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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA
FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
Corso di Laurea Specialistica in PEDAGOGISTA
PER UNA SCUOLA INNOVATIVA.
I PROGETTI INCLUSIVI DI
BILINGUISMO
Prova finale in:
Didattica e Pedagogia Speciale Relatore Presentata da Prof.ssa Roberta Caldin Romilda Danesi
Sessione: III
Anno accademico: 2009/2010
"LE LINGUE NON APPARTENGONO AI PAESI, MA ALLE PERSONE CHE LE USANO E LE FANNO VIVERE"
(Abdourahman A. Waberi)
A Gabriele, a Claudia, alla mia famiglia, ai miei colleghi, ai miei amici, che mi hanno guidato ed accompagnato in questa avventura:
Grazie!
INDICE
Introduzione pag. 3
PARTE I
Passato, Presente e Futuro dell’educazione dei sordi in Italia
1 Capitolo. STORIA DELL’EDUCAZIONE DELLA COMUNITA’
SORDA
1.1 Primi accenni ai “sordomuti” e alla loro educazione (antichità – metà XVIII sec. pag. 7
1.2 Estensione dell'educazione dei “sordomuti” e diffusione delle scuole pubbliche (metà XVIII sec. – fine XIX sec.) pag. 22
1.3 Riforma del metodo d’insegnamento (metà XVIII sec. – prima metà XX sec.) pag. 35
1.4 Brevi cenni storici sulla lingua dei segni italiana nell’educazione dei sordi pag. 43
2 Capitolo. EDUCAZIONE D’OGGI PER SORDI
2.1 I cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni pag. 51
2.2 L’influenza del pensiero pedagogico e filosofico del passato sulla visione presente e futura pag. 52
PARTE SECONDA
Il bambino sordo nella società italiana
1 Capitolo. EDUCAZIONE BILINGUE DEL BAMBINO SORDO
1.1 Sordità pag. 58
1.2 Apprendimento e linguaggio nel bambino sordo e nel bambino udente pag. 64
1.3 Bilinguismo e Comunicazione pag. 75
1.4 Educazione Bilingue del bambino in età prescolare pag. 85
1.5 La comunicazione ed educazione del bambino sordo in Italia pag. 87
1.6 Il bambino sordo e la sua famiglia pag. 101
2 Capitolo. EDUCARE ALLA LINGUA DEI SEGNI
2.1 Introduzione alla Lingua dei Segni, Cultura e Comunità Sorda Italiana pag. 106
2.2 Insegnare la lingua dei segni ai bambini sordi pag. 121
2.3 Insegnare la lingua dei segni ai familiari ed ai professionisti pag. 125
3 Capitolo. PROFILI PROFESSIONALI COLLEGATI ALLA COMUNITA’
SORDA pag. 130 PARTE TERZA
Percorsi educativi per bambini con la lingua dei segni italiana: fondamenti pedagogici di un’esperienza educativa nella Scuola d’infanzia 1 Capitolo. ESPERIENZE DI PROGETTI DI BILINGUISMO NELLE
SCUOLE ITALIANE 1.1L’intervento educativo nel contesto familiare, scolastico ed extrascolastico pag. 146
1.2 Apprendere e insegnare la lingua dei segni italiana pag. 157
2 Capitolo. LA SITUAZIONE ITALIANA DEL BILINGUISMO IN ALCUNI PROGETTI DELLA SCUOLA D’INFANZIA
2.1 Progetto, organizzazione, tempo e sistema scolastico dell’educazione bilingue per bambini sordi pag. 172
2.2 Esperienze di bilinguismo in alcune Scuole dell’Infanzia pubbliche e private presenti in Italia pag. 182
2.3 Esperienza lavorativa: Educatore e Docente LIS pag. 192
3 Capitolo. CONCLUSIONI E PROPOSTE PER IL FUTURO pag. 204
ALLEGATI
• Consiglio d’Europa: Riconoscimento ufficiale per la Lingua dei Segni pag. 219
• La Legislazione Europea pag. 223
• Dichiarazione dei diritti delle persone con minoranze uditive pag. 225
• Scuola Materna ed Elementare specializzata 173° Circolo Didattico presso l'ISISS (Istituto Statale di Istruzione Specializzata per Sordi) di Roma pag. 227
• Progetto di bilinguismo: "Lingua italiana - lingua italiana dei segni (Lis)" per l'integrazione dei bambini sordi presso la Direzione Didattica Statale di Cossato (Biella) pag. 235
• Progetto di Bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e udenti nella scuola comune presso la Pia Fondazione Elena Vendramin Calergi Valmarana di Noventa Padovana (Padova) pag. 241
• “Progetto Vivilis” collaborazione interistituzionale: Istituto Comprensivo Jacopo Barozzi di Milano, Ente Nazionale Sordi di Milano e Provincia di Milano pag. 246
• Progetto per l’integrazione in gruppo di studenti sordi nella scuola ordinaria presso l’Istituto dei Sordi di Torino (Pianezza) pag. 248
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI pag. 254
INTRODUZIONE
L’argomento della presente tesi nasce dal desiderio di comprendere,
analizzare e valutare i progetti di bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi
e udenti, laddove questa, ancora oggi, vede le istituzioni scolastiche impreparate
ad affrontare l’educazione dei sordi.
Ho avuto la possibilità di sperimentare personalmente, grazie alle mie esperienze
lavorative, un’ottima realtà di integrazione scolastica dei bambini sordi, una realtà
del bilinguismo, Lingua dei Segni Italiana e Lingua Italiana.
Il lavoro, svolto presso la Scuola dell’Infanzia “Il Giardino” dell’Istituto
Comprensivo “Santini” di Noventa Padovana, mi ha fatto crescere e maturare
professionalmente nel ruolo di pedagogista permettendomi di conoscere i metodi e
le attività legate al progetto di bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e
udenti, con l’uso dei segni nell’ambito scolastico. L’esperienza di studio e lavoro
mi ha incoraggiato a voler analizzare ed indagare in modo più approfondito il
bilinguismo precoce nel bambino sordo, i percorsi educativi per bambini con la
LIS, le esperienze di progetti di bilinguismo e il sistema scolastico-educativo della
Scuola dell’infanzia presenti in Italia con lo scopo dell’integrazione dei bambini
sordi e udenti.
Il fatto di non sentire priva il soggetto dell’acquisizione spontanea del
linguaggio verbale e contestualmente può alterare, se non adeguatamente educato,
la formazione degli schemi di adattamento che assecondano la maturazione e lo
sviluppo della persona. Per questo, la costruzione dell’identità sorda per un
bambino trova difficoltà a costruirsi, integrarsi, emergere nella società.
L’isolamento sensoriale diviene isolamento comunicativo con conseguenze
dirompenti sul comportamento, quali: l’irrequietezza, il disagio, l’instabilità,
l’ansia, la paura, l’incomunicabilità. La persona sorda, se non usufruisce di
interventi precoci, può rischiare di interiorizzare la realtà in modo distorto. Il
contatto e la conoscenza del mondo avviene, per il sordo, prevalentemente
attraverso la vista, che gli consente di prendere coscienza sia del movimento, sia
dell’appartenenza dell’oggetto all’ambiente. E’ importante creare le condizioni
per potenziare questa abilità visiva nel canale comunicativo attraverso la
labiolettura che integra l’informazione uditiva selettiva senza tuttavia trascurare
l’attività di imitazione verbale poiché rappresenta la base per produrre il
linguaggio orale. Il recupero funzionale della sordità è possibile mediante
l’applicazione precoce di una protesi, la terapia logopedia e l’istruzione scolastica.
Lo psicologo russo Lev Vygotskij sottolinea il fatto che per un bambino sordo, la
sordità rappresenta una normalità, e non una condizione di malattia:
“Egli avverte l’handicap solo indirettamente o secondariamente come
risultato delle sue esperienze sociali”1
Il bambino sordo ha le stesse potenzialità di apprendimento del bambino udente e
la differenza tra i due bambini, e di cui occorre tener conto nell’educazione, sta
nell’uso privilegiato nei sordi del canale sensoriale utilizzato nella
comunicazione: la vista.
Per questi motivi ha il diritto di apprendere le due lingue, la lingua dei segni e la
lingua italiana: delineeremo meglio le caratteristiche dell’educazione bilingue e
analizzeremo attraverso i modelli storici della motivazione proposti
dall’educazione linguistica, quali sono le motivazioni che portano il bambino
sordo, il bambino udente, la famiglia e i profili professionali ad apprendere la LIS.
La Lingua dei Segni Italiana è una vera e propria lingua, con una sua grammatica
ed una sua cultura, e come tale permette non solo di comunicare, ma anche di
sviluppare il pensiero e le abilità cognitive.
La tesi è costituita da 3 parti.
Nella prima parte si dimostrerà a grandi linee l’evoluzione dei Sordi dal punto di
vista storico: come dall’emarginazione si è giunti all’istituzione delle prime forme
di educazione per le persone sorde, riportando la storia dell’educazione dei sordi
dall’antichità fino ai recenti sviluppi, nei metodi del panorama italiano
sottolineando che c’è un forte cambiamento che avviene oggi nella Comunità
Sorda Italiana.
La seconda parte è dedicata all’educazione bilingue del bambino sordo nella
società italiana, considerando che la parola sordità viene generalmente usata per
indicare il deficit sensoriale uditivo non come un “handicap” fisico da mascherare 1 Lev Vygotskij, Pensiero e Linguaggio, Giunti Editore, Firenze, 2007.
o curare bensì come una risorsa umana generatrice di cultura. Il “problema “ della
sordità ha le sue radici nel rapporto dell’individuo con la società. La sordità è
invisibile: è riconoscibile solo al momento di comunicare. Così le persone sorde
non sempre ricevono da parte degli udenti tutte quelle attenzioni e la disponibilità
necessarie per comunicare e integrarsi. Questa esclusione causa un forte stress che
aggrava notevolmente l’handicap. Tra le ragioni del comportamento aggressivo di
un bambino sordo c’è forse anche il senso di impotenza provato dal sordo di
fronte alle difficoltà di comunicazione con i genitori, i compagni di scuola, gli
insegnanti.
La terza parte della tesi è di tipo esperienzale e, attraverso alcuni progetti di
bilinguismo nelle scuole italiane, dimostra come viene utilizzato il metodo
scolastico ed educativo per i bambini sordi. La tesi vuole essere la testimonianza
dei progetti bilingui nelle scuole dell’infanzia presenti in Italia e anche delle
esperienze di integrazione scolastica e sociale per bambini sordi e udenti.
Il sistema educativo-scolastico della Scuola dell’Infanzia per bambini sordi è
mutato e il progetto pedagogico specifico costituisce lo strumento attraverso il
quale la scuola dell’infanzia esprime la propria identità e la propria intenzionalità
educativa. Nel progetto pedagogico di scuola, la cui elaborazione compete
all’Ente Nazionale Sordi in collaborazione con tutte le Istituzioni e/o gli
Organismi locali, regionali, statali nel campo dell'istruzione, dell'educazione
scolastica che a vario titolo sono implicati nella vita della scuola, trovano
esplicitazione le finalità da perseguire e gli indirizzi da assicurare per
l'inserimento, la formazione professionale, l'avviamento al lavoro e la piena
integrazione sociale e l'autonomia della persona sorda.
La fonte principale per l’elaborazione del progetto pedagogico di scuola per
bambini sordi è costituita dal Progetto di Educazione Bilingue. Tale documento,
assieme ad altre fonti tra le quali in primis lo Statuto della scuola, nel progetto
pedagogico viene interpretato e specificato alla luce di bisogni educativi peculiari
della comunità, sorda e udenti, in cui la scuola è inserita. Insieme alla
progettazione educativa e alla programmazione didattica, il progetto pedagogico
costituisce uno dei nessi che garantiscono continuità e coerenza a quella relazione
articolata e complessa che intercorre tra l’istituzione, i suoi fini e l’azione
educativa. L’educazione bilingue e il progetto pedagogico di scuola trovano
ulteriore specificazione nella programmazione curriculare, a proposito della quale
va messo in rilievo il ruolo fondamentale dell’insegnante nell’attivare modalità
progettuali e operative in grado di favorire nel bambino sordo processi di co-
costruzione della conoscenza. Ciò sulla base di quell’idea di bambino sordo come
protagonista della propria crescita, che molto chiaramente è delineata nel testo del
progetto di bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e udenti. All’interno
del progetto di bilinguismo operano diverse figure professionali importanti per la
vita del bambino sordo: l’insegnante curriculare, di sostegno, la logopedista, il
neuropsichiatria infantile, l’assistente alla comunicazione, l’educatore sordo, il
docente LIS, ecc.
Nella conclusione verranno esposte le ipotesi svolte dai ricercatori e dalla mia
esperienza di lavoro sul perché il bambino sordo, qualunque sia il livello della sua
perdita uditiva, dovrebbe avere il diritto di crescere bilingue tramite la conoscenza
e l’uso sia della lingua dei segni sia della lingua orale; il bambino potrà acquisire
appieno le sue capacità cognitive, linguistiche e sociali grazie ad alcuni progetti di
bilinguismo nelle scuole dell’infanzia presenti in Italia, studi e ricerche volti a
migliorare e a capire questo problema.
PARTE PRIMA
Passato, Presente e Futuro dell’educazione dei sordi in Italia
In questo capitolo daremo una breve panoramica dell’educazione dei sordi e delle
modalità secondo le quali questa si è svolta lungo i secoli2. A questo fine sarà
opportuno distinguere i diversi periodi, generalmente riconosciuti, ciascuno dei
quali caratterizzato da particolari approcci al problema, da ideologie e da
strumenti didattici talvolta anche in contrasto l’uno con l’altro.
1 CAPITOLO
STORIA DELL’EDUCAZIONE DELLA COMUNITÀ SORDA
1.1 Primi accenni ai “sordomuti” e alla loro educazione (antichità – metà XVIII sec.)
In antichità, non si poteva sapere se esisteva la comunità sorda, sebbene passi
dell’Antico Testamento testimoniano che il sordo veniva accettato nella società
non per un senso di compassione, ma in quanto opera della creazione divina,
degna quindi di rispetto: “Chi ha dato la bocca all’uomo, o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io,
il
Signore?”
Quel periodo, che ha inizio con i tempi biblici, attraversa la civiltà Greca,
Romana, Ebraica, per potersi poi considerare concluso con l’inizio del ‘500; il
pregiudizio nei confronti dei sordi era elevato come dimostravano le leggi
ebraiche che consideravano le persone sorde irresponsabili e la parola
“sordomuto” nella lingua ebraica significava ritardato ( shoté) oppure piccolo
d’età (katan). Ad esempio: “Ma il sordo intelligente che sa comunicare e che
capisce rientra nel diritto giuridico secondo la legislazione per il sordo in materia
2Ferreri G., Conti I., Lane H., Guida Teorico-Pratica per gli Educatori dei Sordomuti e dei Logopedisti (parte sesta), Disegno Storico dell’Educazione dei Sordomuti (parti prima, seconda e terza, 1880 - Le principali fonti consultate per la compilazione del capitolo sono: When the Mind Hears: a History of the Deaf, e Sacks, O., Vedere Voci: un Viaggio nel Mondo dei Sordi, Adelphi, Milano, 1991.
di legge matrimoniale (Shulchau – Aruch)” 3 ad esempio con il termine Cheresh
(sordomuto), colui che non sente e non parla, e con il termine Illem (muto), colui
che capisce ma non parla….per quanto la comunicazione visivo-gestuale sia stata
sempre generalmente osteggiata. Anche due grandi autorevoli autori greci
avevano compiuto osservazioni contrapposte. Platone scrisse il suo pensiero
positivo dicendo che il ”linguaggio dei segni dei sordi si riteneva adatto ad
esprimere sia pensieri che sentimenti”4 mentre “Aristotele, che, insieme a Platone,
fu tra i primi a compiere studi sulla formazione del linguaggio, nella “Storia degli
animali” afferma negativamente che «coloro che sono sordi sono in tutti i casi
anche muti, possono cioè emettere suoni ma non possono parlare», e poiché
kophoi (sordo) ed eneos (muto) significavano anche «stupido», questa confusione
di termini generò l’erronea ma logica interpretazione che fu attribuita nei secoli a
venire alle parole di Aristotele, cioè che i nati sordi dovessero essere considerati
«insensati ed incapaci di ragionare» e ,di conseguenza, non educabili”5.
Nel Vecchio Testamento, le Sacre Scritture considerano i sordomuti come esseri
incompleti, deboli, bisognosi della grazia di Dio. Ancora non si conosce il legame
causale sordità-mutismo, e l’incapacità di articolare i suoni viene creduta la
conseguenza di un nodo alla lingua, nodo che Gesù Cristo, toccandola, scioglie.
Per quanto riguarda i Greci, è innanzi tutto necessario sfatare la credenza che
questi sacrificassero i neonati sordomuti (cosa che avveniva invece per i deboli e
per i deformi), principalmente perché né la sordità né il mutismo erano evidenti
dai primi giorni di vita. Se diamo ora uno sguardo alla letteratura Greca, ci
accorgeremo della mancata comprensione, da parte di questo popolo, della
relazione tra sordità e mutismo. I primi accenni all’argomento parlano, infatti, di
guarigioni dal mutismo, e non dalla sordità o dal sordomutismo6. Neanche 2-3-4 Porcari Li Destri, G. & Volterra, V., Passato e presente. Uno sguardo all'educazione dei sordi in Italia, Gnocchi Editore.Napoli, 1995.Radutzky, E. Cenni storici sull’educazione dei sordi e la lingua dei segni, (pag.3,4,5,6). 5 Le informazioni sono comunque approssimative: non si conosce nemmeno la data di tali guarigioni, le quali sembrano tra l’altro dovute ad un intervento divino.
Ippocrate (460 a.C. ca.-377 a.C. ca.), di molto posteriore a questi accenni, coglie
questo legame.
Aristotele è uno dei primi ad affermare che i sordi dalla nascita siano di
conseguenza anche muti, ma vede il motivo di ciò nella presenza di
“[...] una relazione di simpatia tra gli organi dell'udito e quelli della loquela.” 7.
Egli considera, inoltre, i sordomuti come ineducabili, dal momento che la loro
sordità costituisce un impedimento alla ricezione della parola, unico strumento in
grado, secondo Aristotele, di trasmettere l’insegnamento e la disciplina.
Da questi pochi esempi risulta chiaro come ancora scarsa e tentennante fosse ai
tempi dei Greci la conoscenza del fenomeno del sordomutismo.
La situazione per i Romani è simile e il Diritto Romano diceva che i sordi erano
come i “mentecatti”, coniugando, in questo modo, un pregiudizio fisiologico e
psicologico all’impossibilità di fornire un’educazione; inoltre erano considerati
“incapaci: non potevano stipulare, né essere tutori; non potevano fare da testimoni
nei testamenti, né fare essi stessi testamento"
Ciò dimostra ancora l'ignoranza da parte dei Romani, del legame sordità.-
mutismo, e la persuasione che si trattasse di individui incurabili ed ineducabili. A
conferma di ciò si potrebbero portare anche gli accenni ai sordomuti dati da autori
come Plauto, Lucrezio, Marziale. Neanche presso di loro i neonati sordomuti
venivano sacrificati: lo testimonia il fatto che il Diritto Romano parla di loro (e
quindi dovevano per forza esservi, nella società romana, dei sordomuti adulti)
“[...] classificava i sordi e i muti coi mentecatti e coi furiosi.”8
Non mancano comunque, nella letteratura latina, resoconti dell’incontro con dei
sordomuti intelligenti: Plinio narra di un certo Quinto Pedio, particolarmente
dotato nell’arte della pittura. Ammiano Marcellino riporta invece di un giovane
sordomuto che l’imperatore Giuliano aveva portato con sé dalla Persia, e in grado
di esprimersi e farsi comprendere attraverso i gesti. San Gerolamo (347 d.C.-420)
scrisse in "Commentarius in epistulam Pauli ad Galates": 7Ferreri G, Disegno Storico dell'Educazione dei Sordomuti. Parte prima: le Origini e il Primo Periodo Storico, Milano, 1916, ( pag. 11). 8Ibid., pag. 13.
" i sordi possono apprendere il Vangelo per mezzo dei segni".
È il primo documento che cita i segni come mezzo per l'istruzione dei sordi; in
assoluto è anche il primo documento storico che menziona l'esistenza dei segni.
Certamente è ancora troppo poco per poter affermare l'esistenza di una vera e
propria lingua dei segni già ai tempi di San Gerolamo (IV sec d.C.) ma viene
eliminato del tutto il dubbio che i segni siano stati un mezzo artificiale di
comunicazione inventato nell'era moderna o nel periodo medioevale.
I segni sono più antichi di molte altre lingue: la loro nascita, come mezzo di
comunicazione, possiamo affermare che si perde nella notte dei tempi.
Nel corpo legislativo che risale all'impero Giustiniano (527-565 d.C.) troviamo
l'istituzione di restrizioni legali per i sordi, il Codice Giustiniano (531, prende il
nome dall'Imperatore Giustiniano I che riformò il diritto romano) precisa che:
"i sordomuti, divenuti per caso tali, possono usufruire dei loro diritti civili a
condizione che sappiano leggere e scrivere".
Questa citazione del Codice Giustiniano testimonia l'esistenza dei sordi che
potevano leggere e scrivere già ai tempi dell'impero romano e che nel tentativo di
operare distinzioni legali per poter ottenere pieni diritti dal punto di vista legale.
Si può ben immaginare come, non ricevendo i sordi alcuna istruzione, gli unici in
grado di scrivere fossero i sordi post-linguistici, mentre tutti i sordi pre-linguistici
venivano privati di diritti e doveri dal punto di vista legale e assegnati a tutori che
avevano un totale controllo sulla loro vita.
Nel Medioevo (476-1492, V-XV sec.) si ritorna ad una vera e propria
persecuzione nei confronti dei sordi: furono soppressi del tutto quei diritti che
erano già stati concessi al tempo dell'Imperatore Giustiniano. Durante il
feudalesimo (X-XII sec) essi vennero completamente emarginati, in quanto la
sordità non permetteva loro di combattere in guerra, che era il principale interesse
dei signori del tempo, non potevano ereditare, né celebrare la messa, né contrarre
matrimonio, a meno di una dispensa papale. Ma nonostante tali decisioni si
continuava a discutere del ruolo sociale dei sordi, se fosse possibile processarli
per un reato, concedere loro di prendere i voti, se si potesse torturarli, ecc.
Se volessimo ora sintetizzare questo primo periodo, che Igino Conti definisce
anche come “periodo preistorico”9 dell’educazione dei sordomuti, potremmo dire
che in esso prevalgono:
Ÿ il pregiudizio, che porta a considerare il sordomuto come un individuo stolto,
da compatire in quanto infelice, incapace di ricevere la parola e, di conseguenza,
estraniato dai sacramenti o da una qualsiasi educazione, incapace di produrre la
parola e perciò selvaggio, spesso neanche riconosciuto giuridicamente10;
Ÿ l’ignoranza in merito al fenomeno del sordomutismo, ovvero in merito alle sue
cause, alla relazione sordità-mutismo, alla distinzione tra sordomutismo e ritardo
mentale.
Alla diffusione e al tramandarsi di entrambi questi atteggiamenti è da imputare il
fatto che per secoli non si sia pensato ad una rivalutazione del sordomuto come
individuo e alla possibilità di istruirlo ed educarlo.
Nel periodo che si estende dal XVI fino alla metà del XVII secolo (data della
fondazione delle prime scuole pubbliche per sordomuti) ha origine la vera e
propria istruzione dei sordomuti. Con l'inizio del XVI secolo si apre un periodo di
nuove sperimentazioni e diffusione delle conoscenze anche a livello
internazionale. Proprio quest'atmosfera porterà diversi scrittori ad ipotizzare
l'educabilità dei sordomuti e a concentrarsi su questo argomento, favorendo così
lo sviluppo di studi e ricerche di tipo medico, linguistico, storico, ecc, intorno al
fenomeno del sordomutismo.
Nel campo medico lo stato delle conoscenze non era ancora in grado di fornire
una valida interpretazione di cosa fossero la sordità e il mutismo: l'idea principale
sulle cause della sordità era da ricercare nella connessione tra nervi della lingua e
dell'orecchio.
Un'altra teoria era quella che la bocca fosse collegata alla "tromba di Eustachio" e
9 Ferreri G., Conti I., Lane H., Guida Teorico-Pratica per gli Educatori dei Sordomuti e dei Logopedisti , Disegno Storico dell’Educazione dei Sordomuti, Scuola Grafica Padre Monti S.A., Saronno (Varese), 1966, parte sesta, Storia dell’Educazione dei Sordomuti, (pag. 491). 10Di diverso tipo saranno i pregiudizi intorno ai sordomuti nei secoli successivi. Si comincerà col credere che non valga la pena di educare degli individui i cui risultati non ripagheranno i nostri sforzi, per poi finire con la convinzione che, per educare, i sordomuti basti semplicemente una buona dose di pazienza.
che quindi la cura consisteva nell'urlare nella bocca dei sordi.
Nel XIV secolo Bartolo della Marca D'Ancona (1314-1357), giureconsulto
italiano e scrittore, nel suo "Digesta Nova" afferma di aver conosciuto un uomo
completamente sordo, chiamato Nellus De Gabrielis, nato a Euguba, che era cosi
intelligente da comprendere facilmente le persone grazie alla lettura dei
movimenti delle labbra (è il primo testo nella storia conosciuta che citi la lettura
labiale) fu il primo a sostenere la possibilità di istruire i sordi, sia attraverso i
segni sia con la lingua parlata, dando così maggior impulso ad eventuali riforme
legislative nei riguardi dei soggetti sordi.
L'educazione verbale delle persone sorde, sebbene argomenti di grande attualità, è
soggetto a continui mutamenti ed evoluzioni. È al XV secolo che risalgono i primi
documenti scritti relativi ai sordomuti e alla loro condizione all'interno della loro
società: il seguente testo è tratto da un manoscritto del XV secolo (1420)
proveniente dal monastero vastenense che rappresenta il primo dizionario della
lingua dei segni conosciuto.
La prima persona a parlare in maniera seria della possibilità di educare i
sordomuti è Girolamo Cardano (1501-1576). Trattasi di un medico, filosofo e
matematico che, forse ispirato da uno scritto di Rudolf Agricola11, arriva alla
conclusione che la parola non sia indispensabile per l'educazione di un individuo,
e che un sordomuto possa perciò venire istruito in modo più che soddisfacente
attraverso la scrittura e la lettura. Fabrizio d'Acquapendente (1533-1619)
condivide il pensiero di Cardano, e non manca di sottolineare il legame sordità-
mutismo.
In considerazione del carattere conciso di questa carrellata storica, ci limitiamo a
questi brevi ma importantissimi esempi. Per chi fosse ulteriormente interessato, si
consiglia la consultazione delle enciclopedie e dei volumi di Giulio Ferreri citati
in bibliografia.
È giunto ora il momento di osservare in cosa consiste l'arte di educare e istruire i
sordomuti nel periodo che va dall’età greca all’età medievale. Si noti innanzi tutto 11 Rudolf Agricola (1443 ca.-1485 ca.) racconta con stupore del suo incontro con un sordomuto (sottolineando la relazione tra sordità e conseguente mutismo) capace di comunicare grazie alla padronanza della lingua scritta.
il carattere privato e individuale di tale arte: i primi maestri dei sordomuti sono
maestri privati. I loro alunni sono figli di persone ricche (che si possono
permettere l'alto costo di questo tipo di istruzione) ed influenti (spesso nobili, per
cui l'educazione dei figli sordomuti è necessaria affinché questi vengano
riconosciuti giuridicamente capaci, per ovvie questioni di eredità e passaggio di
titoli nobiliari). L'educazione dei sordomuti è perciò in questo periodo un
privilegio di pochi fortunati; la maggior parte dei sordomuti rimane nell’ignoranza
e nella miseria. Inoltre, prevale il carattere di segretezza e mistero intorno al
metodo usato da ognuno dei maestri che tra poco citeremo. Analizziamone i
motivi:
Ÿ la gelosia del metodo da loro scoperto, a volte in buona fede (ignoravano che
lo stesso metodo fosse già stato scoperto da qualcun altro), ma più spesso in mala
fede (desiderosi di apparire come gli unici inventori del miracoloso metodo,
nascondevano il fatto che lo stesso fosse già stato adottato);
Ÿ la venalità (desiderando di essere gli unici a beneficiare economicamente del
suddetto metodo, non pensavano che la divulgazione di questo avrebbe portato un
beneficio ben maggiore, non economico ma sociale, a centinaia di sordomuti
bisognosi).
Il metodo di educazione utilizzato dai primi maestri dei sordomuti è comunque
press'a poco sempre lo stesso. A variare sono l'importanza data a questo o a quello
strumento didattico e l'accento posto su questo o quell'aspetto dell'insegnamento.
Diamone ora una panoramica generale: il metodo su cui si concentrano questi
primi maestri è quello orale. Si presuppone un’approfondita conoscenza, da parte
dell'insegnante, dell'apparato di produzione dei suoni e delle diverse posizioni
articolatorie12. Il punto di partenza è l'assunto che, nell’istruzione di un individuo,
il senso dell'udito possa essere sostituito da quello della vista. Come dice George
12 I trattati e i volumi di questo periodo sull'educazione orale dei sordomuti iniziano frequentemente con una descrizione degli organi dell'apparato fonatorio, del percorso della aria dai polmoni alla bocca, e proseguono con la classificazione dei diversi suoni a seconda delle posizioni articolatorie. Questi studi rappresentano i primordi dell'odierna fonetica articolatoria.
Dalgarno (1626 ca.-1687), famoso pedagogista del tempo, nel suo
Didascalocophus (1680),
“[...] non si vede quindi una ragione per cui la mente umana debba apprendere
più facilmente le immagini acustiche di quelle ottiche della parola.”13.
Anche Johann Konrad Amman (1669-1724) dirà, nel suo Surdus Loquens (1692),
che
“[...] l'uomo nasce con l'innata facoltà della loquela, ma questa non passa all'atto
se non per gli stimoli dell'udito. Così i nati sordi non possono parlare se per via
di un artificio non si inducano a parlare partendo dall'imitazione della parola nei
suoi elementi.”14.
Si procede dunque con l'insegnamento dell'articolazione dei suoni. L'alunno
apprenderà innanzi tutto la distinzione tra respirazione a funzione vegetativa
(fenomeno involontario, atto all'ossigenazione del sangue) e respirazione fonica
(ovvero per l'emissione dei suoni). In un secondo tempo si passerà
all'apprendimento delle diverse posizioni articolatorie dei singoli suoni. Secondo
molti, conviene concentrarsi inizialmente sulle vocali, per poi passare
all'apprendimento delle consonanti. Come afferma, infatti, Amman, nel già
accennato Surdus Loquens.
“[...] il parlare risulta tanto più chiaro e distinto quanto più nette e chiare sono le
vocali. Talché sfuggono anche parecchi difetti di articolazione in chi parla con
voce metallica e con chiarezza di vocali.”15.
Il passo successivo consiste nell'apprendimento, da parte dell'alunno, delle sillabe,
poi di gruppi fonetici sempre più complessi, infine delle parole. Come già
accennato il mezzo attraverso il quale il sordomuto può imparare tutto questo è il
senso della vista. Osservando i movimenti del maestro nella pronuncia dei suoni,
ed agevolato inoltre dal senso del tatto, (per percepire le vibrazioni dei diversi
suoni grazie alla leggera pressione sulla gola del maestro prima, e sulla propria
poi) l'alunno compirà il processo di apprendimento osservazione-imitazione. Potrà 13 Citato da Ferreri, Giulio; op.cit., pag. 91. 14 Citato da Ferreri, Giulio; op.cit., pag. 104. 15 Citato da Ferreri, Giulio; op.cit. Pag. 108.
essere utile toccare anche le labbra e la bocca del maestro, servirsi di uno specchio
per un continuo riscontro personale da parte dell'alunno in merito ai movimenti
articolatori ed alle corrispondenti vibrazioni ottenute, così come parimenti
necessaria sarà la costante illuminazione e relativa vicinanza della bocca del
parlante. A seconda del maestro, viene consigliato e praticato l'uso della mimica e
dei gesti, oppure di un più preciso alfabeto manuale, per comunicare inizialmente
con l'allievo, ma altri preferiscono direttamente la parola come mezzo e fine
dell'educazione. Vediamo dunque come ci siano delle lievi variazioni
nell'applicazione di un metodo i cui concetti basilari rimangono invariati. A
proposito della lettura labiale (ovvero del riconoscimento del suono o dei gruppi
di suoni emessi, grazie alla semplice ma attenta osservazione dei movimenti della
bocca del parlante) tutti i maestri di questo periodo incorrono nell'errore di
considerarla un'attitudine che si svilupperà spontaneamente in tutti gli allievi (in
misura maggiore in quelli più dotati), anziché una complessa operazione da
insegnare e controllare sistematicamente.
Le fasi successive non sono propriamente inerenti al nostro campo di studio, ma
sono comunque parti fondamentali dell'istruzione di un sordomuto, ed è perciò
indispensabile perlomeno accennarvi. Dopo l'insegnamento dell'articolazione,
ovvero di pronuncia di suoni e parole, è necessario insegnare al sordomuto il
senso delle parole da lui pronunciate. Si entra pertanto nella fase
dell'insegnamento della lingua, della lettura e della scrittura, per la quale si
assoceranno i singoli suoni al corrispondente simbolo grafico, e le parole (oltre
che al corrispondente simbolo grafico) all'oggetto, all’azione o alla qualità che
rappresentano. Il metodo di insegnamento consigliato è quello occasionale-
oggettivo16. A questo punto si potrà passare all'insegnamento di altre materie,
quali la religione, la storia, ecc.17 16 Insegnare secondo il metodo occasionale-oggettivo significa partire da esempi o situazioni pratiche, per dedurne poi le regole e i principi grammaticali, e considerare ogni momento come possibile occasione d'istruzione. 17 La British Universities Encyclopaedia (riferimenti completi in bibliografia) ci fornisce alla voce “Deaf and Dumb” una concisa ma interessante definizione del metodo orale: “To gain a sense means of reproducing sound the pupil can be led to feel the vibrations by placing the hand on the thorax. The course of instruction may proceed through the various sounds as represented by the letters of the alphabet, the phonetic value being taught - not the name of the letter. The order of presenting these symbols varies to some extent in different countries and schools; but in all the principle prevails of
Ovviamente, il metodo sopra spiegato18 sembra all'apparenza semplice, sbrigativo,
e ben ordinato passo per passo (e molti maestri dei sordomuti sembrano essere
stati d'accordo con questa prima impressione). In realtà, ogni educatore ha seguito
percorsi diversi, impiegando molto tempo, e sforzi non sempre ripagati da
soddisfacenti risultati. Inoltre, le critiche mosse in maniera sempre più insistente
dai fautori del metodo mimico (le quali evidenziano proprio gli scarsi risultati di
quello orale in proporzione alla fatica impiegata, e la venalità dei suoi esecutori)
rischiano di far apparire quello orale come poco efficace a chi per la prima volta si
accosta al suo studio.
È giunto infine il momento di citare i nomi di alcuni tra i più conosciuti e
importanti maestri che questo periodo. Ci teniamo a precisare che si tratta solo di
una breve rassegna: i nomi degli educatori dei sordomuti non si limitano certo al
modesto elenco che stiamo per fornire.
Primo fra tutti va ricordato il monaco benedettino Pedro Ponce de León (1520-
1584), che nel monastero spagnolo di S. Salvador de Oña ebbe tra i suoi alunni
Francisco e Pedro de Velasco, fratelli del connestabile di Castiglia, più una loro
sorella. Poco si sa del metodo da lui impiegato, ma pare che per comunicare con i
suoi allievi si servisse di un alfabeto manuale che era stato inizialmente ideato per
proceeding from the simple to the difficult, regard being had to the ability of perception by the pupil, and the muscular effort required in producing the sound. Although the child is encouraged to learn mainly by imitation, the teacher may require to place the speech-organs in position; while long and continuous practice is necessary before any degree of muscular facility is apparent. As the course progresses, the syllabic combination of sounds leads to the spoken word and sentence, while attention is also paid to the development of accent, emphasis, intonation, and fluency of speech. Since imitation is the governing principle required of the deaf child in learning speech, his eye is being constantly trained to observe the various positions assumed by the vocal organs, and from this experience follows the ability to lip-read.”. (Al fine di poter acquisire un mezzo sensoriale per la produzione dei suoni, l’alunno può essere indotto a percepire le vibrazioni posizionando la mano sul torace. L’istruzione può procedere passando attraverso i vari suoni, rappresentati dalle lettere dell’alfabeto; di essi si insegnerà il valore fonetico - non il nome della lettera. L’ordine di presentazione di questi simboli può subire delle variazioni a seconda della nazione e della scuola; ma ovunque prevale il principio di procedere da quelli semplici a quelli complessi, tenendo conto della capacità di percezione dell’allievo, e dello sforzo muscolare richiesto per la produzione del suono. Nonostante il bambino venga incoraggiato ad apprendere principalmente per imitazione, l’insegnante potrebbe doverne posizionare gli organi articolatori; sarà comunque necessario un lungo e continuo esercizio prima di poter notare una certa padronanza del movimento muscolare. Col procedere dell’istruzione, la combinazione dei suoni in sillabe porterà alla parola ed alla frase; nel frattempo ci si concentrerà anche sullo sviluppo dell’accento, dell’enfasi, dell’intonazione e della scorrevolazza del discorso. Dal momento che l’imitazione è il principio predominante richiesto al bambino sordo nell’apprendimento della parola, l’occhio di questo viene costantemente allenato all’osservazione delle diverse posizioni assunte dagli organi articolatori, e da questo esercizio deriva la capacità di leggere le labbra.) 18 Questo metodo può anche essere adottato nella correzione di balbuzie e difetti di pronuncia.
permettere agli ammalati di pregare senza dover recitare (ad ogni segno
corrisponde una preghiera). Non vi è nulla di certo in merito all'esistenza di
eventuali manoscritti lasciati da Pedro Ponce, ma si crede che egli insegnasse ai
suoi allievi, oltre alla parola, anche diverse lingue e materie. Si può senza dubbio
considerare Pedro Ponce come il vero e unico precursore del metodo orale.
Dopo di lui va ricordato Emanuel Ramirez de Carrion (m. nel 1663), che a
distanza di circa mezzo secolo pare aver istruito un altro appartenente alla stirpe
dei de Velasco: Luis de Velasco, fratello di Bernardino Hernandez de Velasco,
connestabile di Castiglia. Si dice che il giovane Luis avesse imparato in pochi
anni a leggere, scrivere, parlare. Ramirez de Carrion si è attribuito il merito
dell’istruzione di diversi sordomuti di notevole influenza (tra i quali Emanuele
Filiberto Amedeo, Principe di Carignano e successivamente governatore di Ivrea
ed Asti) e dell'invenzione, oltre che del metodo di istruzione, anche di un sistema
di riduzione delle lettere che avrebbe reso l’insegnamento della lettura più breve e
più semplice (ma di questo parleremo in seguito). In realtà, questa presunta
genialità ostentata da Ramirez de Carrion altro non ha fatto che insospettire coloro
che, in passato come oggi, lo hanno accusato e lo accusano di plagio nei confronti
di Pedro Ponce e di Juan Pablo Bonet (a cui stiamo per accennare).
Per quanto riguarda gli scritti in materia, si può ritenere proprio il sopraccitato
Juan Pablo Bonet (1560 ca.-1633 ca.) come l'autore del primo trattato teorico-
pratico sull'educazione verbale dei sordomuti. Questo trattato porta il titolo di
Riduzione delle Lettere ai loro Elementi Primitivi e Arte d'Insegnare a Parlare ai
Muti, ed è del 1620.
Il metodo di riduzione delle lettere consiste, in poche parole, nel pronunciare i
suoni da esse rappresentati, anziché nominare le lettere per esteso. Questo
procedimento, sostiene Bonet, snellisce e semplifica l'apprendimento della lettura,
e può essere di grande aiuto nell'educazione dei sordomuti.
Anche intorno alla figura di Bonet, comunque, vi sono molti dubbi e molte
incertezze. Alcuni credono che il giovane Luis de Velasco sia stato allievo suo e
non di Ramirez de Carrion, altri credono invece che Bonet abbia copiato il metodo
di Pedro Ponce senza aver mai educato alcun sordomuto. Il libro di Bonet è in
ogni caso divenuto molto popolare specialmente in Inghilterra, grazie ad un certo
Kenelm Digby (1603-1665). Il Cavaliere Digby accenna (in un suo scritto della
metà del '600) ad un suo soggiorno in Spagna nel 1623, al conseguente incontro
con un sordomuto educato alla parola19, al libro contenente più dettagliate
informazioni in merito alla questione (il libro di Bonet). I dati forniti dal racconto
di Digby sono imprecisi ed incoerenti (egli attribuirebbe, infatti, l'educazione di
Luis de Velasco a Bonet, cosa di cui non si è tuttora certi), ma hanno fatto del
libro di Bonet un testo molto diffuso e studiato dai dotti della società inglese.
L'influenza del sopraccitato libro è stata fondamentale, per esempio, su due
uomini di cultura come il dott. John Wallis (1616-1703) ed il dott. William Holder
(1616-1698), studiosi della natura del linguaggio e autori di trattati teorici sullo
studio, la classificazione e la produzione dei suoni ma, per quel che riguarda l'arte
di istruire i sordomuti, sicuramente più esperti nella teoria che nella pratica
(nonostante la breve controversia fra i due, che si assurgevano entrambi a
precursore del metodo orale in Inghilterra). Lo stesso si può dire di altri
personaggi colti ed influenti, come John Bulwer (1614-1684) e George Dalgarno
(1626 ca.-1687).
Un importante educatore dei sordomuti, di origine svizzera ma vissuto a lungo in
Olanda e molto influente per gli educatori dei sordomuti in Germania, è Johann
Konrad Amman (1669-1724)20. Le sue opere (il Surdus Loquens del 1692, e la
Dissertatio de Loquela del 1700, pubblicate in latino) descrivono in modo
scientifico e ordinato la produzione della voce e dei suoni, e le fasi di educazione
alla parola di un soggetto sordomuto. A differenza di altri, Amman non fu solo
teorico, ma anche pratico dell'arte di istruire i sordomuti secondo il metodo orale
(corrispondente in realtà al metodo praticato da Pedro Ponce e dai suoi
successori), ed i suoi scritti furono per lungo tempo dei capisaldi dell'educazione
dei sordomuti in Germania.
L'ultimo maestro dei sordomuti di questo periodo che ci apprestiamo a citare,
nonostante le sue origini portoghesi, è legato all'istruzione orale dei sordomuti in
19 Probabilmente Luis de Velasco. 20 Incerta è la data di morte di Amman: alcuni testi riportano il 1730.
Francia: trattasi di Jacob Rodriguez Pereire (1715-1780). L'interesse di Pereire
per i sordomuti nasce dal desiderio di educare alla parola la propria sorella, nata
sorda probabilmente a causa del legame consanguineo tra i genitori. Pereire si
documenta molto sull'argomento, legge numerosi scritti21, tra i quali le opere di
Bonet, Holder, Wallis, Amman, ed è presto pronto per dedicarsi a quest'impresa in
maniera pratica. Tra i suoi allievi contiamo Marie Marois, Aaron Beaumarin, Azy
d'Etavigny e diversi altri, i cui risultati si possono definire discretamente
soddisfacenti (acquisizione della parola, della lettura, della scrittura, e conoscenza
di materie come ad esempio la religione). Il metodo adottato da Pereire viene
mantenuto segreto dal suo esecutore, ma di poco si discosta da quello già
conosciuto di Pedro Ponce.
Si conclude così questo secondo periodo dell'educazione dei sordomuti: i tempi
sono maturi per un tipo più generalizzato di istruzione, ovvero quella delle scuole
pubbliche.
L'inizio della storia dell'educazione dei sordi, comunque, quasi sempre si fa
coincidere con un docente di filosofia di Heidelberg (Germania) Rudulfus
Agricolae (1442-1485); nel suo "De Invenzione Dialectica" egli scrisse:
"Ecco un prodigio: ho visto un sordo dai primi anni della sua vita, e quindi muto,
che tuttavia aveva appreso a capire tutto ciò che veniva scritto da altre persone, e
che egli stesso esprimeva con la scrittura tutti i suoi pensieri, come se avesse
avuto l'immagine della parola".
Questa notizia fece sensazione a quei tempi poiché per la prima volta nella storia
si cita il caso di un sordo che ha imparato a leggere e a scrivere, i suoi scritti
furono però pubblicati solo 100 anni dopo la sua morte.
L'invenzione di Gutenberg (1450) della stampa tipografica consentì poi una rapida
diffusione di copie degli originali degli antichi testi e degli studi e delle ricerche
su di essi compiuti, allargando la base di un sapere fino allora depositato nelle
mani di pochi privilegiati, sortendo con effetti positivi anche per l'educazione dei
bambini sordi.
21 La Francia è in questo periodo un terreno fecondo per la pubblicazione e la divulgazione di opere letterarie, inclusi diversi studi attuali e di grande interesse sul fenomeno della sordità.
Dopo un secolo il matematico, medico e filosofo italiano Girolamo Cardano
(1501-1576), che si era dedicato in modo particolare allo studio della fisiologia
dell'orecchio, della bocca e del cervello, per primo afferma la possibilità e
necessità di poter istruire i sordi, sostenendo che il senso dell'udito e delle
vocalizzazioni della parola non erano indispensabili per la comprensione delle
idee. Per primo dunque espose un principio teorico basato su un’osservazione,
conseguente alla citazione di Rodolfo Agricola:
è possibile insegnare ad un sordo a leggere e a scrivere, per cui si può sostituire
con la lettura l'udito e con la scrittura la parola verbalizzata, sostenne che la
favella è il mezzo più importante per lo sviluppo dell'intelligenza umana.
Nei suoi scritti, "Paralipomena", Rodolfo Agricola cita la sua teoria di poter
istruire i sordi e su questa base formulò prima di ogni altro il principio teorico
della possibilità d'istruire il sordomuto, "facendo in modo che egli leggendo oda e
scrivendo parli" e affermò che i filosofi, Girolamo e Rodolfo, possono manifestare
i loro pensieri sia con la parola che con i segni.
Nel suo "De utilitate ex adversi capienza" scrive:
"il sordomuto deve imparare a leggere e a scrivere (…). L'impresa è difficile,
senza dubbi, ma tuttavia è possibile al sordomuto…"
"anche i sordomuti onorano e venerano Dio, e, poiché sono dotati di intelligenza,
nulla impedisce che coltivino le arti più sofisticate ed eseguano opere di valore…"
Si dice che Cardano avesse addirittura elaborato una sorta di codice per
l'insegnamento ai sordi, ma non ci sono mai giunte testimonianze scritte di ciò: le
fonti storiche narrano che il suo particolare interesse verso la sordità nascesse dal
fatto che il suo primogenito fosse sordo.
Fabrizio d’Acquapendente (1533-1619), docente di anatomia dell'Università di
Padova, condivide il pensiero di Cardano, pubblica due trattati (arditi per il suo
tempo) in cui si sottolinea la grande differenza esistente tra la pantomima,
rappresentata in tutt'Italia sin dall'antica Roma, e l'uso naturale dei segni da parte
dei sordi, e non manca di sottolineare il legame sordità-mutismo affermando che i
sordi erano di conseguenza muti, e che sia la sordità congenita sia quella post-
natale erano sì incurabili ma che si potevano istruire certamente i bambini sordi
nel migliore dei modi.
Questi primi tentativi, inizialmente privati e sporadici, sono all'origine dello
sviluppo e della diffusione di scuole private e in seguito pubbliche per
l'educazione dei sordi in Europa, America e il resto del mondo; si delineano al
tempo stesso diverse linee di pensiero in merito alle metodologie da seguire, che
portano, nel corso dei secoli, a dure controversie tra i sostenitori del metodo
gestuale (l'educazione alla lingua dei segni) e di quello orale (l'educazione alla
parola), ma si osserva che in questo periodo comunque istruire i sordi significava
rimanere nel privato: i soli privilegiati erano i figli di persone ricche, nobili o
influenti, di persone cioè che potevano permettersi l'alto costo di questo tipo di
istruzione e affinché questi venissero riconosciuti giuridicamente capaci, per
ovvie questioni di eredità e passaggio di titoli nobiliari, mentre la maggior parte
dei sordomuti rimaneva nell'ignoranza e nella miseria. Inoltre, prevale il carattere
di segretezza e mistero intorno al metodo usato da ognuno dei maestri di questo
periodo, in quanto e per gelosia del loro metodo da loro scoperto (e magari
ignoravano che lo stesso metodo fosse già stato scoperto da qualcun altro) per
apparire come gli unici inventori del miracoloso metodo, e per venalità
desiderando di essere gli unici a beneficiarne economicamente, senza pensare che
la divulgazione ne avrebbe portato un beneficio ben maggiore, non economico ma
sociale a centinaia di sordomuti.
Dunque, il metodo su cui si concentrarono questi primi maestri è quello orale.
Il punto di partenza è l'assunto che, nell'istruzione di un individuo, il senso
dell'udito possa essere sostituito da quello della vista.
Come dice George Dalgarno (1626-1687), famoso pedagogista del tempo, nel suo
"Didascalocophus" (1680)
"…non si vede quindi una ragione per cui la mente umana debba apprendere più
facilmente le immagini acustiche di quelle ottiche della parola.".
Anche Johann Konrad Amman (1669-1724), dirà nel suo "Surdus Loquens"
(1692), che.
"…l'uomo nasce con l'innata facoltà della loquela, ma questa non passa all'atto se
non per gli stimoli dell'udito. Così i nati sordi non possono parlare se per via di un
artificio non si inducano a parlare partendo dall'imitazione della parola nei suoi
elementi".
1.2 Estensione dell'educazione dei sordomuti e diffusione delle scuole
pubbliche (metà XVIII sec. – fine XIX sec.)
Alla metà del secolo XVIII, l’Abate de l’Epeé pubblica il suo alfabeto dei segni
gestuali che i ragazzi possono usare per comunicare fra loro e nel 1784 pubblica il
metodo di istruire sordomuti in cui espone la sua teoria senza trascurare il valore
dell’espressione linguistica orale e scritta. Grazie al successo del metodo de
l’Epée, in tutta la prima metà dell’Ottocento fu uno dei migliori e diffusi del
periodo storico per la comunità sorda, anche se alla fine dell’Ottocento è nata una
controversia riguardo al metodo mimico, durante il Congresso di Milano 1880.
L’Abate de l’Epée fu uno dei pionieri che riuscii a introdurre il concetto di
educazione dei sordomuti intesa come dono da impartire e diffondere a più
persone possibili, e non da tenere nascosto o concedere ai pochi in grado di
permetterselo economicamente. La missione dell'abate come apostolo dei
sordomuti poveri di ogni nazione e di ogni tempo ha inizio con la visita casuale ad
una povera vedova di Parigi, disperata per la morte di padre Vanin, che si era
occupato fino allora dell'istruzione delle sue figliolette sordomute, insegnando
loro mediante immagini le vite dei santi. De l'Epée si impegna con la donna,
promettendole di continuare egli stesso, seppure ancora totalmente inesperto,
l'istruzione delle due gemelle quindicenni. L'esperienza, così come il numero
degli alunni, gradualmente crescono. L'abate ha sviluppato un metodo basato sulla
mimica naturale (che i sordomuti sviluppano spontaneamente e che egli ha
imparato) integrata da una serie di segni convenzionali (appositamente inventati
con lo scopo di dare un linguaggio gestuale più preciso e fisso), detti segni
metodici, che di ogni parola definiranno tutte le componenti (genere, numero,
eventuali prefissi o suffissi, tempo e persona nel caso dei verbi, ecc.). In questo
modo, de l'Epée insegna ai suoi alunni la lettura, la scrittura, materie quali la
religione e diverse lingue.
L’istituto per sordomuti di Parigi nasce nel 1770, e la sua fama si diffonde grazie
agli scritti di de l'Epée e alle dimostrazioni pubbliche22 che egli tiene (non solo in
Francia) ed alle quali sono invitati filosofi, nobili, uomini di cultura, ecc.
Da diverse nazioni verranno invitati a Parigi aspiranti educatori dei sordomuti per
fondare, una volta tornati nella loro patria, nuovi istituti per sordomuti23.
La scuola di Parigi si evolverà in seguito sotto la zelante opera di un altro uomo di
Chiesa: Roch-Ambroise Sicard (1742-1822) che, dopo aver diretto la scuola per
sordomuti di Bordeaux, passa a quella di Parigi, appunto, come successore di de
l'Epée24. Sicard continua le dimostrazioni in pubblico, perfeziona i segni metodici
del suo predecessore25 e pubblica diversi scritti. Tra i suoi alunni, molti
diverranno a loro volta educatori dei sordomuti, come per esempio Laurent Clerc
(1785-1869) grazie al quale l'educazione dei sordomuti arriverà oltre oceano, e
Jean Massieu di cui si ricordano le dimostrazioni in pubblico e la meraviglia
provocata negli spettatori dalle sue acute risposte.
Il successo dell'istituto parigino sta all'origine dell'emancipazione dei sordi anche
all'esterno degli istituti. Diversi e piuttosto conosciuti saranno gli scritti, le poesie
o anche semplicemente l'abilità nell'insegnare di uomini sordomuti come
Ferdinand Berthier, Pierre Pelissier, Claudius Forestier e molti altri.
Con la morte di Sicard subentra però nell'istituto una certa disorganizzazione, e
sempre maggiore è la pressione oralista che viene, nonostante tutti i potenziali
benefici che può portare, accolta da tutti con notevole ostilità. Questo
probabilmente perché i tempi non sono ancora maturi, ed i risultati sperati
appaiono ancora troppo lontani affinché questo “nuovo” metodo riceva la meritata
fiducia. Di conseguenza, gli studi e gli esperimenti del dottor Jean-Marc Gaspard
22 Durante queste dimostrazioni gli allievi davano prova di saper leggere, scrivere, comprendere le domande che venivano loro poste dal pubblico e rispondervi. Il lettore potrà trovare alcune descrizioni di queste dimostrazioni nel libro di Lane, Harlan; When the Mind Hears: a History of the Deaf, Vintage Books, Random House, Inc. New York, 1984. 23 Non bisogna comunque pensare che de l'Epée fosse un nemico agguerrito del metodo orale e dell'articolazione. Vi erano infatti alcuni corsi di articolazione nell'istituto di Parigi. Purtroppo però, i risultati ottenuti con questo tipo di insegnamento non erano immediati e non permettevano di educare un numero esteso di giovani sordomuti, come invece era possibile grazie al metodo mimico, preferito dall'abate proprio per questo motivo. 24 L'istituto di Parigi era intanto diventato Istituto Nazionale dal 1791. 25 Si riconoscerà comunque, in futuro, l'inutile complessità di questo sistema, rispetto al linguaggio naturale dei segni, già completo e autonomo di per sé.
Itard (1775-1838), medico residente dell'istituto di Parigi26 vengono visti più che
altro come delle inutili torture applicate sui sordi con l'effetto di privarli della loro
dignità27, piuttosto che come dei primitivi ed incerti tentativi di allenamento
articolatorio e acustico. Alla stessa stregua vengono considerati i tentativi del
barone Joseph Marie de Gerando (1772-1842) di ampliare gli spazi da dedicare,
all'interno della scuola di Parigi, all'insegnamento dell'articolazione28.
In Germania, Heinicke inizia l'educazione dei sordomuti per una pura fatalità nel
momento in cui, maestro privato a Dresda, si trova di fronte ad un alunno
sordomuto. I risultati dell'istruzione di questo e di altri alunni porteranno alla
nascita, nel 1778, della scuola pubblica per sordomuti di Lipsia, il secondo istituto
per sordomuti nel mondo, ma che dal primo si distingue per il metodo praticato:
quello orale.
Come tutti gli oralisti, Heinicke tiene il suo metodo gelosamente segreto, con la
scusa che l'esposizione di questo comporterebbe un dispendio eccessivo di tempo,
denaro e fatiche. In realtà ciò che trattiene il maestro tedesco dal rivelare il suo
metodo è una pura forma di venalità: egli sarebbe, infatti, pronto a venderne il
segreto dietro un elevato compenso. Comunque, quando infine, dopo la morte di
Heinicke, il miracoloso e singolare metodo viene reso pubblico, risulterà evidente
che di miracoloso e singolare questo metodo ha ben poco: esso consiste infatti
nell'applicazione del metodo adottato da Pedro Ponce, da Bonet, da Wallis, da
Amman (insegnamento della parola parlata e della parola scritta, lettura labiale,
eventuale ricorso iniziale all'alfabeto manuale) con una sola aggiunta (e neanche
questa pare essere un'invenzione di Heinicke). L'aggiunta consiste nel portare
l'alunno all'articolazione dei diversi vocali attraverso lo stimolo del gusto,
toccando cioè la lingua di questo con una penna imbevuta di particolari liquidi29. 26 Itard è conosciuto anche ed in particolar modo per il tentativo di educazione e civilizzazione compiuto su Victor, il ragazzo selvaggio dell' Aveyron, trovato nella foresta. 27 Il lettore è invitato alla lettura del capitolo 6 del libro di Lane, Harlan; op.cit.. 28 Ci si riferisce qui in particolar modo alle quattro Circolari dell'istituto di Parigi, pubblicate tra il 1827 e il 1836, nelle quali de Gerando propone uno scambio a livello internazionale di informazioni sui sordomuti e sulle diverse metodiche di educazione di questi. Lo scambio proposto ha come mira una sempre maggiore uniformità tra le idee e le metodiche sull'istruzione di sordomuti, ed è più orientato verso l'adozione dell'insegnamento orale. 29 L'aceto forte avrebbe così stimolato la produzione della vocale <i>, l'estratto di assenzio quella della vocale <e>, l'acqua zuccherata quella della <o>, l'olio di oliva quella della <u> ed infine l'acqua pura quella della <a>.
Tra i più importanti successori di Heinicke nella scuola tedesca troviamo la
vedova Heinicke che, insieme ad August Friedrich Petschke, continuò l'attività
nell'istituto di Lipsia, ed il dottor Ernst Adolph Eschke (1766-1811), genero di
Heinicke e fondatore della scuola di Berlino, nel 1788.
Ci sentiamo ora in obbligo di spendere due parole sulla controversia tra de l'Epée
e Heinicke, ovvero fra metodo mimico o francese e metodo orale o tedesco, a cui
abbiamo accennato all'inizio del paragrafo. Questa controversia ha inizio con la
fondazione della scuola per sordomuti di Vienna, nel 1779, secondo il metodo
mimico. Heinicke cerca di convincere l'abate Storck, direttore di questa ed ex-
allievo di de l'Epée, ad abbandonare un metodo così dannoso ed insensato, che
nessuno conosce e che terrà i sordomuti in completo e perenne isolamento dalla
società. De l'Epee, venuto a conoscenza di questo fatto, inizia una corrispondenza
con Heinicke, esponendo il metodo mimico ed i suoi vantaggi. Il maestro tedesco
non risparmia critiche nei confronti di questo, senza peraltro scrivere nulla intorno
al metodo da lui adottato. Non ci si stupisce se l'Accademia di Zurigo, l'unica a
dare il suo giudizio fra le tante interpellate, si pronuncerà in favore dell'abate
francese.
Il famoso scozzese Thomas Braidwood (1715-1806), insegnante di matematica, si
avvicina all’educazione dei sordomuti, come Heinicke, non per una vocazione ma
per l'incontro con un alunno sordomuto. Dopo questo alunno seguirà poi
l'istruzione, secondo il metodo orale, di altri sordomuti, e la fondazione della
prima scuola pubblica inglese per sordomuti, a Edimburgo, diretta dallo stesso
Braidwood, e di diverse altre scuole dello stesso tipo, fondate e dirette dai parenti
di questo (il figlio John, il nipote dott. Joseph Watson, il nipote John, ecc.). I
progressi degli allievi riguardano la parola, la lettura, la scrittura, la lettura labiale,
la pratica di arti e mestieri. Il metodo adottato per l'ottenimento di questi risultati
viene tenuto rigorosamente segreto, ma le descrizioni di questo, forniteci per
iscritto da Francis Green, padre di un alunno della scuola Braidwood30 lasciano
pochi dubbi in merito alla provenienza dello stesso: Wallis, Holder, Bulwer, ecc.
(a cui abbiamo accennato nel paragrafo precedente). 30 Descrizioni che infastidirono Thomas Braidwood, così geloso del "suo" metodo.
Fino a quasi gli anni '20 del secolo XIX non esistono, negli Stati Uniti, scuole per
sordomuti, né d'altra parte vi troviamo un qualsiasi altro modo di provvedere
all'educazione di questi sfortunati, che rimangono per lo più nell'ignoranza e
nell'isolamento. Solo le famiglie più ricche e privilegiate possono permettersi di
mandare i propri figli sordomuti oltre oceano, per ricevere un’adeguata
educazione nelle scuole inglesi e francesi. È questo il caso, per esempio, del
precedentemente citato Francis Green, il cui figlio era studente alla scuola di
Edimburgo verso la fine del '700.
Fu probabilmente proprio il ritorno di Francis Green dall'Europa, dopo la morte
del figlio, a portare negli Stati Uniti un certo interesse nei confronti dei sordomuti
e della loro educazione. Green aveva scritto e divulgato informazioni in proposito,
aveva organizzato un primo censimento dei sordomuti e suggerito per primo il
bisogno, anche in America, di scuole per sordomuti. Dopo di lui, diversi studi e
ricerche sui suoni, sulla possibilità di insegnare ai sordomuti la parola, ecc.
vengono pubblicati, mostrando che i tempi sono evidentemente maturi per
l'avvicinamento dell'America al mondo dei sordomuti.
L'evento che porta sul piano pratico questo avvicinamento è la nascita nel 1805, a
Hartford, nel Connecticut, di una bambina, Alice Cogswell, figlia di Mason
Cogswell medico della cittadina. A due anni, Alice diventa sorda in seguito ad
una forma molto acuta di scarlattina. Non passano molti anni prima che suo padre
Mason si convinca dell’assoluta necessità (dopo il responso di un censimento da
lui organizzato nel 1811 sui sordomuti nel Connecticut) di un istituto per
sordomuti, che dia ad Alice ed a tutte le persone come lei un’adeguata istruzione.
Cogswell cerca innanzi tutto di contattare John Braidwood (nipote di Thomas
Braidwood, che si trova in America e pare voler fondare una scuola per sordomuti
a Baltimora), ma non vi riesce31.
La mossa successiva è quella di raccogliere egli stesso, insieme a persone che
condividono le sue ambizioni dei fondi per l'apertura di un istituto per sordomuti a
Hartford, e per il soggiorno in Europa di qualcuno che si documenti sui metodi di 31 In realtà, John Braidwood è uno scialacquatore, ed i soldi donatigli dai genitori dei bambini sordi verranno impiegati non per l'apertura di scuole speciali, bensì per pagare i debiti contratti con il vizio e con il bere. Non è perciò una sfortuna se Cogswell non riesce a contattarlo.
istruzione dei sordomuti, sulla gestione delle scuole, e così via. La persona scelta
per questo compito è Thomas Hopkins Gallaudet (1787-1851), uomo colto e
devoto32, vicino di casa dei Cogswell e da sempre interessato alla sorte della
piccola Alice. Siamo nel 1815. L'esito delle visite di Gallaudet alle scuole oraliste
di Londra (diretta dal dottor J. Watson) e di Edimburgo (diretta da un certo Mr.
Kinniburg) è però tutt'altro che positivo. Gallaudet incontra solo diffidenza e
segretezza. Numerose scuse gli vengono fornite nel tentativo di mascherare il vero
motivo che impedisce l'esposizione del metodo adottato: l'egoismo. È comunque
durante questo soggiorno a Londra che Gallaudet ha l'occasione di assistere ad
una delle conferenze di Sicard33 e di conoscere la disponibilità e l'apertura di
quest'uomo, che lo invita all'istituto di Parigi per mettere a sua più completa
disposizione il metodo mimico, e qualcuno che lo istruisca in questa arte. Per
diversi mesi Gallaudet, assistito da Laurent Clerc e Jean Massieu, impara il
linguaggio gestuale e i segni metodici, e nel 1816 è pronto a tornare in America,
accompagnato da Clerc, per aprire nel 1817, grazie anche ad un'impegnativa
raccolta di fondi e stanziamenti, l'istituto per sordomuti di Hartford34. Si tratta di
un istituto che comprende inizialmente solo poche decine di studenti, ma che nel
giro di pochi anni radunerà alunni sordi provenienti da tutti gli stati americani,
contribuendo alla formazione ed al consolidamento di una vera e propria comunità
dei sordi, e allo sviluppo (dopo diverse evoluzioni e dopo l'abbandono degli
inutilmente complessi segni metodici) dell'ASL (American Sign Language) a
partire dall’iniziale lingua dei segni francese.
I risultati ottenuti nell'educazione degli alunni dell'istituto di Hartford (non esclusa
l'educazione di un’alunna sordomuta cieca) fungono da stimolo per l'apertura di
nuove scuole per sordomuti: a New York, a Philadelphia, ecc. ma anche in altri
stati, come il Canada, il Messico, il Brasile. Significativa è l'istituzione fondata nel
1857 e diretta da Edward Miner Gallaudet (1837-1917), figlio di Thomas
32 Laureato a Yale e ad Andover, teologo e reverendo. 33 Sicard era a Londra per una serie di conferenze dimostrative, in compagnia di tre dei suoi migliori allievi: Massieu, Clerc e Goddard. 34 Il nome originale dell'istituto è Connecticut Asylum for the Education and Instruction of Deaf and Dumb Persons, cambiato poi, insieme alla sede, in American Asylum.
Hopkins Gallaudet: si tratta del primo college per sordi, situato in Washington e
denominato Columbian Institution for the Instruction of the Deaf and the Blind35.
Per quanto riguarda l'istruzione orale dei sordomuti negli Stati Uniti, non
possiamo negare la presenza di importanti studiosi ed esponenti di questo metodo;
vista però la compattezza e a volte anche l'eccessivo orgoglio della comunità dei
sordi, ancora oggi profondamente radicata negli Stati Uniti, non ci si potrà stupire
se ogni nuova ricerca o proposta orientata al metodo orale sia stata spesso
osteggiata e criticata dai sostenitori dell’identità e della lingua materna del popolo
dei sordi. Questo, infatti, ha sempre mostrato diffidenza nei confronti
dell’oralismo, e si è sempre visto da esso minacciato ed oppresso36.
Tra i più grandi sostenitori della parola negli anni 50-60 in America possiamo
comunque ricordare Horace Mann (1796-1859), e Samuel Gridley Howe.
Quest'ultimo è stato un uomo impegnato in diversi campi, ha fondato nel 1832 una
scuola per ciechi a Boston, è conosciuto per essersi occupato dell'istruzione di
un’alunna sordomuta cieca (ottenendo peraltro discreti risultati). Ha inoltre
visitato nel 1843 diverse scuole per sordomuti in Europa ed in seguito a queste
visite si è dichiarato sempre più propenso al metodo orale e contrario a quello
mimico ed alle scuole residenziali per i sordi, causa dell'isolamento di questi dalla
società.
Ricordiamo inoltre Gardiner Greene Hubbard, padre della sordomuta Mabel
Hubbard, che verrà istruita oralmente. Hubbard fonda nel 1867 la scuola oralista
Clarke School (dal cognome del principale donatore di fondi per la costituzione
dell'istituto), a Northampton, nel Massachusetts.
Non si può infine dimenticare Alexander Graham Bell (1847-1922), di origine
inglese, ma conosciuto come uno dei principali esponenti dell'oralismo
americano37. Genero di Gardiner Greene Hubbard, (in quanto marito della figlia di 35 Questo istituto sarà poi ribattezzato nel 1864 come National Deaf-Mute College, e nel 1894 come Gallaudet College, in onore di Thomas Hopkins Gallaudet. Oggi si chiama Gallaudet University. 36 Non bisogna comunque pensare che i sordi educati secondo il metodo orale non possano riunirsi in gruppi o associazioni, e condividere una stessa cultura o un senso di identità. 37 L'interesse di Bell per la scienza in generale e, più in particolare, per la fonetica, è forse dovuto all'impegno di molti dei suoi famigliari (il nonno, il padre, e persino il fratello) nello studio dei suoni e della correzione di balbuzie e difetti di pronuncia. Già da bambino Bell si cimenta in esperimenti quali la costruzione di una sorta di macchina parlante, e più avanti lo si potrà ricordare come inventore del telefono, vincitore del premio Volta nel 1880, fondatore di riviste quali Science, National Geographic, Volta Review, ecc.
questo, Mabel), Bell è un fermo sostenitore del metodo orale e dell’integrazione
dei sordomuti nella società degli udenti, ed è per questo motivo che si dichiara
contrario alle scuole residenziali per sordomuti e alla lingua dei segni, la quale
contribuiscono invece al formarsi di una comunità dei sordi (che tende ad un
graduale isolamento volontario dalla suddetta società). Bell tiene negli Stati Uniti
diverse conferenze, porta avanti gli studi del padre sull'insegnamento orale ai
sordomuti, incoraggia l'apertura di diverse Day-Schools (ovvero di esternati),
crede fermamente in un futuro progresso del metodo orale puro38.
Si ricordano a questo proposito le accese controversie tra lo stesso Bell ed Edward
Miner Gallaudet, che propone un sistema combinato di segni e parola come
soluzione ottimale per l'educazione e l'integrazione dei sordomuti.
Fino alla prima metà dell'Ottocento, la situazione politica di divisione e
isolamento dell'Italia impedisce un'adeguata diffusione e circolazione di scritti,
pubblicazioni ed esperienze nel campo dell'istruzione dei sordomuti. Gli educatori
di questo periodo si basano spesso su metodi e pubblicazioni estere, senza sapere
dell'esistenza di altrettanto validi metodi e scritti italiani. Questi ultimi, d'altra
parte, sono conosciuti all'estero quasi esclusivamente grazie alle visite di
educatori stranieri in Italia ed alle riunioni internazionali tra gli insegnanti dei
sordomuti (che si fanno via via più frequenti).
Anche in Italia, comunque, l'educazione dei sordomuti è un argomento attuale, e
nel giro di qualche decade le scuole speciali per sordomuti (impostate sia secondo
il metodo orale che secondo quello mimico) crescono in numero e risultati39. La
prima scuola per sordomuti nasce a Roma nel 1784 per opera di Tommaso
Silvestri (1744-1789). Questo era stato mandato a Parigi, alla scuola di de l'Epée,
dall'avvocato concistoriale Pasquale Di Pietro nell'anno precedente. Silvestri
impara il metodo mimico, ma decide di gestire la sua scuola impostandola sul
metodo orale40. I risultati sono buoni, si diffondono in poco tempo, e 38 E' proprio a causa dei risultati ancora incerti del metodo orale che la comunità dei sordi si dichiara a questo così contraria. E ciò è comprensibile, se si pensa che l'arte di istruire i sordomuti sta subendo ancora oggi, specialmente grazie alle nuove tecnologie impiegate, degli sviluppi sbalorditivi ed in continua evoluzione. 39 Purtroppo, la maggior parte di queste sorge per iniziativa privata, spesso da parte di uomini di chiesa, e viene sostenuta da opere di carità, mentre un intervento dello Stato tarda spesso ad arrivare. 40 Pare comunque che Silvestri si servisse dei segni metodici per insegnare la parola ai suoi allievi, come viene affermato in: Caselli, Maria Cristina; Maragna, Simonetta; Pagliari Rampelli, Laura; Volterra, Virginia;
contribuiscono alla formazione di nuovi educatori dei sordomuti e alla nascita di
nuove scuole speciali41.
Un'altra scuola molto importante impostata sul metodo orale è quella di Napoli,
diretta da un allievo di Tommaso Silvestri, Benedetto Cozzolino (m. nel 1789), e
divenuta istituto pubblico nel 1788.
Per quanto riguarda il metodo mimico, non si può dimenticare l'opera di Ottavio
Assarotti (1753-1829), detto l'Apostolo dei sordomuti italiani per la carità e lo
zelo con cui si è dedicato ai sordomuti poveri della città di Genova. Assarotti
inizia a dedicarsi a quest'opera quasi da autodidatta, e come de l'Epée apprende e
utilizza come strumento di insegnamento la mimica naturale dei sordomuti.
Insegna loro la lingua, la lettura e la scrittura, ed infine qualche materia, come la
religione e l'aritmetica. La scuola apre a Genova all'inizio del 1800 e non vuole
essere che un istituto modesto, ma in poco tempo si sviluppa, fino ad ottenere dei
sussidi pubblici. Nel frattempo, Assarotti si informa e si documenta sui metodi di
istruzione praticati all'estero, ma arriva alla conclusione che
“[...] il miglior metodo per l' istruzione dei sordomuti esser quello
di non averne alcuno.”42.
Egli,
“[...] avendo studiato senza preconcetti didattici la varietà delle
attitudini dei sordomuti, si era convinto essere sommamente utile
conoscere le diverse maniere e i metodi dei vari maestri, ma non
doversi rendere schiavo di alcuno.”43.
Per sottolineare l'importanza della figura di Assarotti sarà infine necessario far
notare come alla sua scuola in Genova si siano formati altrettanto validi educatori,
come per esempio Cesare Bagutti, Tommaso Pendola e Matteo Marcacci. Linguaggio e Sordità - Parole e Segni per l’Educazione dei Sordi, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1994,( pag. 31): “[...] tutti coloro che scriveranno più tardi sulla scuola tenderanno a presentare Silvestri come un pioniere e un propugnatore del metodo orale, sottolineando la sua tendenza ad insegnare a parlare e dimenticando che egli attuava tutto ciò per mezzo dei segni metodici.”. 41 Purtroppo però, il successore di Silvestri alla scuola di Roma non è una persona competente in materia, e rischia di compromettere i buoni risultati precedentemente ottenuti. 42 Ferreri, G., Disegno Storico dell'Educazione dei Sordomuti, parte seconda: il Secondo Periodo Storico dell’Istruzione dei Sordomuti, Milano, 1917, (pag. 53). 43 Ibid., pag. 53.
Significativo è stato anche, per l'educazione dei sordomuti secondo il metodo
mimico, l'Istituto Regio di Milano, mantenuto grazie a sussidi statali e diretto per
diversi anni dal sopraccitato allievo di Assarotti, Cesare Bagutti (1776-1837).
Per quanto riguarda invece altre scuole oraliste, non si può dimenticare quella
fondata nel 1828 a Siena da Tommaso Pendola (1800-1883)44. Pendola aveva
studiato le opere di Sicard e i segni metodici, aveva acquisito esperienza da
Assarotti, ma aveva riconosciuto i risultati dati in molti casi dal metodo orale, e
aveva infine contribuito alla sua diffusione grazie alla fondazione nel 1872 di un
periodico, “L'educazione dei Sordomuti in Italia”, tuttora esistente. Questa rivista
include discussioni e dibattiti di educatori dei sordomuti anche stranieri sui diversi
metodi di istruzione e sui rispettivi risultati.
Si ricorda inoltre la scuola di Verona, aperta nel 1829 secondo il metodo francese
o mimico, e nella quale Antonio Provolo (1801-1842) introduce con zelo il
metodo orale nel 1832, pensando ai risultati che questo potrebbe portare nel
campo dell'integrazione sociale dei sordomuti. Provolo ci lascia degli
interessantissimi scritti, anche illustrati, sull'articolazione dei suoni e
sull'insegnamento orale, dai quali traspare l'attenzione dell'autore per gli esercizi
di respirazione, la prosodia, la lettura labiale, l’educazione al canto e alla musica.
Con l'avanzare del XIX secolo è sempre più sentito l'interesse per l'insegnamento
orale nell'educazione dei sordomuti, e le scuole speciali sono sempre più orientate
verso questo tipo di metodo. Basti pensare al Pio Istituto dei Sordomuti Poveri di
Campagna, inaugurato a Milano nel 1854 e diretto da Giulio Tarra (1832-1889),
convinto propugnatore del metodo orale e futuro presidente del Congresso di
Milano, di cui parleremo in seguito. Tarra vorrebbe (ed il suo desiderio verrà
realizzato dopo il suddetto congresso) la diffusione del metodo orale a livello
internazionale, e l'utilizzo della parola articolata come unico mezzo di educazione
dei sordomuti.
Diversi educatori dei sordomuti seguiranno la strada intrapresa da Tarra e si
batteranno per il metodo orale e per l'istruzione obbligatoria dei sordomuti. Tra
questi ricordiamo Ernesto Scuri (1854-1927), Giulio Ferreri (1860-1942), ovvero 44 Nel 1843 l'istituto di Siena si unisce a quello di Pisa per formare il Regio Istituto Toscano dei Sordomuti.
l'autore a cui abbiamo attinto per la maggior parte di questo primo capitolo e che
può essere definito il padre della moderna pedagogia emendatrice dei sordomuti, e
Giovanni Terruzzi (1877-1949), ricordato per l'invenzione dell’audiofonoscopio e
di altri strumenti per la rieducazione fonetica dei difetti della parola.
Molte altre sono le scuole (di tipo sia orale che mimico) per l'educazione dei
sordomuti, o anche solo gli istituti ed i ricoveri minori per la loro assistenza, sorti
principalmente per iniziativa privata e per opere di carità, e diretti spesso da ordini
religiosi. Ci basti ricordare, a titolo puramente informativo, quelli di Como, di
Lodi, di Bologna, di Assisi, di Cagliari e molti altri45.
Per quanto riguarda l'Austria, non possiamo non citare la scuola di Vienna, aperta
nel 1779 dal precedentemente citato Friedrich Storck, ed impostata secondo il
metodo mimico di de l'Epée. Questa scuola eserciterà la sua influenza sulla
nascita degli istituti di Karlsruhe, Praga, Vaitzen46.
Anche le scuole della Svizzera (patria di Amman) sono principalmente impostate
secondo il metodo di de l'Epée, ma non escludono a priori la possibilità
dell'insegnamento della parola articolata, e vedono sempre più l'insegnamento
oggettivo ed una buona conoscenza dell'allievo (dal punto di vista sia psicologico
che fisiologico), come soluzione ottimale per una sua soddisfacente educazione.
La Danimarca subisce l'influenza delle scuole di Lipsia (metodo orale) e Vienna
(metodo mimico). Alcuni istituti sono orientati più verso il primo, altri verso il
secondo metodo. In ogni caso si tende ad insegnare la parola articolata a tutti gli
allievi, per portarla avanti, dopo apposita selezione, con coloro che mostrano di
poter ottenere dei buoni risultati da quest'insegnamento. È infine importante
notare come la Danimarca (ed in generale l'intera Scandinavia) si trovi
all'avanguardia sulle altre nazioni per quanto riguarda la legislazione e
l'organizzazione scolastica nei confronti dei sordomuti: già nel 1805 i sordomuti
45 Per chi sia alla ricerca di informazioni più dettagliate su questi istituti e sui nomi degli educatori che li hanno fondati o diretti, rimandiamo ai seguenti testi: Ferreri, Giulio; Disegno Storico dell'Educazione dei Sordomuti, parte seconda e Conti, Igino; Guida Teorico-Pratica per gli Educatori dei Sordomuti e dei Logopedisti, parte sesta. 46 Il futuro della scuola di Vienna è comunque orientato verso una graduale introduzione della parola articolata, oltre al già praticato metodo basato sulla mimica e sulla scrittura. Lo stesso avviene d'altra parte, man mano che ci si avvicina alla fine del XIX secolo, nella maggior parte degli istituti in Europa.
hanno diritto per legge, in questo paese, all'istruzione elementare, e nel 1817
l'istruzione per tutti i sordomuti diventerà obbligatoria.
La nascita di scuole per sordomuti in Olanda tarda ad arrivare: la prima viene
fondata a Gröningen nel 1790 secondo il metodo di de l'Epée, e per mezzo secolo
non ne nascono altre. Del 1853 è comunque l'istituto di Rotterdam in cui, grazie a
David Hirsch (1813-1895), vengono ripresi Amman ed il metodo orale.
Non subisce uno sviluppo significativo nell'educazione dei sordomuti la Spagna
(nazione d'origine del primo oralista, Pedro Ponce), forse a causa dell'istruzione
congiunta di sordomuti e ciechi, che richiederebbero invece metodi di educazione
decisamente diversi tra loro, data l’enorme diversità delle loro disabilità. Nel 1805
viene comunque aperto l'istituto nazionale per sordomuti di Madrid, e si nota la
generale tendenza verso una reintroduzione del metodo orale.
Nel secolo XIX, furono aperti Istituti per sordomuti in diversi Stati della penisola.
I contatti e le informazioni reciproche erano mantenute dai sacerdoti preposti
all'educazione dei sordi. I sacerdoti godevano di una maggiore mobilità tra Stato e
Stato perché le succursali dei vari Ordini Religiosi erano presenti nei vari Stati.
Negli Istituti veniva utilizzata la lingua dei segni nella trasmissione dei contenuti
scolastici ed erano presenti anche alcuni insegnanti sordi. In quel periodo è
caratterizzato dalla nascita delle prime scuole pubbliche per sordomuti, e dalla
controversia tra i fautori metodi mimico e orale; le suddette scuole costituirono un
modello per la nascita di numerosissime altre istituzioni, a metodo sia mimico che
orale, in tutta Europa.
I principali Istituti italiani per sordi illustra l'ubicazione dei principali
Istituti italiani con le rispettive date di fondazione. La maggiore densità di Istituti
è facilmente individuabile nei territori che facevano parte dell'Austro-Ungarico
Regno Lombardo-Veneto, del Regno di Sardegna, dei Ducati e della parte
settentrionale ed orientale degli Stati Pontifici.
1. 1784 Istituto dei Sordomuti di Roma
2. 1788 Istituto Governativo di rieducazione per i Sordomuti di Napoli
3. 1802 Istituto Nazionale Sordomuti di Genova
4. 1805 Regio Istituto dei Sordomuti di Milano
5. 1814 Regio Ospedale di Carità: Sezione Sordomuti di Torino
6. 1815 Regio Istituto dei Sordomuti di Pisa
7. 1820 Istituto delle Figlie della Provvidenza per le Sordomute di Modena
8. 1826 Stabilimento dei Sordomuti di Parma
9. 1828 Istituto "Tommaso Pendola" per Sordomuti di Siena
10. 1829 Istituto Provinciale Sordomuti di Ferrara
11. 1829 Stabilimento dei Sordomuti di Cremona
12. 1830 Istituto "Antonio Provolo" per l'educazione dei Sordomuti di Verona
13. 1832 Pio Istituto Sordomuti di "San Gualtiero" di Lodi
14. 1834 Regio Istituto dei Sordomuti di Palermo
15. 1842 Istituto Principesco Arcivescovile per i sordi di Trento
16. 1850 Istituto Gualandi per i Sordomuti e le sordomute di Bologna
17. 1882 Istituto Nazionale Sordomuti di Firenze
18. 1882 Istituto dei Sordomuti di Cagliari
19. 1885 Pio Istituto "Filippo Smaldone" di Lecce
1. 3 Riforma del metodo d’insegnamento (metà XVIII sec. – prima metà XX
sec.)
Con il graduale avvicinarsi del XX secolo si delineano in misura sempre più
evidente tre tendenze principali:
Ÿ l'orientamento verso il metodo orale;
Ÿ un senso del diritto dei sordomuti (come d'altra parte di tutti gli anormali e i
disabili) di ricevere un’istruzione;
Ÿ un senso del dovere, da parte della società, di fornire ed estendere questa
istruzione.
Si commette inizialmente l'errore di credere che per l'istruzione di soggetti
sordomuti sia sufficiente una buona dose di pazienza, e che un qualsiasi maestro
di scuola o parroco possa svolgere questo compito. Molte sono perciò le proposte
di istruzione di soggetti sordomuti in normalissime classi di udenti (queste
proposte sono però ancora premature per diventare realizzabili). Altri
suggerimenti riguardano la fondazione di esternati (in sostituzione delle scuole-
convitto) ed un'istruzione precoce, da iniziare verso i quattro o cinque anni di età
del soggetto. Diverse sono anche le opere scritte e le pubblicazioni che elencano i
vantaggi ed i risultati del metodo orale rispetto a quello mimico.
In Francia è sempre più evidente l'allontanamento dal metodo di de l'Epée: figure
come J.J. Valade-Gabel (1801 ca.-1879) oppure A. Blanchet sono a favore del
metodo orale e dell'insegnamento oggettivo della lingua, e criticano la complessità
del metodo mimico e dei segni metodici.
In Germania si ricorda Fredrik Moritz Hill (m. nel 1874) come riformatore della
scuola tedesca e come sostenitore dell'insegnamento orale ed oggettivo. Hill è un
buon teorico, ma anche un ottimo educatore, e riesce a suscitare un vasto interesse
per l'argomento anche al di fuori della sua nazione.
Nei Paesi Bassi viene fondata, come già accennato, la scuola di Rotterdam nel
1853. La scuola è diurna. David Hirsch vi pratica il metodo orale e ne pubblicizza
vantaggi e risultati per iscritto, contribuendo così alla diffusione di questo.
Le nazioni che abbiamo citato sono poche, ma sono forse le più significative. Non
si dimentichi comunque che la tendenza verso il metodo orale coinvolge in
generale tutta l'Europa e in parte, come già visto nel paragrafo precedente, anche
gli Stati Uniti. Inoltre, verso il 1870 i punti d'incontro a livello nazionale ed
internazionale tra gli educatori dei sordomuti sono sempre più frequenti. Alla
stampa ed alle pubblicazioni scritte si aggiungono infatti le riunioni ed i congressi
degli educatori47.
In Italia nasce nel 1873, con il Primo Congresso Nazionale degli Educatori
Italiani dei Sordomuti, tenutosi a Siena, l'esigenza di riunirsi e discutere metodi
ed esperienze dei diversi istituti del paese. La proposta generale è quella di dare
47 Si potrebbe dire che le vere cause del successo dell’oralizzazione di questo periodo furono proprio l’opera dei congressi (in particolar modo quello di Milano) e l’entusiasmo degli oralisti che vi parteciparono, anche se forse un ruolo molto importante fu giocato dal fatto che i sordi (i veri sostenitori della mimica) non potevano “farsi sentire”.
all'insegnamento orale un ruolo più importante e significativo nell'ambito
dell'educazione dei sordomuti.
Nel 1878 si tiene a Parigi il Primo Congresso Internazionale degli Educatori
dei Sordomuti. Vi partecipano sostenitori del metodo mimico e del metodo orale
provenienti da diversi paesi, ma la maggioranza è comunque di nazionalità
francese. Anche in occasione di questo congresso si propone la valorizzazione del
metodo orale, tuttavia molte sono ancora le persone a favore del metodo mimico e
del metodo misto o combinato.
Abbiamo ancora un congresso nazionale, a Lione nel 1879 (i temi discussi
riguardano sempre la convenienza, i vantaggi e gli svantaggi di questo o quel
metodo, l'organizzazione più indicata per gli istituti dei sordomuti, ecc.), prima
del congresso che segnerà il punto di svolta nell'educazione dei sordomuti, e che
determinerà l'universale adozione del metodo orale puro: il Congresso
Internazionale di Milano, tenutosi nell'anno 1880. A questo congresso
dedicheremo qualche parola in più.
Tenutosi a Milano dal 6 all'11 settembre del 1880, viene considerato come fatale
dalla comunità dei sordi, e come decisivo dai sostenitori dell'oralismo; lo si può in
ogni caso definire un evento storico, in quanto come già accennato costituisce il
punto di partenza dell'adozione universale e del perfezionamento del metodo
orale48. Vi partecipano all'incirca 200 persone: 250 sono gli iscritti, 182 le persone
registrate alla porta, 164 quelle presenti alle votazioni finali. La maggioranza (un
centinaio circa) è di provenienza italiana, ma tra i partecipanti vi sono anche una
cinquantina di educatori francesi, una decina di inglesi, qualche americano e
pochissimi tedeschi. Si tratta quasi solo di udenti ed oralisti.
I temi trattati durante le nove sedute del Congresso di Milano riguardano in
generale i sordomuti ed il sordomutismo (dati storici e statistici, questioni
mediche, organizzazione ottimale di un istituto per sordomuti, dalla durata del 48 Si tenga presente come questo sia indice per i sordi non di un passo avanti, bensì di un regresso: come si afferma infatti in: Caselli M. C., Maragna S., Pagliari Rampelli L., Volterra V., op. cit., pag. 32, dopo questa data “[...] scompaiono le testimonianze dirette dei sordi e le uniche testimonianze scritte che abbiamo rintracciato sono tutte di educatori udenti, [...].”; qualche riga più avanti leggiamo: “[...] viene così scelto il metodo orale, annullando in un sol colpo tutte le esperienze precedenti che utilizzavano i segni e il metodo misto”, e “[...] i sordi presenti si erano schierati a favore della lingua dei segni, ma la loro mozione non venne neppure portata a votazione.”.
corso di studi al numero consigliato di alunni per classe, ecc.), ma la questione più
importante e controversa è indubbiamente quella riguardante la scelta del metodo
(orale o mimico) da adottare. Gli interventi principali sono quelli di Giulio Tarra,
presidente del congresso (che definisce la parola come un dono di Dio all'uomo),
dei signori Ackers, di nazionalità inglese e genitori di una bambina sorda (i quali,
per esperienza personale, dichiarano la parola come in grado di fornire maggiori
vantaggi rispetto alla lingua dei segni), di Thomas Arnold, valido e conosciuto
educatore inglese (che elogia la parola e il metodo orale, ma riconosce anche la
necessità di dedicarsi ancora molto a questo insegnamento per cercare di
perfezionarlo il più possibile) e di molti altri.
Pochi sono i sostenitori del metodo mimico (è significativo l'intervento di Edward
Miner Gallaudet che, per dimostrare la convenienza del metodo misto, dichiara
come a nulla possa giovare la parola articolata in un soggetto selvaggio e non
istruito), ma vi sono comunque dei partecipanti al congresso che, pur essendo a
favore dell'oralismo, considerano ingiusto ed innaturale il proibire ai sordomuti di
segnare, specialmente nei primi anni di vita: è questo il caso di alcuni
rappresentanti scandinavi.
Le risoluzioni di questo congresso, come si può immaginare, sono prese quasi
all'unanimità (su 164 votanti, solo quattro sono le astensioni) e segnano una
decisiva vittoria dell'oralismo. Viene infatti deliberata la superiorità della parola
sui gesti e del metodo orale puro su quello mimico o misto, in quanto in grado di
permettere al sordo l'integrazione sociale, oltre che uno sviluppo del pensiero e
dell'intelletto. Ulteriori decisioni riguardano l'inizio del corso di studi (verso gli 8-
10 anni dell'alunno); la sua durata (7-8 anni); la dimensione delle classi (non più
di 10 alunni); l'introduzione progressiva di una classe istruita oralmente ogni
anno, finché non vi saranno più classi istruite con il metodo mimico49; l'estensione
dell'educazione (secondo il metodo di insegnamento oggettivo-occasionale) a tutti
i sordomuti; la stesura di libri speciali e di manuali per un migliore insegnamento;
49 Le classi istruite oralmente verranno inoltre tenute rigorosamente separate da quelle istruite gestualmente.
un continuo allenamento dell'articolazione dei suoni e della lettura labiale da parte
dell'alunno, anche dopo il termine del corso di studi50, ecc.
In seguito al Congresso di Milano, molte scuole (sia in Italia che all'estero)
riorganizzano la loro impostazione e la loro struttura didattica, abbandonando i
segni ed adottando il metodo orale puro. Nelle scuole in cui questo già veniva
praticato, ci si concentrerà sul suo perfezionamento51.
La serie di incontri e congressi nazionali ed internazionali non viene comunque
interrotta, bensì incoraggiata. I temi trattati riguarderanno sempre meno il tipo di
metodo da adottare (questo problema pare, per il momento, risolto) e sempre più
questioni generali inerenti all’educazione e la condizione dei sordomuti. Si
cercherà sempre più spesso di attirare l'attenzione sulla necessità di un'adeguata
preparazione degli educatori dei sordomuti, sull'altrettanto importante necessità
del coinvolgimento dei governi nel campo dell'istruzione e della tutela dei
sordomuti, dell'efficacia e dei vantaggi dell'insegnamento oggettivo-occasionale.
Verranno inoltre incoraggiati studi e ricerche di tipo storico, statistico52 e medico
riguardanti i sordomuti, andando a determinare un aumento generale dell'interesse
in questo campo.
Vediamo ora più in particolare i congressi che si sono tenuti dopo il 1880.
A livello internazionale si ricordano i congressi di Bruxelles nel 1883, di
Francoforte (in realtà questo congresso, pianificato inizialmente per il 1886 e
rimandato successivamente al 1887, non fu mai tenuto), quello di Parigi (che ha
luogo nel 1900 e si compone di due riunioni simultanee, una di partecipanti sordi
ed una di partecipanti udenti ed oralisti: questi due gruppi non riusciranno a
trovare un punto di incontro e rimarranno separati e in contrasto), quello di Liegi
nel 1905 (che si compone anch'esso di due riunioni, una più ufficiale ed una più 50 Ferreri G., op. cit., parte seconda, si legge: “[...] la parola e la lettura sulle labbra, non che perdersi, si svolgono con l' esercizio, (pag. 228) 51 Sarebbe comunque errato affermare che l'uso dei segni scompaia dalle scuole dopo il 1880. Come viene infatti specificato in: Caselli M. C., Maragna S., Pagliari Rampelli L., Volterra V., op. cit., pag. 34: “ Dopo il Congresso di Milano, anche se l'educazione ufficiale divenne oralista, la lingua dei segni continuò a venire usata ed a svolgere un ruolo cruciale nella vita dei ragazzi. Di nascosto spesso si segnava in cortile, nei dormitori, nei laboratori. Chi più chi meno, tutti conoscevano i segni: studenti, insegnanti, assistenti. Nulla di tutto ciò viene menzionato nelle varie pubblicazioni successive al Congresso di Milano, pesantemente influenzate dalla filosofia oralista.”. 52 Purtroppo i dati statistici che ci vengono forniti sui sordomuti sono però ancora approssimativi e di conseguenza inattendibili.
libera ed aperta a tutte le proposte e le critiche dei difensori dei segni al metodo
orale) e quello di Edimburgo, svoltosi nel 1907 (forse meglio riuscito rispetto ai
precedenti, in quanto composto da un minor numero di partecipanti e da un minor
numero di temi da trattare, non per questo meno importanti). Le discussioni
affrontate in questi congressi hanno come argomento le diverse possibili modalità
di applicazione del metodo orale e la condizione dei sordomuti in generale, ma i
risultati a cui pervengono sono sempre meno soddisfacenti.
La tendenza volge infatti verso incontri e scambi di opinioni ed esperienze a
livello nazionale, ove non vi siano barriere di tipo economico (gli spostamenti da
un paese all'altro sono in questo periodo piuttosto dispendiosi) o linguistico (è
decisamente consigliabile discutere in una lingua di cui si abbia completa
padronanza; inoltre, dal momento che ogni lingua presenta un proprio sistema
fonetico, sarà senz'altro più efficace una riunione tra educatori che condividano gli
stessi problemi, le stesse difficoltà e lo stesso modo di affrontarli)53. Come negli
incontri internazionali, i temi discussi saranno l'organizzazione didattica delle
scuole secondo il metodo orale, la suddivisione delle classi, la durata del corso di
studi, la preparazione degli insegnanti, la proposta per un'istruzione obbligatoria
dei sordomuti, ma anche ricerche sempre più specializzate nel campo
dell'ontologia, della pedagogia e dell'insegnamento auricolare (ovvero la
possibilità di sfruttare i residui uditivi dei sordomuti per un migliore risultato
nell'insegnamento della parola).
I congressi nazionali tedeschi sono bene organizzati e, senza contare quelli
tenutisi in Austria ed Ungheria, includono i seguenti incontri: Berlino, 1884;
Colonia, 1889; Augsburg, 1894; Dresda, 1897; Amburgo, 1900; Francoforte,
1903; Königsberg, 1906; Lipsia, 1909; Würzburg, 1912; Breslavia, 1915.
Tra i congressi nazionali francesi si annoverano quelli di: Bordeaux, 1881;
Parigi, 1884 (non un vero e proprio congresso, ma una riunione della Società
Nazionale per lo Studio delle Questioni Concernenti i Sordomuti); Parigi, 1885.
53 Per gli scambi di informazioni a livello internazionale acquisteranno un'importanza via via maggiore i periodici e la letteratura speciale.
In Italia, la serie dei congressi nazionali tenutisi dopo il 1880 inizia con qualche
anno di ritardo rispetto alle altre nazioni. Questo è dovuto in parte alla morte,
negli anni '80-'90, di diversi oralisti (quali ad esempio Tarra e Pendola) che
avevano contribuito allo svilupparsi dell'insegnamento della parola articolata e
agli esiti del Congresso di Milano, ed in parte al fatto che dopo il suddetto
congresso le scuole italiane avevano bisogno di tempo per riorganizzare a dovere
la loro struttura. Il primo congresso nazionale italiano ha così luogo nel 1892, e si
tiene a Genova, in occasione dell'Esposizione Mondiale. Le proposte che vengono
fatte sono orientate all'ottimizzazione ed all'uniformemente del metodo orale nelle
scuole italiane, e ad un'estensione dell'istruzione per tutti i sordomuti. Seguono,
con gli stessi intenti, un Congresso di Beneficenza (tenutosi a Milano nel 1898),
una Riunione di soli educatori dei sordomuti (con sede a Roma nel 1899), ed il
Congresso Nazionale svoltosi a Bologna nel 1907.
La lista di congressi e riunioni che abbiamo fornito è ben lontana dal potersi
definire completa. Diversi sono gli incontri (anche oltre oceano e anche fra
educatori sordi, in risposta a quelli organizzati dagli oralisti) che sono stati tenuti
nel corso degli anni54. Anche per questi rimandiamo alla lettura di testi specifici,
come il dettagliato volume di Giulio Ferreri, Disegno Storico dell'Educazione dei
Sordomuti, parte terza.
Abbiamo finora visto i risultati, in termini di adozione e perfezionamento del
metodo orale nelle scuole per sordomuti, e di scambio di informazioni ed
esperienze, della serie di incontri e congressi nazionali ed internazionali tenutisi
tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Rimane comunque indispensabile
specificare come, nonostante il generale aumento di interesse in questo campo, i
cambiamenti rimangono spesso ancora a livello teorico. È, infatti, vero che in
Europa e anche oltre oceano si diffonde in questo periodo in maniera significativa
la letteratura speciale, sempre più orientata verso riviste e articoli di carattere
specifico (pedagogia, didattica, anatomia patologica, otologia, laringologia,
fonetica applicata, storia, statistica, ecc.), ovvero verso la stampa periodica. È
54 Senza contare che questi incontri, a volte anche solo a livello regionale o provinciale, si intensificano con l'avanzare del XX secolo.
altresì vero, però, che molti sono ancora i problemi riguardanti il mondo dei
sordomuti e della loro educazione. In quasi ogni nazione è evidente il
disinteressamento del governo nei confronti dell'istruzione dei sordomuti e degli
anormali in generale. La maggior parte degli istituti si deve ancora alla
beneficenza o all'iniziativa privata. Non esiste ancora nella maggior parte dei
paesi55 un'adeguata legislazione in materia, atta alla regolamentazione degli istituti
per sordomuti e all’organizzazione di Scuole Normali per l'abilitazione degli
insegnanti per sordomuti. Il risultato è una cattiva amministrazione e distribuzione
territoriale dei primi, insieme ad una notevole scarsità delle seconde. Nonostante
ripetuti progetti di legge, infatti, in molte nazioni le mete principali non sono
ancora state raggiunte. Identifichiamo con queste mete le leggi sulla tutela e sul
diritto all'istruzione per tutti gli anormali.
“Eppure se c'è un diritto del tutto indiscutibile pel sordomuto, è
quello dell’istruzione.”56
ed il riconoscimento giuridico delle scuole per sordomuti come istituti di
istruzione, e degli educatori dei sordomuti come tali.
Dall’unità d’Italia al 1923 lo stato si occupa dell’educazione speciale che è
delegata ai comuni e ai privati, in particolare i bambini sordi, a partire dall’età di
otto o dieci anni, venivano istruiti per sette anni in istituti prevalentemente di tipo
religioso.
Nel 1923 con la Riforma gentile la scolarizzazione dei sordi diviene obbligatoria
fino al sedicesimo anno di età e si deve attuare negli Istituti Statali per Sordomuti
o in classi speciali di scuole elementari.
Negli anni 60 vi è l’istituzione di classi differenziali nelle scuole dell’infanzia,
elementari e medie e viene riconosciuta l’esigenza di avvalersi di insegnanti
speciali.
55 Fanno eccezione in particolar modo i paesi della Scandinavia, in cui l'istruzione dei sordomuti è obbligatoria per legge, e dove lo Stato si occupa sia della sovvenzione e dell'organizzazione degli istituti, che della preparazione degli educatori, per l'abilitazione dei quali è previsto solitamente il sostenimento di un esame di Stato. Anche paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania e altri possono comunque in parte vantare un certo interessamento del governo nell'organizzazione di istituti per sordomuti oppure di Scuole Normali per un'adeguata e competente preparazione dei loro educatori. 56 Ferreri G., op.cit., parte terza, (pag. 144).
Negli anni 70 per la prima volta con la Legge 118 del 30/03/71
Si prende in esame la situazione delle cittadine in situazione di handicap da vari
punti di vista, sociale, sanitario, ed economico.
Si garantisce la possibilità di compiere l’intero iter scolastico nelle classi normali
della scuola pubblica, ma per i sordi si rende necessario un periodo più o meno
lungo di trattamento in strutture speciali in vista di un successivo inserimento
scolastico.
E’ solo con la legge n. 517 dello 04/08/1977 che si ha realmente l’integrazione dei
sordi e degli altri tipi di disabili nelle scuole comuni. Viene stabilito che le classi
che accolgono alunni disabili devono essere costituite con un massimo di 20
alunni ( in seguito con DM n 141 dello 03/06/99 il Ministero dell’Istruzione
stabilisce che una classe che accoglie un disabile non può avere più di 25 alunni,
20 se nella classe è iscritto più di un disabile ).
Si prevede per queste classi il servizio socio-psico-pedagogico al fine di
realizzare la necessaria integrazione specialistica , e forme particolari di
sostegno.
L’obbligo scolastico si adempie anche per i bambini sordomuti, nelle scuole
speciali o nelle classi ordinarie delle pubbliche scuole, elementari e medie. E’
previsto il trasporto gratuito dall’abitazione a scuola e si fissano i posti del
personale di sostegno ( di regola, uno ogni quattro alunni in situazione di
handicap).
1.4 Brevi cenni storici sulla lingua dei segni italiana nell’educazione dei
sordi
La ricerca si basa su raccolta dei libri italiani relativi all'educazione dei sordi,
evidenziando solo gli scritti dalla fine del Settecento dove si indica con il termine
"lingua" la modalità comunicativa dei sordi. Lo studio vuole accertare se la Lingua
dei Segni esisteva in ambito scolastico, se era ricca, da chi veniva usata e in quali
contesti. Lo studio vuole anche analizzare i motivi per i quali la Lingua dei Segni
viene talvolta accettata ed altre volte rifiutata dalla società italiana. Vengono
anche discusse le opinioni dei sordi dell'Ottocento ad oggi sull'educazione e in
particolare sulla Lingua dei Segni. Dopo un lungo periodo di silenzio, si comincia
oggi in Italia a parlare della Lingua dei Segni e del suo ruolo in ambito educativo
(ad esempio, vedi numeri 2/1990, 3-4/1991. 2/1991 della Rivista "L'Educazione
dei Sordi").
Sono consapevole che per una corretta indagine storica bisognerebbe essere degli
‘storici di professione. Mi auguro, però, che questo mio lavoro possa venire
ugualmente accettato come una ricerca condotta dal mio particolare punto di vista:
quello di una persona sorda che già da diversi anni si occupa di esplorare e
analizzare la Lingua dei Segni. Ancora oggi per me questa lingua è ‘inesplorata’ in
particolar modo sotto l’aspetto fonologico e morfologico e proprio la complessità
di questa lingua mi spinge a chiedermi come sia stata fino ad oggi giudicata dagli
educatori e dai sordi.
Sappiamo che il Congresso di Milano (1880) ha spinto tutti verso la ‘parola’. anzi
la ‘parola pura’, cioè verso la filosofia oralista, che vige ancora adesso, anche se
forse in tono minore. Riguardo a tale periodo Ferreri (1893, p. 24) accenna come
molti educatori, prima ‘convinti’ dell’opportunità di usare i segni, adottino invece
l’idea di «dare nell’istruzione dei sordomuti il primo posto alla parola orale e letta
dal labbro.».
Questo breve scritto, a mio parere, vuole contribuire a capire i motivi per i quali la
Lingua dei Segni viene talvolta accettata e altre volte rifiutata dalla società italiana
e, in particolare, aiutare a chiarire l‘opinione attuale delle persone sorde, che sono
divise sul tipo di educazione con o senza Lingua dei Segni.
Esaminiamo, in primo luogo, i documenti scritti dove abbiamo trovato un cenno
sulla Lingua dei segni o, come a volte viene denominata, la «lingua dei gesti».
Comunque, mettiamo in evidenza solo gli scritti dove si indica con il termine
‘lingua’ la modalità comunicativa dei sordi.
Le testimonianze scritte da parte degli educatori italiani risalgono tutte a prima del
Congresso di Milano:
1793 - Abate Tommaso Silvestri: primo educatore dei sordi romani, al ritorno
dalla scuola parigina aveva scritto un lavoro dove diceva che si usavano i segni
per stimolare l’intelligenza del ragazzo sordo e che «questi segni appunto ha
adottato la scuola per la di lui istruzione, combinati peraltro, ragionati e corretti...
Ed affinché restituito egli sia interamente alla società, non trascura la scuola di
addestrarlo a capire dal solo movimento delle labbra un pensato discorso, per
poterne dare su due piedi, senz’altro soccorso che la viva voce, la convenevole
risposta» (vedi: Pinna, Rampelli, Rossini e Volterra, 1990). Possiamo quindi
dedurre che l‘educazione alla ‘viva voce’ avvenisse proprio grazie al lavoro
precedentemente svolto con i ‘segni metodici’, anche se successivamente Silvestri
è stato ricordato come primo educatore oralista!
1885 - D. Geminiano Borsari: istruttore onorario nell’educatorio dei sordo-muti di
Modena, antico coadiutore del Fabriani, ha scritto «Una guida all’insegnamento
della lingua italiana ai sordo-muti». Questa guida iniziava con la spiegazione dei
«Principi generali dell’istruzione del Sordo-Muto nella lingua italiana», dove
veniva chiarito che, oltre all’obiettivo di far conoscere ai sordi la lingua italiana, è
necessario conoscere il loro linguaggio. Questa prima parte si articolava nei
seguenti paragrafi: nel Capo 1, «Lingua del Sordo-Muto» e il suo sommario: «1. il
sordo-muto, benché privo della parola, usa di sua ragione. 2. Ha una lingua. 3. In
che consista. 4. Necessità nell’istruttore di apprendere la lingua del sordomuto» (p.
2-4).
1857- Sac. Ciro Marzullo: il suo Lavoro «La grammatica pei sordo-muti» riporta
le illustrazioni di segni «creati» appositamente per l’apprendimento della lingua
scritta o, più precisamente, di alcune parti del discorso. Queste tavole ci mostrano,
senza ombra di dubbio, che erano utilizzati anche in Italia. Come nelle scuole
francesi, i cosiddetti ‘segni metodici’. Lo stesso Autore indica del resto la «leale»
linea da seguire per i novelli istitutori: «1. che l’istitutore si familiarizzi pria col
suo Allievo, e procuri studiare in esso i gesti, i lazzi, le mimiche espressioni, la
chironomia tutta insomma del muto linguaggio prestato dallo stesso allievo e che
col frequente esercizio sì rende comune ad entrambi…» (Marzullo, 1857, p. V).
Leggendo queste righe non ci é chiaro quale tipo di linguaggio «muto» potesse
avere l‘allievo che, non dimentichiamo, andava in istituto proprio per ricevere
un’istruzione.
D’altra parte, queste metodologie potevano avere un notevole successo, perché i
sordi, apprendendo con facilità le nozioni della lingua italiana. Erano in grado poi,
attraverso la lettura labiale e la modalità scritta, di ricevere una buona istruzione.
Non dobbiamo, inoltre, dimenticate che a quell’epoca il tasso di analfabetismo
nella popolazione udente era altissimo (ad es. nel 1861 la percentuale degli
analfabeti in Italia era del 78%) e in qualche modo i sordi, anche se con un basso
livello di istruzione, si trovavano in una posizione di vantaggio perché comunque
venivano scolarizzati. Inoltre, gli scritti lasciati dai sordi in quell’epoca sono una
prova ulteriore che c’era la possibilità di un alto livello d’istruzione.
Infatti, grazie a Rota e a Ferreri, che hanno inserito nelle loro bibliografie la
dicitura ‘sordomuto’ in parentesi, abbiamo scoperto libri scritti da autori sordi, che
però risultano introvabili nelle biblioteche italiane. Con una certa fatica siamo
riusciti a recuperarli, anche con la collaborazione di altri sordi, e ora abbiamo
questi testi:
1834 - Paolo Basso: «Cenni su la vita e l’avvenuta morte del giovane sordo-muto
Ottaviano Gonella», racconta la vita del suo compagno, che é riuscito a
comprendere la religione grazie all’educazione avuta presso l’Istituto Assarotti
(Genova) e ad esprimere con la lingua dei segni la Confessione e la Preghiera. Il
suo nome figurava, a Torino, quale denominazione dell’associazione dei sordi.
1852 - Giuseppe Minoja: il suo scritto «Compendio di dottrina religiosa,
scientifica e morale ad uso dei sordomuti e di quanti sono in condizioni meno
favorevoli per istruirsi» (1858) è ancora difficile da recuperare. Ma abbiamo un
altro suo libro (1852) «Sulla necessità dell’educazione dei Sordo-Muti» con il
sottotitolo «Pensieri del Sordo-Muto Giuseppe Minoja, maestro e direttore dello
stabilimento di Villanova». Da questo libro non abbiamo potuto ricostruire né la
sua biografia né l’indicazione del suo metodo, mentre da altro fonti risulta che era
sordo dalla nascita, che era stato educato nel R. Istituto di Milano e che era
divenuto insegnante prima a Villanova, Lodi, (1832), poi al nuovo Istituto per
Sordomuti (1856) situato nell’area dell’antica chiesa di S.Gualtiero a Lodi, ed
infine era stato ‘licenziato’ (1862) per il cambiamento nel metodo di
insegnamento. Sappiamo anche che, come riporta Agnelli nella sua storia di Lodi,
fu dimenticato da tutti.
1858 - Giacomo Carbonieri: ha scritto diverse opere che siamo riusciti a
recuperare. In particolare, in una di queste opere, «Osservazioni sopra l’opinione
del Signor Giovanni Gandolfi intorno ai sordomuti», illustra diversi tipi di sordi, le
loro caratteristiche e le loro necessità. Una cosa bellissima, a mio avviso, che ha
scritto Carbonieri è che la Lingua dei Segni è essenziale per il rendimento
intellettuale del sordo, Non siamo riusciti a raccogliere altre notizie su questo
sordo—muto; soltanto nel libro di Giuseppe Rota (1879) «L’emancipazione dei
Sordo-Muti» viene citato quale professore dell’Istituto di Modena. Supponiamo
che sia l’istituto delle Figlie della Provvidenza per l’educazione delle
sordomute.
Anche se la loro fama è praticamente scomparsa, gli scritti di questi Autori
testimoniano che già verso la metà dell’Ottocento c’erano persone sorde che si
occupavano di aspetti educativi.
Tra l’altro, ho trovato interessante che in quel periodo (erano sordi che
insegnavano ai ‘futuri educatori’, come il Pendola, che era stato in contatto con i
sordi prima di intraprendere la sua attività (Cimino, 1/1990), e come il Mariani,
successore di T. Silvestri, che aveva chiesto aiuto agli ultimi allievi del suo
predecessore per imparare il metodo (Pinna e al., 1990).
Si può supporre che la situazione scolastica in quell’epoca, diciamo prima del
Congresso di Milano, secondo le testimonianze scritte sia da parte degli udenti che
da parte dei sordi, favorisse la presenza della Lingua dei segni e degli educatori
sordi, anche se in minor numero rispetto agli udenti. Resta il rammarico di non
conoscere se ci sia stato, in quell’epoca, un dibattito fra i sordi sull’educazione,
come riferisce Lane (1984) per la Francia.
Per quanto riguarda gli scritti post-Congresso, non abbiamo rilevato alcun cenno
in merito alla lingua dei sordi: sono tutti più o meno céntrati sull’uso della parola
parlata, come testimoniano le risposte date a un questionario sul mezzo di
comunicazione e metodo nell’insegnamento della lingua nazionale e dello altre
materie (pp. 4O-49) riportale nella relazione di Raseri «Gli istituti e le scuole dei
sordomuti in Italia». In questa relazione vengono riferiti i risultati dell’inchiesta
statistica ordinata dal Comitato locale per il’Congresso internazionale dei maestri
dei sordomuti’ tenutosi a Milano nel settembre del 1880. Per maggiori dettagli
sulla svolta degli educatori intorno alla fine del 1860, sotto l’influenza della scuola
tedesca, si veda Lane (1984), Facchini (1981-1985).
In quest’epoca non troviamo libri pubblicati dai sordi; probabilmente c’erano ma
non con la specificazione ‘sordomuto’ accanto al nome dell’autore, come quelli
già citati precedentemente. E’ probabile anche che non ci fosse alcun libro in
quell’epoca perché la filosofia dell’educazione post-Milano non era puntata molto
sulla scrittura e fa supporre un calo di ‘scrittori’ sordi e un aumento forse di
‘parlatori’ sordi. Evidentemente la filosofia degli educatori oralisti ha influenzato i
sordi, molti dei quali sono tuttora abbastanza convinti che sia indispensabile saper
produrre e/o articolare bene la parola per mettersi in relazione con il mondo
esterno.
Quindi è evidente che la situazione educativa dei sordi era molto diversa prima e
dopo il Congresso di Milano.
Intorno al 1920 il programma educativo era sempre ugualmente fermo al principio
di ‘viva la parola’, mentre erano fiorite le Associazioni dei sordi. I leader di queste
associazioni normalmente erano sordi; a volte erano di esempio, sia come risultato
dell’educazione ricevuta che come simbolo di persona sorda che rappresenta la
propria categoria. Infatti, hanno istituito, dopo la seconda guerra mondiale, delle
scuole processionali, poi le scuole medie inferiori ed infine le scuole superiori per
i sordi. C’erano insegnanti sordi, tanto per citare un esempio: lo stesso Antonio
Magarotto, e poi c’erano degli insegnanti udenti che, volontariamente,
conoscevano la comunicazione visivo-gestuale. I leader delle associazioni dei
sordi, di solito, oltre che dirigenti erano anche maestri. Cito un esempio: i sordi
triestini ricordano ancora quanto era stato importante per loro quando nella scuola
elementare avevano avuto le lezioni pomeridiane con il sordo Federico Menossi:
avevano appreso tante cose da lui, anche se purtroppo l’esperienza era durata
poco, per l’arrivo della guerra. Anche in questo periodo, nonostante l’istituzione
delle scuole voluta dall’associazione dei sordi, non figurano in un modo chiaro né
la denominazione né il tipo di comunicazione che si usava fra i sordi. Per quanto
riguarda i libri, si è iniziato a parlare di linguaggio mimico o di metodo mimico
citando la scuola svedese. Non si vede traccia di qualcosa di semplice e reale come
i testi di Borsari, o Marzullo, che avevano indicato come lingua la conversazione
manuale dei bambini sordi.
Credo doveroso ricordare ugualmente che i leader dell’Associazione in
quell’epoca avevano una buona competenza nella lingua parlata e scritta, e molto
spesso svolgevano un ruolo di ‘maestri’ nei confronti degli altri soci sordi. Va
sottolineato, dunque, lo sforzo da parte dei sordi più istruiti di educare, o meglio di
recuperare gli altri sordi che uscivano da una struttura scolastica abbastanza bassa
come livello educativo. Era più o meno lo stesso obiettivo perseguito da Giuseppe
Minora, quando aveva lottato per essere riammesso del corpo docente.
Questa attività dell’Associazione nel campo dell’istruzione voleva dimostrare che
ai sordi andava concessa la possibilità di frequentare oltre il primo livello di
scuola. In pratica i sordi non volevano solo il diritto di sopravvivere ma anche
quello di ricevere più istruzione.
L’attuale situazione non ci dà la possibilità di analizzare la presenza della Lingua
dei Segni nell’ambito scolastico, a causa del fatto che la maggior parte dei
bambini sordi sono inseriti separatamente nella scuola pubblica. Questo significa
che conoscono o, meglio, hanno un approccio solo con la lingua italiana per
poter’relazionare’ con la maggioranza, cioè gli udenti: la famiglia, gli insegnanti, i
compagni di classe, le logopediste, ecc., e di solito hanno avuto poche occasioni di
stare con altri sordi, sia piccoli che grandi. E’ normale che non ci sia La lingua dei
segni in questo scuole, dove mancano anche gli scambi di ‘parole’ o ‘giochi di
parole’, anche in segni, come fanno di solito i bambini quando giocano in gruppo.
Sappiamo che ultimamente ci sono state delle richieste da parte degli insegnanti di
apprendere questa lingua per poter’facilitare’ l’insegnamento dell’italiano a
bambini sordi inseriti.
A parte l’efficacia o no della legge n.517/1977, come pure l‘ambiguità sulla libera
scelta della scuola da parte dei genitori (scuola pubblica con bambini udenti o
scuola per sordi), sono stati creati in diverse città (Torino, Genova, Roma) dei
programmi di educazione ‘bilingue’, con la cooperazione fra gli operatori e alcune
persone sorde adulte. Questi programmi sono ancora ‘in incognito’ nel senso che
gli operatori, anche se sono consapevoli delle necessità del bambino sordo,
prestano la loro opera secondo i ‘desideri’ degli altri, soprattutto dei genitori, che
sono ancora terrorizzati all’idea che la produzione gestuale evidenziata nei loro
figli ‘uccida’ la loro produzione verbale. Fanno eccezione alcuni genitori, come ad
esempio Elia (2/1991), che invece sono convinti della ricchezza della lingua dei
segni e soprattutto dell’utilità di mandare i loro figli dove ci sono altri bambini e
insegnanti sordi, perché possano perfezionare il proprio linguaggio guardando i
più grandi, come aveva già sottolineato Carboneri (1858, p. 37) e come aveva
ribadito Minoja, nel 1860, insistendo per ottenere un regolare ruolo professionale
per la persona sorda adulta (Agnelli, 1964).
Dalle ricerche svolte presso l’istituto di Psicologia del C.N.R. in questi ultimi
anni (Rampelli, 1986; Caselli e Rampelli, 1989) emerge che attualmente i bambini
sordi, inseriti sia nelle scuole speciali che nelle scuole di tutti, raggiungono una
competenza linguistica in italiano inferiore a quella dei coetanei udenti; mentre per
quanto riguarda la lingua dei segni andrebbero condotte verifiche più appropriate.
Questa inferiorità, che può avere serie conseguenze anche sul piano intellettivo,
era prevedibile come sono prevedibili analoghi risvolti negativi sul piano della
personalità. Come tutti i ragazzi, anche fra i sordi c’è stata e ci sarà sempre una
forma di ‘competitività’ ed un’esigenza di confronto sul piano delle abilità e delle
competenze che non è possibile soddisfare oggi attraverso inserimento.”57
In Italia i sordi hanno sempre usato questa lingua e già nel 1858 Giacomo
Carbonieri, un insegnante sordo, ne parla sottolineandone il valore e l’importanza
per la persona sorda. La lingua viene dalle persone, delle comunità. Una lingua
esiste perché esiste una comunità che la usa. E il valore scientifico di una lingua
dipende dalla capacità che la comunità ha di trasmetterla alle generazioni
successive.
“Origini e storia della lingua dei segni - Il linguaggio dei segni è un insieme
strutturato e organizzato di gesti, utilizzato fra persone che non parlano la stessa
57Corazza S.,La lingua dei segni nell'educazione dei sordi,L'educazione dei sordi, 4, 1991,(pag. 311-320).
lingua o fra persone affette da sordità. Un linguaggio di segni universalmente
diffuso è quello elaborato per persone prive di udito, i movimenti delle mani sono
principalmente di due tipi: gesti naturali o mimici per rappresentare oggetti, idee,
emozioni, sensazioni; segni metodici o sistematici per esprimere principalmente la
lingua scritta. Con altri sistemi gestuali si esprimevano alcuni gruppi etnici
dell'India e dell'Australia, noti anche quelli di alcuni popoli dell'America del Nord
che utilizzavano come mezzo di comunicazione fra gruppi di lingua differenti
riuscendo a esprimere con i gesti anche conversazioni molto dettagliate;
esistevano anche segni speciali per ciascuna tribù, fiumi e montagne particolari e
altri elementi del paesaggio.
I segni usati dai sordi non sono un tempo insieme di gesti per comunicare, essi
hanno una grammatica ben precisa, regole per i verbi, per il plurale e il singolare,
costituiscono, cioè, una vera e propria lingua al pari della lingua vocali. I sordi
l'hanno sempre usata, anche se per molto tempo di nascosto, poiché i gesti erano
considerati 'poveri' e si riteneva che usandoli i sordi non avrebbero mai imparato a
parlare.
La lingua dei segni in Italia - All'inizio degli anni '60, grazie agli studiosi che si
sono occupati della lingua dei segni, dall'America con W. Stokoe sino all'Italia
con V. Volterra, si è giunti alla conclusione che la Lingua dei Segni è una lingua
vera e propria sotto tutti i punti di vista grammaticali, sintattici, morfologici, e con
il riconoscimento giuridico da parte del Parlamento Europeo del 1988 diventa la
lingua ufficiale dei sordomuti.
La grammatica della LIS - La lingua dei segni italiana è un metodo comunicativo
che utilizza il canale visivo-gestuale, invece del nostro che utilizza il canale
acustico-verbale”58.
Purtroppo noi sordi troviamo due gruppi con opinioni divergenti per quanto
riguarda la modalità comunicativa usata tra noi: un gruppo ritiene che questa
forma di comunicazione è una vera e propria lingua diversa dall’italiano e che in
quanto tale vada rispettata; l’altro gruppo non è consapevole di questa realtà 58 Attili G., Ricci-Bitti P.E, I gesti e i segni, Bulzoni, Roma, 1993. - Volterra V. La Lingua Italiana dei Segni: la comunicazione visivo-gestuale dei sordi, Il Mulino, Bologna, 1987.
linguistica. Un esempio di quest’atteggiamento lo troviamo nei leader del passato,
che erano per la maggior parte ‘persone diventate sorde’ e usavano le mani come
ausilio per poter trasmettere le loro intenzioni in italiano agli altri, sia sordi che
udenti, senza rendersi conto dell’effettiva comprensione degli stessi. Così, questo
mezzo di comunicazione, diciamo ‘ibrido’, lo troviamo ancora fra i sordi attuali,
soprattutto quelli non nati sordi, ed anche fra gli insegnanti specializzati che ora
dicono di sapere usare i segni.
2 CAPITOLO
EDUCAZIONE PER SORDI, OGGI
2.1 I cambiamenti avvenuti negli ultimi Decenni
Sarebbe a questo punto riduttivo interrompere questa rassegna storica senza
osservare che, tra la conclusione, dalla prima metà del XX secolo fino ad oggi è
trascorso ancora un significativo lasso di tempo. Questo lasso di tempo non
soltanto ha reso reale la precedentemente solo teorizzata estensione
dell'educazione a tutti i sordomuti a livello universale59, ma ci ha anche fornito di
ricercatori e studiosi60 in campo pedagogico, medico e persino informatico, i cui
contributi nel campo della sordità hanno portato a risultati fino a qualche anno fa
ancora impensabili. A livello di metodologie rieducative per gli audiolesi61
possiamo notare un rinnovato interesse per i linguaggi segnati (che ha portato per
esempio all’elaborazione intorno agli anni ’60 del cued speech da parte di Orin
Cornett, o al diffondersi della comunicazione totale e bimodale) così come lo
sviluppo di tecniche completamente innovative (segnaliamo a titolo di esempio il
59 In Italia questo avverrà nel 1977 con la legge speciale n. 517 (successivamente ampliata, con la legge n. 270 del 1982, fino al raggiungimento di una completa integrazione scolastica, a partire dalla scuola materna), secondo la quale, come si legge in: Caselli, Maria Cristina; Maragna, Simonetta; Pagliari Rampelli, Laura; Volterra, Virginia; op. cit., pag. 35, “[...] ogni handicappato (compresi i sordi) può essere inserito nella scuola normale.” con lo scopo di “[...] realizzare una più completa integrazione delle persone handicappate, ed una loro reale equiparazione, anche sul piano educativo. Attualmente, infatti, le famiglie dei bambini sordi possono "scegliere" fra scuola speciale per sordi e scuola con gli udenti. Nella scuola con gli udenti lo Stato garantisce al bambino sordo un insegnante di sostegno per alcune ore settimanali. L'inserimento è stato ormai "scelto" dalla maggior parte dei genitori.” 60 E’ proprio nel XX secolo che nasce la figura dello specialista, del logopedista. 61 Avremo modo di ampliare questo discorso nel prossimo capitolo.
metodo verbo-tonale dello slavo Petar Guberina). Inoltre, i recenti progressi e le
nuove possibili tecnologie nell'ambito della logopedia62 e della cura della sordità
(perché proprio di cura si può parlare, grazie all'impiego di sofisticate protesi
acustiche per lo sfruttamento dei residui uditivi, oppure di interventi come
l'impianto cocleare nel caso di sordità profonde o totali) sono infatti state tali da
rendere al giorno d'oggi improprio il termine sordomuto, del quale sempre meno
ci serviremo nel corso del nostro lavoro. Possiamo infine constatare come dei
rudimentali ed apparentemente vani esperimenti, come quelli praticati da Itard
nell'istituto di Parigi, celino un (magari lontano) futuro di evoluzioni e sviluppi in
cui è giusto credere, affinché questo diventi un giorno realtà.
2.2 L’influenza del pensiero pedagogico e filosofico del passato sulla visione
presente e futura.
“Sordomuti, la guerra dei Segni”. Comunicato Stampa ENS
L'Ens nei suoi 75 anni di vita mai ha ingaggiato guerre ideologiche su ciò che è o
deve essere la persona sorda! Per questa ragione, sorprende e indigna l'articolo
strumentale di pag.17 de La Repubblica dove tra l'altro vengono elencate una serie
di situazioni e circostanze non veritiere e strumentali.
Senza scivolare nella polemica, va subito detto che è umanamente comprensibile il
terrore della fiadda - da sempre contraria alla Lingua dei Segni - di veder
riconosciuta con una legge la predetta lingua, utilizzata in ogni contesto socio -
culturale-educativo, dalla stragrande maggioranza dei Sordi e da un numero
sempre crescente di udenti operatori in settori diversificati del sociale, sanitario,
nonché del mondo accademico e medico scientifico.
L’Ens pertanto contesta in toto la contrapposizione fittizia che l’Associazione
FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi)
cerca di dare all’opinione pubblica riguardo alla sordità e chiunque ne è colpito.
Primo punto: non chiamateci SORDOMUTI! Abbiamo fatto del termine una
questione di civiltà e di diritti e con Legge n.95 del 20/02/2006 SIAMO SORDI E 62 Basata sempre più sulla precocità di diagnosi, protesizzazione e riabilitazione del soggetto, oltre che sul coinvolgimento dell’ambiente famigliare e scolastico di questo, al fine di stimolarne e motivarne l’apprendimento.
BASTA!
Secondo punto: lo screening, è un obbligo per lo Stato che ogni Regione disponga
di Centri altamente qualificati e all’avanguardia per la diagnosi precoce, lo
screening neonatale per tutti i bambini che presentano patologie sospette e/o
genetiche di tal natura, INDIPENDENTEMENTE DALLA SCELTA
RIABILITATIVA DELLA FAMIGLIA;
Terzo punto: prima la parola, NO, PRIMA LA PERSONA, I SUOI DIRITTI, IL
SUO ESSERE! Il che significa che al centro del progetto di vita del bambino,
qualunque sia la SCELTA della famiglia va rispettata la sua essenza di ESSERE
UMANO!
Quarto punto: lingua di stato, in nessun disegno di legge, in ogni richiesta
dell’Ens MAI è stato chiesto il riconoscimento della LIS quale lingua di Stato ma
LINGUA DI MINORANZA, quale strumento di integrazione e di inclusione
sociale delle persone sorde che LIBERAMENTE SI RICONOSCONO E
UTILIZZANO LA LINGUA DEI SEGNI, scientificamente LINGUA visiva con
tutte le caratteristiche delle altre lingue vocali, così come ampiamente riconosciuto
in 44 paesi del mondo, nonché da due risoluzioni del Parlamento europeo, da
trattati internazionali, nonché dalla recente Convenzione ONU sui diritti delle
persone con Disabilità;
Quinto punto: minoranza/etnia; il mondo dei sordi esiste al di là del fatto che
piaccia o no ed esiste perchè esiste un sentimento di Comunità, esistono norme di
comportamento, Valori caratterizzanti, usi, struttura sociale, linguaggio ed Arte;
esiste una STORIA dei Sordi che è patrimonio di tutta l’Umanità.
Smettiamola di innescare crociate e guerre ideologiche che non portano da
nessuna parte, i percorsi educativo/riabilitativi sono possibili e alternativi, il Gens
chiede RISPETTO, LIBERTA DI SCELTA, CHIEDE CHE IL
RICONOSCIMENTO DELLA LINGUA DEI SEGNI ITALIANA POSSA
ESSERE STRUMENTO LEGITTIMO DI PIENA CITTADINANZA PER LE
PERSONE SORDE NELLA SCUOLA, NEL LAVORO, NELLA
FORMAZIONE, NEI MEDIA, IN POLITICA! CHE I CITTADINI SORDI SI
SENTANO LIBERI DI VIVERE COME TUTTI e non "cloni" di modelli
stereotipati!
La nostra rivendicazione è il RICONOSCIMENTO DELLA LINGUA DEI
SEGNI per chiacchierare con gli amici, per andare a ballare, per esserci nella vita
della comunità, per prendere decisioni politiche, per decidere della nostra qualità
della vita, per amare e per dissentire, nel rispetto delle differenze che sono
RISORSA e ricchezza per ciascuno e per l'intero Paese. Infine BASTA
CONSIDERARE LA SORDITA' COME MALATTIA E IL SORDO COME
PERSONA DA CURARE!
Ida Collu, sorda profonda dall' età di cinque anni, Presidente Nazionale dell’ ENS
La risposta del Ministro Ferrero all'intervista di Stefano Carreda su Il Manifesto
del 31 marzo 2007.
"Oggi siamo impegnati nel tentativo disporre un disegno di legge sulla questione
della lingua dei segni (Lis), un argomento sul quale non sono mancate le
polemiche anche fra le stesse associazioni. Deve essere chiaro che per noi la Lis
non deve affatto sostituire le politiche che puntano a rimuovere il problema
all'origine. Vogliamo cioè che il ddl sia in grado da un lato di valorizzare tutti gli
elementi possibili di educazione che possano permettere il raggiungimento di una
comunicazione verbale (sopratutto nel bambino, che deve essere aiutato giù in età
precoce), e dall'altro che si riconosca ufficialmente anche la Lingua dei Segni. Ci
sembra questo in modo corretto per affrontare la questione" -
Fonte: Il Manifesto
La solita storia!
Il conflitto del "pro" e "contro" della lingua dei segni nell'attività didattica e
pedagogica speciale non é una novità per il mondo dei Sordi.
Da quella decisione in poi la Comunità Sorda continua ad usarsi la propria lingua
difendendo, fino all'ultimo osso, tutto il suo patrimonio culturale, linguistico e
storico. Leggiamo, fra l'altro, l'articolo dell'Educatore dei Sordi Prof. Arrigo
Saggion.
Solita storia perché è da secoli che si polemizza sul metodo da usare per i nostri
ragazzi sordi: se quello orale o quello dei gesti. Roba vecchia: se ne parlava già
nel ‘600. Oggi l’evoluzione, il progresso tecnico, lo sviluppo sociale ha portato
qualcosa di nuovo? Direi di sì. Almeno una maggior apertura di colloquio, di
sensibilità verso i fratelli sordi. A questa apertura deve corrispondere un più
doveroso impegno da parte dei giovani sordi per affrontare la società che ora più
di allora s’interessa di loro. Il lavoro, le comunicazioni, le situazioni varie della
vita devono impegnare di più e facilitare questa comprensione e l’inserimento
sociale.
Un mezzo utile per questo inserimento è la lettura labiale: il sordo deve trovare
facile leggere sulle labbra degli altri, come sulle pagine d’un libro. Lo sforzo oggi
di questa lettura labiale è tanto più necessario quanto più la vita e la società si
aprono ad accogliere il sordo. Non si può pretendere che gli udenti imparino i gesti
dei sordi, anche se la trasmissione televisiva del martedì ha suscitato un certo
interesse per questi simboli tracciati nell’aria, Molto più utile sarebbe invece una
trasmissione con le didascalie, come avviene facile per il sordo abituarsi ai
movimenti labiali degli amici, delle persone che incontra, con le quali può parlare,
colloquiare con una certa bravura.
A questo proposito è anche da tener presente i rovinosi effetti grammaticali,
sintattici, stilistici e lessicali che reca con sé la mimica.
Essa uccide la grammatica, non coniuga un verbo; non ha punteggiatura, ha gesti
uguali per parole spesso anche differenti. I sordi devono usare del gesto come un
grande amico della parola, ma non un amico insostituibile, non un amico unico.
L’utilità del gesto tra i sordi è stata sempre dimostrata in vari congressi anche
internazionali. Ma si tenga presente, e con ragione, che le due forme di espressioni
sono inscindibili. La parola però esprime il pensiero, il gesto lo commenta. Il gesto
non deve mai sostituire la parola. Sono due amici, la parola e il gesto che vanno
benissimo d’accordo, ma il gesto che ha sempre bisogno della parola. Essi sono
fenomeni sincronici, concomitanti e spesso espressione anche del carattere. Le
persone loquaci gesticolano di più, quelli silenziose di meno. Ma imparino i nostri
giovani sordi a parlare di più. E’ il consiglio che io do sempre a loro: amici,
parlate. Oggi in un mondo dove le chiacchiere sono perfino troppe, almeno
servano ai nostri fratelli sordi per esprimere una parola più assennata e precisa.
Mi fa sempre ridere l’aneddoto riportato da una rivista australiana dei sordi.
Durante un viaggio della Regina Elisabetta d’Inghilterra in Australia, fu
programmata una visita ad un Istituto i sordi. C’era un’afa terribile e tutti si
stringevano attorno alla Regina per salutarla e stringerle la mano. Il duca Filippo,
marito della regina, sempre premuroso ed attento, notò che la regina sembrava
stancarsi. Le si fece vicino e le bisbigliò qualcosa all’orecchio. Immediatamente,
con meraviglia del duca e imbarazzo della regina, tutti i giovani sordi scoppiarono
in una sonora risata. Il duca Filippo aveva dimenticato che i giovani sordi erano
abilissimi nel leggere sulle labbra e avevano perfettamente capito quello che aveva
bisbigliato all’orecchio della regina: «Avanti, patatina, scuotiti e prendi un’aria un
po’ più energica!»
La parola e la lettura labiale per voi amici sordi, sono un mezzo insostituibile,
sono tesori preziosissimi che vi arricchiranno di coraggio e di personalità. Fonte:
La Settimana del Sordo, 1976. - nw220 (2007)”63
Il primo capitolo dimostra che la storia dell’educazione dei sordi è nata dalle
ricerche mediche che vengono compiute attualmente relativamente all’argomento
sordità, riabilitazione educativa, la comunicazione dei sordi, la comunità sorda, la
scuola speciale, la lingua naturale e la nascita della comunità sorda.
Parleremo in modo approfondito nei seguenti capitoli del presente lavoro
soprattutto della condizione dei sordi che di solito venivano trattati come
handicappati, una posizione svantaggiata causata dal deficit sensoriale per cui il
soggetto non riesce ad avere un ruolo normale e ad essere integrato nella società:
come dice il famoso antropologo francese, Mottez B - 1979, “…..sono due facce
della stessa realtà. Il primo rimanda all’aspetto fisico, il secondo all’aspetto
sociale”. Si intende che in generale la società e il soggetto si mettono l’uno di
fronte all’altro purtroppo la società non trova il percorso giusto per rapportarsi al
soggetto con deficit sensoriale e di conseguenza quest’ultimo non riesce a creare il
collegamento.
63 Newsletter della Storia dei Sordi n.220 del 6 aprile 2007.
Ma parleremo anche di quelle esperienze in cui i sordi non venivano trattati come
disabili con deficit uditivo grazie alle ricerche sulla lingua dei segni, lingua
naturale della comunità sorda.
PARTE SECONDA
Il bambino sordo nella società italiana
1 CAPITOLO
EDUCAZIONE BILINGUE DEL BAMBINO SORDO
1.1 Sordità
“L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization,
2001) ha definito la sordità o ipoacusia un’acuità uditiva tale da non consentire
all’individuo di apprendere una lingua verbale, di partecipare alle attività tipiche
della sua età, di trarre profitto all’insegnamento scolastico. Rispetto all’eziologia,
l’ipoacusia può avere una causa genetica o ereditaria, può derivare da una
sofferenza del feto o dell’embrione nella fase di vita prenatale, da una serie di
complicazioni dovute alla nascita prematura o, più genericamente, a condizioni di
sofferenza perinatale, da patologie traumatiche, tossiche o infettive successive alla
nascita”64.
In questi ultimi anni la popolazione sorda si è ritrovata al centro di una
notorietà imprevista che ha determinato una vasta diffusione di informazioni
precedentemente riservate solo agli addetti ai lavori. E’ sorto il problema di
stabilire una terminologia adeguata per discorrere della questione sordità nell’era
del “politicamente corretto”. I termini sordo e sordità sono spesso oggetto di
correzione e pertanto il sordo è definito minorato dell’udito, non udente,
audioleso, ipoacusico, portatore di deficit uditivo ecc, mentre la sordità diventa
minorazione uditiva, audiolesione, anacusia, otologopatia ecc… Un altro termine
spesso usato per indicare le persone sorde è sordomuto, ma non può essere
considerato un sinonimo dei primi. Questa denominazione, infatti, risulta
imprecisa e può generare degli equivoci in chi non possiede competenze
specifiche. Essa suggerisce un impedimento oltre che dell’udito anche della
parola, ma in realtà il soggetto sordo, con un’adeguata terapia riabilitativa, può
imparare a programmare l’emissione della propria voce e quindi a parlare.
Il termine sordomuto è però ancora in uso nel sistema normativo italiano per il
64 Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006.
quale si considera sordomuto il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità
congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale
apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura
esclusivamente psicologica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di
servizio. ( art. 1 legge 381).
Recentemente il ministero del welfare ha stabilito che il termine sordomuto venga
sostituito da sordo preverbale nei documenti pubblici.
L’Ente Nazionale Sordi ( ENS) ritenendo che l’aggettivo preverbale descriva una
qualità inarrivabile per chi è al margine della società dei verbali, crede che il
termine “sordo prelinguale” rappresenti efficacemente la condizione delle persone
sorde in quanto fa preciso riferimento all’apprendimento del linguaggio che è
conseguenza del deficit.
“ I sordi, in quanto tali, preferiscono essere chiamati solo sordi”.
Spesso con il termine sordità si è portati ad indicare sia il deficit che l’handicap,
ma c’è una differenza sostanziale tra queste due accezioni:
- il deficit ( che in questo caso è la perdita uditiva ) è la mancanza o insufficienza
di una determinata dimensione sensoriale. Tutti i deficit sono misurabili con prove
oggettive che registrano la diminuzione di prestazioni conseguente a una lesione o
a una disfunzione;
la disabilità ( che nello specifico è l’ impossibilità di percepire e codificare i
suoni, in particolare quelli della voce e quindi capacità verbo- vocale
compromessa ) rimanda alle implicazioni socio-psicologiche del deficit e non è
misurabile oggettivamente. Una lesione si traduce in disabilità che comporta uno
o più handicap, la cui gravità è legata al valore che la cultura dominante
attribuisce all’abilità carente.
L’handicap è rappresentato da tutte quelle barriere che ostacolano la piena
integrazione sociale dell’individuo. E’ l’insieme delle situazioni e dei limiti che
causano l’esclusione. Nel caso della sordità si parla di BARRIERE DELLA
COMUNICAZIONE che impediscono la reale integrazione sociale, scolastica e
lavorativa delle persone sorde.
La sordità è la riduzione più o meno grave dell’udito. Dal punto di vista
clinico si distinguono diversi gradi di sordità diversamente correlati alla
possibilità di percepire i suoni linguistici e di sfruttare i residui acustici attraverso
l’uso delle protesi. In base ad una convenzione stabilita dal Bureau International
d’Audiophonologie si distinguono quattro gradi di sordità in base al grado di
perdita uditiva espresso in decibel (db)65:
- sordità lieve: con una perdita uditiva compresa fra 20 e 40 db;
- sordità media: con una perdita uditiva compresa fra 40 e 70 db;
- sordità grave: con una perdita uditiva compresa fra 70 e 90 db;
- sordità profonda: con una perdita uditiva uguale o superiore a 90 db.
Ulteriori distinzioni vengono operate nell'ambito della sordità profonda:
• 1° gruppo – sordità con curva pantonale che abbraccia tutte le frequenze fra i 125
e i 4000 Hertz all’intensità di 90 decibel;
• 2° gruppo - sordità con curva dai 125 ai 2000 Hertz all’intensità uguale o
maggiore di 90 decibel;
• 3°gruppo - sordità con curva detta a virgola dai 125 ai 1000 Hertz a intensità
maggiore di 90 decibel.
In generale si può affermare che una perdita uditiva oltre i 90 db impedisce,
anche con l'ausilio delle protesi, una corretta percezione delle parole (Favia,
Maragna, 1995). Le cause della sordità sono ancora oggi uno degli aspetti meno
chiari della diagnosi: questa incertezza è determinata dalla varietà di fattori che
possono causare la sordità. Le cause possono comunque essere distinte in due
grandi aree: le sordità congenite (insorte prima della nascita – cioè prenatali –, o
insorte dopo la nascita – postnatali – in quanto sordità genetiche progressive) e le
sordità acquisite (insorte al momento della nascita – cioè perinatali o neonatali – o
in seguito alla nascita – cioè postnatali).
Sordità prenatali:
- ereditarie: non si manifestano necessariamente alla nascita, infatti, in molti casi,
65 Dal punto di vista clinico la sordità è "la privazione, totale o parziale, della capacità di percezione dei suoni nel tempo" (Favia, Maragna, 1995, p. 277). Esistono diverse classificazioni della sordità costruite in base a diversi criteri: dal punto di vista topografico possiamo distinguere fra: sordità periferiche, dovute a lesioni del sistema di trasmissione del suono (sordità trasmissive), del sistema di percezione del suono (sordità neurosensoriali), o di entrambi (sordità miste); sordità centrali, dovute a lesioni delle vie nervose uditive che collegano i centri cocleari con le aree corticali.
sono di natura progressiva ovvero la perdita uditiva peggiora con il passare del
tempo.
- acquisite: malformazioni congenite, malformazioni tossiche (farmaci, tossici
endogeni), malformazioni endocrine-dismetaboliche (diabete, ipotiroidismo),
malformazioni infettive (sifilide, toxoplasmosi, virali).
Sordità perinatali: traumi ostetrici, ittero, ipossia, prematurità, anossia.
Sordità postnatali: sordità ereditarie e genetiche progressive, traumi cranici,
malattie infettive (otite media, meningite, encefalite, parotite, morbillo,
toxoplasmosi), intossicazioni da farmaci, malattie dell’orecchio medio
(perforazione della membrana timpanica, otosclerosi).
La percentuale di bambini che nascono sordi o lo diventano prima di
imparare il linguaggio è 1/1000 e la sordità ereditaria sembra rappresentare circa il
50% dei casi, anche se all’interno di questa vanno distinti due gruppi: le sordità
non sindromiche recessive, cioè non associate ad altre patologie (70% dei casi) e
le sordità sindromiche legate a specifiche patologie di cui la perdita dell’udito è
solo uno dei sintomi (30% dei casi).
In base al momento dell’insorgenza della sordità e della possibilità
quindi di acquisire spontaneamente una lingua vocale, si procede con un’ulteriore
classificazione:
Sordità prelinguali: presenti alla nascita o insorte precocemente, cioè prima dei 18
mesi (ovvero prima dell’acquisizione spontanea della lingua parlata).
Sordità perlinguali: acquisite fra i 18 e i 36 mesi d’età.
Sordità postlinguali: acquisite dopo i 36 mesi (ovvero dopo aver acquisito
spontaneamente la lingua parlata).
Oltre al grado, alle cause e all’età in cui insorge la sordità, vi sono altri
fattori che la rendono un fenomeno molto eterogeneo. Uno di questi è l’età della
prima diagnosi: in Italia, attualmente, l’età media della prima diagnosi varia dai
19 ai 36 mesi (Maragna 2000). Nonostante quindi le diagnosi vengano fatte
spesso in tempi non brevi, sarebbe invece essenziale che fossero quanto più
precoci possibile, perché questo consentirebbe un intervento tempestivo e perché,
come sostengono alcuni autori, “le strutture cerebrali deputate all’elaborazione
dell’informazione uditiva raggiungono un adeguato sviluppo solo se prima
dell’ottavo mese di vita avviene una sufficiente stimolazione bineurale
dell’organo uditivo” (De Capua et al., 1999). Il problema della diagnosi vale
soprattutto per le famiglie udenti per le quali la sordità non è un evento atteso o
prevedibile e che quindi può rimanere nascosto fino a quando non si manifestano i
primi segnali di un ritardo linguistico (Caselli et al., 1994). Sempre per queste
famiglie si è vista inoltre l’importanza del modo in cui viene comunicata la notizia
di sordità del figlio dal personale medico, se il bambino è primogenito o meno, la
personalità dei genitori, l’unità di coppia e il sostegno della famiglia allargata.
Un altro fattore che rende la sordità un fenomeno eterogeneo è l’età della
protesizzazione: le protesi sono dei dispositivi di amplificazione che consentono
di sfruttare, in misura minore o maggiore a seconda del grado di sordità, i
cosiddetti residui acustici nell'ambito di un processo educativo. Le protesi più
moderne sono di tipo digitale ovvero possono essere regolate in modo più preciso,
possono ridurre i rumori di fondo, offrono una maggiore fedeltà nella
riproduzione del suono e hanno un microfono direzionale che diminuisce i fastidi
dovuti a suoni troppo intensi perché aumenta la selettività spaziale dell’ascolto.
Oggi si tende a protesizzare sin dai primi mesi di vita (4-6 mesi) perché il periodo
di maggiore plasticità cerebrale è da 0 a 3 anni, con un picco intorno all’anno e
mezzo. I residui sono utilizzabili per avere accesso alla lingua parlata quando la
perdita uditiva non supera gli 85 db. Circa l'uso delle protesi nei casi di sordità
profonda esistono posizioni teoriche contrastanti (Favia, Maragna, 1995). La
protesizzazione costituisce una tappa importante nella vita di una persona sorda e
le sue implicazioni vanno ben al di là degli aspetti medici. Infatti, diversi fattori,
tra cui quelli di tipo psicologico, contribuiscono al successo e all'insuccesso della
protesizzazione. Oltre alle protesi tradizionali c’è oggi anche la possibilità
dell’impianto cocleare. Come dice Zaghis (1997): l’impianto cocleare può essere
molto semplicemente definito come un dispositivo elettronico in grado di
stimolare direttamente le fibre residue del nervo acustico in soggetti sordi
profondi che non traggono un soddisfacente beneficio dalle protesi acustiche
convenzionali. Il nervo, stimolato da questi segnali elettrici, invia il messaggio ai
centri corticali superiori per la percezione e la decodificazione. In altre parole
potremmo affermare che l’impianto cocleare si fa carico delle funzioni che una
chiocciola danneggiata non può più svolgere, trasmettendo direttamente il
messaggio sotto forma di impulsi elettrici alle strutture neurali retrocorticali. In
una concezione più ampia potremmo quindi parlare di chiocciola artificiale.
Nella pratica vi è dunque un microfono che viene agganciato al padiglione
auricolare; qui un elaboratore di suoni codifica i segnali provenienti dal microfono
e li invia all’antenna trasmettitrice; l’antenna, grazie ad un magnete, sta in
contatto con il cuoio capelluto: all’interno vi è un ricevitore-stimolatore che,
ricevuto il segnale dall’antenna, lo invia agli elettrodi inseriti nella chiocciola.
L’operazione di impianto cocleare è però solo il punto di partenza, infatti
l’intervento non dà la possibilità di sentire nello stesso modo in cui sentono gli
udenti e implica necessariamente una terapia logopedia. Per una scelta
consapevole fra le varie possibilità occorrerebbe che le famiglie fossero ben
informate sulla base di informazioni scientifiche ed equilibrate e non sulla base di
“quanto sentito in giro”, come ci mostra una ricerca di Minnini (1999) su un
campione di 227 partecipanti sordi. In sintesi i due aspetti più ricorrenti in Italia
emersi dalle interviste di Mennini sono: la scarsa informazione e le eccessive
aspettative circa l’impianto cocleare. Inoltre pochissimo si sa sui benefici o meno
dell’impianto per quanto riguarda le competenze linguistiche di bambini sordi:
sarebbe opportuno che venissero condotte delle ricerche in quest’area per
saggiarne i vantaggi e gli svantaggi.
Nel caso della sordità, l’handicap conseguente al deficit è l’impossibilità di
percepire e decodificare i suoni ambientali e quelli emessi dalla voce. Il noto
psicologo russo Lev Vygotskij sottolinea il fatto che per un bambino sordo, la
sordità rappresenta la normalità, e non una condizione di malattia: Egli avverte
l’handicap solo indirettamente o secondariamente, come risultato delle sue
esperienze sociali.
1.2 Apprendimento e linguaggio nel bambino sordo e nel bambino udente
“Normalmente ogni bambino può acquisire nella sua infanzia qualsiasi
lingua, a meno che non abbia problemi foniatrici, neurologici o di apprendimento.
E’ molto importante, tuttavia, non confondere una lingua con la comunicazione in
generale. I ricercatori linguistici hanno precisato che ogni lingua umana è uno
strumento di comunicazione doppiamente articolato e di carattere vocale. Tutte le
lingue umane utilizzano fondamentalmente il canale vocale-uditivo, prima di tutto
esse si parlano e si comprendono perché un parlante produce suoni particolari che
vengono percepiti dall’orecchio dell’ascoltatore. La doppia articolazione è quella
che le lingue utilizzano anche altre modalità di comunicazione, come ad esempio
la scrittura o il linguaggio gestuale. I due piani fondamentali di tutte le lingue
umane sono le parole, lingue formate da unità linguistiche dotate di significato
che possono combinarsi fra loro per formare un numero quasi infinito di frasi, e i
fonemi; ogni lingua ha un numero limitato di suoni che possono combinarsi fra
loro permettendo di formare tutte le parole di una data lingua ”66
Soltanto nella specie umana sembrano essersi sviluppate, nel corso
dell’evoluzione, le basi neurologiche che rendono possibile un’acquisizione
spontanea delle lingue. Il bambino ha un ruolo attivo nel processo di
apprendimento del linguaggio, portando come suo contributo una serie di
potenzialità e di modi di analisi e di elaborazione degli elementi linguistici:
affinché il bambino possa esprimere le sue potenzialità, però, occorre creare
intorno a lui un ambiente linguistico adeguato.
L’acquisizione del linguaggio procede per fasi che si succedono in un determinato
ordine e che vengono condivise dalla maggior parte dei bambini; non bisogna
comunque sottovalutare che tale successione è caratterizzata da fortissime
variazioni individuali che riguardano non solo i tempi, ma anche i modi e le
strategie di apprendimento.
Nel primo anno di vita il bambino udente compie una serie di sviluppi
indispensabili alla successiva acquisizione del linguaggio. Fin dalla nascita,
infatti, esercita i suoi organi fonoarticolatori tramite la tosse, i gorgoglii, il pianto
66 Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1996, ( pag 100 – 121).
e le vocalizzazioni; a 3 mesi, poi, i suoni diventano più simili a quelli linguistici:
il bambino impara ad ascoltare (la voce altrui diventa stimolo per le sue
vocalizzazioni) e controlla la sua attività fonoarticolatoria attraverso il feedback
acustico (ciò ha un importante valore motivazionale); verso i 6/7 mesi impara ad
imitare i modelli intonazionali degli adulti e si osserva una notevole diminuzione
nel numero e nella varietà dei suoni prodotti dal bambino; a 8/9 mesi iniziano le
lallazioni e gli indispensabili scambi vocali con l’adulto insegnano al bambino il
rispetto dell’alternanza di turno; infine a 9 mesi si osserva la comparsa della
comunicazione intenzionale (richiesta e denominazione): i gesti deittici (9/10
mesi) esprimono l’intenzione comunicativa del parlante, il referente di tale
comunicazione è dato interamente dal contesto in cui la comunicazione ha luogo;
con i gesti referenziali (dai 12 mesi), invece, il bambino dimostra di poter usare un
simbolo non verbale come significante di una certa realtà. Il significato viene
“convenzionalizzato” dal bambino e dai suoi interlocutori ed il suo contenuto
semantico non varia in conseguenza al variare del contesto. I gesti referenziali
prodotti dai bambini nascono come intenzioni di azioni piuttosto che come
imitazioni delle forme di oggetti; inizialmente compaiono in situazioni di routine
con l’adulto ma, progressivamente, si decontestualizzano fino ad arrivare ad
essere usati anche in assenza dei contesti particolari.
“Tabella 1. Competenze comunicative e linguistiche di un bambino in età precoce.”67 Età Comprensione Produzione
0-3 mesi Reagisce a rumori intensi Si calma quando sente la voce della mamma Sorride alla vista della mamma o di volti familiari
Piange quando ha fame o è in uno stato di malessere Borbotta, emette suoni gutturali, emette dei sospiri produce qualche suono di tipo vocalico
3-6 mesi Sussulta e piange a rumori intesi Interrompe l’attività in presenza di suoni o parole Localizza una fonte sonora
Emette sospiri, suoni gutturali, borbotta, lancia gridolini di gioia Piange in modo differenziato:
67 Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006, ( Cap. 1-2); Caselli M., Maragna S., Volterra V., Linguaggio e sordità. Gesti, segni e parole nello sviluppo e nell’educazione., Il Mulino, Bologna, 2006, (Cap. 3).
girando il capo, gira la testa verso il lato di provenienza del suono Si calma e si acquieta sentendo la voce della mamma Ride e si agita quando sente la musica Reagisce alla preparazione del biberon Inizia a comprendere alcune intonazioni (Es. complimenti)
dolore, disagio, fame, ecc… Produce suoni di tipo vocalico
6-9 mesi Cerca subito la sorgente dei suoni familiari sembra ascoltare la conversazione fra adulti e presta attenzione ai rumori Si diverte con giochi sonori Sembra riconoscere parole come: “papà”, “mamma” e “ciao” Riconosce e risponde al suo nome Sembra in grado di distinguere dalla voce intonazioni amichevoli o di rimprovero Incomincia a comprendere il “no”
Periodo della LALLAZIONE Gioca nel produrre suoni Imita “ciao” con la manina” Usa vocali simili a: “o” “u” Inizia a produrre qualche suono consonantico (“p”, “b”, “m”, e “mamma”)
9-12 mesi Gira la testa e le spalle verso la sorgente sonora Reagisce quando è chiamato per nome Reagisce a stimoli sonori familiari (es. telefono, campanello, ecc..) Comprende ordini semplici (es: “dammi la palla”) Sembra riconoscere il nome di alcuni oggetti comuni e dei componenti della famiglia Mostra interesse agli oggetti nel caso in cui vengono nominati
Periodo del GERGO Produce le prime parole (periodo di OLOFRASTICO: “la palla”, “voglio”, “dammi”, “gioco”, “compro”) Varia l’intonazione e l’intensità della voce Si diverte ad imitare suoni, sillabe, versi di animali, ecc. Incomincia a rispondere con vocalizzi se chiamato per nome Scuote appropriatamente la testa per significare “si” e “no” Ride molto, fa ciao, gioca a “batti batti le manine” Fa schioccare le labbra imitando il bacio
Riesce a produrre, oltre ai fonemi vocalici, anche i seguenti fonemi consonantici: “p”, “b”, “m”, “t”, “d”
12-18
mesi
Capisce “no”, qualche parola, brevi frasi e ordini semplici Comprende semplici richieste a cui può rispondere con cenni del capo Dà un giocatolo su richiesta Si muove ritmicamente al suono della musica Ama ascoltare brevi storie, filastrocche e canzoncine
Inizia la vera comunicazione Imita parole familiari Dice “mamma”, “papà”, e qualche parola, tenta di denominare gli oggetti Usa spesso il GERGO Ama riprodurre i suoni e i rumori degli oggetti (orologio, macchina, ecc..) e i versi degli animali a lui noti Parla anche da solo davanti allo specchio e ai giocattoli Riesce a pronunciare le seguenti consonanti: “m”, “n”, “p”, “b”, “t”, “c” (es. cane), “g” (es.gatto)
18-24
mesi
Su richiesta verbale sceglie e prende oggetti Indica alcune parti del corpo Comprende semplici richieste (“dov’è la palla”?), frasi elementari (“non c’è più palla”), ordini semplici (“prendi palla”) e il significato di molte parole Conosce l’idea di categoria (la mela è un alimento, il cane è un animale, ecc.) Comprende molte più parole di quelle che produc
Usa frasi di due parole (“pappa più”) Può usare una parola per esprimere più di un significato (“aua” può significare in relazione al contesto “voglio l’acqua” o “guarda l’acqua”) Usa ancora il GERGO Dice almeno 50 parole anche se non perfettamente articolate Produce quasi esclusivamente parole di due sillabe Il linguaggio è poco comprensibile agli estranei Riesce a pronunciare i seguenti fonemi: “m”, “n”, “p”, “b”, “t”,“f“, „v“ “c” (es. cane), “g” (es.gatto)
24-30
mesi
Su richiesta verbale sceglie un oggetto da un gruppo di 5 oggetti Comincia a comprendere la differenza tra “tu” e “io” Indica su comando diverse parti del corpo Comprende molte frasi complesse
Usa frasi di due – tra parole; Usa frasi negative di due parole Ripete frasi e parole che ha sentito dall’adulto anche se non le comprende completamente Smette di usare il GERGO
Si diverte ad ascoltare semplici storie illustrate
Comincia a chiedere “che cos’è questo”, “cos’è quello?”, “dov’è?”, ecc.. Usa almeno 100 o più parole e aumenta la capacità di produrre parole con più di due sillabe Incomincia ad usare aggettivi, avverbi, pronomi e preposizioni Comincia a usare una costruzione grammaticale infantile (“ho aprito”, “cosa facete”, ecc.) Comincia a pronunciare i seguenti fonemi “m”, “n”, “p”, “b”, “t”,”d”,“f“, „v“, “l”, “s”, “c” (es. cane), “g” (es.gatto)
30-36
mesi
Sembra comprendere la maggior parte di quello che gli viene detto Comincia a comprendere parole come: dentro, sotto, sopra,ecc. Comincia ad identificare gli oggetti dall’uso Attribuisce significato ai numeri
Usa frasi di tre-quattro parole, omettendo ancora le parti grammaticali del discorso come: articoli, preposizioni e verbi ausiliari Incomincia a denominare i colori Incomincia a usare “io” al posto di “me” Incomincia ad articolare le parole in modo esagerato Riesce a pronunciare i seguenti fonemi “m”, “n”, “p”, “b”, “t”,”d”,“f“, „v“, “l”, “s”, “c” (es. cane), “g” (es.gatto) “ci”, “gi”, “z” Periodo della DISFLUENZA: capacità di differenziare la comprensione e la produzione
3-4 anni Comprende una semplice storia Esegue due istruzioni correlate Comprende il concetto di tempo Localizza la sorgente sonora di un suono o di un rumore Incomincia a capire frasi con preposizioni
Si esprime con frasi complete di tre o quattro parole Usa i verbi nei tempi presente e passato Usa i verbi semplici, pronomi, preposizioni, aggettivi Sa ripetere filastrocche e
Conosce il nome di diversi colori Raggruppa semplici oggetti
canzoncine Sa riferire una storia o riformulare un pensiero a qualcuno Parla spesso da solo Chiede spesso “cos’è” anche se conosce già la risposta Ha un vocabolario di quasi mille parole Riesce a pronunciare i seguenti fonemi; “m”, “n”, “p”, “b”, “t”,”d”,“f“, „v“, “l”, “s”, “c” (es. cane), “g” (es.gatto), “r” “gl”, “gn”
4-5 anni Esegue gli ordini anche se gli oggetti non sono presenti Capisce “al mattino”, “il prossimo mese”, “ il prossimo anno”, ecc. Comprende i verbi al tempo passato, presente, futuro Conosce la differenza tra singolare e plurale Comprende “di lato”, “in mezzo”, “in basso”, ecc. Conosce l’uso di oggetti familiari: “prendi quella cosa che serve per pettinare” Conosce la maggior parte dei colori
Si esprime con frasi complete di quattro – cinque parole ed incomincia ad usare frasi complesse Usa il passato prossimo correttamente E’ in grado di raccontare una esperienza recente Chiede “perché” e “chi”? Chiede il significato delle parole; Gli piace denominare le cose che vede Incomincia a dire il “perché” esplicativo Il vocabolario si accresce di nuove parole Il vocabolario si accresce di nuove parole (circa 1.500 parole); Conta fino a cinque Riesce a pronunciare tutti i fonemi, mentre può risultare ancora difficoltosa la pronuncia di alcuni gruppi consonantici
5-6 anni Comprende la maggior parte di ciò che sente Esegue tre istruzioni date contemporaneamente Esegue tre istruzioni date
Si esprime con frasi di cinque – sei parole ed usa frasi anche complesse Usa i verbi nei tempi presente, passato e futuro
contemporaneamente Comprende concetti quali; in, sotto, sopra, di fronte a, dietro a, ecc.. Conosce i contrari di uso frequente Comincia a capire destra e sinistra Raggruppa in base a similarità e differenza Apprezza l’umorismo Si diverte ad ascoltare le favole Comprende il contenuto di alcuni programmi televisivi e segue la trama di una storia
Possiede una grammatica che si avvicina a quella degli adulti Il suo linguaggio è comprensibile agli estranei per più del 90% Pone molte domande Definisce gli oggetti per il loro uso e sa dire di che materiale sono fatti E’ in grado di continuare una conversazione se le parole non sono molto difficili Sa dare alcune definizioni e spiegazioni Conta fino a 10 Riesce a pronunciare correttamente tutti i fonemi con qualche possibile eccezione
Considerando ora il caso di bambini sordi esposti fin dalla nascita ad una lingua
visivo-gestuale, che si realizza quindi su un canale integro, si può affermare che
l’acquisizione di tale lingua avverrà in maniera spontanea e naturale ricalcando le
tappe e le età di acquisizione dei bambini udenti esposti alla lingua vocale (Caselli
et al., 1994). Nelle primissime fasi dello sviluppo comunicativo i bambini sordi
metteranno in atto dei comportamenti motori senza un’intenzione comunicativa.
Grazie all’interazione con il linguaggio adulto il bambino arriverà poi a produrre i
primi segnali comunicativi intenzionali chiamati gesti.
Tali segnali, come già detto in precedenza per i bambini udenti, sono strettamente
legati al contesto in cui la comunicazione ha luogo. Solo al termine del processo
di decontestualizzazione i gesti diverranno veri e propri simboli, ovvero segni. E'
possibile evidenziare alcuni errori caratteristici, nella produzione dei primi segni,
paragonabili a quelli di semplificazione fonologica dei bambini udenti (pappe
invece di scarpe). Questi errori sono di sostituzione di almeno uno dei parametri
formazionali del segno, con altri parametri più semplici da eseguire da un punto di
vista motorio: ad esempio nel segno macchina, il movimento alternato delle due
mani, viene spesso sostituito dai bambini piccoli con un movimento parallelo non-
alternato. Come avviene per le lingue parlate, anche per le lingue dei segni, il
periodo olofrastico (Caselli, 1994; Volterra, Caselli, 1986) è seguito da quello in
cui due o più simboli vengono prodotti nello stesso enunciato: si parlerà dunque di
comparsa della lingua dei segni. Questo passaggio dal segno singolo alla frase si
verifica circa a metà del secondo anno di vita, quando già il bambino possiede un
buon patrimonio lessicale che si sta rapidamente espandendo (Caselli, Volterra,
1994). Anche in questo caso, si assiste ad una sorta di trasformazione nella
composizione del vocabolario: nei primi enunciati di più segni compaiono, infatti,
consistentemente predicati che indicano azioni, possesso, qualità. Questo tipo di
apprendimento sembra dunque legato allo sviluppo di abilità concettuali ed è
relativamente indipendente dalla modalità in cui la lingua si realizza. In una prima
fase, anche il linguaggio di bambini che imparano una lingua dei segni si può
definire telegrafico: è solo fra i 2 anni e mezzo e i 3 anni che assistiamo ad una
progressiva acquisizione di aspetti morfologici, alcuni dei quali, analogamente a
quanto riportato per l’acquisizione della lingua parlata, compaiono saltuariamente
e non vengono padroneggiati, né usati con una certa frequenza prima dei 5 anni. Il
primo aspetto a venir padroneggiato è la flessione del verbo: questo viene
sistematicamente e correttamente accordato, nel luogo, con il nome-argomento a
partire dai 3 anni circa. Verso i 3 anni e mezzo, poi, inizia ad essere controllata la
distinzione fra nomi e verbi (ad esempio fra aereo e volare - con l’aereo o fra
sedia e sedersi). L’acquisizione della grammatica visuospaziale, invece, è un
processo lento che comincia intorno ai 2 anni e mezzo con l’acquisizione delle
flessioni spaziali del verbo, ma che continua ben oltre i 3 anni. Diversi marcatori
manuali e non manuali che segnalano l’accordo grammaticale non vengono ben
gestiti fino ai 6 anni (Pizzuto, 2002 b; Singleton e Supalla, 2003). Tali fasi sono
simili a quelle dei bambini udenti che acquisiscono una lingua parlata
morfologicamente complessa. Come avviene nell’acquisizione di molte lingue
parlate, i segni dei bambini esposti ad una lingua dei segni molto complessa da un
punto di vista morfosintattico sembrano, inizialmente, non riprodurre tale
complessità: i bambini attraversano infatti degli stadi di sviluppo caratterizzati da
un’omissione o non produzione di forme morfologiche, seguiti poi da una loro
produzione semplificata e parziale e, infine, da una progressiva e graduale
acquisizione che si protrae per diversi anni.
Riassumendo quanto detto finora, si può quindi affermare che, attraverso uno
stesso processo, sia i bambini udenti, sia quelli sordi, raggiungono le stesse fasi di
sviluppo linguistico, alla stessa età, indipendentemente dalla modalità in cui la
lingua a cui sono esposti si realizza. E’ importante sottolineare come ci sia, di
fatto, un’equipotenzialità comunicativa fra la modalità verbale e quella gestuale
che, nelle fasi più precoci dello sviluppo linguistico, costituiscono un unico
sistema; in seguito, poi, i diversi contesti influenzeranno la scelta dell’una o
dell’altra modalità. Il contesto in cui la comunicazione ha luogo influenza quindi
l’uso da parte del bambino di parole o gesti: lo input nell’interazione bambino-
adulto diviene dunque discriminante per il successivo prevalere della modalità
vocale o segnica. Molto diverso è il caso di quei bambini che nascono sordi da
genitori udenti (95% dei casi). Questi bambini non sono esposti, a causa del loro
deficit, alla lingua parlata nell’ambiente, né possono acquisire spontaneamente la
lingua dei segni poiché questa non è usata in famiglia. Alcuni autori si sono
interessati al ruolo dello input nello sviluppo linguistico dei bambini sordi, non
esposti ad una lingua dei segni, analizzando le loro produzioni gestuali (Goldin-
Meadow, Feldman, 1979; Goldin-Meadow, Mylander, 1984; Goldin-Meadow,
Morford, 1985; Volterra, Beronesi, Massoni, 1994). Queste ricerche hanno
mostrato che i bambini sviluppano ed usano un sistema gestuale che esprime
molte delle funzioni comunicative, semantiche e pragmatiche, tipicamente
presenti nel linguaggio di bambini esposti ad una lingua, in condizioni normali.
Tali strutture linguistiche utilizzate da questi bambini sono più “complesse”
rispetto a quelle usate da bambini udenti non segnanti, ma più “semplici” se
confrontate con i segni dei bambini sordi e con le parole di quelli udenti
rispettivamente esposti ad una lingua dei segni e ad una lingua parlata. Inoltre i
bambini sordi non esposti ad uno input in segni, sono in grado di combinare fra
loro due o più gesti rappresentativi (contrariamente a quanto avviene per i
bambini udenti), ma questa abilità compare quando la loro età cronologica è molto
più avanzata rispetto a quella in cui bambini esposti ad una lingua a tutti gli effetti
producono le prime combinazioni di segni o parole.
L’acquisizione della lingua vocale da parte di un bambino sordo, invece, non è
mai spontanea e avviene in modo artificiale grazie ad un insegnamento specifico e
formale e alla terapia logopedia. Alcune variabili di grande importanza possono
favorire lo sviluppo del linguaggio vocale: una diagnosi precoce, il supporto di un
programma di educazione al linguaggio, protesi efficaci. In ogni caso, anche con
questi interventi, l’acquisizione della lingua parlata procede con un notevole
ritardo. Le prime parole possono non comparire fino a 2/3 anni, lo sviluppo del
vocabolario procede ad un ritmo molto lento, le frasi a 2 o più parole possono non
presentarsi fino ai 4/5 anni e l’acquisizione di aspetti morfologici e grammaticali è
altrettanto tardivo e può restare incompleto.
Per quanto riguarda quindi i bambini sordi con genitori sordi ci può essere
acquisizione spontanea della LIS (se i genitori sono segnanti), ma non ci può
essere acquisizione spontanea dell’italiano; per i bambini sordi figli di genitori
udenti, invece, non ci può essere acquisizione spontanea né della LIS, né
dell’italiano (a meno che non vengano presi provvedimenti in età precocissima
esponendo il bambino alla LIS grazie ad un adulto sordo segnante nativo,
preferibilmente significativo nella relazione con il bambino).
E’ importante distinguere l’età in cui si è manifestata la sordità, perché è
strettamente collegata col tipo di linguaggio raggiunto. E’ logico che una persona
non nata sorda, magari diventata sorda dopo i 6 anni, dichiari che il bambino
sordo deve stare con gli altri bambini ma che deve imparare prima a ‘parlare’. La
sua giustificazione è dovuta alla propria esperienza personale e al fatto che ha
soltanto notato nella classe la differenza di stare con i bambini sordi,
dimenticando che il passo principale verso la comunicazione e l’interazione
sociale è quello di possedere una competenza linguistica.
Praticamente si dice che più tardi si perde l’udito più è facile l’educazione del
sordo. Ovviamente, se il sordo ha perso l’udito dopo i 4-5 anni, ciò significa che
ha avuto la possibilità di crearsi già una competenza linguistica verbale e quindi,
in questi casi il compito degli insegnanti è in gran parte quello di ‘mantenere’ il
linguaggio verbale. Questo termine di ‘rieducazione’, tanto caro agli educatori, è
in realtà del tutto inappropriato nel caso dei bambini nati o diventati sordi prima
dei due anni. Poiché questi bambini non hanno ricevuto uno input linguistico, non
c’è nulla da ‘rieducare’ ma tutto da ‘educare’; soprattutto va creata in loro, il più
precocemente possibile, una competenza linguistica ‘naturale’ che noti si è poteva
sviluppare.
Quindi i sordi dalla nascita o divenuti tali entro i 2 anni hanno il diritto di
conoscere e ‘vedere’ la lingua dei segni e successivamente di conoscere la Lingua
italiana scritta e parlata. Nel valutare, però, il successo di un bambino sordo sul
piano dell’istruzione vanno presi in considerazione più elementi: la partecipazione
e il coinvolgimento della famiglia e la preparazione degli insegnanti di classe e di
sostegno e delle persone sorde.
Per quanto riguarda le persone sorde, invece, io ritengo che debbano avere un
maggiore coinvolgimento nel campo dell’educazione, sopratutto sul piano
professionale.
Non considero una lingua naturale, ad esempio, una forma di ‘segnato’
che segua l’ordine grammaticale della lingua italiana: il cosiddetto ‘italiano
segnato’ che io preferisco chiamare ‘italiano ingrandito’ perché l’italiano segnato
si utilizza quando l’attenzione è riferita sul contenuto della frase, sistema gestuale
che utilizza il lessico dei segni e la struttura della lingua italiana che ha per
l’obiettivo dell’insegnamento della lingua parlata e scritta (su questo vedi
Johonson, Liddell, Erting, 1991).
“Tabella 3. Confronto tra lo sviluppo comunicativo e linguistico di un
bambino udente esposto a una lingua parlata ed un bambino sordo esposto ad una
lingua dei segni.”68 Bambino udente Bambino sordo
Età (anni)
Comunicazione gestuale
Comunicazione vocale
Comunicazione gestuale
Comunicazione vocale
0,10/0,11 Gesti performativi Gesti referenziali Indicazione
Vocalizzi performativi Vocalizzi referenziali
Gesti performativi Indicazione Ind. + Gesti
68 Caselli M., Maragna S., Volterra V., Linguaggio e sordità. Gesti, segni e parole nello sviluppo e nell’educazione, Il Mulino, Bologna, 1994, (Cap 3).
perf. Gesti referenziali
1,0 Segni Gesto perf.: Gesto ref. Voc. Ref. + Segno: Parola indicazione
Parole Gesti referenziali: Indicazione + Segno Segni
1,1/1,2 Indicazione Segno Segni Ind.+Segno Ind. +
Parole + Parola
Segni Ind. + Segno
1,6 Segno +
Parole + Parola Parola + Parola
Segno + segno
Vorrei concludere citando la ricerca linguistica di Fabbro che dice di dover
distinguere, dal punto di vista neurolinguistico, tra l’acquisizione e
l’apprendimento di una lingua. “L’acquisizione di una lingua viene effettuata con
modalità naturali, in un ambiente informale, con il coinvolgimento soprattutto
della memoria implicita. Tutti i bambini acquisiscono la madrelingua attraverso
strategie informali. L’apprendimento di una lingua, invece si realizza con
modalità formali, cioè per regole, spesso in un ambiente istituzionale”69.
1.3 Bilinguismo e comunicazione
“Le definizioni del bilinguismo sono state numerose, varie e spesso
contrastanti. Il fatto è che il fenomeno bilingue come stato e come processo è di
tale complessità che non può essere ridotto ad una semplice definizione, né
compreso da una semplice descrizione. Il termine bilinguismo veniva applicato
indifferentemente prima degli anni ottanta, allo stato sia psicologico che sociale
della condizione bilingue. Dopo la distinzione apportata da Hamers e Blanc
(1983), “bilinguismo” conviene riservarlo al fenomeno sociale o societario, che ha
connotazioni alquanto più complesse soprattutto in ordine storico e politico. In
senso rigoroso, il termine dovrebbe essere ristretto ad una competenza consistente
nell’uso di “due” lingue. Solitamente quando si parla di bilinguismo ci si riferisce
69 Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio, Roma 1996, (Cap. 11).
a quel fenomeno per cui la persona è in grado di esprimersi correttamente in due
lingue concepite dalla comunità di appartenenza come socialmente distinte
(Benelli). Uno dei problemi principali relativi ad un’esaustiva definizione di
bilinguismo è quella della relazione esistente tra i due o più sistemi linguistici.
Definisce inoltre la personalità bilingue come la capacità di esprimere gli
stati ego dinamici attraverso le attività strategiche e tattiche codificate in più di
una lingua. Un individuo bilingue presenta, quindi, le seguenti caratteristiche:
1. È dotato della coscienza di possedere e di usare due o più lingue e di vivere
occasionalmente in due culture o essere identificato con due o più culture;
2. È, di regola, capace di pensare in due o più lingue diverse, di programmare e
controllare un messaggio in relazione ai diversi codici e alle situazioni che
variano;
3. È in grado di produrre i messaggi in due o più codici con una pronuncia
accettabile e di capire i messaggi in codici diversi senza notevoli difficoltà, o, nel
migliore dei casi, di parlare, scrivere, leggere con efficacia e padronanza.
E’ chiaro che queste caratteristiche sono formulate in modo relativistico: ad
esempio, esse possono essere poste su un continuum di gradi di livelli di
competenza. N. F. Mackey, ci fornisce diversi tipi di bilinguismo:
1. Gli individui che parlano due lingue correntemente, ma la cui lingua materna
continua ad esercitare un’influenza manifesta sull’uso e la pronuncia della
seconda lingua
2. Gli individui che parlano due lingue, ma nessuna delle due come un autoctono
3. Gli individui che possiedono le strutture ed il vocabolario di due lingue come
autoctoni, ma che ne pronunciano bene solo una
4. Gli individui che pronunciano alla perfezione due lingue, ma padroneggiano
solo parzialmente la grammatica di una delle due
5. Infine gli individui che padroneggiano un vocabolario ugualmente esteso in
due lingue, ma in campi molto diversi.
“Secondo Francois Grosjean, uno psicologo che insegna attualmente in
Svizzera, con un corso che risponde alla domanda “Chi è bilingue?”, un individuo
bilingue è in grado di operare una netta separazione fra i due sistemi linguistici
quando si esprime. Numerosi studi di linguistica e di psicologia del bilinguismo
hanno ritenuto utile di distinguere diversi tipi di bilinguismo (bilinguismo
compatto, coordinato o subordinato; bilinguismo precoce, o tardivo, acquisizione
adulta di una seconda lingua; bilinguismo bilanciato, bilinguismo dominante).
Alcune decine di anni fa sembrava che i bilingui fossero una rarità e attualmente
la prospettiva è cambiata completamente. Purtroppo in Italia ci sono poche
ricerche e in maggior parte le persone sono definite monolingui perché in genere
alla società italiana interessa più la vita di carriera politica ed accademica e non si
impegnano nell’educazione delle lingue e del linguaggio di cui si hanno
pregiudizi: sono nate così una serie di espressioni come lingua e idioma dialettale
che appartengono a una visione dicotomica dell’ideologia colonialista che ha
opposto parole come civilizzato a selvaggio, lingua a dialetto, popolo a tribù, ma
come ha sottolineato il linguista Louis J. Calvet “quello che chiamiamo dialetto
non è una lingua morta o sconfitta ma una lingua imposta in politica”. I rapporti
fra lingua e potere, dice l’altro linguista francese Claude Hagège, “..la lingua è un
bene politico. Qualsiasi politica della lingua fa il gioco del potere…perché l’unità
della lingua interessa al potere. La variazione lo disturba.” Conclusione
pragmatica che un soggetto è bilingue se conosce, comprende e parla: a) due
lingue, oppure b) due dialettali, oppure c) una lingua e un dialetto. ”70 La
comunicazione dei sordi è specialmente diversa da quella degli udenti perché la
comunicazione è visiva e nota sin dall’antichità, anche se le notizie su quello che
allora veniva chiamato linguaggio mimico o dei gesti sono molto frammentarie. Si
tratta di segni e non dei banali gesti o mimiche perché i segni avviene come le
parole che ognuno dei quali è assegnato uno o più significati. La comunicazione
visiva nasce la lingua dei segni che viene espresso con le mani, il volto e le
positure dalle spalle alla vite del corpo e percepito con la vista. La comunicazione
non verbale è un argomento poco diffuso e conosciuto in pubblico, alcuni
riferiscono l’emissione da parte di un individuo di un segnale che influenza il
comportamento di un altro individuo mentre gli altri affermano che ci sono le
differenze sostanziali di complessità con i diversi livelli. Lo scopo non è quello di 70Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio, Roma 1996, (Cap. 11).
determinare in preciso il termine della “comunicazione”, ma quello di conoscere
le distinzioni utili. Molti non sono accorti che il comportamento sociale è diverso
del comportamento comunicativo.
Innanzitutto vorrei specificare la differenza del sistema di comunicazione
tra l’animalità e l’umanità. I sistemi comunicazione dell’animale sono fatti in
genetica dipende anche la misura dell’apprendimento. L’uomo è una scimmia
nuda, la sua comunicazione verbale ha il contesto anche Cnv perciò riceve il
linguaggio, avendo il contesto astratto e idea metafisica cioè fuori scena. Potrebbe
dire comportamento religioso. Le azioni rituali che devono essere simbolizzazioni
di parole. Le idee verbali vengono per prima e poi le simbolizzazioni. La diversità
tra l’uomo e l’animale è la capacità di parlare.
“LINGUAGGIO umano, la sua qualità è l’organizzazione grammaticale
e non riguarda l’espressione verbale, viene appreso come la “lingua madre”.
L’antropologo Lyons John aveva fatto un forte significato su modello
dell’esperienza linguistica, dicendo che avendo il linguaggio dovrebbe conoscere
le due capacità: parlare e agire imparando dalla propria cultura, questi due atti
vengono costruiti a rapporto di reciproca dipendenza. Perché conoscendo solo il
modo di parlare e non i gesti adatto perciò non conosce la lingua. Questa cosa fa
in parte dell’area di “paralinguistica”.
NON-LINGUAGGIO umano sono azioni significative periferiche
rispetto all’azione linguistica”. La relazione tra l’ambito verbale e ambito non-
verbale è sempre unito che costituisce la grammatica organizzata. Perché ogni
individuo che conosce la lingua è capace di produrre e comprendere le sintassi
mai sentite o viste, l’interazione quotidiana collabora in continuo in sequenze di
comportamento comunicativo non-verbale, cercando di capire verso il pubblico e
capiscono anche senza esperienza vissuta. Grazie dallo stimolo, risposta e rinforzo
che aiuta a formare un sistema totale della lingua. I canali trasmessi all’uomo del
non-linguaggio possono essere: il suono, l’olfatto, il tatto, la vista, il gusto o il
ritmo combinazione. Nel linguaggio parlato ha importanza di contesto.”71
71. Hinde R. A, Le basi biologiche del comportamento sociale umano, Zanichelli, Bologna, 1993, sezione C – D (Cap. 9/10).
SEGNALI CULTURAMENTE STANDARIZZATE E SEGNALI
PECULIARI. I sistemi linguistici occupano la grammatica e la fonologia nello
studio linguistico, invece, il comportamento linguistico è un altro studio che fa
parte nell’antropologia sociale anche si occupa i sistemi culturali cioè insiemi di
regole e convenzioni normative. Il problema di reciprocità di relazione tra quello
convenzionale e normativo e quello normale è fondamentale.
Il tipo di messaggio tra il parlante e il ricevente ci sono almeno tre livelli che
hanno il problema comune di sequenze rituali tradizionalmente seguendo dal
contesto culturale:
Gli attori pensano quel che sta elaborando.
Le interpretazioni intuitive e personali dei riceventi.
L’interpretazione formale che dipende dalla capacità con cui l’antropologo
conduce un’analisi sintattica di tutta la struttura del procedimento.
Nel bambino bilingue è presente un’indipendenza del livello concettuale comune
ad entrambi i suoi sistemi linguistici, da quello semantico – lessicale
necessariamente diverso per ciascun linguaggio. La continuazione della
traduzione richiede continui movimenti mentali, dirigendo l’attenzione del
bambino sugli attributi concettuali degli oggetti o della situazione piuttosto che
sugli oggetti o sulle situazioni stesse. Questo favorisce il processo di
decentramento la cui funzione consiste nella risoluzione dell’interferenza a livello
strutturale del linguaggio che si sviluppa in un contesto bilingue:
• Maggiore capacità nell’analisi linguistica
• Maggiore sensibilità ai segnali di ritorno dalla struttura linguistica superficiale
e/o dal contesto verbale e situazionale
• Massimizzazione delle differenze strutturali delle lingue
• Neutralizzazione delle strutture all’interno di un linguaggio.
Questi quattro meccanismi, che si sviluppano in primo luogo per far fronte
all’ambiente bilingue, così, l’intera crescita cognitiva del bambino. Tutto questo
permette al bambino a comprendere la comunicazione degli altri e di capire
meglio i propri e gli altri errori. E’ stato dimostrato, infatti, che il bambino
bilingue presenta anche una maggiore sensibilità sociale, correlata non solo la
comunicazione verbale, ma anche a quella comunicazione non verbale, ad
esempio l’abilità ad interpretare espressioni facciali, gesti e intonazioni.
Le diversità, che il bambino riscontra continuamente all’interno del suo
ambiente culturale e sociale, lo costringono ad effettuare continue operazioni
mentali che possono favorire l’automatizzazione dei suoi comportamenti.
Gli autori, Yelland, Pollard, Mercuri 1993, dicevano che il fatto di essere
bilingue include la capacità di considerare la lingua come un oggetto di pensiero e
consente di coglierne i relativi benefici ed hanno analizzato in particolare la
relazione esistente tra acquisizione della lettura e consapevolezza semantica in
bambini bilingui (inglese – italiano) ”72.
“La comunicazione non verbale è un argomento poco diffuso e poco conosciuto in
pubblico, alcuni riferiscono l’emissione da parte di un individuo di un segnale che
influenza il comportamento di un altro individuo mentre gli altri affermano che ci
sono le differenze sostanziali di complessità con i diversi livelli. Lo scopo non è
quello di determinare in preciso il termine della “comunicazione”, ma quello di
conoscere le distinzioni utili. Molti non sono accordi che il comportamento
sociale è diverso del comportamento comunicativo.
L’utilizzo della Cnv per l’uomo da poter guidare la vita quotidiana dipende dalla
situazione sociale immediata, per sostenere la comunicazione verbale e
sostituirla.
Dividiamo in tre parti della definizione descritta in precedente per amplificare il
significato.
La prima parte della definizione: “Il controllo della situazione sociale
immediata”.
Atteggiamenti interpersonali: atteggiamento di superiore/inferiore e
disapprovazione/approvazione.
Stati emotivi: le persone che hanno diversi emozioni in comuni: ira, felice, ansia,
ecc. E’ difficile controllare questi stati emozionali ed è in grado di dimostrare
senza linguaggio.
72 Charbonnier M., Tesi “la comprensione della comunicazione non verbale nei bambini bilingui” – Dottorato di Ricerca in: Psicologia dello Sviluppo e dei Processi di Socializzazione – 31 gennaio 2008.
Autorappresentativa: informazioni su status, l’appartenenza ad un gruppo,
all’attività, alla personalità o alla disponibilità sessuale dell’individuo. Cioè può
ingannare l’apparenza della persona che ha l’abbigliamento in autorevole ma in
realtà non lo è.
La seconda parte: “l’effetto di sostegno della comunicazione verbale”.
Il linguaggio umano svolge una funzione centrale in maggior parte del
comportamento sociale ma molti non badano alla Cnv durante la conversazione.
Veramente la Cnv è importante per la conversazione dal parlante.
Ci sono tre tipi di Cnv del parlante: Cinesica, feedback e segnali d’attenzione.
Questi tre tipi servono per la buona conversazione e l’accordo di due persone, con
la distribuzione a turni durante il dialogo, lo stimolo per ottenere la risposta e
modificare in conseguenza quello che dice e sapere l’interesse degli altrui, il
rispetto in entrambi di continuare o di ritirare il discorso.
La terza parte: “sostituti della comunicazione verbale”
Il linguaggio dei segni che usano dai sordi, nei luoghi che è impossibile parlare: il
subacqueo, le radiotelevisive, ecc.
I sintomi nevrotici è una malattia di mente in cui viene usata di meno la lingua
parlata.
La percezione della comunicazione non verbale.
Ha quattro modi di interpretazione su attività cognitive da comprendere verso il
colore, la dimensione, ed altri.
• L’interpretazione della personalità: Gli individui sono diversi e sono trattati
in modi diversi dipende dalla categoria: sesso, età, la classe sociale, l’attività
svolta e i tratti della personalità. Questa categoria è necessaria per influire agli
altri di come trattare durante l’incontro. Utilizza anche per categorizzare
l’appartenenza ad una classe od una qualità della personalità.
• L’interpretazione delle emozioni: è necessario di avere l’informazione sullo
stato emozionale degli altri per rispettare.
• L’interpretazione degli atteggiamenti interpersonali: dà la possibilità di capire
su distinzioni tra atteggiamenti interpersonali ed emozioni. Se l’individuo è
ostile o amichevole seguendo dall’aspetto, dal tono di voce e dall’espressione
facciale.
• La percezione durante un’interazione in corso: visto che durante la
comunicazione verbale abbiamo bisogno di informazioni su reazioni altrui, per
trattare un feedback, per controllare i turni. Dipende dal tipo d’indizio,
soprattutto dall’apprendimento ricevuto dall’infanzia.
La CNV nell’interazione sociale:
Nell’interazione sociale vengono usate di segnali verbali e non-verbali che si
muovono in entrambi le direzioni. Ci sono tipi di comunicazione che si occupano
con Cvn :
• Sequenze di risposte: B produce una risposta simile a quelli A cioè
l’imitazione inconscia, ad esempio: quando A sorride anche B lo sorride.
Questo modo è utile per lo scambio con attenzione, ragionato o
tempestivamente su doni o inviti, governato dalle norme sociali relative a
diversi tipi di rapporti culturali. Rinforzo: prodotta risposta alle sequenze
effettuato di dovere nei seguenti segnali non-verbali significa che la
produzione del cenno del capo, di sorrisi, ecc
• Sequenze di risposte basata su capacità: ogni individuo che agisce a reciproco
ha dei scopi di raggiungere cioè costruire il comportamento altruismo ch’egli
desidera. Serve per dimostrare a B se è fastidioso il suo intervento quotidiano
così A dimostra qualche gesto o altro per far capire il suo pensiero nascosto a
B altrimenti la loro conversazione diventa ostile
• Processi di equilibro: è necessario di mantenere in equilibro perciò dovremo
coordinare il contenuto dell’interazione, le relazioni di ruolo, il grado di
intimità dell’incontro (caloroso o freddo), le relazioni di superiore/ inferiore
con il tono emotivo e rispetto di altruismo di domande e risposte e le relazioni
che dimostrano, la distribuzione dei tempi e la duratura degli interventi.
Questo coordinamento aiuta a risolvere il problem solvine di gruppo. Per poter
funzionare l’interazione sociale occorre fornire all’altro una dose sufficiente di
gratificazione che lo tengano impegnato nella situazione specifica e quello di
consentire una certa misura di sincronizzazione
Fonti di variazione della Cnv
Ci sono le interazioni in diversi contesti gruppi che hanno regole a differenze di
comportamento
FAMIGLIA
I genitori si uniscono e si spingono in motivazione sessuale, i piccoli seguono i
loro genitori per nutrimento e protezione che vengono socializzate da loro.
La famiglia è un insieme sociale, il comportamento e la relazione tra i membri del
insieme sono simili in tutte le culture. La loro interazione sociale è formata
d’intimità, aggressività, affettività, hanno maggiori contatti fisici, si conoscono tra
loro molto bene, ed ogni fatto è carico di significati e di associazioni.
IL GRUPPO DI LAVORO
Esistono a tutti umani e animali. Richiede di compiere i compiti con cooperazione
e capacità complementari, ci sono forme di soddisfazione sociale, luogo di ricca
comunicazione verbale e non-verbale a fini di pura socievolezza. La loro
interazione sociale è costituito da modi di lavorazione che opera come un segnale
per gli altri, in compiti guidati, l’aiuto, la guida attraverso il contatto fisico,
linguaggio gestuale per il silenzio da evitare il disturbo, le osservazioni non-
verbali sulle prestazioni lavorative, che favorisce non-verbali su messaggi verbali
(consigli)
GRUPPI DI AMICI
E’ un insieme umano, nessun attività particolare, ottiene una maggiore
autorappresentazione.
Differenze individuali nella Cnv.
Possono essere differenziate su individuali notando dal tipo di prossimità
preferita, l’uso dei movimenti del corpo e nel modo di guardare. Riguarda per
tutti, utilizza alla presente del variabile sull’uso di diversi tipi di situazione. Non
segue solo la personalità ma anche le regole governate da particolari situazioni,
diversità del sesso e dell’età che differenza molto.
Ci sono tre orientamenti principali che collegano ai tre principali tipi di funzionali
(la definizione) di Cnv umana:
• Evoluzione biologica
Lo schema di segnalazioni non-verbali e di comportamento sociale sono in corso
dell’evoluzione, in quanto riguarda alla sopravvivenza degli individui o dei
gruppi. Il comportamento sociale umano e quello animale hanno la somiglianza,
però ci sono due differenze: a) diverse culturali; b) l’uomo usa il linguaggio
invece l’animale no.
• Somiglianze e differenze interculturali tra movimenti espressivi
Nel 1872 Charles Darwin indicava alcune somiglianze nel comportamento
espressivo di uomini dotati di diversi culturali, quelle somiglianze
derivate dalle caratteristiche innate negli uomini ma questa ipotesi è
messa incerta. Ci sono casi registrati sui comportamenti sociali che non
lascia fossili per poter rilasciare un documento. Per questo ci ha
incoraggiato a mettere in atto un programma di documentazione
interculturale del comportamento espressivo umano. Lavorando con
materiali adatti che ci permettono di riprendere i soggetti non accorti della
presenza di cinepresa.
La ripresa disturba ai soggetti e perde la procedura naturale del loro
comportamento durante la loro vita sociale. È requisito fondamentale dettagliare
la valutazione in continuo dei documenti filmici raccolti ad ogni ripresa,
specificando in quale contesto ha avuto luogo ogni singolo schema e che cosa
hanno fatto le persone prima e dopo l’effettuazione della ripresa. Questo modo dà
un’analisi motivazione oggettiva. Potrebbe avere i dati raccolti in particolare di
somiglianze tra diverse culture. Un sì al contatto sociale, modo di approvazione di
una richiesta, è un significato universale, il colpo di “sopracciglia” compaia il
saluto in cui sono simili in culture diverse. Schemi di saluto, d’abbraccio e di
bacio sono comportamenti molto antichi e somiglianze principali. Usano anche gli
scimpanzé. Anche la timidezza, l’imbarazzo e del flirt. Ci sono differenze:
l’espressione del sì e del no che ci sono movimenti opposti tra i paesi del mondo.
Ad esempio: in Grecia, “si” il capo si muove in verticale come noi invece “no” la
persona porta indietro il capo con uno strattone e poi abbassa il volto con gli occhi
chiusi e le sopracciglia sollevate per un poco.
Il movimento del “no” ha luogo interculturale come gesto di rifiuto e non accordo
in un contesto sociale. Questi comportamenti espressivi sono trasmessi dalla
tradizione di ogni cultura, ricevuti durante l’infanzia dall’apprendimento, oppure
al fatto che sono innati. Anche i sordi e i ciechi ottengono con l’acquisizione di
informazione dalle espressioni del volto attraverso il tatto.
Le strutture neurotiche e motorie si sono sviluppate nel corso di un processo di
autodifferenziazione fondato sulla decodificazione di informazioni geneticamente
immagazzinate. Struttura percettiva dall’origine di figurine falliche con funzione
di protezione che presentano un genitale maschile e serve a favorire la distanza
cioè se un gruppo nemico si avvicina, la guardia ha un’erezione significa
un’esibizione dalla minaccia di montare, perciò i maschi diventano mercatori
territoriali. Questo compie una cultura diverse come esibizione aggressive.
Nell’uomo ha l’acquisizione di filogeneticamente (comprensione interculturale).
Anche i ciechi e i sordi dalla nascita ottengono l’adattamento filogenetico perciò
diciamo che alcuni comportamenti sociali e la comunicazione (alcuni modi) sono
innati nell’uomo.
1.4 Educazione bilingue del bambino in età prescolare
“Da tempo è stata, quindi, confermata l’esistenza di vantaggi nello sviluppo
cognitivo associati all’apprendimento, soprattutto se precoce, sistematico e
naturale, di una seconda lingua (L2). Dal punto di vista intellettuale, l’esperienza
del bilingue con due sistemi linguistici sembra dotarlo di una flessibilità mentale,
di una superiorità nella formazione dei concetti e di un insieme più diversificato di
abilità mentali. Al contrario il monolingue sembra avere una struttura di
intelligenza più unitaria che egli deve usare per ogni tipo di compito intellettuale
(Peal e Lambert, 1962:20). I principali vantaggi possono essere così riassumibili:
1. Maggiore flessibilità del pensiero, che sembra favorire anche gli aspetti
dell’intelligenza non verbale;
2. Conoscenza metalinguistica, definita in vari modi, quale la comprensione
della convenzionalità dei nomi;
3. Competenza pragmatica e sociolinguistica, ovvero una particolare
sensibilità ai bisogni dell’interlocutore, la precoce capacità di adattare la scelta del
codice linguistico alla lingua dell’interlocutore, negli scambi comunicativi. La
capacità di valutare l’adeguatezza o l’ambiguità del messaggio;
Le ragioni di questi vantaggi cognitivi sarebbero determinati da:
1. Necessità di maggiore analisi dello stimolo linguistico per rendersi
conto delle diverse strutture e regole, per il problema dell’interferenza tra i codici
(Ben-Zeev, 1977b).
2. Maggiore attenzione ai feed-back linguistici negli scambi, per capire la
correttezza o meno delle proprie espressioni (Ben-Zeev, 1977a, b);
3. Maggiore conoscenza linguistica e maggiore controllo dell’esecuzione
(Bialystock, 1988; 1992)
4. Maggiore controllo dell’attenzione selettiva nei confronti dello input
(linguistico 0 non linguistico) nei casi di informazione ambigue, distraenti o
contrastanti (Bialystock e Codd, 1977; Bialystock e Majumber, 1998).”73
In molti paesi del mondo il bilinguismo rappresenta la normale modalità di
comunicazione fra genti diverse. Ma al di là di queste comunità in cui la capacità
di comunicare perlomeno in due lingue è condizione indispensabile per svolgere
le normali funzioni sociali, l’apprendere una seconda lingua acquista ai nostri
giorni un’importanza molto maggiore che in passato. Mezzi di comunicazione
sempre più sofisticati favoriscono l’interazione fra i popoli di tutto il mondo e gli
scambi commerciali e culturali ci spingono a venire a contatto con le altre culture
ed i loro idiomi. Anche i bambini vengono coinvolti in questi mutamenti ed è a
loro che si deve pensare per tempo.
“Parlando di bilinguismo sostanzialmente ci si riferisce a quello
simultaneo, in cui la persona ha avuto un rapporto continuo e costante con due
lingue diverse fin dai primissimi anni di vita (generalmente prima dei tre anni), e a
quello consecutivo, in cui la persona acquisisce la seconda lingua quando già è
competente nella lingua madre. Non sempre i bambini cresciuti in una famiglia
73 Charbonnier M., Tesi “la comprensione della comunicazione non verbale nei bambini bilingui” – Dottorato di Ricerca in: Psicologia dello Sviluppo e dei Processi di Socializzazione – 31 gennaio 2008.
che adotta una comunicazione bilingue, (è il caso di bilingue simultaneo)
imparano due codici in maniera uguale.”74
“In generale, vengono poste le più frequenti domande a quelli interessati di
bilinguismo: quando e come un bambino potrebbe acquisire una seconda lingua.
Purtroppo non ci sono risposte definitive e sono state descritte quattro modalità:
a) Alcuni bambini acquisiscono le due lingue direttamente dalla famiglia che le
adopera entrambe volontariamente
b) Ogni genitore parla col figlio solo la propria lingua madre
c) Uso una sola lingua finché il bambino ha raggiunto una certa età, dai 3 a 6
anni, per acquisire la seconda lingua
d) Uso in famiglia la lingua madre dei genitori mentre i figli acquisiscono la
seconda lingua nella nazione in cui vivono, per esempio a scuola o situazioni
di vita extrafamiliari.
e) E’ impossibile definire una certa età migliore per diventare un bilingue e
comunemente è noto che più precoce è l’esposizione alle due lingue più facile
l’acquisizione e l’apprendimento.”75
“All’inizio della scuola materna, il bambino accede al linguaggio formale
costituendosi parte attiva nell’interazione con l’adulto e il coetaneo ed il
significato di una parola nasce proprio all’interno di queste “azioni condivise”. Il
bambino continua a comunicare in entrambe le lingue, è necessario che frequenti
parlanti di entrambi i codici linguistici, persone che lo comprendano solo se si
esprime nel loro idioma. Vale a dire che se sarà stimolato ad usare ogni
linguaggio nel suo ambiente, cioè all’interno di una situazione, il bambino non
perderà ma anzi migliorerà la competenza nelle due lingue. I concetti di
intenzionalità comunicativa, di azione condivisa e di contesto linguistico ed extra
linguistico, diventano parole chiave per la didattica di L2 o per esperienza di
educazione bilingue. “76
74 Ardito B., Mignosi E., Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non, La Nuova Italia, Firenze, 1995, (pag. 37). 75 Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio, Roma 1996, (pag. 120). 76 Ardito B., Mignosi E., Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non, La Nuova Italia, Firenze, 1995, (pag. 38).
1.5 La comunicazione ed educazione del bambino sordo in Italia
La conformazione dell’apparato vocale di un neonato è tale da non permettere di
parlare. Il bambino è capace solo di piangere, strepitare, sbavare, starnutire,
tossire. A sei mesi il bambino inizia a controllare volontariamente alcuni suoni.
Iniziano le lallazioni ( MA-MA-MA; DA-DA-DA). In seguito le lallazioni
diminuiscono e il bambino inizia sempre più a controllare il tono vocale. Ad 1
anno il bambino udente imita gli adulti udenti ed è a questo punto che la
differenza tra lo sviluppo di un bambino udente e lo sviluppo di un bambino sordo
diventa tangibile. Iniziano, per il bambino sordo, le prime difficoltà
nell’apprendimento del linguaggio vocale.
Chi nasce sordo o perde l’udito entro i due annidi vita non riesce ad imparare il
linguaggio perciò diventa, come si suole dire “ sordomuto “.
Questa parola ha creato una serie di equivoci in quanto ha portato l’immaginario
collettivo a credere che chi fosse sordo di conseguenza dovesse essere anche privo
di parola e quindi “muto”.
In realtà così non è. Salvo rare eccezioni, apparato fono- articolatorio dei bambini
che nascono sordi è integro così come è integra la loro “ facoltà di linguaggio,
che a causa del oro deficit non può “ entrare in funzione” così facilmente come
avviene nei bambini udenti. La facoltà di linguaggio è quella facoltà che permette
ad ogni bambino di imparare una lingua a patto di essere esposto ad essa. Essere
esposti ad una lingua significa udire e comunicare con l’ambiente circostante in
quella lingua.
Il problema del bambino sordo è proprio questo: non potendo udire la lingua
parlata. Intorno a sé, non può imitare i suoni dell’ambiente, non ha feedback
acustico sulle sue stesse produzioni e non può comunicare a pieno con coloro che
lo circondano. La sua facoltà di linguaggio subisce un arresto forzato. La vista
integra funge da canale sostitutivo nel trasmettere tutta quella parte di
comunicazione che viaggia su questa modalità .
Accade però che, dal momento che la lingua utilizzata nel contesto famigliare si
serve prevalentemente del canale acustico vocale, solo una parte molto ridotta di
messaggi comunicativi raggiunga il bambino sordo che, per lo più, resta escluso
dalla comunicazione linguistica con l’ambiente che lo circonda.
Le poche messaggi che gli giungono sono in realtà estremamente impoveriti e,
necessariamente, l’informazione si riduce. La competenza linguistica n italiano
dei soggetti sordi è, perciò, spesso compromessa sia a causa di uno input ridotto
sia per il ritardo di esposizione alla lingua.
I sordi però hanno trovato una via alternativa per realizzare la loro facoltà di
linguaggio. In sostituzione della mobilità acustica hanno scelto la mobilità visiva
per loro integra: al posto dei suoni vocalici e delle parole hanno intravisto la
possibilità di usare gesti manuali o segni per comunicare. La mobilità visivo
gestuale ha sostituito quella acustico-vocale.
Un bambino udente apprende con molta naturalezza a parlare, perché sin dalla
nascita si trova in un contesto che lo stimola ad udire, a ripetere, a rispondere
quando avrà acquisito le abilità necessarie.
Il bambino si trova esposto non al linguaggio a lui direttamente rivolto, ma anche
a quello, più complesso e ricco, che gli adulti usano tra loro in sua presenza.
D’altronde il modo di rivolgersi al bambino favorisce l’apprendimento del
linguaggio in bambini udenti. (MOTHERESE) A 24 mesi il bambino udente
possiede già un vocabolario di 300 parole, per la maggior parte acquisite verso la
fine del secondo anno d’ età.
Il mondo di esperienza della maggior parte dei bambini sordi è più limitato di
quello dei bambini senza problemi di udito, la loro interazione con il mondo
implicherà ruoli e limitazioni in parte diversi e queste differenze presenteranno un
insieme di implicazioni significative per lo sviluppo psicologico del bambino
sordo.
La perdita di udito di un bambino sordo può non influenzare le prime interazioni
con la madre nel caso in cui questa sia sorda i due possono condividere una
modalità comune di comunicazione. Tuttavia la medesima perdita dell’udito può
avere un impatto significativo quando la madre non è sorda e, come accade nella
maggior parte dei casi, non è consapevole dei problemi del figlio.
Oltre agli effetti diretti della sordità sull’udito e sul linguaggio, la perdita
dell’udito, comporta una varietà di conseguenze che influiscono sulle interazioni
dei bambini con l’ambiente. Il linguaggio svolge un ruolo centrale nello sviluppo
dei bambini normali e la sua importanza non può essere sottovalutata. Nel caso
dei sordi ogni strumento di comunicazione regolare e socialmente accettato può
efficace per il normale sviluppo quanto il linguaggio verbale.
La povertà uditiva non favorisce un pieno controllo dell’ambiente in cui
vive il sordo, il quale avrà scarsa e superficiale esperienza del mondo, rigidità
comportamentale rispetto alle norme sociali, inclinazione all’isolamento o
all’ostilità nei confronti della società. La deprivazione sensoriale uditiva
compromette, come aspetto più rilevante, il piano della comunicazione. Per
partecipare alla vita comunitaria ben presto il sordo impara a sviluppare
l’intelligenza visiva, che si avvale del linguaggio gestuale per comunicare, dopo
aver spesso trascorso vissuti di isolamento e di frustrazione. Il fatto di non sentire,
priva il soggetto dell’acquisizione spontanea del linguaggio verbale e
contestualmente può alterare, se non adeguatamente educato, la formazione degli
schemi di adattamento che assecondano la maturazione e lo sviluppo della
persona. Per questo, la costruzione dell’”IO” trova più difficoltà ad emergere e ad
organizzarsi. L’isolamento sensoriale diviene isolamento comunicativo con
conseguenze dirompenti sul comportamento, quali: l’irrequietezza, il disagio,
l’instabilità, l’ansia, la paura, l’incomunicabilità. La persona sorda, se non
usufruisce di interventi precoci, può rischiare di interiorizzare la realtà in modo
distorto. Il contatto e la conoscenza del mondo avviene, per il sordo,
prevalentemente attraverso la vista, che gli consente di prendere coscienza sia del
movimento, sia dell’appartenenza dell’oggetto all’ambiente.
Gli studi clinici indicano che dopo i 12 anni è molto difficile apprendere il
linguaggio; mentre l’età precoce per ottenere buoni risultati è tra 0 e 4 anni,
quando il bambino udente acquisisce le strutture fondamentali della lingua in cui
viene esposto.
Il recupero educativo rimane comunque il miglior metodo di integrazione
sociale, con una forte attenzione al senso di responsabilità da parte chi lo
circonda. Il recupero del sordo in tarda età è praticamente impossibile.
Nonostante queste analogie è ormai unanime l’opinione che il
bambino sordo, per potersi inserire nella società ed acquisire un livello di
sviluppo intellettivo adeguato all’età debba comunque imparare a parlare.
Il linguaggio vocale è il mezzo attraverso cui poter comunicare con la
maggior parte delle persone; è indispensabile per inserirsi nella vita
scolastica e lavorativa. Studi sull’acquisizione del linguaggio orale da parte di
soggetti non udenti hanno evidenziato che l’insegnamento del linguaggio dei
segni e contemporaneamente del linguaggio orale facilita l’apprendimento di
quest’ultimo, oltre a favorire lo sviluppo delle capacità intellettive ed una più
armonica strutturazione della personalità. In una ricerca, condotta su
bambini sordi figli di genitori udenti e non, si è visto che le prestazioni
migliori in test di competenza linguistica erano quelle del gruppo dei bambini
nati da genitori sordi che usavano abitualmente il linguaggio dei segni ed
avevano inoltre una buona conoscenza della lingua parlata e scritta. Questi
risultati smentiscono la tesi – sostenuta dagli “oralisti” più intransigenti – che
il linguaggio dei segni, considerato più semplice e comodo da usare da parte
del sordo, costituirebbe un elemento di disturbo per l’apprendimento del
linguaggio orale. Fin dall’inizio del trattamento terapeutico occorre avere le
idee ben chiare su quale linguaggio il bambino debba apprendere. La scelta
dipende molto dalla famiglia, soprattutto nel caso di genitori sordi che non
conoscono il metodo orale o lo conoscono poco. Si possono avere, in generale,
quattro situazioni:
a) acquisizione del solo linguaggio orale;
b) acquisizione del solo linguaggio segnico;
c) acquisizione di entrambi i linguaggi distinti (bilinguismo);
d) acquisizione del linguaggio orale con supporto segnico (approccio
bimodale).
Nell’approccio misto o bimodale, oltre all’allenamento acustico dei bambini
protesizzati, sfruttando ogni residuo uditivo, e al potenziamento della lettura
labiale, troviamo l’insegnamento dell’italiano segnato (IS), in cui la parola
detta è associata ad un segno gestuale. La struttura della lingua rimane
inalterata: questa metodologia logopedia permette di apprendere un’unica
lingua italiana, che è basata su un doppio codice, acustico-‐verbale e visivo-‐
gestuale.
Oltre all’italiano segnato, nel metodo bimodale si può far uso dell’italiano
segnato esatto (ISE): si utilizzano cioè, per tutte quelle parti del discorso a cui
non corrispondono dei segni (articoli, preposizioni, plurale dei nomi) gli
evidenziatori, cioè dei segni artificiali, e la dattilologia (l’alfabeto manuale).
L’obiettivo del metodo bimodale è la migliore competenza possibile del
bambino sordo nella lingua parlata e scritta. I segni costituiscono un
supporto che egli usa quando non è ancora abbastanza competente nel
linguaggio verbale, per poter rispettare le stesse tappe evolutive del bambino
udente.
Questo metodo cerca di tener conto di tutti gli aspetti del linguaggio verbale
(fonologico, morfosintattico, semantico, pragmatico) e dei suoi diversi
contesti:
parlato e scritto. La priorità spetta però alla comprensione del linguaggio,
piuttosto che alla produzione.
L’educazione bilingue consiste invece nell’esporre il bambino sordo
contemporaneamente alla lingua vocale e alla lingua dei segni. I fautori di
questo approccio si basano sul fatto che le persone sorde acquisiscono con
più facilità la lingua dei segni, poiché essa viene acquisita attraverso un
canale sensoriale integro: quello visivo. Ciò allontanerebbe il rischio di un
ritardo nello sviluppo cognitivo globale e nell’apprendimento dei contenuti
disciplinari.
Il bilinguismo implica una serie di problematiche sia in ambito linguistico che
psicologico. Innanzitutto molti bambini sordi sono hanno genitori udenti, che
non conoscono la LIS o, se l’hanno appresa da adulti, non è la loro prima
lingua. Su una popolazione sorda italiana dell’1 per mille, solo il 5% è
costituito da sordi figli di genitori sordi che hanno ricevuto la lingua dei segni
come lingua madre. Solo negli ultimi anni la comunità dei sordi italiana si è
attivata per promuovere la diffusione della LIS. I genitori udenti che
intendano educare proprio figlio secondo il metodo bilingue dovrebbero
seguire dei corsi di LIS organizzati dall'Ente Nazionale Sordomuti o da altre
associazioni di sordi.
Perchè il bambino acquisisca la LIS in modo spontaneo non è sufficiente che i
genitori conoscano i segni. E' necessario che il bambino sia esposto alla
comunicazione segnica con adulti e bambini sordi, per i quali la LIS è la prima
lingua. Il bambino deve inoltre abituarsi ad usare questo linguaggio in
contesti diversi. Diventa quindi essenziale la figura di un
educatore/assistente alla comunicazione, che la legge sui diritti degli
handicappati (L. 104/92 art. 13) già prevede. Oltre alla presenza di questa
figura è necessario però che il bambino frequenti la comunità dei sordi.
L'educatore/assistente alla comunicazione può lavorare in famiglia oppure,
come succede più frequentemente, a scuola.
Concludiamo che il bambino sordo non dovrebbe mancare la possibilità di
imparare spontaneamente una lingua vocale cioè tramite il canale uditivo, la
possibilità di acquisire il linguaggio vocale rende dopo aver appreso una lingua
secondo tempi e modi del normale sviluppo evolutivo, attraverso la modalità
visivo-gestuale, la lingua dei segni italiana (LIS).
La lingua dei segni è poco conosciuta e diffusa alla comunità udente e il
bambino non può comunicare solo la lingua segnica, per la sua completa
integrazione nella società è necessario che gli impari anche la lingua vocale. Le
due lingue proposte dai progetti educativi, secondo i criteri dell’educazione
bilingue, da due insegnanti con una buona conoscenza in entrambi codici
linguistici, in momenti e contesti nettamente separati. Solo così rende la
possibilità di non confondere al bambino di comunicare, comprendere e produrre
in una sola lingua a secondo il contesto che si trova. Però non si può certamente
usare il bilinguismo simultaneo per i bambini sordi, perché i due codici linguistici
( lingua vocale e lingua dei segni) non sono uguali: “la lingua dei segni può essere
acquisita spontaneamente mentre quella vocale, a causa del deficit sensoriale, può
essere appresa solo seguendo un iter educativo più lungo e complesso. Abbiamo,
quindi, considerato la LIS come lingua madre e l’italiano come seconda lingua.”77 “Tab. 1 Percorso educativo del bambino sordo”78
Nell’educazione del bambino sordo oggi è dunque possibile scegliere tra vari
percorsi riabilitativi. 77Ardito B., Mignosi E., Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non , La Nuova Italia, Firenze , 1995, (pag. 40). 78 Maragna S., La sordità, Hoelpi, Milano 2000, (pag. 34).
Metodo orale
Metodi educativi Metodo bimodale
Educazione bilingue
Integrazione sociale Mondo degli udenti
Mondo dei sordi
Difficoltà (area socio-affettiva e
cognitiva)
Scuola Supporti della famiglia: autonomia e
responsabilità
Lettura e scrittura: tecnologie e segni
Dall’individuo al gruppo
Rapporti interpersonali adolescenti e adulti
Amicizie e amori
Quale futuro
Lavoro e università Consapevolezza dei diritti
Individuo/associazione
IL METODO ORALE
Tutti i metodi moralisti condividono l’esclusione, nell’educazione al linguaggio
parlato e scritto, di qualsiasi uso dei segni. Essi puntano da una parte
sull’allenamento acustico, per aiutare il sordo ad utilizzare al massimo i suoi
residui uditivi, dall’altra sul potenziamento della lettura labiale su cui si basa la
comunicazione.
Un’altra caratteristica dei metodi moralisti è il privilegiare nell’educazione alla
lingua parlata e scritta l’aspetto della produzione piuttosto che quello della
comprensione, che invece è altrettanto importante, soprattutto nelle prime fasi
dell’acquisizione spontanea del linguaggio nel bambino.
Tra gli esponenti dell’oralismo italiano troviamo Massimo del Bo e Adriana
Cippone De Filippis, che nel libro “La sordità infantile grave”79 Focalizzano
l’intervento logopedico in alcuni punti essenziali, quali:
• la diagnosi precoce (entro il terzo anno di vita);
• l’esatta valutazione del deficit uditivo;
• la precoce protesizzazione della famiglia nell’intervento di recupero del
bambino;
• l’immediata rieducazione ai suoni e alla parola;
• l’immissione in ambienti di udenti coetanei, negli asili e nelle scuole.
La prima fase della rieducazione attraverso il metodo orale riguarda l’allenamento
acustico. In un secondo momento, alla parola vengono associati oggetti-figura e
viene stimolata la conversazione sull’ambiente familiare e la vita del bambino.
Gli oggetti vengono classificati e associati in base al colore e alla forma, fino ad
ampliare le conoscenze di aspetti della natura, mestieri, verbi, ecc…
Anche la lettura viene proposta precocemente, sempre associando i suoni dei
fonemi alle immagini nel testo; successivamente, la comprensione di frasi
semplici, sempre riferite alla vita familiare, avviene differenziando con i colori
vocali e consonanti e chiedendo al bambino di rispondere a semplici domande
(anche senza guardare la figura). 79 Del Bo M., Cippone De Filippis A., La sordità infantile grave , Armando, Roma, 1990.
Verso i cinque anni il bambino viene avvicinato anche alla scrittura, procedendo
come per la produzione orale: attraverso domande che sollecitano all’utilizzo di
soggetti e verbi. Inizialmente si fanno scrivere al bambino i dittonghi, le
consonanti e parole che contengono lo stesso fonema (papà, pipa, pepe, ecc.),
presentando in seguito delle immagini vocali che comprendono i fonemi imparati,
dei quali il bambino dovrà scrivere il nome.
In Italia viene utilizzato un particolare metodo multidisciplinare (sempre
nell’ambito dell’oralismo) da Ripamonti. “Al momento della protesizzazione, che
deve essere pressoché contemporanea della diagnosi, cominciamo subito con un
intervento globale, unico, indifferenziato, in cui la psicomotricità, musica,
logopedia si fondono”. L’intervento educativo di Ripamonti si svolge sempre
sotto forma di gioco, proponendo al bambino attività sempre diverse tra loro,
ponendo di volta in volta l’accento su uno dei tre elementi della riabilitazione. I
genitori sono direttamente coinvolti nella terapia perché anche essi imparino a
focalizzare l’interesse non solo sul linguaggio parlato, ma su tutti i tentativi di
comunicare del figlio. La comunicazione è quindi intesa in maniera globale.
Questo metodo propone un intervento che utilizza le modalità più congeniali al
bambino, quali il gioco, l’esplorazione, la sperimentazione. Nel caso la diagnosi
non sia stata precoce (dai diciotto mesi ai tre anni) si deve aiutare il bambino a
ripercorrere le esperienze fatte accompagnandole con suoni e verbalizzazione.
Attraverso la narrazione di semplici favole, poi, si aiuta il bambino a fare i primi
nessi temporali e causali.
Le capacità logico-critiche e logico-matematiche vengono curate attraverso giochi
che portano alla comprensione del linguaggio e alla verbalizzazione. Anche per la
creatività e l’emotività, il bambino viene incoraggiato ad usare il canale verbale,
utilizzando favole e storie fantastiche predisposte per sollecitare il linguaggio.
Nel metodo orale viene data molta importanza a tre elementi:
1. Gli strumenti tecnici di ausilio alla riabilitazione
I progressi degli ultimi anni, sia diagnostici che protesici, sono avvenuti anche
grazie alle innovazioni tecnologiche; hanno però creato un’illusione di “far parlare
i sordi”, di avere raggiunto lo scopo e quindi precludendo indagini diverse.
2. La famiglia, in particolare la madre
Il ruolo della madre nella rieducazione orale è fondamentale: gli esercizi
riabilitativi proposti dalla logopedista vengono poi ripetuti a casa, dove la madre
si “sostituisce” alla terapista. In tutti i bambini, la relazione con l’adulto di
riferimento si compone di scambi stabili, ripetuti più volte nel corso del tempo: in
questo modo imparano a prevedere il comportamento materno.
Nel caso del bambino sordo, questa comunicazione risulta incompleta e frustante
per entrambi a causa delle diverse modalità comunicative e spesso si blocca.
La scelta del metodo orale, per il genitore udente, è senza dubbio la più semplice,
la più congeniale al proprio modo di concepire lo scambio di informazioni.
3. Il fatto che il bambino frequenti esclusivamente udenti
L’interazione con i bambini udenti viene ritenuta importante per favorire
l’apprendimento del linguaggio verbale. Purtroppo, una persona sorda rimane
sorda, anche se sa parlare perfettamente: se in un gruppo di udenti non vengono
osservate attenzioni particolari (come parlare sempre con il viso rivolto verso il
sordo), il bambino sordo si sentirà comunque escluso dagli altri.
L’importanza e il peso della parola quale strumento comunicativo sono
riscontrabili nel caso del deficit uditivo, soprattutto nel contesto italiano, la cultura
e il metodo oralista – metodo d’insegnamento che punta soltanto all’acquisizione
della lingua parlata – hanno dominato e guidato per anni gli interventi di
riabilitazione logopedica.
IL METODO BIMODALE E L’ITALIANO SEGNATO
L’obiettivo del metodo logopedico-misto o bimodale, comune a metodologie più
tradizionali, è la migliore competenza possibile del bambino sordo nella lingua
parlata e scritta. Bimodale, infatti, significa doppia modalità: questa metodologia
utilizza sia la modalità acustico – verbale, poiché si parla, sia quella visivo –
gestuale, segni.
Il metodo bimodale viene utilizzato solo con i bambini in età prescolare. Il metodo
è basato sulla convinzione che il bambino sordo non presenti “problemi” di
linguaggio, ma solo difficoltà ad apprendere la lingua parlata con le modalità
utilizzate per gli udenti. Il bambino sordo possiede, comunque, la modalità visivo-
gestuale integra, per cui è possibile trasmettere tutti i contenuti di cui ha bisogno,
senza che il ritardo nella lingua vocale produca anche un ritardo cognitivo e
relazionale.
In questo senso, la programmazione deve essere individuale, e non prefissata;
deve basarsi sui risultati della valutazione delle potenzialità comunicative e
linguistiche del singolo bambino. Questa valutazione avviene attraverso l’analisi
clinica delle varie patologie che possono verificarsi (sordità, afasia, disturbo
specifico del linguaggio, ecc.)
L’intervento educativo deve essere basato su una teoria linguistica di
riferimento, conoscendo i processi di acquisizione e sviluppo del linguaggio nel
bambino udente e tenendo conto delle fasi e delle procedure dell’apprendimento.
E’ indispensabile, però, che il bambino sia pronto a comunicare linguisticamente.
Per stabilire ciò, si deve tener conto dei suoi requisiti cognitivi, comunicativi e
sociali, che gli permettono di apprendere la lingua, nonché di tutti gli aspetti del
linguaggio (fonologico, morfosintattico, semantico, pragmatico) e dei suoi diversi
contesti (parlato e scritto). Rimane di fondamentale importanza l’inserimento del
bambino in un contesto comunicativo adeguato e la collaborazione della famiglia,
della scuola e dei terapisti al progetto di riabilitazione. Tenendo conto che forma e
contenuti sono inscindibili tra loro, l’uso della modalità integra permetterà al
bambino di apprendere la lingua parlata nel modo più naturale, seguendo il più
possibile le fasi e i tempi di sviluppo del bambino udente.
Attraverso l’ausilio dei segni si permette al bambino sordo di parlare di cose
passate e future, di ascoltare e raccontare delle storie, di comunicare le sue
emozioni; lo sviluppo fonoarticolatorio, la limitata capacità di lettura labiale e il
minimo residuo acustico, in questa fase dello sviluppo precluderebbero al
bambino questa esperienza. In questo modo, offrendo al bambino sordo gli
strumenti per sviluppare le sue capacità e operando in modo tempestivo, si
permette alle potenzialità del bambino di svilupparsi a pieno, e allo sviluppo
cognitivo ed esperienziale di formarsi di pari passo con i contenuti comunicativi.
• Modalità VISIVO-GESTUALE
Il supporto gestuale è dato dall’Italiano Segnato Esatto (ISE): la parola vocale è
accompagnata dal segno corrispondente, lasciando inalterata la struttura della
lingua verbale. L’ISE non è la Lingua dei Segni Italiana, la quale ha una struttura
grammaticale propria, nonché molto diversa dall’italiano, ed è usata dai sordi per
comunicare tra loro. Comunicare perfettamente in italiano, segnando in LIS è
praticamente impossibile, infatti, quando il sordo comunica con un udente che
conosce i segni, ma non la LIS, usa una sorta di “italiano segnato” seguendo le
regole sintattiche della lingua vocale. Per esempio, la frase “il gatto è sotto la
sedia” italiano” sarà composta così:
o LIS: sedia gatto sotto
o Italiano segnato: gatto sotto sedia.
L’italiano segnato non utilizza alcune parti del discorso, come gli articoli, i verbi
ausiliari, alcune preposizioni, mentre l’I.S.E. ne tiene conto e segue la frase parola
per parola. Le regole morfo-sintattiche della LIS vengono utilizzate dove
possibile, ma per tutte le parti del discorso proprie dell’italiano (articoli,
preposizioni, ecc.) è utilizzata la dattilologia.
In pratica, quando si parla con il bambino sordo, si dà un supporto gestuale a tutto
quello che viene detto. I segni divengono così una sorta di “stampelle” che il
bambino usa quando non è ancora abbastanza padrone del linguaggio verbale, per
poter rispettare le stesse tappe evolutive del bambino udente.
Gli evidenziatori sono stati creati per fornire al bambino un supporto visivo e
semantico di alcune regole morfologiche. Il bambino vede gli evidenziatori solo
nel corso della terapia, per stimolarlo a livello cognitivo e linguistico, alla lingua
italiana; inoltre l’uso dell’evidenziatore è limitato a momenti in cui si desidera che
il bambino presti particolare attenzione ad aspetti specifici dell’italiano, e non per
la comprensione globale di un messaggio o di una storia. I sostenitori
dell’educazione bilingue, sostengono che la metodologia bimodale confonda il
bambino sordo, anziché aiutarlo: l’acquisizione del codice artificiale I.S.E. fa sì
che il segno perda il suo status linguistico, facendo arrivare al bambino un
messaggio distorto e incompleto. Una persona udente che parla e segna
contemporaneamente, rischia di trasmettere un messaggio rallentato e alterato
caratterizzato da pause, ripetizioni ed esitazioni. I bambini esposti a questi sistemi
non raggiungono alte competenze nella lingua parlata e scritta rispetto a bambini
educati con altre metodologie. Il metodo bimodale italiano è molto simile ai
programmi europei ed extraeuropei di riabilitazione dei sordi, ma possiede una
caratteristica che lo contraddistingue: agli operatori ed ai genitori viene chiesto di
imparare la lingua dei segni e mai l’I.S.E. ed i suoi evidenziatori.
• Modalità ACUSTICO-VERBALE
Per facilitare la comprensione della struttura linguistica, diventa indispensabile
sviluppare al massimo il residuo acustico del bambino. Con una diagnosi ed un
intervento precoci si permette al bambino di maturare una sua forma di feedback
acustico e di conseguenza codifica linguistica. All’interno della terapia si lavora
quindi il residuo acustico senza utilizzo dei segni: se è necessario, si utilizzano
solo, ad esempio, per introdurre l’argomento del discorso, poi si continua il
messaggio solo per via acustica. Questa parte dell’intervento mira a portare il
bambino ad avere una buona lettura labiale. Per fare ciò è necessario segnare
molto vicino al viso del bambino, per attirare la sua attenzione verso la bocca del
terapista.
L’EDUCAZIONE BILINGUE
Il bilinguismo rappresenta la via più naturale per l’educazione del sordo tenendo
conto delle sue reali necessità. I principi di base di questo approccio risultano da
numerose ricerche condotte su bambini udenti e sordi come dice da Virginia
Volterra e Caterina Caselli:
“Non c’è differenza sostanziale tra bambini udenti con input linguistico vocale e
bambini sordi con input linguistico in lingua dei segni. Gli stadi fondamentali di
acquisizione della lingua dei segni e della lingua vocale sono fondamentalmente
gli stessi e vengono raggiunti alla stessa età. Esiste, in pratica, in tutti i bambini
un’equipotenzialità tra modalità gestuale e vocale nel primo stadio dello sviluppo:
la successiva acquisizione del linguaggio dipende dalla modalità a cui il bambino
è esposto. I bambini udenti figli di genitori sordi, che ricevono sia lo input vocale
che quello in lingua dei segni, acquisiscono entrambe le lingue”80.
La comunicazione dal punto di vista del linguaggio verbale, il bambino
sordo risulta essere sempre in ritardo rispetto all’udente per mancanza di
percezione uditiva lo sviluppo della parola è complesso. I gesti e i segni sono le
modalità comunicativa alternative che possano rendere al bambino sordo di
ottenere le abilità cognitiva e comunicative avendo il focus dell’attenzione dal
singolo individuo al contesto relazionale ed educativo, che vede impegnati
contemporaneamente dai genitori, dalla scuola e dalla società e il bambino stesso.
“Il riferimento alla comunicazione basata sui segni come a una vera e propria
lingua, caratterizzata da creatività e arbitrarietà al pari di ogni altra forma verbale
di comunicazione, è una conquista abbastanza recente al panorama degli studi di
psicolinguistici. “81
1.6 Il bambino sordo e la sua famiglia
Il ruolo del contesto sociale va fatta la distinzione tra i genitori sordi segnanti,
genitori sordi non segnanti, genitori udenti segnanti ed genitori udenti non
segnanti dei bambini sordi.
Nasce le differenti percorsi educativi, le difficoltà e le risorse rispetto al cammino
dello sviluppo comunicativo e per facilitare la comprensione di tali percorsi
differenziati, ci mettiamo lo schema terminologico di Caselli e dei suoi
collaboratori che avevano elaborato per effettuare confronti del genere: “Tabella 1. Schema terminologico: abilità linguistiche del bambino udente e sordo
80 Caselli M.C., Maragna S., Volterra V., Linguaggio e sordità, Mulino, Bologna, 2006, (Cap. 4). 81 Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S.,Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006, ( pag. 23).
Età in mesi Attività osservata Termini adottati approssimata
0-7 Comportamenti motori/vocali Suono vs movimento 8-12 Segnali comunicativi intenzionali Vocalizzazione vs gesto 13-16 Simboli Parola vs segno 17-20 Combinazione di simboli Lingua parlata vs
lingua dei segni Fonte: Caselli
“Con riferimento a questo schema seguirà la trattazione delle somiglianze e delle
differenze nello sviluppo comunicativo tra bambini sordi con genitori sordi e
bambini normoudenti, come pure tra bambini sordi figli di udenti e bambini
normoudenti.” 82
E’ chiaro che lo sviluppo comunicativo del bambino sordo con i genitori sordi non
abbia l’isolamento linguistico determinato perché la modalità visivo-gestuale
sostituisce a quella acustico-vocale.
A confronto dello sviluppo comunicativo del bambino sordo con i genitori udenti,
può rimanere per lungo tempo in ambiente sociale privo di strumenti adeguati per
condividere con lui i discorsi sul mondo fisico e mentale della vita di ogni giorno.
In conclusione questo bambino si sente emarginato ed escluso dalla
comunicazione verbale che gli udenti usano con lui e tra di loro, l’esclusione può
generare problemi di ritardo linguistico; dall’altro la mancata esposizione a una
lingua dei segni che invece potrebbe acquisire senza difficoltà.
La lettura labiale non può sempre essere in aiuto per i bambini sordi perché non
sono in grado di riconoscere i sillabi o le parole dal movimento delle labbra.
“ La scarsa capacità di discriminare i suoni vocali, determina difficoltà nella
strutturazione della competenza sintattica. Nella lingua italiana, infatti, sono
proprio le vocali a segnare la differenza di genere e numero fra nomi e le
differenze di persona nella coniugazione dei verbi (Nickel, 1989). In generale, le
difficoltà maggiori che il bambino sordo figlio di udenti incontra a livello
sintattico riguardano la possibilità di concatenare tra loro periodi complessi
formati da frasi di forma coordinata e subordinata. Inoltre, le preposizioni di 82 Sempio O. L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006, (pag. 24).
forma attiva risultano più semplici da produrre e maggiormente comprensibili
rispetto a quelle passive o impersonali (soggetto – verbo – complemento).
Per quanto riguarda gli aspetti funzionali legati al significato, il bambino sordo
figlio di genitori udenti non incontra particolari problemi nello stabilire rapporti
semantici tra i concetti o le informazioni, ma le imprecisioni nella sua percezione
uditiva lo rallentano nella costruzione di nessi sempre più complessi e precisi fra
pensiero e linguaggio” 83
“Con la legge n. 517 che fu emanata nel 1977, la politica statale di integrazione fu
definitivamente regolarizzata: i genitori dei bambini sordi si prospettavano due
possibilità di scelta tra la scuola speciale e la scuola “normale” (inserimento in
una scuola per udenti). La famiglia del bambino sordo è posta davanti a un grave
dilemma: si trova nella situazione di dover scegliere tra l’integrazione del proprio
figlio in una scuola “normale” e a comportarsi in maniera normale rifiutando e
allontanando, così, una diversità che spaventa e che inevitabilmente porterebbe ad
un’esclusione ed incomprensione da parte della comunità udente e della sua stessa
famiglia; e l’inserimento del bambino in una scuola speciale, dove sì, verrà
seguito da esperti e potrà trovarsi a suo agio tra bambini con il suo stesso deficit,
insieme ai quali potrà sentire parte attiva e partecipe di una comunità a sé stante,
ma che, proprio per questo sentirsi un diverso, un estraneo all’interno della
famiglia e nello scontro con la maggioranza udente”84
Molte delle differenze, quindi, quantitative e qualitative che si evidenziano tra i
bambini sordi con genitori e quelli con genitori udenti possono essere legate agli
affetti dei primi scambi comunicativi. I bambini sordi nati da genitori sordi hanno
fin dall’inizio un canale di comunicazione che assolva le funzioni cognitive,
linguistiche e sociali. Il vantaggio che questo comporta può essere riscontrato
nelle osservazioni relative alle diverse aree psicologiche e di apprendimento
scolastico, che suggeriscono che i bambini sordi con genitori sordi sono più
competenti dei coetanei con genitori udenti.
L’arrivo del bambino sordo in una famiglia udente influenza tutta la famiglia. 83 Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma 2006, (pag. 31). 84 Zuccalà A., Cultura del gesto e cultura della parola, Meltemi, Roma, 2001, (pag. 92).
L’evoluzione della relazione tra genitore e bambino è una combinazione delle
caratteristiche iniziali dei genitori e del bambino e del rapido apprendimento che
si verifica in entrambi.
E’ molto importante che genitori e figlio si sintonizzino l’uno sull’altro, attraverso
lo sviluppo di sincronia e reciprocità, dove per sincronia si intende la forte
correlazione tra il comportamento della madre e quello del figlio ed il loro
convergere in una routine comune di interazione. Per reciprocità si intende una
specie di simbiosi tra madre e bambino. La madre ed il bambino si stimolano e si
rispondono vicendevolmente, sviluppano modalità reciproche di scambio che
sono generalmente molto diverse da quelle che si verificano tra il bambino ed
altre persone. Queste prime interazioni costituiscono la base del successivo
attaccamento e del legame che si stabilisce tra madre e bambino. Molti studi
hanno descritto le interazioni comunicative nelle diadi formate da madri udenti e
bambini sordi.
Le indicazioni delle ricerche condotte con i bambini in età prescolare e dei primi
anni di scuola rivelano che, rispetto alle madri di diadi in cui entrambi i
componenti sono sordi o udenti, le madri udenti di bambini sordi sono più spesso
intrusive, tese e direttive nelle interazioni verbali e non verbali.
Le madri che non hanno training di comunicazione manuale sembrano anche
esercitare un controllo maggiore sul comportamento dei propri figli sordi.
Le madri che invece hanno individuato un canale efficace di comunicazione con
proprio figlio hanno probabilmente un bisogno inferiore di esercitare tale
controllo e, soprattutto, delle sue manifestazioni fisiche.
Ci sono notevoli differenze a seconda che un bambino sordo nasca da genitori
sordi o da genitori udenti per quanto riguarda la scelta del metodo educativo e
riabilitativo. Un bambino sordo figlio di sordi imparerà la lingua dei segni come
lingua madre e successivamente la lingua italiana attraverso sedute
logopedistiche e a scuola; sarà così bilingue. Acquisirà le regole grammaticali e
morfo- sintattiche della LIS e contemporaneamente, in contesti diversi, quelle
dell’Italiano. Un sordo figlio di udenti sarà più facilmente orientato dalla famiglia
verso un metodo orale. Il metodo orale si basa possibilità di una diagnosi precoce
e dell’esatta valutazione del deficit per poter sfruttare al massimo i residui uditivi
attraverso un’immediata protesizzazione. La famiglia deve collaborare
attivamente alla terapia, soprattutto la madre, che deve continuare a casa i compiti
assegnati dal logopedista. E’ per questo motivo che spesso la figura materna
tende ad essere percepita in modo più diretto, ed il ruolo di mamma si mescola
con il ruolo di terapista.
Vorrei riportare una notizia simbolica che è una riflessione antropologica della
sordità e non intendo addentrarmi le valutazioni di carattere etico. Una coppia
lesbiche di Washington, entrambe sorde dalla nascita da sordità congenita per
assicurarsi che il figlio e la figlia nascessero sordi come loro. Le due donne si
sono sposate da più di dieci anni e hanno messo al mondo due bambini sordi e
concepiti con l’inseminazione artificiale. La particolarità di quella famiglia è che
la coppia ha volontariamente cercato e trovato un donatore affetto da sordità
congenita da cinque generazioni il quale ha donato il seme per entrambi i bambini.
Le due mamme considerano la sordità come un’identità culturale. Riassumo il
significato dell’identità sorda che sono riportate da una serie di pubblicazioni tratti
da articoli, libri o siti internet di ricercatori, esperti della cultura sorda o
semplicemente persone che raccontano la propria esperienza.
Proprio per questo è ormai consolidato il fatto che i bambini sordi figli di genitori
sordi manifestano generalmente normali modalità di sviluppo nell’area sociale,
linguistica e cognitiva, se confrontati con i coetanei udenti.
Questa modalità sembra essere in gran parte una funzione della qualità delle prime
interazioni con i genitori che sono sensibili ai bisogni del proprio figlio e che
utilizzano un canale comune di comunicazione.
2 CAPITOLO EDUCARE ALLA LINGUA DEI SEGNI
2.1 Introduzione alla lingua dei Segni, Cultura e Comunità Sorda Italiana
Nella pratica quotidiana ogni individuo si trova a dover scambiare
informazioni con altri individui. Per riuscire in quest’intento, bisogna far ricordo
ad un mezzo che veicoli le informazioni, cioè una lingua che sia condivisa dai
soggetti coinvolti nella comunicazione linguistica. Il classico esempio di questo
fenomeno è una comunicazione tra due persone in una lingua che abbia una
tradizione orale e scritta, come possono essere l’italiano, l’inglese o il francese,
oppure in una lingua che, pur non avendo una forma scritta, può contare
sull’oralità.
Risulta forse più difficile, invece pensare all’esistenza di una lingua che
non solo non conosca la scrittura, ma che per di più non possa nemmeno esser
parlata o ascoltata; eppure, questo tipo di lingua in ogni paese non è affatto raro: è
il caso della lingua dei segni. Le lingue acustico-vocali, dette anche solo vocali o
verbali, sono quelle che si esprimono per l’appunto attraverso il canale acustivo-
verbale: un individuo riceve input di tipo acustico tramite l’udito, mentre l’output
è costituito dalla produzione vocale emessa mediante l’apparato fono-
articolatorio. Condizione fondamentale affinché questa comunicazione avvenga è
che l’individuo in questione sia udente: ciò significa che fin dalla nascita ha
potuto udire i suoni emessi dalle persone che lo circondavano, capirne appieno il
significato, quindi passare all’imitazione e giudicare con le sue orecchie la propria
produzione vocale (disponendo così del cosiddetto feedback acustico). Grazie a
questo procedimento d’esposizione ad una lingua, ha potuto apprenderla: in
questo consiste la facoltà di linguaggio, intrinseca nella natura umana. Nel caso di
una persona sorda, però, la situazione è ben diversa: pur disponendo della stessa
facoltà di linguaggio di un udente, la sordità impedisce sia la percezione degli
input, sia il feedback acustico e per questa ragione la lingua vocale non può
diventare la lingua naturale della persona sorda. Ma poiché, come si è detto, tutti
hanno bisogno di comunicare con gli altri, è necessario per i sordi trovare una
modalità di comunicazione che sostituisca al canale compromesso (quello
acustico) un canale che sia integro (quello visivo). Nasce perciò la lingua dei
segni, che trova la sua espressione sul piano visivo-gestuale: lo input è percepito
con gli occhi e l’output è prodotto impiegando le mani, il viso, la postura del
corpo. Dato che ricorre alla vista, canale perfettamente integro nei sordi, la lingua
dei segni è atta a tutti gli effetti a diventare la lingua naturale di una persona
sorda: se esposto ad essa dalla nascita, il sordo la acquisisce in modo naturale e
spontaneo, tanto quanto un udente impara una lingua verbale.
“La storia della lingua dei segni viene dagli scritti dell’Abate de l’Epée
che, verso la metà del settecento, avendo scoperto che i suoi studenti sordi
comunicavano attraverso la “langue des signes naturels”, decide utilizzare questa
forma di comunicazione per insegnare la lingua parlata e scritta aggiungendo i
segni che corrispondevano a elementi del francese come i generi, i tempi dei
verbi, ecc. La tradizione illuminista mostrò notevole interesse per questi aspetti
della comunicazione umana e in seguito Sicard, direttore della scuola per sordi di
Parigi e successore dell’Abate de l’Epée, fu grande studioso della Lingua dei
Segni e uno dei membri della Societè des Observateurs de l’Homme. La Lingua
dei Segni Francese (LSF) viene introdotta negli Stati Uniti da Thomas Hopkins
Gallaudet, i quali, affascinato dall’opera di Sicard, si reca in Francia e dopo un
anno di apprendistato, torna in patria nel 1816 portando con sé Laurent Clerc, un
Sordo tra i più esperti istruttori di LSF. Grazie all’opera di Gallaudet e Clerc, che
fondano subito una prima scuola ad Hartford, nel Connecticut, il linguaggio dei
segni si diffonde ben presto in tutti gli Stati Uniti mescolandosi ai gesti già in uso
presso i sordi americani e questo spiega le notevoli somiglianze che esistono
tuttora tra la Lingua de Segni Americana (ASL) e la LSF. Anche in Italia senza
dubbio esisteva e veniva usata una Lingua dei Segni tra i Sordi, nel corso della
prima metà dell’ottocento descrissero le loro metodiche di insegnamento in parte
basate sull’uso del gesto. Tommaso Silvestri fu uno degli studenti di de l’Epée Ma
la svolta rigidamente oralista affermatasi dopo il Congresso di Milano del 1880,
impedì che questa forma di comunicazione avesse in Italia più ampia diffusione in
ambito educativo.
L’interesse per la Lingua dei Segni da un punto di vista linguistico si
risveglia a partire dagli anni ’60 grazie all’opera di W. Stokoe che si occupa di
fare un’analisi sistematica dell’ASL rintracciando alcuni aspetti simili a quelli
delle lingue vocali. Secondo il suo lavoro un segno si può scomporre in
riferimento a tre parametri:
• il luogo nello spazio dove le mani eseguono il segno;
• la configurazione delle mani nell’eseguire il segno;
• il movimento nell’eseguire il segno.
Un altro parametra importante che è stato individuato più tardi rispetto all’analisi
originaria di Stokoe è l’orientamento del palmo delle mani.
In definitiva questo tipo di analisi ha rintracciato in una Lingua dei Segni
un’organizzazione lessicale o meglio sub-lessicale molto simile a quella
riscontrata per le lingue vocali.”85
Esisteva, ed esiste tuttora in molti, la convinzione che il linguaggio dei
segni non possiede né una morfologia né una sintassi, dal momento che non
possiede un sistema flessionale, non usa quasi articoli o preposizioni, non sembra
fare distinzioni tra nomi e verbi e presenta infine un ordine appertenemente libero
degli elementi nella frase. In realtà esistono una serie di meccanismi che
permettono di codificare tutte quelle informazioni che vengono espresse da alcune
lingue vocali tramite gli articoli, le preposizioni, il sistema flessionale o l’ordine
delle parole nelle frasi.
Indico in modo sintetico i caratteri principali della grammatica di LIS:
a) TEMPO E MODO DEI VERBI
Il verbo viene segnato sempre all’infinito, ma per indicare il presente, il passato e
il futuro i segni sono eseguiti lungo una linea astratta denominata “la linea del
tempo”, situata sul piano orizzontale all’altezza della spalla segnante.
b) VERBI DIREZIONALI
Si muovono nello spazio secondo la direzione di chi fa o riceve l’azione (es. ho
ricevuto un fax il segno “fax” si muove verso di me; ho mandato via fax il segno
“fax” verso al destinatario – fatto)
c) PLURALE
E’ ottenuto ripetendo il segno, modificando il luogo di articolazione e, in parte
anche il movimento. Esistono alcuni segni che non si possono ripetere per formare
il plurale e in quel caso si aggiunge il segno “tanti” dopo l’oggetto o il soggetto
85 Volterra V., La lingua dei segni italiana. Comunicazione visivo-gestuale dei sordi, Mulino - Collana “Itinerari” 2004.
plurale”
d) PRONOME PERSONALE
E’ basato su una serie di indicazioni gestuali e oculari:
- la prima persona è data dall’indicazione di se stessi;
- la seconda persona è rappresentata dall’indicazione e dallo sguardo diretti verso la
persona che conversa con il segnante;
- la terza persona è data dall’indicazione rivolta al soggetto in questione se
presente, verso un punto indefinito dello spazio se assente ma lo sguardo rimane
rivolto all’interlocutore;
- idem per la 1°, 2° e 3° persona plurale e il movimento è semicircolare.
e) FRASE AFFERMATIVA, NEGATIVA E INTERROGATIVA
Nella frase affermativa, l’espressione facciale è positiva ma neutra e le spalle e il
tronco non hanno particolari posizioni, la frase negativa viene espressa con
l’avverbio posto alla fine della frase, le spalle sono spostate all’indietro e il capo è
leggermente inclinato da una parte e la frase interrogativa viene usata con gli
aggettivi o i pronomi interrogativi che sono posti alla fine della frase, le
sopracciglia sono inarcate ( domanda chiusa si/no) o la fronte è corrugata
(domanda aperta), il capo e le spalle sono inclinate in avanti.
f) CONDIZIONALE
Le sopracciglia sono inarcate, il capo e le spalle sono inclinate in avanti, dando
l’espressione della domanda, segue una pausa che dà il tempo di rilassare
l’espressione interrogativa e la postura del tronco che esprime la conseguenza
della condizione.
g) ESPRESSIONE (componente non manuale)
Ha un ruolo fondamentale nella lingua dei segni italiana, nella grammatica senza
la quale il gesto perderebbe il significato: il movimento del corpo, l’ampiezza, la
velocità sono gli elementi fondamentali della corretta espressività nella lingua dei
segni.
h) QUATTRO PARAMETRI formazionali
I segni risultanti dalla combinazione dei quattro parametri costituiscono il
vocabolario della lingua dei segni, il suo lessico:
- LUOGO
- CONFIGURAZIONE
- ORIENTAMENTO
- MOVIMENTO
i) COPPIE MINIME
Cambiando un solo parametro varia il significato del segno: es. luogo: da mamma
a scusa
Configurazione: da condanna a uccidere
Movimento: da olio a benzina
Orientamento: da giovedì a domenica
j) SEGNI NOME
Ogni sordo ha due nomi: un segno nome e un nome in lingua vocale e questi nomi
sono legati alla doppia identità della persona che vive sia nel mondo degli udenti
che nella comunità sorda.
k) SEGNI IDIOMATICI
Sono espressioni che appartengono alla cultura sorda, ma anche influenzate dalla
cultura udente, che tradotte letteralmente sembrano non avere alcun significato.
“In Italia, i segni variano da una città all’altra, la diversità dei segni
rispecchia la situazione dei dialetti regionali usati dagli udenti, stavolta all’interno
della stessa città un gruppo di Sordi può usare segni diversi da un altro gruppo in
base all’istituto o al circolo che frequenta ma anche in base alla scelta di un vero e
proprio “SLANG” caratteristico di una compagnia. Nell’Italia del sud i segni sono
più espressivi che al nord, ci sono segni che solo i Sordi possono capire e che
sono molto difficili da tradurre in italiano se non con molte parole.
Circa l’80% dei segni di ogni regione si differenzia dal resto del paese, i
segni che sono simili si riferiscono a cose molto comuni. Alcuni segni possono
variare nel luogo ma possiedono la stessa configurazione o viceversa varia la
configurazione ma il segno viene eseguito nello stesso luogo. Quello che non
varia è l’espressione facciale, elemento importantissimo per la Lingua dei Segni,
pari all’intonazione vocale nella lingua parlata.
Naturalmente i segni dipendono dalle esperienze di vita di ogni individuo
che li usa, dal suo livello culturale e dagli scambi comunicativi a cui ha
accesso.”86
La Lingua dei Segni può allora diventare non solo una modalità
comunicativa, ma anche il tramite per avere rapporti profondi con gli altri
coetanei in una situazione finalmente paritaria, e con gli adulti sordi, che
rappresentano con la loro riuscita professionale e la loro soddisfacente vita
privata, un valido punto di riferimento. Il linguaggio dei segni è un insieme
strutturato e organizzato di gesti. Un linguaggio di segni universalmente diffuso è
quello elaborato per persone prive di udito, i movimenti delle mani sono
principalmente di due tipi: gesti naturali o mimici per rappresentare oggetti, idee,
emozioni, sensazioni; segni metodici o sistematici per esprimere principalmente la
lingua scritta. I segni usati dai sordi non sono un semplice insieme di gesti per
comunicare, essi hanno una grammatica ben precisa, regole per i verbi, per il
plurale e il singolare, costituiscono, cioè, una vera e propria lingua al pari delle
lingue vocali. Come dice la Dott.ssa Elena Radutsky, tutte le lingue vive sono in
uno stato costante di cambiamento e la lingua dei segni italiana ha il cambiamento
storico soprattutto quella di fonologia che sembrano essere determinati da
esigenze linguistiche inerenti alla modalità visivo-corporea che hanno due tipi di
esigenze: percettive e articolatorie. “Si può affermare che l’evoluzione di un
segno risponde all’esigenza di dare:
o Al segnante una maggiore facilità articolatoria;
o Al ricevente la massima percezione visiva.
Ad esempio: il segno “scarpe” che era espresso molto basso, verso i piedi in modo
più iconico, in altre parole rispecchiava maggiormente il referente, ma la
produzione del segno richiedeva anche più sforzo e più tempo, e la persona che
riceveva il segno doveva spostare gli occhi di sotto alla zona di massima acutezza
visiva per vederlo. Oggi il segno per scarpe viene effettuato più in alto ed è più
facile articolarlo e vederlo. Ha perso l’iconicità in favore di una maggiore
86 Volterra V., La lingua dei segni italiana. Comunicazione visivo-gestuale dei sordi,. Mulino - Collana “Itinerari” 2004.
efficienza e maggiore chiarezza visiva. “87.
Molti ci chiedono come nascano i segni purtroppo è difficile rispondere in
modo preciso come le altre lingue vive che l’etimologia aiuta a scoprire la vera
origine delle parole. La lingua dei segni italiana non ha documenti scritti e
conservati perché non esistevano il modo di verbalizzare in scritta e le ricerche
riescono a risalire al massimo fino a cent’anni fa grazie alle testimonianze di
persone sorde anziane.
“Tab. 1 Come nasce un segno
Processo di formazione dei segni
Nella formazione dei segni si possono distinguere cinque fasi:
1. Osservazione della realtà circostante e influente linguistiche esterne, vale a
dire persone/oggetti (forme, movimenti, tipi di afferramento, comportamenti,
azioni), Italiano, Gesti italiani, Lingue dei segni (Tab. 1)
2. Percezione visiva
87 Bagnara C., Chiappino G., Conte M.P., Ott. M., Viaggio nella città invisibile. Atti del 2° Convegno Nazionale sulla Lingua Italiana dei Segni., Edizioni del Cerro, Pisa, 2000, (pag. 122).
1. CLASSIFICATORI: a. Forma b. Afferramento c. Movimento d. Azione e. Comportamento
2. USO IMPROPRIO DI SEGNI
3. ASSIMILAZIONE DI SIGNIFICATI AFFINI
4. DATTILOLOGIA (nazionale – popolare) a. Inizializzazione b. Lessicalizzazione c. Lettera di mezzo
5. NUMERI
6. ARTICOLAZIONI FONICHE 7. SEGNI STRANIERI
8. GESTI ITALIANI
SEGNO
3. Patrimonio personale di conoscenza linguistica, classificatori, parametri
formazionali, segni già codificati, dattilologia, gesti italiani.
4. Produzione dei segni “provvisori”. Durata: breve e lunga
5. Segni codificati/convenzionali e/o “segni abbandonati”
Il Segno codificato/convenzionale va ad immagazzinarsi nel “patrimonio
personale” e diventa forma citazionale”88
La lingua dei Sordi è quella della lingua dei segni che è una
comunicazione visivo-gestuale e nasce dalla cultura sorda di ogni paese. Il cuore
della cultura sorda non risiede solo in alcuni comportamenti che distinguono i
Sordi nelle loro attività e relazioni, bensì in uno spirito di identità sorda e in
alcune dinamiche di identificazione nell’esperienza di essere Sordo e nello
stringere relazioni che forgiano tale identità. Non tutti i sordi conoscono la lingua
dei segni e dipende dall’identità sorda da come si è sviluppato, vissuto ed istruito.
E’ necessario che l’identità sorda venga sviluppato perché per essere un Sordo
debba riconoscere il proprio deficit e di accettare la propria personalità non come
un disabile ma una diversa identità dell’altro.
E’ necessario sviluppare anche un forte identificazione con la lingua dei
segni così come tutte le persone si identificano con la propria lingua madre, infatti
è il fulcro della cultura sorda, è il mezzo principale attraverso cui vengono
veicolati tutti gli scambi, tutte le forme espressive, la formazione e le relazioni
personali più dirette. Questo perché si basa sulla modalità visiva che è quella più
importante e naturale per tutti i sordi, anche per gli oralisti, cioè chi non conosce o
non usa la lingua dei segni ma impara a comunicare parlando in adagio e leggendo
le labbra, rimane la modalità fondamentale di relazione.
Un altro tratto distintivo della cultura sorda è la vita nella comunità, la
partecipazione attiva alle riunioni sociali, quindi la necessità di frequentare i
circoli, i luoghi di ritrovo in genere, e tutta la serie di feste, manifestazioni, attività
culturali e sportive che derivano. Essere accettati dalla comunità dei Sordi
significa farne parte in modo attivo ed esserne riconosciuti attraverso
88 Bagnara C., Chiappino G., Conte M.P., Ott M., Viaggio nella città invisibile. Atti del 2° Convegno Nazionale sulla Lingua Italiana dei Segni,Edizioni del Cerro, Pisa, 2000, (pag. 143).
l’assegnazione di un segno-nome.
“Il segno-nome è un segno che diventerà caratteristico e descrittivo della
propria persona e che viene assegnato da uno o più membri della comunità in base
ai tratti distintivi della persona o a qualche caratteristica fisica o ancora in base a
delle analogie con il significato del nome o del cognome. All’interno della
comunità dei Sordi il segno-nome equivale alla presentazione ufficiale
dell’individuo e giustifica la propria presenza all’interna di essa. “89
Quando mi presento ad un Sordo solitamente dico: - molto piacere, mi
chiamo Romilda, il mio segnanome è…. – ed è come dire: mi presento come
persona, sono Romilda e come membro della comunità dei Sordi e della famiglia
sorda mi hanno dato questo segno-nome.-
“Nella lingua dei segni la trasmissione generazionale avviene all’interno
delle famiglie solo se i genitori siano anch’essi Sordi, altrimenti i luoghi principali
di trasmissione culturale sono gli istituti e i circoli o comunque quei luoghi dove
si riunisce la comunità locale di Sordi. All’interno di queste associazioni il
giovane Sordo può venire a contatto con la comunità, sviluppare la propria
identità sorda, imparare la Lingua dei Segni, partecipare a varie iniziative ed
attività, conoscere le abitudini e le tradizioni dei sordi.
La presenza di educatori è fondamentale per la formazione di un’identità o
semplicemente un’idea del Sordo come persona completa e con pari dignità
rispetto ad un udente.
La comunità Sorda è invisibile perché non esiste un luogo preciso dove
“abita” e si tratta di una comunità immaginata, ma non virtuale, una comunità che
i Sordi sentono viva e presente attraverso una rete di relazioni che li lega a livello
trans-regionale. Essa si concretizza attraverso le scuole, le associazioni, le
istituzioni che la rendono manifesta ed operante nella società. Possono essere
circoli o associazioni sportive o enti ufficiali che organizzano grandi eventi,
manifestazioni culturali o semplicemente attività ritrovo.
Esiste un confine interno e un confine esterno della comunità sorda: il
89 Zuccala A., Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi, . Meltemi, Roma, 1997.
primo viene tracciato dall’interno della comunità sorda e coincide con il
sentimento di appartenenza che i membri hanno verso la propria comunità e nei
confronti della Lingua dei Segni, il confine esterno viene delineato in base alle
possibilità di accedere o no alle risorse sociali ed economiche del mondo
udente”90
Nell’articolo di Carol Padden spiega che la definizione:
“ la cultura sorda americana è che le persone sorde formano gruppi
all’interno dei quali non sperimentano “deficienze” e nei quali i bisogni di base
dell’individuo sono soddisfatti come in tutte le altre culture di esseri umani. Una
comunità di Sordi è un gruppo di persone che abita in un luogo particolare,
condivide gli obiettivi comuni dei suoi membri e in diversi modi lavora per
raggiungere questi obiettivi. Una comunità di Sordi può includere persone che
non sono esse stesse sorde ma che supportano attivamente gli obiettivi della
comunità e lavorano con i Sordi per raggiungerli” .
Tutto questo si comunica che c’è la distinzione tra la cultura sorda e la
comunità dei Sordi affermandosi che la cultura dei Sordi è molto più chiusa di una
comunità sorda: i membri della cultura sorda si comportano da Sordi, usano la
Lingua dei Sordi, e condividono le convinzioni dei Sordi riguardo se stessi e alle
altre persone che non sono Sorde.
Secondo C. Padden essere Sordi non significa solo avere qualche grado di
udito mancante, il tipo e il grado di sordità non sono criteri sufficienti per
diventare Sordi. Il criterio è se una persona si identifica con altri Sordi e se si
comporta come un Sordo attenendosi a determinati valori culturali.
I valori culturali, descritti da C.Padden, sono i seguenti:
1. Linguaggio
Sicuramente uno dei più importanti valori della cultura è il rispetto per una delle
maggiori caratteristiche identificative: la lingua dei segni. Non tutti i Sordi hanno
una competenza dalla nascita in Lingua dei Segni cioè non tutti i sordi hanno
imparato la Lingua dei Segni dai propri genitori come prima lingua, ma
90 Zuccalà A., Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi, Meltemi, Roma, 1997.
sicuramente molti di loro rispettano e accettano la Lingua dei Segni e più che
prima i Sordi hanno iniziato a promuoverne l’uso.
2. Relazioni sociali
Come tutti i gruppi di minoranza c’è una forte enfasi sui legami familiari e sociali
quando i membri fanno parte della stessa cultura o comunità. I Sordi reputano le
attività sociali un importante modo di mantenere contatti con altri Sordi con i
quali condividono le stesse opinioni e atteggiamenti culturali. Questo accade
anche perché spesso i Sordi passano molto tempo in situazioni socialmente
limitate, pensiamo ad esempio ad un sordo che lavora in un posto dove c’è l’unico
ad essere sordo, è ovvio che poi avrà voglia di trascorrere il resto del tempo in
un’atmosfera sociale più confortevole.
3. Storia e letteratura della cultura sorda
I valori culturali qui descritti non sono mai determinati in modo esplicito, non ci
sono libri dove i bambini sordi leggono e imparano questi valori, essi li imparano
attraverso un processo di apprendistato in cui il loro comportamento, i loro
commenti e azioni vengono rinforzate o scoraggiate. Questi valori vengono
ritrovati nella letteratura della cultura, storie e giochi non registrate che vengono
trasmessi oralmente. Una storia tipica potrebbe essere questa: una persona sorda
cresce in un ambiente orale senza mai incontrare o parlare con un Sordo. Più tardi,
nella vita, questa persona incontra un Sordo che lo invita a partecipare a dei
raduni, delle feste, gli insegna la Lingua dei Segni, e lo istruisce sul modo in cui
vivono i Sordi. Questa persona si coinvolge sempre di più senza accorgersene e
lascia indietro il suo passato nel momento in cui si unisce ad altri Sordi.
Per imparare la Lingua dei Segni, la lingua dei Sordi, la persona sorda dovrebbe
andare oltre al suo stesso addestramento e convivere quotidianamente per essere
appreso la lingua in modo naturale perché l’espressione facciale quella della
lingua dei Sordi è oltre al limite confrontando con quella degli udenti. I
movimenti degli occhi, della faccia, delle mani sono molto importanti invece nella
Lingua dei Segni, sono usati come parte della sua grammatica, per comunicare
informazioni necessarie al controllo delle conversazioni tra segnanti così come per
trasmettere informazioni riguardo alle emozioni del segnante. Ad esempio: nella
cultura degli udenti, le persone sorde imparano a non fissare lo sguardo degli altri
e cercano di fissare in breve periodo e a guardare altrove velocemente. Nelle
conversazioni in segni invece ci si aspetta di guardare in faccia il segnante durante
tutta la conversazione. Rompere il contatto visivo tra segnante e l’ascoltatore può
essere interpretato dai Sordi come disinteressamento o sgarbataggine.
Chi entra nella comunità dei Sordi non può fare a meno di notare un
atteggiamento di sfiducia verso gli udenti considerati intrusi, a meno che non
siano parenti, ricercatori, interpreti; lo stesso atteggiamento vale anche per quanto
riguarda la Lingua dei Segni, da un lato la si vuole promuovere e divulgare,
dall’altro c’è atteggiamento di conservazione e difesa etnica91
Le terminologie ideologiche, scientifiche e legislative della persona sorda
hanno enormi influenze sugli usi linguistici specifici della comunità sorda e della
società italiana.
In generale, la sordità è la riduzione più o meno grave dell’udito che più
essere di natura congenita o, più spesso, è acquisita durante la gravidanza o dopo
la nascita, l’acquisizione della lingua vocale del soggetto è seriamente
compromessa.92 Eppure, all’articolo della legge n.381 del 26 maggio 1970
dell’ordinamento italiano si parla di “sordomuto” e non di “sordo”: si considera
“sordo” colui che abbia una perdita uditiva dalla nascita o acquisita durante l’età
evolutiva, che gli abbia “compromesso” il normale apprendimento del linguaggio
parlato, purché la sordità non abbia avuto origine esclusivamente psichica o per
causa di guerra, lavoro o servizio” 93. Dopo diciotto anni è approvata un’altra
legge 508/98 che introduce l’Indennità di Comunicazione, dove si precisa che
“sordo prelinguale” equivale a “sordomuto” di cui alla Legge 381/70.
Cambia la terminologia che aveva precluso a molti sordi profondi di ottenere
l’Indennità di Comunicazione in quanto le Commissioni, andando contro al testo
di legge ( “sordomuto è chi è diventato sordo entro il dodicesimo anno di età e
pertanto ha avuto gravi problemi ad acquisire il linguaggio verbale” ). tratte in 91 Zuccalà A., Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi, Meltemi , Roma, 1997. 92 V.§ 0.1 relativamente alle difficoltà del sordo nell’acquisizione delle lingue verbali. 93 L.381/70, Aumento del contributo ordinario dello Stato a favore dell’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza ai sordomuti e delle misure dell’assegno di assistenza ai sordomuti.
inganno dal termine:“se sei sordomuto, non puoi parlare e quindi non ti concedo i
benefici di legge”.
La legge del 5 febbraio 1992, n. 104, riconosce la condizione di handicap sarà
influenzata inoltre dai fattori socioeconomici, essendo i sussidi protesici e
riabilitativi espressione anche delle potenzialità economiche del soggetto.
”Da queste premesse si può concludere che il riconoscimento della condizione di
handicap è da riferirsi alla persona e non è da estendersi automaticamente a tutti i
soggetti che abbiano la stessa patologia, contrariamente all’incidenza funzionale
lavorativa di una malattia, invalidità, che è tabellata dal decreto
ministeriale 5 febbraio 1992.
Per questo motivo la legge 104/92 differenzia la menomazione dalla disabilità e
dall’handicap ed affida alle Commissioni Mediche delle A.S.L. ( ex legge 295/90)
il compito di accertare nei richiedenti, oltre la condizione di invalidità, lo stato di
gravità. La legge 104, valutando le possibilità riabilitative che il soggetto può
raggiungere, dando dinamicità al concetto di persona handicappata, rende inoltre
possibile che una stessa persona venga considerata portatrice di handicap grave in
giovane età, come nel caso del bambino sordo ancora non educato all’uso della
parola, e non le riconosca tale possibilità da adulto”94
I diritti restano inalterati semmai il Legislatore dovrà precisare che i benefici
cambiano a seconda dell’insorgenza della sordità ( fino al dodicesimo anno si era
“sordomuti” e oltre tale età “sordi” ).
Finalmente fu modificata con il termine “Sordo”: “è quella che risulta a
seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 95 del 2006, che ha eliminato il
preesistente termine “sordomuto” da tutte le leggi in vigore, sostituendolo con
“sordo”, ed ha introdotto il criterio della “compromissione” del linguaggio al
posto del suo “impedimento”. Vale a dire che l’apprendimento del linguaggio non
deve più essere impossibile ma soltanto difficoltoso e, quindi, può realizzarsi, ad
esempio, grazie alla protesizzazione ed a percorsi abilitativi precoci.”95
Infatti, fino a qualche quindicina d’anni fa, si riteneva che i sordi avessero un
94 http://www.ens.it 95 http://www.ens.it/personasorda.asp
deficit mentale ed erano pertanto considerati ala stregua di incapaci giuridici.
L’appellativo “sordomuto” nasce alcuni secoli fa da una convinzione errata: non
riuscendo ad apprendere la lingua parlata, i sordi venivano etichettati come
“muti”, in realtà, adesso è ormai noto che non lo sono affatto perché il loro
apparato fono-articolatrio è perfettamente integrato e possono perciò imparare a
regolare l’emissione di suoni e parole se verranno educati al linguaggio verbale
tramite rieducazione logopedia. Nonostante che nel momento il cui il sordo
padroneggia e si esprime in lingua dei segni, anch’egli diventa un parlante
esattamente come lo è udente nella lingua verbale. Da circa una ventina d’anni è
stata coniata una nuova espressione per definire il sordo: non udente. Questo
termine è stato ideato dalla comunità udente soprattutto dagli ambienti burocratici
che vorrebbero esprimere meno “cruda” di “sordo”, termine troppo diretto che
avrebbe potuto urtare la sensibilità di chi fosse stato affetto da deficit acustico.
Però è un rimedio peggiore per i sordi come dice una nota attrice sorda francese:
Ho anche voglia di rispondere, a volte, a tutti quei termini tipo “non udenti”,
proprio non mi vanno giù. I sordi dicono, di se stessi: “sordi”. E’ una parola giusta
e chiara perché il termine “non udenti” è come un difetto e significa, di fatto,
ricordargli che non sente e una condizione di “sfortuna”. La comunità sorda
preferisce l’uso della “S” maiuscola per indicare con più forza l’appartenenza ad
una precisa comunità che solo nell’ultimo ventennio ha preso coscienza della
propria identità e che intende così affermarla; nonostante ciò, nella presente
trattazione si preferirà sempre l’uso di “sordo” e non di “Sordo” per una questione
di omogeneità dato che ogni comunità menzionata sarà indicata con la minuscola.
“Dissipando progressivamente pregiudizi e paure e superando quel “senso di
inferiorità” rispetto alle lingue vocali, in molti paesi la lingua dei segni ha ottenuto
o sta ottenendo un riconoscimento ufficiale, a livello costituzionale o con
legislazione specifica. Nel rispetto di quanto sancito dalle risoluzioni del
Parlamento Europeo del 1988 e del 1998, e dalla Convenzione ONU sui Diritti
delle Persone con Disabilità, che in più articoli invita gli Stati a “promuovere e
diffondere la lingua dei segni”, ci auguriamo che l’Italia si adegui al più presto a
tale direttiva internazionale. Ne è certo un caso che attualmente al Parlamento
Italia sia in discussione per l’approvazione unanime del DDL Riconoscimento
della lingua dei segni italiana (LIS). La Lingua dei Segni Italiana non uccide la
parola e per il bambino sordo infatti è fondamentale innanzitutto far propri gli
strumenti della comunicazione, per garantire il suo sereno e completo sviluppo
socio-affettivo e cognitivo. La lingua dei segni consente al bambino di acquisire
rapidamente e naturalmente una lingua con cui comunicare con l’ambiente
circostante, a partire dai genitori, ed uno strumento primario di apprendimento di
contenuti. 96
Il bilinguismo è una delle caratteristiche più evidente e importante per la
comunità sorda perché è una delle strategie comunicative che possa vivere in due
mondi, sorda e udente. La situazione della popolazione sorda in Italia può essere
considerata in parte simile a quella di altri gruppi linguistici minoritari.
“ I concetti di intenzionalità comunicativa, di azione condivisa e di contesto
linguistico ed extra linguistico diventano parole chiave per una didattica di L2 o
per esperienza di un’educazione bilingue.”97 (continua al paragrafo 2.2.)
Il brano di Giacomo Carbonieri, un modo per non dimenticare che la storia
insegna, come sempre: «confortato dalle sue parole (di un amico) non solo, ma
molto più conosciuto, il pericolo, che provare potrebbero i miei fratelli sventurati
di essere abbandonati in seno all’ignoranza, se io mi taceva...» (1858, pp. 6-7).
2.2 Insegnare la lingua dei segni italiana ai bambini sordi
La difficoltà nell’affrontare un’educazione bilingue consiste proprio nel
trasferire quanto si osserva in contesti naturali in campo didattico. Secondo il
principio “una persona, una lingua” (Taeschner, 1985), infatti, gli insegnanti non
solo devono comunicare soltanto attraverso la lingua straniera, ma anche “far
finta” di non capire nessuna altra lingua. In altri termini il metodo utilizzato dovrà
stimolare il bambino ad usare concretamente la lingua in base ad una necessità
comunicativa determinata da precise condizioni contestuali. I contenuti che
verranno proposti dovranno essere adatti al suo livello di sviluppo psichico e 96 http://www.storiadeisordi.it/articolo.asp?ENTRY_ID=529;http://www.ens.it/linguadeisegni.asp 97 Ardito B. ed Mignosi E. , Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non, La Nuova Italia, Firenze, 1995.
linguistico, legati alle sue esperienze di vita e perciò comprensibili e divertenti.
Apprendere un’altra lingua può essere semplicemente un gioco come tanti altri, a
patto che il metodo scelto per l’insegnamento sia adatto alle capacità del bambino.
Il gioco simbolico è una delle attività più importanti nella formazione del pensiero
e nello sviluppo del linguaggio, rappresenta proprio la possibilità di vivere questo
tipo di esperienza. Attraverso il gioco del “far finta.” i bambini simulano una
situazione immaginaria che, una volta ideata, crea una realtà da sperimentare, in
cui essi agiscono ed interagiscono fra loro. Proprio perché parte dal loro vissuto e
dal loro sistema di conoscenze, il gioco della simulazione diventa allora uno
strumento ideale per fornire ai bambini un contesto adeguato per l’azione e
l’interazione in una lingua straniera.”98
Il bambino sordo neo-arrivato deve, prima tutto, acquisire la lingua della
comunicazione. L’apprendimento della lingua dei segni necessario per assolvere i
suoi bisogni primari rappresenta quindi una prima difficoltà da affrontare. Quando
poi questo scoglio viene superato, l’insegnante che ha in classe il bambino sordo
si trova spesso davanti ad un iceberg difficile da sciogliere: frequentemente infatti
il bambino sordo evidenzia dei problemi nello studio linguistico. L’insegnante
deve stimolare e curare la motivazione di apprendere con volontà da parte dei
bambini perché devono padroneggiare la lingua della comunicazione che è una
delle radici negli ambiti disciplinari. La linguistica e il culturale sono due fattori di
natura degli studenti che devono distinguere le loro capacità di competenze
cognitive analoghe. La lingua di comunicazione non è impegnativa
cognitivamente e ben contestualizzata come la lingua di studio che è impegnativa
e formulato oralmente il testo, cioè che in termini linguistici viene definito “grado
di leggibilità” di un testo. Si tratta di una scelta che riguarda il lessico utilizzato, la
sintassi, l’organizzazione delle frasi ecc. che possa riconoscere il livello di
competenza linguistica. Ricordiamo che è già difficile per una madrelingua a
raggiungere un buon livello linguistico come uno studente italiano che acquisisce
la lingua italiana.
98 Ardito B. ed Mignosi E. , Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non, La Nuova Italia, Firenze, 1995.
In generale è importante distinguere tra l’acquisizione che genera
comprensione e produzione linguistica in modo naturale e l’apprendimento che
elabora in modo sforzato, volontario, razionale e basato sulla memoria a medio
termine. L’apprendimento contemporaneo di una seconda lingua (L2) non crea
“confusione” se porta ad acquisire la madrelingua (L1) in modo più consapevole e
creativo. La lingua dei segni è la madrelingua per un bambino sordo profondo che
impara più facilmente a confronto della lingua orale che possa apprendere dalla
famiglia normoudente. Perché la lingua dei segni ha la compatibilità completa fra
la struttura della lingua e delle risorse neuro cognitive del bambino sordo come lo
dimostra l’apparizione naturale dette dalle ricerche scientifiche. Invece
nell’acquisizione della lingua orale da parte del bambino sordo ritiene un maggior
sforzo d’attenzione dovuto a un a un trattamento cognitivo particolare. I genitori
udenti, non avendo come madrelingua la lingua dei segni, utilizzando la LS in età
tardiva potrebbe essere distante alle condizioni naturali per un bambino sordo
dell’utilizzazione di una lingua e in caso contrario cioè acquisizione in età precoce
della LS sarebbe arrivato al livello equo a un bambino udente. Però è importante
distinguere tra il bilinguismo delle lingue orali e il bilinguismo della lingua dei
segni e della lingua orale perché la neurolinguistica, cioè la disciplina che studia i
processi in atto nel nostro cervello, ha definito con molta precisione il fatto che i
due emisferi celebrali (collocati a sinistra e a destra del cranio) lavorano in
maniera specializzata, mentre la psicologia ha individuato la natura della
specializzazione: si affidano all’emisfero sinistro i compiti di natura analitica,
sequenziale, logica, all’emisfero destro quelli di natura globalistica e simultanea.
Alla base della glottodidattica moderna troviamo due concetti sui quali la
confusione non è poca quando si tratta di lingua straniera: acquisizione e
apprendimento. I due processi sono diversi tra di loro e portano diverse
conseguenze sullo studente in quanto veicolati da emisferi celebrali diversi:
1. l’acquisizione è quel processo inconscio per il quale l’emisfero destro del cervello
e l’emisfero sinistro in un lavoro cooperativo fissano i concetti nella memoria a
lungo termine dello studente;
2. l’apprendimento è un processo conscio, governato dall’emisfero sinistro, contrario
dell’acquisizione non è definitivo ma è a termine perché è basato sulla memoria a
breve termine.
Per queste ragioni, l’emisfero sinistro viene spesso etichettato come emisfero “del
linguaggio”; quello destro è l’emisfero “spaziale”. Sebbene tale dicotomia sia
semplicistica, coglie comunque le principali differenze cliniche fra individui con
lesioni che interessano rispettivamente l’emisfero sinistro e il destro. La posizione
delle aree di Wernicke e di Broca sembra avere una logica: la prima, interessata
alla comprensione, è situata nei pressi della corteccia uditiva, ossia della regione
del cervello che riceve segnali dall’orecchio. L’area di Broca, invece, interessata
alla produzione del linguaggio parlato, è vicina a quella regione della corteccia
motrice che controlla i muscoli della bocca e delle labbra. Ma l’organizzazione
del cervello per l’elaborazione del linguaggio si basa davvero sulle funzioni
dell’udito e della produzione vocale. Per rispondere occorre studiare un
linguaggio che si avvalga di canali sensoriali e motori diversi. La lettura e la
scrittura si servono della vista per la comprensione e dei movimenti delle mani per
l’espressione; per molti, tuttavia, tali attività dipendono anche dai sistemi cerebrali
implicati nella comprensione di un linguaggio vocale. Le lingue dei segni usate
dai non udenti, invece, rispondono perfettamente ai requisiti. Ricordiamo bene
che la motivazione è al cuore dell’apprendimento delle lingue e dell’insegnamento
e il fatto che l’apprendimento delle lingue visive può essere una finestra sul
mondo per coloro che hanno esperienze di esclusione psicologica, sociale,
geografica.
L’insegnare la lingua dei segni ai bambini è importante conoscere che la
sostanza è quella visivo-gestuale e la loro struttura che è iconica e dinamica che
conferisce la loro posizione particolare nello spettro strutture delle lingue. A
differenza delle lingue orali, la lingua dei segni utilizza le quattro dimensioni
dello spazio-tempo che sono le stesse degli schemi cognitivi costitutivi della
grammatica universale. L’ordine sequenziale dei segni nella frase segnata
rispecchia lo svolgimento dello schema d’azione. La sintassi segnata è vincolata
direttamente dagli schemi cognitivi mentre nelle lingue orali la sintassi è vincolata
da una riduzione di dimensione imposta dalle regole di combinazione. Come dice
il ricercatore C. Cuxac che ogni situazione di bilinguismo l’acquisizione di L1 si
effettua facendo ricorso a un trattamento rapido, automatico e inconscio del
linguaggio, mentre l’apprendimento di L2 farebbe ricorso al contributo di
processori centrali (più lenti e coscienti), Lingua dei segni e lingua orale non
possono paragonare né confrontare rispetto alla situazione di apprendimento del
bilinguismo delle due lingue orali. I bambini sordi che entrano in contatto la
lingua dei segni, si trova la stessa situazione.
Ricordiamo anche che la lingua ha un forte collegamento alla cultura e la
lingua non è solo un mezzo di comunicazione e di costruzione del pensiero ma è
anche un componente principale di una cultura e trasmette dei significati condivisi
dalle persone che appartengono alla stessa cultura. Nella lingua dei segni
trasmette dei significati che provengono dall’esperienza di vita delle persone
sorde e non possiamo insegnare ad un bambino sordo il bilinguismo precoce senza
l’esistenza di una comunità linguistica sorda che condivide non solo la lingua ma
anche un rapporto con il mondo degli udenti. Il bilinguismo LIS(Lingua dei segni
italiana)/ Lingua italiana (Lingua orale) è necessario che sia sostenuto anche dalle
persone sorde appartenenti a questa comunità culturale in caso contrari la lingua
dei segni non avrebbe un legame alla base linguistica vivente. I genitori udenti
non possono trasmettere in prima persona la lingua dei segni se non conoscono gli
elementi significativi e le esperienze delle persone sorde che appartengono alla
cultura sorda.
2.3 Insegnare la lingua dei segni ai familiari e ai professionisti
Per tanti anni, i sordi venivano riabilitati dal punto vista clinico e l’attenzione era
focalizzata esclusivamente al deficit uditivo e l’obiettivo era che il bambino sordo
diventasse il più possibile simile al bambino udente. In attuale le cose sono
cambiate e la visione alla persona sorda è più psicopedagogica che clinica, si dà
grande importanza allo sviluppo cognitivo, socio-affettivo e linguistico di un
bambino sordo.
Scoprire la sordità del proprio figlio non avviene mai subito dopo il post-parto
perché il test di screening, un test di conferma della diagnosi di sordità infantile
entro il terzo – quarto mese di vita, che è un vantaggio per identificazione e
intervento educativo precoce. Però colpisce in Italia 1 bambino su 1000, non viene
fatta prima dei due anni, età in cui il linguaggio ha il suo massimo sviluppo e nel
caso di una diagnosi precoce di ipoacusia, i genitori possono immediatamente
avvalersi di personale specializzato (logopedista e audioprotesista) in grado di
offrire le indicazioni migliori per la stimolazione necessaria a potenziare le abilità
comunicativa. L’apprendimento del bambino sordo avviene attraverso la vista,
che sostituisce l’udito e con adeguate scelte metodologiche: lettura labiale e/o
Lingua dei Segni (LIS). In questo caso i genitori portano dall’ospedale per fare la
diagnosi, dopo l’accertamento, i genitori non sono del tutto inaspettatamente ma
preoccupati e sperano di sbagliare i loro dubbi. Però quando arriva una diagnosi
certa e i genitori si comportano diversamente con reazioni psicologiche e il clima
della famiglia cambia, un peso da non saper come portare.
Le reazioni variano secondo la personalità, il livello culturale e l’ambiente dei
genitori e sono caratterizzate dai dolori psichici, sono diventati increduli,
impotenti, angosce e sensi di colpa e non sanno come affrontare il lungo cammino
verso l’accettazione del deficit.
Tutto quello che i genitori si sentono impediti a come crescere il proprio
figlio, nello stesso tempo il bambino sordo si sente frustato a non capire e non
riuscire a comunicare con i suoi genitori perché hanno difficoltà di comprenderci
e riconoscerci i propri bisogni reciproci si può sorgere un sentimento pieno di
rancore.
Spesso i genitori sono soli nell’affrontare la sordità, soprattutto la madre che
continua ad avere il ruolo primario e spesso il bambino sordo, a causa delle
difficoltà comunicative, continua a dipendere da lei molto più lungo di quanto
accade per il bambino udente. Il padre invece tende ad avere nei confronti del
figlio sordo maschio forti preoccupazioni sulle sue possibilità di diventare una
persona matura e responsabile. Nei confronti della figlia femmina prevalgono
spesso timori eccessivi sulla sua sicurezza, soprattutto in età adolescenziale, e sui
suoi rapporti amorosi.
Se i genitori dimostrano l’atteggiamento con l’accettazione del deficit al
proprio figlio e quando diventerà ragazzo potrà acquisire la fiducia in sé stesso.
E’ bene ricordare che i sentimenti tra i genitori udenti e il bambino sordo
sono differenti, i genitori dovrebbero accettare il deficit e rinunciare a pensare di
poter diventare un figlio udente e il bambino possa riconoscere il proprio deficit
per costruire, crescere e vivere una vita sua. Se in caso contrario accresce
l’handicap però spesso i genitori non rinunciano del tutto le illusioni di poter
comunicare con linguaggio verbale aggrappandosi con fiducia alla promessa del
logopedista che il bambino riuscirà a comunicare in modo chiaro.
In Italia, troviamo spesso i ragazzi sordi, verso i 16-18 anni, imparano la
lingua dei segni e cominciano a frequentare la comunità dei sordi. Questo caso
bisognerebbe riflettere soprattutto ai genitori udenti che sarebbe meglio insegnare
la lingua dei segni ai bambini sordi per evitare i gravi danni psicologici.
La famiglia sorda è diversa dalla famiglia udente perché loro comunicano
con la lingua dei segni ai figli sordi in modo naturale come dice la ricercatrice
Roberta Tomassini (1999) “ un campione di adolescenti sordi, figli di sordi,
confrontati con adolescenti sordi, figli di udenti, ha dimostrato grandi differenze
tra i due sistemi familiari. Premessa l’importanza delle relazioni all’interno della
famiglia per la costruzione della personalità dell’adolescente, è emerso che i
genitori sordi avevano una grande stima dei loro figli e gli adolescenti di questo
nucleo avevano un alto livello di autostima; nelle famiglie udenti, invece, il figlio
sordo veniva considerato insicuro, sognatore, immaturo, dipendente, e questi
ragazzi avevano livelli di autostima più bassi. Il risultato è che l’elemento
fondamentale per favorire un positivo sviluppo emotivo e affettivo è la
comunicazione, nel senso di condividere uno stile comunicativo. ”99
Però in passato i genitori sordi erano inconsapevoli sull’importanza della
lingua dei segni ed oggi sono più coscienti dei loro figli stanno acquisendo una
lingua visiva e che questo processo è molto importante. In passato i genitori sordi
si preoccupavano sull’apprendimento della lingua italiana per i figli sordi e molti
desideravano che imparino a leggere e a scrivere precocemente, ritengono 99 Maragna S., La sordità, Hoepli, Milano, 2000, (pag. 33).
fondamentali che posseggano una buona capacità di lettura labiale. Però i genitori
non costringono molto sull’uso della protesizzazione e comprendono che al
bambino sordo possa infastidire, ma potrebbe accadere che alcuni di loro scelga la
riabilitazione con l’impianto cocleare.
Certi genitori portano il bambino sordo alla logopedista che non conosce
la lingua dei segni e gli altri si rivolgono a centri di logopedia che conoscono il
metodo bimodale.
Ogni famiglia ha la libertà di scegliere il percorso iter educativo del
bambino sordo e troviamo persone sorde educate con una o due lingue, quella
lingua parlata e lingua dei segni.
In questo caso si adisce l’importanza che i genitori udenti debbano
imparare la lingua dei segni per una condivisione amorevole del canale
comunicativo con i loro figli.
Il bambino sordo ha il diritto di costruire la propria identità e diventare un
adulto, ha bisogno di modelli di riferimento, la famiglia udente è uno dei più
essenziali del modello di riferimento ed in entrambi hanno bisogno di avere affetti
profondi e buone relazioni sociali. I docenti sordi che insegnano la Lingua dei
segni sono competenti di sostenere le famiglie udenti a come procedere la
maturazione del proprio figlio sordo.
L’Ente Nazionale Sordi e altre associazioni di sordi organizzano i corsi di
LIS a vari livelli, i genitori possono iscrivere e frequentare nella comunità dei
sordi per imparare la loro lingua e cultura sorda.
Purtroppo in Italia i servizi di counselign per le famiglie sono pochissime o
inesistenti e i centri di agonistici indirizzano immediatamente alla riabilitazione di
moralismo e non affatto alla lingua dei segni, tutte le famiglie italiane
continueranno a ignorare la lingua dei segni.
“Tab. 1 L’importanza dei segni in famiglia”100
100 Maragna S., La sordità, Hoepli, Milano, 2000, (pag. 49).
L’attuale normativa prevede l’intervento d’interpretariato tra sordi ed udenti in
specifici ambiti:
o SCOLASTICO - applicabili la legge 508/58 e le circolari del Ministero della
Pubblica Istruzione n.163 del 16/06/83 e n.262 del 22/09/ UNIVERSITARIO
– applicabile l’art.13 della legge 104/92
o LAVORATIVO – applicabile l’art.7, comma II, della legge 308/58
GIURIDICO E LEGALE – applicabili gli art. 56,57, 58 della Legge Notarile,
gli art. 119, 143, 1238/1939 (Stato Civile ed Anagrafe)
o INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE – applicabile l’art. 25 della legge
104/92
o SANITARIO – applicabile l’art. 9 della legge 104/92
La legge più conosciuta nell’ambito dell’istruzione è la 517/77 che all’art. 10
stabilisce “l’istruzione scolastica obbligatoria per i sordomuti, oltre che nelle
apposite scuole speciali, nelle classi di scuola comune e l’assicurazione nei loro
confronti dei necessari servizi di sostegno”. A questa hanno fatto seguito
numerose circolari applicative, tra le quali la più importante è la CM 199/79 che
anticipa molti punti della legge 104/92.
Tutte queste legislazioni vanno indirizzate soprattutto alle persone sorde e per i
I segni in famiglia
Consentono una comunicazione Spontanea, completa e veloce con la madre e i famigliari. Mettono i bambini in relazione con adulti sordi che possono facilitano le conoscenze sul diventare figure di mondo evitando che al deficit riferimento nella si aggiunga un ritardo accettazione del deficit nell’apprendimento e nella costruzione della propria identità permettono al bambino avere con i coetanei rapporti paritari senza la faticosa lettura labbiale
bambini sordi però le scuole, gli enti pubblici e privati hanno costruito i percorsi
educativi per il miglioramento della situazione scolastica che abbia la possibilità
di organizzare i corsi di LIS per gli udenti, corsi di aggiornamento per i docenti
LIS e corsi di approfondimento per i sordi che possano formarsi il ruolo
professionale nell’ambito scolastico e di organizzare all’inizio dell’anno
scolastico corsi di base, per il personale di segreteria e i bidelli, sulle strategie
comunicative da mettere in pratica con le persone sorde.
I corsi di LIS sono uno strumento importante, che le Sezioni dell’ENS
(Ente Nazionale Sordi) hanno per avvicinare un sempre maggior numero di
persone del proprio territorio alla conoscenza della Lingua e della Cultura dei
Sordi. Questo è molto importante sia perché favorisce una migliore integrazione
sociale e culturale, anche in ambito familiare, educativo, scolastico e
professionale, sia perché rappresenta il primo passo verso la formazione di
interpreti professionali. Per la buona riuscita di un Corso di LIS, è quindi
necessario avere un’adeguata programmazione didattica e organizzativa, ma
soprattutto un corpo docente altamente qualificato. Per insegnare una lingua non
occorre solo avere un’ottima conoscenza della lingua stessa e delle sue strutture
linguistiche, ma occorre anche possedere le conoscenze educative e didattiche,
necessarie per poter seguire una corretta programmazione didattica e per stabilire
una buona integrazione con gli studenti e nel mondo dei sordi.
Per raggiungere questi obiettivi gi insegnanti partecipano ai corsi di formazione
orientati e guidati dalle sezioni dell’ENS e in collaborazione con la sede centrale
dell’ENS dove c’è un dipartimento di F.A.L.i.C.S.E.U.
Lo scopo dei corsi di LIS è l’apprendimento di una lingua straniera per la
formazione comunicativa interpersonale e fornire una buona impostazione teorica
sulla storia, linguistica, cultura ed educazione della comunità sorda. Sono rivolti a
tutti coloro che desiderano avvicinarsi alla lingua e alla cultura sorda:
o Insegnanti curriculari e di sostegno
o Educatori e operatori socio-sanitari
o Genitori di bambini sordi
o Parenti di sordi
o Persone sorde educate dall’oralismo
o Studiosi e ricercatori
o Semplici curiosi
3 CAPITOLO
PROFILI PROFESSIONALI COLLEGATI ALLA COMUNITA’
SORDA
Come vediamo chiaramente la situazione attuale (nelle scuole italiane) dei
bambini sordi nelle scuole è seguita e regolata dalla legge 104/92, la quale
all’articolo 12 (Diritto all’educazione e all’istruzione) e 13 (Integrazione
scolastica) (della legge 5 febbraio 92, n. 104 che) sancisce definitivamente il
diritto pieno e perfetto all’educazione e all’istruzione in ogni ordine di suola,
compresa la secondaria di secondo grado, la formazione professionale,
l’università e autorizza (no) (al) il Ministero della Sanità e (al) il Ministero
dell’Istruzione ad emanare un atto di indirizzo e coordinamento per determinare le
modalità educative per un bambino e adulto disabile. Il comma 5 e 6 dell’articolo
12 della legge 104/92 (si) specifica che il Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.
– Progetto di Vita) rappresenta uno strumento fondamentale per l’intervento
educativo. Esso si divide in quattro parti, ciascuna delle quali dovrebbe essere il
frutto delle collaborazioni fra insegnanti di sostegno, insegnanti curricolari ed
altre figure professionali sanitarie (medico, psicologo, assistente della
comunicazione, neuropsichiatria infantile, ecc.) che si occupano del bambino
sordo. Il P.E.I., dunque, comprende:
• la Diagnosi Funzionale Educativa, in cui vengono riportati i dati relativi al
disturbo del bambino e alle sue potenzialità di recupero;
• il Profilo Dinamico Funzionale, in cui vengono definiti gli obiettivi a breve (1-
2 mesi), medio(6 mesi-1 anno) e lungo termine (1-2 anni);
• attività, materiali e metodi di lavoro, in cui si definiscono le risorse impiegate
e le modalità con cui viene attuato concretamente l'intervento;
• verifica dell'acquisizione e dell'appropriatezza degli obiettivi, in cui si
stabiliscono le modalità e i tempi per verificare a) il livello di raggiungimento
degli obiettivi educativi da parte del bambino; b) l'adeguatezza degli obiettivi
individuati all'inizio dell'anno e l'eventuale necessità di "correggere il tiro".
In tutta l’Italia sta aumentando notevolmente la presenza delle figure
professionali collegate alla comunità sorda che lavorano non solo a scuola, ma
anche in famiglia: a tal proposito o per questo motivo, l’ENS (Ente Nazionale
Sordi) ha chiesto al Gruppo di lavoro del Dipartimento Scuola Educazione
Università di fare chiarezza la mansione e la competenza di ogni figura
professionale, in modo da poter dare indicazioni precise alle Sezioni, alle
Associazioni e Cooperative, ai Comuni e alle province che le richiedono
informazioni. In Italia, le leggi garantiscono il diritto al bambino di avere
un’istruzione e un’integrazione nell’ambito scolastico grazie a(i) diversi tipi di
servizio. Il servizio può svolgersi a scuola, a casa o sul territorio, dopo aver stilato
un Progetto Educativo Individuale che di solito viene concordato dopo un’attenta
lettura dei bisogni del bambino sordo e discussi in un’équipe formata dalla
famiglia, dagli operatori sanitari (logopedista, psicologo, neuropsichiatra infantile
e altre figure tecniche), dall’assistente della comunicazione ( sordo e udente -
figura prevista dalla legge 104/92 –legge quadro per l’assistenza, l’integrazione
sociale e i diritti delle persone “handicappate” ), dalla scuola (dirigente, insegnanti
curricolari, insegnanti di sostegno, collaboratori scolastici e tecnici). L’intervento
educativo è finalizzato al sostegno scolastico e al raggiungimento delle autonomie
di base a seconda della richiesta della famiglia e del progetto educativo
Vorrei specificare che la competenza e la professionalità di tutti gli
operatori coinvolti implica che debbano essere preparati sotto il profilo medico,
pedagogico e sociale. Quindi, per facilitare l’integrazione in classe di un bambino
sordo, è importante che gli operatori scolastici conoscano bene la lingua dei segni,
la “cultura sorda” e l’identità sorda.
Un elemento tipico della “cultura sorda” è il codice comportamentale,
inteso come un insieme di regole comportamentali da seguire nelle relazioni
sociali. Di seguito vengono riportate alcune regole per facilitare il rapporto
comunicativo.
1. “discorsi a semicerchio: questa collocazione permette ai sordi di comunicare e
di assistere alle conversazioni o a qualche intervento;
2. richiamare l’attenzione con un cenno: il movimento della mano può essere
poco o molto ampio, a secondo della distanza:
i. se il sordo e/o udente segnante è seduto a un tavolo di fronte al sordo, fa un
lieve cenno per chiamarlo;
b. se il sordo sta leggendo un libro, allora il sordo e/o udente segnante fa un lieve
cenno all’altezza in cui si trova il suo campo visivo;
c. se la distanza fra gli interlocutori è molto ampia, il sordo e /o udente segnante
chiama una terza persona perché richiami l’attenzione dell’interessato;
3. richiamare l’attenzione attraverso un contatto fisico. Questa modalità si usa in
diversi contesti;
4. “attraversare” la conversazione: se due sordi si trovano in un corridoio a
“conversare” e bloccano il passaggio a un altro sordo, quest’ultimo deve
piegare leggermente la testa e usare il segno “scusa” quando passa. Non è
necessario fermarsi per avere la loro attenzione o per avere il consenso di
passare;
5. interrompere le “conversazioni”. I comportamenti per interrompere variano a
seconda delle diverse circostanze. Se, ad esempio, l’udente sta conversando
con un sordo e ha la necessità di interrompere il contatto visivo perché squilla
il telefono o perché qualcuno lo chiama, deve informare l’interlocutore sordo
(che giustamente non ha sentito nulla o che ha sentito rumori senza
riconoscerli) di ciò che sta accadendo. In questa maniera, il sordo può rendersi
conto della situazione. Interrompere il contatto visivo senza spiegazione è
considerato una forma di maleducazione e dall’impressione che l’udente non
sia attento o interessato alla conversazione.
Un elemento essenziale per il sordo, ma non fondamentale per l’udente, è il
“CONTATTO VISIVO”, ossia guardare negli occhi l’interlocutore. ”101
La comunicazione nella cultura dei sordi è possibile solo con il contatto visivo e
l’espressione facciale.
La storia del nostro Paese, rispetto all’educazione dei sordi, dimostra che i
sordi sono prevalentemente stati educati con il metodo oralista. Quando un
bambino sordo si trova nel mondo dei sordi scopre le sue vere possibilità ed i suoi
veri limiti (le difficoltà di comunicazione velavano tutto ciò), i suoi gusti, le sue
scelte; egli si sente in pieno possesso dei suoi mezzi: può fare parte di tutti i clubs
che vuole (sportivi, teatrali, religiosi, scientifici, ecc...), partecipare a gruppi di
discussione, difendervi le sue idee e accettarvi quelle degli altri, relativizzare le
sue opinioni e criticarle, in breve, sviluppare la propria personalità e prendere
coscienza della propria identità". Gli operatori sordi hanno la possibilità di
dimostrare la realtà dei fatti con la loro esperienza, conoscenza e nel dire cosa
significa vivere da sordo, ma questo non significa che abbiano il monopolio del
sapere sulla sordità. E’ consigliabile, ma non obbligatorio, equilibrare il rapporto
fra il numero di bambini sordi, di operatori sordi e di operatori udenti per
mantenere e valorizzare la diversità linguistica, culturale, sociale ed educativa tra
il mondo dei sordi segnanti e il mondo degli udenti.
Purtroppo i profili professionali coinvolti nella comunità sorda non hanno i
corretti requisiti di professionalità e caratteristiche adeguate allo svolgimento
delle attività nel contesto familiare, scolastico ed extrascolastico.
Di conseguenza, i profili professionali si trovano a disagio a non saper
svolgere il proprio compito, non conoscendo la propria competenza, e ciò
comporterebbe un senso di confusione, mancanza di valorizzazione, mancanza di
riconoscimento e scarsa qualità professionale.
Essenziale è, oltre a quanto detto e in connessione a ciò, che i genitori
conoscano la differenza tra il ruolo professionale della persona sorda e della
persona udente. La legge 104/92 utilizza solo il termine “assistente alla
comunicazione” sia nel caso che si tratti di una persona sorda che di una persona
101 Gruppo SILIS, Mason Perkins Deafness Fund , Metodo Vista per l’insegnamento della Lingua dei Segni Italiana, Edizioni Kappa, Roma, 2000.
udente; è però preferibile chiamare “educatore” la persona sorda perché il suo è
un vero e proprio intervento educativo, dal momento che deve rafforzare l’identità
del bambino sordo, facendogli capire che la sua diversità va accettata perché può
essere stimolatrice di nuove strategie didattiche ecc...
ELENCO PROFILI PROFESSIONALI SUDDIVISI PER CONTESTI E
CATEGORIE:
NEUROPSICHIATRA INFANTILE
Medico specializzato nella prevenzione e cura delle anomalie dello sviluppo del
bambino e dell’adolescente. Egli lavora solitamente presso le Asl (Agenzie
Sanitarie Locali) dove svolge prevalentemente un lavoro clinico che lo porta a
diretto contatto con i pazienti.
INSEGNANTE CURRICOLARE
Professionista tecnico dell’insegnamento disciplinare, che opera in
un’organizzazione di servizio pubblico che produce “pacchetti formativi” dotata
di autonomia. Essere insegnante è un partecipare al processo di integrazione di
tutti gli alunni anche di quelli certificati, definiti un tempo “portatori di handicap”,
“handicappati”, ora alunni in situazione di handicap e disabili. Gli insegnanti
curriculari “Hanno la responsabilità del progetto educativo e formativo degli
allievi, l’assistente della comunicazione collabora e concerta con la loro
pianificazione delle lezioni, mediante strategie di visualizzazione dei
contenuti.”102
INSEGNANTE DI SOSTEGNO
Prepara e adatta visivamente il materiale didattico per l’alunno sordo; in alcuni
ancora avviene che le due figure (insegnante curriculare e di sostegno) siano
presenti in classe in momenti diversi, coprendo così un monte-ore più ampio. Le
diverse scelte dipendono in gran parte dalla capacità delle persone di lavorare in
equipe e di sfruttare al massimo le competenze professionali di ogni figura.
Nonostante questa figura si stia diffondendo in tutta Italia a macchia d’olio, 102.Bosi R, Maragna S., Tomassini R., “L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo”, FrancoAngeli, Milano, 2007, (pag. 36).
tuttavia manca ancora un profilo professionale, perché la legge 104/92 si limita a
prevederne la presenza, senza dare indicazioni precise né sui requisiti né
sull’inquadramento giuridico ed economico. Quella del docente di sostegno è la
figura professionale più recente in ordine di tempo della scuola italiana. “Nasce”
nel 1977 con l’integrazione scolastica degli alunni “portatori di handicap” di cui
rappresentava, secondo le intenzioni del legislatore, una tra le risorse principali
“al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della
personalità degli alunni”, tutti, anche di quelli con deficit sensoriali. La
preparazione degli insegnanti, che allora era quasi esclusivamente incentrata sulla
conoscenza dei contenuti disciplinari (peraltro molto diversificato a quel tempo
perché prevedeva il diploma di scuola o istituto magistrale per l’insegnamento
nella scuola materna ed elementare, la laurea per numerose discipline alla scuola
media inferiore e superiore) da sola non appariva sufficiente a garantire i diritti
degli alunni con deficit; era necessaria una preparazione specifica che venne
affidata ai corsi biennali di specializzazione, per certi aspetti anticipando di quasi
trent’anni l’istruzione delle scuole di specializzazione per tutti gli insegnanti. E’
consigliabile che l’insegnante di sostegno conosca la Lingua dei Segni, la cultura
sorda e la comunità sorda per facilitare la comunicazione soprattutto ai bambini
sordi segnanti e collaborare con l’Assistente alla comunicazione e l’Educatore con
lo scopo di ottenere un migliore percorso educativo per bambini sordi. Per
diventare insegnante di sostegno si deve necessariamente conseguire un Titolo di
Laurea in Scienze della Formazione Primaria che “ha valore di esame di Stato e
abilita all’insegnamento, rispettivamente, nella scuola dell’infanzia e nella scuola
primaria”. Sono inoltre previste all’interno dei corsi di laurea attività didattiche
aggiuntive, per almeno 400 ore, attinenti l’integrazione scolastica degli alunni in
situazione di handicap che permettono il conseguimento dell’abilitazione per
l’insegnamento di sostegno nella scuola dell’infanzia o nella scuola primaria.
“Definii dal DM 26/05/1998 i criteri generali per la disciplina da parte delle
università degli ordinamenti dei Corsi di laurea in Scienze della Formazione
Primaria e delle Scuole Specializzazione all’insegnamento Secondario.
All’interno dei percorsi di abilitazione all’insegnamento sono previsti i corsi di
abilitazione per l’insegnamento di sostegno (vedi articolo 3 comma 6 e articolo 4
comma 8)”103.
• La persona sorda in Italia non potrebbe mai diventare un insegnante
curriculare perché non è fisicamente sano e integro. Nel secolo XIX, furono aperti
Istituti per “sordomuti” in diversi Stati della penisola. Negli Istituti veniva
utilizzata la lingua dei segni nella trasmissione dei contenuti scolastici ed erano
presenti anche alcuni insegnanti sordi che insegnavano la lingua italiana,
matematica e le altre discipline scolastiche per i bambini sordi. Nella prima metà
dell’800 numerosi allievi sordi divennero a loro volta docenti partecipando
attivamente al dibattito culturale e pedagogico di quel periodo. “Questo periodo –
che oggi appare quasi come un’età dell’oro nella storia dei sordi – vide la rapida
istituzione in tutto il mondo civile di numerose scuole per sordi, per lo più
condotte da insegnanti sordi, l’emergere dal buio e dall’oblio, la loro
emancipazione e il loro affrancamento, seguiti ben presto dalla comparsa di sordi
in posti di responsabilità e di prestigio; all’improvviso divenne possibile qualcosa
che in precedenza non si poteva nemmeno concepire: l’emergere di scrittori sordi,
ingegneri sordi, filosofi sordi, intellettuali sordi"104
LOGOPEDISTA
Elabora, anche in equipe multidisciplinari, il bilancio logopedico volto
all’individuazione e al superamento del bisogno di salute del disabile. Pratica
autonomamente attività terapeutiche per la rieducazione funzionale delle disabilità
comunicative e cognitive, utilizzando terapie logopediche di abilitazione e
riabilitazione della comunicazione e del linguaggio, verbali e non verbali. Propone
l’adozione di protesi ed ausili, ne addestra all’uso e ne verifica l’efficacia. Svolge
attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi sanitari ed in
quelli dove si richiedono le sue competenze professionali. Verifica le rispondenze
della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.
EDUCATORE (SCOLASTICO e DOMICILIARE)
103 http://www.integrazionescolastica.it/article/168 . 104 Sacks O., Vedere voci, Adelphi edizioni, 1990, (pag. 44).
Il profilo professionale dell’educatore sordo è molto importante per un
bambino sordo, la sua presenza all’interno di una classe si pone agli insegnanti
una serie di interrogativi sul lavoro di questo operatore per quel che riguarda il
suo ruolo e le sue competenze, rispetto all’insegnante curriculare e di sostegno.
L’educatore educa il bambino sordo, bambini udenti e insegnanti alla Lingua dei
Segni attraverso la quale si educa ad una cultura, ad un modo diverso di vivere la
realtà.
“Comunicativo: Il bambino sordo ha le necessità di avere le stimolazioni
attraverso la Lingua dei Segni Italiana che possa acquisire con il canale visivo-
gestuale come madre lingua e di elaborare nel proprio linguaggio” 105
La comunicazione si sperimenta nel quotidiano e avviene in diversi ambiti come
la scuola e la famiglia. Il bambino sordo diventa consapevole che attraverso la LIS
può raggiungere livelli cognitivi, di organizzazione del pensiero e di socialità pari
a quelli dei suoi genitori, insegnanti e compagni udenti. L’uso spontaneo della
lingua dei segni in contesti scolastici e non, forma e arricchisce il bambino sordo,
permettendogli di vivere serenamente la sua diversità.
“Linguistico: il bambino deve avere la competenza linguistica della LIS del
bambino. La competenza linguistica della LIS è quella delle regole grammaticali e
l’uso della lingua deve tener conto dell’aspetto linguistico e della costruzione
delle frasi della lingua.
Educativo: l’educazione è una dei fondamenti obiettivi educativi, linguistici e
didattici per il bambino sordo e per l’insegnamento della lingua dei segni è
necessario educarlo attraverso la relazione con l’ambiente interno ed esterno e
educare la famiglia all’utilizzo della comunicazione visivo-gestuale e alle
caratteristiche dei sordi. Crescere l’identità sorda è necessario stimolare
l’acquisizione della LIS e alla comunicazione.”106
L’educatore sordo è affiancato solo ed esclusivamente ai bambini sordi,
rappresenta il punto di contatto e di riferimento tra due mondi e due modalità di
105 Bagnara C., Chiappino G., Conte M.P., Ottolini M., Viaggio nella città invisibile. Atto del 2° Congresso Nazionale sulla Lingua Italiana dei Segni, Edizioni del Cerro, Pisa 2000, (pag. 202-203). 106 Bagnara C., Chiappino G., Conte M.P., Ottolini M., Viaggio nella città invisibile. Atto del 2° Congresso Nazionale sulla Lingua Italiana dei Segni, Edizioni del Cerro, Pisa 2000, (pag. 202-203).
comunicazione diverse. Il suo lavoro è mirato allo sviluppo della comunicazione,
ed ha come obiettivi educativi quelli di:
1. stimolare il bambino sordo e le persone con cui è in contatto alla
comunicazione;
2. aiutare il bambino a costruire e a far conoscere la propria identità di persona
sorda.
L’educatore udente segnante può svolgere senza difficoltà lo stesso profilo
professionale dell’educatore sordo ma il bambino sordo ha la necessità di
confrontarsi e identificarsi fin da piccolo con un adulto simile a lui che possa
offrirgli un modello sia da un punto di vista comunicativo linguistico che dello
sviluppo identitario. In questo senso allora l’incontro a scuola con un educatore
sordo per esempio, in un momento così delicato per i genitori, da un lato
rappresenta un sostegno e una risposta alle loro ansie circa il futuro del loro
piccolo e dall’altra dà fiducia al bambino nella sua possibilità di diventare
grande.
Requisiti professionali dell’Educatore sordo in ambito scolastico per bambini
sordi in età prescolare
Deve avere ottima conoscenza linguistica della Lingua dei Segni Italiana come
madre lingua dei segni italiana e con ottima competenza della lingua italiana;
si fa promotore dei bisogni del bambino sordo all’interno del sistema
scolastico insieme all’insegnante di sostegno;
deve essere in possesso di titolo di studio adeguato: liceo psico-pedagogico o
diploma di maturità per tutti i gradi scolastici (dal nido alle elementari).
Laurea in Scienze della Formazione per tutti i gradi scolastici (dal nido alle
superiori); corsi di formazione, aggiornamento, professionalizzazione e
specializzazione per gli assistenti alla comunicazione;
per essere un educatore professionale ed esperto è necessario possedere buone
conoscenze di vario genere: scientifiche, metodologiche e tecniche. Il
processo di formazione si sviluppa su due livelli: a) tecnico–culturale; b)
teorico–pratico;
deve avere la capacità di gestire contesti educativi per la prima infanzia,
attuare e verificare progetti educativi caratterizzati da intenzionalità e
continuità, valorizzare la relazione educativa nell’ambito familiare, scolastico,
extra- scolastico e nel contesto ambientale in generale, partecipare alla
gestione e al coordinamento dei servizi educativi; progettare e svolgere attività
educative nei vari servizi rivolti alla prima infanzia.
Requisiti professionali dell’Educatore sordo in ambito domiciliare per
bambini sordi in età prescolare
• Aiutare alla famiglia non segnante di conoscere, comprendere ed accettare il
problema della sordità;
• far comprendere ai genitori udenti che non conoscono la lingua dei segni
italiana l’importanza della comunicazione visivo-gestuale e la lingua dei segni
per il bambino sordo;
• rilevare l’importanza della presenza di un adulto sordo come figura di
riferimento per il bambino sordo e come consulente riguardo ai problemi di
comunicazione per i familiari;
• spiegare che la sordità non è una malattia e la persona sorda può vivere e
comunicare con le due lingue per superare le barriere comunicative ponendosi
come ponte fra due mondi, quello dei sordi e quello degli udenti.
La presenza dell’educatore in casa è temporanea e la famiglia può apprendere le
regole comunicative e la LIS per comunicare con proprio figlio anche in assenza
dell’educatore domiciliare.
ASSISTENTE ALLA COMUNICAZIONE :
Ha come compito quello di “Facilitare la comunicazione” tra il bambino sordo, i
docenti e i compagni di classe; pertanto egli non deve porsi come un insegnante,
ma affiancare il docente che conduce la classe in quel momento. E’ però
altrettanto vero che le competenze e i ruoli non possono sempre essere
rigidamente circoscritti perchè poi la realtà è differente. Pensiamo ad esempio a
un contesto di scuola elementare in cui la maestra curricolare chiede ai bambini di
eseguire un compito e l’assistente alla comunicazione deve spiegare in segni cosa
si deve fare; ma poi essendo la classe numerosa finisce col seguire il bambino
anche nell’esecuzione del compito e di fatto fa l’insegnante.
Un’assistente alla comunicazione può essere non segnante, che lavora per i
bambini che non conoscono la lingua dei segni e apprendono con il metodo
oralista.
Requisiti professionali dell’Assistente alla comunicazione sordo in ambito
scolastico per bambini sordi in età prescolare
• Preferibilmente dovrebbe essere madrelingua della lingua dei segni italiana e
con ottima competenza linguistica della lingua italiana;
• dovrebbe acquisire la consapevolezza delle varietà linguistiche e dovrà saper
usare la LIS anche in presenza di un pubblico composto sia di bambini sordi
che di bambini udenti perché alcune persone sorde usano la voce con un
udente o Italiano Segnato e la LIS viene usata soltanto fra gruppi di sordi per
abitudine;
• deve essere in possesso di titolo di studio adeguato: liceo psico-pedagogico o
diploma di maturità per tutti i gradi scolastici (dal nido alle elementari); corsi
di formazione, aggiornamento, professionalizzazione e specializzazione per
gli assistenti alla comunicazione;
• conoscere le diverse competenze e responsabilità che appartengono ad ogni
singolo operatore;
• deve avere capacità di gestire, comunicare e colloquiare le due lingue in modo
flessibile sempre con scopi didattici, adeguandola alla comunicazione con
bambini prescolari.
Requisiti professionali dell’Assistente alla comunicazione udente
• Deve avere ottima competenza linguistica della lingua dei segni come seconda
lingua (figlio di genitore sordo segnante ma la sua competenza deve essere
valutata e riconosciuta mediante un esame oppure aver frequentato un corso di
LIS di almeno 400 ore);
• deve essere in possesso di titolo di studio adeguato: liceo psico-pedagogico o
diploma di maturità per tutti i gradi scolastici (dal nido alle elementari).
Laurea in Scienze della Formazione per tutti i gradi scolastici (dal nido alle
superiori); corsi di formazione, aggiornamento, professionalizzazione e
specializzazione per gli assistenti alla comunicazione;
• frequentare regolarmente la comunità dei sordi.
Questi due profili orientano il bambino sordo non solo all’apprendimento
linguistico ma anche all’apprendimento sociale, a quello del livello culturale che
trasmette una figura positiva per l’accettazione del deficit uditivo e la costruzione
di un’identità adulta, anche se la famiglia potrebbe non accettare che la figura
professionale sia sorda per mancanza di fiducia. La sua funzione è quella di ponte
comunicativo tra il bambino sordo, la classe e i docenti con l’obiettivo di
abbattere le barriere comunicative, offrire pari opportunità e consentire allo
studente sordo di esprimere pienamente le proprie potenzialità scolastiche.
Ricordiamo sempre che per compiere il ruolo dell’educatore/assistente alla
comunicazione sordo va deciso dalla famiglia quale sia il metodo didattico tra
oralismo, bimodale o misto e il bilinguismo.
ANIMATORE SOCIO-CULTURALE
L’animatore attiva processi di promozione della partecipazione sociale e di
sviluppo delle potenzialità delle persone, dei gruppi e delle comunità territoriali,
operando prevalentemente nelle situazioni di disagio e di emarginazione delle
fasce più deboli, con problemi di autonomia e di socializzazione. In particolare,
promuove i processi di attivazione del potenziale ludico, culturale, espressivo,
relazionale ed educativo. Capacità di operare nei settori dell’educazione
extrascolastica sia in progetti e servizi che integrano in continuità l’azione della
scuola, sia in attività che aprono orizzonti all’azione educativa valorizzandone
potenzialità di prevenzione del disagio e sulla base di progetti (individualizzati o
di comunità) predisposti dagli operatori di riferimento, la partecipazione e
l’aggregazione sociale degli utenti.
E’ richiesto almeno il possesso dei seguenti titoli: attestato di qualifica di
animatore socio-culturale e, preferibilmente, madrelingua della lingua dei segni
italiana e buona competenza linguistica della lingua italiana.
L’animatore è servitore e non padrone del processo educativo, vale a dire che sia
impegnato a suscitare vita intorno a sé, giocando tutte le risorse a sua
disposizione. L’animatore si presenta e non si rappresenta, comunica con rispetto
e sincerità con bambini sordi ed udenti ed adulti sordi ed udenti. E’ importante
che conosca la comunicazione non verbale, saper ascoltare, stare con i bambini, in
grado di conoscere ogni singolo bambino per far emergere le sue potenzialità.
L’animatore deve conoscere ed utilizzare tecniche d’animazione e giochi
d’interazione creando tante idee per passare la giornata in allegria ed anche gli
stili comunicativi dell'animatore devono poter migliorare la comunicazione nel
gruppo e con il gruppo.
INTERPRETE DELLE LINGUE DEI SEGNI E DELLA LINGUA DEI
SEGNI/LINGUA VOCALE:
L’interprete di lingua dei segni assume, a partire dal 1988, rilevanza europea
come figura professionale tale da richiedere uno specifico impegno istituzionale,
sia nazionale che internazionale, per la formazione di interpreti professionisti
nonché di precisi e finalizzati programmi occupazionali in ogni stato membro.
L’interprete compie un processo di elaborazione sul messaggio della lingua di
partenza (es. Lingua dei Segni Francese) per riformularlo nella lingua di arrivo
(es. Lingua dei Segni Italiana/Lingua scritta), utilizzando con padronanza soltanto
il canale visivo-gestuale a differenza dell’Interprete della Lingua dei segni/Lingua
vocale (vedi nel seguente paragrafo “profilo professionale della persona udente”).
I processi di interpretazione che occorrono tra la lingua dei segni italiana e le
lingue dei segni stranieri richiedono competenze specifiche ed altamente
professionali. L’interprete deve essere in grado di comprendere le culture nelle
quali opera ed integrarsi perfettamente.
I sordi italiani rivendicano il loro diritto all’informazione, all’istruzione,
all’interazione e all’integrazione utilizzando la propria lingua, espressione di
quella cultura da loro stessi definita “sorda”. L’interprete udente della Lingua dei
Segni /Lingua vocale che lavora per i sordi nasce da una loro naturale necessità di
relazionarsi col mondo esterno (comunità udente). Nel compito di interpretare le
lingue però è importante conoscere bene anche la cultura che supporta per
formulare alla perfezione la lingua che possa trasmettere il messaggio in modo
chiaro. Questo profilo è un po’ particolare in confronto a un interprete di lingua
vocale, per l’interpretazione tra la lingua segnica e la lingua vocale e viceversa, è
necessario che abbia un’efficace padronanza nell’utilizzo del canale comunicativo
visivo-gestuale e di quello acustico-vocale. Di solito deve avere un’ottima
preparazione ed istruzione superiore avendo una vasta cultura in vari campi
soprattutto nella competenza linguistica e culturale delle due lingue, il codice
deontologico, le tecniche traduttive, capacità di gestire e valutare le diverse
situazioni ed i contesti interpretativi e di riuscire a possedere un equilibrio
psicologico e fisico. In Italia si sta diffondendo la figura professionale
dell’interprete LIS in ottemperanza degli artt. 9 – 13 – 16 della Legge 104/92. Sia
il profilo economico che professionale di questa figura non è ancora stato definito
dalla norma vigente come quella dell’Interprete della lingua dei segni. Per
rimediare a questa mancanza, le associazioni italiane per gli interpreti hanno
stilato un profilo professionale dell’interprete LIS/Italiano, di due lingue dei segni.
Interprete scolastico
E’ come l’interprete della lingua dei segni/lingua vocale, ma ha un ruolo
particolare e il compito è di interpretare la lingua dei segni italiana e la lingua
italiana soltanto nell’ambito scolastico con competenze linguistiche e sociali
diverse da quelle esterne. La modalità comunicativa e l’approccio sono seguiti
soltanto nella situazione scolastica, che comporta una specie di elasticità
nell’avvicinamento alle esigenze educative della scuola.
PSICOLOGO
Professionista che studia i processi mentali e cognitivi, consci e inconsci, degli
esseri umani, secondo diversi orientamenti teorici e metodologici. Può utilizzare
le sue competenze in molti ambiti diversi, in questo caso, educativo,
nell’orientamento scolastico e professionale. C’è poca differenza tra lo psicologo
sordo e lo psicologo udente, ma per il paziente sordo si lavora meglio utilizzando
lo stesso linguaggio e lo stesso deficit uditivo. Il paziente sordo si identifica
facilmente con lo psicologo sordo. Invece con lo psicologo udente impiega più
tempo sull'identificazione e poi non tutti gli psicologi udenti utilizzano bene la
Lingua dei Segni quindi è difficile per loro cogliere le sfumature della LIS.
DOCENTE LIS
Il profilo professionale del docente LIS e la sua “definizione” di docente non è ancora regolata dalla Costituzione Italiana, ma all’interno dei singoli enti che attivano questo insegnamento è presente un regolamento proprio. Il docente LIS deve avere: • ottima competenza linguistica della lingua dei segni;
• ottima conoscenza della cultura sorda, linguistica, storia, pedagogia e
psicologia della comunità sorda;
• ottima preparazione sui metodi di insegnamento con la lingua dei segni a
secondo del livello di competenza linguistica dei bambini sordi;
• curare la classe di apprendimento della LIS frequentata dai bambini sordi e
udenti;
• curare la classe di apprendimento della LIS frequentata solo dai bambini sordi
che hanno la necessità di esercitare la madre lingua come i bambini udenti e
italiani che apprendono la lingua italiana;
E’ consigliabile che egli sia presente durante le attività didattiche del programma
scolastico che viene utilizzato e proposto a tutti i bambini sordi e udenti. Tab.1 Sintesi Schematiche
METODO ORALE METODO BIMODALE EDUCAZIONE
BILINGUE
Diagnosi precoce esatta valutazione del deficit
Immediata protesizzazione
Terapia logopedica plurisettimanale e pluriennale
Collaborazione della famiglia alla terapia logopedica
Integrazione nelle scuole
E’ un metodo oralista. Il bambino sordo è esposto ad un’unica lingua (la lingua orale) trasmessa contemporaneamente nelle due modalità: acustico-vocale e visivo-gestuale; Massima importanza ai contenuti; IL LOGOPEDISTA LAVORA SU 3 LIVELLI:
Diagnosi precoce Esatta valutazione del
deficit Protesizzazione Terapia logopedica Frequenza di persone
udenti Acquisizione precoce della
LIS Uso dei segni a scuola Uso dei segni in famiglia
normali frequenza solo di persone udenti
- stimolazione fono acustica: allenamento acustico e stimolazione fonologica; - lettura labiale; -sviluppo cognitivo-linguistico.
Apprendimento della LIS da parte dei genitori
Frequenza di persone sorde Scelta di scuole di
riferimento in cui inserire piccoli gruppi di bambini sordi in classe di bambini udenti.
Ambito
familiare:
Educatore domiciliare Ai genitori viene richiesto l’apprendimento della Lingua dei Segni
Assistente alla comunicazione segnante e/o educatore sordo
Ambito scolastico:
Insegnante di sostegno, Educatore scolastico o Assistente alla comunicazione non segnante
Insegnante di sostegno, Educatore scolastico o Assistente alla comunicazione IS/ISE (Italiano segnato esatto)
Insegnante di sostegno, Ass. alla comunicazione segnante e/o educatore sordo
Ambito
sanitario:
Audiologo Audioprotesista Logopedista Neuropsichiatria Psicologo Assistente sociale
Audiologo Audioprotesista Logopedista Neuropsichiatria Psicologo Assistente sociale
Audiologo Audioprotesista Logopedista Neuropsichiatria Psicologo Assistente sociale
Metodi: Metodi tradizionali: rieducazione cognitivo-linguistica a) Dalla fonologia alla semantica b) Dalla semantica alla fonologia
PARTE TERZA
Percorsi educativi per bambini con la lingua dei segni italiana:
fondamenti pedagogici di un’esperienza educativa nella Scuola
d’Infanzia
1 CAPITOLO
ESPERIENZE DI PROGETTI DI BILINGUISMO NELLE SCUOLE
ITALIANE
1.1 L’intervento educativo nel contesto familiare, scolastico ed extrascolastico
L’articolo scritto da Antonella Sorace dell’Università di Edimburgo
testimonia, attraverso le ricerche scientifiche, i vantaggi linguistici e cognitivi del
bilinguismo infantile: “Capire e incoraggiare il bilinguismo nei bambini è una componente essenziale di questo processo. Gli interventi legislativi a favore delle lingue minoritarie, per quanto tempestivi ed efficaci, non possono compensare il fatto che queste lingue vengono parlate da un numero decrescente di famiglie. E’ importante quindi avere una corretta informazione sui fatti del bilinguismo: capire quali sono i pregiudizi comuni nei confronti del bilinguismo, quali sono i vantaggi che esso invece comporta per il cervello del bambino bilingue, e in che modo il bilinguismo precoce può offrire un contributo vitale al mantenimento delle lingue minoritarie”.107 Crescere con due lingue viene ancora considerato fuori dalla norma nelle nostre società, e il bilinguismo è spesso circondato da pregiudizi e disinformazione. Molti credono ancora che imparare due lingue richieda uno sforzo cognitivo per il cervello del bambino piccolo, o che due lingue tolgano spazio e risorse allo sviluppo cognitivo generale. Queste opinioni sono spesso alla radice delle decisioni prese dalle famiglie, dagli insegnanti e dai politici, e quindi finiscono per influenzare la vita stessa dei bambini che avrebbero l’opportunità di crescere bilingui. Molti genitori, pur volendo che i loro figli parlino due lingue, sentono dire che l’esposizione a due lingue causa problemi e quindi accantonano il progetto del bilinguismo ancor prima di averlo veramente sperimentato; oppure decidono che sia meglio aspettare per parlare per poi scoprire con amarezza che è troppo tardi. Se i genitori, invece, riescono a stabilire un ambiente bilingue per i figli in età prescolare, può accadere che, una volta iniziata la scuola, gli insegnanti attribuiscano al bilinguismo la responsabilità di eventuali problemi scolastici. In questa situazione molte famiglie sono tentate di abbandonare l’educazione bilingue, nonostante funzioni, e cerchino di ristabilire un ambiente monolingue per risolvere il problema”. L’articolo dimostra che la società ha pregiudizi negativi nei confronti del bilinguismo a causa di mancanza di informazione che dovrebbe essere divulgata con la convinzione che l’educazione bilingue è insegnata e appresa in modo
naturale e spontaneo senza sforzo perché i bambini hanno il cervello come una
spugna creata per assorbire, catalogare, memorizzare, relazionare informazioni di
ogni genere: sensazioni tattili, visive, sonore, gustative, olfattive, forme, colori,
107 Sorace A., Un cervello, due lingue: vantaggi linguistici e cognitivi del bilinguismo infantile,Università di Edimburgo _ http://www.minoranze-linguistiche-scuola.it/wp-content/uploads/2010/03/Sorace.pdf
informazioni spaziali sull'ambiente, emozioni piacevoli o spiacevoli, ricordi di
esperienze passate, luoghi, relazioni inter e intra specifiche. Lo sviluppo bilingue nei bambini comporta molto di più della conoscenza di due lingue: • beneficio di accesso a due lingue e a due culture; • maggiore tolleranza verso le altre culture; • futuri vantaggi sul mercato del lavoro; • flessibilità nel modo di pensare e agire in diverse situazioni; • capacità di “gestire” le relazioni tra lingue e cultura e di conoscere
spontaneamente la struttura del linguaggio; • possono notare intuitivamente la struttura e il funzionamento delle lingue,
maggior abilità di distinguere tra FORMA e SIGNIFICATO delle parole; • possono ottenere l’abilità metalinguistica che possa riconoscere il sistema di
corrispondenza tra lettere (abilità di lettura precoce) della lingua scritta e suoni della lingua parlata.
La ricerca scientifica testimonia che il cervello è perfettamente in grado di “gestire” due o più lingue simultaneamente fin dalla nascita. L’atteggiamento delle famiglie e della società nei confronti del bilinguismo e del valore delle lingue minoritarie sono fondamentali e spesso vengono considerate poco importanti. E’ fondamentale invece dimostrare i benefici cognitivi e linguistici del bilinguismo ed è necessario che le lingue siano apprezzate dalla famiglia e dalla comunità. I bambini possono comprendere in modo consapevole che le lingue sono utili in tutte le situazioni non soltanto in famiglia. Ricordiamo che è necessario far praticare ai bambini le lingue con materiali didattici come libri, video, giochi, e altri materiali che possano essere non solo una fonte di input ma anche un supporto per il bambino a produrre le lingue. Bisognerebbe promuovere un servizio di divulgazione con una guida, un sito o altro che miri ad aumentare la conoscenza e la consapevolezza dei vantaggi del bilinguismo infantile. È possibile partire con l’offerta di servizi come seminari a vari settori della comunità e materiali didattici di vari tipi sul bilinguismo, magari anche per l’immigrazione e per le lingue minoritarie autoctone; potrebbero diventare un forte segnale positivo per la famiglia, gli insegnanti, gli amici, gli amministratori e i politici.
La mia esperienza lavorativa dimostra che tutti questi tipi di offerta aiutano molto quelli che vorrebbero insegnare due lingue ai bambini sordi. Ho incontrato tante persone inconsapevoli sull’importanza e benefici del bilinguismo e si sono impauriti nel provare un nuovo metodo, anche se è vecchio. Secondo me è importante avere un intervento educativo, ma anche legislativo che possa tutelare tutte le lingue, maggioritarie e minoritarie.
La presenza nelle classi normali di bambini in situazioni di handicap è una
realtà ormai comune alla maggior parte dalle scuole italiane di ogni ordine e grado
e, nonostante ci siano ancora scuole specializzate per sordi, il sistema è cambiato;
si invitano a inserire anche i bambini udenti nelle classi con i bambini sordi. In
questo caso esistono pochissime scuole sul territorio nazionale dove viene
adottato esplicitamente un modello di educazione bilingue LIS/italiano che
coinvolge bambini sordi e udenti.
“L’incontro e la presenza precoce dell’educatore/assistente alla
comunicazione sordo, in questa fase delicata della vita dei genitori, rappresenta un
sostegno e una risposta alle loro ansie circa il futuro del figlio e offre un modello
di comunicazione più adeguata al bambino, quella visivo-gestuale. Analogamente,
l’incontro con una persona adulta segnante dà fiducia al piccolo e lo sostiene nella
sua possibilità di diventare grande. Diventa quindi fondamentale per il bambino
sordo avere la possibilità di confrontarsi e identificarsi con un adulto simile a lui,
con un modello possibile e sul piano comunicativo – linguistico, sperimentare il
piacere di comprendere ed essere compreso. Nell’interazione con l’adulto sordo il
piccolo, infatti, potrà ricevere gli stimoli linguistici a lui adeguati e questo lo
predisporrà ad uno sviluppo spontaneo della sua lingua naturale, e quella dei
segni, ma non solo. Avrà un possibile modello adulto di persona sorda a sostegno
dello sviluppo del senso di identità e del suo futuro. ”108
“Per comprendere la complessità del ruolo dell’assistente alla
comunicazione nella scuola è necessario assumere una prospettiva ecologica e far
riferimento alla nozione di contesto.
I concetti-chiave su cui ruota l’approccio ecologico sono quelli di
108 Bosi R., Maragna S., Tomassini R., L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo, FrancoAngeli, Milano, 2007,(pag. 36).
“sviluppo” e “ambiente”, considerati nella loro stretta interrelazione.
Lo SVILUPPO è inteso come “una modificazione permanente del modo in
cui un individuo percepisce e affronta il suo ambiente”. L’ambiente influisce
sull’individuo, ma questi, a sua volta, interagisce con esso, lo percepisce
attraverso i suoi schemi cognitivi, percettivi e culturali e lo trasforma mentre
trasforma se stesso nella relazione.
L’AMBIENTE è concepito come “un insieme di strutture incluse l’una
nell’altra, simili ad una serie di bambole russe” cioè prende in considerazione il
MODO in cui i fattori ambientali determinano il comportamento e lo sviluppo,
trascurando in primo luogo l’impatto degli aspetti non sociali dell’ambiente e, in
secondo luogo, limitando il concetto di ambiente alla singola situazione
immediata di cui il soggetto fa parte.
Il CONTESTO, secondo Bateson (1972), è il luogo sociale in cui si
verifica una certa relazione e il contesto di apprendimento in cui un certo
comportamento o un certo fenomeno si sviluppa o si è sviluppato. Il contesto è
legato alla nozione di significato: prive di contesto le parole e le azioni non hanno
alcun significato. Ogni azione sarà situata in un contesto.”109
L’intervento educativo nella scuola dovrebbe favorire:
• l’acquisizione di un linguaggio (in qualunque forma possibile privilegiando
quello verbale, non verbale, corporeo).
• la promozione delle capacità percettive e di esplorazione dell’ambiente.
• la promozione di competenze strumentali di base.
• l’avvio alla socializzazione nel gruppo classe ed all’esterno della scuola.
• un processo di apprendimento per nodi o mappe, in cui il “prima” e il “dopo”
abbiano un significato di “diversità”, attuando una didattica di percorsi che
prevedano anche cambiamenti di “sceneggiatura”.
Il successo degli interventi educativi è invece in relazione all’affermarsi delle
seguenti variabili:
• precocità di avvio alla scolarizzazione nelle scuole materne ed asili nido;
109 R.Bosi, S. Maragna, R.Tomassini, L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo, FrancoAngeli, Milano, 2007, (pag. 47-48).
• competenza e professionalità di tutti gli operatori coinvolti che debbono essere
preparati, sotto il profilo medico, pedagogico e sociale;
• disponibilità affettivo-comunicativa degli insegnanti;
• ottenimento degli obiettivi che debbono essere realistici;
• coinvolgimento forte dei familiari che devono realizzare una continuità degli
obiettivi anche a casa;
• lavoro di rete e di integrazione degli interventi sul caso specifico.
La relazione medica deve essere un’informazione utilizzabile per gli insegnanti in
modo che si comprenda che cosa è meglio evitare. Inoltre l’insegnamento dovrà
essere condiviso, esplicito ed intenzionale, senza tempi morti e flessibile. Dovrà
valersi di un uso corretto dei materiali e degli spazi, valutando sistematicamente i
risultati per correggere gli errori o potenziare i progressi.
L’assistente alla comunicazione nella scuola non è del tutto mediatore
linguistico e culturale perché le due lingue, la lingua dei segni italiana e la lingua
italiana, sono difficili da mettere a confronto in quanto non sono due lingue
vocali. Non è un semplice traduttore perché è coinvolto e agisce a seconda del
contesto che trova nella classe in cui interviene: il livello di conoscenza della LIS
e di conoscenza culturale; il rapporto con la famiglia che la maggior parte delle
volte è udente e ciascuna ha un proprio punto di vista dato anche dal grado di
sordità del figlio; non presta il suo servizio un tantum perché segue la situazione a
seconda delle necessità del bambino sordo. E’ un mediatore tra il bambino sordo e
gli insegnamenti proposti dalla scuola, cioè un facilitatore dell’apprendimento; è
portavoce del bambino sordo nel contesto scolastico. Tutto questo richiede una
professionalità specifica per gli assistenti alla comunicazione nella scuola e una
chiara differenziazione da altri tipi di profili dell’assistente alla comunicazione per
le persone sorde in contesti diversi.”. 110
L’ingresso di un assistente alla comunicazione all’interno di una classe pone una
serie di interrogativi sul lavoro di questo operatore per quel che riguarda il suo
ruolo e le sue competenze, rispetto all’insegnante curriculare e di sostegno.
110 ENS Onuls - C.Bagnara, S.Fontana, E.Tomasuolo e A.Zuccalà, I segni raccontano, FrancoAngeli, Milano, 2009,(Pag.59-63).
L’assistente educa il bambino alla lingua dei segni: attraverso la lingua quindi
viene educato ad una cultura, ad un modo diverso di vivere la realtà.
Il bambino diventa consapevole che attraverso la LIS può raggiungere livelli
cognitivi, di organizzazione del pensiero e di socialità pari a quelli dei suoi
compagni udenti. L’uso spontaneo della lingua dei segni in contesti scolastici e
non, forma e arricchisce il bambino sordo, permettendogli di vivere serenamente
la sua diversità. La presenza dell’educatore sordo accanto ai colleghi udenti
mostra al bambino il confronto equilibrato fra diversità, senza che il deficit sia
diventato handicap, mancanza o limitazione.
Infatti, sia che si trovi a lavorare a fianco dei due docenti, sia che per necessità
lavorino contemporaneamente in tre nella stessa aula, è comunque indispensabile
concordare cosa fare e come fare.
E’ bene precisare subito che il ruolo dell’assistente alla comunicazione è quello di
facilitare la comunicazione tra la persona sorda, i docenti e i compagni di classe.
E’ però altrettanto vero che le competenze e i ruoli non possono sempre essere
rigidamente circoscritti perché poi la realtà è differente. Come è già successo in
passato, quando fu introdotta la figura del docente di sostegno, all’inizio c’è
diffidenza e a volte ostilità verso questi operatori perché vede cosa succede in
classe, necessariamente valuta le competenze didattiche dell’insegnante e la sua
capacità di avere un buon rapporto con i bambini pur sapendo mantenere la
disciplina.
Altre volte invece, soprattutto quando la comunicazione è molto difficile e il
bambino esprime il suo disagio con comportamenti aggressivi o di rifiuto a
lavorare, l’assistente alla comunicazione viene accolto molto bene dagli
insegnanti perché vedono che una comunicazione più efficace riduce
l’aggressività. Si tratta come sempre di imparare a lavorare insieme sfruttando
questa risorsa in più che è importante perché, come sanno tutti coloro che
lavorano con gli allievi sordi, il tempo non basta mai per colmare le lacune sulla
conoscenza del mondo, che la mancanza di udito comporta. Al docente resta
quindi il compito di programmare e svolgere l’attività didattica, mentre
l’educatore collabora attivamente alle lezioni.
Nella realtà succede poi che in alcuni casi le diverse figure siano
contemporaneamente in classe, magari quando si fanno lavori di gruppo; in altri
casi, l’educatore resta in classe, mentre il docente di sostegno prepara e adatta
visivamente il materiale didattico per l’alunno sordo; in altri ancora avviene che le
due figure siano presenti in classe in momenti diversi, coprendo così un monte-ore
più ampio. Le diverse scelte dipendono in gran parte dalla capacità delle persone
di lavorare in equipe e di sfruttare al massimo le competenze professionali di ogni
figura.
Da tempo l’Ente Nazionale Sordi ha sollecitato il Ministero dell’Istruzione e il
Dipartimento degli Affari Sociali a definire il profilo professionale, seguendo
anche le indicazioni suggerite dall’Area Politica Scolastica, Università, LIS e
Bilinguismo, Attività Formative, che ha tenuto conto delle esperienze in corso
ormai da anni. Inoltre, l’ENS sta cercando di organizzare alcuni corsi di
formazione professionale che diano a queste persone anche adeguate competenze
psico-pedagogiche e didattiche.
“La presenza di questa figura professionale in aula impone una riflessione
specifica sulle problematiche portate nel contesto scolastico dalla diversità e dalla
sua integrazione nel processo di apprendimento. Gli altri adulti presenti nella
scuola (insegnante, docente di sostegno, educatore e docente LIS) hanno una
funzione educativa e la mediazione che l’assistente alla comunicazione svolge
rappresenta una funzione di supporto all’apprendimento. Di qui la necessità che
l’assistente alla comunicazione instauri un rapporto di forte collaborazione con le
altre figure professionali, altrimenti verrebbe a cadere quella funzione di supporto
all’apprendimento del bambino che giustifica la sua presenza nel contesto
scolastico. La chiarezza del ruolo e la funzione di supporto fa capire più
chiaramente il suo intervento scolastico”.111
Il ponte comunicativo non consente soltanto di abbattere la barriera comunicativa
ma anche di offrire supporto e sostegno al riconoscimento della propria identità
di sordo. La differenza della modalità di comunicazione tra il ponte udente
111 Bosi R., Maragna S., Tomassini R., L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo , FrancoAngeli, Milano, 2007.
dell’assistente della comunicazione udente e il ponte sordo dell’assistente della
comunicazione sorda è il modo di comunicazione. L’assistente alla
comunicazione udente sente ciò che dice l’insegnante o un bambino che risponde
il contenuto dell’attività mentre l’assistente alla comunicazione sordo trasmette la
propria identità sorda al bambino sordo e alla classe.
L’Interprete LIS è stato diffusa in Italia grazie agli artt. n. 9 – 13 – 16 della
Legge quadro 104/92, il profilo economico e professionale non è ancora stato
definito dalla normativa vigente. Il profilo professionale dell’Interprete scolastico
nella scuola è diverso da quello nella società e i tipi di prestazione dell’Interprete
LIS sono i seguenti:
- consulenza professionale;
- interprete professionale;
- interprete coordinatore;
- interprete di conferenza;
- interprete di trattativa;
- interprete turistico;
- interprete/traduttore di cinema, teatro, home video, testi;
- interprete scolastico;
- interprete – tutor;
- interprete docente.
Tutti questi tipi di ruoli si possono abbinare a qualsiasi ambiente sia scolastico,
familiare, sociale, medico, politico, giudiziario, ecc..
Gli interpreti possono inoltre fornire consulenze professionali in merito ai servizi
di interpretariato, all’organizzazione di attività di specializzazione professionale e
aggiornamento, nelle prove di selezione e prove finali di corsi e concorsi.
In ambito sanitario l’interprete può essere usato per i colloqui delle diagnosi, o per
esempio, nel caso di una gravidanza potrà seguire tutto il percorso della donna,
fino ad assisterla al parto.
Attualmente la formazione degli interpreti avviene in appositi contesti: corsi
regionali di formazione professionale, scuole private, corsi organizzati dalle
sezioni provinciali ENS nelle varie città italiane. E’ auspicabile che, in futuro, la
formazione degli interpreti di lingua dei segni possa avvenire in contesti di tipo
universitario, visto che oramai la legge lo prevede, quali scuole superiori di lingue
moderne per interpreti e traduttori, corsi di laurea in lingue, lettere e corsi di
specializzazione post-laurea.
A partire dall’anno accademico 1998/1999 in alcune SSLMIT ( Scuola Superiore
di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori) e in alcune facoltà universitarie
sono stati avviati i primi corsi di LIS, tenuti da docenti sordi e da udenti segnanti
madrelingua.
L’insegnante di sostegno è una figura professionale molto importante ma
discussa nell’attività didattica di sostegno dei bambini sordi. Secondo le filosofie
delle scuole che l’hanno formato si chiama docente specializzato, insegnante
specializzato, insegnante qualificato aggiunto. E’ entrato in servizio ufficialmente
nel 1977, con l’approvazione della legge n. 517, quando molti “handicappati”
furono accolti nelle classi della scuola ordinaria e avevano bisogno di supporti
didattici individuali. Si ritiene indispensabile che gli insegnanti di sostegno, oltre
a conoscere le altre modalità comunicative, conoscevano anche la lingua dei segni
perché, fatta salva la scelta della famiglia, sia possibile utilizzarla come modalità
comunicativo in classe quando l’alunno sordo è segnante. Ma, nonostante, ciò
molti di questi docenti sono risultati poco preparati sulle metodologie della
didattica speciale o della comunicazione con gli stessi bambini sordi. In relazione
ai corsi intensivi con cui l’insegnante di sostegno in esubero è stato dirottato sul
sostegno, l’ENS ha inviato una forte nota al Ministero della Pubblica d’Istruzione,
definendo vergognosa un’operazione di tal genere e ha avuto assicurazione che il
Ministero cercherà di porre rimedio a questo atto, in qualche modo “obbligato”
dalla Finanziaria, prevedendo ulteriori corsi di approfondimento da aggiungere
alle 450 ore previste. Per quanto riguarda il passaggio all’Università della gestione
dei corsi di formazione iniziale degli insegnanti di sostegno alle classi in presenza
di alunni in situazione di handicap, è stata recepita dal Ministero la necessità di
rivedere la normativa nella parte in cui si parla di semestralità. La richiesta
dell’ENS è stata di portare la durata dei corsi a due anni per ogni handicap, come
del resto avviene all’estero. Ancora non sappiamo cosa avverrà in concreto. Ma
soprattutto è stato chiesto che i sordi, attraverso le loro associazioni, siano
rappresentati ampiamente nel Gruppo di lavoro che procederà alla formazione di
tale curriculum, per poter far valere le loro scelte (cosa mai avvenuta finora).
Il docente LIS, preferibilmente sordo, che insegna la lingua dei segni, trasmette i
valori culturali della comunità sorda. Il ruolo del docente LIS e la sua
“definizione” di docente non è ancora regolata dalla Costituzione Italiana ma
all’interno dei singoli enti che attivano questo insegnamento è presente un
regolamento proprio e teniamo in considerazione questo documento con una
funzione non didattica ma puramente burocratica. La presenza di un docente sordo
incuriosisce il bambino che osserva, la prima lezione di LIS è il primo incontro
vero e proprio con la lingua dei segni. La cultura del docente sordo può essere alla
pari del docente udente figlio di sordi dato che entrambi sono cresciuti nella
comunità sorda e nella comunità della lingua dei segni, ma il docente udente non è
sordo e la condizione di sordità può essere sicuramente trasmessa più chiaramente
da chi la vive sulla propria pelle. Il docente deve essere preparato a una
programmazione didattica ed organizzativa per poter dimostrare a tutte le scuole
l’importanza dell’insegnamento della LIS per bambini sordi e udenti.
E’ consigliabile che sia presente durante le attività didattiche della mattinata come
adulto sordo che utilizza e propone a tutti i bambini, e in particolare ai bambini
sordi, la LIS. In questo modo i bambini sordi sono inseriti in un tipo di
comunicazione per loro accessibile e possono ricevere tutte le informazioni
riguardo alle attività svolte. Gli altri bambini hanno la possibilità di riferirsi anche
a questa lingua per loro nuova. Precedentemente, le insegnanti dovranno aver
comunicato all’operatore sordo i contenuti delle attività tramite la mediazione
dell’insegnante di sostegno e dell’interprete, permettendogli di inserirsi
positivamente nel contesto delle attività medesime.
Per insegnare una lingua non occorre solo avere un’ottima conoscenza della
lingua stessa e delle sue strutture linguistiche, ma occorre anche possedere le
conoscenze educative e didattiche, necessarie per poter seguire una corretta
programmazione didattica e per stabilire una buona interazione con gli studenti.
Per diventare un docente LIS, l’ENS obbliga tutti gli aspiranti docenti a sottoporsi
ad un esame per entrare nel Registro Nazionale per DOCENTI LIS. Per avere il
“patentino” si deve partecipare al corso di formazione per docenti LIS, a
convegni, workshop e varie attività che riguardano il settore linguistico, didattico,
pedagogico e psicologico.
Per migliorare la situazione scolastica è consigliabile organizzare corsi di
aggiornamento, corsi di LIS per gli udenti e corsi di approfondimento per i sordi,
corsi di base per gli operatori scolastici all’inizio dell’anno scolastico per dare a
tutti la possibilità di comunicare e metterla in pratica con i bambini sordi e i
genitori sordi.
La logopedista ha il compito di intervenire sull’apprendimento linguistico della
seconda lingua, la lingua italiana. Il suo intervento è quello di semplificare le
difficoltà linguistiche dei sordi con il tentativo di individuare il programma e il
metodo che permetta ad ogni bambino di riabilitare la funzione comunicativa e
linguistica attraverso la protesizzazione.
La scuola può costituire un luogo per i bambini udenti e sordi dove si costruisca
giorno per giorno un’ottica di bilinguismo, con la collaborazione tra i docenti e gli
operatori sociali, che possano programmare un percorso educativo per conoscere e
capire la diversità, da poter esprimere e manifestare in modo trasparente e
accessibile con un codice condiviso e veicolato, che permetta il passaggio a
doppio senso della comunicazione per i bambini e le famiglie.
1.2 Apprendere e insegnare la Lingua dei Segni Italiana
L’insegnamento di una lingua straniera alle famiglie, ai bambini udenti e agli
insegnanti curriculari, insegnanti di sostegno, gli interpreti e gli altri operatori che
lavorano nell’ambito scolastico deve essere progettato, gestito e “vissuto” nel
rispetto di una continua e costante interazione, scoperta e successiva costruzione
delle esperienze positive che rappresentano le modalità operative dei corsi LIS. Il
docente LIS quindi è chiamato a vivere l’esperienza linguistica in modo
sistematico e consapevole delle grandi opportunità che questo ambiente
pedagogico può offrire e che devono essere trasferite in modo applicabile alla
didattica.
Lo scopo principale dell’insegnamento e apprendimento della Lingua dei Segni
Italiana è creare un’atmosfera positiva per la socializzazione tra la maggioranza
linguistica, lingua italiana, e la minoranza linguistica, lingua dei segni italiana.
Il processo di integrazione è una delle parti più difficili per tutti i soggetti non
udenti che sono presenti e coinvolti nella scuola; è proprio in questo ambito che
l’insegnamento della LIS è una mediazione comunicativa tra il mondo degli
udenti e il mondo dei sordi. Tuttavia, per imparare in modo fluido la lingua dei
segni è consigliabile entrare in contatto con la comunità e cultura sorda.
L’insegnamento della lingua dei segni nelle scuole italiane è fondamentale, anche
se attualmente non è ancora prevista la sua adozione come metodo educativo
funzionale all’apprendimento della lingua vocale e scritta, tranne nei casi di
progetti di bilinguismo con la presenza di bambini sordi.
La situazione per un bambino sordo senza l’insegnamento della LIS è abbastanza
problematica perché la mancanza di comunicazione porta ad un rischio di
isolamento e di conseguenza alla mancanza di integrazione con i bambini e gli
insegnanti della classe.
Soltanto l’educatore può comunicare con il bambino sordo e crea lo scontro
quotidiano con le barriere che impediscono la comunicazione, è fonte di
atteggiamenti diffidenti, aggressivi, irritabili e polemici dei sordi con i loro
compagni udenti. Gli insegnanti dovranno, allora, cercare di facilitare la
comunicazione tra i ragazzi ed istaurare un clima di lavoro sereno.
Perché questo avvenga è necessario fornire formazione specialistica a tutto il
personale docente e non, che si trova ad operare con persone non udenti.
Dalla riflessione su queste delicate problematiche e dall’attenta analisi degli
aspetti pedagogico - didattici discussi precedentemente, nasce l’idea di far entrare
la LIS nelle scuole, istituendo dei laboratori didattici in cui si insegni questa
lingua a tutti gli operatori scolastici, dalla classe docente udente agli alunni udenti.
Motivazione dell’apprendimento di una lingua La motivazione, cioè la “spinta” che ci fa intraprendere un percorso LS e non ce lo fa abbandonare, è un fattore basilare per la nostra acquisizione e può essere “vista” attraverso tre modelli diversi basati rispettivamente sull’ego (progetto di
sé), sullo input e sul dovere, piacere e bisogno (perché devo, perché mi piace e perché mi serve). La LIS in Italia non è riconosciuta ufficialmente come lingua e
quindi la sua diffusione nel sistema scolastico obbligatorio c’è, ma è minima e
legata a iniziative personali di studiosi o interessati e non è inserita nel piano di
studi di nessuna scuola superiore fino ad ora. Vero è che nei progetti attuati nella
scuola primaria i bambini hanno sempre dimostrato un atteggiamento positivo
verso questa nuova lingua e questo ci fa riflettere su come le possibilità di
imparare la LIS per dovere siano rare dati i suoi contesti d’uso e la sua diffusione.
Per mettersi in moto e continuare funzionare, mente e cervello hanno bisogno di
motivazione altrimenti non c’è acquisizione e, spesso, neanche apprendimento. L’interesse per le lingue e le nuove culture è alla base di tutto questo percorso che il bambino intraprende, è la sua motivazione primaria, che nel percorso che lo attende deve essere sostenuta, integrata, supportata dal docente di lingua. La motivazione primaria e il sostegno però non bastano, dal momento che il bambino non ha davanti una strada dritta e larga, ma si troverà molte curve e molte insenature da aggirare per proseguire il suo viaggio. Per fare tutta questa strada, la prima cosa che servirà allo studente è la motivazione allo studio, che sarà la sua forza per superare momenti di stress e difficoltà che troverà durante l’apprendimento. Il motivo per fare qualcosa, in questo caso imparare una lingua dei segni, è alla base di tutto il processo; l’apprendimento di una lingua straniera presume una modificazione dell’immagine di sé. La LIS è un carico di curiosità dettato anche dalla cultura, dal “mistero” che questa lingua, che siamo abituati a vedere solo al telegiornale dieci minuti al giorno, suscita, perché è una lingua per cui non servono “orecchie”: lo studente comincia a usare gli occhi per guardare il mondo. C’è un altro tipo di motivazione, di piacere nell’ambito scolastico, il piacere è
quello di apprendere, superare le sfide e di poter rendersi utili per correggere gli
errori dei compagni (bisogno d’attenzione per un bambino diverso dagli altri),
però l’insegnante deve controllare la misura del meccanismo del piacere di
sentirsi superiori.
I problemi affettivi possono rappresentare degli ostacoli alla motivazione
dell’apprendimento soprattutto per quei soggetti che non si sentono a proprio agio
in un ambiente sconosciuto o diverso e che potrebbe far nascere una forte distanza
psicologica tra la lingua e la civiltà nazionale, della maggioranza, e quella
straniera, della minoranza.
L’avvicinamento psicologico risulta essenziale per la costruzione ed il sostegno
nella motivazione all’acquisizione dell’italiano. Come dice il professore Titone
“l’apprendimento è un processo governato dall’io, che sulla base di motivazioni
proprie elabora una strategia per soddisfare i suoi bisogni, quindi entra in contatto
con la realtà da apprendere. Sulla base di ciò che ha ricevuto (input), il cervello
riflette e sistematizza. Se l’ego riceve un feedback positivo la motivazione
profonda viene mantenuta ed incrementata”112.
Dover imparare la LIS perché i genitori, i fratelli o qualche familiare è sordo è una
motivazione valida, è vero che avendo un amico, un genitore o il fidanzato che
usa la LIS dobbiamo cercare di imparare la sua lingua, questo non è però
definibile dovere, perché imparare una lingua per comunicare con una persona a
noi cara è anche un bisogno pratico (comunicazione) e un piacere per entrambi.
Per imparare una lingua bisogna avere l’intenzione di comunicare qualcosa a
qualcuno e questo desiderio nasce da esperienze condivise. Queste esperienze
condivise che si ripetono nel tempo sono chiamate “format”. Cosa si intende per
“Format”? Si tratta di una concatenazione di eventi, cioè una narrazione, che è più
interessante se è legata ad un contesto narrativo. Un format che propone eventi
immaginari è spesso più attraente di un format usato esclusivamente nella vita
reale. Il gioco di finzione, attuato in gruppo, dà ai bambini la possibilità di ricreare
nel mondo dell’immaginazione un vissuto in Madrelingua. Il processo di
acquisizione di una lingua è basato sul dialogo tra le persone: ciascuno deve
sentirsi interpellato personalmente per essere indotto a rispondere. Tra le due
persone impegnate nella situazione di dialogo deve esistere una relazione affettiva
positiva. Questo è il principio che negli studi sull’acquisizione bilingue nei primi
anni di vita viene chiamato “una persona, una lingua”.
Apprendimento precoce di una lingua
“La neurologia ha permesso di evidenziare una serie di caratteristiche operative
112 Titone R., La lingua straniera nella Scuola Elementare: esperienze, problemi e prospettive, ed. Menna, Avellino, 1986.
del cervello umano che sottendono i diversi percorsi apprenditivi e tra questi
anche quello relativo al linguaggio:
a. il cervello umano è responsabile delle sfere emotivo-percettivo-motoria;
cognitiva e linguistico-relazionali;
b. il cervello umano gestisce ambiti complessi come il linguaggio,
l’immaginazione e la memoria;
c. il cervello umano ha una struttura fortemente plastica;
d. il cervello umano ha come unità di misura il neurone che è presente in un
numero esorbitante e che comunica con gli altri neuroni dando vita ad una
miriade di sinapsi.
Il cervello umano mettendosi in relazione con l’esterno riceve, grazie ai sensi, una
serie di stimoli che ricoprono successivamente il ruolo di nuove informazioni;
infatti, vista ed udito in particolare, unitamente al tatto e all’odorato, attraverso
migliaia di cellule specifiche, trasmettono al cervello sensazioni che,
opportunamente decodificate ed elaborate, vanno a depositarsi e ad integrare il
bagaglio già pre-esistente. La frequenza più o meno elevata di collegamenti o
sinapsi, dipende soprattutto dall’ambiente, ma ciò che è maggiormente
interessante è il fatto che il cervello, per ogni stimolo, opera un processo di questo
tipo:
- riceve gli stimoli;
- li percepisce e collega con la memoria di stimoli analoghi;
- elabora una singola risposta per ognuno essi”.113
Lo sviluppo del linguaggio di un bambino sordo utilizza solo quattro sensi (in
quanto manca solo l’udito), ma il cervello è molto efficiente e non lascia andare in
rovina lo spazio inutilizzato perché vuole compensare il senso perduto, il
miglioramento della visione periferica grazie al riadattamento e all’equilibrio tra
la mancanza uditiva e la potenzialità della visione periferica.
Istruire il bambino sordo con l’educazione bilingue che significa fargli conoscere
contemporaneamente due lingue fin dai primissimi anni di vita oppure in modo
113 Bertacchini C., Educazione alla lingua straniera. Nella scuola dell’infanzia e della scuola di base, Edizioni Junior, Bergamo, 2005, (pag. 5-6).
consecutivo quando il bambino acquisisce la seconda lingua, essendo già
competente nella lingua madre. Ricordiamo che non sempre i bambini sordi sono
educati dalle famiglie con comunicazione bilingue; quando inizia a vivere al di
fuori, nella scuola materna, la famiglia spesso inizia a capire che bisogna scegliere
una lingua più funzionale alla comunicazione dei bisogni quotidiani.
La didattica del bilinguismo valuta il livello di competenza linguistica dei bambini
sordi nelle due lingue, lingua dei segni e lingua italiana, perché le difficoltà
nascono nel momento di trasferimento dal contesto naturale al campo didattico.
Gli insegnanti devono comprendere e stimolare il bambino ad usare la lingua in
base ad una necessità comunicativa determinata da precise condizioni contestuali.
I contenuti didattici che svolgeranno nelle scuole materne dovranno sempre
adattarsi al livello di sviluppo psichico e linguistico del bambino sordo che sono
legati alle sue esperienze di vita. E’ importante che il bambino sordo impari con
motivazione un’altra lingua; il gioco è una delle migliori strategie comunicative e
il metodo d’insegnamento deve essere scelto e adattato alle sue capacità.
Victor Hugo 18 novembre 1845:
“che non ha importanza la sordità dell’orecchio, quando la mente sente. L’unica
vera sordità, l’incurabile sordità, è quella di mente.”.
Classificazione generale e non ufficializzata dell’educazione bilingue e
plurilingue di figli udenti e sordi di coppie italiane e miste che vivono in Italia:
Tabella n.1: Educazione bilingue di un bambino sordo e udente114:
SITUAZIONE
FAMILIARE
“BILINGUISMO
FAMIGLIARE”115
“BILINGUISMO
SCOLASTICO”116
“BILINGUISMO
SCOLASTICO
CON
INTEGRAZIONE
5La presente tabella è elaborata dalla scrivente. 115 Nel presente contributo utilizzo la definizione “Bilinguismo familiare” intendendo l’educazione bilingue come comunicazione primaria e secondaria del bambino nella famiglia. 116 Nel presente contributo utilizzo la definizione “Bilinguismo scolastico” intendendo il percorso di apprendimento della prima e seconda lingua e lingua straniera nell’ambiente scolastica.
DEI BAMBINI
SORDI E
UDENTI”117
FIGLIO
UDENTE DEI
GENITORI
UDENTI E
ITALIANI
L1 Lingua
Italiana
L1 Lingua
Italiana
LS Lingua
Inglese, Lingua
Francese, ecc.
L1 Lingua
Italiana
LS Lingua dei
Segni Italiana,
Lingua Inglese,
ecc.
FIGLIO
UDENTE DEI
GENITORI
UDENTI ED
EUROPEI (Es.
genitori inglesi)
L1 Lingua
Inglese
L2 Lingua
Italiana
L1 Lingua
Italiana
LS Lingua
Inglese
L1 Lingua
Italiana
L2 Lingua
Inglese
LS Lingua dei
Segni Italiana,
Lingua Francese,
ecc.
FIGLIO
SORDO DEI
GENITORI
SORDI
SEGNANTI
L1 Lingua dei
Segni Italiana
L2 Lingua
Italiana
L1 Lingua
Italiana
LS Lingua
Inglese, ecc.
L1 Lingua dei
Segni Italiana
L2 Lingua
Italiana
LS Lingua dei
Segni Francese,
Lingua Inglese
FIGLIO
SORDO DEI
GENITORI
SORDI NON
L1 Lingua
Italiana
L1 Lingua
Italiana
LS Lingua
Inglese
L1 Lingua
Italiana
L2 Lingua dei
Segni Italiana
117 Nel presente contributo utilizzo la definizione “Bilinguismo scolastico con integrazione dei bambini sordi e udenti” intendendo il progetto educativo gestito e guidato con il percorso di apprendimento di LIS come prima e seconda lingua e lingua straniera.
SEGNANTI LS Lingua
Inglese, Lingua dei
Segni Americana,
ecc.
FIGLIO
UDENTE DEI
GENITORI
SORDI
“SEGNANTI”118
L1 Lingua dei
Segni Italiana
L2 Lingua
Italiana
L1 Lingua
Italiana
LS Lingua
Inglese, ecc.
L1 Lingua
Italiana
L2 Lingua dei
Segni Italiana
LS Lingua
Inglese, ecc.
FIGLIO
SORDO DEI
GENITORI
UDENTI
SEGNANTI
L1 Lingua
Italiana
L2 Lingua dei
Segni Italiana
L1 Lingua
Italiana
LS Lingua
Inglese, Lingua
Francese, ecc.
L1 Lingua dei
Segni Italiana
L2 Lingua
Italiana
LS Lingua
Inglese, Lingua dei
Segni Francese,
ecc.
FIGLIO
SORDO DEI
GENITORI
UDENTI NON
SEGNANTI
L1 Lingua
Italiana
L1 Lingua
Italiana
LS Lingua
Inglese, ecc.
L1 Lingua
Italiana
LS Lingua dei
Segni Italiana
Lingua Inglese,
ecc.
Legenda:
L1: Madrelingua
L2: Seconda Lingua
LS: Lingua Straniera
La colonna della “situazione familiare” è stata inserita in quanto ogni bambino
118 Nel presente contributo utilizzo la parola “segnanti” intendendo la Madrelingua è la Lingua dei Segni Italiana.
riceve un’educazione bilingue a seconda dei genitori che possono essere stranieri,
udenti segnanti e non segnanti, sordi segnanti e non segnanti.
Il bambino sordo è particolarmente diverso dal bambino udente perché la sua
lingua naturale è la LIS, (si definisce L1 o Madrelingua) e si usa la LIS per
imparare e capire l’italiano. Il percorso di apprendimento di una seconda lingua è
più lungo e faticoso confronto a L1, ma raggiungere questo obiettivo di
educazione bilingue è fondamentale per la formazione del bambino. Invece per la
famiglia udente segnante e gli insegnanti udenti la LIS è la seconda lingua in
quanto la loro prima lingua è l’italiano e imparano la LIS come seconda lingua.
I figli udenti dei genitori sordi segnanti acquisiscono la LIS come madrelingua e
la lingua italiana come seconda lingua ma quando inizia la scuola materna
imparano/utilizzano la lingua italiana come prima lingua perché gli insegnanti
insegnano le materie scolastiche con la lingua italiana.
Se i bambini udenti sono coinvolti nel progetto di bilinguismo per l’integrazione
di alunni sordi nella scuola materna, il percorso di apprendimento della Lingua dei
Segni Italiana sarà paragonabile al percorso di apprendimento di una Lingua
straniera ma, in più, permetterà di comunicare e integrare tra loro i bambini sordi
e udenti.
Nel caso di bambini sordi figli di genitori sordi, la LIS potrebbe essere utilizzata
come prima lingua per la comunicazione con gli stessi genitori, con i coetanei
sordi e per i contatti con la comunità sorda. L’apprendimento della Lingua italiana
potrebbe avvenire grazie agli stessi genitori ma anche con un intervento scolastico
che possa essere continuativo e sistematico, comprendendo la riabilitazione
logopedia e l’insegnamento scolastico dagli insegnanti curriculari e di sostegno
ma anche la frequenza con i coetanei udenti o con adulti udenti che frequentano la
famiglia.
Nel caso di bambini sordi figli di genitori udenti, la prima lingua è l’italiano che
può essere utilizzato almeno per comunicare con i figli; però è consigliabile che i
genitori frequentino il corso di LIS e imparino a comunicare con due lingue, con i
figli sordi, la lingua italiana e la LIS. Col tempo i genitori diventeranno abili nella
lingua dei segni e impareranno che è possibile usare direttamente questa lingua in
alcune situazioni comunicative.
Gli obiettivi generali dell’insegnamento e apprendimento della lingua dei segni
nel contesto scolastico sono:
- COGNITIVO: lo sviluppo delle funzioni simboliche (capacità di
rappresentazione e astrazione linguistica e concettuale);
- LINGUISTICO: lo sviluppo delle capacità di ascolto, di comprensione e di
produzione della LIS;
- CULTURALE: la formazione delle forme di educazione multiculturale,
come formazione di uno spirito democratico, rispettoso e solidale nei
confronti degli altri e dei diversi modi di vivere e di pensare.
Gli obiettivi generali dell’insegnamento e apprendimento della Lingua dei Segni
Italiana come Madrelingua ai bambini sordi:
• comunicazione = “LUCE” ;
• maturare l’identità sorda;
• sviluppare e potenziare le competenze linguistico-comunicative;
• conquistare l’autonomia per affrontare e risolvere le difficoltà comunicative
nel mondo udente;
• conoscere il mondo letterario, artistico e culturale della comunità sorda:
narrazione, poesie, canzoni, quadri, documentari, ecc.
I bambini sordi hanno la necessità di conoscere la propria identità culturale e di
appartenere a un gruppo di riferimento di coetanei.
Gli obiettivi dell’insegnamento e apprendimento della Lingua dei Segni Italiana
come Lingua Straniera ai bambini udenti:
• educazione multiculturale (conoscere la cultura sorda);
• capire segni e parole in diversi registri linguistici;
• coinvolgere e motivare gli alunni, suscitando curiosità ed interesse;
• comprendere la diversità ed accettare il valore della comunità sorda in modo
positivo;
• stimolare il dialogo per formare relazioni socio-affettive.
La relazione tra bambini sordi e udenti stimola lo scambio culturale, la possibilità
di conoscenza di un nuovo legame affettivo e la formazione di un nuovo gruppo.
LE STRATEGIE METODOLOGICHE PER L’INSEGNAMENTO DELLA LIS:
• una lingua con una persona (gli insegnanti non solo devono comunicare
soltanto attraverso la lingua dei segni, ma anche “far finta” di non capire
nessuna altra lingua);
• strategie comunicative con canale visivo-gestuale;
• inserire la LIS in contesti scolastici ed esperienze familiari al bambino;
• attività didattica e ludica per stimolare la voglia di partecipare dei bambini
(gioco della finzione);
• relazione socio-affettiva (motivazione);
• esperienza (gioco);
• continuità professionale;
• coinvolgimento delle insegnanti curriculari e di sostegno.
Il vantaggio dell’educazione bilingue per un bambino sordo è che l’acquisizione
precoce della LIS permette di crearsi una competenza linguistica in modo naturale
e spontaneo e permette la trasmissione adeguata di contenuti e conoscenze tipici
della sua età e del suo sviluppo cognitivo e relazionale. L’acquisizione della LIS
può diventare uno strumento comunicativo fondamentale per l’apprendimento più
corretto e funzionale della lingua parlata e scritta. La persona sorda ha la
possibilità di avere l’autonomia di comunicazione nel mondo dei sordi e di
integrarsi con il mondo udente maggioritario.
Modelli operativi e tecniche
Il modello operativo di base è il curricolo, cui vanno aggiunte le indicazioni
metodologiche per la didattica e per la verifica e la cui versione va adattata alle
esigenze della classe e, dove è necessario, del singolo. Il curricolo viene poi
proposto attraverso l’unità didattica, un insieme completo ed autosufficiente di
lingua che procede sulla base di una modalità neuro psicolinguistica e della
psicologia della Gestalt (globalità > analisi > sintesi).
Naturalmente, vanno inclusi, per necessità, anche tutti gli obiettivi basilari dei
corsi di lingue:
a. modelli culturali italiani;
b. elementi pragmatici (“fare con la lingua”);
c. componenti della competenza linguistica ed extralinguistica;
d. abilità linguistiche necessarie per quel particolare gruppo di bambini.
Inoltre il curricolo indica il raccordo con gli altri settori inclusi nello stesso ambito
disciplinare. Secondo quanto teorizzato dalla psicologia della Gestalt, la
percezione dell’evento comunicativo, qualunque esso sia, è globale. Quindi, dopo
aver percepito globalmente lo input (emisfero destro), ci si muove verso una
ricezione guidata dall’insegnante, che porterà, poi, gli allievi ad analizzare gli
elementi specifici dell’unità (emisfero sinistro). L’attività cognitiva coinvolge
l’interezza di chi apprende e trova il suo culmine nel processo di sintesi, cioè
riutilizzo, di quanto si è acquisito in quell’unità. Dopo aver effettuato il percorso
che procede attraverso GLOBALITA’ ANALISI SINTESI si procede al
modal focusing: si riflette, cioè, su quanto è stato presentato nell’unità didattica,
così da favorirne la sistematizzazione e l’accomodamento nel repertorio delle
proprie conoscenze ed abilità.
Tecniche e tecnologie didattiche applicate alla LIS Tecniche didattiche. “Le tecniche glotto-didattiche devono essere coerenti con la natura della lingua che viene assunta nell’approccio[…] le tecniche glotto-didattiche sono, infatti, lo strumento con cui si realizza l’azione didattica, l’integrazione lingua-studente.”119 (Balboni, 2008). Le tecniche glotto-didattiche sono però spesso non sfruttate nelle loro massime potenzialità oppure, ancora peggio, non vanno ad incidere positivamente sull’apprendimento del bambino diventando solo una perdita di tempo, o peggio un ostacolo all’apprendimento. Avendo inoltre a che fare con bambini, il docente cercherà di attirarli con le attività ludiche, facendo attenzione che non siano né 119P.E. Balboni M.C. e F.Ricci Garotti, Lingue straniere nella scuola dell’infanzia, Guerra Edizioni, Perugia, 2001.
troppo semplici né troppo complesse ma adatte al livello raggiunto in quanto, nel primo caso, il bambino perderebbe l’interesse considerando l’attività banale e, nel secondo, la motivazione cadrebbe perché avrebbe difficoltà nel portarla a termine. L’attività didattica che può essere vista come noiosa o senza utilità può, però, in certi casi rivelarsi una “sorpresa” o “divertente” per il bambino. La verifica e il tempo dell’attività didattica programmate dai docenti di LIS sono fondamentali per il metodo dell’insegnamento perché il docente ha la necessità di sapere il risultato oggettivo del lavoro e la questione del tempo di lavoro che ha dei suoi limiti. Inoltre, i materiali devono essere adatti, “mobili”, pieghevoli cosicché i bambini possano giocare e operare nell’attività in modo flessibile. La relazione e la comunicazione in un’atmosfera accogliente aiutano a sentirsi in modo confortevole. Certe attività stimolano competizione e collaborazione. Tuttavia, le tecniche didattiche devono adattarsi alle mentalità diverse di tutti i bambini presenti in classe e il bambino deve trovare una certa “autonomia” nell’uso dei materiali in base all’età o alle capacità personali. L’uso della tecnologia cambia l’efficacia dell’attività, ma non contribuisce sempre
alle attività didattiche e va considerato in base all’obiettivo educativo. Passiamo ora ad una breve analisi delle tecniche glotto-didattiche usate per la LIS dal momento che la Lingua dei Segni non ha una forma scritta come la lingua italiana. La non presenza della forma scritta è importante quando pensiamo alla verifica. Il bambino apprende le lezioni del docente LIS in maniera molto “approssimativa” in quanto deve contemporaneamente guardare con attenzione e capire un lessico, una frase o un racconto. Un aiuto utile potrebbe essere le figure o le fotografie segnate di espressioni facciali per lezioni e le mettesse a disposizione dei bambini cosicché questi possano vedere il segno con un esempio preciso. “Giocare con le parole” è, ad esempio, un’attività che aiuta ai bambini a diventare più consapevoli degli aspetti linguistici che caratterizzano ogni lingua parlata e scritta. Per il fatto stesso di giocare con lingue diverse, e in questo caso con una lingua visiva, i bambini possono riflettere sul valore del linguaggio dei segni ed arricchire tramite esso la loro competenza comunicativa. Vediamo ora un esempio di gioco per apprendere la lingua dei segni: “Giocare con le configurazioni”120. E’ importante scegliere dei segni che i bambini conoscono bene e prevedere diversi livelli di complessità del gioco. Tra le diverse configurazioni, alcune
120 Ogni configurazione corrisponde alla forma che le mani assumono nell’eseguire il segno. Nella LIS sono state identificate 26 configurazioni (cfr. Volterra 1987)
possono essere più simili tra di loro e percettivamente più difficili da distinguere. Ad esempio, in LIS le configurazioni che vengono fatte con la mano a forma di “cinque”, differiscono fra loro a seconda che la mano sia parzialmente piegata, chiusa o aperta. Fonema - configurazione POPO – TOPO (lingua scritta) Segno di LUPO – Segno di TOPO (lingua dei segni)
(5 parzialmente piegata) (5 chiusa) Prima di iniziare il gioco, è necessario dimostrare ai bambini le diverse configurazioni del “cinque” per riconoscere le diverse forme. Le tecnologie didattiche hanno nel corso degli anni hanno acquisito sempre maggior valore, l’uso del lettore DVD, proiettori, e infine il computer hanno portato i contenuti a essere autentici e reali. Riguardo alla LIS le risorse tecnologiche applicate alla didattica hanno una funzione importante e possono diventare materiali didattici per l’insegnamento e per la verifica. La verifica è un processo che tiene conto della figura di bambino, del suo rapporto con la scuola e del suo percorso scolastico. Le modalità della verifica della LIS per i bambini prevedono l’utilizzo di feedback e di test formali che possono essere costituiti da domande chiuse, aperte o cloze come la lingua vocale. Il feedback consiste in una delle attività in itinere, cioè durante il percorso didattico. La comprensione scritta, cioè quella che nelle lingue vocali si realizza con un disegno e delle domande aperte o chiuse ecc. in LIS è assimilata alla comprensione orale, che si svolge attraverso un breve filmato dal docente e delle domande aperte alle quali il bambino deve, in base a quello che ha visto nel filmato, rispondere. La produzione orale, si svolge attraverso un’immagine mostrata dal docente e seguita da domande aperte alle quali il bambino deve, in base a quello che ha visto nell’immagine, rispondere.
Le tecniche didattiche che sono state descritte in questo paragrafo rappresentano solo alcuni esempi del lavoro che può essere condotto sulla lingua dei segni e sui suoi aspetti linguistici. Potete inventare molte altre attività e altri giochi in base alle esigenze e capacità dei bambini con cui vi troverete ad insegnare la lingua dei segni. Ciò che è importante è che le attività e i giochi divertano i bambini, il resto verrà da solo.
2 CAPITOLO
LA SITUAZIONE ITALIANA DEL BILINGUISMO IN ALCUNI
PROGETTI DELLA SCUOLA D’INFANZIA.
2.1 Progetto, organizzazione, tempo e sistema scolastico dell’educazione
bilingue per bambini sordi
Il sistema educativo – scolastico 3-6 anni in Italia
“La scuola d’infanzia è stabilita con la Legge .n.444 del 18 marzo 1968,
L.53/2003; D.Lgs 19 febbraio 2004 n.59: definizione delle norme generali relative
alle scuole dell’infanzia; indicazioni per il curricolo D.M.31 luglio 2007) La
scuola d’infanzia è un’istituzione prescolastica non obbligatoria, caratterizzata dal
gioco e dalla convivenza con i compagni, e dalla preparazione al primo ciclo
d’istruzione, cioè la scuola primaria. La durata media è di tre anni: sezione
“piccoli (primo anno), sezione “medi” (secondo anno) e infine sezione grandi
(terzo anno). Con la riforma Gelmini è possibile iscrivere i bambini di 2 anni e
mezzo, mentre il precedente prerequisito erano i tre anni (Secondo
C.M.110/dic/2007 possono essere iscritti i bambini che compiono i 3 anni entro il
31/01/2009; quelli nati dopo il 31/01 devono iscriversi alle sezioni primavera (24-
36 mesi).
Le Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia del 2007 definiscono in questo
modo:
• il sé e l'altro (le grandi domande, il senso morale, il vivere insieme);
• il corpo in movimento (identità, autonomia, salute);
• linguaggi, creativià, espressione (gestualità, arte, musica, multimedialità);
• i discorsi e le parole (comunicazione, lingua, cultura);
• la conoscenza del mondo (ordine, misura, spazio, tempo, natura).
La scuola dell’infanzia, non obbligatoria e di durata triennale, concorre
all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso
e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione,
autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un’effettiva eguaglianza
delle opportunità educative; nel rispetto della primaria responsabilità educativa
dei genitori, contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini e,
nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza il profilo
educativo e la continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con
la scuola primaria.(art.1 c.1 D lgs 19 febbraio 2004, n.59)
La scuola dell’infanzia, liberamente scelta dalle famiglie, si rivolge a tutti i
bambini dai 3 ai 6 anni di età ed è la risposta al loro diritto all’educazione. Ha le
sue origini nelle comunità locali (come i Comuni e le Parrocchie) e in esse è
cresciuta. Oggi si esprime in una pluralità di modelli istituzionali e organizzativi
promossi da diversi soggetti: lo Stato; gli Ordini religiosi, le Associazioni e le
Comunità parrocchiali; gli Enti Locali.”(Indicazioni per il curricolo per la scuola
dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione- D.M. 31 luglio 2007)
Le scuole non statali (comunali e private) sono riconosciute come paritarie dalla
L.62 del 10/03/2000 in presenza dei requisiti minimi definiti dalla stessa legge.
Scuole dell’Infanzia Statali: lo Stato provvede al personale docente ed ausiliario.
Tutto il resto (strutture, arredi) a carico del Comune.
Scuole dell’Infanzia Comunali: tutte le competenze a carico del Comune.
Scuole dell’Infanzia paritarie private: tutto a carico dei gestori privati con
contributi statali ed eventuali finanziamenti regionali e comunali.
COORDINAMENTO E PERSONALE DOCENTE
Coordinatore nella scuola materna statale è il dirigente scolastico o docente figura
di sistema; nella scuola materna non statale si tratta del coordinatore pedagogico
assegnato dal gestore.
DOCENTI
I parametri dei docenti, a secondo dell’apertura dei servizi, sono di 1 docente fino
a 25 ore settimanali e 2 oltre e fino a 50 h settimanali; a seconda del contratto di
lavoro sono 25 ore settimanali di attività educative per docente più altre attività
fino ad un massimo di 40 ore settimanali.
ORGANIZZAZIONE
Una classe può accogliere al massimo 28 bambini e l’organizzazione delle classi
può essere omogenea per età o classi miste. L’apertura minima dei servizi è di 25
ore settimanali, al massimo 50 ore settimanali, a seconda del progetto educativo
della scuola.
LE INDICAZIONI PER IL CURRICOLO
Per la scuola dell'infanzia l’identità pedagogica, didattica e funzionale è delineata
dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo.E’ importante sottolineare che le
Indicazioni contribuiscono a definire le finalità del servizio, le proposte educative-
didattiche e i campi di esperienza.
Finalità della scuola d’infanzia: Per ogni bambino o bambina, la scuola
dell’infanzia si pone la finalità di promuovere lo sviluppo dell’identità,
dell’autonomia, della competenza, della cittadinanza.
Le proposte educative-didattiche: La scuola dell’infanzia organizza le proposte
educative e didattiche espandendo e dando forma alle prime esplorazioni,
intuizioni e scoperte dei bambini attraverso un curricolo esplicito. Ad esso è
sotteso un curricolo implicito costituito da costanti che definiscono l’ambiente di
apprendimento e lo rendono specifico e immediatamente riconoscibile.
Le componenti dell’ambiente di apprendimento sono: lo spazio, i tempi, la
documentazione, lo stile educativo e la partecipazione.
Lo spazio: lo spazio accogliente, caldo, curato, orientato dal gusto, espressione
della pedagogia e delle scelte educative di ciascuna scuola. È uno spazio che
parla dei bambini, del loro valore, dei loro bisogni di gioco, di movimento, di
espressione, di intimità e di socialità, attraverso l’ambiente fisico, la scelta di
arredamenti e oggetti volti a creare una funzionale e invitante disposizione a
essere abitato dagli stessi bambini.
I tempi: il tempo disteso, nel quale è possibile per il bambino giocare, esplorare,
dialogare, osservare, ascoltare, capire, crescere con sicurezza e nella
tranquillità, sentirsi padrone di sé e delle attività che sperimenta e nelle quali si
esercita. In questo modo il bambino può scoprire e vivere il proprio tempo
esistenziale senza accelerazioni e senza rallentamenti indotti dagli adulti.”
La documentazione: la documentazione, come processo che produce tracce,
memoria e riflessione, che rende visibili le modalità e i percorsi di formazione e
che permette di valutare i progressi dell’apprendimento individuale e di gruppo.
Lo stile educativo: lo stile educativo, fondato sull’osservazione e sull’ascolto,
sulla progettualità elaborata collegialmente, sull’intervento indiretto e di regia.
La partecipazione: la partecipazione, come dimensione che permette di stabilire e
sviluppare legami di corresponsabilità, di incoraggiare il dialogo e la
cooperazione nella costruzione della conoscenza.
I campi di esperienza nella scuola dell’infanzia si rifanno ai traguardi per lo
sviluppo delle competenze, e suggeriscono all’insegnante orientamenti, attenzioni
e responsabilità nel creare occasioni e possibilità di esperienze volte a favorire lo
sviluppo delle competenze, che a questa età vanno intese in modo globale ed
unitario.
I progetti di apprendimento individuano principalmente i seguenti campi di
esperienza:
1. Il sé e l’altro: le grandi domande, il senso morale, il vivere insieme. I bambini
formulano le grandi domande esistenziali e sul mondo e cominciano a
riflettere sul senso e sul valore morale delle loro azioni, prendono coscienza
della propria identità, scoprono le diversità e apprendono le prime regole
necessarie alla vita sociale.
2. Il corpo in movimento: identità, autonomia, salute. I bambini prendono
coscienza e acquisiscono il senso del proprio sé fisico, il controllo del corpo,
delle sue funzioni, della sua immagine, delle possibilità sensoriali ed
espressive e di relazione e imparano ad averne cura attraverso l’educazione
alla salute.
3. Linguaggi, creatività, espressione: gestualità, arte, musica, multimedialità. I
bambini sono portati a esprimere con immaginazione e creatività le loro
emozioni e i loro pensieri; l’arte orienta questa propensione, educa al sentire
estetico e al piacere del bello.
4. I discorsi e le parole: comunicazione, lingua, cultura. I bambini apprendono a
comunicare verbalmente, a descrivere le proprie esperienze al mondo, a
conversare e dialogare, a riflettere sulla lingua, e si avvicinano alla lingua
scritta. Attraverso la conoscenza e la consapevolezza della lingua materna e di
altre lingue consolidano l’identità personale e culturale e si aprono verso altre
culture.
5. La conoscenza del mondo: ordine, misura, spazio, tempo, natura. I bambini
esplorano la realtà, imparando a organizzare le proprie esperienze attraverso
azioni consapevoli quali il raggruppare, il comparare, il contare, l’ordinare,
l’orientarsi e il rappresentare con disegni e con parole .”121
“La scuola dell’infanzia rappresenta, pur non costituendo obbligo, una parte
fondamentale del sistema dell’istruzione, sulla quale notevoli sono stati e sono, gli
investimenti del sistema degli Enti locali, al fine di promuovere le potenzialità di
autonomia, creatività e apprendimento dei bambini e per assicurare un’effettiva
uguaglianza delle opportunità educative. La Regione persegue la generalizzazione
della scuola d’infanzia per tutti i bambini e le bambine in età tra i 3 e i 6 anni,
anche tramite mezzi propri, aggiuntivi a quelli statali, finalizzati all’ampliamento
dell’offerta scolastica e alla sua fruizione. Poiché la normativa nazionale istituisce
la possibilità di anticipare l’età di accesso alla scuola d’infanzia, sarà definito un
progetto educativo specifico, supportato da personale e spazi adeguati, di
transizione tra il nido e la materna a partire dai due anni e mezzo. Per quanto
riguarda l’educazione degli adulti, il progetto di legge prevede e sostiene percorsi
di apprendimento per tutto l’arco della vita delle persone, finalizzati sia al
recupero e al completamento dei percorsi scolastici e formativi, sia
all’aggiornamento professionale dei lavoratori, in tal caso operando attraverso
l’integrazione fra l’istruzione e la formazione professionale. Un’offerta ampia,
importante per favorire l’adattabilità alle trasformazioni dei saperi nella società
della conoscenza e per evitare l’obsolescenza delle competenze e i rischi di
emarginazione sociale. Si intende inoltre garantire il diritto al sapere per tutto
l’arco della vita con azioni che mettono in valore le attività dell’associazionismo,
delle università della terza età, dei tanti soggetti attivi nell’educazione non
121 Nanni C., La riforma della scuola. Le idee, le leggi, Roma, LAS, 2003 ;De Gaspari B. e Fiore F., Una scuola per famiglie. A proposito della riforma Bertagna-Moratti, in Nuvole, giugno 2002.
formale, dando così risposta alle aspettative delle persone che chiedono di
continuare la propria crescita culturale ad ogni età. Cardine essenziale del sistema
formativo è l’autonomia delle istituzioni scolastiche, già introdotta
nell’ordinamento nazionale nel 1997 ed attualmente sancita anche a livello
costituzionale…. Il progetto di legge intende di valorizzare tale autonomia, quale
garanzia della libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e strumento
potente per liberare energie propositive e risorse innovative a favore
dell’ampliamento delle opportunità per tutti. I primi passi dell’autonomia,
realizzati anche attraverso il ricorso alla flessibilità curriculare del 15% introdotta
nel 1998, hanno messo in evidenza la capacità delle scuole di intervenire sulla
propria offerta, migliorandone la coerenza rispetto alle necessità degli studenti e
del territorio, e personalizzando i percorsi di studio…. Il progetto di legge
individua nel rafforzamento dei livelli di continuità del percorso educativo e
formativo uno strumento importante per contrastare l’abbandono e per rispettare
maggiormente i ritmi di crescita e di apprendimento dei bambini e dei ragazzi
della regione, soprattutto in riferimento al ciclo primario. A fronte di tempi di
crescita e di apprendimento molto differenti tra bambini e gli adolescenti, infatti,
cicli e percorsi scolastici brevi, con frequenti interruzioni e valutazioni, possono
produrre ostacoli per ragazzi con maggiori difficoltà. Per realizzare un percorso
educativo più attento ai ritmi di ciascuno, la Regione promuove la progettazione e
realizzazione di percorsi didattici ed educativi più continui e rispettosi dei diversi
modi e tempi di apprendimento.“122
“La situazione attuale nelle scuole italiane dei bambini sordi è regolata
dalla legge 104/92, la quale prevede l’affiancamento di un educatore professionale
che segua e istruisca al linguaggio vocale il bambino sordo. Dietro di questa
importante figura professionale vi sono diverse problematiche che non verranno
trattate in questa sede, ma ci si limita qui a lanciare un monito per fare chiarezza
sulla suddetta legge che non traccia un profilo giuridico ed economico ben
122 Supplemento 231 del 25-03-2003, Progetto di Legge d’iniziativa della Giunta Regionale, Norme per l’Ugualianza delle Opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro. Oggetto Consiliare n. 4311.
definito di questi operatori (si pensi, ad esempio, alle 17 ore lavorative previste a
fronte delle 40 dell’orario scolastico).
L’ENS (Ente Nazionale Sordi) suggerisce la distinzione tra la figura professionale
dell’assistente e quella dell’educatore: il primo è, in realtà, un “assistente alla
comunicazione della persona udente” il cui compito è strettamente legato alla
comunicazione; il secondo è un “educatore della persona sorda”, infatti, il suo è
un vero e proprio intervento educativo finalizzato a rafforzare l’identità del
bambino sordo partendo dall’accettazione della sua diversità intesa anche come
ricchezza.”123
La scuola dell’infanzia presenta la propria organizzazione e articola le
proprie attività educative e didattiche con un documento rappresentativo degli
obiettivi denominato Piano dell’offerta Formativa – P.O.F. – consultabile presso
ogni scuola.
Il sistema scolastico è in continua evoluzione e trasformazione ma
purtroppo fatica a seguire nello stesso ritmo di sviluppo della società, rimanendo
sempre un po’ in ritardo rispetto ad essa. Anche alla luce di questa
considerazione, è nostra profonda convinzione che debba esistere un legame forte
e continuo tra la scuola italiana e l’evoluzione della società e dell’economia. La
Scuola non può essere più solo il luogo dell’istruzione, deve diventare il luogo
della formazione.
Nel 1988 l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ex Istituto di
Psicologia) del CNR e l’ISISS (Istituto Statale di Istruzione Specializzata per
Sordi ), sede di Roma, hanno creato il progetto di bilinguismo con l’integrazione
fra i bambini sordi e bambini udenti che comprende tutti i livelli di scuole, dal
ciclo dell’infanzia alla scuola superiore per garantire la continuità didattico-
formativa dell’alunno sordo.
L’ISISS di Roma è una delle più vecchie scuole italiane e negli anni’60
aveva più di 300 allievi; gli insegnanti ignoravano i nuovi orientamenti e
strumenti pedagogici, non riconoscevano non davano importanza alla Lingua dei
123 L. Polsoni, La comunicazione del bambino sordo_ http://www.mondosilma.com/didattica/sostegno/La%20comunicazione%20del%20sordo.pdf
Segni Italiana. Grazie alla convenzione del 1988 tra l’Istituto di Scienze e
Tecnologie della Cognizione del CNR, l’ISISS e il Provveditorato agli studi di
Roma si è arrivati a un grande successo nella storia dell’educazione dei sordi.
L’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR ha dato un forte
contributo, un “segno” positivo, al cambiamento del modello educativo e didattico
per l’educazione di bambini, ragazzi e adulti sordi e al processo di integrazione
scolastica e sociale. Le ricerche non erano focalizzate soltanto alla scuola ma
anche alla ricerca sulla lingua dei segni italiana (LIS), lo sviluppo del linguaggio
delle due lingue (LIS e italiano), degli aspetti psicologici, delle nuove tecnologie e
della cultura. I ricercatori operanti elaboravano gli studi presso la scuola che era
un’esperienza concreta tra il mondo della ricerca e una realtà scolastica e sociale.
L’ambito scientifico ha sollecitato l’ambito scolastico a creare un nuovo
svolgimento delle attività educative di educazione bilingue (lingua dei segni
italiana/italiano), e un nuovo metodo educativo che divenne uno strumento di
diffusione di un nuovo pensiero pedagogico. Grazie anche al reparto di
Neuropsicologia del Linguaggio e Sordità, che ha svolto le prime ricerche
scientifiche e linguistiche sulla struttura dei segni della LIS usata da molte
persone sorde, che ha dimostrato come i segni usati dai sordi italiani fossero una
lingua naturale.
“La presenza di una struttura di ricerca scientifica ha maggiormente coinvolto il
Ministero della Pubblica Istruzione e il Provveditorato agli studi di Roma. Ad
esempio, i ricercatori del reparto sono stati chiamati, in passato, a svolgere attività
di consulenza scientifica nel "Centro di informazione e documentazione sui
problemi della sordità", promosso dal Provveditorato agli studi di Roma e dal
Ministero della Pubblica Istruzione (1992-1994). Hanno inoltre partecipato al
comitato tecnico dell'Osservatorio permanente per l'integrazione scolastica delle
persone in situazione di handicap presso il Ministero della pubblica istruzione, in
qualità di esperti per i problemi nel campo della sordità (1997-2000).
Più recentemente hanno preso parte, in qualità di esperti, al gruppo di lavoro sul
"Riordinamento delle scuole speciali e degli istituti atipici" presso il Ministero
della pubblica istruzione (2000).
Tutto questo ha favorito la rottura dell'isolamento in cui si trovava l’Istituto e
quindi il mondo dei sordi. L'Istituto statale dei sordi si è aperto all'esterno,
diventando un luogo di riferimento per udenti e sordi.
L’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, in collaborazione
con l'Ospedale Bambino Gesù di Roma, ha condotto una ricerca sulle competenze
cognitive, comunicative, linguistiche e relazionali di bambini sordi in età
prescolare: alcuni figli di genitori sordi, altri di genitori udenti. Lo studio si è
focalizzato, in particolare, sui processi di comprensione e produzione lessicale e
morfosintattica, sia in italiano che in LIS. Questo ha richiesto la messa a punto di
un protocollo di valutazione delle due lingue. Sono state inoltre studiate nei
bambini le capacità cognitive generali (attraverso test di livello non-verbali), le
capacità di gioco simbolico, le modalità di interazione comunicativa e di relazione
del bambino con i genitori. Infine sono stati effettuati colloqui con le famiglie per
studiare il contesto emotivo-relazionale. I risultati principali hanno evidenziato
che le competenze linguistiche dei bambini sono fortemente influenzate
dall'ambiente affettivo-relazionale, in cui i bambini crescono, e dalla qualità e
quantità degli interventi educativi offerti loro. La valutazione delle abilità
linguistiche in vocale e in LIS ha infine mostrato che la modalità comunicativa
visivo-gestuale sembra costituire una buona potenzialità per promuovere gli
apprendimenti linguistici, sia in comprensione che in produzione, in tutti i
bambini (anche in quelli con genitori udenti). Tutti i bambini osservati
mostravano capacità cognitive nella norma. Relativamente a questo aspetto, sono
stati inoltre condotti numerosi studi sul rapporto fra livello cognitivo e
acquisizione della Lingua dei Segni. Le ricerche, condotte in particolare su
bambini sordi esposti alla Lingua dei segni americana (ASL), hanno evidenziato
che l'uso di una forma di comunicazione visivo-gestuale, fin dai primi anni di vita,
può contribuire al potenziamento di alcune abilità di discriminazione e recezione
di messaggi e stimoli visivi, con un conseguente vantaggio nello sviluppo
cognitivo.
Per verificare e ampliare i risultati di questi studi, a partire dal 1992 a tutt'oggi è in
corso un’esperienza pilota di insegnamento della LIS come seconda lingua a
bambini udenti delle classi elementari della scuola elementare del 3° Circolo
didattico - Istituto Edoardo De Filippo di Villanova di Guidonia (Roma). Questa
esperienza è coordinata, per il CNR, da Olga Capirci. L'esperienza di
insegnamento della LIS a bambini udenti è stata da noi condotta seguendo due
obiettivi principali:
a) stimolare la modalità di espressione visivo-gestuale nella popolazione udente
nei primi anni di scuola, al fine di potenziare alcune aree cognitive come
l'attenzione, la discriminazione e la memoria visiva;
b) offrire l'opportunità a bambini udenti così piccoli di imparare la LIS, al fine di
promuovere un migliore scambio comunicativo ed un processo integrativo fra la
comunità sorda e quella udente.
I risultati mostrano chiaramente che sussiste un rapporto diretto fra la frequenza al
corso di LIS e le capacità di risoluzione di un compito cognitivo, che richiede un
alto grado di attenzione visiva. Già al termine del primo anno scolastico, i
bambini che hanno frequentato il corso di LIS mostravano un evidente vantaggio
nelle abilità di attenzione e di discriminazioni visiva rispetto a gruppi di controllo
di bambini, che non hanno frequentato il corso.”124
L’influenza sociale del bilinguismo precoce sulla lingua, la famiglia, il
gruppo dei pari e la scuola, deve essere positiva e concreta per un bambino sordo
perché possa imparare ad ascoltare con forte motivazione. Anche il bilinguismo
precoce ha bisogno di una produzione continuativa nell’interazione sociale, come
oggi si è per lo più concordi nell'indicare come positivi gli effetti di tale stato
psicologico sullo sviluppo dell'intelligenza, della capacità linguistica e della
personalità dei soggetti bilingui.
L'espressione "bilinguismo" è utilizzata per riferirsi a numerosissime situazioni di
padronanza della lingua materna e di una lingua seconda o straniera, molto
diverse da loro, a seconda dei fenomeni psico-sociolinguistici implicati.
Vediamo il seguente paragrafo, con brevi cenni di esperienze di bilinguismo in
alcune scuole dell’infanzia presenti in Italia, che dimostrano i modelli scolastici
ed educativi per bambini sordi e udenti. 124 http://www.istc.cnr.it/about/storiaRM3.pdf
2.2 Esperienze di bilinguismo in alcune Scuole dell’Infanzia pubbliche e
private presenti in Italia
Grazie alla ricerca scientifica e linguistica svolta dall’Istituto di Scienze e
Tecnologie della Cognizione ( ex Istituto di Psicologia) del CNR e anche alla
Legge 104/92 il numero di educatori sordi si è ampliato ed è aumentato anche il
numero di progetti di bilinguismo in diverse città. Le esperienze di bilinguismo in
classe avvengono nelle scuole materne ed elementari in cui sono inseriti uno o più
bambini sordi, con la presenza dell’educatore, o dell’assistente o dell’interprete, e
con la collaborazione di insegnanti curricolari e di sostegno. Sono esperienze di
bilinguismo quelle in cui è possibile usare la LIS come comunicazione primaria
del bambino sordo per acquisire spontaneamente la propria lingua (LIS) e
formarsi una cultura grazie alla collaborazione della famiglia, della scuola e delle
unità sanitaria e sociale.
Un Progetto di Educazione Bilingue viene attivato ovviamente in seguito a
una richiesta di tre categorie di persone: famiglia, operatori sanitari o insegnanti
del bambino sordo. La scelta del Progetto avviene nel momento in cui si scopre
che il bambino si sente a disagio e incontra difficoltà di inserimento al momento
dell’entrata a scuola; tale situazione porta ad interrogarsi sul futuro scolastico del
bambino sordo. In questo caso il sistema scolastico italiano dà risposte limitate e
inadatte al percorso di apprendimento del bambino sordo e, nello stesso tempo,
alla ricerca di didattiche alternative e innovative. La famiglia ha la possibilità di
richiedere l’intervento di Educazione Bilingue se, ad esempio, si accorge che non
è in grado né di comunicare né di comprendere il proprio bambino. Può capitare
che gli operatori sanitari o gli insegnanti della scuola si accorgano di non riuscire
a svolgere al meglio il loro lavoro, nonostante la massima qualità del personale di
sostegno assegnato al bambino sordo. Questo può succedere dopo anni di
rieducazione orale che ha ottenuto scarsi risultati e in cui l’uso della lingua dei
segni è stato visto come ruota di scorta.
A questo punto può essere richiesto un Progetto di intervento o una
semplice fornitura di servizio. Il Progetto di intervento, di solito, viene presentato
dopo anni di rieducazione orale oppure può avere inizio l’intervento che è stato
formulato in precedenza. Il progetto deve essere collegato alla situazione
familiare, scolastica ed extrascolastica perché il bambino sordo vive
quotidianamente con la famiglia, frequenta la scuola e ha il diritto di apprendere
come tutti i bambini e socializzare con gli altri. Se i genitori, il bambino sordo, gli
insegnanti e gli operatori sanitari non conoscono la Lingua dei segni, il Docente
LIS svolge il suo lavoro di organizzare i corsi e insegnare la Lingua dei segni con
lo scopo di costruire un’accessibile rete di comunicazione tra il mondo e il
bambino sordo.
Ben sappiamo che i segni in ambito scolastico non coprono l’intero orario svolto
dal bambino, il quale però ha bisogno di avere una comunicazione totale in ogni
momento per aumentare le sue conoscenze tramite il canale visivo-gestuale.
L’interprete scolastico, gli assistenti alla comunicazione e gli educatori che
attuano il percorso educativo con metodologie didattiche specifiche e mirate alle
caratteristiche del bambino sordo incontrano però difficoltà comunicative che non
nascono soltanto dalla scuola ma anche all’interno della famiglia. Quindi sarebbe
necessario fare un intervento familiare che faccia entrare all’interno della
relazione la lingua dei segni, tramite la figura dell’educatore domiciliare che può
instaurare con il bambino sordo un rapporto particolare in breve tempo perché il
bambino sordo si identifica nell’educatore e può nutrire per lui un affetto molto
profondo; l’obiettivo dell’educatore però dovrebbe essere quello di lasciare una
modalità comunicativa soddisfacente per la famiglia e il bambino sordo, cioè la
lingua dei segni.
Diciamo che la lingua dei segni è il punto fondamentale non per il Progetto
di Educazione Bilingue ma come caratteristica essenziale di una nuova mentalità,
di un approccio diverso al bambino sordo. Ripetiamo che l’educazione bilingue
mira a far acquisire la Lingua dei Segni Italiana e la Lingua Italiana; la LIS è la
lingua naturale dei sordi come dimostra convinta la comunità scientifica
affermando che la Lingua dei Segni è un completo linguaggio, con una
grammatica interna e con la capacità di esprimere qualunque cosa possa essere
espressa verbalmente.
La Lingua dei Segni è importante perché consente al bambino sordo di possedere
un codice comunicativo immediato ed efficace. Il problema è che il 95% dei
bambini sordi sono nati da famiglie udenti che non conoscono la LIS e
normalmente sono preoccupate a non sentire mai la voce del proprio figlio.
Infatti, per la famiglia può essere più gratificante avere un figlio che riesca a
pronunciare stentatamente qualche parola piuttosto di un fanciullo che si esprime
compiutamente con i segni, ma questo atteggiamento potrebbe condurre il
bambino sordo a rimanere senza un proprio linguaggio nativo.
L'acquisizione e l'apprendimento dell'italiano segue invece un percorso molto più
difficoltoso e le persone sorde leggono (vedono) le parole decifrando i movimenti
delle labbra. Essi “ascoltano” unicamente con l’occhio ed imparano la struttura
della lingua verbale attraverso il senso della vista e non dell’udito. Imparano così,
attraverso la vista, una lingua organizzata prima di tutto per essere percepita e
prodotta sul canale acustico-vocale. Ovviamente il bambino sordo non è esposto
alla lingua orale se non attraverso la lettura labiale, quindi di norma, non può
acquisire l’italiano perché la lingua italiana è una lingua complessa, con molte
regole e altrettante eccezioni, mentre il bambino udente le apprende
spontaneamente, aiutato anche dal feed-back acustico.
Ricordiamo che la sordità non e' un impedimento all'acquisizione dell'italiano o
di qualunque altra lingua con cui e' possibile entrare in contatto. La logopedia ha
il compito di seguire il percorso educativo-riabilitativo per il bambino sordo.
Dapprima viene determinato l'eventuale residuo uditivo del bambino sordo per
valutare l'opportunità di innestare delle protesi tradizionali o un impianto cocleare.
L'impianto cocleare è posizionato mediante un intervento chirurgico ed è un
mezzo in grado di sostituire gli elementi danneggiati del sistema uditivo (cellule
ciliate della coclea) tramite la loro stimolazione.
A fine ‘800 nelle scuole Materne degli Istituti per i Sordi erano accolti solo
bambini sordi che avessero particolari capacità e potessero in seguito distinguersi
nei risultati riabilitativi.
Dieci anni fa, gli Istituti cominciarono a chiudere le loro attività perché la
situazione scolastica e il processo d’integrazione si erano evoluti e i genitori
preferirono mandare i propri figli nelle scuole più aperte e integrate alla vita
sociale e soprattutto più vicine a casa.
Qualche anno fa le scuole speciali per sordi cominciarono a riaprire le
porte, accogliendo però anche i bambini udenti della zona, come quella
dell’Istituto dei Sordi di Torino che ha da sempre ospitato nella sua sede scuole
speciali per bambini e ragazzi sordi. “Dall’anno scolastico 1999-2000 si realizza
un progetto di bilinguismo “Le parole che si muovono”. Il progetto prevede la
creazione di classi di scuola comune, leggermente ridotte nel numero complessivo
di alunni, in cui, accanto a circa 15 studenti udenti, vengono inseriti alunni sordi
in gruppi da due fino a cinque. Inoltre le classi coinvolte nel progetto assumono la
lingua dei segni come strumento privilegiato di comunicazione e di integrazione e
pertanto tutti gli alunni frequentano un laboratorio LIS di un’ora alla settimana,
incluso nel normale orario scolastico e condotto da un docente sordo”125
Anche la scuola dell’Infanzia dell’ISISS di Via Nomentana di Roma è una scuola
speciale per gli alunni sordi, dall’anno scolastico 2000-2001 realizza con successo
un’integrazione fra bambini sordi e bambini udenti provenienti in prevalenza dalla
zona Nomentana e l’esperienza di bilinguismo ha proseguito nella Scuola
Primaria, scuola media “S.Fabriani” e IPSIA “Magarotto”. Nelle scuole che
utilizzano le didattiche specializzate e mirate alle difficoltà individuali ed alle
potenzialità degli alunni sordi e udenti, le attività didattiche vengono svolte con
l’utilizzo di tecnologie e l’uso del bilinguismo (LIS-Italiano) .
Gli insegnanti di scuola dell’infanzia dell’ISISS di Roma hanno proposto
un’esperienza di integrazione creando un progetto di Laboratorio Teatrale con lo
scopo di valorizzare le competenze comunicative di entrambi gruppi (bambini
sordi e udenti) e offrire l’opportunità di usufruire di “contesti” e spazi operativi
diversificati per mettere in risalto le potenzialità-capacità dei singoli. E’ stato un
particolare percorso di integrazione di bambini udenti nelle sezioni di scuola
dell’infanzia prima e nella scuola primaria poi che ha cercato nel tempo di:
125 Bagnara C., Fontana S., Tomasuolo E. e Zuccalà A., I segni raccontano. La lingua dei Segni Italiana tra esperienze, strumenti e metodologie, Atti del 3° Convegno Nazionale sulla Lingua dei Segni, Verona 9-11 marzo 2007, Franco Angeli, 2009, (pag.216-220).
• “creare occasioni di intenso scambio comunicativo tra bambini sordi ed
udenti e tra bambini ed adulti sordi, ciò al fine di favorire uno sviluppo
comunicativo e linguistico;
• promuovere una prima educazione bilingue (LIS e lingua vocale)
• stimolare l’uso di queste competenze in relazione all’interlocutore;
• sollecitare una prima capacità di riflessione metalinguistica sulle strutture
che caratterizzano due codici”
Tutto questo è stato rivoluzionario: ha tracciato la strada di una reale integrazione
ed ha creato le condizioni perché la “diversità” sia percepita come naturale, anzi
come occasione per tutti di arricchimento in un contesto che permetta
quotidianamente di rivalutare le potenzialità di ognuno. C’erano due insegnanti:
l’insegnante udente per la lingua italiana e l’operatore esperto sordo per la LIS. I
bambini hanno così l’opportunità di vedere due adulti alla pari. Lo sperimentare
questo continuo passaggio da lingua a lingua a seconda dell’insegnante rende
“naturale la diversità” e si arriva a capire e valorizzare di contro i propri coetanei
sordi. Il condividere una lingua evidenzia in modo chiaro per tutti che l’handicap
si può superare “volendo”. Da tempo abbiamo verificato che grazie all’uso della
LIS i bambini sordi e udenti via via costituiscono “un gruppo unitario che
comunica “ attraverso un codice condiviso, una lingua che, sfruttando un canale
visivo-gestuale, accessibile a tutti, INTEGRA.” 126
In Italia vi sono pochissime scuole ordinarie che sono bilingue: l’obiettivo
della scuola bilingue è quello di “integrare i bambini sordi nella scuola
“comune”, formando un gruppo di bambini sordi (vi è la necessità che i sordi
stiano con altri sordi) che acquisiscono la LIS come lingua naturale insieme a
bambini udenti che impiegano la LIS come seconda lingua (lingua straniera) il più
precocemente possibile (cioè partendo dalla scuola dell’infanzia) con l’apporto di
operatori esperti in LIS”127. In passato si riteneva che avere nella stessa classe più
bambini sordi sarebbe stato controproducente e avrebbe impedito una reale 126 Bagnara C., Fontana S., Tomasuolo E. e Zuccalà A., I segni raccontano. La lingua dei Segni Italiana tra esperienze, strumenti e metodologie, Atti del 3° Convegno Nazionale sulla Lingua dei Segni, Verona 9-11 marzo 2007, Franco Angeli, 2009 127 Teruggi L. A., Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003
integrazione del bambino sordo nel mondo degli udenti. Ma questa auspicata
integrazione del bambino sordo con il mondo udente rischia di trasformarsi invece
in una “ghettizzazione” del bambino sordo, del suo Insegnante di Sostegno e
dell’Assistente alla Comunicazione che si trovano isolati rispetto alla classe. Tali
considerazioni trascurano completamente le esperienze condotte, e quelle ancora
in corso, in diverse città italiane di classi “speciali” di bambini sordi in scuole
ordinarie.
Nella scuola comune di Cossato provincia di Biella, ad esempio, i singoli bambini
sordi sono inseriti in classi di udenti. Partendo da questi presupposti
l’orientamento bilingue ritiene opportuno che, all’interno delle classi formate da
alunni udenti, vi siano più bambini sordi che partecipano, grazie all’Assistente
alla Comunicazione o all’Interprete scolastico, a tutte le ore di lezioni. Inoltre è
evidente da queste esperienze di bilinguismo che i bambini udenti hanno una
grande opportunità nell’apprendimento di una lingua dei segni e l’acquisiscono
con molta più rapidità, e con minore sforzo, rispetto agli adulti.
Nella scuola bilingue si ritiene inoltre importante che l’acquisizione della
LIS, che solitamente avviene negli istituti speciali che, come precedentemente
detto, spesso sono anche dei convitti dove i bambini restano per tutta la settimana,
avvenga invece all’interno di un contesto scolastico ordinario: “è dunque
indispensabile che i bambini sordi frequentino insieme una scuola“normale” e
che sia evitata l’istituzionalizzazione”128. Altri due punti su cui la scuola bilingue
insiste molto sono la reale integrazione fra sordi e udenti -che può avvenire solo
all’interno di un contesto in cui le due lingue e le due culture siano paritarie - e
l’apprendimento didattico: “è indispensabile che i bambini sordi acquisiscano al
più presto la lingua italiana dei segni in un ambiente scolastico “normale” per
garantire il massimo dell’integrazione, ma anche il massimo dell’apprendimento
curriculare”129.
Bisogna però sottolineare che è molto difficile che un’esperienza di bilinguismo
128 Teruggi L. A., Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003. 129 Teruggi L. A., Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003.
italiano/LIS sia bilanciata: i bambini udenti sono sempre più numerosi dei
bambini sordi. Inoltre molti dei bambini sordi che accedono alle scuole bilingue,
arrivano con una competenza limitatissima sia nella lingua dei segni che
nell’italiano rispetto alla loro età cronologica; gli insegnanti segnanti sono senza
dubbio di meno rispetto agli insegnanti udenti che non comunicano con la lingua
dei segni. E’ però da tener presente che è molto difficile realizzare un’esperienza
didattica di bilinguismo totalmente bilanciata.
Si ritiene inoltre importante che i bambini sordi abbiano, per tutte le ore
scolastiche e per tutta la durata dell’iter scolastico, delle figure esperte in LIS, che
li accompagnino e li sostengano: “è indispensabile che i bambini sordi siano
supportati in modo continuativo da una figura veramente esperta in LIS per tutta
la scuola di base per garantire il massimo della continuità. E’ indispensabile
raggiungere tali obiettivi evitando sprechi di risorse umane ed organizzative, ed
eccessivi disagi per l’utenza”130.
I progetti di bilinguismo presenti nelle scuole italiane hanno stimolato le
figure professionali collegate alla comunità sorda nel voler realizzare la
sperimentazione bilingue in altre scuole dove si trovano bambini sordi. La
sperimentazione bilingue si basa sul principio di coesistenza nell’ambiente
scolastico di bambini e adulti sordi e udenti e delle due rispettive lingue (LIS e
Italiano) usate nei vari ambiti a seconda delle necessità comunicative. Un tempo
la possibilità di usare la LIS a scuola era limitata ad un gruppo non molto folto di
insegnanti curriculari e di sostegno, che a proprie spese aveva fatto il corso di LIS,
oppure aveva avuto un primo approccio con i corsi di alta qualificazione del
MIUR. Oggi la situazione è completamente cambiata perché da pochi anni si è
avuta un’ampia diffusione in tutto il territorio nazionale della figura dell’assistente
alla comunicazione.
Ad esempio: Il progetto “Bilinguismo per l’integrazione di alunni sordi e udenti
nella scuola comune” gestita dalla Fondazione Valmarana in collaborazione con la
sezione provinciale dell’ENS di Padova, l’ISISS Magarotto, il centro di Foniatria
130 Teruggi L. A., Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003.
Croatto, l’Istituto Comprensivo di Noventa Padovana e il Comune di Noventa
Padovana, si realizza un progetto di bilinguismo con lo scopo di offrire fin dalla
scuola dell’Infanzia alla scuola Primaria un percorso di integrazione per i bambini
sordi e udenti del territorio padovano. Anche il “Progetto Vivilis” nasce dalla
collaborazione tra l’Istituto Comprensivo Jacopo Barozzi di Milano, l’ENS di
Milano e la Provincia di Milano che ha la finalità di offrire un ambiente vera
integrazione per i bambini sordi del territorio milanese.
Questi due progetti sono creati dopo i grandi esemplari ed ispirazioni della scuola
di Cossato e di Roma. La finalità del progetto di bilinguismo è quella di integrare i
bambini sordi in una scuola ordinaria o “comune”, formando un gruppo di alunni
sordi che acquisiscono la LIS come Madrelingua e alunni udenti che imparano la
LIS come seconda lingua (lingua straniera) con l’aiuto degli insegnanti
curriculari, di sostegno, educatori e interpreti. E’ necessario che ci sia il lavoro
d’equipe, una convergenza di competenze professionali diverse, una sinergia di
risorse tra le diverse figure dove ogni figura ha un ruolo e ogni ruolo ha le sue
competenze. La necessità della costruzione di contesti collaborativi è strettamente
legata alla presenza, nella società attuale, di elementi quali la complessità dei
bisogni e delle risorse nonché la limitatezza e scarsità di queste ultime.
“Si possono trovare alcuni approfondimenti dei progetti di bilinguismo nelle
scuole italiane nella parte degli allegati dove sono riportate delle corrispondenze
con le Direzioni Didattiche delle scuole comuni”131
Il libro intitolato “Una scuola, due lingue. L’esperienza di bilinguismo
della scuola dell’Infanzia ed Elementare di Cossato” a cura di Lilia Andrea
Teruggi ha dato un forte contributo, presentandosi come una novità travolgente
nel mondo pedagogico. Perché molte figure professionali non riuscivano a
comprendere quali sono i migliori percorsi educativi per un bambino sordo. Un 131 Allegato d. Scuola Materna ed Elementare specializzata 173° Circolo Didattico presso l'ISISS (Istituto Statale di Istruzione Specializzata per Sordi) di Roma. Allegato e. Progetto di bilinguismo: "Lingua italiana - lingua italiana dei segni (Lis)" per l'integrazione dei bambini sordi presso la Direzione Didattica Statale di Cossato (Biella). Allegato f. Progetto di Bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e udenti nella scuola comune presso la Pia Fondazione Elenda Vendramin Calergi Valmarana di Noventa Padovana (Padova). Allegato g. “Progetto Vivilis” collaborazione interistituzionale: Istituto Comprensivo Jacopo Barozzi di Milano, Ente Nazionale Sordi di Milano e Provincia di Milano. Allegato h. Progetto per l’integrazione in gruppo di studenti sordi nella scuola ordinaria presso l’Istituto dei Sordi di Torino (Pianezza).
bellissimo convegno “Segni – parole: percorsi di bilinguismo. Esperienze
educative a confronto sul tema dell’integrazione di bambini sordi e udenti in
contesto bilingue: LIS e lingua italiana” tenuto a Biella Città Studi dal 28 al 30
novembre 2003, organizzato dalla Provincia di Biella e dall’AUSL di Biella che si
è potuto realizzare grazie ai contributi dei relatori, che hanno presentato le
relazioni e le esperienze lavorative svolte nelle scuole italiane con progetti di
bilinguismo, tutte molto interessanti, che erano suddivise in sessioni a seconda
degli argomenti (Linguistica, Educazione, Psicologia, Insegnamento, Bilinguismo,
Socializzazione, Identità, Riabilitazione educativa) e si basavano su studi,
ricerche, sperimentazioni ed esperienze. Oltre agli interventi, vi è stata una grande
esposizione di poster che rispecchiavano i diversi campi e le diverse esperienze
dell’educazione bilingue e della sordità. Nei giorni di convegno c’erano centinaia
di partecipanti che erano i genitori di figli sordi, gli insegnanti, gli operatori, gli
studenti ognuno dei quali ha avuto l’occasione di conoscere, confrontare e
scambiare le metodologie di insegnamento della lingua dei segni e della lingua
italiana. Negli anni precedenti gli insegnanti pensavano che avere nella classe più
bambini sordi sarebbe stato controproducente e avrebbe impedito una reale
“immersione” del bambino sordo nel mondo degli udenti. “In alcuni casi
l’auspicata “immersione” nel mondo degli udenti si trasformava in una sorta di
“ghettizzazione” del bambino sordo e del suo insegnante di sostegno che si
trovavano isolati rispetto alla classe. In molti casi gli insegnanti non avevano né
le esperienze, né la preparazione pedagogica per affrontare il difficile compito di
assicurare al bambino sordo un accesso completo ai contenuti del programma
scolastico e un reale inserimento nella classe “132
Di fronte a queste difficoltà e a numerosi fallimenti, alcune famiglie
cominciarono a muoversi per ottenere un accesso più completo ai contenuti offerti
dalla scuola, chiedendo la presenza in classe di un interprete, un assistente alla
comunicazione e un educatore sordo o udente segnante a casa e/o a scuola che
potessero offrirsi come un modello adulto di riferimento ai bambini sordi.
132. Teruggi L. A, Una scuola, due lingue. L'esperienza di bilinguismo della scuola dell'Infanzia ed Elementare di Cossato, Franco Angeli, Milano, 2003.
Tutte queste esperienze che si muovono in un’ottica di educazione bilingue
lasciano però il bambino sordo da solo con compagni udenti.
Il progetto di bilinguismo della scuola comune di Cossato (Biella) ha dato
una grande risposta concreta e molto bilanciata a queste diverse “filosofie
scolastiche”, offrendo ai bambini sordi un alto livello di scolarizzazione in un
contesto di integrazione con gli udenti.
2.3 Esperienza lavorativa: Educatore e Docente LIS Ero presente al convegno di cui sopra che mi è stato davvero utile ai fini di una crescita personale e professionale che era diventata un’esperienza concreta. Ho partecipato ai seminari ed ai workshop che erano molto interessanti e avevano dato un grande contributo al mio studio universitario. Ho potuto di conoscere e scambiare le informazioni con persone competenti dell’insegnamento della lingua dei segni e della lingua italiana nelle scuole dell’infanzia.
Aggiungo che la mia personale esperienza mi ha portato a pensare che meno la lingua italiana è utilizzata in un corso di lingua straniera meglio è: questo non vale solo per la LIS, ma per tutte le lingue straniere. Questo nella LIS è basilare in quanto la confusione apportata da due codici diversi è grande e influisce negativamente sull’acquisizione linguistica del bambino; non che nelle altre lingue l’interferenza non vi sia ma, le sperimentazioni concluse hanno portato alla luce il fatto che l’interferenza con la struttura dell’italiano è particolarmente sentita.
La mia grande opportunità di lavorare come educatrice e docente LIS in un
progetto di bilinguismo è svolta nell'anno scolastico 2007-2008 presso la scuola
dell'Infanzia "Il giardino" – Istituto Comprensivo n. 4 – Noventa che è stata sede,
come continuità dell’A.A precedente, di realizzazione di un progetto educativo di
bilinguismo Lis (Lingua dei Segni Italiana) e Lingua Italiana per l'integrazione
dei bambini sordi e udenti. Come ho già detto il progetto di bilinguismo
dell’Istituto Comprensivo “Santini” di Noventa Padovana rappresenta la terza
realtà in Italia, dopo Cossato (Biella) e Roma, che offre questo tipo di servizio per
l’educazione dei sordi.
L’Istituto G. Santini ha oggi accolto il progetto collaborando strettamente con
l’ENS, Ente Nazionale dei Sordi, la Fondazione Valmarana, il Comune di
Noventa Padovana, l’ISISS Magarotto, le provincie di Padova e di Venezia e il
Centro di Foniatria Croatto, la sua nascita, nell’anno scolastico 2006/07, e la sua
crescita impegnano la Scuola a garantirne la continuità principalmente per i
bambini e per dare loro costanza nella crescita e nella formazione.133
Il progetto educativo del bilinguismo Lis/Italiano consiste
nell’introduzione dell’esposizione linguistica alla Lis nel contesto educativo
quotidiano.
Alla luce di tutto ciò il progetto di bilinguismo di Noventa Padovana
assumeva una grande veste di sperimentazione innovativa sia nei presupposti
teorici che in quelli pratici. In linea coi principi peculiari dell’Educazione
Bilingue, ed in questo caso dell’integrazione dei bambini sordi e udenti nella
scuola comune, la Lis viene considerata ed esposta per i bambini sordi come L1
(prima lingua). A questo scopo sono affiancate alle insegnanti curricolari e di
sostegno due tipi di figure segnanti, ovvero figure che utilizzano ed espongono in
LIS: due Educatrici Sorde segnanti e una figura udente segnante, ovvero
educatrice/mediatrice segnante. Queste tre figure sono state presenti a scuola tutti
i giorni della settimana dalla mattina al pomeriggio, ovvero durante tutte le ore
scolastiche.
Noi, tre figure professionali, abbiamo seguito le attività di routine: calendario,
attività della mattina integrandoci insieme alle insegnanti di sezione, attività
pomeridiana racconto/ascolto di storie per contenuti della Storia di “Gigetto il
Folletto” e altri racconti scelti in sezione. Gli insegnanti curriculari e di sostegno
raccontano le storie in Lingua Italiana e la LIS viene interpretata dalla
mediatrice/educatrice segnante (udente). Per tutti gli altri giorni io e la mia collega
sorda abbiamo svolto le attività di laboratorio LIS, dividendoci in modo costante
per tutto l’anno tra i bambini sordi di 5 anni (inseriti in una sezione) e quelli di 4
(inseriti in un’altra sezione). Nello specifico ci siamo occupate di esporre i
bambini sordi e udenti alla Lis in due diversi modi: 133 www.fondazionevalmarana.it
• esposizione indiretta attraverso contatto interattivo nei momenti ludici e
quelli legati alle attività quotidiane della routine (attività di sezione);
• esposizione diretta attraverso laboratori linguistici tesi all’apprendimento
della Lis rivolti ai bambini sordi e udenti insieme (laboratori Lis). Ogni
gruppo d’età di bambini era esposto, durante questi laboratori, per 1 ora a
settimana.
Nell’obiettivo di sopperire ed evitare le possibili lacune, oltre ai laboratori
linguistici per bambini sordi e udenti insieme, abbiamo svolto laboratori di
potenziamento della Lis rivolti solo ai bambini sordi. Pertanto l’esposizione
diretta dei laboratori è stata integrata da questa attività specifica rivolta solo ai 5
bambini sordi presenti a scuola (nella giornata di mercoledì), gestita solo da me e
la mia collega sorda, con scopo di potenziamento linguistico, relativo alla Lis, e di
esposizione a un modello identificativo e culturale proprio degli adulti Sordi.
I laboratori linguistici dei bambini sordi e udenti insieme si sono svolti una volta
alla settimana, e per gruppi d’età distinti (4 anni e 5 anni), e per le sezioni
coinvolte nel progetto. In generale i laboratori linguistici hanno avuto durata di
un’ora per gruppo. Per quanto riguarda invece l’educatrice/mediatrice segnante è
stata presente anch’essa in modo costante suddividendo orari e giorni, a seconda
della tipologia delle attività, nelle due sezioni e nei laboratori, a seconda della
presenza dei bambini sordi e delle attività richieste dalle insegnanti.
Ricordiamo che, nel rispetto dell’ideologia sottostante l’Educazione
Bilingue, l’esposizione e l’apprendimento della lingua vocale (Italiana) nonché
l’abilità fono-articolatoria, invece, è stato compito specifico delle logopediste che
hanno collaborato con la scuola 3 giorni a settimana, nelle ore pomeridiane.
Riassumiamo un po’ il lavoro e gli obiettivi della figura professionale
dell’educatore e docente LIS.
L’educatore sordo ha il compito di stimolare, sviluppare, gestire,
comprendere e insegnare al bambino sordo, alla famiglia e agli insegnanti che la
LIS è una lingua visiva, che sfrutta il canale visivo-gestuale, usata nella comunità
sorda dove risiedono in storia, la cultura, le strategie comunicative della persona
sorda; deve inoltre spiegare cos’è la sordità perché ogni persona sorda ha il suo
grado di sordità che indica la sua strada a come deve essere educato. Il lavoro e gli
obiettivi sottostanti l’esposizione alle due lingue sono stati collegati e per alcuni
momenti strutturati insieme. Nello specifico l’educatore Sordo ha avuto il compito
di esposizione alla Lis, e le logopediste e le insegnanti di sezione alla lingua
Italiana: in particolare logopedista/lingua parlata ed insegnanti/lingua scritta,
attraverso strategie didattiche visive, nonché materiale specifico e organizzazione
spaziale dell’ambiente quotidiano rivolto all’apprendimento attraverso il canale
visivo non deficitario dei bambini sordi. Ruolo specifico delle Educatrici Sorde è
stato anche quello di fornire i bambini sordi di un modello identificativo di
persona adulta Sorda, pertanto i momenti di interazione, ludica e non, hanno
assunto, oltre al modello linguistico, anche questa funzione identificativa tra
bambino sordo e adulto Sordo, che raramente i sordi figli di genitori udenti hanno
modo di incontrare.
Si ritiene che sia importante imparare a parlare, ma attenti a non dimenticare altri
punti fondamentali: l’accettazione del deficit, la costruzione di una propria
identità e la capacità di mettersi in relazione profonda con gli altri.
Per costruire la propria identità e diventare adulto il bambino ha bisogno di
modelli di riferimento; spesso invece un bambino sordo che nasce in una famiglia
di udente, spesso non frequenta altri sordi temendo una battuta d’arresto
nell’apprendimento dell’italiano, oppure, non volendo mettere in evidenza il
deficit del figlio, confondendolo in un gruppo di persone che tra loro segnano.
Molte famiglie hanno avuto il coraggio di superare i pregiudizi, hanno compreso
l’importanza che il figlio frequenti anche la comunità dei sordi, in modo da poter
avere momenti di scambio e di confronto con coetanei e adulti senza che ci sia
sempre di mezzo la lettura labiale, ma in modo rilassato, non faticoso, chiaro e
veloce come avviene con la lingua dei segni. Questa possibilità di confrontarsi sia
con gli udenti che con i sordi consente al bambino sordo di prendere la
consapevolezza del proprio deficit e dei suoi limiti, ma anche di vedere che la
sordità non rappresenta un ostacolo alla realizzazione di se stessi, nel trovare un
buon lavoro, avere affetti profondi e buone relazioni sociali; le figure sorde adulte
diventano in questo modo un punto di riferimento nel processo di maturazione.
Il docente LIS ha il compito di insegnare la LIS ai bambini sordi come
lingua madre, alle famiglie come seconda lingua e ai bambini udenti ed agli
insegnanti come lingua straniera. La figura, il ruolo, del docente LIS è un profilo
professionale che ha competenze nella crescita e nell’educazione del bambino
sordo. La competenza professionale si deve acquisire attraverso la formazione sui
metodi di insegnamento di una lingua, che sia non solo la conoscenza generale
della grammatica ma anche di tutti quei contenuti e di quelle modalità che dovrà
trasmettere ai bambini. Un insegnante specializzato, nel rispetto della
polifunzionalità, inserirà l’insegnamento della Seconda Lingua (Lingua Italiana)
all’interno del dialogo pedagogico, senza forzature, evitando ogni pericolo di
secondarizzazione, ma operando una corretta mediazione tra aspetto tecnico,
relazionale e didattico; tutto questo sarà possibile grazie alle tecniche di
glottodidattica e al materiale didattico impiegato durante l’insegnamento. I corsi
di formazione e di aggiornamento per gli insegnanti sono necessari per essere
sempre aggiornati e poter valutare il proprio lavoro alla luce di una competenza
che deve spaziare dalla linguistica, alla metodologia e alla psicologia; che faccia
dell’educatore una sorta di “mago”, facilitatore, mediatore, supervisore, tutore che
sa ascoltare e comprendere, con la consapevolezza di poter influenzare un clima
positivo e favorevole all’apprendimento secondo un approccio pratico-ludico, di
tipo visuale-segnico.Una buona formazione alla professione del Docente Lis deve
essere in grado di operare su tre fonti: sapere, saper fare e saper essere.
OBIETTIVI SPECIFICI DEL MODELLO QUALITATIVO DI UN
INSEGNANTE LIS
• “SAPERE”:
1. conoscere: ampliare la conoscenza storica della lingua dei segni italiana, della
cultura dei Sordi, della didattica della lingua, degli aspetti professionali del
Docente Lis;
2. capire: elaborare i contenuti appresi specifici di ogni modulo.
• “SAPER FARE”:
1. sviluppare: incrementare le proprie abilità, e creare un proprio stile
d’insegnamento;
2. procedere: utilizzare e mettere in pratica ciò che si è appreso nella parte della
conoscenza(esperienza);
3. produrre: materiali di supporto alla propria didattica.
• “SAPER ESSERE”:
1. trasmettere: saper usare le proprie conoscenze, le proprie abilità il proprio stile
e le proprie produzioni;
2. scegliere: essere consapevole della gestione di sé e delle proprie competenze;
3. gestire/Orientare: avere competenza nella relazione, saper comprendere
l’andamento dell’apprendimento, saper gestire le dinamiche gruppali.
Il laboratorio LIS tenuto dai docenti sordi per una giusta conoscenza della lingua,
il potenziamento linguistico per i bambini sordi ed un’esposizione a un modello
identificativo e culturale proprio degli adulti Sordi, ed essere un modello di
esempio linguistico e sociale, riequilibrare a favore della LIS la presenza
prevalente di insegnanti e bambini udenti, parlanti in italiano; l’uso diretto della
lingua dei segni in contesti di laboratorio e in situazioni di comunicazione
spontanea fra pari: tutto questo ha proprio lo scopo del laboratorio LIS.
La programmazione dei Laboratori LIS è integrata nella programmazione
generale grazie alla collaborazione e alla disponibilità degli insegnanti, con la
condivisione di strategie metodologiche e l’elaborazione di progetti
interdisciplinari della Scuola d’Infanzia.
Il laboratorio LIS offre l’opportunità ai bambini di imparare dai docenti LIS che
insegnano e stimolano l’uso della lingua dei segni italiana: il classificatore,
l’espressione facciale non-manuale, movimento, orientamento, configurazione,
luogo, aspetti temporali, ecc. I bambini imparano ed esercitano le diverse attività
che portano allo sviluppo linguistico. Per imparare una lingua è necessario creare
delle attività per stimolare l’apprendimento costruttivo.
L’apprendimento costruttivo favorisce l’acquisizione e lo sviluppo del linguaggio,
per arrivare gradualmente ad una felice costruzione delle conoscenze da parte
dell’allievo, che vive questa esperienza come un apprendista guidato ed affiancato
da un adulto, che lo aiuta nella conquista dell’autonomia grazie all’azione
cooperativa e collaborativa; non si richiede quindi solo di assorbire le
informazioni, ma anche di saperle manipolare. E’ di conseguenza molto
importante il coinvolgimento delle insegnanti di sostegno e curriculari nelle
attività di laboratorio LIS.
Il laboratorio LIS, in cui ho partecipato rivolto a tutti i bambini che frequentano
due sezioni sperimentali e il suo scopo è quello di creare momenti ben definiti in
cui la comunicazione e l’attività didattica possano attuarsi esclusivamente
attraverso i segni.
Abbiamo creato due progetti di
laboratori LIS, uno è destinato
a gruppi misti di bambini, sordi
e udenti, della stessa età, e
l’altro per i bambini sordi
affinché possano potenziare la
LIS. Abbiamo ritenuto che, per
le attività didattiche e
linguistiche, fosse necessaria una separazione tra sordi e udenti, anche se si poteva
obiettare che questa scelta non rappresentasse una vera integrazione. Purtroppo ci
siamo accorti che i bambini sordi apprendono molto più velocemente rispetto agli
udenti la LIS e abbiamo trovato un percorso educativo adeguato con le attività
linguistiche in modo che i bambini
udenti potessero apprenderla totalmente.
Separando i bambini abbiamo pensato di
offrire un passaggio migliore alla lingua
dei segni senza inibizioni, rispettando le
diverse modalità di apprendimento.
I laboratori per gruppi misti e bambini
sordi sono gestite e preparati, dai docenti
sordi e sostenuti dagli insegnanti o educatrice udente segnante, per due volte alla
settimana e le attività di LIS si svolgono un’ora al giorno. Il laboratorio per gruppi
misti è un approccio alla lingua visiva tramite l’attività ludica, materiale visivo e
legato al contesto familiare (oggetti quotidiani e familiari con situazioni spontanee
come la colazione, il pranzo e la merenda, che fanno parte del loro vissuto),
trasferendoli nell’ambito della lingua dei segni si compongono dialoghi e si cura
la comunicazione avvicinando i bambini alla lingua dei segni e mettendoli in
contatto col mondo dei sordi. L’approccio alla lingua straniera avviene attraverso
attività educative e ludiche, stimolando l’apprendimento inconsapevole dei
bambini, che sono per natura portati all’utilizzo di nuovi codici comunicativi non
verbali ed espressivi.
Consentono di acquisire una lingua con maggiore facilità, favorisce l’integrazione
e la comunicazione la società in divenire.
Il laboratorio per bambini sordi: apprendimento della lingua madre attraverso il
gioco, il materiale visivo ( libri con fumetti senza parole e libri con illustrazioni e
frasi semplici) e le tecnologie didattiche (videocassette con immagini, dvd con
sottotitoli in lingua italiana e tradotta in LIS), si compongono dialoghi e
conversazioni spontanee in LIS, si stimolano la produzione di racconti in LIS agli
adulti e ai compagni e si formulano il lessico e le frasi usando appropriatamente
nomi, verbi, avverbi e aggettivi. Sapendo apprezzare la madrelingua come gioco
linguistico.
Le storielle in LIS sono raccontate con
le immagini che sono un supporto
importante per la realizzazione
dell’angolo della favola. Si
ascolteranno e si guarderanno delle
fiabe con l’obiettivo di riuscire a
suscitare nel bambino interesse e senso
di drammatizzazione. Ogni bambino si deve appropriare delle storie che ascolta e
imparare da esse, perché questo lo aiuterà ad affinare il linguaggio e ad imparare
ad associare il nome alla cosa giusta. Questo sarà possibile anche grazie ad un
teatrino, dove si possono riprodurre le favole ascoltate e far partecipare i bambini
in prima persona. La loro finalità è quella di sviluppare le competenze linguistiche
a livello recettivo e trasmissivo-produttivo su realtà e fantasia, appropriarsi e
sviluppare, nel bambino sordo, il bisogno e la capacità di usare la propria lingua
dei segni come Madre Lingua per creare un mondo proprio e sviluppare capacità
di pensiero per l’evoluzione degli aspetti psicologici (LIS, cultura sorda e identità
sorda).
Il docente LIS deve fare una serie di semplici domande riguardanti i personaggi
preferiti delle fiabe e favole, e chiedere ai bambini se conoscono persone vere o
eroi dei cartoni animati che guardano o leggono libri diversi dai nostri, può già
servire per seguire il filo “verde” che ci porta ad iniziare un percorso che possa
attirare il loro interesse e la loro curiosità. L’utilizzo di materiali e di immagini
sempre collegate al contesto porterà i bambini alla comprensione della realtà per
arrivare poi alla costruzione del racconto con le varie sequenze, al riconoscimento
dei personaggi della storia, alla capacità di immaginare e riassumere una storia.
Il Feedback è una strategia comunicativa importante per tutti i laboratori LIS e ha
lo scopo di incoraggiare i bambini a partecipare attivamente alla situazione di
comunicazione, capire se tutti seguono le discussioni, stimolare la capacità di
ascolto visivo. Per poter promuovere il feed-back è necessario conoscere i
componenti non manuali e le espressioni facciali che sono cenni/scuotimenti del
capo, i movimenti del naso, delle sopracciglia e della mandibola. Ci sono altre
strategie comunicative che le persone devono conoscere per poter comunicare con
i bambini sordi.
• Posizionarsi sempre di fronte;
• verificare che il luogo sia illuminato (mai mettersi contro luce);
• segnare o parlare in modo chiaro e semplice;
• smettere di segnare o parlare quando si è girati;
• toccare con sensibilità il braccio del bambino per chiamare;
• chi parla è consigliabile che tenga ferma la testa;
• il viso di chi parla o segna deve essere al livello degli occhi del bambino
sordo;
• non occorre gridare, parlare con un tono normale di voce e la velocità del
discorso di lingua parlata deve essere moderata;
• ci sono nomi di persona, di città o termini inconsueti, per cui la lettura labiale
è difficile; in alternativa si può scrivere la parola a stampatello oppure usare
l’alfabeto manuale (dattilologia) se è capace.
Noi tre siamo state insieme riferimento per gli aspetti e le strategie educative
generali rivolte all’apprendimento delle competenze, in questo caso di base
(scuola dell’infanzia) dei bambini sordi. Abbiamo dato molta attenzione
all’accessibilità di tutti i contenuti del programma svolto da tutti i bambini, scelto
dalle insegnanti, attraverso mediazione “qualitativa” e non “quantitativa” dei
contenuti didattici, con utilizzo di diverse strategie visive.
Un risultato da non trascurare è la realizzazione, attraverso il bilinguismo, di un
percorso d’integrazione a doppia valenza e sentire in un ambiente con una
comunicazione viva tra i bambini sordi e udenti e gli insegnanti sordi e udenti
presenti nel progetto.
Si è voluto creare una scuola dove il bilinguismo è diventato uno strumento per il
superamento delle barriere comunicative ponendosi come ponte fra i due mondi;
tutto questo nell’ottica del rispetto delle pari opportunità, per i bambini sordi e
udenti, di apprendimento e di acquisizione di conoscenze, abilità competenze in
rapporto all’autonomia, alla socializzazione e all’evoluzione cognitiva e
psicomotoria.
L’acquisizione della LIS per tutti, sordi e non, è uno degli obiettivi principali del
progetto di bilinguismo, che potrà essere appresi come linguaggio naturale o come
seconda lingua:
• bambino sordo: la LIS anche per il bambino protesizzato con successo,
diviene importante per garantire non solo i processi d’identità, ma una piena
comprensione e partecipazione alle attività sia dentro che fuori della scuola
con una maggiore capacità di confrontarsi e relazionarsi con gli altri.
• bambino udente: si avvicinerà ad una nuova lingua con una sua grammatica
ben precisa ampliando le proprie competenze comunicative, conoscerà una
nuova cultura, quella dei sordi, e imparerà ad apprezzare questa diversità
come risorsa e non come limite.
L’osservazione della classe sullo sviluppo di linguaggio dei bambini viene
svolta con verifiche di apprendimento della LIS attraverso alcune prove pensate e
strutturate a misura dei bambini e del programma svolto durante l’anno, ed i
maggiori risultati riscontrati, anche dalle osservazioni delle diverse figure che
hanno operato, riguardano le competenze comunicative e le strategie visive dei
bambini sordi, che sottoposti al doppio input linguistico, hanno acquisito le regole
e strategie di base della comunicazione in generale, segnata da un lato e parlata
dall’altro. Attraverso queste competenze hanno raggiunto quindi un livello
d’integrazione nell’ambiente scolastico, a seconda dei bambini, più o meno
buono. L’osservazione è formata in modo diretto e con le riprese video; i dati
sono raccolti attraverso l'uso di abilità percettive e cognitive dei bambini che li
stanno rilevando.
La sperimentazione è costituita da una conversazione gestita dallo
sperimentatore; il primo passo è cercare un gioco che piace al bambino per
potergli dare la possibilità di conversare tranquillamente, dato i bambini
esprimono le loro abilità cognitive attraverso l’attività.
Lo sviluppo cognitivo dei bambini diventa sempre più logico rispetto alle
attività che intraprende: quando un bambino inizia a giocare cerca identificare in
modo specifico per un certo tempo fino a quando ha raggiunto l’obiettivo
prefissato.
Il gioco, attività predominante della vita quotidiana di un bambino, assolve
notevoli funzioni nel corso dello sviluppo infantile; serve a provare e consolidare
le abilità mentali, ad apprendere funzioni e modelli sociali, a rappresentare vissuti
emotivi e stati mentali interni.
Ho scoperto che in tutte le culture umane i bambini trascorrono parte del
loro tempo giocando; addirittura nelle società più semplici, in cui i bambini sono
spinti ad una rapida assunzione di responsabilità di tipo adulto, le routine
quotidiane ed i compiti lavorativi sono da loro trasformate in attività di gioco.
La classe del laboratorio LIS per i bambini sordi è formata da 5 bambini:
ogni bambino ha il proprio sviluppo diverso dall’altro bambino. Scrivo in modo
generale di come i bambini acquisiscono le abilità cognitive. I 3 bambini hanno un
buon sviluppo di linguaggio e non hanno problemi ad esprimersi in LIS grazie al
fatto che i genitori sono sordi e comunicano quotidianamente nella lingua nativa.
Imparano a scrivere e leggere senza difficoltà a confronto di altri 2 bambini che
hanno la famiglia udente. Il bilinguismo si attua nella presentazione di due lingue;
i bambini imparano la LIS come L1 e la lingua italiana come L2. Ma un bambino
sordo ha difficoltà a leggere e scrivere perché a casa non si esercita con i genitori.
Questo accade ai 2 bambini che hanno la famiglia udente e non comunicano con
la LIS, anche se i genitori stanno frequentando da poco il corso di LIS. Dopo 4
anni senza aver avuto un orientamento linguistico, hanno perso una piccola parte
importante dello sviluppo del linguaggio. Per fortuna sono entrati nella scuola
d’infanzia “Il Giardino” dove ci sono insegnanti che hanno un buon talento e
sanno come fare loro recuperare il grado di abilità cognitive. Mi ricordo che un
bambino è stato inserito nel mese di settembre, non sapeva come esprimere con i
gesti. Dopo un mese il suo linguaggio si è attivato e ha cominciato a sentire
“fame” di conoscere tutte le cose che vedeva nel mondo esterno.
Al termine dell’anno accademico, l’osservazione e lo studio dei bambini
sordi durante le attività laboratoriali mi hanno permesso di ricavare dati relativi al
loro sviluppo cognitivo e linguistico. Le prove di produzioni si sono notevolmente
arricchite; ai bambini è stato richiesto: di produrre segni-nome, nominare in
dattilologia alcuni oggetti presenti, produrre i numeri da 1 a 10, produrre i segni
corrispondenti ai giorni della settimana e ai mesi, rispondere a domande su una
storia narrata dall’insegnante in LIS, o drammatizzarla; rappresentare
spazialmente alcune figure di frutta, verdure, degli animali e le abitudini
alimentari (colazione, pranzo e merenda); narrare spontaneamente in sequenze la
storia illustrata narrata dall’insegnante in LIS.
Nelle prove di comprensione, i bambini, al termine dell’anno accademico, hanno
raggiunto ottimi risultati di risposte esatte, anche se sono state riscontrate qualche
difficoltà solo nella parte azione-verbo detta dall’insegnante in LIS.
3 CAPITOLO
Ritengo di aver raggiunto il mio obiettivo consistente nel conoscere e capire i
progetti di bilinguismo per bambini sordi e bambini udenti in età prescolare
nell’intraprendere questo percorso formativo (corso di laurea e corsi di
formazione nel settore educativo, psicologico, filosofico, sociale e linguistico) e
che l'esperienza in questione sia stata molto stimolante e arricchente nell'ambito
della formazione, anche per le dinamiche nuove e particolari dei gruppi vari corsi
di formazione, workshop e seminari per insegnanti, educatori, coordinatori e
pedagogisti. Ho raccolto i punti di vista, i pensieri, le proposte, tra di loro anche
molto diverse, che mi venivano dai vari professori, le esperienze di ognuno di
loro, nonché le attività di riflessione e confronto sulle strategie di comunicazione
in aula e di coinvolgimento degli studenti. E tutto ciò ha contribuito
significativamente alla costruzione di me stessa, dal punto di vista professionale e
della mia crescita personale.Il mio percorso all’Università non è stato privo di
problemi. Ci sono state difficoltà di comunicazione con i docenti, non enormi e
insuperabili fortunatamente; questo perché la cultura, la lingua, il modo di pensare
di una persona sorda inserita in un ambiente udente come quello dell’Università è
un po’ diverso da altri contesti. Ma le difficoltà non ci sono state solo con i
docenti ma anche con gli altri studenti: difficoltà di comunicazione, di interazione,
soprattutto quando si trattava di fare lavori di gruppo per i seminari o i laboratori,
o quando bisognava elaborare progetti comuni per sostenere un esame. Non sono
mai state difficoltà molto grandi, e per fortuna sono sempre riuscita a superarle,
grazie anche al supporto ricevuto dal Servizio Disabili e dal Servizio di
Interpretariato di LIS che mi hanno dato la possibilità di proseguire nel mio
percorso e di raggiungere i miei obiettivi.
3Il mio obiettivo principale era quello di studiare gli argomenti del
“SAPER APPRENDERE”, cioè come riuscire a far studiare gli allievi, essendo
questo un problema fondamentale della pratica didattica ed educativa. Far studiare
le persone di età e condizione diversa. Nel linguaggio quotidiano, dentro e fuori
dall’ambiente scolastico, con la parola “studio” si fa riferimento a una serie di
attività connesse all’apprendimento di contenuti o abilità specifiche. A scuola gli
allievi imparano nozioni e al contempo imparano a studiare. Contrariamente
all’apprendimento che, in molti casi, può essere naturale, studiare non è un’attività
naturale. Ciò significa che si deve apprendere come farlo. Come accade per le
altre discipline, per esempio la matematica, per saper scrivere, bisogna anche
saper studiare e spesso risulta difficile per molti studenti. L’insegnamento della
LIS in classe, ad esempio, va svolto come un’attività naturale e non va appreso
solamente allo scopo di comunicare con i sordi: non bisogna dimenticare che è
anche una lingua piena di risorse con le caratteristiche proprie della minoranza
linguistica. Le persone sorde non si considerano disabili ma minoranza
linguistica: hanno una lingua, quindi non si può loro contestare alcun deficit nella
comunicazione. Non si considerano più disabili di chiunque si trovi a interagire
con chi parla una lingua differente. Come sostiene l’attivista Sordo inglese Paddy
Ladd: “Vogliamo essere riconosciuti nel nostro diritto a esistere come minoranza
linguistica. Etichettarci come disabili dimostra l’incapacità di comprendere che
non siamo per nulla disabili all’interno della nostra comunità”134.
In Italia in particolare, dove la LIS, la lingua italiana dei segni, non è riconosciuta,
e spesso viene considerata un semplice codice, un linguaggio. Riconoscere una
lingua significa rispettare la diversità di ognuno, e valorizzarla.
Non mi riferisco, tuttavia, solamente all’insegnamento della lingua dei segni, ma
anche all’apprendimento di altre discipline che vengono insegnate a scuola. Ė
importantissimo formulare un’attività particolare per i bambini e i ragazzi sordi
cosicché possano apprendere e costruire la loro personalità razionale, come dice
Giovanni Maria Bertin: “La personalità razionale accetta le contraddizioni
dell’esistenza, non per superarle o negarle nelle figure dell’alienazione, ma
impegnandosi a risolvere nel piano stesso concreto in cui esse insorgono, e cioè
nel piano di storia: strutturando l’individualità con gli elementi sociali e culturali
che le danno senso, peso, positività storica, e nutrendo l’oggettività con gli
elementi soggettivi che le assicurano vita e possibilità di rinnovamento…”135. 134 Paddy Ladd, Understanding Deaf Culture. In Search of Deafhoo, .Brithis Library, London, 2003. 135.Contini MG, Genovese A., L’impegno e il conflitto. Saggi di pedagogia problematici sta, La Nuova Italia, Venezia, 1997.
Gli allievi hanno il diritto, anzi il dovere, di apprendere e di ottimizzare le
diverse opportunità apprese durante il percorso scolastico, che li porteranno alla
scelta migliore nel mondo universitario e nel mercato di lavoro.
Ciò di cui ho scritto in precedenza non è altro che il frutto di quanto
appreso sui libri e durante le lezioni universitarie del corso di laurea specialistica.
Purtroppo, però, le nozioni studiate e apprese riguardavano un ambito generale e
non erano specificatamente relative al campo della sordità, in cui si studia una
lingua, la lingua dei segni, e una cultura diversa, che sfruttano un diverso metodo
di apprendimento rispetto a quello degli udenti, che possono lavorare su
qualunque tipo di deficit, compreso quello uditivo.
Il libro “Il laboratorio per imparare a imparare” di Franco Frabboni, è
stato molto importante perché mi ha fatto capire che l’idea di un laboratorio LIS
non può essere seguita e adottata indistintamente da tutte le scuole; mi ha aiutato
molto a capire quale sia il percorso giusto da seguire, quali gli obiettivi, le
motivazioni, le metodologie per potersi collegare al sistema scolastico italiano. A
cosa serve il laboratorio? Preso in sé e per sé può sembrare inutile se non è
correlato a uno specifico programma didattico; e questo l’ho compreso
pienamente grazie al testo che ho citato che mi ha chiarito tanti aspetti
consentendomi di procedere nel mio lavoro.
“Una scuola priva di laboratori difficilmente potrà vestire i panni dell’avvocato
difensore del soggetto disabile. Questo perché un vissuto totalizzante di classe
rischia di mettere la sordina agli allievi handicappati: li costringe al silenzio. Il
laboratorio ha il merito di dare via-libera nella scuola ad un’autentica
educazione alla multiculturalità. Il che avviene quando tra le sue pareti si tiene
intenzionalmente conto della presenza di un’utenza dalla pelle sempre più
variata, testimone di più etnie, di più culture, di più antropologie. Il laboratorio
contribuisce non poco all’ingresso nella scuola di una conoscenza/coscienza
multiculturale proprio perché accende disco-verde a più teorie dell’istruzione.
Fare indossare al laboratorio l’abito del “pluralismo” delle conoscenze
(attraverso la pratica di più teorie dell’istruzione) significa valorizzare gli stili
cognitivi degli allievi. Il che è possibile a partire da una metodologia
dell’apprendimento fondata su percorsi individualizzati. Questi raffinati
dispositivi hanno il pregio – infatti – rispettare e valorizzare nel come di ciascuna
bambina. Le diversità culturali chiedono il rispetto degli alfabeti antropologici
(razza, etnia, territorio, ecc.); le diversità cognitive chiedono il rispetto degli
alfabeti linguistici e logici dell’infanzia e dell’adolescenza, a partire dai loro
tempi, ritmi, registri linguistici, paradigmi logici e così via.”136
La necessità di creare questo laboratorio nasce dal bisogno di realizzare uno
spazio ed un momento di condivisione e collaborazione tra normalità e disabilità.
Infatti, il progetto mira proprio alla creazione di un rapporto di scambio e
collaborazione con tutte le sezioni della scuola dell’infanzia al fine di favorire
l’integrazione degli insegnanti, operatori sociali e compagni con bambini sordi di
3-6 anni all’interno di un laboratorio ludico-educativo.
L’esperienza ludica è capace di rispondere e soddisfare i bisogni autentici
dell’infanzia in particolar modo quelli che sembrano oggi maggiormente
mortificati e deprivati, nel senso che le “naturali” motivazioni alla comunicazione,
socializzazione, fare da sé, costruzione realizzano col gioco l’occasione vincente
per espandere ed esaltare le loro virtuali potenzialità formative.137
Il gioco, attività predominante della vita quotidiana di un bambino, assolve
notevoli funzioni nel corso dello sviluppo infantile; in effetti, serve a provare e
consolidare le abilità mentali, ad apprendere funzioni e modelli sociali, a
rappresentare vissuti emotivi e stati mentali interni.
Veramente ho scoperto che, in tutte le culture, i bambini trascorrono parte del loro
tempo giocando; addirittura nelle società più semplici, in cui i bambini sono spinti
ad una rapida assunzione di responsabilità di tipo adulto, le routine quotidiane ed i
compiti lavorativi sono da loro trasformate in attività di gioco.
L’osservazione e lo studio del gioco del bambino mi hanno permesso di ricavare
dati relativi al suo sviluppo cognitivo: a partire dagli studi di Piaget, in cui si è
dimostrata l’esistenza di una progressione evolutiva nel gioco del bambino da
136 Frabboni F., Il laboratorio per imparare a imparare, Tecnodid, Napoli, 2005 . 137 Frabboni F., Pinto Minerva, Manuale di Pedagogia generale, Laterza, Bari, 1999.
attività di tipo esplorativo fino al raggiungimento del gioco simbolico, che mi ha
dato la possibilità di riflettere sulle differenti capacità cognitive sottostanti e che
procede seguendo le stesse regole che governano le altre forme di sviluppo
mentale.
Credo che tutti i genitori e gli insegnanti di questo mondo debbano
ricordarsi sempre le tre famose domande di Franco Frabboni: “perché educare?”,
“quando educare?” e “dove educare?”.
Sono quesiti che bisogna sempre porsi quando si intraprende un qualsiasi
progetto, che ci aiutano a realizzare un buon progetto, che ci fanno capire a cosa
serve l’identità, la lingua e l’educazione per un bambino sordo. “Perché, quando e
dove educare in una società che sta cambiando a velocità siderale la sua pelle
socio-economica e antropologico-culturale?”138
La prima domanda (perché educare) porta a rispondere: per umanizzare la Persona
educata a difesa della singolarità e della mente plurale nella società del terzo
millennio che globalizza le economie di mercato perché la società è sempre più
disattenta alla Persona e ai suoi valori esistenziali. Questo traguardo è la
maturazione integrale del soggetto/persona nonché un obiettivo pedagogico che si
conquista dopo avere percorso un lungo viaggio nei paesaggi delle età
generazionali (l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, l’età adulta e l’età senile).
Questa nobile finalità educativa rischia oggi di essere travolta dall’avvento
dell’onda lunga della globalizzazione culturale, dei mass media e dei personal
media.
La seconda domanda (quando educare) ha l’obiettivo pedagogico di dare
un’educazione permanente in tutte le età generazionali. Per questo motivo tutte le
stagioni della vita dovranno godere di un’alfabetizzazione di lunga durata, capace
di una navigazione sicura lungo le rotte delle conoscenze e delle relazioni. Un
cittadino deve conoscere, esercitare ed acquisire una consapevolezza dei propri
diritti/doveri di cittadinanza, di eguaglianza, di giustizia, di cooperazione, di
solidarietà e di pace per maturare il senso della dignità e del rispetto di Persona. 138 F. Frabboni, F. Pinto Minerva (a cura di), La scuola dell’infanzia, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008, in Pedagogia più Didattica. Teorie e pratiche educative, n. 1, anno II, gennaio 2009, Erickson, Trento.
La terza domanda (dove educare) porta a dire alla Persona che il soggetto può
vivere e crescere nei differenti contesti educativi (istituzioni formali, non-formali
e informali). Il dove educare si gioca su due tavoli: l’intenzionalità educativa e la
casualità educativa. La prima è che le singole età della vita sappiano tenere
sempre aperte le porte sui luoghi dotati di vocazione formativa: a partire dalla
famiglia alla scuola. La casualità educativa è che le singole età della vita sappiano
tenere sempre aperte le porte sui paesaggi sociali, culturali e naturali della vita
quotidiana. La famiglia è il luogo privilegiato per garantire un guadagno
educativo alle esperienze affettive e morali accumulate dai figli nelle relazioni di
caseggiato e di vicinato. La scuola è il luogo privilegiato per garantire un
guadagno educativo alle esperienze cognitive e sociali accumulate dagli allievi in
famiglia e nell’ambiente di vita sociale. Gli altri luoghi sono un guadagno
educativo alle esperienze relazionali e creative accumulate dai bambini e dai
giovani nelle agenzie formative del Paese, del quartiere e della città: ludoteche,
biblioteche, paninoteche, museoteche, ecc.
Un progetto per una scuola dell’infanzia deve tenere conto dei tempi tipici del
bambino, deve avere delle solide motivazioni (perché ad esempio si sceglie un
progetto di bilinguismo?), deve pensare ai tempi e ai luoghi (anche geografici) in
cui si realizza. Deve ricordarsi che nella scuola non ci sono solo bambini, ma
anche i genitori, i docenti; hanno tutti età diverse ma tutti continuano, nella loro
vita di tutti i giorni, ad apprendere. Le tre domande quindi sono delle chiavi da
ripetersi continuamente, per ricordarsi di non dare mai per scontato il concetto di
educazione; ci aiutano a risolvere dei problemi per portarci verso l’autonomia e
l’esplicitazione delle potenzialità.
La scuola dell’infanzia si qualifica, dunque, come un ambiente di apprendimento
a forte valenza educativa e sociale, ricco di scambi, palestra di convivenza. Le
tradizionali finalità della scuola sono l’identità, l’autonomia, la competenza e si
aggiunge la nuova, quarta finalità: vivere prime forme di cittadinanza (gli
Orientamenti del 1991 – vivere la società, costruire il senso delle regole,
alimentare una relazione pedagogica con i genitori). La scuola dell’infanzia è
ormai, per la maggior parte, pienamente inserita in un progetto 3-6 anni di
formazione per tutti. E’ giusto che mantenga il suo approccio olistico, ecologico e
integrato. Significa considerare in termini unitari le dimensioni di sviluppo di ogni
bambino, favorire una prima “comprensione” della realtà fornendo i primi
strumenti e le prime competenze di lettura del mondo. Spetta ai docenti
organizzare questo ambiente, prestando attenzione alla cura degli spazi fisici,
all’equilibrio dei tempi, al valore pedagogico delle routine. Gli insegnanti,
educatori e operatori sociali devono avere la capacità di non essere intrusivi,
devono prendersi cura dei diversi bisogni dei bambini sordi e udenti, avere la
capacità relazionale e di attenzione, perché l’apprendimento nasce dalla capacità
di cogliere l’intreccio tra corporeità, esperienza, linguaggi. I traguardi per lo
sviluppo della competenza sono: campi di esperienza, traguardi di sviluppo,
ambiente di apprendimento e competenze. Ricordiamo che lo sviluppo non è un
elemento naturale ma una costruzione, un processo di formazione/autoformazione,
stimolato da un ambiente favorevole. Un traguardo è un elemento di
un’evoluzione rispetto al punto di partenza che nasce dallo scambio tra adulti,
bambini e ambiente in cui si stimolano attraverso la comunicazione. Tutte queste
possibilità sono fondamentali anche per il bambino sordo che può raggiungere i
traguardi di sviluppo come un bambino udente, se c’è una predisposizione
individuale per la comunicazione e per il linguaggio e una massima disponibilità
alla comunicazione nell’ambiente familiare, scolastico e sociale.
Il tirocinio e le mie esperienze di lavoro come Educatrice e Docente LIS si
sono svolte all’interno di diverse scuole dell’infanzia. In Italia ho lavorato con un
bambino sordo, di genitori udenti, con l’impianto cocleare, inserito in una scuola
normale, in classe con compagni udenti e senza nessun progetto particolare, ma
con la presenza dell’assistente alla comunicazione udente e segnante. Ho anche
lavorato in una scuola dell’Infanzia in cui era presente un progetto di bilinguismo.
Ho inoltre fatto un’esperienza di tirocinio in una scuola speciale per sordi,
“Kendall”, Gallaudet University di Washington DC negli Stati Uniti. Oltre a
questo, ho potuto visitare diverse scuole in giro per l’Europa: in Francia, in
Svezia, in Danimarca. Sono state occasioni in cui ho potuto vedere sistemi di
istruzione diversi, raccogliere materiali, intervistare docenti, capire cosa significa
una scuola bilingue e com’è organizzata. Queste si sono rivelate per me delle
importantissime esperienze di lavoro e di studio.
Lo studio e il lavoro mi hanno guidato a voler conoscere ed analizzare le
strategie per insegnare e apprendere le due lingue, LIS e Italiano; ho capito che lo
scopo dell’insegnamento della lingua dei segni è di poter rendere possibile il
raggiungimento di competenze linguistiche e insieme cognitive nella seconda
lingua ai bambini sordi e udenti. Nella programmazione del percorso didattico ho
individuato e seguito i seguenti principi metodologici: proporre la madre lingua
per mezzo di un insegnante nativo ( sordo o udente) che interagisca con i bambini
sordi esclusivamente in questa lingua e la seconda lingua per mezzo di un
insegnante nativo (sordo o udente) che interagisca con i bambini sordi
esclusivamente in questa lingua. E’ essenziale offrire ai bambini l’opportunità di
sperimentare la prima e la seconda lingua in contesti a loro familiari e partendo
da situazioni già note e di non tradurre mai esplicitamente da una lingua all’altra,
ma tendere a che il bambino usi le due lingue separatamente; lo scopo è quella di
favorire e stimolare in una prima fase soprattutto la comprensione, lasciando che
il bambino arrivi spontaneamente alla produzione.
Gli scopi principali dell’insegnamento della lingua dei segni ai bambini udenti
sono di promuovere un migliore scambio comunicativo ed un processo integrativo
fra la comunità sorda e quella udente ma anche stimolare la modalità di
espressione visivo-gestuale nella popolazione udente nei primi anni di scuola, al
fine di potenziare alcune aree cognitive come l’attenzione, la discriminazione e la
memoria visiva.
“Proposte per il miglioramento della situazione scolastica”139
Tra le misure a breve termine si ritiene necessario che le scuole che hanno inseriti
dei bambini sordi abbiano la possibilità di:
o Organizzare corsi di aggiornamento (ormai obbligatori per i docenti)
mediante corsi di LIS
o Organizzare corsi di LIS per gli udenti e corsi di approfondimento per i
sordi 139 www.ens.it
o Organizzare all’inizio dell’anno scolastico corsi di base, per il personale di
segreteria e i bidelli, sulle strategie comunicative da mettere in pratica con
le persone sorde
Si chiede che il Ministero dell’Istruzione raccomandi alle scuole con più bambini
sordi di inserirne più di uno nella stessa classe (quando il livello di preparazione
dei ragazzi sordi non è troppo disomogeneo), come del resto prevedeva l’art. 7
della legge 517 che recita: “Le classi che accolgono alunni portatori di handicap
sono costituite con un massimo di 20 alunni”. Resta inteso però che ogni alunno
abbia un docente di sostegno. Numerose esperienze, condotte soprattutto nelle
scuole dove a causa di forza maggiore sono stati messi anche tre/quattro sordi in
una stessa classe, hanno dimostrato che:
o c’è un minor isolamento da parte del ragazzo sordo.
o il monte-ore di sostegno aumenta e quindi si riesce non solo a coprire
tutte le ore di lezione, ma anche a creare ore pomeridiane di
approfondimento solo per i sordi.
L’interazione tra i bambini sordi e i bambini udenti stimola l’apprendimento della
lingua dei segni italiana. Come ormai sappiamo, stimolare la motivazione dei
bambini sordi è una delle parti più importanti del settore educativo. L’educazione
tradizionale spesso sfocia nel produrre specialisti ben pochi stimolati ad esprimere
liberamente le proprie conoscenze, interiorizzate pur partendo da cognizioni
reperibili in un determinato contesto integrato di sviluppo. Il sistema di
educazione tradizionale è privo di empatia per il conoscere, tale che corrisponda
di fatto alla volontà di cambiare le conoscenze in modo creativo anziché
semplicemente ripeterlo. Nella storia dell’educazione dei sordi, i bambini sordi
sono spesso stati oppressi e manipolati dagli “altri” che usavano solo il metodo
che si basa sull’oralismo senza cercare di conoscere le loro vere esigenze. La
lingua dei segni è un mezzo di comunicazione che può stimolare l’autostima dei
bambini sordi. E’ importante che l’educazione per i sordi sia più creativa e
flessibile, sfruttando diversi campi di esperienza. Nella maggior parte delle scuole
italiane, gli insegnanti, gli educatori, i genitori, ecc., sono preoccupati più su come
far apprendere al bambino sordo la lingua italiana che la lingua dei segni; con il
presente progetto si pensa di dar vita a diverse attività ricreative, artistiche,
teatrali, ecc., che possano stimolare i bambini ad acquisire, con maggiore
motivazione, le due lingue: l’italiano e la LIS.
La storia del nostro Paese, rispetto all’educazione dei sordi, è caratterizzata, a
differenza di quanto è avvenuto in altre nazioni, da una scelta rigidamente oralista
che per quasi un secolo (dal Convegno di Milano del 1880 ai primi anni Ottanta
del nostro secolo) ha condizionato i percorsi pedagogici e didattici. In nome di
questa scelta, la Lingua dei Segni, che sin dall’antichità era stata sempre utilizzata
dalle persone sorde per comunicare, viene lasciata fuori dall’educazione e dalla
scuola. In passato molte persone sorde rinunciavano a parlare in pubblico, durante
i convegni, le conferenze e i seminari a causa di difficoltà soggettive, come una
brutta voce o una lettura labiale lenta, e oggettive, come la lontananza
dall’interlocutore o la presenza di più interlocutori che si accavallano nella
conversazione: rinunciavano, pur avendo molte cose da dire e delegavano gli
udenti a parlare per loro. Essere bilingue per la persona sorda significa conoscere
sia la lingua dei segni che l’italiano parlato e scritto. E’ da sottolineare che per
imparare l’italiano (perché di apprendimento si tratta e non di acquisizione)
occorre una lunga terapia logopedia che può durare anche dieci/dodici anni,
mentre l’acquisizione dei segni avviene in modo naturale, spontaneo e veloce
perché, essendo una modalità comunicativa visivo gestuale, utilizza la vista che è
integra.
“Mentre c’è una cultura dell'integrazione, ci sono culture integrate, culture
meticciate, ed è questo che ci apre delle speranze, e ci rende capaci di proporre
ai nostri bambini un’identità plurale. La necessità era quella di consentire una
comunicazione. Tra chi? Tra sordi? Non solo. C'era la necessità di avere una
comunicazione tra sordi, ma anche una comunicazione tra culture diverse”140.
Comunicare è essenziale per vivere e affrontare i problemi quotidiani della vita
anche se ciò comporta molte difficoltà per la maggior parte dei sordi profondi o
totali. Molte persone sorde nel mondo si avvalgono del bilinguismo, sfruttando
non solo la lingua vocale, ma anche la lingua dei segni. Nasce così l’educazione 140 Canevaro A., La sordità e i diversi contesti: mai prigionieri di una sola cultura, www.cdila.it.
bilingue con lo scopo di insegnare al bambino sordo, perché possa costruire una
personalità tutta sua.
Il progetto di bilinguismo per l’integrazione dei bambini sordi e udenti nella
scuola comune offre la possibilità ai sordi (bambini, studenti, insegnanti, genitori,
anziani, ecc.) di conoscere e seguire quello che desiderano in modo da costruirsi
una propria personalità. Gli esseri umani esprimono principalmente bisogni di tipo
fisiologico, a cui fanno poi seguito, gradualmente, quelli relativi alla sicurezza,
all’affetto, alla socializzazione e alla realizzazione di una personalità propria.
Con la lingua l’uomo cataloga, pone in prospettiva oggetti, animali, popoli
rispetto a sé stesso; fisse nozioni sempre più complesse che hanno il loro supporto
nella precisazione e nella ricchezza del vocabolario plurilingue.
Le finalità della scuola derivano dalla visione del bambino come soggetto attivo,
impegnato in un processo di interazione con i pari, gli adulti, l’ambiente e la
cultura. Il progetto per l’integrazione di bambini sordi e udenti offre la possibilità
ai bambini e anche agli adulti (famiglia, insegnanti, ecc.), in un contesto
educativo, di vivere,condividere la propria identità culturale e storica nella
prospettiva di diventare un cittadino d’Europa e del Mondo. Si é ricorso per le
indagini ai fabbisogni, alla metodologia qualitativa attraverso questionari,
interviste, colloqui con le agenzie presenti sul territorio. La conoscenza e
l’apprendimento, da parte dei bambini e degli adulti, della lingua L1 e L2 potrà
favorire una loro futura integrazione e permanenza nelle attività socio -
economiche di questo territorio. La progettazione viene preannunciata dallo studio
teorico con la ricerca svolta nei corsi universitari di Bologna e di Gallaudet
University dove sono state rilevate le capacità di bilinguismo sia dei bambini e sia
dei ragazzi in ingresso nelle scuole dell’obbligo e non, la motivazione allo studio
di una o più lingue.
La grande ricchezza di quello che e' successo in questi 30 anni è proprio
che, le persone disabili, le loro famiglie e tutti i professionisti che avevano
sensibilità sono riusciti a fare maturare piano piano la nostra cultura sociale.
Sicuramente, al di là di quello che sta accadendo a livello nazionale, le regioni
hanno una grande ricchezza dal punto di vista di questa cultura; negli anni sono
cambiate le terminologie, dagli “invalidi”agli “handicappati”, ai “diversamente
abili”; oggi siamo sul “disabile”; ogni parola aveva la sua valenza e era utile alla
cultura di quel tempo, a fare capire di cosa parlavamo.
E' anche necessario allora fare chiarezza e sottolineare che il discrimine ultimo
sta fra gli aggettivi “sordo” e “sordomuto”, cioè fra la presenza o l'assenza di
competenza linguistica intesa in senso chomskiano, ovvero la capacità di
comprendere e produrre frasi mai incontrate prima. Credo che siamo tutti
consapevoli del fatto che il sordo profondo, l’unico vero sordo agli effetti
dell’apprendimento della lingua, può e riesce a raggiungere un’adeguata
competenza cognitiva e linguistica. Credo però che non sia ancora molto
conosciuto come ciò sia possibile. Tale conoscenza renderebbe molto più facile e
“naturale” la proposta di strategie compensative per gli apprendimenti e quindi
anche per gli apprendimenti scolastici. Il bambino sordo ha la possibilità di
compensare il deficit uditivo a livello organico, funzionale, cognitivo, e
ambientale in modo da acquisire un’adeguata competenza linguistica e cognitiva;
quando ciò accade significa che non ha avuto e non ha problemi perché
l’integrazione e la comunicazione sono alla base della lingua.
E’ importante compiere un allargamento degli orizzonti linguistici con uno
stimolo positivo all’apprendimento precoce di due lingue, per il quale i fattori
affettivi sono estremamente importanti disponendo già gli alunni ad affrontare
con serenità e curiosità l’apprendimento di due lingue nelle scuole.
L’approccio metodologico è comune tra gli insegnanti sordi e udenti della LIS e
la lingua italiana. Viene individuato un approccio funzionale comunicativo
comune e si ha una cura particolare dello sviluppo integrato delle abilità ricettive
visive e produttive segniche, orali e scritte: una metodologia comunicativa che
utilizza le espressioni linguistiche nella loro completezza, senza passare
attraverso la LIS (ascolto, produzione e completamento di dialoghi, questionari
drammatizzazioni ecc.) rende pressoché irrilevanti gli errori di grammatica, di
sintassi o di mancanza di significato.
Si ritiene obiettivo fondamentale l’educazione all’europeismo e alla mondialità
attraverso l’approfondimento degli aspetti più significativi dal punto di vista
socioculturali della società italiana. E ciò permette di imparare le diverse lingue
straniere.
In Italia i sordi hanno sempre usato questa lingua e già nel 1858 Giacomo
Carbonieri, un insegnante sordo, ne parla sottolineandone il valore e l’importanza
per la persona sorda. La lingua viene dalle persone, le comunità. Una lingua esiste
perché esiste una comunità che la usa. E il valore scientifico di una lingua dipende
dalla capacità che la comunità ha di trasmetterla alle generazioni successive.
Ritengo importante la distinzione tra “uso della lingua” e “insegnamento della
lingua”. L’uso della lingua assolve il bisogno primario di comunicare,
l’insegnamento della lingua prevede una ricerca su come si acquisisce o si
apprende una lingua, per poter trasmettere l’uso della lingua ad altri.
Questo bilinguismo, ha determinato un fenomeno “curioso”: fino all’inizio degli
anni ’80, per molti sordi italiani la lingua standard ha rappresentato una sorta di
L2 (Lingua Seconda), veicolata da elementi esterni all’ambito familiare e
affettivo. Il mancato riconoscimento di questo dato reale, motivato dallo scarso
prestigio della lingua dei segni, - spesso connotata negativamente e considerata
dannosa per l’apprendimento della seconda lingua - ha avuto come effetto
l’impoverimento linguistico e, per diverso tempo, ha determinato delle ricadute
sul piano del successo scolastico e quindi sullo status socio-economico di buona
parte della popolazione. Oggi, nella rapida trasformazione della nostra società in
paese d’accoglienza, il mancato riconoscimento della condizione di bilinguismo –
e di biculturalismo – degli alunni sordi nella scuola italiana conduce, in modo
analogo, ad alcune conseguenze negative, così riassumibili:
perdita delle competenze pregresse nel sistema di Lingua e Cultura
Materna;
scarse acquisizioni nell’ambito della L2 (lingua italiana);
classificazione degli eventi in campi separati (casa, scuola) scarsamente o
per nulla comunicanti, con conseguente scissione del vissuto
esperienziale;
connotazione sociale negativa della cultura d’origine;
costruzione di identità culturali separate e non comunicanti.
La via dell’educazione bilingue è ovviamente quella che consente una massima
valorizzazione della lingua e della cultura d’origine, infatti, permette al bambino
sordo di divenire bilingue attraverso l’acquisizione cosciente e sistematica di una
lingua di comunicazione più ampia, L2, necessaria per la comunicazione ed il
dialogo nella società maggioritaria. Contribuisce ad un apprendimento più
efficiente della lingua di prestigio, poiché l’acquisizione è basata
sull’apprendimento e sullo sviluppo precedentemente raggiungo in L1. Di
conseguenza è un supporto allo sviluppo dell’autoaffermazione personale e nella
formazione di un’immagine positiva di sé da parte della scuola, delle loro
manifestazioni culturali e linguistiche.
Allora, quali sono le strategie pedagogiche e didattiche minime che si
richiederebbero ad una scuola innovativa? Proviamo ad elencarle:
1) la necessità di conoscere in modo approfondito la situazione linguistica
degli alunni sordi;
2) la capacità di individuare i bisogni linguistici in L2, ma anche di rilevare e
riconoscere le competenze linguistiche della lingua madre;
3) la consapevolezza che la conoscenza della L1 è un arricchimento e una
chance e non un ostacolo all’apprendimento della L2;
4) la necessità di sostenere e rassicurare i genitori nell’uso della lingua
materna con i loro figli;
5) la visibilità delle lingue dei segni in classe, attraverso momenti di
narrazione, testi e libri bilingui, piccoli laboratori di LIS in L1 e scrittura
in L2;
6) l’orientamento degli studenti a mantenere e a sviluppare le loro
competenze orali scritte nella LIS e lingua italiana;
7) l’utilizzazione nella prima fase di inserimento dei bambini sordi anche di
testi e letture in bilingui, per sostenere il transfer delle competenze
acquisite;
8) l’attenzione alle materie di studio di ambito disciplinare non
esclusivamente linguistico deve essere uno dei punti essenziali di una
nuova offerta didattica, inteso raggiungimento di competenze linguistiche
e insieme cognitive.
L’obiettivo cardine su cui verte questo progetto è l’integrazione, la condivisione e
la collaborazione tra bambini con abilità, competenze ed esperienze diverse al fine
di favorire la scoperta dell’altro ma anche delle proprie risorse e limiti. Infatti, sia
per i bambini normodotati sia per quelli con disabilità, l’arricchimento è
reciproco, perché per i primi è un’occasione per poter vivere un’esperienza
ludico-creativa all’interno della scuola scoprendo la diversità della lingua ma
anche, allo stesso tempo, la somiglianza con l’altro e quindi la possibilità sia di
essere d’aiuto, sia di ricevere un aiuto scoprendo i propri limiti. Si predilige
l’attuazione di tale progetto all’interno delle scuole elementari, poiché diverse
ricerche hanno dimostrato che all’età di 6-7 anni i bambini hanno maggiore
flessibilità nell’apprendimento di una seconda lingua in quanto, come spiega V.
Volterra, sono più “vicini a quella equipotenzialità tra le due forme di
comunicazione (ndr. orale e gestuale)” che avviene nei primi due anni di vita. Si
riscontra, infatti, che in questa iniziale fase comunicativa il bambino predilige la
modalità gestuale. Sarà la continua interazione adulto-bambino a far prevalere la
comunicazione verbale su quella gestuale. Questo dato avvalora la tesi secondo
cui i bambini udenti imparano con piacere e facilmente la lingua dei segni e che la
stessa LIS potenzia e accresce le abilità cognitive di attenzione e di memoria
visiva.
La Pedagogia prevede una stretta collaborazione tra logopedisti, educatori e
famiglia, che insieme operano per un progetto comune, nella consapevolezza che
la riabilitazione non è un lavoro che si può imporre a un bambino, ma un
processo educativo che richiede forte adesione e carica motivazionale di tutti i
partecipanti.
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