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1 Agglomerazione ed Imprenditorialità in Italia ed in Emilia Romagna: evidenze empiriche nelle industrie manifatturiere Giovanni Guastella a , Francesco Timpano b1 , Mario Veneziani c a Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza – Scuola di Dottorato in Politica Economica b Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza – Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali c Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza – Facoltà di Agraria, Istituto di Economia Agro-Alimentare INTRODUZIONE La nascita e lo sviluppo di nuove imprese è considerato uno dei segnali di dinamismo di un contesto territoriale. Le determinanti di questo fenomeno sono studiate in letteratura ma raramente poste in relazione con alcuni temi propri dello sviluppo industriale territoriale. In particolare, queste concernono specifiche caratteristiche del territorio ivi comprese questioni rilevanti come l’agglomerazione di imprese come approssimato dalla specializzazione produttiva, dalla diversità tra i settori dell’economia e dal grado di competizione locale. Il presente lavoro affronta questi aspetti attraverso un confronto tra le caratteristiche proprie delle attività manifatturiere italiane nel loro complesso e dell’Emilia Romagna utilizzando dati a livello provinciale. Il focus regionale è dettato dal tentativo di identificare un modello di sviluppo industriale che, nonostante l’Emilia Romagna sia posizionata a ridosso delle aree produttive legate al “triangolo industriale” del Nord- Ovest, è cresciuta sviluppandosi all’interno del modello tipico della Terza Italia. Rispetto a queste aree l'Emilia Romagna ha assunto proprie specificità che questo studio intende indagare nel confronto con il resto del paese. Dopo una sintetica rassegna della letteratura, che fornisce il quadro di riferimento all’interno del quale il modello di scelta imprenditoriale è sviluppato, si presentano i dati utilizzati e la specificazione del modello prescelta. Un paragrafo è quindi dedicato ai 1 Per la corrispondenza: Francesco Timpano, DiSES, Università Cattolica del Sacro Cuore, Via Emilia Parmense, 84, 29122, Piacenza, (PC), Italy. Email: [email protected]

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Agglomerazione ed Imprenditorialità in Italia ed in Emilia Romagna: evidenze empiriche nelle industrie manifatturiere

Giovanni Guastellaa, Francesco Timpanob1, Mario Venezianic

a Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza – Scuola di Dottorato in Politica Economica b Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza – Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali c Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza – Facoltà di Agraria, Istituto di Economia Agro-Alimentare

INTRODUZIONE

La nascita e lo sviluppo di nuove imprese è considerato uno dei segnali di dinamismo di

un contesto territoriale. Le determinanti di questo fenomeno sono studiate in letteratura

ma raramente poste in relazione con alcuni temi propri dello sviluppo industriale

territoriale. In particolare, queste concernono specifiche caratteristiche del territorio ivi

comprese questioni rilevanti come l’agglomerazione di imprese come approssimato dalla

specializzazione produttiva, dalla diversità tra i settori dell’economia e dal grado di

competizione locale.

Il presente lavoro affronta questi aspetti attraverso un confronto tra le caratteristiche

proprie delle attività manifatturiere italiane nel loro complesso e dell’Emilia Romagna

utilizzando dati a livello provinciale. Il focus regionale è dettato dal tentativo di

identificare un modello di sviluppo industriale che, nonostante l’Emilia Romagna sia

posizionata a ridosso delle aree produttive legate al “triangolo industriale” del Nord-

Ovest, è cresciuta sviluppandosi all’interno del modello tipico della Terza Italia. Rispetto

a queste aree l'Emilia Romagna ha assunto proprie specificità che questo studio intende

indagare nel confronto con il resto del paese.

Dopo una sintetica rassegna della letteratura, che fornisce il quadro di riferimento

all’interno del quale il modello di scelta imprenditoriale è sviluppato, si presentano i dati

utilizzati e la specificazione del modello prescelta. Un paragrafo è quindi dedicato ai

1 Per la corrispondenza: Francesco Timpano, DiSES, Università Cattolica del Sacro Cuore, Via Emilia Parmense, 84, 29122, Piacenza, (PC), Italy. Email: [email protected]

2

principali risultati delle stime ed infine un paragrafo alle conclusioni. Queste disegnano

per l’Emilia Romagna alcune specificità cruciali per interpretarne il modello di sviluppo

dal punto di vista della natalità imprenditoriale. In particolare, sembra definirsi in modo

chiaro un modello in cui la diversità settoriale gioca un ruolo decisivo nella spiegazione

del fenomeno.

1. Economie di agglomerazione e imprenditorialità: dall'analisi della letteratura all’ipotesi

di lavoro

Gli sviluppi nei filoni della letteratura economico-teorica nell'ambito della New Growth

Theory e New Economic Geography hanno riconosciuto nella presenza di rendimenti

crescenti dei fattori di produzione il principale fattore di sviluppo endogeno delle

economie (Romer, 1986; Lucas, 1988; Krugman, 1991). Molto rimane però ancora da

capire su quali siano i meccanismi effettivamente in grado di tradurre la semplice

concentrazione dei fattori produttivi in benefici economici. In questo contesto, la

letteratura empirica sta sviluppando un interesse particolare per il fenomeno

dell’imprenditorialità visto come momento in cui la conoscenza accumulata, a seguito

della concentrazione di fattori produttivi, si trasforma in conoscenza economicamente

rilevante (Braunerhjelm et al., 2010). Infatti, l'imprenditorialità costituisce uno dei tre

meccanismi2 di diffusione geografica della conoscenza all’interno di un’economia

(Audretsch e Feldman, 2004). Inoltre, la nascita di nuove imprese può anche derivare dal,

e manifestare il, meccanismo Shumpeteriano di distruzione creativa in grado di generare

sviluppo endogeno (Aghion e Howitt, 1992).

L’analisi dell’imprenditorialità

Lo studio dell’imprenditorialità è un tassello importante nella attività di comprensione

dello sviluppo economico, soprattutto a livello locale e regionale3, perché la variabilità

geografica della prima fornisce informazioni utili circa i divari territoriali di sviluppo.

Come notano Santarelli e Vivarelli (2007) questa variabilità può essere spiegata sia da

fattori legati all’ambiente macroeconomico sia dall’eterogeneità nelle caratteristiche

individuali dei potenziali imprenditori (i.e., fattori micoreconomici). Sebbene questo

secondo fattore sia di fondamentale importanza, soprattutto nel determinare le probabilità

2 Gli altri due meccanismi identificati da Audretsch e Feldman (2004) sono la mobilità dei lavoratori e la cooperazione tra imprese in progetti di ricerca.

3 Per una rassegna della recente letteratura empirica sul legame tra imprenditorialità e sviluppo economico consultare van Praag e Versloot (2007).

3

di sopravvivenza e la profittabilità delle nuove imprese4, quelli macroeconomici hanno

storicamente ricevuto maggior attenzione, soprattutto nelle analisi a livello territoriale

aggregato, anche a causa di una limitata disponibilità di dati adeguati a svolgere un'analisi

a livello microeconomico. Lo studio empirico delle variazioni interregionali

dell’imprenditorialità registra uno spostamento dell’attenzione dalle motivazioni più

tradizionali, legate alla profittabilità settoriale e alla situazione nel mercato del lavoro

(Armington e Acs, 2002), alle caratteristiche del territorio e dei settori - diverse dalla sola

profittabilità - che favoriscono la creazione di nuove idee e lo sviluppo delle stesse

tramite la formazione di nuove imprese. Per esempio, Knoben et al. (2011) considerano la

crescita economica, la disoccupazione regionale, gli effetti agglomerativi, lo stock di

conoscenza regionale e le associate politiche economiche di sviluppo "locale" essere le

principali determinanti regionali dell'imprenditorialità.

Le economie di agglomerazione: tra specializzazione e diversità

Le economie di agglomerazione hanno suscitato particolare interesse, specie per quanto

concerne il loro contributo all'evoluzione dell'economia, anche locale. Le

conglomerazioni industriali concentrate in una specifica area geografica, denominate

clusters, sono una peculiare forma di agglomerazione economica. Questi clusters sono in

grado di auto-rigenerarsi (Klepper, 2007) proprio tramite la formazione di nuove imprese.

In virtù di questa capacità dei distretti di auto sostenersi nel lungo periodo, lo sviluppo

territoriale si evolve lungo traiettorie di crescita che dipendono da scelte pregresse a

livello territoriale e tecnologico (Martin e Sunley, 2006; Andersson e Koster, 2011). I

vantaggi che le imprese hanno nel localizzarsi in aree geografiche dove altre imprese

sono già presenti sono stati spiegati per la prima volta da Marshall (1890), che li ha

attribuiti alla presenza di manodopera specializzata, all’accesso diretto a fornitori (e

clienti) specializzati e ad involontari scambi di conoscenze tecniche (knowledge

spillovers) tra i lavoratori/imprenditori. Il tipico distretto Marshalliano è dunque

caratterizzato da una concentrazione geografica di imprese operanti nello stesso settore -

ipotesi MAR - (Marshall, 1890; Arrow, 1962; Romer, 1986). Successivamente ed

alternativamente, Jacobs (1969) ha attribuito l’innovazione più a scambi di conoscenze

tra industrie in settori diversi anziché simili. I vantaggi della diversità, caratteristica

propria per esempio delle città, sarebbero quindi i motivi per cui le imprese

preferirebbero localizzarsi in questi spazi urbani5, tentando di sfruttarne l'alto potenziale

innovativo.

4 Si vedano in proposito gli studi esaminati dagli stessi Santarelli e Vivarelli (2007). 5 Per questo motivo in letteratura queste esternalità vengono spesso chiamate economie di urbanizzazione.

4

Il dibattito empirico sul ruolo delle economie di agglomerazione, cominciato con il lavoro

pioneristico di Glaeser et al. (1992), non ha però ancora trovato una conclusione univoca.

In una recente meta-analisi, de Groot et al. (2009) trovano che le evidenze variano in base

al tipo di dati utilizzati ed alle variabili esplicative del modello. Possibili spiegazioni per

questa eterogeneità nei risultati sono fornite da Boschma e Frenken (2011). In particolare,

è possibile che la dicotomica definizione di agglomerazione (MAR vs Jacobs) risulti

eccessivamente semplicistica in un quadro in cui tanto l’eccesso, quanto la totale assenza,

di specializzazione ostacolano la diffusione di conoscenza6. Nel continuum tra

specializzazione e diversità possiamo utilmente identificare il concetto di related

varieties, ovvero di specializzazione non in un settore, bensì in diversi settori tra loro

interconnessi. Le interconnessioni stesse possono essere dovute a fattori di mercato quali

la domanda finale o all’uso di tecnologie comuni (Delgado et al., 2010). A sua volta la

prevalenza di uno dei due estremi del continuum è strettamente legata alla fase del ciclo

di vita del settore, sicché i settori nuovi e più dinamici sono caratterizzati da diversità

mentre la specializzazione predomina nella fase di maturità (Neffke et al., 2011).

Nonostante i lati oscuri del fenomeno, il dualismo tra specializzazione e diversità rimane

ancora al centro del dibattito accademico, specie se connesso alla nascita d'impresa.

Audretsch e Thurik (2001; 2004) propongono una riflessione interessante sul passaggio

dal modello teorico della Managed Economy, basato sull’accumulazione dei fattori

produttivi e quindi collegabile a MAR, al modello della Entrepreneurial Economy, più

flessibile e adatto ad interpretare il ruolo del capitale conoscitivo nelle economie

moderne, caratterizzato da dimensioni di variabilità, diversità e complessità. Gli elementi

chiave di questo cambiamento appaiono, a livello di impresa, la piccola dimensione e la

flessibilità nonché, a livello di ambiente esterno, la diversità e l’eterogeneità. Proprio la

piccola dimensione delle imprese del territorio si configura come uno degli elementi

critici per favorire lo sviluppo dell’imprenditorialità. Questo, sia perché l’assenza di

grandi imprese oligopolistiche sul territorio stimola la competizione tra le imprese,

promuovendo la creazione di nuove idee (Porter, 1990), sia perché una minore

dimensione minima efficiente implica inferiori barriere all’ingresso nonché una più

probabile sopravvivenza post-fondazione7.

Tre ipotesi sulle economie di agglomerazione

Tre ipotesi, nel complesso, sono state sviluppate in letteratura circa il ruolo delle

economie di agglomerazione nel promuovere la formazione delle nuove imprese (van

6 Si confronti l’articolo di Boschma (2005) circa il ruolo della distanza cognitiva per la collaborazione e lo scambio di conoscenze tra imprese.

7 Si veda ad esempio Lotti e Santarelli (2004).

5

Oort e Atzema, 2004). L’ipotesi MAR, secondo cui esternalità positive emergono in

presenza di specializzazione produttiva, e in situazioni di mercato non concorrenziale, che

permettono maggiore appropriabilità degli investimenti innovativi. L’ipotesi di Jacobs

(1969), opposta alla visione Marshalliana, per cui è la concentrazione spaziale di imprese

di piccole dimensioni e appartenenti a diversi settori a favorire la creatività e, di

conseguenza, l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali. E infine l’ipotesi di Porter

(1990), che condivide con l’ipotesi MAR il ruolo positivo della specializzazione

produttiva e con l’ipotesi di Jacobs (1969) l’importanza della struttura competitiva del

sistema industriale locale.

L’analisi teorica ed il contesto italiano

Nonostante i diversi tentativi di misurare generici effetti agglomerativi nello studio

dell’imprenditorialità a livello spaziale aggregato, e diversamente da quanto si osserva

per altri paesi8, la letteratura empirica sul tema in Italia rimane ancora vaga. Revelli e

Tenga (1989) analizzano la formazione di nuove imprese nelle province e nei settori

economici piemontesi nel periodo 1978-1983 e trovano un impatto positivo della

specializzazione produttiva e un effetto negativo della concentrazione industriale,

considerata come misura della mancanza di concorrenza9. Lo studio di Garofoli (1994),

condotto sia per l’intera economia sia per l’aggregato di industrie manifatturiere, riporta

simili risultati per le esternalità positive legate alla specializzazione e per l’effetto

negativo di una struttura dimensionale basata su grandi imprese. L’ipotesi di vantaggi

agglomerativi derivanti dalla diversità industriale è assente nel lavoro di Garofoli (1994)

mentre le economie di urbanizzazione (Jacobs, 1969) sono genericamente misurate con la

densità di popolazione e sembra abbiano un effetto positivo. Audretsch e Vivarelli (1995;

1996) tentano di misurare le esternalità legate alla presenza di distretti ed alla struttura

dimensionale delle imprese della provincia e trovano risultati significativi solo per la

seconda variabile.

Agli studi empirici sulle dinamiche di sviluppo delle imprese si sono accompagnate

analisi, di taglio usualmente più qualitativo, che tendono a fornire una descrizione del

modello di sviluppo italiano e quindi delle ragioni del manifestarsi di specifiche forme di

nuova imprenditorialità. Lo schema di riferimento più tradizionale è quello che vede

contrapposto il modello di sviluppo del triangolo industriale basato sulla grande impresa

della prima rivoluzione industriale al modello distrettuale, approfondito da Becattini

8 Si confrontino i lavori di Audretsch e Fritsch (1994) per la Germania, di Guesnier (1994) per la Francia e quelli di Bosma et al. (2008) e Knoben et al. (2011) per l’Olanda.

9 Si noti che, in questo caso, l’esclusione dalle stime delle caratteristiche territoriali e dei fattori riguardanti il mercato del lavoro (Revelli e Tenga, 1989) mettono in discussione la robustezza di questi risultati.

6

(1997) per la Toscana, ma anche da Bagnasco (1977) nel suo famoso contributo sulle

“Tre Italie” e da Piore e Sabel (1984). In questo contesto emerge la specializzazione

produttiva delle piccole e medie imprese italiane, fortemente integrate con il proprio

territorio di riferimento e capaci al tempo stesso di innovare e emergere nei mercati

internazionali. La struttura portante dell’economia italiana è, secondo queste analisi,

l’Italia distrettuale, specializzata in alcuni settori del manifatturiero tradizionale. Qui la

scelta imprenditoriale è fortemente connessa con le specificità del territorio sia sotto il

profilo dell’ambiente economico, sia sotto il profilo della capacità di condividere il sapere

necessario a determinare il successo imprenditoriale.

L’ipotesi di lavoro e l’applicazione al modello emiliano

Questo lavoro sottopone a test empirico le tre ipotesi circa la natura delle economie di

agglomerazione (specializzazione produttiva, diversità industriale, competizione locale)

utilizzando dati sull’imprenditorialità nel settore manifatturiero nelle province italiane.

Rispetto alla letteratura esistente per l’Italia, il lavoro contribuisce sottoponendo a test

empirico, utilizzando dati per il periodo 2003-2007, le tre ipotesi. Inoltre, la dimensione

spaziale e quella industriale, finora considerate separatamente, vengono qui analizzate

congiuntamente, utilizzando un panel che incrocia la classificazione territoriale

(province) con quella industriale (codici Ateco 2 cifre).

Il modello empirico di partenza è quello della scelta imprenditoriale, proposto da Knight

(1921), in cui la decisione di formare una nuova impresa è funzione della differenza tra i

profitti attesi e la remunerazione alternativa (il salario da lavoratore dipendente). Il tasso

di disoccupazione viene incluso per tener conto dell’ unemployment push ovvero

dell'incentivo a sfruttare l'imprenditorialità come metodo di uscita dalla disoccupazione.

Il modello viene poi esteso con tre variabili che misurano le rispettive ipotesi circa le

economie di agglomerazione e con effetti fissi che tengono conto sia dell’eterogeneità

spaziale sia delle specificità di ogni singolo settore.

L’analisi viene condotta per tutte le province del territorio Italiano e per l’Emilia

Romagna nel tentativo di evidenziare interessanti specificità nel processo di natalità

imprenditoriale a questi due livelli di aggregazione geografica. Questa ultima è una tra le

più ricche e produttive regioni d’Italia che, rispetto alle altre regioni confinanti ed

egualmente competitive, vanta una grado di specializzazione distrettuale relativamente

basso. L’Emilia Romagna costituisce tuttavia un interessante caso di studio dei fenomeni

agglomerativi perché, a differenza di altre regioni caratterizzate da una maggior presenza

di distretti, ha sperimentato lo sviluppo di un modello industriale basato sulla

decentralizzazione produttiva e sull’integrazione sociale, il cosiddetto Modello Emiliano

7

(Brusco, 1982). La prima caratteristica distintiva di tale "Modello" è la concentrazione di

piccole imprese in settori produttivi merceologicamente diversi ma interconnessi da

legami di subfornitura o tecnologici. In molte delle esperienze industriali citate da Brusco

(1982) i legami di input-output si incrociano con quelli tecnologici, dando vita a processi

di sviluppo tecnologico basati sull’apprendimento reciproco di fornitori e produttori.

Questi percorsi di sviluppo sono stimolati dalla relativamente piccola dimensione

d'impresa e dalla natura incrementale delle innovazioni che determinano, di conseguenza,

le strategie competitive, anche a livello internazionale. La seconda caratteristica distintiva

riflette un ambiente sociale che, nel contesto industriale della decentralizzazione

produttiva, promuove l’imprenditorialità come iniziativa individuale. La nuova impresa

nata dallo spin-off industriale finalizzato alla sub-fornitura, tipicamente si evolve fino a

diventare impresa operante, non più solo nel settore di origine ma anche e soprattutto, in

nuovi settori creando nuovi network con altri clienti e mercati. In un lavoro di Vianello

(2007) si riprende e si sintetizza bene il contributo di Brusco (1989) al riguardo:

"Alla prospettiva, per l’operaio, di diventare un piccolo imprenditore (Brusco, 1989:265) si somma qui la prospettiva, per il piccolo imprenditore, di emanciparsi dalla produzione “in conto terzi” e tentare “l’avventura del conto proprio” (Brusco, 1989:274)" (Vianello, 2007:14).

2. I dati utilizzati

Il dataset utilizzato è il risultato dell’aggregazione dei dati dell'Istituto Nazionale di

Previdenza Sociale (INPS) circa le registrazioni provinciali di nuove attività produttive in

Italia divise per settore (qui approssimato dai codici ATECO). Una volta fornito un

giudizio sulla natalità imprenditoriale a livello nazionale, si seleziona un campione di dati

per le sole province emiliano-romagnole sul quale si concentra l'attenzione del presente

lavoro. Il risultato è un panel in cui la non-convenzionale dimensione settoriale è

associata alla più diffusa dimensione spaziale delle province. La base dati è disponibile

pubblicamente sul sito dell’ INPS per gli anni tra il 2003 ed il 2007. I dati sono catalogati

in due differenti files, uno per le imprese e uno per i lavoratori dipendenti. Il primo

registra, utilizzando le classificazioni provinciali (per la dimensione spaziale) e ATECO

81 (per la dimensione settoriale), il numero d’imprese attive ogni anno, gli avvii e le

cessazioni di attività, nonchè il numero di lavoratori dipendenti, i nuovi posti di lavoro

creati grazie agli avvii e le perdite di posti di lavoro dovute a cessazioni. Il secondo

racchiude invece informazioni sul numero di dipendenti e sulle relative paghe, con

dettagli per tipo di lavoro (lavoratore semplice o impiegato), allo stesso livello di

disaggregazione geografica e settoriale. La combinazione di queste due fonti ha permesso

la creazione di un unico database, in cui le informazioni sul numero di nuove imprese e di

8

quelle esistenti sono tratte dal primo, mentre le informazioni sul numero di dipendenti e

sulle paghe sono tratte dal secondo.

Pur essendo disponibile un database INPS di microdati collezionati tramite apposite

procedure campionarie, riteniamo la base dati utilizzata in questo lavoro superiore poiché

permette di rappresentare il fenomeno al livello geografico d’interesse. L’utilizzo di dati

provenienti da procedure di campionamento renderebbe, infatti, complicata

l’interpretazione e la generalizzazione dei risultati a livello aggregato. Ciononostante, è

necessario riportare l'esistenza di alcuni problemi riscontrati riguardo il dataset preferito.

Da un lato, INPS raccoglie informazioni su ciascuna impresa che registra i propri

lavoratori presso l’istituzione, mentre non cattura gli individui che si auto-impiegano.

Questo potrebbe produrre disturbi nelle stime, perlomeno relativamente alle province e ai

settori in cui questo fenomeno costituisce una parte fondamentale della natalità

imprenditoriale. Dall’altro lato, è possibile che una nuova impresa non sia considerata

tale nel database se è il risultato dell’apertura di un nuovo stabilimento di un’impresa già

registrata in una differente provincia.

I dati elementari sono raccolti seguendo la classificazione a due cifre della nomenclatura

ATECO 81, determinando la rilevazione di ventidue settori. Si utilizza un’aggregazione

lessicografica per rendere l’analisi empirica più parsimoniosa e per allineare la

classificazione con la consuetudine nella letteratura di riferimento. Quest'ultima è basata

sulla più recente ATECO 2002, non disponibile nel database INPS di riferimento. La

Tabella 1 contiene le informazioni dettagliate circa la procedura di aggregazione.

<Tabella 1>

L’esercizio di aggregazione è stato eseguito trattando adeguatamente le informazioni

circa il salario medio nel settore (aggregato) e nella provincia. Per ogni provincia, è stato

calcolato il numero dei dipendenti (lavoratori e impiegati) in ogni settore aggregato come

semplice somma dei lavoratori e dei dipendenti nei settori aggregandi. Il salario di

lavoratori ed impiegati è in seguito costruito come media dei salari, in cui i numeri di

lavoratori e impiegati nei vari settori aggregandi sono utilizzati come pesi per la media

del settore e della categoria d'impiego (aggregazione settoriale). Inoltre, il salario medio

settoriale è ricavato come media ponderata del salario di lavoratori ed impiegati usando il

numero di lavoratori ed impiegati nel settore aggregato come pesi (aggregazione della

tipologia d'impiego). In entrambi i casi, i valori mancanti dei salari sono trattati come zeri

nel calcolo della media in quanto attribuibili alla mancanza di un numero positivo di

dipendenti nel settore e nella provincia.

9

Le variabili dipendenti utilizzate nell’esercizio empirico sono NEWFIRMS e NF. La

prima è il numero di nascite nel settore e nella provincia, nel periodo 2003-2007. La

seconda è il rapporto tra la prima e il numero di dipendenti nello stesso settore e provincia

nel 2003. I valori mancanti sono ancora una volta trattati come zeri.

Il modello spiega il comportamento di queste due misure di imprenditorialità attribuendo

la scelta imprenditoriale al confronto tra profitti attesi (VA) e salari (W), alla spinta

disoccupazionale (U) ed, inoltre, ai vantaggi agglomerativi. Valore aggiunto (VA) e tasso

di disoccupazione (U) provengono dall’ISTAT e non hanno dettaglio settoriale. Il

secondo, in particolare, è derivato dall’indagine annuale sulle forze lavoro e, a causa di un

cambiamento del sistema di raccolta dei dati avvenuto nel 2003, non è disponibile per il

primo anno oggetto d'analisi. Ammettendo possibili e indeterminate distorsioni nelle

stime, i valori per il 2003 sono stati sostituiti con quelli del 2004. Inoltre si sfrutta il

potenziale informativo della base dati INPS costruendo una misura della variazione degli

occupati nel periodo di riferimento (EMP GR) che, per costruzione, gode del dettaglio

settoriale. EMP GR è specificato come il tasso di crescita medio annuo (in log) del

numero di dipendenti nella provincia i, nel settore r, per il periodo 2003-2007. Il salario

medio (W) è invece ricavato dal database INPS.

Il contributo empirico consiste nella specificazione delle economie di agglomerazione che

la letteratura ha associato alla formazione di vantaggi localizzativi e, di conseguenza,

all’imprenditorialità. Nella parte empirica tre misure di agglomerazione quali la

specializzazione produttiva (SP), la competizione locale (COMP) e la diversità industriale

(DIV) sono considerate determinanti dell’imprenditorialità.

La definizione di SP usata qui è ,,

, ,

/ i ri r i

i r i rr i r

EEE E

¦¦ ¦¦

, dove ,i rE rappresenta il numero

di dipendenti nella provincia i e nel settore r , mentre COMP è costruito come

,,

, ,

/ i ri r i

i r i ri

FFE E

¦¦

dove ,i rF denota il numero di imprese nella provincia i e nel settore r .

Cerchiamo inoltre di migliorare la specificazione di DIV, rispetto al più comune indice di

Herfindal10 (H), con una misura proposta da Glaeser et al. (1992). Tale misura è calcolata

per ogni provincia e per ogni settore e può essere descritta come 5

, ''

,

i rr

i rr

EE

¦¦

, dove 'r è

10 Definito come

2

,

,

i ri

r i rr

EH

E

ª º§ ·« » ¨ ¸¨ ¸« »© ¹¬ ¼

¦ ¦ , in cui tutti i termini sono come precedentemente definiti.

10

l’indice relativo al sottoinsieme di settori costituito da tutti i settori meno quello per cui

l’indicatore è calcolato, con i settori in ordine decrescente di numero di impiegati nella

provincia. Il numeratore rappresenta quindi il numero di dipendenti nei cinque più

importanti settori, escluso quello per il quale si sta calcolando l'indice.

Tutte le variabili, ove non diversamente specificato, si riferiscono al 2003 per ridurre i

problemi legati ad endogeneità e autocorrelazione che potrebbero emergere a seguito

dell’utilizzo del numero cumulato di nascite considerato nella variabile dipendente.

3. Il modello

In questo lavoro consideriamo un modello standard di scelta imprenditoriale (Knight

1921) (1) in cui il valore aggiunto (VA) è una misura della profittabilità dell’attività

imprenditoriale, il salario (W) è la remunerazione della opzione alternativa

all'autoimprenditorialità e il tasso di disoccupazione (U) misura l'incentivo fornito da

un'alta disoccupazione locale alla creazione di nuove imprese.

� �, , NFF f VA W U (1)

Il modello nell’equazione (1) è esteso includendo le tre misure di agglomerazione definite

in precedenza (2)

� �, , , , , NFF f VA W U SP COMP DIV (2)

Aggregando i vettori di variabili esplicative nella matrice X e assumendo una relazione

lineare tra queste e l’imprenditorialità, il modello econometrico viene formulato come in

(3).

'ir ir iry u �X ȕ (3)

dove iry , la variabile dipendente, è il tasso di natalità imprenditoriale e iru è un termine

di errore composito che include due componenti fisse, una invariante per settore ed una

invariante per provincia, ed una componente causale estratta da una distribuzione, i cui

valori sono indipendenti e identicamente distribuiti. Il modello nell’equazione (3) è prima

stimato utilizzando lo stimatore pooled OLS, che produce stime inconsistenti a causa

della correlazione tra le componenti fisse del temine di errore e le variabili esplicative, e

in seguito rifinito introducendo effetti fissi settoriali e provinciali. L’inferenza statistica

11

sui parametri è basata su stime robuste delle deviazioni standard (DS), come descritto in

Cameron e Trivedi (2010).11

Gli effetti fissi settoriali sono introdotti tramite una serie di dummy mentre gli effetti

provinciali sono considerati sia come effetti fissi, nel qual caso si usa uno stimatore

"within", sia come effetti casuali usando lo stimatore GLS appropriato.

L’espressione generale per il modello con effetti individuali è specificata nell’equazione

(4). La scelta tra lo stimatore a effetti fissi (FE-within) e quello a effetti casuali (RE-gls)

viene in genere eseguita sulla base del valore della statistica di Hausman, che confronta i

risultati degli stimatori RE e FE. Essendo entrambi gli stimatori consistenti in caso di

effetti casuali (H0) lo stimatore RE sarà da preferire in quanto più efficiente, mentre

nell’ipotesi di effetti fissi (Ha) sarà preferito lo stimatore FE, data l’inconsistenza dello

stimatore RE.

'ir i ir iry D H � �X ȕ (4)

Sfortunatamente, il test di Hausman può essere condotto soltanto se i termini di errore

sono indipendenti e se lo stimatore RE è effettivamente efficiente (in questo caso non è

richiesta una correzione delle DS). Poichè questo non è garantito in tale esercizio, si

applica un Wald test che utilizza errori standard robusti riportato da Cameron e Trivedi

(2010) e basato su Wooldridge (2002). I risultati di questo test indicano chiaramente che

lo stimatore FE è da preferire in questo caso e, di conseguenza, che gli effetti fissi iD

nell’equazione (4) (effetti fissi provinciali che non variano tra i settori della stessa

provincia) sono correlati con l'insieme delle variabili esplicative 'irX . La rimanente parte

del termine di errore composito ir ir iuH D � è idiosincratica e non correlata con le 'irX .

L’utilizzo di questo stimatore comporta l’esclusione della variabile U che, essendo

costante nel settore, risulta multicollineare al set di effetti fissi provinciali.

Poiché l’inclusione di effetti fissi non permette di verificare il ruolo di una variabile

importante come il tasso di disoccupazione, si sfruttano i vantaggi della specificazione

proposta da Mundlak (1978) per evitare questa limitazione. In questo caso il modello a

effetti fissi può essere considerato come un caso speciale del modello a effetti casuali in

cui le medie delle variabili che mostrano anche la dimensione settoriale sono aggiunte

alla specificazione. Di conseguenza tutte le variabili sono incluse nel modello e gli effetti

fissi sono tenuti in considerazione.

11 Seguendo la discussione in Cameron e Trivedi (2010) la correzione delle DS viene mantenuta in tutti i modelli stimati nel presente contributo.

12

Il controllo della robustezza dei risultati, per quanto concerne il contributo delle singole

variabili, viene effettuato sostituendo il tasso di natalità (NF) con il numero di nuove nate

(NEWFIRMS) per trattare meglio i casi in cui il tasso di imprenditorialità è fortemente

influenzato da un basso denominatore che riflette uno stadio poco avanzato di sviluppo

industriale. In questo caso un modello count per dati panel è utilizzato (5).

� �1

,1 1,

, 1 1 1,

( )Pr | ,

( ) ( 1)

i ryi r

i ri r

yY y

y

DD D PP DD D P P D

�� �

� � �

* � § · § · ¨ ¸ ¨ ¸* * � � �© ¹© ¹

(5)

dove � � * � è una funzione Gamma (Cameron e Trivedi, 2010). Il modello nell’equazione

(5) spiega la probabilità di registrare il numero di imprese iry nella provincia i, nel

settore r attraverso l’effetto delle variabili esplicative 'irX sul valore atteso di y �

specificato come � � '| , exp( )irE y P D P X ȕ . Poiché il numero di nascite può essere

più alto nelle zone più industrializzate, il logaritmo del numero dei dipendenti nella

provincia e nel settore nel 2003 è incluso tra i regressori con un coefficiente unitario. Ciò

corrisponde genericamente all’uso del numero di dipendenti come denominatore della

variabile dipendente NF e dovrebbe produrre effetti meno distorsivi, benché in parte più

oscuri dovuti ai numerosi elementi di non linearità che caratterizzano (5), sulle stime

empiriche.

4. I principali risultati

Le stime del modello di scelta imprenditoriale che considera gli effetti agglomerativi sono

presentate nelle Tabelle 2 e 3 rispettivamente per l'Emilia Romagna e per l'Italia. In

entrambe le tabelle, i risultati nella prima e nella seconda colonna sono ottenuti

utilizzando lo stimatore pooled OLS, rispettivamente senza e con gli effetti fissi settoriali.

Gli effetti fissi provinciali sono introdotti in colonna 3 per correggere le distorsioni

provenienti dall’omissione di caratteristiche specifiche delle province. Queste ultime

possono catturare la qualità delle istituzioni e della governance locale, o ancora altre

variabili che influenzano sia la produttività a livello locale sia il grado d’incertezza sulle

future opportunità e dunque le scelte imprenditoriali.

L’introduzione degli effetti fissi impedisce la stima del coefficiente per il tasso di

disoccupazione (U). Le stime in quarta colonna vengono ottenute utilizzando la

specificazione di Mundlak (1978) e includendo sia gli effetti fissi sia il tasso di

disoccupazione (U).

13

<Tabella 2>

In accordo con le attese, esiste una forte spinta alla nuova imprenditorialità proveniente

da un alto livello di disoccupazione locale mentre il coefficiente sul salario è negativo e

significativo nel modello senza effetti fissi. Le evidenze fin qui supportano la scelta del

modello imprenditoriale come base della nostra analisi empirica. Il coefficiente del

salario diventa però non significativo a seguito dell’introduzione degli effetti fissi

settoriali. A nostro avviso, questo risultato è dovuto ad una maggior variabilità del salario

secondo la sua dimensione inter-settoriale rispetto a quella inter-provinciale oppure ai

fattori fissi che assorbono la variabilità del valore aggiunto, dato che quest'ultimo non è

incluso nella regressione a causa della sua elevata correlazione con U. Ponendo

l’attenzione sui fenomeni agglomerativi, sembra che l’imprenditorialità in Emilia

Romagna sia guidata dalla presenza di diversità settoriale. La combinazione di

coefficienti positivi per la diversità e per il grado di competizione locale, in contrasto a un

coefficiente negativo per la specializzazione produttiva, porta a concludere che ambienti

dinamici caratterizzati dalla presenza di tante piccole imprese operanti in diversi settori

incoraggino l’imprenditorialità in Emilia Romagna.

L’inclusione di effetti fissi nel modello, sia attraverso la trasformazione within, sia

attraverso la specificazione di Mundlak (1978), non altera l’essenza dei risultati nelle

prime due colonne. L’ipotesi di una spinta all'imprenditorialità per uscire dalla

disoccupazione è verificata e confermata di concerto con il sempre non significativo,

nonostante il segno atteso, coefficiente per il salario. Anche dopo l’inclusione delle

caratteristiche locali che influenzano sia la produttività sia l’incertezza, la diversità

industriale sembra essere la forza agglomerativa in grado di determinare la formazione di

nuove imprese nel territorio. Nell’ultima colonna il coefficiente della specializzazione

diventa significativo, ma mantiene anche in questo caso il segno negativo. Il coefficiente

positivo per la competizione locale può certamente essere interpretato alla luce della

piccola dimensione media delle imprese che caratterizza le province dell’Emilia

Romagna.

<Tabella 3>

Risultati solo parzialmente simili caratterizzano il modello stimato per l’insieme delle

province italiane (Tabella 3) e per le sole province emiliane (Tabella 2). Viene

confermata la forte spinta proveniente dal livello di disoccupazione provinciale in tutti i

modelli ed il significativo coefficiente per il salario quando gli effetti fissi industriali

vengono esclusi dal modello. Al contrario, il coefficiente per la specializzazione

produttiva delle province italiane, pur mantenendo il segno negativo, risulta significativo

in ogni specificazione. Il coefficiente per la competizione locale mantiene il segno

14

positivo e la significatività, indipendentemente dalla specificazione adottata e dal livello

geografico considerato, mentre il ruolo della diversità settoriale scompare, poiché la sua

significatività si annulla a seguito dell’introduzione degli effetti fissi provinciali nella

specificazione.

Concentrando l’attenzione sull’ultima specificazione (Mundlak, 1978) di entrambe le

tabelle, è possibile sintetizzare l'evidenza che emerge comparando il campione delle

province emiliane con l’insieme delle province italiane. In particolare notiamo come la

spinta proveniente dalla disoccupazione sia notevolmente più forte per l’Emilia Romagna

che per l’Italia. Il risultato si può spiegare notando come piccole variazioni nel tasso di

disoccupazione locale, a fronte di un basso livello medio regionale, inducano una

sensibile spinta all'imprenditorialità che potrebbe risultare maggiore rispetto a quella

registrata a fronte della stessa variazione del più alto tasso di disoccupazione nazionale.

Per quanto riguarda invece le esternalità di agglomerazione, l’immagine dell’Italia, in cui

le diseconomie di specializzazione sembrano limitare significativamente la natalità

imprenditoriale, si contrappone a quella dell’Emilia Romagna che vede la natalità legata

ai vantaggi della diversità industriale. In entrambi i casi emerge un ruolo positivo per la

competizione locale che però sembra avere una portata maggiore nel caso delle province

dell’Emilia Romagna.

Alla luce dei risultati, il coefficiente per la variabile di specializzazione, negativo in

entrambi i casi sebbene significativo solo per il campione di province italiane, richiede

una più attenta interpretazione. Esternalità positive legate alla specializzazione produttiva

sono presentate in letteratura come il risultato della presenza sia di localized knowledge

spillovers sia di forze di mercato che rendono conveniente la localizzazione. Il

manifestarsi dei primi è legato alla comune base di conoscenza tra i lavoratori dello stesso

settore, i quali possono più facilmente scambiare informazioni utili e conoscenze

tipicamente tacite tramite contatti personali. Il manifestarsi delle seconde è la

conseguenza delle spinte di mercato dovute alla concentrazione di particolari risorse quali

materie prime, manodopera qualificata o anche fornitori intermedi. Entrambi i

meccanismi sembrano però essere particolarmente rigidi e scarsamente mutevoli, specie

nelle industrie mature. È possibile che questo tipo di esternalità possano quindi produrre

un effettivo vantaggio per le sole imprese che hanno rispettivamente già accumulato una

significativa base di conoscenza (del settore, del mercato e dei competitors) necessaria

per competere (nel caso di esternalità legate a knowledge spillovers); che basano l’attività

produttiva su un business network consolidato (nel caso dei esternalità di mercato) e che

sono integrate nell’ambiente produttivo locale. Al contrario queste esternalità potrebbero

essere poco efficaci, se non perfino vere e proprie barriere, per le imprese entranti. Tali

interazioni, complesse e difficilmente osservabili, sono approssimate in modo imperfetto

15

dalle dummies settoriali introdotte nei presenti modelli empirici. A fortiori, l'uso di un

semplice set di dummies settoriali per tenere traccia dei rispettivi effetti fissi potrebbe

essere la causa intrinseca dell'inatteso risultato rilevato per la specializzazione.

Nonostante l'evidenza empirica presentata possa dirsi interessante, alcuni potenziali limiti

affliggono le stime riportate nelle Tabelle 2 e 3. La misura utilizzata come indicatore di

diversità industriale non è la preferita in letteratura e pertanto l’attendibilità dei risultati

potrebbe essere compromessa. Il tasso di disoccupazione, non essendo calcolato a livello

di settore produttivo, riflette condizioni generali nel mercato del lavoro associate anche ai

servizi e alle altre attività non manifatturiere. Il valore aggiunto deve necessariamente

essere omesso dalla specificazione del modello a causa dell’alta correlazione negativa

proprio con il tasso di disoccupazione. Infine, il tasso di natalità può rivelarsi inadeguato

poichè è fortemente influenzato dal piccolo numero di dipendenti, usato come

denominatore nel suo calcolo. Questa ipotesi è tutt’altro che irrealistica se si lavora con

livelli di disaggregazione industriale e geografica così elevati benchè l'utilizzo di

grandezze cumulate negli anni di riferimento riducano l'incidenza di questo problema.

Nelle Tabelle 4 e 5 si mostrano i risultati dei controlli di robustezza eseguiti, per l'Emilia

Romagna e l'Italia rispettivamente, per testare la rilevanza dei limiti discussi.

Nella prima colonna, la misura di diversità è stata sostituita con il più comune indice di

Herfindhal, che nelle stime risulta essere non significativo. Due ragioni possono spiegare

questo fenomeno. Da un lato l’indice non varia tra i settori e dunque è probabile che sia

molto correlato con gli effetti fissi provinciali. Dall’altro lato, la specializzazione è

positivamente correlata, per costruzione, con l’indice di Herfindhal. Infatti, un’area che

sia fortemente specializzata in un particolare settore avrà un sistema economico

probabilmente molto concentrato nello stesso settore. L’aumento del valore del

coefficiente di specializzazione produttiva e del suo livello di significatività, dopo la

sostituzione della misura di diversità con l’indice di Herfindhal, supportano

empiricamente questa seconda ipotesi.

Nella seconda colonna la misura generica di disoccupazione (U) è sostituita con la più

specifica crescita dell'occupazione (EMP GR) ed il modello viene stimato usando lo

stimatore within, poichè tutte le variabili sul lato destro della specificazione variano sia

nella loro dimensione settoriale sia geografica. I risultati appaiono robusti anche a questo

cambiamento nel set di variabili esplicative e i coefficienti nella seconda colonna della

Tabella 4 replicano quelli della terza e quarta colonna della Tabella 212. È però importante

notare che la stima del coefficiente per la crescita occupazionale potrebbe essere distorta

12 La significatività del coefficiente per la specializzazione è molto vicina al 10% con un p-value di 0.11.

16

a causa dell’endogeneità legata agli effetti di feedback, che vanno dalla natalità

imprenditoriale alla crescita occupazionale, considerando - in particolar modo - che le due

variabili sono misurate nello stesso arco temporale.

Nell’ultima colonna la variabile dipendente è stata sostituita con il numero di nuove

imprese nate suggerendo l'uso di un modello basato su una distribuzione binomiale

negativa del fenomeno casuale sottostante i nostri dati. La crescita occupazionale viene

mantenuta tra i regressori in modo da poter sfruttale lo stimatore a effetti fissi per il

modello binomiale negativo.

<Tabella 4>

<Tabella 5>

L’introduzione dell’indice di Herfindal non cambia i risultati circa il ruolo della diversità

industriale, che rimane positiva in entrambi i casi ma non significativa per il campione di

province Italiane. Al contrario la specializzazione produttiva, pur mantenendo in entrambi

i casi il segno negativo, diventa significativa per le province italiane e per il campione di

province emiliane. L’aumento del valore del coefficiente per la specializzazione

produttiva, e il conseguente cambiamento nei livelli di significatività, sono probabilmente

da imputare al fatto che l’indice H, al contrario di DIV, non varia nella propria

dimensione settoriale. La variabilità della distribuzione dei dipendenti nelle industrie

della provincia è quindi completamente catturata solo dalla variabile SPEC che, non

sorprendentemente, risulta più significativa.

I risultati, in entrambi i casi, sono robusti alla sostituzione del generico indicatore di

disoccupazione con la più specifica EMP GR. Le stime per la significatività delle tre

ipotesi formulate circa le economie di agglomerazione rimangono invariate: il quadro

italiano sembra caratterizzato da diseconomie di specializzazione mentre quello emiliano

appare caratterizzato da esternalità legate alla diversità industriale a fronte di un comune

impatto positivo della competizione locale sulla natalità imprenditoriale. Le differenze tra

i coefficienti stimati per il campione di province emiliane ed italiane persistono anche

dopo l'uso di EMP GR.

Infine, l'utilizzo di una metodologia primariamente sviluppata per dati count, non altera le

conclusioni precedentemente sviluppate sulla base dei risultati del modello lineare.

Benché i coefficienti non siano confrontabili per dimensione tra i due modelli, i segni e la

significatività non subiscono rilevanti cambiamenti. Questo è verificato per le economie

di agglomerazione mentre la variabile EMP GR risulta non significativa ai convenzionali

livelli.

17

5. Conclusioni

All’interno della letteratura sullo sviluppo regionale un ruolo di particolare importanza

viene riservato alla natalità imprenditoriale, come fenomeno in grado di veicolare

vantaggi localizzativi in un percorso di sviluppo economico. In questo lavoro si focalizza

l’attenzione su una particolare tipologia di vantaggi localizzativi: le economie di

agglomerazione. L’obiettivo è quello di determinare le caratteristiche di una struttura

industriale che stimoli la formazione di nuove imprese. Nello studio di tali caratteristiche,

le province dell’Emilia Romagna sono state separate dal resto delle province italiane nel

tentativo di fornire una spiegazione (tra le varie) della superiore performance economica

della regione, rispetto al resto delle regioni italiane, e di comprendere in quale misura, da

questo angolo di osservazione, si possa parlare di “modello emiliano”.

I risultati empirici delineano, per l’Italia e per l’Emilia Romagna, due scenari simili ma

che solo in parte si sovrappongono. Le spiegazioni più tradizionali per il fenomeno della

natalità imprenditoriale trovano conferma nei risultati del modello empirico. In

particolare si riconferma l’ipotesi che la natalità sia fortemente legata alle spinte

provenienti dalle scarse opportunità d’impiego nel mercato del lavoro, il cosiddetto

“unemployment push”. Allo stesso modo la profittabilità e le opportunità in ogni singolo

settore, qui - ed a causa dei particolari dati utilizzati - solo parzialmente approssimati da

una serie di effetti fissi industriali, guidano le scelte imprenditoriali più di quanto il

salario da lavoro dipendente, considerato l’alternativa risk-free all’avvio di una nuova

attività, non scoraggi questa scelta. In generale questi risultati sono validi tanto per

l’Emilia Romagna quanto per l’Italia nel suo insieme.

Le spiegazioni centrate sul ruolo delle economie di agglomerazione contrappongono

invece l’idea di un’Italia in cui la natalità imprenditoriale è fortemente influenzata dalla

presenza di diseconomie di specializzazione a quella di un’Emilia Romagna in cui la

significativa formazione di nuove imprese è il risultato di nuove opportunità di mercato

offerte dalla concentrazione geografica di una diversità di settori industriali. In generale la

natalità è agevolata dalla piccola dimensione media delle imprese esistenti sul territorio,

anche se i risultati indicano questo fenomeno è più rilevante nelle province emiliano-

romagnole.

Questo risultato sembra poter utilmente stimolare la riflessione sulla natalità nei diversi

contesti industriali italiani. Il confronto tra il ruolo delle (dis)economie di

specializzazione, della diversità settoriale e della competizione può essere certamente di

forte utilità nel comprendere le specificità dei modelli di sviluppo della manifattura

italiana nei territori.

18

L’Emilia Romagna conferma sia l’evidenza empirica più volte presentata in letteratura,

ovvero un contesto territoriale nel quale il dinamismo imprenditoriale è stimolato dalle

spinte derivanti dalle tensioni sul mercato del lavoro, nonché dalle opportunità fornite da

un territorio che possiede specificità importanti, ma sia l'espressione di una rilevante

presenza imprenditoriale in una pluralità di settori. Quest’analisi potrebbe supportare,

indirettamente, anche alcune recenti scelte di politica economica regionale e territoriale.

Queste si sono orientate a non soffermarsi eccessivamente sulla specializzazione

distrettuale, relativamente enfatizzata nella politica industriale regionale di regioni

limitrofe (per esempio, Veneto e Lombardia), ma ad indirizzarsi verso il supporto di

piattaforme tecnologiche da un lato (in cui l’enfasi settoriale è attenuata dalla tecnologia

comune o trasferibile) e di cluster industriali, spesso caratterizzati da un carattere di

trasversalità settoriale, dall'altro. In altre parole, sembra che le politiche economiche

regionali implicitamente riconoscano l' importanza della diversità settoriale, confermando

le caratteristiche di un modello in cui la piccola-media impresa determina una notevole

vivacità imprenditoriale proprio come evocato da Brusco (1980).

19

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22

Tabella 1 Aggregazione dei settori ATECO 81 disponibili nella classificazione INPS

Classificazione ATECO 81 Codice Settori Aggregati Alimentare A1

Alimentare e Tabacco Zucchero, Bevande, altri alimentari e Tabacchi A2Tessile B1

Tessile, Pelli e Calzature Pelli e Cuoio B2 Scarpe e Vestiario B3 Legno C Legno Carta ed editoria D Carta ed editoria Coke E1

Petrolio e minerali Petrolio E2 Gomma e manifattura mi materiali plastici F Gomma e PlasticaTrasformazione di minerali non metalliferi G Minerali non metalliferi Chimica H1

Chimica e fibre sintetiche Produzione di fibre artificiali e sintetiche H2 Produzione e prima trasformazione di prodotti metalliferi I1

Metalli Costruzione di prodotti metalliferi (esclusi macchinari e materiali di trasporto) I2 Costruzione e istallazione di macchinari e altro material meccanico J Meccanica Costruzione e assemblaggio di veicoli di trasporto, parti ed altri accessori K1

Veicoli di trasporto Costruzione di altri veicoli di trasporto K2 Costruzione di strumenti di precisione; strumenti medici, ottici e similari; orologi L Strumenti di precisioneAltre manifatture M Manifatture diverse Costruzione, istallazione e mantenimento di macchine da ufficio e macchine per il trattamento dati N1

Macchinari da ufficio e computers Costruzione, istallazione e mantenimento di sistemi (esclusi i computers) N2 Note alla Tabella 1:l’industria classificata come “manifatture diverse” non compare nel dataset finale e non è utilizzata nei calsoli dei vari numeratori delle diverse variabili. Viene comunque considerate nel calcolo del numero di dipendenti totali della provincia.

23

Tabella 2 Stime dei modelli (3), (4) e Mundlak (1978) per l'Emilia Romagna

Pooled Pooled Fixed effects Mundlak (1978) U 1.8737***

(0.6548) 1.4116*** (0.3217) § 1.2729***

(0.3192) W -0.1194***

(0.0322) -0.0101 (0.0298)

-0.0148 (0.0261)

-0.0147 (0.0269)

SP -0.1375 (0.1186)

-0.2987*** (0.0864)

-0.2352 (0.1509)

-0.2339 (0.1570)

COMP 0.0346* (0.0185)

0.1032*** (0.0201)

0.0968*** (0.0115)

0.0983*** (0.0128)

DIV 5.5398*** (1.4025)

3.3309*** (0.8989)

4.5774* (2.0702)

4.5346** (2.1917)

Intercetta -8.6578*** (1.5530)

-5.9624*** (0.9450)

-4.9748*** (1.5470)

-7.5900*** (1.7405)

Dummies Settoriali No Sì Sì Sì Statistiche diagnostiche N° Osservazioni 94 94 94 94

2R 0.35 0.89 § § F(5, 88) 13.61*** § § § F(17, 76) § 46.65*** § §

2 (8)F ~ § § 1351.42*** § Note alla Tabella 2: § indica non applicabile al modello, deviazione standard robusta in parentesi, ~ statistica Sargan-Hansen per la scelta tra RE e FE in presenza di stimatore RE quasi-efficiente. (Wooldridge, 2002). H0 = RE e FE sono equivalenti ma RE è più efficiente; H1 = RE è inconsistente.

Tabella 3 Stime dei modelli (3), (4) e Mundlak (1978) per l'Italia

Pooled Pooled Fixed effects Mundlak (1978) U 0.8186***

(0.0617) 0.8254*** (0.0429) § 0.7752***

(0.0578) W -0.1186***

(0.0150) 0.0074 (0.0151)

-0.0162 (0.0142)

-0.0221 (0.0142)

SP -0.4376*** (0.0519)

-0.5703*** (0.0478)

-0.5956*** (0.0970)

-0.5858*** (0.0961)

COMP 0.0163*** (0.0017)

0.0164*** (0.0021)

0.0156*** (0.0021)

0.0160*** (0.0022)

DIV 1.1513*** (0.3723)

0.8248*** (0.2392)

0.6219 (1.3270)

0.7334 (1.3265)

Intercetta -4.0496*** (0.2727)

-3.3453*** (0.2137)

-1.3284 (0.9945)

-6.8535*** (1.2234)

Dummies settoriali No Sì Sì Sì Statistiche Diagnostiche Osservazioni 1080 1080 1080 1080

2R 0.41 0.70 § § F(5, 1074) 97.28*** § § § F(17, 1062) § 88.78*** § §

2 (14)F ~ § § 843.18*** § Note alla Tabella 3: § indica non applicabile al modello, deviazione standard robusta in parentesi, ~ statistica Sargan-Hansen per la scelta tra RE e FE in presenza di stimatore RE quasi-efficiente. (Wooldridge, 2002). H0 = RE e FE sono equivalent ma RE è più efficiente; H1 = RE è inconsistente.

24

Tabella 4 Controlli di robustezza per l'analisi sulle provincie emiliano romagnole

Mundlak (1978) Fixed Effects Negative Binomial U 1.2456***

(0.1952) § §

W -0.0121 (0.0340)

-0.0139 (0.0267)

-0.0378 (0.0289)

SP -0.4630*** (0.0671)

-0.2386 (0.1485)

-0.1956* (0.1150)

COMP 0.1121*** (0.0118)

0.0940*** (0.0128)

0.1422*** (0.0161)

DIV § 4.3863* (2.1086)

2.9310† (1.8413)

Intercetta -8.9110*** (0.8541)

-4.8623*** (1.5608)

-6.1844*** (1.3722)

H 7.2849** (3.0574) § §

EMP GR § 0.5497*** (0.1659)

0.0696 (0.2708)

Dummies settoriali Sì Sì Sì Veriabile mantenuta costante § § Occupazione Statistiche Diagnostiche N° Osservazioni 94 94 101 Wald � �2 17F § § 689.31*** Log-verosimiglianza § § -383.68 Note alla Tabella 4: § indica non applicabile al modello, deviazione standard robusta in parentesi, † denota una variabile significativa all'11%.

Tabella 5 Controlli di robustezza per l'analisi sulle provincie italiane

Mundlak (1978) Fixed Effects Negative Binomial U 0.7844***

(0.0587) § §

W -0.0216 (0.0141)

-0.0274** (0.0130)

-0.0279*** (0.0097)

SP -0.6252*** (0.0534)

-0.4959*** (0.0698)

-0.4610*** (0.0306)

COMP 0.0163*** (0.0022)

0.0126*** (0.0019)

0.0091*** (0.0004)

DIV § 1.4980 (1.0053)

0.0637 (0.2821)

Intercetta -7.3729*** (1.0344)

-1.9369*** (0.7409)

-4.6373*** (0.2336)

H 0.6055 (0.6931) § §

EMP GR § 1.1327*** (0.1696)

1.1326*** (0.1081)

Dummies settoriali Sì Sì Sì Variabile mantenuta costante § § Occupazione Statistiche diagnostiche Osservazioni 1080 1078 1151 Wald � �2 17F § § 5334.74*** Log-verosimiglianza § § -5021.25 Note alla Tabella 5: § indica non applicabile al modello, deviazione standard robusta in parentesi.