottolineare il legame sordità-mutismo affermando che i

sordi erano di conseguenza muti, e che sia la sordità congenita sia quella post-

natale erano sì incurabili ma che si potevano istruire certamente i bambini sordi

nel migliore dei modi.

Questi primi tentativi, inizialmente privati e sporadici, sono all'origine dello

sviluppo e della diffusione di scuole private e in seguito pubbliche per

l'educazione dei sordi in Europa, America e il resto del mondo; si delineano al

tempo stesso diverse linee di pensiero in merito alle metodologie da seguire, che

portano, nel corso dei secoli, a dure controversie tra i sostenitori del metodo

gestuale (l'educazione alla lingua dei segni) e di quello orale (l'educazione alla

parola), ma si osserva che in questo periodo comunque istruire i sordi significava

rimanere nel privato: i soli privilegiati erano i figli di persone ricche, nobili o

influenti, di persone cioè che potevano permettersi l'alto costo di questo tipo di

istruzione e affinché questi venissero riconosciuti giuridicamente capaci, per

ovvie questioni di eredità e passaggio di titoli nobiliari, mentre la maggior parte

dei sordomuti rimaneva nell'ignoranza e nella miseria. Inoltre, prevale il carattere

di segretezza e mistero intorno al metodo usato da ognuno dei maestri di questo

periodo, in quanto e per gelosia del loro metodo da loro scoperto (e magari

ignoravano che lo stesso metodo fosse già stato scoperto da qualcun altro) per

apparire come gli unici inventori del miracoloso metodo, e per venalità

desiderando di essere gli unici a beneficiarne economicamente, senza pensare che

la divulgazione ne avrebbe portato un beneficio ben maggiore, non economico ma

sociale a centinaia di sordomuti.

Dunque, il metodo su cui si concentrarono questi primi maestri è quello orale.

Il punto di partenza è l'assunto che, nell'istruzione di un individuo, il senso

dell'udito possa essere sostituito da quello della vista.

Come dice George Dalgarno (1626-1687), famoso pedagogista del tempo, nel suo

"Didascalocophus" (1680)

"…non si vede quindi una ragione per cui la mente umana debba apprendere più

facilmente le immagini acustiche di quelle ottiche della parola.".

Anche Johann Konrad Amman (1669-1724), dirà nel suo "Surdus Loquens"

(1692), che.

"…l'uomo nasce con l'innata facoltà della loquela, ma questa non passa all'atto se

non per gli stimoli dell'udito. Così i nati sordi non possono parlare se per via di un

artificio non si inducano a parlare partendo dall'imitazione della parola nei suoi

elementi".

1.2 Estensione dell'educazione dei sordomuti e diffusione delle scuole

pubbliche (metà XVIII sec. – fine XIX sec.)

Alla metà del secolo XVIII, l’Abate de l’Epeé pubblica il suo alfabeto dei segni

gestuali che i ragazzi possono usare per comunicare fra loro e nel 1784 pubblica il

metodo di istruire sordomuti in cui espone la sua teoria senza trascurare il valore

dell’espressione linguistica orale e scritta. Grazie al successo del metodo de

l’Epée, in tutta la prima metà dell’Ottocento fu uno dei migliori e diffusi del

periodo storico per la comunità sorda, anche se alla fine dell’Ottocento è nata una

controversia riguardo al metodo mimico, durante il Congresso di Milano 1880.

L’Abate de l’Epée fu uno dei pionieri che riuscii a introdurre il concetto di

educazione dei sordomuti intesa come dono da impartire e diffondere a più

persone possibili, e non da tenere nascosto o concedere ai pochi in grado di

permetterselo economicamente. La missione dell'abate come apostolo dei

sordomuti poveri di ogni nazione e di ogni tempo ha inizio con la visita casuale ad

una povera vedova di Parigi, disperata per la morte di padre Vanin, che si era

occupato fino allora dell'istruzione delle sue figliolette sordomute, insegnando

loro mediante immagini le vite dei santi. De l'Epée si impegna con la donna,

promettendole di continuare egli stesso, seppure ancora totalmente inesperto,

l'istruzione delle due gemelle quindicenni. L'esperienza, così come il numero

degli alunni, gradualmente crescono. L'abate ha sviluppato un metodo basato sulla

mimica naturale (che i sordomuti sviluppano spontaneamente e che egli ha

imparato) integrata da una serie di segni convenzionali (appositamente inventati

con lo scopo di dare un linguaggio gestuale più preciso e fisso), detti segni

metodici, che di ogni parola definiranno tutte le componenti (genere, numero,

eventuali prefissi o suffissi, tempo e persona nel caso dei verbi, ecc.). In questo

modo, de l'Epée insegna ai suoi alunni la lettura, la scrittura, materie quali la

religione e diverse lingue.

L’istituto per sordomuti di Parigi nasce nel 1770, e la sua fama si diffonde grazie

agli scritti di de l'Epée e alle dimostrazioni pubbliche22 che egli tiene (non solo in

Francia) ed alle quali sono invitati filosofi, nobili, uomini di cultura, ecc.

Da diverse nazioni verranno invitati a Parigi aspiranti educatori dei sordomuti per

fondare, una volta tornati nella loro patria, nuovi istituti per sordomuti23.

La scuola di Parigi si evolverà in seguito sotto la zelante opera di un altro uomo di

Chiesa: Roch-Ambroise Sicard (1742-1822) che, dopo aver diretto la scuola per

sordomuti di Bordeaux, passa a quella di Parigi, appunto, come successore di de

l'Epée24. Sicard continua le dimostrazioni in pubblico, perfeziona i segni metodici

del suo predecessore25 e pubblica diversi scritti. Tra i suoi alunni, molti

diverranno a loro volta educatori dei sordomuti, come per esempio Laurent Clerc

(1785-1869) grazie al quale l'educazione dei sordomuti arriverà oltre oceano, e

Jean Massieu di cui si ricordano le dimostrazioni in pubblico e la meraviglia

provocata negli spettatori dalle sue acute risposte.

Il successo dell'istituto parigino sta all'origine dell'emancipazione dei sordi anche

all'esterno degli istituti. Diversi e piuttosto conosciuti saranno gli scritti, le poesie

o anche semplicemente l'abilità nell'insegnare di uomini sordomuti come

Ferdinand Berthier, Pierre Pelissier, Claudius Forestier e molti altri.

Con la morte di Sicard subentra però nell'istituto una certa disorganizzazione, e

sempre maggiore è la pressione oralista che viene, nonostante tutti i potenziali

benefici che può portare, accolta da tutti con notevole ostilità. Questo

probabilmente perché i tempi non sono ancora maturi, ed i risultati sperati

appaiono ancora troppo lontani affinché questo “nuovo” metodo riceva la meritata

fiducia. Di conseguenza, gli studi e gli esperimenti del dottor Jean-Marc Gaspard

22 Durante queste dimostrazioni gli allievi davano prova di saper leggere, scrivere, comprendere le domande che venivano loro poste dal pubblico e rispondervi. Il lettore potrà trovare alcune descrizioni di queste dimostrazioni nel libro di Lane, Harlan; When the Mind Hears: a History of the Deaf, Vintage Books, Random House, Inc. New York, 1984. 23 Non bisogna comunque pensare che de l'Epée fosse un nemico agguerrito del metodo orale e dell'articolazione. Vi erano infatti alcuni corsi di articolazione nell'istituto di Parigi. Purtroppo però, i risultati ottenuti con questo tipo di insegnamento non erano immediati e non permettevano di educare un numero esteso di giovani sordomuti, come invece era possibile grazie al metodo mimico, preferito dall'abate proprio per questo motivo. 24 L'istituto di Parigi era intanto diventato Istituto Nazionale dal 1791. 25 Si riconoscerà comunque, in futuro, l'inutile complessità di questo sistema, rispetto al linguaggio naturale dei segni, già completo e autonomo di per sé.

Itard (1775-1838), medico residente dell'istituto di Parigi26 vengono visti più che

altro come delle inutili torture applicate sui sordi con l'effetto di privarli della loro

dignità27, piuttosto che come dei primitivi ed incerti tentativi di allenamento

articolatorio e acustico. Alla stessa stregua vengono considerati i tentativi del

barone Joseph Marie de Gerando (1772-1842) di ampliare gli spazi da dedicare,

all'interno della scuola di Parigi, all'insegnamento dell'articolazione28.

In Germania, Heinicke inizia l'educazione dei sordomuti per una pura fatalità nel

momento in cui, maestro privato a Dresda, si trova di fronte ad un alunno

sordomuto. I risultati dell'istruzione di questo e di altri alunni porteranno alla

nascita, nel 1778, della scuola pubblica per sordomuti di Lipsia, il secondo istituto

per sordomuti nel mondo, ma che dal primo si distingue per il metodo praticato:

quello orale.

Come tutti gli oralisti, Heinicke tiene il suo metodo gelosamente segreto, con la

scusa che l'esposizione di questo comporterebbe un dispendio eccessivo di tempo,

denaro e fatiche. In realtà ciò che trattiene il maestro tedesco dal rivelare il suo

metodo è una pura forma di venalità: egli sarebbe, infatti, pronto a venderne il

segreto dietro un elevato compenso. Comunque, quando infine, dopo la morte di

Heinicke, il miracoloso e singolare metodo viene reso pubblico, risulterà evidente

che di miracoloso e singolare questo metodo ha ben poco: esso consiste infatti

nell'applicazione del metodo adottato da Pedro Ponce, da Bonet, da Wallis, da

Amman (insegnamento della parola parlata e della parola scritta, lettura labiale,

eventuale ricorso iniziale all'alfabeto manuale) con una sola aggiunta (e neanche

questa pare essere un'invenzione di Heinicke). L'aggiunta consiste nel portare

l'alunno all'articolazione dei diversi vocali attraverso lo stimolo del gusto,

toccando cioè la lingua di questo con una penna imbevuta di particolari liquidi29. 26 Itard è conosciuto anche ed in particolar modo per il tentativo di educazione e civilizzazione compiuto su Victor, il ragazzo selvaggio dell' Aveyron, trovato nella foresta. 27 Il lettore è invitato alla lettura del capitolo 6 del libro di Lane, Harlan; op.cit.. 28 Ci si riferisce qui in particolar modo alle quattro Circolari dell'istituto di Parigi, pubblicate tra il 1827 e il 1836, nelle quali de Gerando propone uno scambio a livello internazionale di informazioni sui sordomuti e sulle diverse metodiche di educazione di questi. Lo scambio proposto ha come mira una sempre maggiore uniformità tra le idee e le metodiche sull'istruzione di sordomuti, ed è più orientato verso l'adozione dell'insegnamento orale. 29 L'aceto forte avrebbe così stimolato la produzione della vocale <i>, l'estratto di assenzio quella della vocale <e>, l'acqua zuccherata quella della <o>, l'olio di oliva quella della <u> ed infine l'acqua pura quella della <a>.

Tra i più importanti successori di Heinicke nella scuola tedesca troviamo la

vedova Heinicke che, insieme ad August Friedrich Petschke, continuò l'attività

nell'istituto di Lipsia, ed il dottor Ernst Adolph Eschke (1766-1811), genero di

Heinicke e fondatore della scuola di Berlino, nel 1788.

Ci sentiamo ora in obbligo di spendere due parole sulla controversia tra de l'Epée

e Heinicke, ovvero fra metodo mimico o francese e metodo orale o tedesco, a cui

abbiamo accennato all'inizio del paragrafo. Questa controversia ha inizio con la

fondazione della scuola per sordomuti di Vienna, nel 1779, secondo il metodo

mimico. Heinicke cerca di convincere l'abate Storck, direttore di questa ed ex-

allievo di de l'Epée, ad abbandonare un metodo così dannoso ed insensato, che

nessuno conosce e che terrà i sordomuti in completo e perenne isolamento dalla

società. De l'Epee, venuto a conoscenza di questo fatto, inizia una corrispondenza

con Heinicke, esponendo il metodo mimico ed i suoi vantaggi. Il maestro tedesco

non risparmia critiche nei confronti di questo, senza peraltro scrivere nulla intorno

al metodo da lui adottato. Non ci si stupisce se l'Accademia di Zurigo, l'unica a

dare il suo giudizio fra le tante interpellate, si pronuncerà in favore dell'abate

francese.

Il famoso scozzese Thomas Braidwood (1715-1806), insegnante di matematica, si

avvicina all’educazione dei sordomuti, come Heinicke, non per una vocazione ma

per l'incontro con un alunno sordomuto. Dopo questo alunno seguirà poi

l'istruzione, secondo il metodo orale, di altri sordomuti, e la fondazione della

prima scuola pubblica inglese per sordomuti, a Edimburgo, diretta dallo stesso

Braidwood, e di diverse altre scuole dello stesso tipo, fondate e dirette dai parenti

di questo (il figlio John, il nipote dott. Joseph Watson, il nipote John, ecc.). I

progressi degli allievi riguardano la parola, la lettura, la scrittura, la lettura labiale,

la pratica di arti e mestieri. Il metodo adottato per l'ottenimento di questi risultati

viene tenuto rigorosamente segreto, ma le descrizioni di questo, forniteci per

iscritto da Francis Green, padre di un alunno della scuola Braidwood30 lasciano

pochi dubbi in merito alla provenienza dello stesso: Wallis, Holder, Bulwer, ecc.

(a cui abbiamo accennato nel paragrafo precedente). 30 Descrizioni che infastidirono Thomas Braidwood, così geloso del "suo" metodo.

Fino a quasi gli anni '20 del secolo XIX non esistono, negli Stati Uniti, scuole per

sordomuti, né d'altra parte vi troviamo un qualsiasi altro modo di provvedere

all'educazione di questi sfortunati, che rimangono per lo più nell'ignoranza e

nell'isolamento. Solo le famiglie più ricche e privilegiate possono permettersi di

mandare i propri figli sordomuti oltre oceano, per ricevere un’adeguata

educazione nelle scuole inglesi e francesi. È questo il caso, per esempio, del

precedentemente citato Francis Green, il cui figlio era studente alla scuola di

Edimburgo verso la fine del '700.

Fu probabilmente proprio il ritorno di Francis Green dall'Europa, dopo la morte

del figlio, a portare negli Stati Uniti un certo interesse nei confronti dei sordomuti

e della loro educazione. Green aveva scritto e divulgato informazioni in proposito,

aveva organizzato un primo censimento dei sordomuti e suggerito per primo il

bisogno, anche in America, di scuole per sordomuti. Dopo di lui, diversi studi e

ricerche sui suoni, sulla possibilità di insegnare ai sordomuti la parola, ecc.

vengono pubblicati, mostrando che i tempi sono evidentemente maturi per

l'avvicinamento dell'America al mondo dei sordomuti.

L'evento che porta sul piano pratico questo avvicinamento è la nascita nel 1805, a

Hartford, nel Connecticut, di una bambina, Alice Cogswell, figlia di Mason

Cogswell medico della cittadina. A due anni, Alice diventa sorda in seguito ad

una forma molto acuta di scarlattina. Non passano molti anni prima che suo padre

Mason si convinca dell’assoluta necessità (dopo il responso di un censimento da

lui organizzato nel 1811 sui sordomuti nel Connecticut) di un istituto per

sordomuti, che dia ad Alice ed a tutte le persone come lei un’adeguata istruzione.

Cogswell cerca innanzi tutto di contattare John Braidwood (nipote di Thomas

Braidwood, che si trova in America e pare voler fondare una scuola per sordomuti

a Baltimora), ma non vi riesce31.

La mossa successiva è quella di raccogliere egli stesso, insieme a persone che

condividono le sue ambizioni dei fondi per l'apertura di un istituto per sordomuti a

Hartford, e per il soggiorno in Europa di qualcuno che si documenti sui metodi di 31 In realtà, John Braidwood è uno scialacquatore, ed i soldi donatigli dai genitori dei bambini sordi verranno impiegati non per l'apertura di scuole speciali, bensì per pagare i debiti contratti con il vizio e con il bere. Non è perciò una sfortuna se Cogswell non riesce a contattarlo.

istruzione dei sordomuti, sulla gestione delle scuole, e così via. La persona scelta

per questo compito è Thomas Hopkins Gallaudet (1787-1851), uomo colto e

devoto32, vicino di casa dei Cogswell e da sempre interessato alla sorte della

piccola Alice. Siamo nel 1815. L'esito delle visite di Gallaudet alle scuole oraliste

di Londra (diretta dal dottor J. Watson) e di Edimburgo (diretta da un certo Mr.

Kinniburg) è però tutt'altro che positivo. Gallaudet incontra solo diffidenza e

segretezza. Numerose scuse gli vengono fornite nel tentativo di mascherare il vero

motivo che impedisce l'esposizione del metodo adottato: l'egoismo. È comunque

durante questo soggiorno a Londra che Gallaudet ha l'occasione di assistere ad

una delle conferenze di Sicard33 e di conoscere la disponibilità e l'apertura di

quest'uomo, che lo invita all'istituto di Parigi per mettere a sua più completa

disposizione il metodo mimico, e qualcuno che lo istruisca in questa arte. Per

diversi mesi Gallaudet, assistito da Laurent Clerc e Jean Massieu, impara il

linguaggio gestuale e i segni metodici, e nel 1816 è pronto a tornare in America,

accompagnato da Clerc, per aprire nel 1817, grazie anche ad un'impegnativa

raccolta di fondi e stanziamenti, l'istituto per sordomuti di Hartford34. Si tratta di

un istituto che comprende inizialmente solo poche decine di studenti, ma che nel

giro di pochi anni radunerà alunni sordi provenienti da tutti gli stati americani,

contribuendo alla formazione ed al consolidamento di una vera e propria comunità

dei sordi, e allo sviluppo (dopo diverse evoluzioni e dopo l'abbandono degli

inutilmente complessi segni metodici) dell'ASL (American Sign Language) a

partire dall’iniziale lingua dei segni francese.

I risultati ottenuti nell'educazione degli alunni dell'istituto di Hartford (non esclusa

l'educazione di un’alunna sordomuta cieca) fungono da stimolo per l'apertura di

nuove scuole per sordomuti: a New York, a Philadelphia, ecc. ma anche in altri

stati, come il Canada, il Messico, il Brasile. Significativa è l'istituzione fondata nel

1857 e diretta da Edward Miner Gallaudet (1837-1917), figlio di Thomas

32 Laureato a Yale e ad Andover, teologo e reverendo. 33 Sicard era a Londra per una serie di conferenze dimostrative, in compagnia di tre dei suoi migliori allievi: Massieu, Clerc e Goddard. 34 Il nome originale dell'istituto è Connecticut Asylum for the Education and Instruction of Deaf and Dumb Persons, cambiato poi, insieme alla sede, in American Asylum.

Hopkins Gallaudet: si tratta del primo college per sordi, situato in Washington e

denominato Columbian Institution for the Instruction of the Deaf and the Blind35.

Per quanto riguarda l'istruzione orale dei sordomuti negli Stati Uniti, non

possiamo negare la presenza di importanti studiosi ed esponenti di questo metodo;

vista però la compattezza e a volte anche l'eccessivo orgoglio della comunità dei

sordi, ancora oggi profondamente radicata negli Stati Uniti, non ci si potrà stupire

se ogni nuova ricerca o proposta orientata al metodo orale sia stata spesso

osteggiata e criticata dai sostenitori dell’identità e della lingua materna del popolo

dei sordi. Questo, infatti, ha sempre mostrato diffidenza nei confronti

dell’oralismo, e si è sempre visto da esso minacciato ed oppresso36.

Tra i più grandi sostenitori della parola negli anni 50-60 in America possiamo

comunque ricordare Horace Mann (1796-1859), e Samuel Gridley Howe.

Quest'ultimo è stato un uomo impegnato in diversi campi, ha fondato nel 1832 una

scuola per ciechi a Boston, è conosciuto per essersi occupato dell'istruzione di

un’alunna sordomuta cieca (ottenendo peraltro discreti risultati). Ha inoltre

visitato nel 1843 diverse scuole per sordomuti in Europa ed in seguito a queste

visite si è dichiarato sempre più propenso al metodo orale e contrario a quello

mimico ed alle scuole residenziali per i sordi, causa dell'isolamento di questi dalla

società.

Ricordiamo inoltre Gardiner Greene Hubbard, padre della sordomuta Mabel

Hubbard, che verrà istruita oralmente. Hubbard fonda nel 1867 la scuola oralista

Clarke School (dal cognome del principale donatore di fondi per la costituzione

dell'istituto), a Northampton, nel Massachusetts.

Non si può infine dimenticare Alexander Graham Bell (1847-1922), di origine

inglese, ma conosciuto come uno dei principali esponenti dell'oralismo

americano37. Genero di Gardiner Greene Hubbard, (in quanto marito della figlia di 35 Questo istituto sarà poi ribattezzato nel 1864 come National Deaf-Mute College, e nel 1894 come Gallaudet College, in onore di Thomas Hopkins Gallaudet. Oggi si chiama Gallaudet University. 36 Non bisogna comunque pensare che i sordi educati secondo il metodo orale non possano riunirsi in gruppi o associazioni, e condividere una stessa cultura o un senso di identità. 37 L'interesse di Bell per la scienza in generale e, più in particolare, per la fonetica, è forse dovuto all'impegno di molti dei suoi famigliari (il nonno, il padre, e persino il fratello) nello studio dei suoni e della correzione di balbuzie e difetti di pronuncia. Già da bambino Bell si cimenta in esperimenti quali la costruzione di una sorta di macchina parlante, e più avanti lo si potrà ricordare come inventore del telefono, vincitore del premio Volta nel 1880, fondatore di riviste quali Science, National Geographic, Volta Review, ecc.

questo, Mabel), Bell è un fermo sostenitore del metodo orale e dell’integrazione

dei sordomuti nella società degli udenti, ed è per questo motivo che si dichiara

contrario alle scuole residenziali per sordomuti e alla lingua dei segni, la quale

contribuiscono invece al formarsi di una comunità dei sordi (che tende ad un

graduale isolamento volontario dalla suddetta società). Bell tiene negli Stati Uniti

diverse conferenze, porta avanti gli studi del padre sull'insegnamento orale ai

sordomuti, incoraggia l'apertura di diverse Day-Schools (ovvero di esternati),

crede fermamente in un futuro progresso del metodo orale puro38.

Si ricordano a questo proposito le accese controversie tra lo stesso Bell ed Edward

Miner Gallaudet, che propone un sistema combinato di segni e parola come

soluzione ottimale per l'educazione e l'integrazione dei sordomuti.

Fino alla prima metà dell'Ottocento, la situazione politica di divisione e

isolamento dell'Italia impedisce un'adeguata diffusione e circolazione di scritti,

pubblicazioni ed esperienze nel campo dell'istruzione dei sordomuti. Gli educatori

di questo periodo si basano spesso su metodi e pubblicazioni estere, senza sapere

dell'esistenza di altrettanto validi metodi e scritti italiani. Questi ultimi, d'altra

parte, sono conosciuti all'estero quasi esclusivamente grazie alle visite di

educatori stranieri in Italia ed alle riunioni internazionali tra gli insegnanti dei

sordomuti (che si fanno via via più frequenti).

Anche in Italia, comunque, l'educazione dei sordomuti è un argomento attuale, e

nel giro di qualche decade le scuole speciali per sordomuti (impostate sia secondo

il metodo orale che secondo quello mimico) crescono in numero e risultati39. La

prima scuola per sordomuti nasce a Roma nel 1784 per opera di Tommaso

Silvestri (1744-1789). Questo era stato mandato a Parigi, alla scuola di de l'Epée,

dall'avvocato concistoriale Pasquale Di Pietro nell'anno precedente. Silvestri

impara il metodo mimico, ma decide di gestire la sua scuola impostandola sul

metodo orale40. I risultati sono buoni, si diffondono in poco tempo, e 38 E' proprio a causa dei risultati ancora incerti del metodo orale che la comunità dei sordi si dichiara a questo così contraria. E ciò è comprensibile, se si pensa che l'arte di istruire i sordomuti sta subendo ancora oggi, specialmente grazie alle nuove tecnologie impiegate, degli sviluppi sbalorditivi ed in continua evoluzione. 39 Purtroppo, la maggior parte di queste sorge per iniziativa privata, spesso da parte di uomini di chiesa, e viene sostenuta da opere di carità, mentre un intervento dello Stato tarda spesso ad arrivare. 40 Pare comunque che Silvestri si servisse dei segni metodici per insegnare la parola ai suoi allievi, come viene affermato in: Caselli, Maria Cristina; Maragna, Simonetta; Pagliari Rampelli, Laura; Volterra, Virginia;

contribuiscono alla formazione di nuovi educatori dei sordomuti e alla nascita di

nuove scuole speciali41.

Un'altra scuola molto importante impostata sul metodo orale è quella di Napoli,

diretta da un allievo di Tommaso Silvestri, Benedetto Cozzolino (m. nel 1789), e

divenuta istituto pubblico nel 1788.

Per quanto riguarda il metodo mimico, non si può dimenticare l'opera di Ottavio

Assarotti (1753-1829), detto l'Apostolo dei sordomuti italiani per la carità e lo

zelo con cui si è dedicato ai sordomuti poveri della città di Genova. Assarotti

inizia a dedicarsi a quest'opera quasi da autodidatta, e come de l'Epée apprende e

utilizza come strumento di insegnamento la mimica naturale dei sordomuti.

Insegna loro la lingua, la lettura e la scrittura, ed infine qualche materia, come la

religione e l'aritmetica. La scuola apre a Genova all'inizio del 1800 e non vuole

essere che un istituto modesto, ma in poco tempo si sviluppa, fino ad ottenere dei

sussidi pubblici. Nel frattempo, Assarotti si informa e si documenta sui metodi di

istruzione praticati all'estero, ma arriva alla conclusione che

“[...] il miglior metodo per l' istruzione dei sordomuti esser quello

di non averne alcuno.”42.

Egli,

“[...] avendo studiato senza preconcetti didattici la varietà delle

attitudini dei sordomuti, si era convinto essere sommamente utile

conoscere le diverse maniere e i metodi dei vari maestri, ma non

doversi rendere schiavo di alcuno.”43.

Per sottolineare l'importanza della figura di Assarotti sarà infine necessario far

notare come alla sua scuola in Genova si siano formati altrettanto validi educatori,

come per esempio Cesare Bagutti, Tommaso Pendola e Matteo Marcacci. Linguaggio e Sordità - Parole e Segni per l’Educazione dei Sordi, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1994,( pag. 31): “[...] tutti coloro che scriveranno più tardi sulla scuola tenderanno a presentare Silvestri come un pioniere e un propugnatore del metodo orale, sottolineando la sua tendenza ad insegnare a parlare e dimenticando che egli attuava tutto ciò per mezzo dei segni metodici.”. 41 Purtroppo però, il successore di Silvestri alla scuola di Roma non è una persona competente in materia, e rischia di compromettere i buoni risultati precedentemente ottenuti. 42 Ferreri, G., Disegno Storico dell'Educazione dei Sordomuti, parte seconda: il Secondo Periodo Storico dell’Istruzione dei Sordomuti, Milano, 1917, (pag. 53). 43 Ibid., pag. 53.

Significativo è stato anche, per l'educazione dei sordomuti secondo il metodo

mimico, l'Istituto Regio di Milano, mantenuto grazie a sussidi statali e diretto per

diversi anni dal sopraccitato allievo di Assarotti, Cesare Bagutti (1776-1837).

Per quanto riguarda invece altre scuole oraliste, non si può dimenticare quella

fondata nel 1828 a Siena da Tommaso Pendola (1800-1883)44. Pendola aveva

studiato le opere di Sicard e i segni metodici, aveva acquisito esperienza da

Assarotti, ma aveva riconosciuto i risultati dati in molti casi dal metodo orale, e

aveva infine contribuito alla sua diffusione grazie alla fondazione nel 1872 di un

periodico, “L'educazione dei Sordomuti in Italia”, tuttora esistente. Questa rivista

include discussioni e dibattiti di educatori dei sordomuti anche stranieri sui diversi

metodi di istruzione e sui rispettivi risultati.

Si ricorda inoltre la scuola di Verona, aperta nel 1829 secondo il metodo francese

o mimico, e nella quale Antonio Provolo (1801-1842) introduce con zelo il

metodo orale nel 1832, pensando ai risultati che questo potrebbe portare nel

campo dell'integrazione sociale dei sordomuti. Provolo ci lascia degli

interessantissimi scritti, anche illustrati, sull'articolazione dei suoni e

sull'insegnamento orale, dai quali traspare l'attenzione dell'autore per gli esercizi

di respirazione, la prosodia, la lettura labiale, l’educazione al canto e alla musica.

Con l'avanzare del XIX secolo è sempre più sentito l'interesse per l'insegnamento

orale nell'educazione dei sordomuti, e le scuole speciali sono sempre più orientate

verso questo tipo di metodo. Basti pensare al Pio Istituto dei Sordomuti Poveri di

Campagna, inaugurato a Milano nel 1854 e diretto da Giulio Tarra (1832-1889),

convinto propugnatore del metodo orale e futuro presidente del Congresso di

Milano, di cui parleremo in seguito. Tarra vorrebbe (ed il suo desiderio verrà

realizzato dopo il suddetto congresso) la diffusione del metodo orale a livello

internazionale, e l'utilizzo della parola articolata come unico mezzo di educazione

dei sordomuti.

Diversi educatori dei sordomuti seguiranno la strada intrapresa da Tarra e si

batteranno per il metodo orale e per l'istruzione obbligatoria dei sordomuti. Tra

questi ricordiamo Ernesto Scuri (1854-1927), Giulio Ferreri (1860-1942), ovvero 44 Nel 1843 l'istituto di Siena si unisce a quello di Pisa per formare il Regio Istituto Toscano dei Sordomuti.

l'autore a cui abbiamo attinto per la maggior parte di questo primo capitolo e che

può essere definito il padre della moderna pedagogia emendatrice dei sordomuti, e

Giovanni Terruzzi (1877-1949), ricordato per l'invenzione dell’audiofonoscopio e

di altri strumenti per la rieducazione fonetica dei difetti della parola.

Molte altre sono le scuole (di tipo sia orale che mimico) per l'educazione dei

sordomuti, o anche solo gli istituti ed i ricoveri minori per la loro assistenza, sorti

principalmente per iniziativa privata e per opere di carità, e diretti spesso da ordini

religiosi. Ci basti ricordare, a titolo puramente informativo, quelli di Como, di

Lodi, di Bologna, di Assisi, di Cagliari e molti altri45.

Per quanto riguarda l'Austria, non possiamo non citare la scuola di Vienna, aperta

nel 1779 dal precedentemente citato Friedrich Storck, ed impostata secondo il

metodo mimico di de l'Epée. Questa scuola eserciterà la sua influenza sulla

nascita degli istituti di Karlsruhe, Praga, Vaitzen46.

Anche le scuole della Svizzera (patria di Amman) sono principalmente impostate

secondo il metodo di de l'Epée, ma non escludono a priori la possibilità

dell'insegnamento della parola articolata, e vedono sempre più l'insegnamento

oggettivo ed una buona conoscenza dell'allievo (dal punto di vista sia psicologico

che fisiologico), come soluzione ottimale per una sua soddisfacente educazione.

La Danimarca subisce l'influenza delle scuole di Lipsia (metodo orale) e Vienna

(metodo mimico). Alcuni istituti sono orientati più verso il primo, altri verso il

secondo metodo. In ogni caso si tende ad insegnare la parola articolata a tutti gli

allievi, per portarla avanti, dopo apposita selezione, con coloro che mostrano di

poter ottenere dei buoni risultati da quest'insegnamento. È infine importante

notare come la Danimarca (ed in generale l'intera Scandinavia) si trovi

all'avanguardia sulle altre nazioni per quanto riguarda la legislazione e

l'organizzazione scolastica nei confronti dei sordomuti: già nel 1805 i sordomuti

45 Per chi sia alla ricerca di informazioni più dettagliate su questi istituti e sui nomi degli educatori che li hanno fondati o diretti, rimandiamo ai seguenti testi: Ferreri, Giulio; Disegno Storico dell'Educazione dei Sordomuti, parte seconda e Conti, Igino; Guida Teorico-Pratica per gli Educatori dei Sordomuti e dei Logopedisti, parte sesta. 46 Il futuro della scuola di Vienna è comunque orientato verso una graduale introduzione della parola articolata, oltre al già praticato metodo basato sulla mimica e sulla scrittura. Lo stesso avviene d'altra parte, man mano che ci si avvicina alla fine del XIX secolo, nella maggior parte degli istituti in Europa.

hanno diritto per legge, in questo paese, all'istruzione elementare, e nel 1817

l'istruzione per tutti i sordomuti diventerà obbligatoria.

La nascita di scuole per sordomuti in Olanda tarda ad arrivare: la prima viene

fondata a Gröningen nel 1790 secondo il metodo di de l'Epée, e per mezzo secolo

non ne nascono altre. Del 1853 è comunque l'istituto di Rotterdam in cui, grazie a

David Hirsch (1813-1895), vengono ripresi Amman ed il metodo orale.

Non subisce uno sviluppo significativo nell'educazione dei sordomuti la Spagna

(nazione d'origine del primo oralista, Pedro Ponce), forse a causa dell'istruzione

congiunta di sordomuti e ciechi, che richiederebbero invece metodi di educazione

decisamente diversi tra loro, data l’enorme diversità delle loro disabilità. Nel 1805

viene comunque aperto l'istituto nazionale per sordomuti di Madrid, e si nota la

generale tendenza verso una reintroduzione del metodo orale.

Nel secolo XIX, furono aperti Istituti per sordomuti in diversi Stati della penisola.

I contatti e le informazioni reciproche erano mantenute dai sacerdoti preposti

all'educazione dei sordi. I sacerdoti godevano di una maggiore mobilità tra Stato e

Stato perché le succursali dei vari Ordini Religiosi erano presenti nei vari Stati.

Negli Istituti veniva utilizzata la lingua dei segni nella trasmissione dei contenuti

scolastici ed erano presenti anche alcuni insegnanti sordi. In quel periodo è

caratterizzato dalla nascita delle prime scuole pubbliche per sordomuti, e dalla

controversia tra i fautori metodi mimico e orale; le suddette scuole costituirono un

modello per la nascita di numerosissime altre istituzioni, a metodo sia mimico che

orale, in tutta Europa.

I principali Istituti italiani per sordi illustra l'ubicazione dei principali

Istituti italiani con le rispettive date di fondazione. La maggiore densità di Istituti

è facilmente individuabile nei territori che facevano parte dell'Austro-Ungarico

Regno Lombardo-Veneto, del Regno di Sardegna, dei Ducati e della parte

settentrionale ed orientale degli Stati Pontifici.

1. 1784 Istituto dei Sordomuti di Roma

2. 1788 Istituto Governativo di rieducazione per i Sordomuti di Napoli

3. 1802 Istituto Nazionale Sordomuti di Genova

4. 1805 Regio Istituto dei Sordomuti di Milano

5. 1814 Regio Ospedale di Carità: Sezione Sordomuti di Torino

6. 1815 Regio Istituto dei Sordomuti di Pisa

7. 1820 Istituto delle Figlie della Provvidenza per le Sordomute di Modena

8. 1826 Stabilimento dei Sordomuti di Parma

9. 1828 Istituto "Tommaso Pendola" per Sordomuti di Siena

10. 1829 Istituto Provinciale Sordomuti di Ferrara

11. 1829 Stabilimento dei Sordomuti di Cremona

12. 1830 Istituto "Antonio Provolo" per l'educazione dei Sordomuti di Verona

13. 1832 Pio Istituto Sordomuti di "San Gualtiero" di Lodi

14. 1834 Regio Istituto dei Sordomuti di Palermo

15. 1842 Istituto Principesco Arcivescovile per i sordi di Trento

16. 1850 Istituto Gualandi per i Sordomuti e le sordomute di Bologna

17. 1882 Istituto Nazionale Sordomuti di Firenze

18. 1882 Istituto dei Sordomuti di Cagliari

19. 1885 Pio Istituto "Filippo Smaldone" di Lecce

1. 3 Riforma del metodo d’insegnamento (metà XVIII sec. – prima metà XX

sec.)

Con il graduale avvicinarsi del XX secolo si delineano in misura sempre più

evidente tre tendenze principali:

Ÿ l'orientamento verso il metodo orale;

Ÿ un senso del diritto dei sordomuti (come d'altra parte di tutti gli anormali e i

disabili) di ricevere un’istruzione;

Ÿ un senso del dovere, da parte della società, di fornire ed estendere questa

istruzione.

Si commette inizialmente l'errore di credere che per l'istruzione di soggetti

sordomuti sia sufficiente una buona dose di pazienza, e che un qualsiasi maestro

di scuola o parroco possa svolgere questo compito. Molte sono perciò le proposte

di istruzione di soggetti sordomuti in normalissime classi di udenti (queste

proposte sono però ancora premature per diventare realizzabili). Altri

suggerimenti riguardano la fondazione di esternati (in sostituzione delle scuole-

convitto) ed un'istruzione precoce, da iniziare verso i quattro o cinque anni di età

del soggetto. Diverse sono anche le opere scritte e le pubblicazioni che elencano i

vantaggi ed i risultati del metodo orale rispetto a quello mimico.

In Francia è sempre più evidente l'allontanamento dal metodo di de l'Epée: figure

come J.J. Valade-Gabel (1801 ca.-1879) oppure A. Blanchet sono a favore del

metodo orale e dell'insegnamento oggettivo della lingua, e criticano la complessità

del metodo mimico e dei segni metodici.

In Germania si ricorda Fredrik Moritz Hill (m. nel 1874) come riformatore della

scuola tedesca e come sostenitore dell'insegnamento orale ed oggettivo. Hill è un

buon teorico, ma anche un ottimo educatore, e riesce a suscitare un vasto interesse

per l'argomento anche al di fuori della sua nazione.

Nei Paesi Bassi viene fondata, come già accennato, la scuola di Rotterdam nel

1853. La scuola è diurna. David Hirsch vi pratica il metodo orale e ne pubblicizza

vantaggi e risultati per iscritto, contribuendo così alla diffusione di questo.

Le nazioni che abbiamo citato sono poche, ma sono forse le più significative. Non

si dimentichi comunque che la tendenza verso il metodo orale coinvolge in

generale tutta l'Europa e in parte, come già visto nel paragrafo precedente, anche

gli Stati Uniti. Inoltre, verso il 1870 i punti d'incontro a livello nazionale ed

internazionale tra gli educatori dei sordomuti sono sempre più frequenti. Alla

stampa ed alle pubblicazioni scritte si aggiungono infatti le riunioni ed i congressi

degli educatori47.

In Italia nasce nel 1873, con il Primo Congresso Nazionale degli Educatori

Italiani dei Sordomuti, tenutosi a Siena, l'esigenza di riunirsi e discutere metodi

ed esperienze dei diversi istituti del paese. La proposta generale è quella di dare

47 Si potrebbe dire che le vere cause del successo dell’oralizzazione di questo periodo furono proprio l’opera dei congressi (in particolar modo quello di Milano) e l’entusiasmo degli oralisti che vi parteciparono, anche se forse un ruolo molto importante fu giocato dal fatto che i sordi (i veri sostenitori della mimica) non potevano “farsi sentire”.

all'insegnamento orale un ruolo più importante e significativo nell'ambito

dell'educazione dei sordomuti.

Nel 1878 si tiene a Parigi il Primo Congresso Internazionale degli Educatori

dei Sordomuti. Vi partecipano sostenitori del metodo mimico e del metodo orale

provenienti da diversi paesi, ma la maggioranza è comunque di nazionalità

francese. Anche in occasione di questo congresso si propone la valorizzazione del

metodo orale, tuttavia molte sono ancora le persone a favore del metodo mimico e

del metodo misto o combinato.

Abbiamo ancora un congresso nazionale, a Lione nel 1879 (i temi discussi

riguardano sempre la convenienza, i vantaggi e gli svantaggi di questo o quel

metodo, l'organizzazione più indicata per gli istituti dei sordomuti, ecc.), prima

del congresso che segnerà il punto di svolta nell'educazione dei sordomuti, e che

determinerà l'universale adozione del metodo orale puro: il Congresso

Internazionale di Milano, tenutosi nell'anno 1880. A questo congresso

dedicheremo qualche parola in più.

Tenutosi a Milano dal 6 all'11 settembre del 1880, viene considerato come fatale

dalla comunità dei sordi, e come decisivo dai sostenitori dell'oralismo; lo si può in

ogni caso definire un evento storico, in quanto come già accennato costituisce il

punto di partenza dell'adozione universale e del perfezionamento del metodo

orale48. Vi partecipano all'incirca 200 persone: 250 sono gli iscritti, 182 le persone

registrate alla porta, 164 quelle presenti alle votazioni finali. La maggioranza (un

centinaio circa) è di provenienza italiana, ma tra i partecipanti vi sono anche una

cinquantina di educatori francesi, una decina di inglesi, qualche americano e

pochissimi tedeschi. Si tratta quasi solo di udenti ed oralisti.

I temi trattati durante le nove sedute del Congresso di Milano riguardano in

generale i sordomuti ed il sordomutismo (dati storici e statistici, questioni

mediche, organizzazione ottimale di un istituto per sordomuti, dalla durata del 48 Si tenga presente come questo sia indice per i sordi non di un passo avanti, bensì di un regresso: come si afferma infatti in: Caselli M. C., Maragna S., Pagliari Rampelli L., Volterra V., op. cit., pag. 32, dopo questa data “[...] scompaiono le testimonianze dirette dei sordi e le uniche testimonianze scritte che abbiamo rintracciato sono tutte di educatori udenti, [...].”; qualche riga più avanti leggiamo: “[...] viene così scelto il metodo orale, annullando in un sol colpo tutte le esperienze precedenti che utilizzavano i segni e il metodo misto”, e “[...] i sordi presenti si erano schierati a favore della lingua dei segni, ma la loro mozione non venne neppure portata a votazione.”.

corso di studi al numero consigliato di alunni per classe, ecc.), ma la questione più

importante e controversa è indubbiamente quella riguardante la scelta del metodo

(orale o mimico) da adottare. Gli interventi principali sono quelli di Giulio Tarra,

presidente del congresso (che definisce la parola come un dono di Dio all'uomo),

dei signori Ackers, di nazionalità inglese e genitori di una bambina sorda (i quali,

per esperienza personale, dichiarano la parola come in grado di fornire maggiori

vantaggi rispetto alla lingua dei segni), di Thomas Arnold, valido e conosciuto

educatore inglese (che elogia la parola e il metodo orale, ma riconosce anche la

necessità di dedicarsi ancora molto a questo insegnamento per cercare di

perfezionarlo il più possibile) e di molti altri.

Pochi sono i sostenitori del metodo mimico (è significativo l'intervento di Edward

Miner Gallaudet che, per dimostrare la convenienza del metodo misto, dichiara

come a nulla possa giovare la parola articolata in un soggetto selvaggio e non

istruito), ma vi sono comunque dei partecipanti al congresso che, pur essendo a

favore dell'oralismo, considerano ingiusto ed innaturale il proibire ai sordomuti di

segnare, specialmente nei primi anni di vita: è questo il caso di alcuni

rappresentanti scandinavi.

Le risoluzioni di questo congresso, come si può immaginare, sono prese quasi

all'unanimità (su 164 votanti, solo quattro sono le astensioni) e segnano una

decisiva vittoria dell'oralismo. Viene infatti deliberata la superiorità della parola

sui gesti e del metodo orale puro su quello mimico o misto, in quanto in grado di

permettere al sordo l'integrazione sociale, oltre che uno sviluppo del pensiero e

dell'intelletto. Ulteriori decisioni riguardano l'inizio del corso di studi (verso gli 8-

10 anni dell'alunno); la sua durata (7-8 anni); la dimensione delle classi (non più

di 10 alunni); l'introduzione progressiva di una classe istruita oralmente ogni

anno, finché non vi saranno più classi istruite con il metodo mimico49; l'estensione

dell'educazione (secondo il metodo di insegnamento oggettivo-occasionale) a tutti

i sordomuti; la stesura di libri speciali e di manuali per un migliore insegnamento;

49 Le classi istruite oralmente verranno inoltre tenute rigorosamente separate da quelle istruite gestualmente.

un continuo allenamento dell'articolazione dei suoni e della lettura labiale da parte

dell'alunno, anche dopo il termine del corso di studi50, ecc.

In seguito al Congresso di Milano, molte scuole (sia in Italia che all'estero)

riorganizzano la loro impostazione e la loro struttura didattica, abbandonando i

segni ed adottando il metodo orale puro. Nelle scuole in cui questo già veniva

praticato, ci si concentrerà sul suo perfezionamento51.

La serie di incontri e congressi nazionali ed internazionali non viene comunque

interrotta, bensì incoraggiata. I temi trattati riguarderanno sempre meno il tipo di

metodo da adottare (questo problema pare, per il momento, risolto) e sempre più

questioni generali inerenti all’educazione e la condizione dei sordomuti. Si

cercherà sempre più spesso di attirare l'attenzione sulla necessità di un'adeguata

preparazione degli educatori dei sordomuti, sull'altrettanto importante necessità

del coinvolgimento dei governi nel campo dell'istruzione e della tutela dei

sordomuti, dell'efficacia e dei vantaggi dell'insegnamento oggettivo-occasionale.

Verranno inoltre incoraggiati studi e ricerche di tipo storico, statistico52 e medico

riguardanti i sordomuti, andando a determinare un aumento generale dell'interesse

in questo campo.

Vediamo ora più in particolare i congressi che si sono tenuti dopo il 1880.

A livello internazionale si ricordano i congressi di Bruxelles nel 1883, di

Francoforte (in realtà questo congresso, pianificato inizialmente per il 1886 e

rimandato successivamente al 1887, non fu mai tenuto), quello di Parigi (che ha

luogo nel 1900 e si compone di due riunioni simultanee, una di partecipanti sordi

ed una di partecipanti udenti ed oralisti: questi due gruppi non riusciranno a

trovare un punto di incontro e rimarranno separati e in contrasto), quello di Liegi

nel 1905 (che si compone anch'esso di due riunioni, una più ufficiale ed una più 50 Ferreri G., op. cit., parte seconda, si legge: “[...] la parola e la lettura sulle labbra, non che perdersi, si svolgono con l' esercizio, (pag. 228) 51 Sarebbe comunque errato affermare che l'uso dei segni scompaia dalle scuole dopo il 1880. Come viene infatti specificato in: Caselli M. C., Maragna S., Pagliari Rampelli L., Volterra V., op. cit., pag. 34: “ Dopo il Congresso di Milano, anche se l'educazione ufficiale divenne oralista, la lingua dei segni continuò a venire usata ed a svolgere un ruolo cruciale nella vita dei ragazzi. Di nascosto spesso si segnava in cortile, nei dormitori, nei laboratori. Chi più chi meno, tutti conoscevano i segni: studenti, insegnanti, assistenti. Nulla di tutto ciò viene menzionato nelle varie pubblicazioni successive al Congresso di Milano, pesantemente influenzate dalla filosofia oralista.”. 52 Purtroppo i dati statistici che ci vengono forniti sui sordomuti sono però ancora approssimativi e di conseguenza inattendibili.

libera ed aperta a tutte le proposte e le critiche dei difensori dei segni al metodo

orale) e quello di Edimburgo, svoltosi nel 1907 (forse meglio riuscito rispetto ai

precedenti, in quanto composto da un minor numero di partecipanti e da un minor

numero di temi da trattare, non per questo meno importanti). Le discussioni

affrontate in questi congressi hanno come argomento le diverse possibili modalità

di applicazione del metodo orale e la condizione dei sordomuti in generale, ma i

risultati a cui pervengono sono sempre meno soddisfacenti.

La tendenza volge infatti verso incontri e scambi di opinioni ed esperienze a

livello nazionale, ove non vi siano barriere di tipo economico (gli spostamenti da

un paese all'altro sono in questo periodo piuttosto dispendiosi) o linguistico (è

decisamente consigliabile discutere in una lingua di cui si abbia completa

padronanza; inoltre, dal momento che ogni lingua presenta un proprio sistema

fonetico, sarà senz'altro più efficace una riunione tra educatori che condividano gli

stessi problemi, le stesse difficoltà e lo stesso modo di affrontarli)53. Come negli

incontri internazionali, i temi discussi saranno l'organizzazione didattica delle

scuole secondo il metodo orale, la suddivisione delle classi, la durata del corso di

studi, la preparazione degli insegnanti, la proposta per un'istruzione obbligatoria

dei sordomuti, ma anche ricerche sempre più specializzate nel campo

dell'ontologia, della pedagogia e dell'insegnamento auricolare (ovvero la

possibilità di sfruttare i residui uditivi dei sordomuti per un migliore risultato

nell'insegnamento della parola).

I congressi nazionali tedeschi sono bene organizzati e, senza contare quelli

tenutisi in Austria ed Ungheria, includono i seguenti incontri: Berlino, 1884;

Colonia, 1889; Augsburg, 1894; Dresda, 1897; Amburgo, 1900; Francoforte,

1903; Königsberg, 1906; Lipsia, 1909; Würzburg, 1912; Breslavia, 1915.

Tra i congressi nazionali francesi si annoverano quelli di: Bordeaux, 1881;

Parigi, 1884 (non un vero e proprio congresso, ma una riunione della Società

Nazionale per lo Studio delle Questioni Concernenti i Sordomuti); Parigi, 1885.

53 Per gli scambi di informazioni a livello internazionale acquisteranno un'importanza via via maggiore i periodici e la letteratura speciale.

In Italia, la serie dei congressi nazionali tenutisi dopo il 1880 inizia con qualche

anno di ritardo rispetto alle altre nazioni. Questo è dovuto in parte alla morte,

negli anni '80-'90, di diversi oralisti (quali ad esempio Tarra e Pendola) che

avevano contribuito allo svilupparsi dell'insegnamento della parola articolata e

agli esiti del Congresso di Milano, ed in parte al fatto che dopo il suddetto

congresso le scuole italiane avevano bisogno di tempo per riorganizzare a dovere

la loro struttura. Il primo congresso nazionale italiano ha così luogo nel 1892, e si

tiene a Genova, in occasione dell'Esposizione Mondiale. Le proposte che vengono

fatte sono orientate all'ottimizzazione ed all'uniformemente del metodo orale nelle

scuole italiane, e ad un'estensione dell'istruzione per tutti i sordomuti. Seguono,

con gli stessi intenti, un Congresso di Beneficenza (tenutosi a Milano nel 1898),

una Riunione di soli educatori dei sordomuti (con sede a Roma nel 1899), ed il

Congresso Nazionale svoltosi a Bologna nel 1907.

La lista di congressi e riunioni che abbiamo fornito è ben lontana dal potersi

definire completa. Diversi sono gli incontri (anche oltre oceano e anche fra

educatori sordi, in risposta a quelli organizzati dagli oralisti) che sono stati tenuti

nel corso degli anni54. Anche per questi rimandiamo alla lettura di testi specifici,

come il dettagliato volume di Giulio Ferreri, Disegno Storico dell'Educazione dei

Sordomuti, parte terza.

Abbiamo finora visto i risultati, in termini di adozione e perfezionamento del

metodo orale nelle scuole per sordomuti, e di scambio di informazioni ed

esperienze, della serie di incontri e congressi nazionali ed internazionali tenutisi

tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Rimane comunque indispensabile

specificare come, nonostante il generale aumento di interesse in questo campo, i

cambiamenti rimangono spesso ancora a livello teorico. È, infatti, vero che in

Europa e anche oltre oceano si diffonde in questo periodo in maniera significativa

la letteratura speciale, sempre più orientata verso riviste e articoli di carattere

specifico (pedagogia, didattica, anatomia patologica, otologia, laringologia,

fonetica applicata, storia, statistica, ecc.), ovvero verso la stampa periodica. È

54 Senza contare che questi incontri, a volte anche solo a livello regionale o provinciale, si intensificano con l'avanzare del XX secolo.

altresì vero, però, che molti sono ancora i problemi riguardanti il mondo dei

sordomuti e della loro educazione. In quasi ogni nazione è evidente il

disinteressamento del governo nei confronti dell'istruzione dei sordomuti e degli

anormali in generale. La maggior parte degli istituti si deve ancora alla

beneficenza o all'iniziativa privata. Non esiste ancora nella maggior parte dei

paesi55 un'adeguata legislazione in materia, atta alla regolamentazione degli istituti

per sordomuti e all’organizzazione di Scuole Normali per l'abilitazione degli

insegnanti per sordomuti. Il risultato è una cattiva amministrazione e distribuzione

territoriale dei primi, insieme ad una notevole scarsità delle seconde. Nonostante

ripetuti progetti di legge, infatti, in molte nazioni le mete principali non sono

ancora state raggiunte. Identifichiamo con queste mete le leggi sulla tutela e sul

diritto all'istruzione per tutti gli anormali.

“Eppure se c'è un diritto del tutto indiscutibile pel sordomuto, è

quello dell’istruzione.”56

ed il riconoscimento giuridico delle scuole per sordomuti come istituti di

istruzione, e degli educatori dei sordomuti come tali.

Dall’unità d’Italia al 1923 lo stato si occupa dell’educazione speciale che è

delegata ai comuni e ai privati, in particolare i bambini sordi, a partire dall’età di

otto o dieci anni, venivano istruiti per sette anni in istituti prevalentemente di tipo

religioso.

Nel 1923 con la Riforma gentile la scolarizzazione dei sordi diviene obbligatoria

fino al sedicesimo anno di età e si deve attuare negli Istituti Statali per Sordomuti

o in classi speciali di scuole elementari.

Negli anni 60 vi è l’istituzione di classi differenziali nelle scuole dell’infanzia,

elementari e medie e viene riconosciuta l’esigenza di avvalersi di insegnanti

speciali.

55 Fanno eccezione in particolar modo i paesi della Scandinavia, in cui l'istruzione dei sordomuti è obbligatoria per legge, e dove lo Stato si occupa sia della sovvenzione e dell'organizzazione degli istituti, che della preparazione degli educatori, per l'abilitazione dei quali è previsto solitamente il sostenimento di un esame di Stato. Anche paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania e altri possono comunque in parte vantare un certo interessamento del governo nell'organizzazione di istituti per sordomuti oppure di Scuole Normali per un'adeguata e competente preparazione dei loro educatori. 56 Ferreri G., op.cit., parte terza, (pag. 144).

Negli anni 70 per la prima volta con la Legge 118 del 30/03/71

Si prende in esame la situazione delle cittadine in situazione di handicap da vari

punti di vista, sociale, sanitario, ed economico.

Si garantisce la possibilità di compiere l’intero iter scolastico nelle classi normali

della scuola pubblica, ma per i sordi si rende necessario un periodo più o meno

lungo di trattamento in strutture speciali in vista di un successivo inserimento

scolastico.

E’ solo con la legge n. 517 dello 04/08/1977 che si ha realmente l’integrazione dei

sordi e degli altri tipi di disabili nelle scuole comuni. Viene stabilito che le classi

che accolgono alunni disabili devono essere costituite con un massimo di 20

alunni ( in seguito con DM n 141 dello 03/06/99 il Ministero dell’Istruzione

stabilisce che una classe che accoglie un disabile non può avere più di 25 alunni,

20 se nella classe è iscritto più di un disabile ).

Si prevede per queste classi il servizio socio-psico-pedagogico al fine di

realizzare la necessaria integrazione specialistica , e forme particolari di

sostegno.

L’obbligo scolastico si adempie anche per i bambini sordomuti, nelle scuole

speciali o nelle classi ordinarie delle pubbliche scuole, elementari e medie. E’

previsto il trasporto gratuito dall’abitazione a scuola e si fissano i posti del

personale di sostegno ( di regola, uno ogni quattro alunni in situazione di

handicap).

1.4 Brevi cenni storici sulla lingua dei segni italiana nell’educazione dei

sordi

La ricerca si basa su raccolta dei libri italiani relativi all'educazione dei sordi,

evidenziando solo gli scritti dalla fine del Settecento dove si indica con il termine

"lingua" la modalità comunicativa dei sordi. Lo studio vuole accertare se la Lingua

dei Segni esisteva in ambito scolastico, se era ricca, da chi veniva usata e in quali

contesti. Lo studio vuole anche analizzare i motivi per i quali la Lingua dei Segni

viene talvolta accettata ed altre volte rifiutata dalla società italiana. Vengono

anche discusse le opinioni dei sordi dell'Ottocento ad oggi sull'educazione e in

particolare sulla Lingua dei Segni. Dopo un lungo periodo di silenzio, si comincia

oggi in Italia a parlare della Lingua dei Segni e del suo ruolo in ambito educativo

(ad esempio, vedi numeri 2/1990, 3-4/1991. 2/1991 della Rivista "L'Educazione

dei Sordi").

Sono consapevole che per una corretta indagine storica bisognerebbe essere degli

‘storici di professione. Mi auguro, però, che questo mio lavoro possa venire

ugualmente accettato come una ricerca condotta dal mio particolare punto di vista:

quello di una persona sorda che già da diversi anni si occupa di esplorare e

analizzare la Lingua dei Segni. Ancora oggi per me questa lingua è ‘inesplorata’ in

particolar modo sotto l’aspetto fonologico e morfologico e proprio la complessità

di questa lingua mi spinge a chiedermi come sia stata fino ad oggi giudicata dagli

educatori e dai sordi.

Sappiamo che il Congresso di Milano (1880) ha spinto tutti verso la ‘parola’. anzi

la ‘parola pura’, cioè verso la filosofia oralista, che vige ancora adesso, anche se

forse in tono minore. Riguardo a tale periodo Ferreri (1893, p. 24) accenna come

molti educatori, prima ‘convinti’ dell’opportunità di usare i segni, adottino invece

l’idea di «dare nell’istruzione dei sordomuti il primo posto alla parola orale e letta

dal labbro.».

Questo breve scritto, a mio parere, vuole contribuire a capire i motivi per i quali la

Lingua dei Segni viene talvolta accettata e altre volte rifiutata dalla società italiana

e, in particolare, aiutare a chiarire l‘opinione attuale delle persone sorde, che sono

divise sul tipo di educazione con o senza Lingua dei Segni.

Esaminiamo, in primo luogo, i documenti scritti dove abbiamo trovato un cenno

sulla Lingua dei segni o, come a volte viene denominata, la «lingua dei gesti».

Comunque, mettiamo in evidenza solo gli scritti dove si indica con il termine

‘lingua’ la modalità comunicativa dei sordi.

Le testimonianze scritte da parte degli educatori italiani risalgono tutte a prima del

Congresso di Milano:

1793 - Abate Tommaso Silvestri: primo educatore dei sordi romani, al ritorno

dalla scuola parigina aveva scritto un lavoro dove diceva che si usavano i segni

per stimolare l’intelligenza del ragazzo sordo e che «questi segni appunto ha

adottato la scuola per la di lui istruzione, combinati peraltro, ragionati e corretti...

Ed affinché restituito egli sia interamente alla società, non trascura la scuola di

addestrarlo a capire dal solo movimento delle labbra un pensato discorso, per

poterne dare su due piedi, senz’altro soccorso che la viva voce, la convenevole

risposta» (vedi: Pinna, Rampelli, Rossini e Volterra, 1990). Possiamo quindi

dedurre che l‘educazione alla ‘viva voce’ avvenisse proprio grazie al lavoro

precedentemente svolto con i ‘segni metodici’, anche se successivamente Silvestri

è stato ricordato come primo educatore oralista!

1885 - D. Geminiano Borsari: istruttore onorario nell’educatorio dei sordo-muti di

Modena, antico coadiutore del Fabriani, ha scritto «Una guida all’insegnamento

della lingua italiana ai sordo-muti». Questa guida iniziava con la spiegazione dei

«Principi generali dell’istruzione del Sordo-Muto nella lingua italiana», dove

veniva chiarito che, oltre all’obiettivo di far conoscere ai sordi la lingua italiana, è

necessario conoscere il loro linguaggio. Questa prima parte si articolava nei

seguenti paragrafi: nel Capo 1, «Lingua del Sordo-Muto» e il suo sommario: «1. il

sordo-muto, benché privo della parola, usa di sua ragione. 2. Ha una lingua. 3. In

che consista. 4. Necessità nell’istruttore di apprendere la lingua del sordomuto» (p.

2-4).

1857- Sac. Ciro Marzullo: il suo Lavoro «La grammatica pei sordo-muti» riporta

le illustrazioni di segni «creati» appositamente per l’apprendimento della lingua

scritta o, più precisamente, di alcune parti del discorso. Queste tavole ci mostrano,

senza ombra di dubbio, che erano utilizzati anche in Italia. Come nelle scuole

francesi, i cosiddetti ‘segni metodici’. Lo stesso Autore indica del resto la «leale»

linea da seguire per i novelli istitutori: «1. che l’istitutore si familiarizzi pria col

suo Allievo, e procuri studiare in esso i gesti, i lazzi, le mimiche espressioni, la

chironomia tutta insomma del muto linguaggio prestato dallo stesso allievo e che

col frequente esercizio sì rende comune ad entrambi…» (Marzullo, 1857, p. V).

Leggendo queste righe non ci é chiaro quale tipo di linguaggio «muto» potesse

avere l‘allievo che, non dimentichiamo, andava in istituto proprio per ricevere

un’istruzione.

D’altra parte, queste metodologie potevano avere un notevole successo, perché i

sordi, apprendendo con facilità le nozioni della lingua italiana. Erano in grado poi,

attraverso la lettura labiale e la modalità scritta, di ricevere una buona istruzione.

Non dobbiamo, inoltre, dimenticate che a quell’epoca il tasso di analfabetismo

nella popolazione udente era altissimo (ad es. nel 1861 la percentuale degli

analfabeti in Italia era del 78%) e in qualche modo i sordi, anche se con un basso

livello di istruzione, si trovavano in una posizione di vantaggio perché comunque

venivano scolarizzati. Inoltre, gli scritti lasciati dai sordi in quell’epoca sono una

prova ulteriore che c’era la possibilità di un alto livello d’istruzione.

Infatti, grazie a Rota e a Ferreri, che hanno inserito nelle loro bibliografie la

dicitura ‘sordomuto’ in parentesi, abbiamo scoperto libri scritti da autori sordi, che

però risultano introvabili nelle biblioteche italiane. Con una certa fatica siamo

riusciti a recuperarli, anche con la collaborazione di altri sordi, e ora abbiamo

questi testi:

1834 - Paolo Basso: «Cenni su la vita e l’avvenuta morte del giovane sordo-muto

Ottaviano Gonella», racconta la vita del suo compagno, che é riuscito a

comprendere la religione grazie all’educazione avuta presso l’Istituto Assarotti

(Genova) e ad esprimere con la lingua dei segni la Confessione e la Preghiera. Il

suo nome figurava, a Torino, quale denominazione dell’associazione dei sordi.

1852 - Giuseppe Minoja: il suo scritto «Compendio di dottrina religiosa,

scientifica e morale ad uso dei sordomuti e di quanti sono in condizioni meno

favorevoli per istruirsi» (1858) è ancora difficile da recuperare. Ma abbiamo un

altro suo libro (1852) «Sulla necessità dell’educazione dei Sordo-Muti» con il

sottotitolo «Pensieri del Sordo-Muto Giuseppe Minoja, maestro e direttore dello

stabilimento di Villanova». Da questo libro non abbiamo potuto ricostruire né la

sua biografia né l’indicazione del suo metodo, mentre da altro fonti risulta che era

sordo dalla nascita, che era stato educato nel R. Istituto di Milano e che era

divenuto insegnante prima a Villanova, Lodi, (1832), poi al nuovo Istituto per

Sordomuti (1856) situato nell’area dell’antica chiesa di S.Gualtiero a Lodi, ed

infine era stato ‘licenziato’ (1862) per il cambiamento nel metodo di

insegnamento. Sappiamo anche che, come riporta Agnelli nella sua storia di Lodi,

fu dimenticato da tutti.

1858 - Giacomo Carbonieri: ha scritto diverse opere che siamo riusciti a

recuperare. In particolare, in una di queste opere, «Osservazioni sopra l’opinione

del Signor Giovanni Gandolfi intorno ai sordomuti», illustra diversi tipi di sordi, le

loro caratteristiche e le loro necessità. Una cosa bellissima, a mio avviso, che ha

scritto Carbonieri è che la Lingua dei Segni è essenziale per il rendimento

intellettuale del sordo, Non siamo riusciti a raccogliere altre notizie su questo

sordo—muto; soltanto nel libro di Giuseppe Rota (1879) «L’emancipazione dei

Sordo-Muti» viene citato quale professore dell’Istituto di Modena. Supponiamo

che sia l’istituto delle Figlie della Provvidenza per l’educazione delle

sordomute.

Anche se la loro fama è praticamente scomparsa, gli scritti di questi Autori

testimoniano che già verso la metà dell’Ottocento c’erano persone sorde che si

occupavano di aspetti educativi.

Tra l’altro, ho trovato interessante che in quel periodo (erano sordi che

insegnavano ai ‘futuri educatori’, come il Pendola, che era stato in contatto con i

sordi prima di intraprendere la sua attività (Cimino, 1/1990), e come il Mariani,

successore di T. Silvestri, che aveva chiesto aiuto agli ultimi allievi del suo

predecessore per imparare il metodo (Pinna e al., 1990).

Si può supporre che la situazione scolastica in quell’epoca, diciamo prima del

Congresso di Milano, secondo le testimonianze scritte sia da parte degli udenti che

da parte dei sordi, favorisse la presenza della Lingua dei segni e degli educatori

sordi, anche se in minor numero rispetto agli udenti. Resta il rammarico di non

conoscere se ci sia stato, in quell’epoca, un dibattito fra i sordi sull’educazione,

come riferisce Lane (1984) per la Francia.

Per quanto riguarda gli scritti post-Congresso, non abbiamo rilevato alcun cenno

in merito alla lingua dei sordi: sono tutti più o meno céntrati sull’uso della parola

parlata, come testimoniano le risposte date a un questionario sul mezzo di

comunicazione e metodo nell’insegnamento della lingua nazionale e dello altre

materie (pp. 4O-49) riportale nella relazione di Raseri «Gli istituti e le scuole dei

sordomuti in Italia». In questa relazione vengono riferiti i risultati dell’inchiesta

statistica ordinata dal Comitato locale per il’Congresso internazionale dei maestri

dei sordomuti’ tenutosi a Milano nel settembre del 1880. Per maggiori dettagli

sulla svolta degli educatori intorno alla fine del 1860, sotto l’influenza della scuola

tedesca, si veda Lane (1984), Facchini (1981-1985).

In quest’epoca non troviamo libri pubblicati dai sordi; probabilmente c’erano ma

non con la specificazione ‘sordomuto’ accanto al nome dell’autore, come quelli

già citati precedentemente. E’ probabile anche che non ci fosse alcun libro in

quell’epoca perché la filosofia dell’educazione post-Milano non era puntata molto

sulla scrittura e fa supporre un calo di ‘scrittori’ sordi e un aumento forse di

‘parlatori’ sordi. Evidentemente la filosofia degli educatori oralisti ha influenzato i

sordi, molti dei quali sono tuttora abbastanza convinti che sia indispensabile saper

produrre e/o articolare bene la parola per mettersi in relazione con il mondo

esterno.

Quindi è evidente che la situazione educativa dei sordi era molto diversa prima e

dopo il Congresso di Milano.

Intorno al 1920 il programma educativo era sempre ugualmente fermo al principio

di ‘viva la parola’, mentre erano fiorite le Associazioni dei sordi. I leader di queste

associazioni normalmente erano sordi; a volte erano di esempio, sia come risultato

dell’educazione ricevuta che come simbolo di persona sorda che rappresenta la

propria categoria. Infatti, hanno istituito, dopo la seconda guerra mondiale, delle

scuole processionali, poi le scuole medie inferiori ed infine le scuole superiori per

i sordi. C’erano insegnanti sordi, tanto per citare un esempio: lo stesso Antonio

Magarotto, e poi c’erano degli insegnanti udenti che, volontariamente,

conoscevano la comunicazione visivo-gestuale. I leader delle associazioni dei

sordi, di solito, oltre che dirigenti erano anche maestri. Cito un esempio: i sordi

triestini ricordano ancora quanto era stato importante per loro quando nella scuola

elementare avevano avuto le lezioni pomeridiane con il sordo Federico Menossi:

avevano appreso tante cose da lui, anche se purtroppo l’esperienza era durata

poco, per l’arrivo della guerra. Anche in questo periodo, nonostante l’istituzione

delle scuole voluta dall’associazione dei sordi, non figurano in un modo chiaro né

la denominazione né il tipo di comunicazione che si usava fra i sordi. Per quanto

riguarda i libri, si è iniziato a parlare di linguaggio mimico o di metodo mimico

citando la scuola svedese. Non si vede traccia di qualcosa di semplice e reale come

i testi di Borsari, o Marzullo, che avevano indicato come lingua la conversazione

manuale dei bambini sordi.

Credo doveroso ricordare ugualmente che i leader dell’Associazione in

quell’epoca avevano una buona competenza nella lingua parlata e scritta, e molto

spesso svolgevano un ruolo di ‘maestri’ nei confronti degli altri soci sordi. Va

sottolineato, dunque, lo sforzo da parte dei sordi più istruiti di educare, o meglio di

recuperare gli altri sordi che uscivano da una struttura scolastica abbastanza bassa

come livello educativo. Era più o meno lo stesso obiettivo perseguito da Giuseppe

Minora, quando aveva lottato per essere riammesso del corpo docente.

Questa attività dell’Associazione nel campo dell’istruzione voleva dimostrare che

ai sordi andava concessa la possibilità di frequentare oltre il primo livello di

scuola. In pratica i sordi non volevano solo il diritto di sopravvivere ma anche

quello di ricevere più istruzione.

L’attuale situazione non ci dà la possibilità di analizzare la presenza della Lingua

dei Segni nell’ambito scolastico, a causa del fatto che la maggior parte dei

bambini sordi sono inseriti separatamente nella scuola pubblica. Questo significa

che conoscono o, meglio, hanno un approccio solo con la lingua italiana per

poter’relazionare’ con la maggioranza, cioè gli udenti: la famiglia, gli insegnanti, i

compagni di classe, le logopediste, ecc., e di solito hanno avuto poche occasioni di

stare con altri sordi, sia piccoli che grandi. E’ normale che non ci sia La lingua dei

segni in questo scuole, dove mancano anche gli scambi di ‘parole’ o ‘giochi di

parole’, anche in segni, come fanno di solito i bambini quando giocano in gruppo.

Sappiamo che ultimamente ci sono state delle richieste da parte degli insegnanti di

apprendere questa lingua per poter’facilitare’ l’insegnamento dell’italiano a

bambini sordi inseriti.

A parte l’efficacia o no della legge n.517/1977, come pure l‘ambiguità sulla libera

scelta della scuola da parte dei genitori (scuola pubblica con bambini udenti o

scuola per sordi), sono stati creati in diverse città (Torino, Genova, Roma) dei

programmi di educazione ‘bilingue’, con la cooperazione fra gli operatori e alcune

persone sorde adulte. Questi programmi sono ancora ‘in incognito’ nel senso che

gli operatori, anche se sono consapevoli delle necessità del bambino sordo,

prestano la loro opera secondo i ‘desideri’ degli altri, soprattutto dei genitori, che

sono ancora terrorizzati all’idea che la produzione gestuale evidenziata nei loro

figli ‘uccida’ la loro produzione verbale. Fanno eccezione alcuni genitori, come ad

esempio Elia (2/1991), che invece sono convinti della ricchezza della lingua dei

segni e soprattutto dell’utilità di mandare i loro figli dove ci sono altri bambini e

insegnanti sordi, perché possano perfezionare il proprio linguaggio guardando i

più grandi, come aveva già sottolineato Carboneri (1858, p. 37) e come aveva

ribadito Minoja, nel 1860, insistendo per ottenere un regolare ruolo professionale

per la persona sorda adulta (Agnelli, 1964).

Dalle ricerche svolte presso l’istituto di Psicologia del C.N.R. in questi ultimi

anni (Rampelli, 1986; Caselli e Rampelli, 1989) emerge che attualmente i bambini

sordi, inseriti sia nelle scuole speciali che nelle scuole di tutti, raggiungono una

competenza linguistica in italiano inferiore a quella dei coetanei udenti; mentre per

quanto riguarda la lingua dei segni andrebbero condotte verifiche più appropriate.

Questa inferiorità, che può avere serie conseguenze anche sul piano intellettivo,

era prevedibile come sono prevedibili analoghi risvolti negativi sul piano della

personalità. Come tutti i ragazzi, anche fra i sordi c’è stata e ci sarà sempre una

forma di ‘competitività’ ed un’esigenza di confronto sul piano delle abilità e delle

competenze che non è possibile soddisfare oggi attraverso inserimento.”57

In Italia i sordi hanno sempre usato questa lingua e già nel 1858 Giacomo

Carbonieri, un insegnante sordo, ne parla sottolineandone il valore e l’importanza

per la persona sorda. La lingua viene dalle persone, delle comunità. Una lingua

esiste perché esiste una comunità che la usa. E il valore scientifico di una lingua

dipende dalla capacità che la comunità ha di trasmetterla alle generazioni

successive.

“Origini e storia della lingua dei segni - Il linguaggio dei segni è un insieme

strutturato e organizzato di gesti, utilizzato fra persone che non parlano la stessa

57Corazza S.,La lingua dei segni nell'educazione dei sordi,L'educazione dei sordi, 4, 1991,(pag. 311-320).

lingua o fra persone affette da sordità. Un linguaggio di segni universalmente

diffuso è quello elaborato per persone prive di udito, i movimenti delle mani sono

principalmente di due tipi: gesti naturali o mimici per rappresentare oggetti, idee,

emozioni, sensazioni; segni metodici o sistematici per esprimere principalmente la

lingua scritta. Con altri sistemi gestuali si esprimevano alcuni gruppi etnici

dell'India e dell'Australia, noti anche quelli di alcuni popoli dell'America del Nord

che utilizzavano come mezzo di comunicazione fra gruppi di lingua differenti

riuscendo a esprimere con i gesti anche conversazioni molto dettagliate;

esistevano anche segni speciali per ciascuna tribù, fiumi e montagne particolari e

altri elementi del paesaggio.

I segni usati dai sordi non sono un tempo insieme di gesti per comunicare, essi

hanno una grammatica ben precisa, regole per i verbi, per il plurale e il singolare,

costituiscono, cioè, una vera e propria lingua al pari della lingua vocali. I sordi

l'hanno sempre usata, anche se per molto tempo di nascosto, poiché i gesti erano

considerati 'poveri' e si riteneva che usandoli i sordi non avrebbero mai imparato a

parlare.

La lingua dei segni in Italia - All'inizio degli anni '60, grazie agli studiosi che si

sono occupati della lingua dei segni, dall'America con W. Stokoe sino all'Italia

con V. Volterra, si è giunti alla conclusione che la Lingua dei Segni è una lingua

vera e propria sotto tutti i punti di vista grammaticali, sintattici, morfologici, e con

il riconoscimento giuridico da parte del Parlamento Europeo del 1988 diventa la

lingua ufficiale dei sordomuti.

La grammatica della LIS - La lingua dei segni italiana è un metodo comunicativo

che utilizza il canale visivo-gestuale, invece del nostro che utilizza il canale

acustico-verbale”58.

Purtroppo noi sordi troviamo due gruppi con opinioni divergenti per quanto

riguarda la modalità comunicativa usata tra noi: un gruppo ritiene che questa

forma di comunicazione è una vera e propria lingua diversa dall’italiano e che in

quanto tale vada rispettata; l’altro gruppo non è consapevole di questa realtà 58 Attili G., Ricci-Bitti P.E, I gesti e i segni, Bulzoni, Roma, 1993. - Volterra V. La Lingua Italiana dei Segni: la comunicazione visivo-gestuale dei sordi, Il Mulino, Bologna, 1987.

linguistica. Un esempio di quest’atteggiamento lo troviamo nei leader del passato,

che erano per la maggior parte ‘persone diventate sorde’ e usavano le mani come

ausilio per poter trasmettere le loro intenzioni in italiano agli altri, sia sordi che

udenti, senza rendersi conto dell’effettiva comprensione degli stessi. Così, questo

mezzo di comunicazione, diciamo ‘ibrido’, lo troviamo ancora fra i sordi attuali,

soprattutto quelli non nati sordi, ed anche fra gli insegnanti specializzati che ora

dicono di sapere usare i segni.

2 CAPITOLO

EDUCAZIONE PER SORDI, OGGI

2.1 I cambiamenti avvenuti negli ultimi Decenni

Sarebbe a questo punto riduttivo interrompere questa rassegna storica senza

osservare che, tra la conclusione, dalla prima metà del XX secolo fino ad oggi è

trascorso ancora un significativo lasso di tempo. Questo lasso di tempo non

soltanto ha reso reale la precedentemente solo teorizzata estensione

dell'educazione a tutti i sordomuti a livello universale59, ma ci ha anche fornito di

ricercatori e studiosi60 in campo pedagogico, medico e persino informatico, i cui

contributi nel campo della sordità hanno portato a risultati fino a qualche anno fa

ancora impensabili. A livello di metodologie rieducative per gli audiolesi61

possiamo notare un rinnovato interesse per i linguaggi segnati (che ha portato per

esempio all’elaborazione intorno agli anni ’60 del cued speech da parte di Orin

Cornett, o al diffondersi della comunicazione totale e bimodale) così come lo

sviluppo di tecniche completamente innovative (segnaliamo a titolo di esempio il

59 In Italia questo avverrà nel 1977 con la legge speciale n. 517 (successivamente ampliata, con la legge n. 270 del 1982, fino al raggiungimento di una completa integrazione scolastica, a partire dalla scuola materna), secondo la quale, come si legge in: Caselli, Maria Cristina; Maragna, Simonetta; Pagliari Rampelli, Laura; Volterra, Virginia; op. cit., pag. 35, “[...] ogni handicappato (compresi i sordi) può essere inserito nella scuola normale.” con lo scopo di “[...] realizzare una più completa integrazione delle persone handicappate, ed una loro reale equiparazione, anche sul piano educativo. Attualmente, infatti, le famiglie dei bambini sordi possono "scegliere" fra scuola speciale per sordi e scuola con gli udenti. Nella scuola con gli udenti lo Stato garantisce al bambino sordo un insegnante di sostegno per alcune ore settimanali. L'inserimento è stato ormai "scelto" dalla maggior parte dei genitori.” 60 E’ proprio nel XX secolo che nasce la figura dello specialista, del logopedista. 61 Avremo modo di ampliare questo discorso nel prossimo capitolo.

metodo verbo-tonale dello slavo Petar Guberina). Inoltre, i recenti progressi e le

nuove possibili tecnologie nell'ambito della logopedia62 e della cura della sordità

(perché proprio di cura si può parlare, grazie all'impiego di sofisticate protesi

acustiche per lo sfruttamento dei residui uditivi, oppure di interventi come

l'impianto cocleare nel caso di sordità profonde o totali) sono infatti state tali da

rendere al giorno d'oggi improprio il termine sordomuto, del quale sempre meno

ci serviremo nel corso del nostro lavoro. Possiamo infine constatare come dei

rudimentali ed apparentemente vani esperimenti, come quelli praticati da Itard

nell'istituto di Parigi, celino un (magari lontano) futuro di evoluzioni e sviluppi in

cui è giusto credere, affinché questo diventi un giorno realtà.

2.2 L’influenza del pensiero pedagogico e filosofico del passato sulla visione

presente e futura.

“Sordomuti, la guerra dei Segni”. Comunicato Stampa ENS

L'Ens nei suoi 75 anni di vita mai ha ingaggiato guerre ideologiche su ciò che è o

deve essere la persona sorda! Per questa ragione, sorprende e indigna l'articolo

strumentale di pag.17 de La Repubblica dove tra l'altro vengono elencate una serie

di situazioni e circostanze non veritiere e strumentali.

Senza scivolare nella polemica, va subito detto che è umanamente comprensibile il

terrore della fiadda - da sempre contraria alla Lingua dei Segni - di veder

riconosciuta con una legge la predetta lingua, utilizzata in ogni contesto socio -

culturale-educativo, dalla stragrande maggioranza dei Sordi e da un numero

sempre crescente di udenti operatori in settori diversificati del sociale, sanitario,

nonché del mondo accademico e medico scientifico.

L’Ens pertanto contesta in toto la contrapposizione fittizia che l’Associazione

FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi)

cerca di dare all’opinione pubblica riguardo alla sordità e chiunque ne è colpito.

Primo punto: non chiamateci SORDOMUTI! Abbiamo fatto del termine una

questione di civiltà e di diritti e con Legge n.95 del 20/02/2006 SIAMO SORDI E 62 Basata sempre più sulla precocità di diagnosi, protesizzazione e riabilitazione del soggetto, oltre che sul coinvolgimento dell’ambiente famigliare e scolastico di questo, al fine di stimolarne e motivarne l’apprendimento.

BASTA!

Secondo punto: lo screening, è un obbligo per lo Stato che ogni Regione disponga

di Centri altamente qualificati e all’avanguardia per la diagnosi precoce, lo

screening neonatale per tutti i bambini che presentano patologie sospette e/o

genetiche di tal natura, INDIPENDENTEMENTE DALLA SCELTA

RIABILITATIVA DELLA FAMIGLIA;

Terzo punto: prima la parola, NO, PRIMA LA PERSONA, I SUOI DIRITTI, IL

SUO ESSERE! Il che significa che al centro del progetto di vita del bambino,

qualunque sia la SCELTA della famiglia va rispettata la sua essenza di ESSERE

UMANO!

Quarto punto: lingua di stato, in nessun disegno di legge, in ogni richiesta

dell’Ens MAI è stato chiesto il riconoscimento della LIS quale lingua di Stato ma

LINGUA DI MINORANZA, quale strumento di integrazione e di inclusione

sociale delle persone sorde che LIBERAMENTE SI RICONOSCONO E

UTILIZZANO LA LINGUA DEI SEGNI, scientificamente LINGUA visiva con

tutte le caratteristiche delle altre lingue vocali, così come ampiamente riconosciuto

in 44 paesi del mondo, nonché da due risoluzioni del Parlamento europeo, da

trattati internazionali, nonché dalla recente Convenzione ONU sui diritti delle

persone con Disabilità;

Quinto punto: minoranza/etnia; il mondo dei sordi esiste al di là del fatto che

piaccia o no ed esiste perchè esiste un sentimento di Comunità, esistono norme di

comportamento, Valori caratterizzanti, usi, struttura sociale, linguaggio ed Arte;

esiste una STORIA dei Sordi che è patrimonio di tutta l’Umanità.

Smettiamola di innescare crociate e guerre ideologiche che non portano da

nessuna parte, i percorsi educativo/riabilitativi sono possibili e alternativi, il Gens

chiede RISPETTO, LIBERTA DI SCELTA, CHIEDE CHE IL

RICONOSCIMENTO DELLA LINGUA DEI SEGNI ITALIANA POSSA

ESSERE STRUMENTO LEGITTIMO DI PIENA CITTADINANZA PER LE

PERSONE SORDE NELLA SCUOLA, NEL LAVORO, NELLA

FORMAZIONE, NEI MEDIA, IN POLITICA! CHE I CITTADINI SORDI SI

SENTANO LIBERI DI VIVERE COME TUTTI e non "cloni" di modelli

stereotipati!

La nostra rivendicazione è il RICONOSCIMENTO DELLA LINGUA DEI

SEGNI per chiacchierare con gli amici, per andare a ballare, per esserci nella vita

della comunità, per prendere decisioni politiche, per decidere della nostra qualità

della vita, per amare e per dissentire, nel rispetto delle differenze che sono

RISORSA e ricchezza per ciascuno e per l'intero Paese. Infine BASTA

CONSIDERARE LA SORDITA' COME MALATTIA E IL SORDO COME

PERSONA DA CURARE!

Ida Collu, sorda profonda dall' età di cinque anni, Presidente Nazionale dell’ ENS

La risposta del Ministro Ferrero all'intervista di Stefano Carreda su Il Manifesto

del 31 marzo 2007.

"Oggi siamo impegnati nel tentativo disporre un disegno di legge sulla questione

della lingua dei segni (Lis), un argomento sul quale non sono mancate le

polemiche anche fra le stesse associazioni. Deve essere chiaro che per noi la Lis

non deve affatto sostituire le politiche che puntano a rimuovere il problema

all'origine. Vogliamo cioè che il ddl sia in grado da un lato di valorizzare tutti gli

elementi possibili di educazione che possano permettere il raggiungimento di una

comunicazione verbale (sopratutto nel bambino, che deve essere aiutato giù in età

precoce), e dall'altro che si riconosca ufficialmente anche la Lingua dei Segni. Ci

sembra questo in modo corretto per affrontare la questione" -

Fonte: Il Manifesto

La solita storia!

Il conflitto del "pro" e "contro" della lingua dei segni nell'attività didattica e

pedagogica speciale non é una novità per il mondo dei Sordi.

Da quella decisione in poi la Comunità Sorda continua ad usarsi la propria lingua

difendendo, fino all'ultimo osso, tutto il suo patrimonio culturale, linguistico e

storico. Leggiamo, fra l'altro, l'articolo dell'Educatore dei Sordi Prof. Arrigo

Saggion.

Solita storia perché è da secoli che si polemizza sul metodo da usare per i nostri

ragazzi sordi: se quello orale o quello dei gesti. Roba vecchia: se ne parlava già

nel ‘600. Oggi l’evoluzione, il progresso tecnico, lo sviluppo sociale ha portato

qualcosa di nuovo? Direi di sì. Almeno una maggior apertura di colloquio, di

sensibilità verso i fratelli sordi. A questa apertura deve corrispondere un più

doveroso impegno da parte dei giovani sordi per affrontare la società che ora più

di allora s’interessa di loro. Il lavoro, le comunicazioni, le situazioni varie della

vita devono impegnare di più e facilitare questa comprensione e l’inserimento

sociale.

Un mezzo utile per questo inserimento è la lettura labiale: il sordo deve trovare

facile leggere sulle labbra degli altri, come sulle pagine d’un libro. Lo sforzo oggi

di questa lettura labiale è tanto più necessario quanto più la vita e la società si

aprono ad accogliere il sordo. Non si può pretendere che gli udenti imparino i gesti

dei sordi, anche se la trasmissione televisiva del martedì ha suscitato un certo

interesse per questi simboli tracciati nell’aria, Molto più utile sarebbe invece una

trasmissione con le didascalie, come avviene facile per il sordo abituarsi ai

movimenti labiali degli amici, delle persone che incontra, con le quali può parlare,

colloquiare con una certa bravura.

A questo proposito è anche da tener presente i rovinosi effetti grammaticali,

sintattici, stilistici e lessicali che reca con sé la mimica.

Essa uccide la grammatica, non coniuga un verbo; non ha punteggiatura, ha gesti

uguali per parole spesso anche differenti. I sordi devono usare del gesto come un

grande amico della parola, ma non un amico insostituibile, non un amico unico.

L’utilità del gesto tra i sordi è stata sempre dimostrata in vari congressi anche

internazionali. Ma si tenga presente, e con ragione, che le due forme di espressioni

sono inscindibili. La parola però esprime il pensiero, il gesto lo commenta. Il gesto

non deve mai sostituire la parola. Sono due amici, la parola e il gesto che vanno

benissimo d’accordo, ma il gesto che ha sempre bisogno della parola. Essi sono

fenomeni sincronici, concomitanti e spesso espressione anche del carattere. Le

persone loquaci gesticolano di più, quelli silenziose di meno. Ma imparino i nostri

giovani sordi a parlare di più. E’ il consiglio che io do sempre a loro: amici,

parlate. Oggi in un mondo dove le chiacchiere sono perfino troppe, almeno

servano ai nostri fratelli sordi per esprimere una parola più assennata e precisa.

Mi fa sempre ridere l’aneddoto riportato da una rivista australiana dei sordi.

Durante un viaggio della Regina Elisabetta d’Inghilterra in Australia, fu

programmata una visita ad un Istituto i sordi. C’era un’afa terribile e tutti si

stringevano attorno alla Regina per salutarla e stringerle la mano. Il duca Filippo,

marito della regina, sempre premuroso ed attento, notò che la regina sembrava

stancarsi. Le si fece vicino e le bisbigliò qualcosa all’orecchio. Immediatamente,

con meraviglia del duca e imbarazzo della regina, tutti i giovani sordi scoppiarono

in una sonora risata. Il duca Filippo aveva dimenticato che i giovani sordi erano

abilissimi nel leggere sulle labbra e avevano perfettamente capito quello che aveva

bisbigliato all’orecchio della regina: «Avanti, patatina, scuotiti e prendi un’aria un

po’ più energica!»

La parola e la lettura labiale per voi amici sordi, sono un mezzo insostituibile,

sono tesori preziosissimi che vi arricchiranno di coraggio e di personalità. Fonte:

La Settimana del Sordo, 1976. - nw220 (2007)”63

Il primo capitolo dimostra che la storia dell’educazione dei sordi è nata dalle

ricerche mediche che vengono compiute attualmente relativamente all’argomento

sordità, riabilitazione educativa, la comunicazione dei sordi, la comunità sorda, la

scuola speciale, la lingua naturale e la nascita della comunità sorda.

Parleremo in modo approfondito nei seguenti capitoli del presente lavoro

soprattutto della condizione dei sordi che di solito venivano trattati come

handicappati, una posizione svantaggiata causata dal deficit sensoriale per cui il

soggetto non riesce ad avere un ruolo normale e ad essere integrato nella società:

come dice il famoso antropologo francese, Mottez B - 1979, “…..sono due facce

della stessa realtà. Il primo rimanda all’aspetto fisico, il secondo all’aspetto

sociale”. Si intende che in generale la società e il soggetto si mettono l’uno di

fronte all’altro purtroppo la società non trova il percorso giusto per rapportarsi al

soggetto con deficit sensoriale e di conseguenza quest’ultimo non riesce a creare il

collegamento.

63 Newsletter della Storia dei Sordi n.220 del 6 aprile 2007.

Ma parleremo anche di quelle esperienze in cui i sordi non venivano trattati come

disabili con deficit uditivo grazie alle ricerche sulla lingua dei segni, lingua

naturale della comunità sorda.

PARTE SECONDA

Il bambino sordo nella società italiana

1 CAPITOLO

EDUCAZIONE BILINGUE DEL BAMBINO SORDO

1.1 Sordità

“L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization,

2001) ha definito la sordità o ipoacusia un’acuità uditiva tale da non consentire

all’individuo di apprendere una lingua verbale, di partecipare alle attività tipiche

della sua età, di trarre profitto all’insegnamento scolastico. Rispetto all’eziologia,

l’ipoacusia può avere una causa genetica o ereditaria, può derivare da una

sofferenza del feto o dell’embrione nella fase di vita prenatale, da una serie di

complicazioni dovute alla nascita prematura o, più genericamente, a condizioni di

sofferenza perinatale, da patologie traumatiche, tossiche o infettive successive alla

nascita”64.

In questi ultimi anni la popolazione sorda si è ritrovata al centro di una

notorietà imprevista che ha determinato una vasta diffusione di informazioni

precedentemente riservate solo agli addetti ai lavori. E’ sorto il problema di

stabilire una terminologia adeguata per discorrere della questione sordità nell’era

del “politicamente corretto”. I termini sordo e sordità sono spesso oggetto di

correzione e pertanto il sordo è definito minorato dell’udito, non udente,

audioleso, ipoacusico, portatore di deficit uditivo ecc, mentre la sordità diventa

minorazione uditiva, audiolesione, anacusia, otologopatia ecc… Un altro termine

spesso usato per indicare le persone sorde è sordomuto, ma non può essere

considerato un sinonimo dei primi. Questa denominazione, infatti, risulta

imprecisa e può generare degli equivoci in chi non possiede competenze

specifiche. Essa suggerisce un impedimento oltre che dell’udito anche della

parola, ma in realtà il soggetto sordo, con un’adeguata terapia riabilitativa, può

imparare a programmare l’emissione della propria voce e quindi a parlare.

Il termine sordomuto è però ancora in uso nel sistema normativo italiano per il

64 Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006.

quale si considera sordomuto il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità

congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale

apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura

esclusivamente psicologica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di

servizio. ( art. 1 legge 381).

Recentemente il ministero del welfare ha stabilito che il termine sordomuto venga

sostituito da sordo preverbale nei documenti pubblici.

L’Ente Nazionale Sordi ( ENS) ritenendo che l’aggettivo preverbale descriva una

qualità inarrivabile per chi è al margine della società dei verbali, crede che il

termine “sordo prelinguale” rappresenti efficacemente la condizione delle persone

sorde in quanto fa preciso riferimento all’apprendimento del linguaggio che è

conseguenza del deficit.

“ I sordi, in quanto tali, preferiscono essere chiamati solo sordi”.

Spesso con il termine sordità si è portati ad indicare sia il deficit che l’handicap,

ma c’è una differenza sostanziale tra queste due accezioni:

- il deficit ( che in questo caso è la perdita uditiva ) è la mancanza o insufficienza

di una determinata dimensione sensoriale. Tutti i deficit sono misurabili con prove

oggettive che registrano la diminuzione di prestazioni conseguente a una lesione o

a una disfunzione;

la disabilità ( che nello specifico è l’ impossibilità di percepire e codificare i

suoni, in particolare quelli della voce e quindi capacità verbo- vocale

compromessa ) rimanda alle implicazioni socio-psicologiche del deficit e non è

misurabile oggettivamente. Una lesione si traduce in disabilità che comporta uno

o più handicap, la cui gravità è legata al valore che la cultura dominante

attribuisce all’abilità carente.

L’handicap è rappresentato da tutte quelle barriere che ostacolano la piena

integrazione sociale dell’individuo. E’ l’insieme delle situazioni e dei limiti che

causano l’esclusione. Nel caso della sordità si parla di BARRIERE DELLA

COMUNICAZIONE che impediscono la reale integrazione sociale, scolastica e

lavorativa delle persone sorde.

La sordità è la riduzione più o meno grave dell’udito. Dal punto di vista

clinico si distinguono diversi gradi di sordità diversamente correlati alla

possibilità di percepire i suoni linguistici e di sfruttare i residui acustici attraverso

l’uso delle protesi. In base ad una convenzione stabilita dal Bureau International

d’Audiophonologie si distinguono quattro gradi di sordità in base al grado di

perdita uditiva espresso in decibel (db)65:

- sordità lieve: con una perdita uditiva compresa fra 20 e 40 db;

- sordità media: con una perdita uditiva compresa fra 40 e 70 db;

- sordità grave: con una perdita uditiva compresa fra 70 e 90 db;

- sordità profonda: con una perdita uditiva uguale o superiore a 90 db.

Ulteriori distinzioni vengono operate nell'ambito della sordità profonda:

• 1° gruppo – sordità con curva pantonale che abbraccia tutte le frequenze fra i 125

e i 4000 Hertz all’intensità di 90 decibel;

• 2° gruppo - sordità con curva dai 125 ai 2000 Hertz all’intensità uguale o

maggiore di 90 decibel;

• 3°gruppo - sordità con curva detta a virgola dai 125 ai 1000 Hertz a intensità

maggiore di 90 decibel.

In generale si può affermare che una perdita uditiva oltre i 90 db impedisce,

anche con l'ausilio delle protesi, una corretta percezione delle parole (Favia,

Maragna, 1995). Le cause della sordità sono ancora oggi uno degli aspetti meno

chiari della diagnosi: questa incertezza è determinata dalla varietà di fattori che

possono causare la sordità. Le cause possono comunque essere distinte in due

grandi aree: le sordità congenite (insorte prima della nascita – cioè prenatali –, o

insorte dopo la nascita – postnatali – in quanto sordità genetiche progressive) e le

sordità acquisite (insorte al momento della nascita – cioè perinatali o neonatali – o

in seguito alla nascita – cioè postnatali).

Sordità prenatali:

- ereditarie: non si manifestano necessariamente alla nascita, infatti, in molti casi,

65 Dal punto di vista clinico la sordità è "la privazione, totale o parziale, della capacità di percezione dei suoni nel tempo" (Favia, Maragna, 1995, p. 277). Esistono diverse classificazioni della sordità costruite in base a diversi criteri: dal punto di vista topografico possiamo distinguere fra: sordità periferiche, dovute a lesioni del sistema di trasmissione del suono (sordità trasmissive), del sistema di percezione del suono (sordità neurosensoriali), o di entrambi (sordità miste); sordità centrali, dovute a lesioni delle vie nervose uditive che collegano i centri cocleari con le aree corticali.

sono di natura progressiva ovvero la perdita uditiva peggiora con il passare del

tempo.

- acquisite: malformazioni congenite, malformazioni tossiche (farmaci, tossici

endogeni), malformazioni endocrine-dismetaboliche (diabete, ipotiroidismo),

malformazioni infettive (sifilide, toxoplasmosi, virali).

Sordità perinatali: traumi ostetrici, ittero, ipossia, prematurità, anossia.

Sordità postnatali: sordità ereditarie e genetiche progressive, traumi cranici,

malattie infettive (otite media, meningite, encefalite, parotite, morbillo,

toxoplasmosi), intossicazioni da farmaci, malattie dell’orecchio medio

(perforazione della membrana timpanica, otosclerosi).

La percentuale di bambini che nascono sordi o lo diventano prima di

imparare il linguaggio è 1/1000 e la sordità ereditaria sembra rappresentare circa il

50% dei casi, anche se all’interno di questa vanno distinti due gruppi: le sordità

non sindromiche recessive, cioè non associate ad altre patologie (70% dei casi) e

le sordità sindromiche legate a specifiche patologie di cui la perdita dell’udito è

solo uno dei sintomi (30% dei casi).

In base al momento dell’insorgenza della sordità e della possibilità

quindi di acquisire spontaneamente una lingua vocale, si procede con un’ulteriore

classificazione:

Sordità prelinguali: presenti alla nascita o insorte precocemente, cioè prima dei 18

mesi (ovvero prima dell’acquisizione spontanea della lingua parlata).

Sordità perlinguali: acquisite fra i 18 e i 36 mesi d’età.

Sordità postlinguali: acquisite dopo i 36 mesi (ovvero dopo aver acquisito

spontaneamente la lingua parlata).

Oltre al grado, alle cause e all’età in cui insorge la sordità, vi sono altri

fattori che la rendono un fenomeno molto eterogeneo. Uno di questi è l’età della

prima diagnosi: in Italia, attualmente, l’età media della prima diagnosi varia dai

19 ai 36 mesi (Maragna 2000). Nonostante quindi le diagnosi vengano fatte

spesso in tempi non brevi, sarebbe invece essenziale che fossero quanto più

precoci possibile, perché questo consentirebbe un intervento tempestivo e perché,

come sostengono alcuni autori, “le strutture cerebrali deputate all’elaborazione

dell’informazione uditiva raggiungono un adeguato sviluppo solo se prima

dell’ottavo mese di vita avviene una sufficiente stimolazione bineurale

dell’organo uditivo” (De Capua et al., 1999). Il problema della diagnosi vale

soprattutto per le famiglie udenti per le quali la sordità non è un evento atteso o

prevedibile e che quindi può rimanere nascosto fino a quando non si manifestano i

primi segnali di un ritardo linguistico (Caselli et al., 1994). Sempre per queste

famiglie si è vista inoltre l’importanza del modo in cui viene comunicata la notizia

di sordità del figlio dal personale medico, se il bambino è primogenito o meno, la

personalità dei genitori, l’unità di coppia e il sostegno della famiglia allargata.

Un altro fattore che rende la sordità un fenomeno eterogeneo è l’età della

protesizzazione: le protesi sono dei dispositivi di amplificazione che consentono

di sfruttare, in misura minore o maggiore a seconda del grado di sordità, i

cosiddetti residui acustici nell'ambito di un processo educativo. Le protesi più

moderne sono di tipo digitale ovvero possono essere regolate in modo più preciso,

possono ridurre i rumori di fondo, offrono una maggiore fedeltà nella

riproduzione del suono e hanno un microfono direzionale che diminuisce i fastidi

dovuti a suoni troppo intensi perché aumenta la selettività spaziale dell’ascolto.

Oggi si tende a protesizzare sin dai primi mesi di vita (4-6 mesi) perché il periodo

di maggiore plasticità cerebrale è da 0 a 3 anni, con un picco intorno all’anno e

mezzo. I residui sono utilizzabili per avere accesso alla lingua parlata quando la

perdita uditiva non supera gli 85 db. Circa l'uso delle protesi nei casi di sordità

profonda esistono posizioni teoriche contrastanti (Favia, Maragna, 1995). La

protesizzazione costituisce una tappa importante nella vita di una persona sorda e

le sue implicazioni vanno ben al di là degli aspetti medici. Infatti, diversi fattori,

tra cui quelli di tipo psicologico, contribuiscono al successo e all'insuccesso della

protesizzazione. Oltre alle protesi tradizionali c’è oggi anche la possibilità

dell’impianto cocleare. Come dice Zaghis (1997): l’impianto cocleare può essere

molto semplicemente definito come un dispositivo elettronico in grado di

stimolare direttamente le fibre residue del nervo acustico in soggetti sordi

profondi che non traggono un soddisfacente beneficio dalle protesi acustiche

convenzionali. Il nervo, stimolato da questi segnali elettrici, invia il messaggio ai

centri corticali superiori per la percezione e la decodificazione. In altre parole

potremmo affermare che l’impianto cocleare si fa carico delle funzioni che una

chiocciola danneggiata non può più svolgere, trasmettendo direttamente il

messaggio sotto forma di impulsi elettrici alle strutture neurali retrocorticali. In

una concezione più ampia potremmo quindi parlare di chiocciola artificiale.

Nella pratica vi è dunque un microfono che viene agganciato al padiglione

auricolare; qui un elaboratore di suoni codifica i segnali provenienti dal microfono

e li invia all’antenna trasmettitrice; l’antenna, grazie ad un magnete, sta in

contatto con il cuoio capelluto: all’interno vi è un ricevitore-stimolatore che,

ricevuto il segnale dall’antenna, lo invia agli elettrodi inseriti nella chiocciola.

L’operazione di impianto cocleare è però solo il punto di partenza, infatti

l’intervento non dà la possibilità di sentire nello stesso modo in cui sentono gli

udenti e implica necessariamente una terapia logopedia. Per una scelta

consapevole fra le varie possibilità occorrerebbe che le famiglie fossero ben

informate sulla base di informazioni scientifiche ed equilibrate e non sulla base di

“quanto sentito in giro”, come ci mostra una ricerca di Minnini (1999) su un

campione di 227 partecipanti sordi. In sintesi i due aspetti più ricorrenti in Italia

emersi dalle interviste di Mennini sono: la scarsa informazione e le eccessive

aspettative circa l’impianto cocleare. Inoltre pochissimo si sa sui benefici o meno

dell’impianto per quanto riguarda le competenze linguistiche di bambini sordi:

sarebbe opportuno che venissero condotte delle ricerche in quest’area per

saggiarne i vantaggi e gli svantaggi.

Nel caso della sordità, l’handicap conseguente al deficit è l’impossibilità di

percepire e decodificare i suoni ambientali e quelli emessi dalla voce. Il noto

psicologo russo Lev Vygotskij sottolinea il fatto che per un bambino sordo, la

sordità rappresenta la normalità, e non una condizione di malattia: Egli avverte

l’handicap solo indirettamente o secondariamente, come risultato delle sue

esperienze sociali.

1.2 Apprendimento e linguaggio nel bambino sordo e nel bambino udente

“Normalmente ogni bambino può acquisire nella sua infanzia qualsiasi

lingua, a meno che non abbia problemi foniatrici, neurologici o di apprendimento.

E’ molto importante, tuttavia, non confondere una lingua con la comunicazione in

generale. I ricercatori linguistici hanno precisato che ogni lingua umana è uno

strumento di comunicazione doppiamente articolato e di carattere vocale. Tutte le

lingue umane utilizzano fondamentalmente il canale vocale-uditivo, prima di tutto

esse si parlano e si comprendono perché un parlante produce suoni particolari che

vengono percepiti dall’orecchio dell’ascoltatore. La doppia articolazione è quella

che le lingue utilizzano anche altre modalità di comunicazione, come ad esempio

la scrittura o il linguaggio gestuale. I due piani fondamentali di tutte le lingue

umane sono le parole, lingue formate da unità linguistiche dotate di significato

che possono combinarsi fra loro per formare un numero quasi infinito di frasi, e i

fonemi; ogni lingua ha un numero limitato di suoni che possono combinarsi fra

loro permettendo di formare tutte le parole di una data lingua ”66

Soltanto nella specie umana sembrano essersi sviluppate, nel corso

dell’evoluzione, le basi neurologiche che rendono possibile un’acquisizione

spontanea delle lingue. Il bambino ha un ruolo attivo nel processo di

apprendimento del linguaggio, portando come suo contributo una serie di

potenzialità e di modi di analisi e di elaborazione degli elementi linguistici:

affinché il bambino possa esprimere le sue potenzialità, però, occorre creare

intorno a lui un ambiente linguistico adeguato.

L’acquisizione del linguaggio procede per fasi che si succedono in un determinato

ordine e che vengono condivise dalla maggior parte dei bambini; non bisogna

comunque sottovalutare che tale successione è caratterizzata da fortissime

variazioni individuali che riguardano non solo i tempi, ma anche i modi e le

strategie di apprendimento.

Nel primo anno di vita il bambino udente compie una serie di sviluppi

indispensabili alla successiva acquisizione del linguaggio. Fin dalla nascita,

infatti, esercita i suoi organi fonoarticolatori tramite la tosse, i gorgoglii, il pianto

66 Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1996, ( pag 100 – 121).

e le vocalizzazioni; a 3 mesi, poi, i suoni diventano più simili a quelli linguistici:

il bambino impara ad ascoltare (la voce altrui diventa stimolo per le sue

vocalizzazioni) e controlla la sua attività fonoarticolatoria attraverso il feedback

acustico (ciò ha un importante valore motivazionale); verso i 6/7 mesi impara ad

imitare i modelli intonazionali degli adulti e si osserva una notevole diminuzione

nel numero e nella varietà dei suoni prodotti dal bambino; a 8/9 mesi iniziano le

lallazioni e gli indispensabili scambi vocali con l’adulto insegnano al bambino il

rispetto dell’alternanza di turno; infine a 9 mesi si osserva la comparsa della

comunicazione intenzionale (richiesta e denominazione): i gesti deittici (9/10

mesi) esprimono l’intenzione comunicativa del parlante, il referente di tale

comunicazione è dato interamente dal contesto in cui la comunicazione ha luogo;

con i gesti referenziali (dai 12 mesi), invece, il bambino dimostra di poter usare un

simbolo non verbale come significante di una certa realtà. Il significato viene

“convenzionalizzato” dal bambino e dai suoi interlocutori ed il suo contenuto

semantico non varia in conseguenza al variare del contesto. I gesti referenziali

prodotti dai bambini nascono come intenzioni di azioni piuttosto che come

imitazioni delle forme di oggetti; inizialmente compaiono in situazioni di routine

con l’adulto ma, progressivamente, si decontestualizzano fino ad arrivare ad

essere usati anche in assenza dei contesti particolari.

“Tabella 1. Competenze comunicative e linguistiche di un bambino in età precoce.”67 Età Comprensione Produzione

0-3 mesi Reagisce a rumori intensi Si calma quando sente la voce della mamma Sorride alla vista della mamma o di volti familiari

Piange quando ha fame o è in uno stato di malessere Borbotta, emette suoni gutturali, emette dei sospiri produce qualche suono di tipo vocalico

3-6 mesi Sussulta e piange a rumori intesi Interrompe l’attività in presenza di suoni o parole Localizza una fonte sonora

Emette sospiri, suoni gutturali, borbotta, lancia gridolini di gioia Piange in modo differenziato:

67 Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006, ( Cap. 1-2); Caselli M., Maragna S., Volterra V., Linguaggio e sordità. Gesti, segni e parole nello sviluppo e nell’educazione., Il Mulino, Bologna, 2006, (Cap. 3).

girando il capo, gira la testa verso il lato di provenienza del suono Si calma e si acquieta sentendo la voce della mamma Ride e si agita quando sente la musica Reagisce alla preparazione del biberon Inizia a comprendere alcune intonazioni (Es. complimenti)

dolore, disagio, fame, ecc… Produce suoni di tipo vocalico

6-9 mesi Cerca subito la sorgente dei suoni familiari sembra ascoltare la conversazione fra adulti e presta attenzione ai rumori Si diverte con giochi sonori Sembra riconoscere parole come: “papà”, “mamma” e “ciao” Riconosce e risponde al suo nome Sembra in grado di distinguere dalla voce intonazioni amichevoli o di rimprovero Incomincia a comprendere il “no”

Periodo della LALLAZIONE Gioca nel produrre suoni Imita “ciao” con la manina” Usa vocali simili a: “o” “u” Inizia a produrre qualche suono consonantico (“p”, “b”, “m”, e “mamma”)

9-12 mesi Gira la testa e le spalle verso la sorgente sonora Reagisce quando è chiamato per nome Reagisce a stimoli sonori familiari (es. telefono, campanello, ecc..) Comprende ordini semplici (es: “dammi la palla”) Sembra riconoscere il nome di alcuni oggetti comuni e dei componenti della famiglia Mostra interesse agli oggetti nel caso in cui vengono nominati

Periodo del GERGO Produce le prime parole (periodo di OLOFRASTICO: “la palla”, “voglio”, “dammi”, “gioco”, “compro”) Varia l’intonazione e l’intensità della voce Si diverte ad imitare suoni, sillabe, versi di animali, ecc. Incomincia a rispondere con vocalizzi se chiamato per nome Scuote appropriatamente la testa per significare “si” e “no” Ride molto, fa ciao, gioca a “batti batti le manine” Fa schioccare le labbra imitando il bacio

Riesce a produrre, oltre ai fonemi vocalici, anche i seguenti fonemi consonantici: “p”, “b”, “m”, “t”, “d”

12-18

mesi

Capisce “no”, qualche parola, brevi frasi e ordini semplici Comprende semplici richieste a cui può rispondere con cenni del capo Dà un giocatolo su richiesta Si muove ritmicamente al suono della musica Ama ascoltare brevi storie, filastrocche e canzoncine

Inizia la vera comunicazione Imita parole familiari Dice “mamma”, “papà”, e qualche parola, tenta di denominare gli oggetti Usa spesso il GERGO Ama riprodurre i suoni e i rumori degli oggetti (orologio, macchina, ecc..) e i versi degli animali a lui noti Parla anche da solo davanti allo specchio e ai giocattoli Riesce a pronunciare le seguenti consonanti: “m”, “n”, “p”, “b”, “t”, “c” (es. cane), “g” (es.gatto)

18-24

mesi

Su richiesta verbale sceglie e prende oggetti Indica alcune parti del corpo Comprende semplici richieste (“dov’è la palla”?), frasi elementari (“non c’è più palla”), ordini semplici (“prendi palla”) e il significato di molte parole Conosce l’idea di categoria (la mela è un alimento, il cane è un animale, ecc.) Comprende molte più parole di quelle che produc

Usa frasi di due parole (“pappa più”) Può usare una parola per esprimere più di un significato (“aua” può significare in relazione al contesto “voglio l’acqua” o “guarda l’acqua”) Usa ancora il GERGO Dice almeno 50 parole anche se non perfettamente articolate Produce quasi esclusivamente parole di due sillabe Il linguaggio è poco comprensibile agli estranei Riesce a pronunciare i seguenti fonemi: “m”, “n”, “p”, “b”, “t”,“f“, „v“ “c” (es. cane), “g” (es.gatto)

24-30

mesi

Su richiesta verbale sceglie un oggetto da un gruppo di 5 oggetti Comincia a comprendere la differenza tra “tu” e “io” Indica su comando diverse parti del corpo Comprende molte frasi complesse

Usa frasi di due – tra parole; Usa frasi negative di due parole Ripete frasi e parole che ha sentito dall’adulto anche se non le comprende completamente Smette di usare il GERGO

Si diverte ad ascoltare semplici storie illustrate

Comincia a chiedere “che cos’è questo”, “cos’è quello?”, “dov’è?”, ecc.. Usa almeno 100 o più parole e aumenta la capacità di produrre parole con più di due sillabe Incomincia ad usare aggettivi, avverbi, pronomi e preposizioni Comincia a usare una costruzione grammaticale infantile (“ho aprito”, “cosa facete”, ecc.) Comincia a pronunciare i seguenti fonemi “m”, “n”, “p”, “b”, “t”,”d”,“f“, „v“, “l”, “s”, “c” (es. cane), “g” (es.gatto)

30-36

mesi

Sembra comprendere la maggior parte di quello che gli viene detto Comincia a comprendere parole come: dentro, sotto, sopra,ecc. Comincia ad identificare gli oggetti dall’uso Attribuisce significato ai numeri

Usa frasi di tre-quattro parole, omettendo ancora le parti grammaticali del discorso come: articoli, preposizioni e verbi ausiliari Incomincia a denominare i colori Incomincia a usare “io” al posto di “me” Incomincia ad articolare le parole in modo esagerato Riesce a pronunciare i seguenti fonemi “m”, “n”, “p”, “b”, “t”,”d”,“f“, „v“, “l”, “s”, “c” (es. cane), “g” (es.gatto) “ci”, “gi”, “z” Periodo della DISFLUENZA: capacità di differenziare la comprensione e la produzione

3-4 anni Comprende una semplice storia Esegue due istruzioni correlate Comprende il concetto di tempo Localizza la sorgente sonora di un suono o di un rumore Incomincia a capire frasi con preposizioni

Si esprime con frasi complete di tre o quattro parole Usa i verbi nei tempi presente e passato Usa i verbi semplici, pronomi, preposizioni, aggettivi Sa ripetere filastrocche e

Conosce il nome di diversi colori Raggruppa semplici oggetti

canzoncine Sa riferire una storia o riformulare un pensiero a qualcuno Parla spesso da solo Chiede spesso “cos’è” anche se conosce già la risposta Ha un vocabolario di quasi mille parole Riesce a pronunciare i seguenti fonemi; “m”, “n”, “p”, “b”, “t”,”d”,“f“, „v“, “l”, “s”, “c” (es. cane), “g” (es.gatto), “r” “gl”, “gn”

4-5 anni Esegue gli ordini anche se gli oggetti non sono presenti Capisce “al mattino”, “il prossimo mese”, “ il prossimo anno”, ecc. Comprende i verbi al tempo passato, presente, futuro Conosce la differenza tra singolare e plurale Comprende “di lato”, “in mezzo”, “in basso”, ecc. Conosce l’uso di oggetti familiari: “prendi quella cosa che serve per pettinare” Conosce la maggior parte dei colori

Si esprime con frasi complete di quattro – cinque parole ed incomincia ad usare frasi complesse Usa il passato prossimo correttamente E’ in grado di raccontare una esperienza recente Chiede “perché” e “chi”? Chiede il significato delle parole; Gli piace denominare le cose che vede Incomincia a dire il “perché” esplicativo Il vocabolario si accresce di nuove parole Il vocabolario si accresce di nuove parole (circa 1.500 parole); Conta fino a cinque Riesce a pronunciare tutti i fonemi, mentre può risultare ancora difficoltosa la pronuncia di alcuni gruppi consonantici

5-6 anni Comprende la maggior parte di ciò che sente Esegue tre istruzioni date contemporaneamente Esegue tre istruzioni date

Si esprime con frasi di cinque – sei parole ed usa frasi anche complesse Usa i verbi nei tempi presente, passato e futuro

contemporaneamente Comprende concetti quali; in, sotto, sopra, di fronte a, dietro a, ecc.. Conosce i contrari di uso frequente Comincia a capire destra e sinistra Raggruppa in base a similarità e differenza Apprezza l’umorismo Si diverte ad ascoltare le favole Comprende il contenuto di alcuni programmi televisivi e segue la trama di una storia

Possiede una grammatica che si avvicina a quella degli adulti Il suo linguaggio è comprensibile agli estranei per più del 90% Pone molte domande Definisce gli oggetti per il loro uso e sa dire di che materiale sono fatti E’ in grado di continuare una conversazione se le parole non sono molto difficili Sa dare alcune definizioni e spiegazioni Conta fino a 10 Riesce a pronunciare correttamente tutti i fonemi con qualche possibile eccezione

Considerando ora il caso di bambini sordi esposti fin dalla nascita ad una lingua

visivo-gestuale, che si realizza quindi su un canale integro, si può affermare che

l’acquisizione di tale lingua avverrà in maniera spontanea e naturale ricalcando le

tappe e le età di acquisizione dei bambini udenti esposti alla lingua vocale (Caselli

et al., 1994). Nelle primissime fasi dello sviluppo comunicativo i bambini sordi

metteranno in atto dei comportamenti motori senza un’intenzione comunicativa.

Grazie all’interazione con il linguaggio adulto il bambino arriverà poi a produrre i

primi segnali comunicativi intenzionali chiamati gesti.

Tali segnali, come già detto in precedenza per i bambini udenti, sono strettamente

legati al contesto in cui la comunicazione ha luogo. Solo al termine del processo

di decontestualizzazione i gesti diverranno veri e propri simboli, ovvero segni. E'

possibile evidenziare alcuni errori caratteristici, nella produzione dei primi segni,

paragonabili a quelli di semplificazione fonologica dei bambini udenti (pappe

invece di scarpe). Questi errori sono di sostituzione di almeno uno dei parametri

formazionali del segno, con altri parametri più semplici da eseguire da un punto di

vista motorio: ad esempio nel segno macchina, il movimento alternato delle due

mani, viene spesso sostituito dai bambini piccoli con un movimento parallelo non-

alternato. Come avviene per le lingue parlate, anche per le lingue dei segni, il

periodo olofrastico (Caselli, 1994; Volterra, Caselli, 1986) è seguito da quello in

cui due o più simboli vengono prodotti nello stesso enunciato: si parlerà dunque di

comparsa della lingua dei segni. Questo passaggio dal segno singolo alla frase si

verifica circa a metà del secondo anno di vita, quando già il bambino possiede un

buon patrimonio lessicale che si sta rapidamente espandendo (Caselli, Volterra,

1994). Anche in questo caso, si assiste ad una sorta di trasformazione nella

composizione del vocabolario: nei primi enunciati di più segni compaiono, infatti,

consistentemente predicati che indicano azioni, possesso, qualità. Questo tipo di

apprendimento sembra dunque legato allo sviluppo di abilità concettuali ed è

relativamente indipendente dalla modalità in cui la lingua si realizza. In una prima

fase, anche il linguaggio di bambini che imparano una lingua dei segni si può

definire telegrafico: è solo fra i 2 anni e mezzo e i 3 anni che assistiamo ad una

progressiva acquisizione di aspetti morfologici, alcuni dei quali, analogamente a

quanto riportato per l’acquisizione della lingua parlata, compaiono saltuariamente

e non vengono padroneggiati, né usati con una certa frequenza prima dei 5 anni. Il

primo aspetto a venir padroneggiato è la flessione del verbo: questo viene

sistematicamente e correttamente accordato, nel luogo, con il nome-argomento a

partire dai 3 anni circa. Verso i 3 anni e mezzo, poi, inizia ad essere controllata la

distinzione fra nomi e verbi (ad esempio fra aereo e volare - con l’aereo o fra

sedia e sedersi). L’acquisizione della grammatica visuospaziale, invece, è un

processo lento che comincia intorno ai 2 anni e mezzo con l’acquisizione delle

flessioni spaziali del verbo, ma che continua ben oltre i 3 anni. Diversi marcatori

manuali e non manuali che segnalano l’accordo grammaticale non vengono ben

gestiti fino ai 6 anni (Pizzuto, 2002 b; Singleton e Supalla, 2003). Tali fasi sono

simili a quelle dei bambini udenti che acquisiscono una lingua parlata

morfologicamente complessa. Come avviene nell’acquisizione di molte lingue

parlate, i segni dei bambini esposti ad una lingua dei segni molto complessa da un

punto di vista morfosintattico sembrano, inizialmente, non riprodurre tale

complessità: i bambini attraversano infatti degli stadi di sviluppo caratterizzati da

un’omissione o non produzione di forme morfologiche, seguiti poi da una loro

produzione semplificata e parziale e, infine, da una progressiva e graduale

acquisizione che si protrae per diversi anni.

Riassumendo quanto detto finora, si può quindi affermare che, attraverso uno

stesso processo, sia i bambini udenti, sia quelli sordi, raggiungono le stesse fasi di

sviluppo linguistico, alla stessa età, indipendentemente dalla modalità in cui la

lingua a cui sono esposti si realizza. E’ importante sottolineare come ci sia, di

fatto, un’equipotenzialità comunicativa fra la modalità verbale e quella gestuale

che, nelle fasi più precoci dello sviluppo linguistico, costituiscono un unico

sistema; in seguito, poi, i diversi contesti influenzeranno la scelta dell’una o

dell’altra modalità. Il contesto in cui la comunicazione ha luogo influenza quindi

l’uso da parte del bambino di parole o gesti: lo input nell’interazione bambino-

adulto diviene dunque discriminante per il successivo prevalere della modalità

vocale o segnica. Molto diverso è il caso di quei bambini che nascono sordi da

genitori udenti (95% dei casi). Questi bambini non sono esposti, a causa del loro

deficit, alla lingua parlata nell’ambiente, né possono acquisire spontaneamente la

lingua dei segni poiché questa non è usata in famiglia. Alcuni autori si sono

interessati al ruolo dello input nello sviluppo linguistico dei bambini sordi, non

esposti ad una lingua dei segni, analizzando le loro produzioni gestuali (Goldin-

Meadow, Feldman, 1979; Goldin-Meadow, Mylander, 1984; Goldin-Meadow,

Morford, 1985; Volterra, Beronesi, Massoni, 1994). Queste ricerche hanno

mostrato che i bambini sviluppano ed usano un sistema gestuale che esprime

molte delle funzioni comunicative, semantiche e pragmatiche, tipicamente

presenti nel linguaggio di bambini esposti ad una lingua, in condizioni normali.

Tali strutture linguistiche utilizzate da questi bambini sono più “complesse”

rispetto a quelle usate da bambini udenti non segnanti, ma più “semplici” se

confrontate con i segni dei bambini sordi e con le parole di quelli udenti

rispettivamente esposti ad una lingua dei segni e ad una lingua parlata. Inoltre i

bambini sordi non esposti ad uno input in segni, sono in grado di combinare fra

loro due o più gesti rappresentativi (contrariamente a quanto avviene per i

bambini udenti), ma questa abilità compare quando la loro età cronologica è molto

più avanzata rispetto a quella in cui bambini esposti ad una lingua a tutti gli effetti

producono le prime combinazioni di segni o parole.

L’acquisizione della lingua vocale da parte di un bambino sordo, invece, non è

mai spontanea e avviene in modo artificiale grazie ad un insegnamento specifico e

formale e alla terapia logopedia. Alcune variabili di grande importanza possono

favorire lo sviluppo del linguaggio vocale: una diagnosi precoce, il supporto di un

programma di educazione al linguaggio, protesi efficaci. In ogni caso, anche con

questi interventi, l’acquisizione della lingua parlata procede con un notevole

ritardo. Le prime parole possono non comparire fino a 2/3 anni, lo sviluppo del

vocabolario procede ad un ritmo molto lento, le frasi a 2 o più parole possono non

presentarsi fino ai 4/5 anni e l’acquisizione di aspetti morfologici e grammaticali è

altrettanto tardivo e può restare incompleto.

Per quanto riguarda quindi i bambini sordi con genitori sordi ci può essere

acquisizione spontanea della LIS (se i genitori sono segnanti), ma non ci può

essere acquisizione spontanea dell’italiano; per i bambini sordi figli di genitori

udenti, invece, non ci può essere acquisizione spontanea né della LIS, né

dell’italiano (a meno che non vengano presi provvedimenti in età precocissima

esponendo il bambino alla LIS grazie ad un adulto sordo segnante nativo,

preferibilmente significativo nella relazione con il bambino).

E’ importante distinguere l’età in cui si è manifestata la sordità, perché è

strettamente collegata col tipo di linguaggio raggiunto. E’ logico che una persona

non nata sorda, magari diventata sorda dopo i 6 anni, dichiari che il bambino

sordo deve stare con gli altri bambini ma che deve imparare prima a ‘parlare’. La

sua giustificazione è dovuta alla propria esperienza personale e al fatto che ha

soltanto notato nella classe la differenza di stare con i bambini sordi,

dimenticando che il passo principale verso la comunicazione e l’interazione

sociale è quello di possedere una competenza linguistica.

Praticamente si dice che più tardi si perde l’udito più è facile l’educazione del

sordo. Ovviamente, se il sordo ha perso l’udito dopo i 4-5 anni, ciò significa che

ha avuto la possibilità di crearsi già una competenza linguistica verbale e quindi,

in questi casi il compito degli insegnanti è in gran parte quello di ‘mantenere’ il

linguaggio verbale. Questo termine di ‘rieducazione’, tanto caro agli educatori, è

in realtà del tutto inappropriato nel caso dei bambini nati o diventati sordi prima

dei due anni. Poiché questi bambini non hanno ricevuto uno input linguistico, non

c’è nulla da ‘rieducare’ ma tutto da ‘educare’; soprattutto va creata in loro, il più

precocemente possibile, una competenza linguistica ‘naturale’ che noti si è poteva

sviluppare.

Quindi i sordi dalla nascita o divenuti tali entro i 2 anni hanno il diritto di

conoscere e ‘vedere’ la lingua dei segni e successivamente di conoscere la Lingua

italiana scritta e parlata. Nel valutare, però, il successo di un bambino sordo sul

piano dell’istruzione vanno presi in considerazione più elementi: la partecipazione

e il coinvolgimento della famiglia e la preparazione degli insegnanti di classe e di

sostegno e delle persone sorde.

Per quanto riguarda le persone sorde, invece, io ritengo che debbano avere un

maggiore coinvolgimento nel campo dell’educazione, sopratutto sul piano

professionale.

Non considero una lingua naturale, ad esempio, una forma di ‘segnato’

che segua l’ordine grammaticale della lingua italiana: il cosiddetto ‘italiano

segnato’ che io preferisco chiamare ‘italiano ingrandito’ perché l’italiano segnato

si utilizza quando l’attenzione è riferita sul contenuto della frase, sistema gestuale

che utilizza il lessico dei segni e la struttura della lingua italiana che ha per

l’obiettivo dell’insegnamento della lingua parlata e scritta (su questo vedi

Johonson, Liddell, Erting, 1991).

“Tabella 3. Confronto tra lo sviluppo comunicativo e linguistico di un

bambino udente esposto a una lingua parlata ed un bambino sordo esposto ad una

lingua dei segni.”68 Bambino udente Bambino sordo

Età (anni)

Comunicazione gestuale

Comunicazione vocale

Comunicazione gestuale

Comunicazione vocale

0,10/0,11 Gesti performativi Gesti referenziali Indicazione

Vocalizzi performativi Vocalizzi referenziali

Gesti performativi Indicazione Ind. + Gesti

68 Caselli M., Maragna S., Volterra V., Linguaggio e sordità. Gesti, segni e parole nello sviluppo e nell’educazione, Il Mulino, Bologna, 1994, (Cap 3).

perf. Gesti referenziali

1,0 Segni Gesto perf.: Gesto ref. Voc. Ref. + Segno: Parola indicazione

Parole Gesti referenziali: Indicazione + Segno Segni

1,1/1,2 Indicazione Segno Segni Ind.+Segno Ind. +

Parole + Parola

Segni Ind. + Segno

1,6 Segno +

Parole + Parola Parola + Parola

Segno + segno

Vorrei concludere citando la ricerca linguistica di Fabbro che dice di dover

distinguere, dal punto di vista neurolinguistico, tra l’acquisizione e

l’apprendimento di una lingua. “L’acquisizione di una lingua viene effettuata con

modalità naturali, in un ambiente informale, con il coinvolgimento soprattutto

della memoria implicita. Tutti i bambini acquisiscono la madrelingua attraverso

strategie informali. L’apprendimento di una lingua, invece si realizza con

modalità formali, cioè per regole, spesso in un ambiente istituzionale”69.

1.3 Bilinguismo e comunicazione

“Le definizioni del bilinguismo sono state numerose, varie e spesso

contrastanti. Il fatto è che il fenomeno bilingue come stato e come processo è di

tale complessità che non può essere ridotto ad una semplice definizione, né

compreso da una semplice descrizione. Il termine bilinguismo veniva applicato

indifferentemente prima degli anni ottanta, allo stato sia psicologico che sociale

della condizione bilingue. Dopo la distinzione apportata da Hamers e Blanc

(1983), “bilinguismo” conviene riservarlo al fenomeno sociale o societario, che ha

connotazioni alquanto più complesse soprattutto in ordine storico e politico. In

senso rigoroso, il termine dovrebbe essere ristretto ad una competenza consistente

nell’uso di “due” lingue. Solitamente quando si parla di bilinguismo ci si riferisce

69 Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio, Roma 1996, (Cap. 11).

a quel fenomeno per cui la persona è in grado di esprimersi correttamente in due

lingue concepite dalla comunità di appartenenza come socialmente distinte

(Benelli). Uno dei problemi principali relativi ad un’esaustiva definizione di

bilinguismo è quella della relazione esistente tra i due o più sistemi linguistici.

Definisce inoltre la personalità bilingue come la capacità di esprimere gli

stati ego dinamici attraverso le attività strategiche e tattiche codificate in più di

una lingua. Un individuo bilingue presenta, quindi, le seguenti caratteristiche:

1. È dotato della coscienza di possedere e di usare due o più lingue e di vivere

occasionalmente in due culture o essere identificato con due o più culture;

2. È, di regola, capace di pensare in due o più lingue diverse, di programmare e

controllare un messaggio in relazione ai diversi codici e alle situazioni che

variano;

3. È in grado di produrre i messaggi in due o più codici con una pronuncia

accettabile e di capire i messaggi in codici diversi senza notevoli difficoltà, o, nel

migliore dei casi, di parlare, scrivere, leggere con efficacia e padronanza.

E’ chiaro che queste caratteristiche sono formulate in modo relativistico: ad

esempio, esse possono essere poste su un continuum di gradi di livelli di

competenza. N. F. Mackey, ci fornisce diversi tipi di bilinguismo:

1. Gli individui che parlano due lingue correntemente, ma la cui lingua materna

continua ad esercitare un’influenza manifesta sull’uso e la pronuncia della

seconda lingua

2. Gli individui che parlano due lingue, ma nessuna delle due come un autoctono

3. Gli individui che possiedono le strutture ed il vocabolario di due lingue come

autoctoni, ma che ne pronunciano bene solo una

4. Gli individui che pronunciano alla perfezione due lingue, ma padroneggiano

solo parzialmente la grammatica di una delle due

5. Infine gli individui che padroneggiano un vocabolario ugualmente esteso in

due lingue, ma in campi molto diversi.

“Secondo Francois Grosjean, uno psicologo che insegna attualmente in

Svizzera, con un corso che risponde alla domanda “Chi è bilingue?”, un individuo

bilingue è in grado di operare una netta separazione fra i due sistemi linguistici

quando si esprime. Numerosi studi di linguistica e di psicologia del bilinguismo

hanno ritenuto utile di distinguere diversi tipi di bilinguismo (bilinguismo

compatto, coordinato o subordinato; bilinguismo precoce, o tardivo, acquisizione

adulta di una seconda lingua; bilinguismo bilanciato, bilinguismo dominante).

Alcune decine di anni fa sembrava che i bilingui fossero una rarità e attualmente

la prospettiva è cambiata completamente. Purtroppo in Italia ci sono poche

ricerche e in maggior parte le persone sono definite monolingui perché in genere

alla società italiana interessa più la vita di carriera politica ed accademica e non si

impegnano nell’educazione delle lingue e del linguaggio di cui si hanno

pregiudizi: sono nate così una serie di espressioni come lingua e idioma dialettale

che appartengono a una visione dicotomica dell’ideologia colonialista che ha

opposto parole come civilizzato a selvaggio, lingua a dialetto, popolo a tribù, ma

come ha sottolineato il linguista Louis J. Calvet “quello che chiamiamo dialetto

non è una lingua morta o sconfitta ma una lingua imposta in politica”. I rapporti

fra lingua e potere, dice l’altro linguista francese Claude Hagège, “..la lingua è un

bene politico. Qualsiasi politica della lingua fa il gioco del potere…perché l’unità

della lingua interessa al potere. La variazione lo disturba.” Conclusione

pragmatica che un soggetto è bilingue se conosce, comprende e parla: a) due

lingue, oppure b) due dialettali, oppure c) una lingua e un dialetto. ”70 La

comunicazione dei sordi è specialmente diversa da quella degli udenti perché la

comunicazione è visiva e nota sin dall’antichità, anche se le notizie su quello che

allora veniva chiamato linguaggio mimico o dei gesti sono molto frammentarie. Si

tratta di segni e non dei banali gesti o mimiche perché i segni avviene come le

parole che ognuno dei quali è assegnato uno o più significati. La comunicazione

visiva nasce la lingua dei segni che viene espresso con le mani, il volto e le

positure dalle spalle alla vite del corpo e percepito con la vista. La comunicazione

non verbale è un argomento poco diffuso e conosciuto in pubblico, alcuni

riferiscono l’emissione da parte di un individuo di un segnale che influenza il

comportamento di un altro individuo mentre gli altri affermano che ci sono le

differenze sostanziali di complessità con i diversi livelli. Lo scopo non è quello di 70Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio, Roma 1996, (Cap. 11).

determinare in preciso il termine della “comunicazione”, ma quello di conoscere

le distinzioni utili. Molti non sono accorti che il comportamento sociale è diverso

del comportamento comunicativo.

Innanzitutto vorrei specificare la differenza del sistema di comunicazione

tra l’animalità e l’umanità. I sistemi comunicazione dell’animale sono fatti in

genetica dipende anche la misura dell’apprendimento. L’uomo è una scimmia

nuda, la sua comunicazione verbale ha il contesto anche Cnv perciò riceve il

linguaggio, avendo il contesto astratto e idea metafisica cioè fuori scena. Potrebbe

dire comportamento religioso. Le azioni rituali che devono essere simbolizzazioni

di parole. Le idee verbali vengono per prima e poi le simbolizzazioni. La diversità

tra l’uomo e l’animale è la capacità di parlare.

“LINGUAGGIO umano, la sua qualità è l’organizzazione grammaticale

e non riguarda l’espressione verbale, viene appreso come la “lingua madre”.

L’antropologo Lyons John aveva fatto un forte significato su modello

dell’esperienza linguistica, dicendo che avendo il linguaggio dovrebbe conoscere

le due capacità: parlare e agire imparando dalla propria cultura, questi due atti

vengono costruiti a rapporto di reciproca dipendenza. Perché conoscendo solo il

modo di parlare e non i gesti adatto perciò non conosce la lingua. Questa cosa fa

in parte dell’area di “paralinguistica”.

NON-LINGUAGGIO umano sono azioni significative periferiche

rispetto all’azione linguistica”. La relazione tra l’ambito verbale e ambito non-

verbale è sempre unito che costituisce la grammatica organizzata. Perché ogni

individuo che conosce la lingua è capace di produrre e comprendere le sintassi

mai sentite o viste, l’interazione quotidiana collabora in continuo in sequenze di

comportamento comunicativo non-verbale, cercando di capire verso il pubblico e

capiscono anche senza esperienza vissuta. Grazie dallo stimolo, risposta e rinforzo

che aiuta a formare un sistema totale della lingua. I canali trasmessi all’uomo del

non-linguaggio possono essere: il suono, l’olfatto, il tatto, la vista, il gusto o il

ritmo combinazione. Nel linguaggio parlato ha importanza di contesto.”71

71. Hinde R. A, Le basi biologiche del comportamento sociale umano, Zanichelli, Bologna, 1993, sezione C – D (Cap. 9/10).

SEGNALI CULTURAMENTE STANDARIZZATE E SEGNALI

PECULIARI. I sistemi linguistici occupano la grammatica e la fonologia nello

studio linguistico, invece, il comportamento linguistico è un altro studio che fa

parte nell’antropologia sociale anche si occupa i sistemi culturali cioè insiemi di

regole e convenzioni normative. Il problema di reciprocità di relazione tra quello

convenzionale e normativo e quello normale è fondamentale.

Il tipo di messaggio tra il parlante e il ricevente ci sono almeno tre livelli che

hanno il problema comune di sequenze rituali tradizionalmente seguendo dal

contesto culturale:

Gli attori pensano quel che sta elaborando.

Le interpretazioni intuitive e personali dei riceventi.

L’interpretazione formale che dipende dalla capacità con cui l’antropologo

conduce un’analisi sintattica di tutta la struttura del procedimento.

Nel bambino bilingue è presente un’indipendenza del livello concettuale comune

ad entrambi i suoi sistemi linguistici, da quello semantico – lessicale

necessariamente diverso per ciascun linguaggio. La continuazione della

traduzione richiede continui movimenti mentali, dirigendo l’attenzione del

bambino sugli attributi concettuali degli oggetti o della situazione piuttosto che

sugli oggetti o sulle situazioni stesse. Questo favorisce il processo di

decentramento la cui funzione consiste nella risoluzione dell’interferenza a livello

strutturale del linguaggio che si sviluppa in un contesto bilingue:

• Maggiore capacità nell’analisi linguistica

• Maggiore sensibilità ai segnali di ritorno dalla struttura linguistica superficiale

e/o dal contesto verbale e situazionale

• Massimizzazione delle differenze strutturali delle lingue

• Neutralizzazione delle strutture all’interno di un linguaggio.

Questi quattro meccanismi, che si sviluppano in primo luogo per far fronte

all’ambiente bilingue, così, l’intera crescita cognitiva del bambino. Tutto questo

permette al bambino a comprendere la comunicazione degli altri e di capire

meglio i propri e gli altri errori. E’ stato dimostrato, infatti, che il bambino

bilingue presenta anche una maggiore sensibilità sociale, correlata non solo la

comunicazione verbale, ma anche a quella comunicazione non verbale, ad

esempio l’abilità ad interpretare espressioni facciali, gesti e intonazioni.

Le diversità, che il bambino riscontra continuamente all’interno del suo

ambiente culturale e sociale, lo costringono ad effettuare continue operazioni

mentali che possono favorire l’automatizzazione dei suoi comportamenti.

Gli autori, Yelland, Pollard, Mercuri 1993, dicevano che il fatto di essere

bilingue include la capacità di considerare la lingua come un oggetto di pensiero e

consente di coglierne i relativi benefici ed hanno analizzato in particolare la

relazione esistente tra acquisizione della lettura e consapevolezza semantica in

bambini bilingui (inglese – italiano) ”72.

“La comunicazione non verbale è un argomento poco diffuso e poco conosciuto in

pubblico, alcuni riferiscono l’emissione da parte di un individuo di un segnale che

influenza il comportamento di un altro individuo mentre gli altri affermano che ci

sono le differenze sostanziali di complessità con i diversi livelli. Lo scopo non è

quello di determinare in preciso il termine della “comunicazione”, ma quello di

conoscere le distinzioni utili. Molti non sono accordi che il comportamento

sociale è diverso del comportamento comunicativo.

L’utilizzo della Cnv per l’uomo da poter guidare la vita quotidiana dipende dalla

situazione sociale immediata, per sostenere la comunicazione verbale e

sostituirla.

Dividiamo in tre parti della definizione descritta in precedente per amplificare il

significato.

La prima parte della definizione: “Il controllo della situazione sociale

immediata”.

Atteggiamenti interpersonali: atteggiamento di superiore/inferiore e

disapprovazione/approvazione.

Stati emotivi: le persone che hanno diversi emozioni in comuni: ira, felice, ansia,

ecc. E’ difficile controllare questi stati emozionali ed è in grado di dimostrare

senza linguaggio.

72 Charbonnier M., Tesi “la comprensione della comunicazione non verbale nei bambini bilingui” – Dottorato di Ricerca in: Psicologia dello Sviluppo e dei Processi di Socializzazione – 31 gennaio 2008.

Autorappresentativa: informazioni su status, l’appartenenza ad un gruppo,

all’attività, alla personalità o alla disponibilità sessuale dell’individuo. Cioè può

ingannare l’apparenza della persona che ha l’abbigliamento in autorevole ma in

realtà non lo è.

La seconda parte: “l’effetto di sostegno della comunicazione verbale”.

Il linguaggio umano svolge una funzione centrale in maggior parte del

comportamento sociale ma molti non badano alla Cnv durante la conversazione.

Veramente la Cnv è importante per la conversazione dal parlante.

Ci sono tre tipi di Cnv del parlante: Cinesica, feedback e segnali d’attenzione.

Questi tre tipi servono per la buona conversazione e l’accordo di due persone, con

la distribuzione a turni durante il dialogo, lo stimolo per ottenere la risposta e

modificare in conseguenza quello che dice e sapere l’interesse degli altrui, il

rispetto in entrambi di continuare o di ritirare il discorso.

La terza parte: “sostituti della comunicazione verbale”

Il linguaggio dei segni che usano dai sordi, nei luoghi che è impossibile parlare: il

subacqueo, le radiotelevisive, ecc.

I sintomi nevrotici è una malattia di mente in cui viene usata di meno la lingua

parlata.

La percezione della comunicazione non verbale.

Ha quattro modi di interpretazione su attività cognitive da comprendere verso il

colore, la dimensione, ed altri.

• L’interpretazione della personalità: Gli individui sono diversi e sono trattati

in modi diversi dipende dalla categoria: sesso, età, la classe sociale, l’attività

svolta e i tratti della personalità. Questa categoria è necessaria per influire agli

altri di come trattare durante l’incontro. Utilizza anche per categorizzare

l’appartenenza ad una classe od una qualità della personalità.

• L’interpretazione delle emozioni: è necessario di avere l’informazione sullo

stato emozionale degli altri per rispettare.

• L’interpretazione degli atteggiamenti interpersonali: dà la possibilità di capire

su distinzioni tra atteggiamenti interpersonali ed emozioni. Se l’individuo è

ostile o amichevole seguendo dall’aspetto, dal tono di voce e dall’espressione

facciale.

• La percezione durante un’interazione in corso: visto che durante la

comunicazione verbale abbiamo bisogno di informazioni su reazioni altrui, per

trattare un feedback, per controllare i turni. Dipende dal tipo d’indizio,

soprattutto dall’apprendimento ricevuto dall’infanzia.

La CNV nell’interazione sociale:

Nell’interazione sociale vengono usate di segnali verbali e non-verbali che si

muovono in entrambi le direzioni. Ci sono tipi di comunicazione che si occupano

con Cvn :

• Sequenze di risposte: B produce una risposta simile a quelli A cioè

l’imitazione inconscia, ad esempio: quando A sorride anche B lo sorride.

Questo modo è utile per lo scambio con attenzione, ragionato o

tempestivamente su doni o inviti, governato dalle norme sociali relative a

diversi tipi di rapporti culturali. Rinforzo: prodotta risposta alle sequenze

effettuato di dovere nei seguenti segnali non-verbali significa che la

produzione del cenno del capo, di sorrisi, ecc

• Sequenze di risposte basata su capacità: ogni individuo che agisce a reciproco

ha dei scopi di raggiungere cioè costruire il comportamento altruismo ch’egli

desidera. Serve per dimostrare a B se è fastidioso il suo intervento quotidiano

così A dimostra qualche gesto o altro per far capire il suo pensiero nascosto a

B altrimenti la loro conversazione diventa ostile

• Processi di equilibro: è necessario di mantenere in equilibro perciò dovremo

coordinare il contenuto dell’interazione, le relazioni di ruolo, il grado di

intimità dell’incontro (caloroso o freddo), le relazioni di superiore/ inferiore

con il tono emotivo e rispetto di altruismo di domande e risposte e le relazioni

che dimostrano, la distribuzione dei tempi e la duratura degli interventi.

Questo coordinamento aiuta a risolvere il problem solvine di gruppo. Per poter

funzionare l’interazione sociale occorre fornire all’altro una dose sufficiente di

gratificazione che lo tengano impegnato nella situazione specifica e quello di

consentire una certa misura di sincronizzazione

Fonti di variazione della Cnv

Ci sono le interazioni in diversi contesti gruppi che hanno regole a differenze di

comportamento

FAMIGLIA

I genitori si uniscono e si spingono in motivazione sessuale, i piccoli seguono i

loro genitori per nutrimento e protezione che vengono socializzate da loro.

La famiglia è un insieme sociale, il comportamento e la relazione tra i membri del

insieme sono simili in tutte le culture. La loro interazione sociale è formata

d’intimità, aggressività, affettività, hanno maggiori contatti fisici, si conoscono tra

loro molto bene, ed ogni fatto è carico di significati e di associazioni.

IL GRUPPO DI LAVORO

Esistono a tutti umani e animali. Richiede di compiere i compiti con cooperazione

e capacità complementari, ci sono forme di soddisfazione sociale, luogo di ricca

comunicazione verbale e non-verbale a fini di pura socievolezza. La loro

interazione sociale è costituito da modi di lavorazione che opera come un segnale

per gli altri, in compiti guidati, l’aiuto, la guida attraverso il contatto fisico,

linguaggio gestuale per il silenzio da evitare il disturbo, le osservazioni non-

verbali sulle prestazioni lavorative, che favorisce non-verbali su messaggi verbali

(consigli)

GRUPPI DI AMICI

E’ un insieme umano, nessun attività particolare, ottiene una maggiore

autorappresentazione.

Differenze individuali nella Cnv.

Possono essere differenziate su individuali notando dal tipo di prossimità

preferita, l’uso dei movimenti del corpo e nel modo di guardare. Riguarda per

tutti, utilizza alla presente del variabile sull’uso di diversi tipi di situazione. Non

segue solo la personalità ma anche le regole governate da particolari situazioni,

diversità del sesso e dell’età che differenza molto.

Ci sono tre orientamenti principali che collegano ai tre principali tipi di funzionali

(la definizione) di Cnv umana:

• Evoluzione biologica

Lo schema di segnalazioni non-verbali e di comportamento sociale sono in corso

dell’evoluzione, in quanto riguarda alla sopravvivenza degli individui o dei

gruppi. Il comportamento sociale umano e quello animale hanno la somiglianza,

però ci sono due differenze: a) diverse culturali; b) l’uomo usa il linguaggio

invece l’animale no.

• Somiglianze e differenze interculturali tra movimenti espressivi

Nel 1872 Charles Darwin indicava alcune somiglianze nel comportamento

espressivo di uomini dotati di diversi culturali, quelle somiglianze

derivate dalle caratteristiche innate negli uomini ma questa ipotesi è

messa incerta. Ci sono casi registrati sui comportamenti sociali che non

lascia fossili per poter rilasciare un documento. Per questo ci ha

incoraggiato a mettere in atto un programma di documentazione

interculturale del comportamento espressivo umano. Lavorando con

materiali adatti che ci permettono di riprendere i soggetti non accorti della

presenza di cinepresa.

La ripresa disturba ai soggetti e perde la procedura naturale del loro

comportamento durante la loro vita sociale. È requisito fondamentale dettagliare

la valutazione in continuo dei documenti filmici raccolti ad ogni ripresa,

specificando in quale contesto ha avuto luogo ogni singolo schema e che cosa

hanno fatto le persone prima e dopo l’effettuazione della ripresa. Questo modo dà

un’analisi motivazione oggettiva. Potrebbe avere i dati raccolti in particolare di

somiglianze tra diverse culture. Un sì al contatto sociale, modo di approvazione di

una richiesta, è un significato universale, il colpo di “sopracciglia” compaia il

saluto in cui sono simili in culture diverse. Schemi di saluto, d’abbraccio e di

bacio sono comportamenti molto antichi e somiglianze principali. Usano anche gli

scimpanzé. Anche la timidezza, l’imbarazzo e del flirt. Ci sono differenze:

l’espressione del sì e del no che ci sono movimenti opposti tra i paesi del mondo.

Ad esempio: in Grecia, “si” il capo si muove in verticale come noi invece “no” la

persona porta indietro il capo con uno strattone e poi abbassa il volto con gli occhi

chiusi e le sopracciglia sollevate per un poco.

Il movimento del “no” ha luogo interculturale come gesto di rifiuto e non accordo

in un contesto sociale. Questi comportamenti espressivi sono trasmessi dalla

tradizione di ogni cultura, ricevuti durante l’infanzia dall’apprendimento, oppure

al fatto che sono innati. Anche i sordi e i ciechi ottengono con l’acquisizione di

informazione dalle espressioni del volto attraverso il tatto.

Le strutture neurotiche e motorie si sono sviluppate nel corso di un processo di

autodifferenziazione fondato sulla decodificazione di informazioni geneticamente

immagazzinate. Struttura percettiva dall’origine di figurine falliche con funzione

di protezione che presentano un genitale maschile e serve a favorire la distanza

cioè se un gruppo nemico si avvicina, la guardia ha un’erezione significa

un’esibizione dalla minaccia di montare, perciò i maschi diventano mercatori

territoriali. Questo compie una cultura diverse come esibizione aggressive.

Nell’uomo ha l’acquisizione di filogeneticamente (comprensione interculturale).

Anche i ciechi e i sordi dalla nascita ottengono l’adattamento filogenetico perciò

diciamo che alcuni comportamenti sociali e la comunicazione (alcuni modi) sono

innati nell’uomo.

1.4 Educazione bilingue del bambino in età prescolare

“Da tempo è stata, quindi, confermata l’esistenza di vantaggi nello sviluppo

cognitivo associati all’apprendimento, soprattutto se precoce, sistematico e

naturale, di una seconda lingua (L2). Dal punto di vista intellettuale, l’esperienza

del bilingue con due sistemi linguistici sembra dotarlo di una flessibilità mentale,

di una superiorità nella formazione dei concetti e di un insieme più diversificato di

abilità mentali. Al contrario il monolingue sembra avere una struttura di

intelligenza più unitaria che egli deve usare per ogni tipo di compito intellettuale

(Peal e Lambert, 1962:20). I principali vantaggi possono essere così riassumibili:

1. Maggiore flessibilità del pensiero, che sembra favorire anche gli aspetti

dell’intelligenza non verbale;

2. Conoscenza metalinguistica, definita in vari modi, quale la comprensione

della convenzionalità dei nomi;

3. Competenza pragmatica e sociolinguistica, ovvero una particolare

sensibilità ai bisogni dell’interlocutore, la precoce capacità di adattare la scelta del

codice linguistico alla lingua dell’interlocutore, negli scambi comunicativi. La

capacità di valutare l’adeguatezza o l’ambiguità del messaggio;

Le ragioni di questi vantaggi cognitivi sarebbero determinati da:

1. Necessità di maggiore analisi dello stimolo linguistico per rendersi

conto delle diverse strutture e regole, per il problema dell’interferenza tra i codici

(Ben-Zeev, 1977b).

2. Maggiore attenzione ai feed-back linguistici negli scambi, per capire la

correttezza o meno delle proprie espressioni (Ben-Zeev, 1977a, b);

3. Maggiore conoscenza linguistica e maggiore controllo dell’esecuzione

(Bialystock, 1988; 1992)

4. Maggiore controllo dell’attenzione selettiva nei confronti dello input

(linguistico 0 non linguistico) nei casi di informazione ambigue, distraenti o

contrastanti (Bialystock e Codd, 1977; Bialystock e Majumber, 1998).”73

In molti paesi del mondo il bilinguismo rappresenta la normale modalità di

comunicazione fra genti diverse. Ma al di là di queste comunità in cui la capacità

di comunicare perlomeno in due lingue è condizione indispensabile per svolgere

le normali funzioni sociali, l’apprendere una seconda lingua acquista ai nostri

giorni un’importanza molto maggiore che in passato. Mezzi di comunicazione

sempre più sofisticati favoriscono l’interazione fra i popoli di tutto il mondo e gli

scambi commerciali e culturali ci spingono a venire a contatto con le altre culture

ed i loro idiomi. Anche i bambini vengono coinvolti in questi mutamenti ed è a

loro che si deve pensare per tempo.

“Parlando di bilinguismo sostanzialmente ci si riferisce a quello

simultaneo, in cui la persona ha avuto un rapporto continuo e costante con due

lingue diverse fin dai primissimi anni di vita (generalmente prima dei tre anni), e a

quello consecutivo, in cui la persona acquisisce la seconda lingua quando già è

competente nella lingua madre. Non sempre i bambini cresciuti in una famiglia

73 Charbonnier M., Tesi “la comprensione della comunicazione non verbale nei bambini bilingui” – Dottorato di Ricerca in: Psicologia dello Sviluppo e dei Processi di Socializzazione – 31 gennaio 2008.

che adotta una comunicazione bilingue, (è il caso di bilingue simultaneo)

imparano due codici in maniera uguale.”74

“In generale, vengono poste le più frequenti domande a quelli interessati di

bilinguismo: quando e come un bambino potrebbe acquisire una seconda lingua.

Purtroppo non ci sono risposte definitive e sono state descritte quattro modalità:

a) Alcuni bambini acquisiscono le due lingue direttamente dalla famiglia che le

adopera entrambe volontariamente

b) Ogni genitore parla col figlio solo la propria lingua madre

c) Uso una sola lingua finché il bambino ha raggiunto una certa età, dai 3 a 6

anni, per acquisire la seconda lingua

d) Uso in famiglia la lingua madre dei genitori mentre i figli acquisiscono la

seconda lingua nella nazione in cui vivono, per esempio a scuola o situazioni

di vita extrafamiliari.

e) E’ impossibile definire una certa età migliore per diventare un bilingue e

comunemente è noto che più precoce è l’esposizione alle due lingue più facile

l’acquisizione e l’apprendimento.”75

“All’inizio della scuola materna, il bambino accede al linguaggio formale

costituendosi parte attiva nell’interazione con l’adulto e il coetaneo ed il

significato di una parola nasce proprio all’interno di queste “azioni condivise”. Il

bambino continua a comunicare in entrambe le lingue, è necessario che frequenti

parlanti di entrambi i codici linguistici, persone che lo comprendano solo se si

esprime nel loro idioma. Vale a dire che se sarà stimolato ad usare ogni

linguaggio nel suo ambiente, cioè all’interno di una situazione, il bambino non

perderà ma anzi migliorerà la competenza nelle due lingue. I concetti di

intenzionalità comunicativa, di azione condivisa e di contesto linguistico ed extra

linguistico, diventano parole chiave per la didattica di L2 o per esperienza di

educazione bilingue. “76

74 Ardito B., Mignosi E., Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non, La Nuova Italia, Firenze, 1995, (pag. 37). 75 Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio, Roma 1996, (pag. 120). 76 Ardito B., Mignosi E., Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non, La Nuova Italia, Firenze, 1995, (pag. 38).

1.5 La comunicazione ed educazione del bambino sordo in Italia

La conformazione dell’apparato vocale di un neonato è tale da non permettere di

parlare. Il bambino è capace solo di piangere, strepitare, sbavare, starnutire,

tossire. A sei mesi il bambino inizia a controllare volontariamente alcuni suoni.

Iniziano le lallazioni ( MA-MA-MA; DA-DA-DA). In seguito le lallazioni

diminuiscono e il bambino inizia sempre più a controllare il tono vocale. Ad 1

anno il bambino udente imita gli adulti udenti ed è a questo punto che la

differenza tra lo sviluppo di un bambino udente e lo sviluppo di un bambino sordo

diventa tangibile. Iniziano, per il bambino sordo, le prime difficoltà

nell’apprendimento del linguaggio vocale.

Chi nasce sordo o perde l’udito entro i due annidi vita non riesce ad imparare il

linguaggio perciò diventa, come si suole dire “ sordomuto “.

Questa parola ha creato una serie di equivoci in quanto ha portato l’immaginario

collettivo a credere che chi fosse sordo di conseguenza dovesse essere anche privo

di parola e quindi “muto”.

In realtà così non è. Salvo rare eccezioni, apparato fono- articolatorio dei bambini

che nascono sordi è integro così come è integra la loro “ facoltà di linguaggio,

che a causa del oro deficit non può “ entrare in funzione” così facilmente come

avviene nei bambini udenti. La facoltà di linguaggio è quella facoltà che permette

ad ogni bambino di imparare una lingua a patto di essere esposto ad essa. Essere

esposti ad una lingua significa udire e comunicare con l’ambiente circostante in

quella lingua.

Il problema del bambino sordo è proprio questo: non potendo udire la lingua

parlata. Intorno a sé, non può imitare i suoni dell’ambiente, non ha feedback

acustico sulle sue stesse produzioni e non può comunicare a pieno con coloro che

lo circondano. La sua facoltà di linguaggio subisce un arresto forzato. La vista

integra funge da canale sostitutivo nel trasmettere tutta quella parte di

comunicazione che viaggia su questa modalità .

Accade però che, dal momento che la lingua utilizzata nel contesto famigliare si

serve prevalentemente del canale acustico vocale, solo una parte molto ridotta di

messaggi comunicativi raggiunga il bambino sordo che, per lo più, resta escluso

dalla comunicazione linguistica con l’ambiente che lo circonda.

Le poche messaggi che gli giungono sono in realtà estremamente impoveriti e,

necessariamente, l’informazione si riduce. La competenza linguistica n italiano

dei soggetti sordi è, perciò, spesso compromessa sia a causa di uno input ridotto

sia per il ritardo di esposizione alla lingua.

I sordi però hanno trovato una via alternativa per realizzare la loro facoltà di

linguaggio. In sostituzione della mobilità acustica hanno scelto la mobilità visiva

per loro integra: al posto dei suoni vocalici e delle parole hanno intravisto la

possibilità di usare gesti manuali o segni per comunicare. La mobilità visivo

gestuale ha sostituito quella acustico-vocale.

Un bambino udente apprende con molta naturalezza a parlare, perché sin dalla

nascita si trova in un contesto che lo stimola ad udire, a ripetere, a rispondere

quando avrà acquisito le abilità necessarie.

Il bambino si trova esposto non al linguaggio a lui direttamente rivolto, ma anche

a quello, più complesso e ricco, che gli adulti usano tra loro in sua presenza.

D’altronde il modo di rivolgersi al bambino favorisce l’apprendimento del

linguaggio in bambini udenti. (MOTHERESE) A 24 mesi il bambino udente

possiede già un vocabolario di 300 parole, per la maggior parte acquisite verso la

fine del secondo anno d’ età.

Il mondo di esperienza della maggior parte dei bambini sordi è più limitato di

quello dei bambini senza problemi di udito, la loro interazione con il mondo

implicherà ruoli e limitazioni in parte diversi e queste differenze presenteranno un

insieme di implicazioni significative per lo sviluppo psicologico del bambino

sordo.

La perdita di udito di un bambino sordo può non influenzare le prime interazioni

con la madre nel caso in cui questa sia sorda i due possono condividere una

modalità comune di comunicazione. Tuttavia la medesima perdita dell’udito può

avere un impatto significativo quando la madre non è sorda e, come accade nella

maggior parte dei casi, non è consapevole dei problemi del figlio.

Oltre agli effetti diretti della sordità sull’udito e sul linguaggio, la perdita

dell’udito, comporta una varietà di conseguenze che influiscono sulle interazioni

dei bambini con l’ambiente. Il linguaggio svolge un ruolo centrale nello sviluppo

dei bambini normali e la sua importanza non può essere sottovalutata. Nel caso

dei sordi ogni strumento di comunicazione regolare e socialmente accettato può

efficace per il normale sviluppo quanto il linguaggio verbale.

La povertà uditiva non favorisce un pieno controllo dell’ambiente in cui

vive il sordo, il quale avrà scarsa e superficiale esperienza del mondo, rigidità

comportamentale rispetto alle norme sociali, inclinazione all’isolamento o

all’ostilità nei confronti della società. La deprivazione sensoriale uditiva

compromette, come aspetto più rilevante, il piano della comunicazione. Per

partecipare alla vita comunitaria ben presto il sordo impara a sviluppare

l’intelligenza visiva, che si avvale del linguaggio gestuale per comunicare, dopo

aver spesso trascorso vissuti di isolamento e di frustrazione. Il fatto di non sentire,

priva il soggetto dell’acquisizione spontanea del linguaggio verbale e

contestualmente può alterare, se non adeguatamente educato, la formazione degli

schemi di adattamento che assecondano la maturazione e lo sviluppo della

persona. Per questo, la costruzione dell’”IO” trova più difficoltà ad emergere e ad

organizzarsi. L’isolamento sensoriale diviene isolamento comunicativo con

conseguenze dirompenti sul comportamento, quali: l’irrequietezza, il disagio,

l’instabilità, l’ansia, la paura, l’incomunicabilità. La persona sorda, se non

usufruisce di interventi precoci, può rischiare di interiorizzare la realtà in modo

distorto. Il contatto e la conoscenza del mondo avviene, per il sordo,

prevalentemente attraverso la vista, che gli consente di prendere coscienza sia del

movimento, sia dell’appartenenza dell’oggetto all’ambiente.

Gli studi clinici indicano che dopo i 12 anni è molto difficile apprendere il

linguaggio; mentre l’età precoce per ottenere buoni risultati è tra 0 e 4 anni,

quando il bambino udente acquisisce le strutture fondamentali della lingua in cui

viene esposto.

Il recupero educativo rimane comunque il miglior metodo di integrazione

sociale, con una forte attenzione al senso di responsabilità da parte chi lo

circonda. Il recupero del sordo in tarda età è praticamente impossibile.

Nonostante   queste   analogie   è   ormai   unanime   l’opinione   che   il  

bambino   sordo,   per   potersi   inserire   nella   società   ed   acquisire   un   livello   di  

sviluppo  intellettivo  adeguato  all’età  debba  comunque  imparare  a  parlare.  

Il  linguaggio  vocale  è  il  mezzo  attraverso  cui  poter  comunicare  con  la  

maggior   parte   delle   persone;   è   indispensabile   per   inserirsi   nella   vita  

scolastica  e  lavorativa.  Studi  sull’acquisizione  del  linguaggio  orale  da  parte  di  

soggetti  non  udenti  hanno  evidenziato  che  l’insegnamento  del  linguaggio  dei  

segni  e  contemporaneamente  del  linguaggio  orale  facilita  l’apprendimento  di  

quest’ultimo,  oltre  a  favorire  lo  sviluppo  delle  capacità  intellettive  ed  una  più  

armonica   strutturazione   della   personalità.   In   una   ricerca,   condotta   su  

bambini   sordi   figli   di   genitori   udenti   e   non,   si   è   visto   che   le   prestazioni  

migliori  in  test  di  competenza  linguistica  erano  quelle  del  gruppo  dei  bambini  

nati   da   genitori   sordi   che   usavano   abitualmente   il   linguaggio   dei   segni   ed  

avevano   inoltre  una  buona   conoscenza  della   lingua  parlata   e   scritta.  Questi  

risultati  smentiscono  la  tesi  –  sostenuta  dagli  “oralisti”  più  intransigenti  –  che  

il  linguaggio  dei  segni,  considerato  più  semplice  e  comodo  da  usare  da  parte  

del   sordo,   costituirebbe   un   elemento   di   disturbo   per   l’apprendimento   del  

linguaggio  orale.  Fin  dall’inizio  del   trattamento  terapeutico  occorre  avere   le  

idee  ben  chiare  su  quale   linguaggio   il  bambino  debba  apprendere.  La  scelta  

dipende  molto  dalla   famiglia,   soprattutto  nel   caso  di   genitori   sordi   che  non  

conoscono  il  metodo  orale  o  lo  conoscono  poco.  Si  possono  avere,  in  generale,  

quattro  situazioni:  

a)  acquisizione  del  solo  linguaggio  orale;  

b)  acquisizione  del  solo  linguaggio  segnico;  

c)  acquisizione  di  entrambi  i  linguaggi  distinti  (bilinguismo);  

d)   acquisizione   del   linguaggio   orale   con   supporto   segnico   (approccio  

bimodale).  

Nell’approccio   misto   o   bimodale,   oltre   all’allenamento   acustico   dei   bambini  

protesizzati,  sfruttando  ogni  residuo  uditivo,  e  al  potenziamento  della  lettura  

labiale,   troviamo   l’insegnamento   dell’italiano   segnato   (IS),   in   cui   la   parola  

detta   è   associata   ad   un   segno   gestuale.   La   struttura   della   lingua   rimane  

inalterata:   questa   metodologia   logopedia   permette   di   apprendere   un’unica  

lingua   italiana,   che   è   basata   su  un  doppio   codice,   acustico-­‐verbale   e   visivo-­‐

gestuale.  

Oltre   all’italiano   segnato,   nel   metodo   bimodale   si   può   far   uso   dell’italiano  

segnato  esatto  (ISE):  si  utilizzano  cioè,  per  tutte  quelle  parti  del  discorso  a  cui  

non   corrispondono   dei   segni   (articoli,   preposizioni,   plurale   dei   nomi)   gli  

evidenziatori,  cioè  dei  segni  artificiali,  e  la  dattilologia  (l’alfabeto  manuale).  

L’obiettivo   del   metodo   bimodale   è   la   migliore   competenza   possibile   del  

bambino   sordo   nella   lingua   parlata   e   scritta.   I   segni   costituiscono   un  

supporto   che   egli   usa   quando   non   è   ancora   abbastanza   competente   nel  

linguaggio  verbale,  per  poter  rispettare  le  stesse  tappe  evolutive  del  bambino  

udente.  

Questo  metodo  cerca  di  tener  conto  di  tutti  gli  aspetti  del  linguaggio  verbale  

(fonologico,   morfosintattico,   semantico,   pragmatico)   e   dei   suoi   diversi  

contesti:  

parlato   e   scritto.   La   priorità   spetta   però   alla   comprensione   del   linguaggio,  

piuttosto  che  alla  produzione.  

L’educazione   bilingue   consiste   invece   nell’esporre   il   bambino   sordo  

contemporaneamente   alla   lingua   vocale   e   alla   lingua   dei   segni.   I   fautori   di  

questo   approccio   si   basano   sul   fatto   che   le  persone   sorde  acquisiscono   con  

più   facilità   la   lingua   dei   segni,   poiché   essa   viene   acquisita   attraverso   un  

canale   sensoriale   integro:   quello   visivo.   Ciò   allontanerebbe   il   rischio   di   un  

ritardo   nello   sviluppo   cognitivo   globale   e   nell’apprendimento   dei   contenuti  

disciplinari.  

Il  bilinguismo  implica  una  serie  di  problematiche  sia  in  ambito  linguistico  che  

psicologico.  Innanzitutto  molti  bambini  sordi  sono  hanno  genitori  udenti,  che  

non   conoscono   la   LIS   o,   se   l’hanno   appresa   da   adulti,   non   è   la   loro   prima  

lingua.   Su   una   popolazione   sorda   italiana   dell’1   per   mille,   solo   il   5%   è  

costituito  da  sordi  figli  di  genitori  sordi  che  hanno  ricevuto  la  lingua  dei  segni  

come  lingua  madre.  Solo  negli  ultimi  anni   la  comunità  dei  sordi   italiana  si  è  

attivata   per   promuovere   la   diffusione   della   LIS.   I   genitori   udenti   che  

intendano   educare   proprio   figlio   secondo   il   metodo   bilingue   dovrebbero  

seguire  dei  corsi  di  LIS  organizzati  dall'Ente  Nazionale  Sordomuti  o  da  altre  

associazioni  di  sordi.  

Perchè  il  bambino  acquisisca  la  LIS  in  modo  spontaneo  non  è  sufficiente  che  i  

genitori   conoscano   i   segni.   E'   necessario   che   il   bambino   sia   esposto   alla  

comunicazione  segnica  con  adulti  e  bambini  sordi,  per  i  quali  la  LIS  è  la  prima  

lingua.   Il   bambino   deve   inoltre   abituarsi   ad   usare   questo   linguaggio   in  

contesti   diversi.   Diventa   quindi   essenziale   la   figura   di   un  

educatore/assistente   alla   comunicazione,   che   la   legge   sui   diritti   degli  

handicappati   (L.   104/92   art.   13)   già   prevede.   Oltre   alla   presenza   di   questa  

figura   è   necessario   però   che   il   bambino   frequenti   la   comunità   dei   sordi.  

L'educatore/assistente   alla   comunicazione  può   lavorare   in   famiglia   oppure,  

come  succede  più  frequentemente,  a  scuola.    

Concludiamo che il bambino sordo non dovrebbe mancare la possibilità di

imparare spontaneamente una lingua vocale cioè tramite il canale uditivo, la

possibilità di acquisire il linguaggio vocale rende dopo aver appreso una lingua

secondo tempi e modi del normale sviluppo evolutivo, attraverso la modalità

visivo-gestuale, la lingua dei segni italiana (LIS).

La lingua dei segni è poco conosciuta e diffusa alla comunità udente e il

bambino non può comunicare solo la lingua segnica, per la sua completa

integrazione nella società è necessario che gli impari anche la lingua vocale. Le

due lingue proposte dai progetti educativi, secondo i criteri dell’educazione

bilingue, da due insegnanti con una buona conoscenza in entrambi codici

linguistici, in momenti e contesti nettamente separati. Solo così rende la

possibilità di non confondere al bambino di comunicare, comprendere e produrre

in una sola lingua a secondo il contesto che si trova. Però non si può certamente

usare il bilinguismo simultaneo per i bambini sordi, perché i due codici linguistici

( lingua vocale e lingua dei segni) non sono uguali: “la lingua dei segni può essere

acquisita spontaneamente mentre quella vocale, a causa del deficit sensoriale, può

essere appresa solo seguendo un iter educativo più lungo e complesso. Abbiamo,

quindi, considerato la LIS come lingua madre e l’italiano come seconda lingua.”77 “Tab. 1 Percorso educativo del bambino sordo”78

Nell’educazione del bambino sordo oggi è dunque possibile scegliere tra vari

percorsi riabilitativi. 77Ardito B., Mignosi E., Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non , La Nuova Italia, Firenze , 1995, (pag. 40). 78 Maragna S., La sordità, Hoelpi, Milano 2000, (pag. 34).

Metodo orale

Metodi educativi Metodo bimodale

Educazione bilingue

Integrazione sociale Mondo degli udenti

Mondo dei sordi

Difficoltà (area socio-affettiva e

cognitiva)

Scuola Supporti della famiglia: autonomia e

responsabilità

Lettura e scrittura: tecnologie e segni

Dall’individuo al gruppo

Rapporti interpersonali adolescenti e adulti

Amicizie e amori

Quale futuro

Lavoro e università Consapevolezza dei diritti

Individuo/associazione

IL METODO ORALE

Tutti i metodi moralisti condividono l’esclusione, nell’educazione al linguaggio

parlato e scritto, di qualsiasi uso dei segni. Essi puntano da una parte

sull’allenamento acustico, per aiutare il sordo ad utilizzare al massimo i suoi

residui uditivi, dall’altra sul potenziamento della lettura labiale su cui si basa la

comunicazione.

Un’altra caratteristica dei metodi moralisti è il privilegiare nell’educazione alla

lingua parlata e scritta l’aspetto della produzione piuttosto che quello della

comprensione, che invece è altrettanto importante, soprattutto nelle prime fasi

dell’acquisizione spontanea del linguaggio nel bambino.

Tra gli esponenti dell’oralismo italiano troviamo Massimo del Bo e Adriana

Cippone De Filippis, che nel libro “La sordità infantile grave”79 Focalizzano

l’intervento logopedico in alcuni punti essenziali, quali:

• la diagnosi precoce (entro il terzo anno di vita);

• l’esatta valutazione del deficit uditivo;

• la precoce protesizzazione della famiglia nell’intervento di recupero del

bambino;

• l’immediata rieducazione ai suoni e alla parola;

• l’immissione in ambienti di udenti coetanei, negli asili e nelle scuole.

La prima fase della rieducazione attraverso il metodo orale riguarda l’allenamento

acustico. In un secondo momento, alla parola vengono associati oggetti-figura e

viene stimolata la conversazione sull’ambiente familiare e la vita del bambino.

Gli oggetti vengono classificati e associati in base al colore e alla forma, fino ad

ampliare le conoscenze di aspetti della natura, mestieri, verbi, ecc…

Anche la lettura viene proposta precocemente, sempre associando i suoni dei

fonemi alle immagini nel testo; successivamente, la comprensione di frasi

semplici, sempre riferite alla vita familiare, avviene differenziando con i colori

vocali e consonanti e chiedendo al bambino di rispondere a semplici domande

(anche senza guardare la figura). 79 Del Bo M., Cippone De Filippis A., La sordità infantile grave , Armando, Roma, 1990.

Verso i cinque anni il bambino viene avvicinato anche alla scrittura, procedendo

come per la produzione orale: attraverso domande che sollecitano all’utilizzo di

soggetti e verbi. Inizialmente si fanno scrivere al bambino i dittonghi, le

consonanti e parole che contengono lo stesso fonema (papà, pipa, pepe, ecc.),

presentando in seguito delle immagini vocali che comprendono i fonemi imparati,

dei quali il bambino dovrà scrivere il nome.

In Italia viene utilizzato un particolare metodo multidisciplinare (sempre

nell’ambito dell’oralismo) da Ripamonti. “Al momento della protesizzazione, che

deve essere pressoché contemporanea della diagnosi, cominciamo subito con un

intervento globale, unico, indifferenziato, in cui la psicomotricità, musica,

logopedia si fondono”. L’intervento educativo di Ripamonti si svolge sempre

sotto forma di gioco, proponendo al bambino attività sempre diverse tra loro,

ponendo di volta in volta l’accento su uno dei tre elementi della riabilitazione. I

genitori sono direttamente coinvolti nella terapia perché anche essi imparino a

focalizzare l’interesse non solo sul linguaggio parlato, ma su tutti i tentativi di

comunicare del figlio. La comunicazione è quindi intesa in maniera globale.

Questo metodo propone un intervento che utilizza le modalità più congeniali al

bambino, quali il gioco, l’esplorazione, la sperimentazione. Nel caso la diagnosi

non sia stata precoce (dai diciotto mesi ai tre anni) si deve aiutare il bambino a

ripercorrere le esperienze fatte accompagnandole con suoni e verbalizzazione.

Attraverso la narrazione di semplici favole, poi, si aiuta il bambino a fare i primi

nessi temporali e causali.

Le capacità logico-critiche e logico-matematiche vengono curate attraverso giochi

che portano alla comprensione del linguaggio e alla verbalizzazione. Anche per la

creatività e l’emotività, il bambino viene incoraggiato ad usare il canale verbale,

utilizzando favole e storie fantastiche predisposte per sollecitare il linguaggio.

Nel metodo orale viene data molta importanza a tre elementi:

1. Gli strumenti tecnici di ausilio alla riabilitazione

I progressi degli ultimi anni, sia diagnostici che protesici, sono avvenuti anche

grazie alle innovazioni tecnologiche; hanno però creato un’illusione di “far parlare

i sordi”, di avere raggiunto lo scopo e quindi precludendo indagini diverse.

2. La famiglia, in particolare la madre

Il ruolo della madre nella rieducazione orale è fondamentale: gli esercizi

riabilitativi proposti dalla logopedista vengono poi ripetuti a casa, dove la madre

si “sostituisce” alla terapista. In tutti i bambini, la relazione con l’adulto di

riferimento si compone di scambi stabili, ripetuti più volte nel corso del tempo: in

questo modo imparano a prevedere il comportamento materno.

Nel caso del bambino sordo, questa comunicazione risulta incompleta e frustante

per entrambi a causa delle diverse modalità comunicative e spesso si blocca.

La scelta del metodo orale, per il genitore udente, è senza dubbio la più semplice,

la più congeniale al proprio modo di concepire lo scambio di informazioni.

3. Il fatto che il bambino frequenti esclusivamente udenti

L’interazione con i bambini udenti viene ritenuta importante per favorire

l’apprendimento del linguaggio verbale. Purtroppo, una persona sorda rimane

sorda, anche se sa parlare perfettamente: se in un gruppo di udenti non vengono

osservate attenzioni particolari (come parlare sempre con il viso rivolto verso il

sordo), il bambino sordo si sentirà comunque escluso dagli altri.

L’importanza e il peso della parola quale strumento comunicativo sono

riscontrabili nel caso del deficit uditivo, soprattutto nel contesto italiano, la cultura

e il metodo oralista – metodo d’insegnamento che punta soltanto all’acquisizione

della lingua parlata – hanno dominato e guidato per anni gli interventi di

riabilitazione logopedica.

IL METODO BIMODALE E L’ITALIANO SEGNATO

L’obiettivo del metodo logopedico-misto o bimodale, comune a metodologie più

tradizionali, è la migliore competenza possibile del bambino sordo nella lingua

parlata e scritta. Bimodale, infatti, significa doppia modalità: questa metodologia

utilizza sia la modalità acustico – verbale, poiché si parla, sia quella visivo –

gestuale, segni.

Il metodo bimodale viene utilizzato solo con i bambini in età prescolare. Il metodo

è basato sulla convinzione che il bambino sordo non presenti “problemi” di

linguaggio, ma solo difficoltà ad apprendere la lingua parlata con le modalità

utilizzate per gli udenti. Il bambino sordo possiede, comunque, la modalità visivo-

gestuale integra, per cui è possibile trasmettere tutti i contenuti di cui ha bisogno,

senza che il ritardo nella lingua vocale produca anche un ritardo cognitivo e

relazionale.

In questo senso, la programmazione deve essere individuale, e non prefissata;

deve basarsi sui risultati della valutazione delle potenzialità comunicative e

linguistiche del singolo bambino. Questa valutazione avviene attraverso l’analisi

clinica delle varie patologie che possono verificarsi (sordità, afasia, disturbo

specifico del linguaggio, ecc.)

L’intervento educativo deve essere basato su una teoria linguistica di

riferimento, conoscendo i processi di acquisizione e sviluppo del linguaggio nel

bambino udente e tenendo conto delle fasi e delle procedure dell’apprendimento.

E’ indispensabile, però, che il bambino sia pronto a comunicare linguisticamente.

Per stabilire ciò, si deve tener conto dei suoi requisiti cognitivi, comunicativi e

sociali, che gli permettono di apprendere la lingua, nonché di tutti gli aspetti del

linguaggio (fonologico, morfosintattico, semantico, pragmatico) e dei suoi diversi

contesti (parlato e scritto). Rimane di fondamentale importanza l’inserimento del

bambino in un contesto comunicativo adeguato e la collaborazione della famiglia,

della scuola e dei terapisti al progetto di riabilitazione. Tenendo conto che forma e

contenuti sono inscindibili tra loro, l’uso della modalità integra permetterà al

bambino di apprendere la lingua parlata nel modo più naturale, seguendo il più

possibile le fasi e i tempi di sviluppo del bambino udente.

Attraverso l’ausilio dei segni si permette al bambino sordo di parlare di cose

passate e future, di ascoltare e raccontare delle storie, di comunicare le sue

emozioni; lo sviluppo fonoarticolatorio, la limitata capacità di lettura labiale e il

minimo residuo acustico, in questa fase dello sviluppo precluderebbero al

bambino questa esperienza. In questo modo, offrendo al bambino sordo gli

strumenti per sviluppare le sue capacità e operando in modo tempestivo, si

permette alle potenzialità del bambino di svilupparsi a pieno, e allo sviluppo

cognitivo ed esperienziale di formarsi di pari passo con i contenuti comunicativi.

• Modalità VISIVO-GESTUALE

Il supporto gestuale è dato dall’Italiano Segnato Esatto (ISE): la parola vocale è

accompagnata dal segno corrispondente, lasciando inalterata la struttura della

lingua verbale. L’ISE non è la Lingua dei Segni Italiana, la quale ha una struttura

grammaticale propria, nonché molto diversa dall’italiano, ed è usata dai sordi per

comunicare tra loro. Comunicare perfettamente in italiano, segnando in LIS è

praticamente impossibile, infatti, quando il sordo comunica con un udente che

conosce i segni, ma non la LIS, usa una sorta di “italiano segnato” seguendo le

regole sintattiche della lingua vocale. Per esempio, la frase “il gatto è sotto la

sedia” italiano” sarà composta così:

o LIS: sedia gatto sotto

o Italiano segnato: gatto sotto sedia.

L’italiano segnato non utilizza alcune parti del discorso, come gli articoli, i verbi

ausiliari, alcune preposizioni, mentre l’I.S.E. ne tiene conto e segue la frase parola

per parola. Le regole morfo-sintattiche della LIS vengono utilizzate dove

possibile, ma per tutte le parti del discorso proprie dell’italiano (articoli,

preposizioni, ecc.) è utilizzata la dattilologia.

In pratica, quando si parla con il bambino sordo, si dà un supporto gestuale a tutto

quello che viene detto. I segni divengono così una sorta di “stampelle” che il

bambino usa quando non è ancora abbastanza padrone del linguaggio verbale, per

poter rispettare le stesse tappe evolutive del bambino udente.

Gli evidenziatori sono stati creati per fornire al bambino un supporto visivo e

semantico di alcune regole morfologiche. Il bambino vede gli evidenziatori solo

nel corso della terapia, per stimolarlo a livello cognitivo e linguistico, alla lingua

italiana; inoltre l’uso dell’evidenziatore è limitato a momenti in cui si desidera che

il bambino presti particolare attenzione ad aspetti specifici dell’italiano, e non per

la comprensione globale di un messaggio o di una storia. I sostenitori

dell’educazione bilingue, sostengono che la metodologia bimodale confonda il

bambino sordo, anziché aiutarlo: l’acquisizione del codice artificiale I.S.E. fa sì

che il segno perda il suo status linguistico, facendo arrivare al bambino un

messaggio distorto e incompleto. Una persona udente che parla e segna

contemporaneamente, rischia di trasmettere un messaggio rallentato e alterato

caratterizzato da pause, ripetizioni ed esitazioni. I bambini esposti a questi sistemi

non raggiungono alte competenze nella lingua parlata e scritta rispetto a bambini

educati con altre metodologie. Il metodo bimodale italiano è molto simile ai

programmi europei ed extraeuropei di riabilitazione dei sordi, ma possiede una

caratteristica che lo contraddistingue: agli operatori ed ai genitori viene chiesto di

imparare la lingua dei segni e mai l’I.S.E. ed i suoi evidenziatori.

• Modalità ACUSTICO-VERBALE

Per facilitare la comprensione della struttura linguistica, diventa indispensabile

sviluppare al massimo il residuo acustico del bambino. Con una diagnosi ed un

intervento precoci si permette al bambino di maturare una sua forma di feedback

acustico e di conseguenza codifica linguistica. All’interno della terapia si lavora

quindi il residuo acustico senza utilizzo dei segni: se è necessario, si utilizzano

solo, ad esempio, per introdurre l’argomento del discorso, poi si continua il

messaggio solo per via acustica. Questa parte dell’intervento mira a portare il

bambino ad avere una buona lettura labiale. Per fare ciò è necessario segnare

molto vicino al viso del bambino, per attirare la sua attenzione verso la bocca del

terapista.

L’EDUCAZIONE BILINGUE

Il bilinguismo rappresenta la via più naturale per l’educazione del sordo tenendo

conto delle sue reali necessità. I principi di base di questo approccio risultano da

numerose ricerche condotte su bambini udenti e sordi come dice da Virginia

Volterra e Caterina Caselli:

“Non c’è differenza sostanziale tra bambini udenti con input linguistico vocale e

bambini sordi con input linguistico in lingua dei segni. Gli stadi fondamentali di

acquisizione della lingua dei segni e della lingua vocale sono fondamentalmente

gli stessi e vengono raggiunti alla stessa età. Esiste, in pratica, in tutti i bambini

un’equipotenzialità tra modalità gestuale e vocale nel primo stadio dello sviluppo:

la successiva acquisizione del linguaggio dipende dalla modalità a cui il bambino

è esposto. I bambini udenti figli di genitori sordi, che ricevono sia lo input vocale

che quello in lingua dei segni, acquisiscono entrambe le lingue”80.

La comunicazione dal punto di vista del linguaggio verbale, il bambino

sordo risulta essere sempre in ritardo rispetto all’udente per mancanza di

percezione uditiva lo sviluppo della parola è complesso. I gesti e i segni sono le

modalità comunicativa alternative che possano rendere al bambino sordo di

ottenere le abilità cognitiva e comunicative avendo il focus dell’attenzione dal

singolo individuo al contesto relazionale ed educativo, che vede impegnati

contemporaneamente dai genitori, dalla scuola e dalla società e il bambino stesso.

“Il riferimento alla comunicazione basata sui segni come a una vera e propria

lingua, caratterizzata da creatività e arbitrarietà al pari di ogni altra forma verbale

di comunicazione, è una conquista abbastanza recente al panorama degli studi di

psicolinguistici. “81

1.6 Il bambino sordo e la sua famiglia

Il ruolo del contesto sociale va fatta la distinzione tra i genitori sordi segnanti,

genitori sordi non segnanti, genitori udenti segnanti ed genitori udenti non

segnanti dei bambini sordi.

Nasce le differenti percorsi educativi, le difficoltà e le risorse rispetto al cammino

dello sviluppo comunicativo e per facilitare la comprensione di tali percorsi

differenziati, ci mettiamo lo schema terminologico di Caselli e dei suoi

collaboratori che avevano elaborato per effettuare confronti del genere: “Tabella 1. Schema terminologico: abilità linguistiche del bambino udente e sordo

80 Caselli M.C., Maragna S., Volterra V., Linguaggio e sordità, Mulino, Bologna, 2006, (Cap. 4). 81 Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S.,Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006, ( pag. 23).

Età in mesi Attività osservata Termini adottati approssimata

0-7 Comportamenti motori/vocali Suono vs movimento 8-12 Segnali comunicativi intenzionali Vocalizzazione vs gesto 13-16 Simboli Parola vs segno 17-20 Combinazione di simboli Lingua parlata vs

lingua dei segni Fonte: Caselli

“Con riferimento a questo schema seguirà la trattazione delle somiglianze e delle

differenze nello sviluppo comunicativo tra bambini sordi con genitori sordi e

bambini normoudenti, come pure tra bambini sordi figli di udenti e bambini

normoudenti.” 82

E’ chiaro che lo sviluppo comunicativo del bambino sordo con i genitori sordi non

abbia l’isolamento linguistico determinato perché la modalità visivo-gestuale

sostituisce a quella acustico-vocale.

A confronto dello sviluppo comunicativo del bambino sordo con i genitori udenti,

può rimanere per lungo tempo in ambiente sociale privo di strumenti adeguati per

condividere con lui i discorsi sul mondo fisico e mentale della vita di ogni giorno.

In conclusione questo bambino si sente emarginato ed escluso dalla

comunicazione verbale che gli udenti usano con lui e tra di loro, l’esclusione può

generare problemi di ritardo linguistico; dall’altro la mancata esposizione a una

lingua dei segni che invece potrebbe acquisire senza difficoltà.

La lettura labiale non può sempre essere in aiuto per i bambini sordi perché non

sono in grado di riconoscere i sillabi o le parole dal movimento delle labbra.

“ La scarsa capacità di discriminare i suoni vocali, determina difficoltà nella

strutturazione della competenza sintattica. Nella lingua italiana, infatti, sono

proprio le vocali a segnare la differenza di genere e numero fra nomi e le

differenze di persona nella coniugazione dei verbi (Nickel, 1989). In generale, le

difficoltà maggiori che il bambino sordo figlio di udenti incontra a livello

sintattico riguardano la possibilità di concatenare tra loro periodi complessi

formati da frasi di forma coordinata e subordinata. Inoltre, le preposizioni di 82 Sempio O. L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006, (pag. 24).

forma attiva risultano più semplici da produrre e maggiormente comprensibili

rispetto a quelle passive o impersonali (soggetto – verbo – complemento).

Per quanto riguarda gli aspetti funzionali legati al significato, il bambino sordo

figlio di genitori udenti non incontra particolari problemi nello stabilire rapporti

semantici tra i concetti o le informazioni, ma le imprecisioni nella sua percezione

uditiva lo rallentano nella costruzione di nessi sempre più complessi e precisi fra

pensiero e linguaggio” 83

“Con la legge n. 517 che fu emanata nel 1977, la politica statale di integrazione fu

definitivamente regolarizzata: i genitori dei bambini sordi si prospettavano due

possibilità di scelta tra la scuola speciale e la scuola “normale” (inserimento in

una scuola per udenti). La famiglia del bambino sordo è posta davanti a un grave

dilemma: si trova nella situazione di dover scegliere tra l’integrazione del proprio

figlio in una scuola “normale” e a comportarsi in maniera normale rifiutando e

allontanando, così, una diversità che spaventa e che inevitabilmente porterebbe ad

un’esclusione ed incomprensione da parte della comunità udente e della sua stessa

famiglia; e l’inserimento del bambino in una scuola speciale, dove sì, verrà

seguito da esperti e potrà trovarsi a suo agio tra bambini con il suo stesso deficit,

insieme ai quali potrà sentire parte attiva e partecipe di una comunità a sé stante,

ma che, proprio per questo sentirsi un diverso, un estraneo all’interno della

famiglia e nello scontro con la maggioranza udente”84

Molte delle differenze, quindi, quantitative e qualitative che si evidenziano tra i

bambini sordi con genitori e quelli con genitori udenti possono essere legate agli

affetti dei primi scambi comunicativi. I bambini sordi nati da genitori sordi hanno

fin dall’inizio un canale di comunicazione che assolva le funzioni cognitive,

linguistiche e sociali. Il vantaggio che questo comporta può essere riscontrato

nelle osservazioni relative alle diverse aree psicologiche e di apprendimento

scolastico, che suggeriscono che i bambini sordi con genitori sordi sono più

competenti dei coetanei con genitori udenti.

L’arrivo del bambino sordo in una famiglia udente influenza tutta la famiglia. 83 Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma 2006, (pag. 31). 84 Zuccalà A., Cultura del gesto e cultura della parola, Meltemi, Roma, 2001, (pag. 92).

L’evoluzione della relazione tra genitore e bambino è una combinazione delle

caratteristiche iniziali dei genitori e del bambino e del rapido apprendimento che

si verifica in entrambi.

E’ molto importante che genitori e figlio si sintonizzino l’uno sull’altro, attraverso

lo sviluppo di sincronia e reciprocità, dove per sincronia si intende la forte

correlazione tra il comportamento della madre e quello del figlio ed il loro

convergere in una routine comune di interazione. Per reciprocità si intende una

specie di simbiosi tra madre e bambino. La madre ed il bambino si stimolano e si

rispondono vicendevolmente, sviluppano modalità reciproche di scambio che

sono generalmente molto diverse da quelle che si verificano tra il bambino ed

altre persone. Queste prime interazioni costituiscono la base del successivo

attaccamento e del legame che si stabilisce tra madre e bambino. Molti studi

hanno descritto le interazioni comunicative nelle diadi formate da madri udenti e

bambini sordi.

Le indicazioni delle ricerche condotte con i bambini in età prescolare e dei primi

anni di scuola rivelano che, rispetto alle madri di diadi in cui entrambi i

componenti sono sordi o udenti, le madri udenti di bambini sordi sono più spesso

intrusive, tese e direttive nelle interazioni verbali e non verbali.

Le madri che non hanno training di comunicazione manuale sembrano anche

esercitare un controllo maggiore sul comportamento dei propri figli sordi.

Le madri che invece hanno individuato un canale efficace di comunicazione con

proprio figlio hanno probabilmente un bisogno inferiore di esercitare tale

controllo e, soprattutto, delle sue manifestazioni fisiche.

Ci sono notevoli differenze a seconda che un bambino sordo nasca da genitori

sordi o da genitori udenti per quanto riguarda la scelta del metodo educativo e

riabilitativo. Un bambino sordo figlio di sordi imparerà la lingua dei segni come

lingua madre e successivamente la lingua italiana attraverso sedute

logopedistiche e a scuola; sarà così bilingue. Acquisirà le regole grammaticali e

morfo- sintattiche della LIS e contemporaneamente, in contesti diversi, quelle

dell’Italiano. Un sordo figlio di udenti sarà più facilmente orientato dalla famiglia

verso un metodo orale. Il metodo orale si basa possibilità di una diagnosi precoce

e dell’esatta valutazione del deficit per poter sfruttare al massimo i residui uditivi

attraverso un’immediata protesizzazione. La famiglia deve collaborare

attivamente alla terapia, soprattutto la madre, che deve continuare a casa i compiti

assegnati dal logopedista. E’ per questo motivo che spesso la figura materna

tende ad essere percepita in modo più diretto, ed il ruolo di mamma si mescola

con il ruolo di terapista.

Vorrei riportare una notizia simbolica che è una riflessione antropologica della

sordità e non intendo addentrarmi le valutazioni di carattere etico. Una coppia

lesbiche di Washington, entrambe sorde dalla nascita da sordità congenita per

assicurarsi che il figlio e la figlia nascessero sordi come loro. Le due donne si

sono sposate da più di dieci anni e hanno messo al mondo due bambini sordi e

concepiti con l’inseminazione artificiale. La particolarità di quella famiglia è che

la coppia ha volontariamente cercato e trovato un donatore affetto da sordità

congenita da cinque generazioni il quale ha donato il seme per entrambi i bambini.

Le due mamme considerano la sordità come un’identità culturale. Riassumo il

significato dell’identità sorda che sono riportate da una serie di pubblicazioni tratti

da articoli, libri o siti internet di ricercatori, esperti della cultura sorda o

semplicemente persone che raccontano la propria esperienza.

Proprio per questo è ormai consolidato il fatto che i bambini sordi figli di genitori

sordi manifestano generalmente normali modalità di sviluppo nell’area sociale,

linguistica e cognitiva, se confrontati con i coetanei udenti.

Questa modalità sembra essere in gran parte una funzione della qualità delle prime

interazioni con i genitori che sono sensibili ai bisogni del proprio figlio e che

utilizzano un canale comune di comunicazione.

2 CAPITOLO EDUCARE ALLA LINGUA DEI SEGNI

2.1 Introduzione alla lingua dei Segni, Cultura e Comunità Sorda Italiana

Nella pratica quotidiana ogni individuo si trova a dover scambiare

informazioni con altri individui. Per riuscire in quest’intento, bisogna far ricordo

ad un mezzo che veicoli le informazioni, cioè una lingua che sia condivisa dai

soggetti coinvolti nella comunicazione linguistica. Il classico esempio di questo

fenomeno è una comunicazione tra due persone in una lingua che abbia una

tradizione orale e scritta, come possono essere l’italiano, l’inglese o il francese,

oppure in una lingua che, pur non avendo una forma scritta, può contare

sull’oralità.

Risulta forse più difficile, invece pensare all’esistenza di una lingua che

non solo non conosca la scrittura, ma che per di più non possa nemmeno esser

parlata o ascoltata; eppure, questo tipo di lingua in ogni paese non è affatto raro: è

il caso della lingua dei segni. Le lingue acustico-vocali, dette anche solo vocali o

verbali, sono quelle che si esprimono per l’appunto attraverso il canale acustivo-

verbale: un individuo riceve input di tipo acustico tramite l’udito, mentre l’output

è costituito dalla produzione vocale emessa mediante l’apparato fono-

articolatorio. Condizione fondamentale affinché questa comunicazione avvenga è

che l’individuo in questione sia udente: ciò significa che fin dalla nascita ha

potuto udire i suoni emessi dalle persone che lo circondavano, capirne appieno il

significato, quindi passare all’imitazione e giudicare con le sue orecchie la propria

produzione vocale (disponendo così del cosiddetto feedback acustico). Grazie a

questo procedimento d’esposizione ad una lingua, ha potuto apprenderla: in

questo consiste la facoltà di linguaggio, intrinseca nella natura umana. Nel caso di

una persona sorda, però, la situazione è ben diversa: pur disponendo della stessa

facoltà di linguaggio di un udente, la sordità impedisce sia la percezione degli

input, sia il feedback acustico e per questa ragione la lingua vocale non può

diventare la lingua naturale della persona sorda. Ma poiché, come si è detto, tutti

hanno bisogno di comunicare con gli altri, è necessario per i sordi trovare una

modalità di comunicazione che sostituisca al canale compromesso (quello

acustico) un canale che sia integro (quello visivo). Nasce perciò la lingua dei

segni, che trova la sua espressione sul piano visivo-gestuale: lo input è percepito

con gli occhi e l’output è prodotto impiegando le mani, il viso, la postura del

corpo. Dato che ricorre alla vista, canale perfettamente integro nei sordi, la lingua

dei segni è atta a tutti gli effetti a diventare la lingua naturale di una persona

sorda: se esposto ad essa dalla nascita, il sordo la acquisisce in modo naturale e

spontaneo, tanto quanto un udente impara una lingua verbale.

“La storia della lingua dei segni viene dagli scritti dell’Abate de l’Epée

che, verso la metà del settecento, avendo scoperto che i suoi studenti sordi

comunicavano attraverso la “langue des signes naturels”, decide utilizzare questa

forma di comunicazione per insegnare la lingua parlata e scritta aggiungendo i

segni che corrispondevano a elementi del francese come i generi, i tempi dei

verbi, ecc. La tradizione illuminista mostrò notevole interesse per questi aspetti

della comunicazione umana e in seguito Sicard, direttore della scuola per sordi di

Parigi e successore dell’Abate de l’Epée, fu grande studioso della Lingua dei

Segni e uno dei membri della Societè des Observateurs de l’Homme. La Lingua

dei Segni Francese (LSF) viene introdotta negli Stati Uniti da Thomas Hopkins

Gallaudet, i quali, affascinato dall’opera di Sicard, si reca in Francia e dopo un

anno di apprendistato, torna in patria nel 1816 portando con sé Laurent Clerc, un

Sordo tra i più esperti istruttori di LSF. Grazie all’opera di Gallaudet e Clerc, che

fondano subito una prima scuola ad Hartford, nel Connecticut, il linguaggio dei

segni si diffonde ben presto in tutti gli Stati Uniti mescolandosi ai gesti già in uso

presso i sordi americani e questo spiega le notevoli somiglianze che esistono

tuttora tra la Lingua de Segni Americana (ASL) e la LSF. Anche in Italia senza

dubbio esisteva e veniva usata una Lingua dei Segni tra i Sordi, nel corso della

prima metà dell’ottocento descrissero le loro metodiche di insegnamento in parte

basate sull’uso del gesto. Tommaso Silvestri fu uno degli studenti di de l’Epée Ma

la svolta rigidamente oralista affermatasi dopo il Congresso di Milano del 1880,

impedì che questa forma di comunicazione avesse in Italia più ampia diffusione in

ambito educativo.

L’interesse per la Lingua dei Segni da un punto di vista linguistico si

risveglia a partire dagli anni ’60 grazie all’opera di W. Stokoe che si occupa di

fare un’analisi sistematica dell’ASL rintracciando alcuni aspetti simili a quelli

delle lingue vocali. Secondo il suo lavoro un segno si può scomporre in

riferimento a tre parametri:

• il luogo nello spazio dove le mani eseguono il segno;

• la configurazione delle mani nell’eseguire il segno;

• il movimento nell’eseguire il segno.

Un altro parametra importante che è stato individuato più tardi rispetto all’analisi

originaria di Stokoe è l’orientamento del palmo delle mani.

In definitiva questo tipo di analisi ha rintracciato in una Lingua dei Segni

un’organizzazione lessicale o meglio sub-lessicale molto simile a quella

riscontrata per le lingue vocali.”85

Esisteva, ed esiste tuttora in molti, la convinzione che il linguaggio dei

segni non possiede né una morfologia né una sintassi, dal momento che non

possiede un sistema flessionale, non usa quasi articoli o preposizioni, non sembra

fare distinzioni tra nomi e verbi e presenta infine un ordine appertenemente libero

degli elementi nella frase. In realtà esistono una serie di meccanismi che

permettono di codificare tutte quelle informazioni che vengono espresse da alcune

lingue vocali tramite gli articoli, le preposizioni, il sistema flessionale o l’ordine

delle parole nelle frasi.

Indico in modo sintetico i caratteri principali della grammatica di LIS:

a) TEMPO E MODO DEI VERBI

Il verbo viene segnato sempre all’infinito, ma per indicare il presente, il passato e

il futuro i segni sono eseguiti lungo una linea astratta denominata “la linea del

tempo”, situata sul piano orizzontale all’altezza della spalla segnante.

b) VERBI DIREZIONALI

Si muovono nello spazio secondo la direzione di chi fa o riceve l’azione (es. ho

ricevuto un fax il segno “fax” si muove verso di me; ho mandato via fax il segno

“fax” verso al destinatario – fatto)

c) PLURALE

E’ ottenuto ripetendo il segno, modificando il luogo di articolazione e, in parte

anche il movimento. Esistono alcuni segni che non si possono ripetere per formare

il plurale e in quel caso si aggiunge il segno “tanti” dopo l’oggetto o il soggetto

85 Volterra V., La lingua dei segni italiana. Comunicazione visivo-gestuale dei sordi, Mulino - Collana “Itinerari” 2004.

plurale”

d) PRONOME PERSONALE

E’ basato su una serie di indicazioni gestuali e oculari:

- la prima persona è data dall’indicazione di se stessi;

- la seconda persona è rappresentata dall’indicazione e dallo sguardo diretti verso la

persona che conversa con il segnante;

- la terza persona è data dall’indicazione rivolta al soggetto in questione se

presente, verso un punto indefinito dello spazio se assente ma lo sguardo rimane

rivolto all’interlocutore;

- idem per la 1°, 2° e 3° persona plurale e il movimento è semicircolare.

e) FRASE AFFERMATIVA, NEGATIVA E INTERROGATIVA

Nella frase affermativa, l’espressione facciale è positiva ma neutra e le spalle e il

tronco non hanno particolari posizioni, la frase negativa viene espressa con

l’avverbio posto alla fine della frase, le spalle sono spostate all’indietro e il capo è

leggermente inclinato da una parte e la frase interrogativa viene usata con gli

aggettivi o i pronomi interrogativi che sono posti alla fine della frase, le

sopracciglia sono inarcate ( domanda chiusa si/no) o la fronte è corrugata

(domanda aperta), il capo e le spalle sono inclinate in avanti.

f) CONDIZIONALE

Le sopracciglia sono inarcate, il capo e le spalle sono inclinate in avanti, dando

l’espressione della domanda, segue una pausa che dà il tempo di rilassare

l’espressione interrogativa e la postura del tronco che esprime la conseguenza

della condizione.

g) ESPRESSIONE (componente non manuale)

Ha un ruolo fondamentale nella lingua dei segni italiana, nella grammatica senza

la quale il gesto perderebbe il significato: il movimento del corpo, l’ampiezza, la

velocità sono gli elementi fondamentali della corretta espressività nella lingua dei

segni.

h) QUATTRO PARAMETRI formazionali

I segni risultanti dalla combinazione dei quattro parametri costituiscono il

vocabolario della lingua dei segni, il suo lessico:

- LUOGO

- CONFIGURAZIONE

- ORIENTAMENTO

- MOVIMENTO

i) COPPIE MINIME

Cambiando un solo parametro varia il significato del segno: es. luogo: da mamma

a scusa

Configurazione: da condanna a uccidere

Movimento: da olio a benzina

Orientamento: da giovedì a domenica

j) SEGNI NOME

Ogni sordo ha due nomi: un segno nome e un nome in lingua vocale e questi nomi

sono legati alla doppia identità della persona che vive sia nel mondo degli udenti

che nella comunità sorda.

k) SEGNI IDIOMATICI

Sono espressioni che appartengono alla cultura sorda, ma anche influenzate dalla

cultura udente, che tradotte letteralmente sembrano non avere alcun significato.

“In Italia, i segni variano da una città all’altra, la diversità dei segni

rispecchia la situazione dei dialetti regionali usati dagli udenti, stavolta all’interno

della stessa città un gruppo di Sordi può usare segni diversi da un altro gruppo in

base all’istituto o al circolo che frequenta ma anche in base alla scelta di un vero e

proprio “SLANG” caratteristico di una compagnia. Nell’Italia del sud i segni sono

più espressivi che al nord, ci sono segni che solo i Sordi possono capire e che

sono molto difficili da tradurre in italiano se non con molte parole.

Circa l’80% dei segni di ogni regione si differenzia dal resto del paese, i

segni che sono simili si riferiscono a cose molto comuni. Alcuni segni possono

variare nel luogo ma possiedono la stessa configurazione o viceversa varia la

configurazione ma il segno viene eseguito nello stesso luogo. Quello che non

varia è l’espressione facciale, elemento importantissimo per la Lingua dei Segni,

pari all’intonazione vocale nella lingua parlata.

Naturalmente i segni dipendono dalle esperienze di vita di ogni individuo

che li usa, dal suo livello culturale e dagli scambi comunicativi a cui ha

accesso.”86

La Lingua dei Segni può allora diventare non solo una modalità

comunicativa, ma anche il tramite per avere rapporti profondi con gli altri

coetanei in una situazione finalmente paritaria, e con gli adulti sordi, che

rappresentano con la loro riuscita professionale e la loro soddisfacente vita

privata, un valido punto di riferimento. Il linguaggio dei segni è un insieme

strutturato e organizzato di gesti. Un linguaggio di segni universalmente diffuso è

quello elaborato per persone prive di udito, i movimenti delle mani sono

principalmente di due tipi: gesti naturali o mimici per rappresentare oggetti, idee,

emozioni, sensazioni; segni metodici o sistematici per esprimere principalmente la

lingua scritta. I segni usati dai sordi non sono un semplice insieme di gesti per

comunicare, essi hanno una grammatica ben precisa, regole per i verbi, per il

plurale e il singolare, costituiscono, cioè, una vera e propria lingua al pari delle

lingue vocali. Come dice la Dott.ssa Elena Radutsky, tutte le lingue vive sono in

uno stato costante di cambiamento e la lingua dei segni italiana ha il cambiamento

storico soprattutto quella di fonologia che sembrano essere determinati da

esigenze linguistiche inerenti alla modalità visivo-corporea che hanno due tipi di

esigenze: percettive e articolatorie. “Si può affermare che l’evoluzione di un

segno risponde all’esigenza di dare:

o Al segnante una maggiore facilità articolatoria;

o Al ricevente la massima percezione visiva.

Ad esempio: il segno “scarpe” che era espresso molto basso, verso i piedi in modo

più iconico, in altre parole rispecchiava maggiormente il referente, ma la

produzione del segno richiedeva anche più sforzo e più tempo, e la persona che

riceveva il segno doveva spostare gli occhi di sotto alla zona di massima acutezza

visiva per vederlo. Oggi il segno per scarpe viene effettuato più in alto ed è più

facile articolarlo e vederlo. Ha perso l’iconicità in favore di una maggiore

86 Volterra V., La lingua dei segni italiana. Comunicazione visivo-gestuale dei sordi,. Mulino - Collana “Itinerari” 2004.

efficienza e maggiore chiarezza visiva. “87.

Molti ci chiedono come nascano i segni purtroppo è difficile rispondere in

modo preciso come le altre lingue vive che l’etimologia aiuta a scoprire la vera

origine delle parole. La lingua dei segni italiana non ha documenti scritti e

conservati perché non esistevano il modo di verbalizzare in scritta e le ricerche

riescono a risalire al massimo fino a cent’anni fa grazie alle testimonianze di

persone sorde anziane.

“Tab. 1 Come nasce un segno

Processo di formazione dei segni

Nella formazione dei segni si possono distinguere cinque fasi:

1. Osservazione della realtà circostante e influente linguistiche esterne, vale a

dire persone/oggetti (forme, movimenti, tipi di afferramento, comportamenti,

azioni), Italiano, Gesti italiani, Lingue dei segni (Tab. 1)

2. Percezione visiva

87 Bagnara C., Chiappino G., Conte M.P., Ott. M., Viaggio nella città invisibile. Atti del 2° Convegno Nazionale sulla Lingua Italiana dei Segni., Edizioni del Cerro, Pisa, 2000, (pag. 122).

1. CLASSIFICATORI: a. Forma b. Afferramento c. Movimento d. Azione e. Comportamento

2. USO IMPROPRIO DI SEGNI

3. ASSIMILAZIONE DI SIGNIFICATI AFFINI

4. DATTILOLOGIA (nazionale – popolare) a. Inizializzazione b. Lessicalizzazione c. Lettera di mezzo

5. NUMERI

6. ARTICOLAZIONI FONICHE 7. SEGNI STRANIERI

8. GESTI ITALIANI

SEGNO

3. Patrimonio personale di conoscenza linguistica, classificatori, parametri

formazionali, segni già codificati, dattilologia, gesti italiani.

4. Produzione dei segni “provvisori”. Durata: breve e lunga

5. Segni codificati/convenzionali e/o “segni abbandonati”

Il Segno codificato/convenzionale va ad immagazzinarsi nel “patrimonio

personale” e diventa forma citazionale”88

La lingua dei Sordi è quella della lingua dei segni che è una

comunicazione visivo-gestuale e nasce dalla cultura sorda di ogni paese. Il cuore

della cultura sorda non risiede solo in alcuni comportamenti che distinguono i

Sordi nelle loro attività e relazioni, bensì in uno spirito di identità sorda e in

alcune dinamiche di identificazione nell’esperienza di essere Sordo e nello

stringere relazioni che forgiano tale identità. Non tutti i sordi conoscono la lingua

dei segni e dipende dall’identità sorda da come si è sviluppato, vissuto ed istruito.

E’ necessario che l’identità sorda venga sviluppato perché per essere un Sordo

debba riconoscere il proprio deficit e di accettare la propria personalità non come

un disabile ma una diversa identità dell’altro.

E’ necessario sviluppare anche un forte identificazione con la lingua dei

segni così come tutte le persone si identificano con la propria lingua madre, infatti

è il fulcro della cultura sorda, è il mezzo principale attraverso cui vengono

veicolati tutti gli scambi, tutte le forme espressive, la formazione e le relazioni

personali più dirette. Questo perché si basa sulla modalità visiva che è quella più

importante e naturale per tutti i sordi, anche per gli oralisti, cioè chi non conosce o

non usa la lingua dei segni ma impara a comunicare parlando in adagio e leggendo

le labbra, rimane la modalità fondamentale di relazione.

Un altro tratto distintivo della cultura sorda è la vita nella comunità, la

partecipazione attiva alle riunioni sociali, quindi la necessità di frequentare i

circoli, i luoghi di ritrovo in genere, e tutta la serie di feste, manifestazioni, attività

culturali e sportive che derivano. Essere accettati dalla comunità dei Sordi

significa farne parte in modo attivo ed esserne riconosciuti attraverso

88 Bagnara C., Chiappino G., Conte M.P., Ott M., Viaggio nella città invisibile. Atti del 2° Convegno Nazionale sulla Lingua Italiana dei Segni,Edizioni del Cerro, Pisa, 2000, (pag. 143).

l’assegnazione di un segno-nome.

“Il segno-nome è un segno che diventerà caratteristico e descrittivo della

propria persona e che viene assegnato da uno o più membri della comunità in base

ai tratti distintivi della persona o a qualche caratteristica fisica o ancora in base a

delle analogie con il significato del nome o del cognome. All’interno della

comunità dei Sordi il segno-nome equivale alla presentazione ufficiale

dell’individuo e giustifica la propria presenza all’interna di essa. “89

Quando mi presento ad un Sordo solitamente dico: - molto piacere, mi

chiamo Romilda, il mio segnanome è…. – ed è come dire: mi presento come

persona, sono Romilda e come membro della comunità dei Sordi e della famiglia

sorda mi hanno dato questo segno-nome.-

“Nella lingua dei segni la trasmissione generazionale avviene all’interno

delle famiglie solo se i genitori siano anch’essi Sordi, altrimenti i luoghi principali

di trasmissione culturale sono gli istituti e i circoli o comunque quei luoghi dove

si riunisce la comunità locale di Sordi. All’interno di queste associazioni il

giovane Sordo può venire a contatto con la comunità, sviluppare la propria

identità sorda, imparare la Lingua dei Segni, partecipare a varie iniziative ed

attività, conoscere le abitudini e le tradizioni dei sordi.

La presenza di educatori è fondamentale per la formazione di un’identità o

semplicemente un’idea del Sordo come persona completa e con pari dignità

rispetto ad un udente.

La comunità Sorda è invisibile perché non esiste un luogo preciso dove

“abita” e si tratta di una comunità immaginata, ma non virtuale, una comunità che

i Sordi sentono viva e presente attraverso una rete di relazioni che li lega a livello

trans-regionale. Essa si concretizza attraverso le scuole, le associazioni, le

istituzioni che la rendono manifesta ed operante nella società. Possono essere

circoli o associazioni sportive o enti ufficiali che organizzano grandi eventi,

manifestazioni culturali o semplicemente attività ritrovo.

Esiste un confine interno e un confine esterno della comunità sorda: il

89 Zuccala A., Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi, . Meltemi, Roma, 1997.

primo viene tracciato dall’interno della comunità sorda e coincide con il

sentimento di appartenenza che i membri hanno verso la propria comunità e nei

confronti della Lingua dei Segni, il confine esterno viene delineato in base alle

possibilità di accedere o no alle risorse sociali ed economiche del mondo

udente”90

Nell’articolo di Carol Padden spiega che la definizione:

“ la cultura sorda americana è che le persone sorde formano gruppi

all’interno dei quali non sperimentano “deficienze” e nei quali i bisogni di base

dell’individuo sono soddisfatti come in tutte le altre culture di esseri umani. Una

comunità di Sordi è un gruppo di persone che abita in un luogo particolare,

condivide gli obiettivi comuni dei suoi membri e in diversi modi lavora per

raggiungere questi obiettivi. Una comunità di Sordi può includere persone che

non sono esse stesse sorde ma che supportano attivamente gli obiettivi della

comunità e lavorano con i Sordi per raggiungerli” .

Tutto questo si comunica che c’è la distinzione tra la cultura sorda e la

comunità dei Sordi affermandosi che la cultura dei Sordi è molto più chiusa di una

comunità sorda: i membri della cultura sorda si comportano da Sordi, usano la

Lingua dei Sordi, e condividono le convinzioni dei Sordi riguardo se stessi e alle

altre persone che non sono Sorde.

Secondo C. Padden essere Sordi non significa solo avere qualche grado di

udito mancante, il tipo e il grado di sordità non sono criteri sufficienti per

diventare Sordi. Il criterio è se una persona si identifica con altri Sordi e se si

comporta come un Sordo attenendosi a determinati valori culturali.

I valori culturali, descritti da C.Padden, sono i seguenti:

1. Linguaggio

Sicuramente uno dei più importanti valori della cultura è il rispetto per una delle

maggiori caratteristiche identificative: la lingua dei segni. Non tutti i Sordi hanno

una competenza dalla nascita in Lingua dei Segni cioè non tutti i sordi hanno

imparato la Lingua dei Segni dai propri genitori come prima lingua, ma

90 Zuccalà A., Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi, Meltemi, Roma, 1997.

sicuramente molti di loro rispettano e accettano la Lingua dei Segni e più che

prima i Sordi hanno iniziato a promuoverne l’uso.

2. Relazioni sociali

Come tutti i gruppi di minoranza c’è una forte enfasi sui legami familiari e sociali

quando i membri fanno parte della stessa cultura o comunità. I Sordi reputano le

attività sociali un importante modo di mantenere contatti con altri Sordi con i

quali condividono le stesse opinioni e atteggiamenti culturali. Questo accade

anche perché spesso i Sordi passano molto tempo in situazioni socialmente

limitate, pensiamo ad esempio ad un sordo che lavora in un posto dove c’è l’unico

ad essere sordo, è ovvio che poi avrà voglia di trascorrere il resto del tempo in

un’atmosfera sociale più confortevole.

3. Storia e letteratura della cultura sorda

I valori culturali qui descritti non sono mai determinati in modo esplicito, non ci

sono libri dove i bambini sordi leggono e imparano questi valori, essi li imparano

attraverso un processo di apprendistato in cui il loro comportamento, i loro

commenti e azioni vengono rinforzate o scoraggiate. Questi valori vengono

ritrovati nella letteratura della cultura, storie e giochi non registrate che vengono

trasmessi oralmente. Una storia tipica potrebbe essere questa: una persona sorda

cresce in un ambiente orale senza mai incontrare o parlare con un Sordo. Più tardi,

nella vita, questa persona incontra un Sordo che lo invita a partecipare a dei

raduni, delle feste, gli insegna la Lingua dei Segni, e lo istruisce sul modo in cui

vivono i Sordi. Questa persona si coinvolge sempre di più senza accorgersene e

lascia indietro il suo passato nel momento in cui si unisce ad altri Sordi.

Per imparare la Lingua dei Segni, la lingua dei Sordi, la persona sorda dovrebbe

andare oltre al suo stesso addestramento e convivere quotidianamente per essere

appreso la lingua in modo naturale perché l’espressione facciale quella della

lingua dei Sordi è oltre al limite confrontando con quella degli udenti. I

movimenti degli occhi, della faccia, delle mani sono molto importanti invece nella

Lingua dei Segni, sono usati come parte della sua grammatica, per comunicare

informazioni necessarie al controllo delle conversazioni tra segnanti così come per

trasmettere informazioni riguardo alle emozioni del segnante. Ad esempio: nella

cultura degli udenti, le persone sorde imparano a non fissare lo sguardo degli altri

e cercano di fissare in breve periodo e a guardare altrove velocemente. Nelle

conversazioni in segni invece ci si aspetta di guardare in faccia il segnante durante

tutta la conversazione. Rompere il contatto visivo tra segnante e l’ascoltatore può

essere interpretato dai Sordi come disinteressamento o sgarbataggine.

Chi entra nella comunità dei Sordi non può fare a meno di notare un

atteggiamento di sfiducia verso gli udenti considerati intrusi, a meno che non

siano parenti, ricercatori, interpreti; lo stesso atteggiamento vale anche per quanto

riguarda la Lingua dei Segni, da un lato la si vuole promuovere e divulgare,

dall’altro c’è atteggiamento di conservazione e difesa etnica91

Le terminologie ideologiche, scientifiche e legislative della persona sorda

hanno enormi influenze sugli usi linguistici specifici della comunità sorda e della

società italiana.

In generale, la sordità è la riduzione più o meno grave dell’udito che più

essere di natura congenita o, più spesso, è acquisita durante la gravidanza o dopo

la nascita, l’acquisizione della lingua vocale del soggetto è seriamente

compromessa.92 Eppure, all’articolo della legge n.381 del 26 maggio 1970

dell’ordinamento italiano si parla di “sordomuto” e non di “sordo”: si considera

“sordo” colui che abbia una perdita uditiva dalla nascita o acquisita durante l’età

evolutiva, che gli abbia “compromesso” il normale apprendimento del linguaggio

parlato, purché la sordità non abbia avuto origine esclusivamente psichica o per

causa di guerra, lavoro o servizio” 93. Dopo diciotto anni è approvata un’altra

legge 508/98 che introduce l’Indennità di Comunicazione, dove si precisa che

“sordo prelinguale” equivale a “sordomuto” di cui alla Legge 381/70.

Cambia la terminologia che aveva precluso a molti sordi profondi di ottenere

l’Indennità di Comunicazione in quanto le Commissioni, andando contro al testo

di legge ( “sordomuto è chi è diventato sordo entro il dodicesimo anno di età e

pertanto ha avuto gravi problemi ad acquisire il linguaggio verbale” ). tratte in 91 Zuccalà A., Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi, Meltemi , Roma, 1997. 92 V.§ 0.1 relativamente alle difficoltà del sordo nell’acquisizione delle lingue verbali. 93 L.381/70, Aumento del contributo ordinario dello Stato a favore dell’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza ai sordomuti e delle misure dell’assegno di assistenza ai sordomuti.

inganno dal termine:“se sei sordomuto, non puoi parlare e quindi non ti concedo i

benefici di legge”.

La legge del 5 febbraio 1992, n. 104, riconosce la condizione di handicap sarà

influenzata inoltre dai fattori socioeconomici, essendo i sussidi protesici e

riabilitativi espressione anche delle potenzialità economiche del soggetto.

”Da queste premesse si può concludere che il riconoscimento della condizione di

handicap è da riferirsi alla persona e non è da estendersi automaticamente a tutti i

soggetti che abbiano la stessa patologia, contrariamente all’incidenza funzionale

lavorativa di una malattia, invalidità, che è tabellata dal decreto

ministeriale 5 febbraio 1992.

Per questo motivo la legge 104/92 differenzia la menomazione dalla disabilità e

dall’handicap ed affida alle Commissioni Mediche delle A.S.L. ( ex legge 295/90)

il compito di accertare nei richiedenti, oltre la condizione di invalidità, lo stato di

gravità. La legge 104, valutando le possibilità riabilitative che il soggetto può

raggiungere, dando dinamicità al concetto di persona handicappata, rende inoltre

possibile che una stessa persona venga considerata portatrice di handicap grave in

giovane età, come nel caso del bambino sordo ancora non educato all’uso della

parola, e non le riconosca tale possibilità da adulto”94

I diritti restano inalterati semmai il Legislatore dovrà precisare che i benefici

cambiano a seconda dell’insorgenza della sordità ( fino al dodicesimo anno si era

“sordomuti” e oltre tale età “sordi” ).

Finalmente fu modificata con il termine “Sordo”: “è quella che risulta a

seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 95 del 2006, che ha eliminato il

preesistente termine “sordomuto” da tutte le leggi in vigore, sostituendolo con

“sordo”, ed ha introdotto il criterio della “compromissione” del linguaggio al

posto del suo “impedimento”. Vale a dire che l’apprendimento del linguaggio non

deve più essere impossibile ma soltanto difficoltoso e, quindi, può realizzarsi, ad

esempio, grazie alla protesizzazione ed a percorsi abilitativi precoci.”95

Infatti, fino a qualche quindicina d’anni fa, si riteneva che i sordi avessero un

94 http://www.ens.it 95 http://www.ens.it/personasorda.asp

deficit mentale ed erano pertanto considerati ala stregua di incapaci giuridici.

L’appellativo “sordomuto” nasce alcuni secoli fa da una convinzione errata: non

riuscendo ad apprendere la lingua parlata, i sordi venivano etichettati come

“muti”, in realtà, adesso è ormai noto che non lo sono affatto perché il loro

apparato fono-articolatrio è perfettamente integrato e possono perciò imparare a

regolare l’emissione di suoni e parole se verranno educati al linguaggio verbale

tramite rieducazione logopedia. Nonostante che nel momento il cui il sordo

padroneggia e si esprime in lingua dei segni, anch’egli diventa un parlante

esattamente come lo è udente nella lingua verbale. Da circa una ventina d’anni è

stata coniata una nuova espressione per definire il sordo: non udente. Questo

termine è stato ideato dalla comunità udente soprattutto dagli ambienti burocratici

che vorrebbero esprimere meno “cruda” di “sordo”, termine troppo diretto che

avrebbe potuto urtare la sensibilità di chi fosse stato affetto da deficit acustico.

Però è un rimedio peggiore per i sordi come dice una nota attrice sorda francese:

Ho anche voglia di rispondere, a volte, a tutti quei termini tipo “non udenti”,

proprio non mi vanno giù. I sordi dicono, di se stessi: “sordi”. E’ una parola giusta

e chiara perché il termine “non udenti” è come un difetto e significa, di fatto,

ricordargli che non sente e una condizione di “sfortuna”. La comunità sorda

preferisce l’uso della “S” maiuscola per indicare con più forza l’appartenenza ad

una precisa comunità che solo nell’ultimo ventennio ha preso coscienza della

propria identità e che intende così affermarla; nonostante ciò, nella presente

trattazione si preferirà sempre l’uso di “sordo” e non di “Sordo” per una questione

di omogeneità dato che ogni comunità menzionata sarà indicata con la minuscola.

“Dissipando progressivamente pregiudizi e paure e superando quel “senso di

inferiorità” rispetto alle lingue vocali, in molti paesi la lingua dei segni ha ottenuto

o sta ottenendo un riconoscimento ufficiale, a livello costituzionale o con

legislazione specifica. Nel rispetto di quanto sancito dalle risoluzioni del

Parlamento Europeo del 1988 e del 1998, e dalla Convenzione ONU sui Diritti

delle Persone con Disabilità, che in più articoli invita gli Stati a “promuovere e

diffondere la lingua dei segni”, ci auguriamo che l’Italia si adegui al più presto a

tale direttiva internazionale. Ne è certo un caso che attualmente al Parlamento

Italia sia in discussione per l’approvazione unanime del DDL Riconoscimento

della lingua dei segni italiana (LIS). La Lingua dei Segni Italiana non uccide la

parola e per il bambino sordo infatti è fondamentale innanzitutto far propri gli

strumenti della comunicazione, per garantire il suo sereno e completo sviluppo

socio-affettivo e cognitivo. La lingua dei segni consente al bambino di acquisire

rapidamente e naturalmente una lingua con cui comunicare con l’ambiente

circostante, a partire dai genitori, ed uno strumento primario di apprendimento di

contenuti. 96

Il bilinguismo è una delle caratteristiche più evidente e importante per la

comunità sorda perché è una delle strategie comunicative che possa vivere in due

mondi, sorda e udente. La situazione della popolazione sorda in Italia può essere

considerata in parte simile a quella di altri gruppi linguistici minoritari.

“ I concetti di intenzionalità comunicativa, di azione condivisa e di contesto

linguistico ed extra linguistico diventano parole chiave per una didattica di L2 o

per esperienza di un’educazione bilingue.”97 (continua al paragrafo 2.2.)

Il brano di Giacomo Carbonieri, un modo per non dimenticare che la storia

insegna, come sempre: «confortato dalle sue parole (di un amico) non solo, ma

molto più conosciuto, il pericolo, che provare potrebbero i miei fratelli sventurati

di essere abbandonati in seno all’ignoranza, se io mi taceva...» (1858, pp. 6-7).

2.2 Insegnare la lingua dei segni italiana ai bambini sordi

La difficoltà nell’affrontare un’educazione bilingue consiste proprio nel

trasferire quanto si osserva in contesti naturali in campo didattico. Secondo il

principio “una persona, una lingua” (Taeschner, 1985), infatti, gli insegnanti non

solo devono comunicare soltanto attraverso la lingua straniera, ma anche “far

finta” di non capire nessuna altra lingua. In altri termini il metodo utilizzato dovrà

stimolare il bambino ad usare concretamente la lingua in base ad una necessità

comunicativa determinata da precise condizioni contestuali. I contenuti che

verranno proposti dovranno essere adatti al suo livello di sviluppo psichico e 96 http://www.storiadeisordi.it/articolo.asp?ENTRY_ID=529;http://www.ens.it/linguadeisegni.asp 97 Ardito B. ed Mignosi E. , Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non, La Nuova Italia, Firenze, 1995.

linguistico, legati alle sue esperienze di vita e perciò comprensibili e divertenti.

Apprendere un’altra lingua può essere semplicemente un gioco come tanti altri, a

patto che il metodo scelto per l’insegnamento sia adatto alle capacità del bambino.

Il gioco simbolico è una delle attività più importanti nella formazione del pensiero

e nello sviluppo del linguaggio, rappresenta proprio la possibilità di vivere questo

tipo di esperienza. Attraverso il gioco del “far finta.” i bambini simulano una

situazione immaginaria che, una volta ideata, crea una realtà da sperimentare, in

cui essi agiscono ed interagiscono fra loro. Proprio perché parte dal loro vissuto e

dal loro sistema di conoscenze, il gioco della simulazione diventa allora uno

strumento ideale per fornire ai bambini un contesto adeguato per l’azione e

l’interazione in una lingua straniera.”98

Il bambino sordo neo-arrivato deve, prima tutto, acquisire la lingua della

comunicazione. L’apprendimento della lingua dei segni necessario per assolvere i

suoi bisogni primari rappresenta quindi una prima difficoltà da affrontare. Quando

poi questo scoglio viene superato, l’insegnante che ha in classe il bambino sordo

si trova spesso davanti ad un iceberg difficile da sciogliere: frequentemente infatti

il bambino sordo evidenzia dei problemi nello studio linguistico. L’insegnante

deve stimolare e curare la motivazione di apprendere con volontà da parte dei

bambini perché devono padroneggiare la lingua della comunicazione che è una

delle radici negli ambiti disciplinari. La linguistica e il culturale sono due fattori di

natura degli studenti che devono distinguere le loro capacità di competenze

cognitive analoghe. La lingua di comunicazione non è impegnativa

cognitivamente e ben contestualizzata come la lingua di studio che è impegnativa

e formulato oralmente il testo, cioè che in termini linguistici viene definito “grado

di leggibilità” di un testo. Si tratta di una scelta che riguarda il lessico utilizzato, la

sintassi, l’organizzazione delle frasi ecc. che possa riconoscere il livello di

competenza linguistica. Ricordiamo che è già difficile per una madrelingua a

raggiungere un buon livello linguistico come uno studente italiano che acquisisce

la lingua italiana.

98 Ardito B. ed Mignosi E. , Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non, La Nuova Italia, Firenze, 1995.

In generale è importante distinguere tra l’acquisizione che genera

comprensione e produzione linguistica in modo naturale e l’apprendimento che

elabora in modo sforzato, volontario, razionale e basato sulla memoria a medio

termine. L’apprendimento contemporaneo di una seconda lingua (L2) non crea

“confusione” se porta ad acquisire la madrelingua (L1) in modo più consapevole e

creativo. La lingua dei segni è la madrelingua per un bambino sordo profondo che

impara più facilmente a confronto della lingua orale che possa apprendere dalla

famiglia normoudente. Perché la lingua dei segni ha la compatibilità completa fra

la struttura della lingua e delle risorse neuro cognitive del bambino sordo come lo

dimostra l’apparizione naturale dette dalle ricerche scientifiche. Invece

nell’acquisizione della lingua orale da parte del bambino sordo ritiene un maggior

sforzo d’attenzione dovuto a un a un trattamento cognitivo particolare. I genitori

udenti, non avendo come madrelingua la lingua dei segni, utilizzando la LS in età

tardiva potrebbe essere distante alle condizioni naturali per un bambino sordo

dell’utilizzazione di una lingua e in caso contrario cioè acquisizione in età precoce

della LS sarebbe arrivato al livello equo a un bambino udente. Però è importante

distinguere tra il bilinguismo delle lingue orali e il bilinguismo della lingua dei

segni e della lingua orale perché la neurolinguistica, cioè la disciplina che studia i

processi in atto nel nostro cervello, ha definito con molta precisione il fatto che i

due emisferi celebrali (collocati a sinistra e a destra del cranio) lavorano in

maniera specializzata, mentre la psicologia ha individuato la natura della

specializzazione: si affidano all’emisfero sinistro i compiti di natura analitica,

sequenziale, logica, all’emisfero destro quelli di natura globalistica e simultanea.

Alla base della glottodidattica moderna troviamo due concetti sui quali la

confusione non è poca quando si tratta di lingua straniera: acquisizione e

apprendimento. I due processi sono diversi tra di loro e portano diverse

conseguenze sullo studente in quanto veicolati da emisferi celebrali diversi:

1. l’acquisizione è quel processo inconscio per il quale l’emisfero destro del cervello

e l’emisfero sinistro in un lavoro cooperativo fissano i concetti nella memoria a

lungo termine dello studente;

2. l’apprendimento è un processo conscio, governato dall’emisfero sinistro, contrario

dell’acquisizione non è definitivo ma è a termine perché è basato sulla memoria a

breve termine.

Per queste ragioni, l’emisfero sinistro viene spesso etichettato come emisfero “del

linguaggio”; quello destro è l’emisfero “spaziale”. Sebbene tale dicotomia sia

semplicistica, coglie comunque le principali differenze cliniche fra individui con

lesioni che interessano rispettivamente l’emisfero sinistro e il destro. La posizione

delle aree di Wernicke e di Broca sembra avere una logica: la prima, interessata

alla comprensione, è situata nei pressi della corteccia uditiva, ossia della regione

del cervello che riceve segnali dall’orecchio. L’area di Broca, invece, interessata

alla produzione del linguaggio parlato, è vicina a quella regione della corteccia

motrice che controlla i muscoli della bocca e delle labbra. Ma l’organizzazione

del cervello per l’elaborazione del linguaggio si basa davvero sulle funzioni

dell’udito e della produzione vocale. Per rispondere occorre studiare un

linguaggio che si avvalga di canali sensoriali e motori diversi. La lettura e la

scrittura si servono della vista per la comprensione e dei movimenti delle mani per

l’espressione; per molti, tuttavia, tali attività dipendono anche dai sistemi cerebrali

implicati nella comprensione di un linguaggio vocale. Le lingue dei segni usate

dai non udenti, invece, rispondono perfettamente ai requisiti. Ricordiamo bene

che la motivazione è al cuore dell’apprendimento delle lingue e dell’insegnamento

e il fatto che l’apprendimento delle lingue visive può essere una finestra sul

mondo per coloro che hanno esperienze di esclusione psicologica, sociale,

geografica.

L’insegnare la lingua dei segni ai bambini è importante conoscere che la

sostanza è quella visivo-gestuale e la loro struttura che è iconica e dinamica che

conferisce la loro posizione particolare nello spettro strutture delle lingue. A

differenza delle lingue orali, la lingua dei segni utilizza le quattro dimensioni

dello spazio-tempo che sono le stesse degli schemi cognitivi costitutivi della

grammatica universale. L’ordine sequenziale dei segni nella frase segnata

rispecchia lo svolgimento dello schema d’azione. La sintassi segnata è vincolata

direttamente dagli schemi cognitivi mentre nelle lingue orali la sintassi è vincolata

da una riduzione di dimensione imposta dalle regole di combinazione. Come dice

il ricercatore C. Cuxac che ogni situazione di bilinguismo l’acquisizione di L1 si

effettua facendo ricorso a un trattamento rapido, automatico e inconscio del

linguaggio, mentre l’apprendimento di L2 farebbe ricorso al contributo di

processori centrali (più lenti e coscienti), Lingua dei segni e lingua orale non

possono paragonare né confrontare rispetto alla situazione di apprendimento del

bilinguismo delle due lingue orali. I bambini sordi che entrano in contatto la

lingua dei segni, si trova la stessa situazione.

Ricordiamo anche che la lingua ha un forte collegamento alla cultura e la

lingua non è solo un mezzo di comunicazione e di costruzione del pensiero ma è

anche un componente principale di una cultura e trasmette dei significati condivisi

dalle persone che appartengono alla stessa cultura. Nella lingua dei segni

trasmette dei significati che provengono dall’esperienza di vita delle persone

sorde e non possiamo insegnare ad un bambino sordo il bilinguismo precoce senza

l’esistenza di una comunità linguistica sorda che condivide non solo la lingua ma

anche un rapporto con il mondo degli udenti. Il bilinguismo LIS(Lingua dei segni

italiana)/ Lingua italiana (Lingua orale) è necessario che sia sostenuto anche dalle

persone sorde appartenenti a questa comunità culturale in caso contrari la lingua

dei segni non avrebbe un legame alla base linguistica vivente. I genitori udenti

non possono trasmettere in prima persona la lingua dei segni se non conoscono gli

elementi significativi e le esperienze delle persone sorde che appartengono alla

cultura sorda.

2.3 Insegnare la lingua dei segni ai familiari e ai professionisti

Per tanti anni, i sordi venivano riabilitati dal punto vista clinico e l’attenzione era

focalizzata esclusivamente al deficit uditivo e l’obiettivo era che il bambino sordo

diventasse il più possibile simile al bambino udente. In attuale le cose sono

cambiate e la visione alla persona sorda è più psicopedagogica che clinica, si dà

grande importanza allo sviluppo cognitivo, socio-affettivo e linguistico di un

bambino sordo.

Scoprire la sordità del proprio figlio non avviene mai subito dopo il post-parto

perché il test di screening, un test di conferma della diagnosi di sordità infantile

entro il terzo – quarto mese di vita, che è un vantaggio per identificazione e

intervento educativo precoce. Però colpisce in Italia 1 bambino su 1000, non viene

fatta prima dei due anni, età in cui il linguaggio ha il suo massimo sviluppo e nel

caso di una diagnosi precoce di ipoacusia, i genitori possono immediatamente

avvalersi di personale specializzato (logopedista e audioprotesista) in grado di

offrire le indicazioni migliori per la stimolazione necessaria a potenziare le abilità

comunicativa. L’apprendimento del bambino sordo avviene attraverso la vista,

che sostituisce l’udito e con adeguate scelte metodologiche: lettura labiale e/o

Lingua dei Segni (LIS). In questo caso i genitori portano dall’ospedale per fare la

diagnosi, dopo l’accertamento, i genitori non sono del tutto inaspettatamente ma

preoccupati e sperano di sbagliare i loro dubbi. Però quando arriva una diagnosi

certa e i genitori si comportano diversamente con reazioni psicologiche e il clima

della famiglia cambia, un peso da non saper come portare.

Le reazioni variano secondo la personalità, il livello culturale e l’ambiente dei

genitori e sono caratterizzate dai dolori psichici, sono diventati increduli,

impotenti, angosce e sensi di colpa e non sanno come affrontare il lungo cammino

verso l’accettazione del deficit.

Tutto quello che i genitori si sentono impediti a come crescere il proprio

figlio, nello stesso tempo il bambino sordo si sente frustato a non capire e non

riuscire a comunicare con i suoi genitori perché hanno difficoltà di comprenderci

e riconoscerci i propri bisogni reciproci si può sorgere un sentimento pieno di

rancore.

Spesso i genitori sono soli nell’affrontare la sordità, soprattutto la madre che

continua ad avere il ruolo primario e spesso il bambino sordo, a causa delle

difficoltà comunicative, continua a dipendere da lei molto più lungo di quanto

accade per il bambino udente. Il padre invece tende ad avere nei confronti del

figlio sordo maschio forti preoccupazioni sulle sue possibilità di diventare una

persona matura e responsabile. Nei confronti della figlia femmina prevalgono

spesso timori eccessivi sulla sua sicurezza, soprattutto in età adolescenziale, e sui

suoi rapporti amorosi.

Se i genitori dimostrano l’atteggiamento con l’accettazione del deficit al

proprio figlio e quando diventerà ragazzo potrà acquisire la fiducia in sé stesso.

E’ bene ricordare che i sentimenti tra i genitori udenti e il bambino sordo

sono differenti, i genitori dovrebbero accettare il deficit e rinunciare a pensare di

poter diventare un figlio udente e il bambino possa riconoscere il proprio deficit

per costruire, crescere e vivere una vita sua. Se in caso contrario accresce

l’handicap però spesso i genitori non rinunciano del tutto le illusioni di poter

comunicare con linguaggio verbale aggrappandosi con fiducia alla promessa del

logopedista che il bambino riuscirà a comunicare in modo chiaro.

In Italia, troviamo spesso i ragazzi sordi, verso i 16-18 anni, imparano la

lingua dei segni e cominciano a frequentare la comunità dei sordi. Questo caso

bisognerebbe riflettere soprattutto ai genitori udenti che sarebbe meglio insegnare

la lingua dei segni ai bambini sordi per evitare i gravi danni psicologici.

La famiglia sorda è diversa dalla famiglia udente perché loro comunicano

con la lingua dei segni ai figli sordi in modo naturale come dice la ricercatrice

Roberta Tomassini (1999) “ un campione di adolescenti sordi, figli di sordi,

confrontati con adolescenti sordi, figli di udenti, ha dimostrato grandi differenze

tra i due sistemi familiari. Premessa l’importanza delle relazioni all’interno della

famiglia per la costruzione della personalità dell’adolescente, è emerso che i

genitori sordi avevano una grande stima dei loro figli e gli adolescenti di questo

nucleo avevano un alto livello di autostima; nelle famiglie udenti, invece, il figlio

sordo veniva considerato insicuro, sognatore, immaturo, dipendente, e questi

ragazzi avevano livelli di autostima più bassi. Il risultato è che l’elemento

fondamentale per favorire un positivo sviluppo emotivo e affettivo è la

comunicazione, nel senso di condividere uno stile comunicativo. ”99

Però in passato i genitori sordi erano inconsapevoli sull’importanza della

lingua dei segni ed oggi sono più coscienti dei loro figli stanno acquisendo una

lingua visiva e che questo processo è molto importante. In passato i genitori sordi

si preoccupavano sull’apprendimento della lingua italiana per i figli sordi e molti

desideravano che imparino a leggere e a scrivere precocemente, ritengono 99 Maragna S., La sordità, Hoepli, Milano, 2000, (pag. 33).

fondamentali che posseggano una buona capacità di lettura labiale. Però i genitori

non costringono molto sull’uso della protesizzazione e comprendono che al

bambino sordo possa infastidire, ma potrebbe accadere che alcuni di loro scelga la

riabilitazione con l’impianto cocleare.

Certi genitori portano il bambino sordo alla logopedista che non conosce

la lingua dei segni e gli altri si rivolgono a centri di logopedia che conoscono il

metodo bimodale.

Ogni famiglia ha la libertà di scegliere il percorso iter educativo del

bambino sordo e troviamo persone sorde educate con una o due lingue, quella

lingua parlata e lingua dei segni.

In questo caso si adisce l’importanza che i genitori udenti debbano

imparare la lingua dei segni per una condivisione amorevole del canale

comunicativo con i loro figli.

Il bambino sordo ha il diritto di costruire la propria identità e diventare un

adulto, ha bisogno di modelli di riferimento, la famiglia udente è uno dei più

essenziali del modello di riferimento ed in entrambi hanno bisogno di avere affetti

profondi e buone relazioni sociali. I docenti sordi che insegnano la Lingua dei

segni sono competenti di sostenere le famiglie udenti a come procedere la

maturazione del proprio figlio sordo.

L’Ente Nazionale Sordi e altre associazioni di sordi organizzano i corsi di

LIS a vari livelli, i genitori possono iscrivere e frequentare nella comunità dei

sordi per imparare la loro lingua e cultura sorda.

Purtroppo in Italia i servizi di counselign per le famiglie sono pochissime o

inesistenti e i centri di agonistici indirizzano immediatamente alla riabilitazione di

moralismo e non affatto alla lingua dei segni, tutte le famiglie italiane

continueranno a ignorare la lingua dei segni.

“Tab. 1 L’importanza dei segni in famiglia”100

100 Maragna S., La sordità, Hoepli, Milano, 2000, (pag. 49).

L’attuale normativa prevede l’intervento d’interpretariato tra sordi ed udenti in

specifici ambiti:

o SCOLASTICO - applicabili la legge 508/58 e le circolari del Ministero della

Pubblica Istruzione n.163 del 16/06/83 e n.262 del 22/09/ UNIVERSITARIO

– applicabile l’art.13 della legge 104/92

o LAVORATIVO – applicabile l’art.7, comma II, della legge 308/58

GIURIDICO E LEGALE – applicabili gli art. 56,57, 58 della Legge Notarile,

gli art. 119, 143, 1238/1939 (Stato Civile ed Anagrafe)

o INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE – applicabile l’art. 25 della legge

104/92

o SANITARIO – applicabile l’art. 9 della legge 104/92

La legge più conosciuta nell’ambito dell’istruzione è la 517/77 che all’art. 10

stabilisce “l’istruzione scolastica obbligatoria per i sordomuti, oltre che nelle

apposite scuole speciali, nelle classi di scuola comune e l’assicurazione nei loro

confronti dei necessari servizi di sostegno”. A questa hanno fatto seguito

numerose circolari applicative, tra le quali la più importante è la CM 199/79 che

anticipa molti punti della legge 104/92.

Tutte queste legislazioni vanno indirizzate soprattutto alle persone sorde e per i

I segni in famiglia

Consentono una comunicazione Spontanea, completa e veloce con la madre e i famigliari. Mettono i bambini in relazione con adulti sordi che possono facilitano le conoscenze sul diventare figure di mondo evitando che al deficit riferimento nella si aggiunga un ritardo accettazione del deficit nell’apprendimento e nella costruzione della propria identità permettono al bambino avere con i coetanei rapporti paritari senza la faticosa lettura labbiale

bambini sordi però le scuole, gli enti pubblici e privati hanno costruito i percorsi

educativi per il miglioramento della situazione scolastica che abbia la possibilità

di organizzare i corsi di LIS per gli udenti, corsi di aggiornamento per i docenti

LIS e corsi di approfondimento per i sordi che possano formarsi il ruolo

professionale nell’ambito scolastico e di organizzare all’inizio dell’anno

scolastico corsi di base, per il personale di segreteria e i bidelli, sulle strategie

comunicative da mettere in pratica con le persone sorde.

I corsi di LIS sono uno strumento importante, che le Sezioni dell’ENS

(Ente Nazionale Sordi) hanno per avvicinare un sempre maggior numero di

persone del proprio territorio alla conoscenza della Lingua e della Cultura dei

Sordi. Questo è molto importante sia perché favorisce una migliore integrazione

sociale e culturale, anche in ambito familiare, educativo, scolastico e

professionale, sia perché rappresenta il primo passo verso la formazione di

interpreti professionali. Per la buona riuscita di un Corso di LIS, è quindi

necessario avere un’adeguata programmazione didattica e organizzativa, ma

soprattutto un corpo docente altamente qualificato. Per insegnare una lingua non

occorre solo avere un’ottima conoscenza della lingua stessa e delle sue strutture

linguistiche, ma occorre anche possedere le conoscenze educative e didattiche,

necessarie per poter seguire una corretta programmazione didattica e per stabilire

una buona integrazione con gli studenti e nel mondo dei sordi.

Per raggiungere questi obiettivi gi insegnanti partecipano ai corsi di formazione

orientati e guidati dalle sezioni dell’ENS e in collaborazione con la sede centrale

dell’ENS dove c’è un dipartimento di F.A.L.i.C.S.E.U.

Lo scopo dei corsi di LIS è l’apprendimento di una lingua straniera per la

formazione comunicativa interpersonale e fornire una buona impostazione teorica

sulla storia, linguistica, cultura ed educazione della comunità sorda. Sono rivolti a

tutti coloro che desiderano avvicinarsi alla lingua e alla cultura sorda:

o Insegnanti curriculari e di sostegno

o Educatori e operatori socio-sanitari

o Genitori di bambini sordi

o Parenti di sordi

o Persone sorde educate dall’oralismo

o Studiosi e ricercatori

o Semplici curiosi

3 CAPITOLO

PROFILI PROFESSIONALI COLLEGATI ALLA COMUNITA’

SORDA

Come vediamo chiaramente la situazione attuale (nelle scuole italiane) dei

bambini sordi nelle scuole è seguita e regolata dalla legge 104/92, la quale

all’articolo 12 (Diritto all’educazione e all’istruzione) e 13 (Integrazione

scolastica) (della legge 5 febbraio 92, n. 104 che) sancisce definitivamente il

diritto pieno e perfetto all’educazione e all’istruzione in ogni ordine di suola,

compresa la secondaria di secondo grado, la formazione professionale,

l’università e autorizza (no) (al) il Ministero della Sanità e (al) il Ministero

dell’Istruzione ad emanare un atto di indirizzo e coordinamento per determinare le

modalità educative per un bambino e adulto disabile. Il comma 5 e 6 dell’articolo

12 della legge 104/92 (si) specifica che il Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.

– Progetto di Vita) rappresenta uno strumento fondamentale per l’intervento

educativo. Esso si divide in quattro parti, ciascuna delle quali dovrebbe essere il

frutto delle collaborazioni fra insegnanti di sostegno, insegnanti curricolari ed

altre figure professionali sanitarie (medico, psicologo, assistente della

comunicazione, neuropsichiatria infantile, ecc.) che si occupano del bambino

sordo. Il P.E.I., dunque, comprende:

• la Diagnosi Funzionale Educativa, in cui vengono riportati i dati relativi al

disturbo del bambino e alle sue potenzialità di recupero;

• il Profilo Dinamico Funzionale, in cui vengono definiti gli obiettivi a breve (1-

2 mesi), medio(6 mesi-1 anno) e lungo termine (1-2 anni);

• attività, materiali e metodi di lavoro, in cui si definiscono le risorse impiegate

e le modalità con cui viene attuato concretamente l'intervento;

• verifica dell'acquisizione e dell'appropriatezza degli obiettivi, in cui si

stabiliscono le modalità e i tempi per verificare a) il livello di raggiungimento

degli obiettivi educativi da parte del bambino; b) l'adeguatezza degli obiettivi

individuati all'inizio dell'anno e l'eventuale necessità di "correggere il tiro".

In tutta l’Italia sta aumentando notevolmente la presenza delle figure

professionali collegate alla comunità sorda che lavorano non solo a scuola, ma

anche in famiglia: a tal proposito o per questo motivo, l’ENS (Ente Nazionale

Sordi) ha chiesto al Gruppo di lavoro del Dipartimento Scuola Educazione

Università di fare chiarezza la mansione e la competenza di ogni figura

professionale, in modo da poter dare indicazioni precise alle Sezioni, alle

Associazioni e Cooperative, ai Comuni e alle province che le richiedono

informazioni. In Italia, le leggi garantiscono il diritto al bambino di avere

un’istruzione e un’integrazione nell’ambito scolastico grazie a(i) diversi tipi di

servizio. Il servizio può svolgersi a scuola, a casa o sul territorio, dopo aver stilato

un Progetto Educativo Individuale che di solito viene concordato dopo un’attenta

lettura dei bisogni del bambino sordo e discussi in un’équipe formata dalla

famiglia, dagli operatori sanitari (logopedista, psicologo, neuropsichiatra infantile

e altre figure tecniche), dall’assistente della comunicazione ( sordo e udente -

figura prevista dalla legge 104/92 –legge quadro per l’assistenza, l’integrazione

sociale e i diritti delle persone “handicappate” ), dalla scuola (dirigente, insegnanti

curricolari, insegnanti di sostegno, collaboratori scolastici e tecnici). L’intervento

educativo è finalizzato al sostegno scolastico e al raggiungimento delle autonomie

di base a seconda della richiesta della famiglia e del progetto educativo

Vorrei specificare che la competenza e la professionalità di tutti gli

operatori coinvolti implica che debbano essere preparati sotto il profilo medico,

pedagogico e sociale. Quindi, per facilitare l’integrazione in classe di un bambino

sordo, è importante che gli operatori scolastici conoscano bene la lingua dei segni,

la “cultura sorda” e l’identità sorda.

Un elemento tipico della “cultura sorda” è il codice comportamentale,

inteso come un insieme di regole comportamentali da seguire nelle relazioni

sociali. Di seguito vengono riportate alcune regole per facilitare il rapporto

comunicativo.

1. “discorsi a semicerchio: questa collocazione permette ai sordi di comunicare e

di assistere alle conversazioni o a qualche intervento;

2. richiamare l’attenzione con un cenno: il movimento della mano può essere

poco o molto ampio, a secondo della distanza:

i. se il sordo e/o udente segnante è seduto a un tavolo di fronte al sordo, fa un

lieve cenno per chiamarlo;

b. se il sordo sta leggendo un libro, allora il sordo e/o udente segnante fa un lieve

cenno all’altezza in cui si trova il suo campo visivo;

c. se la distanza fra gli interlocutori è molto ampia, il sordo e /o udente segnante

chiama una terza persona perché richiami l’attenzione dell’interessato;

3. richiamare l’attenzione attraverso un contatto fisico. Questa modalità si usa in

diversi contesti;

4. “attraversare” la conversazione: se due sordi si trovano in un corridoio a

“conversare” e bloccano il passaggio a un altro sordo, quest’ultimo deve

piegare leggermente la testa e usare il segno “scusa” quando passa. Non è

necessario fermarsi per avere la loro attenzione o per avere il consenso di

passare;

5. interrompere le “conversazioni”. I comportamenti per interrompere variano a

seconda delle diverse circostanze. Se, ad esempio, l’udente sta conversando

con un sordo e ha la necessità di interrompere il contatto visivo perché squilla

il telefono o perché qualcuno lo chiama, deve informare l’interlocutore sordo

(che giustamente non ha sentito nulla o che ha sentito rumori senza

riconoscerli) di ciò che sta accadendo. In questa maniera, il sordo può rendersi

conto della situazione. Interrompere il contatto visivo senza spiegazione è

considerato una forma di maleducazione e dall’impressione che l’udente non

sia attento o interessato alla conversazione.

Un elemento essenziale per il sordo, ma non fondamentale per l’udente, è il

“CONTATTO VISIVO”, ossia guardare negli occhi l’interlocutore. ”101

La comunicazione nella cultura dei sordi è possibile solo con il contatto visivo e

l’espressione facciale.

La storia del nostro Paese, rispetto all’educazione dei sordi, dimostra che i

sordi sono prevalentemente stati educati con il metodo oralista. Quando un

bambino sordo si trova nel mondo dei sordi scopre le sue vere possibilità ed i suoi

veri limiti (le difficoltà di comunicazione velavano tutto ciò), i suoi gusti, le sue

scelte; egli si sente in pieno possesso dei suoi mezzi: può fare parte di tutti i clubs

che vuole (sportivi, teatrali, religiosi, scientifici, ecc...), partecipare a gruppi di

discussione, difendervi le sue idee e accettarvi quelle degli altri, relativizzare le

sue opinioni e criticarle, in breve, sviluppare la propria personalità e prendere

coscienza della propria identità". Gli operatori sordi hanno la possibilità di

dimostrare la realtà dei fatti con la loro esperienza, conoscenza e nel dire cosa

significa vivere da sordo, ma questo non significa che abbiano il monopolio del

sapere sulla sordità. E’ consigliabile, ma non obbligatorio, equilibrare il rapporto

fra il numero di bambini sordi, di operatori sordi e di operatori udenti per

mantenere e valorizzare la diversità linguistica, culturale, sociale ed educativa tra

il mondo dei sordi segnanti e il mondo degli udenti.

Purtroppo i profili professionali coinvolti nella comunità sorda non hanno i

corretti requisiti di professionalità e caratteristiche adeguate allo svolgimento

delle attività nel contesto familiare, scolastico ed extrascolastico.

Di conseguenza, i profili professionali si trovano a disagio a non saper

svolgere il proprio compito, non conoscendo la propria competenza, e ciò

comporterebbe un senso di confusione, mancanza di valorizzazione, mancanza di

riconoscimento e scarsa qualità professionale.

Essenziale è, oltre a quanto detto e in connessione a ciò, che i genitori

conoscano la differenza tra il ruolo professionale della persona sorda e della

persona udente. La legge 104/92 utilizza solo il termine “assistente alla

comunicazione” sia nel caso che si tratti di una persona sorda che di una persona

101 Gruppo SILIS, Mason Perkins Deafness Fund , Metodo Vista per l’insegnamento della Lingua dei Segni Italiana, Edizioni Kappa, Roma, 2000.

udente; è però preferibile chiamare “educatore” la persona sorda perché il suo è

un vero e proprio intervento educativo, dal momento che deve rafforzare l’identità

del bambino sordo, facendogli capire che la sua diversità va accettata perché può

essere stimolatrice di nuove strategie didattiche ecc...

ELENCO PROFILI PROFESSIONALI SUDDIVISI PER CONTESTI E

CATEGORIE:

NEUROPSICHIATRA INFANTILE

Medico specializzato nella prevenzione e cura delle anomalie dello sviluppo del

bambino e dell’adolescente. Egli lavora solitamente presso le Asl (Agenzie

Sanitarie Locali) dove svolge prevalentemente un lavoro clinico che lo porta a

diretto contatto con i pazienti.

INSEGNANTE CURRICOLARE

Professionista tecnico dell’insegnamento disciplinare, che opera in

un’organizzazione di servizio pubblico che produce “pacchetti formativi” dotata

di autonomia. Essere insegnante è un partecipare al processo di integrazione di

tutti gli alunni anche di quelli certificati, definiti un tempo “portatori di handicap”,

“handicappati”, ora alunni in situazione di handicap e disabili. Gli insegnanti

curriculari “Hanno la responsabilità del progetto educativo e formativo degli

allievi, l’assistente della comunicazione collabora e concerta con la loro

pianificazione delle lezioni, mediante strategie di visualizzazione dei

contenuti.”102

INSEGNANTE DI SOSTEGNO

Prepara e adatta visivamente il materiale didattico per l’alunno sordo; in alcuni

ancora avviene che le due figure (insegnante curriculare e di sostegno) siano

presenti in classe in momenti diversi, coprendo così un monte-ore più ampio. Le

diverse scelte dipendono in gran parte dalla capacità delle persone di lavorare in

equipe e di sfruttare al massimo le competenze professionali di ogni figura.

Nonostante questa figura si stia diffondendo in tutta Italia a macchia d’olio, 102.Bosi R, Maragna S., Tomassini R., “L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo”, FrancoAngeli, Milano, 2007, (pag. 36).

tuttavia manca ancora un profilo professionale, perché la legge 104/92 si limita a

prevederne la presenza, senza dare indicazioni precise né sui requisiti né

sull’inquadramento giuridico ed economico. Quella del docente di sostegno è la

figura professionale più recente in ordine di tempo della scuola italiana. “Nasce”

nel 1977 con l’integrazione scolastica degli alunni “portatori di handicap” di cui

rappresentava, secondo le intenzioni del legislatore, una tra le risorse principali

“al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della

personalità degli alunni”, tutti, anche di quelli con deficit sensoriali. La

preparazione degli insegnanti, che allora era quasi esclusivamente incentrata sulla

conoscenza dei contenuti disciplinari (peraltro molto diversificato a quel tempo

perché prevedeva il diploma di scuola o istituto magistrale per l’insegnamento

nella scuola materna ed elementare, la laurea per numerose discipline alla scuola

media inferiore e superiore) da sola non appariva sufficiente a garantire i diritti

degli alunni con deficit; era necessaria una preparazione specifica che venne

affidata ai corsi biennali di specializzazione, per certi aspetti anticipando di quasi

trent’anni l’istruzione delle scuole di specializzazione per tutti gli insegnanti. E’

consigliabile che l’insegnante di sostegno conosca la Lingua dei Segni, la cultura

sorda e la comunità sorda per facilitare la comunicazione soprattutto ai bambini

sordi segnanti e collaborare con l’Assistente alla comunicazione e l’Educatore con

lo scopo di ottenere un migliore percorso educativo per bambini sordi. Per

diventare insegnante di sostegno si deve necessariamente conseguire un Titolo di

Laurea in Scienze della Formazione Primaria che “ha valore di esame di Stato e

abilita all’insegnamento, rispettivamente, nella scuola dell’infanzia e nella scuola

primaria”. Sono inoltre previste all’interno dei corsi di laurea attività didattiche

aggiuntive, per almeno 400 ore, attinenti l’integrazione scolastica degli alunni in

situazione di handicap che permettono il conseguimento dell’abilitazione per

l’insegnamento di sostegno nella scuola dell’infanzia o nella scuola primaria.

“Definii dal DM 26/05/1998 i criteri generali per la disciplina da parte delle

università degli ordinamenti dei Corsi di laurea in Scienze della Formazione

Primaria e delle Scuole Specializzazione all’insegnamento Secondario.

All’interno dei percorsi di abilitazione all’insegnamento sono previsti i corsi di

abilitazione per l’insegnamento di sostegno (vedi articolo 3 comma 6 e articolo 4

comma 8)”103.

• La persona sorda in Italia non potrebbe mai diventare un insegnante

curriculare perché non è fisicamente sano e integro. Nel secolo XIX, furono aperti

Istituti per “sordomuti” in diversi Stati della penisola. Negli Istituti veniva

utilizzata la lingua dei segni nella trasmissione dei contenuti scolastici ed erano

presenti anche alcuni insegnanti sordi che insegnavano la lingua italiana,

matematica e le altre discipline scolastiche per i bambini sordi. Nella prima metà

dell’800 numerosi allievi sordi divennero a loro volta docenti partecipando

attivamente al dibattito culturale e pedagogico di quel periodo. “Questo periodo –

che oggi appare quasi come un’età dell’oro nella storia dei sordi – vide la rapida

istituzione in tutto il mondo civile di numerose scuole per sordi, per lo più

condotte da insegnanti sordi, l’emergere dal buio e dall’oblio, la loro

emancipazione e il loro affrancamento, seguiti ben presto dalla comparsa di sordi

in posti di responsabilità e di prestigio; all’improvviso divenne possibile qualcosa

che in precedenza non si poteva nemmeno concepire: l’emergere di scrittori sordi,

ingegneri sordi, filosofi sordi, intellettuali sordi"104

LOGOPEDISTA

Elabora, anche in equipe multidisciplinari, il bilancio logopedico volto

all’individuazione e al superamento del bisogno di salute del disabile. Pratica

autonomamente attività terapeutiche per la rieducazione funzionale delle disabilità

comunicative e cognitive, utilizzando terapie logopediche di abilitazione e

riabilitazione della comunicazione e del linguaggio, verbali e non verbali. Propone

l’adozione di protesi ed ausili, ne addestra all’uso e ne verifica l’efficacia. Svolge

attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi sanitari ed in

quelli dove si richiedono le sue competenze professionali. Verifica le rispondenze

della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.

EDUCATORE (SCOLASTICO e DOMICILIARE)

103 http://www.integrazionescolastica.it/article/168 . 104 Sacks O., Vedere voci, Adelphi edizioni, 1990, (pag. 44).

Il profilo professionale dell’educatore sordo è molto importante per un

bambino sordo, la sua presenza all’interno di una classe si pone agli insegnanti

una serie di interrogativi sul lavoro di questo operatore per quel che riguarda il

suo ruolo e le sue competenze, rispetto all’insegnante curriculare e di sostegno.

L’educatore educa il bambino sordo, bambini udenti e insegnanti alla Lingua dei

Segni attraverso la quale si educa ad una cultura, ad un modo diverso di vivere la

realtà.

“Comunicativo: Il bambino sordo ha le necessità di avere le stimolazioni

attraverso la Lingua dei Segni Italiana che possa acquisire con il canale visivo-

gestuale come madre lingua e di elaborare nel proprio linguaggio” 105

La comunicazione si sperimenta nel quotidiano e avviene in diversi ambiti come

la scuola e la famiglia. Il bambino sordo diventa consapevole che attraverso la LIS

può raggiungere livelli cognitivi, di organizzazione del pensiero e di socialità pari

a quelli dei suoi genitori, insegnanti e compagni udenti. L’uso spontaneo della

lingua dei segni in contesti scolastici e non, forma e arricchisce il bambino sordo,

permettendogli di vivere serenamente la sua diversità.

“Linguistico: il bambino deve avere la competenza linguistica della LIS del

bambino. La competenza linguistica della LIS è quella delle regole grammaticali e

l’uso della lingua deve tener conto dell’aspetto linguistico e della costruzione

delle frasi della lingua.

Educativo: l’educazione è una dei fondamenti obiettivi educativi, linguistici e

didattici per il bambino sordo e per l’insegnamento della lingua dei segni è

necessario educarlo attraverso la relazione con l’ambiente interno ed esterno e

educare la famiglia all’utilizzo della comunicazione visivo-gestuale e alle

caratteristiche dei sordi. Crescere l’identità sorda è necessario stimolare

l’acquisizione della LIS e alla comunicazione.”106

L’educatore sordo è affiancato solo ed esclusivamente ai bambini sordi,

rappresenta il punto di contatto e di riferimento tra due mondi e due modalità di

105 Bagnara C., Chiappino G., Conte M.P., Ottolini M., Viaggio nella città invisibile. Atto del 2° Congresso Nazionale sulla Lingua Italiana dei Segni, Edizioni del Cerro, Pisa 2000, (pag. 202-203). 106 Bagnara C., Chiappino G., Conte M.P., Ottolini M., Viaggio nella città invisibile. Atto del 2° Congresso Nazionale sulla Lingua Italiana dei Segni, Edizioni del Cerro, Pisa 2000, (pag. 202-203).

comunicazione diverse. Il suo lavoro è mirato allo sviluppo della comunicazione,

ed ha come obiettivi educativi quelli di:

1. stimolare il bambino sordo e le persone con cui è in contatto alla

comunicazione;

2. aiutare il bambino a costruire e a far conoscere la propria identità di persona

sorda.

L’educatore udente segnante può svolgere senza difficoltà lo stesso profilo

professionale dell’educatore sordo ma il bambino sordo ha la necessità di

confrontarsi e identificarsi fin da piccolo con un adulto simile a lui che possa

offrirgli un modello sia da un punto di vista comunicativo linguistico che dello

sviluppo identitario. In questo senso allora l’incontro a scuola con un educatore

sordo per esempio, in un momento così delicato per i genitori, da un lato

rappresenta un sostegno e una risposta alle loro ansie circa il futuro del loro

piccolo e dall’altra dà fiducia al bambino nella sua possibilità di diventare

grande.

Requisiti professionali dell’Educatore sordo in ambito scolastico per bambini

sordi in età prescolare

Deve avere ottima conoscenza linguistica della Lingua dei Segni Italiana come

madre lingua dei segni italiana e con ottima competenza della lingua italiana;

si fa promotore dei bisogni del bambino sordo all’interno del sistema

scolastico insieme all’insegnante di sostegno;

deve essere in possesso di titolo di studio adeguato: liceo psico-pedagogico o

diploma di maturità per tutti i gradi scolastici (dal nido alle elementari).

Laurea in Scienze della Formazione per tutti i gradi scolastici (dal nido alle

superiori); corsi di formazione, aggiornamento, professionalizzazione e

specializzazione per gli assistenti alla comunicazione;

per essere un educatore professionale ed esperto è necessario possedere buone

conoscenze di vario genere: scientifiche, metodologiche e tecniche. Il

processo di formazione si sviluppa su due livelli: a) tecnico–culturale; b)

teorico–pratico;

deve avere la capacità di gestire contesti educativi per la prima infanzia,

attuare e verificare progetti educativi caratterizzati da intenzionalità e

continuità, valorizzare la relazione educativa nell’ambito familiare, scolastico,

extra- scolastico e nel contesto ambientale in generale, partecipare alla

gestione e al coordinamento dei servizi educativi; progettare e svolgere attività

educative nei vari servizi rivolti alla prima infanzia.

Requisiti professionali dell’Educatore sordo in ambito domiciliare per

bambini sordi in età prescolare

• Aiutare alla famiglia non segnante di conoscere, comprendere ed accettare il

problema della sordità;

• far comprendere ai genitori udenti che non conoscono la lingua dei segni

italiana l’importanza della comunicazione visivo-gestuale e la lingua dei segni

per il bambino sordo;

• rilevare l’importanza della presenza di un adulto sordo come figura di

riferimento per il bambino sordo e come consulente riguardo ai problemi di

comunicazione per i familiari;

• spiegare che la sordità non è una malattia e la persona sorda può vivere e

comunicare con le due lingue per superare le barriere comunicative ponendosi

come ponte fra due mondi, quello dei sordi e quello degli udenti.

La presenza dell’educatore in casa è temporanea e la famiglia può apprendere le

regole comunicative e la LIS per comunicare con proprio figlio anche in assenza

dell’educatore domiciliare.

ASSISTENTE ALLA COMUNICAZIONE :

Ha come compito quello di “Facilitare la comunicazione” tra il bambino sordo, i

docenti e i compagni di classe; pertanto egli non deve porsi come un insegnante,

ma affiancare il docente che conduce la classe in quel momento. E’ però

altrettanto vero che le competenze e i ruoli non possono sempre essere

rigidamente circoscritti perchè poi la realtà è differente. Pensiamo ad esempio a

un contesto di scuola elementare in cui la maestra curricolare chiede ai bambini di

eseguire un compito e l’assistente alla comunicazione deve spiegare in segni cosa

si deve fare; ma poi essendo la classe numerosa finisce col seguire il bambino

anche nell’esecuzione del compito e di fatto fa l’insegnante.

Un’assistente alla comunicazione può essere non segnante, che lavora per i

bambini che non conoscono la lingua dei segni e apprendono con il metodo

oralista.

Requisiti professionali dell’Assistente alla comunicazione sordo in ambito

scolastico per bambini sordi in età prescolare

• Preferibilmente dovrebbe essere madrelingua della lingua dei segni italiana e

con ottima competenza linguistica della lingua italiana;

• dovrebbe acquisire la consapevolezza delle varietà linguistiche e dovrà saper

usare la LIS anche in presenza di un pubblico composto sia di bambini sordi

che di bambini udenti perché alcune persone sorde usano la voce con un

udente o Italiano Segnato e la LIS viene usata soltanto fra gruppi di sordi per

abitudine;

• deve essere in possesso di titolo di studio adeguato: liceo psico-pedagogico o

diploma di maturità per tutti i gradi scolastici (dal nido alle elementari); corsi

di formazione, aggiornamento, professionalizzazione e specializzazione per

gli assistenti alla comunicazione;

• conoscere le diverse competenze e responsabilità che appartengono ad ogni

singolo operatore;

• deve avere capacità di gestire, comunicare e colloquiare le due lingue in modo

flessibile sempre con scopi didattici, adeguandola alla comunicazione con

bambini prescolari.

Requisiti professionali dell’Assistente alla comunicazione udente

• Deve avere ottima competenza linguistica della lingua dei segni come seconda

lingua (figlio di genitore sordo segnante ma la sua competenza deve essere

valutata e riconosciuta mediante un esame oppure aver frequentato un corso di

LIS di almeno 400 ore);

• deve essere in possesso di titolo di studio adeguato: liceo psico-pedagogico o

diploma di maturità per tutti i gradi scolastici (dal nido alle elementari).

Laurea in Scienze della Formazione per tutti i gradi scolastici (dal nido alle

superiori); corsi di formazione, aggiornamento, professionalizzazione e

specializzazione per gli assistenti alla comunicazione;

• frequentare regolarmente la comunità dei sordi.

Questi due profili orientano il bambino sordo non solo all’apprendimento

linguistico ma anche all’apprendimento sociale, a quello del livello culturale che

trasmette una figura positiva per l’accettazione del deficit uditivo e la costruzione

di un’identità adulta, anche se la famiglia potrebbe non accettare che la figura

professionale sia sorda per mancanza di fiducia. La sua funzione è quella di ponte

comunicativo tra il bambino sordo, la classe e i docenti con l’obiettivo di

abbattere le barriere comunicative, offrire pari opportunità e consentire allo

studente sordo di esprimere pienamente le proprie potenzialità scolastiche.

Ricordiamo sempre che per compiere il ruolo dell’educatore/assistente alla

comunicazione sordo va deciso dalla famiglia quale sia il metodo didattico tra

oralismo, bimodale o misto e il bilinguismo.

ANIMATORE SOCIO-CULTURALE

L’animatore attiva processi di promozione della partecipazione sociale e di

sviluppo delle potenzialità delle persone, dei gruppi e delle comunità territoriali,

operando prevalentemente nelle situazioni di disagio e di emarginazione delle

fasce più deboli, con problemi di autonomia e di socializzazione. In particolare,

promuove i processi di attivazione del potenziale ludico, culturale, espressivo,

relazionale ed educativo. Capacità di operare nei settori dell’educazione

extrascolastica sia in progetti e servizi che integrano in continuità l’azione della

scuola, sia in attività che aprono orizzonti all’azione educativa valorizzandone

potenzialità di prevenzione del disagio e sulla base di progetti (individualizzati o

di comunità) predisposti dagli operatori di riferimento, la partecipazione e

l’aggregazione sociale degli utenti.

E’ richiesto almeno il possesso dei seguenti titoli: attestato di qualifica di

animatore socio-culturale e, preferibilmente, madrelingua della lingua dei segni

italiana e buona competenza linguistica della lingua italiana.

L’animatore è servitore e non padrone del processo educativo, vale a dire che sia

impegnato a suscitare vita intorno a sé, giocando tutte le risorse a sua

disposizione. L’animatore si presenta e non si rappresenta, comunica con rispetto

e sincerità con bambini sordi ed udenti ed adulti sordi ed udenti. E’ importante

che conosca la comunicazione non verbale, saper ascoltare, stare con i bambini, in

grado di conoscere ogni singolo bambino per far emergere le sue potenzialità.

L’animatore deve conoscere ed utilizzare tecniche d’animazione e giochi

d’interazione creando tante idee per passare la giornata in allegria ed anche gli

stili comunicativi dell'animatore devono poter migliorare la comunicazione nel

gruppo e con il gruppo.

INTERPRETE DELLE LINGUE DEI SEGNI E DELLA LINGUA DEI

SEGNI/LINGUA VOCALE:

L’interprete di lingua dei segni assume, a partire dal 1988, rilevanza europea

come figura professionale tale da richiedere uno specifico impegno istituzionale,

sia nazionale che internazionale, per la formazione di interpreti professionisti

nonché di precisi e finalizzati programmi occupazionali in ogni stato membro.

L’interprete compie un processo di elaborazione sul messaggio della lingua di

partenza (es. Lingua dei Segni Francese) per riformularlo nella lingua di arrivo

(es. Lingua dei Segni Italiana/Lingua scritta), utilizzando con padronanza soltanto

il canale visivo-gestuale a differenza dell’Interprete della Lingua dei segni/Lingua

vocale (vedi nel seguente paragrafo “profilo professionale della persona udente”).

I processi di interpretazione che occorrono tra la lingua dei segni italiana e le

lingue dei segni stranieri richiedono competenze specifiche ed altamente

professionali. L’interprete deve essere in grado di comprendere le culture nelle

quali opera ed integrarsi perfettamente.

I sordi italiani rivendicano il loro diritto all’informazione, all’istruzione,

all’interazione e all’integrazione utilizzando la propria lingua, espressione di

quella cultura da loro stessi definita “sorda”. L’interprete udente della Lingua dei

Segni /Lingua vocale che lavora per i sordi nasce da una loro naturale necessità di

relazionarsi col mondo esterno (comunità udente). Nel compito di interpretare le

lingue però è importante conoscere bene anche la cultura che supporta per

formulare alla perfezione la lingua che possa trasmettere il messaggio in modo

chiaro. Questo profilo è un po’ particolare in confronto a un interprete di lingua

vocale, per l’interpretazione tra la lingua segnica e la lingua vocale e viceversa, è

necessario che abbia un’efficace padronanza nell’utilizzo del canale comunicativo

visivo-gestuale e di quello acustico-vocale. Di solito deve avere un’ottima

preparazione ed istruzione superiore avendo una vasta cultura in vari campi

soprattutto nella competenza linguistica e culturale delle due lingue, il codice

deontologico, le tecniche traduttive, capacità di gestire e valutare le diverse

situazioni ed i contesti interpretativi e di riuscire a possedere un equilibrio

psicologico e fisico. In Italia si sta diffondendo la figura professionale

dell’interprete LIS in ottemperanza degli artt. 9 – 13 – 16 della Legge 104/92. Sia

il profilo economico che professionale di questa figura non è ancora stato definito

dalla norma vigente come quella dell’Interprete della lingua dei segni. Per

rimediare a questa mancanza, le associazioni italiane per gli interpreti hanno

stilato un profilo professionale dell’interprete LIS/Italiano, di due lingue dei segni.

Interprete scolastico

E’ come l’interprete della lingua dei segni/lingua vocale, ma ha un ruolo

particolare e il compito è di interpretare la lingua dei segni italiana e la lingua

italiana soltanto nell’ambito scolastico con competenze linguistiche e sociali

diverse da quelle esterne. La modalità comunicativa e l’approccio sono seguiti

soltanto nella situazione scolastica, che comporta una specie di elasticità

nell’avvicinamento alle esigenze educative della scuola.

PSICOLOGO

Professionista che studia i processi mentali e cognitivi, consci e inconsci, degli

esseri umani, secondo diversi orientamenti teorici e metodologici. Può utilizzare

le sue competenze in molti ambiti diversi, in questo caso, educativo,

nell’orientamento scolastico e professionale. C’è poca differenza tra lo psicologo

sordo e lo psicologo udente, ma per il paziente sordo si lavora meglio utilizzando

lo stesso linguaggio e lo stesso deficit uditivo. Il paziente sordo si identifica

facilmente con lo psicologo sordo. Invece con lo psicologo udente impiega più

tempo sull'identificazione e poi non tutti gli psicologi udenti utilizzano bene la

Lingua dei Segni quindi è difficile per loro cogliere le sfumature della LIS.

DOCENTE LIS

Il profilo professionale del docente LIS e la sua “definizione” di docente non è ancora regolata dalla Costituzione Italiana, ma all’interno dei singoli enti che attivano questo insegnamento è presente un regolamento proprio. Il docente LIS deve avere: • ottima competenza linguistica della lingua dei segni;

• ottima conoscenza della cultura sorda, linguistica, storia, pedagogia e

psicologia della comunità sorda;

• ottima preparazione sui metodi di insegnamento con la lingua dei segni a

secondo del livello di competenza linguistica dei bambini sordi;

• curare la classe di apprendimento della LIS frequentata dai bambini sordi e

udenti;

• curare la classe di apprendimento della LIS frequentata solo dai bambini sordi

che hanno la necessità di esercitare la madre lingua come i bambini udenti e

italiani che apprendono la lingua italiana;

E’ consigliabile che egli sia presente durante le attività didattiche del programma

scolastico che viene utilizzato e proposto a tutti i bambini sordi e udenti. Tab.1 Sintesi Schematiche

METODO ORALE METODO BIMODALE EDUCAZIONE

BILINGUE

Diagnosi precoce esatta valutazione del deficit

Immediata protesizzazione

Terapia logopedica plurisettimanale e pluriennale

Collaborazione della famiglia alla terapia logopedica

Integrazione nelle scuole

E’ un metodo oralista. Il bambino sordo è esposto ad un’unica lingua (la lingua orale) trasmessa contemporaneamente nelle due modalità: acustico-vocale e visivo-gestuale; Massima importanza ai contenuti; IL LOGOPEDISTA LAVORA SU 3 LIVELLI:

Diagnosi precoce Esatta valutazione del

deficit Protesizzazione Terapia logopedica Frequenza di persone

udenti Acquisizione precoce della

LIS Uso dei segni a scuola Uso dei segni in famiglia

normali frequenza solo di persone udenti

- stimolazione fono acustica: allenamento acustico e stimolazione fonologica; - lettura labiale; -sviluppo cognitivo-linguistico.

Apprendimento della LIS da parte dei genitori

Frequenza di persone sorde Scelta di scuole di

riferimento in cui inserire piccoli gruppi di bambini sordi in classe di bambini udenti.

Ambito

familiare:

Educatore domiciliare Ai genitori viene richiesto l’apprendimento della Lingua dei Segni

Assistente alla comunicazione segnante e/o educatore sordo

Ambito scolastico:

Insegnante di sostegno, Educatore scolastico o Assistente alla comunicazione non segnante

Insegnante di sostegno, Educatore scolastico o Assistente alla comunicazione IS/ISE (Italiano segnato esatto)

Insegnante di sostegno, Ass. alla comunicazione segnante e/o educatore sordo

Ambito

sanitario:

Audiologo Audioprotesista Logopedista Neuropsichiatria Psicologo Assistente sociale

Audiologo Audioprotesista Logopedista Neuropsichiatria Psicologo Assistente sociale

Audiologo Audioprotesista Logopedista Neuropsichiatria Psicologo Assistente sociale

Metodi: Metodi tradizionali: rieducazione cognitivo-linguistica a) Dalla fonologia alla semantica b) Dalla semantica alla fonologia

PARTE TERZA

Percorsi educativi per bambini con la lingua dei segni italiana:

fondamenti pedagogici di un’esperienza educativa nella Scuola

d’Infanzia

1 CAPITOLO

ESPERIENZE DI PROGETTI DI BILINGUISMO NELLE SCUOLE

ITALIANE

1.1 L’intervento educativo nel contesto familiare, scolastico ed extrascolastico

L’articolo scritto da Antonella Sorace dell’Università di Edimburgo

testimonia, attraverso le ricerche scientifiche, i vantaggi linguistici e cognitivi del

bilinguismo infantile: “Capire e incoraggiare il bilinguismo nei bambini è una componente essenziale di questo processo. Gli interventi legislativi a favore delle lingue minoritarie, per quanto tempestivi ed efficaci, non possono compensare il fatto che queste lingue vengono parlate da un numero decrescente di famiglie. E’ importante quindi avere una corretta informazione sui fatti del bilinguismo: capire quali sono i pregiudizi comuni nei confronti del bilinguismo, quali sono i vantaggi che esso invece comporta per il cervello del bambino bilingue, e in che modo il bilinguismo precoce può offrire un contributo vitale al mantenimento delle lingue minoritarie”.107 Crescere con due lingue viene ancora considerato fuori dalla norma nelle nostre società, e il bilinguismo è spesso circondato da pregiudizi e disinformazione. Molti credono ancora che imparare due lingue richieda uno sforzo cognitivo per il cervello del bambino piccolo, o che due lingue tolgano spazio e risorse allo sviluppo cognitivo generale. Queste opinioni sono spesso alla radice delle decisioni prese dalle famiglie, dagli insegnanti e dai politici, e quindi finiscono per influenzare la vita stessa dei bambini che avrebbero l’opportunità di crescere bilingui. Molti genitori, pur volendo che i loro figli parlino due lingue, sentono dire che l’esposizione a due lingue causa problemi e quindi accantonano il progetto del bilinguismo ancor prima di averlo veramente sperimentato; oppure decidono che sia meglio aspettare per parlare per poi scoprire con amarezza che è troppo tardi. Se i genitori, invece, riescono a stabilire un ambiente bilingue per i figli in età prescolare, può accadere che, una volta iniziata la scuola, gli insegnanti attribuiscano al bilinguismo la responsabilità di eventuali problemi scolastici. In questa situazione molte famiglie sono tentate di abbandonare l’educazione bilingue, nonostante funzioni, e cerchino di ristabilire un ambiente monolingue per risolvere il problema”. L’articolo dimostra che la società ha pregiudizi negativi nei confronti del bilinguismo a causa di mancanza di informazione che dovrebbe essere divulgata con la convinzione che l’educazione bilingue è insegnata e appresa in modo

naturale e spontaneo senza sforzo perché i bambini hanno il cervello come una

spugna creata per assorbire, catalogare, memorizzare, relazionare informazioni di

ogni genere: sensazioni tattili, visive, sonore, gustative, olfattive, forme, colori,

107 Sorace A., Un cervello, due lingue: vantaggi linguistici e cognitivi del bilinguismo infantile,Università di Edimburgo _ http://www.minoranze-linguistiche-scuola.it/wp-content/uploads/2010/03/Sorace.pdf

informazioni spaziali sull'ambiente, emozioni piacevoli o spiacevoli, ricordi di

esperienze passate, luoghi, relazioni inter e intra specifiche. Lo sviluppo bilingue nei bambini comporta molto di più della conoscenza di due lingue: • beneficio di accesso a due lingue e a due culture; • maggiore tolleranza verso le altre culture; • futuri vantaggi sul mercato del lavoro; • flessibilità nel modo di pensare e agire in diverse situazioni; • capacità di “gestire” le relazioni tra lingue e cultura e di conoscere

spontaneamente la struttura del linguaggio; • possono notare intuitivamente la struttura e il funzionamento delle lingue,

maggior abilità di distinguere tra FORMA e SIGNIFICATO delle parole; • possono ottenere l’abilità metalinguistica che possa riconoscere il sistema di

corrispondenza tra lettere (abilità di lettura precoce) della lingua scritta e suoni della lingua parlata.

La ricerca scientifica testimonia che il cervello è perfettamente in grado di “gestire” due o più lingue simultaneamente fin dalla nascita. L’atteggiamento delle famiglie e della società nei confronti del bilinguismo e del valore delle lingue minoritarie sono fondamentali e spesso vengono considerate poco importanti. E’ fondamentale invece dimostrare i benefici cognitivi e linguistici del bilinguismo ed è necessario che le lingue siano apprezzate dalla famiglia e dalla comunità. I bambini possono comprendere in modo consapevole che le lingue sono utili in tutte le situazioni non soltanto in famiglia. Ricordiamo che è necessario far praticare ai bambini le lingue con materiali didattici come libri, video, giochi, e altri materiali che possano essere non solo una fonte di input ma anche un supporto per il bambino a produrre le lingue. Bisognerebbe promuovere un servizio di divulgazione con una guida, un sito o altro che miri ad aumentare la conoscenza e la consapevolezza dei vantaggi del bilinguismo infantile. È possibile partire con l’offerta di servizi come seminari a vari settori della comunità e materiali didattici di vari tipi sul bilinguismo, magari anche per l’immigrazione e per le lingue minoritarie autoctone; potrebbero diventare un forte segnale positivo per la famiglia, gli insegnanti, gli amici, gli amministratori e i politici.

La mia esperienza lavorativa dimostra che tutti questi tipi di offerta aiutano molto quelli che vorrebbero insegnare due lingue ai bambini sordi. Ho incontrato tante persone inconsapevoli sull’importanza e benefici del bilinguismo e si sono impauriti nel provare un nuovo metodo, anche se è vecchio. Secondo me è importante avere un intervento educativo, ma anche legislativo che possa tutelare tutte le lingue, maggioritarie e minoritarie.

La presenza nelle classi normali di bambini in situazioni di handicap è una

realtà ormai comune alla maggior parte dalle scuole italiane di ogni ordine e grado

e, nonostante ci siano ancora scuole specializzate per sordi, il sistema è cambiato;

si invitano a inserire anche i bambini udenti nelle classi con i bambini sordi. In

questo caso esistono pochissime scuole sul territorio nazionale dove viene

adottato esplicitamente un modello di educazione bilingue LIS/italiano che

coinvolge bambini sordi e udenti.

“L’incontro e la presenza precoce dell’educatore/assistente alla

comunicazione sordo, in questa fase delicata della vita dei genitori, rappresenta un

sostegno e una risposta alle loro ansie circa il futuro del figlio e offre un modello

di comunicazione più adeguata al bambino, quella visivo-gestuale. Analogamente,

l’incontro con una persona adulta segnante dà fiducia al piccolo e lo sostiene nella

sua possibilità di diventare grande. Diventa quindi fondamentale per il bambino

sordo avere la possibilità di confrontarsi e identificarsi con un adulto simile a lui,

con un modello possibile e sul piano comunicativo – linguistico, sperimentare il

piacere di comprendere ed essere compreso. Nell’interazione con l’adulto sordo il

piccolo, infatti, potrà ricevere gli stimoli linguistici a lui adeguati e questo lo

predisporrà ad uno sviluppo spontaneo della sua lingua naturale, e quella dei

segni, ma non solo. Avrà un possibile modello adulto di persona sorda a sostegno

dello sviluppo del senso di identità e del suo futuro. ”108

“Per comprendere la complessità del ruolo dell’assistente alla

comunicazione nella scuola è necessario assumere una prospettiva ecologica e far

riferimento alla nozione di contesto.

I concetti-chiave su cui ruota l’approccio ecologico sono quelli di

108 Bosi R., Maragna S., Tomassini R., L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo, FrancoAngeli, Milano, 2007,(pag. 36).

“sviluppo” e “ambiente”, considerati nella loro stretta interrelazione.

Lo SVILUPPO è inteso come “una modificazione permanente del modo in

cui un individuo percepisce e affronta il suo ambiente”. L’ambiente influisce

sull’individuo, ma questi, a sua volta, interagisce con esso, lo percepisce

attraverso i suoi schemi cognitivi, percettivi e culturali e lo trasforma mentre

trasforma se stesso nella relazione.

L’AMBIENTE è concepito come “un insieme di strutture incluse l’una

nell’altra, simili ad una serie di bambole russe” cioè prende in considerazione il

MODO in cui i fattori ambientali determinano il comportamento e lo sviluppo,

trascurando in primo luogo l’impatto degli aspetti non sociali dell’ambiente e, in

secondo luogo, limitando il concetto di ambiente alla singola situazione

immediata di cui il soggetto fa parte.

Il CONTESTO, secondo Bateson (1972), è il luogo sociale in cui si

verifica una certa relazione e il contesto di apprendimento in cui un certo

comportamento o un certo fenomeno si sviluppa o si è sviluppato. Il contesto è

legato alla nozione di significato: prive di contesto le parole e le azioni non hanno

alcun significato. Ogni azione sarà situata in un contesto.”109

L’intervento educativo nella scuola dovrebbe favorire:

• l’acquisizione di un linguaggio (in qualunque forma possibile privilegiando

quello verbale, non verbale, corporeo).

• la promozione delle capacità percettive e di esplorazione dell’ambiente.

• la promozione di competenze strumentali di base.

• l’avvio alla socializzazione nel gruppo classe ed all’esterno della scuola.

• un processo di apprendimento per nodi o mappe, in cui il “prima” e il “dopo”

abbiano un significato di “diversità”, attuando una didattica di percorsi che

prevedano anche cambiamenti di “sceneggiatura”.

Il successo degli interventi educativi è invece in relazione all’affermarsi delle

seguenti variabili:

• precocità di avvio alla scolarizzazione nelle scuole materne ed asili nido;

109 R.Bosi, S. Maragna, R.Tomassini, L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo, FrancoAngeli, Milano, 2007, (pag. 47-48).

• competenza e professionalità di tutti gli operatori coinvolti che debbono essere

preparati, sotto il profilo medico, pedagogico e sociale;

• disponibilità affettivo-comunicativa degli insegnanti;

• ottenimento degli obiettivi che debbono essere realistici;

• coinvolgimento forte dei familiari che devono realizzare una continuità degli

obiettivi anche a casa;

• lavoro di rete e di integrazione degli interventi sul caso specifico.

La relazione medica deve essere un’informazione utilizzabile per gli insegnanti in

modo che si comprenda che cosa è meglio evitare. Inoltre l’insegnamento dovrà

essere condiviso, esplicito ed intenzionale, senza tempi morti e flessibile. Dovrà

valersi di un uso corretto dei materiali e degli spazi, valutando sistematicamente i

risultati per correggere gli errori o potenziare i progressi.

L’assistente alla comunicazione nella scuola non è del tutto mediatore

linguistico e culturale perché le due lingue, la lingua dei segni italiana e la lingua

italiana, sono difficili da mettere a confronto in quanto non sono due lingue

vocali. Non è un semplice traduttore perché è coinvolto e agisce a seconda del

contesto che trova nella classe in cui interviene: il livello di conoscenza della LIS

e di conoscenza culturale; il rapporto con la famiglia che la maggior parte delle

volte è udente e ciascuna ha un proprio punto di vista dato anche dal grado di

sordità del figlio; non presta il suo servizio un tantum perché segue la situazione a

seconda delle necessità del bambino sordo. E’ un mediatore tra il bambino sordo e

gli insegnamenti proposti dalla scuola, cioè un facilitatore dell’apprendimento; è

portavoce del bambino sordo nel contesto scolastico. Tutto questo richiede una

professionalità specifica per gli assistenti alla comunicazione nella scuola e una

chiara differenziazione da altri tipi di profili dell’assistente alla comunicazione per

le persone sorde in contesti diversi.”. 110

L’ingresso di un assistente alla comunicazione all’interno di una classe pone una

serie di interrogativi sul lavoro di questo operatore per quel che riguarda il suo

ruolo e le sue competenze, rispetto all’insegnante curriculare e di sostegno.

110 ENS Onuls - C.Bagnara, S.Fontana, E.Tomasuolo e A.Zuccalà, I segni raccontano, FrancoAngeli, Milano, 2009,(Pag.59-63).

L’assistente educa il bambino alla lingua dei segni: attraverso la lingua quindi

viene educato ad una cultura, ad un modo diverso di vivere la realtà.

Il bambino diventa consapevole che attraverso la LIS può raggiungere livelli

cognitivi, di organizzazione del pensiero e di socialità pari a quelli dei suoi

compagni udenti. L’uso spontaneo della lingua dei segni in contesti scolastici e

non, forma e arricchisce il bambino sordo, permettendogli di vivere serenamente

la sua diversità. La presenza dell’educatore sordo accanto ai colleghi udenti

mostra al bambino il confronto equilibrato fra diversità, senza che il deficit sia

diventato handicap, mancanza o limitazione.

Infatti, sia che si trovi a lavorare a fianco dei due docenti, sia che per necessità

lavorino contemporaneamente in tre nella stessa aula, è comunque indispensabile

concordare cosa fare e come fare.

E’ bene precisare subito che il ruolo dell’assistente alla comunicazione è quello di

facilitare la comunicazione tra la persona sorda, i docenti e i compagni di classe.

E’ però altrettanto vero che le competenze e i ruoli non possono sempre essere

rigidamente circoscritti perché poi la realtà è differente. Come è già successo in

passato, quando fu introdotta la figura del docente di sostegno, all’inizio c’è

diffidenza e a volte ostilità verso questi operatori perché vede cosa succede in

classe, necessariamente valuta le competenze didattiche dell’insegnante e la sua

capacità di avere un buon rapporto con i bambini pur sapendo mantenere la

disciplina.

Altre volte invece, soprattutto quando la comunicazione è molto difficile e il

bambino esprime il suo disagio con comportamenti aggressivi o di rifiuto a

lavorare, l’assistente alla comunicazione viene accolto molto bene dagli

insegnanti perché vedono che una comunicazione più efficace riduce

l’aggressività. Si tratta come sempre di imparare a lavorare insieme sfruttando

questa risorsa in più che è importante perché, come sanno tutti coloro che

lavorano con gli allievi sordi, il tempo non basta mai per colmare le lacune sulla

conoscenza del mondo, che la mancanza di udito comporta. Al docente resta

quindi il compito di programmare e svolgere l’attività didattica, mentre

l’educatore collabora attivamente alle lezioni.

Nella realtà succede poi che in alcuni casi le diverse figure siano

contemporaneamente in classe, magari quando si fanno lavori di gruppo; in altri

casi, l’educatore resta in classe, mentre il docente di sostegno prepara e adatta

visivamente il materiale didattico per l’alunno sordo; in altri ancora avviene che le

due figure siano presenti in classe in momenti diversi, coprendo così un monte-ore

più ampio. Le diverse scelte dipendono in gran parte dalla capacità delle persone

di lavorare in equipe e di sfruttare al massimo le competenze professionali di ogni

figura.

Da tempo l’Ente Nazionale Sordi ha sollecitato il Ministero dell’Istruzione e il

Dipartimento degli Affari Sociali a definire il profilo professionale, seguendo

anche le indicazioni suggerite dall’Area Politica Scolastica, Università, LIS e

Bilinguismo, Attività Formative, che ha tenuto conto delle esperienze in corso

ormai da anni. Inoltre, l’ENS sta cercando di organizzare alcuni corsi di

formazione professionale che diano a queste persone anche adeguate competenze

psico-pedagogiche e didattiche.

“La presenza di questa figura professionale in aula impone una riflessione

specifica sulle problematiche portate nel contesto scolastico dalla diversità e dalla

sua integrazione nel processo di apprendimento. Gli altri adulti presenti nella

scuola (insegnante, docente di sostegno, educatore e docente LIS) hanno una

funzione educativa e la mediazione che l’assistente alla comunicazione svolge

rappresenta una funzione di supporto all’apprendimento. Di qui la necessità che

l’assistente alla comunicazione instauri un rapporto di forte collaborazione con le

altre figure professionali, altrimenti verrebbe a cadere quella funzione di supporto

all’apprendimento del bambino che giustifica la sua presenza nel contesto

scolastico. La chiarezza del ruolo e la funzione di supporto fa capire più

chiaramente il suo intervento scolastico”.111

Il ponte comunicativo non consente soltanto di abbattere la barriera comunicativa

ma anche di offrire supporto e sostegno al riconoscimento della propria identità

di sordo. La differenza della modalità di comunicazione tra il ponte udente

111 Bosi R., Maragna S., Tomassini R., L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo , FrancoAngeli, Milano, 2007.

dell’assistente della comunicazione udente e il ponte sordo dell’assistente della

comunicazione sorda è il modo di comunicazione. L’assistente alla

comunicazione udente sente ciò che dice l’insegnante o un bambino che risponde

il contenuto dell’attività mentre l’assistente alla comunicazione sordo trasmette la

propria identità sorda al bambino sordo e alla classe.

L’Interprete LIS è stato diffusa in Italia grazie agli artt. n. 9 – 13 – 16 della

Legge quadro 104/92, il profilo economico e professionale non è ancora stato

definito dalla normativa vigente. Il profilo professionale dell’Interprete scolastico

nella scuola è diverso da quello nella società e i tipi di prestazione dell’Interprete

LIS sono i seguenti:

- consulenza professionale;

- interprete professionale;

- interprete coordinatore;

- interprete di conferenza;

- interprete di trattativa;

- interprete turistico;

- interprete/traduttore di cinema, teatro, home video, testi;

- interprete scolastico;

- interprete – tutor;

- interprete docente.

Tutti questi tipi di ruoli si possono abbinare a qualsiasi ambiente sia scolastico,

familiare, sociale, medico, politico, giudiziario, ecc..

Gli interpreti possono inoltre fornire consulenze professionali in merito ai servizi

di interpretariato, all’organizzazione di attività di specializzazione professionale e

aggiornamento, nelle prove di selezione e prove finali di corsi e concorsi.

In ambito sanitario l’interprete può essere usato per i colloqui delle diagnosi, o per

esempio, nel caso di una gravidanza potrà seguire tutto il percorso della donna,

fino ad assisterla al parto.

Attualmente la formazione degli interpreti avviene in appositi contesti: corsi

regionali di formazione professionale, scuole private, corsi organizzati dalle

sezioni provinciali ENS nelle varie città italiane. E’ auspicabile che, in futuro, la

formazione degli interpreti di lingua dei segni possa avvenire in contesti di tipo

universitario, visto che oramai la legge lo prevede, quali scuole superiori di lingue

moderne per interpreti e traduttori, corsi di laurea in lingue, lettere e corsi di

specializzazione post-laurea.

A partire dall’anno accademico 1998/1999 in alcune SSLMIT ( Scuola Superiore

di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori) e in alcune facoltà universitarie

sono stati avviati i primi corsi di LIS, tenuti da docenti sordi e da udenti segnanti

madrelingua.

L’insegnante di sostegno è una figura professionale molto importante ma

discussa nell’attività didattica di sostegno dei bambini sordi. Secondo le filosofie

delle scuole che l’hanno formato si chiama docente specializzato, insegnante

specializzato, insegnante qualificato aggiunto. E’ entrato in servizio ufficialmente

nel 1977, con l’approvazione della legge n. 517, quando molti “handicappati”

furono accolti nelle classi della scuola ordinaria e avevano bisogno di supporti

didattici individuali. Si ritiene indispensabile che gli insegnanti di sostegno, oltre

a conoscere le altre modalità comunicative, conoscevano anche la lingua dei segni

perché, fatta salva la scelta della famiglia, sia possibile utilizzarla come modalità

comunicativo in classe quando l’alunno sordo è segnante. Ma, nonostante, ciò

molti di questi docenti sono risultati poco preparati sulle metodologie della

didattica speciale o della comunicazione con gli stessi bambini sordi. In relazione

ai corsi intensivi con cui l’insegnante di sostegno in esubero è stato dirottato sul

sostegno, l’ENS ha inviato una forte nota al Ministero della Pubblica d’Istruzione,

definendo vergognosa un’operazione di tal genere e ha avuto assicurazione che il

Ministero cercherà di porre rimedio a questo atto, in qualche modo “obbligato”

dalla Finanziaria, prevedendo ulteriori corsi di approfondimento da aggiungere

alle 450 ore previste. Per quanto riguarda il passaggio all’Università della gestione

dei corsi di formazione iniziale degli insegnanti di sostegno alle classi in presenza

di alunni in situazione di handicap, è stata recepita dal Ministero la necessità di

rivedere la normativa nella parte in cui si parla di semestralità. La richiesta

dell’ENS è stata di portare la durata dei corsi a due anni per ogni handicap, come

del resto avviene all’estero. Ancora non sappiamo cosa avverrà in concreto. Ma

soprattutto è stato chiesto che i sordi, attraverso le loro associazioni, siano

rappresentati ampiamente nel Gruppo di lavoro che procederà alla formazione di

tale curriculum, per poter far valere le loro scelte (cosa mai avvenuta finora).

Il docente LIS, preferibilmente sordo, che insegna la lingua dei segni, trasmette i

valori culturali della comunità sorda. Il ruolo del docente LIS e la sua

“definizione” di docente non è ancora regolata dalla Costituzione Italiana ma

all’interno dei singoli enti che attivano questo insegnamento è presente un

regolamento proprio e teniamo in considerazione questo documento con una

funzione non didattica ma puramente burocratica. La presenza di un docente sordo

incuriosisce il bambino che osserva, la prima lezione di LIS è il primo incontro

vero e proprio con la lingua dei segni. La cultura del docente sordo può essere alla

pari del docente udente figlio di sordi dato che entrambi sono cresciuti nella

comunità sorda e nella comunità della lingua dei segni, ma il docente udente non è

sordo e la condizione di sordità può essere sicuramente trasmessa più chiaramente

da chi la vive sulla propria pelle. Il docente deve essere preparato a una

programmazione didattica ed organizzativa per poter dimostrare a tutte le scuole

l’importanza dell’insegnamento della LIS per bambini sordi e udenti.

E’ consigliabile che sia presente durante le attività didattiche della mattinata come

adulto sordo che utilizza e propone a tutti i bambini, e in particolare ai bambini

sordi, la LIS. In questo modo i bambini sordi sono inseriti in un tipo di

comunicazione per loro accessibile e possono ricevere tutte le informazioni

riguardo alle attività svolte. Gli altri bambini hanno la possibilità di riferirsi anche

a questa lingua per loro nuova. Precedentemente, le insegnanti dovranno aver

comunicato all’operatore sordo i contenuti delle attività tramite la mediazione

dell’insegnante di sostegno e dell’interprete, permettendogli di inserirsi

positivamente nel contesto delle attività medesime.

Per insegnare una lingua non occorre solo avere un’ottima conoscenza della

lingua stessa e delle sue strutture linguistiche, ma occorre anche possedere le

conoscenze educative e didattiche, necessarie per poter seguire una corretta

programmazione didattica e per stabilire una buona interazione con gli studenti.

Per diventare un docente LIS, l’ENS obbliga tutti gli aspiranti docenti a sottoporsi

ad un esame per entrare nel Registro Nazionale per DOCENTI LIS. Per avere il

“patentino” si deve partecipare al corso di formazione per docenti LIS, a

convegni, workshop e varie attività che riguardano il settore linguistico, didattico,

pedagogico e psicologico.

Per migliorare la situazione scolastica è consigliabile organizzare corsi di

aggiornamento, corsi di LIS per gli udenti e corsi di approfondimento per i sordi,

corsi di base per gli operatori scolastici all’inizio dell’anno scolastico per dare a

tutti la possibilità di comunicare e metterla in pratica con i bambini sordi e i

genitori sordi.

La logopedista ha il compito di intervenire sull’apprendimento linguistico della

seconda lingua, la lingua italiana. Il suo intervento è quello di semplificare le

difficoltà linguistiche dei sordi con il tentativo di individuare il programma e il

metodo che permetta ad ogni bambino di riabilitare la funzione comunicativa e

linguistica attraverso la protesizzazione.

La scuola può costituire un luogo per i bambini udenti e sordi dove si costruisca

giorno per giorno un’ottica di bilinguismo, con la collaborazione tra i docenti e gli

operatori sociali, che possano programmare un percorso educativo per conoscere e

capire la diversità, da poter esprimere e manifestare in modo trasparente e

accessibile con un codice condiviso e veicolato, che permetta il passaggio a

doppio senso della comunicazione per i bambini e le famiglie.

1.2 Apprendere e insegnare la Lingua dei Segni Italiana

L’insegnamento di una lingua straniera alle famiglie, ai bambini udenti e agli

insegnanti curriculari, insegnanti di sostegno, gli interpreti e gli altri operatori che

lavorano nell’ambito scolastico deve essere progettato, gestito e “vissuto” nel

rispetto di una continua e costante interazione, scoperta e successiva costruzione

delle esperienze positive che rappresentano le modalità operative dei corsi LIS. Il

docente LIS quindi è chiamato a vivere l’esperienza linguistica in modo

sistematico e consapevole delle grandi opportunità che questo ambiente

pedagogico può offrire e che devono essere trasferite in modo applicabile alla

didattica.

Lo scopo principale dell’insegnamento e apprendimento della Lingua dei Segni

Italiana è creare un’atmosfera positiva per la socializzazione tra la maggioranza

linguistica, lingua italiana, e la minoranza linguistica, lingua dei segni italiana.

Il processo di integrazione è una delle parti più difficili per tutti i soggetti non

udenti che sono presenti e coinvolti nella scuola; è proprio in questo ambito che

l’insegnamento della LIS è una mediazione comunicativa tra il mondo degli

udenti e il mondo dei sordi. Tuttavia, per imparare in modo fluido la lingua dei

segni è consigliabile entrare in contatto con la comunità e cultura sorda.

L’insegnamento della lingua dei segni nelle scuole italiane è fondamentale, anche

se attualmente non è ancora prevista la sua adozione come metodo educativo

funzionale all’apprendimento della lingua vocale e scritta, tranne nei casi di

progetti di bilinguismo con la presenza di bambini sordi.

La situazione per un bambino sordo senza l’insegnamento della LIS è abbastanza

problematica perché la mancanza di comunicazione porta ad un rischio di

isolamento e di conseguenza alla mancanza di integrazione con i bambini e gli

insegnanti della classe.

Soltanto l’educatore può comunicare con il bambino sordo e crea lo scontro

quotidiano con le barriere che impediscono la comunicazione, è fonte di

atteggiamenti diffidenti, aggressivi, irritabili e polemici dei sordi con i loro

compagni udenti. Gli insegnanti dovranno, allora, cercare di facilitare la

comunicazione tra i ragazzi ed istaurare un clima di lavoro sereno.

Perché questo avvenga è necessario fornire formazione specialistica a tutto il

personale docente e non, che si trova ad operare con persone non udenti.

Dalla riflessione su queste delicate problematiche e dall’attenta analisi degli

aspetti pedagogico - didattici discussi precedentemente, nasce l’idea di far entrare

la LIS nelle scuole, istituendo dei laboratori didattici in cui si insegni questa

lingua a tutti gli operatori scolastici, dalla classe docente udente agli alunni udenti.

Motivazione dell’apprendimento di una lingua La motivazione, cioè la “spinta” che ci fa intraprendere un percorso LS e non ce lo fa abbandonare, è un fattore basilare per la nostra acquisizione e può essere “vista” attraverso tre modelli diversi basati rispettivamente sull’ego (progetto di

sé), sullo input e sul dovere, piacere e bisogno (perché devo, perché mi piace e perché mi serve). La LIS in Italia non è riconosciuta ufficialmente come lingua e

quindi la sua diffusione nel sistema scolastico obbligatorio c’è, ma è minima e

legata a iniziative personali di studiosi o interessati e non è inserita nel piano di

studi di nessuna scuola superiore fino ad ora. Vero è che nei progetti attuati nella

scuola primaria i bambini hanno sempre dimostrato un atteggiamento positivo

verso questa nuova lingua e questo ci fa riflettere su come le possibilità di

imparare la LIS per dovere siano rare dati i suoi contesti d’uso e la sua diffusione.

Per mettersi in moto e continuare funzionare, mente e cervello hanno bisogno di

motivazione altrimenti non c’è acquisizione e, spesso, neanche apprendimento. L’interesse per le lingue e le nuove culture è alla base di tutto questo percorso che il bambino intraprende, è la sua motivazione primaria, che nel percorso che lo attende deve essere sostenuta, integrata, supportata dal docente di lingua. La motivazione primaria e il sostegno però non bastano, dal momento che il bambino non ha davanti una strada dritta e larga, ma si troverà molte curve e molte insenature da aggirare per proseguire il suo viaggio. Per fare tutta questa strada, la prima cosa che servirà allo studente è la motivazione allo studio, che sarà la sua forza per superare momenti di stress e difficoltà che troverà durante l’apprendimento. Il motivo per fare qualcosa, in questo caso imparare una lingua dei segni, è alla base di tutto il processo; l’apprendimento di una lingua straniera presume una modificazione dell’immagine di sé. La LIS è un carico di curiosità dettato anche dalla cultura, dal “mistero” che questa lingua, che siamo abituati a vedere solo al telegiornale dieci minuti al giorno, suscita, perché è una lingua per cui non servono “orecchie”: lo studente comincia a usare gli occhi per guardare il mondo. C’è un altro tipo di motivazione, di piacere nell’ambito scolastico, il piacere è

quello di apprendere, superare le sfide e di poter rendersi utili per correggere gli

errori dei compagni (bisogno d’attenzione per un bambino diverso dagli altri),

però l’insegnante deve controllare la misura del meccanismo del piacere di

sentirsi superiori.

I problemi affettivi possono rappresentare degli ostacoli alla motivazione

dell’apprendimento soprattutto per quei soggetti che non si sentono a proprio agio

in un ambiente sconosciuto o diverso e che potrebbe far nascere una forte distanza

psicologica tra la lingua e la civiltà nazionale, della maggioranza, e quella

straniera, della minoranza.

L’avvicinamento psicologico risulta essenziale per la costruzione ed il sostegno

nella motivazione all’acquisizione dell’italiano. Come dice il professore Titone

“l’apprendimento è un processo governato dall’io, che sulla base di motivazioni

proprie elabora una strategia per soddisfare i suoi bisogni, quindi entra in contatto

con la realtà da apprendere. Sulla base di ciò che ha ricevuto (input), il cervello

riflette e sistematizza. Se l’ego riceve un feedback positivo la motivazione

profonda viene mantenuta ed incrementata”112.

Dover imparare la LIS perché i genitori, i fratelli o qualche familiare è sordo è una

motivazione valida, è vero che avendo un amico, un genitore o il fidanzato che

usa la LIS dobbiamo cercare di imparare la sua lingua, questo non è però

definibile dovere, perché imparare una lingua per comunicare con una persona a

noi cara è anche un bisogno pratico (comunicazione) e un piacere per entrambi.

Per imparare una lingua bisogna avere l’intenzione di comunicare qualcosa a

qualcuno e questo desiderio nasce da esperienze condivise. Queste esperienze

condivise che si ripetono nel tempo sono chiamate “format”. Cosa si intende per

“Format”? Si tratta di una concatenazione di eventi, cioè una narrazione, che è più

interessante se è legata ad un contesto narrativo. Un format che propone eventi

immaginari è spesso più attraente di un format usato esclusivamente nella vita

reale. Il gioco di finzione, attuato in gruppo, dà ai bambini la possibilità di ricreare

nel mondo dell’immaginazione un vissuto in Madrelingua. Il processo di

acquisizione di una lingua è basato sul dialogo tra le persone: ciascuno deve

sentirsi interpellato personalmente per essere indotto a rispondere. Tra le due

persone impegnate nella situazione di dialogo deve esistere una relazione affettiva

positiva. Questo è il principio che negli studi sull’acquisizione bilingue nei primi

anni di vita viene chiamato “una persona, una lingua”.

Apprendimento precoce di una lingua

“La neurologia ha permesso di evidenziare una serie di caratteristiche operative

112 Titone R., La lingua straniera nella Scuola Elementare: esperienze, problemi e prospettive, ed. Menna, Avellino, 1986.

del cervello umano che sottendono i diversi percorsi apprenditivi e tra questi

anche quello relativo al linguaggio:

a. il cervello umano è responsabile delle sfere emotivo-percettivo-motoria;

cognitiva e linguistico-relazionali;

b. il cervello umano gestisce ambiti complessi come il linguaggio,

l’immaginazione e la memoria;

c. il cervello umano ha una struttura fortemente plastica;

d. il cervello umano ha come unità di misura il neurone che è presente in un

numero esorbitante e che comunica con gli altri neuroni dando vita ad una

miriade di sinapsi.

Il cervello umano mettendosi in relazione con l’esterno riceve, grazie ai sensi, una

serie di stimoli che ricoprono successivamente il ruolo di nuove informazioni;

infatti, vista ed udito in particolare, unitamente al tatto e all’odorato, attraverso

migliaia di cellule specifiche, trasmettono al cervello sensazioni che,

opportunamente decodificate ed elaborate, vanno a depositarsi e ad integrare il

bagaglio già pre-esistente. La frequenza più o meno elevata di collegamenti o

sinapsi, dipende soprattutto dall’ambiente, ma ciò che è maggiormente

interessante è il fatto che il cervello, per ogni stimolo, opera un processo di questo

tipo:

- riceve gli stimoli;

- li percepisce e collega con la memoria di stimoli analoghi;

- elabora una singola risposta per ognuno essi”.113

Lo sviluppo del linguaggio di un bambino sordo utilizza solo quattro sensi (in

quanto manca solo l’udito), ma il cervello è molto efficiente e non lascia andare in

rovina lo spazio inutilizzato perché vuole compensare il senso perduto, il

miglioramento della visione periferica grazie al riadattamento e all’equilibrio tra

la mancanza uditiva e la potenzialità della visione periferica.

Istruire il bambino sordo con l’educazione bilingue che significa fargli conoscere

contemporaneamente due lingue fin dai primissimi anni di vita oppure in modo

113 Bertacchini C., Educazione alla lingua straniera. Nella scuola dell’infanzia e della scuola di base, Edizioni Junior, Bergamo, 2005, (pag. 5-6).

consecutivo quando il bambino acquisisce la seconda lingua, essendo già

competente nella lingua madre. Ricordiamo che non sempre i bambini sordi sono

educati dalle famiglie con comunicazione bilingue; quando inizia a vivere al di

fuori, nella scuola materna, la famiglia spesso inizia a capire che bisogna scegliere

una lingua più funzionale alla comunicazione dei bisogni quotidiani.

La didattica del bilinguismo valuta il livello di competenza linguistica dei bambini

sordi nelle due lingue, lingua dei segni e lingua italiana, perché le difficoltà

nascono nel momento di trasferimento dal contesto naturale al campo didattico.

Gli insegnanti devono comprendere e stimolare il bambino ad usare la lingua in

base ad una necessità comunicativa determinata da precise condizioni contestuali.

I contenuti didattici che svolgeranno nelle scuole materne dovranno sempre

adattarsi al livello di sviluppo psichico e linguistico del bambino sordo che sono

legati alle sue esperienze di vita. E’ importante che il bambino sordo impari con

motivazione un’altra lingua; il gioco è una delle migliori strategie comunicative e

il metodo d’insegnamento deve essere scelto e adattato alle sue capacità.

Victor Hugo 18 novembre 1845:

“che non ha importanza la sordità dell’orecchio, quando la mente sente. L’unica

vera sordità, l’incurabile sordità, è quella di mente.”.

Classificazione generale e non ufficializzata dell’educazione bilingue e

plurilingue di figli udenti e sordi di coppie italiane e miste che vivono in Italia:

Tabella n.1: Educazione bilingue di un bambino sordo e udente114:

SITUAZIONE

FAMILIARE

“BILINGUISMO

FAMIGLIARE”115

“BILINGUISMO

SCOLASTICO”116

“BILINGUISMO

SCOLASTICO

CON

INTEGRAZIONE

5La presente tabella è elaborata dalla scrivente. 115 Nel presente contributo utilizzo la definizione “Bilinguismo familiare” intendendo l’educazione bilingue come comunicazione primaria e secondaria del bambino nella famiglia. 116 Nel presente contributo utilizzo la definizione “Bilinguismo scolastico” intendendo il percorso di apprendimento della prima e seconda lingua e lingua straniera nell’ambiente scolastica.

DEI BAMBINI

SORDI E

UDENTI”117

FIGLIO

UDENTE DEI

GENITORI

UDENTI E

ITALIANI

L1 Lingua

Italiana

L1 Lingua

Italiana

LS Lingua

Inglese, Lingua

Francese, ecc.

L1 Lingua

Italiana

LS Lingua dei

Segni Italiana,

Lingua Inglese,

ecc.

FIGLIO

UDENTE DEI

GENITORI

UDENTI ED

EUROPEI (Es.

genitori inglesi)

L1 Lingua

Inglese

L2 Lingua

Italiana

L1 Lingua

Italiana

LS Lingua

Inglese

L1 Lingua

Italiana

L2 Lingua

Inglese

LS Lingua dei

Segni Italiana,

Lingua Francese,

ecc.

FIGLIO

SORDO DEI

GENITORI

SORDI

SEGNANTI

L1 Lingua dei

Segni Italiana

L2 Lingua

Italiana

L1 Lingua

Italiana

LS Lingua

Inglese, ecc.

L1 Lingua dei

Segni Italiana

L2 Lingua

Italiana

LS Lingua dei

Segni Francese,

Lingua Inglese

FIGLIO

SORDO DEI

GENITORI

SORDI NON

L1 Lingua

Italiana

L1 Lingua

Italiana

LS Lingua

Inglese

L1 Lingua

Italiana

L2 Lingua dei

Segni Italiana

117 Nel presente contributo utilizzo la definizione “Bilinguismo scolastico con integrazione dei bambini sordi e udenti” intendendo il progetto educativo gestito e guidato con il percorso di apprendimento di LIS come prima e seconda lingua e lingua straniera.

SEGNANTI LS Lingua

Inglese, Lingua dei

Segni Americana,

ecc.

FIGLIO

UDENTE DEI

GENITORI

SORDI

“SEGNANTI”118

L1 Lingua dei

Segni Italiana

L2 Lingua

Italiana

L1 Lingua

Italiana

LS Lingua

Inglese, ecc.

L1 Lingua

Italiana

L2 Lingua dei

Segni Italiana

LS Lingua

Inglese, ecc.

FIGLIO

SORDO DEI

GENITORI

UDENTI

SEGNANTI

L1 Lingua

Italiana

L2 Lingua dei

Segni Italiana

L1 Lingua

Italiana

LS Lingua

Inglese, Lingua

Francese, ecc.

L1 Lingua dei

Segni Italiana

L2 Lingua

Italiana

LS Lingua

Inglese, Lingua dei

Segni Francese,

ecc.

FIGLIO

SORDO DEI

GENITORI

UDENTI NON

SEGNANTI

L1 Lingua

Italiana

L1 Lingua

Italiana

LS Lingua

Inglese, ecc.

L1 Lingua

Italiana

LS Lingua dei

Segni Italiana

Lingua Inglese,

ecc.

Legenda:

L1: Madrelingua

L2: Seconda Lingua

LS: Lingua Straniera

La colonna della “situazione familiare” è stata inserita in quanto ogni bambino

118 Nel presente contributo utilizzo la parola “segnanti” intendendo la Madrelingua è la Lingua dei Segni Italiana.

riceve un’educazione bilingue a seconda dei genitori che possono essere stranieri,

udenti segnanti e non segnanti, sordi segnanti e non segnanti.

Il bambino sordo è particolarmente diverso dal bambino udente perché la sua

lingua naturale è la LIS, (si definisce L1 o Madrelingua) e si usa la LIS per

imparare e capire l’italiano. Il percorso di apprendimento di una seconda lingua è

più lungo e faticoso confronto a L1, ma raggiungere questo obiettivo di

educazione bilingue è fondamentale per la formazione del bambino. Invece per la

famiglia udente segnante e gli insegnanti udenti la LIS è la seconda lingua in

quanto la loro prima lingua è l’italiano e imparano la LIS come seconda lingua.

I figli udenti dei genitori sordi segnanti acquisiscono la LIS come madrelingua e

la lingua italiana come seconda lingua ma quando inizia la scuola materna

imparano/utilizzano la lingua italiana come prima lingua perché gli insegnanti

insegnano le materie scolastiche con la lingua italiana.

Se i bambini udenti sono coinvolti nel progetto di bilinguismo per l’integrazione

di alunni sordi nella scuola materna, il percorso di apprendimento della Lingua dei

Segni Italiana sarà paragonabile al percorso di apprendimento di una Lingua

straniera ma, in più, permetterà di comunicare e integrare tra loro i bambini sordi

e udenti.

Nel caso di bambini sordi figli di genitori sordi, la LIS potrebbe essere utilizzata

come prima lingua per la comunicazione con gli stessi genitori, con i coetanei

sordi e per i contatti con la comunità sorda. L’apprendimento della Lingua italiana

potrebbe avvenire grazie agli stessi genitori ma anche con un intervento scolastico

che possa essere continuativo e sistematico, comprendendo la riabilitazione

logopedia e l’insegnamento scolastico dagli insegnanti curriculari e di sostegno

ma anche la frequenza con i coetanei udenti o con adulti udenti che frequentano la

famiglia.

Nel caso di bambini sordi figli di genitori udenti, la prima lingua è l’italiano che

può essere utilizzato almeno per comunicare con i figli; però è consigliabile che i

genitori frequentino il corso di LIS e imparino a comunicare con due lingue, con i

figli sordi, la lingua italiana e la LIS. Col tempo i genitori diventeranno abili nella

lingua dei segni e impareranno che è possibile usare direttamente questa lingua in

alcune situazioni comunicative.

Gli obiettivi generali dell’insegnamento e apprendimento della lingua dei segni

nel contesto scolastico sono:

- COGNITIVO: lo sviluppo delle funzioni simboliche (capacità di

rappresentazione e astrazione linguistica e concettuale);

- LINGUISTICO: lo sviluppo delle capacità di ascolto, di comprensione e di

produzione della LIS;

- CULTURALE: la formazione delle forme di educazione multiculturale,

come formazione di uno spirito democratico, rispettoso e solidale nei

confronti degli altri e dei diversi modi di vivere e di pensare.

Gli obiettivi generali dell’insegnamento e apprendimento della Lingua dei Segni

Italiana come Madrelingua ai bambini sordi:

• comunicazione = “LUCE” ;

• maturare l’identità sorda;

• sviluppare e potenziare le competenze linguistico-comunicative;

• conquistare l’autonomia per affrontare e risolvere le difficoltà comunicative

nel mondo udente;

• conoscere il mondo letterario, artistico e culturale della comunità sorda:

narrazione, poesie, canzoni, quadri, documentari, ecc.

I bambini sordi hanno la necessità di conoscere la propria identità culturale e di

appartenere a un gruppo di riferimento di coetanei.

Gli obiettivi dell’insegnamento e apprendimento della Lingua dei Segni Italiana

come Lingua Straniera ai bambini udenti:

• educazione multiculturale (conoscere la cultura sorda);

• capire segni e parole in diversi registri linguistici;

• coinvolgere e motivare gli alunni, suscitando curiosità ed interesse;

• comprendere la diversità ed accettare il valore della comunità sorda in modo

positivo;

• stimolare il dialogo per formare relazioni socio-affettive.

La relazione tra bambini sordi e udenti stimola lo scambio culturale, la possibilità

di conoscenza di un nuovo legame affettivo e la formazione di un nuovo gruppo.

LE STRATEGIE METODOLOGICHE PER L’INSEGNAMENTO DELLA LIS:

• una lingua con una persona (gli insegnanti non solo devono comunicare

soltanto attraverso la lingua dei segni, ma anche “far finta” di non capire

nessuna altra lingua);

• strategie comunicative con canale visivo-gestuale;

• inserire la LIS in contesti scolastici ed esperienze familiari al bambino;

• attività didattica e ludica per stimolare la voglia di partecipare dei bambini

(gioco della finzione);

• relazione socio-affettiva (motivazione);

• esperienza (gioco);

• continuità professionale;

• coinvolgimento delle insegnanti curriculari e di sostegno.

Il vantaggio dell’educazione bilingue per un bambino sordo è che l’acquisizione

precoce della LIS permette di crearsi una competenza linguistica in modo naturale

e spontaneo e permette la trasmissione adeguata di contenuti e conoscenze tipici

della sua età e del suo sviluppo cognitivo e relazionale. L’acquisizione della LIS

può diventare uno strumento comunicativo fondamentale per l’apprendimento più

corretto e funzionale della lingua parlata e scritta. La persona sorda ha la

possibilità di avere l’autonomia di comunicazione nel mondo dei sordi e di

integrarsi con il mondo udente maggioritario.

Modelli operativi e tecniche

Il modello operativo di base è il curricolo, cui vanno aggiunte le indicazioni

metodologiche per la didattica e per la verifica e la cui versione va adattata alle

esigenze della classe e, dove è necessario, del singolo. Il curricolo viene poi

proposto attraverso l’unità didattica, un insieme completo ed autosufficiente di

lingua che procede sulla base di una modalità neuro psicolinguistica e della

psicologia della Gestalt (globalità > analisi > sintesi).

Naturalmente, vanno inclusi, per necessità, anche tutti gli obiettivi basilari dei

corsi di lingue:

a. modelli culturali italiani;

b. elementi pragmatici (“fare con la lingua”);

c. componenti della competenza linguistica ed extralinguistica;

d. abilità linguistiche necessarie per quel particolare gruppo di bambini.

Inoltre il curricolo indica il raccordo con gli altri settori inclusi nello stesso ambito

disciplinare. Secondo quanto teorizzato dalla psicologia della Gestalt, la

percezione dell’evento comunicativo, qualunque esso sia, è globale. Quindi, dopo

aver percepito globalmente lo input (emisfero destro), ci si muove verso una

ricezione guidata dall’insegnante, che porterà, poi, gli allievi ad analizzare gli

elementi specifici dell’unità (emisfero sinistro). L’attività cognitiva coinvolge

l’interezza di chi apprende e trova il suo culmine nel processo di sintesi, cioè

riutilizzo, di quanto si è acquisito in quell’unità. Dopo aver effettuato il percorso

che procede attraverso GLOBALITA’ ANALISI SINTESI si procede al

modal focusing: si riflette, cioè, su quanto è stato presentato nell’unità didattica,

così da favorirne la sistematizzazione e l’accomodamento nel repertorio delle

proprie conoscenze ed abilità.

Tecniche e tecnologie didattiche applicate alla LIS Tecniche didattiche. “Le tecniche glotto-didattiche devono essere coerenti con la natura della lingua che viene assunta nell’approccio[…] le tecniche glotto-didattiche sono, infatti, lo strumento con cui si realizza l’azione didattica, l’integrazione lingua-studente.”119 (Balboni, 2008). Le tecniche glotto-didattiche sono però spesso non sfruttate nelle loro massime potenzialità oppure, ancora peggio, non vanno ad incidere positivamente sull’apprendimento del bambino diventando solo una perdita di tempo, o peggio un ostacolo all’apprendimento. Avendo inoltre a che fare con bambini, il docente cercherà di attirarli con le attività ludiche, facendo attenzione che non siano né 119P.E. Balboni M.C. e F.Ricci Garotti, Lingue straniere nella scuola dell’infanzia, Guerra Edizioni, Perugia, 2001.

troppo semplici né troppo complesse ma adatte al livello raggiunto in quanto, nel primo caso, il bambino perderebbe l’interesse considerando l’attività banale e, nel secondo, la motivazione cadrebbe perché avrebbe difficoltà nel portarla a termine. L’attività didattica che può essere vista come noiosa o senza utilità può, però, in certi casi rivelarsi una “sorpresa” o “divertente” per il bambino. La verifica e il tempo dell’attività didattica programmate dai docenti di LIS sono fondamentali per il metodo dell’insegnamento perché il docente ha la necessità di sapere il risultato oggettivo del lavoro e la questione del tempo di lavoro che ha dei suoi limiti. Inoltre, i materiali devono essere adatti, “mobili”, pieghevoli cosicché i bambini possano giocare e operare nell’attività in modo flessibile. La relazione e la comunicazione in un’atmosfera accogliente aiutano a sentirsi in modo confortevole. Certe attività stimolano competizione e collaborazione. Tuttavia, le tecniche didattiche devono adattarsi alle mentalità diverse di tutti i bambini presenti in classe e il bambino deve trovare una certa “autonomia” nell’uso dei materiali in base all’età o alle capacità personali. L’uso della tecnologia cambia l’efficacia dell’attività, ma non contribuisce sempre

alle attività didattiche e va considerato in base all’obiettivo educativo. Passiamo ora ad una breve analisi delle tecniche glotto-didattiche usate per la LIS dal momento che la Lingua dei Segni non ha una forma scritta come la lingua italiana. La non presenza della forma scritta è importante quando pensiamo alla verifica. Il bambino apprende le lezioni del docente LIS in maniera molto “approssimativa” in quanto deve contemporaneamente guardare con attenzione e capire un lessico, una frase o un racconto. Un aiuto utile potrebbe essere le figure o le fotografie segnate di espressioni facciali per lezioni e le mettesse a disposizione dei bambini cosicché questi possano vedere il segno con un esempio preciso. “Giocare con le parole” è, ad esempio, un’attività che aiuta ai bambini a diventare più consapevoli degli aspetti linguistici che caratterizzano ogni lingua parlata e scritta. Per il fatto stesso di giocare con lingue diverse, e in questo caso con una lingua visiva, i bambini possono riflettere sul valore del linguaggio dei segni ed arricchire tramite esso la loro competenza comunicativa. Vediamo ora un esempio di gioco per apprendere la lingua dei segni: “Giocare con le configurazioni”120. E’ importante scegliere dei segni che i bambini conoscono bene e prevedere diversi livelli di complessità del gioco. Tra le diverse configurazioni, alcune

120 Ogni configurazione corrisponde alla forma che le mani assumono nell’eseguire il segno. Nella LIS sono state identificate 26 configurazioni (cfr. Volterra 1987)

possono essere più simili tra di loro e percettivamente più difficili da distinguere. Ad esempio, in LIS le configurazioni che vengono fatte con la mano a forma di “cinque”, differiscono fra loro a seconda che la mano sia parzialmente piegata, chiusa o aperta. Fonema - configurazione POPO – TOPO (lingua scritta) Segno di LUPO – Segno di TOPO (lingua dei segni)

(5 parzialmente piegata) (5 chiusa) Prima di iniziare il gioco, è necessario dimostrare ai bambini le diverse configurazioni del “cinque” per riconoscere le diverse forme. Le tecnologie didattiche hanno nel corso degli anni hanno acquisito sempre maggior valore, l’uso del lettore DVD, proiettori, e infine il computer hanno portato i contenuti a essere autentici e reali. Riguardo alla LIS le risorse tecnologiche applicate alla didattica hanno una funzione importante e possono diventare materiali didattici per l’insegnamento e per la verifica. La verifica è un processo che tiene conto della figura di bambino, del suo rapporto con la scuola e del suo percorso scolastico. Le modalità della verifica della LIS per i bambini prevedono l’utilizzo di feedback e di test formali che possono essere costituiti da domande chiuse, aperte o cloze come la lingua vocale. Il feedback consiste in una delle attività in itinere, cioè durante il percorso didattico. La comprensione scritta, cioè quella che nelle lingue vocali si realizza con un disegno e delle domande aperte o chiuse ecc. in LIS è assimilata alla comprensione orale, che si svolge attraverso un breve filmato dal docente e delle domande aperte alle quali il bambino deve, in base a quello che ha visto nel filmato, rispondere. La produzione orale, si svolge attraverso un’immagine mostrata dal docente e seguita da domande aperte alle quali il bambino deve, in base a quello che ha visto nell’immagine, rispondere.

Le tecniche didattiche che sono state descritte in questo paragrafo rappresentano solo alcuni esempi del lavoro che può essere condotto sulla lingua dei segni e sui suoi aspetti linguistici. Potete inventare molte altre attività e altri giochi in base alle esigenze e capacità dei bambini con cui vi troverete ad insegnare la lingua dei segni. Ciò che è importante è che le attività e i giochi divertano i bambini, il resto verrà da solo.

2 CAPITOLO

LA SITUAZIONE ITALIANA DEL BILINGUISMO IN ALCUNI

PROGETTI DELLA SCUOLA D’INFANZIA.

2.1 Progetto, organizzazione, tempo e sistema scolastico dell’educazione

bilingue per bambini sordi

Il sistema educativo – scolastico 3-6 anni in Italia

“La scuola d’infanzia è stabilita con la Legge .n.444 del 18 marzo 1968,

L.53/2003; D.Lgs 19 febbraio 2004 n.59: definizione delle norme generali relative

alle scuole dell’infanzia; indicazioni per il curricolo D.M.31 luglio 2007) La

scuola d’infanzia è un’istituzione prescolastica non obbligatoria, caratterizzata dal

gioco e dalla convivenza con i compagni, e dalla preparazione al primo ciclo

d’istruzione, cioè la scuola primaria. La durata media è di tre anni: sezione

“piccoli (primo anno), sezione “medi” (secondo anno) e infine sezione grandi

(terzo anno). Con la riforma Gelmini è possibile iscrivere i bambini di 2 anni e

mezzo, mentre il precedente prerequisito erano i tre anni (Secondo

C.M.110/dic/2007 possono essere iscritti i bambini che compiono i 3 anni entro il

31/01/2009; quelli nati dopo il 31/01 devono iscriversi alle sezioni primavera (24-

36 mesi).

Le Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia del 2007 definiscono in questo

modo:

• il sé e l'altro (le grandi domande, il senso morale, il vivere insieme);

• il corpo in movimento (identità, autonomia, salute);

• linguaggi, creativià, espressione (gestualità, arte, musica, multimedialità);

• i discorsi e le parole (comunicazione, lingua, cultura);

• la conoscenza del mondo (ordine, misura, spazio, tempo, natura).

La scuola dell’infanzia, non obbligatoria e di durata triennale, concorre

all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso

e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione,

autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un’effettiva eguaglianza

delle opportunità educative; nel rispetto della primaria responsabilità educativa

dei genitori, contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini e,

nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza il profilo

educativo e la continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con

la scuola primaria.(art.1 c.1 D lgs 19 febbraio 2004, n.59)    

La scuola dell’infanzia, liberamente scelta dalle famiglie, si rivolge a tutti i

bambini dai 3 ai 6 anni di età ed è la risposta al loro diritto all’educazione. Ha le

sue origini nelle comunità locali (come i Comuni e le Parrocchie) e in esse è

cresciuta. Oggi si esprime in una pluralità di modelli istituzionali e organizzativi

promossi da diversi soggetti: lo Stato; gli Ordini religiosi, le Associazioni e le

Comunità parrocchiali; gli Enti Locali.”(Indicazioni per il curricolo per la scuola

dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione- D.M. 31 luglio 2007)

Le scuole non statali (comunali e private) sono riconosciute come paritarie dalla

L.62 del 10/03/2000 in presenza dei requisiti minimi definiti dalla stessa legge.

Scuole dell’Infanzia Statali: lo Stato provvede al personale docente ed ausiliario.

Tutto il resto (strutture, arredi) a carico del Comune.

Scuole dell’Infanzia Comunali: tutte le competenze a carico del Comune.

Scuole dell’Infanzia paritarie private: tutto a carico dei gestori privati con

contributi statali ed eventuali finanziamenti regionali e comunali.

COORDINAMENTO E PERSONALE DOCENTE

Coordinatore nella scuola materna statale è il dirigente scolastico o docente figura

di sistema; nella scuola materna non statale si tratta del coordinatore pedagogico

assegnato dal gestore.

DOCENTI

I parametri dei docenti, a secondo dell’apertura dei servizi, sono di 1 docente fino

a 25 ore settimanali e 2 oltre e fino a 50 h settimanali; a seconda del contratto di

lavoro sono 25 ore settimanali di attività educative per docente più altre attività

fino ad un massimo di 40 ore settimanali.

ORGANIZZAZIONE

Una classe può accogliere al massimo 28 bambini e l’organizzazione delle classi

può essere omogenea per età o classi miste. L’apertura minima dei servizi è di 25

ore settimanali, al massimo 50 ore settimanali, a seconda del progetto educativo

della scuola.

LE INDICAZIONI PER IL CURRICOLO

Per la scuola dell'infanzia l’identità pedagogica, didattica e funzionale è delineata

dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo.E’ importante sottolineare che le

Indicazioni contribuiscono a definire le finalità del servizio, le proposte educative-

didattiche e i campi di esperienza.

Finalità della scuola d’infanzia: Per ogni bambino o bambina, la scuola

dell’infanzia si pone la finalità di promuovere lo sviluppo dell’identità,

dell’autonomia, della competenza, della cittadinanza.

Le proposte educative-didattiche: La scuola dell’infanzia organizza le proposte

educative e didattiche espandendo e dando forma alle prime esplorazioni,

intuizioni e scoperte dei bambini attraverso un curricolo esplicito. Ad esso è

sotteso un curricolo implicito costituito da costanti che definiscono l’ambiente di

apprendimento e lo rendono specifico e immediatamente riconoscibile.

Le componenti dell’ambiente di apprendimento sono: lo spazio, i tempi, la

documentazione, lo stile educativo e la partecipazione.

Lo spazio: lo spazio accogliente, caldo, curato, orientato dal gusto, espressione

della pedagogia e delle scelte educative di ciascuna scuola. È uno spazio che

parla dei bambini, del loro valore, dei loro bisogni di gioco, di movimento, di

espressione, di intimità e di socialità, attraverso l’ambiente fisico, la scelta di

arredamenti e oggetti volti a creare una funzionale e invitante disposizione a

essere abitato dagli stessi bambini.

I tempi:  il tempo disteso, nel quale è possibile per il bambino giocare, esplorare,

dialogare, osservare, ascoltare, capire, crescere con sicurezza e nella

tranquillità, sentirsi padrone di sé e delle attività che sperimenta e nelle quali si

esercita. In questo modo il bambino può scoprire e vivere il proprio tempo

esistenziale senza accelerazioni e senza rallentamenti indotti dagli adulti.”

La documentazione:   la documentazione, come processo che produce tracce,

memoria e riflessione, che rende visibili le modalità e i percorsi di formazione e

che permette di valutare i progressi dell’apprendimento individuale e di gruppo.

Lo stile educativo: lo stile educativo, fondato sull’osservazione e sull’ascolto,

sulla progettualità elaborata collegialmente, sull’intervento indiretto e di regia.

La partecipazione: la partecipazione, come dimensione che permette di stabilire e

sviluppare legami di corresponsabilità, di incoraggiare il dialogo e la

cooperazione nella costruzione della conoscenza.

I campi di esperienza nella scuola dell’infanzia si rifanno ai traguardi per lo

sviluppo delle competenze, e suggeriscono all’insegnante orientamenti, attenzioni

e responsabilità nel creare occasioni e possibilità di esperienze volte a favorire lo

sviluppo delle competenze, che a questa età vanno intese in modo globale ed

unitario.

I progetti di apprendimento individuano principalmente i seguenti campi di

esperienza:

1. Il sé e l’altro: le grandi domande, il senso morale, il vivere insieme. I bambini

formulano le grandi domande esistenziali e sul mondo e cominciano a

riflettere sul senso e sul valore morale delle loro azioni, prendono coscienza

della propria identità, scoprono le diversità e apprendono le prime regole

necessarie alla vita sociale.

2. Il corpo in movimento: identità, autonomia, salute. I bambini prendono

coscienza e acquisiscono il senso del proprio sé fisico, il controllo del corpo,

delle sue funzioni, della sua immagine, delle possibilità sensoriali ed

espressive e di relazione e imparano ad averne cura attraverso l’educazione

alla salute.

3. Linguaggi, creatività, espressione: gestualità, arte, musica, multimedialità. I

bambini sono portati a esprimere con immaginazione e creatività le loro

emozioni e i loro pensieri; l’arte orienta questa propensione, educa al sentire

estetico e al piacere del bello.

4. I discorsi e le parole: comunicazione, lingua, cultura. I bambini apprendono a

comunicare verbalmente, a descrivere le proprie esperienze al mondo, a

conversare e dialogare, a riflettere sulla lingua, e si avvicinano alla lingua

scritta. Attraverso la conoscenza e la consapevolezza della lingua materna e di

altre lingue consolidano l’identità personale e culturale e si aprono verso altre

culture.

5. La conoscenza del mondo: ordine, misura, spazio, tempo, natura. I bambini

esplorano la realtà, imparando a organizzare le proprie esperienze attraverso

azioni consapevoli quali il raggruppare, il comparare, il contare, l’ordinare,

l’orientarsi e il rappresentare con disegni e con parole .”121

“La scuola dell’infanzia rappresenta, pur non costituendo obbligo, una parte

fondamentale del sistema dell’istruzione, sulla quale notevoli sono stati e sono, gli

investimenti del sistema degli Enti locali, al fine di promuovere le potenzialità di

autonomia, creatività e apprendimento dei bambini e per assicurare un’effettiva

uguaglianza delle opportunità educative. La Regione persegue la generalizzazione

della scuola d’infanzia per tutti i bambini e le bambine in età tra i 3 e i 6 anni,

anche tramite mezzi propri, aggiuntivi a quelli statali, finalizzati all’ampliamento

dell’offerta scolastica e alla sua fruizione. Poiché la normativa nazionale istituisce

la possibilità di anticipare l’età di accesso alla scuola d’infanzia, sarà definito un

progetto educativo specifico, supportato da personale e spazi adeguati, di

transizione tra il nido e la materna a partire dai due anni e mezzo. Per quanto

riguarda l’educazione degli adulti, il progetto di legge prevede e sostiene percorsi

di apprendimento per tutto l’arco della vita delle persone, finalizzati sia al

recupero e al completamento dei percorsi scolastici e formativi, sia

all’aggiornamento professionale dei lavoratori, in tal caso operando attraverso

l’integrazione fra l’istruzione e la formazione professionale. Un’offerta ampia,

importante per favorire l’adattabilità alle trasformazioni dei saperi nella società

della conoscenza e per evitare l’obsolescenza delle competenze e i rischi di

emarginazione sociale. Si intende inoltre garantire il diritto al sapere per tutto

l’arco della vita con azioni che mettono in valore le attività dell’associazionismo,

delle università della terza età, dei tanti soggetti attivi nell’educazione non

121 Nanni C., La riforma della scuola. Le idee, le leggi, Roma, LAS, 2003 ;De Gaspari B. e Fiore F., Una scuola per famiglie. A proposito della riforma Bertagna-Moratti, in Nuvole, giugno 2002.

formale, dando così risposta alle aspettative delle persone che chiedono di

continuare la propria crescita culturale ad ogni età. Cardine essenziale del sistema

formativo è l’autonomia delle istituzioni scolastiche, già introdotta

nell’ordinamento nazionale nel 1997 ed attualmente sancita anche a livello

costituzionale…. Il progetto di legge intende di valorizzare tale autonomia, quale

garanzia della libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e strumento

potente per liberare energie propositive e risorse innovative a favore

dell’ampliamento delle opportunità per tutti. I primi passi dell’autonomia,

realizzati anche attraverso il ricorso alla flessibilità curriculare del 15% introdotta

nel 1998, hanno messo in evidenza la capacità delle scuole di intervenire sulla

propria offerta, migliorandone la coerenza rispetto alle necessità degli studenti e

del territorio, e personalizzando i percorsi di studio…. Il progetto di legge

individua nel rafforzamento dei livelli di continuità del percorso educativo e

formativo uno strumento importante per contrastare l’abbandono e per rispettare

maggiormente i ritmi di crescita e di apprendimento dei bambini e dei ragazzi

della regione, soprattutto in riferimento al ciclo primario. A fronte di tempi di

crescita e di apprendimento molto differenti tra bambini e gli adolescenti, infatti,

cicli e percorsi scolastici brevi, con frequenti interruzioni e valutazioni, possono

produrre ostacoli per ragazzi con maggiori difficoltà. Per realizzare un percorso

educativo più attento ai ritmi di ciascuno, la Regione promuove la progettazione e

realizzazione di percorsi didattici ed educativi più continui e rispettosi dei diversi

modi e tempi di apprendimento.“122

“La situazione attuale nelle scuole italiane dei bambini sordi è regolata

dalla legge 104/92, la quale prevede l’affiancamento di un educatore professionale

che segua e istruisca al linguaggio vocale il bambino sordo. Dietro di questa

importante figura professionale vi sono diverse problematiche che non verranno

trattate in questa sede, ma ci si limita qui a lanciare un monito per fare chiarezza

sulla suddetta legge che non traccia un profilo giuridico ed economico ben

122 Supplemento 231 del 25-03-2003, Progetto di Legge d’iniziativa della Giunta Regionale, Norme per l’Ugualianza delle Opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro. Oggetto Consiliare n. 4311.

definito di questi operatori (si pensi, ad esempio, alle 17 ore lavorative previste a

fronte delle 40 dell’orario scolastico).

L’ENS (Ente Nazionale Sordi) suggerisce la distinzione tra la figura professionale

dell’assistente e quella dell’educatore: il primo è, in realtà, un “assistente alla

comunicazione della persona udente” il cui compito è strettamente legato alla

comunicazione; il secondo è un “educatore della persona sorda”, infatti, il suo è

un vero e proprio intervento educativo finalizzato a rafforzare l’identità del

bambino sordo partendo dall’accettazione della sua diversità intesa anche come

ricchezza.”123

La scuola dell’infanzia presenta la propria organizzazione e articola le

proprie attività educative e didattiche con un documento rappresentativo degli

obiettivi denominato Piano dell’offerta Formativa – P.O.F. – consultabile presso

ogni scuola.

Il sistema scolastico è in continua evoluzione e trasformazione ma

purtroppo fatica a seguire nello stesso ritmo di sviluppo della società, rimanendo

sempre un po’ in ritardo rispetto ad essa. Anche alla luce di questa

considerazione, è nostra profonda convinzione che debba esistere un legame forte

e continuo tra la scuola italiana e l’evoluzione della società e dell’economia. La

Scuola non può essere più solo il luogo dell’istruzione, deve diventare il luogo

della formazione.

Nel 1988 l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ex Istituto di

Psicologia) del CNR e l’ISISS (Istituto Statale di Istruzione Specializzata per

Sordi ), sede di Roma, hanno creato il progetto di bilinguismo con l’integrazione

fra i bambini sordi e bambini udenti che comprende tutti i livelli di scuole, dal

ciclo dell’infanzia alla scuola superiore per garantire la continuità didattico-

formativa dell’alunno sordo.

L’ISISS di Roma è una delle più vecchie scuole italiane e negli anni’60

aveva più di 300 allievi; gli insegnanti ignoravano i nuovi orientamenti e

strumenti pedagogici, non riconoscevano non davano importanza alla Lingua dei

123 L. Polsoni, La comunicazione del bambino sordo_ http://www.mondosilma.com/didattica/sostegno/La%20comunicazione%20del%20sordo.pdf

Segni Italiana. Grazie alla convenzione del 1988 tra l’Istituto di Scienze e

Tecnologie della Cognizione del CNR, l’ISISS e il Provveditorato agli studi di

Roma si è arrivati a un grande successo nella storia dell’educazione dei sordi.

L’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR ha dato un forte

contributo, un “segno” positivo, al cambiamento del modello educativo e didattico

per l’educazione di bambini, ragazzi e adulti sordi e al processo di integrazione

scolastica e sociale. Le ricerche non erano focalizzate soltanto alla scuola ma

anche alla ricerca sulla lingua dei segni italiana (LIS), lo sviluppo del linguaggio

delle due lingue (LIS e italiano), degli aspetti psicologici, delle nuove tecnologie e

della cultura. I ricercatori operanti elaboravano gli studi presso la scuola che era

un’esperienza concreta tra il mondo della ricerca e una realtà scolastica e sociale.

L’ambito scientifico ha sollecitato l’ambito scolastico a creare un nuovo

svolgimento delle attività educative di educazione bilingue (lingua dei segni

italiana/italiano), e un nuovo metodo educativo che divenne uno strumento di

diffusione di un nuovo pensiero pedagogico. Grazie anche al reparto di

Neuropsicologia del Linguaggio e Sordità, che ha svolto le prime ricerche

scientifiche e linguistiche sulla struttura dei segni della LIS usata da molte

persone sorde, che ha dimostrato come i segni usati dai sordi italiani fossero una

lingua naturale.

“La presenza di una struttura di ricerca scientifica ha maggiormente coinvolto il

Ministero della Pubblica Istruzione e il Provveditorato agli studi di Roma. Ad

esempio, i ricercatori del reparto sono stati chiamati, in passato, a svolgere attività

di consulenza scientifica nel "Centro di informazione e documentazione sui

problemi della sordità", promosso dal Provveditorato agli studi di Roma e dal

Ministero della Pubblica Istruzione (1992-1994). Hanno inoltre partecipato al

comitato tecnico dell'Osservatorio permanente per l'integrazione scolastica delle

persone in situazione di handicap presso il Ministero della pubblica istruzione, in

qualità di esperti per i problemi nel campo della sordità (1997-2000).

Più recentemente hanno preso parte, in qualità di esperti, al gruppo di lavoro sul

"Riordinamento delle scuole speciali e degli istituti atipici" presso il Ministero

della pubblica istruzione (2000).

Tutto questo ha favorito la rottura dell'isolamento in cui si trovava l’Istituto e

quindi il mondo dei sordi. L'Istituto statale dei sordi si è aperto all'esterno,

diventando un luogo di riferimento per udenti e sordi.

L’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, in collaborazione

con l'Ospedale Bambino Gesù di Roma, ha condotto una ricerca sulle competenze

cognitive, comunicative, linguistiche e relazionali di bambini sordi in età

prescolare: alcuni figli di genitori sordi, altri di genitori udenti. Lo studio si è

focalizzato, in particolare, sui processi di comprensione e produzione lessicale e

morfosintattica, sia in italiano che in LIS. Questo ha richiesto la messa a punto di

un protocollo di valutazione delle due lingue. Sono state inoltre studiate nei

bambini le capacità cognitive generali (attraverso test di livello non-verbali), le

capacità di gioco simbolico, le modalità di interazione comunicativa e di relazione

del bambino con i genitori. Infine sono stati effettuati colloqui con le famiglie per

studiare il contesto emotivo-relazionale. I risultati principali hanno evidenziato

che le competenze linguistiche dei bambini sono fortemente influenzate

dall'ambiente affettivo-relazionale, in cui i bambini crescono, e dalla qualità e

quantità degli interventi educativi offerti loro. La valutazione delle abilità

linguistiche in vocale e in LIS ha infine mostrato che la modalità comunicativa

visivo-gestuale sembra costituire una buona potenzialità per promuovere gli

apprendimenti linguistici, sia in comprensione che in produzione, in tutti i

bambini (anche in quelli con genitori udenti). Tutti i bambini osservati

mostravano capacità cognitive nella norma. Relativamente a questo aspetto, sono

stati inoltre condotti numerosi studi sul rapporto fra livello cognitivo e

acquisizione della Lingua dei Segni. Le ricerche, condotte in particolare su

bambini sordi esposti alla Lingua dei segni americana (ASL), hanno evidenziato

che l'uso di una forma di comunicazione visivo-gestuale, fin dai primi anni di vita,

può contribuire al potenziamento di alcune abilità di discriminazione e recezione

di messaggi e stimoli visivi, con un conseguente vantaggio nello sviluppo

cognitivo.

Per verificare e ampliare i risultati di questi studi, a partire dal 1992 a tutt'oggi è in

corso un’esperienza pilota di insegnamento della LIS come seconda lingua a

bambini udenti delle classi elementari della scuola elementare del 3° Circolo

didattico - Istituto Edoardo De Filippo di Villanova di Guidonia (Roma). Questa

esperienza è coordinata, per il CNR, da Olga Capirci. L'esperienza di

insegnamento della LIS a bambini udenti è stata da noi condotta seguendo due

obiettivi principali:

a) stimolare la modalità di espressione visivo-gestuale nella popolazione udente

nei primi anni di scuola, al fine di potenziare alcune aree cognitive come

l'attenzione, la discriminazione e la memoria visiva;

b) offrire l'opportunità a bambini udenti così piccoli di imparare la LIS, al fine di

promuovere un migliore scambio comunicativo ed un processo integrativo fra la

comunità sorda e quella udente.

I risultati mostrano chiaramente che sussiste un rapporto diretto fra la frequenza al

corso di LIS e le capacità di risoluzione di un compito cognitivo, che richiede un

alto grado di attenzione visiva. Già al termine del primo anno scolastico, i

bambini che hanno frequentato il corso di LIS mostravano un evidente vantaggio

nelle abilità di attenzione e di discriminazioni visiva rispetto a gruppi di controllo

di bambini, che non hanno frequentato il corso.”124

L’influenza sociale del bilinguismo precoce sulla lingua, la famiglia, il

gruppo dei pari e la scuola, deve essere positiva e concreta per un bambino sordo

perché possa imparare ad ascoltare con forte motivazione. Anche il bilinguismo

precoce ha bisogno di una produzione continuativa nell’interazione sociale, come

oggi si è per lo più concordi nell'indicare come positivi gli effetti di tale stato

psicologico sullo sviluppo dell'intelligenza, della capacità linguistica e della

personalità dei soggetti bilingui.

L'espressione "bilinguismo" è utilizzata per riferirsi a numerosissime situazioni di

padronanza della lingua materna e di una lingua seconda o straniera, molto

diverse da loro, a seconda dei fenomeni psico-sociolinguistici implicati.

Vediamo il seguente paragrafo, con brevi cenni di esperienze di bilinguismo in

alcune scuole dell’infanzia presenti in Italia, che dimostrano i modelli scolastici

ed educativi per bambini sordi e udenti. 124 http://www.istc.cnr.it/about/storiaRM3.pdf

2.2 Esperienze di bilinguismo in alcune Scuole dell’Infanzia pubbliche e

private presenti in Italia

Grazie alla ricerca scientifica e linguistica svolta dall’Istituto di Scienze e

Tecnologie della Cognizione ( ex Istituto di Psicologia) del CNR e anche alla

Legge 104/92 il numero di educatori sordi si è ampliato ed è aumentato anche il

numero di progetti di bilinguismo in diverse città. Le esperienze di bilinguismo in

classe avvengono nelle scuole materne ed elementari in cui sono inseriti uno o più

bambini sordi, con la presenza dell’educatore, o dell’assistente o dell’interprete, e

con la collaborazione di insegnanti curricolari e di sostegno. Sono esperienze di

bilinguismo quelle in cui è possibile usare la LIS come comunicazione primaria

del bambino sordo per acquisire spontaneamente la propria lingua (LIS) e

formarsi una cultura grazie alla collaborazione della famiglia, della scuola e delle

unità sanitaria e sociale.

Un Progetto di Educazione Bilingue viene attivato ovviamente in seguito a

una richiesta di tre categorie di persone: famiglia, operatori sanitari o insegnanti

del bambino sordo. La scelta del Progetto avviene nel momento in cui si scopre

che il bambino si sente a disagio e incontra difficoltà di inserimento al momento

dell’entrata a scuola; tale situazione porta ad interrogarsi sul futuro scolastico del

bambino sordo. In questo caso il sistema scolastico italiano dà risposte limitate e

inadatte al percorso di apprendimento del bambino sordo e, nello stesso tempo,

alla ricerca di didattiche alternative e innovative. La famiglia ha la possibilità di

richiedere l’intervento di Educazione Bilingue se, ad esempio, si accorge che non

è in grado né di comunicare né di comprendere il proprio bambino. Può capitare

che gli operatori sanitari o gli insegnanti della scuola si accorgano di non riuscire

a svolgere al meglio il loro lavoro, nonostante la massima qualità del personale di

sostegno assegnato al bambino sordo. Questo può succedere dopo anni di

rieducazione orale che ha ottenuto scarsi risultati e in cui l’uso della lingua dei

segni è stato visto come ruota di scorta.

A questo punto può essere richiesto un Progetto di intervento o una

semplice fornitura di servizio. Il Progetto di intervento, di solito, viene presentato

dopo anni di rieducazione orale oppure può avere inizio l’intervento che è stato

formulato in precedenza. Il progetto deve essere collegato alla situazione

familiare, scolastica ed extrascolastica perché il bambino sordo vive

quotidianamente con la famiglia, frequenta la scuola e ha il diritto di apprendere

come tutti i bambini e socializzare con gli altri. Se i genitori, il bambino sordo, gli

insegnanti e gli operatori sanitari non conoscono la Lingua dei segni, il Docente

LIS svolge il suo lavoro di organizzare i corsi e insegnare la Lingua dei segni con

lo scopo di costruire un’accessibile rete di comunicazione tra il mondo e il

bambino sordo.

Ben sappiamo che i segni in ambito scolastico non coprono l’intero orario svolto

dal bambino, il quale però ha bisogno di avere una comunicazione totale in ogni

momento per aumentare le sue conoscenze tramite il canale visivo-gestuale.

L’interprete scolastico, gli assistenti alla comunicazione e gli educatori che

attuano il percorso educativo con metodologie didattiche specifiche e mirate alle

caratteristiche del bambino sordo incontrano però difficoltà comunicative che non

nascono soltanto dalla scuola ma anche all’interno della famiglia. Quindi sarebbe

necessario fare un intervento familiare che faccia entrare all’interno della

relazione la lingua dei segni, tramite la figura dell’educatore domiciliare che può

instaurare con il bambino sordo un rapporto particolare in breve tempo perché il

bambino sordo si identifica nell’educatore e può nutrire per lui un affetto molto

profondo; l’obiettivo dell’educatore però dovrebbe essere quello di lasciare una

modalità comunicativa soddisfacente per la famiglia e il bambino sordo, cioè la

lingua dei segni.

Diciamo che la lingua dei segni è il punto fondamentale non per il Progetto

di Educazione Bilingue ma come caratteristica essenziale di una nuova mentalità,

di un approccio diverso al bambino sordo. Ripetiamo che l’educazione bilingue

mira a far acquisire la Lingua dei Segni Italiana e la Lingua Italiana; la LIS è la

lingua naturale dei sordi come dimostra convinta la comunità scientifica

affermando che la Lingua dei Segni è un completo linguaggio, con una

grammatica interna e con la capacità di esprimere qualunque cosa possa essere

espressa verbalmente.

La Lingua dei Segni è importante perché consente al bambino sordo di possedere

un codice comunicativo immediato ed efficace. Il problema è che il 95% dei

bambini sordi sono nati da famiglie udenti che non conoscono la LIS e

normalmente sono preoccupate a non sentire mai la voce del proprio figlio.

Infatti, per la famiglia può essere più gratificante avere un figlio che riesca a

pronunciare stentatamente qualche parola piuttosto di un fanciullo che si esprime

compiutamente con i segni, ma questo atteggiamento potrebbe condurre il

bambino sordo a rimanere senza un proprio linguaggio nativo.

L'acquisizione e l'apprendimento dell'italiano segue invece un percorso molto più

difficoltoso e le persone sorde leggono (vedono) le parole decifrando i movimenti

delle labbra. Essi “ascoltano” unicamente con l’occhio ed imparano la struttura

della lingua verbale attraverso il senso della vista e non dell’udito. Imparano così,

attraverso la vista, una lingua organizzata prima di tutto per essere percepita e

prodotta sul canale acustico-vocale. Ovviamente il bambino sordo non è esposto

alla lingua orale se non attraverso la lettura labiale, quindi di norma, non può

acquisire l’italiano perché la lingua italiana è una lingua complessa, con molte

regole e altrettante eccezioni, mentre il bambino udente le apprende

spontaneamente, aiutato anche dal feed-back acustico.

Ricordiamo che la sordità non e' un impedimento all'acquisizione dell'italiano o

di qualunque altra lingua con cui e' possibile entrare in contatto. La logopedia ha

il compito di seguire il percorso educativo-riabilitativo per il bambino sordo.

Dapprima viene determinato l'eventuale residuo uditivo del bambino sordo per

valutare l'opportunità di innestare delle protesi tradizionali o un impianto cocleare.

L'impianto cocleare è posizionato mediante un intervento chirurgico ed è un

mezzo in grado di sostituire gli elementi danneggiati del sistema uditivo (cellule

ciliate della coclea) tramite la loro stimolazione.

A fine ‘800 nelle scuole Materne degli Istituti per i Sordi erano accolti solo

bambini sordi che avessero particolari capacità e potessero in seguito distinguersi

nei risultati riabilitativi.

Dieci anni fa, gli Istituti cominciarono a chiudere le loro attività perché la

situazione scolastica e il processo d’integrazione si erano evoluti e i genitori

preferirono mandare i propri figli nelle scuole più aperte e integrate alla vita

sociale e soprattutto più vicine a casa.

Qualche anno fa le scuole speciali per sordi cominciarono a riaprire le

porte, accogliendo però anche i bambini udenti della zona, come quella

dell’Istituto dei Sordi di Torino che ha da sempre ospitato nella sua sede scuole

speciali per bambini e ragazzi sordi. “Dall’anno scolastico 1999-2000 si realizza

un progetto di bilinguismo “Le parole che si muovono”. Il progetto prevede la

creazione di classi di scuola comune, leggermente ridotte nel numero complessivo

di alunni, in cui, accanto a circa 15 studenti udenti, vengono inseriti alunni sordi

in gruppi da due fino a cinque. Inoltre le classi coinvolte nel progetto assumono la

lingua dei segni come strumento privilegiato di comunicazione e di integrazione e

pertanto tutti gli alunni frequentano un laboratorio LIS di un’ora alla settimana,

incluso nel normale orario scolastico e condotto da un docente sordo”125

Anche la scuola dell’Infanzia dell’ISISS di Via Nomentana di Roma è una scuola

speciale per gli alunni sordi, dall’anno scolastico 2000-2001 realizza con successo

un’integrazione fra bambini sordi e bambini udenti provenienti in prevalenza dalla

zona Nomentana e l’esperienza di bilinguismo ha proseguito nella Scuola

Primaria, scuola media “S.Fabriani” e IPSIA “Magarotto”. Nelle scuole che

utilizzano le didattiche specializzate e mirate alle difficoltà individuali ed alle

potenzialità degli alunni sordi e udenti, le attività didattiche vengono svolte con

l’utilizzo di tecnologie e l’uso del bilinguismo (LIS-Italiano) .

Gli insegnanti di scuola dell’infanzia dell’ISISS di Roma hanno proposto

un’esperienza di integrazione creando un progetto di Laboratorio Teatrale con lo

scopo di valorizzare le competenze comunicative di entrambi gruppi (bambini

sordi e udenti) e offrire l’opportunità di usufruire di “contesti” e spazi operativi

diversificati per mettere in risalto le potenzialità-capacità dei singoli. E’ stato un

particolare percorso di integrazione di bambini udenti nelle sezioni di scuola

dell’infanzia prima e nella scuola primaria poi che ha cercato nel tempo di:

125 Bagnara C., Fontana S., Tomasuolo E. e Zuccalà A., I segni raccontano. La lingua dei Segni Italiana tra esperienze, strumenti e metodologie, Atti del 3° Convegno Nazionale sulla Lingua dei Segni, Verona 9-11 marzo 2007, Franco Angeli, 2009, (pag.216-220).

• “creare occasioni di intenso scambio comunicativo tra bambini sordi ed

udenti e tra bambini ed adulti sordi, ciò al fine di favorire uno sviluppo

comunicativo e linguistico;

• promuovere una prima educazione bilingue (LIS e lingua vocale)

• stimolare l’uso di queste competenze in relazione all’interlocutore;

• sollecitare una prima capacità di riflessione metalinguistica sulle strutture

che caratterizzano due codici”

Tutto questo è stato rivoluzionario: ha tracciato la strada di una reale integrazione

ed ha creato le condizioni perché la “diversità” sia percepita come naturale, anzi

come occasione per tutti di arricchimento in un contesto che permetta

quotidianamente di rivalutare le potenzialità di ognuno. C’erano due insegnanti:

l’insegnante udente per la lingua italiana e l’operatore esperto sordo per la LIS. I

bambini hanno così l’opportunità di vedere due adulti alla pari. Lo sperimentare

questo continuo passaggio da lingua a lingua a seconda dell’insegnante rende

“naturale la diversità” e si arriva a capire e valorizzare di contro i propri coetanei

sordi. Il condividere una lingua evidenzia in modo chiaro per tutti che l’handicap

si può superare “volendo”. Da tempo abbiamo verificato che grazie all’uso della

LIS i bambini sordi e udenti via via costituiscono “un gruppo unitario che

comunica “ attraverso un codice condiviso, una lingua che, sfruttando un canale

visivo-gestuale, accessibile a tutti, INTEGRA.” 126

In Italia vi sono pochissime scuole ordinarie che sono bilingue: l’obiettivo

della scuola bilingue è quello di “integrare i bambini sordi nella scuola

“comune”, formando un gruppo di bambini sordi (vi è la necessità che i sordi

stiano con altri sordi) che acquisiscono la LIS come lingua naturale insieme a

bambini udenti che impiegano la LIS come seconda lingua (lingua straniera) il più

precocemente possibile (cioè partendo dalla scuola dell’infanzia) con l’apporto di

operatori esperti in LIS”127. In passato si riteneva che avere nella stessa classe più

bambini sordi sarebbe stato controproducente e avrebbe impedito una reale 126 Bagnara C., Fontana S., Tomasuolo E. e Zuccalà A., I segni raccontano. La lingua dei Segni Italiana tra esperienze, strumenti e metodologie, Atti del 3° Convegno Nazionale sulla Lingua dei Segni, Verona 9-11 marzo 2007, Franco Angeli, 2009 127 Teruggi L. A., Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003

integrazione del bambino sordo nel mondo degli udenti. Ma questa auspicata

integrazione del bambino sordo con il mondo udente rischia di trasformarsi invece

in una “ghettizzazione” del bambino sordo, del suo Insegnante di Sostegno e

dell’Assistente alla Comunicazione che si trovano isolati rispetto alla classe. Tali

considerazioni trascurano completamente le esperienze condotte, e quelle ancora

in corso, in diverse città italiane di classi “speciali” di bambini sordi in scuole

ordinarie.

Nella scuola comune di Cossato provincia di Biella, ad esempio, i singoli bambini

sordi sono inseriti in classi di udenti. Partendo da questi presupposti

l’orientamento bilingue ritiene opportuno che, all’interno delle classi formate da

alunni udenti, vi siano più bambini sordi che partecipano, grazie all’Assistente

alla Comunicazione o all’Interprete scolastico, a tutte le ore di lezioni. Inoltre è

evidente da queste esperienze di bilinguismo che i bambini udenti hanno una

grande opportunità nell’apprendimento di una lingua dei segni e l’acquisiscono

con molta più rapidità, e con minore sforzo, rispetto agli adulti.

Nella scuola bilingue si ritiene inoltre importante che l’acquisizione della

LIS, che solitamente avviene negli istituti speciali che, come precedentemente

detto, spesso sono anche dei convitti dove i bambini restano per tutta la settimana,

avvenga invece all’interno di un contesto scolastico ordinario: “è dunque

indispensabile che i bambini sordi frequentino insieme una scuola“normale” e

che sia evitata l’istituzionalizzazione”128. Altri due punti su cui la scuola bilingue

insiste molto sono la reale integrazione fra sordi e udenti -che può avvenire solo

all’interno di un contesto in cui le due lingue e le due culture siano paritarie - e

l’apprendimento didattico: “è indispensabile che i bambini sordi acquisiscano al

più presto la lingua italiana dei segni in un ambiente scolastico “normale” per

garantire il massimo dell’integrazione, ma anche il massimo dell’apprendimento

curriculare”129.

Bisogna però sottolineare che è molto difficile che un’esperienza di bilinguismo

128 Teruggi L. A., Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003. 129 Teruggi L. A., Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003.

italiano/LIS sia bilanciata: i bambini udenti sono sempre più numerosi dei

bambini sordi. Inoltre molti dei bambini sordi che accedono alle scuole bilingue,

arrivano con una competenza limitatissima sia nella lingua dei segni che

nell’italiano rispetto alla loro età cronologica; gli insegnanti segnanti sono senza

dubbio di meno rispetto agli insegnanti udenti che non comunicano con la lingua

dei segni. E’ però da tener presente che è molto difficile realizzare un’esperienza

didattica di bilinguismo totalmente bilanciata.

Si ritiene inoltre importante che i bambini sordi abbiano, per tutte le ore

scolastiche e per tutta la durata dell’iter scolastico, delle figure esperte in LIS, che

li accompagnino e li sostengano: “è indispensabile che i bambini sordi siano

supportati in modo continuativo da una figura veramente esperta in LIS per tutta

la scuola di base per garantire il massimo della continuità. E’ indispensabile

raggiungere tali obiettivi evitando sprechi di risorse umane ed organizzative, ed

eccessivi disagi per l’utenza”130.

I progetti di bilinguismo presenti nelle scuole italiane hanno stimolato le

figure professionali collegate alla comunità sorda nel voler realizzare la

sperimentazione bilingue in altre scuole dove si trovano bambini sordi. La

sperimentazione bilingue si basa sul principio di coesistenza nell’ambiente

scolastico di bambini e adulti sordi e udenti e delle due rispettive lingue (LIS e

Italiano) usate nei vari ambiti a seconda delle necessità comunicative. Un tempo

la possibilità di usare la LIS a scuola era limitata ad un gruppo non molto folto di

insegnanti curriculari e di sostegno, che a proprie spese aveva fatto il corso di LIS,

oppure aveva avuto un primo approccio con i corsi di alta qualificazione del

MIUR. Oggi la situazione è completamente cambiata perché da pochi anni si è

avuta un’ampia diffusione in tutto il territorio nazionale della figura dell’assistente

alla comunicazione.

Ad esempio: Il progetto “Bilinguismo per l’integrazione di alunni sordi e udenti

nella scuola comune” gestita dalla Fondazione Valmarana in collaborazione con la

sezione provinciale dell’ENS di Padova, l’ISISS Magarotto, il centro di Foniatria

130 Teruggi L. A., Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003.

Croatto, l’Istituto Comprensivo di Noventa Padovana e il Comune di Noventa

Padovana, si realizza un progetto di bilinguismo con lo scopo di offrire fin dalla

scuola dell’Infanzia alla scuola Primaria un percorso di integrazione per i bambini

sordi e udenti del territorio padovano. Anche il “Progetto Vivilis” nasce dalla

collaborazione tra l’Istituto Comprensivo Jacopo Barozzi di Milano, l’ENS di

Milano e la Provincia di Milano che ha la finalità di offrire un ambiente vera

integrazione per i bambini sordi del territorio milanese.

Questi due progetti sono creati dopo i grandi esemplari ed ispirazioni della scuola

di Cossato e di Roma. La finalità del progetto di bilinguismo è quella di integrare i

bambini sordi in una scuola ordinaria o “comune”, formando un gruppo di alunni

sordi che acquisiscono la LIS come Madrelingua e alunni udenti che imparano la

LIS come seconda lingua (lingua straniera) con l’aiuto degli insegnanti

curriculari, di sostegno, educatori e interpreti. E’ necessario che ci sia il lavoro

d’equipe, una convergenza di competenze professionali diverse, una sinergia di

risorse tra le diverse figure dove ogni figura ha un ruolo e ogni ruolo ha le sue

competenze. La necessità della costruzione di contesti collaborativi è strettamente

legata alla presenza, nella società attuale, di elementi quali la complessità dei

bisogni e delle risorse nonché la limitatezza e scarsità di queste ultime.

“Si possono trovare alcuni approfondimenti dei progetti di bilinguismo nelle

scuole italiane nella parte degli allegati dove sono riportate delle corrispondenze

con le Direzioni Didattiche delle scuole comuni”131

Il libro intitolato “Una scuola, due lingue. L’esperienza di bilinguismo

della scuola dell’Infanzia ed Elementare di Cossato” a cura di Lilia Andrea

Teruggi ha dato un forte contributo, presentandosi come una novità travolgente

nel mondo pedagogico. Perché molte figure professionali non riuscivano a

comprendere quali sono i migliori percorsi educativi per un bambino sordo. Un 131 Allegato d. Scuola Materna ed Elementare specializzata 173° Circolo Didattico presso l'ISISS (Istituto Statale di Istruzione Specializzata per Sordi) di Roma. Allegato e. Progetto di bilinguismo: "Lingua italiana - lingua italiana dei segni (Lis)" per l'integrazione dei bambini sordi presso la Direzione Didattica Statale di Cossato (Biella). Allegato f. Progetto di Bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e udenti nella scuola comune presso la Pia Fondazione Elenda Vendramin Calergi Valmarana di Noventa Padovana (Padova). Allegato g. “Progetto Vivilis” collaborazione interistituzionale: Istituto Comprensivo Jacopo Barozzi di Milano, Ente Nazionale Sordi di Milano e Provincia di Milano. Allegato h. Progetto per l’integrazione in gruppo di studenti sordi nella scuola ordinaria presso l’Istituto dei Sordi di Torino (Pianezza).

bellissimo convegno “Segni – parole: percorsi di bilinguismo. Esperienze

educative a confronto sul tema dell’integrazione di bambini sordi e udenti in

contesto bilingue: LIS e lingua italiana” tenuto a Biella Città Studi dal 28 al 30

novembre 2003, organizzato dalla Provincia di Biella e dall’AUSL di Biella che si

è potuto realizzare grazie ai contributi dei relatori, che hanno presentato le

relazioni e le esperienze lavorative svolte nelle scuole italiane con progetti di

bilinguismo, tutte molto interessanti, che erano suddivise in sessioni a seconda

degli argomenti (Linguistica, Educazione, Psicologia, Insegnamento, Bilinguismo,

Socializzazione, Identità, Riabilitazione educativa) e si basavano su studi,

ricerche, sperimentazioni ed esperienze. Oltre agli interventi, vi è stata una grande

esposizione di poster che rispecchiavano i diversi campi e le diverse esperienze

dell’educazione bilingue e della sordità. Nei giorni di convegno c’erano centinaia

di partecipanti che erano i genitori di figli sordi, gli insegnanti, gli operatori, gli

studenti ognuno dei quali ha avuto l’occasione di conoscere, confrontare e

scambiare le metodologie di insegnamento della lingua dei segni e della lingua

italiana. Negli anni precedenti gli insegnanti pensavano che avere nella classe più

bambini sordi sarebbe stato controproducente e avrebbe impedito una reale

“immersione” del bambino sordo nel mondo degli udenti. “In alcuni casi

l’auspicata “immersione” nel mondo degli udenti si trasformava in una sorta di

“ghettizzazione” del bambino sordo e del suo insegnante di sostegno che si

trovavano isolati rispetto alla classe. In molti casi gli insegnanti non avevano né

le esperienze, né la preparazione pedagogica per affrontare il difficile compito di

assicurare al bambino sordo un accesso completo ai contenuti del programma

scolastico e un reale inserimento nella classe “132

Di fronte a queste difficoltà e a numerosi fallimenti, alcune famiglie

cominciarono a muoversi per ottenere un accesso più completo ai contenuti offerti

dalla scuola, chiedendo la presenza in classe di un interprete, un assistente alla

comunicazione e un educatore sordo o udente segnante a casa e/o a scuola che

potessero offrirsi come un modello adulto di riferimento ai bambini sordi.

132. Teruggi L. A, Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003.

Tutte queste esperienze che si muovono in un’ottica di educazione bilingue

lasciano però il bambino sordo da solo con compagni udenti.

Il progetto di bilinguismo della scuola comune di Cossato (Biella) ha dato

una grande risposta concreta e molto bilanciata a queste diverse “filosofie

scolastiche”, offrendo ai bambini sordi un alto livello di scolarizzazione in un

contesto di integrazione con gli udenti.

2.3 Esperienza lavorativa: Educatore e Docente LIS Ero presente al convegno di cui sopra che mi è stato davvero utile ai fini di una crescita personale e professionale che era diventata un’esperienza concreta. Ho partecipato ai seminari ed ai workshop che erano molto interessanti e avevano dato un grande contributo al mio studio universitario. Ho potuto di conoscere e scambiare le informazioni con persone competenti dell’insegnamento della lingua dei segni e della lingua italiana nelle scuole dell’infanzia.

Aggiungo che la mia personale esperienza mi ha portato a pensare che meno la lingua italiana è utilizzata in un corso di lingua straniera meglio è: questo non vale solo per la LIS, ma per tutte le lingue straniere. Questo nella LIS è basilare in quanto la confusione apportata da due codici diversi è grande e influisce negativamente sull’acquisizione linguistica del bambino; non che nelle altre lingue l’interferenza non vi sia ma, le sperimentazioni concluse hanno portato alla luce il fatto che l’interferenza con la struttura dell’italiano è particolarmente sentita.

La mia grande opportunità di lavorare come educatrice e docente LIS in un

progetto di bilinguismo è svolta nell'anno scolastico 2007-2008 presso la scuola

dell'Infanzia "Il giardino" – Istituto Comprensivo n. 4 – Noventa che è stata sede,

come continuità dell’A.A precedente, di realizzazione di un progetto educativo di

bilinguismo Lis (Lingua dei Segni Italiana) e Lingua Italiana per l'integrazione

dei bambini sordi e udenti. Come ho già detto il progetto di bilinguismo

dell’Istituto Comprensivo “Santini” di Noventa Padovana rappresenta la terza

realtà in Italia, dopo Cossato (Biella) e Roma, che offre questo tipo di servizio per

l’educazione dei sordi.

L’Istituto G. Santini ha oggi accolto il progetto collaborando strettamente con

l’ENS, Ente Nazionale dei Sordi, la Fondazione Valmarana, il Comune di

Noventa Padovana, l’ISISS Magarotto, le provincie di Padova e di Venezia e il

Centro di Foniatria Croatto, la sua nascita, nell’anno scolastico 2006/07, e la sua

crescita impegnano la Scuola a garantirne la continuità principalmente per i

bambini e per dare loro costanza nella crescita e nella formazione.133

Il progetto educativo del bilinguismo Lis/Italiano consiste

nell’introduzione dell’esposizione linguistica alla Lis nel contesto educativo

quotidiano.

Alla luce di tutto ciò il progetto di bilinguismo di Noventa Padovana

assumeva una grande veste di sperimentazione innovativa sia nei presupposti

teorici che in quelli pratici. In linea coi principi peculiari dell’Educazione

Bilingue, ed in questo caso dell’integrazione dei bambini sordi e udenti nella

scuola comune, la Lis viene considerata ed esposta per i bambini sordi come L1

(prima lingua). A questo scopo sono affiancate alle insegnanti curricolari e di

sostegno due tipi di figure segnanti, ovvero figure che utilizzano ed espongono in

LIS: due Educatrici Sorde segnanti e una figura udente segnante, ovvero

educatrice/mediatrice segnante. Queste tre figure sono state presenti a scuola tutti

i giorni della settimana dalla mattina al pomeriggio, ovvero durante tutte le ore

scolastiche.

Noi, tre figure professionali, abbiamo seguito le attività di routine: calendario,

attività della mattina integrandoci insieme alle insegnanti di sezione, attività

pomeridiana racconto/ascolto di storie per contenuti della Storia di “Gigetto il

Folletto” e altri racconti scelti in sezione. Gli insegnanti curriculari e di sostegno

raccontano le storie in Lingua Italiana e la LIS viene interpretata dalla

mediatrice/educatrice segnante (udente). Per tutti gli altri giorni io e la mia collega

sorda abbiamo svolto le attività di laboratorio LIS, dividendoci in modo costante

per tutto l’anno tra i bambini sordi di 5 anni (inseriti in una sezione) e quelli di 4

(inseriti in un’altra sezione). Nello specifico ci siamo occupate di esporre i

bambini sordi e udenti alla Lis in due diversi modi: 133 www.fondazionevalmarana.it

• esposizione indiretta attraverso contatto interattivo nei momenti ludici e

quelli legati alle attività quotidiane della routine (attività di sezione);

• esposizione diretta attraverso laboratori linguistici tesi all’apprendimento

della Lis rivolti ai bambini sordi e udenti insieme (laboratori Lis). Ogni

gruppo d’età di bambini era esposto, durante questi laboratori, per 1 ora a

settimana.

Nell’obiettivo di sopperire ed evitare le possibili lacune, oltre ai laboratori

linguistici per bambini sordi e udenti insieme, abbiamo svolto laboratori di

potenziamento della Lis rivolti solo ai bambini sordi. Pertanto l’esposizione

diretta dei laboratori è stata integrata da questa attività specifica rivolta solo ai 5

bambini sordi presenti a scuola (nella giornata di mercoledì), gestita solo da me e

la mia collega sorda, con scopo di potenziamento linguistico, relativo alla Lis, e di

esposizione a un modello identificativo e culturale proprio degli adulti Sordi.

I laboratori linguistici dei bambini sordi e udenti insieme si sono svolti una volta

alla settimana, e per gruppi d’età distinti (4 anni e 5 anni), e per le sezioni

coinvolte nel progetto. In generale i laboratori linguistici hanno avuto durata di

un’ora per gruppo. Per quanto riguarda invece l’educatrice/mediatrice segnante è

stata presente anch’essa in modo costante suddividendo orari e giorni, a seconda

della tipologia delle attività, nelle due sezioni e nei laboratori, a seconda della

presenza dei bambini sordi e delle attività richieste dalle insegnanti.

Ricordiamo che, nel rispetto dell’ideologia sottostante l’Educazione

Bilingue, l’esposizione e l’apprendimento della lingua vocale (Italiana) nonché

l’abilità fono-articolatoria, invece, è stato compito specifico delle logopediste che

hanno collaborato con la scuola 3 giorni a settimana, nelle ore pomeridiane.

Riassumiamo un po’ il lavoro e gli obiettivi della figura professionale

dell’educatore e docente LIS.

L’educatore sordo ha il compito di stimolare, sviluppare, gestire,

comprendere e insegnare al bambino sordo, alla famiglia e agli insegnanti che la

LIS è una lingua visiva, che sfrutta il canale visivo-gestuale, usata nella comunità

sorda dove risiedono in storia, la cultura, le strategie comunicative della persona

sorda; deve inoltre spiegare cos’è la sordità perché ogni persona sorda ha il suo

grado di sordità che indica la sua strada a come deve essere educato. Il lavoro e gli

obiettivi sottostanti l’esposizione alle due lingue sono stati collegati e per alcuni

momenti strutturati insieme. Nello specifico l’educatore Sordo ha avuto il compito

di esposizione alla Lis, e le logopediste e le insegnanti di sezione alla lingua

Italiana: in particolare logopedista/lingua parlata ed insegnanti/lingua scritta,

attraverso strategie didattiche visive, nonché materiale specifico e organizzazione

spaziale dell’ambiente quotidiano rivolto all’apprendimento attraverso il canale

visivo non deficitario dei bambini sordi. Ruolo specifico delle Educatrici Sorde è

stato anche quello di fornire i bambini sordi di un modello identificativo di

persona adulta Sorda, pertanto i momenti di interazione, ludica e non, hanno

assunto, oltre al modello linguistico, anche questa funzione identificativa tra

bambino sordo e adulto Sordo, che raramente i sordi figli di genitori udenti hanno

modo di incontrare.

Si ritiene che sia importante imparare a parlare, ma attenti a non dimenticare altri

punti fondamentali: l’accettazione del deficit, la costruzione di una propria

identità e la capacità di mettersi in relazione profonda con gli altri.

Per costruire la propria identità e diventare adulto il bambino ha bisogno di

modelli di riferimento; spesso invece un bambino sordo che nasce in una famiglia

di udente, spesso non frequenta altri sordi temendo una battuta d’arresto

nell’apprendimento dell’italiano, oppure, non volendo mettere in evidenza il

deficit del figlio, confondendolo in un gruppo di persone che tra loro segnano.

Molte famiglie hanno avuto il coraggio di superare i pregiudizi, hanno compreso

l’importanza che il figlio frequenti anche la comunità dei sordi, in modo da poter

avere momenti di scambio e di confronto con coetanei e adulti senza che ci sia

sempre di mezzo la lettura labiale, ma in modo rilassato, non faticoso, chiaro e

veloce come avviene con la lingua dei segni. Questa possibilità di confrontarsi sia

con gli udenti che con i sordi consente al bambino sordo di prendere la

consapevolezza del proprio deficit e dei suoi limiti, ma anche di vedere che la

sordità non rappresenta un ostacolo alla realizzazione di se stessi, nel trovare un

buon lavoro, avere affetti profondi e buone relazioni sociali; le figure sorde adulte

diventano in questo modo un punto di riferimento nel processo di maturazione.

Il docente LIS ha il compito di insegnare la LIS ai bambini sordi come

lingua madre, alle famiglie come seconda lingua e ai bambini udenti ed agli

insegnanti come lingua straniera. La figura, il ruolo, del docente LIS è un profilo

professionale che ha competenze nella crescita e nell’educazione del bambino

sordo. La competenza professionale si deve acquisire attraverso la formazione sui

metodi di insegnamento di una lingua, che sia non solo la conoscenza generale

della grammatica ma anche di tutti quei contenuti e di quelle modalità che dovrà

trasmettere ai bambini. Un insegnante specializzato, nel rispetto della

polifunzionalità, inserirà l’insegnamento della Seconda Lingua (Lingua Italiana)

all’interno del dialogo pedagogico, senza forzature, evitando ogni pericolo di

secondarizzazione, ma operando una corretta mediazione tra aspetto tecnico,

relazionale e didattico; tutto questo sarà possibile grazie alle tecniche di

glottodidattica e al materiale didattico impiegato durante l’insegnamento. I corsi

di formazione e di aggiornamento per gli insegnanti sono necessari per essere

sempre aggiornati e poter valutare il proprio lavoro alla luce di una competenza

che deve spaziare dalla linguistica, alla metodologia e alla psicologia; che faccia

dell’educatore una sorta di “mago”, facilitatore, mediatore, supervisore, tutore che

sa ascoltare e comprendere, con la consapevolezza di poter influenzare un clima

positivo e favorevole all’apprendimento secondo un approccio pratico-ludico, di

tipo visuale-segnico.Una buona formazione alla professione del Docente Lis deve

essere in grado di operare su tre fonti: sapere, saper fare e saper essere.

OBIETTIVI SPECIFICI DEL MODELLO QUALITATIVO DI UN

INSEGNANTE LIS

• “SAPERE”:

1. conoscere: ampliare la conoscenza storica della lingua dei segni italiana, della

cultura dei Sordi, della didattica della lingua, degli aspetti professionali del

Docente Lis;

2. capire: elaborare i contenuti appresi specifici di ogni modulo.

• “SAPER FARE”:

1. sviluppare: incrementare le proprie abilità, e creare un proprio stile

d’insegnamento;

2. procedere: utilizzare e mettere in pratica ciò che si è appreso nella parte della

conoscenza(esperienza);

3. produrre: materiali di supporto alla propria didattica.

• “SAPER ESSERE”:

1. trasmettere: saper usare le proprie conoscenze, le proprie abilità il proprio stile

e le proprie produzioni;

2. scegliere: essere consapevole della gestione di sé e delle proprie competenze;

3. gestire/Orientare: avere competenza nella relazione, saper comprendere

l’andamento dell’apprendimento, saper gestire le dinamiche gruppali.

Il laboratorio LIS tenuto dai docenti sordi per una giusta conoscenza della lingua,

il potenziamento linguistico per i bambini sordi ed un’esposizione a un modello

identificativo e culturale proprio degli adulti Sordi, ed essere un modello di

esempio linguistico e sociale, riequilibrare a favore della LIS la presenza

prevalente di insegnanti e bambini udenti, parlanti in italiano; l’uso diretto della

lingua dei segni in contesti di laboratorio e in situazioni di comunicazione

spontanea fra pari: tutto questo ha proprio lo scopo del laboratorio LIS.

La programmazione dei Laboratori LIS è integrata nella programmazione

generale grazie alla collaborazione e alla disponibilità degli insegnanti, con la

condivisione di strategie metodologiche e l’elaborazione di progetti

interdisciplinari della Scuola d’Infanzia.

Il laboratorio LIS offre l’opportunità ai bambini di imparare dai docenti LIS che

insegnano e stimolano l’uso della lingua dei segni italiana: il classificatore,

l’espressione facciale non-manuale, movimento, orientamento, configurazione,

luogo, aspetti temporali, ecc. I bambini imparano ed esercitano le diverse attività

che portano allo sviluppo linguistico. Per imparare una lingua è necessario creare

delle attività per stimolare l’apprendimento costruttivo.

L’apprendimento costruttivo favorisce l’acquisizione e lo sviluppo del linguaggio,

per arrivare gradualmente ad una felice costruzione delle conoscenze da parte

dell’allievo, che vive questa esperienza come un apprendista guidato ed affiancato

da un adulto, che lo aiuta nella conquista dell’autonomia grazie all’azione

cooperativa e collaborativa; non si richiede quindi solo di assorbire le

informazioni, ma anche di saperle manipolare. E’ di conseguenza molto

importante il coinvolgimento delle insegnanti di sostegno e curriculari nelle

attività di laboratorio LIS.

Il laboratorio LIS, in cui ho partecipato rivolto a tutti i bambini che frequentano

due sezioni sperimentali e il suo scopo è quello di creare momenti ben definiti in

cui la comunicazione e l’attività didattica possano attuarsi esclusivamente

attraverso i segni.

Abbiamo creato due progetti di

laboratori LIS, uno è destinato

a gruppi misti di bambini, sordi

e udenti, della stessa età, e

l’altro per i bambini sordi

affinché possano potenziare la

LIS. Abbiamo ritenuto che, per

le attività didattiche e

linguistiche, fosse necessaria una separazione tra sordi e udenti, anche se si poteva

obiettare che questa scelta non rappresentasse una vera integrazione. Purtroppo ci

siamo accorti che i bambini sordi apprendono molto più velocemente rispetto agli

udenti la LIS e abbiamo trovato un percorso educativo adeguato con le attività

linguistiche in modo che i bambini

udenti potessero apprenderla totalmente.

Separando i bambini abbiamo pensato di

offrire un passaggio migliore alla lingua

dei segni senza inibizioni, rispettando le

diverse modalità di apprendimento.

I laboratori per gruppi misti e bambini

sordi sono gestite e preparati, dai docenti

sordi e sostenuti dagli insegnanti o educatrice udente segnante, per due volte alla

settimana e le attività di LIS si svolgono un’ora al giorno. Il laboratorio per gruppi

misti è un approccio alla lingua visiva tramite l’attività ludica, materiale visivo e

legato al contesto familiare (oggetti quotidiani e familiari con situazioni spontanee

come la colazione, il pranzo e la merenda, che fanno parte del loro vissuto),

trasferendoli nell’ambito della lingua dei segni si compongono dialoghi e si cura

la comunicazione avvicinando i bambini alla lingua dei segni e mettendoli in

contatto col mondo dei sordi. L’approccio alla lingua straniera avviene attraverso

attività educative e ludiche, stimolando l’apprendimento inconsapevole dei

bambini, che sono per natura portati all’utilizzo di nuovi codici comunicativi non

verbali ed espressivi.

Consentono di acquisire una lingua con maggiore facilità, favorisce l’integrazione

e la comunicazione la società in divenire.

Il laboratorio per bambini sordi: apprendimento della lingua madre attraverso il

gioco, il materiale visivo ( libri con fumetti senza parole e libri con illustrazioni e

frasi semplici) e le tecnologie didattiche (videocassette con immagini, dvd con

sottotitoli in lingua italiana e tradotta in LIS), si compongono dialoghi e

conversazioni spontanee in LIS, si stimolano la produzione di racconti in LIS agli

adulti e ai compagni e si formulano il lessico e le frasi usando appropriatamente

nomi, verbi, avverbi e aggettivi. Sapendo apprezzare la madrelingua come gioco

linguistico.

Le storielle in LIS sono raccontate con

le immagini che sono un supporto

importante per la realizzazione

dell’angolo della favola. Si

ascolteranno e si guarderanno delle

fiabe con l’obiettivo di riuscire a

suscitare nel bambino interesse e senso

di drammatizzazione. Ogni bambino si deve appropriare delle storie che ascolta e

imparare da esse, perché questo lo aiuterà ad affinare il linguaggio e ad imparare

ad associare il nome alla cosa giusta. Questo sarà possibile anche grazie ad un

teatrino, dove si possono riprodurre le favole ascoltate e far partecipare i bambini

in prima persona. La loro finalità è quella di sviluppare le competenze linguistiche

a livello recettivo e trasmissivo-produttivo su realtà e fantasia, appropriarsi e

sviluppare, nel bambino sordo, il bisogno e la capacità di usare la propria lingua

dei segni come Madre Lingua per creare un mondo proprio e sviluppare capacità

di pensiero per l’evoluzione degli aspetti psicologici (LIS, cultura sorda e identità

sorda).

Il docente LIS deve fare una serie di semplici domande riguardanti i personaggi

preferiti delle fiabe e favole, e chiedere ai bambini se conoscono persone vere o

eroi dei cartoni animati che guardano o leggono libri diversi dai nostri, può già

servire per seguire il filo “verde” che ci porta ad iniziare un percorso che possa

attirare il loro interesse e la loro curiosità. L’utilizzo di materiali e di immagini

sempre collegate al contesto porterà i bambini alla comprensione della realtà per

arrivare poi alla costruzione del racconto con le varie sequenze, al riconoscimento

dei personaggi della storia, alla capacità di immaginare e riassumere una storia.

Il Feedback è una strategia comunicativa importante per tutti i laboratori LIS e ha

lo scopo di incoraggiare i bambini a partecipare attivamente alla situazione di

comunicazione, capire se tutti seguono le discussioni, stimolare la capacità di

ascolto visivo. Per poter promuovere il feed-back è necessario conoscere i

componenti non manuali e le espressioni facciali che sono cenni/scuotimenti del

capo, i movimenti del naso, delle sopracciglia e della mandibola. Ci sono altre

strategie comunicative che le persone devono conoscere per poter comunicare con

i bambini sordi.

• Posizionarsi sempre di fronte;

• verificare che il luogo sia illuminato (mai mettersi contro luce);

• segnare o parlare in modo chiaro e semplice;

• smettere di segnare o parlare quando si è girati;

• toccare con sensibilità il braccio del bambino per chiamare;

• chi parla è consigliabile che tenga ferma la testa;

• il viso di chi parla o segna deve essere al livello degli occhi del bambino

sordo;

• non occorre gridare, parlare con un tono normale di voce e la velocità del

discorso di lingua parlata deve essere moderata;

• ci sono nomi di persona, di città o termini inconsueti, per cui la lettura labiale

è difficile; in alternativa si può scrivere la parola a stampatello oppure usare

l’alfabeto manuale (dattilologia) se è capace.

Noi tre siamo state insieme riferimento per gli aspetti e le strategie educative

generali rivolte all’apprendimento delle competenze, in questo caso di base

(scuola dell’infanzia) dei bambini sordi. Abbiamo dato molta attenzione

all’accessibilità di tutti i contenuti del programma svolto da tutti i bambini, scelto

dalle insegnanti, attraverso mediazione “qualitativa” e non “quantitativa” dei

contenuti didattici, con utilizzo di diverse strategie visive.

Un risultato da non trascurare è la realizzazione, attraverso il bilinguismo, di un

percorso d’integrazione a doppia valenza e sentire in un ambiente con una

comunicazione viva tra i bambini sordi e udenti e gli insegnanti sordi e udenti

presenti nel progetto.

Si è voluto creare una scuola dove il bilinguismo è diventato uno strumento per il

superamento delle barriere comunicative ponendosi come ponte fra i due mondi;

tutto questo nell’ottica del rispetto delle pari opportunità, per i bambini sordi e

udenti, di apprendimento e di acquisizione di conoscenze, abilità competenze in

rapporto all’autonomia, alla socializzazione e all’evoluzione cognitiva e

psicomotoria.

L’acquisizione della LIS per tutti, sordi e non, è uno degli obiettivi principali del

progetto di bilinguismo, che potrà essere appresi come linguaggio naturale o come

seconda lingua:

• bambino sordo: la LIS anche per il bambino protesizzato con successo,

diviene importante per garantire non solo i processi d’identità, ma una piena

comprensione e partecipazione alle attività sia dentro che fuori della scuola

con una maggiore capacità di confrontarsi e relazionarsi con gli altri.

• bambino udente: si avvicinerà ad una nuova lingua con una sua grammatica

ben precisa ampliando le proprie competenze comunicative, conoscerà una

nuova cultura, quella dei sordi, e imparerà ad apprezzare questa diversità

come risorsa e non come limite.

L’osservazione della classe sullo sviluppo di linguaggio dei bambini viene

svolta con verifiche di apprendimento della LIS attraverso alcune prove pensate e

strutturate a misura dei bambini e del programma svolto durante l’anno, ed i

maggiori risultati riscontrati, anche dalle osservazioni delle diverse figure che

hanno operato, riguardano le competenze comunicative e le strategie visive dei

bambini sordi, che sottoposti al doppio input linguistico, hanno acquisito le regole

e strategie di base della comunicazione in generale, segnata da un lato e parlata

dall’altro. Attraverso queste competenze hanno raggiunto quindi un livello

d’integrazione nell’ambiente scolastico, a seconda dei bambini, più o meno

buono. L’osservazione è formata in modo diretto e con le riprese video; i dati

sono raccolti attraverso l'uso di abilità percettive e cognitive dei bambini che li

stanno rilevando.

La sperimentazione è costituita da una conversazione gestita dallo

sperimentatore; il primo passo è cercare un gioco che piace al bambino per

potergli dare la possibilità di conversare tranquillamente, dato i bambini

esprimono le loro abilità cognitive attraverso l’attività.

Lo sviluppo cognitivo dei bambini diventa sempre più logico rispetto alle

attività che intraprende: quando un bambino inizia a giocare cerca identificare in

modo specifico per un certo tempo fino a quando ha raggiunto l’obiettivo

prefissato.

Il gioco, attività predominante della vita quotidiana di un bambino, assolve

notevoli funzioni nel corso dello sviluppo infantile; serve a provare e consolidare

le abilità mentali, ad apprendere funzioni e modelli sociali, a rappresentare vissuti

emotivi e stati mentali interni.

Ho scoperto che in tutte le culture umane i bambini trascorrono parte del

loro tempo giocando; addirittura nelle società più semplici, in cui i bambini sono

spinti ad una rapida assunzione di responsabilità di tipo adulto, le routine

quotidiane ed i compiti lavorativi sono da loro trasformate in attività di gioco.

La classe del laboratorio LIS per i bambini sordi è formata da 5 bambini:

ogni bambino ha il proprio sviluppo diverso dall’altro bambino. Scrivo in modo

generale di come i bambini acquisiscono le abilità cognitive. I 3 bambini hanno un

buon sviluppo di linguaggio e non hanno problemi ad esprimersi in LIS grazie al

fatto che i genitori sono sordi e comunicano quotidianamente nella lingua nativa.

Imparano a scrivere e leggere senza difficoltà a confronto di altri 2 bambini che

hanno la famiglia udente. Il bilinguismo si attua nella presentazione di due lingue;

i bambini imparano la LIS come L1 e la lingua italiana come L2. Ma un bambino

sordo ha difficoltà a leggere e scrivere perché a casa non si esercita con i genitori.

Questo accade ai 2 bambini che hanno la famiglia udente e non comunicano con

la LIS, anche se i genitori stanno frequentando da poco il corso di LIS. Dopo 4

anni senza aver avuto un orientamento linguistico, hanno perso una piccola parte

importante dello sviluppo del linguaggio. Per fortuna sono entrati nella scuola

d’infanzia “Il Giardino” dove ci sono insegnanti che hanno un buon talento e

sanno come fare loro recuperare il grado di abilità cognitive. Mi ricordo che un

bambino è stato inserito nel mese di settembre, non sapeva come esprimere con i

gesti. Dopo un mese il suo linguaggio si è attivato e ha cominciato a sentire

“fame” di conoscere tutte le cose che vedeva nel mondo esterno.

Al termine dell’anno accademico, l’osservazione e lo studio dei bambini

sordi durante le attività laboratoriali mi hanno permesso di ricavare dati relativi al

loro sviluppo cognitivo e linguistico. Le prove di produzioni si sono notevolmente

arricchite; ai bambini è stato richiesto: di produrre segni-nome, nominare in

dattilologia alcuni oggetti presenti, produrre i numeri da 1 a 10, produrre i segni

corrispondenti ai giorni della settimana e ai mesi, rispondere a domande su una

storia narrata dall’insegnante in LIS, o drammatizzarla; rappresentare

spazialmente alcune figure di frutta, verdure, degli animali e le abitudini

alimentari (colazione, pranzo e merenda); narrare spontaneamente in sequenze la

storia illustrata narrata dall’insegnante in LIS.

Nelle prove di comprensione, i bambini, al termine dell’anno accademico, hanno

raggiunto ottimi risultati di risposte esatte, anche se sono state riscontrate qualche

difficoltà solo nella parte azione-verbo detta dall’insegnante in LIS.

3 CAPITOLO

Ritengo di aver raggiunto il mio obiettivo consistente nel conoscere e capire i

progetti di bilinguismo per bambini sordi e bambini udenti in età prescolare

nell’intraprendere questo percorso formativo (corso di laurea e corsi di

formazione nel settore educativo, psicologico, filosofico, sociale e linguistico) e

che l'esperienza in questione sia stata molto stimolante e arricchente nell'ambito

della formazione, anche per le dinamiche nuove e particolari dei gruppi vari corsi

di formazione, workshop e seminari per insegnanti, educatori, coordinatori e

pedagogisti. Ho raccolto i punti di vista, i pensieri, le proposte, tra di loro anche

molto diverse, che mi venivano dai vari professori, le esperienze di ognuno di

loro, nonché le attività di riflessione e confronto sulle strategie di comunicazione

in aula e di coinvolgimento degli studenti. E tutto ciò ha contribuito

significativamente alla costruzione di me stessa, dal punto di vista professionale e

della mia crescita personale.Il mio percorso all’Università non è stato privo di

problemi. Ci sono state difficoltà di comunicazione con i docenti, non enormi e

insuperabili fortunatamente; questo perché la cultura, la lingua, il modo di pensare

di una persona sorda inserita in un ambiente udente come quello dell’Università è

un po’ diverso da altri contesti. Ma le difficoltà non ci sono state solo con i

docenti ma anche con gli altri studenti: difficoltà di comunicazione, di interazione,

soprattutto quando si trattava di fare lavori di gruppo per i seminari o i laboratori,

o quando bisognava elaborare progetti comuni per sostenere un esame. Non sono

mai state difficoltà molto grandi, e per fortuna sono sempre riuscita a superarle,

grazie anche al supporto ricevuto dal Servizio Disabili e dal Servizio di

Interpretariato di LIS che mi hanno dato la possibilità di proseguire nel mio

percorso e di raggiungere i miei obiettivi.

3Il mio obiettivo principale era quello di studiare gli argomenti del

“SAPER APPRENDERE”, cioè come riuscire a far studiare gli allievi, essendo

questo un problema fondamentale della pratica didattica ed educativa. Far studiare

le persone di età e condizione diversa. Nel linguaggio quotidiano, dentro e fuori

dall’ambiente scolastico, con la parola “studio” si fa riferimento a una serie di

attività connesse all’apprendimento di contenuti o abilità specifiche. A scuola gli

allievi imparano nozioni e al contempo imparano a studiare. Contrariamente

all’apprendimento che, in molti casi, può essere naturale, studiare non è un’attività

naturale. Ciò significa che si deve apprendere come farlo. Come accade per le

altre discipline, per esempio la matematica, per saper scrivere, bisogna anche

saper studiare e spesso risulta difficile per molti studenti. L’insegnamento della

LIS in classe, ad esempio, va svolto come un’attività naturale e non va appreso

solamente allo scopo di comunicare con i sordi: non bisogna dimenticare che è

anche una lingua piena di risorse con le caratteristiche proprie della minoranza

linguistica. Le persone sorde non si considerano disabili ma minoranza

linguistica: hanno una lingua, quindi non si può loro contestare alcun deficit nella

comunicazione. Non si considerano più disabili di chiunque si trovi a interagire

con chi parla una lingua differente. Come sostiene l’attivista Sordo inglese Paddy

Ladd: “Vogliamo essere riconosciuti nel nostro diritto a esistere come minoranza

linguistica. Etichettarci come disabili dimostra l’incapacità di comprendere che

non siamo per nulla disabili all’interno della nostra comunità”134.

In Italia in particolare, dove la LIS, la lingua italiana dei segni, non è riconosciuta,

e spesso viene considerata un semplice codice, un linguaggio. Riconoscere una

lingua significa rispettare la diversità di ognuno, e valorizzarla.

Non mi riferisco, tuttavia, solamente all’insegnamento della lingua dei segni, ma

anche all’apprendimento di altre discipline che vengono insegnate a scuola. Ė

importantissimo formulare un’attività particolare per i bambini e i ragazzi sordi

cosicché possano apprendere e costruire la loro personalità razionale, come dice

Giovanni Maria Bertin: “La personalità razionale accetta le contraddizioni

dell’esistenza, non per superarle o negarle nelle figure dell’alienazione, ma

impegnandosi a risolvere nel piano stesso concreto in cui esse insorgono, e cioè

nel piano di storia: strutturando l’individualità con gli elementi sociali e culturali

che le danno senso, peso, positività storica, e nutrendo l’oggettività con gli

elementi soggettivi che le assicurano vita e possibilità di rinnovamento…”135. 134 Paddy Ladd, Understanding Deaf Culture. In Search of Deafhoo, .Brithis Library, London, 2003. 135.Contini MG, Genovese A., L’impegno e il conflitto. Saggi di pedagogia problematici sta, La Nuova Italia, Venezia, 1997.

Gli allievi hanno il diritto, anzi il dovere, di apprendere e di ottimizzare le

diverse opportunità apprese durante il percorso scolastico, che li porteranno alla

scelta migliore nel mondo universitario e nel mercato di lavoro.

Ciò di cui ho scritto in precedenza non è altro che il frutto di quanto

appreso sui libri e durante le lezioni universitarie del corso di laurea specialistica.

Purtroppo, però, le nozioni studiate e apprese riguardavano un ambito generale e

non erano specificatamente relative al campo della sordità, in cui si studia una

lingua, la lingua dei segni, e una cultura diversa, che sfruttano un diverso metodo

di apprendimento rispetto a quello degli udenti, che possono lavorare su

qualunque tipo di deficit, compreso quello uditivo.

Il libro “Il laboratorio per imparare a imparare” di Franco Frabboni, è

stato molto importante perché mi ha fatto capire che l’idea di un laboratorio LIS

non può essere seguita e adottata indistintamente da tutte le scuole; mi ha aiutato

molto a capire quale sia il percorso giusto da seguire, quali gli obiettivi, le

motivazioni, le metodologie per potersi collegare al sistema scolastico italiano. A

cosa serve il laboratorio? Preso in sé e per sé può sembrare inutile se non è

correlato a uno specifico programma didattico; e questo l’ho compreso

pienamente grazie al testo che ho citato che mi ha chiarito tanti aspetti

consentendomi di procedere nel mio lavoro.

“Una scuola priva di laboratori difficilmente potrà vestire i panni dell’avvocato

difensore del soggetto disabile. Questo perché un vissuto totalizzante di classe

rischia di mettere la sordina agli allievi handicappati: li costringe al silenzio. Il

laboratorio ha il merito di dare via-libera nella scuola ad un’autentica

educazione alla multiculturalità. Il che avviene quando tra le sue pareti si tiene

intenzionalmente conto della presenza di un’utenza dalla pelle sempre più

variata, testimone di più etnie, di più culture, di più antropologie. Il laboratorio

contribuisce non poco all’ingresso nella scuola di una conoscenza/coscienza

multiculturale proprio perché accende disco-verde a più teorie dell’istruzione.

Fare indossare al laboratorio l’abito del “pluralismo” delle conoscenze

(attraverso la pratica di più teorie dell’istruzione) significa valorizzare gli stili

cognitivi degli allievi. Il che è possibile a partire da una metodologia

dell’apprendimento fondata su percorsi individualizzati. Questi raffinati

dispositivi hanno il pregio – infatti – rispettare e valorizzare nel come di ciascuna

bambina. Le diversità culturali chiedono il rispetto degli alfabeti antropologici

(razza, etnia, territorio, ecc.); le diversità cognitive chiedono il rispetto degli

alfabeti linguistici e logici dell’infanzia e dell’adolescenza, a partire dai loro

tempi, ritmi, registri linguistici, paradigmi logici e così via.”136

La necessità di creare questo laboratorio nasce dal bisogno di realizzare uno

spazio ed un momento di condivisione e collaborazione tra normalità e disabilità.

Infatti, il progetto mira proprio alla creazione di un rapporto di scambio e

collaborazione con tutte le sezioni della scuola dell’infanzia al fine di favorire

l’integrazione degli insegnanti, operatori sociali e compagni con bambini sordi di

3-6 anni all’interno di un laboratorio ludico-educativo.

L’esperienza ludica è capace di rispondere e soddisfare i bisogni autentici

dell’infanzia in particolar modo quelli che sembrano oggi maggiormente

mortificati e deprivati, nel senso che le “naturali” motivazioni alla comunicazione,

socializzazione, fare da sé, costruzione realizzano col gioco l’occasione vincente

per espandere ed esaltare le loro virtuali potenzialità formative.137

Il gioco, attività predominante della vita quotidiana di un bambino, assolve

notevoli funzioni nel corso dello sviluppo infantile; in effetti, serve a provare e

consolidare le abilità mentali, ad apprendere funzioni e modelli sociali, a

rappresentare vissuti emotivi e stati mentali interni.

Veramente ho scoperto che, in tutte le culture, i bambini trascorrono parte del loro

tempo giocando; addirittura nelle società più semplici, in cui i bambini sono spinti

ad una rapida assunzione di responsabilità di tipo adulto, le routine quotidiane ed i

compiti lavorativi sono da loro trasformate in attività di gioco.

L’osservazione e lo studio del gioco del bambino mi hanno permesso di ricavare

dati relativi al suo sviluppo cognitivo: a partire dagli studi di Piaget, in cui si è

dimostrata l’esistenza di una progressione evolutiva nel gioco del bambino da

136 Frabboni F., Il laboratorio per imparare a imparare, Tecnodid, Napoli, 2005 . 137 Frabboni F., Pinto Minerva, Manuale di Pedagogia generale, Laterza, Bari, 1999.

attività di tipo esplorativo fino al raggiungimento del gioco simbolico, che mi ha

dato la possibilità di riflettere sulle differenti capacità cognitive sottostanti e che

procede seguendo le stesse regole che governano le altre forme di sviluppo

mentale.

Credo che tutti i genitori e gli insegnanti di questo mondo debbano

ricordarsi sempre le tre famose domande di Franco Frabboni: “perché educare?”,

“quando educare?” e “dove educare?”.

Sono quesiti che bisogna sempre porsi quando si intraprende un qualsiasi

progetto, che ci aiutano a realizzare un buon progetto, che ci fanno capire a cosa

serve l’identità, la lingua e l’educazione per un bambino sordo. “Perché, quando e

dove educare in una società che sta cambiando a velocità siderale la sua pelle

socio-economica e antropologico-culturale?”138

La prima domanda (perché educare) porta a rispondere: per umanizzare la Persona

educata a difesa della singolarità e della mente plurale nella società del terzo

millennio che globalizza le economie di mercato perché la società è sempre più

disattenta alla Persona e ai suoi valori esistenziali. Questo traguardo è la

maturazione integrale del soggetto/persona nonché un obiettivo pedagogico che si

conquista dopo avere percorso un lungo viaggio nei paesaggi delle età

generazionali (l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, l’età adulta e l’età senile).

Questa nobile finalità educativa rischia oggi di essere travolta dall’avvento

dell’onda lunga della globalizzazione culturale, dei mass media e dei personal

media.

La seconda domanda (quando educare) ha l’obiettivo pedagogico di dare

un’educazione permanente in tutte le età generazionali. Per questo motivo tutte le

stagioni della vita dovranno godere di un’alfabetizzazione di lunga durata, capace

di una navigazione sicura lungo le rotte delle conoscenze e delle relazioni. Un

cittadino deve conoscere, esercitare ed acquisire una consapevolezza dei propri

diritti/doveri di cittadinanza, di eguaglianza, di giustizia, di cooperazione, di

solidarietà e di pace per maturare il senso della dignità e del rispetto di Persona. 138 F. Frabboni, F. Pinto Minerva (a cura di), La scuola dell’infanzia, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008, in Pedagogia più Didattica. Teorie e pratiche educative, n. 1, anno II, gennaio 2009, Erickson, Trento.

La terza domanda (dove educare) porta a dire alla Persona che il soggetto può

vivere e crescere nei differenti contesti educativi (istituzioni formali, non-formali

e informali). Il dove educare si gioca su due tavoli: l’intenzionalità educativa e la

casualità educativa. La prima è che le singole età della vita sappiano tenere

sempre aperte le porte sui luoghi dotati di vocazione formativa: a partire dalla

famiglia alla scuola. La casualità educativa è che le singole età della vita sappiano

tenere sempre aperte le porte sui paesaggi sociali, culturali e naturali della vita

quotidiana. La famiglia è il luogo privilegiato per garantire un guadagno

educativo alle esperienze affettive e morali accumulate dai figli nelle relazioni di

caseggiato e di vicinato. La scuola è il luogo privilegiato per garantire un

guadagno educativo alle esperienze cognitive e sociali accumulate dagli allievi in

famiglia e nell’ambiente di vita sociale. Gli altri luoghi sono un guadagno

educativo alle esperienze relazionali e creative accumulate dai bambini e dai

giovani nelle agenzie formative del Paese, del quartiere e della città: ludoteche,

biblioteche, paninoteche, museoteche, ecc.

Un progetto per una scuola dell’infanzia deve tenere conto dei tempi tipici del

bambino, deve avere delle solide motivazioni (perché ad esempio si sceglie un

progetto di bilinguismo?), deve pensare ai tempi e ai luoghi (anche geografici) in

cui si realizza. Deve ricordarsi che nella scuola non ci sono solo bambini, ma

anche i genitori, i docenti; hanno tutti età diverse ma tutti continuano, nella loro

vita di tutti i giorni, ad apprendere. Le tre domande quindi sono delle chiavi da

ripetersi continuamente, per ricordarsi di non dare mai per scontato il concetto di

educazione; ci aiutano a risolvere dei problemi per portarci verso l’autonomia e

l’esplicitazione delle potenzialità.

La scuola dell’infanzia si qualifica, dunque, come un ambiente di apprendimento

a forte valenza educativa e sociale, ricco di scambi, palestra di convivenza. Le

tradizionali finalità della scuola sono l’identità, l’autonomia, la competenza e si

aggiunge la nuova, quarta finalità: vivere prime forme di cittadinanza (gli

Orientamenti del 1991 – vivere la società, costruire il senso delle regole,

alimentare una relazione pedagogica con i genitori). La scuola dell’infanzia è

ormai, per la maggior parte, pienamente inserita in un progetto 3-6 anni di

formazione per tutti. E’ giusto che mantenga il suo approccio olistico, ecologico e

integrato. Significa considerare in termini unitari le dimensioni di sviluppo di ogni

bambino, favorire una prima “comprensione” della realtà fornendo i primi

strumenti e le prime competenze di lettura del mondo. Spetta ai docenti

organizzare questo ambiente, prestando attenzione alla cura degli spazi fisici,

all’equilibrio dei tempi, al valore pedagogico delle routine. Gli insegnanti,

educatori e operatori sociali devono avere la capacità di non essere intrusivi,

devono prendersi cura dei diversi bisogni dei bambini sordi e udenti, avere la

capacità relazionale e di attenzione, perché l’apprendimento nasce dalla capacità

di cogliere l’intreccio tra corporeità, esperienza, linguaggi. I traguardi per lo

sviluppo della competenza sono: campi di esperienza, traguardi di sviluppo,

ambiente di apprendimento e competenze. Ricordiamo che lo sviluppo non è un

elemento naturale ma una costruzione, un processo di formazione/autoformazione,

stimolato da un ambiente favorevole. Un traguardo è un elemento di

un’evoluzione rispetto al punto di partenza che nasce dallo scambio tra adulti,

bambini e ambiente in cui si stimolano attraverso la comunicazione. Tutte queste

possibilità sono fondamentali anche per il bambino sordo che può raggiungere i

traguardi di sviluppo come un bambino udente, se c’è una predisposizione

individuale per la comunicazione e per il linguaggio e una massima disponibilità

alla comunicazione nell’ambiente familiare, scolastico e sociale.

Il tirocinio e le mie esperienze di lavoro come Educatrice e Docente LIS si

sono svolte all’interno di diverse scuole dell’infanzia. In Italia ho lavorato con un

bambino sordo, di genitori udenti, con l’impianto cocleare, inserito in una scuola

normale, in classe con compagni udenti e senza nessun progetto particolare, ma

con la presenza dell’assistente alla comunicazione udente e segnante. Ho anche

lavorato in una scuola dell’Infanzia in cui era presente un progetto di bilinguismo.

Ho inoltre fatto un’esperienza di tirocinio in una scuola speciale per sordi,

“Kendall”, Gallaudet University di Washington DC negli Stati Uniti. Oltre a

questo, ho potuto visitare diverse scuole in giro per l’Europa: in Francia, in

Svezia, in Danimarca. Sono state occasioni in cui ho potuto vedere sistemi di

istruzione diversi, raccogliere materiali, intervistare docenti, capire cosa significa

una scuola bilingue e com’è organizzata. Queste si sono rivelate per me delle

importantissime esperienze di lavoro e di studio.

Lo studio e il lavoro mi hanno guidato a voler conoscere ed analizzare le

strategie per insegnare e apprendere le due lingue, LIS e Italiano; ho capito che lo

scopo dell’insegnamento della lingua dei segni è di poter rendere possibile il

raggiungimento di competenze linguistiche e insieme cognitive nella seconda

lingua ai bambini sordi e udenti. Nella programmazione del percorso didattico ho

individuato e seguito i seguenti principi metodologici: proporre la madre lingua

per mezzo di un insegnante nativo ( sordo o udente) che interagisca con i bambini

sordi esclusivamente in questa lingua e la seconda lingua per mezzo di un

insegnante nativo (sordo o udente) che interagisca con i bambini sordi

esclusivamente in questa lingua. E’ essenziale offrire ai bambini l’opportunità di

sperimentare la prima e la seconda lingua in contesti a loro familiari e partendo

da situazioni già note e di non tradurre mai esplicitamente da una lingua all’altra,

ma tendere a che il bambino usi le due lingue separatamente; lo scopo è quella di

favorire e stimolare in una prima fase soprattutto la comprensione, lasciando che

il bambino arrivi spontaneamente alla produzione.

Gli scopi principali dell’insegnamento della lingua dei segni ai bambini udenti

sono di promuovere un migliore scambio comunicativo ed un processo integrativo

fra la comunità sorda e quella udente ma anche stimolare la modalità di

espressione visivo-gestuale nella popolazione udente nei primi anni di scuola, al

fine di potenziare alcune aree cognitive come l’attenzione, la discriminazione e la

memoria visiva.

“Proposte per il miglioramento della situazione scolastica”139

Tra le misure a breve termine si ritiene necessario che le scuole che hanno inseriti

dei bambini sordi abbiano la possibilità di:

o Organizzare corsi di aggiornamento (ormai obbligatori per i docenti)

mediante corsi di LIS

o Organizzare corsi di LIS per gli udenti e corsi di approfondimento per i

sordi 139 www.ens.it

o Organizzare all’inizio dell’anno scolastico corsi di base, per il personale di

segreteria e i bidelli, sulle strategie comunicative da mettere in pratica con

le persone sorde

Si chiede che il Ministero dell’Istruzione raccomandi alle scuole con più bambini

sordi di inserirne più di uno nella stessa classe (quando il livello di preparazione

dei ragazzi sordi non è troppo disomogeneo), come del resto prevedeva l’art. 7

della legge 517 che recita: “Le classi che accolgono alunni portatori di handicap

sono costituite con un massimo di 20 alunni”. Resta inteso però che ogni alunno

abbia un docente di sostegno. Numerose esperienze, condotte soprattutto nelle

scuole dove a causa di forza maggiore sono stati messi anche tre/quattro sordi in

una stessa classe, hanno dimostrato che:

o c’è un minor isolamento da parte del ragazzo sordo.

o il monte-ore di sostegno aumenta e quindi si riesce non solo a coprire

tutte le ore di lezione, ma anche a creare ore pomeridiane di

approfondimento solo per i sordi.

L’interazione tra i bambini sordi e i bambini udenti stimola l’apprendimento della

lingua dei segni italiana. Come ormai sappiamo, stimolare la motivazione dei

bambini sordi è una delle parti più importanti del settore educativo. L’educazione

tradizionale spesso sfocia nel produrre specialisti ben pochi stimolati ad esprimere

liberamente le proprie conoscenze, interiorizzate pur partendo da cognizioni

reperibili in un determinato contesto integrato di sviluppo. Il sistema di

educazione tradizionale è privo di empatia per il conoscere, tale che corrisponda

di fatto alla volontà di cambiare le conoscenze in modo creativo anziché

semplicemente ripeterlo. Nella storia dell’educazione dei sordi, i bambini sordi

sono spesso stati oppressi e manipolati dagli “altri” che usavano solo il metodo

che si basa sull’oralismo senza cercare di conoscere le loro vere esigenze. La

lingua dei segni è un mezzo di comunicazione che può stimolare l’autostima dei

bambini sordi. E’ importante che l’educazione per i sordi sia più creativa e

flessibile, sfruttando diversi campi di esperienza. Nella maggior parte delle scuole

italiane, gli insegnanti, gli educatori, i genitori, ecc., sono preoccupati più su come

far apprendere al bambino sordo la lingua italiana che la lingua dei segni; con il

presente progetto si pensa di dar vita a diverse attività ricreative, artistiche,

teatrali, ecc., che possano stimolare i bambini ad acquisire, con maggiore

motivazione, le due lingue: l’italiano e la LIS.

La storia del nostro Paese, rispetto all’educazione dei sordi, è caratterizzata, a

differenza di quanto è avvenuto in altre nazioni, da una scelta rigidamente oralista

che per quasi un secolo (dal Convegno di Milano del 1880 ai primi anni Ottanta

del nostro secolo) ha condizionato i percorsi pedagogici e didattici. In nome di

questa scelta, la Lingua dei Segni, che sin dall’antichità era stata sempre utilizzata

dalle persone sorde per comunicare, viene lasciata fuori dall’educazione e dalla

scuola. In passato molte persone sorde rinunciavano a parlare in pubblico, durante

i convegni, le conferenze e i seminari a causa di difficoltà soggettive, come una

brutta voce o una lettura labiale lenta, e oggettive, come la lontananza

dall’interlocutore o la presenza di più interlocutori che si accavallano nella

conversazione: rinunciavano, pur avendo molte cose da dire e delegavano gli

udenti a parlare per loro. Essere bilingue per la persona sorda significa conoscere

sia la lingua dei segni che l’italiano parlato e scritto. E’ da sottolineare che per

imparare l’italiano (perché di apprendimento si tratta e non di acquisizione)

occorre una lunga terapia logopedia che può durare anche dieci/dodici anni,

mentre l’acquisizione dei segni avviene in modo naturale, spontaneo e veloce

perché, essendo una modalità comunicativa visivo gestuale, utilizza la vista che è

integra.

“Mentre c’è una cultura dell'integrazione, ci sono culture integrate, culture

meticciate, ed è questo che ci apre delle speranze, e ci rende capaci di proporre

ai nostri bambini un’identità plurale. La necessità era quella di consentire una

comunicazione. Tra chi? Tra sordi? Non solo. C'era la necessità di avere una

comunicazione tra sordi, ma anche una comunicazione tra culture diverse”140.

Comunicare è essenziale per vivere e affrontare i problemi quotidiani della vita

anche se ciò comporta molte difficoltà per la maggior parte dei sordi profondi o

totali. Molte persone sorde nel mondo si avvalgono del bilinguismo, sfruttando

non solo la lingua vocale, ma anche la lingua dei segni. Nasce così l’educazione 140 Canevaro A., La sordità e i diversi contesti: mai prigionieri di una sola cultura, www.cdila.it.

bilingue con lo scopo di insegnare al bambino sordo, perché possa costruire una

personalità tutta sua.

Il progetto di bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e udenti nella

scuola comune offre la possibilità ai sordi (bambini, studenti, insegnanti, genitori,

anziani, ecc.) di conoscere e seguire quello che desiderano in modo da costruirsi

una propria personalità. Gli esseri umani esprimono principalmente bisogni di tipo

fisiologico, a cui fanno poi seguito, gradualmente, quelli relativi alla sicurezza,

all’affetto, alla socializzazione e alla realizzazione di una personalità propria.

Con la lingua l’uomo cataloga, pone in prospettiva oggetti, animali, popoli

rispetto a sé stesso; fisse nozioni sempre più complesse che hanno il loro supporto

nella precisazione e nella ricchezza del vocabolario plurilingue.

Le finalità della scuola derivano dalla visione del bambino come soggetto attivo,

impegnato in un processo di interazione con i pari, gli adulti, l’ambiente e la

cultura. Il progetto per l’integrazione di bambini sordi e udenti offre la possibilità

ai bambini e anche agli adulti (famiglia, insegnanti, ecc.), in un contesto

educativo, di vivere,condividere la propria identità culturale e storica nella

prospettiva di diventare un cittadino d’Europa e del Mondo. Si é ricorso per le

indagini ai fabbisogni, alla metodologia qualitativa attraverso questionari,

interviste, colloqui con le agenzie presenti sul territorio. La conoscenza e

l’apprendimento, da parte dei bambini e degli adulti, della lingua L1 e L2 potrà

favorire una loro futura integrazione e permanenza nelle attività socio -

economiche di questo territorio. La progettazione viene preannunciata dallo studio

teorico con la ricerca svolta nei corsi universitari di Bologna e di Gallaudet

University dove sono state rilevate le capacità di bilinguismo sia dei bambini e sia

dei ragazzi in ingresso nelle scuole dell’obbligo e non, la motivazione allo studio

di una o più lingue.

La grande ricchezza di quello che e' successo in questi 30 anni è proprio

che, le persone disabili, le loro famiglie e tutti i professionisti che avevano

sensibilità sono riusciti a fare maturare piano piano la nostra cultura sociale.

Sicuramente, al di là di quello che sta accadendo a livello nazionale, le regioni

hanno una grande ricchezza dal punto di vista di questa cultura; negli anni sono

cambiate le terminologie, dagli “invalidi”agli “handicappati”, ai “diversamente

abili”; oggi siamo sul “disabile”; ogni parola aveva la sua valenza e era utile alla

cultura di quel tempo, a fare capire di cosa parlavamo.

E' anche necessario allora fare chiarezza e sottolineare che il discrimine ultimo

sta fra gli aggettivi “sordo” e “sordomuto”, cioè fra la presenza o l'assenza di

competenza linguistica intesa in senso chomskiano, ovvero la capacità di

comprendere e produrre frasi mai incontrate prima. Credo che siamo tutti

consapevoli del fatto che il sordo profondo, l’unico vero sordo agli effetti

dell’apprendimento della lingua, può e riesce a raggiungere un’adeguata

competenza cognitiva e linguistica. Credo però che non sia ancora molto

conosciuto come ciò sia possibile. Tale conoscenza renderebbe molto più facile e

“naturale” la proposta di strategie compensative per gli apprendimenti e quindi

anche per gli apprendimenti scolastici. Il bambino sordo ha la possibilità di

compensare il deficit uditivo a livello organico, funzionale, cognitivo, e

ambientale in modo da acquisire un’adeguata competenza linguistica e cognitiva;

quando ciò accade significa che non ha avuto e non ha problemi perché

l’integrazione e la comunicazione sono alla base della lingua.

E’ importante compiere un allargamento degli orizzonti linguistici con uno

stimolo positivo all’apprendimento precoce di due lingue, per il quale i fattori

affettivi sono estremamente importanti disponendo già gli alunni ad affrontare

con serenità e curiosità l’apprendimento di due lingue nelle scuole.

L’approccio metodologico è comune tra gli insegnanti sordi e udenti della LIS e

la lingua italiana. Viene individuato un approccio funzionale comunicativo

comune e si ha una cura particolare dello sviluppo integrato delle abilità ricettive

visive e produttive segniche, orali e scritte: una metodologia comunicativa che

utilizza le espressioni linguistiche nella loro completezza, senza passare

attraverso la LIS (ascolto, produzione e completamento di dialoghi, questionari

drammatizzazioni ecc.) rende pressoché irrilevanti gli errori di grammatica, di

sintassi o di mancanza di significato.

Si ritiene obiettivo fondamentale l’educazione all’europeismo e alla mondialità

attraverso l’approfondimento degli aspetti più significativi dal punto di vista

socioculturali della società italiana. E ciò permette di imparare le diverse lingue

straniere.

In Italia i sordi hanno sempre usato questa lingua e già nel 1858 Giacomo

Carbonieri, un insegnante sordo, ne parla sottolineandone il valore e l’importanza

per la persona sorda. La lingua viene dalle persone, le comunità. Una lingua esiste

perché esiste una comunità che la usa. E il valore scientifico di una lingua dipende

dalla capacità che la comunità ha di trasmetterla alle generazioni successive.

Ritengo importante la distinzione tra “uso della lingua” e “insegnamento della

lingua”. L’uso della lingua assolve il bisogno primario di comunicare,

l’insegnamento della lingua prevede una ricerca su come si acquisisce o si

apprende una lingua, per poter trasmettere l’uso della lingua ad altri.

Questo bilinguismo, ha determinato un fenomeno “curioso”: fino all’inizio degli

anni ’80, per molti sordi italiani la lingua standard ha rappresentato una sorta di

L2 (Lingua Seconda), veicolata da elementi esterni all’ambito familiare e

affettivo. Il mancato riconoscimento di questo dato reale, motivato dallo scarso

prestigio della lingua dei segni, - spesso connotata negativamente e considerata

dannosa per l’apprendimento della seconda lingua - ha avuto come effetto

l’impoverimento linguistico e, per diverso tempo, ha determinato delle ricadute

sul piano del successo scolastico e quindi sullo status socio-economico di buona

parte della popolazione. Oggi, nella rapida trasformazione della nostra società in

paese d’accoglienza, il mancato riconoscimento della condizione di bilinguismo –

e di biculturalismo – degli alunni sordi nella scuola italiana conduce, in modo

analogo, ad alcune conseguenze negative, così riassumibili:

perdita delle competenze pregresse nel sistema di Lingua e Cultura

Materna;

scarse acquisizioni nell’ambito della L2 (lingua italiana);

classificazione degli eventi in campi separati (casa, scuola) scarsamente o

per nulla comunicanti, con conseguente scissione del vissuto

esperienziale;

connotazione sociale negativa della cultura d’origine;

costruzione di identità culturali separate e non comunicanti.

La via dell’educazione bilingue è ovviamente quella che consente una massima

valorizzazione della lingua e della cultura d’origine, infatti, permette al bambino

sordo di divenire bilingue attraverso l’acquisizione cosciente e sistematica di una

lingua di comunicazione più ampia, L2, necessaria per la comunicazione ed il

dialogo nella società maggioritaria. Contribuisce ad un apprendimento più

efficiente della lingua di prestigio, poiché l’acquisizione è basata

sull’apprendimento e sullo sviluppo precedentemente raggiungo in L1. Di

conseguenza è un supporto allo sviluppo dell’autoaffermazione personale e nella

formazione di un’immagine positiva di sé da parte della scuola, delle loro

manifestazioni culturali e linguistiche.

Allora, quali sono le strategie pedagogiche e didattiche minime che si

richiederebbero ad una scuola innovativa? Proviamo ad elencarle:

1) la necessità di conoscere in modo approfondito la situazione linguistica

degli alunni sordi;

2) la capacità di individuare i bisogni linguistici in L2, ma anche di rilevare e

riconoscere le competenze linguistiche della lingua madre;

3) la consapevolezza che la conoscenza della L1 è un arricchimento e una

chance e non un ostacolo all’apprendimento della L2;

4) la necessità di sostenere e rassicurare i genitori nell’uso della lingua

materna con i loro figli;

5) la visibilità delle lingue dei segni in classe, attraverso momenti di

narrazione, testi e libri bilingui, piccoli laboratori di LIS in L1 e scrittura

in L2;

6) l’orientamento degli studenti a mantenere e a sviluppare le loro

competenze orali scritte nella LIS e lingua italiana;

7) l’utilizzazione nella prima fase di inserimento dei bambini sordi anche di

testi e letture in bilingui, per sostenere il transfer delle competenze

acquisite;

8) l’attenzione alle materie di studio di ambito disciplinare non

esclusivamente linguistico deve essere uno dei punti essenziali di una

nuova offerta didattica, inteso raggiungimento di competenze linguistiche

e insieme cognitive.

L’obiettivo cardine su cui verte questo progetto è l’integrazione, la condivisione e

la collaborazione tra bambini con abilità, competenze ed esperienze diverse al fine

di favorire la scoperta dell’altro ma anche delle proprie risorse e limiti. Infatti, sia

per i bambini normodotati sia per quelli con disabilità, l’arricchimento è

reciproco, perché per i primi è un’occasione per poter vivere un’esperienza

ludico-creativa all’interno della scuola scoprendo la diversità della lingua ma

anche, allo stesso tempo, la somiglianza con l’altro e quindi la possibilità sia di

essere d’aiuto, sia di ricevere un aiuto scoprendo i propri limiti. Si predilige

l’attuazione di tale progetto all’interno delle scuole elementari, poiché diverse

ricerche hanno dimostrato che all’età di 6-7 anni i bambini hanno maggiore

flessibilità nell’apprendimento di una seconda lingua in quanto, come spiega V.

Volterra, sono più “vicini a quella equipotenzialità tra le due forme di

comunicazione (ndr. orale e gestuale)” che avviene nei primi due anni di vita. Si

riscontra, infatti, che in questa iniziale fase comunicativa il bambino predilige la

modalità gestuale. Sarà la continua interazione adulto-bambino a far prevalere la

comunicazione verbale su quella gestuale. Questo dato avvalora la tesi secondo

cui i bambini udenti imparano con piacere e facilmente la lingua dei segni e che la

stessa LIS potenzia e accresce le abilità cognitive di attenzione e di memoria

visiva.

La Pedagogia prevede una stretta collaborazione tra logopedisti, educatori e

famiglia, che insieme operano per un progetto comune, nella consapevolezza che

la riabilitazione non è un lavoro che si può imporre a un bambino, ma un

processo educativo che richiede forte adesione e carica motivazionale di tutti i

partecipanti.

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