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Agglomerazione ed Imprenditorialità in Italia ed in Emilia Romagna: evidenze empiriche nelle industrie manifatturiere
Giovanni Guastellaa, Francesco Timpanob1, Mario Venezianic
a Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza – Scuola di Dottorato in Politica Economica b Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza – Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali c Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza – Facoltà di Agraria, Istituto di Economia Agro-Alimentare
INTRODUZIONE
La nascita e lo sviluppo di nuove imprese è considerato uno dei segnali di dinamismo di
un contesto territoriale. Le determinanti di questo fenomeno sono studiate in letteratura
ma raramente poste in relazione con alcuni temi propri dello sviluppo industriale
territoriale. In particolare, queste concernono specifiche caratteristiche del territorio ivi
comprese questioni rilevanti come l’agglomerazione di imprese come approssimato dalla
specializzazione produttiva, dalla diversità tra i settori dell’economia e dal grado di
competizione locale.
Il presente lavoro affronta questi aspetti attraverso un confronto tra le caratteristiche
proprie delle attività manifatturiere italiane nel loro complesso e dell’Emilia Romagna
utilizzando dati a livello provinciale. Il focus regionale è dettato dal tentativo di
identificare un modello di sviluppo industriale che, nonostante l’Emilia Romagna sia
posizionata a ridosso delle aree produttive legate al “triangolo industriale” del Nord-
Ovest, è cresciuta sviluppandosi all’interno del modello tipico della Terza Italia. Rispetto
a queste aree l'Emilia Romagna ha assunto proprie specificità che questo studio intende
indagare nel confronto con il resto del paese.
Dopo una sintetica rassegna della letteratura, che fornisce il quadro di riferimento
all’interno del quale il modello di scelta imprenditoriale è sviluppato, si presentano i dati
utilizzati e la specificazione del modello prescelta. Un paragrafo è quindi dedicato ai
1 Per la corrispondenza: Francesco Timpano, DiSES, Università Cattolica del Sacro Cuore, Via Emilia Parmense, 84, 29122, Piacenza, (PC), Italy. Email: [email protected]
2
principali risultati delle stime ed infine un paragrafo alle conclusioni. Queste disegnano
per l’Emilia Romagna alcune specificità cruciali per interpretarne il modello di sviluppo
dal punto di vista della natalità imprenditoriale. In particolare, sembra definirsi in modo
chiaro un modello in cui la diversità settoriale gioca un ruolo decisivo nella spiegazione
del fenomeno.
1. Economie di agglomerazione e imprenditorialità: dall'analisi della letteratura all’ipotesi
di lavoro
Gli sviluppi nei filoni della letteratura economico-teorica nell'ambito della New Growth
Theory e New Economic Geography hanno riconosciuto nella presenza di rendimenti
crescenti dei fattori di produzione il principale fattore di sviluppo endogeno delle
economie (Romer, 1986; Lucas, 1988; Krugman, 1991). Molto rimane però ancora da
capire su quali siano i meccanismi effettivamente in grado di tradurre la semplice
concentrazione dei fattori produttivi in benefici economici. In questo contesto, la
letteratura empirica sta sviluppando un interesse particolare per il fenomeno
dell’imprenditorialità visto come momento in cui la conoscenza accumulata, a seguito
della concentrazione di fattori produttivi, si trasforma in conoscenza economicamente
rilevante (Braunerhjelm et al., 2010). Infatti, l'imprenditorialità costituisce uno dei tre
meccanismi2 di diffusione geografica della conoscenza all’interno di un’economia
(Audretsch e Feldman, 2004). Inoltre, la nascita di nuove imprese può anche derivare dal,
e manifestare il, meccanismo Shumpeteriano di distruzione creativa in grado di generare
sviluppo endogeno (Aghion e Howitt, 1992).
L’analisi dell’imprenditorialità
Lo studio dell’imprenditorialità è un tassello importante nella attività di comprensione
dello sviluppo economico, soprattutto a livello locale e regionale3, perché la variabilità
geografica della prima fornisce informazioni utili circa i divari territoriali di sviluppo.
Come notano Santarelli e Vivarelli (2007) questa variabilità può essere spiegata sia da
fattori legati all’ambiente macroeconomico sia dall’eterogeneità nelle caratteristiche
individuali dei potenziali imprenditori (i.e., fattori micoreconomici). Sebbene questo
secondo fattore sia di fondamentale importanza, soprattutto nel determinare le probabilità
2 Gli altri due meccanismi identificati da Audretsch e Feldman (2004) sono la mobilità dei lavoratori e la cooperazione tra imprese in progetti di ricerca.
3 Per una rassegna della recente letteratura empirica sul legame tra imprenditorialità e sviluppo economico consultare van Praag e Versloot (2007).
3
di sopravvivenza e la profittabilità delle nuove imprese4, quelli macroeconomici hanno
storicamente ricevuto maggior attenzione, soprattutto nelle analisi a livello territoriale
aggregato, anche a causa di una limitata disponibilità di dati adeguati a svolgere un'analisi
a livello microeconomico. Lo studio empirico delle variazioni interregionali
dell’imprenditorialità registra uno spostamento dell’attenzione dalle motivazioni più
tradizionali, legate alla profittabilità settoriale e alla situazione nel mercato del lavoro
(Armington e Acs, 2002), alle caratteristiche del territorio e dei settori - diverse dalla sola
profittabilità - che favoriscono la creazione di nuove idee e lo sviluppo delle stesse
tramite la formazione di nuove imprese. Per esempio, Knoben et al. (2011) considerano la
crescita economica, la disoccupazione regionale, gli effetti agglomerativi, lo stock di
conoscenza regionale e le associate politiche economiche di sviluppo "locale" essere le
principali determinanti regionali dell'imprenditorialità.
Le economie di agglomerazione: tra specializzazione e diversità
Le economie di agglomerazione hanno suscitato particolare interesse, specie per quanto
concerne il loro contributo all'evoluzione dell'economia, anche locale. Le
conglomerazioni industriali concentrate in una specifica area geografica, denominate
clusters, sono una peculiare forma di agglomerazione economica. Questi clusters sono in
grado di auto-rigenerarsi (Klepper, 2007) proprio tramite la formazione di nuove imprese.
In virtù di questa capacità dei distretti di auto sostenersi nel lungo periodo, lo sviluppo
territoriale si evolve lungo traiettorie di crescita che dipendono da scelte pregresse a
livello territoriale e tecnologico (Martin e Sunley, 2006; Andersson e Koster, 2011). I
vantaggi che le imprese hanno nel localizzarsi in aree geografiche dove altre imprese
sono già presenti sono stati spiegati per la prima volta da Marshall (1890), che li ha
attribuiti alla presenza di manodopera specializzata, all’accesso diretto a fornitori (e
clienti) specializzati e ad involontari scambi di conoscenze tecniche (knowledge
spillovers) tra i lavoratori/imprenditori. Il tipico distretto Marshalliano è dunque
caratterizzato da una concentrazione geografica di imprese operanti nello stesso settore -
ipotesi MAR - (Marshall, 1890; Arrow, 1962; Romer, 1986). Successivamente ed
alternativamente, Jacobs (1969) ha attribuito l’innovazione più a scambi di conoscenze
tra industrie in settori diversi anziché simili. I vantaggi della diversità, caratteristica
propria per esempio delle città, sarebbero quindi i motivi per cui le imprese
preferirebbero localizzarsi in questi spazi urbani5, tentando di sfruttarne l'alto potenziale
innovativo.
4 Si vedano in proposito gli studi esaminati dagli stessi Santarelli e Vivarelli (2007). 5 Per questo motivo in letteratura queste esternalità vengono spesso chiamate economie di urbanizzazione.
4
Il dibattito empirico sul ruolo delle economie di agglomerazione, cominciato con il lavoro
pioneristico di Glaeser et al. (1992), non ha però ancora trovato una conclusione univoca.
In una recente meta-analisi, de Groot et al. (2009) trovano che le evidenze variano in base
al tipo di dati utilizzati ed alle variabili esplicative del modello. Possibili spiegazioni per
questa eterogeneità nei risultati sono fornite da Boschma e Frenken (2011). In particolare,
è possibile che la dicotomica definizione di agglomerazione (MAR vs Jacobs) risulti
eccessivamente semplicistica in un quadro in cui tanto l’eccesso, quanto la totale assenza,
di specializzazione ostacolano la diffusione di conoscenza6. Nel continuum tra
specializzazione e diversità possiamo utilmente identificare il concetto di related
varieties, ovvero di specializzazione non in un settore, bensì in diversi settori tra loro
interconnessi. Le interconnessioni stesse possono essere dovute a fattori di mercato quali
la domanda finale o all’uso di tecnologie comuni (Delgado et al., 2010). A sua volta la
prevalenza di uno dei due estremi del continuum è strettamente legata alla fase del ciclo
di vita del settore, sicché i settori nuovi e più dinamici sono caratterizzati da diversità
mentre la specializzazione predomina nella fase di maturità (Neffke et al., 2011).
Nonostante i lati oscuri del fenomeno, il dualismo tra specializzazione e diversità rimane
ancora al centro del dibattito accademico, specie se connesso alla nascita d'impresa.
Audretsch e Thurik (2001; 2004) propongono una riflessione interessante sul passaggio
dal modello teorico della Managed Economy, basato sull’accumulazione dei fattori
produttivi e quindi collegabile a MAR, al modello della Entrepreneurial Economy, più
flessibile e adatto ad interpretare il ruolo del capitale conoscitivo nelle economie
moderne, caratterizzato da dimensioni di variabilità, diversità e complessità. Gli elementi
chiave di questo cambiamento appaiono, a livello di impresa, la piccola dimensione e la
flessibilità nonché, a livello di ambiente esterno, la diversità e l’eterogeneità. Proprio la
piccola dimensione delle imprese del territorio si configura come uno degli elementi
critici per favorire lo sviluppo dell’imprenditorialità. Questo, sia perché l’assenza di
grandi imprese oligopolistiche sul territorio stimola la competizione tra le imprese,
promuovendo la creazione di nuove idee (Porter, 1990), sia perché una minore
dimensione minima efficiente implica inferiori barriere all’ingresso nonché una più
probabile sopravvivenza post-fondazione7.
Tre ipotesi sulle economie di agglomerazione
Tre ipotesi, nel complesso, sono state sviluppate in letteratura circa il ruolo delle
economie di agglomerazione nel promuovere la formazione delle nuove imprese (van
6 Si confronti l’articolo di Boschma (2005) circa il ruolo della distanza cognitiva per la collaborazione e lo scambio di conoscenze tra imprese.
7 Si veda ad esempio Lotti e Santarelli (2004).
5
Oort e Atzema, 2004). L’ipotesi MAR, secondo cui esternalità positive emergono in
presenza di specializzazione produttiva, e in situazioni di mercato non concorrenziale, che
permettono maggiore appropriabilità degli investimenti innovativi. L’ipotesi di Jacobs
(1969), opposta alla visione Marshalliana, per cui è la concentrazione spaziale di imprese
di piccole dimensioni e appartenenti a diversi settori a favorire la creatività e, di
conseguenza, l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali. E infine l’ipotesi di Porter
(1990), che condivide con l’ipotesi MAR il ruolo positivo della specializzazione
produttiva e con l’ipotesi di Jacobs (1969) l’importanza della struttura competitiva del
sistema industriale locale.
L’analisi teorica ed il contesto italiano
Nonostante i diversi tentativi di misurare generici effetti agglomerativi nello studio
dell’imprenditorialità a livello spaziale aggregato, e diversamente da quanto si osserva
per altri paesi8, la letteratura empirica sul tema in Italia rimane ancora vaga. Revelli e
Tenga (1989) analizzano la formazione di nuove imprese nelle province e nei settori
economici piemontesi nel periodo 1978-1983 e trovano un impatto positivo della
specializzazione produttiva e un effetto negativo della concentrazione industriale,
considerata come misura della mancanza di concorrenza9. Lo studio di Garofoli (1994),
condotto sia per l’intera economia sia per l’aggregato di industrie manifatturiere, riporta
simili risultati per le esternalità positive legate alla specializzazione e per l’effetto
negativo di una struttura dimensionale basata su grandi imprese. L’ipotesi di vantaggi
agglomerativi derivanti dalla diversità industriale è assente nel lavoro di Garofoli (1994)
mentre le economie di urbanizzazione (Jacobs, 1969) sono genericamente misurate con la
densità di popolazione e sembra abbiano un effetto positivo. Audretsch e Vivarelli (1995;
1996) tentano di misurare le esternalità legate alla presenza di distretti ed alla struttura
dimensionale delle imprese della provincia e trovano risultati significativi solo per la
seconda variabile.
Agli studi empirici sulle dinamiche di sviluppo delle imprese si sono accompagnate
analisi, di taglio usualmente più qualitativo, che tendono a fornire una descrizione del
modello di sviluppo italiano e quindi delle ragioni del manifestarsi di specifiche forme di
nuova imprenditorialità. Lo schema di riferimento più tradizionale è quello che vede
contrapposto il modello di sviluppo del triangolo industriale basato sulla grande impresa
della prima rivoluzione industriale al modello distrettuale, approfondito da Becattini
8 Si confrontino i lavori di Audretsch e Fritsch (1994) per la Germania, di Guesnier (1994) per la Francia e quelli di Bosma et al. (2008) e Knoben et al. (2011) per l’Olanda.
9 Si noti che, in questo caso, l’esclusione dalle stime delle caratteristiche territoriali e dei fattori riguardanti il mercato del lavoro (Revelli e Tenga, 1989) mettono in discussione la robustezza di questi risultati.
6
(1997) per la Toscana, ma anche da Bagnasco (1977) nel suo famoso contributo sulle
“Tre Italie” e da Piore e Sabel (1984). In questo contesto emerge la specializzazione
produttiva delle piccole e medie imprese italiane, fortemente integrate con il proprio
territorio di riferimento e capaci al tempo stesso di innovare e emergere nei mercati
internazionali. La struttura portante dell’economia italiana è, secondo queste analisi,
l’Italia distrettuale, specializzata in alcuni settori del manifatturiero tradizionale. Qui la
scelta imprenditoriale è fortemente connessa con le specificità del territorio sia sotto il
profilo dell’ambiente economico, sia sotto il profilo della capacità di condividere il sapere
necessario a determinare il successo imprenditoriale.
L’ipotesi di lavoro e l’applicazione al modello emiliano
Questo lavoro sottopone a test empirico le tre ipotesi circa la natura delle economie di
agglomerazione (specializzazione produttiva, diversità industriale, competizione locale)
utilizzando dati sull’imprenditorialità nel settore manifatturiero nelle province italiane.
Rispetto alla letteratura esistente per l’Italia, il lavoro contribuisce sottoponendo a test
empirico, utilizzando dati per il periodo 2003-2007, le tre ipotesi. Inoltre, la dimensione
spaziale e quella industriale, finora considerate separatamente, vengono qui analizzate
congiuntamente, utilizzando un panel che incrocia la classificazione territoriale
(province) con quella industriale (codici Ateco 2 cifre).
Il modello empirico di partenza è quello della scelta imprenditoriale, proposto da Knight
(1921), in cui la decisione di formare una nuova impresa è funzione della differenza tra i
profitti attesi e la remunerazione alternativa (il salario da lavoratore dipendente). Il tasso
di disoccupazione viene incluso per tener conto dell’ unemployment push ovvero
dell'incentivo a sfruttare l'imprenditorialità come metodo di uscita dalla disoccupazione.
Il modello viene poi esteso con tre variabili che misurano le rispettive ipotesi circa le
economie di agglomerazione e con effetti fissi che tengono conto sia dell’eterogeneità
spaziale sia delle specificità di ogni singolo settore.
L’analisi viene condotta per tutte le province del territorio Italiano e per l’Emilia
Romagna nel tentativo di evidenziare interessanti specificità nel processo di natalità
imprenditoriale a questi due livelli di aggregazione geografica. Questa ultima è una tra le
più ricche e produttive regioni d’Italia che, rispetto alle altre regioni confinanti ed
egualmente competitive, vanta una grado di specializzazione distrettuale relativamente
basso. L’Emilia Romagna costituisce tuttavia un interessante caso di studio dei fenomeni
agglomerativi perché, a differenza di altre regioni caratterizzate da una maggior presenza
di distretti, ha sperimentato lo sviluppo di un modello industriale basato sulla
decentralizzazione produttiva e sull’integrazione sociale, il cosiddetto Modello Emiliano
7
(Brusco, 1982). La prima caratteristica distintiva di tale "Modello" è la concentrazione di
piccole imprese in settori produttivi merceologicamente diversi ma interconnessi da
legami di subfornitura o tecnologici. In molte delle esperienze industriali citate da Brusco
(1982) i legami di input-output si incrociano con quelli tecnologici, dando vita a processi
di sviluppo tecnologico basati sull’apprendimento reciproco di fornitori e produttori.
Questi percorsi di sviluppo sono stimolati dalla relativamente piccola dimensione
d'impresa e dalla natura incrementale delle innovazioni che determinano, di conseguenza,
le strategie competitive, anche a livello internazionale. La seconda caratteristica distintiva
riflette un ambiente sociale che, nel contesto industriale della decentralizzazione
produttiva, promuove l’imprenditorialità come iniziativa individuale. La nuova impresa
nata dallo spin-off industriale finalizzato alla sub-fornitura, tipicamente si evolve fino a
diventare impresa operante, non più solo nel settore di origine ma anche e soprattutto, in
nuovi settori creando nuovi network con altri clienti e mercati. In un lavoro di Vianello
(2007) si riprende e si sintetizza bene il contributo di Brusco (1989) al riguardo:
"Alla prospettiva, per l’operaio, di diventare un piccolo imprenditore (Brusco, 1989:265) si somma qui la prospettiva, per il piccolo imprenditore, di emanciparsi dalla produzione “in conto terzi” e tentare “l’avventura del conto proprio” (Brusco, 1989:274)" (Vianello, 2007:14).
2. I dati utilizzati
Il dataset utilizzato è il risultato dell’aggregazione dei dati dell'Istituto Nazionale di
Previdenza Sociale (INPS) circa le registrazioni provinciali di nuove attività produttive in
Italia divise per settore (qui approssimato dai codici ATECO). Una volta fornito un
giudizio sulla natalità imprenditoriale a livello nazionale, si seleziona un campione di dati
per le sole province emiliano-romagnole sul quale si concentra l'attenzione del presente
lavoro. Il risultato è un panel in cui la non-convenzionale dimensione settoriale è
associata alla più diffusa dimensione spaziale delle province. La base dati è disponibile
pubblicamente sul sito dell’ INPS per gli anni tra il 2003 ed il 2007. I dati sono catalogati
in due differenti files, uno per le imprese e uno per i lavoratori dipendenti. Il primo
registra, utilizzando le classificazioni provinciali (per la dimensione spaziale) e ATECO
81 (per la dimensione settoriale), il numero d’imprese attive ogni anno, gli avvii e le
cessazioni di attività, nonchè il numero di lavoratori dipendenti, i nuovi posti di lavoro
creati grazie agli avvii e le perdite di posti di lavoro dovute a cessazioni. Il secondo
racchiude invece informazioni sul numero di dipendenti e sulle relative paghe, con
dettagli per tipo di lavoro (lavoratore semplice o impiegato), allo stesso livello di
disaggregazione geografica e settoriale. La combinazione di queste due fonti ha permesso
la creazione di un unico database, in cui le informazioni sul numero di nuove imprese e di
8
quelle esistenti sono tratte dal primo, mentre le informazioni sul numero di dipendenti e
sulle paghe sono tratte dal secondo.
Pur essendo disponibile un database INPS di microdati collezionati tramite apposite
procedure campionarie, riteniamo la base dati utilizzata in questo lavoro superiore poiché
permette di rappresentare il fenomeno al livello geografico d’interesse. L’utilizzo di dati
provenienti da procedure di campionamento renderebbe, infatti, complicata
l’interpretazione e la generalizzazione dei risultati a livello aggregato. Ciononostante, è
necessario riportare l'esistenza di alcuni problemi riscontrati riguardo il dataset preferito.
Da un lato, INPS raccoglie informazioni su ciascuna impresa che registra i propri
lavoratori presso l’istituzione, mentre non cattura gli individui che si auto-impiegano.
Questo potrebbe produrre disturbi nelle stime, perlomeno relativamente alle province e ai
settori in cui questo fenomeno costituisce una parte fondamentale della natalità
imprenditoriale. Dall’altro lato, è possibile che una nuova impresa non sia considerata
tale nel database se è il risultato dell’apertura di un nuovo stabilimento di un’impresa già
registrata in una differente provincia.
I dati elementari sono raccolti seguendo la classificazione a due cifre della nomenclatura
ATECO 81, determinando la rilevazione di ventidue settori. Si utilizza un’aggregazione
lessicografica per rendere l’analisi empirica più parsimoniosa e per allineare la
classificazione con la consuetudine nella letteratura di riferimento. Quest'ultima è basata
sulla più recente ATECO 2002, non disponibile nel database INPS di riferimento. La
Tabella 1 contiene le informazioni dettagliate circa la procedura di aggregazione.
<Tabella 1>
L’esercizio di aggregazione è stato eseguito trattando adeguatamente le informazioni
circa il salario medio nel settore (aggregato) e nella provincia. Per ogni provincia, è stato
calcolato il numero dei dipendenti (lavoratori e impiegati) in ogni settore aggregato come
semplice somma dei lavoratori e dei dipendenti nei settori aggregandi. Il salario di
lavoratori ed impiegati è in seguito costruito come media dei salari, in cui i numeri di
lavoratori e impiegati nei vari settori aggregandi sono utilizzati come pesi per la media
del settore e della categoria d'impiego (aggregazione settoriale). Inoltre, il salario medio
settoriale è ricavato come media ponderata del salario di lavoratori ed impiegati usando il
numero di lavoratori ed impiegati nel settore aggregato come pesi (aggregazione della
tipologia d'impiego). In entrambi i casi, i valori mancanti dei salari sono trattati come zeri
nel calcolo della media in quanto attribuibili alla mancanza di un numero positivo di
dipendenti nel settore e nella provincia.
9
Le variabili dipendenti utilizzate nell’esercizio empirico sono NEWFIRMS e NF. La
prima è il numero di nascite nel settore e nella provincia, nel periodo 2003-2007. La
seconda è il rapporto tra la prima e il numero di dipendenti nello stesso settore e provincia
nel 2003. I valori mancanti sono ancora una volta trattati come zeri.
Il modello spiega il comportamento di queste due misure di imprenditorialità attribuendo
la scelta imprenditoriale al confronto tra profitti attesi (VA) e salari (W), alla spinta
disoccupazionale (U) ed, inoltre, ai vantaggi agglomerativi. Valore aggiunto (VA) e tasso
di disoccupazione (U) provengono dall’ISTAT e non hanno dettaglio settoriale. Il
secondo, in particolare, è derivato dall’indagine annuale sulle forze lavoro e, a causa di un
cambiamento del sistema di raccolta dei dati avvenuto nel 2003, non è disponibile per il
primo anno oggetto d'analisi. Ammettendo possibili e indeterminate distorsioni nelle
stime, i valori per il 2003 sono stati sostituiti con quelli del 2004. Inoltre si sfrutta il
potenziale informativo della base dati INPS costruendo una misura della variazione degli
occupati nel periodo di riferimento (EMP GR) che, per costruzione, gode del dettaglio
settoriale. EMP GR è specificato come il tasso di crescita medio annuo (in log) del
numero di dipendenti nella provincia i, nel settore r, per il periodo 2003-2007. Il salario
medio (W) è invece ricavato dal database INPS.
Il contributo empirico consiste nella specificazione delle economie di agglomerazione che
la letteratura ha associato alla formazione di vantaggi localizzativi e, di conseguenza,
all’imprenditorialità. Nella parte empirica tre misure di agglomerazione quali la
specializzazione produttiva (SP), la competizione locale (COMP) e la diversità industriale
(DIV) sono considerate determinanti dell’imprenditorialità.
La definizione di SP usata qui è ,,
, ,
/ i ri r i
i r i rr i r
EEE E
¦¦ ¦¦
, dove ,i rE rappresenta il numero
di dipendenti nella provincia i e nel settore r , mentre COMP è costruito come
,,
, ,
/ i ri r i
i r i ri
FFE E
¦¦
dove ,i rF denota il numero di imprese nella provincia i e nel settore r .
Cerchiamo inoltre di migliorare la specificazione di DIV, rispetto al più comune indice di
Herfindal10 (H), con una misura proposta da Glaeser et al. (1992). Tale misura è calcolata
per ogni provincia e per ogni settore e può essere descritta come 5
, ''
,
i rr
i rr
EE
¦¦
, dove 'r è
10 Definito come
2
,
,
i ri
r i rr
EH
E
ª º§ ·« » ¨ ¸¨ ¸« »© ¹¬ ¼
¦ ¦ , in cui tutti i termini sono come precedentemente definiti.
10
l’indice relativo al sottoinsieme di settori costituito da tutti i settori meno quello per cui
l’indicatore è calcolato, con i settori in ordine decrescente di numero di impiegati nella
provincia. Il numeratore rappresenta quindi il numero di dipendenti nei cinque più
importanti settori, escluso quello per il quale si sta calcolando l'indice.
Tutte le variabili, ove non diversamente specificato, si riferiscono al 2003 per ridurre i
problemi legati ad endogeneità e autocorrelazione che potrebbero emergere a seguito
dell’utilizzo del numero cumulato di nascite considerato nella variabile dipendente.
3. Il modello
In questo lavoro consideriamo un modello standard di scelta imprenditoriale (Knight
1921) (1) in cui il valore aggiunto (VA) è una misura della profittabilità dell’attività
imprenditoriale, il salario (W) è la remunerazione della opzione alternativa
all'autoimprenditorialità e il tasso di disoccupazione (U) misura l'incentivo fornito da
un'alta disoccupazione locale alla creazione di nuove imprese.
� �, , NFF f VA W U (1)
Il modello nell’equazione (1) è esteso includendo le tre misure di agglomerazione definite
in precedenza (2)
� �, , , , , NFF f VA W U SP COMP DIV (2)
Aggregando i vettori di variabili esplicative nella matrice X e assumendo una relazione
lineare tra queste e l’imprenditorialità, il modello econometrico viene formulato come in
(3).
'ir ir iry u �X ȕ (3)
dove iry , la variabile dipendente, è il tasso di natalità imprenditoriale e iru è un termine
di errore composito che include due componenti fisse, una invariante per settore ed una
invariante per provincia, ed una componente causale estratta da una distribuzione, i cui
valori sono indipendenti e identicamente distribuiti. Il modello nell’equazione (3) è prima
stimato utilizzando lo stimatore pooled OLS, che produce stime inconsistenti a causa
della correlazione tra le componenti fisse del temine di errore e le variabili esplicative, e
in seguito rifinito introducendo effetti fissi settoriali e provinciali. L’inferenza statistica
11
sui parametri è basata su stime robuste delle deviazioni standard (DS), come descritto in
Cameron e Trivedi (2010).11
Gli effetti fissi settoriali sono introdotti tramite una serie di dummy mentre gli effetti
provinciali sono considerati sia come effetti fissi, nel qual caso si usa uno stimatore
"within", sia come effetti casuali usando lo stimatore GLS appropriato.
L’espressione generale per il modello con effetti individuali è specificata nell’equazione
(4). La scelta tra lo stimatore a effetti fissi (FE-within) e quello a effetti casuali (RE-gls)
viene in genere eseguita sulla base del valore della statistica di Hausman, che confronta i
risultati degli stimatori RE e FE. Essendo entrambi gli stimatori consistenti in caso di
effetti casuali (H0) lo stimatore RE sarà da preferire in quanto più efficiente, mentre
nell’ipotesi di effetti fissi (Ha) sarà preferito lo stimatore FE, data l’inconsistenza dello
stimatore RE.
'ir i ir iry D H � �X ȕ (4)
Sfortunatamente, il test di Hausman può essere condotto soltanto se i termini di errore
sono indipendenti e se lo stimatore RE è effettivamente efficiente (in questo caso non è
richiesta una correzione delle DS). Poichè questo non è garantito in tale esercizio, si
applica un Wald test che utilizza errori standard robusti riportato da Cameron e Trivedi
(2010) e basato su Wooldridge (2002). I risultati di questo test indicano chiaramente che
lo stimatore FE è da preferire in questo caso e, di conseguenza, che gli effetti fissi iD
nell’equazione (4) (effetti fissi provinciali che non variano tra i settori della stessa
provincia) sono correlati con l'insieme delle variabili esplicative 'irX . La rimanente parte
del termine di errore composito ir ir iuH D � è idiosincratica e non correlata con le 'irX .
L’utilizzo di questo stimatore comporta l’esclusione della variabile U che, essendo
costante nel settore, risulta multicollineare al set di effetti fissi provinciali.
Poiché l’inclusione di effetti fissi non permette di verificare il ruolo di una variabile
importante come il tasso di disoccupazione, si sfruttano i vantaggi della specificazione
proposta da Mundlak (1978) per evitare questa limitazione. In questo caso il modello a
effetti fissi può essere considerato come un caso speciale del modello a effetti casuali in
cui le medie delle variabili che mostrano anche la dimensione settoriale sono aggiunte
alla specificazione. Di conseguenza tutte le variabili sono incluse nel modello e gli effetti
fissi sono tenuti in considerazione.
11 Seguendo la discussione in Cameron e Trivedi (2010) la correzione delle DS viene mantenuta in tutti i modelli stimati nel presente contributo.
12
Il controllo della robustezza dei risultati, per quanto concerne il contributo delle singole
variabili, viene effettuato sostituendo il tasso di natalità (NF) con il numero di nuove nate
(NEWFIRMS) per trattare meglio i casi in cui il tasso di imprenditorialità è fortemente
influenzato da un basso denominatore che riflette uno stadio poco avanzato di sviluppo
industriale. In questo caso un modello count per dati panel è utilizzato (5).
� �1
,1 1,
, 1 1 1,
( )Pr | ,
( ) ( 1)
i ryi r
i ri r
yY y
y
DD D PP DD D P P D
�� �
� � �
* � § · § · ¨ ¸ ¨ ¸* * � � �© ¹© ¹
(5)
dove � � * � è una funzione Gamma (Cameron e Trivedi, 2010). Il modello nell’equazione
(5) spiega la probabilità di registrare il numero di imprese iry nella provincia i, nel
settore r attraverso l’effetto delle variabili esplicative 'irX sul valore atteso di y �
specificato come � � '| , exp( )irE y P D P X ȕ . Poiché il numero di nascite può essere
più alto nelle zone più industrializzate, il logaritmo del numero dei dipendenti nella
provincia e nel settore nel 2003 è incluso tra i regressori con un coefficiente unitario. Ciò
corrisponde genericamente all’uso del numero di dipendenti come denominatore della
variabile dipendente NF e dovrebbe produrre effetti meno distorsivi, benché in parte più
oscuri dovuti ai numerosi elementi di non linearità che caratterizzano (5), sulle stime
empiriche.
4. I principali risultati
Le stime del modello di scelta imprenditoriale che considera gli effetti agglomerativi sono
presentate nelle Tabelle 2 e 3 rispettivamente per l'Emilia Romagna e per l'Italia. In
entrambe le tabelle, i risultati nella prima e nella seconda colonna sono ottenuti
utilizzando lo stimatore pooled OLS, rispettivamente senza e con gli effetti fissi settoriali.
Gli effetti fissi provinciali sono introdotti in colonna 3 per correggere le distorsioni
provenienti dall’omissione di caratteristiche specifiche delle province. Queste ultime
possono catturare la qualità delle istituzioni e della governance locale, o ancora altre
variabili che influenzano sia la produttività a livello locale sia il grado d’incertezza sulle
future opportunità e dunque le scelte imprenditoriali.
L’introduzione degli effetti fissi impedisce la stima del coefficiente per il tasso di
disoccupazione (U). Le stime in quarta colonna vengono ottenute utilizzando la
specificazione di Mundlak (1978) e includendo sia gli effetti fissi sia il tasso di
disoccupazione (U).
13
<Tabella 2>
In accordo con le attese, esiste una forte spinta alla nuova imprenditorialità proveniente
da un alto livello di disoccupazione locale mentre il coefficiente sul salario è negativo e
significativo nel modello senza effetti fissi. Le evidenze fin qui supportano la scelta del
modello imprenditoriale come base della nostra analisi empirica. Il coefficiente del
salario diventa però non significativo a seguito dell’introduzione degli effetti fissi
settoriali. A nostro avviso, questo risultato è dovuto ad una maggior variabilità del salario
secondo la sua dimensione inter-settoriale rispetto a quella inter-provinciale oppure ai
fattori fissi che assorbono la variabilità del valore aggiunto, dato che quest'ultimo non è
incluso nella regressione a causa della sua elevata correlazione con U. Ponendo
l’attenzione sui fenomeni agglomerativi, sembra che l’imprenditorialità in Emilia
Romagna sia guidata dalla presenza di diversità settoriale. La combinazione di
coefficienti positivi per la diversità e per il grado di competizione locale, in contrasto a un
coefficiente negativo per la specializzazione produttiva, porta a concludere che ambienti
dinamici caratterizzati dalla presenza di tante piccole imprese operanti in diversi settori
incoraggino l’imprenditorialità in Emilia Romagna.
L’inclusione di effetti fissi nel modello, sia attraverso la trasformazione within, sia
attraverso la specificazione di Mundlak (1978), non altera l’essenza dei risultati nelle
prime due colonne. L’ipotesi di una spinta all'imprenditorialità per uscire dalla
disoccupazione è verificata e confermata di concerto con il sempre non significativo,
nonostante il segno atteso, coefficiente per il salario. Anche dopo l’inclusione delle
caratteristiche locali che influenzano sia la produttività sia l’incertezza, la diversità
industriale sembra essere la forza agglomerativa in grado di determinare la formazione di
nuove imprese nel territorio. Nell’ultima colonna il coefficiente della specializzazione
diventa significativo, ma mantiene anche in questo caso il segno negativo. Il coefficiente
positivo per la competizione locale può certamente essere interpretato alla luce della
piccola dimensione media delle imprese che caratterizza le province dell’Emilia
Romagna.
<Tabella 3>
Risultati solo parzialmente simili caratterizzano il modello stimato per l’insieme delle
province italiane (Tabella 3) e per le sole province emiliane (Tabella 2). Viene
confermata la forte spinta proveniente dal livello di disoccupazione provinciale in tutti i
modelli ed il significativo coefficiente per il salario quando gli effetti fissi industriali
vengono esclusi dal modello. Al contrario, il coefficiente per la specializzazione
produttiva delle province italiane, pur mantenendo il segno negativo, risulta significativo
in ogni specificazione. Il coefficiente per la competizione locale mantiene il segno
14
positivo e la significatività, indipendentemente dalla specificazione adottata e dal livello
geografico considerato, mentre il ruolo della diversità settoriale scompare, poiché la sua
significatività si annulla a seguito dell’introduzione degli effetti fissi provinciali nella
specificazione.
Concentrando l’attenzione sull’ultima specificazione (Mundlak, 1978) di entrambe le
tabelle, è possibile sintetizzare l'evidenza che emerge comparando il campione delle
province emiliane con l’insieme delle province italiane. In particolare notiamo come la
spinta proveniente dalla disoccupazione sia notevolmente più forte per l’Emilia Romagna
che per l’Italia. Il risultato si può spiegare notando come piccole variazioni nel tasso di
disoccupazione locale, a fronte di un basso livello medio regionale, inducano una
sensibile spinta all'imprenditorialità che potrebbe risultare maggiore rispetto a quella
registrata a fronte della stessa variazione del più alto tasso di disoccupazione nazionale.
Per quanto riguarda invece le esternalità di agglomerazione, l’immagine dell’Italia, in cui
le diseconomie di specializzazione sembrano limitare significativamente la natalità
imprenditoriale, si contrappone a quella dell’Emilia Romagna che vede la natalità legata
ai vantaggi della diversità industriale. In entrambi i casi emerge un ruolo positivo per la
competizione locale che però sembra avere una portata maggiore nel caso delle province
dell’Emilia Romagna.
Alla luce dei risultati, il coefficiente per la variabile di specializzazione, negativo in
entrambi i casi sebbene significativo solo per il campione di province italiane, richiede
una più attenta interpretazione. Esternalità positive legate alla specializzazione produttiva
sono presentate in letteratura come il risultato della presenza sia di localized knowledge
spillovers sia di forze di mercato che rendono conveniente la localizzazione. Il
manifestarsi dei primi è legato alla comune base di conoscenza tra i lavoratori dello stesso
settore, i quali possono più facilmente scambiare informazioni utili e conoscenze
tipicamente tacite tramite contatti personali. Il manifestarsi delle seconde è la
conseguenza delle spinte di mercato dovute alla concentrazione di particolari risorse quali
materie prime, manodopera qualificata o anche fornitori intermedi. Entrambi i
meccanismi sembrano però essere particolarmente rigidi e scarsamente mutevoli, specie
nelle industrie mature. È possibile che questo tipo di esternalità possano quindi produrre
un effettivo vantaggio per le sole imprese che hanno rispettivamente già accumulato una
significativa base di conoscenza (del settore, del mercato e dei competitors) necessaria
per competere (nel caso di esternalità legate a knowledge spillovers); che basano l’attività
produttiva su un business network consolidato (nel caso dei esternalità di mercato) e che
sono integrate nell’ambiente produttivo locale. Al contrario queste esternalità potrebbero
essere poco efficaci, se non perfino vere e proprie barriere, per le imprese entranti. Tali
interazioni, complesse e difficilmente osservabili, sono approssimate in modo imperfetto
15
dalle dummies settoriali introdotte nei presenti modelli empirici. A fortiori, l'uso di un
semplice set di dummies settoriali per tenere traccia dei rispettivi effetti fissi potrebbe
essere la causa intrinseca dell'inatteso risultato rilevato per la specializzazione.
Nonostante l'evidenza empirica presentata possa dirsi interessante, alcuni potenziali limiti
affliggono le stime riportate nelle Tabelle 2 e 3. La misura utilizzata come indicatore di
diversità industriale non è la preferita in letteratura e pertanto l’attendibilità dei risultati
potrebbe essere compromessa. Il tasso di disoccupazione, non essendo calcolato a livello
di settore produttivo, riflette condizioni generali nel mercato del lavoro associate anche ai
servizi e alle altre attività non manifatturiere. Il valore aggiunto deve necessariamente
essere omesso dalla specificazione del modello a causa dell’alta correlazione negativa
proprio con il tasso di disoccupazione. Infine, il tasso di natalità può rivelarsi inadeguato
poichè è fortemente influenzato dal piccolo numero di dipendenti, usato come
denominatore nel suo calcolo. Questa ipotesi è tutt’altro che irrealistica se si lavora con
livelli di disaggregazione industriale e geografica così elevati benchè l'utilizzo di
grandezze cumulate negli anni di riferimento riducano l'incidenza di questo problema.
Nelle Tabelle 4 e 5 si mostrano i risultati dei controlli di robustezza eseguiti, per l'Emilia
Romagna e l'Italia rispettivamente, per testare la rilevanza dei limiti discussi.
Nella prima colonna, la misura di diversità è stata sostituita con il più comune indice di
Herfindhal, che nelle stime risulta essere non significativo. Due ragioni possono spiegare
questo fenomeno. Da un lato l’indice non varia tra i settori e dunque è probabile che sia
molto correlato con gli effetti fissi provinciali. Dall’altro lato, la specializzazione è
positivamente correlata, per costruzione, con l’indice di Herfindhal. Infatti, un’area che
sia fortemente specializzata in un particolare settore avrà un sistema economico
probabilmente molto concentrato nello stesso settore. L’aumento del valore del
coefficiente di specializzazione produttiva e del suo livello di significatività, dopo la
sostituzione della misura di diversità con l’indice di Herfindhal, supportano
empiricamente questa seconda ipotesi.
Nella seconda colonna la misura generica di disoccupazione (U) è sostituita con la più
specifica crescita dell'occupazione (EMP GR) ed il modello viene stimato usando lo
stimatore within, poichè tutte le variabili sul lato destro della specificazione variano sia
nella loro dimensione settoriale sia geografica. I risultati appaiono robusti anche a questo
cambiamento nel set di variabili esplicative e i coefficienti nella seconda colonna della
Tabella 4 replicano quelli della terza e quarta colonna della Tabella 212. È però importante
notare che la stima del coefficiente per la crescita occupazionale potrebbe essere distorta
12 La significatività del coefficiente per la specializzazione è molto vicina al 10% con un p-value di 0.11.
16
a causa dell’endogeneità legata agli effetti di feedback, che vanno dalla natalità
imprenditoriale alla crescita occupazionale, considerando - in particolar modo - che le due
variabili sono misurate nello stesso arco temporale.
Nell’ultima colonna la variabile dipendente è stata sostituita con il numero di nuove
imprese nate suggerendo l'uso di un modello basato su una distribuzione binomiale
negativa del fenomeno casuale sottostante i nostri dati. La crescita occupazionale viene
mantenuta tra i regressori in modo da poter sfruttale lo stimatore a effetti fissi per il
modello binomiale negativo.
<Tabella 4>
<Tabella 5>
L’introduzione dell’indice di Herfindal non cambia i risultati circa il ruolo della diversità
industriale, che rimane positiva in entrambi i casi ma non significativa per il campione di
province Italiane. Al contrario la specializzazione produttiva, pur mantenendo in entrambi
i casi il segno negativo, diventa significativa per le province italiane e per il campione di
province emiliane. L’aumento del valore del coefficiente per la specializzazione
produttiva, e il conseguente cambiamento nei livelli di significatività, sono probabilmente
da imputare al fatto che l’indice H, al contrario di DIV, non varia nella propria
dimensione settoriale. La variabilità della distribuzione dei dipendenti nelle industrie
della provincia è quindi completamente catturata solo dalla variabile SPEC che, non
sorprendentemente, risulta più significativa.
I risultati, in entrambi i casi, sono robusti alla sostituzione del generico indicatore di
disoccupazione con la più specifica EMP GR. Le stime per la significatività delle tre
ipotesi formulate circa le economie di agglomerazione rimangono invariate: il quadro
italiano sembra caratterizzato da diseconomie di specializzazione mentre quello emiliano
appare caratterizzato da esternalità legate alla diversità industriale a fronte di un comune
impatto positivo della competizione locale sulla natalità imprenditoriale. Le differenze tra
i coefficienti stimati per il campione di province emiliane ed italiane persistono anche
dopo l'uso di EMP GR.
Infine, l'utilizzo di una metodologia primariamente sviluppata per dati count, non altera le
conclusioni precedentemente sviluppate sulla base dei risultati del modello lineare.
Benché i coefficienti non siano confrontabili per dimensione tra i due modelli, i segni e la
significatività non subiscono rilevanti cambiamenti. Questo è verificato per le economie
di agglomerazione mentre la variabile EMP GR risulta non significativa ai convenzionali
livelli.
17
5. Conclusioni
All’interno della letteratura sullo sviluppo regionale un ruolo di particolare importanza
viene riservato alla natalità imprenditoriale, come fenomeno in grado di veicolare
vantaggi localizzativi in un percorso di sviluppo economico. In questo lavoro si focalizza
l’attenzione su una particolare tipologia di vantaggi localizzativi: le economie di
agglomerazione. L’obiettivo è quello di determinare le caratteristiche di una struttura
industriale che stimoli la formazione di nuove imprese. Nello studio di tali caratteristiche,
le province dell’Emilia Romagna sono state separate dal resto delle province italiane nel
tentativo di fornire una spiegazione (tra le varie) della superiore performance economica
della regione, rispetto al resto delle regioni italiane, e di comprendere in quale misura, da
questo angolo di osservazione, si possa parlare di “modello emiliano”.
I risultati empirici delineano, per l’Italia e per l’Emilia Romagna, due scenari simili ma
che solo in parte si sovrappongono. Le spiegazioni più tradizionali per il fenomeno della
natalità imprenditoriale trovano conferma nei risultati del modello empirico. In
particolare si riconferma l’ipotesi che la natalità sia fortemente legata alle spinte
provenienti dalle scarse opportunità d’impiego nel mercato del lavoro, il cosiddetto
“unemployment push”. Allo stesso modo la profittabilità e le opportunità in ogni singolo
settore, qui - ed a causa dei particolari dati utilizzati - solo parzialmente approssimati da
una serie di effetti fissi industriali, guidano le scelte imprenditoriali più di quanto il
salario da lavoro dipendente, considerato l’alternativa risk-free all’avvio di una nuova
attività, non scoraggi questa scelta. In generale questi risultati sono validi tanto per
l’Emilia Romagna quanto per l’Italia nel suo insieme.
Le spiegazioni centrate sul ruolo delle economie di agglomerazione contrappongono
invece l’idea di un’Italia in cui la natalità imprenditoriale è fortemente influenzata dalla
presenza di diseconomie di specializzazione a quella di un’Emilia Romagna in cui la
significativa formazione di nuove imprese è il risultato di nuove opportunità di mercato
offerte dalla concentrazione geografica di una diversità di settori industriali. In generale la
natalità è agevolata dalla piccola dimensione media delle imprese esistenti sul territorio,
anche se i risultati indicano questo fenomeno è più rilevante nelle province emiliano-
romagnole.
Questo risultato sembra poter utilmente stimolare la riflessione sulla natalità nei diversi
contesti industriali italiani. Il confronto tra il ruolo delle (dis)economie di
specializzazione, della diversità settoriale e della competizione può essere certamente di
forte utilità nel comprendere le specificità dei modelli di sviluppo della manifattura
italiana nei territori.
18
L’Emilia Romagna conferma sia l’evidenza empirica più volte presentata in letteratura,
ovvero un contesto territoriale nel quale il dinamismo imprenditoriale è stimolato dalle
spinte derivanti dalle tensioni sul mercato del lavoro, nonché dalle opportunità fornite da
un territorio che possiede specificità importanti, ma sia l'espressione di una rilevante
presenza imprenditoriale in una pluralità di settori. Quest’analisi potrebbe supportare,
indirettamente, anche alcune recenti scelte di politica economica regionale e territoriale.
Queste si sono orientate a non soffermarsi eccessivamente sulla specializzazione
distrettuale, relativamente enfatizzata nella politica industriale regionale di regioni
limitrofe (per esempio, Veneto e Lombardia), ma ad indirizzarsi verso il supporto di
piattaforme tecnologiche da un lato (in cui l’enfasi settoriale è attenuata dalla tecnologia
comune o trasferibile) e di cluster industriali, spesso caratterizzati da un carattere di
trasversalità settoriale, dall'altro. In altre parole, sembra che le politiche economiche
regionali implicitamente riconoscano l' importanza della diversità settoriale, confermando
le caratteristiche di un modello in cui la piccola-media impresa determina una notevole
vivacità imprenditoriale proprio come evocato da Brusco (1980).
19
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22
Tabella 1 Aggregazione dei settori ATECO 81 disponibili nella classificazione INPS
Classificazione ATECO 81 Codice Settori Aggregati Alimentare A1
Alimentare e Tabacco Zucchero, Bevande, altri alimentari e Tabacchi A2Tessile B1
Tessile, Pelli e Calzature Pelli e Cuoio B2 Scarpe e Vestiario B3 Legno C Legno Carta ed editoria D Carta ed editoria Coke E1
Petrolio e minerali Petrolio E2 Gomma e manifattura mi materiali plastici F Gomma e PlasticaTrasformazione di minerali non metalliferi G Minerali non metalliferi Chimica H1
Chimica e fibre sintetiche Produzione di fibre artificiali e sintetiche H2 Produzione e prima trasformazione di prodotti metalliferi I1
Metalli Costruzione di prodotti metalliferi (esclusi macchinari e materiali di trasporto) I2 Costruzione e istallazione di macchinari e altro material meccanico J Meccanica Costruzione e assemblaggio di veicoli di trasporto, parti ed altri accessori K1
Veicoli di trasporto Costruzione di altri veicoli di trasporto K2 Costruzione di strumenti di precisione; strumenti medici, ottici e similari; orologi L Strumenti di precisioneAltre manifatture M Manifatture diverse Costruzione, istallazione e mantenimento di macchine da ufficio e macchine per il trattamento dati N1
Macchinari da ufficio e computers Costruzione, istallazione e mantenimento di sistemi (esclusi i computers) N2 Note alla Tabella 1:l’industria classificata come “manifatture diverse” non compare nel dataset finale e non è utilizzata nei calsoli dei vari numeratori delle diverse variabili. Viene comunque considerate nel calcolo del numero di dipendenti totali della provincia.
23
Tabella 2 Stime dei modelli (3), (4) e Mundlak (1978) per l'Emilia Romagna
Pooled Pooled Fixed effects Mundlak (1978) U 1.8737***
(0.6548) 1.4116*** (0.3217) § 1.2729***
(0.3192) W -0.1194***
(0.0322) -0.0101 (0.0298)
-0.0148 (0.0261)
-0.0147 (0.0269)
SP -0.1375 (0.1186)
-0.2987*** (0.0864)
-0.2352 (0.1509)
-0.2339 (0.1570)
COMP 0.0346* (0.0185)
0.1032*** (0.0201)
0.0968*** (0.0115)
0.0983*** (0.0128)
DIV 5.5398*** (1.4025)
3.3309*** (0.8989)
4.5774* (2.0702)
4.5346** (2.1917)
Intercetta -8.6578*** (1.5530)
-5.9624*** (0.9450)
-4.9748*** (1.5470)
-7.5900*** (1.7405)
Dummies Settoriali No Sì Sì Sì Statistiche diagnostiche N° Osservazioni 94 94 94 94
2R 0.35 0.89 § § F(5, 88) 13.61*** § § § F(17, 76) § 46.65*** § §
2 (8)F ~ § § 1351.42*** § Note alla Tabella 2: § indica non applicabile al modello, deviazione standard robusta in parentesi, ~ statistica Sargan-Hansen per la scelta tra RE e FE in presenza di stimatore RE quasi-efficiente. (Wooldridge, 2002). H0 = RE e FE sono equivalenti ma RE è più efficiente; H1 = RE è inconsistente.
Tabella 3 Stime dei modelli (3), (4) e Mundlak (1978) per l'Italia
Pooled Pooled Fixed effects Mundlak (1978) U 0.8186***
(0.0617) 0.8254*** (0.0429) § 0.7752***
(0.0578) W -0.1186***
(0.0150) 0.0074 (0.0151)
-0.0162 (0.0142)
-0.0221 (0.0142)
SP -0.4376*** (0.0519)
-0.5703*** (0.0478)
-0.5956*** (0.0970)
-0.5858*** (0.0961)
COMP 0.0163*** (0.0017)
0.0164*** (0.0021)
0.0156*** (0.0021)
0.0160*** (0.0022)
DIV 1.1513*** (0.3723)
0.8248*** (0.2392)
0.6219 (1.3270)
0.7334 (1.3265)
Intercetta -4.0496*** (0.2727)
-3.3453*** (0.2137)
-1.3284 (0.9945)
-6.8535*** (1.2234)
Dummies settoriali No Sì Sì Sì Statistiche Diagnostiche Osservazioni 1080 1080 1080 1080
2R 0.41 0.70 § § F(5, 1074) 97.28*** § § § F(17, 1062) § 88.78*** § §
2 (14)F ~ § § 843.18*** § Note alla Tabella 3: § indica non applicabile al modello, deviazione standard robusta in parentesi, ~ statistica Sargan-Hansen per la scelta tra RE e FE in presenza di stimatore RE quasi-efficiente. (Wooldridge, 2002). H0 = RE e FE sono equivalent ma RE è più efficiente; H1 = RE è inconsistente.
24
Tabella 4 Controlli di robustezza per l'analisi sulle provincie emiliano romagnole
Mundlak (1978) Fixed Effects Negative Binomial U 1.2456***
(0.1952) § §
W -0.0121 (0.0340)
-0.0139 (0.0267)
-0.0378 (0.0289)
SP -0.4630*** (0.0671)
-0.2386 (0.1485)
-0.1956* (0.1150)
COMP 0.1121*** (0.0118)
0.0940*** (0.0128)
0.1422*** (0.0161)
DIV § 4.3863* (2.1086)
2.9310† (1.8413)
Intercetta -8.9110*** (0.8541)
-4.8623*** (1.5608)
-6.1844*** (1.3722)
H 7.2849** (3.0574) § §
EMP GR § 0.5497*** (0.1659)
0.0696 (0.2708)
Dummies settoriali Sì Sì Sì Veriabile mantenuta costante § § Occupazione Statistiche Diagnostiche N° Osservazioni 94 94 101 Wald � �2 17F § § 689.31*** Log-verosimiglianza § § -383.68 Note alla Tabella 4: § indica non applicabile al modello, deviazione standard robusta in parentesi, † denota una variabile significativa all'11%.
Tabella 5 Controlli di robustezza per l'analisi sulle provincie italiane
Mundlak (1978) Fixed Effects Negative Binomial U 0.7844***
(0.0587) § §
W -0.0216 (0.0141)
-0.0274** (0.0130)
-0.0279*** (0.0097)
SP -0.6252*** (0.0534)
-0.4959*** (0.0698)
-0.4610*** (0.0306)
COMP 0.0163*** (0.0022)
0.0126*** (0.0019)
0.0091*** (0.0004)
DIV § 1.4980 (1.0053)
0.0637 (0.2821)
Intercetta -7.3729*** (1.0344)
-1.9369*** (0.7409)
-4.6373*** (0.2336)
H 0.6055 (0.6931) § §
EMP GR § 1.1327*** (0.1696)
1.1326*** (0.1081)
Dummies settoriali Sì Sì Sì Variabile mantenuta costante § § Occupazione Statistiche diagnostiche Osservazioni 1080 1078 1151 Wald � �2 17F § § 5334.74*** Log-verosimiglianza § § -5021.25 Note alla Tabella 5: § indica non applicabile al modello, deviazione standard robusta in parentesi.