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COSA È IL VOLONTARIATO

L’ADMS ONLUS (Associazione Diabete Mellito e Celia-chia Sardegna) ha appena compiuto quindici anni. Sem-brava molto difficile mandarla avanti, all’inizio; poi, tra battaglie, proteste, iniziative, e soprattutto l’ascolto dei tanti che venivano alla ricerca di aiuto e di tutela, l’attività ha preso l’avvio, si è fatta sempre più intensa, e il tempo è volato.

Nel corso dell’anno appena trascorso è stato rag-giunto, con l’acquisto di una sede propria, un altro impor-tante obiettivo, la creazione di una casa nella quale i dia-betici possono incontrarsi, trovare assistenza, istruirsi su come gestire la malattia.

Per festeggiare i due avvenimenti, il chiudersi dei primi quindici anni di storia e l’acquisto della nuova sede, abbiamo pensato di mettere insieme alcuni momenti della storia dell’Associazione costruendo un libro composto da due parti: nella prima il presidente racconta alcuni episodi della sua esperienza di vita, nella seconda vengono pre-sentati momenti e fatti salienti di questi quindici anni di attività del sodalizio.

Perché queste due parti, una a carattere personale e una estesa a tutta l’istituzione? Il motivo è che pensiamo che la seconda discenda direttamente dalla prima, in quanto la scelta di fare il volontario non è banale, o casua-le, ma può nascere soltanto dalle proprie esperienze, dall’averle vissute, a volte sofferte, ma sempre elaboran-dole ed accettandole.

Se andiamo a verificare una fonte d’informazione moderna come Wikipedia troviamo che il volontariato è definito «un'attività di aiuto e di sostegno messa in atto da soggetti privati, generalmente in modo gratuito, per varie ragioni che possono essere di solidarietà, di giustizia so-ciale, di altruismo, filantropia o di qualsiasi altra natura»;

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mentre secondo un vocabolario etimologico della Lingua italiana il termine “volontario” deriva dal latino voluntarius, derivato a sua volta da voluntas, ossia “volontà”. È da in-tendere quindi come “conforme alla volontà”, cioè che «procede da un interno impulso, accompagnato da una perfetta cognizione di causa».

Queste due definizioni ci aiutano a spiegare cosa in-tendiamo dire: la decisione di chi si dedica al volontariato nasce da un impulso interno e profondo che esprime con forte consapevolezza voglia di solidarietà e senso di giu-stizia.

Per riflettere insieme su questo apriamo il libro rac-contando il percorso di vita del presidente, Michele Calvi-si. Avremmo potuto parlare della vita di tanti altri volon-tari, e delle prove che hanno affrontato e vinto, ma la vita di Michele ci pare particolarmente “intrecciata” con il ruolo che, una volta scoperta la malattia, ha deciso di as-sumere, e continua a tutt’oggi a svolgere.

La seconda parte è la continuazione del racconto, che però non è più personale, ma esteso alla vita e all’attività dell’Associazione. Emergono, attraverso lo scorrere degli anni, le iniziative che sono nate al suo in-terno, e allo stesso tempo quelle che sono state prese per rispondere alle sollecitazioni, le richieste, le difficoltà di varia natura che si proponevano dall’esterno.

Non nascondiamo che il nostro scopo è non solo quello di ricostruire queste esperienze, ma anche di svol-gere azione di richiamo e di convincimento verso quanti avvertono l’esigenza di intraprendere il percorso del vo-lontariato. Ci auguriamo che le iniziative di questi primi quindici anni e lo stesso acquisto della sede possano ser-vire da esempio e da richiamo nei confronti di chi si ri-promette di impegnarsi, dando il proprio contributo per portare avanti le battaglie giuste per il bene comune.

Francesca Stefanelli

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ALL’ORFANOTROFIO, A SCUOLA È una giornata bellissima, il 15 agosto del 1945, per cola-zione mangio pane e caffelatte, mi sono lavato e vestito bene. In casa però ci sono molte persone, mai viste così tante a casa mia; e io invece cerco la mia mamma che, forse per la troppa confusione, non riesco a trovare.

Finalmente, correndo e sgattaiolando da una stret-ta al braccio e da una tirata ai vestiti, riesco ad arrivare nella camera dove c’è moltissima gente. E in mezzo alla calca riesco a intravedere la mia mamma che dorme sul lettone, ordinato e lindo, come l’avevo visto solo la do-menica o in occasione delle feste.

Un salto fulmineo sul letto, la bacio e le chiedo di alzarsi, voglio giocare, voglio sentire la sua voce… Mani forti e robuste mi portano via, senza spiegazioni.

Non vedo più la mamma, non è nel suo letto a dormire, non è in casa, dov’è?

Nessuno mi dice più nulla, la casa è vuota, tutti sono andati via. Sono solo e molto nervoso, malinconico e mi sento abbandonato senza nessuna ragione plausibile. Perché? La chiamo, continuo a cercarla, ma non mi ri-sponde. È andata via e mi ha lasciato solo, anche se ho solo quattro anni, non si è preoccupata di me né dei miei fratelli, che sono tutti piccoli. C’è Piero che ha quasi sei anni, ma è colpito da un grave handicap, poi Gianni che ne ha tre, e Maria che ha appena due mesi.

Per me la luce e il sole sono spenti, la gente è tutta nemica; sono molto arrabbiato e non perdonerò mai. Non gioco più con nessuno, l’hanno portata via e sono restato solo. Debbo ragionare da grande, debbo pensare e ripensare alla mia vita. Anche se, in silenzio e di nascosto, ho chiesto di spegnere la mia anima, perché solo così il mio corpo potrebbe restare con mia madre. Mio padre non lo vedo mai, è sempre al lavoro e quando rientra io

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dormo. Non posso mai giocare con lui, non lo sento rac-contare storie di maghi e di giganti. Per me è come un e-straneo. Un giorno gli chiedo di comprare un’altra mam-ma perché mi sento molto solo. Mi risponde che ha avuto un unico amore e, nella sua vita, non intende tradirlo. Succede però che dimentica la parola data e sposa il dio Bacco, che lo tiene in estasi mattino, pomeriggio e sera. Un vero disastro per me, dopo la disgrazia di mamma, la solitudine che mi toglie il fiato e la voglia di andare avanti.

Passa il tempo e una mattina mi dice che con la macchina di un suo amico, una Balilla vecchia e malanda-ta, dobbiamo lasciare il paese, Mores, e andare in un po-sto pieno di tanti bambini – si chiama orfanotrofio –, così potrò giocare e divertirmi e la mia vita migliorerà. Così un bel giorno il babbo, l’amico ed io ci mettiamo in viaggio, portando una bisaccia di pane carasau e altre poche cose. Lungo la strada ogni tanto ci fermiamo per rat-toppare una gomma che si buca. Io me ne sto in disparte, godo della speranza di arrivare in un bel posto, anche se sconosciuto, popolato di tanti bambini con i quali posso giocare. Pochi convenevoli all’arrivo, e molti visi malin-conici: tanti bambini senza speranza, senza sorriso. Corro per riunirmi al babbo e all’amico, non voglio stare in un posto che sembra una prigione, con tanti bambini soli. Le suore fanno finta di cercarli, poi alla fine mi dicono che il babbo e l’amico sono dovuti andare via. Il mio tempo si è fermato. Trascorro molte ore immobile, accovacciato con le mani sulla testa stretta fra le ginoc-chia, l’unica cosa che non si ferma sono le lacrime. Per questo mio atteggiamento vengo messo spesso in camera di rigore, oppure chiuso in bagno o in qualche ripostiglio. Porto con me solo il foglio di pane carasau che dà alle suore la certezza che non muoio per il digiuno.

Le uniche uscite sono in occasione di qualche processione o per un funerale, sempre in divisa e in fila

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per due. D’estate ci portano al mare, però d’istinto non mi fido più di nessuno e di niente, cerco di tenermi lonta-no dall’acqua e non imparo a nuotare. Agli inizi del 1949, mentre sono ormai alla metà della ter-za elementare, mi faccio male cadendo nell’orfanotrofio e mio padre, convinto che le mie sofferenze sono eccessive, mi riporta al paese, dove continuo a frequentare la scuola.

Le giornate per me sono tutte uguali, che ci sia il sole o la pioggia, oppure la nebbia, per me non fa diffe-renza. Mi accorgo di essere un bambino dalla tempra du-ra, nessuna intemperie stagionale può scalfire la mia forza fisica e di volontà, così come nessuna persona può influi-re o ammorbidire il mio carattere spigoloso. Al mattino mangio per colazione il resto della cena, se c’è, oppure rimango a digiuno. In questo caso sopporto la fame ma sto comunque male, e in questa condizione vado a scuola.

Nonostante il vuoto assoluto di cui mi sento cir-condato mi distinguo nello studio. Dopo qualche giorno di frequenza la maestra, una volta controllato il mio com-pito di matematica, mi chiama alla lavagna e mi chiede di spiegare come sono arrivato alla soluzione del problema. Per i compagni il mio ragionamento risulta incomprensi-bile. La maestra chiama le colleghe e la direttrice. Non so cosa stia succedendo, e i compagni di classe sembrano al-libiti, non capiscono come io sia arrivato alla soluzione.

Rientrando a casa e riflettendo, mi persuado che c’è in me qualcosa di diverso dai compagni. Non capisco se in meglio o in peggio perché non c’è nessuno con cui possa parlare, o a cui fare domande per chiarire i dubbi che mi frastornano. A scuola la situazione si fa sempre più difficile. A turno le insegnanti delle classi quarte e quinte mi prelevano per portarmi nelle loro classi, e lì, davanti ai loro alunni, mi fanno leggere, mi fanno svolge-re operazioni e risolvere problemi. E insistono nel dire che oltre che intelligente sono anche bravo e soprattutto mi applico nello studio. Per loro sarò bravo, ma io mi

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sento come un burattino da circo, sempre in esibizione in qualche classe. La cosa peggiore è che ormai la scuola per me è finita: il programma di studio che ho svolto in orfa-notrofio fino alla metà della terza elementare, nel paese di mia madre corrisponde al programma della quinta; un ve-ro disastro. Mi annoio e non progredisco, tutto si è nuo-vamente fermato. Alcune mamme vedono la mia difficol-tà e mi invitano a casa loro per aiutare i figli e io, anche se sono piccolo, capisco che l’invito, oltre che per fare i compiti, è un pretesto per riempire il mio stomaco peren-nemente vuoto, un modo per darmi da mangiare senza ferire il mio orgoglio di bambino.

Arriva l’esame di quinta, i compagni, almeno quel-li che possono fare l’esame d’ammissione alla prima me-dia, sono contenti. Io invece sono deciso a non superare l’esame, so bene che una volta concluse le elementari do-vrò interrompere gli studi e che mi aspetta un lavoro mol-to pesante, peggiore di quello delle bestie.

La maestra è molto preoccupata perché mi vede bloccato e le dico che non so come fare, che non ho capi-to come svolgere il compito. Mi sta molto vicino e mi aiu-ta in tutti i modi, ma io consegno quasi per ultimo. Ha capito il dramma che sto attraversando e mi consola, mi spiega che ripetendo la quinta non risolvo il mio proble-ma. La vita è lunga e riserva difficoltà per tutti, mi dice, poi mi porta a casa sua e mi parla ancora a lungo. «È qua-si impossibile», ripete, «però con molta applicazione, per come ti conosco, ce la puoi fare, ne sono certa». Dopo mangiato mi abbraccia, piangendo mi augura buona for-tuna e ci lasciamo.

Non l’ho più vista ma la ricorderò per sempre.

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ALL’OVILE Quando arrivo davanti a casa c’è lo zio che mi aspetta. Consegno il pezzo di carta che riporta il mio andamento scolastico e monto in groppa al cavallo mantenendomi forte alla sua giacca. La cosa gli dà fastidio, mi spiega co-me tenermi alla sella. Così procediamo per qualche ora senza dirci una parola.

Finalmente, dopo un tempo per me interminabile, arriviamo a su cuile. Ad aspettarmi ci sono anche mia zia, sorella di babbo, e un codazzo di altri parenti e curiosi. Mi salutano e mia zia con il marito spiegano, molto compia-ciuti, che stanno compiendo un atto di immensa carità ad accogliere su mischinu, l’orfanello, al quale insegneranno il mestiere di pastore. E sottolineano, a voce alta per essere certi che tutti i presenti sentano bene, che alla fine di un anno di lavoro mi pagheranno, versando i soldi in sa posta.

L’esibizione continua, mi spiegano in cosa consi-ste il mio lavoro e, sempre al cospetto di quel pubblico di curiosi, inizia la consegna degli attrezzi necessari per svol-gerlo al meglio. Il primo è sa soga, una corda di pelle che ha all’estremità un anello di ferro. Serve per issogare, cattu-rare le bestie al laccio, ma soprattutto per legare una fa-scia di legna. Perché al rientro a su cuile, dopo aver gover-nato il bestiame, bisogna portare sempre sulle spalle una buona provvista di legna da ardere.

Il secondo è la roncola con il manico corto, che serve per preparare la fascia della legna. Il terzo sa lepa, il coltello pattadese che serve durante i pasti, per tagliare il formaggio e il pane, e in tante altre occasioni. Il quarto è un fucile calibro dieci, piccolo in proporzione alla mia sta-tura, che devo usare contro chi tenta di aggredire il greg-ge: volpi, abigeatari e banditi. Infine il quinto, una stuoia che serve come tappeto per coricarsi e possibilmente dormire, ma con un occhio sempre aperto e vigile sul be-

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stiame. Finita la consegna della dotazione e la spiegazione maniacale dell’utilizzo di ogni attrezzo, scatta un applauso da parte dei presenti. Naturalmente c’è per tutti l’invito a cena per festeggiare questo evento di umana carità! Sono orgoglioso e allo stesso tempo stravolto. Non riesco a raccapezzarmi, mi guardo e vedo che indosso sandali le-gati con il fil di ferro, calzoncini corti e una magliettina, però sono armato di tutto punto: coltello, roncola, fucile e corda. Non partecipo alla festa dell’accoglienza dell’orfanello per poter riposare, ma nonostante la stanchezza non riesco a dormire e tanto meno a recuperare un po’ di forze. Alle due e mezza del mattino lo zio mi chiama, è ora di mun-gere le pecore e devo assistere dall’esterno del recinto. Poi, anche se sono piccolo, posso dare un aiuto versando il latte appena munto dal recipiente al bidone.

Finita la mungitura il latte viene trasformato in formaggio e in ricotta e io sono tenuto sin dal primo giorno ad assistere a tutte le fasi della lavorazione. Così comincia la mia nuova vita. Finite le incombenze della mungitura e della trasformazione del latte metto ad abbrustolire delle fave e dei ceci e me li metto in tasca: mi serviranno per nutrirmi durante il giorno, mentre governo gli animali, perché all’ovile si rientra solo la sera tardi, per cena. Finalmente, prima di portare le bestie al pascolo, mi verso dell’acqua in un recipiente per lavarmi le mani e il viso. Violento arriva un calcio e il recipiente dell’acqua vola via. L’autore del gesto predica con voce sostenuta che in campagna, soprattutto quando si devono accudire gli animali, non si può perdere tempo per operazioni di pulizia. Il mio corpo in questi anni si è asciugato tanto, al punto che non produce neanche più lacrime, ma credo che la mia bile stia per scoppiare. Lavarmi al mattino le mani e il viso è l’unico momento privato e intimo che mi

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è rimasto, ma il calcio al recipiente e la predica mi tolgono una delle poche certezze che avevo acquisito negli anni trascorsi all’orfanotrofio. Conduco le pecore al pascolo nelle tanche stabilite ed è una meraviglia: sono il capo branco di un gregge numero-so e sono aiutato anche dai cani pastori, sia per tenere le pecore all’interno del recinto che per proteggerle dall’assalto delle volpi e dei cani randagi. Mi sento impor-tante. Le bestie mi accerchiano e sembra vogliano comunicarmi qualcosa che non capisco; e, siccome continuano a bruca-re l’erba mentre mi circondano, anch’io per non essere da meno infilo la mano in tasca, con l’intenzione di sgranoc-chiare qualche chicco. Me non appena avvertono il pro-fumo delle fave e dei ceci mi ritrovo assalito e circondato. Volentieri condivido quei miei pochi semi, poi inizio a dialogare con le pecore che mi annusano, sembrano anco-ra più mansuete, e soprattutto le uniche disponibili ad a-scoltarmi. Gli racconto il triste avvenimento del mattino, quando mi è stato impedito di lavarmi la faccia, e penso a voce alta che vivere sempre con animali che hanno quat-tro zampe e neanche una mano per lavarsi deve aver con-vinto gli zii che qualche minuto utilizzato per la pulizia personale è una perdita di tempo. Trascorro le giornate sempre solo, intento ad accudire il gregge e pronto ad eseguire ordini senza fiatare. Non c’è mai un istante da dedicare agli svaghi da bambino. In questa campagna dove sto imparando il mestiere di pasto-re gli zii dimenticano troppo spesso una componente che dovrebbe essere fondamentale per la crescita di un bam-bino, la presenza e l’affetto delle persone della famiglia. Qui l’uomo è considerato né più né meno di un animale al servizio delle bestie che devono produrre solo latte, carne e lana. L’allevamento consente ad alcuni uomini e

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donne di sfruttare altri uomini, donne e bambini. In que-sto modo possono mandare il più fortunato dei loro figli a scuola e all’università; e, si sa, un figlio laureato dà pre-stigio e rango sociale. Ogni giorno che passa mi rendo conto che la mia vita è identica a quella delle bestie che devo custodire. Non le devo mai perdere di vista e devo stare sempre attento che le volpi o i cani randagi non le aggrediscano, e che soprattutto gli abigeatari non le rubi-no. La vigilanza degli animali deve essere rigorosa, non posso fare affidamento solamente sul suono del campanaccio che portano al collo, ma sono obbligato a controllare fisi-camente i cavalli, i buoi, le pecore. Questo perché i ladri sono capaci di togliere i campanacci agli animali e appen-derli alle fronde degli alberi, in maniera che anche con una piccola brezza si muovono e continuano a tintinnare, anche se le bestie che li portavano sono state rubate e po-trebbero essere ormai irraggiungibili. Mi immedesimo a tal punto con gli animali fino a imitare il loro comporta-mento e ad adeguarmi alla loro alimentazione, mangio er-ba se sono con le pecore, oppure le ghiande se sono con i maiali. Inconsciamente tendo a uniformare la mia vita alla loro. Del resto, solo con gli animali ho un qualche tipo di rela-zione e un dialogo, ci annusiamo e io li accarezzo, con il loro respiro mi stemperano il gelo delle giornate invernali, con loro parlo di tutto, anche dei sogni e del mio avveni-re, che probabilmente sarà come il loro. L’importante, ad ogni modo, è che mi riconoscano come loro capo. Arriva il mese di settembre e sta per finire un anno di duri lavori: governare gli animali, fare provvista di legna, trasformare il latte in formaggio e ricotta, arare e seminare, mietere, predisporre l’aia e con l’aiuto del vento separare l’avena, l’orzo, le fave e il grano dalla paglia.

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Mi sento un pastore e un agricoltore formato e pronto per affrontare ogni tipo di lavoro, visti anche gli apprezzamenti di alcune delle persone con le quali ho tra-scorso un anno di fatiche. Pieno di speranza e trepidazio-ne aspetto la fine di settembre, riconosciuta come chiusu-ra dell’anno agrario, per sapere quanti soldi gli zii hanno depositato per me all’ufficio postale. Verso la mezzanotte del 30 settembre, finita un’altra gior-nata di durissimo lavoro, affronto gli zii e chiedo loro quanti soldi mi hanno versato nel libretto. Nei miei dodici anni di vita mai avevo assistito a un tale uragano di male-dizioni, bestemmie ed avvilenti rimbrotti: perché invece di ringraziarli, ripetono in coro, per avermi ospitato e da-to da mangiare chiedo anche, con tanto di faccia di carto-ne, di essere pagato.

Ribatto parola per parola le loro argomentazioni, e insisto nel dire che solo ai cani si dà da mangiare senza riconoscere una paga; mentre io voglio essere pagato per il lavoro che ho svolto come una persona grande. La mia furia aumenta, perché ormai è chiaro che per questo anno di lavoro non riceverò una lira, e inizio a spogliarmi della dotazione ricevuta: coltello, roncola, corda e fucile, li ab-bandono tutti sul pavimento e senza salutare vado via per sempre. Ormai sono le due del mattino, con i calzoncini corti e i sandali cuciti con il filo di ferro percorro la strada fino a un ovile vicino, dove i pastori mi accolgono con molta preoccupazione; ma con altrettanta umanità mi ri-scaldano e calmano fino all’alba. Ringrazio e saluto perché devo andare via, la mia preoc-cupazione è quella di trovarmi subito un lavoro. E così al mattino successivo sto già arando per poche lire al gior-no, ma il lavoro mi consente di non sentirmi più schiavo di nessuno e soprattutto mi aiuta a rinforzare il mio carat-tere e l’autostima.

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TERACCU, SERVO PASTORE La nuova situazione mi fa sentire padrone assoluto della mia condizione di bambino-uomo-lavoratore. Spesso mi accade che dopo una giornata di lavoro duro, senza ri-sparmio di energie, la notte arrivino le difficoltà: dove va-do a riposare e come riposo? Cosa e con chi mangio? Tutte domande che mi pongo ogni giorno e per le quali ogni giorno non ricevo risposta, anche perché chi mi dà lavoro sa che sono un bambino sfortunato e povero, ma non immagina che non ho né casa né affetti. E poi io pre-ferisco raccontare i miei sogni, che sono sempre belli e molto ottimistici. Per l’annata agraria 1955-1956 decido di lavorare come teraccu, servo pastore, in un’azienda di Mores. Mi occupo degli animali che sono pecore, cavalli, asini, maiali e galli-ne. Il mio lavoro è soprattutto con le pecore perché ri-chiedono più tempo per il pascolo e per la mungitura. I padroni sono come tutti i pastori, né buoni né cattivi; e come tutti i padroni sfruttano al massimo i loro dipen-denti, specie se sono come me, soli e indifesi. Ma almeno pagano. Chiaramente il pagamento è in natura: formaggio e pecore. L’annata si rivela buona e ricca di raccolto, le condizioni meteorologiche sempre favorevoli mi consen-tono di arare e coltivare molta terra, il bestiame ha pasco-lo in abbondanza e produce buona carne e molto latte. Ma il 28 gennaio del 1956 la temperatura si abbassa all’improvviso e in due o tre giorni la tormenta di vento e neve rende il paesaggio completamente bianco con cumu-li di neve molto alti. Molte bestie vengono a mancare, so-no disperse. Dopo una veloce consultazione con gli altri pastori prendo una decisione molto pericolosa: chiamo il cavallo e lo cavalco senza sella e senza briglia per lasciar-

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mi trasportare dal suo fiuto alla ricerca degli animali smar-riti, per riportarli all’ovile e poter dare loro da mangiare.

Un lavoro rischioso e lungo, che richiede una pa-zienza incredibile. Inizia con il cavallo una conversazione difficile, perché sono venuti a mancare tutti i segnali di orientamento, muri, cancelli, alberi. Gli dico di non sco-raggiarsi e che dobbiamo, insieme, trovare più animali possibile per salvarli dal freddo e dalla fame. Ma i nostri percorsi di ogni giorno sono coperti dalla neve e tutto il territorio è completamente bianco. A ogni passo sbuffa e annusa l’aria.

Di tanto in tanto tentenna con la testa e si ferma, allora mi distendo sul suo corpo caldo, lo accarezzo e gli raccomando di procedere solo se è sicuro che in quel trat-to non c’è qualche dirupo o burrone, e gli dico che mi fi-do ciecamente della sua bravura e del suo coraggio.

Riesco a mettere in salvo e a riunire molti capi di bestiame e sempre col cavallo faccio da apripista per con-durli in un punto di raccolta dove con delle frasche puli-sco il terreno coperto di neve per dargli il foraggio e tutto quello che ho a disposizione per nutrirli. Il maltempo continua a lungo e, vista la gravità della si-tuazione, spesso vengono a trovarci anche i vigili del fuo-co che con l’elicottero portano cibo per gli animali e an-che per le persone. Io ho compiuto da poco 15 anni, non sono più un bambino, ma non sono neppure un uomo, e così tutte le volte che sento arrivare l’elicottero mi auguro che oltre ai viveri per la sopravvivenza portino anche ca-ramelle per i bambini. Invece nulla, perché la campagna con questo tempo non è luogo per i bambini, e anche io passo per una persona adulta.

Rimango isolato per la neve per più di due mesi. Mi convinco ogni giorno di più che devo fare di tutto per arrivare a vivere meglio delle bestie che accudisco tutti i giorni. Intanto comincio a orientarmi e riconoscere le ore

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del giorno dall’altezza del sole e quelle della notte dalla posizione delle stelle. Di notte la campagna è piuttosto movimentata, non posso mai lasciare il bestiame incusto-dito e spesso ho visite di persone che per vari motivi transitano nell’ovile. Sono abigeatari, latitanti e banditi, persone per me familiari, persone che per una qualsiasi ragione sono costrette a bandidare, a darsi alla macchia, e devono essere aiutate dando loro da mangiare, custoden-do e assistendo le loro greggi e coltivando anche il loro grano, soprattutto quando hanno una famiglia numerosa.

Sono le cose che in campagna si fanno in favore dei meno fortunati, spesso minacciati e perseguitati. A volte penso che sono molto più fortunato di loro, sempli-cemente perché nessuna belva con sembianze umane mi minaccia. Ma la condizione di bambino-ragazzo-uomo, così come la sto vivendo, non mi piace più e penso sem-pre a come posso riuscire a migliorarla; non condivido più la cultura dell’“occhio per occhio e dente per dente” messa barbaramente in pratica, tanto che chi non la ri-spetta non è considerato un uomo. Tutti gli altri valori, se pure ci sono, svaniscono davanti all’atto miserabile della vendetta.

Una volta sciolta la neve e arrivata la primavera, si prospetta un’annata di raccolto abbondante, e anche di carne, di latte e di lana. Posso così fare un’esperienza di ben 60 giorni di mietitura e conseguente trebbiatura di avena, orzo e grano.

Conosco un giovane pastore con idee avanzate

che, impressionato dal mio impegno e dalla mia profes-sionalità, mi propone un contratto di lavoro molto buo-no, a patto di seguirlo nella transumanza nella zona tra Sassari e Porto Torres. Lui sino ad ora ha lavorato nell’azienda di famiglia, a Ozieri, ma, essendosi sposato, deve lasciare la famiglia di origine, secondo l’uso, e avvia-re una propria azienda. Così ha deciso di prendere in af-

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fitto un terreno oltre Sassari e deve spostare il bestiame. Accetto la sua proposta e inizio aiutandolo nella transu-manza. E naturalmente porto anche le pecore che ho avu-to in pagamento. Così, compiuti i 16 anni, nel settembre del 1957 affronto col mio nuovo datore di lavoro l’impegnativo viaggio. Abbiamo con noi pecore, maiali e un asino. Camminiamo per 72 ore senza mai fermarci per riposare, fino all’arrivo nella nuova azienda.

Ancora una volta affronto un duro lavoro per mettere in ordine la nuova tanca e renderla adeguata al pascolo; ma faccio tutto di slancio e alla fine sono felice del risultato. Sembra che le mie energie non finiscano mai, e anzi si moltiplichino, e per questo sono entusiasta e fiducioso.

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IN CERCA DEL MEGLIO Nei primi mesi del 1958, a 17 anni compiuti, nonostante la nuova e positiva esperienza, il buon guadagno e il bene che mi vuole la nuova famiglia dove lavoro, cresce in me l’idea che non mi devo accontentare del buon pane quo-tidiano, ma che devo programmare il mio lavoro e il mio avvenire. Così informo il datore di lavoro della mia inten-zione di andarmene per avviare un’attività tutta mia. An-che lui è ragazzo giovane, capisce subito la mia idea e m’incoraggia a realizzarla.

Ma anche se mi sono fatto la fama di lavoratore buono e onesto non è detto che riesca a farmi affidare un’azienda agro-pastorale. Intanto, in seguito alla morte di mio padre, avvenuta qualche mese fa, sono diventato per legge capofamiglia dei miei fratelli e di mia sorella, anche se sono stato messo, allo stesso tempo, sotto la tu-tela di un vecchio parente e del pretore.

Dopo aver ricercato a lungo una buona azienda da condurre per conto mio, vengo a sapere che c’è dispo-nibile una bellissima tanca con terreni meravigliosi e be-stiame discreto; ma come me aspirano a condurla ben ot-to famiglie. Man mano che si avvicina la data concordata per l’incontro con il padrone mi rendo conto che devo mettere in campo tutte le mie conoscenze e la professio-nalità che ho acquisito in anni di duro lavoro, che sono tanti nonostante la mia giovane età.

Il sopralluogo della tanca che faccio insieme al padrone è entusiasmante perché è veramente molto bella, e da una parte confina con il mare.

Mentre ci scambiamo le nostre impressioni riesco a essere critico e propositivo. Ma le mie carte vincenti so-no la mia esperienza nella mungitura e nella valutazione degli animali. Quando dico che le bestie per essere pro-duttive devono essere rinnovate al massimo ogni tre anni

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il proprietario mi ascolta con molta attenzione e mi con-fessa di essere sorpreso dal mio grado di preparazione co-sì professionale, alla mia età.

Tentiamo di arrivare a un accordo, e nel pomerig-gio discutiamo su come ripartire i “frutti” dalla terra e da-gli animali. La consuetudine è che chi lavora si deve ac-contentare del 25%, ma io chiedo il 33, perché non ho nessuna intenzione di lavorare solo per sfamarmi.

Continuiamo a discutere nel corso di un incontro-scontro lungo e faticoso, anche se cordiale e propositivo. Il proprietario dice che nessuna delle altre famiglie ha a-vuto da ridire, erano tutte d’accordo sul 25%. La mia gio-vanissima età mi rende difficile essere convincente, ma ribadisco al mio interlocutore, sempre più meravigliato, che, anche se non ho molti anni, sono sicuramente un ra-gazzo onesto e un instancabile lavoratore.

Ci salutiamo senza aver raggiunto un accordo, ma si impegna a comunicarmi la sua decisione. Mi allontano ormai convinto che, avendo tirato troppo la corda, reste-rò a bocca asciutta. Dopo qualche ora di riposo sono sempre deciso a trovare un’azienda da gestire. E così l’indomani mattina prestissimo, tanto che è ancora buio, mi incammino e non mi fermo fino ad arrivare in una zo-na in cui si trovano degli ovili dove possono occorrere dei lavoratori. Ho percorso una trentina di chilometri e ho raggiunto le campagne di Tergu, nel retroterra di Castel-sardo.

Sono tutti molto cortesi e ospitali. Al terzo giorno della mia instancabile marcia incontro un gruppo di ope-rai che mi indirizzano in una grande azienda che, dicono, è molto bella ed è popolata da molto bestiame. E mi spiegano, rivelando notizie più particolari, che probabil-mente c’è bisogno di un buon lavoratore, perché il titolare è morto da poco, in seguito a un infortunio, e tutto il ca-rico del lavoro è rimasto sulle spalle della moglie, che è giovane e ha dei bambini ancora piccoli.

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Arrivo all’ovile e, superato l’imbarazzo del primo momento e il disagio per il lutto ancora fresco, che si toc-ca quasi con le mani, visito tutta l’azienda, osservo bene gli attrezzi da lavoro, trattore, carro e aratro; e infine ef-fettuo un più accurato controllo sulle bestie.

Trovo il tutto in buono stato; mi rimane solo da affrontare il discorso della divisione del prodotto, ma la signora si dice subito d’accordo sulla mia richiesta di ave-re il 33%. Ci sediamo a un tavolo e scriviamo con metico-losa precisione il contratto, del quale tratteniamo una co-pia ciascuno. L’usanza e l’esperienza ci consigliano di non firmarlo prima del primo giorno di settembre – ora siamo appena a maggio –, perché l’uno o l’altro di noi potrebbe avere dei ripensamenti. L’accordo è che chi dovesse aver-ne li dovrà comunicare entro il primo settembre. Dopo di che, se lo confermeremo, avrà validità a partire dall’inizio della nuova annata agraria, il 1° ottobre. Saluto e riprendo molto rinfrancato la strada del ritorno. Finalmente, con in tasca un contratto scritto – seppure senza le firme che lo convalidano –, mi sento più sereno e posso riprendere a lavorare con entusiasmo, nell’attesa che arrivi il mese di settembre. Rifletto sul cambiamento profondo che sta avvenendo dentro di me senza l’aiuto di nessuno: solo io sono a conoscenza di questa meraviglio-sa metamorfosi che mi condurrà a cambiare ambiente e luogo di lavoro. Allo stesso tempo le nuove persone che ho conosciuto non sanno niente del mio passato di “bambino-animale”, anche perché mi sono saputo adatta-re alle nuove esigenze del lavoro e alle nuove relazioni so-ciali.

La trasformazione che è in atto sia nel mio fisico che nella testa mi costringe a pause di riflessione e a ra-gionamenti interiori che non avevo mai sperimentato. E questo mi stanca molto. Il passaggio dallo stato di bambi-no-animale a quello di adolescente riflessivo e ragionevo-

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le, e ancora a quello di uomo maturo, mi tiene in una con-tinua tensione nervosa. Sono incredulo di fronte a quello che mi sta succedendo, mi sembra tutto molto strano; e avverto una grande stanchezza fisica per la quale non tro-vo una spiegazione plausibile. Mi sembra che la mia mu-scolatura, anche se ben sviluppata, non sia sufficiente per il lungo cammino che devo percorrere.

Mi rendo conto che devo uscire dalla solitudine cui sono abituato, mi devo impegnare, anche se mi costa sacrificio, per imparare a discutere e condividere le idee degli interlocutori che incontro, ma anche per far valere in maniera più credibile le mie ragioni, soprattutto nel campo del lavoro. Questo è un impegno che va oltre il lavoro col quale mi procuro il pane da mangiare, e che comporta anche la realizzazione dei desideri dei miei ge-nitori. I quali erano convinti che io fossi un ottimo seme, ma non hanno potuto vederlo maturare e produrre. Toc-ca a me dimostrare che la loro fiducia era ben riposta.

La sensazione che vivo è incredibile e molto stra-na. Improvvisamente non mi sento più solo, o addirittura forse non lo sono mai stato. Penso che i miei monologhi di quando ero abbandonato in campagna, in compagnia dei “miei animali”, erano in realtà un dialogo molto inti-mo e personale, ma spesso infuocato, con i miei genitori.

Tutta la sicurezza sulla quale posso contare mi viene dall’esperienza sul lavoro. Per questo ho potuto dia-logare sia col titolare dell'azienda sul mare che con la si-gnora rimasta vedova dell'utilizzo dei mezzi agricoli come dell'aratura, della semina come dell'assistenza e conduzio-ne degli animali. Nel corso di questi incontri sono divenu-to consapevole della mia esperienza e della competenza che ne è derivata. C’è qualche conoscente che mi lancia segnali di comprensione e mi incoraggia a continuare su questa strada, e anche per questo mi sento molto ottimi-sta e sicuro di realizzare il primo sogno concreto della mia vita. Sono gli ultimi giorni del mese di maggio e sto lavo-

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rando con altre persone a imballare foraggio per la prov-vista invernale degli animali quando il suono del clacson di una delle prime Cinquecento Fiat attira la nostra atten-zione. Mi avvicino alla vettura e con mia grande sorpresa vedo che al posto di guida c’è il padrone dell’azienda che confina con il mare. Dopo i primi convenevoli mi chiede quando gli sarà possibile conoscere anche mio fratello Gianni e quando possiamo firmare il contratto di mezza-dria.

Quello che si sta avverando in questo momento non lo so valutare in tutta la sua reale importanza, è un evento che per me va oltre un semplice contratto di lavo-ro di mezzadria. Nell’arco di un mese è il secondo ricono-scimento non solo della mia capacità di lavoro, che forse è la parte più scontata, ma anche dell’enorme fiducia ac-cordatami da persone fino a quel momento sconosciute; e se penso che fino a qualche tempo fa mi consideravo un “bambino-animale” la cui massima ambizione era diven-tare un “uomo-animale”, tutto mi sembra incredibile. An-che se ho solo 17 anni è arrivato per me il tempo di non pensare più soltanto al passato perché il futuro si è già af-facciato.

Non si tratta della semplice firma di un contratto,

e non inizia per me una nuova fase del lavoro da dipen-dente, ma in questo momento assumo la conduzione in completa autonomia di un’azienda agro-pastorale moder-na, che era ambita da molte famiglie.

Mi gratifica soprattutto la soddisfazione di essere riuscito a capire gli altri, e poi a farmi capire e a trasmette-re l’idea che per me il lavoro è realizzazione di me stesso e conquista della mia libertà. Per questa via sono arrivato a conquistare il massimo della fiducia e il riconoscimento pieno della professionalità che ho acquisito.

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L’AZIENDA IN RIVA AL MARE Il proprietario ha messo da parte la consuetudine secondo la quale i contratti nel campo dell’agricoltura hanno vali-dità dal 1° ottobre e mi ha chiesto di prendere possesso dell’azienda da subito, nel mese di giugno. Questo mi permetterà di conoscere meglio il bestiame e di pro-grammare per tempo il lavoro per la nuova annata agraria. È bastato uno sguardo d’intesa con mio fratello a fargli accogliere l’invito e così iniziare insieme un lavoro entu-siasmante e nuovo, con tante responsabilità, e proprio per questo con altrettanta voglia di impegnarci con tutte le nostre energie, per convincerci che la realtà è sicuramente meglio di un sogno mancato.

Gli ultimi giorni di questo mese di maggio sono veramente frenetici, entrambi dobbiamo definire il rap-porto di lavoro con il nuovo datore di lavoro; e io ho an-che l’impegno di informare la signora di Tergu che ho trovato una soluzione diversa e che, sia pure con dispia-cere, non posso impegnarmi per la gestione della sua a-zienda. Sbrigate tutte la formalità, in una bellissima giornata dei primi di giugno prendo possesso, insieme a mio fratello, della nuova azienda agricola. L’impegno nel sostenere tut-ta la contrattazione, il tempo e le risorse soprattutto men-tali che ho dovuto investire per cose alle quali non ero preparato mi hanno completamente spossato. Fortuna-tamente mio fratello, accorgendosi di questa mia stan-chezza, mi sa ben affiancare e sostenere; tanto che po-trebbe raccontare con più precisione di me la ricognizio-ne di tutta l’azienda e l’osservazione degli animali. D’altra parte anche lui è già molto esperto nonostante la giovane età. L’azienda è molto vasta ed è divisa in due appezza-menti o “salti”, come si dice in sardo, uno vicino al mare

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e uno più interno, verso la Nurra. Abbiamo il controllo di circa 350 animali, 300 pecore da mungere e 50 agnelli che alleviamo per rinnovare il gregge. Ogni giorno otteniamo dalla mungitura circa 200 litri di latte che, a seconda del periodo dell’anno, trasformiamo in formaggio o confe-riamo al caseificio. Nel mese di giugno la produzione del latte è minima. La mattina, dopo avere munto e avere governato le pecore, i maiali, e le galline, trasportiamo col cavallo il latte in una latteria della città capoluogo e in un negozio della città portuale vicina alla nostra azienda. Una volta alla settima-na portiamo anche il formaggio.

A me e mio fratello manca l’abitudine di fare la spesa per casa, ogni tanto ci rendiamo conto, guardandoci negli occhi e sorridendo, che non abbiamo nulla da man-giare, ad eccezione di qualche uovo e un po’ di latte. Sino ad ora abbiamo lavorato in aziende in cui c’era chi si oc-cupava di fare la spesa e provvedere alla cucina; ma ora dobbiamo fare tutto da soli.

Dopo il primo assestamento mi rendo conto con meraviglia e piacere che fare il pastore in questa zona che confina con il mare è molto meno faticoso e più gratifi-cante rispetto a quanto avveniva nell’ovile degli zii sper-duto tra i monti. Qui non dobbiamo provvedere alla provvista della legna che occorre per riscaldarci e per la lavorazione del latte. L’azienda infatti è così grande che ci sono dei mezzadri che coltivano l’orto e una carciofaia, e degli operai che coltivano la terra e curano gli erbai utiliz-zando mezzi agricoli. Pensano loro alla legna e ad altre provviste, e quando piove e non si può lavorare la terra ci aiutano anche a governare il gregge.

Le pecore hanno a disposizione un’ottima e ab-bondante distesa erbosa, costituita quasi tutta da erbai e da erba medica, sono circa 15 ettari di terra con vista ma-re per farle pascolare.

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Dopo qualche tempo inizio a conferire il latte a un casei-ficio che manda ogni mattina un camion per il ritiro. Ma viene poi un periodo in cui lo stabilimento chiude e, poi-ché la produzione del latte è ancora abbondante, lo devo consegnare a una latteria di Sassari.

Vado ogni giorno con il calesse trainato dal caval-lo, ma il tempo che impiego è troppo, tra andata e ritorno sono più di quattro ore. Decido così di acquistare una moto che sia adatta anche a questo tipo di trasporto; così mi rimarrà più tempo per dedicarmi alle tante altre attività della campagna. Tutto fila liscio, ma un giorno il postino mi consegna un plico speditomi dal giudice tutelare (sia io che mio fratello siamo ancora minorenni), che mi convoca in tribunale in-sieme al titolare dell’azienda. Il pretore ci spiega che gli “amati” zii mi hanno denunciato per aver abbandonato l’attività che svolgevo presso di loro; ma certo non hanno detto nulla delle mie condizioni di lavoro, sempre abban-donato a me stesso in luoghi dispersi.

Dicono piuttosto che si sono decisi a malincuore a denunciarmi, soprattutto per salvaguardare la mia salute e il mio avvenire.

Con molta difficoltà spiego al giudice la mia situa-zione, ribadendo che per gli zii ho lavorato come uno schiavo senza ricevere nessun compenso, nonostante le solenni promesse. Dopo aver interpellato anche il padro-ne dell’azienda e aver esaminato con molta attenzione il contratto di mezzadria, il pretore ordina agli zii di non di-sturbarmi più, e assume di persona la nostra tutela legale. Riprendo il lavoro con buon impegno ma, anche se sono stato tranquillizzato prima dal giudice e poi anche dal tito-lare dell’azienda, ho perso la serenità che mi sembrava di avere raggiunto in questo periodo. Il padrone viene tutti i pomeriggi a trovarci, per definire i programmi di lavoro

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o anche semplicemente per scambiare quattro chiacchie-re. Durante uno di questi incontri si accorge di un mio malumore, e mi chiede quale ne è il motivo. E io, supe-rando la mia forte riservatezza, gli spiego che sono molto preoccupato perché a casa degli zii abita ancora mia sorel-la che sta per finire le scuole medie inferiori.

Mi ascolta con attenzione e subito, come potreb-be fare il migliore dei padri, mi offre due stanze che usa come ufficio e le libera immediatamente rendendole di-sponibili come abitazione per mia sorella. Sono ancora incredulo di fronte a questa sua grande disponibilità, e mi sento subito più tranquillo. Al momento dei saluti mi rac-comanda di andare al più presto dagli zii per prendere mia sorella e portarla da noi. La mattina dopo, molto presto – è ancora freddo nono-stante la primavera inoltrata –, parto con la moto verso il paese degli zii, che dista circa cento chilometri, deciso a rientrare con mia sorella seduta nel sellino posteriore: non è molto comodo, ma quando si fugge verso la libertà i di-sagi non si sentono.

Dopo lunghe e inutili discussioni partiamo: quan-do c’è solo il nulla, senza neanche un sogno da realizzare, l’unica cosa da fare è scappare. Finalmente riuniti! A parte l’altro nostro fratello, che ha purtroppo bisogno di assistenza e deve vivere in un istitu-to, i cocci della famiglia si rimettono insieme con un col-lante misterioso, che fino a questo momento era scono-sciuto anche a noi stessi. Abbiamo affrontato anni di sa-crifici, di enormi difficoltà e di incomprensioni, animati però da un filo di speranza e dalla volontà di ritrovarci, e mettere insieme quello che è rimasto della nostra famiglia. Per la prima volta siamo tutti uniti. Per la legge siamo an-cora minorenni, ma abbiamo maturato esperienze di vita che ci hanno obbligati a diventare velocemente adulti.

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Inizia una nuova fase della nostra vita nella quale affrontiamo insieme i programmi di lavoro e le strategie commerciali per garantirci un buon reddito e permettere a nostra sorella di continuare gli studi, almeno fino al di-ploma. E ci riuniamo per lunghe, lunghissime chiacchiera-te, anche fino alle tre del mattino, per tentare di recupera-re il lungo tempo trascorso ognuno nella sua solitudine, vagando con la fantasia tra miraggi impossibili da realiz-zare; mentre oggi la realtà ci dimostra che, così finalmente riuniti, possiamo riuscire a rendere possibile anche l’impossibile. La conduzione dell’azienda ci consente di vivere con se-renità anche dal punto di vista economico. Il programma di lavoro procede in maniera serena e soddisfacente, però bisogna pagare il dazio allo Stato con il servizio militare obbligatorio. Io sono esonerato in quanto capo famiglia, ma mio fratello deve partire: resterà lontano per 18 mesi. Per fare il lavoro che svolge di solito ci vogliono almeno altre due persone, e per poterle pagare aspetto con ansia i soldi, i miliardi che lo Stato ha programmato per il Piano di Rinascita della Sardegna, di cui una parte consistente sono stati stanziati per sostenere l’agricoltura e la pastori-zia.

È enorme la mia delusione quando il proprietario dell’azienda mi riferisce che gli sono stati accreditati i sol-di, tanti milioni, ma che per lui l’azienda va bene così com’è, pertanto quei fondi li utilizza in altri settori. Sento una grande amarezza e penso che nel bosco sono poche le querce che radicano bene e diventano secolari; ed è e-vidente che il bosco della mia vita non è cosi fertile da consentirmi di mettere radici secolari.

Devo pensare ed escogitare un altro tipo di lavo-ro; anche se sono molto preoccupato, deluso e anche ab-bastanza scoraggiato non posso darmi per vinto. Poiché guido molto bene il trattore, la moto e le macchine opera-

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trici che servono in agricoltura potrei fare l’autista, ma se mi voglio trasferire in quel settore mi occorre una patente di guida che mi abiliti a condurre tutti questi mezzi. Mi presento agli uffici dell’Automobil Club e mi informo su come la posso ottenere. Serve la patente A per guidare la moto, la B per l’automobile, la C per gli autocarri, la E se hanno il rimorchio, la E pubblica per i pullman. Io punto a quest’ultima, per ottenerla si deve superare, oltre all’esame di teoria, quello di pratica guidando un pullman con il rimorchio, ma poi anche altri di teoria e di guida pratica per il trattore e il trattore con rimorchio, e per o-gni macchina operatrice agricola, l’imballatrice, la trebbia, la mietitrebbia.

Frequento con il massimo dell’impegno la scuola

di teoria e quella di pratica per la guida di tutti questi mezzi e dopo circa due mesi posso sostenere gli esa-mi. Nella parte teorica vado benissimo e rispondo a tutte le domande dell’ingegnere della Motorizzazione. Dopo qualche giorno mi presento per gli esami di guida di tutti i mezzi, li supero e ottengo il foglio rosa. L’ingegnere è in-curiosito perché, anche se la legge consente di sostenere più di un esame di guida nello stesso giorno, un candida-to con dieci fogli rosa non gli era mai capitato.

Ho superato tutti gli esami senza indecisione e

con buoni risultati. Ora siamo in tanti che aspettiamo di conoscere il risultato e, quando sento pronunciare il mio nome seguito da “promosso” e dai complimenti dell’ingegnere, mi assale l’emozione. E in un momento di difficile confronto con una situazione per me nuova mi convinco che nella mia vita posso continuare senza paura.

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FACCIA A FACCIA CON I BANDITI Con la patente di guida professionale che mi consente di condurre tutti i mezzi gommati in circolazione in Italia sia per il trasporto di persone che di merci, mi presento in varie ditte di autotrasporti e vengo assunto da una che si occupa di prodotti petroliferi.

Il nuovo ambiente in cui vengo a trovarmi è mol-to umano e il rapporto con i colleghi basato sulla massi-ma collaborazione. Il lavoro è molto faticoso e non con-sente distrazioni: si tratta di guidare un autotreno che spesso è composto da una motrice a quattro assi che trai-na un rimorchio con tre assi lungo le difficili strade della Sardegna. Si viaggia tutti i giorni con itinerario e orari pre-stabiliti, mentre la domenica è dedicata alla manutenzione dell’autotreno, che consiste nel lavaggio, nel controllo e cambio dell’olio del motore e nell’ingrassaggio di tutte le parti in movimento. Il lunedì riprendo a viaggiare. Ogni mese percorro tra i sette e gli ottomila chilometri. Gianni si è trasferito a Torino per lavorare come operaio in una grande azienda, mia sorella studia a Sassari e vive dal lu-nedì al sabato in un pensionato; e la domenica viene da me, nella casa che ho preso in affitto nella borgata di Ot-tava. Una mattina del mese di dicembre, il titolare mi comunica che dei malviventi hanno sequestrato il titolare dell’azienda agricola per cui lavoravo fino a qualche mese fa. Al momento non si sa altro ma, se lo desidero, anche in considerazione del legame quasi filiale e del rispetto e ammirazione che ho verso questa persona, se mi voglio mettere a disposizione della sua famiglia mi lascia libero dall’impegno del lavoro per tutto il tempo che mi occorre, senza farmi mancare lo stipendio; e naturalmente senza informare i miei colleghi del vero motivo dell’assenza, ma facendomi risultare in ferie per motivi di famiglia.

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È una mazzata tremenda per me e nella mia testa c’è un vuoto che assomiglia a un precipizio senza fine. Mi ritrovo a riflettere sul fatto che mia madre è morta di ma-lattia, mio padre è stato assassinato per rapinargli qualche lira e che la persona che considero come un padre è stato rapito. Informo mia sorella dell’accaduto e le raccomando di stare serena e il più che può tranquilla: poi mi dirigo verso la casa del sequestrato per mettermi a disposizione.

È difficilissimo descrivere quello che succede nel-la famiglia di una persona sequestrata: l’angoscia e il terro-re sono i sentimenti che dominano, e si trasferiscono su-bito anche a chi arriva per fare compagnia e tentare di da-re un po’ di conforto.

I giorni e le notti trascorrono tutti uguali, senza riposo e sussultando a ogni squillo di telefono o di cam-panello. Anche se si presta la massima attenzione, quando si vede scivolare sotto la porta d’ingresso qualche lettera o biglietto dei sequestratori, anche se si cerca il più veloce-mente possibile di bloccare ascensore e scale, l’autore del-la missiva riesce sempre e comunque a svanire nel nulla.

Ogni giorno si va in giro, si segue un percorso in-dicato in maniera particolareggiata qualche volta per tele-fono, più spesso con lettere o biglietti, naturalmente ano-nimi e scritti a stampatello. I vari posti di blocco organiz-zati dalle forze dell’ordine non danno nessuna risposta apprezzabile, né si verificano conflitti a fuoco con i mal-viventi. La moglie del sequestrato, anche se ho dato la mia disponibilità per fare i giri della speranza come emis-sario, ha molte remore perché mi considera troppo gio-vane e, vista la gravità della situazione, non vuole correre ulteriori rischi, anche perché qualche emissario è stato pe-santemente minacciato.

Succede però che, o per l’inesperienza o per la paura – l’impegno dell’emissario è molto delicato ed è più facile venire ammazzati che riuscire nell’impresa di far li-berare l’ostaggio –, non si trovano più persone disponibili

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per questo delicato compito. Anche se la speranza che l’ostaggio sia ancora in vita si sta affievolendo ogni giorno che passa, una mattina la signora mi chiede se sono anco-ra disponibile a iniziare il giro come emissario. Accetto, anche se in molti sospettiamo che l'ostaggio sia stato ammazzato e anche alcuni componenti delle forze dell'ordine lasciano trapelare questa sensazione.

Leggo la lettera dei malviventi che spiega nei mi-nimi particolari il mezzo da usare, una moto Ape a tre ruote, che abbia ben visibili sulle sponde o sulla capotta una valigetta da donna e un ombrellino sempre da donna. Non devo mai superare la velocità di trenta chilometri o-rari e non debbo fermarmi nei distributori di benzina che incontro. Sono tenuto a vestirmi con un frac e ho l'obbli-go di fermarmi per dieci minuti nel bar centrale di ogni paese indicato nell'itinerario.

L'angoscia e l'apprensione sono molto forti, ma devo fare di tutto per dimostrare padronanza e controllo della situazione; raccomando ai familiari dell'ostaggio e a mia sorella di non fare nessuna segnalazione alle forze dell'ordine, anche nel caso che io non riesca a rientrare a casa all’orario previsto. Poche persone sanno che ho deci-so di iniziare il percorso indicato senza portare con me i trenta milioni di lire, come imposto in modo tassativo con pesanti minacce. Io invece confido sul fatto che se vogliono incassare il riscatto non possono farmi del male, anzi eventualmente devono decidersi a intavolare una trattativa; e così inizio la mia avventura senza una lira. Mentre procedo lungo l’itinerario imposto mi rendo con-to che il percorso è molto più lungo e impervio di quello che pensavo; circa la metà sono strade bianche, per per-correrlo tutto occorrono dalle tredici alle quattordici ore. Faccio rientro oltre la mezzanotte senza aver incontrato nessuno e riferisco alla famiglia che il primo giro è di con-trollo e che ho intenzione di ripartire domani mattina alle otto.

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L’indomani riprendo il lungo percorso e lo seguo chilo-metro per chilometro, sempre attento a ogni dettaglio. In-torno all’una del pomeriggio noto un segnale preciso e mi fermo al bordo della strada. Da dietro un cespuglio mi ar-riva l’ordine di scendere con calma, di saltare un muretto e, come per espletare un’esigenza fisiologica, accovac-ciarmi dietro un grande masso che praticamente mi na-sconde alla vista dalla strada.

Ubbidisco ma volutamente non eseguo corretta-mente l’ordine: per sentirmi più sicuro mi sistemo in mezzo a due massi. Come prevedevo, mi viene dato l’ordine di lasciare i soldi e andare via: più tardi mi daran-no le istruzioni per la liberazione dell’ostaggio. Serpeggia nel loro atteggiamento molto nervosismo, comunque rie-sco a tranquillizzarli, li informo che sono solo e che le forze dell’ordine non sanno del mio ruolo di emissario.

Dico anche che non ho dubitato della loro intelli-genza e per questo ho preso la decisione, sicuro di essere capito, di non portare i soldi per pagare il riscatto con una motoretta a tre ruote rischiando che il primo degli sciacal-li me li potesse portare via. Ogni volta che sulla strada vi-cina transita qualche macchina il discorso si interrompe e per me sono momenti preziosi, li utilizzo per ripararmi meglio da eventuali attacchi anche armati e per riordinare le idee. Chiedo della salute dell’ostaggio, se si confida con loro e di cosa parlano, se gli fanno leggere il giornale e se ha necessità di qualche farmaco o di un cambio di bian-cheria e di indumenti. Tentano di tranquillizzarmi e anzi mi raccomandano per l’indomani di portare, oltre i soldi, anche un cambio per il rientro a casa e un termos con qualcosa di caldo. Quando pensano che il dialogo sia fini-to e stanno per andarsene, dico loro che ho altre due ri-chieste importanti da fare: la prima è che non ripeto il gi-ro se non mi consentono di utilizzare un’automobile, per-ché con la moto Ape ho la schiena a pezzi. Confabulano un po’ e mi autorizzano a utilizzare un Fiat 500.

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L’altra richiesta è più impegnativa, chiedo che mi accompagnino a visitare l’ostaggio, per accertarmi che è vivo: solo a questa condizione domani porterò i trenta milioni richiesti per il riscatto. «Altrimenti?», tuonano in coro. «Altrimenti», rispondo «porto con me solo due o tre milioni, mi consegnate l’ostaggio e m’impegno sulla paro-la a consegnare il resto il prima possibile e alle condizioni che ponete». La discussione si fa più accesa, ma nella po-sizione dove sono accucciato mi sento sufficientemente protetto; e dopo tutta una serie di contrattazioni arrivia-mo all’accordo che l’indomani porterò almeno dieci mi-lioni di lire. Verso le due del mattino arrivo a casa della famiglia dell'ostaggio, sono molto stanco e sconfortato, ho netta la sensazione che si siano sbarazzati della perso-na sequestrata e questo mi inquieta, anche se il buon sen-so mi dice di continuare, perché ritirarmi adesso potrebbe significare dare un’altra occasione agli sciacalli. Invece voglio assolutamente chiudere questa triste storia.

In una stanza dell'appartamento c'incontriamo con la signora e altri due stretti familiari, ai quali racconto tutto quello che è avvenuto nell'incontro con i malviventi, le mie impressioni e il patto finale che prevede l'utilizzo della macchina per portare la somma di dieci milioni di lire subito, e il resto da consegnare in seguito.

Non appena finisco la signora mi chiede di ripete-re con la massima precisione un frammento delle parole del sequestrato che mi sono state riferite dai malviventi. Riprendo da capo e dopo un po’ mi fa cenno di fermar-mi, e dice che il fatto che sto raccontando non è cono-sciuto da nessuno, neanche dai figli, è un segreto tra lei e il marito: il fatto che il marito l’abbia raccontato ai malvi-venti può essere il messaggio per comunicare che è vivo.

Alle otto dell’indomani mi presento nel punto prestabilito per riprendere il percorso e trovo una Fiat 500 pronta. Dopo circa sessanta chilometri mi fermo in uno spiazzo,

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apro il cofano del motore e smonto il filtro dell’aria, mo-dificato a mia richiesta, e simulo un piccolo guasto che tento di riparare. Quindi arriva l’auto di un familiare che, come da accordi, lascia scivolare il pacco con i soldi vici-no al motore e io lo sistemo nell’alloggio del filtro dell’aria senza che nessuno possa sospettare che sto tra-sportando i soldi del riscatto.

Nonostante la prudenza e tutti gli accorgimenti messi in atto, ho l’impressione di essere seguito da più di una macchina, e ne ho la conferma grazie a un espediente che metto in atto: faccio bene attenzione a quella che mi segue, e così posso notare che a un certo punto si ferma e lascia il compito del pedinamento a un’altra vettura.

Sono molto preoccupato, mi tormenta il pensiero che, sapendo che ho i soldi del riscatto, qualcuno possa avermi venduto a qualche criminale senza scrupoli.

Dato che conosco alla perfezione il percorso, che è molto tortuoso con strade bianche tra cespugli impo-nenti, gioco una carta molto azzardata, ma l’unica possi-bile. Mentre affronto una curva a gomito mando su di giri il motore e in maniera decisa imbocco un viottolo che mi porta sotto un groviglio di piante dove nascondo la mac-china; salto fuori dall’abitacolo e vado a proteggermi in un punto molto ben riparato e che mi consente di avere una buona visuale, per tentare di capire come uscire da questa circostanza molto pericolosa. Il sequestro è avvenuto all’inizio del mese di dicembre, oggi è lunedì 16 gennaio e una settimana fa ho compiuto gli anni. Penso che questo è un periodo molto duro e che le feste non sono state delle migliori; però di sicuro non venderò la mia pelle al primo sprovveduto che incontro in strada, anche se questa sulla quale mi trovo è realmente una strada molto, molto pericolosa.

Dal punto di osservazione in cui mi sono rifugiato noto che in cima al monte ci sono delle macchine con sette o otto persone attorno e mi sembrano anche armate;

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ma la cosa più stupefacente è che al gruppo si aggiungono altre macchine, due delle quali riconosco essere quelle che mi seguivano qualche minuto fa.

Non ho più dubbi che quelle persone siano agenti delle forze dell’ordine che hanno avuto il compito di se-guire i miei movimenti. Risalgo in macchina e continuo il giro, però quando li raggiungo mi accorgo che sono in a-biti civili e armati fino ai denti. Mi fermo e chiedo chi è il capo-pattuglia, mi rispondono che sono cacciatori e che c’è un capo-caccia, se ho bisogno di qualche cosa.

Rispondo che non ho bisogno di niente, e intanto inizio a togliermi il frac per consegnarlo a quello di loro che avrà il coraggio di indossarlo per continuare il giro della speranza, e riuscire a capire cosa può essere successo al sequestrato. Quello che sembra il capo tenta di rassere-narmi dicendo di continuare, e assicura che non mi im-portuneranno più per il resto della strada che ancora ri-mane da percorrere.

Nel giro di pochi minuti dice tutto e il contrario di

tutto e io non credo a una parola; anche perché dichiarar-si cacciatori di lunedì, giorno in cui la caccia è chiusa, è il peggiore dei modi per rispettare l’arma di appartenenza. Terminare il giro di oggi, 16 gennaio, è stato un incubo, con il percorso pieno di macchine delle forze dell’ordine che correvano e s’incrociavano senza nessun ordine al-meno apparente, e a volte a sirene spiegate. Al rientro a casa della signora evito di raccontare cosa è successo con le due persone che ho incontrato ieri, perché è troppo grave e inverosimile. La mia sensazione è che mi vogliano ammazzare in un conflitto a fuoco simulato, per poi accu-sarmi di essere stato d’accordo con i sequestratori. Prima di andarmene consegno i soldi dicendo che domani mat-tina sono pronto a iniziare nuovamente il giro, se è d’accordo mi faccia trovare il denaro e l’auto come ha fat-to questa mattina.

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La signora confida ancora in me, nella solita piaz-zola mi aspetta il familiare con i soldi e riprendo il percor-so della speranza. Sono molto stanco ma ho la sensazione che questa sarà la giornata decisiva, nel bene o nel male. Viaggio per tutto il giorno per coprire il lungo percorso e finalmente, intorno alle ventitré, arriva il segnale conve-nuto: sono due uomini e, mentre uno controlla il traffico, l’altro con pochi ma inequivocabili segni mi indica dove parcheggiare la vettura. Mi ordina di scendere e mi rac-comandano di non fare mosse se non richieste, quindi mi perquisiscono minuziosamente e mi chiedono nome, co-gnome e indirizzo. Il loro atteggiamento, che era in un primo momento tranquillo, cambia nettamente non ap-pena pronuncio il mio cognome e preciso il mio grado di parentela con un mio omonimo di loro conoscenza.

Mi ordinano di prendere i soldi e mi chiedono se sono in grado di affrontare una lunga camminata nottur-na per i campi e i monti della zona circostante, perché il percorso è molto impegnativo. Iniziamo una lunga marcia con uno di loro che procede una decina di metri davanti a me e l’altro dietro più o meno alla stessa distanza.

Dopo circa un’ora e mezza il primo si ferma e mi dà l’ordine di non avvicinarmi a loro e di salire su un masso alto circa un metro e mezzo; poi mi debbo sedere e aprire l’involto dei soldi, vogliono essere sicuri che la famiglia non abbia voluto ingannarli nascondendo una bomba. Aperto il pacco e contati i soldi uno dei due si avvicina e con fare molto confidenziale m’informa che abbiamo ancora tanto da camminare per raggiungere la tana del sequestrato. Precisa che alle forze dell’ordine posso raccontare tutti i fatti così come stanno avvenendo ma mai, pena la vita, debbo riferire quello che sta per ac-cadere, ovvero il pagamento. D’altra parte mi garantisco-no che, in virtù di una loro etica di vita e di comporta-mento, mi apprezzano per l’eccellente lavoro fatto.

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Do la mia parola che mi atterrò alle istruzioni, quindi mi mettono in mano un po’ di banconote e prose-guiamo per almeno altre due ore. Arrivati a un certo pun-to mi chiedono con inconsueta cortesia di aspettarli, fra poco torneranno con l’ostaggio libero. Mentre ancora mi parlano scivolo per due o tre metri lungo il costone e non rispondo ai loro richiami, non voglio prestarmi come ber-saglio. La lunga camminata e il loro atteggiamento mi hanno definitivamente confermato che l’ostaggio non è più in vita. Valuto che sono circa le due e mezzo del mat-tino e che non ho nulla per coprirmi e pertanto devo as-solutamente fare movimento per non assiderarmi. Ora, nel buio della notte, non posso muovermi, devo aspettare l’alba per riuscire ad orientarmi e rientrare. Inizia a farsi giorno, ho saltato e fatto movimento per tante ore e sono sfinito, ora devo capire dove mi trovo, per tentare di trovare la strada del rientro. La prima cosa che faccio è salire fino alla sommità del monte per orien-tarmi e dirigermi dove la sera precedente ho lasciato la macchina. Individuo il percorso e anche se con molta fa-tica e con il corpo intorpidito mi avvio lungo il cammino del ritorno, che è piuttosto lungo.

Raggiunta la macchina avvio il motore e mi dirigo subito al paese più vicino; al primo telefono pubblico chiamo le forze dell’ordine e chiedo di informare la fami-glia dell’ostaggio e mia sorella che tutto è finito, che sto bene, che con pazienza aspettino il mio rientro.

L’ufficiale mi viene incontro con un altro milite, sulla macchina di servizio, per raccogliere tutti i dati in mio possesso e poter iniziare le indagini. Ci rendiamo conto che, nonostante le promesse e gli impegni assunti dai sequestratori, il povero sequestrato non c’è più.

Cominciamo a compilare il verbale dell’accaduto in un locale pubblico, e dico all’ufficiale che devo infor-marlo di un fatto molto delicato, e gli chiedo di non di-

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vulgare quello che sto per dirgli perché c’è una minaccia di morte che pende su di me. I due mi rassicurano, e rife-risco allora che i malviventi mi hanno riconosciuto un compenso in denaro per “l’ottimo lavoro svolto”, impo-nendomi però di non riferirlo a nessuno.

In un albergo di Macomer contiamo le banconote che ho avuto dai malviventi e decidiamo di andare nel ca-poluogo, Nuoro, per denunciare alle autorità militari tutte le fasi dell’incontro con i sequestratori e la notte trascorsa sul monte. Il giorno dopo mi presento per l’incontro con l’ufficiale dell’arma di Sassari per raccontare nei minimi particolari i quattro viaggi della speranza lungo le strade della Sardegna centro-settentrionale. Infine, dopo aver impiegato molte ore a stendere il verbale, ci mettiamo d’accordo per andare fra qualche giorno a Nuoro e mette-re a conoscenza le autorità competenti per territorio. Arrivato il giorno stabilito affronto il viaggio verso la sta-zione dell’Arma di Nuoro. All’arrivo mi siedo nella sala d’aspetto e poco dopo l’ufficiale che è venuto con me da Sassari mi chiama perché debbo essere sottoposto a un nuovo interrogatorio. Resto sbalordito e sono anche ab-bastanza disorientato quando mi viene chiesto se ricono-sco sei o sette persone presenti nella stanza. Alla mia ri-sposta negativa, mi viene detto che sono i militari con i quali ho avuto un diverbio nel corso del terzo dei miei gi-ri; i quali (definiti da me “forze del disordine costituito” perché si sono presentati come cacciatori, in un giorno in cui la caccia è chiusa) mi hanno sorpreso mentre dividevo i soldi del sequestro con i malviventi: vengo quindi di-chiarato in arresto. Prima che mi vengano messe le ma-nette chiedo che mi vengano ripetuti in maniera chiara e senza equivoci la località, il giorno e l’ora in cui sarei stato sorpreso, perché come cittadino credo di avere il diritto di contestare i fatti a me imputati.

Con la baldanza che deriva dalla loro posizione i militari ripetono nei minimi particolari tutte le accuse, e

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mi chiedono che cosa ho da dichiarare a mia discolpa. Domando ai due ufficiali se hanno letto e capito il verbale da me rilasciato, e scritto qualche giorno fa dal cancelliere verbalizzante di Sassari. Uno dei due mi chiede se sono in cerca di ulteriori guai e aggiunge che il suo consiglio disin-teressato è di nominarmi un legale e non dichiarare altro.

Infuriato e fuori da ogni grazia, insisto affinché vengano letti il luogo, il giorno, l’ora e i nomi dell’ufficiale verbalizzante e dell’ufficiale scrivente della mia deposi-zione di qualche giorno prima. Inizia finalmente la lettura e come per incanto risulta che al momento della presunta intercettazione io mi trovavo in un’altra località.

Il gruppo si dilegua e l’ufficiale, imbarazzato e in difficoltà non tanto nei miei confronti quanto verso gli altri ufficiali suoi parigrado, mi chiede scusa e giustifica l’inconveniente con uno scambio di persona. Il morale è molto basso, molte certezze vacillano, in chi è coinvolto in esperienze di questo genere matura la con-vinzione che manca la sicurezza che garantisca di poter continuare una convivenza civile e dare vita a un progetto di vita familiare perché, ormai è certo, un solo malavitoso può portarti via i beni materiali, gli affetti familiari e per-sino la vita. Le indagini, i conflitti a fuoco, i pattugliamen-ti, gli articoli e servizi giornalistici servono solo per poter affermare che si sta lavorando per la sicurezza delle per-sone e delle famiglie. In realtà la mia esperienza è molto diversa e racconta altro. È una vicenda tragica vissuta personalmente, e conferma che molte delle azioni di co-siddetto ordine pubblico servono solo per buttare fumo negli occhi dei cittadini e in alcuni casi per garantirsi promozioni. La comunità garantisce stipendi, avanzamen-ti di carriera e soldi sia ai politici che ai militari, ma perce-pisce di essere un granello di sabbia schiacciato da quei poteri e dal mondo dell’informazione. E senza avere un minimo di sicurezza.

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UN PROGETTO DI VITA Con questa convinzione rientro al mio lavoro di autotre-nista, sempre molto pesante e che mi stanca molto; ma un giorno leggo su un quotidiano che un ente del parastato cerca delle persone da assumere, dopo regolare concorso, come autisti. Inoltro la domanda, vengo ammesso agli e-sami, studio tanto e riesco a superarli. Continuo il solito lavoro e intanto aspetto la chiamata per il nuovo impiego; nel frattempo mio fratello e mia sorella si sposano.

Penso che devo dedicare un po' del mio tempo a riflettere, per poter riorganizzare la mia vita e dare forma a un nuovo programma per il mio futuro.

Mi inserisco in un gruppo di ragazzi e ragazze del-la mia età. Mi trovo bene, e sono molto considerato per-ché la mia esperienza di vita è molto diversa dalla loro e spesso ha dell'incredibile, almeno per i miei nuovi amici, però anch'io tento di trasformare la mia situazione. Fi-nalmente inizia il confronto, il dialogo e le attività del gruppo vengono proposte discusse e condivise. Siamo un gruppo molto numeroso e quindi per qualsiasi attività, andare al cinema, organizzare uno spuntino, fare una gita o una festa dobbiamo concordare cosa e come fare.

Tra il tempo che dedico al lavoro e quello che trascorro con gli amici, ancora una volta mi sembra di smarrire quello che dev’essere il corretto modo di concepire il mio avvenire. Decido di acquistare una moto che, a differenza della mia 500 FIAT, mi permette lunghe e solitarie pas-seggiate per riflettere sul programma del mio futuro.

Compro una V7 della Guzzi, bella, imponente, una vera moto da granturismo, eccezionale! Le domeni-che e i giorni di festa giro la Sardegna in lungo e in largo, spesso con amici appassionati come me. Nel corso di queste lunghe e a volte lunghissime escursioni sulle due

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ruote mi sorprendo a pensare che, nonostante i sacrifici e la poca fortuna, questo è realmente un periodo della mia vita molto bello e che lo sto vivendo con grande entusia-smo. Uso la moto tutti i giorni anche per recarmi a lavorare. Ho cambiato ancora una volta attività, sempre in attesa della chiamata per il nuovo posto di autista, adesso lavo vetture in un autolavaggio. Ma aspetto la domenica e gli altri giorni liberi per fare centinaia di chilometri in sella al bolide, che mi permette di svagarmi e allo stesso tempo mi impegna, perché la guida di una moto di questo tipo non consente distrazioni. Finalmente vivo un periodo di puro divertimento e di rilassamento. Anche per me il tempo passa, mi scappa via. Con i nuovi amici trascorro eccezionali momenti di incontro, di di-scussione e di brillante divertimento che, oltre a soste-nermi, mi aiutano a capire che la vita è bella e anche mol-to interessante, perché può andare oltre la porta di un ovile o i confini di una tanca, spalancando inimmaginabili scorci su un mondo per me assolutamente nuovo e com-pletamente sconosciuto.

Ogni sera con gli amici c’è il rito del saluto e dell’arrivederci a domani. Ognuno s’incammina verso ca-sa dov’è atteso dalla propria famiglia; anch’io mi dirigo verso la mia casa in cui però non vive nessuno oltre me, e spesso la trovo fredda. Qualche volta, se l’ora lo permet-te, vado a vedere l’ultima proiezione di un film. Ma poi, al rientro a casa, penso che se il frutto del durissimo e inu-mano lavoro che ho svolto sinora è questa solitudine, se questo è il raccolto, è veramente poca cosa. Devo trovare una nuova soluzione, è indispensabile che io dia inizio, questa volta per me stesso, a un altro progetto di vita.

Un tormento interiore mi induce a sognare la rea-lizzazione di una famiglia tutta mia. Sto attraversando un

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periodo della mia vita molto bello e sereno ma non posso rimanere solo, anche se il sacrificio per tentare di unire il resto della famiglia dei miei genitori mi ha spossato sia fi-sicamente che psicologicamente. Provo l’impressione di essere rimasto solo come prima, forse perché ho fatto qualcosa che non avrei dovuto; forse sono andato oltre il consentito, forzando avvenimenti che sarebbero dovuti andare in modo diverso.

A causa della mia esperienza personale della fami-glia, e dell’esempio che ricevo da molte altre che conosco, non mi viene il coraggio di pensare a formarne una tutta mia. La mia ristrettezza di pensiero, la completa mancan-za di dialogo e l’abitudine a vivere da solo mi fanno senti-re l’enorme differenza culturale tra me e il sistema che mi circonda, e questo non mi aiuta a imboccare la strada giu-sta.

Ho 28 anni e non so perché ho tanta difficoltà ad impegnarmi in un mio programma di vita futura. Ma de-cido che assolutamente entro i 30 devo riuscire ad iniziare un rapporto d’amore che mi traghetti verso la composi-zione di una famiglia. Il mio modo di intendere la vita è rigido, come a comparti e, nonostante l’impegno per a-prirmi a prospettive lungimiranti e moderne incontro o-stacoli e fatico a realizzare un percorso accettabile.

Insisto, nonostante qualche cocente delusione, sono determinato a realizzare nel miglior modo possibile il mio progetto, anche se non è semplice e qualche volta mi sembra di non essere all’altezza della situazione. Commetto molti errori che avrei potuto evitare se avessi avuto la possibilità di confrontarmi con qualcuno, invece sono semplicemente solo. Decido allora di partecipare a un corso di preparazione alla famiglia. Ho visto e imparato che la famiglia è soprattutto condivi-sione, comprensione, pazienza, è un impegno che dura una vita: richiede idee chiare, sane e sacrificio fin dall’inizio.

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In una calda giornata estiva, di domenica, decido di andare con la mia fantastica moto fino al mare, in una bella spiaggia della nostra meravigliosa isola. Alcune ra-gazze, sdraiate sulla spiaggia dopo aver fatto il bagno, e-sprimono il desiderio di fare un giro con la moto: non ne avevano mai visto una così bella, mastodontica, vogliono provare l'emozione di una passeggiata su due ruote.

Con ognuna di loro percorro circa quaranta chi-lometri. Con l'ultima, della quale mi sono subito innamo-rato, decido di accorciare il tragitto. Ci fermiamo a chiac-chierare, trovo il modo di esprimerle la mia ammirazione e con un’impacciata dichiarazione d'amore manifesto l'in-tenzione di dar vita insieme a lei a un progetto di famiglia. Prima di risalire sulla moto per il rientro restiamo d’accordo, anche nel rispetto della tradizione locale, che la risposta l'avrò tra una settimana. Inutile dire che questa settimana per me è lunghissima, il giorno non passa mai, la testa è vuota e il corpo non ha più una briciola di energia. La solitudine, il non poter confidare a nessuno il programma della mia vita, il pro-getto di creare una famiglia mi fanno sentire inadeguato e molto a disagio. Il tempo è passato e la domenica seguente ritorno alla stessa spiaggia con la moto rombante e il cuore in gola. Dopo i saluti e qualche battuta invito la mia ragazza pre-ferita, che dentro di me ho soprannominato "la mia Zin-zula", a fare un giro. Ripetiamo il percorso della domenica scorsa e ci fermiamo nello stesso punto.

Siamo tesi e un po’ imbarazzati. Trascorsi i primi istanti di impaccio e di percettibile emozione i nostri sguardi si incontrano e le nostre voci si uniscono nel pro-nunciare quel "sì" che ci condurrà a dare vita alla nostra promessa d'amore.

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LA DIAGNOSI Questo periodo è meraviglioso: la certezza che in due prepariamo il progetto della nostra vita mi rincuora e mi dà il coraggio e la convinzione per continuare senza ten-tennamenti la lunga strada che si apre davanti a noi. Ci siamo sposati, sono stato assunto come autista nell’ente pubblico presso il quale avevo vinto il concorso. Anche di questi lunghi anni, a volte luminosi, a volte molto bui e comunque con varie situazioni belle, ma anche molto dif-ficili, racconterò forse dopo. La circostanza della diagnosi del diabete dopo pochi anni di lavoro nel nuovo ente è causa di molta preoccupazio-ne. Comincio con qualche malore, tanta spossatezza e debolezza e con la classica necessità di bere e di urinare. Mia moglie avanza per prima la diagnosi di diabete e de-cidiamo di andare dal medico di famiglia. Apriti cielo! Il medico s’infuria e si rifiuta di fare accertamenti attraverso le analisi, per lui non è possibile che, con l’aspetto fisico che ho, ci sia una minima probabilità che abbia il diabete. Insistiamo, e dopo qualche giorno le analisi non lasciano dubbi: diabete mellito insulino-dipendente, così si chiama, ed è dato dal valore della glicemia altissimo. La terapia consiste in un’unica iniezione al mattino di circa 70 unità di insulina, con una siringa adatta per fare la puntura a un cavallo che bisogna bollire, dopo avere infilato una setola nell’ago, per un quarto d’ora; per usarla bisogna poi aspet-tare che ritorni a temperatura ambiente: insomma per fare un’iniezione d’insulina occorrono più di trenta minuti. E debbo anche seguire una dieta ferrea, praticamente stare quasi a digiuno; posso lavorare poco, è vietata l’attività fisico-sportiva e ogni settimana devo sottopormi al con-trollo nel reparto di diabetologia. Dopo qualche mese la terapia mi ha ridotto pelle e ossa. Tento di reagire in ogni modo, ma spesso sorprendo mia

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moglie che credendo di non essere vista piange a dirotto. Sono sempre più debole e spossato. La situazione mi al-larma molto e così decido di abbandonare il reparto di diabetologia universitaria che mi segue.

La mia debolezza è tale che non sono più in grado di guidare, chiedo a un amico di accompagnarmi in mac-china da un medico di campagna che conosco da tempo e del quale mi fido molto. Riferisco la mia situazione e gli chiedo se mi può aiutare ad affrontare in modo diverso la cura di questa malattia incurabile. Mi spiega che nono-stante la mia condizione di salute e di spossatezza genera-le il ricovero in ospedale non serve; anzi a suo parere de-vo riprendere a mangiare in modo normale, perché l’iniezione di insulina serve proprio a questo; e aggiunge una serie di indicazioni da seguire per riprendere il lavoro e l’attività motoria, anche agonistica.

Mi spiega che alle persone colpite da diabete è

“vietato vietare” e chiarisce che l’alimentazione corretta e un intenso dinamismo anche agonistico, oltre a rafforzare il fisico nella parte muscolare, migliorano tutta la situa-zione psicologica e portano la glicemia più vicina ai valori normali tanto che diminuisce la quantità di insulina da i-niettare. Dopo qualche mese di cura, con una buona alimentazio-ne e molta attività motoria, la mia salute riprende a peg-giorare. Le analisi rivelano che il mio organismo dopo un certo tempo rigetta l’insulina, che è di origine animale, e questo comporta uno scompenso glicemico totale.

Il bravo medico si mette in contatto con un’azienda che sta sperimentando l’insulina umana di sin-tesi e ottiene che anche io possa fare parte di quella ricer-ca, anche se non c’è la certezza che l’esito sia positivo. Vi-sta la grave instabilità glicemica di cui soffro vengo inseri-

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to tra le prime sette persone coinvolte nella sperimenta-zione.

La nuova insulina sembra migliorare la mia condi-zione e riprendo a praticare la corsa, anche se sono anco-ra molti i dubbi che devo risolvere giorno dopo giorno. Uno di questi dubbi è dato dalla stanchezza che mi assale dopo qualche chilometro di corsa: provo un assoluto bi-sogno di sedermi per recuperare un po’ di energie, alme-no quelle necessarie per rientrare a casa.

Mi sottopongo ad altre analisi e non emerge nulla che giustifichi la mia stanchezza, si tratta semplicemente di mancanza di un allenamento adeguato, che si aggiunge alla debolezza organica conseguente a un lungo periodo trascorso con la glicemia in disordine.

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LA CURA Entro in contatto con un gruppo di appassionati podisti e corridori e mi accordo con uno di questi per impegnarci a uscire tutti i giorni dopo le otto di sera, alla fine della giornata di lavoro.

Manteniamo fede all’impegno e corriamo per al-meno due ore al giorno, macinando una buona quantità di chilometri; e non ci fermano le condizioni del tempo, non ci ferma la pioggia né il vento, e neppure la neve. Nulla può ostacolare il nostro progetto di vita e di salute.

Il mio amico fa di tutto per mantenere questo im-pegno quotidiano perché lavora per molte ore al giorno all’interno di una cella frigorifera. Mentre io mi rendo conto che con la corsa riesco a controllare il diabete: sto molto meglio di prima, posso mangiare in maniera nor-male, inietto nel mio corpo molto meno farmaco e psico-logicamente mi sento più forte di questa patologia che senza nessun invito si è insediata nel mio corpo.

E tutto questo nonostante il parere contrario di troppi medici. Ce ne sono che insistono e mostrano una grande preoccupazione, e per convincermi a smettere di correre mi dicono che questa attività potrebbe portarmi alla mor-te, facendomi cadere nella cunetta di una delle tante stra-de che percorro.

Ormai le mie orecchie sono diventate sorde a queste sciocche e inutili raccomandazioni, come alle ma-laugurate previsioni di persone che penso abbiano studia-to nell’università dell’ignoranza, e non si sa bene in cosa si siano laureate. Nessuno di questi dottori si è mai preoc-cupato di verificare il mio miglioramento fisico e psichi-co, sono capaci solo di insistere perché mi sottoponga a-gli esami di routine. Io li rifiuto perché mi sono reso con-to che sono imposti da una ricerca scientifica molto in-

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consistente, che non mira alla guarigione dalla malattia ma è interessata soltanto alla produzione e al consumo dei farmaci. Divento atleticamente molto forte e resistente, partecipo a tantissime gare e marcelonghe. Quindi decido di alle-narmi con ancora maggior scrupolo per correre la mara-tona di 42,192 chilometri organizzata nel comune di Ori-stano. L’allenamento che mi impongo è molto sistemati-co, studiato in tutti i particolari: ogni cinque chilometri faccio una breve sosta per assumere una bottiglietta di frutta macinata e un po’ zuccherata, oppure qualche bi-scotto e acqua. La cosa più difficile è accertare il valore della glicemia, non esiste uno strumento per misurarla e nessuno dei medici che ho interpellato è in condizione di farmi un’adeguata assistenza.

Dopo tante prove ho imparato a utilizzare come strumenti di misura le pietre miliari, i cartelli stradali e tut-te le indicazioni scritte che trovo lungo il percorso. Anche nei momenti di grande fatica e stanchezza le scritte devo-no essere chiare e nitide ai miei occhi, se invece sono an-che minimamente offuscate vuol dire che debbo mangia-re e iniettare un po’ di insulina.

Per preparare una maratona occorrono normal-mente dai quattro ai sei mesi di allenamento; nelle mie condizioni di diabetico – che nessuno deve conoscere, specialmente l’organizzazione, pena l’espulsione, la squali-fica e il ritiro del tesserino FIDAL che è la patente per par-tecipare alle gare ufficiali – ne impiego dieci. Quando fi-nalmente partecipo alla gara impiego tre ore e poco più di venti minuti per raggiungere il traguardo, con ancora tan-ta energia da spendere. È un risultato che mi incoraggia, tanto che decido di riprendere subito l’allenamento per partecipare al giro dell’Umbria, gara da 100 chilometri da correre in 5 tappe. Anche nel corso di questa gara nessu-no si è accorto della mia condizione di diabetico. Sono

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entusiasta e felice per l’impresa che sono riuscito a porta-re a termine con le sole mie forze, fisiche e psicologiche. Per la tappa più lunga, quella di trenta chilometri, ho a-dottato lo stratagemma di portare una cintura, tipo car-tucciera, dove ho inserito degli involtini surgelati di miele che ho utilizzato al bisogno, oltre ai punti di ristoro. Ho coperto l’intero percorso in meno di 6 ore e mi sono classificato all’82° posto su oltre 750 partecipanti. Una legge capestro obbliga i medici di famiglia a comuni-care i nominativi di tutte le persone affette da diabete al ministero della Sanità e a quello dei Trasporti. La segnala-zione, come si può immaginare, non serve a questi mini-steri per agevolare il già difficile percorso di gestione della patologia, ma semplicemente per creare ulteriori disagi e barriere.

Il primo ostacolo, che per me è molto grave, ri-guarda il rinnovo della patente di guida: vengono infatti posti limiti e condizioni, collegati principalmente al valore della glicemia glicosilata. Si tratta del valore medio delle glicemia misurata lungo un periodo di 90 giorni e viene utilizzato come dato per decidere se si è più o meno ido-nei ad avere la patente.

Queste difficoltà creano un ulteriore intralcio nel-

la già problematica condizione che deriva dalla necessità di controllare la patologia momento per momento. In questo momento io non lavoro più come autista, e vivo una condizione simile a quella di tutti gli altri automobili-sti. A questo proposito c’è da considerare che la Sardegna non possiede un sistema efficiente di trasporto e collega-mento tra i vari comuni, ed è quindi importante più che altrove possedere l’auto e avere la patente. Siamo nel 1997. Nella sala conferenze di un albergo di Sassari i dirigenti e i responsabili del ministero dei Tra-

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sporti, in collaborazione con il presidente di un’associa-zione di bambini con patologia di diabete, tengono un in-contro per tentare di far capire alle persone adulte con diabete quali sono per loro le restrizioni imposte per legge all'ottenimento e al rinnovo della patente di guida.

Inutile dire che l'incontro, che è stato alquanto movimentato e vivace, ha lasciato l'amaro in bocca a tutti i partecipanti perché è stato subito chiaro che le istituzio-ni coinvolte non aiutano le famiglie e le persone con dia-bete ma creano solo difficoltà di ogni genere, che rendo-no la vita ancora più complicata.

Quando il dibattito infuocato sembra finito, tante

persone si avvicinano e mi chiedono la disponibilità a da-re vita a un’associazione che rappresenti tutte le famiglie e tutte le persone con patologia di diabete, e non solo una parte, come si stava verificando fino a quel momento. È bastato qualche incontro per chiarirci le idee e decidere che, almeno per la parte sociale e di informazione, e so-prattutto per curare l’aspetto della solidarietà, diamo vita nel giugno del 1998 al sodalizio denominandolo Associa-zione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna, con l’acronimo ADMS ONLUS.

Un caro amico mi aiuta a superare i primi ostacoli

legati alla costituzione dell’associazione e s’impegna a pa-gare le spese notarili e di registrazione dell’indispensabile atto costitutivo e dello statuto. Questo gesto disinteressa-to di generosità mi rincuora e allo stesso tempo mi sor-prende perché contrasta molto con altri segni simulati di solidarietà che provengono in effetti da persone che mi-rano a controllare e gestire le varie iniziative. Ci vengono ad esempio offerti dei locali, in più d’un caso sporchi e fatiscenti, di proprietà di qualche ente locale, dell’ASL o dell’Università, ma in cambio ci si mette la condizione di collaborare con un solo reparto di diabetologia.

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Questa poco edificante proposta viene a confer-mare che questi reparti, che in teoria sono incaricati di cu-rare il diabete, sono in realtà sottoposti al volere e agli in-teressi delle aziende che producono farmaci o strumenti. Sono numerose le conseguenze negative di questo scon-siderato comportamento.

I risultati delle ricerche, ad esempio, vengono

pubblicati, ma il fine è sempre quello di presentare il far-maco e gli altri strumenti di cura, e non di annientare la patologia. Con lo stesso spirito vengono organizzati dei convegni, totalmente gratuiti, che hanno lo scopo di far lodare gli ingannevoli utilizzi di insuline e farmaci, molte volte tanto dannosi e mortali. Ricordo quella che si dove-va spruzzare nel naso e le tante pasticche per il diabete di tipo 2 ritirate dal commercio in fretta e furia per gli effetti non proprio curativi.

I promotori di queste iniziative si dotano anche di

computer, che in teoria contengono programmi di gestio-ne delle cure ma in realtà servono a raccogliere dati e in-dirizzi delle persone con la patologia.

Vengono organizzati anche campi scuola, si dice per dare l’opportunità ai bambini di liberarsi dal controllo di mamma e papà e imboccare la strada dell’autogestione della patologia; ma ne godono di più i medici, che usu-fruiscono di permessi speciali. Allo stesso modo si finan-ziano viaggi in tutte le parti del mondo che, mascherati come convegni di studio o di ricerca, si riducono il più delle volte a periodi di vacanza e di piacere.

Non si pensa mai a quei corsi di formazione che

sono utilissimi per le persone con patologia di diabete e le loro famiglie. Né si provvede a dare vita a un serio e ca-pillare progetto per l’assistenza sociale e l’utilizzo dell’insulina nelle scuole. In Sardegna sono stati stanziati

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dei fondi, forse qualcuno ne ha anche usufruito, ma non certo le scuole e soprattutto i bambini affetti da diabete.

Gli assessorati regionali e comunali destano scan-dalo perché non predispongono nessun sostegno per le famiglie, per i bambini e per gli anziani in difficoltà, colpi-ti a volte da complicanze gravissime della malattia, quali le amputazioni che sono conseguenza di questa pessima ge-stione.

A ogni nostro incontro affiorano nel campo della cura del diabete problemi sanitari gravi, anzi gravissimi, tanto che sembrano insormontabili. E comunque unanimemente valutiamo che le incertezze sanitarie, per quanto carenti e gravi, impallidiscono al confronto con l'assoluta e totale assenza di una parvenza di servizio sociale: quel servizio che ogni comune dovrebbe prevedere in favore dei bam-bini e degli anziani con patologia di diabete.

Naturalmente per affrontare i bisogni dei soci emerge urgente la necessità di un locale da adibire agli in-contri informativi e alle attività sociali. Innumerevoli i tentativi che facciamo per individuare una struttura ido-nea alle nostre esigenze. Dopo tanti sforzi, quando sono ormai esausto e disilluso, mi viene indicata una costruzio-ne di proprietà del Comune, indecente e malridotta: e-sclusi i muri portanti è praticamente distrutta. Le imprese consultate chiedono dai 125 ai 130 milioni di lire per la ristrutturazione del locale e altri a 17.500.000 lire per l'im-pianto di condizionamento. Intanto i responsabili del pa-trimonio del Comune chiedono dal canto loro, per l’affitto di quel locale diroccato, 10 milioni di lire l'anno.

Anche se l'Amministrazione comunale ci colpisce così duramente decidiamo come Consiglio direttivo di tentare l'avventura. Acquistiamo un’auto e due scooter e li mettiamo come primi premi di una lotteria; iniziamo la vendita dei biglietti con la speranza di riuscire a ricavare i

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soldi necessari per la ristrutturazione. Le persone che si avvicinano ai nostri tavoli acquistano in poco tempo qua-si tutti i 10 mila biglietti, incassiamo circa 95 milioni. Il lavoro faticoso dei volontari che hanno organizzato la manifestazione è stato ben ripagato, e tra noi si diffondo-no l’entusiasmo e l’ottimismo. L'impresa che si impegna per il rinnovamento del locale esegue tutte le opere di ristrutturazione e ci consegna la sede dopo due mesi di lavoro, accontentandosi dei soldi raccolti con la vendita dei biglietti della lotteria. Ed è grande la nostra sorpresa quando l'azienda che ha realizzato l'impianto di condizionamento presenta la fat-tura di 17.500.000 e nello stesso momento mi comunica che viene trasformato tutto in una donazione incondizio-nata, un contributo al lavoro che noi svolgiamo nel con-fronti delle persone in difficoltà per la patologia e le loro famiglie.

Il nostro grande grazie va a chi ha acquistato i bi-glietti; all'impresa che ha realizzato il locale accontentan-dosi solo dei soldi raccolti; all'azienda che con gesto di i-naspettata generosità ha realizzato il sistema di condizio-namento.

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I PRIMI ANNI 1. I campi scuola. Negli anni l’ADMS ha acquisito una certa esperienze nella gestione di soggiorni per bambini e ra-gazzi. Le prime iniziative risalgono al 1998, e nascevano con alcuni scopi precisi. Il primo era quello di proporre ai giovani uno stile di vita corretto, accompagnato da un’alimentazione equilibrata e da attività fisiche; il secon-do, non meno importante, consisteva nell’organizzare per loro un periodo di completa autonomia, senza la presenza di genitori o altri famigliari, e medici. In questo modo bambini e ragazzi verificano direttamente non solo la propria capacità di autogestirsi nei confronti della malatti-a, si responsabilizzano, e soprattutto possono rendersi conto di essere ragazzi come tutti gli altri, e che come tut-ti gli altri possono condurre una vita “normale”, fatta di giochi, attività sportive e libertà.

Questa attività ebbe inizio con un week-end in una struttura alberghiera con piscina per 24 ragazzi di età compresa tra i 12 e i 15 anni. Durante il soggiorno furono organizzati alcuni giochi (trivial, monopoli di creatività e fantasia) e si parlò di una alimentazione corretta e di co-me gestire l’ipoglicemia in piscina e in discoteca. Seguì una discussione sulle cose che non si possono fare a cau-sa del diabete, delle diverse difficoltà e le possibili solu-zioni. Seguì, nel settembre del 1999, un campo scuola or-ganizzato dall’ADMS in collaborazione con l’Azienda o-spedaliera “Brotzu” di Cagliari e con alcuni servizi di Diabetologia pediatrica della zona. Non si trattava di un campo scuola per bambini in età prescolare accompagnati dai genitori ma più propriamente per genitori. I risultati furono eccezionali. L’importanza e l’efficacia dei campi scuola nella gestione del diabete di tipo 1 è ormai da tem-po riconosciuta. A ritrovarsi insieme, per alcuni giorni, lontano dall’ospedale e dalla città, sono in genere gruppi

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di ragazzini in età scolare o adolescenti, insieme a diabe-tologi, dietiste e spesso psicologi. 2. I diabetici e la patente. Subito dopo l’inizio dell’attività l’ADMS si dovette occupare dei nuovi problemi che si prospettavano per i diabetici muniti di patente di guida. Un decreto ministeriale dell’ottobre 1998 infatti, nello stabilire i requisiti psicofisici richiesti per il conseguimen-to, la revisione o la conferma di validità della patente di guida poneva forti limitazioni per chi è affetto da questa malattia. I due articoli che seguono, usciti entrambi sul quotidiano locale “La Nuova”, chiariscono i termini della questione e danno notizia del ruolo svolto per l’occasione dall’Associazione. Il primo è del 19 gennaio 1999: «SI È SCOPERTO CHE LE DIFFICOLTÀ A OTTENERE LA PATENTE DI GUIDA INDUCONO MOLTI MALATI A NASCONDERE IL LORO PROBLEMA: Non dire a nessuno che sono diabetico. Il decreto del ministro sui requisiti psicofisici per conse-guire o rinnovare la patente di guida ha avuto conseguen-ze che sotto molti aspetti possono essere definite dram-matiche. I diabetici infatti, per evitare di incorrere in san-zioni che potrebbero incidere anche sul loro lavoro, na-scondono la malattia. Sono tanti gli uomini e le donne che pur di mantenere la patente C (che consente la guida di grossi mezzi), si sono visti costretti a non dichiarare la loro malattia e di conseguenza a rinunciare a curarsi ade-guatamente.

Casi di questo genere si sono verificati a Sassari e nell'hinterland, anche se è difficile risalire a chi, pur di continuare a lavorare per mandare avanti la propria fami-glia, agisce con la consapevolezza di correre anche dei ri-schi personali. ‘Il decreto può essere tranquillamente rite-nuto una barzelletta’, dice Michele Calvisi, presidente dell'Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna. ‘La legge è infatti restrittiva e soprattutto non pone né ri-solve il problema più importante, cioè quello di verificare

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se un diabetico sia idoneo o meno alla guida dei veicoli a motore, in particolare dei grossi mezzi. Le commissioni sanitarie su questo punto fondamentale danno interpreta-zioni differenti, c'è chi applica la legge utilizzando metodi elastici, e chi, invece, la applica alla lettera, creando non pochi problemi alla nostra categoria’». Anche il secondo uscì il 19 gennaio: «ASSOCIAZIONE E MEDICI POLEMIZ-ZANO SULLE NUOVE NORME E SULLA LORO APPLICAZIO-NE. È vero che i diabetici al volante causano più incidenti degli altri automobilisti? Evidentemente sì, se il ministro ha sentito la necessità di modificare il decreto ministeriale del 28 giugno 1996 sui requisiti psicofisici richiesti per il conseguimento, la revisione o la conferma di validità della patente di guida e ha stabilito che può essere rilasciata o rinnovata al candidato o conducente colpito da diabete mellito con parere di un medico autorizzato e regolare controllo specifico per ogni caso. La patente non deve es-sere né rilasciata né rinnovata al candidato o conducente colpito da diabete che necessita di un trattamento con in-sulina, salvo casi eccezionali debitamente giustificati dal parere di un medico autorizzato e con controllo regolare. Quanto basta, insomma, per gettare scompiglio nelle per-sone colpite da diabete, molto numerose in Sardegna». Per discutere sul tema, illustrato dal Gruppo di lavoro ministeriale per il rilascio della patente, è stato organizzata una tavola rotonda all'hotel ‘Leonardo da Vinci’. «Il dott. Giovanni Bagella, presidente della commissione medico-legale, ha ricordato che sino al 1988 non esistevano leggi specifiche per la guida di veicoli a motore da parte dei diabetici, ed ha assicurato che, pur nel rispetto delle nuo-ve norme, ci sarà flessibilità nell'esame dei singoli casi. Si è parlato anche di una ricerca effettuata negli Stati Uniti dalle assicurazioni, da cui risultano essere in percentuale minima, ma non dovuti a problemi di glicemia, gli inci-denti provocati da diabetici. L'indagine è stata confermata dal direttore del Servizio di diabetologia dell'Università, il

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quale ha aggiunto che uno studio americano più recente ha sfatato la presunta diversità di comportamento dei diabetici al volante dimostrando che il numero degli inci-denti da loro provocati è uguale a quello delle persone sa-ne. Per restare in Sardegna, ha citato solo due casi di inci-denti gravi dovuti a cause legate alla patologia, peraltro avvenuti negli anni in cui di autocontrollo neppure si ipo-tizzava». 3. Scuola e formazione. Uno dei princìpi che l’Associazione ha sostenuto sin dal momento della sua costituzione è l’importanza della formazione come elemento strategico per la gestione del diabete. In realtà, lo è per qualsiasi a-zione di prevenzione primaria, per diffondere e promuo-vere corretti stili di vita. Dal primo avvio delle attività l’ADMS organizzò in proprio iniziative di questo tipo e diede la sua adesione ad altre indette da altri enti. Gran parte degli incontri erano dedicati ai bambini e ai ragazzi, ai loro genitori e agli insegnanti. Nel corso del tempo so-no stati toccati i più diversi temi legati alla gestione con-sapevole del diabete e agli stili di vita da tenere, con parti-colare attenzione alla promozione delle attività motorie e all’adozione di un’alimentazione equilibrata. Ma sono stati trattati anche temi più specifici come la prevenzione delle complicanze e il corretto uso dei presìdi sanitari. Nel 2000 si ebbero le prime iniziative. I corsi si tenevano sia presso la sede dell’Associazione che in scuole, comuni, associazioni e ASL. Una delle iniziative è stata: «INCONTRI SULLA GESTIONE DELLA MALATTIA NEL LAVORO. L'Asso-ciazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna nella sede di via De Cupis 24, San Giovanni, inizia i programmi di educazione alla gestione del diabete di tipo 1 e 2 nell'atti-vità fisica, nel lavoro e nello studio. Ai programmi presta-no la loro collaborazione i medici Adolfo Pacifico, Anto-nello Carboni, Christiane Silanos, Anna Maria Marinaro e Domenico Giraudi».

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Un’altra iniziativa, come si legge in questo articolo della Nuova siglato T. B., era prevista per qualche giorno dopo a Santa Teresa di Gallura: «UN CONVEGNO SUL DIABETE VENERDÌ A SANTA TERESA, E PRIMA UNO SCREENING. Diabete, parliamone. A questo tema è dedi-cato un incontro informativo in programma alle 16,30 di venerdì prossimo al Centro di aggregazione sociale. Or-ganizzato dall’Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna e dall'Assessorato comunale ai Servizi sociali, vedrà gli interventi di Lino Bellu, primario di Pediatria dell'Ospedale di Olbia, di Augusto Ogana, pediatra presso l'Ospedale di Olbia, di Pasquale Bulciolu, pediatra dell'O-spedale di Tempio, e del presidente dell'Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna, Michele Calvisi. L'incontro informativo sul diabete sarà preceduto da un altro importante appuntamento, organizzato in collabora-zione con la Bayer. La mattina di venerdì, infatti, presso l'ambulanza del Comune in piazza Vittorio Emanuele sarà effettuato uno screening finalizzato alla prevenzione della malattia.

L'invito a partecipare all'uno e all'altro appunta-mento è rivolto all'intera cittadinanza, ha specificato l'as-sessore ai Servizi sociali Anselmo Soro. Riteniamo di primaria importanza infatti mettere la gente nella condi-zione di essere informata su malattie che hanno purtrop-po una larga diffusione e grande rilevanza sociale, pun-tando soprattutto sull'informazione relativa alla fase di prevenzione. Vorremmo appunto che la popolazione percepisse l'importanza dell'iniziativa e partecipasse nu-merosa ai due appuntamenti». 4. La rabbia di un ammalato. Il 28 settembre del 2000 “La Nuova” riportava ampi brani della lettera di un giovane malato di diabete, che denunciava la propria condizione e trovava modo di criticare anche le iniziative dell’ADMS:

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«TRENT'ANNI E DISOCCUPATO PERCHÉ È MALATO DI DIABETE. Che cosa succede a un ragazzo quando sco-pre di avere il diabete? La sofferenza, non solo quella fisi-ca, non è l'unico problema che deve affrontare un giova-ne paziente. Eppure l'Associazione che si occupa dei pro-blemi dei diabetici è particolarmente attiva. ‘Sono un ra-gazzo di 30 anni, padre di famiglia e con il diabete da 10 anni’, scrive P. A. in una lettera indirizzata alla ‘Nuova’ ma diretta in particolare all'Associazione dei diabetici.

Sono disoccupato da quando ho scoperto di esse-re diabetico - scrive nella lettera l'autore che chiede di non essere citato -e infatti il lavoro che svolgevo prima ora non riesco più a farlo. Per sbarcare il lunario sono co-stretto ad accettare anche dei lavori che non mi consen-tono di pranzare e cenare in maniera decente. Dunque la dieta non riesco più a seguirla e, per essere sinceri, non potrei permettermelo neppure dal punto di vista econo-mico. In queste condizioni - scrive P. A. - non sono né posso essere molto interessato ad andare alle riunioni nel-le quali i diabetici discutono dei loro problemi, e di come sia possibile ottenere danari da impiegare per ampliare le sedi dell'Associazione. Né, diciamoci la verità, sono molto interessato a parlare di una città che a me non offre nean-che un lavoro decente e che per questo mi costringe a condurre un'esistenza che sicuramente, per la rabbia e il dolore che provo, mi accorcerà la vita più dello stesso diabete. A mio avviso l'Associazione dei diabetici, prima di pensare a come ampliare sedi che pazienti come me non hanno intenzione di frequentare - continua la lettera-perché non si preoccupa dei problemi concreti di lavoro che dobbiamo affrontare noi diabetici? Quando vado all'Ufficio di collocamento scopro che i diabetici non so-no tenuti in alcuna considerazione: forse non faccio parte delle categorie protette?

Se qualcuno ci vuole dare una mano sappia che la prima vera tutela per noi pazienti diabetici comincia dalla

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necessità di avere un lavoro adeguato. Un lavoro che pos-sa essere e anche rappresentare un inserimento nella so-cietà. Personalmente - conclude con una punta di ama-rezza la lettera di P. A. - proprio perché oltre a essere un diabetico sono anche disoccupato e per nulla tutelato, mi sento due volte invalido». 5. Luci e ombre del volontariato. L’ADMS cominciava intanto a collegarsi con le altre associazioni di volontariato del terri-torio e con le strutture che le riunivano e coordinavano. Ma il percorso a volte si presentava difficile, come emerge da questo articolo del 29 novembre 2000: «OGGI IN-CONTRO IN PROVINCIA PER STABILIRE ULTERIORI INIZIA-TIVE. CONTESTATO L'ANDAMENTO DELLA RECENTE AS-SEMBLEA REGIONALE DEL SETTORE. IL VOLONTARIATO SASSARESE È INSORTO: CAGLIARI CI VUOLE TAGLIARE LE GAMBE. Il volontariato sassarese del Nord Sardegna si ri-bella a ‘soprusi e illegittimità’ che sostiene di aver subìto nella terza assemblea regionale generale del settore. Nelle due riunioni del 18 e 25 novembre ad Ala Birdi molto a-vrebbe lasciato a desiderare sul piano della pari rappre-sentatività. Nella giornata conclusiva per calmare gli animi sono addirittura dovute intervenire le forze dell'ordine.

Ieri i rappresentanti del volontariato sassarese hanno lamentato la situazione e sempre ieri c'è stata la di-chiarazione nello stesso senso del presidente dell'Associa-zione diabetici Michele Calvisi. Un'interrogazione in meri-to a ‘queste palesi irregolarità che hanno contraddistinto i lavori in questione’ e sul ‘clima tumultuoso e antidemo-cratico in cui si sono svolte le votazioni’ è stata presentata dal consigliere regionale di Forza Italia Gian Paolo Nuvo-li. Un'altra dello stesso tenore e degli stessi contenuti vie-ne annunciata anche dal consigliere regionale dei Demo-cratici di Sinistra Silvio Lai. Chiediamo l'annullamento di questa assemblea illegittima che si è svolta in un grave clima di prevaricazione ed intimidazione, ha detto senza

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mezzi termini Gesuina Chessa, segretaria della Consulta provinciale che ha subito passato la parola a Giovanni Antonio Maieli, presidente della Consulta cittadina: ‘Non siamo stati riconosciuti come consulte aggregate di asso-ciazioni perché non era possibile collocarci in un settore specifico. C'è stato, da parte dei rappresentanti di Cagliari, un vero atto di prevaricazione che ci ha impedito di e-sprimere liberamente e concretamente le nostre volontà.

Il presidente della Consulta provinciale Eusebio Ribichesu ha rincarato la dose: Stavo per lasciare il mio impegno nella Consulta per queste gravi azioni messe in essere dai professionisti del volontariato del Capo di sot-to. Le irregolarità sono iniziate già prima dell'assemblea con la violazione del decreto dello stesso presidente Flo-ris che prevedeva un termine per l'accredito dell'associa-zioni partecipanti all'assemblea che non è stato rispettato. Si doveva finire con gli accrediti entro l'8 e invece anche il 18 il dirigente regionale di settore Manca ha continuato ad accreditare associazioni di Cagliari e lo stesso è stato fatto anche il 25 pur in presenza di documentazione illegale e lacunosa. Sul perché sia avvenuto tutto questo i dirigenti del volontariato sassarese hanno le idee chiare: Si sono organizzati per bloccare le nostre legittime richieste di creare un centro di servizio in ogni provincia, invece di uno unico a Cagliari e di poter dare ad ogni provincia un'adeguata rappresentanza. Pensavamo di riuscire a cambiare qualcosa rispetto alle due precedenti assemblee generali che hanno lasciato tantissimi dubbi sul futuro del volontariato sardo e invece siamo stati brutalmente stop-pati». 6. I calendari della scuola. Nel 2001 il campo d’azione si spo-stava ad Alghero, dove una scuola media proponeva all’ADMS alcune iniziative che, oltre ad avere lo scopo di raccogliere fondi, avevano soprattutto l’obiettivo di pro-muovere una corretta informazione sulla celiachia e su

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come gestirla. Venne tra le altre cose ideato un calendario che fu riproposto poi anche negli anni successivi. Ecco come M. C. dava notizia l’8 gennaio 2003 di quello prepa-rato per quell’anno: «UN CALENDARIO CHE PROFUMA DI ORTO E AMORE. I RAGAZZI DELLA MEDIA 2 IMPEGNATI PER AIUTARE CELIACI E DIABETICI. Per la terza volta la scuola media Alghero 2 ha pubblicato un calendario dal titolo I sapori dell'orto per la celiachia ed il diabete. Lo scopo va oltre la volontà di educare diabetici e celiaci a una corretta alimentazione. Si tratta, infatti, di un lavoro che coniuga l'esigenza di far conoscere il problema della diversità e della malattia in modo positivo con l'intenzione di racco-gliere fondi per l'ADMS e contribuire alla realizzazione di un Campo scuola per diabetici e celiaci che si terrà la prossima estate. Lo svolgimento di questa attività permet-terà ai partecipanti di affrontare con serenità la loro con-dizione e l'apprendimento delle regole fondamentali per mantenere una qualità della vita ottimale. Il calendario è un gradevole esempio dell'impegno di alunni e insegnanti, coinvolti nella sua realizzazione. Ogni mese presenta, in-fatti, una ricetta con verdure di stagione, adeguata alle esi-genze di diabetici e celiaci. Ogni gustosa e facile ricetta è affiancata dalla foto degli ingredienti utilizzati, tutti creati, questa la particolarità e la maestria, con pasta di pane. Gli insegnanti che si sono occupati di questo lavoro hanno potuto contare sul sostegno concreto del dirigente scola-stico Franco Sanna, del corpo insegnante, del personale ATA [Amministrativo, Tecnico e Ausiliario], dei genitori e dell'ADMS, sempre disponibile per i ragazzi. Hanno offer-to inoltre la loro collaborazione i fotografi di Studio 5, l'artigiano Paolo Delrio e lo staff della Poligrafica Peana. Altri ringraziamenti vanno all'assessore ai Servizi sociali e al Panathlon per il contributo finanziario offerto. Un rin-graziamento particolare è dedicato a monsignor Vacca, vera e propria guida per tutte le persone impegnate in quest'attività.

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L'opera, realizzata anche in algherese con il sup-porto linguistico del ‘Centre de recursos pedagogics Maria Montessori’, è ancora disponibile, per tutto gennaio, nella Media 2, in via de Biase e via Mazzini». 7. L’accentramento dell’assistenza. Agli inizi del 2001 era stata data notizia che l’ASL intendeva riunire in un’unica strut-tura l’assistenza per il diabete sia degli adulti che dei bam-bini. Il presidente della Federazione Nazionale Diabete Giovanile Antonio Cabras si dichiarò contrario, ma fu subito rimbeccato dal presidente dell’ADMS Calvisi, le cui ragioni sono ampiamente riportate in questo articolo del 4 gennaio: «IL PRESIDENTE DELL'ADMS RIBATTE A CA-BRAS: UNA STRUTTURA UNICA SERVE PER MIGLIORARE. È polemica tra l'Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna Onlus e la Federazione Nazionale Diabete Gio-vanile, dopo che il presidente di quest'ultima aveva e-spresso forti perplessità sulla riorganizzazione diabetolo-gica da parte dell'ASL n.1 di Sassari. In particolare, Anto-nio Cabras aveva sostenuto che l'accentramento dell'assi-stenza pediatrica e dell'adulto in un'unica area è imprati-cabile perché lede la privacy dei pazienti e il diritto di sce-gliere il luogo e la struttura di cura. ‘È evidente che a Ca-bras preme solo essere presente per trattare’, commenta il presidente dell'ADMS Michele Calvisi. ‘Dov'era, quando i pediatri diabetologici dell'Università di Sassari sono stati trasferiti di corsia? E dov'era quando le famiglie dei diabe-tici hanno organizzato una clamorosa protesta? I diabetici sono delusi dalle promesse mai mantenute dalle istituzioni e subentra la rabbia quando la presa in giro arriva dal pre-sidente FDG. Il diritto di scegliere il luogo e la struttura di cura, di fatto, non esiste per i diabetici sardi che non ab-biano la fortuna di risiedere a Cagliari. La realizzazione del servizio di diabetologia in un'unica struttura consenti-rà la presenza costante di tutti gli specialisti, i quali con-tribuiranno a formare i diabetici. L'accentramento dei

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servizi’, conclude Calvisi, ‘indispensabili per seguire l'evo-luzione di una patologia multifattoriale come il diabete, farà in modo che i pazienti non vaghino da una struttura all'altra e si riducano i tempi d'attesa per gli esami. Questa struttura consentirà un notevole risparmio economico per l'ASL, che potrà così investire nell'assistenza domiciliare e nei programmi di educazione sanitaria nelle scuole’».

8. Le colpe della Tirrenia, e non solo. Negli ultimi giorni dell’aprile 2001 scoppiava il caso di Giovanni Sarobba, il malato di diabete cui era stato rifiutato – per motivi sani-tari – l’imbarco sulla nave di linea in servizio da Civita-vecchia a Olbia. Il 23 aprile il giornale ospitava una vivace lettera di protesta di un altro malato, Stefano Garau: «DI-VENTATE PARTE CIVILE CONTRO LA TIRRENIA. IL CASO DI GIOVANNI SAROBBA, IL DIABETICO RIFIUTATO DAL ME-DICO DI BORDO. In merito alla disavventura vissuta da Giovanni Sarobba, diabetico e nefropatico in dialisi, ri-volgo l'invito a tutte le associazioni nazionali dei diabetici a volersi costituirsi parte civile in un eventuale processo contro la Tirrenia e il medico di bordo. Leggendo l'artico-lo non ho potuto fare a meno di indignarmi per un simile comportamento che sulla base di una falsa prevenzione sanitaria rasenta invece la discriminazione bella e buona nei confronti di un cittadino, ‘sardo e pure diabetico’.

La riflessione mi ha portato a formulare alcune domande per le quali ‘noi diabetici’ pretendiamo risposte. Quale stimolo ha indotto un ‘semplice’ medico di bordo ad andare contro il parere di un'équipe medica del ‘San Giovanni di Dio’ di Roma che attestava che Giovanni Sa-robba era in condizioni di poter sostenere le fatiche del viaggio? C'è per caso una norma che stabilisce che tutti i viaggiatori che chiedono una cabina per le loro condizioni di salute (fra l'altro certificate) debbano essere sottoposti a visita medica a bordo? Il medico di bordo ha per caso praticato un controllo glicemico al signor Sarobba?

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So cosa vuol dire incontrare ‘l'ignoranza’ nei con-fronti di una malattia che per poter essere capita va vissu-ta. Questa consapevolezza è determinata dal fatto che i miei 25 anni di diabete insulinodipendente mi hanno convinto sempre più che non esiste miglior diabetologo di un paziente diabetico. Figuriamoci se fa testo la teoria di un medico di bordo che, consentitemi un pizzico di fantasia e lo sfogo determinato dall'indignazione, potreb-be avere nella propria casistica personale la somministra-zione di qualche pastiglia contro il mal di mare».

Seguiva, il giorno 26, un articolo fondato su un’intervista al presidente Calvisi, il quale coglieva l’occasione per puntare il dito contro tutta una serie di disservizi a danno dei malati di diabete: «DISCRIMINA-ZIONI E BASTA. RITARDI PER LE ANALISI, DISAGI PER RI-TIRARE I FARMACI. L'episodio di Giovanni Sarobba, il diabetico rimasto a terra al porto di Civitavecchia a causa del rifiuto del comandante di un traghetto Tirrenia, ha scatenato la reazione dell'ADMS che, oltre a offrire solida-rietà e aiuto allo stesso Sarobba, solleva ancora una volta il problema dell'insufficiente assistenza sanitaria per tutti i diabetici.

‘Siamo increduli davanti al comportamento di persone che poco hanno da spartire con l'umanità che soffre’, dice il presidente dell'ADMS Michele Calvisi, ‘co-mandanti, commissari di bordo e autisti di scuolabus, che si affannano per garantirci sicurezza e ottime condizioni di viaggio. Naturalmente facendoci scendere. Ci sono viaggiatori che inveiscono contro il malcapitato ‘abilmen-te diverso’, perché causa, suo malgrado, un accumulo di ritardo, e nel fondo del loro animo, oltre alle imprecazioni gratuite, pensano al ricorso per ottenere il rimborso del costo del biglietto. ‘Per non parlare’ aggiunge ‘di ASL che rimandano di nove, anche dieci mesi l'esame della fluorangiografia, esame che da ricoverato si può eseguire in due giorni. O ancora,

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dell'insulina che non viene fornita dalle farmacie nella quantità prescritta dal medico perché non si ha il nuovo codice di esenzione: il tutto nel rispetto della legge. L'ASL n. 1, per un esame ambulatoriale di fluorangiografia che avrebbe il costo di qualche biglietto da centomila, preferi-sce fare lo stesso esame con due giorni di ricovero con costi di circa due milioni. Fate voi i conti, per 2000 per-sone in lista d'attesa la spesa va da circa 600 milioni per l'esame ambulatoriale a circa 4 miliardi per lo stesso esa-me in regime di ricovero. Per non comprare un nuovo strumento che costa qualche milione? E, a proposito di costi, sta continuando la distribuzione dei presìdi solo nelle farmacie dell'ASL per risparmiare da 5 a 10 lire su aghi e altro, costringendo i diabetici o i loro familiari a re-carsi in quell'inferno di via Zanfarino durante l'orario di lavoro; questo se il diabetico abita a Sassari, perché se abi-ta a Ittiri si deve recare ad Alghero. Il servizio sanitario nazionale obbliga i diabetologi, anche senza variazione di terapia, a compilare una o due volte l'anno gli allegati per dichiarare la condizione di diabetico del paziente perché questo possa usufruire dei presìdi: nel 2000 hanno chiesto ai diabetici una dichiarazione, sempre rilasciata dal pro-prio diabetologo, che confermasse la patologia diabetica per ottenere l'esenzione per patologia. Ridicolo e dispen-dioso, visto che dal diabete non si guarisce. Il direttore generale e il direttore sanitario avevano assunto dal mese di ottobre del 2000 l'impegno di mandare al domicilio dei diabetici il numero corretto di codice per patologia, in considerazione del fatto che le ASL hanno negli archivi i nominativi dei diabetici. Impegno che al solito si è con-cretizzato in un nulla di fatto.

È sconsolante constatare che i diabetologi per i diabetici occupano gran parte del loro tempo per scrivere e certificare quello che già si sa ed è irreversibile. Si perde tempo a costi altissimi e ai diabetici e loro famiglie arriva poco dell'impegno degli operatori, senza peraltro risultati

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se non quello di costi altissimi per una sanità che non produce salute, ma solo discriminazione». Lo stesso giorno 26 il giornale pubblicava, in cronaca di Olbia, una lettera aperta nella quale lo stesso Calvisi ri-prendeva gli argomenti prospettati al cronista sassarese, ma inseriva anche qualche altra considerazione di tono fortemente sarcastico: «LE PERIPEZIE DI UN DIABETICO. TROPPE DISCRIMINAZIONI E UN'ASSURDA BUROCRAZIA. Sembra che tutto si faccia nel rispetto della legge. Il sogno del ‘rispetto della legge’ sarebbe constatare che nell'aereo che cade si salva solo il ‘diversamente abile’ perché il co-mandante ha attuato tutti i sistemi di sicurezza nei suoi confronti: l'ha semplicemente appiedato. Immaginate ar-rivare al porto, galleggiando con i sistemi di sicurezza, il disabile, mentre la nave è sprofondata con il resto del ca-rico. L'autista dello scuolabus che crepa per un inciden-te... e il bambino diabetico a casa senza essere andato in coma. Che sfiga per l'autista, per il commissario e per il comandante…». 9. I progressi della scienza. Sin dalla sua costituzione l’ADMS si è impegnata a seguire l’evoluzione della ricerca scienti-fica volta al miglioramento della condizione dei diabetici e all’individuazione di nuovi metodi di cura. Grande atten-zione fu rivolta a un articolo del 20 giugno del 2001 che portava importanti novità da Roma:

«DIABETE. CELLULE DI PANCREAS DI MAIALE POSSONO SOSTITUIRE L'INSULINA. Se l'Istituto superiore di sanità darà il via libera per effettuare i primi test sull'uomo, si potrà sperimentare presto per la prima volta in Italia l'inserimento di microcapsule con cellule di maia-le, che hanno lo scopo di liberare i diabetici dalla quoti-diana iniezione di insulina. Lo ha annunciato Riccardo Calafiore, diabetologo all'università di Perugia, che ha messo a punto nel 1985 la tecnica annunciata da Emma-

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nuel Opara della Duke University, che si è dimostrata ef-ficace nei babbuini. Gli esperimenti sugli animali, presen-tati al congresso internazionale di Innsburck il 15 giugno scorso, hanno dimostrato che microsfere contenenti cel-lule del pancreas del maiale inserite nelle scimmie riesco-no a produrre per mesi l'insulina di cui l'animale ha biso-gno, evitando in tal modo la somministrazione di farmaci.

‘La settimana scorsa abbiamo presentato all'Istitu-to superiore di sanità la richiesta di poter eseguire test sull'uomo’, ha detto Calafiore, ‘e se verrà dato un parere positivo si potrà partire con una sperimentazione di fase 1, cioè di dimostrazione della sicurezza, su 18 persone diabetiche. Il metodo, ha spiegato il ricercatore italiano, consiste nell'iniettare nell'addome migliaia di microsferule di alginato che racchiudono cellule di pancreas di maiale le quali producono l'insulina mancante nei malati. La su-perficie delle microsfere ha la peculiarità di essere porosa, cioè di far uscire l'ormone ma non di fare entrare in con-tatto gli anticorpi del ricevente con le cellule estranee. I test sugli animali sono incoraggianti, ha spiegato Cala-fiore, ma occorre procedere con tutte le cautele possibili. La ricerca, dunque, continua a suscitare nei pazienti spe-ranze di affrancamento dalla schiavitù dei farmaci, mentre continua a offrire testimonianza che il mondo scientifico non si arresta davanti all'ineluttabilità delle malattie. La notizia diffusa ieri non può che far gioire i diabetici sardi, che attendono con evidente interesse il parere positivo dai test sull'uomo. Se verrà dimostrato che anche l'uomo reagisce alla terapia sarà una vera conquista per l'isola, al secondo posto nella classifica mondiale di questa fastidio-sa malattia sociale». 10. Campi scuola a La Maddalena e ad Alghero. Nella tarda primavera del 2002 l’ADMS si fece promotrice di un Campo scuola per bambini diabetici che si tenne a La Maddalena e a Caprera nella settimana che andava dal 4 al

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10 giugno. Di quell’attività è rimasta copia della lettera che, a manifestazione conclusa, il presidente Calvisi inviò al sindaco e all’assessore ai Servizi sociali del Comune di La Maddalena e al presidente della Provincia, per ringra-ziare della collaborazione ricevuta:

«Con la presente intendiamo ringraziare, a nome dell’ADMS e della Divisione di Pediatria dell’Ospedale di Olbia, l’Amministrazione comunale della Maddalena che, in occasione del Campo scuola per bambini diabetici svoltosi presso il vostro Comune dal 4 al 10 giugno, si è mostrata sollecita mettendo a disposizione gli scuolabus con i quali i bambini partecipanti hanno potuto visitare le isole di La Maddalena e Caprera. Un ringraziamento par-ticolare va agli autisti dei mezzi che hanno mostrato no-tevole professionalità, disponibilità e pazienza nei con-fronti dei bambini che grazie a loro hanno potuto godere delle bellezze anche meno accessibili dell’arcipelago. Un cordiale saluto». Un altro campo scuola di tenne ad Al-ghero dal 6 all’11 settembre del 2003. 11. In campo con gli infermieri. Nel gennaio del 2004 R. S. dava notizia di un’altra iniziativa a largo raggio che mirava a coinvolgere gli infermieri dell’isola nella lotta e soprat-tutto nella prevenzione della malattia diabetica:

«DIABETE, GLI INFERMIERI IN CAMPO. Sassari. L’alunno ha una crisi ipoglicemica, la maestra, nel panico, chiama il 118. È successo di recente nell’isola, ed è uno dei tanti sintomi della disinformazione che circonda il diabete, anche in una regione che ne è colpita in modo grave. L’ADMS, Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna, questi episodi li conosce bene, e ne ricava una sorta di arringa contro le carenze dell’assistenza. Un passo avanti, però, è stato compiuto (insieme a quello che pre-vede l’unificazione mondiale dei colori delle etichette dell’insulina) ed è stato creato un nuovo servizio che è già operativo, anche se solo tra qualche mese l’intera Sarde-

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gna potrà fruirne. Nasce dalla collaborazione dell’ADMS con l’IPASVI [Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia], che riunisce gli infermieri profes-sionali, e consentirà di usufruire di assistenza domiciliare o scolastica specifica e preparata sulla malattia. Gli infer-mieri, in modo assolutamente volontario, saranno dispo-nibili per l’assistenza ad adulti e bambini, a scuola come a casa. Il progetto nasce da Sassari, ma presto sarà allargato a tutto il Nord Sardegna, quindi a Nuoro, che si è già di-mostrata interessata, e al Sud: ‘L’esigenza – ha detto ieri Piero Bulla, responsabile dell’IPASVI, durante la presenta-zione dell’iniziativa – è forte, ed è anzitutto necessità di assistenza psicologica, ma anche bisogno di avere al fian-co una persona esperta. Purtroppo il programma di assi-stenza domiciliare integrata si è rivelato carente, perché il personale non sa seguire i diabetici’.

L’IPASVI ha invece dimostrato entusiasmo, soprat-

tutto in città: già 35 infermieri hanno dato la loro adesio-ne a Sassari, ma ben 750 partecipanti a un corso di ag-giornamento avevano dato una disponibilità di massima: ‘Siamo già presenti ad Alghero e Ozieri – prosegue Bulla –, presto anche ad Olbia e Nuoro. Gli aderenti saranno preparati tramite corsi di formazione specifica’. In una re-gione che conta poco meno di centomila casi di diabete diagnosticato, l’iniziativa assume un valore particolare: ‘A livello istituzionale – aggiunge Michele Calvisi dell’ADMS – non sono stati ancora avviati programmi di assistenza, istruzione e formazione in ambito scolastico e domicilia-re, e l’assistenza fornita dalla sanità sarda non risponde alle esigenze dei diabetici. Speriamo soprattutto di poter agevolare le famiglie, che già possono contattarci per ac-cedere ad un servizio completamente gratuito’».

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SCUOLA E LA FAMIGLIA 1. Ad Alghero e Fertilia. Nei primi mesi del 2004 l’attività si fece più intensa nelle scuole di Alghero, estendendosi poi anche a quelle della vicina borgata di Fertilia. Sul giornale del 15 febbraio M. C. dava notizia dell’avvio di un nuovo importante progetto. All’inizio faceva riferimento a un convegno del 2003, dal quale era derivato un progetto ar-ticolato, Il diabete nella scuola, volto a promuovere l’informazione sulla patologia del diabete infantile: l’ADMS aveva dato vita, in collaborazione con il Comune, a una serie di incontri e corsi di formazione, facendo diretto ri-ferimento alle scuole materne ed elementari dei tre circoli didattici.

«LEZIONI SUL DIABETE INFANTILE. Il progetto ‘Il diabete nella scuola’, volto a promuovere l’informazione sulla patologia del diabete infantile, ha preso il largo. Sulla scia del convegno, svoltosi nel 2003, l’Associazione Dia-bete Mellito e Celiachia Sardegna, in collaborazione con il Comune, ha messo in piedi una serie di incontri e corsi di formazione, facendo diretto riferimento alle scuole ma-terne ed elementari dei tre circoli didattici. Un primo incontro ha già dato esito positivo e ha eviden-ziato l’estrema urgenza di aggiornamenti per questa pato-logia. Il primo passo sarà quello di istituire corsi di for-mazione per insegnanti, tenuti da medici e da esperti, che provvederanno alla distribuzione di materiale didattico sull’argomento. Solo in questa maniera, sostengono il pre-sidente dell’Associazione, Michele Calvisi, e il referente della sezione di Alghero, Stefano Silanos, è possibile rag-giungere gli interlocutori primari, ovvero gli alunni e i lo-ro insegnanti, ai quali verranno date semplici ma preziose nozioni sulla gestione dei piccoli diabetici. La creazione di una cultura diversa intorno alla patologia passerà, quindi, attraverso la scuola e potrà raggiungere tutti i cittadini e

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ottenere una maggiore sensibilizzazione degli alunni. Il progetto ‘Il diabete nella scuola’ si dipanerà, in maniera interattiva, nell’anno scolastico e si concluderà con un concorso grafico a premi aperto alle classi coinvolte». Il giorno 20 lo stesso cronista dava conto di un’altra ini-ziativa: «IN MOSTRA A SCUOLA GIOIELLI FATTI DI PANE. La scuola media Alghero 2-Fertilia ospiterà il prossimo 28 febbraio un incontro di particolare rilievo sociale nel cor-so del quale si parlerà di ‘emozioni di dare, emozioni di ricevere’, seguendo un percorso che porta dalla creatività alla solidarietà. Una iniziativa che appare particolarmente indicata per sensibilizzare i giovani dell’istituto su pro-blematiche attuali e piuttosto serie. E per quanto riguarda la creatività è sufficiente visitare l’esposizione allestita nel salone di ingresso della scuola che è stata realizzata dagli alunni della prima B, seconda G e seconda H. Sono pre-senti, tra le altre espressioni creative, autentiche opere d’arte portate a termine con la supervisione di Paola Rondello, dalle cui mani escono gioielli di pane di rara bellezza. Interverranno all’incontro il vescovo di Alghero e Bosa monsignor Antonio Vacca, don Lorenzo Piras e i volon-tari della Caritas, la dottoressa Lina Bardino, presidente dell’Associazione Varum, Jeff Onorato, campione mon-diale di sci nautico, in qualità di presidente dell’Associazione Fly for live, il professor Antonello Mu-roni, in qualità di assessore comunale alla Pubblica istru-zione, Michele Calvisi, presidente dell’ADMS e il professor Francesco Sanna, dirigente della Scuola media. L’incontro, che naturalmente è aperto a chiunque voglia parteciparvi, si svolgerà nella scuola media di via De Biase 55, con inizio alle 15,30. Ulteriori notizie vennero date il giorno della manifestazione: POMERIGGIO DI SOLIDARIE-TÀ PER I BAMBINI DELLE SCUOLE ‘Emozione di dare, e-mozione di ricevere: giornata dalla creatività alla solidarie-tà’. È questo il tema di una serata decisamente interessan-

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te che si svolgerà questo pomeriggio. Una iniziativa che ha avuto per protagonisti i ragazzi delle classi 1ª B, 2ª G e 2ª H che oggi porteranno a compimento il lungo ed entu-siasmante lavoro realizzato nell’ambito del progetto ‘Dalla creatività alla solidarietà’. L’argomento è stato largamente approfondito con l’esposizione nel giardino interno della scuola di disegni, dipinti, cornici, poesie, pensieri e fiori, tutti all’insegna della sensibilità verso gli altri e in partico-lare dei meno fortunati. Nell’atrio dell’istituto è possibile ammirare ghirlande di fiori di pasta di pane utilizzate per la creazione di calendari sulla prevenzione della celiachia e del diabete. Calendari realizzati in italiano, inglese, alghe-rese e francese.

Un lavoro che va ben oltre la didattica e testimo-nia della forte attenzione dell’istituto verso problematiche sociali spesso ignorate o addirittura trascurate... Nel corso della serata il dirigente scolastico professor Francesco Sanna consegnerà al presidente dell’ADMS i fondi raccolti con l’offerta dei calendari realizzati dagli alunni della scuola affinché vengano utilizzati per l’attivazione di un campo scuola che si terrà ad Alghero per i ragazzi diabe-tici e celiaci neo diagnosticati in modo che possano impa-rare a gestire i problemi quotidiani attraverso la vita in comune, praticando contestualmente lo sport della barca a vela. L’iniziativa della Media 2 di Alghero e Fertilia co-stituisce un raro esempio di attività scolastica nella scuola dell’obbligo in possesso di requisiti di valenza umana e sociale così accentuati, in grado di suscitare positive rea-zioni nella sensibilità dei ragazzi».

2. Su due ruote per i sobborghi di Sassari. Sempre nel 2004, con l’arrivo della buona stagione, fu possibile organizzare una serie di manifestazioni all’aria aperta, incentrate in-torno a una ciclopedalata lungo le strade del quartiere Li Punti di Sassari. Questa al cronaca di M. D., uscita sul giornale del 1° giugno: «BICICLANDO, FESTA PER DUE-

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CENTO STUDENTI. Si è conclusa nella mattinata di sabato, con una festosa pedalata che ha attraversato in particolare le vie del quartiere di Li Punti, la seconda stagione del progetto di educazione stradale ‘Biciclando’ promosso dalla scuola media 11 di Baldinca. Circa duecento alunni, con i genitori e i collaboratori dell’iniziativa, hanno for-mato un nutrito corteo ciclistico che ha coperto il percor-so scortato dalla polizia municipale. Al rientro nella scuo-la c’è stata l’apoteosi con una esibizione di gimkana, con squadre delle diverse sezioni e con un partecipatissimo incontro conviviale. Tutti soddisfatti per i positivi riscon-tri della manifestazione, promossa in collaborazione con il comitato provinciale della Federciclismo, dell’ADMS e dell’ASC, l’Associazione Sportiva Culturale della frazione San Giovanni. C’è stato poi l’arrivederci al prossimo an-no. ‘È stata un’esperienza gratificante per tutti, e un in-centivo per portare avanti un progetto curato in modo lu-singhiero dai responsabili e docenti referenti della scuola media di San Giovanni’, ha commentato il presidente provinciale della Federciclismo Giovanni Mandibola’». 3. Il ruolo della famiglia. Negli ultimi giorni di agosto uscì sul giornale locale un articolo sul rapporto tra il diabete e la famiglia, intitolato DIABETE E FAMIGLIA ABBANDONA-TA, che non piacque ai dirigenti dell’ADMS, a partire pro-prio dal titolo: «Non ci piace – scrivevano – perché, no-nostante sia abbastanza forte, sembra ancora qualcosa di asettico, un tema come un altro. Non introduce corretta-mente la realtà, la situazione drammatica». Provvidero il presidente Calvisi e la dirigente Francesca Stefanelli a re-plicare con una lunga lettera, pubblicata il giorno 29, nella quale chiarivano quale deve essere il ruolo della famiglia in queste situazioni: «MAMMA, QUESTA MALATTIA NON LA VOGLIO. REGALAMENE UN’ALTRA. Provate a pensare a due giovani che hanno avuto il primo figlio (ma in molte famiglie spesso i bimbi diabetici sono due-tre-quattro,

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con celiachia e problemi alla tiroide) e se lo trovano tra le braccia, paffuto, morbido, allegro, perfetto come sono i neonati. Un giorno notano qualcosa di strano, un males-sere, dei sintomi preoccupanti. Lo portano dal pediatra che cerca di rassicurarli attribuendo tutto alla loro ansia. Ma i sintomi continuano, finché aumentano e il bambino viene portato all’ospedale. La diagnosi è ‘diabete’. Per tut-ta la vita, la pelle di quel bambino dovrà essere ‘bucata’ dalle 8 alle 12 volte al giorno, per tutta la vita dovrà pen-sare, oltre che a vivere, ai valori della glicemia, all’insulina da iniettare, per tutta la vita dovrà cercare di non avere ‘effetti secondari’ come cardiopatie, cecità, problemi rena-li, solo per citarne alcuni.

Intanto i genitori, anche se non capiscono ancora

bene cosa li aspetta, sono solo terrorizzati: ‘Mi è crollato il mondo addosso’ è l’espressione usata da tutte le fami-glie. Tanto per cominciare, il bambino viene ricoverato in ospedale per 10-15 giorni, comunque, qualunque sia la sua condizione, non solo nei casi gravi. Questo avviene solo in alcune realtà, mentre in altre, più avanzate, il rico-vero è previsto solo nei casi più gravi, consentendo un notevole risparmio economico e soprattutto evitando i disagi derivanti dall’ospedalizzazione. La motivazione è quella di fornire un periodo ‘protetto’ dove protetto signi-fica che la famiglia non si occuperà della terapia. L’intenzione è buona, ma la sua realizzazione sarebbe corretta, e il disagio derivante dall’ospedalizzazione di un bambino sarebbe giustificato se, contemporaneamente alla definizione della terapia, fosse portata avanti la for-mazione della famiglia per metterla in grado di gestire la malattia. Ma questo non avviene e quindi, una volta tor-nati a casa, la terapia indicata non sarà più valida perché cambiando le condizioni della vita quotidiana cambierà anche il livello della glicemia e quindi i dosaggi dell’insulina, difficilissimi da gestire con bambini piccoli,

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spesso di pochi mesi di vita. A cosa serve quindi il ricove-ro se non ad aumentare le presenze e di conseguenza giu-stificare l’esistenza del reparto? Una volta a casa, l’angoscia dei genitori si trasforma in terrore. Si trovano completamente soli a gestire una patologia complessa, senza conoscerne neanche le caratteristiche più banali. La posta in gioco è la vita, la salute, il futuro e la qualità della vita del loro bambino, che spesso dice: ‘Mamma, perché non mi regali un’altra malattia? Questa non la voglio’. «Sono soli e senza strumenti per gestire tutto questo. Ini-zia la via crucis dei viaggi della speranza (Genova, Pisa, Roma, Milano, Inghilterra e America), ma il ritorno dal viaggio è sempre pieno di delusione.

La vita della famiglia si sgretola, la notte si con-fonde con il giorno, non c’è riposo, arriva la depressione, spesso ci si colpevolizza, si perde l’autostima, è la fine. Sa-rebbe necessario avere una formazione approfondita, an-che, con la collaborazione del pediatra di base, per acqui-sire la conoscenza della malattia e gli strumenti corretti per la sua gestione con un’assistenza domiciliare specia-lizzata. Ma non basterebbe, sarebbe necessaria una terapia psicologica di sostegno. Bisognerebbe dare gli strumenti per gestire questa brutta malattia, perché la famiglia possa essere in grado di decidere come distribuire le 3500-4000 punture annue che il bambino dovrà fare, consentendogli di vivere ‘normalmente’, svolgendo le diverse attività quo-tidiane e tenendo conto delle modificazioni continue sia psicologiche che fisiche tipiche dell’età evolutiva.

Purtroppo non è possibile che questo avvenga, e per diversi motivi: il primo è che il personale – medici, pediatri, psicologi, personale paramedico – non ha la pre-parazione e le competenze per formare le famiglie. Il se-condo è che tutti gli operatori ritengono che il loro ruolo sia esclusivamente quello di prescrivere terapie all’interno della struttura sanitaria. Terzo, ma non ultimo in termini di importanza, è che, in fondo, rendere consapevoli ed

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autonomi i malati cronici e le loro famiglie non interessa né conviene al sistema sanitario e al sistema sociale sar-do».

4. La terapia del mare. Nel corso di un Campo scuola per ragazzi diabetici e celiaci che si teneva ad Alghero nel set-tembre del 2004, il locale Yacht Club organizzò una rega-ta velica con annesso corso di vela, con partenza alle ore 10 e arrivo alle ore 12 circa. L’indomani, 12 settembre, il cronista raccontava lo svolgimento della manifestazione: «I RAGAZZI SI SFIDANO IN MARE. Una giornata stupenda ha fatto da sfondo alla 2° regata velica dei ragazzi diabeti-ci e celiaci. La ‘sfida in mare’ ha entusiasmato i parteci-panti, ragazzi dai 13 ai 15 anni, che hanno concluso l’esperienza del Campo scuola con questo confronto tra i flutti antistanti il porto di Alghero.

Il Campo scuola, promosso dall’Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna e dal gruppo Celiaci, ha offerto ai ragazzi la possibilità di gestire in maniera au-tonoma la loro condizione di malati cronici. L’ADMS ha mostrato con quest’importante attività, basata sulla for-mazione e sull’aggiornamento, la rilevanza di iniziative ‘condotte al di fuori degli angusti spazi delle istituzioni sanitarie’, così il presidente Michele Calvisi, che ha ribadi-to con convinzione che ‘bisogna andare oltre i luoghi comuni e capire e far capire che la convivenza con una malattia cronica non deve essere un limite, ma uno stimo-lo verso una vita normale, possibile anche per diabetici e celiaci’. Una particolare nota di merito va alle scuole al-gheresi, in particolare alla Media 2 Fertilia che ha manda-to due alunne, senza problemi di diabete e celiachia, alla scoperta di questo Campo scuola come inviate tra i ragaz-zi. Le classi algheresi hanno capito, da subito e come uni-ca realtà a livello regionale, l’importanza dell’educazione alla salute e alla conoscenza di celiachia e diabete.

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Calvisi ha ringraziato per la sensibilità e per il contributo logistico i ragazzi delle scuole algheresi e gli enti che han-no sostenuto la manifestazione; e, per la formazione sani-taria e sportiva, gli istruttori della FIV (Federazione Italia-na Vela) e del Varazze Club Nautico 1919 di Savona e i pediatri Anna Maria Marinaro, Lidia de Luna, Gianfranco Meloni, Augusto Ogana, Daniele Crosa e l’infermiera Pi-na Maloccu. ‘Hanno tutti partecipato al campo scuola’, ha aggiunto ‘con grande impegno’». 5. A tu per tu con i carboidrati. Nei giorni 8 e 9 ottobre del 2004 l’ADMS organizzò un “Corso counting carboidrati” riservato ai genitori e alle famiglie: lo scopo immediato, sostenuto sempre dall’intento di affidare la gestione della malattia al malato e a chi gli sta vicino, sottraendola ai medici e agli ospedali, era di dare le informazioni essen-ziali su come si devono calcolare i carboidrati nei diversi alimenti. Di carattere estremamente pratico, il corso pre-vedeva l’intervento di una pediatra diabetologa e di una nutrizionista che utilizzavano alcune confezioni di pro-dotti alimentari per mostrare ai genitori come si leggono le etichette e come si calcola la quantità di carboidrati ne-cessari quotidianamente, a seconda dell’età. 6. Le preoccupazioni nella scuola. Il giorno prima dell’inizio del ‘Corso counting’ il quotidiano locale aveva dato noti-zia, attraverso un articolo firmato da Antonio Dore, di un episodio drammatico verificatosi in una scuola di Ittiri: «IN CRISI IPOGLICEMICA DAVANTI AI COMPAGNI. Tanta paura nella Scuola media di via XXV Luglio per un caso di ipoglicemia, che ha coinvolto un ragazzo di tredici an-ni. Il giovane durante le lezioni si è sentito male, fino a perdere conoscenza. Nessuno dei presenti in quel mo-mento sembrava capire cosa gli stesse accadendo e così, per un periodo di almeno venti minuti, il ragazzo è rima-sto privo di cure e in costante pericolo.

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Alla fine un professore affetto da diabete ha capi-to che poteva trattarsi di un caso di coma diabetico. Allo-ra il docente avrebbe provato a far bere acqua zuccherata a G., ma il ragazzo, nonostante questo tentativo, non ha dato grandi segnali di ripresa. Alla fine solo il provviden-ziale arrivo del padre, che l’ha trasportato d’urgenza all’ospedale ‘Alivesi’ di Ittiri, è riuscito a strapparlo al co-ma. I sanitari, infatti, gli hanno somministrato le giuste cure e dopo circa mezzora Giuseppe s’è ripreso comple-tamente. Resta, però, l’amarezza dei genitori per il perico-lo corso dal ragazzo, del quale era nota la malattia. ‘La Sardegna – spiega Michele Calvisi, presidente dell’ADMS– è al primo posto al mondo per il diffondersi del diabete giovanile ma, nonostante questo, nessuna istituzione, so-prattutto la ASL, sembra volersi decidere a correre ai ripa-ri. Serve assolutamente una grande prevenzione che può essere fatta esclusivamente con corsi di formazione con diabetologi e dietologi. Questi corsi potrebbero essere uti-li per insegnare le principali norme comportamentali che servono a prevenire il coma ipoglicemico il quale, va ri-badito, non dovrebbe mai verificarsi, se si sta attenti a compensare la glicemia’. Altro aspetto che Michele Calvisi sottolinea è la mancanza nelle scuole sarde di almeno un infermiere professionale: ‘Se ci fosse, almeno nei plessi con centinaia di studenti, servirebbe a tutelare la salute dei nostri ragazzi. Bisogna rendersi conto – avverte Calvisi – che il coma ipoglicemico può causare danni al sistema neurologico dei bambini. Una crisi può essere tollerata, ma il ripetersi del fenomeno potrebbe produrre effetti de-leteri per il piccolo. Dunque, serve molta attenzione da parte di tutti, soprattutto di chi non ha il problema diret-tamente, ma potrebbe finire con l’averlo’. Il preside della scuola, sentendosi chiamato in causa, rilasciò una dichiarazione per precisare quello che era avvenuto e chiarire quali sono i modi d’intervento previsti dalle norme per questi casi. Lo riferiva Antonio

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Dore in un articolo pubblicato il 10 ottobre: «IL PRESI-DE: ‘ABBIAMO FATTO IL POSSIBILE’. Il preside della Scuola media di Ittiri, Lucio Squintu, in relazione a quanto ripor-tato dalla ‘Nuova’ sulla disavventura del ragazzo colto, durante le lezioni, da coma ipoglicemico, ha voluto preci-sare che: ‘Il tempo in cui il ragazzo è rimasto all’interno dell’istituto è stato al massimo di 10 minuti (il genitore aveva fatto riferimento a un lasso di tempo di oltre venti minuti). La scuola – ha chiarito ancora il preside – ha fat-to tutto il possibile per aiutare il ragazzo, grazie soprattut-to all’intuizione di un docente che ha un figlio diabetico, somministrandogli dell’acqua zuccherata (sono in questo caso assolutamente necessari gli zuccheri per consentire al diabetico di riaversi dal coma), salvo portarlo in ospedale, visto che per legge dobbiamo chiamare un’ambulanza e il personale sanitario. Siamo, invece, disponibili a raccoglie-re il giusto invito fatto dal presidente Calvisi circa la pos-sibilità d’imparare quel che si deve fare in analoghe circo-stanze, se, naturalmente l’Associazione dei diabetici sarà così gentile da avviare dei corsi d’informazione». Lo stesso giorno Francesca Stefanelli e Michele Calvisi facevano sentire la loro voce e, tornando ancora un volta al tema loro caro della prevenzione, si sofferma-vano a definire quelli che dovrebbero essere i ruoli rispet-tivi della famiglia, della scuola e dell’Azienda sanitaria: «CERCHIAMO DI AVERE PRINCIPINI MENO TRISTI. Il prin-cipino è triste. Dalla tavola imbandita di dolci non può assaggiare niente. Ha quasi sei anni, da quattro è diabetico e alla festa di giovedì grasso, organizzata dalla scuola, non ha potuto assaggiare neanche un pasticcino. Eppure ba-sterebbe poco, ma i ‘grandi’ si sono scordati di lui. Dal giorno della festa il principino non vuole più andare a scuola.

Dice la mamma: ‘La festa in maschera è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per l’ennesima vol-ta, si sono dimenticati di acquistare qualcosa senza zuc-

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chero. Dal primo anno ho portato un elenco di cibi che il bambino può mangiare. Ora si rifiuta di andare a scuola e mi chiede di togliergli questa malattia. Altrimenti, mi dice che non gli voglio bene. Quattro anni fa ci siamo accorti che il bambino non stava bene. La corsa al reparto diabe-tologia e il referto: diabete mellito all’esordio, da curare con sei insuline al giorno. Con l’aiuto dei medici facciamo passare i ricoveri e le iniezioni quotidiane come qualcosa di normale’, spiega la mamma, ‘ma quando succedono questi episodi tutto diventa inutile. Poi, quando lo segna-lo, mamme e maestre sono pronte a scusarsi’. Dalla scuo-la si difendono: ‘Qui adoriamo il bambino’, spiega una maestra ‘ma i familiari ci hanno ammoniti di non dare nulla al bambino e, a volte, non ci fidiamo perché non sappiamo se quello che abbiamo possa fargli male’. La ge-stione del diabete è estremamente complessa, sempre, e nel caso di un bambino ancora di più. Nelle situazioni in cui la gestione è condivisa tra più istituzioni è spesso il caos e le conseguenze di questo caos ricadono interamen-te sul bambino. Le istituzioni che in casi come questo so-no coinvolte sono la famiglia, la scuola e l’Azienda sanita-ria. Ciascuna di queste dovrebbe svolgere il proprio ruolo: la famiglia comunicare correttamente alla scuola la situa-zione del proprio bambino; la scuola organizzarsi per ac-coglierlo al meglio e consentirgli la partecipazione a tutte le attività sociali e ludiche (feste, gite, recite, attività spor-tive); la ASL mettere a disposizione delle famiglie e della scuola gli strumenti e le conoscenze per gestire la malatti-a. Ma tutto questo non avviene. A volte le famiglie ten-dono a dire il meno possibile, la scuola a evitare di affron-tare il problema, l’ASL ad essere poco disponibile. Ma se l’ASL formasse e informasse le famiglie, supportandole nel modo corretto nelle scelte, nelle decisioni e nelle si-tuazioni critiche, forse le famiglie sarebbero meno sole, più adeguate e meno reticenti. E se gli operatori della scuola conoscessero la malattia, gli accorgimenti da adot-

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tare, le situazioni da evitare, i sintomi preoccupanti che richiedono l’intervento del medico e quelli banali che si possono risolvere con un po’ di zucchero, forse sarebbe-ro meno spaventati e più disponibili a far partecipare i bambini diabetici alle diverse attività, a considerare la si-tuazione di quel bambino un’occasione di crescita e di ac-quisizione di consapevolezza molto utile per tutti, bambi-ni per primi.

E se l’ASL decidesse di affrontare questa malattia acquisendo gli strumenti e le professionalità indispensabili per farlo, come la capacità di formare le famiglie e gli o-peratori che lavorano con i bambini, con corsi, incontri, materiale divulgativo, consulenze psicologiche di soste-gno e assistenza, forse la scuola si sentirebbe più tranquil-la e le famiglie meno sole.

L’ADMS ha realizzato l’anno scorso un progetto in collaborazione con le scuole e l’ASL n. 1 di Sassari. Il per-sonale dell’ASL, pediatri, diabetologi, psicologi e infermie-ri hanno predisposto un corso di formazione per il per-sonale della scuola e un dépliant informativo, breve e semplice, sul diabete e la celiachia. Le scuole hanno aderi-to con entusiasmo partecipando al corso e distribuendo il dépliant. Il contributo è stato importante e le conoscenze hanno aiutato tante persone a comprendere situazioni fi-no a quel momento poco conosciute.

Iniziative come queste andrebbero finanziate e ri-petute, diffuse e ampliate in tutta la Regione. Per una sa-nità migliore e una scuola più accogliente, ma soprattutto per avere principini meno tristi. E lo saranno, meno tristi, se saranno consapevoli che la loro malattia è grave, ma non causa esclusione; che richiede attenzione nel gestirla, ma anche che non sono soli a farlo, perché con loro ci sono i genitori, gli insegnanti e, soprattutto, gli altri bam-bini».

Pochi giorni dopo – precisamente il 24 ottobre – Stefanelli e Calvisi tornavano ancora sull’argomento, per

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puntare decisamente il dito contro tutti coloro che prefe-riscono incoraggiare l’uso delle medicine piuttosto che la prevenzione: «FORMAZIONE, PAROLA CHIAVE PER ‘GE-STIRE’ LA PATOLOGIA. Qualche giorno fa la stampa locale ha riportato l’episodio di un bambino che, mentre era a scuola, ha avuto una crisi ipoglicemica, è entrato in coma e il padre è stato costretto a ritirarlo e portarlo in ospeda-le. È una storia che non sopportiamo. Non sopportiamo che i nostri bambini, in una società ricca e avanzata come la nostra, debbano subire questo. È vergognoso. Bastava un po’ di zucchero, una caramella, un sorso di una bibita.

La totalità dei diabetici non parteciperà mai a un incontro formativo per la gestione corretta della patologi-a; ma, peggio, non parteciperanno mai neanche il medico di medicina generale che cura il 52 per cento dei diabetici, la medicina di emergenza, il pronto soccorso e il 118, i medici dei reparti ospedalieri, le commissioni per il rila-scio della patente e dei decreti di invalidità, i medici che rilasciano la certificazione per il lavoro, gli infermieri, i docenti e il personale della scuola, le società sportive.

La comunicazione dei vari ambulatori di diabeto-logia tra loro e gli altri servizi che si occupano di diabete è lasciata alla buona volontà, alla sensibilità e alla disponibi-lità dei singoli operatori e quindi è praticamente assente. Mai la condivisione per alleviare un problema sanitario o sociale, anzi, le associazione dei pazienti sono osteggiate e mal sopportate. Il risultato di questo sistema incivile si legge nelle cronache quando, esasperati, i diabetici o le famiglie decidono di denunciare al pubblico le angherie e la malasanità. In tema di diabete, la sanità non organizza formazione. E gli ECM? [Educazione Continua in Medici-na: tutti gli operatori sanitari hanno l’obbligo di partecipa-re ogni anno a corsi di formazione; ogni corso comporta l’assegnazione di crediti e ogni operatore deve cumularne 50 l’anno] Nonostante la legge vieti in maniera assoluta che una casa farmaceutica si occupi od organizzi la for-

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mazione del personale sanitario, i motivi sono evidenti, se andate poco a poco a scavare, scoprirete subito i modi con cui viene applicata il famoso detto ‘fatta la legge tro-vato l’inganno’. Il paziente sentirà proporsi di tutto, dal farmaco intelligente allo strumento più aggiornato. Ma potrà immediatamente vedere che di intelligente e di ag-giornato c’è solo il costo. Si spiega così l’aumento inso-stenibile della spesa per la cura del diabete, ma soprattutto l’altissima percentuale di persone che, nonostante gli alti costi, sviluppano complicanze serie, molto costose da cu-rare, e sono incalcolabili le conseguenze sociali per la per-sona e la famiglia.

L’azienda produttrice aggiungerà al costo del pro-dotto quello per la formazione dei medici ‘venditori’, la-sciando fuori dalla formazione il diabetico che, in realtà, si dovrà curare e dovrà gestire la patologia in tutti i suoi fronti. I medici, a scadenze prefissate, lo aiuteranno solo nella messa a punto della compensazione della glicemia.

La colpa non è solo dei medici: il sistema sanità cura solo la glicemia, mai la persona con il diabete che non partecipa a sessioni di aggiornamento socio-sanitario-alimentare e di attività fisica e non condivide la prescri-zione terapeutica. È urgentissimo soprattutto in Sardegna, dove il buon Dio ha seminato il diabete con grande gene-rosità, ristrutturare i servizi di diabetologia, farli diventare luoghi di informazione e formazione continua e condivi-sa, di assistenza reale in favore dei diabetici, delle famiglie e di tutti i soggetti che si trovano per ruolo o per caso ad occuparsene. Dove gli operatori sanitari dovranno sup-portare e assistere le persone colpite dalla patologia del diabete e dalla sindrome metabolica e, a scadenze precise, effettuare tutte le visite specialistiche e di prevenzione per evitare l’insorgere di gravi complicanze.

La formazione deve essere fatta a spese del siste-ma sanitario e all’interno delle ASL. E ancora: è indispen-sabile costringere le multinazionali farmaceutiche, non

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tanto ad abbassare il costo del farmaco e degli strumenti, ma a uniformarli a quelli praticati negli altri stati europei, liberando così moltissime risorse economiche che po-tranno essere utilizzate, anziché per curare, per preveni-re».

Una settimana più tardi, il 31 ottobre, Stefanelli e Calvisi tornavano tema della formazione. In questo caso il loro discorso, prendendo spunto da un’interessante te-stimonianza, si appuntava sulla necessità di preparare me-glio i medici sul tema specifico del diabete e degli inter-venti da compiere per prevenirlo e curarlo:

«FORMAZIONE, È LA PAROLA CHIAVE. Ancora una volta dobbiamo, affrontando le problematiche del diabe-te, soffermarci sulla formazione. E parliamo della forma-zione non solo dei diabetici, ma anche di tutti coloro che per professione se ne occupano: medici, pediatri, operato-ri scolastici, insegnanti, educatori, infermieri. Riportiamo una breve testimonianza, una tra tante simili che ci arri-vano, che descrive come il diabete, nonostante la sua dif-fusione tra la popolazione e la sua gravità, non venga mai considerato in modo adeguato, a partire dalle strutture che dovrebbero garantire la formazione degli operatori.

Una giovane dottoressa racconta la sua esperien-za: ‘Una volta presa la laurea in medicina e chirurgia mi sono immediatamente resa conto di quanto poco fossi preparata sul diabete, in particolare dal punto di vista pra-tico. Infatti, nonostante abbia fatto un tirocinio in diabe-tologia, non mi è mai stato insegnato a praticare l’iniezione sottocute. Per contro conosco molte cose sulla genetica, sulle condizioni predisponenti, sulle varie teorie sulla genesi, sulle complicanze. Quando ho avuto i primi incarichi di guardia medica, l’unico flacone di insulina presente era correttamente conservato in frigorifero, sen-za però riportare la data del primo utilizzo; in compenso non era presente neanche un apparecchio per la misura-zione della glicemia. Fortunatamente il riflettometro mi

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era stato regalato da mio padre, diabetico, che con tanta semplicità mi aveva insegnato ad utilizzare nonché a mi-scelare le insuline e a praticare l’iniezione.

Per quanto riguarda la medicina generica e la pe-diatria di base, devo dire che mai mi è capitato di parteci-pare a corsi di aggiornamento pratico sulla gestione del paziente diabetico. È vero comunque che esistono dei tentativi di assistenza ad anziani con diabete non autosuf-ficienti: una volta mi sono trovata a sostituire il medico di base di un piccolo paesino e sono stata contattata delle assistenti sociali per avere la prescrizione di insulina per una loro assistita a cui quotidianamente praticavano l’iniezione. Alla mia domanda rispetto al controllo della glicemia prima di iniettare l’insulina, mi risposero che questo non era di loro competenza’.

Questa testimonianza parla da sola: di diabete ne sanno poco tutti. Fortunatamente sta aumentando la con-sapevolezza che la formazione è l’unica arma che esista per gestire con un certo successo questa grave patologia e sono sempre di più gli operatori che, dovendosene occu-pare, chiedono di poter acquisire le conoscenze indispen-sabili. Alla nostra Associazione arrivano continuamente richieste di formazione da parte del mondo della scuola. Ringraziamo i dirigenti, il personale docente e ATA per la loro intelligenza e sensibilità: purtroppo non siamo più in grado di soddisfare queste richieste e siamo quindi co-stretti a chiedere loro di pretendere la formazione da par-te di quelle strutture che hanno istituzionalmente il com-pito di occuparsi dell’educazione alla salute per il territo-rio. Devono rivolgere queste loro corrette richieste all’Assessorato regionale alla salute e alle ASL, strutture che hanno il dovere, le risorse economiche, le competen-ze per farlo. Noi come associazione cerchiamo, con le nostre poche forze, in completa solitudine, di ascoltare le richieste soprattutto sociali che ci pervengono, quotidia-namente, numerosissime».

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7. La solidarietà dell’Istituto agrario. Le attività del 2004, già piuttosto intense, si chiusero con una bella iniziativa or-ganizzata poco prima di Natale in collaborazione con l’Istituto agrario di Sassari. Stefanelli e Calvisi ne davano il primo annuncio alcuni giorni prima, il 5 dicembre, sof-fermandosi sull’impegno cui si sottoponevano per l’occasione tanti giovani studenti:

«PREVENZIONE E VOLONTARIATO: LE INIZIATIVE DELL' ISTITUTO AGRARIO. L’Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna svolge numerose attività rivolte, ol-tre che ai propri associati, anche ad enti ed istituzioni. Tra queste molte sono le scuole che si rivolgono all’associazione per interventi volti a sensibilizzare gli stu-denti e gli operatori sul diabete e la celiachia e sui corretti stili di vita. Ma questa iniziativa di cui vogliamo parlarvi oggi ha una valenza particolare.

L’Istituto tecnico agrario di Sassari ha organizzato una serie di iniziative rivolte a sensibilizzare i giovani stu-denti sulla prevenzione e ad avvicinarli al volontariato. Il progetto dell’Istituto prevede, dopo una serie di incontri con l’Associazione sui temi dell’educazione alla salute, una serata durante la quale saranno venduti i prodotti or-tofrutticoli coltivati dall’azienda annessa all’Istituto, e uno spettacolo durante il quale si esibiranno gruppi musicali e ballerini e saranno messi in mostra i materiali didattici dell’Istituto. I soldi raccolti con la vendita dei prodotti sa-ranno donati all’Associazione. I ragazzi saranno impegna-ti, oltre che nella coltivazione e nella raccolta dei prodotti che saranno venduti, anche dell’organizzazione della sera-ta. Preparare gli stand, contattare gli sponsor, relazionarsi con la stampa, accogliere i visitatori, curare la vigilanza. Sono tutte attività che consentono l’acquisizione di com-petenze molto utili, l’apprendimento e la sperimentazione di modalità di comunicazione diverse, l’esibizione, duran-te lo spettacolo, davanti ad un pubblico, l’esperienza nel volontariato visto come occasione di arricchimento per-

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sonale. E tutto questo in ottica di festa, di lavoro insieme, di accoglienza, di progetto comune, di riflessione sulla prevenzione. Ci sembra un’iniziativa interessante, dove l’aspetto economico diventa secondario, i soldi servono per organizzare, i prodotti devono essere trasformati in denaro perché sono costati lavoro.

L’aspetto principale è la promozione della prevenzione, del volontariato, delle attività svolte dalla scuola, della va-lorizzazione del lavoro, dell’impegno, delle capacità degli studenti e del personale docente e ATA. Andremo volentieri alla serata di solidarietà che si terrà il 18 dicembre dalle ore 16,00 alle 23,30 presso i locali dell’Istituto agrario in via Bellini. Andremo volentieri per-ché pensiamo che sia un’iniziativa organizzata con coe-renza, che consente di mettere al centro valori positivi come la prevenzione, la solidarietà, il lavoro comune. E i nostri giovani ne hanno bisogno. Contrariamente a quello che si dice di loro, che sono incapaci, inconcludenti, poco colti, disinteressati, egoisti, le nuove generazioni sono sensibili, generose, disponibili. Basta guardarli di più, a-scoltarli qualche volta, dar loro occasioni per esprimersi.

Ci scusiamo se questa volta siamo andati fuori

tema. Ci sembrava che ne valesse la pena e in fondo il no-stro lavoro è certamente dedicato a tutti i diabetici e celia-ci, ma anche ai giovani. Che vogliamo diversi da noi. Più allegri e disponibili, con più strumenti di comprensione e di comunicazione, in possesso di valori come la disponi-bilità e l’inclusione. Siano essi diabetici e celiaci oppure no». Altri dettagli venivano dati da Giovanni Runchina in un articolo pubblicato il 17 dicembre, giorno prima della manifestazione: «LA SOLIDARIETÀ DELL’AGRARIO. Rac-cogliere fondi per sostenere la ricerca contro il diabete e la celiachia coinvolgendo direttamente i giovani. È

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l’obiettivo della serata di solidarietà organizzata dagli stu-denti dell’Istituto tecnico agrario ‘Niccolò Pellegrini’. L’iniziativa, che si svolgerà domani nella palestra della scuola in via Bellini, coinvolgerà ragazzi e insegnanti. Ma anche un nutrito gruppo di artisti tra i quali Piero Marras e il tenore ‘Su Nugoresu’. Oltre venti tra cantanti e gruppi si alterneranno sul palco per oltre cinque ore ma si potrà dare un contributo concreto partecipando alla lotteria a premi e acquistando i prodotti offerti dalle famiglie degli studenti, dai vari sponsor e dall’azienda agraria dell’Istituto. Quest’ultima metterà a disposizione quasi mezzo quintale di frutta tra mandarini e arance, 50 litri di olio e altrettanti di vino e più di 200 piante.

L’incasso sarà devoluto all’ADMS, Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna. L’ADMS è impegna-ta da anni in progetti di vario tipo tesi a migliorare la qua-lità della vita dei diabetici e delle loro famiglie: dagli in-contri di formazione al supporto psicologico sino alla consulenza legale gratuita e alla promozione della pratica sportiva. I soldi permetteranno di finanziare anche il Gruppo Celiaci. La celiachia è una patologia molto diffu-sa che consiste in un’intolleranza al glutine, un gruppo di proteine del frumento, dell’orzo e della segale. Chi ne è colpito è costretto a un regime alimentare molto rigido che gli impedisce di mangiare cibi comuni come la pasta e il pane. L’unica strada, per ora, è l’acquisto di prodotti specifici, indispensabili per la dieta, e molto costosi. Il progetto del ‘Pellegrini’, coordinato dal professor Mario Pinna, ha richiesto più di tre mesi di lavoro durante i quali sono stati spesi oltre 2000 euro per il noleggio delle at-trezzature e per la pubblicità. L’incontro tra il mondo del volontariato e la scuola non è casuale: già l’anno scorso gli alunni del Tecnico agrario, con il sostegno di circa 150 sponsor, avevano raccolto 6000 euro per aiutare l’Associazione italiana contro le leucemie».

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LA RICERCA SCIENTIFICA E LE NUOVE CURE 1. Una nuova terapia. L’attenzione dell’ADMS si andò ben presto rivolgendo verso i nuovi risultati della ricerca scientifica che potevano fare ben sperare i malati di diabe-te; e ovviamente verso le nuove cure che venivano via via illustrate e introdotte. Mentre infatti del diabete si cono-scono molte cose, molte sono ancora sconosciute. Per questo la ricerca assume un’importanza fondamentale per avere nuovi elementi per la gestione di questa patologia e per avvicinarci sempre di più alla sua sconfitta. L’Associazione iniziò quindi a seguire con grande atten-zione i risultati della ricerca a livello internazionale e delle innovazioni che l’accompagnano. Purtroppo i risultati della ricerca che appaiono in un primo momento come importanti e come grandi passi avanti, spesso non lo so-no, e a volte, anche l’innovazione nei presìdi sanitari risul-ta essere solo il tentativo di imporre al “mercato” nuovi prodotti.

Un altro aspetto fondamentale è l’innovazione dell’organizzazione sanitaria che molte volte non richiede invenzioni ma solo del buon senso che consentirebbe di avere forti riduzioni della spesa con migliore qualità dei servizi. Ai primi di aprile del 2000, subito dopo l’inaugurazione della nuova sede di via De Cupis, venne organizzata una conferenza per illustrare una nuova tera-pia che poteva garantire agli insulino-dipendenti un note-vole miglioramento dello stile di vita.

Questa la cronaca dell’iniziativa, comparsa sul quotidiano locale il 5 aprile: «PROSEGUE INTENSA L'ATTI-VITÀ DELL'ASSOCIAZIONE DIABETE MELLITO E CELIA-CHIA SARDEGNA (ADMS) ALL'INDOMANI DELL'INAUGU-RAZIONE DELLA SEDE IN VIA DE CUPIS 24, A SAN GIO-VANNI. L'ultimo incontro-dibattito è stato sollecitato da

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Pietro Fresu, del Servizio di diabetologia della Clinica medica, che ha parlato sul tema La terapia insulinica con mi-croinfusore. Si tratta di un modello di cura, ha illustrato Fre-su, che, sebbene poco noto, si è rivelato abbastanza adat-to ad alcuni diabetici insulino-dipendenti di tutte le età. Permette, infatti, di ottenere e garantire un compenso me-tabolico di ottimo livello con conseguente miglioramento dello stile di vita e rallentamento della comparsa e della progressione di gravi complicanze che la patologia com-porta. Molti i presenti, e non solo diabetici che, eviden-temente, sono i più direttamente interessati al problema, intervenuti nel dibattito apertosi dopo la presentazione del microinfusore. Le numerose domande non hanno col-to di sorpresa Fresu, che ha risposto esaurientemente ai numerosi quesiti sottopostigli. Considerato l'interesse, il presidente dell'ADMS, Michele Calvisi, pensa di dar vita a un gruppo di auto-aiuto a beneficio di quanti utilizzano la pompa». 2. La situazione in Sardegna. Col passare degli anni i dirigen-ti dell’ADMS approfondivano sempre meglio, grazie agli organi d’informazione e soprattutto alla testimonianza dei soci, via via più numerosi, la condizione dei malati di dia-bete e dei celiaci sparsi – con abbondanza di numeri, pur-troppo – in tutta la Sardegna. Nell’estate del 2004 i diri-genti dell’Associazione Francesca Stefanelli e Michele Calvisi prendevano così spunto dalle ultime rilevazioni statistiche per fare un quadro della situazione, in un arti-colo che fu pubblicato l’8 agosto sul quotidiano locale: «NUMERO DI CASI: SARDEGNA AL PRIMO POSTO NEL MONDO. La Sardegna è stata benedetta, trovandosi in una posizione invidiabile al centro del Mediterraneo, da un clima meraviglioso, da un ambiente e un mare come po-chi altri al mondo, da una cultura forte, fiera e ospitale. Insieme a questi doni, però, ha avuto anche una serie di caratteristiche negative, prima tra tutte la presenza nel pa-

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trimonio genetico dei propri figli di una percentuale altis-sima di patologie metaboliche.

«Primo fra le patologie di questo tipo è il diabete che la mette al primo posto, nel mondo, insieme alla Fin-landia, nell’età da 0 a 14 anni, come percentuale di malati. Questo dato è ancora più inquietante se si calcola che, da studi internazionali, risulta che gran parte dei malati di diabete di tipo 2 non vengono riconosciuti come tali; che, nella nostra regione, il diabete è spesso associato con la celiachia; e che il numero di bambini e giovani che mani-festano queste patologie è in forte crescita. Nonostante tutto questo, stranamente, non càpita, nella nostra Regio-ne, di sentire parlare di diabete e di celiachia, di sapere qual è la qualità della vita dei diabetici e dei celiaci, quali e di che livello sono i servizi sanitari, qual è la ricerca che viene realizzata.

L’Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna ope-ra dal 1998 per sensibilizzare le strutture pubbliche e pri-vate e i cittadini alle problematiche relative a queste pato-logie. Spesso l’attività dell’Associazione, che rappresenta circa 12.000 associati, ha ottenuto consensi, collaborazio-ni e buoni risultati, ma altrettanto spesso le sue denunce, specie se rivolte a realtà presenti sul territorio, sono state lasciate inevase. Non si fa ricerca e le terapie sono le stes-se da quando il diabete è stato scoperto: l’organismo non produce insulina, basta introdurla nell’organismo e il gio-co è fatto. Non è così semplice. L’insulina è un ormone la cui produzione è influenzata dai diversi atti che ciascuno compie nel corso della giornata: basta che cambi la tem-peratura, basta che si mangi qualcosa di più o che si faccia un’attività leggermente diversa e la produzione di insulina cambia. Ciascun diabetico dovrebbe essere messo in gra-do di conoscere, capire e gestire il proprio diabete, perché solo lui è in grado di sapere come reagisce il proprio or-ganismo nelle diverse circostanze e all’insulina. Purtroppo

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consentire questo significherebbe per molti rinunciare al proprio potere. Noi come Associazione siamo decisi a non rinunciare al nostro ruolo perché riteniamo che sia importante per molti e continuiamo a svolgerlo chieden-do aiuto a tutti coloro che possono darci una mano. L’obiettivo che ci proponiamo di raggiungere è quello di utilizzare questo spazio settimanale sulla ‘Nuova Sarde-gna’ come momento d’informazione, di discussione e, se necessario, di denuncia. Parleremo di diabete, per diffon-dere quelle conoscenze di base che contribuiscono a far acquisire consapevolezza per consentire a chi soffre di questa malattia, ma anche alle famiglie dei bambini, a chi si occupa degli anziani, agli adolescenti, agli adulti, alle donne in gravidanza di gestire un po’ di più la patologia e di difendere la propria autonomia». 3. Gli Stati Uniti e la Sardegna. Grazie all’ospitalità offerta dal giornale Stefanelli e Calvisi riprendevano il discorso pochi giorni più tardi, e in una articolo uscito il 22 agosto partivano da un raffronto con i dati registrati negli Stati Uniti per mettere in luce altri aspetti della condizione del malato di diabete in Sardegna:

«CONTROLLARE LA MALATTIA IN ATTESA DELLA CURA. Nonostante l’incidenza del diabete in Sardegna, in assenza di un registro sanitario o di una qualsiasi raccolta di dati attendibile, siamo costretti a fare riferimento a dati di altre realtà come per esempio gli Stati Uniti. Negli USA il diabete uccide un americano ogni tre minuti e ogni tre minuti vengono diagnosticati quattro nuovi casi. Il diabe-te è la prima causa di cecità, amputazione e insufficienza renale. 16 milioni di persone negli Stati Uniti hanno il diabete e il 35% di loro sono destinati all’insufficienza re-nale che significa che la loro percentuale di sopravvivenza è inferiore a quella di una malata di cancro alle ovaie. No-nostante questo il diabete non riceve dai governi i fondi che meriterebbe la ricerca per la sua cura e non c’è, da

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parte dell’opinione pubblica, una presa di posizione in merito. Due anni fa è stata avviata una campagna che di-ceva: ‘Controlla il tuo diabete. Per la vita’. Come dire: ‘Sta a te. È la tua malattia. Se la controlli vivrai, altrimenti no’. Il messaggio che doveva passare era: ‘Il diabete è grave, comune, costoso e controllabile’. Tutti hanno sentito che il diabete è controllabile, quindi le complicanze diabetiche e i loro costi economici sono causati dai diabetici e non dal diabete. Anche in Italia si colpevolizza il malato: quando il diabete viene diagnosticato, dopo qualche gior-no, al malato viene consegnato un elenco per ritirare far-maci e presìdi da utilizzare, viene informato che sarà me-dico di se stesso e invitato a presentarsi periodicamente con la registrazione delle glicemie dopo 60, 90 o 120 giorni. Da quel preciso momento la persona o la famiglia si rende consapevole di essere entrata nella palude dei diabetici. Si rende conto che si deve pungere 8, 10 volte al giorno (che strazio quando il bambino è piccolo), soprat-tutto per controllare la glicemia, che varia continuamente rischiando di farlo cadere in ipoglicemia o in iperglicemia.

È medico di se stesso solo per essere considerato

responsabile dei risultati, è lui il colpevole di tutto quello che va male, il suo diabetologo si assenta spesso per corsi di formazione e convegni. Si spera sempre che ci sia qual-che novità, ma l’unica novità è il nuovo farmaco miraco-loso, che gli viene prescritto e che di miracoloso non ha mai nulla. Si innesca il meccanismo perverso che periodi-camente ti consente di affacciarti nel mondo per i rifor-nimenti di presìdi, farmaci e sgridate. Ti chiedi: chi mi sta curando? È una malattia? Sei solo e non puoi partecipare a corsi di formazione, non hai assistenza sociale, psicolo-gica, vivi ai margini della società pensando che il diabete è una malattia del benessere per cui non devi lamentarti. Con il tempo arrivano le complicanze che vengono con-siderate il risultato della tua cattiva autogestione, che nes-

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suno ti ha mai insegnato, mentre altri hanno deciso tutto, soprattutto l’uso dei farmaci e dei presìdi, dandoti la re-sponsabilità della gestione, ma non gli strumenti e le co-noscenze per farlo. Se la campagna di sensibilizzazione negli Stati Uniti avesse annunciato: ‘Il diabete rende disa-bili e uccide. Solo una cura può fermare il dolore’, con l’immagine di un bambino che accompagna la sua mam-ma cieca al supermercato e con in sottofondo una voce che spiega che diabete è dolore, tutti avrebbero visto il diabete come un nemico, così come viene visto il cancro o l’AIDS. Gli americani si sarebbero preoccupati perché, se non si trova una cura, potrebbe capitare a ognuno di loro o ai suoi bambini.

Si sarebbe cambiata l’immagine della malattia

cancellando le facce sorridenti che spesso appaiono nelle pubblicità e nelle brochure degli ambulatori medici e delle farmacie. Molti genitori di bambini diabetici si sarebbero sentiti offesi e scioccati da questa campagna, in parte per-ché crediamo, o vogliamo credere, che se seguiamo le in-dicazioni dei medici ci garantiamo una vita libera dalle complicanze diabetiche. Non solo vogliamo crederlo, ma ci hanno insegnato a crederlo.

Non c’è dubbio che i medici cercano, con le mi-gliori intenzioni, di rassicurare le mamme e i bambini, le infermiere passano il messaggio che, se fai come ti dico-no, tutto sarà a posto, il diabete è controllabile, e se lo controlliamo staremo bene. Ma la verità è che nessuno studio ha potuto provare che il controllo del diabete può prevenire le complicanze.

È chiaro, finché non ci sarà una cura controllare il diabete è importante per ritardare e rallentare le compli-canze il più possibile, ma non dobbiamo illudere la gente e noi stessi che il controllo sia sufficiente. Al massimo è una terapia, inadeguata, finché non sarà trovata una cura. Il diabete, anche in America, è un grande affare con po-

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tentissime forze economiche, sociali e politiche che apro-no e chiudono le porte che conducono a una cura. Pro-durre una cura costa soldi e, finché non c’è una cura, non c’è un prodotto da vendere. Nei convegni scientifici ve-niamo sommersi da informazioni sui più nuovi e precisi apparecchi per misurare la glicemia, microinfusori e pen-ne varie, su insuline e sistemi di infusione miracolosi, ma quelli che chiedono una cura per il diabete sono scarsa-mente rappresentati. Purtroppo il messaggio ‘cerchiamo una cura per il diabete’ si perde e gli addetti della sanità tornano a casa dai propri pazienti per mostrare solo l’ultima novità della tecnologia o l’ultimo farmaco miraco-loso per aiutarli a controllare la loro malattia.

Alla domanda se il diabete è una malattia mortale

come l’AIDS o il cancro la risposta è chiaramente ‘sì’. Sempre negli Stati Uniti ogni anno muoiono più persone di diabete che di cancro al seno e di AIDS messe insieme, ma i livelli di spesa governativi riservati alle ricerche per ognuna di queste malattie è di 1700 dollari per ogni per-sona affetta da AIDS, ma meno di 20 dollari per ogni ma-lato di diabete.

La ricerca e la qualità dei servizi per il diabete di-

pendono da quanto efficaci siano le associazioni che stanno dietro le varie malattie, e le associazioni sono forti in base a quanto i soci partecipano alle iniziative promos-se. La nostra cultura ci fa essere molto individualisti. Cia-scuno si preoccupa di difendere il proprio caso personale. Dobbiamo finalmente capire che, per quanto riguarda il diabete, ogni battaglia combattuta da soli è una battaglia persa. Ancora una volta e ancora di più, solo le battaglie insieme e per tutti possono essere vinte. Dobbiamo, per esempio, porci alcune domande: come mai negli Stati U-niti, all’avanguardia nella ricerca, la situazione è molto si-mile a quella sarda per quanto riguarda il diabete? Se è ve-

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ro che la Sardegna ha la percentuale di malati più alta al mondo, insieme alla Finlandia, come mai non esiste un registro del diabete? È vero che la popolazione sarda non è numericamente paragonabile a quella statunitense, ma come mai l’anno scorso, nonostante la bolla africana di caldo (il caldo è devastante per i diabetici), in Sardegna abbiamo registrato ufficialmente un solo morto per diabe-te? Il seguito alla prossima puntata e ai vostri interventi».

4. L’esperienza dell’ADMS. Un forte interesse veniva rivolto anche alla formazione del personale medico e paramedico che aveva più frequenti occasioni di occuparsi dei malati di diabete; a loro volta gli organizzatori dei corsi tendeva-no a richiedere sempre più spesso la collaborazione dell’ADMS, rendendosi conto che l’esperienza accumulata dal sodalizio poteva essere utilizzata anche a scopo didat-tico. Nel settembre del 2004, ad esempio, l’Azienda Sani-taria n. 1 di Sassari diede vita alla II edizione del Corso multidisciplinare di formazione sulla gestione integrata del diabete, riservato a tutti i professionisti impegnati nella gestione e cura della malattia, ossia medici di medicina generale, diabetologi, dietologi, infermieri, dietisti e far-macisti. Gli organizzatori, tenuto conto del lavoro svolto dall’ADMS e della sua adesione al team per la ‘prevenzione delle complicanze del diabete’, invitarono i dirigenti a ri-ferire sull’esperienza maturata su questa tematica dal pun-to di vista del paziente diabetico e della sua famiglia. 5. La gravidanza delle donne diabetiche. Continuando la serie dei loro interventi, Stefanelli e Calvisi si occuparono qual-che tempo dopo dei problemi legati alla gravidanza e al parto delle donne diabetiche. Ecco l’articolo sull’argomento, uscito il 19 settembre del 2004: «COME AFFRONTARE UNA GRAVIDANZA SERENA. La gravidanza è un momento delicato e complesso per tutte le donne, an-cora di più quando un’esperienza così importante si ac-

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compagna a una malattia cronica come il diabete. Tutte le attenzioni, necessarie in ogni gravidanza, diventano anco-ra più importanti.

Il percorso che porta una donna a diventare ma-dre dovrebbe essere lo stesso, sia essa diabetica o meno. La forma fisica dovrebbe essere buona e, durante la gra-vidanza, dovrebbe essere mantenuto uno stile di vita cor-retto, con un’alimentazione equilibrata e una buona attivi-tà fisica. Lo stesso vale per le donne diabetiche che, per avere una buona forma fisica, devono avere una buona gestione del proprio diabete, non essere scompensate né all’inizio della gravidanza né nei mesi successivi, devono seguire uno stile di vita sano, mangiare in modo equilibra-to, fare attività fisica e molti controlli per monitorare il proprio diabete. Per fare questo, ancora una volta, è ne-cessario che, oltre ad una forte consapevolezza, le future madri abbiano a disposizione specialisti in grado di af-fiancarle e gli strumenti per gestire in autonomia la malat-tia. Se queste condizioni vengono rispettate si può avere una gravidanza buona e senza complicanze che, se le condizioni complessive lo consentono, in alcuni casi può anche concludersi con un parto spontaneo. Se si avvia una gravidanza con i valori della glicemia alta, invece, so-no problemi.

La gravidanza di per sé porta a una difficoltà

nell’autocontrollo, quindi gli scompensi aumentano e so-no difficili da gestire, così come le complicanze. Il diabete giovanile sta aumentando la sua incidenza nella popola-zione sarda, quindi è facile prevedere che nei prossimi anni molte giovani donne diabetiche decideranno di fare figli. Serviranno ginecologi, alimentaristi, psicologi e dia-betologi esperti nel seguire gravidanze di donne diabeti-che. Dovranno saper lavorare in équipe e fornire alle donne la formazione e gli strumenti necessari per gestire la propria malattia. Noi aspettiamo. Sappiamo che le

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donne sono coraggiose e capaci di affrontare i problemi trovando soluzioni nuove. Aspettiamo i bei bambini che le donne, diabetiche e non, metteranno al mondo nei prossimi anni. Ma aspettiamo anche una generazione di operatori sanitari in grado di gestire al meglio tutte le gra-vidanze che verranno. Aspettiamo nuove strutture in gra-do di accogliere madri e bambini, sapendo bene che il diabete è una malattia cronica grave e che, in sua presen-za, le gravidanze sono a rischio, ma in grado di dimenti-carlo per festeggiare una nascita».

6. I limiti delle strutture. Il successivo intervento di Stefanelli e Calvisi, pubblicato il 3 ottobre 2004, affrontava il pro-blema, anch’esso purtroppo grave, della condizione delle strutture cui è affidata la cura dei malati di diabete: «I MA-LATI CRONICI E LE STRUTTURE: OCCORRE UNA RIORGA-NIZZAZIONE. Insieme, in questi mesi, abbiamo riflettuto sul diabete e su come cambino le problematiche nelle va-rie fasi della vita. Punti di vista personali che i diabetici ci raccontano quando vengono in Associazione. Esperienze di vita che ci consentono di capire la vita quotidiana dei diabetici, ma che temiamo non siano molto diverse, in termini di difficoltà, dai problemi che devono affrontare tutti coloro che fanno i conti con una malattia cronica.

Considerato questo punto di vista, quello del vis-suto delle persone, non possiamo rinviare oltre e dob-biamo affrontare, è nostro dovere istituzionale, le pro-blematiche legate alle diverse strutture che si occupano di diabete. Abbiamo detto, e volutamente, ‘che si occupano di diabete’, ma avremmo preferito dire ‘che si occupano dei diabetici’.

E questo è il primo problema, ma non il solo. Si

arriva in questi centri spesso con una diagnosi fatta da al-tri specialisti: oculisti, cardiologi, dentisti, tanto per citar-ne alcuni. La visita in questi ambulatori, che dopo la pri-

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ma diventerà periodica, consiste nella lettura del diario, nella misurazione della glicemia, della pressione, del peso, qualche volta nell’imposizione della dieta e di un veloce, velocissimo dialogo. Per fare questo controllo si fanno lunghe file e si perdono mattinate in strutture spesso ca-denti, anguste e disorganizzate. Mai un incontro per la formazione, mai la condivisione con altri della propria condizione, magari assistiti da uno psicologo.

Quanto stiamo dicendo non è certo rivolto agli

operatori che lavorano in questi centri, e che anzi stimia-mo e ringraziamo per il loro impegno e la loro professio-nalità: lo diciamo con la speranza di contribuire a miglio-rare la loro fatica e la nostra salute. Da decenni queste strutture sono immutate e non sono state minimamente intaccate dal miglioramento della qualità dei servizi che ha modificato profondamente tante strutture pubbliche. Non fanno ricerca, non raccolgono dati, non hanno pro-grammi per aiutare gli adolescenti, non esistono modalità previste per spiegare l’importanza dell’attività fisica, che è anche terapeutica, e per aiutare a praticarla senza com-mettere errori, che porterebbero ad un peggioramento in-vece che a un beneficio. Nessuno di questi ambulatori ha programmi di assistenza domiciliare per la famiglia, per i bambini, per gli adolescenti, le donne in gravidanza; nes-suno di loro si occupa di informare e formare insegnanti e operatori per l’assistenza domiciliare e a scuola. Per quan-to riguarda l’alimentazione e le diete, fino a qualche anno fa veniva fornito ai pazienti un foglio fotocopiato uguale per tutti.

Ancora oggi la dieta, che spesso comporta un ra-

dicale cambiamento dello stile di vita dell’individuo, viene prescritta rapidamente e senza dedicare del tempo per spiegarne l’importanza né al diabetico né alla famiglia che, se si vuole che la dieta venga seguita, dovrebbe essere re-

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sponsabilizzata. Non si può fare la visita per ottenere o rinnovare la patente di guida, manca la possibilità di effet-tuare gli esami periodici degli occhi, del piede, del sistema cardiovascolare. In compenso queste strutture, che sono numerose e presenti nei diversi territori e non riescono più a fornire servizi utili ai diabetici, costano al nostro si-stema sanitario moltissimi soldi: perché si devono pagare le strutture, i primari, i medici e gli altri operatori, le at-trezzature. Ci si aspetta che cambino, migliorino, si ag-giornino, si mettano in condizioni di migliorare la qualità di vita dei diabetici. Oppure, dobbiamo dirlo, che chiuda-no, e i fondi risparmiati possano essere utilizzati per altri interventi utili, migliori, efficaci». 7. La drammaticità dei dati. Un nuovo articolo di Stefanelli e Calvisi, uscito il 17 ottobre 2004, prendeva spunto dalla rilevazione delle gravi complicanze legate alla malattia diabetica: «CASI DI OBESITÀ E RETINOPATIE, LE PERCEN-TUALI SONO PREOCCUPANTI. Siamo stati invitati e abbia-mo volentieri partecipato al convegno Servizi diabetologici in Italia. Indicazioni degli utenti, durante il quale sono stati pre-sentati i risultati dello studio, condotto dall’Istituto supe-riore di Sanità in collaborazione con le regioni, i respon-sabili delle aziende sanitarie e le società scientifiche, che ha consentito di raccogliere dati sulla qualità e sui costi dell’assistenza alle persone diabetiche nelle regioni italia-ne. Sono state coinvolte più di 3200 persone, residenti nelle 21 regioni italiane e province autonome, scelte tra i diabetici di età compresa tra i 18 e i 64 anni. I risultati del-lo studio ci dicono che ben 7 diabetici su 10 risultano in sovrappeso, che solamente 5 su 10 svolgono abitualmente attività fisica e che sono ancora troppi, 1 su 4, quelli che fumano. Quasi 1 su 3 (30%) ha avuto almeno una com-plicanza: il primato spetta alla retinopatia, di cui è vittima il 18% della popolazione diabetica italiana. Seguono le complicanze vascolari, riferite dal 12% degli interpellati.

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Dei tre fattori che aumentano il rischio di compli-canze e mortalità tra i diabetici, e cioè ipertensione, iper-colesterolemia e obesità, la maggioranza del campione (il 73%) dichiara di averne almeno uno, quasi la metà (42%) lamenta anche due disturbi. In particolare, se tra i pazienti ipertesi le cose vanno tutto sommato bene, con un 86% che adotta una terapia adeguata, tra quelli che hanno il co-lesterolo alto, solo poco più della metà (51%) è in tratta-mento. Le difficoltà sono ancora più marcate tra gli obesi che, pur avendo ricevuto quasi sempre il consiglio di di-magrire, solo nella metà dei casi riescono effettivamente a mettere in campo delle iniziative per ridurre il peso. Il 7% dell’intera spesa sanitaria nazionale, oltre 5500 milioni di euro, è assorbito dalla popolazione diabetica, e il 37% dei 5500 milioni è utilizzata per curare le complicanze. Nel 2002 ci sono stati oltre 70.000 ricoveri per diabete con un totale di 479.000 giornate di degenza. Ci scusiamo per lo spazio che abbiamo occupato per presentare i dati, sap-piamo che sono noiosi, e speriamo che chi ci legge non abbia deciso di passare ad altro. Ma non potevamo fare altrimenti: i dati parlano chiaro. Sintetizzandoli al massi-mo vediamo che una parte significativa della popolazione diabetica è in sovrappeso, non fa attività fisica e fuma.

Dei 3 fattori che aumentano le complicanze e la

mortalità, almeno due terzi della popolazione diabetica ne ha almeno 1, quasi la metà ne ha 2: infatti, 1 diabetico su 3 ha una complicanza. Fino a qui, tutto chiaro: lo sape-vamo che la malattia diabete presenta criticità molto forti, che i nostri servizi sociali e sanitari rispondono in modo inadeguato come del resto confermato dal costo e dal numero dei ricoveri. Lo sappiamo che il diabete, e la sua gestione, richiedono una forte consapevolezza e cono-scenza da parte dei malati, cosa che la nostra sanità si o-stina a dimenticare. Per questo, i dati drammatici dello studio non ci stupiscono. Quello che non riusciamo a

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comprendere bene, e che ci stupisce, sono gli altri risulta-ti. La grande maggioranza dei pazienti (più del 90%) è soddisfatta dei servizi loro offerti. In particolare gli orari sono ritenuti adeguati, i locali facilmente accessibili e gli operatori sanitari cortesi e disponibili, pronti all’ascolto oltre che chiari nelle spiegazioni.

Risultato unico della ricerca: i diabetici sono ben

contenti e soddisfatti di quei servizi che consentono loro di avere in gran quantità i fattori che aumentano le com-plicanze e la mortalità senza che vengono trattati, per e-sempio per ipercolesterolemia, e poi di avere numerosi ricoveri e comunque, retinopatie e complicanze vascolari. Vorremmo che qualcuno spiegasse la congruità di questi dati e che si ponesse il problema, prima di avviare altri studi, di sentire il parere anche degli interessati, diabetici e associazioni. Forse, prima di pubblicare questi discutibili risultati, riuscirebbero a capire come impostare, in futuro, degli studi che possano essere utili, descrivendo la real-tà. Un ultimo dato: per la retinopatia sono colpiti il 19% dei diabetici a livello nazionale, in Sardegna abbiamo il 28% dei casi. È evidente che noi siamo più contenti e soddisfatti degli altri». 8. Le carenze dell’assistenza. Il discorso di Stefanelli e Calvisi si fece ancora più polemico in un successivo intervento, uscito il 28 novembre 2004, nel quale riprendevano e am-pliavano il discorso sui gravi limiti riscontrabili nelle strut-ture preposte all’assistenza dei diabetici: «MALATI ASSI-STITI POCO E MALE. Commissariare le diabetologie. Que-sta richiesta, così perentoria, nasce dall’Associazione Dia-bete Mellito e Celiachia Sardegna. Diciamo subito che il 99% delle diabetologie della Sardegna è inadeguato ad af-frontare la malattia con completezza e risorse strutturali e professionali adeguate alla gravità della patologia. Pur-troppo per i diabetici sardi da decenni si assiste al degrado

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dell’assistenza sanitaria in generale, e per la patologia del diabete in particolare. Il diabete è una malattia sociale ri-conosciuta per legge. Se la vogliamo specificare diremo che per il 40% rappresenta un problema sotto il profilo sanitario e per il 60% si ripercuote in campo sociale. Nei fatti, però, la gestione – sia la parte sanitaria che la parte sociale – è interamente a carico del diabetico e della fami-glia, lasciato colpevolmente solo e non adeguatamente in-formato e formato. Che tipo di formazione hanno il dia-betico e la famiglia per gestire la malattia? Se escludiamo i primi approcci all’insorgenza, non c’è altra formazione, escluso qualche sporadico incontro a livello volontario organizzato dall’Associazione con la collaborazione di medici sensibili al problema. I risultati sono drammatica-mente all’ordine del giorno e spesso, quando rasentano lo scandalo, se ne occupano anche le cronache. Tutto suc-cede perché manca la condivisione e il dialogo tra diabe-tologie, tra diabetologi e tra diabetologi, pazienti e loro rappresentanti. I diabetologi e le strutture per la cura del diabete si limi-tano a prescrivere il farmaco, spiegare la terapia e il diabe-tico deve ubbidire, ma la realtà e completamente diversa e va vista da un’altra ottica, l’approccio va completamente ribaltato. È la persona che si ammala che deve essere messa al centro dell’attenzione, non solo teoricamente, sia per la formazione, per il rilevamento dei dati glicemici, per la gestione e la variazione del farmaco, dell’alimentazione, dell’attività fisica, ecc. Il diabetico deve assolutamente partecipare a corsi perio-dici di formazione, deve capire come superare e corregge-re le crisi, come avere cura del proprio corpo, dei piedi, degli occhi, del sistema cardiocircolatorio, delle neuropa-tie, ma per fare questo bisogna cambiare la cultura sanita-ria e sociale verso le malattia cronica. Non possiamo limi-

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tarci a dire sì all’amputazione degli arti in cancrena. Quando accade è la totale sconfitta del sistema sanitario e sociale, e molti diabetici hanno deciso, in silenzio, di ri-nunciare al tentativo di dare lustro al chirurgo di turno. La malattia cronica come il diabete non può essere curata e seguita nei reparti di degenza degli ospedali, è troppo co-stoso, non possono fare formazione e spesso ci sentiamo dire che ci curano per favore e che ci sono malattie molto più gravi. Povera ignoranza. È urgente ristrutturare la diabetologia in Sardegna con servizi adeguati e completi di specialisti, che sappiano insegnare soprattutto la comu-nicazione, che non bisogna trascurare se vogliamo affron-tare con serietà tutte le reali difficoltà della gestione di questa gravissima patologia».

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DIABETE E LAVORO 1. Il libretto di lavoro dei marittimi. Nel corso di questi anni l’ADMS ha dovuto a più riprese difendere i diritti di lavo-ratori che venivano ostacolati nella loro attività da impe-dimenti e proibizioni introdotti dalle autorità a causa della malattia diabetica. Nel luglio del 2005 il presidente Calvi-si, prendendo spunto dal caso dei lavoratori del mare, diede un quadro di questa e di altre gravi discriminazioni imposte da personale poco sensibile sulla base di leggi spesso antiquate e anacronistiche; il testo fu pubblicato sul sito dell’ADMS e inviato alle autorità competenti: «Il diabete è una malattia dolcissima, ma sono molto amare le constatazioni che induce a fare. Il Servizio sanitario in Sardegna, ad esempio, non rilascia il libretto di lavoro per i marittimi, crea troppi problemi per conse-guire o rinnovare la patente di guida; contemporaneamen-te non applica l’assistenza integrata; discrimina i bambini e i ragazzi, nella scuola materna ed elementare; al momen-to dell’imbarco in traghetto o in aereo ci sono molte resi-stenze per il bagaglio a mano con siringhe e insulina; la legge 104 viene applicata scorrettamente da parte delle i-stituzioni e dei datori di lavoro. Ancora una volta i deboli e gli ammalati sono il bersaglio di chi rappresenta le isti-tuzioni e di dirigenti che esprimono il loro potenziale di ignoranza razzistica nei confronti delle persone che senza colpa sono in difficoltà.

Con la presente intendo mettere in rilievo alcune problematiche che ritengo offensive e gravemente onero-se per tutti, ma soprattutto per coloro che hanno a che fare con diagnosi di diabete: 1. per le attività che richiedano il libretto di navigazione, il medico fa riferimento al Regio Decreto Legge n. 1773 del 14/12/1933, quando la glicosuria si diagnosticava assag-

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giando le urine. A questi ragazzi con diagnosi di diabete si nega il diritto al lavoro; 2. la scuola materna ed elementare, troppe volte e troppo spesso, discrimina i bambini e i ragazzi con diagnosi di diabete; 3. resistenze all’imbarco con il bagaglio a mano di siringhe e insulina salva vita sull’aereo; 4. l’assistenza integrata tarda ad essere applicata per inte-resse di parte, di baronie e di casta; 5. la Legge 104 viene spesso applicata scorrettamente da parte delle istituzioni e dei datori di lavoro; 6. esistono ancora oggi problemi per conseguire o rinno-vare la patente di guida; 7. siamo tra i primi a essere licenziati dal lavoro appena si presenta un’emergenza; 8. spesso i giudici minorili assegnano bambini o ragazzi non particolarmente fortunati a comunità di recupero che ignorano le più elementari pratiche di cura e di terapia del diabete. 9. si utilizzano i diabetici per triplicare la produzione di rifiuti speciali per la stessa quantità di farmaco con le inu-tili e costose penne usa e getta. Allora mi chiedo e chiedo quale ruolo debba assumere chi ha seriamente deciso di fare volontariato attraverso le centinaia di associazioni, in questo sistema che tutti pe-santemente paghiamo: dalla scuola all’Università; dalla si-curezza alla sanità. Anche se umanamente doveroso, è troppo poco esprime-re solo solidarietà alla famiglia per lo sgarbo ricevuto».

2. Il bambino diabetico a scuola. Intanto non si interrompeva l’impegno nei confronti dei bambini diabetici in età scola-re. Nell’aprile del 2005 i giornali diedero notizia di un ca-so di discriminazione verificatosi in una scuola di Cosen-za nei confronti di un alunno affetto da diabete. Il padre in un bambino sardo colse l’occasione per raccontare – in

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una lettera indirizzata all’Associazione – la sua esperienza, e per puntare ancora una volta il dito contro i gravi limiti che impediscono alla scuola di assumere il giusto atteg-giamento: «Desidero rappresentare la mia solidarietà alla mamma del bambino di Cosenza discriminato a scuola per la sua condizione. Sono padre di un bambino di 10 anni, diabetico da 8. Sempre, io e mia moglie, abbiamo lottato contro la mentalità, purtroppo costante, per cui un bambino con il diabete è un problema. Non un problema da tenere in considerazione nei termini che abbiamo cer-cato di spiegare ai docenti, non alla luce dei sintomi im-portanti da non trascurare per evitare a mio figlio condi-zioni estreme di ipo e di iperglicemia. Potrei raccontare, in tal senso, numerosi episodi verifica-tisi sia alla scuola materna, sia alle elementari. Per questo considero costante la scarsa attenzione del personale sco-lastico verso i bambini con il diabete. La terapia, inizialmente, prevedeva due, a volte tre inie-zioni, e quindi si riusciva quasi sempre ad evitare di farle durante l’orario delle lezioni. Con il tempo le esigenze conseguenti al controllo della glicemia sono cambiate e non è stato più possibile continuare tale terapia; così, an-che per controllare le ipoglicemie notturne, abbiamo deci-so di passare al microinfusore. Le iperglicemie si verifica-no lo stesso, le ipo invece sono molto più rare e mio fi-glio quasi sempre le avverte con anticipo. Da più di tre anni che lo usa, i valori inferiori a 50 sono davvero rari. L’altro vantaggio è stato quello di poter mangiare quasi in ogni momento quello che vuole, praticandosi la sommini-strazione di insulina con molta discrezione e praticità. Questo certo non cambia la mentalità dei docenti, ma aiu-ta mio figlio a crescere, anche senza il loro aiuto». 3. Soggiorno in Sicilia. Nel giugno del 2005 fu organizzato in Sicilia, a Porto Empedocle, un soggiorno educativo-

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terapeutico per ragazzi e ragazze diabetici; un’opportunità per loro, per imparare a gestire meglio il proprio diabete e migliorare la qualità di vita. L’iniziativa era frutto della collaborazione della ADMS con i responsabili delle unità operative di Diabetologia di Cagliari, Caltanisetta, Verona, Bologna e Olbia. Ciascuna unità operativa partecipò con un gruppo di ragazzi e con la sua équipe e fu supportata da una équipe comune a tutto il campo formata da dieti-sti, psicologi, infermieri professionali, fisioterapisti ed a-nimatori. Il programma del Campo, denso di impegni e stimolanti curiosità, comprendeva una parte scientifica, nella quale gli specialisti diabetologi affrontavano e spiegavano con lezioni e tavole rotonde i temi più importanti sul diabete, la sua conoscenza, la sua terapia e quindi anche i fonda-menti di una corretta alimentazione, e impartivano no-zioni di fisiologia dello sport. A questa parte teorica se ne integrava una pratica inerente la prevenzione e la corretta terapia degli episodi ipoglicemici ed iperglicemici, l’adattamento dell’alimentazione e della dose di insulina durante un’attività sportiva programmata o non prevista; la trattazione era svolta dai medici diabetologi in collabo-razione con gli infermieri professionali. L’ampliamento delle conoscenze culturali e tecniche del diabete in un ambiente protetto e sereno, lontano dai ge-nitori, mirava a dare ai ragazzi una maggior sicurezza nell’affrontare e superare gli ostacoli che incontrano nella gestione della loro vita quotidiana. Questi soggiorni costi-tuiscono una tappa fondamentale nel processo educativo-terapeutico. Non sono una vacanza né per i diabetici né per le équipes di riferimento, ma devono a tutti gli effetti essere considerati come parte integrante della terapia del diabete.

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DIABETE E ALIMENTAZIONE 1. Il calendario del 2006. In quegli anni continuavano sem-pre intense le iniziative all’interno e in collaborazione con le scuole. Uno dei temi affrontati più spesso era quello dell’alimentazione, vista la sua importanza per tutti, e per i malati di diabete in particolare. Un trafiletto del 18 gen-naio 2006 rendeva noto che l’argomento era al centro an-che delle attività che, facendo seguito a quelle avviate già alcuni anni prima, continuavano in collaborazione con la Scuola media di Alghero e Fertilia: «IL PROGETTO ALI-MENTAZIONE. Venerdì 20 gennaio alle 10, nei locali dell’AICS in via Piandanna, Sassari, l’Associazione diabete mellito e celiachia Sardegna, insieme alle Scuole medie 2 di Alghero e Fertilia (5 terze), presenteranno per il 6º an-no consecutivo l’esperienza che ha portato alla realizza-zione di diverse attività per la sensibilizzazione nei con-fronti dei giovani verso una sana alimentazione e un cor-retto stile di vita. Sarà anche l’occasione per presentare i gioielli realizzati col pane e il calendario 2006». 2. Attività motoria, alimentazione, stile di vita. Nel corso del 2008 l’ADMS intensificò ulteriormente il suo impegno nel campo della prevenzione, organizzando incontri e lezioni nel corso dei quali i malati venivano istruiti su quale stile di vita seguire, e in particolare sulla necessità di curare l’alimentazione e svolgere una corretta attività fisica. Il 6 febbraio un articolo siglato P. G. forniva alcuni primi det-tagli sulle iniziative prese: «DIABETE ED ESERCIZIO FISI-CO. L’importanza dell’esercizio fisico, praticato regolar-mente e correttamente come utile mezzo di prevenzione e cura del diabete, è ormai ampiamente documentata. Al-lo scopo di informare ed educare le persone diabetiche su questo argomento, l’Associazione Diabete Mellito e Ce-liachia Sardegna, già dal lontano 2004, organizza presso la

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sede di Sassari, in via De Cupis 24, tutta una serie di in-contri con medici specialisti, in cui vengono trattati gli a-spetti teorici e pratici relativi alla pratica dell’attività mo-toria.

I vertici dell’ADMS hanno stilato nei giorni scorsi un calendario di incontri aperti ai diabetici sia di tipo 1 che di tipo 2, ai loro familiari e alle persone sovrappeso e obese. Gli incontri si svolgeranno in collaborazione con le dottoresse Silvia Masala e Rosalia Polo e i dottori Gia-como Sanna e Adolfo Pacifico. Ecco l’elenco dei giorni stabiliti per gli incontri: febbraio: il 6 e il 20; marzo: il 5 e il 19; aprile: il 2 e il 16; maggio: il 7 e il 21». Ulteriori notizie vennero date da Daria Pinna il 12 marzo: «CORSI PER INSEGNARE AI DIABETICI LO STILE DI VITA PIÙ CORRETTO. Prosegue l’impegno dell’Associazione diabete mellito e celiachia Sardegna a favore dei tanti dia-betici presenti in città e nell’hinterland. Una responsabilità che va oltre il mero supporto giornaliero, ma che si espli-ca in tutta una serie di attività di sostegno verso il pazien-te che si rivolge al centro regionale di via De Cupis 24.

Uno staff di diabetologi, nutrizionisti ed esperti di attività motoria offrono il loro concreto aiuto presso l’Associazione, attraverso incontri quindicinali volti all’educazione alimentare e motoria dei diabetici.

‘La ricerca scientifica – afferma il presidente re-gionale Michele Calvisi – ha evidenziato l’assoluta impor-tanza del monitoraggio costante ed oculato dei livelli di zucchero nel sangue, quale principale mezzo in grado di consentire una convivenza consapevole e serena con il diabete. Attraverso i suddetti accorgimenti è possibile evi-tare ipo o iper-glicemie, dannose per l’organismo, ma an-che di valutare la validità della cura farmacologica e dello stile di vita che si conduce’.

Nei giorni scorsi nella sede regionale dell’ADMS i diabetologi Adolfo Pacifico e Silvia Masala hanno dedica-to un intero pomeriggio al servizio dei tanti diabetici reca-

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tisi per partecipare ai corsi. Dapprima, i pazienti sono sta-ti sottoposti a una serie di esercizi fisici atti a valutare la resistenza e la rapidità motoria attraverso un percorso a piedi; in seguito, i medici hanno provveduto alla misura-zione dei livelli di glicemia e della pressione sanguigna. ‘Gli incontri che promuoviamo servono da stimolo – continua Calvisi – affinché gli affetti da diabete svolgano con costanza e determinazione una giusta dieta e una re-golare attività fisica. Oltre al benessere psicologico che se ne trae, l’attività motoria influisce positivamente sulla po-stura e l’equilibrio e contribuisce a rendere le ossa e i mu-scoli più resistenti, specie in età avanzata. ‘Anche una camminata di mezz’ora – spiega la dottoressa Masala – può essere sufficiente per migliorare la qualità della vita’. Le attività di volontariato si estendono anche nelle scuole di Sassari e provincia, attraverso lezioni di educazione motoria e alimentare rivolte ad allievi e genitori». 3. La situazione a Olbia. Intanto qualche notizia confortan-te giungeva da Olbia e dalla provincia Gallura, dove erano arrivati nuovi operatori e si programmava tutta una serie di nuove notizie. Il cronista ne dava notizia in un articolo del 7 aprile 2006: «DIABETOLOGIA, LA CURA PARTE DAL-LA PREVENZIONE. Prima notizia: entro la fine dell’anno i diabetici galluresi non dovranno più viaggiare per andare a curarsi. Seconda notizia: la ASL 2, nel rispetto del piano sanitario regionale che tra i suoi obiettivi mette al primo posto le malattie ad alta specificità (come il diabete mellito), è la prima in Sardegna a rilanciare la diabetologia per dare a-deguate risposte ai cittadini. In che modo? Punta sulla prevenzione (e presenta la carta dei servizi) e mette la struttura nelle condizioni di lavorare in perfetta sinergia e integrazione con il territorio e, quindi, con i medici di ba-se e con i vari specialisti dei reparti ospedalieri. E poi: niente più code, ma soltanto appuntamenti personalizzati, con le urgenze sempre davanti a tutto. Non solo. Mentre

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in passato, dispersi qua e là, c’erano diversi responsabili, ora ce n’è uno solo: Giancarlo Tonolo. Il quale, arrivato lo scorso febbraio, ha subito comunicato dati importanti: nel 2005 la media mensile di pazienti diabetici era di 250, nel solo mese di marzo sono stati 640.

E se si è deciso di intervenire in modo radicale nella diabetologia, le ragioni sono legate soprattutto ai numeri: in Sardegna i diabetici sono 60mila, sei volte su-periori a quelli delle altre regioni. E sempre nell’isola sono 36 le nuove incidenze per 100mila abitanti (dalle altre par-ti sette per 100mila). Di più: un abitante su 5, in Sardegna, soffre di diabete.

Si è parlato anche di questo ieri, in una conferenza organizzata alla ASL 2. Oltre al direttore generale Gianni Cherchi c’erano il direttore sanitario Renato Mura, il nuo-vo responsabile dell’unità operativa di diabetologia e ma-lattie metaboliche Giancarlo Tonolo, e il presidente e il vice presidente dell’Associazione Diabete Mellito e Celia-chia Sardegna (Michele Calvisi e Vinicio Fenu). ‘Il nostro ambito di riferimento è ad ampio respiro’, ha detto Cher-chi: ‘la prevenzione primaria a livello di identificazione immediata e il monitoraggio costante dei pazienti per evi-tare quelle che sono le complicanze classiche come reti-nopatia, piede diabetico, ecc.’.

E mentre la diabetologia può ora utilizzare il fluo-

rangiografo (rimasto inattivo per lungo tempo), si sta cer-cando di organizzare al meglio il livello di collaborazione con gli operatori della Medicina generale, i pediatri e i gi-necologi. ‘Un percorso comune’, ha aggiunto Cherchi ‘per dire basta all’improvvisazione e per muoverci in una vi-sione unica, nella quale saranno protagonisti tanti specia-listi. Questo ci consentirà anche di avere le cartelle clini-che informatizzate e il registro ufficiale di tutti i diabetici della Gallura, finora mai esistito’. È per questo che non si possono avere dati precisi, nel territorio: sono 5000 quelli

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certi, ma si pensa che in realtà possano essere almeno il doppio. Solo a Olbia sono 3000.

Il neo responsabile della Diabetologia ha parlato della carta dei servizi. ‘L’abbiamo preparata’, ha spiegato ‘per informare i cittadini e per far sapere loro ogni parti-colare sulla nostra attività’. Tonolo ha concentrato il suo intervento su prevenzione e integrazione: ‘Fondamentali per ottenere una diagnosi precoce del diabete. Spesso, in-fatti, non si sa neanche di averlo’. Quindi qualche detta-glio sul diabete mellito. Che può essere di tipo 1 (in Sar-degna la percentuale che ne soffre è pari al 10 per cento) o di tipo 2 (il 90-95 per cento). Nel primo caso (si parla di insulino-dipendenti) c’è la distruzione delle cellule che producono l’insulina, nel secondo caso si tratta di un de-ficit. Ma è proprio il diabete di tipo 2 che si associa, spes-so, ad altre malattie, come quelle cardiovascolari. ‘Modifi-cando lo stile di vita e, soprattutto, facendo sport’, ha ag-giunto Giancarlo Tonolo ‘si può sicuramente rallentare l’evoluzione del diabete mellito di tipo 2 anche di 10 an-ni’. Renato Mura, direttore sanitario, ha ribadito il concet-to di visione unitaria: ‘In passato le varie figure erano svincolate tra di loro. Non c’era insomma quel coordina-mento su cui noi puntiamo e che agevolerà l’utente. Ma il nostro è soprattutto un progetto che interessa tutta la Gallura: nessun centro resta escluso’».

4. Rita, Giovanna e Domenico. Nel successivo mese di mag-gio la cronaca sassarese doveva registrare invece un epi-sodio luttuoso che colpiva l’opinione pubblica, e attirava in particolare l’attenzione di tutti i malati di diabete: Rita Sechi, sofferente per la stessa malattia, era stata colpita da coma diabetico e, nonostante il trasporto in ospedale, a-veva cessato di vivere. Al racconto della vicenda a firma di Silvia Sanna, comparso il 7 maggio, fece seguito il gior-no dopo un articolo che dava ampio spazio ai commenti del presidente dell’ADMS Calvisi:

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«IL MEDICO NON C’ERA, MIA SORELLA È MORTA. Sudava e non riusciva a respirare: aveva la glicemia alle stelle. A uccidere Rita Sechi, 55 anni, pensionata sassare-se, potrebbe essere stata una complicazione del diabete. La donna è deceduta nel pomeriggio al pronto soccorso, dove era arrivata a bordo di un’ambulanza del 118 ormai in stato di coma. Nel mezzo non c’era il medico: secondo i parenti, la sua presenza avrebbe potuto salvarle la vita. La chiamata alla centrale operativa del 118 è arrivata tra le 15,15 e le 15,20. È stata Giovanna, la sorella di Rita, a da-re l’allarme: ‘Presto venite, serve un medico, mia sorella è in coma’. ‘Non è possibile’, – la risposta: ‘l’ambulanza medicalizzata [l’unica in dotazione al 118 ndr] è impegna-ta in un’emergenza a Sennori’. Nel frattempo nell’appartamento di via Corraduzza, dove abitano Rita e Giovanna, si precipitano i vicini di casa. Giuseppe Pani, 50 anni, non ha dubbi: ‘La signora Rita era in coma diabe-tico. Ho riconosciuto i sintomi: anche mia figlia, da anni, va avanti con l’insulina e l’ho già vista un paio di volte in coma’.

Giuseppe e la moglie Domenica non perdono tempo: provano a rianimare la signora Rita, che sta per-dendo conoscenza, con un massaggio cardiaco. Ma è tut-to inutile: ‘Rita stava diventando cianotica, quasi non re-spirava più. E dell’ambulanza nessuna traccia. Dalla prima chiamata erano passati già una decina di minuti’. Quando Domenico richiama la centrale operativa, gli viene riferito che il mezzo è in viaggio. Dopo pochi istanti in via Cor-raduzza arriva la base con tre volontari a bordo: ‘Non c’era il medico’, dice Giovanna, ‘invece mia sorella avreb-be avuto bisogno immediatamente di una flebo’. Rita (che pesava più di 90 chili) viene adagiata con qualche difficol-tà sul ‘cucchiaio’ e trasferita nell’ambulanza che parte a tutta velocità. Il codice è rosso, quello di massima gravità: per questo alla sorella viene negata la possibilità di salire sul mezzo. Al pronto soccorso Giovanna arriverà in tram,

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dopo una ventina di minuti: ‘Ho chiesto notizie di Rita a un medico. Mi ha detto che era già morta’. Lo stesso me-dico ha comunicato alla donna che per stabilire le cause del decesso sarà eseguita l’autopsia. La donna un anno fa aveva avuto la broncopolmonite: al momento non si può escludere una ricaduta. Così come non è improbabile che la donna sia stata colpita da un attacco di cuore. Scontata l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto. ‘Aspetterò l’esito dell’esame’ dice Giovanna ‘e mi comporterò di conse-guenza: se mia sorella è morta per le complicanze del dia-bete denuncerò il 118, che nonostante l’emergenza non è intervenuto con un’ambulanza medicalizzata’. Già da qualche giorno Rita Sechi non stava bene. Aveva un po’ di febbre e le tre iniezioni quotidiane di insulina (più la pastiglia prima di andare a dormire) non riuscivano a te-nere a bada la glicemia. Ieri mattina il valore non è mai sceso sotto 330. Per questo la sorella Giovanna intorno alle 11 aveva telefonato al centro diabetico. ‘Il medico cu-rante di Rita non c’era’, dice, ‘così ho spiegato la situazio-ne a un altro. Mi ha consigliato di raddoppiare le unità di insulina, da quattro a otto, e di farle l’iniezione anche do-po cena. No, non mi ha detto di accompagnare mia sorel-la in ospedale. Io ho seguito le indicazioni del medico, ero convinta che i valori si sarebbero assestati’.

Invece subito dopo pranzo Rita si è aggravata. ‘E-

ro riuscita a farle mandare giù una minestrina, poi l’ho ac-compagnata a letto. Credevo stesse dormendo quando ho sentito un tonfo: aveva provato ad alzarsi ma era caduta. A quel punto ho chiesto aiuto ai vicini. Dopo neanche un’ora mia sorella non c’era più’. ‘NON SI PUÒ MORIRE PERCHÉ INDIFESI’. ‘Non è possibile morire così nel terzo millennio. Non voglio assolutamente entrare nel merito della vicenda, sulla quale farà luce l’inchiesta, ma ciò che è accaduto prima che Rita Sechi entrasse in coma dimostra ancora una volta che il nostro servizio sanitario non sa

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garantire la corretta assistenza ai malati cronici e ai diabe-tici in particolare’.

Michele Calvisi, presidente dell’Associazione Dia-bete Mellito, è profondamente addolorato. La sua Asso-ciazione, con ventimila iscritti, rappresenta un terzo dei malati sardi (quindicimila solo in provincia di Sassari); ieri mattina, Calvisi ha letto sul giornale la notizia della fine di Rita Sechi, una donna diabetica di 55 anni stroncata pro-babilmente dall’ennesima crisi. I familiari hanno dramma-tici dubbi che solo l’inchiesta potrà fugare. Soprattutto la sorella chiede di sapere se Rita Sechi avrebbe avuto qual-che chance in più di salvezza se, a bordo dell’ambulanza che sabato pomeriggio l’ha trasportata in ospedale, ci fos-se stato anche un medico. Questo non è stato possibile perché, quando la sorella ha chiesto soccorso alla centrale operativa, l’unico mezzo medicalizzato in dotazione al 118 era impegnato in un’altra grave emergenza. La donna è arrivata in coma al pronto soccorso del ‘Santissima An-nunziata’ dove è spirata poco dopo.

Ma non è di quei frenetici momenti che il presi-dente dell’ADMS vuole parlare. Senza entrare nel merito di una vicenda che deve ancora essere vagliata dalla magi-stratura, che oggi ordinerà l’autopsia, Michele Calvisi ri-lancia infatti con veemenza il problema del grado di effi-cienza dell’assistenza garantita ai malati cronici e ai diabe-tici in particolare. Una vertenza che in passato aveva por-tato l’ADMS a confrontarsi con i vertici dell’ASL, ma che è ferma ai blocchi di partenza del dialogo. ‘Eppure si parla del benessere di persone’, tuona Calvisi ‘per i quali lo Stato spende il 15 per cento della spesa sa-nitaria, ma che nel 95 per cento dei casi sono lasciate sole a gestire la malattia. E che negli anni’, informa il loro por-tavoce ‘perdono la capacità di rendersi conto delle crisi, ipoglicemica o iperglicemica, imminenti. Spesso al mo-mento dell’emergenza accanto a loro ci sono familiari, colleghi di lavoro, insegnanti e compagni di scuola che si

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lasciano prendere dal panico. Perché non sanno come aiutarli. E invece, questo è il messaggio dell’Associazione Diabete Mellito, il discorso dovrebbe ripartire dalla cor-retta informazione che garantisce un pronto intervento. Perché quando si parla di codice rosso le condizioni del paziente sono irreversibili’, si infervora Michele Calvisi. ‘Bisogna, si può fare in modo di evitare di arrivare a quel-lo stadio. ‘Esattamente questo è il punto che non riuscia-mo a far capire ai nostri interlocutori istituzionali’, argo-menta ancora il presidente dell’Associazione Diabete Mel-lito. ‘È inutile che a Sassari ci siano cinque diabetologie divise e diverse, se non si mette in campo un piano di in-tervento e di supporto alla famiglia, alla scuola, al mondo del lavoro. Insomma, ovunque un diabetico può andare incontro a una crisi che può essere affrontata e risolta con qualche conoscenza in più.

‘A volte nei momenti di crisi non è necessario aumentare l’insulina, basta misurare la glicemia e provare ad alimentarsi, quindi misurare ancora una volta per veri-ficare se i livelli sono tornati nella norma’, chiarisce Calvi-si. ‘Però sarebbe anche opportuno che il diabetologo mantenesse un collegamento costante con chi assiste il paziente. Il motivo è semplicissimo: anche il familiare può andare in crisi e lo specialista deve verificare se ha esegui-to correttamente le sue prescrizioni’.

La drammatica fine di Rita Sechi spinge l’ADMS a rilanciare la proposta ‘di istituire una sola diabetologia’ e di ‘ripartire con un confronto tra addetti ai lavori sull’assistenza. Perché le cose vanno malissimo’, conclude Michele Calvisi. ‘Proprio ieri l’Associazione dei Medici di famiglia ha denunciato la mancata ridistribuzione delle ri-sorse ospedaliere per l’assistenza ai malati cronici’». Il 2 giugno compariva una lettera diretta alla mala-ta scomparsa, nella quale il presidente Calvisi puntava il dito verso le cause e i responsabili della sua fine: «CARA RITA NON TI ABBIAMO DIMENTICATA. Carissima Rita Se-

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chi, da circa un mese, precisamente il 7 maggio 2006, sei rimasta vittima dell’omicida diabete. Per una serie di cir-costanze, tutte ancora da spiegare, hai intrapreso il tuo vi-aggio di non ritorno. Il tuo sacrificio? Inutile e ignorato, neanche una parvenza di indagine, una scusa pubblica per l’evidente errore di chi ti ha maldestramente consigliato di raddoppiare l’insulina senza curarsi minimamente dell’esito e l’inutile intervento del 118, che da anni, è no-to, è incapace di assistere i diabetici; e, come in un film già visto, anche nel tuo caso si è ripetuto il prevedibile fi-nale. Il 21 giugno 2005 in Sardegna si parlava di un ‘Piano per star bene insieme’ che prevedeva riordino e ammo-dernamento del sistema, lavoro di rete dove operatori del-la sanità e del sociale avrebbero dovuto, finalmente, lavo-rare insieme per garantire una reale presa in carico dei bi-sogni del paziente e personalizzare gli interventi con le esigenze della persona che veniva posta al centro di ogni intervento. Si era ribadito in quella occasione che le rispo-ste migliori alle esigenze della persona sono sempre più importanti degli eventuali risparmi.

Sempre nel piano si prevedeva, a livello territoria-le, una intensa opera di qualificazione del personale. In realtà il piano sanitario, che nelle intenzioni avrebbe do-vuto opporsi all’emergenza diabete in Sardegna, ha pro-dotto il risultato di cui sei tragicamente testimone. L’unico segnale che abbiamo avuto, tra i molti promessi, è stato la decisione di distribuire i presìdi sanitari attraver-so la rete territoriale delle farmacie, ma nella realtà si è so-lo avviata una lotta tra medici di base e aziende sanitarie per il riconoscimento di incentivi economici. Anche in questa occasione i buoni princìpi dichiarati sono stati but-tati al vento a favore di un po’ di soldi e di potere. L’altra ‘conquista’ è stata la nomina della Commissione regionale per la prevenzione delle complicanze nel diabete, che per altro non ci risulta che si sia mai riunita; ma anche qui i componenti sono per lo più coloro che, operando da anni

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nel settore, hanno contribuito a determinare la drammati-ca situazione attuale. L’anno solare è composto di 525.600 minuti, per la maggioranza dei diabetici il con-trollo periodico è previsto ogni 180 giorni per la durata di 10-15 minuti circa ogni volta, per cui il diabetico nell’anno gestisce da solo 525.570 minuti. Eppure questi minimi controlli costano all’intera comunità il 15% della spesa sanitaria. Cara Rita non ti ho dimenticato, non ti abbiamo dimenticato. Continueremo a farci sentire, a combattere, per non dover mai più scrivere lettere come questa. «A presto. Michele Calvisi». Qualche giorno più tardi, l’11 giugno, la lettera provocava la reazione di Giuseppe Soro, responsabile sa-nitario del servizio 118: «IL 118 È IN GRADO DI ASSISTERE I DIABETICI. In merito all’articolo apparso sulla ‘Nuova’ il 2 giugno dal titolo Cara Rita non ti abbiamo dimenticata a firma di Michele Calvisi, desidero fare alcune precisazioni inerenti l’intervento di soccorso effettuato dal nostro ser-vizio 118 nei riguardi della signora Rita Sechi. Non è as-solutamente vero che il 118 è ‘incapace di assistere i pa-zienti diabetici’. Le nostre automediche si trovano fre-quentemente a trattare questa patologia che in Sardegna è molto diffusa. È anche vero che a Sassari abbiamo una sola automedica, che in particolari situazioni di più richie-ste contemporanee di emergenze sanitarie non può essere disponibile per tutte (come è capitato nel caso della si-gnora Sechi). Il sistema 118 però si avvale, oltre che delle ambulanze medicalizzate, anche delle ambulanze di base con equipaggi di volontari delle Associazioni di volonta-riato con le quali è possibile dare sempre una risposta alla chiamata di soccorso con il trasporto del paziente al Pronto Soccorso (come è avvenuto nel caso della signora Sechi). Questi volontari, pur essendo in grado di mettere in atto manovre salvavita e di applicare tecniche di im-mobilizzazione e trasporto, non possono per ovvi motivi praticare alcuna terapia. Credo che, nella pur triste vicen-

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da di Rita Sechi, il nostro servizio abbia operato cercando di dare la migliore risposta possibile». 5. Nuovi progetti. Nell’estate successiva si prospettava, per i numerosi progetti che l’ADMS aveva intenzione di attuare, il sostegno di una importante catena di market alimentari. Si progettava di rendere ufficiale l’accordo nel corso di un incontro che il giornale annunciava il 14 luglio 2006: «DIABETE E TALASSEMIA, NUOVI PROGETTI. Martedì 18 luglio alle 10 nella sala conferenze della Camera di Com-mercio saranno presentati i progetti e le attività che ver-ranno realizzati dall’ADMS onlus (Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna) e dall’Associazione regiona-le sarda per la lotta alla talassemia con il sostegno della rete di market alimentari SISA Sardegna. L’incontro tra la grande distribuzione e le associazioni di volontariato per fornire servizi ai cittadini rappresenta una prima speri-mentazione tra attori sociali che hanno deciso di collabo-rare per dare un concreto contributo al miglioramento della qualità della vita nel territorio. All’incontro interver-ranno Felice Nurra, presidente CEDI SISA Sardegna, Ri-naldo Carta, vice presidente nazionale SISA e amministra-tore delegato CEDI SISA Sardegna, Michele Calvisi, presi-dente regionale Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna, Adolfo Pacifico, diabetologo della Clinica uni-versitaria di Sassari, il sindaco Gianfranco Ganau, Cecilia Sechi, assessore comunale ai Servizi sociali, Giorgio Var-giu, presidente dell’Associazione regionale sarda per la lotta contro la Talassemia, Paolo Moi responsabile del Laboratorio per la terapia genica dell’ospedale Microcite-mico di Cagliari». 6. Una malattia ignorata. Nel luglio del 2007 veniva alla luce un nuovo caso che dimostrava per l’ennesima volta come i medici tendano molte, troppe volte a ignorare una ma-lattia grave e importante come il diabete. La vicenda ven-

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ne raccontata e commentata dal presidente dell’ADMS Calvisi in una lettera che il quotidiano locale pubblicò il 20 luglio 2006: «NON HANNO CAPITO CHE AVEVA IL DIA-BETE. L’ADMS ha ricevuto questa lettera:

«‘Siamo i genitori di un bimbo di 4 anni affetto da diabete mellito tipo 1. Ci troviamo di fronte a dei dubbi sull’evolversi della patologia e abbiamo difficoltà a indivi-duare chi potrà aiutarci a gestirla. Tutto nasce da un in-tervento chirurgico di tonsillectomia eseguito su nostro figlio, dove (ed è qui il problema) non si accorgono di un valore di 179 mg di glicemia anche a noi sconosciuto.

Viene operato ugualmente, senza tenere in consi-derazione il protocollo (che a dire dei tecnici deve essere attuato in presenza di diabetici) e dimesso con superficia-lità. Anche il nostro pediatra non si accorge di nulla (ep-pure dalle analisi del sangue il valore è evidente). L’insorgere di stati di malessere ci fa sospettare il peggio e lo ricoveriamo in ospedale immediatamente, in condizioni prossime al coma iperglicemico e con tutte le complican-ze del caso. Grazie alla professionalità di tutto il reparto di pediatria tutto sembra superato. Rimane il dubbio però sull’operato di alcuni medici di Otorinolaringoiatria che secondo noi non hanno tempestivamente informato sulla patologia, pur avendo i dati tecnici, sottoponendo la crea-tura ad uno stress gratuito e intollerabile’. Ancora una famiglia in gravissime difficoltà per il non riconoscimento del diabete in un bambino di 4 anni. La situazione dram-matica viene determinata dal fatto che nessuno dei medi-ci, il pediatra, l’anestesista e i componenti preposti all’operazione di tonsillectomia ha saputo leggere le anali-si cliniche né prima né dopo l’intervento chirurgico.

In Sardegna gli screening per la diagnosi di diabe-te dovrebbero essere di routine, ma ogni giorno assistia-mo impotenti a testimonianze come questa. Telefonica-mente, la famiglia di questo piccolo ha espresso solo il desiderio di un po’ di solidarietà in questo difficile mo-

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mento, ma non devono trovare giustificazione alcuna la leggerezza e la mancanza di professionalità. L’estate è ap-pena iniziata, sappiamo che il caldo rende complicata la gestione della glicemia nella realtà giornaliera e nel futuro non vediamo nulla di promettente: chi ci cura e il sistema sanità sembrano essere ciechi e sordi. Come Associazione abbiamo il dovere di difendere i diritti di queste persone e lo faremo rendendo pubbliche queste situazioni e utiliz-zando tutti i mezzi che la legge e la democrazia ci metto-no a disposizione».

7. Vito e Roberta. I problemi dei diabetici tornarono alla ribalta a Sassari ai primi di settembre del 2006, quando si sparse la notizia che erano peggiorate le condizioni di Vi-to Pinna, un giovane diabetico molto conosciuto, e anche della sorella Roberta, che si dedicava alla sua assistenza. Il presidente dell’ADMS Calvisi colse ancora una volta l’occasione per tracciare un’ampia panoramica dei pro-blemi che si trovava ogni giorno davanti nel corso di un incontro di cui il giornale dava notizia il 3 settembre:

«DIABETE, MALATTIA SOCIALE CHE SI PUÒ CURA-RE. Se gli chiedi quanti sono gli iscritti al suo sodalizio ri-sponde serafico: ‘Diciamo che siamo in cinque per aiutare ventimila persone’. I soci dell’ADMS sono molto più nu-merosi delle dita di una mano ma Michele Calvisi, presi-dente dell’Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sar-degna, vuole far comprendere che è impossibile stabilire i numeri del diabete. Ottantamila casi diagnosticati nell’isola, ma potrebbero essere altrettante le persone che soffrono della malattia senza saperlo. Oltre che ai numeri, Michele Calvisi è allergico alle polemiche. Soprattutto quelle con le istituzioni con le quali collabora da anni, proponendo soluzioni e talvolta provocando dibattiti. Pe-rò sempre in una ottica di confronto positivo. Anche oggi Calvisi preferisce schivare le controversie e parlare delle difficoltà provocate dalla gestione della patologia.

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Problemi sociali cronici come quelli psicologici causati dal diabete, con cui chi ne soffre deve fare i conti a volte per tutta la vita. ‘Nel 95 per cento dei casi si tratta di persone lasciate sole, dopo la diagnosi, a gestire la ma-lattia’, rivela il presidente dell’ADMS. ‘Incredibile in un pa-ese che per questa patologia cronica spende il 15 per cen-to della spesa sanitaria’. Lo spunto per riproporre i pro-blemi connessi al diabete è il caso di Vito Pinna, cono-sciutissimo ‘gigante buono’ sassarese, reso cieco dalla ma-lattia. La sorella Roberta, che assiste Vito con dedizione da quattordici anni, ha chiesto aiuto perché sta male. Ora è lei ad avere bisogno di assistenza. Del caso, sollevato dall’ADMS di cui Vito e Roberta sono soci speciali, si stanno occupando i Servizi sociali del Comune.

Ma per un caso in via di soluzione, un numero imprecisato e altissimo di persone affronta i problemi quotidiani provocati dal diabete. Calvisi è convinto che la loro vita possa essere semplificata. E ha un sogno, già raccontato ai vertici della ASL: una sola diabetologia inve-ce delle cinque operative in città. Concentrare le forze per migliorare e razionalizzare il servizio. Esistenza difficile e non solo a causa della malattia, quella dei diabetici, so-prattutto nella zona di competenza della ASL 1 dove – per fare un esempio – i pazienti sono ancora costretti a rivol-gersi al servizio farmaceutico di via Zanfarino per ritirare i presìdi indispensabili per la terapia: siringhe per l’insulina, strisce reattive, apparecchi per misurare la gli-cemia, aghi, microinfusori. Altrove i diabetici possono ri-volgersi al proprio farmacista di fiducia. In città, quella che era stata annunciata come un’innovazione facile facile resta un sogno irrealizzato. I diabetici sono costretti a lunghe attese in fila negli uffici della ASL. Mattinate spre-cate, giorni di lavoro e di studio persi, spesso dopo avere fatto un lungo viaggio per raggiungere il capoluogo. ‘Non ne capiamo il motivo’, commenta Calvisi, ‘visto che a suo tempo il decentramento della consegna di questo materia-

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le era stato annunciato dando fiato alle trombe’. Ma quel-lo dei presìdi sanitari è solo uno dei problemi provocati, prosegue Calvisi, dalla mancata attuazione della sospirata assistenza integrata. In parole povere la collaborazione, nella gestione della malattia cronica (non solo diabete e celiachia), tra la medicina ospedaliera, quella di base e i servizi sociali. Il fallimento di questo progetto è, secondo il presidente dell’ADMS, la ragione più profonda dello sconforto che caratterizza l’umore dei diabetici da lui rappresentati.

‘Vorrei far capire la nostra delusione all’assessore regionale Nerina Dirindin e a tutti i direttori generali delle ASL, fatta eccezione per quella di Olbia che sta cercando di fare qualcosa’, spiega. Il risentimento sopraggiunge do-po una grande speranza: al momento dell’insediamento dell’assessore il diabete era tra le prime malattie croniche da affrontare. Ma a parte gli annunci non è stato fatto nulla. Emblematico il caso di Sassari, nonostante le cin-que diabetologie dislocate sul territorio e ventiquattro diabetologi sul campo. Dopo la diagnosi e la prescrizione della terapia insulinica, il paziente resta senza punti di ri-ferimento. E nelle fasi più critiche spesso non sa a chi ri-volgersi. ‘Sono in tanti a chiamarci per cercare conforto e chiedere consiglio’, racconta Michele Calvisi. ‘Ho trascor-so anche l’altra notte in piedi al telefono con i familiari di una diabetica del Cagliaritano’. La madre di tutti i pro-blemi, secondo il presidente dell’ADMS, è l’incapacità del Servizio sanitario pubblico di gestire la patologia cronica. La tendenza è quella di continuare ad affrontarla come se fosse sempre nella fase acuta. Calvisi sostiene da anni la linea della corretta educazione alla gestione della malattia. Cammino che dovrebbe trovare un punto d’approdo, piuttosto che negli ospedali dove viene diagnosticato, ne-gli ambulatori dei pediatri e dei medici di base che sono chiamati a gestire le conseguenze della patologia. ‘Ma, si chiede ‘come si può pensare all’integrazione tra i servizi

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sanitari e quelli sociali quando la medicina di base, per prima, è impreparata ad affrontare questi problemi?’.

Da anni il presidente dell’ADMS propone un servi-zio unico di diabetologia. Solo così, chiarisce, potrebbero essere realizzati i servizi indispensabili per attuare il pro-tocollo previsto dall’OMS [Organizzazione Mondiale della Sanità] per la gestione del diabete. Terapia e assistenza, ma anche prevenzione e informazione. Soprattutto in-formazione. L’itinerario di questo percorso dovrebbe at-traversare tutti i luoghi della convivenza sociale: famiglia, scuola, luoghi di lavoro. ‘Perché, conclude Michele Calvisi ‘un familiare, un compagno di classe o un dipendente diabetico rende tutti un po’ diabetici’». 8. Il rispetto della persona. Qualche tempo dopo fu l’audizione di Alessandra Giudici, presidente della provin-cia di Sassari, presso la Commissione regionale alla Sanità, a fornire a Michele Calvisi l’occasione per ribadire alcune sue idee sulle modifiche da portare alle strutture preposte alla cura dei diabetici. La sua lettera fu pubblicata il 20 ot-tobre del 2006: «I PROBLEMI DEI DIABETICI E DEI CELIA-CI. Finalmente Alessandra Giudici, presidente della Pro-vincia, prende atto che le persone non sono numeri, ma individui che vanno rispettati, curati e assistiti. E lo dice apertamente durante l’audizione in Commissione sanità alla Regione. «Sono un ‘malato’ che rappresenta due cate-gorie di persone, diabetici e celiaci, che hanno tutti gli or-gani sani, ma per convenzione siamo considerati malati e in carico a specialisti del sistema sanitario. Il celiaco che si alimenta senza glutine è una persona sana, però deve spendere il suo buono, se donna 93 euro se maschio 103 euro, nel sistema commerciale più caro: la farmacia. La vita sociale del celiaco è piena di ostacoli, per la difficoltà di trovare alimenti e/o chi li prepara con garanzia d’igienicità. Il diabetico è ancora alla ricerca (senza spe-ranza?) di chi lo sappia seriamente, e non con spot pub-

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blicitari, formare per la corretta e completa gestione della propria condizione. Da anni proponiamo la diabetologia unica e il coinvolgimento della medicina di base. Indi-spensabile per la formazione e l’assistenza al diabetico, alla famiglia, nelle scuole, nel lavoro e in tutte la fasi della vita sociale della persona. In provincia esistono 9 diabeto-logie, 24 diabetologi e un coordinatore, con costi altissi-mi; ma, soprattutto, non curano i diabetici, per il semplice motivo che, nell’ignoranza e nell’abbandono delle istitu-zioni, i diabetici si curano da soli. Il risultato? Il 100% dei diabetici è in gravi difficoltà, disagi, complicanze e morte. Presidente, faccia un’indagine scoprirà situazioni penose e di degrado molto più gravi di come le sappia descrivere io. Tutto questo perché siamo considerati dei numeri. Da curare con alimenti speciali. Non esiste l’assistenza inte-grata, che farebbe anche risparmiare, ma nell’assistenza integrata bisogna considerare la ‘persona’, e le istituzioni non sono pronte. Sarei felice di essere smentito. Non esi-stono qualità organizzative, gestionali, di cura e percepite che sono alla base di una buona assistenza integrata. Du-rante un incontro con la popolazione di un paese ho do-vuto descrivere, mio malgrado, i responsabili delle istitu-zioni come le tre scimmiette: una non vede, una non parla e una non sente. E così creano i ‘mostri’ diabetici: muti, sordi e ciechi, con gravissime complicanze e altissimi co-sti per curarli. Ma i costi sociali e dei gravi disagi che de-vono sopportare spesso sono a carico solo della famiglia». 9. Un giorno di lutto. Michele Calvisi aveva l’occasione di riprendere la parola – sempre a nome dell’Associazione – in occasione della Giornata nazionale dei diabetici, ai primi di novembre del 2006: la data ufficiale cade nei giorni 11 e 12 novembre, ma l’ASL locale l’aveva anticipa-ta al 5. Le sue prime dichiarazioni furono raccolte in una articolo firmato da Andrea Sini e pubblicato il 4: «NES-SUNA FESTA, DOMANI PER NOI È LUTTO. ‘Non abbiamo

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proprio niente da festeggiare, il 5 novembre per noi sarà una giornata di lutto’. L’ADMS non va per il sottile e si schiera provocatoriamente contro la giornata nazionale dei diabetici, organizzata a livello nazionale. Michele Cal-visi, direttore dell’Associazione Diabete Mellito e Celia-chia Sardegna, ne ha per tutti: dalle istituzioni ai dirigenti delle scuole. Da quest’anno, infatti, gli istituti non hanno più a disposizione personale che possa somministrare farmaci agli alunni. ‘In base alle nuove disposizioni del ministero della Salute e di quello dell’Istruzione’, spiega Calvisi ‘questa mansione va assegnata all’interno dell’istituto. Cioè bisogna individuare una persona tra il personale docente o ATA oppure stipulare apposite con-venzioni con la stessa ASL’. Calvisi spiega che, in realtà, pochissimi istituti hanno provveduto e di conseguenza molte famiglie non stanno mandando i loro figli diabetici all’asilo nido: ‘È una situa-zione gravissima’, attacca Calvisi. ‘Molti dirigenti scolastici stanno chiedendo alla ASL di provvedere, così con questo rimpallo di responsabilità chi viene danneggiato è solo il malato. Il personale scolastico va formato? Cosa mai ci vorrà? Due giorni di lezione per spiegare come sommini-strare l’insulina. Se il ministero ha deciso così, le scuole devono adeguarsi. E anche i comuni: visto che i servizi sociali vengono dati in appalto, le istituzioni devono ob-bligare le cooperative appaltanti a fornire questi servizi. I diabetici, che in realtà non hanno neppure un organo ma-lato, sono costretti a fare una vita di emarginazione. Que-sto rappresenta una morte sociale’. È proprio per questa indifferenza che l’Associazione ha deciso di non fare lo screening previsto per il 5 novembre: ‘A cosa serve sco-prire nuovi malati’, dice provocatoriamente Calvisi, ‘quando quelli che già abbiamo non vengono messi in condizione di condurre una vita normale? Per noi quella sarà una giornata di lutto, perché ancora oggi ci sono per-sone che muoiono per le complicazioni del diabete. E le

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complicazioni derivano dalla mancanza di attenzione e dalla scarsa informazione che c’è attorno a questa malatti-a. Questa giornata va sfruttata per informare la gente e abbattere il muro di indifferenza. Invitiamo chiunque, an-che le istituzioni, a contattarci per una consulenza su quanto è necessario fare’. Il discorso veniva ripreso in un articolo dell’11 novembre, in cui Calvisi coglieva l’occasione per annunciare l’introduzione di un’importante novità a favore dei diabetici: «DIABETE, BASTA DISCRIMINAZIONI. ‘In occasione delle giornate mondiali e della distribuzione di presìdi sanitari per le persone malate di diabete, l’11 e 12 novembre, propo-niamo ancora una giornata di lutto’.

Il presidente dell’ADMS, Michele Calvisi, torna all’attacco: ‘Quest’anno in Sardegna, a causa di questa pa-tologia sono morte due persone: un bambino di 23 mesi e una signora di 52 anni. Inoltre tante altre persone affette dal diabete rischiano la vita tutti i giorni per gravi compli-canze. Onestamente non si può pensare di festeggiare questa giornata. ‘La trasformeremo’, dice Calvisi ‘in in-contri di informazione e formazione per i cittadini, in o-nore e in ricordo di chi, senza colpa, è stato abbandonato. Questo accade ancora oggi a causa di un sistema sanitario che cura il diabete in modo obsoleto, ignorando le mo-derne linee guida indicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. ‘In Sardegna sta per aprirsi, per la prima vol-ta, una grande strada di civiltà e di superamento delle di-scriminazioni verso le persone affette da diabete, ma la FIMMG (il sindacato più rappresentativo dei medici di medicina generale) non ci assicura la disponibilità per questo importante accordo. Nel giro di poche settimane le persone con diabete della Sardegna non saranno più costrette a ritirare il materiale sanitario, per tenere sotto controllo la patologia, negli uffici delle ASL e nei centri specialistici, ma potranno trovarlo nella farmacia vicina a casa’. Questo è quanto previsto dalla delibera approvata

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dalla Giunta regionale su proposta dell’assessore alla Sani-tà Nerina Dirindin. Il provvedimento consentirà ai pa-zienti di farsi prescrivere il materiale direttamente dal me-dico di base e non più solo nei centri specializzati. ‘Que-sta possibilità’, prosegue Calvisi ‘è però condizionata alla disponibilità dei singoli medici poiché non tutte le sigle sindacali hanno accettato l’accordo con la Regione. All’appello manca il sì della FIMMG’. Nell’incontro con-vocato per illustrare i contenuti della delibera approvata l’assessore Dirindin ha dichiarato: ‘Con nostra grande sorpresa, la FIMMG non ha voluto aderire all’accordo. In quanto essere umano, e non solo come assessore, sono molto sconfortata da questo rifiuto, che giunge peraltro in un momento in cui in questa Regione si è registrata la morte di due pazienti affetti da diabete. In tutte le altre regioni la richiesta è stata accolta con molto favore dai medici di base, magari anche attraverso una contrattazio-ne delle modalità economiche, qui invece c’è stata una chiusura totale. L’auspicio è che i medici di famiglia sardi siano più coscienziosi dei loro rappresentanti sindacali’. ‘Il provvedimento approvato dall’esecutivo regionale’, precisa Calvisi ‘interessa i diabetici sardi, che sono il 5% della popolazione (ma altrettanti lo sono senza saperlo). Fino a oggi quindi ben 80 mila persone o i loro familiari erano costrette a recarsi in una delle otto ASL della Sarde-gna o nei centri diabetologici degli ospedali, per ottenere striscette per il controllo della glicemia, siringhe per le i-niezioni di insulina e altro materiale utile alla autogestione del diabete.

‘Grazie all’accordo raggiunto con le associazioni di categoria, le farmacie potranno distribuire i presìdi sa-nitari a un costo analogo a quello che le ASL riescono a spuntare con l’acquisto del materiale tramite gare, quindi di molto inferiore rispetto ai normali prezzi di mercato. L’utilità del provvedimento rappresenta l’inizio di una nuova civiltà’».

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IL SOGNO DELLA PATENTE 1. Il rinnovo, un colpo di fortuna. Nel febbraio del 2007 arrivò all’ADMS la lettera di una signora cagliaritana che, poiché affetta da diabete e celiaca, trovava difficoltà a ottenere il rinnovo della patente. La sua esposizione è molto interes-sante, perché mette in risalto l’incertezza delle disposizio-ni in materia, e la disparità dei modi in cui vengono appli-cate: «Ho 35 anni e sono diabetica insulino-dipendente dal 1988, e celiaca da tre anni circa. Non ho alcuna com-plicanza, ma ho purtroppo, negli ultimi anni, un compen-so glicemico non buono (le mie glicate, forse causate an-che dalla presenza del morbo celiaco, si aggirano intorno agli 8). Vado subito al nocciolo… devo ahimè rinnovare la pa-tente e sto incontrando qualche ostacolo. Dopo affanno-se ricerche, infatti, sono riuscita a trovare un’autoscuola che mi rinnova la patente secondo le recenti linee guida ministeriali, di cui ho sentito parlare per la prima volta vi-sitando alcuni siti ed il vostro in particolare (per questa informazione vi ringrazio enormemente). Sempre visitan-do i vari siti e forum mi sono resa conto che ormai, so-prattutto nel Nord Italia, sta diventando una prassi piut-tosto diffusa quella di evitare (giustamente) la commissio-ne medica per ottenere il rinnovo. Eppure al Centro di diabetologia del ‘San Giovanni di Dio’ di Cagliari, dove io sono in cura, continuano a mandare tutti i diabetici, e ri-badisco tutti i diabetici a prescindere dalla loro condizio-ne di salute, in commissione medica, così come ha soste-nuto seccamente al telefono una delle infermiere, affer-mando che lì nel loro reparto ignorano del tutto la circo-lare che le ho citato. Sono disperata… come posso muo-vermi? Nell'ultimo rinnovo, che ho fatto nel 2006 presso la commissione medica, per via della glicata a 8 mi è stato

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ridotto il rinnovo da 3 anni e mezzo (tempo a cui ero abi-tuata) a 3 anni. Morale della favola, lì non ci voglio più passare, preferisco piuttosto prendere l’autobus, come già sto facendo da qualche giorno. Sono preoccupata per di-versi motivi: se il certificato che mi rilascerà il mio diabe-tologo non mi verrà fatto secondo il comma 2 bis dell’art. 119 del Codice della strada (dove viene stabilito un giudi-zio in termini di rischio basso/medio/alto per la sicurezza alla guida), rischio il rifiuto del rinnovo da parte del medi-co dell’autoscuola? Ho saputo che queste nuove linee guida sono state rese note, tramite circolare, in tutte le ASL regionali; possibile che i vari centri di diabetologia non siano stati informati a tal riguardo? Quali armi ab-biamo a disposizione per farlo sapere al più alto numero di diabetici, soprattutto sardi? Sono ancora tanti i diabeti-ci sardi che ‘non sanno’? Avete informazioni a tal propo-sito? Io ho pensato di distribuire fuori dal centro diabeto-logico, dove sono in cura, la nuova normativa per infor-mare tutti quanti dell’omissione a cui sono (e siamo) sot-toposti. Scusate per la lunghezza e per lo sfogo, attendo vostre notizie. Vi ringrazio in anticipo. Saluti. D.».

La risposta del presidente Calvisi, la replica della signora e l’ulteriore lettera da Sassari confermano che an-che in questo settore le norme e i comportamenti di chi le applica finiscono spesso per essere punitive nei confronti dei diabetici: «Gent.ma, quello che scrivi dimostra che viviamo in un’isola, completamente isolati, e che tanti, soprattutto coloro che devono applicare le leggi, e per questo sono pagati, dopo anni ancora non le conoscono. Naturalmente è come dici, nessun diabetico deve essere mandato in commissione patenti, eventualmente è lo stesso medico esaminatore che, viste le complicanze o al-tro, invita il diabetico a rivolgersi alla commissione. Que-

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sta prassi, come hai intuito, sarebbe dimostrazione di giu-sta professionalità e di corretto comportamento deonto-logico. Ti consiglio quindi di cambiare diabetologo e ma-gari anche diabetologia. Gli ignoranti non li puoi modifi-care per legge, non capisco perché il diabetologo impieghi un mese per rilasciare la certificazione per la patente; e inoltre non comprendo perché ti devi rivolgere a una scuola guida quando invece è corretto che, con il certifi-cato del diabetologo, ti presenti da un qualsiasi medico che rilascia la patente di guida. Personalmente mi comporto così e spesso trovo medici eccezionali, che la rinnovano anche per 10 anni. Non dimenticare di portarti appresso la legge sul rilascio della patente per i diabetici, in molti la ignorano. Chiedo scusa per il tu, approfitto per farti i migliori augu-ri, se puoi tienimi informato di come evolve la situazione. Un cordiale saluto Michele Calvisi». «Salve Michele, scusi per il ritardo nella risposta, ma non ho, purtroppo, la connessione a internet in casa. Mille grazie per i consigli e nessun problema per il tu… anzi. Riguardo a ciò che mi ha scritto io volevo solo precisare che per me ottenere il rinnovo della patente da parte del medico della ASL (penso che si riferisse a questa categori-a) o da quello dell’autoscuola non fa nessuna differenza. Basta che chi mi valuta, nel momento in cui faccio la visi-ta, certifichi il fatto che la sottoscritta, in quanto diabetica, non rappresenta, una volta alla guida, un effettivo perico-lo per gli altri. Perché è così che stanno le cose: un diabetico con una glicata a 8 non è più pericoloso di un qualsiasi altro sog-getto ‘sano’, che ha un rinnovo ogni 10 anni. E mi fareb-be anche piacere che si riducesse al massimo la discrezio-nalità e il fai da te del medico che in quel momento ti va-luta e visita. Altrimenti è come sempre dato tutto quanto

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da un colpo di fortuna: trovarsi al posto giusto, incontrare il medico giusto e via dicendo. Però a questo punto mi preme chiederle una cosa: il rin-novo posso farlo anche fuori dalla mia provincia di resi-denza? Potrei farlo, che ne so, anche a Sassari perché, se i medici della ASL sono così disponibili e gentili e ti rinno-vano la patente per 10 anni, che Dio li benedica, corro lì senza pensarci due volte. Aspetto sue notizie. Mille grazie e buona domenica. D.». «Gent.ma, rispondo in maniera schematica alle tue do-mande: tra il medico dell’ASL e quello dell’autoscuola non c’è differenza, spesso è lo stesso medico, ma l’autoscuola ha interesse che il cliente ritorni prima possibile; purtrop-po la discrezionalità del medico e la sua autonomia non si possono ridurre, neanche per legge; hai ragione, per noi si tratta proprio di ‘colpi’ di fortuna; credo che il rinnovo si possa fare ovunque, pensa a chi per motivi di lavoro è fuori provincia per lungo tempo; ti posso garantire che i medici che giudicano con professionalità e umanità ci so-no in tutti i paesi della Sardegna. Ti racconto di una ra-gazza di 20 anni, del Campidano, che, presentatasi alla commissione, si è vista assegnare la patente per due mesi. Naturalmente non ha accettato e, scaduti i due mesi, si è presentata con la legge in mano al medico della ASL, che le ha rilasciato la patente di guida per 10 anni. Tutto que-sto a distanza di due mesi. Di queste storie potrei raccon-tartene tante, fermiamoci qui e scegli chi credi che con professionalità e molta umanità ti esamini per quello che vali. Un caro saluto. Michele».

2. Diabetici sotto sequestro. In quello stesso periodo, a dimo-strazione che il caso della signora cagliaritana non era iso-lato, ne emergeva un altro analogo: ancora una giovane donna che aveva incontrato difficoltà eccessive e incom-prensibili a ottenere il rinnovo della patente, a causa della sua condizione di diabetica. Il presidente Calvisi, ricevuta

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la sua accorata lettera, la faceva pubblicare sulla “Nuova”, il 5 aprile del 2007, insieme alle proprie considerazioni: «TRA IL DIABETE E LA PATENTE C’È UNA COMMISSIONE RIGIDA. ‘Mi scuso, ma ancora una volta vi chiedo di aiu-tarmi: sono soltanto una mendicante di... libertà. Ho il diabete da quando avevo 6 anni. E ora ho bisogno di aiu-to. Ho la patente da soli due anni e sono già stata sotto-posta a due visite di rinnovo, ma l’ultima volta il rinnovo mi è stato negato perché avevo l’emoglobina glicata a 8.2. Meglio: all’inizio mi stavano dando l’idoneità per soli sei mesi, poi la Commissione medica che mi stava esaminan-do, poiché chiedevo chiarimenti sul perché del rinnovo soltanto per sei mesi, ha affermato addirittura che per tre mesi non sarei idonea alla guida. Infine, giusto per chiu-dere alla grande, sono stata letteralmente sbattuta fuori dall’ufficio con la giustificazione che c’erano altre persone da visitare... Non mi sembra una giusta motivazione non vi pare? Confido in una risposta o, meglio ancora, in un aiuto concreto’. «Quando il sottoscritto, presidente dell’ADMS (Associa-zione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna), ha ricevuto questa lettera è rimasto allibito e ha deciso di inviarla all’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, per dirle che l’isola dove viviamo era tristemente nota un tempo per essere terra di banditi e di sequestratori, ma che purtroppo ancora oggi abbiamo in corso casi di se-questro. Noi diabetici siamo infatti perennemente sequestrati e li-mitati nelle nostre più elementari libertà da rappresentanti senza meriti delle varie istituzioni. Accade per ignoranza, che fa più danni del diabete, per la mancanza di rispetto delle leggi, a causa di alcuni (forse troppi) medici, rappre-sentanti ai quali noi tutti garantiamo stipendi e carriera, ma che spesso, oltre ogni regola di buon senso, oltre ogni riguardo alla loro professione e alla nostra vita, non ri-

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spettano neppure, come in questo caso, le leggi scritte. Abbiamo chiesto all’assessore, se può, di contattare tele-fonicamente questa giovane donna e, se possibile, richia-mare i componenti della Commissione. Ricordando loro che sono al servizio della comunità e non sono censori della società. A questi signori che hanno penalizzato e av-vilito questa giovane donna ricordiamo alcuni stralci della legge che, come detto più volte, noi non condividiamo per due motivi: 1. è scritta male scientificamente perché alti valori di e-moglobina glicata non sono di per sé un rischio immedia-to se non per lo sviluppo nel tempo di eventuali compli-canze; 2. perché si deve valutare il diabetico come ogni altro cit-tadino, per il suo stato di salute e non per i rischi futuri e incerti verso una qualche patologia. (Recita la circolare esplicativa alla Legge 85/01: ‘Potrà es-sere considerato come controllo glicemico adeguato, rife-rito esclusivamente al giudizio di pericolosità alla guida, un valore di emoglobina glicata inferiore a 9% e non ade-guato superiore a 9%’). «Michele Calvisi» 3. «Non si prescrivono farmaci per i diabetici». Sempre nell’aprile del 2007 tornava alla ribalta un’altra grave que-stione, che era già affiorata nel novembre dell’anno pre-cedente: la resistenza dei medici di base iscritti al sindaca-to FIMMG a prescrivere farmaci e presìdi ai malati di dia-bete. Il quotidiano ne dava notizia in una articolo del 28 aprile che faceva ampio spazio alle considerazioni pole-miche del presidente Calvisi: «DIABETICI DISCRIMINATI DAI MEDICI FIMMGI. ‘Alcuni medici di base rifiutano in maniera persistente di prescrivere farmaci e presìdi alle persone affette da diabete. Contro questa lesione dei dirit-ti garantiti dalla Costituzione abbiamo deciso di rivolgerci a un legale’. Michele Calvisi sguaina la spada alla sua ma-

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niera e va al contrattacco. Il presidente dell’ADMS, da anni in prima linea per far rispettare i diritti dei diabetici, prova a dare una scossa all’opinione pubblica. ‘Quello che sta avvenendo è di una gravità estrema’, dice. ‘C’è un sinda-cato di medici che sta conducendo una lotta per tutelare gli interessi economici dei propri assistiti. Il problema è che lo sta facendo sulla pelle dei diabetici’. Le randellate di Calvisi non vengono mai date alla cieca: ‘Sta accadendo un fatto incredibile’, dice. ‘Gli aderenti alla FIMMGI hanno deciso di sbatterci le porte in faccia. Però si sono fatti furbi: visto che la prescrizione dei cosiddetti farmaci ‘salva-vita’ è obbligatoria, si rifiutano di prescrive-re i presìdi. Senza questi ultimi, però, anche il medicinale è inutile, perché un’insulina non si può mica bere’. Se-condo quanto sostiene il presidente dell’ADMS, sono tan-tissimi i medici che nella sala d’aspetto hanno appeso un cartello con su scritto: ‘Non si prescrivono farmaci per i diabetici’. Una situazione che obbliga gli ottantamila sardi diagnosticati (ma in tutto siamo almeno 120 mila, perché molti non lo sanno’, dice Calvisi) a presentarsi in Diabe-tologia per ottenere la prescrizione, per poi recarsi in farmacia. ‘Roba da matti’, prosegue Calvisi. ‘Il diabete è una malat-tia cronica. È già una follia doversi presentare ogni due mesi per farsi prescrivere i farmaci. Cosa credono, che nel frattempo ci sia passata? Siamo stati noi a chiedere alla Regione che la nostra situazione venisse gestita diretta-mente dai medici di base. Sono loro che conoscono la storia clinica dei pazienti. Abbiamo tutto il diritto di otte-nere la prescrizione dal nostro medico. Invito tutti i dia-betici che trovano quel cartello a chiedere al medico di rimuoverlo. Oppure, in ultima istanza, di non muoversi e chiamare le forze dell’ordine, che segnaleranno il fatto alla magistratura’.

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Calvisi si dimostra deciso ad andare sino in fondo nella vicenda. Il parere dello studio legale contattato dall’Associazione sembra confortare le sue teorie: ‘È pos-sibile ragionevolmente affermare’, sostengono i legali dell’ADMS ‘che il medico di base non possa legittimamen-te rifiutare la prescrizione di farmaci e presìdi sanitari per la cura del diabete, dal momento che tale rifiuto potrebbe integrare gli estremi del reato di rifiuto di atti d’ufficio. Non pare esservi dubbio che i medici di medicina genera-le rientrano a tutti gli effetti tra gli incaricati di pubblico servizio (quello sanitario). Non c’è dubbio neppure sul fatto che tra gli atti propri dell’ufficio del medico di medi-cina generale rientri la prescrizione di farmaci e presìdi sanitari, in conformità con l’accordo collettivo nazionale’. La posizione di Calvisi e dell’Associazione è stata avallata anche da Agostino Sussarello, presidente provinciale dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri: ‘Il rifiuto di prescrivere i medicinali e i presìdi ai diabetici’, ha detto Sussarello ‘è indebito e ingiustificato. Personalmente però non sono a conoscenza di casi specifici. Ero convinto che il problema fosse superato. Evidentemente in questo momento c’è una contrapposizione tra il sindacato e l’assessorato alla Sanità’. Un contrasto che appare tanto forte da giustificare persino lo scavalcamento dell’Ordine dei medici. ‘Io so solo che veniamo discriminati’, conclu-de Calvisi. ‘E ancora non ho capito se lo siamo in quanto diabetici, oppure se è la malattia stessa, il diabete, a essere discriminato’». 4. Le reazioni. Le dure affermazioni di Calvisi provocava-no la reazione dei responsabili più direttamente interessati alla questione: il quotidiano dava conto il 29 aprile di quelle di Agostino Sussarello, presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Sassari; e del presidente della se-zione locale del sindacato FIMMG: «NON VADO CONTRO I MIEI COLLEGHI. ‘Ho espresso la mia solidarietà nei con-

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fronti di Calvisi e dei diabetici, ma non posso condividere tutto quello che è stato detto durante la sua esposizione’. Il presidente provinciale dell’Ordine dei medici, Agostino Sussarello, torna a parlare dell’incontro di venerdì nella sede dell’ADMS per precisare meglio la propria posizione. ‘Ovviamente non mi sono mai schierato contro i miei colleghi’, spiega Sussarello, ‘soprattutto quando Calvisi annuncia di voler denunciare i medici che si rifiutano di prescrivere i presìdi. Tra l’altro, dalle informazioni che ho, nessun medico ha mai rifiutato di prescrivere un farmaco salvavita come l’insulina. In ogni caso il problema sta a monte, nell’eccessiva burocratizzazione: con una prescri-zione ogni due mesi, per 80 mila diabetici, si arriva a 480 mila accessi in un anno. Così i medici, anziché fornire as-sistenza medica, diventano segretari. E questo non è ac-cettabile’». «NON ABBIAMO MAI DISCRIMINATO I DIABETICI. ‘Non abbiamo mai discriminato i diabetici e non intendiamo farlo. Siamo stati noi a chiedere alla Regione di far seguire le persone affette da questa malattia dai medici di base. Nessuno si rifiuta di prescrivere i farmaci’. Il presidente della FIMMG, il sindacato che tutela i medici di base, non ha gradito gli attacchi provenienti dal responsabile dell’Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna. Durante una conferenza stampa, Michele Calvisi aveva accusato i medici di base di rifiutarsi di prescrivere i far-maci e i presìdi sanitari ai diabetici. ‘Tempo fa abbiamo avuto un incontro con l’assessore Dirindin’, spiega il pre-sidente della FIMMG ‘nel quale ci eravamo accordati per prescrivere medicine e presìdi per i diabetici, a condizione che entro il 31 marzo la nostra situazione venisse regola-rizzata. Un accordo temporaneo, aggiunge, in attesa di chiudere una trattativa globale. Quello che non ci andava giù, e che tuttora non accettiamo, è che la Regione ci ab-bia imposto di fare i ‘trascrittori’ senza neppure consul-

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tarci’. Calvisi aveva utilizzato parole pesanti nei confronti dei medici di base che si sarebbero rifiutati di fornire un servizio alle persone affette da diabete. Per tutelarsi l’ADMS si è già rivolta a uno studio legale. Il presidente della FIMMG sottolinea che nessun medico si è mai rifiutato di prescrivere i presìdi ai diabetici: ‘Una co-sa del genere non è mai accaduta’, dice. ‘Calvisi dovrebbe sapere che attualmente ci sono grosse difficoltà anche per le farmacie, visto che in molti casi i presìdi non si trova-no. Ripeto ancora che i medici di base sono disposti a prendersi carico dell’assistenza dei diabetici. Nessuno meglio di noi conosce i pazienti, perciò vorremmo poterli seguire in tutta la loro storia clinica. Però non dimenti-chiamo che il nostro è un contratto a prestazione: i vertici della sanità non possono caricarci tutto quello che vo-gliono senza una controparte, non necessariamente eco-nomica, e soprattutto senza consultarci’. La FIMMG resta dunque in stand-by, in attesa di novità provenienti da Ca-gliari. ‘Il problema va risolto il prima possibile’, conclude. Prescrivendo un farmaco ci si assume una responsabilità di cui poi si risponde direttamente. Ai primi di maggio potrebbe venire fissato un nuovo incontro. Quello che non possono chiederci è di fare i segretari o i trascrittori di ricette. La nostra sanità non se lo può permettere’». 5. I diabetici puniti. Ma le dichiarazioni di Sussarello e del presidente della FIMMG non facevano che provocare un’ulteriore reazione, ancora più dura, di Michele Calvisi, che al fine di tutelare i diritti dei diabetici arrivava, come emerge da questa sua lettera pubblicata il 18 giugno 2007, a sollecitare l’intervento della Procura della Repubblica:

«LA ASL N. 1 PUNISCE I DIABETICI, INTERVENGA LA PROCURA. Tutti i cittadini, per rispetto della Costitu-zione e delle leggi, devono rispettare doveri e diritti. Per molti diabetici i diritti sono rimasti solo scritti. Per un pu-gno di euro. Per esigenze di vita e di lavoro, ho condiviso

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pane e companatico con i peggiori banditi sardi. Oggi sa-rebbero angeli in confronto ai sinistri individui, con sem-bianze umane e laurea, che provocano depressione e isti-gano al suicidio le persone con patologia diabetica. Que-sto succede quando viene prescritta solo l’insulina senza gli aghi per iniettarla, senza gli aghi pungidito e le strisce per misurare la glicemia. Nonostante i tentativi di smenti-ta dei rappresentanti sindacali dei medici di medicina ge-nerale, possiamo affermare che si sta perpetrando un ten-tativo di delitto perfetto senza sporcarsi le mani. Per que-sto motivo chiedo al procuratore della Repubblica di in-tervenire: apra un’inchiesta. Che dev’essere urgente e in-derogabile, viste le nuove strategie di morte nei confronti dei diabetici.

Sembra che la legge e quindi anche i dirigenti dell’Azienda sanitaria locale siano impossibilitati a punire i ‘malfattori’. Di sicuro si continua a punire i diabetici per la loro già difficile condizione di vita, costringendoli a perdere una giornata di lavoro, a lunghi viaggi e a sopportare molte spese, per recarsi nell’Azienda sanitaria più vicina alla loro abitazione, dove la farmacista di turno compilerà il certifi-cato necessario per il ritiro dei presìdi nella farmacia di riferimento in città o del proprio paese. Il nostro sugge-rimento, che serviva anche a fare economia globale, ridu-cendo la burocrazia e costosi viaggi da un parte all’altra del territorio, sfuma così completamente e si trasforma in una vera e propria beffa per i diabetici e per l’economia delle Aziende sanitarie locali, cioè per le tasche di tutti. Il piano terapeutico personalizzato a che cosa serve? In questa emergenza, si poteva consentire alle persone inte-ressate di rivolgersi direttamente alla propria farmacia di fiducia. Il Piano sanitario regionale per quanto riguarda i diabetici è fallito? Forse gli spermatozoi che lo dovevano concepire sono risultati infertili?

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I responsabili di questa situazione, a tutti i livelli, dovran-no fare una riflessione urgente e se la loro diagnosi è di incapacità patologica vadano via. E di sicuro i diabetici non avranno rimpianti per la loro improvvisa partenza. A tutti i cittadini che si servono di ambulatori dove si di-chiara che non si certifica ai diabetici (ricordiamo che ne-gli Anni Sessanta in molti locali pubblici del nord Italia c’erano i cartelli ‘Vietato l’ingresso ai meridionali’, avveni-va nel secolo scorso e non erano laureati in medicina), chiediamo un atto di coraggio, di solidarietà, di senso so-ciale e civile: abbandonino quell’ambulatorio per sceglier-ne un altro. Oggi non certificano per il diabete, domani a quale altra categoria di malati toccherà la stessa sorte, ma-gari per un pugno di euro?».

Questa la replica della Direzione generale dell’ASL n. 1 di Sassari, comparsa qualche giorno dopo: «L’ASL NON PUNISCE I PROPRI UTENTI. L’Azienda Sanitaria Loca-le n. 1 di Sassari non punisce nessuno, tanto meno i pro-pri utenti. E nel caso specifico, riportato dal giornale nella rubrica delle lettere, l’Azienda Sanitaria sassarese non sta assolutamente punendo i pazienti diabetici, come invece riportano il titolo e il contenuto della lettera che è a firma del presidente dell’ADMS di Sassari, Michele Calvisi.

«I fatti sono questi: alcuni medici di medicina ge-nerale, non tutti, non compilano o non rilasciano le pre-scrizioni dei presìdi per il diabete. L’Azienda Sanitaria sas-sarese quindi, proprio per rispondere alle esigenze dei diabetici, nei giorni scorsi ha attivato, presso i Servizi farmaceutici territoriali, un servizio che permetterà ai dia-betici di ottenere quanto loro spetta per la necessaria assi-stenza. I farmacisti del Servizio farmaceutico rilasceranno un’autorizzazione (in sostituzione della ricetta) per il ritiro del materiale presso le farmacie del territorio. Questa scel-ta, a giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale di Sassari, va nella direzione di soddisfare le esigenze dei diabetici e non verso una loro punizione.

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L’ASL coglie quindi l’occasione per invitare gli utenti a ri-volgersi presso le strutture aziendali per tutte le loro ne-cessità. Ecco dove devono andare: Servizio farmaceutico di Sassari, via Zanfarino 44, piano terra, la mattina dal lunedì al sabato dalle 8,30 alle 13,30 e i pomeriggi di lunedì e mercoledì dalle 14,30 alle 17,30. Per informazioni, telefonare allo 079.2062761; Servizio farmaceutico di Alghero, via Lido, presso l’Ospedale Marino, la mattina dal lunedì al sabato dalle 8,30 alle 14 e nel pomeriggio del martedì dalle 15 alle 17. Telefono: 079.996524; Servizio farmaceutico di Ozieri, via Roma 111, la mattina dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e il sabato dalle 9 alle 12 e nel pomeriggio del lunedì dalle 15 alle 17. Ulteriori informazioni telefonando allo 079.786763». 6. Le carenze della Pediatria. Qualche tempo dopo i proble-mi della prescrizione dei medicinali e dei presìdi venne intrecciandosi con quelli del funzionamento del reparto di pediatria riservato ai bambini diabetici. È quello che e-merge da questa lettera del presidente Calvisi, pubblicata sulla “Nuova” il 7 giugno 2007: «PERCHÉ I DIABETICI DEVONO AFFRONTARE TANTE DIFFICOLTÀ? Per le perso-ne con il diabete non c’è limite al degrado sanitario. Oltre alle situazioni di malasanità e di pessima organizzazione, dobbiamo registrare la sanità negata nei confronti delle persone con patologia diabetica. Nella Pediatria diabeto-logica di Sassari, che segue oltre 350 bambini e ragazzi da 18 mesi in poi, un solo pediatra garantisce l’assistenza, l’accoglienza, la formazione delle famiglie, l’individuazione dei percorsi terapeutici e l’insegnamento dell’utilizzo degli strumenti, più rispondere al telefono, occuparsi delle emergenze, e garantire i turni di guardia medica. Le famiglie con uno o più bambini colpiti da que-sta patologia, anche se disorientate, pensando a una situa-zione provvisoria hanno tentato di pazientare, ma nella

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settimana dal 14 al 20 maggio 2007 l’unico pediatra diabe-tologo ha usufruito di un periodo di ferie e per queste famiglie la situazione è precipitata, con la conferma defi-nitiva che a loro il sistema sanitario ha completamente negato l’assistenza. Nelle altre pediatrie diabetologiche della Sardegna la si-tuazione non è molto diversa, anche se non così dramma-tica. Nessuna pediatria ha percorsi di formazione e sup-porto per le famiglie. Le scuole, non rispettando gli ob-blighi che la legge impone, negano l’assistenza sanitaria ai bambini e ragazzi con diabete. Una famiglia, di fronte alle schede guida da consegnare alle scuole dei propri figli con patologia diabetica, scrive, con amarezza e preoccupazione: ‘Carissimo compagno di battaglie! Quasi certamente queste note le avevo già lette e vorrei trovare la frase fatidica: anche le maestre posso-no, se disponibili, eseguire un controllo glicemico senza alcun rischio’. L’appello è drammatico, ma decine di richieste arrivano ogni giorno alla nostra associazione, e rappresentano l’abbandono di migliaia di bambini e ragazzi. ‘Il popolo che abbandona i giovani, soprattutto quelli con difficoltà, è senza futuro’. Per bambini, ragazzi, adulti e anziani, che sono finiti nelle grinfie di chi non scrive le ricette per il farmaco e/o i presìdi, la sensazione di essere rimasti soli e abbandonati a se stessi ad affrontare una patologia com-plessa e molto pericolosa ormai è una realtà. ‘Raccoman-diamo di non muoversi dall’ambulatorio del medico di medicina generale senza la ricetta e attivando una resi-stenza passiva, all’interno dell’ambulatorio, fino all’arrivo eventuale delle forze dell’ordine’. Le testimonianze che ci arrivano telefonicamente o per iscritto e quelle che ascoltiamo a voce durante gli incontri organizzati per fare informazione e dare conforto sono desolanti. Pazienti anziani ci hanno raccontato di essersi

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recati nella farmacia dell’ASL di competenza e il farmaci-sta di turno ha ricettato il ritiro dei presìdi per tre mesi, ma la farmacia del paese si è rifiutata di consegnare quan-to prescritto, in quanto provvista di materiale per solo 2 mesi, come da accordi con l’ASL, invitando i malcapitati a intraprendere un altro pellegrinaggio verso la farmacia dell’ASL per la correzione della ricetta, percorrendo com-plessivamente circa 270 km. Se i responsabili di questo sfascio hanno dignità professionale e morale provino a dare chiarimenti, sarà difficile ma tenteremo di capire». 7. L’ADMS nel Centro Sardegna. Sempre nel giugno del 2007 l’attenzione si spostava nel centro della Sardegna, preci-samente a Macomer, dove la sezione locale dell’ADMS, in seguito ad un’affermazione imprecisa del presidente di un’altra onlus, aveva modo di far conoscere meglio la propria attività, che datava a partire dal 1999. Questa la cronaca dei fatti esposta da Piergavino Vacca sul giornale del 9 giugno: «L’ADMS: AGDIA ONLUS NON È LA SOLA CHE SI OCCUPA DI DIABETE E CELIACHIA. I soci dell’associazione ADMS, sezione di Macomer, che da anni si occupano di problemi legati al diabete e alla celiachia, dopo aver letto un articolo in data 2 giugno, nel quale il presidente dell’AGDIA Onlus di Nuoro protestava contro l’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, per l’esclusione di un loro rappresentante in seno alla Consul-ta regionale della diabetologia, definendo il suo sodalizio come l’unico in provincia di Nuoro che si occupi del pro-blema, tengono a puntualizzare che a Macomer, ma rivol-ta a tutto il territorio, esiste dall’anno 1999 una sezione dell’ADMS. L’associazione ha promosso numerose attività come screening, convegni, corsi di formazione per diabe-tici e corsi di formazione per celiaci. ‘Relativamente alla discriminazione dei nuoresi’, conti-nuano i soci di Macomer ‘giova evidenziare che un diabe-

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tico è diabetico a tutte le latitudini e ben venga una con-sulta che parla e tenta di risolvere i problemi della catego-ria. Siamo certi che i rappresentanti nominati chiederanno per i diabetici, e non per i diabetici di Cagliari o di Nuoro o di questa o quell’altra associazione. ‘È bene dunque’, continuano i soci dell’ADMS di Maco-mer ‘lasciare da parte le polemiche e lavorare tutti insieme per tentare di risolvere i problemi che ogni giorno afflig-gono i diabetici. Le richieste che i rappresentanti nominati nella Consulta porteranno avanti’, continuano ancora ‘so-no problematiche irrisolte da anni di cui si dibatte in con-tinuazione, anche in assemblee aperte a tutti, e le propo-ste scaturiscono proprio dalle assemblee. Per chi comun-que ha voglia di lavorare e ha voglia di farsi conoscere’, concludono i soci dell’associazione ADMS di Macomer ‘c’è tanto spazio nei diversi gruppi di lavoro’. L’Associazione ADMS di Macomer ha avuto modo di farsi conoscere in zona, portando avanti diverse rivendicazioni e promuovendo interessanti manifestazioni. Si tratta di iniziative che sono andate a vantaggio di tutti i diabetici della zona». 8. Uno strano patto. Nel giugno del 2007 si diffondeva la notizia che l’Azienda sanitaria di Sassari intendeva avviare una sorta di censimento dei malati di diabete, che veniva presentato come un nuovo “patto” concepito per miglio-rare il servizio. Ma il presidente Calvisi, con una lettera pubblicata il 9 giugno, individuava i lati negativi dell’iniziativa, che paragonava a una “schedatura” d’altri tempi: «DAVVERO INSOPPORTABILE LA SCHEDATURA DEI DIABETICI. In merito alla lettera del direttore sanitario dell’ASL n. 1, dottor Fellin, indirizzata alle varie diabeto-logie della stessa ASL, preme precisare che sembrerebbe già in atto una schedatura dei pazienti diabetici da parte dell’ASL 1. Una schedatura fatta senza il consenso dei pa-zienti e le cui vere finalità, mai finora spiegate all’utenza e

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agli operatori, sembrano trasparire dal contenuto della let-tera della quale cito testualmente: ‘La Direzione richiama sinteticamente gli indirizzi generali che ha già proposto [a chi?] e che intende perseguire in termini di politica sanita-ria relativa all’assistenza al diabete’; e prosegue: ‘Il pro-gramma in sintesi dovrebbe costituire la realizzazione di una sorta di patto tra il servizio sanitario e i cittadini affet-ti da diabete. In questo patto, l’azienda si impegna a ri-spondere al bisogno di un’offerta garantita in termini di prestazioni e tempi di attesa. Il cittadino accetta di ade-guarsi ai percorsi proposti dall’azienda per avere le garan-zie pattuite di prestazioni e di tempi e modalità’. Appare evidente che un patto può essere stretto solo se entrambe le parti sono d’accordo, mentre in questo caso i cittadini, ovvero i pazienti diabetici, non sono stati nep-pure interpellati e gli viene imposta dall’alto una situazio-ne di fatto precostituita e non modificabile. Nel tentativo di indorare la pillola, il dr. Fellin precisa che ‘il cittadino ovviamente è libero di scegliere dove ricercare la risposta. Se sceglie un suo percorso personale, al di fuori di quelli per così dire inclusi nel patto, lo potrà fare senza esigere il rispetto degli standard’. Che, tradotto in parole povere, significa: ‘O mangi la minestra (come, quando e dove decidiamo noi) o salti la finestra’. Prose-guendo nell’anteprima del film ‘felliniano’ (ci perdonerà il grande maestro Federico!), si evidenzia la motivazione della schedatura preliminare dei pazienti diabetici, perché il direttore sanitario spiega che ‘nella visione dell’Azienda, l’organizzazione più semplice per realizzare il patto pro-posto sarebbe di assegnare a priori, per così dire, i malati ai centri con un criterio determinato. In questo modo sa-rebbe possibile prevedere il carico di lavoro che si può riversare sul centro e stabilire le risorse per rispettare le garanzie di standard. Ciò comporta certamente qualche

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restrizione anche per il cittadino, ma al cittadino ne deriva il beneficio della sicurezza delle prestazioni e dei tempi. In un assetto libero-imprevedibile [che si è venuto a crea-re e a mantenere grazie alle complicità di chi?] è certa-mente più difficile e verosimilmente impossibile assicura-re a tutti i malati gli standard concordati’. Insomma il succo del discorso sembrerebbe essere: cerca-te di capire che tutto quello che facciamo è per il vostro bene. In conclusione, senza voler entrare nel merito delle 12 righe nelle quali viene descritta ‘la proposta organizza-tiva aziendale articolata’ (12 misere righe su un totale di ben 3 pagine), ci sembra di essere tornati ai tempi delle schedature e alla deportazione degli inferiori, con itinerari, predestinati in base alla categoria di appartenenza, verso luoghi di cura prescelti. Speravamo che i tempi fossero maturi per ricercare insieme l’inizio di una soluzione dei nostri problemi e invece sembrerebbe che all’ASL 1 ab-biano fatto altre scelte, senza consultare i diabetici». 9. Il costo delle polemiche. Alla fine del 2007 erano invece le polemiche tra l’Assessorato regionale alla Sanità e i medici di base a fornire al presidente Calvisi l’occasione per addi-tare ancora una volta le principali carenze del servizio sa-nitario. Lo riferiva Piero Garau in questo articolo del 22 dicembre: «DIABETE, POCHI SERVIZI MOLTE POLEMICHE. CALVISI (ADMS): ‘A PAGARE SONO I MALATI’. Non accen-nano a placarsi le polemiche tra l’Assessorato regionale alla Salute e i medici di base, riguardo al servizio sanitario per i malati di diabete. Nella controversia interviene an-che l’Associazione ADMS, che raccoglie il maggior nume-ro di pazienti affetti da questa grave malattia. ‘Un sistema sanitario che costa troppo e che ci vede unici utenti che pagano anche con la vita a causa di questo liti-gio infinito’. Parole dure, espresse dal presidente dell’associazione Michele Calvisi: ‘Le famiglie e le persone

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con patologia del diabete sono sempre sole ad affrontare i problemi che riguardano la gestione della malattia’, ag-giunge: ‘il rilascio della patente di guida, il trovare lavoro e infine la frequenza nella scuola, sono tutte difficoltà a cui spesso va incontro il malato di diabete. Ogni anno in Sar-degna il numero di decessi causati dal diabete è in conti-nuo aumento. Purtroppo la malattia colpisce anche bam-bini in tenera età. E la gran parte dei malati colpiti da que-sto tipo di patologia rischia la vita tutti i giorni per gravi complicanze. Questo accade ancora oggi a causa di un si-stema sanitario che cura il diabete in modo obsoleto’, af-ferma Calvisi, ‘ignorando le moderne linee guida indicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e che come conseguenza diretta produce persone che vivono in gra-vissima difficoltà’. In Sardegna qualche passo avanti è stato fatto, per cercare di alleviare il più possibile i disagi di cui sono vittime i malati di diabete. Da qualche mese, infatti, è attivo un servizio che apre per la prima volta una grande strada di civiltà per il superamento delle discriminazioni verso le. persone affette da diabete. Il servizio consente ai malati di ritirare il materiale sanitario necessario per cercare di te-nere sotto controllo la patologia non più negli ambulatori dell’ASL ma presso la farmacia sotto casa. Il provvedi-mento consentirà ai pazienti di farsi prescrivere il materia-le direttamente dal medico di base. ‘Il diabete’, conclude Calvisi ‘in tutto il mondo uccide più del cancro al seno e dell’HIV messi insieme. Ancora oggi ci sono bambini a cui non viene diagnosticata la patologia diabetica, e di conseguenza muoiono. Chiediamo più at-tenzione e rispetto verso i malati di diabete. Abbiamo ne-cessità che il servizio sanitario sia accessibile anche a noi, con una politica di assistenza più efficace e meno costosa. Sperando così di rimandare il più possibile il momento del trapasso’».

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LA TELEMEDICINA 1. Le nuove prospettive. Nel luglio del 2008 Piero Garau dava notizia, in un articolo del giorno 16, di una importante i-niziativa: stava per avere inizio sul litorale di Alghero un campo di vacanza durante il quale i ragazzi partecipanti sarebbero stati seguiti attraverso un sistema di “telemedi-cina” che avrebbe consentito ai medici diabetologi di con-trollare a distanza le loro condizioni di salute. «AL MARE SERENI CON LA TELEMEDICINA. L’ADMS e la cooperativa sociale ‘Piccoli Passi’, con la supervisione della dottoressa Lidia De Luna, promuovono un progetto di telemedicina per ‘vegliare’ sulla salute dei giovani diabetici che saranno ospitati nel campus estivo di Porto Ferro.

«A vegliare sui giovani con problemi di diabete che parteciperanno all’impegnativa iniziativa nel villaggio vacanze non sarà, per la prima volta, un gruppo di diabe-tologi che opera all’interno del campo, ma un sofisticato sistema di telemedicina che riporterà quotidianamente alla Pediatria dell’ospedale di Alghero l’andamento della salute dei giovani diabetici. Il progetto ‘Check-up diabete’ è sta-to studiato e approntato da MedicAir Italia che, a titolo gratuito, l’ha messo a disposizione dell’ADMS dando vita a un innovativo programma di assistenza applicato con la dottoressa Lidia De Luna del reparto di Diabetologia pe-diatrica dell’ospedale di Alghero, unica realtà in Sardegna concepita a misura di ragazzo. Il campo di Porto Ferro ospiterà ragazzi dai 6 ai 17 anni affetti da diabete e celiachia per i quali è necessario un monitoraggio giornaliero e che, senza le indispensabili ga-ranzie sanitarie, correrebbero il rischio di vivere la vacan-za senza la necessaria serenità. Da qui l’idea, nata per ga-rantire, oltre agli specifici e irrinunciabili interventi di pronto soccorso e assistenza medica, anche una sorta di ‘tutor’ innovativo e tecnologico in grado di controllare,

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attraverso il monitoraggio telematico costante e quotidia-no, i dati glicemici. ‘Questa nuova iniziativa’, ha spiegato Michele Calvisi, ideatore della vacanza e presidente dell’Associazione Diabete Mellito e Celiachia ‘si propone di rafforzare in ragazzi, adolescenti e famiglie una mag-giore e indispensabile autonomia gestionale del diabete e/o della celiachia’.

Soddisfatto dell’iniziativa anche il presidente della MedicAir Italia, Filippo Moscatelli: ‘Siamo davvero orgo-gliosi di aver contribuito a rendere concreta un’opportunità che coinvolge numerosi ragazzi, perché riteniamo che uno dei nostri compiti, in qualità di home care provider [fornitori di servizi a domicilio], sia mettere la nostra esperienza ventennale al servizio dei soggetti più fragili sforzandoci di ricercare modalità sempre nuove e diversificate di assistenza finalizzate a migliorare le loro qualità di vita. Nel territorio di competenza della ASL n. 2 di Olbia si stanno già facendo i primi test per un progetto pilota sulla gestione del paziente diabetico con la teleme-dicina tramite l’impiego della strumentazione prodotta da MedicAir Italia offerta per tutta la fase sperimentale allo staff della Diabetologia di Olbia coordinato dal dottor Giancarlo Tonolo».

All’articolo di Garau seguiva un intervento del presidente Calvisi, il quale nel corso di una riunione co-glieva l’occasione per allargare il discorso agli altri pro-blemi cui è sottoposta la grande schiera dei malati di dia-bete: «La telemedicina è un fatto importante, ma a condi-zione che sia parte di un percorso complessivo e comple-to, che veda contemporaneamente l’attivazione di forti sinergie tra i diversi attori che sono indispensabili per una effettiva gestione del diabete. Cos’è il sistema sanità? Per i sardi il sistema è unico, e de-ve garantire cura e assistenza, perché pagato dalle tasse dei cittadini, tramite lo Stato, e impone: la scelta del me-dico; l’acquisto dei medicinali in farmacia; l’utilizzo del

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118; il pronto soccorso; le prestazioni ospedaliere e quant’altro... Escluse le eccezioni, gli operatori sono degli ottimi pro-fessionisti, si comportano di conseguenza e ognuno ri-marca, giustamente, la propria capacità professionale e l’autonomia di azione. Purtroppo, l’esagerata autonomia si traduce in danno e incapacità di cure verso le malattie croniche, e in partico-lare per il diabete. Infatti per autonomia si deve intendere quella che riguarda la propria responsabilità professionale, integrata dalla prevenzione e formazione per la gestione e collocata all’interno di un sistema che necessita di colle-gamenti, sinergie e di aggiornamenti per la corretta ge-stione: avremo sicuramente minore incidenza di compli-canze; con meno complicanze avremo meno ricoveri; il risultato maggiore sarebbe di migliorare la qualità di vita per le persone, con minori costi. Proverò a fare due esempi: nella vettura, se la potenza del motore non è ripartita ade-guatamente tra le quattro ruote, il mezzo non si muove; gli Stati Uniti che, in una staffetta 4 x cento, avevano schierato alla partenza i quattro atleti più veloci al mondo, sono stati miseramente squalificati, perché non sono riu-sciti a passarsi il testimone. Dispiace constatarlo, ma questo sistema sanitario per la cura del diabete rispecchia questi due esempi. Dati della provincia di Sassari. Circa 15.000 persone con diagnosi di diabete sono curate e assistite da 14 strutture diabetologiche dove operano 22 medici, 23 infermieri professionali e due dietisti. Una esagerazione definirla cu-ra e assistenza: è un reale spreco derivato dall'ignoranza e pagato dai cittadini. Dati della Regione Sardegna. I dati ufficiali della Regione Sardegna dicono che per curare e assistere 79.890 persone con diagnosi di diabete esistono 57 strutture, 115 medici

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compresi i pediatri, 107 infermieri professionali. Questo sistema sgangherato, ma pagato come buono, produce centinaia di migliaia di persone con diagnosi di depressio-ne. Chi le cura? Che formazione e a chi dobbiamo farla se i numeri sono questi? Per curare ed assistere al meglio 8000 diabetici di tipo 1, il 10% del totale, basta una sola diabetologia regionale, ma munita del servizio di telemedicina. Per i rimanenti 70.000, che siano i dipendenti o i convenzionati del Si-stema sanitario a curarli ed assisterli. In caso di rifiuto si deve prevedere il licenziamento o la fine della convenzio-ne. Come cittadini non vogliamo pagare chi non ci cura o assiste. Questo se vogliamo stare ai numeri, però ad ogni numero corrisponde una persona a cui deve essere: assicurata la formazione indispensabile; indicato chiaramente il per-corso terapeutico; garantite le analisi periodiche, con data, luogo, specialista e tipo di intervento; dato rispetto socia-le, cura e assistenza, aiuto psicologico, educazione alimen-tare per tutta la famiglia, garantita la possibilità di fre-quentare le scuole e le mense; fornita educazione motoria; assistita nel proprio domicilio e a scuola se bambino o ra-gazzo; supportata indicando al mondo del lavoro il com-portamento verso i dipendenti con diagnosi di diabete; favorita nel conseguimento della patente di guida, senza subire umiliazioni e comportamenti razzisti, spesso anche dichiarati; aiutata a conseguire il libretto sanitario per il diritto al lavoro, anche marittimo».

L’argomento era così importante che Calvisi rite-neva opportuno riprenderlo nuovamente in una lettera al giornale che veniva pubblicata poco tempo dopo: «TE-LEMEDICINA. Abbiamo dimostrato l’utilità della Teleme-dicina al servizio sociale delle persone con diagnosi di diabete, che da oggi è diventata realtà anche nella ASL di Olbia, che assiste migliaia di persone sparse in un vasto territorio come la Gallura.

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Grande soddisfazione dell’Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna che, per prima in Italia nel 2008, ha sperimentato come supporto sociale per ragazzi/e, con diagnosi di diabete e/o di celiachia dai 6 ai 17 anni, il si-stema di trasmissione telematica dei valori glicemici dal soggiorno estivo di Porto Ferro. È risultata un’ottima esperienza che ha favorito la socia-lizzazione e per questo è stata di grande soddisfazione per i 75 ragazzi partecipanti e per le loro famiglie. Con la te-lemedicina i controlli della glicemia e la gestione dell’insulina sono diventati una normale attività. I ragazzi finalmente si sono sentiti liberi nella vita di relazione con i loro coetanei e protetti da una rete di cura sempre presen-te; e le famiglie potranno proseguire la cura dei loro figli senza trascurare la loro attività lavorativa. La trasmissione dei dati glicemici e altro con la telemedicina, alla ASL di Olbia sono certi, aiuterà i ragazzi a crescere e sviluppare una migliore autonomia e integrazione sociale anche all’interno della scuola. Mesi di grande lavoro e collaborazione tra ASL di Olbia, MediCair e ADMS, con la straordinaria assistenza di una dottoressa e la cooperazione del gruppo Sociale dei ‘Pic-coli Passi’, con l’obbiettivo, per noi raggiunto, di migliora-re soprattutto l’integrazione sociale. Il nostro sogno, spe-rando che non sia un abbaglio che ci accechi, è che le as-sociazioni scientifiche possano anche solo una per volta, ma da subito, illuminare i responsabili delle diabetologie e portarli ad attuare urgentemente l’assistenza integrata, che trova, con l’utilizzo della trasmissione dei dati in teleme-dicina e senza dubbio alcuno, un aiuto insperato, funzio-nale, sicuro e una volta tanto realmente, a favore delle persone con grave disagio come la patologia del diabete e/o della celiachia. La collaborazione con l’ASL di Olbia è anche nella forma-zione integrata tra sociale, sanitario ed educazione alimen-

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tare offerta alle cooperative sociali che si interessano dell’assistenza alla persona. Occasione di informazione e crescita professionale che sta incontrando molto interesse ed entusiasmo nelle persone partecipanti. Constatiamo con grande soddisfazione l’incredibile risul-tato dai viaggi della speranza, per la gestione e la cura del-la persona con malattia del diabete e della celiachia, che ora iniziano dalle regioni del continente verso la Sarde-gna, verso la ASL di Olbia. Una inversione nei flussi mi-gratori di cura che va al di là di ogni nostra più rosea pre-visione. Come Associazione registriamo da una parte questo suc-cesso e dall’altra dobbiamo ancora una volta denunciare evidenti mancanze, veri e propri deserti di cura diabetolo-gica. Sono evidentemente le difficoltà, le problematiche di gestione della patologia diabetica a costringere le persone che vivono in altri territori a diventare migranti e affron-tare il viaggio verso una terra ben isolata per potersi cura-re in un’oasi quale è diventata una ASL della Sardegna, quella di Olbia. Possiamo finalmente, nel 2008, dire alle persone con diabete e con diabete e/o celiachia, che esi-stono anche le oasi e non solo i miraggi: ‘È meglio essere feriti dalla verità che consolati da una menzogna’ (Il caccia-tore di aquiloni)». 2. Un’ignoranza pericolosa. Nel frattempo l’ADMS continua-va ad affrontare giorno per giorno i mille problemi legati alla tutela e all’assistenza dei propri iscritti, e dei malati di diabete e di celiachia in generale. In un articolo del 5 apri-le 2008 Pier Luigi Piredda raccolse una forte raccoman-dazione a combattere l’ignoranza molto diffusa – e molto rischiosa – nei confronti della malattia diabetica: «DIABE-TE, ANCORA TROPPA IGNORANZA. ‘C’è ancora troppa i-gnoranza sul diabete ed è un’ignoranza pericolosissima perché può anche uccidere’. Michele Calvisi, presidente dell’ADMS, ci va giù duro, senza troppi giri di parole, an-

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che perché lui quest’ignoranza la può constatare ogni giorno sulla sua pelle. Mostra orgoglioso il suo sofistica-tissimo microinfusore, spiega come funziona e aggiunge: ‘Potrebbero averlo tutti i diabetici e vivrebbero meglio, ma ancora non c’è una linea unitaria su questa macchinet-ta prodigiosa e così molti diabetologi sconsigliano l’utilizzo del microinfusore con argomentazioni medieva-li’. Il diabete è la quarta causa di morte nel mondo e in I-talia si prende oltre il 10 per cento della spesa sanitaria nazionale. Soldi che per il 70 per cento sono utilizzati per i ricoveri nei quali vengono curate le complicanze, il 15 per cento per visite specialistiche e il rimanente per far-maci e presìdi. ‘Ma non è possibile continuare così’, ha spiegato Michele Calvisi durante la presentazione della relazione annuale dell’ADMS, nella sala del Comune insieme ad alcune com-ponenti dell’associazione di volontariato e al consigliere comunale Antonello Sassu. ‘La Sardegna è la capitale mondiale del diabete, ma i nostri politici e i dirigenti delle varie ASL non se ne sono ancora accorti. Meno male che è arrivata l’assessore Nerina Diridin, che finalmente sta cercando di mettere ordine e ci sta aiutando in maniera concreta. Ma la strada è ancora molto lunga. Comunque, si può cambiare. ‘Per farlo’, ha insistito il presidente dell’ADMS ‘bisogne-rebbe innanzitutto istituire un unico centro di referenza regionale al quale possano fare riferimento tutte le ASL, i diabetologi e, soprattutto, i diabetici che spesso sono soli e privi di quel sostegno morale che è invece fondamentale in una malattia così subdola. Con l’assessore Dirindin ab-biamo ottenuto risultati importanti, come la ri-partenza della distribuzione dei presìdi nelle farmacie del territorio: una conquista soprattutto per i diabetici che abitano in piccoli centri lontani dalle farmacie centralizzate delle ASL. Poi, l’aumento delle striscette reattive per

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l’autocontrollo, che è la prerogativa indispensabile per ge-stire in maniera ottimale la malattia. Ma siamo convinti che il passo fondamentale sia quello di affrontare il diabete alle origini’, ha continuato Michele Calvisi. ‘Le diabetologie pediatriche sono fatiscenti, prive di personale e molto male organizzate, eppure sono fon-damentali. L’unica eccezione per noi diabetici è stato il reparto dell’ASL di Olbia, dove l’assistenza integrata sta coinvolgendo nella formazione tutti, e il merito va alla professionalità di pochi. ‘Il primo e quindi il più impor-tante, che aveva avuto il coraggio di sfidare i tempi, era stato il compianto eccezionale direttore generale Gianni Cherchi, che ha tracciato una strada seguita dal suo suc-cessore Giorgio Lenzotti e poi dal diabetologo Giancarlo Tonolo. Dovrebbero imitarli, e ci auguriamo che lo fac-ciano, anche a Sassari’. Michele Calvisi ha infine sottolineato l’importanza dei microinfusori, che migliorano la vita del diabetico, e la sua nutrizione: ‘Siamo ancora troppo distanti dalle politi-che di educazione alimentare di altri paesi europei che so-no riusciti a modificare le abitudini alimentari di tutti con grande beneficio per la salute pubblica e per il bilancio dello Stato’». 3. Il peso della burocrazia. Nello stesso mese di aprile del 2008 il presidente Calvisi aveva incontrato difficoltà, co-me riferisce in questa testimonianza, anche a ottenere un semplice permesso necessario per agevolare il trasporto e l’accompagnamento delle persone in cura: «Nelle attività di volontariato a favore delle persone è compreso anche l’affrontare il tema del trasporto e dell’accompagnamento di chi è disabile. In questa funzione tante volte incappia-mo nei rigori di qualche vigile che ci eroga la multa. Nel protestare per l’ultima di queste, il comando della Po-lizia municipale mi ha consigliato di chiedere l’autorizzazione per un permesso da concedere all'Asso-

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ciazione e da consegnare all’occorrenza al volontario di-sponibile per il trasporto. Inoltrata la richiesta, in data 23 aprile il responsabile del servizio mi fa pervenire la convocazione n. 35155 al ri-guardo, dove ‘si invita la S.V. a presentarsi presso gli uffi-ci di via Murgia per chiarire le problematiche evidenziate relative alla richiesta di rilascio dell’autorizzazione occa-sionale’. Giorni per il pubblico: lunedì, mercoledì, venerdì dalle ore 11,00 alle 13.00. Oggi 29 aprile mercoledì, mi presento negli uffici di via Murgia e alle normali richieste di spiegazione nessuno sa nulla, e pertanto bisogna parlare con il responsabile; che in tutta la mattina non rientra nell’ufficio nel quale sareb-be dovuto essere presente. Gli impiegati mi raccontano la pietosa bugia, che il responsabile mi aveva cercato al tele-fono, ma nessuna telefonata risulta registrata nel telefono della sede e tanto meno sul cellulare. Dopo qualche minuto di sgradevole e imbarazzante attesa ed inseguito ad ulteriore sollecitazione mi riferiscono che il responsabile è in riunione con la dirigente. L’episodio veniva riferito con tono ironico al direttore della “Nuo-va” con una lettera di qualche giorno più tardi: «Gentilissimo direttore, sono piccolo, brutto e povero, ma questa è la mia ricchezza, che voglio spendere solo a favore delle persone meno fortunate. Per questo non tol-lero fare anticamera, a responsabili e dirigenti di servizi, che non rispettano quello che scrivono e di fatto creano disagio a chi volontariamente, gratuitamente e senza il minimo supporto opera a favore di altri. Mi conceda una miserabile esclamazione: Se questa vuole essere una cit-tà!!! Le fondamenta sono, oltre la politica, i dirigenti e i responsabili che la rappresentano. Cordiali saluti Michele Calvisi». 4. Un grave errore. Intanto era arrivata da Firenze, il 14 maggio 2008, la notizia che una ragazza diabetica era

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morta perché i genitori avevano ingenuamente seguito le indicazioni di un medico, ignorante o inesperto, che ave-va consigliato la sospensione della terapia a base di insuli-na: «VITAMINE E NON INSULINA: MUORE RAGAZZA DIA-BETICA. È morta ieri sera alla rianimazione dell’ospedale pediatrico ‘Meyer’ di Firenze la ragazza diabetica toscana di 16 anni che lunedì pomeriggio era arrivata in coma in seguito alla sospensione della terapia salvavita insulinica, decisione consigliata ai suoi genitori da un presunto pro-fessionista di medicina complementare. La giovane era affetta da diabete mellito di tipo 1, una malattia che richiede somministrazioni continue del far-maco che le era stato prescritto proprio dagli specialisti del ‘Meyer’; ma i genitori evidentemente avevano seguito i consigli di un medico che le aveva fatto sospendere la te-rapia insulinica indicata dai pediatri proprio al ‘Meyer’ per altre cure. E lo stesso ospedale ha ritenuto di denunciare il caso alla Procura della Repubblica. La ragazza toscana è giunta lunedì alle 18,15 al pronto soccorso ed è stata subito ricoverata in rianimazione. Qui ha ricevuto le cure del caso con assistenza respiratoria, ventilazione e l’ausilio delle macchine. ‘A determinare il suo gravissimo quadro clinico’, hanno spiegato al ‘Meyer’ ‘è stata la sospensione, dal primo maggio, della terapia in-sulinica su consiglio di un presunto professionista di me-dicina complementare che esercita in un’altra regione. La terapia insulinica era stata prescritta alla ragazza dal servi-zio di diabetologia del ‘Meyer’ dove la ragazza era in cura con ottimi risultati terapeutici’». 5. La tessera negata. A volte una cosa banale e di routine come il rilascio della tessera sanitaria sembra trasformarsi in una barriera insormontabile. È quanto emerge da que-sto scambio di messaggi del maggio 2008 tra Michele Calvisi e il signor P., che non riusciva a trovare una solu-zione al suo problema:

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«Buongiorno signor Calvisi, nessuno mi rilascia il tesserino sanitario con la scusa che sono finiti: ritorni fra un mese, ecc. Cosa posso fare? La ringrazio. P.».

«Caro P., la sua ASL dovrebbe già averle rilasciato un tesserino che attesti la sua condizione di diabetico per autorizzare le prestazioni di cui ha diritto. Ad ogni modo nulla vieta al suo medico di rilasciare un certificato simile, che anzi è opportuno avere sempre con sé, proprio per-ché, come da lei riportato, un caso di ipoglicemia è sem-pre possibile e ciò aiuterebbe ad avere un soccorso più celere. Tra l'altro, qualora dovesse viaggiare, tale certifica-to è indispensabile per imbarcare siringhe, penne, insulina e presìdi medici in genere».

«Gentile presidente, essendo diabetico di tipo 1, è possibile avere un tesserino oppure una dichiarazione ri-lasciata dal medico che attesti che sono diabetico? Mi è capitato di assistere a una sfilata e di avere un calo di zuc-cheri. Così decisi di avviarmi verso il parcheggio dove a-vevo la macchina, per rientrare a casa. Dovevo attraversa-re la strada, ma mi venne impedito da un addetto del 118 asserendo che andavo a fare delle foto (avendo al collo la macchina fotografica), così dopo una mezz’oretta dovetti chiamare un carabiniere in servizio che subito mi fece passare rimproverando l'addetto al 118. Questo è il moti-vo per cui vorrei avere una dichiarazione. Attendo sua ri-sposta. Cordiali saluti. P.»

«Gent.mo P., sono a sua completa disposizione per quello che Le può essere utile. Credo che per affron-tare anche le piccole emergenze nel diabete di tipo 1 serva una buona informazione, per non rimanere vittime di so-prusi e ignoranza di altri. Mi contatti come ritiene oppor-tuno con e-mail o telefono e se invece abita a Sassari ci possiamo incontrare. Tanti saluti e molti auguri. Michele Calvisi». A questo genere di richieste veniva incontro una nuova iniziativa dell’ADMS, avviata poche settimane più tardi: il 7

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giugno del 2008 un trafiletto siglato P. G. dava notizia che era stato attivato presso la sede di Sassari uno sportel-lo riservato ai malati di diabete e di celiachia che avevano necessità di parlare dei loro problemi e di ricevere l’opportuna consulenza: «UNO SPORTELLO PER DIABETICI E CELIACI. ‘AIUTIAMOCI AD AIUTARCI’. Questo lo slogan portante della importante iniziativa dell’ADMS. Per l’intero mese di giugno questa Associazione mette a disposizione un servizio di sportello di ascolto. Il servizio è rivolto in modo particolare a persone con diabete o celiachia e ai loro familiari. ‘Con questa iniziativa – spiega il presidente Michele Calvisi – vogliamo creare un ulteriore filo diretto con i pazienti colpiti da queste malattie’. » 6. La “patente di cura”. Sempre nel 2008 il presidente Calvi-si, prendendo lo spunto dalla morte di cinque diabetici, pubblicava un nuovo articolo nel quale, prendendo l’avvio dagli errori commessi dai medici, tracciava un’ampia panoramica della situazione e formulava alcuni utili suggerimenti: «DIABETE: LA DIFFICOLTÀ DI VIVERE. PATENTE DI CURA, UNA QUESTIONE… EMERGENTE. Nel terzo millennio si può chiamare emergenza? Cinque morti per crisi glicemiche: sono i diabetici che hanno perso la vita dalla fine del 2006 ai primi mesi del 2008 e sono solo quelli riportati dalle cronache. Presumiamo che il numero dei decessi sia drammaticamente più alto. Tre di questi decessi si sono verificati in Sardegna, il quarto nella mi-gliore diabetologia pediatrica italiana, l’altra era una donna incinta. Un risultato disastroso perché queste morti sono state opera di un solo killer: l’ignoranza. Tutte erano evitabili, i numeri raccontano l’incapacità del sistema sanità attuale, costosissimo e intollerabile nei risultati in una nazione moderna. Più del 10% del PIL copre l’intera spesa del Servizio Sanitario Nazionale del nostro paese. Si stima che il 5% della popolazione, 3.000.000 di persone, sia

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ammalata di diabete e che questo comporti una spesa pari almeno al 20% di quella complessiva del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Curare bene il diabete significa avere risorse economiche per le altre patologie. Significa anche direttamente far vi-vere meglio quel 5% di famiglie, circa 10.000.000 di per-sone che potranno godere degli effetti della prevenzione del diabete e le sue complicanze. La diagnosi di diabete per troppi adulti ancora oggi arriva molto tardi e solo a causa di danni individuati da speciali-sti come l’oculista, il cardiologo, il nefrologo. Curare i danni di queste complicanze costa a tutti i cittadini circa il 70% dell’intera spesa sostenuta per la diagnosi e la cura del diabete (cura del diabete significa: gestione quotidiana di glicemia e insulinemia, prevenzione delle complicanze, cura delle complicanze). Nella media italiana il 50% dei bambini all’esordio della diagnosi di diabete ha necessità di ricovero per gravi problemi di chetoacidosi, in Sarde-gna si innalza a oltre l’80%. Per almeno uno di questi bambini si è intervenuti troppo tardi: è morto. Quanto vale la vita di un bambino? Quanto vale il dolore e l’angoscia di una famiglia? Quanto vale il disagio psicolo-gico ed il dolore di questo bimbo? Numeri allarmanti e costi altissimi imputabili alla scarsa conoscenza di questa patologia. Nel 2008 si corre ancora ai ripari. Cosa può riparare alla morte? Il 23 dicembre 2008 sarà il 40° compleanno della legge 833/78 con la quale si istituiva il Servizio Sanitario Nazionale. Crediamo sia il momento di fare un check-up per avviare un radicale cambiamento, lo riconosce il Ministero che, a partire dal 2007, si è posto come obiettivo la qualità e la sicurezza delle cure. Nella cura del diabete la qualità e la sicurezza sembrano essere utopie mentre l’unico evidente risultato è la colpa di esistere del diabetico.

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Colpa che viene colmata solamente con riconoscimenti economici a pioggia a tutti i professionisti della sanità, mai con riconoscimenti professionali agli operatori meri-tevoli perché evitano il verificarsi di questi disastri. Per tutti i contribuenti, oltre al danno vi è la beffa di pagare un Servizio Sanitario che promuove l’eutanasia preventi-va. Per i diabetici aumentano solo i disagi, le complicanze e la morte. In Italia gli esempi di chi sbaglia e paga esisto-no. È un sistema regolato da leggi precise che si pensa di inasprire in molti campi. Vogliamo che si imiti in sanità il sistema a punti per conservare la possibilità di guidare. Tutte le persone con patente di guida in caso di errore, pagano con la detrazione di punti, oltreché col risarci-mento dei danni e in caso di colpa grave con il penale. Se invece sei un autista virtuoso ti vengono accreditati più punti. Chi perde tutti i punti non può più guidare un’auto ma deve dimostrare nuovamente di saper guidare in sicurez-za. Questo può essere un ottimo sistema per mantenere la ‘patente di cura’: speriamo che taluni, avendo ottenuto il titolo di guaritore, non blocchino questa proposta. Chi passa con il rosso per 3 volte in un incrocio – anche senza provocare incidenti – perde la possibilità di guidare e deve dimostrare nuovamente le sue capacità. Perché in campo sanitario nessuno sanziona e verifica seriamente se la patente di cura è ancora valida? Perché il paziente e il contribuente non possono sapere se si stanno rivolgendo a un medico serio e preparato che ha conservato per me-rito la patente di cura, oppure a un semplice ex titolare di laurea in medicina che deve recuperare i punti se vuole curare? Perché nessuno paga i danni dovuti a inadem-pienza contrattuale? Danni che si subiscono per la dia-gnosi tardiva, per le complicanze e per la morte che sta diventando sempre più frequente.

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Perché la mala politica oltre che i direttori generali, i diret-tori sanitari e i direttori amministrativi, pretende di nomi-nare anche primari, assistenti, medici, infermieri, ausiliari e quanto altro pur di avere le mani sulla salute di tutti, a prescindere dalla reale capacità professionale degli addet-ti? Come mai questi stessi politici non si affidano ai loro protetti per curarsi? La beffa!!! Noi tutti attraverso lo Sta-to e le regioni paghiamo indistintamente il gettone sia al medico serio professionista che al laureato in medicina che ha perso tutti i punti della sua patente di cura. Una verifica seria eliminerebbe dalle corsie degli ospedali, e dalle strade dei nostri percorsi terapeutici, chi ha perso la patente di cura perché non ti sa e non ti vuole curare. L’attuale burocrazia della scelta a occhi chiusi e soprattut-to la delega alle regioni di pagare il gettone anche a chi non sa o non vuole lavorare e migliorarsi nel lavoro, promuove solamente la lottizzazione dei malati. La nostra proposta è la meritocrazia e l’istituzione di una patente di cura. I pazienti attraverso la loro scelta potranno essere i principali esaminatori e dispensatori di punti di merito che consentano di mantenere la patente di cura. Con la tessera sanitaria utilizzabile in tutto il territorio na-zionale e con la possibilità di scelta libera del professioni-sta sanitario in ogni momento e per qualunque area sani-taria, il malato di diabete (ma non solo) potrebbe premia-re direttamente il medico di propria fiducia scegliendolo, mentre alla ASL di competenza spetterebbe il solo compi-to di pagare la prestazione; solo in un primo tempo po-trebbe essere utile un limite di spesa mensile per i presìdi necessari nella cura delle malattie croniche. Insomma il paziente contribuente vuole la medicina pre-ventiva e non vuole solo contribuire a pagare per rimedia-re danni evitabili. Dopo 40 anni di Servizio Sanitario Nazionale proponia-mo di cambiare radicalmente a favore di un sistema libe-

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rare e meritocratico che riconosca al cittadino il diritto di scelta (e di premio) e lasci al Servizio il compito di fare rete fra operatori privati e pubblici, e dia agli Ospedali il solo compito di curare gli ospedalizzati. È necessario avere: 1. una tessera magnetica utilizzabile nel territorio naziona-le, sia in strutture pubbliche che private, per ogni tipo di prestazione sanitaria; 2. un prontuario di farmaci e prestazioni sanitarie, scienti-ficamente valido e consultabile on-line da tutti e facilmen-te; 3. il superamento delle differenze fra pubblico e privato e quindi del sistema delle convenzioni. È il cittadino che sceglie liberamente da chi farsi curare con lo stesso costo per lo Stato/Regione. Il costo rimborsabile dallo Sta-to/Regione deve essere riconosciuto per singola presta-zione sanitaria a tutti gli operatori sanitari che abbiano i due requisiti necessari per lavorare in ambulatori privati: essere regolarmente iscritti all’albo professionale; operare in struttura costruite secondo legge; 4. maggiore informazione indipendente ed obbligatoria per tutti gli operatori scientifici. Obbligo per Istituti di ri-cerca, Università, di stabilire un prezziario per l’accesso, da parte dei loro ex studenti o di chi volesse aderire, al da-ta base di letteratura consultabile nella loro rete web; 5. una cartella clinica elettronica collegata alla tessera ma-gnetica sanitaria; 6. la patente a punti di cura; 7. un sistema di valutazione epidemiologico dei risultati raggiunti nella cura dei pazienti trattati collegato alla valu-tazione dei punti di cura raccolti; 8. una tabella di punti da scalare per ogni errore ed omis-sione nella cura e/o nella organizzazione della cura e della prevenzione;

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9. corsi per esami di recupero punti patente di cura presso le università e presso le associazioni di pazienti della pato-logia oggetto degli errori di cura e/o gestionali». 7. Muoversi molto e mangiare bene. Nel frattempo continuava sempre intensa l’attività nelle scuole e a favore dei malati in età minore. Il 21 maggio 2008 si tenne a Cagliari, pres-so il 17° Circolo didattico di via Castiglione, l’incontro conclusivo con le classi quarte elementari che avevano seguito un corso organizzato per realizzare un “Progetto di educazione alla salute” che aveva come motivi condut-tori due semplici affermazioni: «Viva l’attività motoria; Viva mangiar bene». Alla fine delle attività i ragazzi avevano regalato all’ADMS una lettera in forma di poesia:

Cari babbo e mamma, dieci dodici punture al giorno mi fanno soffrire, non piangete non è colpa vostra. Sogno la ricerca: quella che lavora in silenzio, che non grida, che non abbaglia, che non promette; sono sicuro: diminuirà le mie sofferenze, cancellerà i vostri sensi di colpa. Siamo i piccoli e le piccole con diagnosi di diabe-te, vogliamo ringraziare tutte le mamme e tutti i babbi per le notti che non dormite, per i sacrifici che dovete affrontare per farci crescere bene.

L’ADMS si è sempre impegnata su questo tema, sulla base della convinzione che l'educazione alimentare riveste un

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ruolo di primaria importanza nella formazione del bam-bino. D’altra parte può essere attuata in forma gradevole perché ha un carattere multidisciplinare e, visto che la produzione e il consumo degli alimenti hanno assunto in ogni civiltà una vasta gamma di significati, hanno un grande valore culturale. Ogni bambino che sarà così mes-so sulla giusta strada porterà con sé per sempre un baga-glio di conoscenze e comportamenti che gli permetterà di orientarsi autonomamente nella scelta di un corretto stile di vita. Questo insegnamento ha una grande valenza educativa, visto anche che i comportamenti alimentari assumono nell’adolescenza particolare rilievo insieme ad una grande attenzione per il proprio corpo. D’altra parte si ritiene opportuno trattare questa partico-lare tematica nella scuola elementare perché si riscontra una decisa tendenza all’abbassamento dell’età in cui com-paiono i disturbi della condotta alimentare: è indispensa-bile attuare per tempo i necessari interventi educativi e, tra i luoghi migliori per effettuare la prevenzione, la scuo-la è la sede migliore, perché c’è una moltitudine di ragazzi già a rischio. E bisogna approfittare di un periodo in cui è più facile interessare e coinvolgere le famiglie, per un ver-so, e fare leva sulla collaborazione degli insegnanti, per l’altro. 8. In vacanza con “Piccoli passi”. Nel successivo mese di set-tembre P. G. dava notizia di un soggiorno estivo organiz-zato per i ragazzi diabetici di Alghero, e annunciava un incontro riservato ai genitori: «BAMBINI DIABETICI. UN INCONTRO CON I GENITORI. Dopo il successo del soggiorno estivo dedicato ai ragazzi dai 6 ai 17 anni, in collaborazione con la Cooperativa so-ciale ‘Piccoli passi’, e la Pediatria di Alghero, è emersa l’esigenza di organizzare una giornata in favore delle fa-miglie con bambini diabetici fino ai 7 anni.

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Domenica 14 settembre si terrà al Surf Camp di Porto Ferro un incontro organizzato dall’ADMS con le famiglie. La ‘Piccoli passi’ si occuperà dell’assistenza ai bambini. All’incontro prenderanno parte due medici della Pediatria di Alghero e della Clinica pediatrica di Sassari. Sicura la presenza anche di una psicologa e di una nutrizionista. Durante l’incontro verranno affrontati alcuni temi, in par-ticolare le problematiche di gestione della malattia nei primi anni di vita del diabetico». 9. La merenda migliore. Il 25 ottobre del 2008 Piero Garau riferiva di un incontro con i genitori organizzato a Sassari dall’ADMS per trattare ancora una volta il tema dell’alimentazione dei bambini, diabetici, e in particolare quello della merenda: «DIABETE E BAMBINI: ECCO LA TE-RAPIA DELLA MERENDA. Alimentazione nel paziente dia-betico prescolare. La serata d’incontro è finita, per ognu-no dei partecipanti, con confezioni di biscotti, bibite, suc-chi, pane, acqua. La nutrizionista Domenica Obinu e la dottoressa Lidia De Luna del reparto Pediatria dell’Ospedale civile di Alghero hanno offerto la loro con-sulenza leggendo ed esaminando il contenuto dichiarato nelle etichette dei singoli prodotti. ‘L’alimentazione, insieme all’attività motoria e all’insulina – spiega Michele Calvisi, presidente dell’Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna –, è il cardine della terapia del diabete, e non è differente da quella del bam-bino sano. Deve essere equilibrata e fornire tutte le calo-rie e sostanze nutritive indispensabili alla sua crescita’. In particolare i presenti all’incontro hanno voluto affron-tare il tema della merenda: è importante perché, se non si mangia nei giusti orari nella giusta quantità, si va incontro allo scompenso glicemico. ‘Questa problematica non è propria solo dei bambini dia-betici – aggiunge Calvisi –, ma anche dei cosiddetti bam-bini sani, nei quali con il passare del tempo si rilevano

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problemi di sovrappeso e obesità che determinano, nella maggior parte delle volte, malattie metaboliche’. I bambini, come riportato da una recente ricerca alimen-tare, sono troppo spesso attratti da alimenti industriali come merendine e snack, proposti dalla pubblicità, men-tre sarebbe da incentivare l’assunzione di frutta possibil-mente di stagione. ‘Pertanto il ruolo educativo e l’esempio personale offerto dai genitori – conclude Calvisi – sono importanti per promuovere corrette abitudini alimentari e motorie’». 10. La Giornata mondiale. Nel successivo mese di novem-bre, all’avvicinarsi della Giornata mondiale del diabete, l’ADMS emanava un documento di protesta per la deci-sione che era stata presa di illuminare per l’occasione un grande numero di monumenti: «ILLUMINARE LE MENTI È PIÙ UTILE CHE ILLUMINARE I MONUMENTI. Nella Giorna-ta mondiale del Diabete del 15-16 novembre 2008, sotto l’alto Patrocinio della Presidenza della Repubblica, con il patrocinio del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministeri del Lavoro, Salute, Politiche Sociali; Istruzione, Università e Ricerca; Politiche Agricole, Alimentari e Fo-restali; Politiche per i Giovani e Croce Rossa Italiana (a cui faremo pervenire questo documento); con la sponso-rizzazione di tutte le case che producono farmaci o stru-menti per la cura e la gestione della malattia del diabete, si è voluto festeggiare illuminando soprattutto monumenti. Il coinvolgimento delle maggiori cariche istituzionali e dei ministeri, e i soldi dati dalle case farmaceutiche, che au-menteranno il costo del farmaco per una cosi miserabile manifestazione, ci ha offesi come persone e indignato come malati, quando spesso non riusciamo a comprarci le strisce reattive perché quelle che passa il Servizio Sanita-rio Nazionale sono realmente poche per un monitoraggio serio e completo del diabete di tipo 1.

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Ancora una volta si è preferito abbagliarci con una mani-festazione con costi altissimi, piuttosto che incontrare re-almente il disagio di vivere delle persone, delle famiglie, della scuola e del sociale, che tutti i giorni devono con-frontarsi con questa patologia, senza il minimo supporto delle su indicate Istituzioni. Naturalmente siamo convinti che illuminare le menti è più faticoso, ma più utile, che illuminare i monumenti». Il giorno della ricorrenza, faceva sapere N. N. in un arti-colo del giorno 11, l’ADMS sceglieva quell’anno di cele-brare la Giornata mondiale del diabete ad Alghero, occu-pandosi dei bambini e degli adolescenti: «DIABETE, SPORT E CONVEGNI PER CONOSCERLO. Alghe-ro è tra le sedi per la Giornata mondiale del diabete, in programma domenica. Il 2008 è l’‘Anno internazionale del bambino e dell’adolescente con diabete’ e in particola-re al diabete di tipo 1, al quale è dedicata la giornata inti-tolata ‘Esercitiamoci a sconfiggere il diabete’. «Nel Nord Sardegna si è scelta Alghero come sede per le manifestazioni che si svolgeranno domenica, dalle ore 9,30 nella palestra di via Pacinotti, dove si affronteranno due squadre di pallacanestro comprendenti medici e atleti diabetici. Al termine della partita si svolgerà nell’aula con-siliare in via Columbano un dibattito al quale partecipe-ranno alcuni diabetologi, il presidente del Consiglio co-munale Antonello Muroni e l’assessore allo Sport Gian-franco Becciu. L’incontro affronterà il tema della preven-zione del diabete e dell’utilità dell’esercizio fisico. Nel corso del dibattito sarà distribuito materiale informativo e verranno date informazioni sui rischi di diabete. La possibilità di prevenire il diabete di tipo 2 con un cor-retto stile di vita è uno degli aspetti più significativi che vengono sottolineati dai diabetologi delle ASL di Olbia e di Sassari e dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Sas-sari e dall’ADMS».

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11. Diabete e celiachia, origine comune. Anche senza certezze scientifiche l’ADMS ha sempre operato in favore delle persone in difficoltà. In questo caso le problematiche per le persone con diagnosi di diabete e celiachia sono di tipo alimentare con conseguente disagio sociale. Indirettamen-te anche la ricerca ci conforta. Diabete e celiachia: ci sa-rebbe un comune denominatore tra il diabete di tipo 1 e la celiachia, una delle più comuni malattie infiammatorie croniche intestinali caratterizzata dall'intolleranza al gluti-ne. A determinare l'insorgenza di entrambe contribuireb-bero meccanismi simili e comuni fattori ambientali. Lo evidenzierebbe una ricerca del Cambridge Institute for Medical Research dell'Università di Cambridge, ne dava notizia nel gennaio 2009 la rivista inglese “Health Day News”. Mentre gli studi precedenti avevano individuato delle correlazioni tra il diabete di tipo 1 e la celiachia, i nuovi risultati dei ricercatori inglesi individuano una vera e propria sovrapposizione. Il diabete di tipo 1 e la celiachia sono considerati entram-bi patologie autoimmuni, dovute ad alterazioni del siste-ma immunitario che reagisce “contro se stesso”. Nel dia-bete di tipo 1 il corpo attacca le cellule beta del pancreas che producono insulina, nella celiachia è il piccolo intesti-no ad essere danneggiato. Molte persone con diabete di tipo 1 sono anche celiache e viceversa. Secondo gli autori dello studio, il piccolo intestino e il pancreas condividerebbero molte caratteristiche. Per que-sta ricerca gli autori hanno analizzato il DNA di 8064 persone con diabete di tipo 1, 2828 famiglie (genitori e bambini) con celiachia, 9339 soggetti di controllo, cioè individui senza celiachia né diabete. Nelle persone che presentavano entrambi i disturbi sono state individuate diverse “regioni” che sarebbero coinvolte nella regolazio-ne dei processi che interferiscono con le normali funzio-nalità del sistema immunitario. Lo studio ha cercato poi di individuare alcune delle cause per cui le malattie au-

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toimmuni sono in aumento e di ipotizzare quali possano essere i fattori ambientali che ne determinano la diffusio-ne. Secondo il commento degli esperti, sarà importante approfondire se negli individui celiaci, geneticamente predisposti al diabete di tipo 1, l'assunzione di alimenti senza glutine avrà degli effetti sull'abbassamento del ri-schio. 12. Mani in pasta. Nell’aprile del 2009 l’ADMS diede vita a Sassari a un corso di cucina senza glutine che venne inti-tolato “Mani in pasta”. Ai partecipanti venne affiancato un esperto incaricato di seguire ogni fase del lavoro, che consisteva nell’impastare la farina senza glutine per poi preparare vari tipi di pane e di pizza. La manifestazione registrò una grande partecipazione di pubblico. Grazie ad un’efficace campagna di informazio-ne attraverso la stampa e la tv poterono partecipare anche celiaci di altri comuni della provincia – Bultei, Chiara-monti, Ozieri, Alghero, Usini, Ploaghe – giunti con il proposito di portare in un secondo tempo, sempre in col-laborazione con l’ADMS, il corso “Mani in pasta” nei loro paesi.

Furono oltre 35 le persone che si cimentarono nella lavorazione dell’impasto con la consulenza di un cuoco e secondo i consigli di alcune partecipanti già e-sperte. Si dovettero quindi affrontare i problemi della la-vorazione casalinga della farina senza glutine, e quelli che nascono dalla difficoltà a realizzare i prodotti tipici della cucina tradizionale. Da tutto questo scaturì l’esigenza di approfondire meglio, in una successiva occasione, i modi della lavorazione degli impasti per la realizzazione di dolci e paste violate. Il corso si chiuse col proposito di orga-nizzarne una nuova edizione per tutti coloro che si erano prenotati per quel primo incontro ma che per esigenze di spazio non avevano potuto partecipare

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13. Senza glutine. “La Nuova” del 25 novembre 2002 dava notizia di un’altra iniziativa che aveva interessato gli ope-ratori del settore della provincia di Sassari: «LO CHEF CU-CINA SENZA GLUTINE. LA CONSEGNA DEGLI ATTESTATI AI RISTORATORI. Presso la sala convegni della Confcom-mercio sono stati consegnati gli attestati di partecipazione ai ristoratori che hanno frequentato il Corso di Forma-zione alimentare su celiachia e diabete “Senza glutine, grazie” alla presenza dei responsabili dell'ADMS e della Confcommercio Sezione FIPE [Federazione Italiana Pub-blici Esercizi] di Sassari. «Il Corso, nato dalla collaborazione tra Associazione Dia-bete Mellito Gruppo Celiaci e la Confcommercio Sassari sezione FIPE grazie al cofinanziamento della Fondazione Banco di Sardegna, ha visto impegnate oltre 50 persone addette alla ristorazione della provincia di Sassari in tre giornate teoriche e due dedicate alle prove pratiche di cu-cina. In ogni giornata è stato preso in esame un aspetto determinato della celiachia e del diabete, un pediatra dia-betologo di Sassari ha esaminato l'aspetto sanitario delle patologie ed il loro impatto sociale, due nutrizionisti han-no evidenziato l'aspetto merceologico e nutrizionale del problema. La prova pratica si è svolta presso le cucine messe a disposizione dall'ERSU [Ente Regionale per lo Studio Universitario] nella mensa universitaria di via dei Mille. Un cuoco esperto in prodotti senza glutine ha provveduto a sottolineare i rischi di contaminazione tra cibi e prodotti "normali" e prodotti senza glutine, ed ha preparato, usando naturalmente farine senza glutine, pa-ne, pasta, dolci e pizza che sono state assaggiati e giudicati dai presenti. «Il tema della pizza senza glutine ha suscitato particolare interesse negli operatori del settore; un ulterio-re approfondimento sarà presto riservato a questo ali-mento così appetitoso e gradito soprattutto ai ragazzi che vivono in pizzeria i primi momenti di libertà».

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TRASPORTI E IL LAVORO 1. L’amico muto. Una parte delle problematiche che impe-gnano e hanno impegnato moltissimo l’Associazione so-no quelle relative al lavoro e ai relativi aspetti burocratici: la normativa crea infatti numerose discriminazioni per chi non risponde perfettamente ad alcuni requisiti. In particolare per le persone con diabete la burocrazia di-venta spesso un muro invalicabile. Ad esempio per avere una patente che, in una regione come la nostra dove i tra-sporti pubblici sono, a dir poco, carenti, diventa un inso-stituibile strumento per poter lavorare. In più di un caso abbiamo ricevuto le richieste di aiuto da parte di cittadini che si trovavano di fronte a problemi diversi, legati a vol-te al lavoro, a volte alla concessione e al rinnovo della pa-tente; e l’Associazione è stata costretta a intervenire con azioni di denuncia sia sui mezzi di informazione che con lettere indirizzate alle diverse procure, ma anche promuo-vendo cause legali, nell’intento di combattere quelle che erano, e purtroppo a volte sono ancora, delle vere e proprie ingiustizie e privazione dei diritti civili fondamen-tali. Nel marzo del 2009, ad esempio, l’ADMS inoltrò al mini-stero dei Trasporti (dipartimento dei Trasporti terrestri, direzione generale della Motorizzazione) la lettera indiriz-zata al sindaco e al presidente dell’Azienda dei trasporti pubblici (ATP) da una ragazza con gravi problemi di de-ambulazione che periodicamente raggiungeva la sede per fare volontariato, ma soltanto quando si rendeva disponi-bile un'altra volontaria per trasportarla: «Sono una giova-ne disabile costretta in sedia a rotelle e scrivo in merito all’erogazione del servizio ‘Amico Bus’ da Voi offerto a favore delle persone disabili o con problemi di natura psi-co-motoria.

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«Sono convinta come Voi che questo sia un servizio mol-to utile al cittadino ma mi domando se sia veramente va-lido per tutti i cittadini, mi riferisco infatti anche a perso-ne che come me hanno sette scalini all’ingresso del palaz-zo, un ascensore minuscolo in cui è impossibile accedere con la sedia a rotelle e a cui soprattutto manca un aiuto per attraversare queste barriere. Oltretutto mi trovo nella condizione di abitare da sola con mia madre che ha evi-denti difficoltà nel darmi una mano anche a livello di for-za fisica. E allora mi chiedo se questo bus è veramente amico di tutti i disabili o solo di quelli che hanno la possi-bilità di avere un sostegno a priori. A proposito dei miei spostamenti, per cui avrei bisogno di sostegno in tal sen-so, c’è ad esempio quello per quanto riguarda il volonta-riato da me praticato all’ADMS onlus la cui sede si trova in via Elio De Cupis 24, luogo che ho sempre raggiunto grazie a persone che mi vengono a prendere a casa. Per ovvi motivi di riservatezza, vi metterò a conoscenza dei dati personali per una eventuale soluzione del pro-blema». Il 24 marzo del 2009 la questione veniva ripresa sul quotidiano locale, dopo che erano stati sentiti i pareri di Michele Calvisi e del presidente dell’ATP, in un articolo siglato a. pa.: «AMICO BUS, PER ME UN DIRITTO NEGATO. Lo definisce ‘Amico muto’ perché non dialogherebbe con le barriere architettoniche. L’‘Amico Bus’, il servizio di trasporto per disabili attivato con successo dall’ATP, che con i suoi bus a chiamata serve 280 utenti, viene accusato da una giovane costretta in sedia a rotelle da una grave malattia invalidante che lamenta di non poterlo utilizzare perché impossibilitata a raggiungere il mezzo sotto casa: abita al settimo piano, la carrozzina non entra nell’ascensore. E dall’ingresso al marciapiede ci sono sette gradini. Ma il presidente dell’ATP, Leonardo Marras, ri-corda: ‘La nostra Azienda di trasporti ha avuto il merito di attivare un servizio che mancava e ora è apprezzato da

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tutti. Siamo disponibilissimi a collaborare, ma non abbia-mo persone abilitate per svolgere quel compito’. La giovane si reca spesso nella sede dell’ADMS, a San Giovanni, dove fa volontariato. E in una lettera indirizza-ta all’ATP e al sindaco Ganau si dice ‘convinta che questo sia un servizio molto utile al cittadino. Ma mi domando se sia veramente valido per tutti, anche per persone che hanno le mie difficoltà, acuite dal fatto di abitare da sola con mia madre che ha evidenti problemi nel potermi darmi una mano. E allora mi chiedo se questo ‘Amico Bus’ è veramente amico di tutti i disabili o solo di quelli che hanno un sostegno’. «Michele Calvisi, presidente dell’ADMS sassarese: ‘Ho investito della questione anche il Ministero dei Trasporti, che l’ha giudicata ‘curiosa’. Non voglio incolpare ‘Amico Bus’, ma credo che il servizio possa essere migliorato’. ‘In via del tutto eccezionale, perché non sarebbe nostro compito’, spiega Marras, ‘abbiamo a bordo del mezzo una persona che aiuta a salire e scendere l’utente e dà una ma-no durante il viaggio, ma di più non siamo autorizzati a fare. Noi forniamo solo il trasporto. La procedura è sem-plice: si telefona la sera prima per la prenotazione e ci si accorda su ora e posto. Nel regolamento della concessio-ne regionale è previsto che il disabile possa farsi accom-pagnare da altre persone (che pagano il biglietto di 0,80 euro, una cui quota copre anche l’assicurazione). Ma non possono chiederci di bloccare per diverso tempo il mezzo (e quasi sempre il traffico) per mandare su per le scale un operatore, che non ha l’abilitazione. Se accade qualcosa chi ne risponde? È piuttosto un problema che riguarda i servizi sociali. Mi risulta che un disabile in determinate condizioni abbia diritto a un assistente. Se poi ci venisse proposto di ospitare a bordo un’associazione di volonta-riato che si incarica di quest’opera saremmo ben felici di parlarne’».

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2. Discriminazione sul posto di lavoro. Il 14 maggio del 2009 arrivava all’ADMS la lettera di G. M., un addetto del setto-re commerciale che lamentava un cattivo trattamento da parte del datore di lavoro, tale da rasentare il mobbing: «Sono un lavoratore dipendente e da 21 anni presto opera presso un supermercato di una società affiliata ad una no-ta catena di distribuzione. Sono affetto da diabete mellito tipo 1, insulinodipendente con complicanze che hanno portato al riconoscimento dell’invalidità e al mio inqua-dramento come categoria protetta con i benefici della leg-ge 104. Nel corso degli anni ho svolto diverse mansioni con incarichi anche di responsabilità commisurati all’inquadramento e al ruolo, dando la mia disponibilità, ogni qualvolta richiesta, a prestazioni anche di responsa-bilità superiore cercando di svolgere i compiti assegnati con diligenza e impegno con risultati da sempre apprezza-ti dal gruppo dirigente dell’azienda. «Nel mese di ottobre del 2008, a seguito di una riorganizzazione aziendale, il gruppo decideva di affidare la gestione del punto vendita al legale rappresentante della ditta che già da due anni a-veva rilevato il punto vendita e il personale addetto. Questo cambiamento ha comportato una serie di tra-sformazioni sia nell’affidamento delle mansioni da svolge-re sia nell’atteggiamento nei miei confronti da parte del preposto che in ripetute occasioni ha manifestato o indi-rizzato nei miei confronti il suo disappunto senza che ci fossero comportamenti differenti da quelli abitualmente tenuti nei 21 anni precedenti. La sua attenzione nei miei confronti ha iniziato a manifestarsi in maniera più pres-sante a partire dal mese di febbraio del corrente anno. Venivo infatti continuamente spostato di reparto, riceve-vo sommarie disposizioni lavorative che mi affidavano compiti che non tenevano conto delle esigenze che na-scevano dalla mia condizione patologica.

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Ho sempre accettato le direttive aziendali senza discuter-le, anche quando non veniva consentita un’adeguata pre-parazione né alcun affiancamento per lo svolgimento dell’incarico affidato, che rimaneva temporaneo e del qua-le non mi veniva data alcuna comunicazione al fine di de-limitare l’eventuale livello di responsabilità o differenziar-la da quella degli altri addetti al reparto con i quali non veniva mai effettuato un passaggio di consegne. L’affidamento del servizio inoltre non teneva mai conto della oggettiva condizione patologica procurando pro-blemi di carattere psicologico e alterazioni dell’equilibrio fisico (ripetute anomalie delle glicemie nel corso della stessa giornata dovute a eccessivo logorio di tipo fisico e alla mancanza di adeguati intervalli o pause di controllo). Pertanto a partire dal mese di febbraio ho iniziato a rice-vere con una certa continuità lettere di richiamo per pre-sunte manchevolezze che non erano mai state contestate a nessuno e che da quel momento venivano imputate so-lamente al sottoscritto, anche quando condivideva con altri lo svolgimento di compiti all’interno del medesimo reparto. Le motivazioni alla base delle lettere non erano mai state contestate al sottoscritto durante lo svolgimento del compito, ma sempre in sede successiva comunicandole a volte ad altri colleghi, con violazione pertanto dei più e-lementari diritti di riservatezza e venendo meno la possi-bilità di tempestiva motivazione dell’eventuale attività prestata da lui ritenuta non adeguata. All’atto del ricevi-mento della prima lettera di contestazione mi sono rivolto al mio rappresentante sindacale per avere una motivazio-ne della contestazione e chiedere tutela. Nella contesta-zione mi veniva imputato di non aver controllato la sca-denza dei prodotti nel banco surgelati, anche se io non ero l’unico addetto alla gestione dello stesso né ho mai

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ricevuto l’incarico formale di controllare le scadenze delle merci, mentre provvedevo direttamente al controllo di quelle che esponevo nel banco vendita. Il rappresentante sindacale, in applicazione di quanto previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro, chiedeva al responsabile a-ziendale un incontro con il lavoratore con l’assistenza del sindacato. Il giorno stabilito da lui per l’incontro, al mo-mento della presentazione in azienda il dirigente ha unila-teralmente disertato l’appuntamento da lui stesso fissato. Successivamente, in una giornata in cui ero assente per malattia, venivo direttamente contattato dal dirigente che mi invitava a presentarmi nella giornata successiva, nella quale ero comunque in malattia senza considerare che il rapporto doveva necessariamente passare attraverso l’organizzazione sindacale. Contemporaneamente riceve-vo una seconda contestazione disciplinare con motiva-zioni equivalenti a quelle della prima, senza nessun ri-scontro di oggettività e senza che le osservazioni da lui fatte abbiano creato delle disfunzioni nella vendita. Suc-cessivamente, svoltosi l’incontro, venivo messo al corren-te di una terza lettera di contestazione e non veniva data nessuna importanza alle giustificazioni da me prodotte e ampiamente motivate in quella sede. Questa meticolosità nel controllare esclusivamente il mio operato e nel rilevare puntualmente solo al sottoscritto eventuali manchevolezze senza che io svolga alcun incari-co o mandato in via esclusiva, si configura come una per-secuzione psicologica ed ambientale che genera alterazio-ni al mio equilibrio psicofisico e non mi consente di svol-gere il mio lavoro con la normalità con cui l’ho svolto nei precedenti anni. L’accanimento con cui sono oggetto delle attenzioni di questo dirigente, non essendo motivato da atti di negli-genza, dolo o colpa grave da parte del sottoscritto che po-trebbero generare danni economici e di immagine

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all’azienda, non trova altro riscontro che in una volontà discriminatoria nei miei confronti, dovuta al mio partico-lare stato psicofisico, alla mia condizione di soggetto clas-sificato categoria protetta e tutelato dalle norme che rego-lano l’invalidità civile, tanto è che la terza contestazione disciplinare mi è stata imputata in una giornata festiva in cui il punto vendita era chiuso e quindi palesemente falsa, oltre che nel contenuto anche nella forma. Ritengo che questo atteggiamento non possa essere sop-portato oltre senza subire ripercussioni che andrebbero ad aggravare il mio stato patologico generando stati de-pressivi che altrimenti non esisterebbero e che si riper-cuotono anche sulla mia efficienza professionale. Da anni seguo con attenzione le iniziative che l’Associazione prende a sostegno dei soggetti che in di-versi luoghi di lavoro subiscono discriminazione per il lo-ro stato. Voglio con questa rafforzare la convinzione della necessità di una azione sempre più incisiva da parte dell’Associazione per rimarcare quanto sia difficile rispet-tare quel principio di uguaglianza che la Costituzione della Repubblica italiana garantisce a tutti i cittadini e che le leggi garantiscono a tutti i lavoratori che contribuiscono allo sviluppo economico e sociale del nostro paese. Certo della Vostra solerte attenzione Vi saluto fraternamente. Con la presente autorizzo il presidente dell’Associazione Michele Calvisi ad utilizzare le informazioni da me fornite come previsto dalle leggi vigenti». L’ADMS si faceva carico della grave questione e il 16 giu-gno inoltrava una lettera-denuncia a una lunga serie di au-torità locali interessate al problema: la Procura della Re-pubblica, il Difensore civico, il comandante dei NAS (Nu-clei Anti Sofisticazione), il direttore generale dell’ASL, il Servizio della ASL per la Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro e l’Ufficio provinciale del Lavoro.

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Avevano inizio le trattative, che si presentavano tutt’altro che semplici. G. M. infatti non poteva essere riassunto nella vecchia sede di lavoro perché si sarebbe trovato al fianco di colleghi che erano stati costretti a testimoniare contro di lui. Il presidente Calvisi gli scriveva nel frattem-po: «Rimango, comunque in attesa della soluzione del ca-so. Se le interessa mercoledì nella trasmissione televisiva ‘Microfoni aperti’ parlerò della grave persecuzione, senza reali motivi, delle persone nel posto di lavoro». Finalmen-te veniva raggiunto un accordo, l’Associazione lo comu-nicava il 14 luglio alle autorità che aveva messo in allarme: «Con riferimento alla nostra lettera datata 16 giugno 2009, siamo lieti di comunicare che tra il nostro socio e la socie-tà datrice di lavoro si è raggiunto un accordo per il com-ponimento amichevole della controversia il cui insorgere avevamo paventato e denunziato per il timore dei gravi danni che avrebbe potuto causare. Detto accordo, pienamente soddisfacente per l’interessato – il quale sottoscrive la presente – anche sotto il profilo della tutela della propria integrità professionale e morale, ha comportato la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con il vecchio datore di lavoro e la contestuale co-stituzione del nuovo rapporto di lavoro alle dipendenze di un altro punto vendita, appartenente allo stesso gruppo imprenditoriale. Siamo certi che presso la nuova sede di lavoro il lavorato-re potrà continuare ad esplicare la propria professionalità e contribuire al progresso della nuova datrice di lavoro. Auspichiamo che tutti i nostri soci possano, in futuro, godere di sensibilità e attenzione alle problematiche dei lavoratori svantaggiati appartenenti alle categorie protette analogiche a quelle oggi manifestate dai nostri interlocu-tori. Nel frattempo erano arrivate dal Ministero del Lavo-ro due note relative alla trasferibilità in aziende diverse

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delle persone iscritte nel registro delle categorie protette. Il presidente Calvisi le inoltrava a G. M. lo stesso giorno, 14 luglio. Questi i due testi: «Gentile utente, nella Nota Ministero Lavoro, Direzione Generale Impiego 18 luglio 2002, prot. 972/0110/02, Legge 12/3/99 n. 68. Applicabilità dell'Istituto del ‘pas-saggio diretto’, si ritiene che la Legge n. 68/99 non abbia introdotto profili di incompatibilità con l'istituto del pas-saggio diretto così come non sembra preclusiva per la praticabilità la circostanza che la legge stessa detti norme di tutela per persone con disabilità disoccupate (come an-che la Legge n. 482/68), considerato che, sebbene sia comunque necessario il nulla osta dell'Ufficio competen-te, il ‘passaggio’ non può che intendersi rivolto solo a la-voratori occupati. Pertanto, anche sotto la vigenza della nuova normativa, al Ministero del Lavoro non sembrano essere venuti meno, sotto il profilo sostanziale, i presupposti che in passato lo hanno indotto ad assumere gli orientamenti espressi nella Circolare n. 62/96, che si ritengono tuttora validi ed ap-plicabili, con le limitazioni precedentemente codificate, che di seguito si ripropongono: «il rapporto con l'Azienda dalla quale il lavoratore intende distaccarsi deve risultare instaurato ai sensi delle norme che disciplinano il collo-camento obbligatorio; il lavoratore deve aver svolto presso l'Azienda cedente ef-fettive prestazioni lavorative, la cui durata è da valutarsi alle obiettive esigenze dell’Azienda, anche in relazione alle condizioni di disabilità del lavoratore, nonché e comun-que non sia inferiore alla durata del periodo di prova sta-bilito nel Contratto collettivo di lavoro applicabile; «il numero, la frequenza e le circostanze dei passaggi di A-zienda, effettuati in un determinato periodo di tempo dal-le imprese interessate, valutati in rapporto agli avviamenti di personale disposti nello stesso periodo, non devono

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costituire la forma abituale o prevalente delle assunzioni obbligatorie; il lavoratore deve essere assunto nella nuova Azienda con le stesse od analoghe mansioni svolte precedentemente presso l'Azienda cedente. Infine, quanto alle perplessità manifestate in ordine alla possibilità di conteggiare tali passaggi nell'ambito della quota nominativa, qualora questa sia stata completamente utilizzata, il Ministero del Lavoro esprime l'avviso che l'e-sigenza primaria di salvaguardare l'occupazione, oltre all’opportunità di rendere più flessibile il mercato del la-voro, rendano possibile consentire, in via del tutto ecce-zionale e unicamente in tale fattispecie, il superamento della quota percentuale di assunzioni nominative». «Nota Ministero Lavoro, Direzione generale Impiego 18 luglio 2002. Legge 12 marzo 99 n. 68. Applicabilità dell'I-stituto del “passaggio diretto”, Legge n. 68/99, Adempi-mento dell'obbligo di assunzione da parte dei datori di la-voro. Per i datori di lavoro pubblici e privati l’obbligo di assunzione si determina calcolando il personale comples-sivamente occupato. Il computo della quota di riserva si effettua dopo aver provveduto all’esclusione del persona-le per il quale gli obblighi di assunzione non sono operan-ti. I datori di lavoro privati che occupano da 15 a 35 di-pendenti, quando procedono ad una nuova assunzione, entro 12 mesi decorrenti dalla nuova assunzione, hanno l’obbligo di assumere un lavoratore disabile. Qualora du-rante il predetto arco temporale l’impresa effettui un’altra assunzione, l’adempimento dell’obbligo dovrà avvenire contestualmente, anche prima della suddetta scadenza. Non sono considerate nuove assunzioni che determinano incrementi di personale quelle dovute al turn-over del personale cessato (assunzione seguita da cessazione entro 60 giorni); quelle in sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto nonché le assunzioni effettuate ai sensi della legge 68/99. I contratti a termine

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con durata non superiore a 9 mesi, i contratti di forma-zione lavoro e i contratti di apprendistato non sono da considerarsi incrementi solo fino alla data della loro con-ferma». L’Associazione, sentiti i propri legali, predispose un do-cumento che aveva lo scopo di informare le persone inte-ressate sulla normativa e sulle modalità da seguire per ot-tenerne l’applicazione: «RICHIESTA DI ASSUNZIONE. I da-tori di lavoro devono presentare agli uffici competenti la richiesta di assunzione entro sessanta giorni dal momento in cui sono obbligati all’assunzione dei lavoratori disabili. Il termine di sessanta giorni decorre dal giorno successivo a quello in cui insorge l’obbligo. In caso di impossibilità di avviare lavoratori con la qualifica richiesta, o con altra concordata con il datore di lavoro, gli uffici competenti avviano lavoratori di qualifiche simili, secondo l’ordine di graduatoria e previo addestramento o tirocinio. La richie-sta di avviamento al lavoro si intende presentata anche attraverso l’invio agli uffici competenti dei prospetti in-formativi da parte dei datori di lavoro. Gli uffici competenti possono determinare procedure e modalità di avviamento mediante chiamata con avviso pubblico e con graduatoria limitata a coloro che aderisco-no alla specifica occasione di lavoro; la chiamata per avvi-so pubblico può essere definita anche per singoli ambiti territoriali e per specifici settori. Ove l’inserimento richie-da misure particolari, il datore di lavoro può fare richiesta di collocamento mirato agli uffici competenti, ai sensi de-gli articoli 5 e 17 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nel caso in cui non sia stata stipulata una convenzione d’integrazione lavorativa di cui all’articolo 11, comma 4, della legge 68/99. Qualora l’azienda rifiuti l’assunzione del lavoratore invalido, la Direzione provinciale del lavo-ro redige un verbale che trasmette agli uffici competenti.

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Il verbale suddetto viene trasmesso all’autorità giudiziaria solo per le mancate assunzioni da parte delle pubbliche amministrazioni». 3. Gli scherzi dell’etilometro. Nel luglio del 2009 veniva alla luce un altro grave inconveniente a carico dei diabetici: il personale addetto all’uso degli etilometri non è a cono-scenza che i valori dello strumento vengono falsati da questo tipo di malattia. La prima denuncia arrivò da un diabetico della penisola: «Buon giorno. Vi scrivo questa email, per segnalarvi il mio caso personale, e per chiedervi se vi era già stato se-gnalata questa grave problematica. Sono affetto da Diabe-te mellito di tipo 1, dal dicembre 2007, e mi trovo ancora in fasi molto altalenanti di glicemia, soprattutto nell'attivi-tà sportiva. La scorsa domenica, dopo una rilevazione di ipoglicemia (e conseguente ingerimento di 3 bustine di zucchero), cir-ca 30 minuti dopo, a seguito di un leggero tamponamen-to, mi è stato praticato il test dell'etilometro. Premetto che era stata una giornata ‘sportivamente’ attiva, con tre situazioni di leggere ipoglicemie, e con conse-guente assunzione di zuccheri e carboidrati (panini). Al momento dell'esame mi è stato riscontrato un indice di 2,04, e dieci minuti dopo 2,2. A fronte di questi risultati inaspettati e sorprendenti (avrei dovuto barcollare e non riuscire a stare neanche in piedi) ho richiesto insistentemente alle forze dell'ordine presenti la possibilità di effettuare subito un prelievo del sangue presso il locale ospedale di Monfalcone (GO), distante due chilometri e mezzo. Mi è stato risposto che non era possibile, in quanto non ero ferito e quindi non ero impossibilitato a effettuare il test del etilometro, e che, anche se avessi richiesto imme-diatamente il prelievo del sangue, non sarebbe comunque

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stato effettuato; e, se mi rifiutavo di farlo, sarebbe stata considerata ammissione di colpa. Mi sono recato autonomamente immediatamente presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale, e sono stato anche rag-giunto da uno degli agenti che aveva rilevato il mio test alcolemico. Il pronto soccorso era vuoto, e di fronte alla presenza anche dell'agente mi è stata rifiutata più volte da parte del medico di turno, nonostante la mia ripetuta insi-stenza, la possibilità di effettuare un’analisi del sangue. Ho spiegato chiaramente la mia tipologia di malattia dia-betica, il caso in cui mi stavo trovando, lo stato di ipogli-cemia, il fatto che non avendo ingerito alcolici mi erano stati rilevati quei valori elevatissimi, ma non è servito as-solutamente a nulla. Il rifiuto è stato totale, e quindi non ho potuto in nessun modo dimostrare la mia sobrietà in maniera sicura e certa, effettuando le analisi del sangue, e di conseguenza dimostrare che il risultato dell'etilometro era completamente falsato a causa delle mie situazioni di ipoglicemie risultanti nel pomeriggio e alla sera. Ora, dopo avere raccolto informazioni sulla chetosi, dal mio diabetologo, da internet, da medici legali, sto prepa-rando un ricorso, e quindi se vi fossero stati già segnalati casi simili, vi sarei grato di poterne avere notizia. L'unica notizia certa che ho è che se un diabetico (non fe-rito) si rifiuta di espirare nell'etilometro, e chiede imme-diatamente la possibilità di effettuare un prelievo del san-gue per le analisi alcolimetriche, gli viene negato. A disposizione, confidando in un vostro interessamento, porgo cordiali saluti». Questa denuncia dava al presidente Calvisi l’occasione di indirizzare, il giorno 29, una lettera ai ministeri dei Tra-sporti, del Lavoro, della Salute e degli Interni, nonché ai direttori degli organi d’informazione:

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«Con molto rammarico, ma con altrettanta determinazio-ne ancora una volta devo ribadire la ‘superficialità’ delle Istituzioni (in questo caso i ministeri dei Trasporti, del Lavoro, della Salute e degli Interni) nei confronti delle persone con diagnosi di diabete insulino dipendente. Un nostro socio ci ha riferito la sua vicenda riguardante l’utilizzo dell’etilometro in seguito a un lieve tampona-mento. A questo punto riportava la lettera del diabetico, poi ri-prendeva: Signori che rappresentate le Istituzioni, siamo indignati e delusi del vostro comportamento, non accet-tiamo che le forze dell’ordine preposte al controllo del va-lore alcolico non conoscano il mezzo che usano, e di con-seguenza emettano immediate sentenze di multa, seque-stro del mezzo e tutte le conseguenze che ne derivano. Riporto solo alcune delle raccomandazioni di chi produce gli etilometri: ‘Tutti gli etilometri in generale, nessuno escluso (profes-sionali e non), rilevano la percentuale di etanolo presente in un campione di espirato ed hanno le seguenti con-troindicazioni (quando non devono essere usati): in presenza della patologia diabete mellito insulino dipen-dente potrebbe verificarsi la produzione di chetoni che può determinare il reflusso di aria gastrica in bocca con-tenente alcol in quantità maggiore a quella realmente pre-sente in circolo e pertanto il risultato del test in tale con-dizione sarà sicuramente falsato; in presenza di patologia diabete mellito insulino dipen-dente: in questo caso è sufficiente consegnare il certificato medico che accerta tale patologia’. Chi realizza gli etilometri consiglia le persone con diagno-si di diabete mellito insulino dipendente di munirsi di cer-tificato medico da consegnare all’occorrenza. Ma questo particolare non è stato divulgato dalle istituzioni preposte e nessuno lo conosce.

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Per superare la grande mole di lavoro delle strutture sani-tarie e dei medici che ci curano (il loro tempo lo utilizza-no quasi esclusivamente per assolvere agli obblighi buro-cratici, trascurando la cura e le persone) – piano terapeu-tico personalizzato, certificato medico specifico per l’asilo, la scuola, la palestra, l’aereo, la nave, l’etilometro ecc. – e tutte le attività immaginabili, propongo al mo-mento della diagnosi di diabete mellito insulino dipenden-te la marchiatura a fuoco indelebile. «Sperando comunque che chi preposto legga almeno le istruzioni per l’uso degli strumenti utilizzati per evitarci abusi e soprusi. Senza rancore, come sempre, cordiali saluti». 4. Il tempo degli Eroi. Nel periodo in cui ci stavamo occu-pando dei problemi dell’etilometro un’operatrice delle forze dell’ordine, venuta a conoscenza di tutta la questio-ne, ci espresse solidarietà a modo suo, con dei versi, per i quali volle però conservare l’anonimato:

So che non è più tempo di Eroi eppure ho giurato col cuore alla patria, so che non è più il tempo degli Dei eppure ho giurato al bene con fede, non è neanche il tempo dei Profeti ma ho giurato fedele e mai sazia per ogni domani. Giuramento antico scolpito nell'umana fede per il futuro dei figli, il mio avvento la mia fede i miei Eroi.

5. La patente restituita. In quegli stessi giorni erano emersi altri casi analoghi. Nel primo la protagonista, una ragazza

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romana, aveva comunque trovato un giudice di pace che le aveva dato ragione. La notizia era riportata sul quoti-diano “La Repubblica” del 17 luglio 2009: «ALCOL TEST, ZUCCHERO DOPO IL DRINK: RESTITUITA PATENTE A RAGAZZA. Il giudice di pace ha annullato l'or-dinanza con cui il prefetto di Roma aveva sospeso la pa-tente ad una automobilista romana per guida in stato di ebbrezza, avendo appurato in corso di causa che l'auto-mobilista, dopo essere stata fermata, ma prima di essere sottoposta ad alcol-test, aveva ingerito dello zucchero (5-6 bustine) per sopperire ad un calo di pressione in atto, fatto questo che aveva determinato l'alterazione dei valo-ri. A renderlo noto è l'avvocato Daniele Stoppello, che ha assistito una ragazza di 32 anni che si era vista sospendere la patente la notte del 23 settembre 2007 dopo che, a se-guito di un incidente avvenuto sul Grande raccordo anu-lare, fu sottoposta dalla Polizia stradale all'esame etilome-trico. All'esito di tale accertamento le fu riscontrato un tasso alcolemico pari a 2,34 g/l e fu per questo sanziona-ta. In seguito il prefetto, a fronte della segnalazione della Po-lizia stradale, ordinò la sospensione della patente di guida dell'automobilista per la durata di 12 mesi. La ragazza quindi, assistita dall'avvocato Stoppello, aveva presentato opposizione all'ordinanza prefettizia in cui il difensore aveva tra l'altro eccepito che il provvedimento era stato emesso in mancanza di un presupposto imprescindibile, ovverosia la guida del veicolo sotto l'effetto dell'alcool. Il tasso alcolemico riscontrato era da imputarsi alla fermen-tazione dello zucchero assunto dall'automobilista quando non era più alla guida dell'autovettura. ‘Il fatto che successivamente fossero stati accertati i valori che portarono alla sospensione della patente non assume rilevanza giuridica poiché la disposizione del Codice della strada punisce unicamente i soggetti che sono alla guida

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di un veicolo in stato di ebbrezza, e cioè nel momento di-namico potenzialmente pericoloso, mentre nel caso trat-tato l'alterazione alcolemica’, ha detto il penalista, ‘ricon-ducibile all’ingestione dello zucchero, avvenne quando ormai la guida era terminata’». Un caso analogo, risoltosi con uguale risultato positivo, si era verificato nel Friuli. Lo riferiva “Il Gazzettino “ di Venezia del 18 luglio 2009: «Era la sera della cena di ‘ma-tura’, era il 2007, e sull’auto guidata da uno studente ventunenne della Bassa Friulana erano saliti amici e un’insegnante. Sulla strada però il gruppetto incrociò una pattuglia della Polizia stradale e gli agenti, nel compiere i loro controlli, avvicinandosi all’abitacolo avvertirono o-dore di alcol, decidendo quindi di sottoporre il conducen-te all’etilometro, test risultato positivo per due volte. Il ragazzo però, assistito dall’avvocato Roberto Scolz, si è opposto al decreto penale di condanna per la guida in sta-to d’ebbrezza e ha chiesto di andare al dibattimento rite-nendo che l’esito fosse risultato falsato per una sua parti-colare condizione. Lo studente infatti è affetto da diabete mellito di tipo 1 e deve assumere necessariamente insuli-na. In base alla documentazione clinica, e accogliendo una richiesta specifica, il magistrato ha disposto una peri-zia medico-legale per chiarire se la malattia potesse de-terminare una falsa positività. È stato incaricato il dottor Carlo Moreschi che nella propria relazione ha messo in luce come, in un soggetto diabetico, possa avvenire pro-duzione di acetone che, a livello organico, può provocare una sussistenza nel fiato di alcol in quantità maggiore di quanto sia realmente stato assunto. Il perito ha escluso che questo fenomeno fosse stato sufficiente a falsare il test, ma ha confermato anche che la somministrazione di insulina e la stessa malattia a loro volta sono in grado di influenzare gli esiti dell’alcoltest.

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Si sono aggiunte le testimonianze dell’insegnante che ha affermato che le quantità di birra bevuta dall’imputato e-rano molto modeste, del titolare del locale dove si era te-nuta la cena, che ha dichiarato di servire esclusivamente birra a bassa gradazione, e degli stessi componenti della pattuglia che hanno spiegato di non aver potuto apprez-zare altri segni che facessero propendere per un’ubriachezza, e si è arrivati a una sentenza di assoluzio-ne con la formula ‘perché il fatto non sussiste’ da parte del giudice Paola Peressini della sezione staccata di Civi-dale del tribunale di Udine (pm Borsetta)».

Prendendo spunto da questi casi e da quello del diabetico della provincia di Gorizia il presidente dell’ADMS Calvisi emanava un comunicato per rendere ancora più chiari a tutti gli interessati i termini della que-stione. Ne dava notizia il quotidiano locale del 10 agosto 2009: «DIABETICI NEI GUAI CON L’ETILOMETRO. Il test con l’etilometro su automobilisti diabetici potrebbe essere falsato. Lo scrive l’Associazione Diabete Mellito e Celia-chia Sardegna, sostenendo che gli strumenti in uso alle forze dell’ordine ‘sono sensibili all’insulina e quindi c’è il rischio che l’esame risulti alterato’. La colpa – è scritto nel comunicato dell’Associazione – è dell’elevata produzione di alcuni composti organici (i chetoni) che sballerebbero l’apparecchiatura.

Il presidente dell’ADMS, Michele Calvisi, ha segnalato con un comunicato un episodio accaduto nei giorni scorsi a uno dei soci: ‘Un giovane è stato sottoposto al test dell’etilometro dopo un lieve tamponamento, aveva avuto una giornata sotto l’aspetto sportivo molto attiva, con tre situazioni di leggere ipoglicemie e con la conseguente as-sunzione di zuccheri e carboidrati con dei panini. Al mo-mento dell’esame gli è stato riscontrato un indice ben ol-

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tre la soglia alcolica consentita di 2,04 e, dieci minuti do-po, 2,2 nel controesame. ‘A fronte di questi risultati’, dice ancora Calvisi, ‘inaspet-tati e sorprendenti, anche perché, visto l’esito del test, il nostro socio avrebbe dovuto essere completamente ubri-aco, l’automobilista ha richiesto insistentemente alla pat-tuglia di poter effettuare subito un prelievo di sangue in ospedale, per dimostrare che non aveva bevuto’. Soprat-tutto perché il livello oltre quota 2 comporta sanzioni an-che fino a 6 mila euro, il possibile arresto fino ad un anno e la sospensione della patente per due anni. ‘Le forze dell’ordine’, prosegue il comunicato ‘non avreb-bero accordato l’autorizzazione, provvedendo invece alla denuncia. L’Associazione darà assistenza anche legale al ragazzo. Siamo indignati e delusi, anche perché in passato una ragazza ha già vinto una causa analoga; non è possibi-le che le forze di polizia non conoscano lo strumento che usano e procedano anche se non è giusto’. Il consiglio ai diabetici è di avere sempre in tasca il certifi-cato medico da consegnare in caso di controllo ai posti di blocco, per evitare di finire nei guai. E non per colpa dell’alcol». 6. Il coordinamento delle strutture. In quel periodo, precisa-mente il 12 maggio 2009, Michele Calvisi fece nuove pro-poste con le quali mirava a una migliore organizzazione del sistema sanitario. Questa la lettera che inviò all’Assessorato regionale alla Sanità, e fu pubblicata sul sito dell’Associazione: «Per realizzare un Sistema sanitario nella Regione Sardegna, che rispetti i concittadini con dif-ficoltà di salute e di handicap, il minimo impegno da as-sumere è il coordinamento tra le strutture ai due livelli ASL e regionale. Il coordinamento deve essere organizzato da persone competenti, possibilmente che non siano medici in quan-

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to c’è sempre il rischio di conflitto di interessi. Il risultato altrimenti è disastroso, costoso e non assicura cura e assi-stenza ma solo potere personale. La riforma del sistema sarebbe a costo zero, perché il co-sto degli specialisti, siano essi coordinatori, psicologi, nu-trizionisti, esperti di attività motoria o formatori, sarebbe compensato da una migliore qualità di vita dei pazienti; e, sul piano economico, dal rientro in corsia di molti medici che potrebbero essere utilizzati in altri servizi. «Michele Calvisi. Alghero, 13 maggio 2009». 7. Medici a lezione. L’ADMS, riferiva il cronista in una arti-colo del 26 maggio 2009, aveva preso parte anche a un corso sulla gestione del diabete di tipo 2, riservato ai medici, che si era tenuto in un albergo di Alghero: «DIABETE, MEDICI A LEZIONE PER DUE GIORNI. Si è concluso nei giorni scorsi il corso organizzato dall’Azienda sanitaria locale, in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità, sulla gestione integrata del diabete di tipo 2; e che ha visto impegnati 20 corsisti nel-la sala congressi dell’Hotel Capo Caccia. Una due giorni di full immersion dedicata a tutti i professionisti impe-gnati nella gestione integrata del diabete: medici di medi-cina generale, diabetologi, infermieri, dietisti, psicologi, podologi, farmacisti, psicologi e altri operatori territoriali e di distretto. In alcuni momenti della formazione è stata prevista an-che la partecipazione di rappresentanti delle associazioni di pazienti (ADMS e FAND, Federazione Associazione Nazionale Diabetici) e di gruppi di auto-aiuto. L’implementazione della gestione integrata del diabete tipo 2 e la prevenzione delle sue complicanze richiedono il coinvolgimento attivo di tutte le professionalità pre-senti nel percorso assistenziale e delle risorse presenti

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nella comunità, come ad esempio le associazioni di per-sone con diabete. Ecco perché il percorso di formazione multidisciplinare proposto rappresenta uno strumento per promuovere la collaborazione fra i professionisti coinvolti nei diversi ambiti e nelle diverse strutture, con-tribuendo alla creazione di un linguaggio comune e dello spirito di squadra necessari alla gestione integrata delle patologie croniche. Il corso di Alghero costituisce la seconda fase di un mo-dulo formativo del Progetto IGEA [Integrazione, Ge-stione e Assistenza per la malattia diabetica] e rappresen-ta un momento di incontro “residenziale”. I partecipanti hanno preso in esame l’attuale modello assistenziale of-ferto alle persone con diabete e hanno condiviso strate-gie d’azione comuni. L’obiettivo del corso era quello di motivare i partecipanti a realizzare programmi di gestione integrata favorendo la condivisione delle esperienze e offrendo conoscenze e strumenti utili. In aula, tra i docenti, si sono alternati specialisti dell’Azienda sanitaria locale di Oristano e Sas-sari, quindi dell’Istituto superiore di Sanità oltre che me-dici di base». 8. Le “mani in pasta” si moltiplicano. Come era stato annun-ciato il corso “Mani in pasta” dell’aprile 2009 aveva un seguito alcune settimane più tardi, sempre a Sassari: il quotidiano locale ne aveva dato notizia in un articolo del 2 giugno siglato F. Be.: «‘MANI IN PASTA’ PER PANE SENZA GLUTINE. Quattro sessioni di lavoro, oltre settanta persone e sei comuni coinvolti: Bultei, Chiaramonti, Ozieri, Alghero, Usini e Ploaghe. Sono i numeri del corso di cucina senza glutine ‘Mani in pasta’, organizzato dall’Associazione Diabete Mellito Sassari».

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9. Una diabetica alla Corte suprema. Intanto dagli Stati Uniti era arrivata la notizia che una donna diabetica era stata elevata a un’altissima carica. Ne aveva dato notizia un quotidiano nazionale il 26 maggio 2009: «SONIA SOTO-MAYOR, PRIMA ISPANICA ALLA CORTE SUPREMA. L'AN-NUNCIO DEL PRESIDENTE BARACK OBAMA. Sarà il giu-dice di corte d'appello federale Sonia Sotomayor la pri-ma nomina di Barack Obama alla Corte Suprema. Il pre-sidente degli Stati Uniti ha annunciato di aver scelto So-tomayor per lo scranno della Corte suprema che rimarrà libero con le prossime dimissioni del giudice David Sou-ter. Si tratta della seconda donna che – se confermata dal Senato – presenzierà nel collegio dei 9 giudici su-premi. Sotomayor sarà anche la prima persona di origine ispanica alla Corte suprema. Sonia Sotomayor, 54enne di origine portoricana, secondo funzionari dell'amministrazione ha più esperienza diretta di lavoro in tribunale di qualunque altro giudice eletto ne-gli ultimi 70 anni all'Alta Corte. Il presidente Obama aveva affermato di volere un giudice capace di combinare intelligenza ed empatia, in grado di capire i guai dell'americano comune. Sotomayor dovrà es-sere confermata dal Senato, dove i democratici hanno una comoda maggioranza. Sarà la seconda donna all'Alta Corte, dove si aggiungerà a Ruth Bader Ginsburg. Sarà anche la prima persona di origine ispanica alla Corte suprema (dove siedono attualmente due giudici di origine italiana, John Alito e Antonino Scalia, entrambi conserva-tori). Sotomayor, che si autodefinisce una "newyorkrica-na", è cresciuta in una casa modesta del Bronx dove i ge-nitori erano approdati da Porto Rico. Da quando aveva 8 anni convive col diabete; a 9 anni perse il padre. E fin da ragazzina, ispirata dalla serie di Perry Mason in tv, sapeva di voler fare il magistrato. Una success story all'americana:

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laureata alla Princeton University e specializzata alla Yale Law School, ha cominciato come procuratore e poi come avvocato. Nel 1992 è diventata giudice federale distrettu-ale a New York. Il posto è di nomina politica e Sotoma-yor ha un pedigree bipartisan: prima nomina del conser-vatore George H. W. Bush, conferma come giudice d'ap-pello da parte del democratico Bill Clinton nel 1997. Fra le sue sentenze più memorabili, quella con cui sostenne i diritti dei giocatori di baseball contro i proprietari delle grandi squadre; gli atleti erano in sciopero e avevano fatto saltare il campionato. Come giudice d'appello, si schierò dalla parte del comune di New Haven in Connecticut in una causa per discrimi-nazione: un gruppo di vigili del fuoco bianchi aveva fatto ricorso dopo che il comune aveva annullato un concorso dove le minoranze non avevano ottenuto punteggi abba-stanza alti. Il caso ora si trova di fronte alla Corte supre-ma. All'udienza di conferma in Senato, oltre dieci anni fa, Sotomayor disse: ‘Non penso sia lecito piegare la Costitu-zione, in qualunque circostanza. Dice quello che dice. Dovremmo renderle onore’».

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INFORMAZIONE E PREVENZIONE 1. Con i ristoratori di Olbia. Tra gli aspetti più importanti della prevenzione della malattia diabetica, come della ce-liachia, c’è ovviamente la cura dell’alimentazione, che ri-chiede adeguate conoscenze. Il nuovo anno 2010 venne inaugurato con un’importante iniziativa in questo settore: si tenne a Olbia, ai primi di febbraio, un corso sui pro-blemi legati alla celiachia riservato ai ristoratori. Ne diede prima l’annuncio e poi la cronaca Alessandro Pirina, in due articoli usciti rispettivamente il 19 gennaio e il 6 feb-braio: «CELIACHIA, ALLERGIE E DIABETE: I RISTORATORI TORNANO SUI BANCHI. Il mondo della ristorazione ritorna sui banchi. A febbraio in città sarà attivato un corso di formazione alimentare su allergie, celiachia e diabete. L’iniziativa porta la firma della Confcommercio, in colla-borazione con l’ADMS. Il sindacato dei commercianti ha voluto fornire ai tanti operatori del settore della ristorazione un quadro aggior-nato sulle problematiche relative alle intolleranze e aller-gie alimentari sempre più diffuse. Un corso di formazione che servirà a cuochi e gastronomi per affrontare al meglio i tanti problemi legati a queste malattie. In particolare alla celiachia, l’intolleranza permanente al glutine e, quindi, a pane, pasta, insaccati. In Italia la celia-chia è in costante aumento: vent’anni fa gli affetti da que-sta patologia erano uno ogni due-tremila abitanti, oggi sono uno ogni 150. Nessun farmaco può curare la celia-chia, la sola medicina è la dieta a base di prodotti privi di glutine. Visto l’aumento vertiginoso del numero di per-sone che ne sono affette molti ristoranti si stanno specia-lizzando in menu senza glutine. E anche il corso di Con-fcommercio e ADMS va in questa direzione. Tutte le pato-logie saranno presentate agli operatori del settore sotto

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l’aspetto medico, nutrizionistico e sociale da docenti al-tamente qualificati. A salire in cattedra saranno Domenica Obinu, biologa nu-trizionista specializzata in scienze della alimentazione, che approfondirà l’aspetto della contaminazione nella prepa-razione di cibi e pietanze senza glutine, nonché tutti quelli connessi ai problemi di celiachia e diabete; Sergio Piga, pediatra specializzato nelle allergie alimentari; Irene De Lucia, psicoterapeuta che affronterà l’argomento delle diete alimentari; e Daniela Salvietti, coordinatrice dell’ADMS». «LEZIONE DI CELIACHIA PER CHEF E RISTORATORI. Chef e ristoratori di nuovo sui banchi a lezione di intolleranze alimentari. Trentadue maghi dei fornelli hanno partecipa-to nei giorni scorsi al corso di formazione su allergie, ce-liachia, diabete. Due giornate, firmate in tandem da Con-fcommercio e ADMS, in cui docenti hanno illustrato gli strumenti per affrontare i tanti problemi legati alle intolle-ranze alimentari. Di queste, la celiachia è quella più diffu-sa, quella in costante aumento; e i numeri, già alti in Italia, in Sardegna si moltiplicano per 10. ‘Purtroppo la nostra isola detiene il primato globale di affetti da questa patolo-gia – hanno affermato le docenti Domenica Obinu e Claudia De Lucia –. La Sardegna, insieme all’Irlanda, è la regione al mondo con il più alto numero di celiaci. Nove su cento sono quelli riconosciuti, ma ce ne sono altrettan-ti che potrebbero soffrirne senza sapere di esserne affetti’. L’altissimo numero di intolleranti al glutine ha spinto la Confcommercio a sponsorizzare un corso di formazione per operatori del settore. Una full immersion nelle pro-blematiche legate a queste malattie. ‘Voglio ringraziare Italo Fara [allora presidente della Con-fcommercio] – ha dichiarato Donatella Salvietti, la coor-dinatrice dell’ADMS –, perché solo se associazioni di cate-goria e volontariato si mettono insieme si possono fornire

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ai ristoratori tutti gli strumenti necessari per affrontare il problema. L’iniziativa di Olbia è stata un successo, perché ha visto la partecipazione di operatori della ristorazione sia pubblica che privata, comprese le coop che gestiscono le mense scolastiche’. Il corso di formazione a Olbia aveva avuto un precedente nel 2002, ma l’intenzione ora è quella di non attendere al-tri otto anni per ritornare sui banchi. ‘Già in autunno – conclude la Salvietti – saremo qui per un corso su pane e pizza. Lo chiedono gli stessi cuochi’». 2. A Porto Torres. Subito dopo l’attenzione si spostava a Porto Torres, dove l’Amministrazione comunale si mo-strava sensibile alla proposta dell’ADMS di tenere dei corsi d’informazione rivolti alla popolazione locale. Il quotidia-no ne dava notizia in un articolo del 26 febbraio siglato G. M.: «DIABETE E CELIACHIA UNA CAMPAGNA DI PRE-VENZIONE. Il Comune di Porto Torres è il primo ente lo-cale che aderisce all’iniziativa ‘Obiettivo prevenzione e salute’, proposta dall’Associazione Diabete Mellito e Ce-liachia Sardegna, che mira a creare nuova sinergia positiva di prevenzione con l’impegno di far conoscere tutte le opportunità per una qualità della vita più sana e consape-vole. Ieri mattina c’è stato l’incontro tra il sindaco Lucia-no Mura e il presidente dell’ADMS Michele Calvisi, alla presenza dell’assessore ai Servizi sociali Roberto Murgia. Il primo cittadino ha ribadito l’impegno di mettere a di-sposizione una sala conferenze e altri supporti logistici che permettano una campagna di informazione e forma-zione sulla prevenzione del diabete. ‘L’obiettivo – ha sottolineato Calvisi – è quello di aggiun-gere ai normali strumenti di controllo (pesapersone, ter-mometro, sfigmomanometro), anche il glucometro che rappresenta uno strumento portatile di misurazione del valore della glicemia nel sangue. L’iniziativa è volta a for-

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nire a tutte le persone sane, senza diagnosi di diabete, la possibilità di utilizzare questo strumento di prevenzione’. ‘Questo tipo di progetti ideati dall’Associazione Diabete Mellito – sostiene il sindaco –, oltre a migliorare la qualità della vita, danno l’opportunità ai cittadini di partecipare a una campagna informativa che consente di conoscere il corretto utilizzo di tutti gli strumenti di controllo’. La vita odierna, con abitudini errate e ritmi di lavoro stressante, consente al nostro corpo situazioni che alla lunga comportano malattie quali diabete e obesità: difficili da gestire e da curare, con inevitabili costi sanitari a carico di tutti i contribuenti. Il progetto biennale di vita in salute ha esordito l’anno scorso con diverse iniziative conosciti-ve allestite sul territorio, dal soggiorno estivo di Porto Ferro rivolto a bambini dai 6 ai 17 anni ai corsi di prepa-razione di cibi senza glutine per celiaci denominato ‘Mani in pasta’. La campagna informativa cittadina vuole stimolare la pre-senza di utenti di tutte le età, la partecipazione dei medici di base e chiunque faccia parte integrante del sistema sa-nitario. Il primo incontro con la città è previsto nella se-conda settimana del prossimo mese, nella sala conferenze dedicata al giornalista e scrittore Filippo Canu». 3. Attività motoria integrale. Nel novembre del 2010 l’attezione si spostò in un’area molto più vicina, il quar-tiere Li Punti di Sassari, dove fu organizzato un incontro per sensibilizzare ancora una volta i diabetici a rendersi conto dell’importanza dell’attività fisica. Il cronista P. G. lo annunciò in un articolo del 5 novembre; e riferì poi dell’andamento il giorno 22: «DIABETE E ATTIVITÀ MOTORIA INTEGRALE, DOMANI UN INCONTRO. ‘Attività motoria integrale’ è il tema di un incontro promosso dall’Associazione Diabete Mellito e Celiachia in programma per domani alle 15,30 nella sala

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della Circoscrizione 3 in via Era a Li Punti. Relatori Li-dia De Luna del reparto Pediatria di Alghero, Antonello Carboni della Diabetologia di Olbia e il collega Adolfo Pacifico. Per l’attività motoria interverrà Francesco Mar-cello, presidente del CONI di Cagliari. ‘La nostra aspirazione – dice Michele Calvisi presidente ADMS – è che in molti partecipino a questo incontro e non solo per il valore dei relatori. L’incontro è aperto a tutti’. DIABETE E STILE DI VITA, RISPONDONO GLI E-SPERTI. Oltre centoventi persone, in rappresentanza di 55 famiglie di diabetici, nei giorni scorsi hanno ascoltato con attenzione le relazioni di Franco Marcello, Lidia De Luna e Adolfo Pacifico al convegno promosso dall’ADMS. Il pubblico ha rivolto molte domande ai rela-tori. Un convegno-colloquio durante il quale sono state affrontate tematiche sul diabete di tipo 3, sulla corretta alimentazione e su come praticare un’attività motoria mirata per migliorare la vita quotidiana dei pazienti affet-ti da diabete del tipo 3, che colpisce un terzo della popo-lazione della Sardegna. ‘Le istituzioni e le amministrazioni locali – ha detto Mi-chele Calvisi, presidente dell’ADMS – ignorano comple-tamente questa realtà. La conseguenza di questo atteg-giamento è drammatica visto che produce carenze nell’assistenza sanitaria e anche in quella sociale. Occor-rono interventi in questa direzione’». 4. A Osilo e a Nulvi per la prevenzione. Nella primavera del 2011 l’iniziativa dell’ADMS raggiunse Osilo e Nulvi, dove, con la collaborazione delle rispettive Amministrazioni comunali, si tennero incontri teorico-pratici per offrire un primo quadro dei problemi legati all’insorgenza del diabe-te. I corrispondenti locali Mario Bonu e Mauro Tedde ne diedero ampia notizia sul quotidiano locale, rispettiva-mente il 12 e il 20 aprile:

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«UNA SANA ALIMENTAZIONE CONTRO I RISCHI DEL DIA-BETE. Quello sul diabete è stato il primo di una serie di incontri sulle patologie che in qualche modo possono ri-guardare anche coloro che praticano lo sport. Lo ha detto Francesco Cozzula nel presentare la serata organizzata dagli assessorati della Pubblica istruzione e dello Sport, dalla Consulta giovanile e dal Consiglio comunale dei ra-gazzi, con la collaborazione dell’ADMS. E lo ha ribadito il vice sindaco, Antonello Pintus, che ha ricordato quanta incidenza abbiano in Sardegna le pro-blematiche legate al diabete. Poi è toccato a Michele Cal-visi, presidente dell’ADMS, illustrare il ‘Progetto di vita in salute’ che l’Associazione ha promosso dal 2009, e già portato in molti comuni della Sardegna. ‘Prevenzione’, è stata la parola chiave della relazione di Calvisi, da attuare, da un lato con l’adozione di stili di vita più sani, come svolgere attività fisica, perdere peso, smet-tere di fumare; dall’altro mediante semplici strumenti di autodiagnosi: il metro, per controllare la circonferenza vi-ta (campanello d’allarme se è superiore a 88 cm per le donne e a 101 cm per gli uomini); il pesapersone, per controllare il peso corporeo; lo sfigmomanometro, per il controllo della pressione arteriosa (attenzione se supera i 130/85); il glucometro, il misuratore della glicemia, che a digiuno non dovrebbe superare i 100 mg/dl. ‘Se qualcuno di questi parametri fosse fuori dalla norma – ha detto Calvisi – non c’è da farsi prendere dal panico, ma è venuto il momento di fare controlli più accurati’. Perché si potrebbe essere in presenza della ‘sindrome metaboli-ca’, una situazione clinica ad alto rischio cardiovascolare, che comprende una serie di fattori e di sintomi che si ma-nifestano contemporaneamente nell’individuo. Un pro-blema che riguarda quasi la metà degli adulti al di sopra dei 50-60 anni, ‘ma la cui incidenza – ha aggiunto il presi-

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dente dell’ADMS –, dato che oggi anche molti bambini e ragazzi fanno i conti con i chili di troppo, è in aumento anche tra giovani adulti e adolescenti’. Alla fine, dopo che Calvisi ne aveva spiegato con preci-sione l’uso e il funzionamento, a tutti i presenti è stato da-to in omaggio il misuratore di glicemia, con cui si può ef-fettuare il test e decidere se sia il caso di effettuare ulterio-ri controlli». 5. L’intervento del presidente. Il 24 marzo del 2012 il quoti-diano locale pubblicava una lettera in cui il presidente dell’ADMS Calvisi tornava sul tema a lui caro del servizio di assistenza nelle scuole, e formulava duri giudizi sugli amministratori, insensibili e/o incapaci di istituirlo: «I DIABETICI E L’ASSISTENZA NELLE SCUOLE. Da tempo se-gnaliamo l’esigenza e la necessità di creare in tutti i com-plessi scolastici una figura che consenta l’assistenza dei bambini diabetici. Sino ad oggi, nonostante il ‘protocollo per la somministrazione dei farmaci a scuola, tra Ufficio scolastico regionale, ASL n. 1, Provincia e Comune di Sas-sari’, tutto ciò non risulta ancora realizzato. Come faccio solitamente cerco di capire quali potrebbero essere i motivi o le circostanze che impediscono la realiz-zazione di una proposta ragionevole, che risponde a una necessità reale. Attualmente viene erogato un ‘assegno di frequenza’ per ogni bambino diabetico in luogo dell’assistenza, che viene surrogata solitamente da un ge-nitore. È facile capire che istituire nelle scuole una figura ad hoc per rendere il medesimo servizio avrebbe un costo enormemente inferiore e si eviterebbe il disagio ad alcune famiglie. Rivolgendomi ai responsabili delle aziende sani-tarie (quali? di fatto non esistono) e alla classe politica (che dire che ignorano il problema mi sembra un eufemi-smo) pongo una semplice domanda: non sarebbe oppor-tuno realizzare questa forma di assistenza che consenti-

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rebbe di rendere un buon servizio con annesso un con-gruo risparmio? In un momento così difficile per i citta-dini in un complessivo quadro di decadimento non solo economico ma anche di moralità individuale e collettiva, non sarebbe meglio evitare di continuare a distribuire de-naro pubblico che in questa forma corrisponde, oltre che ad una ammissione di colpa, anche ad un disservizio?». 6. Una sede per il reparto di Diabetologia. Intanto l’ADMS con-tinuava la sua battaglia su altri fronti più o meno caldi, le-gati alla situazione dei diabetici e all’assistenza a loro de-dicata. Nel marzo del 2011 aveva dovuto motivare una vibrata protesta contro il ventilato trasferimento del re-parto di diabetologia dell’ospedale in un complesso fuori città, quello di San Camillo. Il giornale ne dava notizia con un articolo siglato Lu. So. del 25 marzo: «NON CHIEDETECI DI ANDARE A SAN CAMILLO. La chiu-sura del centro di Diabetologia dell’Ospedale, secondo l’Associazione Diabete Mellito, sarà solo un piccolo pro-blema in più che si aggiunge ai tanti disagi che devono af-frontare gli affetti da questa patologia. ‘A Sassari manca una cultura dell’assistenza’, dice il presi-dente Michele Calvisi: ‘il diabetico è costretto a diventare il medico di se stesso’. E il progetto dell’ASL di trasferire il centro di Diabetologia nella struttura decentrata di San Camillo è sintomatico del disinteresse della sanità verso le esigenze dell’utenza. ‘Basta un esempio per capire l’assurdità di questa scelta’, spiega Calvisi: ‘quando un diabetico deve sottoporsi a un controllo, deve presentarsi a digiuno, dopodiché subire il prelievo di sangue e urine, quindi gli viene somministrata l’iniezione di insulina. A quel punto, per esigenza fisiologica, deve per forza man-giare. Domanda: dove trova un punto di ristoro a San Camillo? Altro problema: come ci arriva se non è in grado di guidare o non ha la patente?’.

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L’Associazione da tempo denuncia lo spreco di risorse nell’ex manicomio di Rizzeddu: ‘Quei locali erano stati individuati come la sede più idonea per il centro di diabe-tologia. Erano stati spesi fior di quattrini per ristrutturarli e adeguarli al servizio. Poi il progetto è finito nel cassetto. Eppure Rizzeddu è facilmente accessibile, ben collegato dai mezzi pubblici, e sarebbe un riferimento perfetto per i diabetici. Una cosa è certa’, dice Calvisi, ‘nessuno di noi accetterà di essere mandato in esilio a San Camillo, nes-suno andrà in quella struttura, e faremo picchettaggio nel-la sede dell’ASL per far sentire ai vertici la nostra voce. Di cose da dire ne avrebbero parecchie: innanzitutto non si sentono dei malati, perché il diabete è una patologia che consente una qualità di vita eccellente se gestita con attenzione. Ma questo riguardo talvolta è assente nelle i-stituzioni: mi chiedo come un sindaco, ex direttore del 118, e un assessore alle politiche sociali, ex primario del pronto soccorso’, si lamenta Calvisi, ‘restino indifferenti rispetto al trasferimento del centro a San Camillo. I po-tenziali utenti sono migliaia di persone. Infine un ultimo disagio per i pazienti che utilizzano i microinfusori elet-tronici di insulina. Le case farmaceutiche hanno distribui-to ai diabetici gli apparecchi, ma poi l’ASL, oltre a non comprare il materiale d’uso come le cannule e gli aghi, non ha ancora risarcito i fornitori. Che ne sarà di questi microinfusori? ’». 7. Uno studio a Porto Torres. Nel successivo mese di otto-bre, riferiva G. M. il giorno 4, era stata avviata una nuova ricerca sul diabete e la celiachia tra gli abitanti di Porto Torres: «DIABETE E CELIACHIA AL VIA UNO STUDIO. L’Associazione Diabete Mellito e Celiachia Sardegna, in collaborazione con il centro “Wenus esperienza benesse-re” di Porto Torres, propone un progetto ambizioso ri-

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volto a soggetti diabetici. Si tratta di uno studio che pre-vede un campione di 20 pazienti diabetici di tipo 2, in età compresa tra 35 e 60 anni, che verranno monitorati men-silmente sia dal diabetologo Giancarlo Tonolo (primario di diabetologia nell’Ospedale di Olbia) sia da due nutri-zioniste. E quotidianamente da laureati in scienze moto-rie, che si occuperanno di formulare un corretto pro-gramma di attività fisica personalizzato. ‘È un progetto scientifico’, ricorda il professor Tonolo, ‘dove l’attività fisica è fondamentale insieme a una corret-ta alimentazione per la terapia del diabete mellito. Natu-ralmente tutti possono trarre beneficio da attività fisica regolare e corretta alimentazione’. «L’ADMS ha scelto nel-lo specifico il centro ‘Wenus’, struttura di oltre 400 metri quadri all’avanguardia nei design e negli impianti. La co-noscenza della patologia, abbinata a una corretta attività fisica, aiuta il paziente a essere più autonomo e indipen-dente, a utilizzare meno farmaco e avere più autostima». 8. Il progetto fantasma. Il 23 novembre del 2011 la cronaca doveva registrare l’ennesima protesta del presidente Cal-visi contro un nuovo caso di uso distorto del denaro pubblico: «MILIONI PER PROGETTI FANTASMA, E I DIABE-TICI SOFFRONO. Attacco durissimo del presidente dell’Associazione Diabetici Michele Calvisi contro il pro-getto ‘Il movimento è vita’ promosso da CONI provincia-le e ASL n. 1 che a sua volta si inserisce all’interno del Pi-ano regionale di prevenzione per gli anni 2010-2012. ‘Sono tanti i soldi che si spendono nell’ambito del proget-to regionale di prevenzione del diabete tipo 2 ma di nes-suna attività svolta con quei soldi abbiamo notizia’. Allora Calvisi si chiede se non sarebbe meglio utilizzare quei due milioni di euro per il diabetologo, il nutrizionista, lo psi-cologo e il laureato in scienze motorie. ‘L’iniziativa è indi-

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rizzata a una popolazione prediabetica e in sovrappeso. L’enorme spesa prevista per la prevenzione e, ribadisco, non ancora iniziata dopo circa due anni, spiega probabil-mente perché le strisce di controllo della glicemia sono passate da 25 a 8,3 al mese. Inoltre, sempre per il diabete di tipo 2, sembra che in Sardegna, per pungere il dito, si presuma l’uso del coltello, infatti non è prevista la distri-buzione degli aghi sterili pungidito’. Calvisi aggiunge che è ugualmente grave la situazione per il diabete di tipo 1: ‘L’abbandono a se stessi dei bambini, delle famiglie e della scuola è cronico e sotto gli occhi di tutti, dato che non vengono presi provvedimenti nono-stante le denunce. Chi utilizza il microinfusore è costretto a recarsi dal distributore dei presìdi delle ASL. Uno spa-ventoso spreco di soldi pubblici. Noi vogliamo meno spesa e più salute’». 9. Contrasti dannosi. Il 12 febbraio del 2012 il presidente Calvisi era costretto ad intervenire in prima persona per denunciare i danni che venivano provocati ai malati dai contrasti e dal malessere generale che caratterizzavano la vita dell’ASL locale: «LE LITI FANNO AFFONDARE LA SA-NITÀ. Con vivo sconcerto si apprendono le ultime vicen-de dell’ASL 1 di Sassari. Il complessivo panorama sociale e sanitario della regione vive da tempo una situazione drammatica. I bisogni sempre maggiori dei cittadini e la soglia di una ragionevole fiducia nel futuro è messa sem-pre più in difficoltà da continue e variegate notizie di ma-lasanità. Nell’ultima notizia che riguarda la cronaca sanita-ria abbinata, ahimè, a quella giudiziaria sono ipotizzati i reati di falso in atto pubblico e abuso d’ufficio nel fasci-colo aperto dalla Procura della Repubblica di Sassari nei confronti del numero uno della ASL. Non la prima e non di certo l’ultima vicenda di una realtà avvilente aspettando che chi di dovere faccia la necessaria chiarezza. Questo

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nuovo episodio di una lite continua fra i due responsabili dell’ASL 1, senza entrare nel merito della ragione dell’uno o dell’altro e tantomeno su eventuali reati che solo la ma-gistratura può accertare, fa emergere purtroppo per i cit-tadini di Sassari e provincia la difficoltà di curarsi con se-renità e fiducia. Affinché non si giunga sempre troppo tardi, ‘a babbo morto’ come spesso è accaduto, è ora di una buona dose di coraggio e con urgenza provvedere a commissariare l’ASL 1. Si ricorda e si sottolinea che la sa-nità è un bene prezioso e l’amministrazione di un servizio pubblico così delicato dovrebbe indurre tutti a un mag-gior senso del dovere conforme ai principi di legalità e buona amministrazione. Di certo litigando non si ammi-nistra la sanità. Come cittadini siamo realmente stanchi di pagare profumatamente i dirigenti che alla fine praticano queste condotte. Il nostro assessorato regionale alla Sani-tà, almeno in questa situazione, dimostrerà di essere all’altezza?». 10. Sprechi e spese inutili. Alla fine di luglio il presidente Calvisi, prendendo spunto dall’articolo di un medico comparso sul quotidiano locale, coglieva l’occasione per prospettare alcuni argomenti che gli stavano a cuore in tema di gestione della sanità. Questa la lettera da lui indi-rizzata il 30 luglio 2012 alle autorità, agli organi d’informazione e agli operatori del settore (il ministro del-la Sanità Maurizio Sacconi, il direttore della “Nuova Sar-degna”, l’assessore regionale alla Sanità, il direttore gene-rale dell’ASL n. 1 di Sassari, il direttore dell’Azienda mista di Sassari, il SID e l’AMD regionali e nazionali): «L’undici gennaio nella rubrica ‘La buona salute’ il prof. Glorioso ha scritto in merito al diabete. Con piacere abbiamo ap-preso che il professore asserisce ciò che noi come Asso-ciazione sosteniamo da diversi anni, ma quello che scrive-vamo disturbava la ‘serenità’ del mondo diabetologico. Abbiamo aspettato a rispondere perché eravamo curiosi

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di vedere come il mondo diabetologico (SID-AMD [Socie-tà Italiana di Diabetologia – Associazione Medici Diabe-tologi]) avrebbe reagito al contenuto di quell’articolo do-ve, così sembra di capire, si dice che il diabetologo ha la tendenza a prescrivere la terapia farmacologica più costo-sa a un paziente che ha un decorso terapeutico soddisfa-cente… Evidentemente solo gli articoli scritti da noi ven-gono immediatamente additati e creano scompiglio, tra colleghi… Apprendiamo con preoccupazione quello che il professo-re ha evidenziato dei costi spropositati per le cure, ovvero come da lui asserito delle spese ‘dieci volte tanto quelle normalmente sostenute ottenendo lo stesso risultato’. Con l’aggravante di aver messo in commercio dei prodot-ti ‘senza prove convincenti sulla loro sicurezza’. Mi auguro che, oltre ad evidenziare pubblicamente tale malessere e tali sprechi, il professore abbia informato e interessato le autorità competenti. Riteniamo che il pro-fessore abbia approfondito il tema sul diabete di tipo 2, visto che parla esclusivamente di pastiglie. Noi concor-diamo sul fatto che il sostituire la terapia quando il com-penso metabolico è soddisfacente con un farmaco più ca-ro è solamente un costo aggiuntivo per la collettività. Il costo economico relativo al trattamento della patologia non è solamente relativo alla somministrazione del far-maco 8-10%, ma anche all’insostenibile cura delle com-plicanze, che hanno sicuramente un peso economico maggiore. Tali complicanze comportano lunghi e costosi trattamenti terapeutici con ricoveri in strutture ospedalie-re ed interventi chirurgici di altissima professionalità che per noi diabetici sono dei trattamenti salvavita, ma che possono essere considerati, talvolta, il risultato di terapie anche costose, ma iniziate tardivamente. Ma un punto di dissenso, almeno teorico, con il professore lo abbiamo.

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Non è ben spiegato cosa voglia dire fare i ‘controlli ne-cessari’, infatti nell’articolo sembrerebbe che non biso-gnerebbe farne troppi (la Regione passa solo 25 strisce reattive al mese ai pazienti diabetici tipo 2 in terapia orale, meno di un controllo al giorno). Certamente a noi non piace pungerci troppo perché non siamo masochisti e ne faremmo volentieri a meno, ma spesso, e non solo a chi di noi fa terapia insulinica inten-siva, è necessario. Non vogliamo ricordare al professore (che sicuramente lo sa meglio di noi) che l’emoglobina glicata è solo una media delle glicemie e quindi porta in-formazioni solo parziali; e se ci si affida solo ad essa senza l’assoluta e necessaria monitorizzazione della glicemia giornaliera può riservare sorprese. Sarebbe come dire che la pressione media della 4 ruote della mia auto è di 2 mbar (non c’è malaccio!!!), senza considerare che le ruote di de-stra hanno una pressione di 4 mbar e quelle di sinistra so-no a terra. Proviamo a muoverci! Inoltre, riguardo al fatto che le determinazioni della glicemia portino a false valu-tazioni anche con emoglobina glicata buona (inferiore al 7%), la glicemia misurata dopo il pasto può essere elevata (anche superiore a 200 mg/dl) e noi vorremmo che venis-se controllata e se possibile corretta. E parliamo delle i-poglicemie, la nostra vera croce! Se il problema nei pazienti trattati con insulina è enorme, anche nei pazienti in trattamento con le vecchie ed eco-nomiche medicine orali può essere evidente. Alcuni far-maci hanno fatto la storia della diabetologia, come la buona vecchia glibenclamide che, avendo un costo ridico-lo per il Sistema Sanitario Nazionale, può però esporre il paziente a repentine e prolungate ipoglicemie. Pensiamo ai bambini, alle attività motorie particolarmente indicate, a un commesso viaggiatore, un elettricista che si

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deve arrampicare su un palo… se hanno il diabete e la pressione alta (ambedue controllate) difficilmente i nostri amici dovrebbero misurarsi la pressione prima di fare un viaggio da Sassari a Cagliari o prima di salire su un palo (l’evento di una ipotensione è abbastanza raro), ma che dire se per qualche motivo la glicemia decide di scendere proprio mentre è in viaggio o in cima al palo… Forse sarebbe stato meglio se l’avesse misurata prima di fare queste operazioni. «Rimaniamo in attesa di sentire le recenti cose che sono emerse sul diabete in un’altra rubri-ca del professore, come da lui promesso. In ogni caso l’apertura di un dialogo è sempre interessante. «Cordiali saluti. Il presidente dell’ADMS Michele Calvisi».

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LE TRE ESSE Sassari, 17 settembre 2013. L'ADMS, Associazione Diabe-te Mellito e Celiachia Sardegna, è nata nel giugno del 1998 con lo scopo di favorire e migliorare la qualità della vita dei diabetici e/o celiaci e delle loro famiglie.

Un recente studio di settore ha evidenziato come in sette anni, dal 2003 al 2010, circa 128 mila persone con diagnosi di diabete hanno subito un ricovero per ipogli-cemia, con una media di 18.285 l'anno. La spesa per il servizio sanitario è stimata intorno ai 400 milioni di euro, 48 milioni ogni anno. Il costo di ogni ricovero per ipogli-cemia è di 2300 euro; se l’ipoglicemia causa conseguenze gravi quali eventi cardiovascolari o cadute con fratture, il costo sale a 3500 euro. La cifra è sottostimata, perché non tiene conto degli accessi al pronto soccorso che non sfociano in un’ospedalizzazione.

Michele Calvisi, presidente dell’ADMS onlus dichiara: «Siamo convinti che il 90-95% dei medici che si occupano di diabete dei bambini fino agli anziani, non hanno speci-fiche competenze sulle dinamiche della malattia, non co-noscono gli strumenti che le persone con diabete usano, dal microinfusore al sensore al glucometro. Pertanto fronteggiano la patologia con prescrizioni di overdose di farmaco, con risultati drammatici». Continua Calvisi: «Il microinfusore annulla le crisi dell'i-poglicemia; è commovente vedere i bambini e i ragazzi che lo usano, la loro abilità nell’impostare tutti i pro-grammi di infusione e di sicurezza adattandoli ad ogni e-sigenza di vita quotidiana: alimentazione, scuola, feste, sport, riposo e sonno notturno, come anche episodi di febbre influenzale. Complimenti a tutti questi ragazzi! Considerato quanto sopra, per quale motivo molte ASL, nonostante la richiesta del diabetologo, fanno mille diffi-

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coltà a consegnarlo? Dopo tante insistenze e minacce di denuncia molte ASL consegnano il microinfusore, ma non i sensori, nonostante la richiesta del diabetologo. Il glu-cometro è indispensabile per monitorare la glicemia, me-morizza l'ora della misurazione, il valore e anche la media e il numero dei controlli. Visto il valore dello strumento e l'impossibilità di mano-metterlo, le persone con diabete si aspettano che il medi-co prescriva loro il numero di strisce che effettivamente utilizzano, invece, purtroppo, tale quantità è standardizza-ta dall’assessorato regionale alla Sanità. Lo stesso identico numero di strisce per tutti, solamente quattro al giorno! Al sistema sanitario non interessa se il diabetico insegna e deve sempre essere compensato, se fa il muratore, l'autista, se ha turni al lavoro e soprattutto se non vuole finire ricoverato per una banalità come l'ipogli-cemia. Pertanto, se la prescrizione non basta, si è costret-ti ad acquistarle; l'assurdo è che in molti casi il quantitati-vo di strisce non viene utilizzato e finiscono, ormai sca-dute, nella pattumiera. L'esperienza autorizza a chiedere ai responsabili della sa-nità di far prescrivere realmente le strisce utilizzate, in questo modo si risparmierebbe su tante spese inutili con-tribuendo al contempo in maniera intelligente al corretto monitoraggio della glicemia. È urgente pertanto un piano di prevenzione per arginare le ricadute dal punto di vista clinico, sociale ed economico del diabete. «Purtroppo le persone con diabete percepiscono il completo abbandono da parte delle istituzioni sanitarie e sociali e le famiglie pa-tiscono il completo disinteresse della scuola». Conclude Calvisi: «Siamo tutti orfani delle tre esse: Sanità, Sociale e Scuola. Eppure ai rappresentanti di queste isti-tuzioni garantiamo fama, benessere e stipendi non sempre proporzionati al risultato del loro lavoro».

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Oristano, metà degli anni ottanta: adulti della sezione locale dell'ADMS impegnati in un

corso di formazione all'attività motoria

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Sassari, sede dell'ADMS, 2002: il medico diabetologo Adolfo Pacifico in compagnia del presidente Calvisi nel corso di una serie di lezioni a un gruppo di studio

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INDICE PARTE PRIMA

LA STORIA DI UN PRESIDENTE PG ALL’ORFANOTROFIO, A SCUOLA 7

ALL’OVILE 11 TERACCU, SERVO PASTORE 16

IN CERCA DEL MEGLIO 20 L’AZIENDA IN RIVA AL MARE 25 FACCIA A FACCIA CON I BANDITI 31 UN PROGETTO DI VITA 42 LA DIAGNOSI 46 LA CURA 49 PARTE SECONDA

QUINDICI ANNI DI ATTIVITÀ E BATTAGLIE I PRIMI ANNI 71 SCUOLA E LA FAMIGLIA 88 LA RICERCA SCIENTIFICA E LE NUOVE CURE 107 DIABETE E LAVORO 123 DIABETE E ALIMENTAZIONE 127 IL SOGNO DELLA PATENTE 148 LA TELEMEDICINA 167 TRASPORTI E IL LAVORO 191 INFORMAZIONE E PREVENZIONE 214 LE TRE ESSE 229

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