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Alberto Viola EMPROVEMENT migliorare e mantenere le performance con ed attraverso il benessere dell’organizzazione

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Page 1: Alberto Viola - WE POWER · Nel capitolo 3 viene spiegato come definire in modo corretto una strategia di operational excellence, dove il mantra è: il miglioramento delle performance

Alberto Viola

EMPROVEMENT migliorare e mantenere le performance con ed

attraverso il benessere dell’organizzazione

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Dedicato a mio figlio Leonardo, che mi ricorda che si può migliorare sempre, tutti i giorni

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Indice

Introduzione. pag. 9

Capitolo 1. I principi alla base di un miglioramento che duri nel tempo

Quale miglioramento vogliamo? 13 - La performance: fattori abilitanti e fattori motivanti 15 - Le diverse facce del miglioramento 17 - Il ruolo del contesto nella motivazione 18 - Best practices 22 - Change Management 22- Il mindset per il miglioramento 23 - Riepilogo 24 - 3 domande per te 25

PARTE I: DEFINIRE LA STRATEGIA CON EMPROVEMENT

Capitolo 2. La visione dei processi e dell’organizzazione

Emprovement 29 - Un nuovo modello di riferimento 30 - L’importanza di essere consapevoli 33 - Aree di assessment 34 - Riepilogo 37 - 3 domande per te 38

Capitolo 3. La strategia secondo Emprovement

Definire una strategia di operational excellence e di sviluppo organizzativo 39 - Linee guida per l’operational excellence 40 - Linee guida per lo sviluppo e il benessere organizzativo 42 - Sviluppare la strategia 43 - La strategia per l’operational excellence 44 - La strategia per lo sviluppo e il benessere organizzativo 47 - Riepilogo 52 - 3 domande per te 53

Capitolo 4. Il piano di attuazione

Diversi punti di partenza, un solo punto fermo 55 - La cassetta degli attrezzi di Emprovement 57 - Cominciare bene ed essere a metà dell’opera 58 - Il miglioramento è una maratona 59 - Riepilogo 61 - 3 domande per te 61

PARTE II: METODI E STRUMENTI PER IL MIGLIORAMENTO DEI PROCESSI E DELL’ORGANIZZAZIONE

Capitolo 5. Best practices per il miglioramento dei processi

Il metodo scientifico alla base dell’eccellenza dei process 65 - Ridurre gli sprechi e definire gli standard con i principi e gli strumenti del modello lean 68 - Controllare la variabilità e governare i processi con gli strumenti del 6Sigma 73 - Riepilogo 76 - 3 domande per te 76

Capitolo 6. Best practices per il miglioramento e lo sviluppo organizzativo

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A caccia di “flow” 77 - Definire correttamente gli obiettivi 78 - Massima attenzione alle competenze “soft” 80 - Puntare sulle potenzialità delle persone 82 - Vedere anche il bicchiere mezzo pieno 84 - Il vantaggio del benessere organizzativo 88 - Riepilogo 90 - 3 domande per te 91

Capitolo 7. Best practices per gestire il miglioramento

Cuore e cervello 93 - Trovare le eccellenze 94 - Minimizzare la paura del cambiamento 95 - Migliorare a piccoli passi sì, ma rapidamente 96 - Costruire un ambiente favorevole al miglioramento 97 - Riepilogo 99 - 3 domande per te 99

PARTE III: COME REALIZZARE L’EMPROVEMENT

Cap. 8: Coinvolgere tutti

Tutti devono poter partecipare al miglioramento 103 - L’ evento di miglioramento 104 - Caratteristiche di un evento di miglioramento 104 - Le fasi di un evento 105 - Alcuni strumenti utili durante e dopo l’evento 108 - Riepilogo 111 - 3 domande per te 112

Cap. 9: Potenziare i capi intermedi

Il ruolo cruciale del capo intermedio 113 - Un problema comune dei capi intermedi 114 - Le competenze del capo intermedio 114 - Il percorso di sviluppo del capo intermedio 115 - Alcuni strumenti 117 - Riepilogo 122 - 3 domande per te 122

Cap. 10: Essere a servizio dell’organizzazione

La Servant & Positive leadership per la learning organization 123 - Caratteristiche della learning organization 124 - Da leader ad Emprover 125 - Riepilogo 128 - 3 domande per te 128

Conclusioni - Essere un Emprover 129

Appendice I: Strumenti di base per ridurre gli sprechi nei processi 131

Appendice II: Strumenti di base per migliorare la qualità e la variabilità dei processi 141

Ringraziamenti 151

Bibliografia 153

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INTRODUZIONE

Questo libro è nato 10 anni fa, l’ho pensato in questi ultimi 10 anni e l’ho scritto negli ultimi 12 mesi.

È nato quando ho iniziato a realizzare programmi di miglioramento delle performance operative in aziende di piccole e grandi dimensioni, di stampo imprenditoriale o manageriale, italiane o estere. L’ho pensato tutte le volte che i programmi di miglioramento hanno incontrato difficoltà nel loro sviluppo e tutte le volte che il miglioramento si è arrestato, una volta esaurita la spinta propulsiva del team di progetto e del top management. Lo scrivo adesso dopo aver dedicato gli ultimi 10 anni alla lettura, allo studio ed all’applicazione sul campo di diverse teorie provenienti da diversi mondi e discipline, apparentemente lontane, mescolandole ed integrandole tra loro con l’unico obiettivo di aiutare le aziende clienti (che, da questo momento in poi, chiamerò partner) a costruirsi e mantenere il successo nel lungo temine.

Nei primi anni di attività ho basato la mia professione e professionalità sulle competenze tecniche, concentrandomi su come ridisegnare i processi operativi, forte della conoscenza e padronanza di best practices riconosciute in tutto il mondo; tuttavia, intuitivamente e naturalmente, ho sempre pensato che il successo nel lungo termine dei processi di miglioramento dovesse passare necessariamente da uno sviluppo ed un cambiamento culturale dell’organizzazione e delle risorse umane (che, da questo momento in poi, chiamerò persone): per questo, anche se in modo non strutturato, ho sempre cercato di coinvolgere e motivare tutte le persone ad essere attori e non spettatori nei processi di cambiamento.

In tutti questi anni ho avuto con i clienti partner grandi soddisfazioni, migliorando talvolta in modo davvero rilevante le performance dei processi aggrediti: ciò detto, con molti di loro ho anche condiviso la consapevolezza e, in alcuni casi la frustrazione, di vedere che il tasso del miglioramento si andava a ridurre, se non addirittura ad azzerare, con il passare del tempo, in mancanza di un reale coinvolgimento di tutte le persone dell’azienda.

Tutto questo mi ha portato ad oggi.

Questo è un libro che, partendo dalle esperienze fatte, parla di come realizzare il miglioramento dei processi, delle persone e quindi dell’organizzazione aziendale: ma è anche un libro che demolisce i paradigmi e i preconcetti che limitano la capacità delle organizzazioni di andare oltre, di reinventarsi e quindi di migliorare. E’ infine un libro ottimista, perché parte da un’idea e da una visione di azienda: l’azienda come luogo dove le performance si ottengono con ed attraverso lo sviluppo e la valorizzazione delle potenzialità delle persone che ci lavorano, favorendone così la felicità ed il benessere.

Se anche tu hai questa visione delle aziende, allora questo libro potrà aiutarti ad arrivare a questa visione. Il punto di partenza? Noi stessi, che dobbiamo cambiare i nostri pregiudizi e le nostre credenze nei confronti dei processi di cambiamento e delle persone a cui è richiesto cambiare.

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Come è fatto questo libro

Pensa a questo libro come ad un viaggio: perché è così che è nato ed è così che l’ho vissuto io. Definita la meta, cioè l’obiettivo, questo libro ti condurrà attraverso luoghi molto diversi e distanti tra loro, ti suggerirà come guardare ai processi di miglioramento con occhi diversi o, meglio, anche con occhi diversi.

Nel primo capitolo, vengono presentati l’obiettivo e gli elementi costitutivi dell’approccio Emprovement: è in questo capitolo che discipline e best practices del miglioramento dei processi si fonderanno con quelle legate alla crescita ed al benessere delle persone e dell’organizzazione. È in questo capitolo che ti verrà presentato il mindset che tu devi avere per favorire il cambiamento e per diventare un vero “Emprover” per la tua azienda.

Nella parte prima, scoprirai come definire una strategia di sviluppo della tua azienda. Tutto parte da un esercizio di consapevolezza, al fine di scoprire in quali aree della tua azienda oggi hai le principali problematiche da affrontare o meglio, le principali opportunità di miglioramento da cogliere (capitolo 2).

Nel capitolo 3 viene spiegato come definire in modo corretto una strategia di operational excellence, dove il mantra è: il miglioramento delle performance deve andare di pari passo con lo sviluppo e la crescita dell’organizzazione.

“La differenza tra un buon piano ed un piano di successo è la capacità di saperlo realizzare”. Questo è il significato dell’ultimo capitolo dedicato alla prima parte del libro (capitolo 4). Vedrai come è importante soprattutto partire bene, fare bene le prime tappe, per portare a termine un viaggio che non finisce mai.

La seconda parte del libro è dedicata alla “cassetta degli attrezzi” che un Emprover deve conoscere per far bene il proprio mestiere. Ti verranno quindi presentati i metodi e gli strumenti, o meglio le best practices, per migliorare i processi (capitolo 5), per far crescere l’organizzazione (capitolo 6) e per governare al meglio il processo di miglioramento (capitolo 7). E’ in questa parte che sarà ancor più chiaro come il miglioramento dei processi e dell’organizzazione debbano andar all’unisono e come sia fondamentale governare discipline tra loro molto diverse ma sinergiche per essere un vero Emprover.

Nella parte terza verrà spiegato come utilizzare con efficacia le diverse discipline che costituiscono la “cassetta degli attrezzi” di un Emprover: vedremo come realizzare il miglioramento dei processi e lo sviluppo organizzativo nello stesso momento e in modo sinergico. Vedrai in particolare come si può coinvolgere davvero tutti nel processo di miglioramento (capitolo 8) e come valorizzare e potenziare il ruolo dei capi intermedi, figure chiave e spesso critiche in qualsiasi organizzazione aziendale (capitolo 9). Infine (capitolo 10) scoprirai cosa significa “essere al servizio” dell’organizzazione per favorire e sostenere con positività il miglioramento continuo ed il mantenimento dei risultati raggiunti.

Buon viaggio!

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Capitolo 1

I principi alla base di un miglioramento che duri nel tempo

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” (Mahatma Gandhi)

Quale miglioramento vogliamo?

Di recente sono andato a vedere gli andamenti delle ricerche sul web relative agli argomenti “miglioramento continuo” (kaizen) e “gestione del cambiamento“ (change management): negli ultimi anni l’interesse per i 2 argomenti è rimasto pressoché costante, ma ciò che sorprende è che negli ultimi 5 anni le curve di ricerca sono praticamente sovrapposte!

Fig. 1.1 Le ricerche in Google dei termini “Kaizen” e “Change Management”.

Pensandoci bene questo risultato non è per nulla sorprendente visto che:

• miglioramento significa “cambiare in meglio”;

• la gestione del cambiamento non ha alcun senso se non è finalizzata a migliorare una determinata situazione.

In pratica l’interesse per i 2 argomenti è pari perché il miglioramento comporta necessariamente la gestione di un cambiamento: sarebbe in realtà più corretto parlare di “gestione del miglioramento” (o “kaizen management”), ma questo argomento non è stranamente ricercato sul web.

Ciò detto, quando nelle aziende si parla di miglioramento continuo in genere si pensa ad un intervento sui processi e quando si parla di gestione del cambiamento in genere si pensa ad un intervento sulle persone e sull’organizzazione: di conseguenza, la prima tipologia di intervento è sponsorizzata dalla Direzione Industriale e la seconda dalla Direzione Organizzazione e Risorse Umane.

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Il risultato è la sempre più frequente situazione in cui progetti, anche strategici, di miglioramento dei processi aziendali e di cambiamento dell’organizzazione coesistono senza incontrarsi.

Il problema è che i progetti di miglioramento (“improvement”) dei processi aziendali, non mantengono gli obiettivi desiderati nel medio termine e che i progetti di sviluppo (“empowerment”) dell’organizzazione non vengono portati avanti perché non impattano in tempi ragionevoli sulle performance aziendali.

Fig. 1.2 Il tasso di miglioramento dei progetti di improvement ed empowerment

Per uscire da questo “dualismo”, che blocca sul nascere i progetti di sviluppo delle persone e limita i risultati dei progetti di miglioramento dei processi, occorre pensare a un miglioramento diverso, che combini nello stesso momento e in modo sinergico il miglioramento dei processi con lo sviluppo delle persone.

Fig. 1.3 Combinare lo sviluppo organizzativo e il miglioramento dei processi

La performance: fattori abilitanti e fattori motivanti

In questo libro parliamo di miglioramento delle performance dei processi aziendali ed assumiamo che il miglioramento dipenda dalle performance delle persone che agiscono sui processi. Ovviamente ci sono altri

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tass

o di

mig

liora

men

to

tempo

SVILUPPO ORGANIZZATIVO (EMPOWERMENT)

MIGLIORAMENTO DEI PROCESSI

(IMPROVEMENT)

Alcune aziende che hanno puntato sullo sviluppo organizzativo

abbandonano perchè i miglioramenti tardano ad arrivare

Le aziedne che hanno puntato solo sui processi vedono un rallentamento del

tasso di migliioramento

tass

o di

mig

liora

men

to

tempo

SVILUPPO ORGANIZZATIVO E MIGLIORAMENTO

DEI PROCESSI

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elementi che possono migliorare sensibilmente le performance, come ad esempio un’innovazione tecnologica, ma non è di questo che vogliamo parlare.

La performance di una persone all’interno di un’organizzazione può essere rappresentata dalla funzione che segue :

performance = f (competenze, motivazione)

In pratica una persona può fornire la massima performance se:

• ha le giuste competenze per poter svolgere con successo le proprie mansioni ed interpretare correttamente il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione;

• è sufficientemente motivata per mettere in atto comportamenti che siano funzionali al raggiungimento delle performance attese.

Prese singolarmente queste 2 condizioni sono necessarie ma non sufficienti per il miglioramento dei livelli di performance desiderati.

A loro volte le competenze di una persona sono funzione delle potenzialità e delle conoscenze tecniche possedute da quella persona (competenze = f (conoscenze, potenzialità)), mentre la motivazione dipende dalla singola persona e può essere più o meno favorita dal contesto in cui quella persona si trova ad operare.

Potenzialità e conoscenze possedute sono i fattori abilitanti della performance; l’insieme delle caratteristiche del contesto sono invece i fattori motivanti.

Solo combinando in modo sinergico e positivo questi fattori è possibile ottenere delle performance eccellenti.

Fig. 1.4 Fattori abilitanti e motivanti della performance

Le potenzialità di una persona possono essere assimilabili a delle risorse che ciascuno di noi ha in quanto essere umano e che, se utilizzate, ci rendono capaci e, al contempo, realizzati e quindi soddisfatti di quello che facciamo.

Le conoscenze sono il bagaglio di “sapere” specifico e tecnico, quali quello ingegneristico/scientifico (che da qui in poi chiameremo conoscenze “hard”) e quello gestionale/comportamentale (cha da adesso chiameremo conoscenze “soft”) che ci aiuta nello svolgimento dei compiti e delle mansioni quotidiane.

Le competenze di una persona sono il “sapere-fare”. Nei paesi anglosassoni le competenze vengono indicate con il termine “know-how”, cioè sapere-come. Conoscenze e potenzialità sono il patrimonio dell’individuo che, se allenate e sviluppate in modo opportuno, possono diventare competenze e, ancor meglio, talenti.

Le motivazioni personali, proprio perché personali, sono intrinseche alle persone; nessuno può motivare un’altra persona a fare un qualcosa a cui non tiene. Ciò detto, quello che possiamo fare è creare le condizioni

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Performance = f (competenze, motivazione)

Competenze = f (conoscenze, potenzialità) Motivazione = f (individuo, contesto)

Fattori abilitanti Caratteristiche della persona che la

rendono abile nell’esercizio della propria funzione all’interno dell’organizzazione

Fattori motivanti fattori interni o esterni alla persona che la motivano a fornire elevate performance

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affinché la, motivazione, se presente, poco o tanta che sia, non venga soffocata da fattori esterni ma, al contrario, stimolata quotidianamente: è qui che interviene il contesto.

Il contesto è l'insieme dei fattori relativi all’organizzazione all’interno della quale una persona si trova ad agire e che possono favorirne o meno la motivazione: anche in questo caso possiamo classificare i fattori in fattori “hard”, cioè relativi alle condizioni psicofisiche in cui la persona si trova a lavorare, e fattori “soft”, cioè relativi ai valori, alla cultura aziendale e alle relazioni personali.

Le diverse facce del miglioramento

Il paragrafo precedente dice in sostanza una cosa: quando si parla di miglioramento delle performance aziendali non si può lavorare solo sulle conoscenze ma occorre sviluppare anche le potenzialità delle persone. Inoltre occorre creare un contesto dove la motivazione non venga ostacolata ma favorita.

Quel che più conta è che tutto ciò deve essere fatto nello stesso momento: occorre quindi un approccio al miglioramento di tipo sistemico, in grado di intervenire con coerenza su tutti questi fattori.

Prendiamo le 3 categorie fin qui presentate: la performance (l’obiettivo), le conoscenze e le potenzialità. Come si può vedere dalla tabella qui sotto riportata, solo combinando opportunamente questi 3 fattori è possibile ottenere una performance eccellente e che duri nel tempo

Fig. 1.5 Performance, conoscenze e potenzialità

Se si assegnano alle persone obiettivi sfidanti non coerenti con il livello di conoscenze possedute, il rischio, o meglio la certezza, è creare stress (“non ne sono capace”, “non ho le competenze per farlo”) e lo stress si traduce inevitabilmente in basse performance.

Se si assegnano obiettivi sfidanti a persone con conoscenze adeguate ma su attività che non rispecchiano le potenzialità e quindi non gratificanti per l’individuo, il rischio è, nel medio termine, il “burn-out”, cioè l’esaurimento delle energie nello svolgimento del compito e dell’obiettivo assegnato.

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Performance (obiettivo sfidante)

X

X

X

Conoscenze adeguate

X

X

Potenzialità espresse

X

RISULTATO

Senso di inadeguatezza,

stress, basse performance

Focalizzazione, stress, burn-out

nel medio periodo (frustrazione, esaurimento)

Focalizzazione, soddisfazione, impegno, alte performance

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L’unica combinazione per un miglioramento sostenibile delle performance è quella che combina nello stesso momento un livello di performance sufficientemente sfidante, allineato alle conoscenze possedute e consono alle potenzialità dell’individuo.

Il ruolo del contesto nella motivazione

Non serve citare gli innumerevoli studi e casi presenti in letteratura: la differenza nella performance la fa la motivazione. Persone molto capaci ma con bassa motivazione possono performare peggio di persone motivate, anche se meno capaci.

Fig. 1.6 La relazione tra performance, motivazione e capacità

Ma che cosa si intende per motivazione? In ambito aziendale sono 2 le possibili definizioni di motivazione:

1. La motivazione intesa come l’attività svolta dal management per stimolare negli individui un comportamento utile al raggiungimento delle performance;

2. La motivazione intesa come l’insieme dei motivi che spingono un individuo ad agire e comportarsi in un determinato modo in relazione a diverse situazioni e obiettivi.

Sulla base di queste 2 definizioni, tra loro significativamente diverse, nel tempo sono state sviluppate diverse teorie della motivazione, anche in questo caso catalogabili in 2 grosse categorie:

1. Le teorie della motivazione basate sul contenuto, che spiegano “che cosa” spinge gli individui a compiere determinate azioni; tra queste teorie la più famosa è sicuramente la scala dei bisogni di Maslow, che stabilisce una gerarchia su cinque livelli dei bisogni degli individui.

Fig. 1.7 La scala dei bisogni di Maslow

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Perf

orm

ance

Motivazione Bassa Alta

Elevate capacità

Scarse capacità

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Un altrettanto nota teoria della motivazione basata sul contenuto è quella di Hertberg, che riprende i bisogni di Maslow riclassificandoli in fattori igienici e fattori motivanti.

I fattori igienici sono quelli più in basso nella scala di Maslow (fattori fisiologici, di sicurezza, di appartenenza). Questi fattori sono solo in grado di modificare solo lo stato di insoddisfazione degli individui: se assenti, generano insoddisfazione, se presenti riducono l’insoddisfazione ma non generano soddisfazione (e quindi motivazione).

I fattori motivanti sono quelli di natura più psicologica, relativi al riconoscimento sociale del lavoro svolto, al sentimento di autostima legata ai compiti e ai livelli di responsabilità assegnati e di autorealizzazione. Questi fattori sono invece in grado di intervenire sul livello di soddisfazione (per alcune persone, anche in assenza di fattori fisiologici e di sicurezza soddisfacenti): se assenti riducono la soddisfazione, se presenti generano soddisfazione. I principali fattori motivanti sono la realizzazione, il riconoscimento sociale, i compiti stimolanti e la responsabilità, intesa come autonomia sul lavoro: ritroveremo tutti questi fattori quando parleremo di sviluppo della strategia di Emprovement;

2. Le teorie basate sul processo, che descrivono e spiegano come i comportamenti e le azioni di una persona possono cambiare se opportunamente stimolata. Fa parte di queste teorie il goal setting, ovvero la teoria che spiega che, per ottenere la massima performance da un individuo, occorre affidargli obiettivi difficili ma raggiungibili e quindi stimolanti perché in linea con le proprie capacità.

Fig. 1.8 Difficoltà dell’obiettivo e prestazione

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Fisiologici

Sicurezza

Appartenenza

Stima

Autorealizzazione

Fame, sete,

sonno, sesso

Protezione dai pericoli,

dalle minacce e dalle

privazioni

Socialità, affetto,

accettazione, amore e

gruppi sociali

Autostima, (fiducia in se

stessi, indipendenza, relalizzazione).

Eterostima (status,

riconoscimento, rispetto)

Sviluppo delle proprie potenzialità,

continuo sviluppo di se

stessi

PRES

TAZI

ON

E

Impossibile Moderata Stimolante

DIFFICOLTÀ DELL’OBIETTIVO

Bas

sa

Ele

vata

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In questo libro, noi considereremo la motivazione un qualcosa di intrinseco (nessuno può motivare una persona a fare una cosa se non la vuole fare, se non confondiamo la motivazione con la coercizione) ma individuale, ovvero che non può essere catalogata in categorie rigide e generali (in azienda, lo stesso fattore può essere motivante per una persona ma non per un’altra); preferiamo quindi pensare alla motivazione come a un qualcosa di dinamico che è possibile modificare ed aumentare gestendo correttamente alcuni processi aziendali.

La motivazione intrinseca ci spinge a svolgere delle attività per il solo piacere di farle, senza ricercare alcuna ricompensa esterna. La motivazione estrinseca dipende dalla “ricompensa” che ci aspettiamo a fronte di un determinato comportamento o attività; attenzione però perché le ricompense (soprattutto quelle relative a incentivi, premi, benefits) non necessariamente hanno sempre effetti positivi sulla motivazione. Infatti:

• gli effetti possono essere addirittura negativi quando le attività vengono percepite come strumentali ad ottenere la ricompensa o quando la stessa viene percepita come una forma di controllo esterno e quindi di limitazione della propria autonomia;

• gli effetti sono positivi quando la ricompensa viene percepita come un riconoscimento della propria autonomia e competenza, un apprezzamento delle capacità dimostrate.

Un altra caratteristica della motivazione estrinseca, quale che sia la ricompensa, è che non è destinata a durare se non viene interiorizzata. L’interiorizzazione della motivazione fino a farla diventare intrinseca è graduale e dipende da quanto l’individuo vede soddisfatti i suoi bisogni psicologici di riconoscimento, autostima e autorealizzazione e da quanto egli sente propri i valori e gli obiettivi da raggiungere.

Un esempio può chiarire questo concetto. Se prendiamo un atleta, egli può allenarsi con costanza ed impegno perché:

• non vuole avere problemi con l’allenatore;

• vuole che il suo allenatore pensi che lui sia bravo;

• perché ritiene importante allenarsi;

• perché vuole migliorarsi ogni giorno;

• perché semplicemente gli piace.

Solo quest’ultima è classificabile come motivazione intrinseca. Tutte le altre situazioni sono riconducibili a motivazioni estrinseche: tutte possono essere in un qualche modo stimolate, ma è ovvio e intuitivo che non tutte portano agli stessi risultati.

Ecco perché il contesto ha un’importanza fondamentale. Abbiamo già visto che per ottenere e mantenere performance di eccellenza occorre agire anche sulle potenzialità delle persone: possiamo quindi dire che è compito del contesto (e quindi del management) creare le condizioni per cui le persone sentano di poter esprimere le proprie potenzialità nell’esercizio del loro compito, aggiungendo a questo sentire un obiettivo sfidante coerente con le loro capacità. La valorizzazione di queste potenzialità e il senso di auto-realizzazione che ne consegue aumenta la motivazione delle persone.

Best practices

Il concetto di best practice viene spesso utilizzato per descrivere le modalità operative attraverso le quali le aziende ottengono performance eccellenti. Nella realtà (e in letteratura) sono molteplici e molto diversi tra loro i modelli che vengono proposti come determinanti nella ricerca dell’eccellenza operativa; ciò detto, tutti questi modelli sono riconducibili a 2 macro categorie:

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1. modelli, risalenti ormai a qualche decennio fa, che puntano sull’elemento culturale del miglioramento dei processi: tra i più noti il modello “lean” e l’approccio “6Sigma”

2. modelli, più recenti, che fanno del benessere organizzativo la leva predominante per raggiungere l’eccellenza; anche in questo caso, alcuni alcuni di questi modelli sono già noti da tempo, come la Positive e la Servant Leadership

Difficile o forse impossibile trovare in letteratura aziende che hanno fatto di entrambe le categorie di modelli un unico punto di riferimento, cercando di fonderli insieme in un approccio alternativo e diverso dalla semplice somma delle 2 categorie.

Change Management

Ogni qualvolta si parla di miglioramento delle performance (unica via per raggiungere l’eccellenza) non si può fare a meno di parlare di “gestione del cambiamento”. Vale infatti in qualunque contesto (anche non aziendale) la frase di Albert Einstein che recita “Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi”: detto in altri termini, per raggiungere l’eccellenza operativa occorre migliorarsi sempre facendo sempre cose diverse e migliori.

La dimensione del cambiamento non è quindi un fattore sporadico legato ad una dimensione progettuale: il cambiamento permea l’organizzazione e ne diventa un tratto culturale. Jack Welch, presidente ed Amministratore Delegato di General Electric dal 1981 al 2001 diceva: “Cambia prima di essere costretto a farlo”.

La “gestione del cambiamento”, ancor prima che una disciplina manageriale ed una serie di principi e di processi necessari per migliorare una situazione data, è una questione di atteggiamento, soprattutto da parte di coloro a cui è chiesto di favorire il cambiamento in azienda, i cosiddetti “change agents”.

Alcuni preconcetti e paradigmi accompagnano i change agents quando è difficile cambiare. Il più usato ed abusato? Le persone non vogliono cambiare.

Il mindset per il miglioramento

Per essere un vero “agente del cambiamento”, per riuscire davvero a migliorare le performance e portarle ad un livello di eccellenza che si mantenga nel tempo, bisogna cambiare l’atteggiamento che si ha nei confronti delle difficoltà che inevitabilmente si incontrano in processi di cambiamento per loro natura complessi.

Tre cose occorre tenere ben presenti ogni qualvolta si pensa ad un cambiamento:

1. non è vero che le persone non vogliono cambiare, il punto è che cambiare è faticoso;

2. le persone resistono al cambiamento perché non gli è chiara la direzione verso cui devono andare;

3. se le persone non cambiano, il motivo non risiede nelle persone ma nel contesto, che non aiuta il cambiamento.

Fare proprio questo mindset significa essere una persona di grande coraggio, perché occorre avere la forza di assumersi una grande responsabilità: il cambiamento non dipende solo dagli altri ma anche e soprattutto da me e da come mi pongo di fronte al cambiamento ed alle persone a cui è chiesto di cambiare.

Se sei pronto a questa sfida puoi continuare a leggere questo libro.

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RIEPILOGO

3 domande

Nella tua azienda sono chiari quali sono i fattori abilitanti ed i fattori motivanti per il miglioramento?

Si è mai associato il miglioramento delle performance al benessere organizzativo?

Come vengono affrontate le resistenze al cambiamento da parte delle persone a cui viene chiesto di cambiare?

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Molto spesso, quando si parla di miglioramento delle performance dei processi aziendali ci si dimentica che miglioramento significa letteralmente “cambiare in meglio”: così facendo si tralascia il fatto che dietro ad ogni miglioramento ci sono delle persone a cui viene chiesto di cambiare e che sapere gestire il cambiamento è altrettanto importante quanto sapere migliorare i processi.

Il tasso di miglioramento di un’organizzazione è strettamente legato a quanto migliorano le performance dei singoli individui; le performance individuali dipendono dalle competenze e dalla motivazione che una persona mette nello svolgimento del suo ruolo e dei suoi compiti. A loro volta, le competenze dipendono dalle conoscenze che uno ha e dalle potenzialità che ciascuno di noi, in misura più o meno evidente, possiede dentro di sé: il bagaglio di conoscenze delle persone e le potenzialità sono i fattori abilitanti delle performance. La motivazione personale che spinge le persone a fare sempre qualcosa di più e di meglio è intrinseca ai singoli individui, ma può essere favorita dal contesto: è compito del contesto e quindi del management favorire la motivazione nell’organizzazione. È noto a tutti che persone con pari capacità ma con motivazione diversa performano in modo diverso. La performance degli individui e quindi dell’organizzazione possono quindi crescere costantemente e mantenersi nel tempo solo se: • aumentiamo le conoscenze delle persone; • coltiviamo, per farle crescere, le potenzialità degli individui; • costruiamo un contesto dove conoscenze e potenzialità possano esprimersi liberamente.

Negli ultimi decenni si sono affermate come “best practices” per l’eccellenza operativa il modello “lean” e l’approccio “6Sigma”; altre best practices più recenti (lServant & Positive Leadership), hanno individuato nel benessere organizzativo l’obiettivo di contesto che permette di raggiungere l’eccellenza. Mettere insieme queste best practices significa avere un nuovo mindset per il miglioramento, che rompe paradigmi consolidati nei confronti del cambiamento. Questo mindset si basa su 3 principi: non è vero che le persone non vogliono cambiare, il punto è che cambiare è faticoso; le persone resistono al cambiamento perché non gli è chiara la direzione verso cui devono andare; se le persone non cambiano, il motivo non risiede nelle persone ma nel contesto, che non aiuta il cambiamento.