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ADESSO! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale 10. Adesso!

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ADESSO!Dalle paure

al coraggio civile,per una

cittadinanza glocale

10. Adesso!

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Direttore:Brunetto Salvarani - [email protected]

Condirettori: Antonio Nanni - [email protected] Lucrezia Pedrali - [email protected]

Segreteria:Michela [email protected]

Redazione: [email protected] Tagliaferri (caporedattore)Monica Amadini, Daniele Barbieri, Carlo Ba-roncelli, Davide Bazzini, Giuseppe Biassoni,Silvio Boselli, Luciano Bosi, Patrizia Canova,Azzurra Carpo, Stefano Curci, Marco Dal Cor-so, Lino Ferracin, Antonella Fucecchi, AdelJabbar, Sigrid Loos, Karim Metref, Clelia Mi-nelli, Roberto Morselli, Nadia Savoldelli,Alessio Surian, Aluisi Tosolini, Rita Vittori, Pa-trizia Zocchio

Collaboratori: Roberto Alessandrini, RubemAlves, Fabio Ballabio, Michelangelo Belletti,Simona Botter, Paolo Buletti, Gianni Caliga-ris, Andrea D’Anna, Gianni D’Elia, Marianto-nietta Di Capita, Alessandra Ferrario, France-sca Gobbo, Cristina Ghiretti, Piera Gioda,Stefano Goetz, Grazia Grillo, Mimma Iannò,Renzo La Porta, Lorenzo Luatti, FrancescoMaura, Maria Maura, Oikia Studio&Art, Ro-berto Papetti, Luciana Pederzoli, Carla Sarto-ri, Eugenio Scardaccione, Oriella Stamerra,Nadia Trabucchi, Franco Valenti, GianfrancoZavalloni

Direttore responsabile: Marcello Storgato

Direzione e Redazione:Via Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax [email protected]. n. 11815255

Amministrazione - abbonamenti:Centro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3774965 [email protected]

Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria -CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 - 25121 Bre-scia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127 in data19/02/1993.

Quote di abbonamento:10 num. (gennaio-dicembre 2011) Euro 30,00Abbonamento triennale Euro 80,00Abbonamento d’amicizia Euro 80,00Prezzo di un numero separato Euro 4,00

Abbonamento CEM / estero:Europa Euro 60,00Extra Europa Euro 70,00

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegni di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

EditorialeFratello sole, sorella acqua 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

A scuola e oltre

rifare gli italianiIl terzo Risorgimento 3Antonio Nanni, Antonella Fucecchi

bambine e bambiniDubbi 5Lucrezia Pedrali

ragazze e ragazziDue risposte, il divenire 7e le non-etichetteSara Ferrari

generazione yAdesso! Le sfide dell’educazione 9Stefano Curci

in cerca di futuroLa «popular culture» come 11occasione pedagogicaDavide Zoletto

che aria tira a scuolaLa punta dell’iceberg 12Martina Vultaggio

buone pratiche di resilienzaResilienza, teniamocela stretta! 14Oriella Stamerra, Alessandra Ferrario

cinema africano21° festival cinema africano 16a cura della Redazione

Il «restodelmondo»

agenda interculturaleCittà interculturali 33Alessio Surian

prati-careIl cimitero delle barche 34Giacomo Sferlazzo

scor-dateLa terza nazione del mondo 35a cura di Dibbì

dudal jamGiovani e intercultura. 36Corso di cinemaAlessio Consoli

Perché l’acqua è di tutti 37Patrizia Canova

saltafrontieraBambini e fumetto 38Lorenzo Luatti

pixelCome uscire dall’emergenza 39Anna Maria Martina

nuovi suoni organizzatiOreka TX. 40Dal tradizionale al glocaleLuciano Bosi

zero povertyNon si conclude un viaggio 41se non per ripartire…Marialuisa Damini

crea-azioneSentieri che s’incrociano 42Nadia Savoldelli

spaziocemPerché le religioni a scuola? 43Brunetto Salvarani

CEM-Sud 45L’educazione interculturalee il dialogo interreligioso. Eugenio Scardaccione

Mediamondo 46

i paradossiOcchio per occhio, casa per casa 47Arnaldo De Vidi

la pagina di... r. alvesPillole del pluralismo che verrà 48

Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

E-mail: [email protected]

www.cem.coop

ADESSO! DALLE PAURE AL CORAGGIO CIVILE, PER UNA CITTADINANZA GLOCALE10. ADESSO!

Adesso! 18Aluisi Tosolini

Profeti di glocalità Abbé Pierre 21Stefano Curci

Luoghi I luoghi collettivi delle nuove tribù 28Davide Bazzini

Cinema. An Education 31Lino Ferracin

Per una pedagogia ecumenica 23ed interreligiosadecima puntata

a cura di Marco Dal Corso

Sì,

Se

Sì,crecoche

Se

Sommarion. 5 / maggio 2011

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maggio 2011 | cem mondialità | 1

brunetto salvarani | direttore [email protected]

Fratello sole, sorella acqua

Nel pianeta che abitiamo, quasi un miliardo emezzo di persone non dispongono di acqua po-tabile, mentre altri due miliardi e mezzo sono

prive di servizi igienico-sanitari. In un panorama del ge-nere, è impossibile immaginare che i processi di priva-tizzazione del servizio idrico, avviati anche nel nostropaese, servano a gestire meglio questa risorsa fonda-mentale; anzi! Al di là delle sue straordinarie valenzesimbolico-religiose, su cui nelle pagine di CEM ci sia-mo più volte soffermati, l’acqua rappresenta attualmen-te la prima delle emergenze planetarie, tanto per la que-stione della siccità e dei processi di desertificazione,quanto per il fattore inquinamento, per la sua gestionedissennata e per i troppi sprechi. Diciamolo apertamen-te, con le parole dell’Osservatore Romano: «L’acqua, di-ritto universale e inalienabile, è un bene troppo preziosoper obbedire solo alle ragioni del mercato e per esseregestita con un criterio esclusivamente economico e pri-vatistico. Il suo valore di scambio o prezzo non può es-sere fissato secondo le comuni regole della domanda e

dell’offerta, ovvero secondo la lo-gica del profitto. Che è però quan-to in più parti del mondo accadeo si rischia in caso di privatizza-zione». In questo quadro, i refe-rendum del 12 e 13 giugno rive-stono un’importanza molto gran-de, anche se rischiano di non rag-giungere il famigerato quorumdel 50,1% degli aventi diritto a vo-tare, per parecchi motivi (fra cuila decisione del governo di porliin quella data, non accorpandoliagli altri appuntamenti elettorali dimaggio e sprecando un buon

gruzzolo di euro). Con chiarezza, vorrei dire che la con-sultazione referendaria sarà cruciale, anche sul pianosimbolico e educativo. Ciò che accomuna i vari quesiti- gli altri riguardano la costruzione di centrali nucleari eil cosiddetto legittimo impedimento, cuneo potenzialein vista di una giustizia davvero giusta - è l’idea di bene

comune, che, se vissuta, ci conduce oltre gli egoismi ei particolarismi, verso l’interesse generale, e in tal modocostruisce (ri-costruisce, nel nostro caso) legami socia-li. In sintesi, i referendum affrontano, rispettivamente, unbene cui è affidata la nostra sopravvivenza (l’acqua),una condizione che riguarda la nostra stessa esistenza(la sicurezza), e un principio da cui una democrazia de-gna di tal nome non può mai separarsi (l’eguaglianza difronte alla giustizia). Comeha ben sottolineato al ri-guardo Stefano Rodotà, sitratta di temi presenti ches’inoltrano nel futuro, e chenon è più possibile affron-tare con le categorie con-cettuali, le coalizioni d’in-teresse, gli strumenti cui cisiamo finora affidati. Unosguardo glocale, quelloche abbiamo svisceratonell’anno di CEM che siconclude con questo nu-mero, richiede altre paroled’ordine, anzi, parole d’or-dine altre, che già oggipercorrono la terra: no copyright, software libero, ac-cesso all’acqua, al cibo, alla salute, alla conoscenza, al-la rete, visti come nuovi diritti fondamentali della perso-na. Intorno a una simile inedita prospettiva, sta davveronascendo un altro genere di cittadinanza, non più legataall’appartenenza a un territorio, ma caratterizzata ap-punto dalla dotazione di diritti che ogni persona portacon sé, quale sia il luogo in cui si trova. E anche le rivoltearabe che hanno segnato questo primo semestre del2011, in fondo, possono essere lette in tale chiave. Così,il nostro pianeta si va configurando realmente come unospazio comune. Ecco perché, come CEM Mondialità,abbiamo deciso di spenderci per la buona riuscita deireferendum, pur essendo consapevoli che sarà un’im-presa assai ardua. Ecco perché è decisivo votare, il 12e 13 giugno prossimi, e votare SÌ. q

L’acqua rappresentaattualmente la prima

delle emergenzeplanetarie, tanto per

la questione dellasiccità e dei processi

di desertificazione,quanto per il fattore

inquinamento, per lasua gestione

dissennata e per itroppi sprechi

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Questo numeroa cura di Federico [email protected]

Questo numero di «CEM Mondialità» conclude l’annata 2010-2011, che ha per tema «Adesso!

Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale» con un «dossier» a cura di Aluisi To-

solini intitolato semplicemente ma significativamente «Adesso!», che propone una stimolante,

accorata riflessione sul tempo dell’agire, dell’impegno, della responsabilità. Scrive l’autore: «Il

nostro è ormai il tempo delle scelte coraggiose, oltre le paure entro le quali il potere tenta di imbrigliare i nostri im-

maginari. È ora di liberare gli immaginari e di avere il coraggio di agire nel qui e ora per una cittadinanza glocale,

quella dei nostri figli meticci». E ancora: «L’urlo disperato e rabbioso “adesso!” ha in realtà molteplici significati e

diversissime prospettive esistenziali a seconda

dei contesti, della propria personale situazione,

della valutazione che si dà ai tempi in cui si vive,

dei propri interessi...». L’autore affronta brillante-

mente un’analisi a tutto campo delle enormi po-

tenzialità di cui gli individui e le comunità dispon-

gono per tentare di migliorare le proprie condi-

zioni, a patto che la loro azione si basi sulla rifles-

sione e sul pensiero critico.

Nell’inserto dedicato a «L’ora delle religioni», Mar-

co Dal Corso, nel suo contributo intitolato «Per

una pedagogia ecumenica e interreligiosa» ci par-

la dell’enorme influenza che lo «spostamento»

geografico, numerico e propulsivo, del centro

pulsante del cristianesimo nel sud del mondo

può avere nello sviluppo di una nuova prospetti-

va ecumenica e interreligiosa.

Per la sezione cinema, Lino Ferracin mostra come

il film «An Education» possa costituire un utile

strumento «per riflettere e far riflettere sull’oggi,

sulla nostra fragilità di fronte al virtuale che ormai

costruisce gran parte del nostra conoscenza del

mondo e sempre più modella i nostri criteri di bene e male, le nostre graduatorie di valori, le nostre priorità nel-

l’agire».

Nella sezione «A scuola e oltre», segnaliamo l’articolo di Martina Vultaggio per la rubrica «Che aria tira a scuola?»,

che sottolinea come il futuro dell’istruzione dipenda da tutti noi e dagli strumenti collettivi che ci daremo per tu-

telarla come bene comune fondamentale; nella sezione «Resto del mondo», nella rubrica «PratiCare», Giacomo

Sferlazzo ci parla del «cimitero delle barche» di Lampedusa, e di come questa trista testimonianza delle vite e dei

sogni dei migranti abbia ispirato la sua attività di artista e la creazione di un museo.

Amici lettori, vi ricordiamo che la Campagna Dudal Jam prosegue anche nel 2011! Sostenetela! È una parte im-

portante dell’impegno di CEM! q

2 | cem mondialità | maggio 2011

Diego Magnani

Le illustrazioni che corredano questo numero della rivista sono staterealizzate da Diego Magnani, che ringraziamo di cuore. Ecco un suo breve profilo:

«Sono nato a Milano nel 1960. In passato ho collaborato con ilCorriere dei Piccoli e le Edizioni del Gruppo Abele. Ho realizzato queste immagini con Blender, un software dianimazione 3D Open Source. La mia grande passione è il cinemadi animazione, in particolare quello indipendente esperimentale. Con la collaborazione dell’amico Walter Saturniconduco bizzarri esperimenti filmici in 3D servendomi dipiccole creature verdi o di altri strani colori».

Il mio canale su YouTube: http://www.youtube.com/user/dieghito3dIl mio blog: http://3d-ego.blogspot.com/Istruzioni per creare bipedi verdi:http://my3dkingdom.altervista.org/www.blender.org per saperne di più su blender

Per contatti: e-mail: [email protected]

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L a suggestiva metafora«terzo Risorgimento»

che noi qui proponiamo co-me imperativo di pedagogiacivile è la proposta centralecontenuta nel Documentopreparatorio della XLII Setti-mana sociale dei cattolici ita-liani (Torino 28 settembre-2ottobre 1993) sul tema:Identità nazionale, democra-zia, bene comune. Nel documento si affermacon franchezza che «la socie-tà italiana è sottoposta atensioni che sembrano anda-re in direzioni nettamenteopposte all’unità stessa» e sifa espressamente riferimen-to «alla delegittimazione di-retta e indiretta del sistemapolitico su cui si regge lo Sta-to nazionale, alla dichiara-zione di crisi dei meccanismiistituzionali, alla denunciadella inefficienza statuale, al-la tentazione della ribellionefiscale, alla stessa propensio-ne a un federalismo visto co-me strada per il separatismo

delle aree ricche da quellepovere». Ma il documentonon si ferma qui.Quello che si è formato èuno Stato nazionale a con-duzione oligarchica e accen-trata, da cui le molte identitàsub-nazionali e le relativeculture vennero escluse per-ché negate: è uno Stato uni-tario nella forma (e quindiunificatore) ma non nella so-stanza, perché non si co-struisce su una coscienza na-zionale. Non a caso si disseche fatta l’Italia, andavanofatti gli italiani: mentre eranogli italiani che avrebbero do-

operazioni costruite essen-zialmente sull’emotività)» eneanche con «il secondo Ri-sorgimento, con la Resisten-za e la vicenda politica suc-cessiva che non riuscì a rag-giungere il suo obiettivo diunificazione della società ita-liana». Negli ultimi due paragrafidel documento si parla poiespressamente dell’esigenzadi una «nuova identità na-zionale» e in conclusione di«un terzo, vero Risorgimen-to». È il nucleo essenziale diciò che intendiamo proporreanche noi, nella convinzioneche esista una convenienzaper tutti a restare «uniti» co-me italiani, a cogliere l’inte-grazione europea come vo-cazione storica per il nostropaese, ad accettare la diver-sità degli immigrati per risco-prire la nostra identità e de-finirla meglio. Ma se si vuolerifondare il senso di apparte-nenza e passare da una na-zione forzata e in-compiutaad una nazione di cui tutti cisentiamo «con-sociati» eche, proprio per questo, «vaverso il suo compimento»,allora non può essere piùprocrastinato quel terzo Ri-sorgimento che abbiamo piùvolte evocato. In verità il do-cumento lo propone comeresponsabilità specifica per icattolici italiani che in passa-to hanno contrastato l’unitàforzata in nome dell’identitàpopolare, ma che oggi san-no di avere il compito storicodi «interpretare e vivere lacittadinanza post-nazionalesulla base di un rinnovatopatto democratico, nel qua-

Resistenza e CostituzioneIl terzo Risorgimento

Fino a quando l’Italia potrà permettersi di escludere dai processi decisionali che riguardano tutti, italiani e non,cinque milioni d’immigrati, senza compromettere la coesione sociale e la tenuta democratica del paese?

maggio 2011 | cem mondialità | 3

antonella fucecchi - antonio [email protected] - [email protected]

rifaregli italiani

La nostraresidua

speranza poggia sulla

convinzione chein coincidenzadel 150° l’Italiaabbia toccato

il fondoe precipitare più

in basso nonpare possibile

vuto fare l’Italia, come fu peraltri popoli europei.Il senso di appartenenza na-zionale non fu assicurato - siosserva ancora - né «con ilfascismo e con il consensodegli anni trenta (cioè con

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senso di responsabilità, ma an-che quello del pudore e la stes-sa dignità. Forse le parole piùsevere sono state pronunciatedal presidente dei vescovi italia-ni, cardinal Angelo Bagnasco,quando ha definito la situazio-ne italiana «disastro antropolo-gico». Per questo crediamo che,in futuro, non si possa fare altroche iniziare a risalire e a rinasce-re partendo dalle energie piùfresche di cui dispone l’Italia: isuoi giovani. Ciò che sarebbepiù urgente fare è voltare pagi-na e dar vita alla terza Repub-blica facendo tesoro della lezio-ne, che è monito per le inadem-pienze, ma ricca di compiti daassolvere, che i 150 anni ci con-segnano. q

rifare gli italiani

4 | cem mondialità | maggio 2011

Tre prospettiveda realizzare

La prima prospettiva consiste,concretamente, nella riforma della leggesulla cittadinanza. L’interrogativo cruciale daporsi è il seguente: fino a quando la nostrademocrazia potrà permettersi di escluderedai processi decisionali che riguardano tutti,italiani e non, quei 5 milioni di popolazioneimmigrata residente sul territorio nazionale,senza compromettere la coesione sociale ela tenuta democratica del paese?Sta qui il nucleo centrale della nuovacittadinanza di cui stiamo parlando. Il legame tra ethnos e demos, che fino a ieriappariva indissolubile, oggi va ridefinitoperché il cittadino di un determinato paesevuole sentirsi legittimamente libero cittadinodel mondo e lo straniero che da lontano èvenuto a vivere sul nostro territorio chiede abuon diritto, un adeguato status dicittadinanza. Da quando l’Italia si è data unaCostituzione repubblicana e democratica, ilsignificato di «popolo italiano» non puòessere più ridotto ad un ethnos ma deveessere aperto all’universalismo del demos e,

di conseguenza, ad una più estesacittadinanza.Ma la nuova legge sulla cittadinanza da solanon basta. Occorre, insieme ad essa, lariforma del federalismo, non come ipotesifeticcio né come sogno idolatrico allamaniera leghista, ma come prospettiva disussidiarietà e coesione nazionale.Siamo convinti che il federalismo possafavorire non solo l’unità del paese, ma lavalorizzazione delle sue diversità culturali,etniche e locali, configurandosi come lanuova frontiera del meridionalismo. Una terza prospettiva per il nostro paese è lapiena integrazione dell’Italia all’Europaeconomica e politica, anch’essa bisognosa diuna nuova visione e progetto di futuro. Nonci riferiamo dunque all’Europa di oggi cheappare come il continente della paura,preoccupata di perdere la propria identità.Ciò che stiamo proponendo per l’Italia valeper la stessa Europa. Soltanto se questa avràil coraggio di aprirsi all’integrazione deimigranti, i nuovi europei, potrà uscire dalsuo arroccamento e tornare ad essere centropropulsore e faro di civilizzazione. Serveallora riscoprire lo spirito dei padrifondatori, lo sguardo che fu di De Gasperi,Schumann e Adenauer e rilanciare ilprogetto europeo.

Il federalismo può favorire nonsolo l’unità del paese, ma la

valorizzazione delle suediversità culturali e etniche

e locali, configurandosi come la nuova frontiera del

meridionalismo

dro dei valori fondamentalidella Costituzione repubbli-cana, per uno Stato di tutti».Il presidente Giorgio Napoli-tano nel suo discorso di fineanno 2010 agli italiani ha af-fermato con estrema chia-rezza che «non possiamo co-me Nazione pensare il futurosenza memoria e coscienzadel passato». Ha esortato an-che ad avere fiducia «nellavirtù degli italiani», in quel«patrimonio vivo che è il su-peramento di prove durissi-me, come il liberarci dalladittatura fascista, il risollevar-ci dalla sconfitta e dalle di-struzioni dell’ultima guerra,ricostruendo il paese e tro-vando l’intesa su una Costi-tuzione animata da luminosiprincipi».

Oltre il disastro antropologico

A 150 anni di distanza sonosufficientemente chiare legravi responsabilità politicheche in fasi successive hannoavuto ora la monarchia sa-bauda, ora la dittatura fasci-sta, ora la prima Repubblicaa guida democristiana e infi-ne la seconda Repubblica so-stanzialmente a guida berlu-sconiana. Qualche sprazzo di luce, èvero, non è mancato, manon ci piace indugiare nelcatastrofismo. La nostra resi-dua speranza poggia sullaconvinzione che in coinci-denza del 150° l’Italia abbiatoccato il fondo e precipitarepiù in basso non pare possi-bile. Non si prova più nean-che vergogna, quasi fossevenuto meno, non solo il

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maggio 2011 | cem mondialità | 5

Dubbi

I soggetti adulti non pensano ai soggetti bambini inmodo coerente: le istanze delle famiglie spessodivergono dai modelli educativi che la scuola propone.

bambinee bambinilucrezia [email protected]

accesso alla cultura per tutti.Le difficoltà si ripropongonopuntualmente nel ripensarela fisionomia dei tutti e il si-gnificato di cultura.

La scuola come momento di co-costruzione della conoscenza

La pluralità dei soggetti, lecomplesse appartenenze fa-miliari, sociali, religiose, lin-guistiche, comportano come

ola

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prima conseguenza la neces-sità di ripensare all’esperien-za della scuola come mo-mento di co-costruzione del-la conoscenza in permanen-te condizione di confronto(talvolta assai faticoso) e dicooperazione. In fondo ilcompito della scuola è sem-pre lo stesso: creare condi-zioni per fare e riflettere at-traverso la condivisone, cioèla condizione obbligata didialogo e di interazione frasoggetti differenti e fra i sog-getti in apprendimento e leconoscenze. Ma sono cam-biate in modo radicale lecondizione nelle quali opera-re. I soggetti adulti non pen-

sano ai soggetti bambini inmodo coerente: le istanzedelle famiglie spesso diver-gono dai modelli educativiche la scuola propone, conesiti che sono sotto gli occhidi tutti. Ma forse non esistealtra scelta che quella di per-seguire con tenacia l’idea difondo che ha ispirato e ispiraancora molti insegnanti: apartire dall’analisi della real-tà e dalla consapevolezzadella complessità del compi-to, la scuola deve continuarea creare le condizioni cherendono possibile la cono-scenza. Ciò potrebbe esserepiuttosto semplice se la co-municazione del sapere fos-se condizione sufficiente pergenerare conoscenza. Masappiamo bene che non ècosì: la competenza episte-mologica di ciascun docen-te, pur se obbligatoria e ri-gorosa, non basta a garanti-re il successo dell’apprendi-mento. Per imparare servemolto altro: la qualità dellarelazione fra adulti e bambi-ni, la qualità della relazionefra docente alunni e discipli-na di insegnamento sono al-trettanto importanti. Non èla buona relazione in sé chedebba essere perseguita co-me obiettivo fondamentale,ma la buona relazione come

L a scuola vive sempre dipiù il presente con un

notevole disorientamento,pressata com’è da critiche eda richieste del tutto diversee talvolta contrastanti. L’at-tuale orientamento politico ele riforme che da esso sonostate generate sembranoispirate in gran parte dal bi-sogno di contenimento dellaspesa pubblica da un lato edall’altro strizzano l’occhio(malamente) alle richiestedel mondo produttivo di for-nire saperi e conoscenze utilial mercato e quindi orientati,eterodiretti, identificati, pro-prio nella loro dimensione diutilità, con la finalità stessadella scuola. Di quello chedavvero accade nelle aulescolastiche sembra inveceimportare poco. Da qui il di-sagio da parte degli inse-gnanti e la fatica di molti neltentativo di recuperare unadimensione che abbia qual-che senso. Si continua peròad avvertire la necessità di re-sistere e di ridefinire il ruoloproprio d’istituzione pubbli-ca della scuola, promotrice di

Per poterscegliere, il

bambino devematurare unio coscientein grado di

interrogarsi edi interrogare

la realtà

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condizione necessaria perapprendere. Va ricostruitoun modello corretto di rap-porto, non necessariamentefacile o scontato, con la real-tà esterna, perché questorapporto è ciò che costringea ripensare alla propria iden-tità e alle proprie apparte-nenze in relazione a quelle dialtri, riconoscendo la legitti-mità della differenza e dellapluralità e orientando allaprospettiva della educazionealla responsabilità. Control’idea dell’ineluttabilità si ri-valuta il senso del gesto indi-viduale, delle decisioni quo-tidiane che concorrono allaformazione di un sentire ar-ticolato e partecipe nei con-fronti della realtà.

Un’identità capace di dubbio e di relatività

La dimensione metacogniti-va favorisce l’esplicitazionedelle idee e dei valori presen-ti nell’esperienza personale,mentre la pratica dialogicaconsente di apprezzare il va-lore della diversità nella dia-lettica identità/alterità e dipraticare l’impegno persona-le empatico.L’apprendimento si costrui-sce a partire dai dati di co-noscenza elaborati attraver-so il confronto delle opinionie delle esperienze, il che pro-duce, fra l’altro, il riconosci-mento dei differenti punti divista, la capacità di argo-mentare le proprie afferma-zioni, la presa di coscienzadelle implicazioni e delleconseguenze di un determi-nato modo di pensare sullapropria e altrui esistenza.Dopo tante riflessioni sul

6 | cem mondialità | maggio 2011

bambine e bambini

concetto d’identità, sulle suecaratteristiche e sui suoi ele-menti costitutivi, forse è op-portuno, in questo contesto,pensare ad un’identità piùcapace di dubbio e di relati-vità, meno tesa alla afferma-zione di sé e più disponibilea sopportare il disagio delconflitto e capace di soluzio-ni più creative e spiazzanti,meno seriosa e più in gradodi giocare con le mille possi-

La chiave dell’interpretazione

Paradossalmente, l’immaginario individuale,modellato mediaticamente, rende assai piùcomplicato questo processo di riconoscimentodel proprio diretto rapporto con le grandi sfidedel nostro tempo. L’illusione di conoscere tutto,di avere il mondo a portata di mano (o ditelecomando) facilita la costruzione di unpensiero privo di spessore e poco inclineall’individuazione delle componenti complesseche governano la realtà.A partire dalle prime, piccole esperienze diconoscenza che la scuola deve proporre, è lachiave dell’interpretazione sulla quale porremaggiore attenzione piuttosto che sugli aspettiquantitativi. Maturare la capacità di essere cittadini significapossedere le necessarie conoscenze per essere ingrado di decidere consapevolmente o meglio,essere in grado di organizzare la ricerca delleinformazioni che sono necessarie per vivere ilproprio tempo. L’abitudine al confronto e allarelazione come strategia metodologicaquotidiana, anche nell’ambito disciplinare, educanel tempo al riconoscimento della complessità. Per poter scegliere, il bambino deve maturare unio cosciente in grado di interrogarsi e diinterrogare la realtà e quindi si rende opportunauna didattica che tenga in grande conto gliaspetti metacognitivi dell’apprendere e abituialla riflessione sul senso del conoscere, sullacapacità di argomentare e mettere indiscussione, sul piacere della conoscenza, da unlato, e sul valore del dubbio, dall’altro,facilitando il percorso dal mondo dellecategorie empiriche a quello dellaformalizzazione.

bilità offerte dalla scopertadel mondo. Anche la nostra identità pro-fessionale ha bisogno di es-sere rivista in questa direzio-ne. Forse la crisi di senso chemolti insegnanti attraversa-no in questo tempo è legataad un immaginario profes-sionale che non funzionapiù: negli alunni si sono mo-dificati in tempi rapidissimistili cognitivi, strutture per-cettive e logiche, la dimen-sione quantitativa dei datidisciplinari è aumentata a di-smisura, è difficile deciderequali competenze, saperi,contenuti, metodi, siano daprivilegiare. Prendiamoci iltempo di osservare per capi-re, di ripensare in modo piùconsapevole le ragioni delnostro lavoro e poi per sce-gliere, inevitabilmente, macon maggiore consapevolez-za e maggior fiducia. q

La scuola devecontinuare a

creare lecondizioni che

rendonopossibile laconoscenza

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Due risposte, il diveniree le non-etichette

ragazzee ragazzisara [email protected]

di ruolo esclusivi di questoplesso. La precarietà è la re-gola, persino il dirigente quiè precario e condiviso. Comeaffrontare l’anno prossimocoi miei ragazzi, noti e igno-ti? Devo per prima io accet-tare questo senso di preca-rietà che ogni anno si fa piùpresente, che si traduce invoglia di una boccata d’ariaa 2000 metri, l’unica stradache mi sembra di poter per-correre è quella di applicarenella vita professionale lestesse regole che tutti noidobbiamo rivedere ogni 1°settembre: adeguarci alleclassi, a ogni singolo allievo(o gruppi di allievi), adattarela didattica...Ripenso alle vacanze: cosa ciconforta dopo un viaggio?Ritrovare la nostra casa, i no-stri amici. Cosa ci mortifica?Ritrovare il vicino arrogante,i volantini che svolazzano ingiardino… Allora colgo nel-l’incertezza una possibilità inpiù per cambiare/respirarearia diversa. Ma non è facileadeguarsi ai colleghi mutan-ti, ai cambi di direzione ed’incarichi. Raccolgo le forze dopo leparole denigranti del pre-mier e punto l’ago della miabussola frantumata sui mieistudenti. Sorpresa, resto, inuna opaca epifania che ral-lenta tutto, non sono piùturbata dai possibili muta-menti, m’inquietano di piùle permanenze; l’incertezzanon mi destabilizza più, mipare di aver mutato que-st’ansia da fuggevolezza intensione al divenire, un dive-nire forte, nonostante ilmondo intorno e l’assenzadi opinione pubblica sullascuola. Forte, forse.

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Colgo nell’incertezza una possibilità in più percambiare/respirare aria diversa. Ma non è facile adeguarsiai colleghi mutanti, ai cambi di direzione e d’incarichi.

La precarietà èla regola,persino il

dirigente qui èprecario e

condiviso. Comeaffrontare

l’anno prossimocoi miei

ragazzi, noti eignoti?

tante dell’attuazione diquanto progettato in queidue mesi, l’unico tempo chesento davvero affidato allapedagogia della lumaca. So-no una privilegiata, arruola-ta in un plesso che non èmolto richiesto in fase di as-segnazioni provvisorie o an-nuali (per ora). 6 i precari, 3i docenti di ruolo condivisicon altre scuole, 3 i docenti

«Così l’umanità non è unpunto di partenza, ma unameta da perseguire grazieal supporto indispensabiledel processo formativo» G. Genovesi1

M anca poco alla finedell’anno - per chi la-

vora nella scuola l’ultimodell’anno corrisponde all’in-circa al 30 giugno - si avvici-na il bilancio, l’ansia dei re-gistri da completare, dei ra-gazzi di 3a che devono so-stenere l’esame, ma si trattadi lanciare già uno sguardopiù in là, oltre l’estate, oltreil mare o la casa isolata inAppennino, dove internet èun lusso, il cellulare non hacampo e io scampo lenta-mente. Già penso al prossi-mo anno - di conseguenzal’anno diventa quello cheinizia il 1° settembre -, c’èinfatti un tempo della so-spensione che è più impor-

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ragazze e ragazzi

Etichette da gettare

«Viviamo in un paese in cuil’etichetta prende il postodella persona alla quale nonviene più riconosciuta la suaunicità e quindi non “ascol-tabile” poiché ha pensierisuoi, unici, ma solo pensieriideologici e in quanto talisbagliati!», consolante Mo-nia, una cara amica.Come in un film. L’allievoleggeva la definizione di in-culcare (...opera di insistentepersuasione...) e pensavo:

lievi, non i colleghi né i reali-stici - non cinici - professori:«Prof, guardi che noi nonsiam mica d’accordo conquello che hanno detto!» e«A me non avete mai incul-cato nulla, mi avete insegna-

I miei ragazzi non sono di destra,

non sono di sinistra,

sono dodicenni, che avolte mi hanno messa in

discussione perché io l’hofatto per prima con loro

I miei ragazzi non sono didestra, non sono di sinistra,sono dodicenni, che a voltemi hanno messa in discussio-ne perché io l’ho fatto perprima con loro. Ho messo lamia faccia in questa aula econ questa classe, essendosempre me stessa scopro cheho espresso le mie idee, imiei valori di cui scrivevo quisopra, senza che mi etichet-

tassero politicamente.Non ho applicato lo-

ro etichette, loronon l’hanno fat-to con me e mihanno ascoltata.

Avrei voluto regi-strarli, ma il loroparlarsi nella vo-ce (diseducati!),uno dopo l’altro,

era così serrato che ne èmancato il tempo. Ero entrata in aula quellamattina senza sapere che lo-ro avrebbero detto ciò che inquel momento mi faceva delbene, mi mostravano comenoi docenti eravamo riuscitiad armonizzare le loro diver-sità e le nostre, così punta-vano alla mia salvezza, aquella della mia scuola, per-ché «la salvezza può staresolo nella difesa di quei lega-mi che ci fanno stare bene,che ci fanno crescere inquanto in essi siamo ricono-sciuti e in cui ci riconoscia-mo» (Monia confortante). Misentivo in armonia, con unaparte della scuola, avevo unpunto di ri-partenza per con-tinuare ad assumermi delleresponsabilità e loro con me,grazie ragazzi, da adesso! q

1 G. Genovesi, Pedagogia e didattica al-la ricerca dell’identità, Franco Angeli,Milano 2003.

Prof, cosa significa«inculcare?»

Ero entrata a scuola sapendoche quella mattina non avreitrovato colleghi coi qualiparlare di come mi sentivodopo le dichiarazioni delpremier, sapendo che non eronello storico liceo cittadino incui si possono permettere diesporre i fatti per stimolare glistudenti a una riflessione suquanto detto dal presidentedel consiglio, sapendo soloche ero lenta, che miinteressava in quel momentoincominciare il laboratoriosulle canzoni fasciste per farestoria in modo diverso (e giàmi risuonavan in mente lenote di Giovinezza e ilritornello Menefrego e salivauno strano disagio...). Facciol’appello e aspetto i cinqueminuti delle consuetedomande aperte, del «nonc’entra niente prof, ma possochiederle una cosa?». Ormai ècosì, si tratta dei primi minuti,quando il mio ascolto non èancora tutto per loro e losguardo è per metà rivolto alregistro da controllare, alletante cose che sicuramentedimenticherò di fare. Miaspettavo: «Ha portato leverifiche?» oppure «Andiamonell’aulalim per illaboratorio?» Invece no,emerge un: «Prof, è seria oggi,è arrabbiata per quello chehanno detto della scuola?»,un altro: «Prof, cosa significainculcare?». Impassibile, io,questa volta, rispondo: «Nonsono arrabbiata, cerca sulvocabolario il verbo, e poi noncredo sia giusto parlare diquesto, oggi, con voi». E michiedevo il perché diquell’autodivieto. Pensavo nonfosse giusto? Per troppotempo ho subìto il restare inequilibrio tra il fare scuola el’essere scuola, dimenticandoche io (senza impulsi titanici)qui, oggi e domani (nel miodivenire precario, fino adomani arrivo), sono la scuola.

perché non ho parlato lorodei princìpi di umanità, diuguaglianza, di rispetto allabase del mio essere prof?Perché non ho dichiarato chelo stesso concetto di laicitàche ho mantenuto alla basedel mio insegnamento, lodevo a princìpi umani chesono sovra ideologici, chesono universali, che si trova-no persino nel cristianesimo,sono nella Costituzione. Eora? Come spiegare? Ma poiperché spiegarlo a loro? Larisposta me l’hanno data -ancora una volta - i miei al-

to delle cose». L’altro prose-gue: «Non solo cose, quellepoi te le dimentichi, a meavete insegnato altro, miavete educato a rispettare leregole» (quello lo fa la fami-glia per prima) e proseguo-no: «A studiare», «mi aveteaiutata a scegliere la scuolasuperiore» e «A me a capireperché ci sono le regole» (al-lora non continueresti aprender note!) e poi ancora:«A me che ci sono casi in cuisi può disobbedire alle rego-le, quelle ingiuste». Critici,nel senso alto del termine.

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Adesso!Le sfide dell’educazione

L’educatore non può limitarsi ad un’empatia da pacca sulle spalleo a una leadership giovanilistica costruita sul legame emotivo,ma deve cercare di decifrare i segni dei tempi per aiutare i ragazzinel proprio cammino nella ricerca di senso.

stefano curci

generazione y

Il recente Rapporto annua-le del Censis ha fatto una

fotografia del tutto partico-lare della psicologia colletti-va degli italiani, che, secon-do i ricercatori, costituireb-bero una società «senza vi-gore e spessore», «senza re-gole né sogni», con un rap-porto deresponsabilizzatonei confronti del potere econ tendenza alla depressio-ne collettiva e non in grado,almeno al presente, di daresegni di risveglio. Sembria-mo un popolo confuso dauna crisi che non riusciamoa decifrare e da una specie diappagamento anestetizzan-te che si traduce in rassegna-ta accettazione della realtà.Lo scenario educativo è cam-biato e dobbiamo definitiva-mente rendercene conto: fi-no a qualche anno fa era piùfacile guidare i ragazzi versol’età adulta avendo comepunti fermi la famiglia, lascuola e le aggregazioni gio-vanili. Oggi la situazione èpiù complicata, come sinte-tizza il pedagogista Giorgio

cienza, di libertà, di rivendi-cazione del proprio valore edei propri diritti. Gli adulti, aloro volta, hanno a poco apoco ridimensionato il lororuolo a quello di semplicicompagni di viaggio dei ri-spettivi figli e/o allievi finquasi alla rinuncia di qualsia-si atteggiamento che possain qualche modo produrrefrustrazioni o piccole soffe-renze»1.

Le ragioni culturalidella crisi educativa

Chiosso prova a indicaredelle ragioni culturali perla crisi educativa che ab-biamo di fronte. La primaè il soggettivismo radica-le che occupa l’orizzonteemotivo di molti giova-

ni: tutti presi dal pro-prio ego non riesco-no a sacrificarsi perun bene comune o unvalore condiviso. La

seconda è l’abdi-cazione di moltiadulti rispettoal loro ruoloeducativo, in

una deresponsabilizzazioneche permette di avere menostress ma che toglie punti diriferimento ai ragazzi. La ter-za è la convinzione diffusache l’educazione sia un pro-cesso naturale di adattamen-to alla vita sociale, che fun-ziona meglio se non subiscecoazioni o eccessivi condizio-namenti. A queste tre causene possiamo aggiungereun’altra che aumenta sia ildisorientamento dei ragazzisia la loro refrattarietà a se-guire le regole degli adulti:l’espansione della devianzache, in un recente saggio, il

Chiosso: «ci troviamo difronte a un’idea di introdu-zione all’età adulta alquantodiversa, nutrita più di libera-zione dai vincoli tradizionaliche di partecipazione a unaidentità condivisa. Nei giova-ni è molto più diffuso che inpassato il senso di autosuffi-

Sembriamo unpopolo confuso

da una crisi chenon riusciamo a

decifrare e dauna specie diappagamento

anestetizzanteche si traduce in

rassegnataaccettazione

della realtà

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gettivo» come una limitazio-ne della libertà e dell’auto-nomia educativa: ma non siaffronta l’emergenza educa-tiva senza mettere in discus-sione anche la dittatura delrelativismo, come ha più vol-te ricordato Benedetto XVI.L’educatore non può limitarsiad un’empatia da pacca sul-le spalle o a una leadershipgiovanilistica costruita sul le-game emotivo, ma deve cer-care di decifrare i segni deitempi per aiutare i ragazzinel proprio cammino nella ri-cerca di senso: «per non ar-renderci al male di vivere po-tremmo almeno dare unaspolveratina alla pedagogiadella persona come “esserevivente dotato di logos”, del-la comunità come ordineeducante, della convivenzacome cittadinanza attiva eresponsabile che non incen-dia i campi Rom»5. q

1 G. Chiosso, Percorsi di vita buona, in«Nuova Secondaria», 6/2011, p. 27.2 S. Ferraroli, Educare si può. Famiglia escuola insieme, Ldc, Leumann (To)2010, p. 10. 3 A. Oliverio Ferraris, A. Rustichelli, Lacultura dello sballo tra gli adolescenti,in «Psicologia contemporanea», set-tembre-ottobre 2008, n. 209, p. 62.4 Ferraroli, op. cit., p. 18.

5 Ivi, p. 20-21.

generazione y

capacità tecniche, ovverol’educazione è principalmen-te orientata in vista del futu-ro esercizio della professio-ne. Manca invece soventel’educazione integrale allapersona, che è necessaria»4.Certo, un’educazione pura-mente tecnica è più facile,perché permette all’adulto dilasciare il proprio mondoemotivo fuori dalla relazioneeducativa. Ma senza un’educazione in-tegrale avremo al massimodei bravi tecnici che non sa-ranno però in grado di utiliz-zare criticamente il loro sa-pere. So che molti educatorid’ispirazione più «relativista»vedono qualsiasi proposta dicodice etico o di bene «og-

La criminalitàminorilePer quel che riguardala criminalità minorile,il fenomeno è inaumento esoprattutto si sta«preconizzando»,manifestandosinell’ancor piùinquietante versionedel «branco», in cuiragazzi insospettabilisi macchiano di azioniche nessuno dei loroconoscenti si sarebbemai aspettato. Ancheil bullismo, intesocome prevaricazioneintenzionale di ragazziverso coetanei,praticata in modo nonoccasionale e conmodalità tali da crearedipendenzapsicologica, èdiventato ormai undato ricorrente nellecronache. Senzadimenticare che laviolenza di cui si deveoccupare uneducatore non è soloquella dei ragazziverso i coetanei, maanche la violenza su sestessi: nei paesioccidentali il numerodi adolescenti-giovanisuicidi è andatocrescendo, così comesono in aumento lepatologie che simanifestano neidisturbi alimentari.

pedagogista Sandro Ferrarolidefinisce «l’uscita dalla vitacomunitaria attraverso la tra-sgressione delle sue regole»2

e concretizza in nozioni co-me tossicodipendenza, cri-minalità minorile e bullismo. La tossicodipendenza è sem-pre un problema attuale, re-so più subdolo dal fatto cheoggi chi dipende da pastic-che o simili si nasconde mol-to bene, e ad insegnanti egenitori può sembrare per-fettamente integrato nelgruppo senza dare segnali didisagio. Così un’esperta co-me Anna Oliviero Ferrarisriassume i possibili segnali diallarme che educatori vigilidevono saper intercettare:«la ricerca scientifica affermache coloro che iniziano a be-re e a drogarsi da adolescen-ti hanno elevate probabilitàdi diventare alcol-dipendentie dediti alla droga. Ecco al-cuni segnali inviati dai giova-ni coinvolti nella cultura del-lo sballo: mutamento del rit-mo sonno-veglia; mutamen-to delle abitudini alimentari;mutamento del modo di es-sere e nell’umore; persisten-te difficoltà di concentrazio-ne; scarso o eccessivo inte-resse per le attività ricreative;insofferenza alle disapprova-zioni così come alle approva-zioni»3.

Come educare?

In uno scenario sempre piùproteiforme e complesso,come educare? Condividia-mo ancora l’analisi di Ferra-roli: «uno dei problemi del-l’educazione che si offre og-gi ai giovani è che spessovengono trasmessi quasiesclusivamente il sapere e le

Anche il bullismo

è diventato ormai un dato

ricorrentenelle cronache

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Per tutto l’arco dell’ulti-mo anno in questa ru-

brica si è tentato d’indagarequali potessero essere le pra-tiche «glocali» presenti nellavita quotidiana dei ragazzi edelle ragazze che attraversa-no oggi i nostri contesti edu-cativi scolastici ed extrasco-lastici: ci si è soffermati per-tanto sui modi - sempre di-versi e situati - nei quali i ra-gazzi e le ragazze usano cel-lulari, lettori digitali, compu-ter, videogiochi, videocame-re, ecc. In particolare si è cer-cato di mettere a fuoco lapossibile valenza intercultu-rale di queste pratiche. La sfi-da pedagogiche che essepongono agli educatori, in-fatti, è quella di cogliernel’importanza in quanto «cul-tura comune» a tutti i ragaz-zi e le ragazze di oggi, a pre-scindere dal fatto di essere fi-gli di genitori italiani o di ge-nitori migranti. In questosenso, queste pratiche pos-sono essere viste come unodi quegli ambiti comuni neiquali è possibile promuovere

ta popular culture) possonoentrare ed essere valorizzatinei contesti educativi.Il fascicolo contiene articoliche portano esempi concretidi come la popular culturepossa diventare occasione dieducazione alla democrazia(Nadine Dolby) e di percorsi dialfabetizzazione a scuola (An-ne Haas Dyson) e nella comu-nità locale (Maisha T. Fisher).Ma soprattutto il fascicolo ciaiuta a sintetizzare quello cheè stato il tentativo di que-st’anno della presente rubri-ca. Come infatti spiega alla fi-ne del fascicolo CameronMcCarthy (studioso afroame-ricano, fra i massimi esperticontemporanei di pedagogiadella popular culture), gli edu-

È nella «popular culture» che fin dai primi anni di vita sono immersi oggi i nostri allievi ed è al suo interno che si formano e riformano continuamente le loro identità.

in cercadi futurodavide [email protected]

catori di oggi si trovano difronte quotidianamente (ascuola e fuori da scuola) aflussi globali che sfidano lapresunta rigidità di concettiquali «cultura», «identità»,«nazione» o «Stato». La nostra risposta di educato-ri - sia a scuola sia fuori - ten-de spesso a rifiutare la quoti-diana pluralità che deriva daquesti flussi per riproporre in-vece, più o meno consapevol-mente, nel curriculo esplicitocome nei nostri atteggiamen-ti, un’idea nostalgica di omo-geneità e stabilità. Ma idee astratte come quelledi omogeneità e stabilità so-no ormai superate dai vissutidi ogni giorno dei nostri allie-vi e delle nostre allieve. L’invi-to di McCarthy (e del percor-so che abbiamo provato asvolgere sin qui quest’anno)è invece quello di guardare -come educatori - proprio aquesti vissuti, e al ruolo chein essi gioca la cultura popo-lare globale, pur con tutte lesue ambivalenze. È infatti inquesta popular culture che -fin dai primi anni di vita - so-no immersi oggi i nostri allievied è al suo interno che si for-mano e riformano continua-mente le loro identità. È infondo anche un’occasionepedagogica preziosa, per ria-prire un dialogo tra genera-zioni che sembra spesso in-terrotto. Per noi educatori èdifficile partire da un terrenocome questo, in cui ci muo-viamo spesso da stranieri. Lasfida dell’educazione inter-culturale è però quella di av-venturarci proprio in questoterreno, per quanto scono-sciuto, esplorandone le ambi-guità e i rischi, ma anche lepotenzialità... q

Per approfondire

R. A. Gatzambide-Fernandez,A. Gruner (a cura di), Popularculture and education, numeromonografico della «HarvardEducational Review», 73 (3),autunno 2003.

La «popular culture»come occasione pedagogica

Idee astrattecome quelle di

omogeneità estabilità sono

ormai superatedai vissuti di

ogni giorno deinostri allievi e

delle nostreallieve

appartenenze condivise, in-terazioni e percorsi educatividi cittadinanza, sia in ambitoformale sia informale.Si tratta di un percorso appe-na abbozzato, ma per il qua-le è possibile rinviare il lettoreinteressato a proseguire que-sto viaggio a un numero mo-nografico pubblicato alcunianni fa da una delle più pre-stigiose riviste internazionalidi pedagogia, la HarvardEducational Review. Nell’au-tunno del 2003, infatti, que-sta rivista ha dedicato un in-tero numero al modo in cuilinguaggi, tecnologie e pro-dotti della cultura di massacontemporanea (la cosiddet-

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I l 14 dicembre ero in Piaz-za del Popolo, a 30 anni

nuovamente studentessauniversitaria, ancora preca-ria… guardavo la situazionedall’alto e soppesavo quantodi uguale e di diverso c’è nel-la generazione senza futuroche ha voluto riprendersi Ro-ma, i ventenni di oggi chestudiano, cercano lavoro enon ne trovano, insomma sisbattono in tanti modi e nonsanno se servirà a costruirsi ildomani, e per questo sonopieni di rabbia. Che aria tira a scuola? Percapire la storia che intendoraccontare bisogna che iomi presenti da un punto divista, perlomeno, scolastico:ho una laurea in scienze del-l’educazione ottenuta a Pa-dova nel 2003, grazie allaquale ho iniziato a lavorareancora prima di discutere latesi; nel 2008, dopo moltianni di pausa (non ne pote-vo più del «dinosauro» uni-versità: tempi morti, buro-crazia, poca concretezza)sto ora frequentando, sem-

pre a Padova, il terzo annodel corso di laurea «psicolo-gia dell’educazione», anzi,diciamolo bene: di «scienzepsicologiche dello sviluppoe dell’educazione», il cui ti-tolo altisonante ci dà proba-bilmente l’idea di quantooggi il sapere non sia più unbene comune, anzituttoperché non c’è la consape-volezza dell’esistenza dellostesso, dato che ognunostudia un pezzetto del tuttoe solo quello. Sempre per

La punta dell’icebergStorie di scuola al tempo della crisi,ovvero: cambiarela società per cambiare la scuola

Il futuro dell’istruzione, l’aria che tira a scuola, dipendeda tutti noi e dagli strumenti collettivi che ci daremoper tutelarla come bene comune fondamentale.

che aria tiraa scuolamartina vultaggio

Quello chescrivo può

sembrare moltopessimista, ma

non lo è. Non loè nelle piccole

storie dicoraggio di ogni

giorno

capire la storia che voglioraccontare bisogna guarda-re il contesto, al di là del sa-pore gommoso del cibo del-la mensa universitaria o del-la speculazione edilizia e de-gli affitti padovani (argo-mento che già di per sé cidirebbe moltissimo su comefunziona l’università in Ita-lia); al di là delle aule studioaffollate, dei professori perle tesi che non ci sono, deipochi coraggiosi insegnantiche a lezione ci hanno spie-gato perché sono contro lariforma Gelmini, con i mieicompagni che alzavano lamano per chiedere: «Sì, vab-bè, ma al compito che cosaci chiederà?».

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Se vogliamo capire il senso di tutto questo

Se vogliamo capire il sensodel tutto, andiamo a Lampe-dusa e guardiamo i 250 mor-ti in mare del 6 aprile scorso:donne, uomini e bambini, al-cuni sicuramente studenti, infuga verso la libertà, la stessache noi «esportiamo», o cheperlomeno avranno immagi-nato vedendo in tv le retiMediaset. A Lampedusa il primo datoche è emerso in manieralampante è che è stato il go-verno italiano a creare e rap-presentare pubblicamenteun’emergenza che altrimentinon ci sarebbe stata. E lo hafatto dirottando su quell’iso-la tutte le barche in viaggioverso l’Europa, non fornen-do alcun tipo di servizio(docce, bagni, tende) ai mi-granti arrivati sull’isola, nondando alcuna risposta ailampedusani.Andiamo a Torino da Mar-chionne e dagli operai dellaFiat: forse scopriremo che lariforma Gelmini ha lo stessosapore amaro del ricatto, èallineata lungo lo stesso asse

della precarietà, fa scricchio-lare le fondamenta stessedell’economia del nostropaese…Andiamo all’Aquila, dove laparola «ricostruzione» è unconcetto vuoto: ricostruirel’università significa farlo co-me è stato fatto lì dopo il ter-remoto?Passiamo per le piazze vuotedelle scorse settimane, dellamancanza di mobilitazionecontro il nostro intervento inLibia: perché si sa, «noi» (disinistra, pacifisti, antimilari-sti, studenti in lotta, precari,ecc., ecc., ) abbiamo semprele idee giuste ma in questocaso è diverso e il dittatoreandava fermato: nessuno, aparte Gino Strada, che riesca

MartinaVultaggio

Educatrice, impegnatanei movimenti indifesa dell’ambiente,attivista nelle lotte perla pace e per la tuteladel [email protected]

I ventenni dioggi studiano,

cercano lavoroe non netrovano,

insomma sisbattono in

tanti modi enon sanno se

servirà acostruirsi il domani,

per questosono pieni

di rabbia

È ora che noiadulti cominciamo a discuterne

Non sorprendiamoci sel’università italiana ciassomiglia. Assomiglia aquesta società che èdiventata muta,parcellizzata, dove si puòdire tutto e il contrario ditutto; assomiglia alla crisi,ne ha il volto e se può haintenzione di sfruttarlafino in fondo.Quello che scrivo puòsembrare moltopessimista, ma non lo è.Non lo è nelle piccolestorie di coraggio di ognigiorno: gli indisponibili, iricercatori che in tuttaItalia hanno incrociato lebraccia, spesso non capitida chi ne subisce i disagi;gli insegnanti a cui è statoproibito di parlare dellariforma ma lo fanno lostesso; i ragazzini di unascuola elementare che sisono rifiutati di andare ingita perché, a causa deitagli, non c’eral’insegnante per ilcompagno disabile e gliera stato impedito dipartecipare.Il futuro dell’istruzione,l’aria che tira a scuola,dipende da tutti noi edagli strumenti collettiviche ci daremo pertutelarla come benecomune fondamentale.Diciamoci la verità: comecittadini adulti eresponsabili dobbiamoancora iniziare seriamentea discuterne, in questosono molto più bravi dinoi bambini e ragazzi!

a dire, anche con il rischiodi risultare troppo sempli-cistico: è inutile interveni-re ora, bisognava pensar-ci molto, molto prima!Ma no, non si può fare.

Noi democratici abbiamoil vizio del dialogo ad ogni

costo; siamo nelle piazze mase diventano calde comePiazza del Popolo in dicem-bre ce ne distanziamo; siamocontro le guerre ma se andia-mo in parlamento e coman-diamo noi le sottoscriviamo;siamo antirazzisti ma preten-diamo di giudicare il diritto difuga degli altri: libico sì, tu-nisino no! q

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sulla rivista, segnalavamocon quanta ricchezza e varie-tà fosse stata raccolta la pro-posta della resilienza. Comed’auspicio, le scuole vicine elontane (addirittura d’Ol-treoceano) avevano risposto,ma anche altre realtà sociali- singole persone, famiglie,gruppi e associazioni - ciavevano fatto conoscere tan-te progettualità, che si muo-vevano in un tracciato resi-liente4.

Un tentativo di bilancio

Ora, quale bilancio possiamotrarre al termine di questarubrica dopo due annate?Senz’altro una valutazionepositiva: le esperienze giun-teci ci hanno riconfermatocome ragionare di resilienzarisulti utile per illuminareaspetti diversi della realtàche ci circonda. Protagonisteancora una volta le scuole,spesso appoggiate nel lorolavoro da vivaci associazioni.Così i bambini di quinta diuna scuola primaria romana,con l’aiuto di due associazio-ni, l’una che si occupa del-l’integrazione lavorativa deisenza fissa dimora, l’altra at-tiva nel sostenere progetti disviluppo, hanno intrecciatola resilienza con la capacitàdi modificare le lenti con cuisi osservano i fenomeni so-ciali e l’hanno fatta dialogarecon le parti più nascoste ebuie della nostra psiche,quelle che ci fanno sentire adisagio di fronte alla diversi-tà, specie quando essa inve-ste categorie precise di per-sone connotate da un fortestigma sociale, come adesempio i senzatetto. I bam-bini, interrogandosi sul per-

Nel numero di agosto-settembre 20091 inizia-

vamo con un invito allascuola, augurandole di di-ventare una buona «palestradi resilienza»! La cosiddettariforma Gelmini era ai nastridi partenza e noi proponeva-mo la resilienza quale anti-doto contro i possibili traumigenerati da avvenimenti av-versi e destabilizzanti. Resi-lienza come capacità degliinsegnanti esposti in primalinea di ricercare nella pro-pria esperienza educativa edidattica «pratiche forti», ca-paci di riverberare creativitàe sostegno su un presenteincerto e contraddittorio.Per di più, nel ridefinire atti-vità, finalità e ruoli del pro-prio educare da parte dei do-centi spinti dalle difficoltà,vedevamo coinvolti anche igenitori, che, desiderosi discoprire chiavi di lettura peruna genitorialità più consa-pevole, si facevano co-prota-gonisti di una costruzione disenso. Perché, anche dal fat-to che gli adulti educatori

avrebbero cercato insieme dimettere a punto strategie dirinforzo del percorso forma-tivo, nuove riflessioni e inter-pretazioni condivise, si pote-

va ridurre le fragilità e co-struire resistenza. Queste le«buone pratiche» che sugge-rivamo, convinte come era-vamo e siamo che «leggersiin modo differente significamuoversi nel solco della resi-lienza»2. In agosto-settem-bre 20103, completata unaprima annata della rubrica

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buone pratichedi resilienzaoriella stamerra - alessandra [email protected] - [email protected]

Le esperienze giunteci ci hanno riconfermato come ragionaredi resilienza risulti utile per illuminare aspetti diversi della realtàche ci circonda. Protagoniste ancora una volta le scuole, spessoappoggiate nel loro lavoro da vivaci associazioni.

Resilienza,teniamocela stretta!

La resilienzarappresenta

un trattocaratteriale

e socialesempre

più necessariooggi

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sull’esempio del suo fonda-tore, il clown franco-algerinoMiloud Oukili, il riscatto deiragazzi di strada di Buca-rest8. Non è un caso se un’ur-genza simile ci viene ancheda un contesto geograficolontano, ma molto simile perdisagio e disgregazione so-ciale: la periferia di Manaus,terra di frontiera e corridoiodi droga, come la definiscepadre Arnaldo De Vidi, che làvive la sua esperienza missio-naria. Anch’egli, ragionandosul concetto di resilienza,l’avvicina ad una modalitàd’espressione tipica del po-polo brasiliano, ricca di signi-ficati simbolici profondi, chevanno al di là del puro intrat-tenimento: la luta capoeira9.

Buona resilienza a tutti!

Stesso esempio di forza, te-nacia e capacità d’inventivahanno messo in luce le tante

storie di donne al lavoronel bresciano, raccoltedai ragazzi del Liceo Ei-

naudi di Chiari in una mostrafotografica itinerante e inuna pubblicazione: ieri, dalSecondo Dopoguerra a metàdegli anni ’70, nonne, zie, vi-cine di casa, conoscenti, co-strette da necessità econo-miche a lasciare la loro fami-glia per andare a lavorarestagionalmente in campa-gna oppure a fare le pendo-lari in città - balie, governan-ti, bambinaie, dame di com-pagnia o a servizio in fami-glie facoltose, o ancora ope-raie nelle fabbriche svizzere;oggi donne che arrivate nelnostro paese dall’Est, dal-l’Africa o dall’America Lati-na, entrano nelle nostre case

ché la diversità faccia paura,hanno riflettuto su comequeste paure, in parte irra-zionali e fisiologiche, siano inrealtà sostenute da una cul-tura che favorisce le barriere,predilige l’individualismo,trascura la conoscenza el’approfondimento delle re-altà, specie di quelle fuoridalla nostra esperienza. Ilpercorso attuato li ha portatia questa scoperta: «la diver-sità fuori da noi serve a pren-der coscienza che la diversitàè dentro di noi, anzi è il trat-to distintivo di ogni essere vi-vente!»5.

Anziani e bambini

Di un’altra passività, diversama comunque correlata conil modello di società in cui vi-viamo, si è invece occupataSilvana Omati, che ci ha re-galato profonde riflessionisulla vecchiaia. Come posso-no gli anziani avere e coltiva-re ancora progetti di vita6, seai vecchi, da quando cessanodi essere soggetti produttivi,viene assegnato un ruolopassivo, se la comunità nonsi aspetta più nulla da loro,salvo la morte, se per gli altridiventano un peso?

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ad assistere vecchi, accudirebambini, aiutare nelle fac-cende domestiche. E sem-pre, in passato come nel pre-sente, la resilienza è la carat-teristica che contraddistin-gue le donne che lavorano10.La resilienza rappresenta untratto caratteriale e socialesempre più necessario oggi.Viviamo in una società con-notata da rischio e fragilitàdilaganti, una società che,esaltando l’individualismo,ha smarrito molti dei legamiche in passato ci permette-vano di riconoscerci parte diuna comunità, legami cheoggi ci sarebbero d’aiuto nelcostruire una cittadinanzaveramente democratica11/12.Dunque, possiamo conclu-dere solo con un augurio:buona resilienza a tutti! q

1 Buone pratiche di resilienza... all’ap-pello! in «CEM Mondialità», agosto-settembre 2009.2 B. Cyrulnik, E. Malaguti, Introduzionein Costruire la resilienza, Erickson, Tren-to 2005.3 A. Capovilla, O. Stamerra, Per unascuola diversa - Un’esperienza di inte-grazione con l’handicap, Città NuovaEditrice, Roma 2001.4 La diversità fa paura... come interagi-re?, in «CEM Mondialità», agosto-set-tembre 2010.5 Ibid.6 Si sta come d’autunno sugli alberi lefoglie, in «CEM Mondialità», novembre2010.7 Caldo/morbido o freddo/ruvido?, in«CEM Mondialità», dicembre 2010.8 Parada. Identità e culture, in «CEMMondialità», gennaio 2011.9 Pratiche di resilienza, in «CEM Mon-dialità», ottobre 2010.10 Resilienza fa rima con donna, in«CEM Mondialità», aprile 2011.11 Resilienza e senso del sacro: un bino-mio utile per una nuova cittadinanzademocratica, in «CEM Mondialità»,marzo 2011.12 E. Bianchi, Il pane di ieri, Einaudi, To-rino 2008.

Necessario quindi ripensareoggi l’identità delle personeanziane, altrettanto quantodefinire quella dei soggetti increscita. Di ciò si è occupataAlessandra, raccontandocil’esperienza vissuta dai suoialunni di prima elementarenel laboratorio di «mediazio-ne pacifica dei conflitti», vol-to a riconoscere e utilizzaremodalità di comunicazionenon violente7. Imparare che ogni personaha un valore è anche la pro-posta che altri bambini, sem-pre di Saronno, sono stati in-vitati a cogliere durante unospettacolo-narrazione, in cuierano chiamati ad indossareun naso rosso, espressione digioia e d’allegria, ma anchedi dignità ritrovata. A coin-volgerli in quel gioco estre-mamente serio sono stati gliAmici di Parada, associazio-ne che da tempo promuove,

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Nell’ambito del 21° Festival del Cinema Africano, d’Asia ed America Latina, svoltosi a Milano dal 21 al 27marzo 2011, è statoassegnato il tradizionalepremio sponsorizzato da CEM Mondialità.

Motivazione giuria studentiPremio CEM Mondialità

Il premio è assegnato al miglior corto-metraggio africano sui temi del dia-

logo interculturale da una giuria forma-ta da studenti delle scuole secondarie disecondo grado e dai giovani dei centridi aggregazione giovanile di Milano,grazie alla collaborazione della Fonda-zione L’Aliante: Ester Briaschi, MarcoCarosella, Vanessa Clifford, ValentinaCotugno, Jessica De Cristofaro, TamaraDe Fidio, Lorena Fernandez, Nouha Ja-biri, Valentina Pereposti, Salah Redoua-ne, Katia Rojas, Cosimo Santoro. Il pre-mio consiste nell’acquisizione dei dirittidi distribuzione home-video in Italia.

«Buonasera a tutti! Noi a nome di tuttala giuria degli studenti ringraziamo i re-gisti di tutti i corti che abbiamo visto e dicui abbiamo discusso tra noi e siamocontenti di avere fatto questa esperienza.Vi elenchiamo ora i motivi per cui abbia-mo deciso di assegnare il nostro premio:

Per averci fatto capire in modo direttole difficili condizioni di vita di un bambi-no orfano e abbandonato a se stes-so in una società indifferente al-la povertà e alla solitudine;

10

21° Festivaldel Cinema Africano

d’Asia ed America Latina

Per averci fatto capire che quandonon si ha niente si pensa di più all’oggiche al futuro; Per avere narrato una storia che puòessere compresa anche dai bambini; Per averci aiutato a capire il film grazieai colori vivaci dell’ambientazione e allamusica coinvolgente.Il premio CEM Mondialità va al film Le-zare (For today) di Zelalem Woldema-riam (Etiopia)Racconto morale sui paradossi dell’Afri-ca di oggi e l’inevitabile rapporto tra po-vertà e depauperamento del territorio.Il piccolo Abush è un bambino di stradaaffamato. Dà un aiuto alla comunità delvillaggio per l’evento di riforestazione incambio di una moneta ma quando siaccorge di averla persa torna sul campoe sradica tutto…Zelalem Woldemariam, regista e pro-duttore etiope, con il suo primo film,The 11th Hour, vince nel 2005 numerosipremi nei festival internazionali. Fondain quel periodo la Zeleman Production,una casa di produzione etiope che rea-lizza documentari, film per la tv e pro-grammi radiofonici. È inoltre direttoredi un festival di cortometraggi ad AddisAbeba e sta attualmente cercando i fi-nanziamenti per aprire una scuola di ci-nema in Etiopia.

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

GIUGNO-LUGLIO 2010

Nomadi del presente, cittadinidel futuro

AGOSTO-SETTEMBRE 2010

Gli spazi

OTTOBRE 2010

I tempi NOVEMBRE 2010

I saperi

DICEMBRE 2010

Passioni ecompassioni

10MAGGIO 2011

Adesso!

MAGGIO 2011

L’economia

MAGGIO 2011

FEBBRAIO 2011

La politica

GENNAIO 2011

Identità e culture

Il sacro, i sacri

ADESSO!

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Se l’educazione non è pericolosa non è educazione. E se glieducatori non sono intellettuali pericolosi si riducono a giul-lari. In versione doppia: allegra, tour operator. Badanti allegri.O badanti: giullari tristi.

FACILI PROFETI?

Queste erano le poche righe con cui, oltre un anno fa, RobertoMorselli e io presentavamo l’ultimo tema dei dossier di CEMMondialità 2010-2011. A rileggerle oggi, con negli occhi leimmagini terribili da un lato del terremoto in Giappone e dellacrisi nucleare conseguente e dall’altro degli aerei italiani edella Nato che bombardano il sino a ieri intimo amico e mae-stro di democrazia Gheddafi, sembrano parole profetiche.Per tacere dei barconi di disperati che fanno rotta verso l’Eu-ropa ed il conseguente sballottarsi e rimpallarsi la questionetra i molti egoismi che caratterizzano l’Unione Europea con-temporanea. Concludo queste note il 9 aprile 2011. A Brescia,

Il nostro è ormai il tempo delle scelte coraggiose, oltre lepaure entro le quali il potere tenta di imbrigliare i nostri im-maginari. È ora di liberare gli immaginari e di avere il co-

raggio di agire nel qui e ora per una cittadinanza glocale,quella dei nostri figli meticci.Adesso è l’hic et nunc, è il kairós, è l’attimo fuggente cheognuno di noi ha in mano. Viviamo in un mondo dove più au-menta la complessità, più aumenta la fragilità. Basta un nulla,un piccolissimo gesto, un errore, che tutto può cambiare daun momento all’altro. Basta un vulcano. Basta una piattaformapetrolifera su cui un tecnico non è riuscito a bloccare in tem-po un marchingegno… e migliaia di persone sono rovinate!La loro vita distrutta. E lo stesso accade per i rumors in borsa,per le speculazioni sui titoli da parte di chi li confeziona e poici scommette contro dopo averli rifilati a consumatori incon-sapevoli. Tanto poi a pagare saranno sempre i soliti. I poveri,i disperati incapaci di ribellarsi. Ribellarsi occorre.«L’educazione è pericolosa, perché alimenta il senso dellapossibilità» ha scritto Jerome Bruner1.

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Aluisi Tosolini

Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

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adesso! 10

a San Cristo, si dibatte dell’ora delle religioni. Nelle piazze ditante città d’Italia il mondo dei precari manifesta con lo slogan«Il nostro tempo è adesso!». Non c’è più tempo per l’attesa,dicono i giovani ed i post giovani precari e precarizzati checon tamburi, bandiere, slogan irriverenti, manifestano controuna situazione economico-politica che costringe circa 4 mi-lioni di loro a non avere futuro. Sono la prima generazione ne-gli ultimi 150 anni ad avere davanti a sé una prospettiva divita peggiore rispetto a quella dei propri genitori e nonni.Sono i laureati che scoprono che nessuno li vuole, fatta forseeccezione per qualche stage sostanzialmente «a gratis». Sonogli specializzati che sentono parlare di merito ma che poi sivedono sorpassare ovunque da coetanei con altri «meriti»:parentali, politici, di casta. Sono i disperati con master e dot-torati che neppure i supermercati vogliono come cassieri per-ché... troppo specializzati... (vedi p. 20).La loro presenza in piazza, il giallo che campeggia sui mani-festi e sugli striscioni, sono lì a ricordarci che oggi «No Futu-re» è una tragica prospettiva per milioni di giovani.

LA LINEA E IL PUNTO: KRONOS VS KAIRÓS?

Gli antichi greci avevano due parole per indicare il tempo,kronos e kairós. Mentre kronos si riferisce al tempo logico esequenziale kairós significa «momento giusto o opportuno»o «tempo di Dio». Non la linea del tempo (dove ogni atti-mo è ingoiato dal succes-sivo, come nel mito di Cro-no che identifica anche unaprecisa figura del maschi-le2), ma un momento nelquale accade «qualcosa» dispeciale.

In ambito teologico, ad esempio, il kairós è identificato comeil tempo della salvezza e si dice kairologica l’analisi, la de-scrizione, l’interpretazione, la valutazione di una determinatasituazione al fine di cogliere le indicazioni che lo Spirito ci of-fre proprio attraverso il linguaggio della storia. Si legge nellaGaudium et spes: «Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cuicrede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riem-pie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle ri-chieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con glialtri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni dellapresenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara diuna luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione in-tegrale dell’uomo, orientando così lo spirito verso soluzionipienamente umane» (Gs 11).Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente. Come, infatti, identi-ficare il kairos, come riconoscerlo? Come mettersi nella suascia? E chi ci dice che sia Adesso?

ADESSO?

Che significa adesso? Riconoscere forse nel momento attua-le, nell’oggi (nell’oggi in cui scrivo: oggi 9 aprile 2011) il tem-po della ribellione, della rivolta, della rivoluzione? Fosse cosìoccorrerebbe capire perché l’adesso è identificato con unospecifico oggi piuttosto che con il giorno prima o l’anno suc-

cessivo o il decennio precedente.Prendiamo il caso della lotta alla povertà o alla fame nelmondo. Lo scandalo della povertà3 e della fame, la ridu-zione a nulla di oltre un miliardo di persone nel mondo,quanto può attendere? Attende da secoli: ci conviviamo(anche piuttosto bene, a dire il vero) e non perdiamo cer-to il sonno pensando a chi muore di fame. Insomma... l’ur-lo disperato e rabbioso «adesso!» ha in realtà molteplicisignificati e diversissime prospettive esistenziali a secon-da dei contesti, della propria personale situazione, dellavalutazione che si dà ai tempi in cui si vive, dei propri in-teressi... Se infatti è comprensibile che i precari il 9 aprileabbiamo gridato «il nostro tempo è adesso!» è anche al-trettanto intuibile che chi deve farsi da parte, chi dovrebbefavorire il ricambio generazionale, la lotta alla precarizza-zione, ecc... non sia propriamente dello stesso parere op-pure si trovi nella concreta impossibilità di rispondere adesideri e richieste belli e condivisibili ma irrealizzabili.

IL RICHIAMO DEL «KEPOS»: VERSO NUOVEREGOLE MONASTICHE?

E qui le strade si biforcano ed interpellano direttamenteognuno di noi. Da un lato occorre infatti capire la situazionenella quale viviamo, comprendere se in essa vi è intuibile unkairos oppure se sia dominata dalla prospettiva del kronos.Se siamo davvero di fronte ad un cambiamento incipiente

oppure se questo sia il tempo «ellenistico» in cui rifugiarsi

Non c’è più tempo perl’attesa, dicono i giovani ed

i post giovani precari eprecarizzati che con

tamburi, bandiere, sloganirriverenti, manifestanocontro una situazione

economico-politica checostringe circa 4 milioni di

loro a non avere futuro

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

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nel giardino-kepos ove ricercare la felicità con il quadrifar-maco di Epicuro, il filosofo greco che identifica la saggezzain un ascetismo impegnato a disciplinare in modo rigoroso ipiaceri. Lathe biosas, vivi nascosto, prescrive Epicuro4; ed ilsaggio è identificato come colui che attraversa in modo im-perturbabile il proprio tempo5.Con una non indifferente dose di semplificazione ci possiamoin sostanza chiedere: Oggi il mondo può cambiare? Le nostre azioni ed il nostro impegno incidono sull’eventua-le cambiamento del mondo? O, al contrario, è il caso di concentrarsi sul cambiamentoche riguarda noi stessi? Quasi un cambiamento che ci aiuti a

Il nostro tempo è adesso: la vita non aspetta!

Pubblichiamo il documento-appello che è stato alla basedella manifestazione del 9aprile scorso organizzatadal movimento dei precari eche mette al centro propriol’urgenza dell’agire«adesso».

Non c’è più tempo per l’attesa. È iltempo per la nostra generazione diprendere spazi e alzare la voce. Per direche questo paese non ci somiglia, manon abbiamo alcuna intenzione diabbandonarlo. Soprattutto nelle manidi chi lo umilia quotidianamente.Siamo la grande risorsa di questopaese. Eppure questo paese ci tiene aimargini. Senza di noi decine di migliaiadi imprese ed enti pubblici, università e

studi professionali non saprebbero piùa chi chiedere braccia e cervello e su chiscaricare i costi della crisi. Così il nostropaese ci spreme e ci spreca allo stessotempo.Siamo una generazione precaria:senza lavoro, sottopagati o costretti allavoro invisibile e gratuito, condannatia una lunghissima dipendenza daigenitori. La precarietà per noi si fa vita,assenza quotidiana di diritti: dal dirittoallo studio al diritto alla casa, dalreddito alla salute, alla possibilità direalizzare la propria felicità affettiva.Soprattutto per le giovani donne, su cuipesa il ricatto di una contrapposizionetra lavoro e vita.Non siamo più disposti a vivere in unpaese così profondamente ingiusto. Lospettacolo delle nostre vite inutilmentefaticose, delle aspettative tradite, dellefughe all’estero per cercare opportunitàe garanzie che in Italia non esistono,non è più tollerabile. Come non sonopiù tollerabili i privilegi e ledisuguaglianze che rendonoimpossibile la liberazione delle tantepotenzialità represse.Non è più tempo solo di resistere,ma di passare all’azione, un’azionecomune, perché ormai si è infrantal’illusione della salvezza individuale. Perraccontare chi siamo e non essereraccontati, per vivere e nonsopravvivere, per stare insieme e non dasoli.Vogliamo tutto un altro paese. Nonpiù schiavo di rendite, raccomandazionie clientele. Pretendiamo un paese chepermetta a tutti di studiare, di lavorare,

di inventare. Che investa sulla ricerca,che valorizzi i nostri talenti e la nostramotivazione, che sostengaeconomicamente chi perde il lavoro, chilo cerca e chi non lo trova, chi vuolescommettere su idee nuove eambiziose, chi vuole formarsi inautonomia. Vogliamo un paese cheentri davvero in Europa.Siamo stanchi di questa vitainsostenibile, ma scegliamo direstare. Questo grido è un appello atutti a scendere in piazza: a chi halavori precari o sottopagati, a chi nonriesce a pagare l’affitto, a chi è stancodi chiedere soldi ai genitori, a chichiede un mutuo e non glielo danno, achi il lavoro non lo trova e a chi passada uno stage all’altro, alle studentessee agli studenti che hanno scosso l’Italia,a chi studia e a chi non lo può fare, atutti coloro che la precarietà non lavivono in prima persona e a quelli chela «pagano» ai loro figli. Lo chiediamo atutti quelli che hanno intenzione diriprendersi questo tempo, discommettere sul presente ancor primache sul futuro, e che hanno intenzionedi farlo adesso.

www.ilnostrotempoeadesso.it

diventare «atarassici» nei confronti del mondo e del male chelo innerva? La prima domanda ha una risposta facile: sì, il mondo puòcambiare e cambia. Ma spesso non lo fa in tempi a noi noti,così che la storia, anche contemporanea, ci presenta lunghiperiodi di stasi e repentini ed inattesi mutamenti. Va qui sot-tolineato il concetto di imprevisti, nel senso che nessuno liaveva previsti in quel momento e in quel tempo. Solo per faredue esempi: 1989, il crollo (o l’abbattimento?) del muro diBerlino; 2011, il risveglio democratico dei paesi arabi. Certo,eventi attesi e desiderati da migliaia di persone che per rea-lizzarli o anticiparli hanno spesso dato la vita. Ma anche even-ti in cui si è manifestato un kairós che nessuno aveva previsto

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adesso! 10gli spazi 2

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Questo mese raccontiamo la sto-ria dell’eroe dei senza tetto, ilreligioso che ha lasciato uno

straordinario esempio di carità organiz-zata. Al secolo Henri Antoine Groués, ilsacerdote cattolico noto come AbbéPierre ha cominciato a interessarsi aipoveri da ragazzo con opere di volon-tariato. Poi, nel 1928, sedicenne, rima-se fortemente ispirato da una visita adAssisi, in particolare all’Eremo delleCarceri, al punto da volersi fare france-scano. Nonostante la scelta religiosa,durante la guerra Pierre nascose ebreie rifugiati, anche guidandoli personal-mente su impervi passaggi montani, efu comandante partigiano: riparato inAlgeria per sottrarsi alla Gestapo che

gli dava la caccia (e salvato, per unavolta, da uno dei suoi non infrequentiricoveri in ospedale che lo fa risultareassente quando i tedeschi andaronoper arrestarlo), raggiunse le forze fran-cesi non allineate al governo di Vichy ene fu il cappellano. L’esperienza di aiu-to agli ebrei gli servirà per difendersianni dopo, accusato di simpatie nega-zioniste per un’amicizia piuttosto «sco-moda» col filosofo Garaudy.Dopo la guerra l’abbé Pierre fu deputa-to, prima come indipendente nelle listedel Movimento Repubblicano Popolare(Mrp), poi come membro a tutti gli ef-fetti del partito. La scelta del Mrp eradovuta soprattutto al fatto che nellasue file vi erano molto dei membri cri-stiano-democratici della Resistenzafrancese. Da politico s’impegnò per ildisarmo nucleare (anche con Einstein)e presentò in tempi assolutamente nonsospetti (1949) un disegno di leggesull’obiezione di coscienza. Sempre nel1949 acquistò e ristrutturò una grandecasa che diventò la prima sede di Em-maus: da lì nacquero comunità di vo-lontari che ospitavano i senza casa, ibarboni e gli esclusi in generale. Pierreha sempre cercato di coinvolgere i suoi«ospiti» perché potessero a loro voltaaiutare altri poveri. Col tempo sono ar-rivati giovani volontari da tutta Europache si sono dedicati ad attività lavorati-ve nell’ottica della raccolta fondi, atti-vità che oggi ci sembrano un po’ data-te, ma che all’epoca funzionavano, co-me svuotare cantine o soffitte. L’idea difondo era fare un’esperienza di vita co-munitaria in nome della solidarietà edel rifiuto della società dei consumi (daqui il tentativo di recuperare gli scartidel consumismo). Nelle comunità Em-maus si pregava per quelli che hannofame ma anche per dare fame (di giu-stizia) a quelli che hanno il pane. Neglianni Cinquanta l’attività di Pierre e dei

Abbé Pierre

STEFANO CURCI

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suoi amici si arricchì con il sostegnonotturno ai senza tetto che dormivanosui marciapiedi. In particolare, nel 1954 Pierre divennefamoso in tutta la Francia perché lanciòun accorato appello da Radio Lussem-burgo: una donna era morta assideratain strada e servivano coperte, tende efornelli da campo per salvare tutti glialtri senza tetto: la mobilitazione po-polare fu straordinaria, una vera ope-razione di carità popolare.Intanto la carriera politica di Pierre erafinita in anticipo rispetto alla legislatu-ra: infatti si era dimesso per protestarecontro una legge elettorale maggiori-taria che favoriva in modo esagerato lacoalizione vincente a livello circoscrizio-nale. Pierre continuò ad occuparsi digrandi temi politici sfruttando la suafama: si impegnò per una positiva rice-zione popolare di fenomeni come ladecolonizzazione e la teologia della li-berazione, e, occupandosi di rifugiati,arrivò a fondare comunità Emmaus neipaesi più sperduti. Uno dei gesti che ifrancesi ricordano maggiormente èl’immagine di Pierre incatenato ai can-celli della Chiesa di Sant’Ambrogio aParigi per solidarietà con i sans-papiers. Fino alla sua morte a 94 anni (2007)ha continuato a viaggiare, ad incontra-re i diseredati di tutto il mondo e a ri-cordare a tutti che, se il disperato delmondo povero prende le armi per af-frontare il suo disagio, c’è una colpanon secondaria in tutti i benestanti delmondo ricco che hanno preso anche lerisorse degli altri. q

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

e identificato con certezza. Tentare di rispondere agli altri duequesiti è più difficile. E richiede la disponibilità a mettere incrisi alcune delle proprie incrollabili certezze. Per farlo pos-siamo partire da uno dei testi più importanti di filosofia con-temporanea che, emblematicamente, s’intitola Devi cambia-re la tua vita. Un testo ampio, complesso e controverso con ilquale il filosofo tedesco Peter Sloterdijk riflette, come dice ilsottotitolo, sulla antropotecnica, ovvero sulle pratiche median-te le quali «l’uomo produce l’uomo attraverso una vita di eser-cizi». Uno studio che, seppure in modo a volte decisamentediscutibile, ha il coraggio di rispondere alla domanda crucia-le che attanaglia l’umanità contemporanea: che fare di fronteall’imminente e realistica possibilità di una catastrofe globa-le? Che fare di fronte al destino che incombe, così ben de-scritto dal poeta Tomaž Šalamun? (vedi p. 29).E che la risposta («devi cambiare la tua vita») paia avere mol-te assonanze con la proposta epicurea non deve essere soloun caso... Come non pare un caso che il volume di Sloterdijk,pur costituendo una radicale critica nei confronti delle reli-gioni (o dell’uso ideologico delle religioni?), si concluda conl’appello all’immediata («ora o mai più») codificazione di nuo-ve «regole monastiche». Sola possibilità pertentare la salvare l’umanità intera.

RIBELLARSI? L’URGENZA DELLAGIUSTIZIA

Ribellarsi occorre. Qualche dubbio ri-mane su cosa realmente significhiribellarsi. Amartya Sen6 direbbe che ciò im-plica non tanto cercare di definire ilmigliore di mondi possibili e di conse-guenza il modo ed i contenuti di accordi perfettamente giusti(come vorrebbe il filone contrattualista dell’illuminismo),quanto piuttosto chiarire la diverse pratiche di giustizia con-centrandosi sull’analisi delle strutture sociali esistenti e sulladiscussione pubblica come strumento privilegiato per la ri-

duzione delle più palesi ingiustizie (filone comparativo del-l’illuminismo).Non, quindi, il concentrarsi sulla pianificazione di un mondocosì perfettamente giusto da essere di per se stesso deside-rabile da parte di tutti gli esseri razionali con il conseguenteloro impegno a realizzarlo (attendendo - prima di agire - chela pianificazione sia conclusa) ma l’impegno immediato, con-creto ed agito a superare almeno le ingiustizie più palesi.Al riguardo Sen riporta un’interessante distinzione tra due di-verse nozioni di giustizia presenti nell’antica giurisprudenzaindiana. «Il primo concetto (niti) si riferisce sia all’adeguatez-za di un’istituzione sia alla correttezza di un comportamento;il secondo (nyaya) riguarda i dati riscontrabili e il modo in cuisi presentano, in particolare la vita che le persone sono effet-tivamente in grado di condurre»7. Due giustizie, due linee di

azione, non necessariamente incontraddizione.Ribellarsi è allora, contempora-neamente, operare secondo

le due nozioni di giustizia ri-prese dalla giurisprudenzaindiana: l’agire concreto (in

base alla situazione reale ed alconsenso che si riesce ad ottenere

in quello specifico contesto e nell’inte-

Lo studio di Sloterdijk,seppure in modo a volte

decisamente discutibile, ha ilcoraggio di rispondere alla

domanda cruciale cheattanaglia l’umanità

contemporanea: che fare difronte all’imminente e

realistica possibilità di unacatastrofe globale?

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La lezione dei cristianesimi del sud

Lʼ evidenza demografica conferma lo sposta‑mento di gravità del cristianesimo: esso èoggi una religione soprattutto del sud del

mondo. Tale realtà porta con sé non solo un cam‑biamento per così dire geografico, ma anche e so‑prattutto tematico oltre che sociale. In ascolto dellecomunità credenti del sud del mondo, infatti, i temireligiosi che queste «portano in dote» sono vari edimpegnativi: oltre ad una diversa lettura biblica, at‑traversata da spinte di autenticità che sembranoprestarsi ad unʼinterpretazione di tipo fondamenta‑lista, oltre a un nuovo impianto teologico rivisitatoa partire dai problemi della vita a sud del pianeta,tema religioso dei cristianesimi del sud è anche esoprattutto quello interreligioso. Se, infatti, il movimento pentecostale (per cercareuna parola che comprenda le diverse realtà diffusenei paesi del sud del mondo) torna alla Bibbia e ad

essa chiede di confermare i significati originari co‑me quello, tra gli altri, di testo per la guarigione e lacura dalle malattie1, il movimento di liberazionepropone, non da oggi, una diversa riflessione teolo‑gica fatta «a partire dai poveri» che sono la maggiorparte dei credenti del sud del pianeta. Ma una so‑stanziale novità, lezione importante per le Chiesedel nord, rappresentata dalle voci dei cristiani diAfrica, Asia e America Latina è quella del dialogo in‑terreligioso2.

Da «fede e ragione» a «fedi e ragioni»

In ascolto dellʼemisfero sud, anche la teologia e ingenerale la riflessione fatta a nord viene chiamatain causa. Davanti alla crisi del cristianesimo e delleChiese del nord del mondo, i credenti dei due terzidi mondo invitano la teologia occidentale a rivede‑re il suo statuto. La richiesta, allora, sembra essere

a cura di MARCO DAL CORSO

PER UNA PEDAGOGIAECUMENICAE INTERRELIGIOSA

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quella di un cambio di paradigma per la riflessioneteologica: dal dibattito centrato su «fede e ragione»,attorno a cui si è concentrata la ricerca teologicamoderna, occorre passare alle nuove domande po‑ste dal confronto tra «fedi e ragioni», come sembrachiedere la stagione post‑secolare che stiamo vi‑vendo. Prima di cedere al «ritorno del sacro» quasifosse una vendetta contro la vita secolare e laica,prima di lasciare il campo agli «atei devoti» che ri‑ducono la religione a strumento identitario e triba‑le, ma anche prima che la teologia e i suoi rappre‑sentanti si sentano abitanti di una «cittadella fortifi‑cata» da difendere a denti stretti, abbiamo bisognodi ripensare lʼincontro con la diversità culturale e re‑ligiosa. In ascolto di altre ragioni e di altre fedi. Ementre la pedagogia interculturale ci ha insegnatola legittimità e la bontà delle diverse «ragioni» (nonesiste unʼunica ragione quasi che le altre logiche eletture della realtà fossero illogiche e irrazionali3), ètempo di esplorare anche le potenzialità di una pe‑dagogia ecumenica ed interreligiosa che sappia di‑re la legittimità e la bontà della altre «fedi».

Molta pedagogia: gli atteggiamenti

Proprio la presenza e consistenza di «fedi» diversesegnala un duplice pluralismo: quello ad extra, visi‑bile, ma anche quello ad intra, meno visibile. En‑

trambi sono orizzonti importanti per la pedagogiainterreligiosa. Il primo, infatti, chiede ad ogni fede diripensarsi, di rinunciare, soprattutto le religioni disalvezza, al proprio imperialismo religioso4. La pre‑senza di religioni e fedi diverse, e soprattutto lo loroirriducibilità, chiede alle Chiese cristiane ma anchealle altre comunità religiose, mosse dalla vocazionemissionaria allʼuniversalità, di smettere lʼatteggia‑mento «imperialista»: il campo delle religioni non èquello della concorrenza, casomai quello dellʼin‑contro, dello scambio. Non si tratta di rinunciare allapropria identità. Si tratta, piuttosto, di rivedere il rap‑porto con le altre tradizioni spirituali e religiose. Ilpluralismo ad extra chiede, inoltre, di ripensare ildialogo interreligioso come condizione intrinsecaalla verità. Dialogo non solo e non tanto come «stru‑mento», scelta strategica, quanto come condizione«ontologica» per accedere alla verità. Come condi‑zione etica: il dialogo impedisce alle religioni dʼim‑padronirsi della verità, essa non è mai possessoesclusivo di nessuna teologia e cosmovisione. Co‑me condizione storica: la «verità» stessa delle reli‑gioni, insegna la storia, è costruita sul dialogo.Lʼislam, ad esempio, non sarebbe islam senza il con‑tatto, lo scambio, il dialogo con il mondo ebraico ecristiano. E questo vale anche per le altre tradizionireligiose, «contaminate» storicamente dal rapporto,a volte dialogante, spesso conflittuale, con le altrediverse fedi. Ma, come testimoniano i cristianesimi del mondo,cʼè anche un pluralismo ad intra. Esso è lì per direche la natura dellʼesperienza religiosa è irriducibil‑mente plurale. La religione, infatti, ha una sua speci‑fica «genealogia»: nasce e si sviluppa, arriva e cresce.La religione, ogni religione, si «costruisce»: essa èanche il prodotto di un processo storico, quandonon politico e culturale. Questo pluralismo che ob‑bliga la riflessione ecclesiale a tener nel dovuto con‑to che la pluralità non è solo fuori da sé, ma ancheal suo interno, insegna almeno due cose. Lʼincontroe il dialogo con lʼaltro diversamente credente, ep‑pure ugualmente credente, mi chiede dʼimpararedalla sua diversità, ma anche di disimparare a partiredalla sua uguaglianza. Quando lʼecumenismo, ad

Marco dal CorsoDi professione insegnante di Irc

in un istituto superiore, legato peraffetto e per curiosità all’AmericaLatina, si occupa di temi legati al

dialogo interreligioso anche attraverso una piccola collana

che dirige per l’editore Pazzini.

[email protected]

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nelle relazioni umane, sa tener viva la radiceaffettiva della giustizia, sa contaminare la ra‑

gione con la pietà, con il pathos. Passione,infatti, significa «prendersi a cuore»

le sorti dellʼaltro; lʼempatia‑passione esercita una

funzione terapeutica:essa cura lo spirito e ilcuore della persona.

Vivere lʼempatia guari‑sce, come anche riceve‑

re empatia. Ascolto. Lʼatteggiamento

dellʼascolto sembra una richie‑sta scontata in una pedagogia inter‑

religiosa che tenga in considerazione ilpunto di vista dellʼaltro. Ascoltare impegna, come

vuole lʼetimologia della parola, a ob‑audire, «obbe‑dire» allʼaltro. Lʼascolto non è una concessione del‑lʼio alle parole e ai sentimenti dellʼaltro, ma diventaimperativo spirituale oltre che etico: è obbedienzaallʼaltro, ai suoi bisogni, alle sue richieste e desideri.Significa mettersi in un rapporto non giudicantecon lʼaltro, sospendere il giudizio che viene da meper provare ad ascoltare la vita che viene dallʼaltro.Conoscenza. La conoscenza è un prerequisito indi‑spensabile al dialogo. Per dialogare è importante co‑noscere il mondo dellʼaltro, la sua visione del mon‑do, magari la sua grammatica dottrinale, sicuramen‑te la sua storia, le persone che lʼhanno sviluppata...Ma la conoscenza non riguarda solo lʼaltro: conosce‑re il diverso serve a conoscere meglio se stessi. Nelconfronto con la diversità acquisto maggior consa‑pevolezza della mia identità. Inoltre, la conoscenzadellʼaltro serve a purificare il linguaggio e costruirequella che gli ecumenisti chiamano «riconciliazionedelle memorie». Abbiamo bisogno di parole nuoveper dire e ricostruire i rapporti con gli altri. Esistonoancora parole «vecchie» che si portano appressolʼignoranza piuttosto che la conoscenza del mondoaltrui. La conoscenza, insomma, permette di liberarsida memorie prigioniere dellʼignoranza.Decentramento. La pedagogia interculturale hamaturato un atteggiamento, quello del decentra‑mento, indispensabile per un rapporto tra culture e

esempio, insegna ad mettere al centro lʼessen‑ziale della fede cristiana, sta anche dicendo dilasciar perdere ciò che di quella fede non èessenziale. Una seconda lezione del«pluralismo ad intra» è che la sco‑perta della differenza, vissutainternamente e fino in fon‑do, ha una sua profondità.Esiste, irriducibile, unadiversità «religiosa» pro‑fonda. Essa riposa nelcuore, risponde alle pro‑prie inquietudini e do‑mande di senso. Se accet‑tata nella sua verità, questadiversità non impedisce lʼin‑contro e il dialogo.Insomma, la consistenza del pluralismo enon solo la sua emergenza sociale e cul‑turale deve informare la pedagogia inter‑religiosa. Che si richiama ad alcuni atteggia‑menti, «vocabolario minimo» per unʼeduca‑zione allʼincontro tra le fedi5. Perché, non dobbiamodimenticarlo, il dialogo interreligioso va educato6.Sette sono allora le parole per altrettanti atteggia‑menti di unʼeducazione al dialogo interreligioso dapraticare anche a scuola.

Identità‑differenza. Il richiamo alla parola «identità»per la pedagogia interreligiosa significa smaschera‑re lʼinvenzione dellʼidentità operata dalle ideologie.Mentre «differenza», parola della seconda parte delbinomio, nella pedagogia interreligiosa significa«diritto allʼopacità»: sei così diverso da me che noncapisco tutto del tuo universo, che mi tocca nondare per scontato nulla del mio universo, che qual‑cosa tra noi rimane «opaco». Eppure questo nonimpedisce la relazione, la convivenza. Anche perchécapisco che la diversità fa parte della realtà. Cʼè unadiversità di fatto che diventa «di principio».Empatia‑passione. La pedagogia interreligiosa habisogno di em‑patia. Per il dialogo occorre sapersidecentrare dal proprio punto di vista cognitivo edemozionale. Lʼatteggiamento empatico potrebbeessere descritto anche come proprio di colui che,

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persone di diversa identità che voglia essere parita‑rio e, appunto, interculturale. Da essa impariamoche il decentramento è quanto mai utile anche inambito interreligioso. Non solo utile, ma anche «lo‑gico». Infatti, è proprio la visione religiosa del mon‑do che ci invita ad assumere la logica della ex‑si‑stenza: del vivere fuori di sé, oltre la finitudine dellʼio,direbbe la teologia cristiana, oltre il desiderio dellʼio,direbbe, invece, la spiritualità buddhista. Decentrar‑si vuol dire vedere oltre il proprio orizzonte, ricono‑scere i «nuovi volti» delle fedi ed esperienze religio‑se che stanno nascendo: un cristianesimo semprepiù abitante del sud del mondo, un islam semprepiù europeo...Decentrarsi può voler dire, tra altre cose, che il dia‑logo interreligioso non potrà mai essere di tipo apo‑logetico, centrato, cioè, su se stesso. Il decentra‑mento, insomma, aiuta a vedere i punti di vista deglialtri e soprattutto a capire che «il proprio punto divista è solo la vista di un punto». Accoglienza. Lʼatteggiamento dellʼaccoglienza è ti‑picamente religioso: il dovere di ospitare lo stranie‑ro, il pellegrino, appartiene a tutte le morali religiosetradizionali. A capirne la valenza ci aiuta ancora lʼeti‑mologia quando ricorda che «accoglienza» significaad‑colere, cioè, cogliere presso di noi, far posto a unaltro che ha bisogno di fermarsi. Sono le necessitàdella vita a indicare gli «imperativi categorici» alleculture e alle religioni. Icona interreligiosa per lʼospi‑talità è quella fornita dalla tradizione africana che ri‑conosce, alla stregua di altre: «Un buon focolare èquello che accoglie ospiti».Racconto. Il racconto ci aiuta a riscoprire la dimen‑sione narrativa delle religioni: esse nascono per rac‑contare piuttosto che spiegare il divino. Raccontarecome il trascendente si comporta invece che pre‑occuparsi di capirne la «consistenza». E quando, se‑condo la narrazione evangelica, viene affermato:«Egli disse loro questa parabola...», non si proponesolo un artificio letterario, ma si sostiene una moda‑lità di manifestazione del divino. La parabola evan‑gelica, modello narrativo esemplare, non «dice Dio»ma permette che «Dio si dica». Nella narrazione Diotrova lo spazio per manifestarsi, per potersi dire, per

stabilire una relazione (cioè una religione) conlʼumano. Le narrazioni in tutte le religioni del mon‑do sono una delle cose più sacre da scambiare.

Un principio: lʼospitalità

Tanta pedagogia ci sembra possa trovare un princi‑pio «unificatore» attorno alla parola «ospitalità». Lapedagogia interreligiosa non indica solo una prati‑ca ospitale, ma ancor più un pensiero ospitale: quel‑lo che ricorda come lʼumano non si esaurisca nellalogica dellʼessere, ma nel suo superamento7. Essere,secondo il pensiero ospitale, è essere‑per‑lʼaltro. Cʼèun di più antropologico (superamento della logicadellʼessere), filosofico (prima di «penso dunque so‑no» riconoscere che «sono stato pensato, dunquesono») nonché teologico (quello che dice del Dioospitale come prima caratteristica divina) nel pen‑siero ospitale. Insomma, non solo una pratica, un at‑teggiamento morale, ma un pensiero rifondativo.In questo senso, lʼospitalità è un principio buonoper lʼecumenismo che verrà. Infatti, dopo la stagio‑ne dellʼecumenismo del consenso, il principio diospitalità può aiutare a costruire un ecumenismocapace di tenere le differenze senza annullarle, maanche senza trasformarle in disuguaglianze. Unecumenismo non solo della co‑esistenza, ma capa‑ce di pro‑esistenza. q

1 Cfr. P. Jenkins, I nuovi volti del cristia‑nesimo, Vita e Pensiero, Milano 2008.2 F. Wilfred, Dalla missione al mondo aicristianesimi globali. Una prospettivadallʼemisfero sud, in «Concilium»,1/2011, pp. 17‑34.3 Cfr. di R. Panikkar lʼintroduzione al suoCulture e religioni in dialogo, volume VIdellʼopera omnia in via di pubblicazio‑ne per i tipi di Jaca Book.4 Il debito di riflessione va alle opere delteologo spagnolo Andres Torres Quei‑ruga, alcune delle quali tradotte in ita‑liano, tra cui il recente Dialogo delle re‑

ligioni e autocomprensione cristiana,EDB, Bologna 2007.5 Vedi in particolare B. Salvarani, Voca‑bolario minimo del dialogo interreligio‑so, EDB, Bologna 20082.6 Cfr. M. Dal Corso, M. Damini, Insegnarele religioni, EMI, Bologna, 2011 cheospita oltre ad una parte teorica unpercorso didattico centrato sul meto‑do cooperativo.7 Cfr. M. Dal Corso, P. Sgroi, Ospitalitàcome principio ecumenico, Pazzini, Vil‑la Verucchio (Rn) 2008.

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e

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razione con i concreti «altri» con cui ci si relaziona) e la con-tinua ricerca nell’elaborazione dell’ideale di un mondo giusto(sempre più giusto, e non solo «perfettamente giusto»).All’interno di questa distinzione è importante comprendere ildiverso ruolo rivestito dalla ragione e dalla razionalità. Nell’illu-minismo contrattualista, prima di agire occorre essere tutti ra-zionalmente e completamente concordi (e quindi non si agiscemai...) mentre nel contrattualismo comparativo l’azione può av-viarsi anche in presenza di un accordo parziale su uno speci-fico punto. Una concezione etica e dell’azione sociale che cer-tamente si presta meglio ad un’interazione tra differenze se-condo le dinamiche interculturali.

LA NARRAZIONE E L’ISTANTE

Recentemente Martha Nussbaum ha scritto che «i cittadininon possono relazionarsi bene alla complessità del mondoche li circonda soltanto grazie alla logica e al sapere fattuale.La terza competenza del cit-tadino, strettamente correlataalle prime due, è ciò chechiamiamo immaginazionenarrativa. Vale a dire la capa-cità di pensarsi nei panni diun’altra persona, di essere unlettore intelligente della suastoria, di comprenderne leemozioni, le aspettative e idesideri»8. «Adesso!» implicain primo luogo partecipare al-la costruzione di una nuova,diversa ed altra narrazione.Un differente modo di conce-pire il mondo, le relazioni trasoggetti, tra differenze. Un di-verso uso delle parole. Non trovo migliore modo di dirlo che ri-correre a tre poesie di Alda Merini. Sul tempo, sul ruolo deipoeti, sul senso della poesia. Un esempio di narrazione altra.

Alda MeriniIl mio passato

Spesso ripeto sottovoceche si deve vivere di ricordi solo quando mi sono rimasti pochi giorni.Quello che è passatoè come se non ci fosse mai stato.Il passato è un laccio che stringe la gola alla mia mentee toglie energie per affrontare il mio presente.Il passato è solo fumo di chi non ha vissuto.Quello che ho già vistonon conta più niente.Il passato ed il futuronon sono realtà ma solo effimere illusioni.Devo liberarmi del tempoe vivere il presente giacché non esiste altro tempo che questo meraviglioso istante.

I poeti lavorano di notte

quando il tempo non urge su di loro, quando tace il rumore della folla e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio come falchi notturni od usignoli dal dolcissimo canto e temono di offendere Iddio. Ma i poeti, nel loro silenzio fanno ben più rumore di una dorata cupola di stelle.

Io non ho bisogno di denaro

Non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

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I luoghi collettivi dellenuove tribùDAVIDE BAZZINI

Gli spazi urbani nati con la modernità, i grandi agglo-merati sorti attorno alle aree industriali, le città dif-fuse la cui proliferazione è stata la tendenza della

nostra storia recente sono accomunate dal ripresentarsi diun’idea mutuata in realtà dalla città classica e rinascimenta-le: l’attesa positiva del futuro e della sua ineluttabilità. A partire da questa concezione, i luoghi, gli spazi di vita e dilavoro sono stati pensati e vissuti sacrificando la qualità allaquantità, il bello al funzionale. È utile ricordare quanto scri-ve un’antropologa canadese, Ginette Paris, ne La rinascitadi Afrodite: «Nella nostra cultura, che privilegia la potenzacivilizzatrice di Apollo e trascura quella di Afrodite, la mag-gior parte degli ospedali, dei luoghi di lavoro e spesso delleabitazioni somigliano più a caserme che a templi di Afrodi-te»1. La pressione della modernità e della sua positiva ideadi futuro sui luoghi ha insomma prodotto spazi urbani ra-zionali, privi di perturbazioni dettate dalla casualità o dallacreatività, con un’attenzione particolare al funzionalismo edalla specializzazione: luoghi di lavoro separati da quelli diresidenza, luoghi urbanizzati separati da quelli naturali, luo-

ghi di vita separati da quelli del loisir e del turismo. A lorovolta, il razionalismo e il funzionalismo progettuali hannoallontanato dai luoghi impulsi, emozioni, passioni ed espres-sioni artistiche.

«CHI È LA TUA CITTÀ?»

Ora assistiamo al tentativo di riportare all’interno di queiluoghi quelle emozioni, quelle passioni, quell’arte che ne era-no state scacciate. Si tratta di un tentativo ancora timido etalora inconsapevole, ma basato su una nuova utopia, quelladella qualità della vita, che riporta l’attenzione al tempo pre-sente. Le persone e i luoghi (nuovamente e intimamente pro-miscui ed «incrociati» nel «qui e ora» generato dalla nuovaattenzione alla qualità della vita) ridiventano centrali all’in-terno di questa nuova utopia. Tanto che per riferirsi a en-trambi, persone e luoghi, Richard Florida2 usa il «chi»: Whois your city?3, «Chi è la tua città?» è il titolo del suo ultimo li-bro, dedicato ai nuovi luoghi dove l’attenzione alla qualitàdella vita diventa magnetica, attrattiva. Luoghi che attraggo-no persone attraverso le «tre T», talento-tecnologia-tolleran-za. Luoghi e persone che contraddicono la tendenza princi-pale della globalizzazione, il mantra per il quale tutto il mon-do è connesso e quindi dove vivi e come vivi non importa; alcontrario nelle nuove tendenze abitative, nei nuovi stili di vitaurbani la scelta del luogo in cui vivere (e la qualità del vivere)è centrale. Anzi, emergono nuove aggregazioni, nuove ri-composizioni sociali proprio attorno e dentro ai luoghi per-cepiti come importanti. Attori principali di questa tendenza,di queste riaggregazioni, sono le nuove tribù urbane. Comeci ricorda Michel Maffesoli4: «nella società postmoderna apredominare non sono più le grandi istituzioni elaborate nelXIX secolo, ma le moltiplicazioni dei micro-gruppi. Ci si ritro-va insieme in funzione di un gusto: sessuale, musicale, spor-tivo, e così via. Nella giungla, la tribù era un modo di lottareinsieme contro la diversità esterna. Ebbene, accade lo stessonelle giungle di pietra che sono le nostre città: in questo sen-so le tribù urbane permettono di sperimentare nuove formedi solidarietà e di generosità, tipiche delle nuove generazioni.È un fenomeno in crescita: siamo solo all’inizio del processo».È un nuovo tribalismo, aggregato da stili di vita e di consumoinvece che da appartenenze territoriali. È un processo lento,ma inesorabile, che riconnette le persone ai luoghi.Per le nuove tribù, quel modello razionale intriso dell’uma-nesimo cartesiano e quell’urbanistica funzionalista che è ne-gazione dello spazio sono percepiti come sempre più clau-strofobici, mentre la liberazione, l’apertura sono portate dal-la riscoperta di una vita sociale che ritorna alla qualità, alpiacere, alla riscoperta del contesto, a un legame rinnovatocon i luoghi, alla centralità e all’importanza assegnata al-l’ambiente urbano. Assistiamo ad un’epifania del senso edell’importanza del presente, all’interno del quale possiamovedere ad esempio il ritorno al quartiere e alla strada comeluoghi di socialità.

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IL RUOLO PERICOLOSO DELL’EDUCAZIONE:SENTINELLA NELLA NOTTE

Abbiamo preso avvio da Bruner: l’educazione è pericolosaperché alimenta il senso della possibilità. È compito dell’edu-cazione se-durre, trascinare fuori verso un mondo altro. È suocompito favorire una sempre migliore capacità di leggere larealtà, le ingiustizie in essa presenti, il nostro ruolo nei con-fronti del loro permanere o svanire. Si tratta di un compito

«GUERRILLA GARDENING». I LUOGHI URBANIALL’INTERNO DI UNA NUOVA SOCIALITÀ

L’individualismo, uno dei principali portati della modernità,nel rapporto con i luoghi urbani degenera e sfocia nella so-litudine. Le nuove tribù urbane rappresentano anzituttoun’interessante possibilità di uscita dal cronico individuali-smo ed alla deprimente solitudine degli spazi urbani. Le tri-bù caricano di senso i luoghi perché all’interno di essi pon-gono le loro azioni collettive, le loro richieste di comunità. Icritical mass ciclistici, finalizzati alla rivendicazione di unamobilità inclusiva e socializzante, i gruppi di acquisto solida-le con l’attenzione alle filiere corte di autoproduzione, lacondivisione degli spazi abitativi nelle esperienze di co-hou-sing, le aggregazioni generate dai ristoranti di quartiere, lerivendicazioni di progetti partecipati degli spazi urbani, lecommunity di prossimità finalizzate al riuso e al baratto dellemerci sono esempi di questa ri-organizzazione tribale deglispazi e delle relazioni. Un ulteriore ed interessante esempioè il guerrilla gardening, (traducibile come giardinaggio d’as-salto o giardinaggio eversivo) avviato nel 1973 da alcuni am-bientalisti per trasformare uno spazio privato abbandonatoin un giardino, nella Bowery Houston a New York. Il terminericonduce a pratiche diverse: certamente il giardinaggio «ra-dicale», come quello che prevede solo l’uso di piante nonibridate, ad evitare l’uso di piante brevettate o di originetransgenica; ma anche (e forse ancor di più) la coltivazione«illegale» di suolo pubblico o privato, di aree che vengonorestituite, abbellite e riqualificate, all’uso comune. Ecco, ilguerrilla gardening (che si va diffondendo in Italia) è unapratica neocomunitaria che punta ad aumentare la qualitàdegli spazi di vita nelle città; non è, insomma, solo una pro-testa contro il degrado urbano, ma un’esplicita volontà dicreare luoghi a partire da spazi minori ed abbandonati. Ma,come ricorda Michela Pasquali, è proprio in questa margi-nalità che «si esprimono una libertà creativa assoluta e unaricchezza di valori sperimentali, non contaminati che posso-no trasformarsi in un’inesauribile fonte di risorse per l’arte el’architettura contemporanea»5. La pratica tribale del giardi-naggio d’assalto è nonviolenta, ma usa ironicamente un vo-cabolario mutuato dai manuali di guerriglia: «attacchi», cheavvengono di notte e in segreto, armi come le «bombe disemi» o le «granate verdi», nomi di battaglia per i guerriglie-ri. Tutto ciò rivela la dinamica «tribalista» della pratica, at-tenta alla lotta per la sopravvivenza che molti esseri umaniconducono perché il vivere negli agglomerati urbani possadavvero essere definito civile. q

1 G. Paris, La rinascita di Afrodite, Moretti & Vitali, Bergamo 1997.2 Direttore del «Martin Prosperity Institute» alla Rotman School of Manage-ment dell’Università di Toronto, in Canada.3 R. Florida, Who’s your city?, www.creativeclass.com/whos_your_city/overview/4 M. Maffesoli, Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle societàpostmoderne, Guerini e Associati, Milano 2004.5 Pasquali M., I giardini di Manhattan. Storie di guerrilla gardens. Bollati Bo-ringhieri, Torino, 2008.

Tomaž Šalamun

La lacca

Il destino mi rotola. Certe volte come un uovo. Altre voltemi ruzzola per il pendio a suon di zampate. Urlo. Mi dibatto.Impegno tutti i miei umori. Devo smetterla a ogni costo.Il destino potrebbe smorzarmi, ne ho già avuto sentore. Seil destino cessa di alitarci sull’anima, in un istante raggeliamo.Ho vissuto giorni nell’orrendo terrore che il sole non sarebbepiù sorto. Che quello sarebbe stato il mio ultimo giorno.Sentivo inesorabile la luce scivolarmi tra le dita, e senelle tasche non avessi avuto quarters a volontà, e se la vocedi Metka non fosse stata abbastanza dolce e gentile e concretae vera, l’anima sarebbe sfuggita dal corpo, come prima opoi mi accadrà. Con la morte bisogna essere gentili. Tuttosta insieme in un umido groppo. La nostra dimora, è da doveveniamo. Siam vivi solo un istante. Finché la lacca s’asciuga.

Tomaž Šalamun, poeta sloveno, è una delle voci più importantidella poesia contemporanea europea. In italiano sono state pub-blicate le raccolte Acquedotto (con testi a fronte), Novara, 2001;Il ragazzo e il cervo, Salerno 2002; Quattro domande alla malin-conia, Spinea 2005 e Ballata per Metka Krašovec, Salerno 2010.

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non garantito e che deve ri-volgersi anche nei confronti dellastessa educazione e del modo con cui essa viene realizzata evissuta. Un compito che oggi assume il volto ed il compitodella poesia e della profezia che stanno di vedetta lungo ilcronos pronte a riconoscere l’avvento del kairos. E le parole di Isaia che fanno da titolo al 50° Convegno CEMben si prestano anche a chiudere l’ultimo dossier di quest’an-no della rivista dedicato al passaggio dalle paure al coraggiocivile per una cittadinanza glocale.Una chiusura problematica, non lineare, piena di dubbi.Impastata di desiderio e di paura come la sentinella che, achi chiede quanto manca al mattino, risponde con un giocodi parole che richiama il Qohelet («Tutto ha il suo momento, eogni evento ha il suo tempo sotto il cielo», 3,1) e, soprattutto,con: «convertitevi, venite». q

1 J. Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli 2001, p. 55.2 Crono è visto come archetipo del maschile ancestrale, indifferenziato dallacontroparte femminile, della quale assume i caratteri negativi. Crono divoraciò che ha generato: è un padre oppressivo e ossessionato, che non tenta di farcrescere il figlio, ma lo trattiene a sé, e nel suo affettuoso abbraccio maschilelo stritola, lo uccide. Un maschio che si fa servire: chiede in continuazione manon dona, non offre nulla di sé, è un predatore in ricerca perenne.3 Cfr. il kit Zero Poverty, Caritas Italiana - Città Nuova, Roma 2010.4 Per Epicuro di Samo (341-270 a.C.) compito della filosofia è fornire all’uomoil «quadruplice farmaco» che garantisce la vittoria contro i quattro errori cheavvelenano l’esistenza: le illusioni sugli dei, (non è il caso di temere gli dei poi-ché essi, per la loro natura beata, non si occupano delle faccende umane),sulla morte (il timore della morte è insensato poiché essa non è nulla per l’uo-mo: «quando ci siamo noi la morte non c’è, quando c’è la morte non ci siamonoi»), sul piacere (vanno perseguiti sono i desideri naturali e necessari), suldolore (il dolore è sempre provvisorio e di breve intensità).5 L’imperturbabilità del saggio è anche il modello esistenziale dello stoicismoe più in generale della filosofia ellenistica, un filosofia «ripiegata» più sul com-pito di trasformare l’uomo che sulla possibilità di trasformare il mondo e la re-altà. Uno dei termini utilizzati per descrivere questa modalità d’essere è ataras-sia (non-turbamento): tranquillità dell’animo, conseguenza dell’atteggiamentodi distacco e di indifferenza nei confronti della vita.6 A. Sen, L’idea di giustizia, Mondadori, Milano 2010.

7 A. Sen, op. cit., p.11.8 M. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno dellacultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2011.

30 | cem mondialità | maggio 2011

Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

Aluisi TosoliniDirigente scolastico, filosofo epedagogista. Le sue ricerche si

collocano nell’intersezione tra leproblematiche interculturali e ilinguaggi dei new media. I suoiultimi lavori sono: Comparare.

Didattica per operazioni mentali,Erickson 2010; Dizionario dellariforma. Dalla A alla Z. Tutte le

trasformazioni del sistemascolastico dal 2008 ad oggi (con

R. Palermo), La tecnica della scuola2010. Ha curato Oltre la riforma

Gelmini. Per una scuoladell’intercultura, EMI 2008.

[email protected]

10 O popolo mio, calpestato, che ho trebbiato come su un’aia,quanto ho udito dal Signore degli eserciti,Dio d’Israele, a voi l’ho annunciato.11 Oracolo su Duma.Mi gridano da Seir: «Sentinella, quanto resta della notte?Sentinella, quanto resta della notte?».12 La sentinella risponde:«Viene il mattino, poi anche la notte;se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!».13 Oracolo nella steppa.Nella boscaglia, nella steppa, passate la notte,carovane di Dedan;14 andando incontro agli assetati, portate acqua.Abitanti della terra di Tema,presentatevi ai fuggiaschi con pane per loro.15 Perché essi fuggono di fronte alle spade,di fronte alla spada affilata, di fronte all’arco teso,di fronte al furore della battaglia.16 Poiché mi ha detto il Signore: «Ancora un anno, contato alla maniera degli anni di un salariato, e scomparirà

tutta la potenza gloriosa di Kedar. 17 E il numero degli archi dei prodi di Kedar resterà molto esi-

guo, perché il Signore Dio d’Israele ha parlato».(Isaia 21, 10-16)

adesso...

F. R

AF

FA

INI

Le riflessioni di Aluisi Tosolini su Peter Sloterdijk, autore di Devi cam-biare la tua vita (Raffaello Cortina, Milano 2010) sono disponibili sulsito www.cem.coop

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adesso! 10

maggio 2011 | cem mondialità | 31

La storia. 1961. Londra, nel quartiere di Twickenham vive lasua tranquilla adolescenza la sedicenne Jenny, che passa ilsuo tempo tra lo studio, le lezioni di violoncello e i sogni adocchi aperti su Parigi, chiusa in camera ad ascoltare dischi dimusica francese. Naturalmente fino a quando non soprag-giunge il padre, duronel richiamarla ad unmaggiore impegno e aricordarle, chissàquante volte al giorno,l’obiettivo dell’ammis-sione a Oxford. A scon-volgere la vita di Jennye di tutta la famiglia ar-riva David, un trenta-cinquenne affascinantenel suo modo di rela-zionarsi agli altri e perla ricchezza che osten-ta. Di lui subito s’inna-mora Jenny ma anchela famiglia, che arrive-rà a concedere alla fi-glia uscite sempre piùprolungate insieme aDavid e alla sua coppia di amici, fino addirittura ad un wee-kend da soli a Parigi. David si rivela ben presto a Jenny comecapace di menzogne, furti e inganni. Inaccettabili? Non tanto,di fronte alla possibilità di realizzare subito sogni e fantasie.

cinema

An Educationdi Lino [email protected]

Regia: Lone Scherfig

Interpreti: Carey Mulligan (Jenny),Peter Sarsgaard (David), Alfred Molina(padre di Jenny), Dominic Copper(Danny), Rosamund Pike (Helen), CaraSeymour (madre di Jenny).

Gran Bretagna 2008. 100min. Sony Pictures Releasing Italia

Si parla di matrimonio e lo si comincia a pensare concreta-mente; così Jenny lascia la scuola, sbattendo la porta di fronteal perbenismo della preside e della professoressa. Ma Davidè sposato con figli e vive di espedienti e d’inganni e praticafrequentemente il raggiro di minorenni. Tutto crolla. Sarà perJenny necessario ritornare alla realtà e al suo latino.La regista sul proprio lavoro. «Sto cominciando adesso,dopo sei mesi, a lasciare andare questo film, ma si sono anco-ra momenti in cui mi domando “Come ho potuto non vederequesto difetto?” [...]. Tu sei sempre il tuo peggior nemico el’autocritica non è così negativa, ti protegge dal rischio di farequalcosa di veramente nauseante. Quando tu realizzi un filmche sai che sarà presentato in una multisala accanto all’ultimodi Spielberg, devi rilassarti e renderti conto che alcuni film so-no migliori di altri, altrimenti non puoi andare al lavoro. È pa-ralizzante il pensiero della competizione all’interno della qualeti muovi, perché comunque qualcuno sarà sempre migliore.La storia del cinema è così breve che io penso di conoscerla

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tazza di tè con i biscotti qui fuori...». Trovo tutto questo estre-mamente utile per riflettere e far riflettere sull’oggi, sulla no-stra fragilità di fronte al virtuale che ormai costruisce granparte del nostra conoscenza del mondo e sempre più model-la i nostri criteri di bene e male, le nostre graduatorie di valori,le nostre priorità nell’agire.In un istituto di una città del Nord, in occasione delle annualigiornate di autogestione, gli studenti organizzatori, nell’indi-viduare tra i compagni gli «esperti» per condurre i dibattitiprevisti, non hanno avuto alcuna remora a indicare una com-pagna, miss regionale, finalista a Miss Italia e coinvolta in se-rate con il premier a base di Coca Cola e canzoni di Apicella.

praticamente tutta e so che altre persone possono fare altrecose meglio. Voglio dire che questo film è in uscita lo stessoanno de Il nastro bianco, che è probabilmente il miglior filmche abbia mai visto, ma ancora devo andare al lavoro. E tu haiil diritto di fare cinema, anche se non sei Michael Haneke».Il film. La critica si è divisa commentando il film. Quella unpo’ più sofisticata e per un pubblico di cultori ha guardatocon sufficienza questa storia obbligatoriamente bella, per viadello sceneggiatore, ma chissà perché affidata ad una quasisconosciuta regista danese incapace di suscitare vere emo-zioni e di ridare vita al fascino di Audrey Hepburn in Sabrinao delle altre cenerentole cinematografiche arretite dal bellis-simo di turno ma soprattutto dal suodanaro e dal suo mondo di lusso;l’altra critica, quella più facile e perspettatori della domenica, ne haparlato invece come di una bellastoria, divertente, ambientata benis-simo nella Londra degli anni Ses-santa, con una perfetta ricostruzioned’ambiente, che facilita la letturanelle vicende di una famiglia diquelle di un’intera nazione che staper scrollarsi di dosso il perbeni-smo degli anni Cinquanta, muoven-dosi verso nuovi valori e nuovi stilidi vita; brava la protagonista, bravis-simo il padre, senza infamia gli altri.Ma forse vi è qualcosa di più.Tratto dal racconto autobiograficodella giornalista Lynn Barker e scritto da Nick Hornby, allasua prima sceneggiatura, il film è il racconto non di una edu-cazione sentimentale di una sedicenne ma del suo dolorososalto dall’esaltazione alla delusione, dalla passione alla soli-tudine, dal sogno alla realtà. È la storia di un inganno perpe-trato da un adulto ai danni di un’adolescente assolutamentenormale, piena di sogni e con un progetto importante nel cas-setto. Un’adolescente indifesa, come tutte le altre del mondo,perché vitalmente aperta e inconsapevole. Una ragazza nonstupida, ma che irretita cerca facile scorciatoie ai suoi sognie anche quando un primo velo si alza permettendole di sco-prire nel suo Danny un ladro e un truffatore, richiude gli occhie con un sorriso tirato prosegue ingannata nell’inganno. Poiarriva la verità che non permette sconti e alcuna accettazionee ognuno si ritrova con le sue illusioni svelate e con le suecolpe: Jenny di non aver voluto fermarsi quando ormai sape-va, i genitori di non aver saputo proteggere la figlia da ciòche sembrava e non era. Poi il padre bussa alla stanza di Jen-ny in lacrime e restando fermo di fronte alla porta chiusa dice:«Jenny, mi dispiace, so che ho combinato un disastro ma pertutta la vita ho avuto paura e non volevo che ne avessi tu, perquesto volevo che andassi ad Oxford. Poi è arrivato Danny,conosceva scrittori famosi, sapeva come andare ai concertidi musica classica. Ma non era quello che diceva di essere,non era neanche quello che tu dicevi che fosse. [...] C’è una

Il tema in discussione era la moda. Tutto assolutamente nor-male; per tutti.È compito degli adulti con ruoli educativi di mantenere, pri-ma di tutto nei propri confronti alto il livello di autosservazionee autocritica per poter essere, senza farsi irretire da lustrini escorciatoie, bussola e oasi.Il consiglio del film sembrerebbe essere quello di ripartire,questa volta con onestà, dalle cose piccole e reali: tre biscottie una tazza di tè fuori dalla porta. Oppure quello dell’accon-tentarsi come suggerisce il dialogo tra Jenny in cerca di aiutoe la sua ex insegnante di lettere: «È bello qui, i libri e i qua-dri...». «Solo tascabili e poster, Jenny». «Non serve altro, no?».«Solo un posto in cui...». Ognuno scriva sui puntini. q

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Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale

La registaLone Scherfig , cinquantenne regista danese, dopo gli stu-di in cinematografia all’Università di Copenaghen, realizzacortometraggi, programmi radiofonici, lavori teatrali e di-rige episodi di serie televisive. Prima donna ad entrare inDogma 95, gruppo che si propone il cinema asciutto e«povero» teorizzato da Las Von Trier, arriva al successo in-ternazionale nel 2000 con Italiano per principianti. Am-bientato in una cittadina danese di oggi, il film racconta diamicizie nate attorno ad un corso di italiano e ad un viag-gio a Venezia: percorsi dalla sofferenza ad una nuova vo-glia di vivere. Con An Education Lone Scherfig vince nel2009 il Premio del Pubblico al Sundance Film Festival.

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aprile 2010 | cem mondialità | 33

CittàinterculturaliAlessio [email protected]

maggio 2011 | cem mondialità | 33

Agenda interculturale | PratiCare | Scor-date | Campagna Dudal Jam Saltafrontiera | Pixel | Nuovi suoni organizzati | Zero Poverty | Crea-azione

Il 13 aprile sono a Neuchatel, in Svizzera, per una lezioneall’università. È la prima volta che ci vado, ma il nome

non mi è nuovo. In particolare, mi torna alla mente ungrafico in cui mi ha colpito la percentuale attribuita a que-sto Comune che a metà dell’Ottocento è stato fra i pionieridi una cittadinanza aperta agli stranieri: l’indice delle CittàInterculturali vede Neuchatel al primo posto1. Me ne ricor-do solo l’11. Provo a scrivere a Thomas Facchinetti, la per-sona che il sito internet del Comune indica come il «dele-gato agli stranieri», giusto due righe per dire che sarei in-teressato a conoscere le politiche interculturali del Comu-ne. Mi risponde a stretto giro di e-mail: ha una giornata dilavoro fuori sede, ma possiamo vederci un’ora prima cheparta, alle 7.30 di mattina. Ottimo, illuminante. A voltes’impara più da una colazione che da una settimana distudi. Quel che immediatamente colpisce del racconto pa-cato, preciso, laborioso di Thomas è la prospettiva storicain cui situa scelte e azioni, la ricerca costante del ricono-scere attori e punti di vista rispetto ad un’idea di «noi»aperta e condivisa. Ne sono testimonianza la Carta della

cittadinanza e gli inviti alla parte-cipazione (anche politica) che il co-mune rivolge a chi viene ad abitare ealle comunità di origine straniera residentia Neuchatel2 e le numerose iniziative animate dalla suaequipe di 15 persone (e dalla rete di 90 mediatori cultura-li), riassunte nel capitolo dedicato a questo Comune nellapubblicazione che il Consiglio d’Europa ha dedicato allepolitiche interculturali a livello locale3. Ma tutto il sito pro-mosso dalla Commissione Europea e dal Consiglio d’Euro-pa alla rete delle Città Interculturali4 è ricco di testimonian-ze e linee guida per le politiche che a livello territoriale ri-guardano la diversità culturale. Fra le città italiane si se-gnala Reggio Emilia,con iniziative che guar-dano ai contesti giova-nili e educativi e alla co-municazione5 e che hadato vita il 21 settem-bre 2010 all’Accordo diprogramma del Net-work di città italiane perla diffusione del dialogointerculturale, rete didieci città che collabo-rano sui temi dell’inte-grazione e delle politiche per l’immigrazione, insieme aTorino, Bari, Genova, Lodi, Campi Bisenzio, Savignano sulRubicone, Fermo, Senigallia e Pompei.Il 27 e il 28 gennaio si sono ritrovate a Torino per il primoForum delle Città interculturali, teso a «definire concretebuone prassi di governance locali per migliorare il dialogointerculturale e la partecipazione dei migranti alla vita dellecomunità. L’assunto di partenza è che le città, oltre a ge-stire le diversità, possono trarre beneficio, anche economi-co, dal contributo in materia di imprenditorialità e innova-zione da parte di immigrati e minoranze presenti nel pro-prio territorio». q

1 www.culturalpolicies.net/web/intercultural-cities-charts.php2 www.ne.ch/neat/site/jsp/rubrique/rubrique.jsp?StyleType=bleu&CatId=41063 www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/culture/Cities/Publication/community_en.asp4 www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/culture/Cities/Default_en.asp5 www.reggiotrepuntozero.it/

stu-lizzae di-re into eo in-Am-ta diviag-a vo-e nel

Tutto il sitopromosso dalla

CommissioneEuropea e dal

Consiglio d’Europaalla rete delle Città

Interculturali èricco di

testimonianze elinee guida

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Il cimitero delle barchedi Giacomo [email protected]

34 | cem mondialità | maggio 2011

Rubrica a cura di Gianni D’[email protected]

Ricordo quandoancora

l’immigrazione nonaveva cambiato il

volto di Lampedusa, miaggiravo nella

discarica dell’isolacercando come untesoro tutte quelle

forme, quei materiali,quelle storie che

s’intrecciavano con lamia fantasia

e mi riportavanoall’infanzia

La prima volta che andai al cimiterodelle barche stavo cercando, come

spesso mi capitava fare, qualcosa che mistupisse, nella spazzatura. Ho sempreavuto una curiosità nei confronti deglioggetti, ricordo i saloni dei miei nonnipieni di cose nelle credenze, tutti aveva-no una storia, si trascinavano dietro unricordo, molti non erano belli, ma eser-citavano su di me un fascino particola-re, ed erano li da sempre, ogni tan-to se ne aggiungeva qualcuno,altri addirittura erano stati delpadre o di qualche zio dei mieinonni, tutti erano esposti con molta cu-ra e a me sembravano tutte cose di mol-to valore. Anche a casa mia molti ogget-ti avevano una storia e venivano trattaticon una certa attenzione. Più crescevo epiù molti oggetti venivano cambiati diposto o conservati in qualche scatolonedi cartone, alcuni acquistavano per mesempre più valore, altri venivano buttati. Ricordo quando ancora l’immigrazionenon aveva cambiato il volto di Lampe-dusa, mi aggiravo nella discarica del-l’isola cercando come un tesoro tuttequelle forme, quei materiali, quelle sto-rie che s’intrecciavano con la mia fanta-sia e mi riportavano all’infanzia.Ma quando per la prima volta trovai tracumuli di legni tritati un pacchetto conlettere, foto e testi sacri, nessuna sensa-zione fu paragonabile a ciò che avevoprovato nei miei viaggi tra le cose but-tate. Era come avere trovato ciò che permolto tempo avevo cercato, la testimo-nianza di un’umanità avvolta nel miste-ro della vita e forse il mistero stesso.

Cominciai a tornare al cimitero dellebarche con molta frequenza, e poi contutti i miei amici di Askavusa, l’associa-zione di cui faccio parte, trovavo sem-pre qualcosa che avesse valore, Corani,Bibbie, foto, documenti, utensili da cu-cina, pacchi di cous cous, bustine di tè,

scarpe, vestiti e sopratutto lettere. Perme fu naturale usare i legni di barche,i testi sacri e altri oggetti per realizzareopere, volevo restituire al mondo la vo-ce soffocata degli ultimi, ma volevo re-stituirla con forza, cercando la bellez-za, cercando la forma, cercando diconsegnare ai figli di chi da Lampedusaè passato un segno di rispetto, di vici-nanza, di amore per l’umanità, un se-gno di memoria che si rischia di perde-re ogni giorno, tant’è che l’anno scorsoqualcuno diede fuoco al cimitero dellebarche, ancora oggi aspettiamo di sa-pere chi è stato. Decidemmo con altre associazioni, tracui Legambiente e Limen, di costituireun museo sulle migrazioni di Lampedu-sa che potesse parlare anche delle mi-

grazioni degli animali, che pas-sano da questa isola pro-prio come gli uomini, ma

con più semplicità, con la li-bertà che la natura ci ha dato e che

noi non sappiamo gestire.L’arte è anche un processo di critica e

rielaborazione del mondo, rielaborarela materia significa avere a che farecon energie, proprio come gli oggetti

nei vecchi saloni dei nonni: questi le-gni, queste foto, questi oggetti portanocon sé storie incredibili. Spesso mi sono sentito un chimico delleenergie, più che un artista, perché trat-tare queste cose, che erano spazzatura,ma che in realtà hanno un valore inesti-mabile, è come camminare su un filo. Èfacile cadere quando si cammina su uncordone ombelicale che dalla nostrapancia ci riporta alla sacralità delle cose,della vita e della spazzatura, ma è un ri-schio che l’artista deve correre. Spessoè in ciò che si percorre la meta per cuici affanniamo ad arrivare. q

askavusa.blogspot.com

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La tratta negriera è decretata fuori leg-ge dall’Inghilterra: è il 1° maggio 1807ma di fatto passeranno quasi 30 anniprima che si concretizzi. Sempre inmaggio (il 13 del 1888) il Brasile aboli-sce la schiavitù.18 scioperanti (neri) sono uccisi dallapolizia (bianca) sudafricana il 1° maggio1950: lo ricorda Nelson Mandela nellasua autodifesa quando (nel ‘64) è pro-cessato per terrorismo.Mossadeq, primo ministro dell’Iran, an-nuncia che nazionalizzerà il petrolio: è il1° maggio 1951, neanche 4 mesi dopoil golpe. Muore in questura l’anarchico RomeoFrezzi: in questi giorni manifesto-libri ri-stampa Alle radici del malpaese di Ferdi-nando Cordova, che ricostruisce quel lon-tano (2 maggio 1897) delitto di Stato.3 maggio: giornata mondiale della li-bertà di stampa.3 maggio 1808: è il titolo di un famosoquadro di Francisco Goya, un urlo dirabbia per la repressione na-poleonica contro gli spa-gnoli in rivolta.

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«Codice nero»: è l’editto di Colbert e diRe Luigi di Francia, datato 6 maggio1687, sul trattamento degli schiavi. Difende i diritti delle donne, condannalo schiavismo, si scaglia contro Marat eRobespierre: Olympe de Gouges (nata il6 maggio 1748) è destinata al patibolo.Operai e blogger uniti in Egitto: scio-peri, repressione, torture, morti. Pochise ne accorgono in Occidente anchequando, l’11 maggio 2008, viene pub-blicato un dossier su Internet.Il «paragrafo 175» che punisce l’omo-sessualità è legge in Germania dal 15maggio 1871 al 1994. Scrittore, filosofo, antropologo: il 15maggio 1991 muore Amadou Hampa-te Ba. Nel 2005 l’Unione europea fissa, per il17 maggio di ogni anno, una «giornatainternazionale contro l’omofobia». Al Capone viene arrestato, il 17 maggio1929: nella foto segnaletica sorride.«A tutti li cingari» (cioè zingari) chenon se ne andranno «galera per cinqueanni et publica frusta alle donne». Cosìun bando del 20 maggio 1587 firmatoa Milano da Carlo D’Aragona. 22 maggio «giornata mondiale dellabiodioversità». Partono in treno da Pergine (Trento) peri campi di sterminio nazista, il 26 mag-gio 1940: 299 matti e «diversi», dunquevite senza valore.«Tutte le cose appartengono a tutti» ur-la Thomas Müntzer, il pastore prote-stante che guidò «la guerra dei contadi-ni», mentre, il 27 maggio 1525, lo por-tano al patibolo.5480 libici da «importare» per le fab-briche italiane e per sostenere lo sforzobellico: lo decidono il ministro delle Co-lonie e il governo della Tripolitania, inun giorno non precisato (sui documentid’archivio) del maggio 1917. Una storiadi deportazioni ma anche rivolte chequasi tutti preferiscono dimenticare. q

La terza nazionedel mondoa cura di Dibbì

Se volete leggermi sul mio blog:http://danielebarbieri.wordpress.com

Presidio anti-crumiri alla Mc Cormick diChicago: polizia e agenti della Pinkertonsparano (4 morti) il 3 maggio 1886.50 Stati si accordano a Ginevra, il 3 maggio 1996, per bandire le mine an-ti-uomo. Il trattato sui «diritti delle persone condisabilità» entra in vigore il 3 maggio2008; i disabili sono, per numero, «laterza nazione del mondo».Protesta contro l’invasione Usa dellaCambogia: 4 studenti vengono uccisi, il4 maggio 1970, all’università di Kentnegli Stati Uniti.

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Giovani interculturaCorso di cinemadi Alessio Consoli

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Il libro è accompagnato da unCD-rom multimediale cheracchiude una vera e propriaminiera di spunti di riflessione(testi, foto, video...).

EMI, pp. 176, euro 13,00

Il volume è disponibile pressoLibreria dei PopoliVia Piamarta 9 - 20121 BresciaTel. 030.3772780Fax [email protected]/libreria

Cos’è per voi la vostra città?! Inizia con questa domanda il nostroterzo incontro.

Scopo del corso…

Sapere raccontare la propria città at-traverso l’utilizzo delle immagini,

delle sfumature e di tutte le componentiche entrano nella costituzione di un am-biente urbano. Sapere raccontare i so-gni che attraversano la città, il desideriodi rendere quest’ultima un luogo dovepoter vivere e vedere realizzati i proprisogni. Un posto dover poter crescere enon solo fisicamente.Per dare uno spunto sui modi in cui unacittà può essere rappresentata nel lin-guaggio cinematografico, sono stati mo-strati, dalla conduttrice del laboratorioPatrizia Canova, alcuni spezzoni di film,che attraverso varie modalità riescono adare l’idea del luogo che si vuole mostra-re. Alcuni non lasciavano spazio alla pre-senza umana, si limitavano a mostrare lestrutture presenti in una città, spesso in-fatti i monumenti, le strade, le piazze o ilsemplice agglomerato di tutti questi ele-menti può fare capire benissimo a tuttila città a cui si fa riferimento. Altri invecevolutamente rendevano la presenzadell’uomo uno dei principali elementiall’interno della descrizione di una città.In questi spezzoni ci è stato fatto notarel’utilizzo di varie tecniche cinematogra-fiche per dare un particolare punto divista alle immagini ed alle sequenze, co-

me ad esempio la «soggettiva», checonsiste nell’utilizzare la macchina dapresa in modo che lo spettatore possavedere con gli stessi occhi del personag-gio che si ritiene debba essere in quelmomento il protagonista.In altri ancora si poteva invece notare lapiccolezza dell’uomo che veniva ridottoad un insignificante sagoma nera chesfrecciava frenetica sullo schermo.Dopo un’interessante infarinatura teoricaabbiamo potuto cimentarci nell’impresapiù difficile, ma non per questo meno di-vertente di questa esperienza di due gior-ni. Dovevamo infatti creare un filmato ditre minuti che rappresentasse la città diBrescia o un suo aspetto, decidendo apriori quale sarebbe stato il pubblico percui avremmo creato questo filmato. Mu-niti di telecamere e macchine fotografi-che ci siamo persi nella città, ci siamo im-mersi in essa per riuscire a ritrovarla e a ri-trovarci. E ci siamo riusciti! Lo scopo delmio gruppo era quello di svelare i duelati invisibili della città. Da una lato «ilbello», che molto spesso sfugge a chi co-me noi non può fermarsi a notarlo inquanto è troppo preso dai frenetici ritmiche ci sono imposti. Allo stesso tempoperò c’è un’altra Brescia «invisibile»,quella di chi di tempo ne ha pure troppo,perché un lavoro e una casa non c’è l’ha(e sia ben chiaro non per colpa sua, nonper sfortuna, ma per l’ingiustizia su cui ilnostro mondo si basa). Noi ci siamo dun-que fermati un attimo a fare quello chenessuno è ormai più abituato a fare, nona dare un rapido sguardo alla città, maabbiamo provato ad entrarci a trovare in

essa le contraddizioni che la segnano eciò ha reso fantastica questa esperienza.Alla fine di questa giornata ringraziotutti coloro che sono riusciti a renderlacosì speciale. Tutti coloro che sono riu-sciti a farmi ricordare cos’è per me lacittà e cosa vorrei che fosse, ho potutocosì riflettere sui percorsi che io in que-sta città mi sono creato. Tutti coloro chesono riusciti a farmi ridere, che mi han-no tenuto compagnia e che mi hannofatto di nuovo sognare. E anche se gliincontri sono ormai agli sgoccioli sperodi potere in qualche modo ripetere eapprofondire queste esperienze. q

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NON FARTI PORTAREVIA L’ACQUAVOTA SÌAI REFERENDUMIl 12 e 13 giungo andremo a votare per de-cidere, fra le altre materie sottoposte a Re-ferendum, se in Italia l’acqua sarà ancoragestita come bene comune o affidata alleleggi del mercato. Un momento importantedi vita democratica che chiede la partecipa-zione di tutti. Da anni donne e uomini si bat-tono per una gestione dell’acqua che siapubblica, partecipata e democratica e han-no dato vita in tutto il territorio nazionale anumerosi comitati locali, fino a formare unarete viva e attiva in tutto il paese. È nato co-sì quello che è stato definito il «popolodell’acqua» che ha saputo mobilitare tantesensibilità, tante associazioni di base delmondo cattolico, ambientalista, agricolo,dei consumatori, ma anche movimenti, sin-dacati ed enti locali, tutti uniti da alcuniprincipi fondamentali: l’acqua non deve es-sere fonte di profitti; l’acqua appartiene atutti; l’acqua è essenziale per la vita; l’ac-qua è un bene comune e un diritto umanouniversale.Nel Marzo del 2003, a Firenze, per iniziativadel Comitato italiano per il Contratto Mon-diale, si svolgeva il 1° Forum Mondiale Al-ternativo dei Movimenti per l’acqua.Il primo successo raggiunto dal Forum italia-no è stata la presentazione di una legge diiniziativa popolare, supportata da oltre400.000 firme. Nel luglio del 2007 il testo dilegge è stato depositato in parlamento. Laproposta giace tutt’oggi inevasa presso laCommissione Ambiente senza che nessunaforza politica si sia fatta carico di condivider-la. Successivamente è stata lanciata dal Co-mitato Promotore Nazionale, che raggruppai vari comitati di cittadini nati a difesa del-l’acqua come bene comune, la campagna re-ferendaria che ha portato alla raccolta di ol-tre 1 milione e 400.000 firme a sostegno ditre quesiti referendari che sono stati deposi-tati nel luglio del 2010. I successivi controllidi conformità e di legittimità da parte dellaCorte Costituzionale hanno portato la Cortea dichiarare ammissibili due dei tre quesitiproposti dal Comitato referendario.

Perché un referendum e perché sostenere i SÌ

Come è noto lo strumento del referendum,previsto dalla nostra Costituzione, prevedesolo la possibilità di abrogare delle norme, oparti di esse, ma non ha una funzione propo-sitiva. I referendum proposti vogliono elimi-nare alcun vincoli, voluti dal legislatore, cheimpongono la cessione ai privati della gestio-ne dell’acqua, creando in questo modo i pre-supposti per promuovere in Italia un nuovoquadro legislativo che preveda la gestionepubblica dei servizi locali, in particolare deiservizi idrici, gestiti dagli Enti locali.

Il primo quesito referendarioFermare la privatizzazionedell’acqua

«Modalità di affidamento e gestione deiservizi pubblici locali di rilevanza econo-mica. Abrogazione». Si propone l’abroga-zione dell’art. 23 bis della Legge n.133/2008, cosi come modificato dall’art.15del decreto 135/2009 (Decreto Ronchi) rela-tivo alla privatizzazione dei servizi pubblicilocali, compreso quello idrico. Abrogarequesta norma significa contrastare l’accele-razione sulle privatizzazioni imposta dal go-verno e impedire la definitiva consegna almercato dei servizi idrici in questo paese.

Il secondo quesito referendarioFuori i profitti dall’acqua

«Determinazione della tariffa del servizioidrico integrato in base all’adeguata re-munerazione del capitale investito.Abrogazione parziale di norma». Si pro-pone l’abrogazione dell’art. 154 del DecretoLegislativo n. 152/2006 (Codice dell’Am-biente), limitatamente a quella parte delcomma 1 che dispone che la tariffa per ilservizio idrico sia determinata tenendo con-to dell’«adeguatezza della remunerazionedel capitale investito». Abrogando questaparte dell’articolo sulla norma tariffaria: siimpedisce di fare profitti sull’acqua; si de-termina una immediata riduzione della ta-riffa pagata da ogni cittadino.

Se vincono i SÌIl successo dei due quesiti referendari con-sentirebbe di modificare le norme che nelcorso degli ultimi 20 anni hanno determina-to lo smantellamento dei modelli di gestio-ne pubblica dei servizi pubblici locali e l’av-vio dei processi di privatizzazione della ge-stione dei servizi idrici e dei servizi pubblicilocali. A livello immediato, attraverso l’abro-gazione dell’art. 23 (primo quesito referen-dario), gli enti locali (Comuni) potranno re-cuperare l’autonomia politica di decisionesui servizi pubblici locali e sull’acqua eavranno la responsabilità della loro gestio-ne pubblica, rispettando, naturalmente, lanormativa comunitaria. Il successo del se-condo quesito referendario, determinerebbel’abrogazione del comma 1 dell’art. 154 ecome effetto immediato comporterebbe unariduzione del 7% della tariffe dell’acqua, ma,soprattutto, determinerebbe una riduzionedell’interesse da parte delle principali impre-se multinazionali a partecipare alle gare diappalto indette da amministratori locali. Inquesto quadro, infatti, non verrebbe garan-tita la possibilità di avere per legge un pro-fitto garantito. La scomparsa della rimune-razione minima garantita comporterebbeinoltre la revisione dei piani di investimenti.Il parlamento dovrebbe inoltre procedere adapprovare, nel più breve tempo possibileuna nuova legge quadro sui servizipubblici locali e quindi di rego-lamentazione del Servizioidrico. I Movimenti

per l’acqua potrebbero infine rilanciare lalegge di iniziativa popolare sull’acqua cheprevede il riconoscimento dell’acqua comediritto umano e bene comune, il riconosci-mento del servizio idrico come un servizio diinteresse generale nazionale, la ripubbliciz-zazione del servizio idrico attraverso la ge-stione tramite Enti di diritto pubblico con lapartecipazione dei cittadini e de lavoratori.

Se vincono i no o non si raggiunge il quorum

Il quadro legislativo introdotto dal decretoRonchi sancirà definitivamente che l’acquaè un servizio di rilevanza economica, cioèuna merce. Le modalità ordinarie di gestio-ne saranno affidate a gara e i gestori a cuisaranno in Italia affidati i servizi pubblici lo-cali per i prossimi 25/30 anni saranno solosocietà di capitale. L’acqua sarà consegnatanelle mani di imprese multinazionali in pre-valenza europee interessate a accaparrarsiil controllo e lo sfruttamento delle risorseidriche nel nostro paese.La legge Ronchi collocherà tutti i servizipubblici essenziali locali (non solo l’acqua)

sul mercato, sottoponendoli alle regole del-la concorrenza e del profitto. Verranno cosìespropriati i Comuni e lo stesso Stato dalcontrollo diretto delle reti, cioè degli acque-dotti che nel corso della storia sono statirealizzati con la fiscalità generale.Ecco perché il movimento CEM si unisce condecisione al «popolo dell’acqua» e conside-ra molto importante impegnarsi per vincerela sfida referendaria, contrastando il tenta-tivo di invalidare il referendum attraversol’astensionismo. L’impegno è quello di por-tare alle urne almeno 25 milioni di votanti eperché ciò avvenga è necessario il contri-buto di tutte e tutti attraverso la partecipa-zione fino al voto referendario, ma ancheattraverso un «passaparola» organizzato,capace di contrastare la mancanza di infor-mazione e il tentativo di invalidare questoevento che rappresenta invece un momentoalto di partecipazione democratica. Seognuno di noi farà la propria parte, siamosicuri di farcela.

Fonti: «Dossier per la Giornata Mondialedell’acqua 2011» a cura di Cipsi e ComitatoItaliano Contratto Mondiale sull’Acqua

Per approfondire:www.referendumacqua.itwww.acquabenecomune.org

a cura di Patrizia Canova

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Cresce la «febbre» del fumetto perbambini, un genere abbandonato

da tempo e adesso rilanciato da alcunioperatori del settore e da prestigiosi edi-tori per l’infanzia (Orecchio Acerbo, To-pipittori, Black Velvet…) con iniziative enuove collane. Sarà perché i bambinicontinuano a chiedere storie. Sarà per-ché il fumetto è un linguaggio che inte-gra parola e immagine in sequenza, conun ritmo narrativo tanto attraentequanto complesso. Un linguaggio cheva insegnato di nuovo, degno di diven-tare un riferimento pedagogico, grazieai suoi molteplici piani di intervento: lacostruzione sequenziale delle vignette,il rapporto temporale fra immagini e te-sto, le metafore visive… Il bambino cosìimpara a legare e dare senso alle figureinserendole in un discorso complesso.Non da ultimo, si confronta con una di-mensione narrativa che può diventareun veicolo per stimolare la riflessione suse stessi e la narrazione di sé.Un particolarissimo (e bellissimo) esem-pio di fumetto per bambini (e per adul-ti) è Mia mamma (è in America, ha co-nosciuto Bufalo Bill), una favola dolcea-mara e commovente che ha conquista-to la Francia nel 2008 e che ora sta con-quistando i lettori in tutto il mondo.Uscita anche in Italia a fine 2010 perBAO Publishing, giovanissima casa edi-trice specializzata in graphic novel, scrit-ta da Jean Regnaud e disegnata dal bra-vissimo Émile Bravo, essa racconta l’in-fanzia di un bambino di nome Jean, lasua vita familiare e scolastica, privatodella presenza materna.

Bambini e fumettodi Lorenzo Luatti

mamma? E perché anche lui non ha maiil coraggio di chiederlo? Leggendo il vo-lume si scopre che la mamma di Jeannon c’è. Forse è andata in America, al-meno lui ne è convinto. Al pensiero perla mamma perduta, Jean unisce l’affet-to per la tata Yvette e la difficile amiciziacon la dispettosa, ma consolatoria Michèle, la quale di tanto in tanto glilegge lettere e cartoline che la mammadi Jean, a quanto dice la ragazza, le spe-disce. Ovviamente, la verità non è sem-plice e si scoprirà alla fine. La storia è narrata in modo semplice ediretto, delicato e avvolgente, è lieve esperanzosa come il piccolo Jean. I pic-coli eventi della vita di tutti i giorni, visticon gli occhi inesperti del piccolo prota-gonista, diventano una curiosa novità.Il mondo infantile viene rappresentatocon tutte le sfumature del caso: il rap-porto tra fratelli, il primo impatto conl’anziana maestra, la ricerca di conforto,le ansie e le paure, ma anche le piccolegioie e la voglia di avventura. Anche lostile narrativo e quello iconografico so-no tali da fare di questo volume carto-nato un testo molto adatto ai bambini:diverse vignette a tutta pagina e dida-scalie che completano quello che nonviene espresso con i dialoghi. Il lettore viene trasportato dolcementenel mondo del protagonista, e in quellodei propri ricordi infantili. Un lettoreadulto vi ritroverà i timori, leansie, le curiosità, lo stupo-re che hanno caratteriz-zato la propria infanzia.È anche questo il gran-de pregio del libro: sa-per rendere con spon-taneità e autenticità,una stagione esistenzialenel contempo meravigliosae difficile. Come si legge nellaquarta di copertina, il libro è ri-volto a «chiunque cominci asospettare che forse BabboNatale non esiste, ma ha an-cora bisogno di credere chele cose siano come le vede-vamo da bambini». q

Il mondo infantileviene rappresentatocon tutte lesfumature del caso:il rapporto trafratelli, il primoimpatto conl’anziana maestra,la ricerca diconforto, le ansie ele paure, ma anchele piccole gioie e lavoglia di avventura

Durante il suo primo giorno di scuolaelementare, la maestra chiede a ognipiccolo allievo nome e cognome dei ge-nitori nonché la loro professione. Di persé potrebbe trattarsi di una cosa nonspiacevole. Ma Jean sperava che nessu-no gli chiedesse della sua mamma, chenon sa dove sia. Ma purtroppo la mae-stra insiste e Jean risponde in manierasbrigativa, provando evidente imbaraz-zo. E finisce per mentirle. Ma perchénessuno gli dice dove sia finita la sua

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Come usciredall’emergenzadi Anna Maria Martina

Lezioni in piazza con docenti di dieciuniversità italiane, due mostre di fi-

gurine sul «catalogo degli umani tra‘800 e ‘900» e sull’invenzione del futu-ro, laboratori dedicati al fumetto e all’il-lustrazione per bambini e ragazzi, pro-iezione di film, letture, spettacoli e visiteguidate. Con 40 appuntamenti in tregiorni, da venerdì 27 a domenica 29maggio la seconda edizione del Festivaldei saperi educativi (www.festivale-du.it) «invade» il borgo medievale di Vi-torchiano, nel viterbese, bandiera aran-cione del Touring Club Italiano.La manifestazione è organizzata dal-l’Istituto superiore universitario di scien-ze psicopedagogiche e sociali «ProgettoUomo», affiliato all’Università PontificiaSalesiana di Roma, e dal Comune di Vi-torchiano. «Intendiamo riflettere sullostato di salute di un paese, l’Italia, chesembra aver smarrito i fondamentalipunti di riferimento, che fatica ad af-frontare con serietà e creatività le nuovesfide sociali e che rischia di deprimere ecompromettere il proprio rilevante pa-trimonio educativo e culturale», spiega

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Dal 27 al 29 maggio si svolgenel borgo medievale diVitorchiano (Vt) il «Festival deisaperi educativi». Tra gli ospiti,i registi Gabriele Vacis e LauraHalilovic, docenti di dieciuniversità italiane, attori edesperti.

il direttore Nicolò Pisanu. «Di fronte alladiagnosi, ampiamente condivisa, diun’emergenza che attraversa le parole ei comportamenti pubblici, il significatodelle regole e, soprattutto, la visione diun nuovo orizzonte, la seconda edizio-ne del nostro Festival pone l’accentosulle vie d’uscita e sul rinnovamentodelle pratiche educative».La giornata di venerdì 27 propone unatavola rotonda su università e culturacon Carlo Nanni, rettore dell’UniversitàPontificia Salesiana di Roma, FrancoCambi dell’Università di Firenze e Fran-cesco Mattei dell’Università di Roma Tre.Il regista Gabriele Vacis presenta il do-cu-film «La paura siCura», unviaggio in Italia alla scoper-ta della paura e deimodi per vincerla.Nel pomeriggio divenerdì sono inprogramma le-zioni di Anna To-nelli dell’Univer-sità di Urbino,Aurelio Rizzaca-sa dell’Universitàdi Perugia, Franci-sco Mele del Cam-pus di Vitorchiano eBrunetto Salvarani dellaFacoltà Teologica dell’EmiliaRomagna di Bologna e direttore di CEMMondialità. In serata, l’attore Luigi Ma-rangoni legge pagine dall’Elogio dellafollia di Erasmo da Rotterdam.Un’attività di riciclo della plastica, laproduzione di oggetti artistici nel carce-re di Civitavecchia, un laboratorio tea-trale e uno spettacolo realizzati daglistudenti di una scuola superiore s’in-

trecciano nell’iniziativa «Sincronicità diuna rosa», che apre le iniziative del Fe-stival sabato 28 maggio. Seguono le le-zioni di Luisa Molinari dell’Università diParma, Anna Maria Favorini dell’Univer-sità Roma Tre e Vittorio Luigi Castellazzidell’Università Pontificia Salesiana. Ilprogramma anche la presentazione del-l’iniziativa «Liberamente», realizzata aBolzano per favorire la partecipazionedei giovani nella scelta delle strategie disviluppo locale, e le lezioni di AdrianoZamperini dell’Università di Padova, Da-vide Zoletto dell’Università di Udine eRoberto Franchini, direttore dell’Agen-zia regionale di comunicazione e infor-

mazione della Regio-ne Emilia-Romagna.

In serata, il circolo cul-turale Argalìo di Cori-

gliano d’Otranto portadal Salento uno spettacolo

sulla tradizione della pizzica.

Domenica 29 il Festival propone un se-minario sulle politiche per l’infanzia, le-zioni di Andrea Santini e Giorgio MariaBressa, docenti al Campus di Vitorchia-no, la presentazione del film Io, la miafamiglia Rom e Woody Allen (con la re-gista Laura Halilovic e Dimitris Argiro-puolos dell’Università di Bologna) e ilTeatro Forum di Maria Buccolo. q

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stituito da 4 tavole, a volte integrate e/osostituite da listelli di pietra o barre di me-tallo. Nel periodo franchista veniva peròutilizzata in clandestinità perché proibitain quanto emblema dell’identità basca.La parola txalaparta designa più che unostrumento musicale a percussione, comepuntualizzava JosAnton Artre, il miomaestro e mentore di questo strumento,un modo di tocar madera (toccare il le-gno). È una filosofia di vita, una relazionecomplessa ma al tempo stesso naturale,stimolante e innovativa che sa fare convi-vere come forse nessun’altra l’ordine edil disordine, il suono e il silenzio, il miosentire con quello del mio compagno e altempo stesso interlocutore dell’azionesonora prodotta. Fare txalaparta significaessere parte di un gioco di ascolto attivoe relazionale davvero speciale. Non è uncaso che nella tradizione i due suonatorisono spesso fratelli, che si confrontano Discografia

Oreka TXQuercus Endorphina

Elkaralanean, 2001

«È molto importante identificarsicon le proprie basi culturali, senzaperò smettere di rapportarsi,mescolarsi e arricchirsi attraverso ilcontatto con altre culture»Kepa Junkera

Ben ritrovate e ben ritrovati. Kepa Jun-kera, nato a Bilbao nel 1965, virtuo-

so suonatore di trikitixa (organetto diato-nico basco) e grande frequentatore delleterre sonore di mezzo, è il produttore, edin parte il compositore, di Quercus En-dorphina, ottimo cd e progetto musicaledel duo degli Oreka TX, allargato per l’oc-casione ad un parterre di collaborazionisignificative, tre le quali il suonatore di va-liha (cetra tubolare malgascia) Justin Vali,lo stesso Junkera e, non ultimo, Glen Ve-lez, maestro nell’uso dei tamburi a corni-ce di mezzo mondo ed esecutore di can-to armonico. Igor Otxoa e Harkaitz Mar-tinez, in arte Oreka TX, abili suonatori ditxalaparta, strumento a percussione dellatradizione basca (ma sarebbe meglio diredell’Euskadia), hanno al loro attivo colla-borazioni con i più importanti musicistidi questa irrequieta regione, da semprein bilico tra un’identità unica, antica esenza relazioni storiche con le altre cultu-re europee, e la Spagna, paese al qualevenne annessa con la forza a metà ‘800.Inizialmente la txalaparta era costituita dauna sola tavola percossa ed utilizzataquasi esclusivamente durante la prepara-zione del sidro. Negli anni ’60 si è evolutanello strumento attuale, solitamente co-

tutta la vita attraverso questo agire sono-ro unico, che vuole uno dei suonatori, ilcosiddetto txakun, specializzato nel tene-re il tempo e l’ordine, e l’altro, herrena(lo zoppo), il disordine attraverso varia-zioni libere dal tempo e perciò destabiliz-zanti. Le sonorità prodotte vogliono evo-care lo scalpiccio dei cavalli, anche nellaloro essenza mistica, come idealizzati damillenni nelle tradizioni sciamaniche.Da anni la maggior parte dei nuovi fau-tori del fare txalaparta vede la coppiaperformativa costituita da due solisti,entrambi herrena, che si confrontano inabili tessiture di improbabili e stupefa-centi variazioni ritmico-melodiche, chericordano sempre più la prassi esecutivadi uno xilofono suonato a 4 mani. Forse,come vogliono le tradizioni non solo or-todosse ed occidentali, non siamo tuttidisposti ad accettare che l’ordine costi-tuito possa essere costretto a conviverecon il disordine. E anche se questo agirenell’indefinito produce dimensioni so-nore nuove, preferiamo abitare nel giàsentito, e coccolarci eternamente nellasua sicurezza. In effetti Quercus Endor-phina non è l’ideale per condurci in unsempre più raro viaggio nelle terre so-nore del tra, ma può essere un buon ini-zio per passare all’ascolto di esperienzedi txalaparta più stimolanti. Comunqueè un disco da non perdere, quindi buonascolto a tutte e a tutti! q

Oreka TXDal tradizionale al glocaledi Luciano Bosi

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Si conclude con questo numero diCEM Mondialità un percorso che ci

ha portato a toccare varie modalità perleggere la povertà. Lo scopo sin dall’ini-zio dichiarato di interrogare le giovanigenerazioni su questa problematica e,nel contempo, di lasciarsi da essa inter-rogare, c’induce ora a chiederci se e inquale misura sia davvero possibile co-struire un altro mondo. È possibile pen-sare un mondo senza povertà? È possi-bile progettarlo? La domanda è provo-catoria perché invita a far uscire dal-l’anonimato ciò che la nostra societàpreferisce lasciare anonimo e sommerso- i poveri, nella fattispecie, che non sonoun concetto astratto ma una realtàdi persone che ci interpellano- nel tentativo, nemmenotroppo oscuro, di mante-nere uno status quo. La prospettiva di lavorofin qui presentata èstata centrata sullacondivisione di risorse,esperienze, modalitàdiverse di leggere unostesso tema. La parola«condivisione» è impor-

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Non si conclude un viaggiose non per ripartire...di Marialuisa [email protected]

delle regole e norme condivise dal grup-po e dalla comunità in cui opera»1. È ora fondamentale fare un passo inpiù: solo attraverso la pratica costantedella condivisione s’impara a condivide-re, anche le risorse materiali. Perché,condividere non è immediato. Ma è ilprimo verbo che deve tradursi in realtàper una vera lotta alla povertà. Solo nel-la condivisione e nella compassione (ve-ra) la povertà perde lo statuto di piagaineliminabile. L’invito, alla fine di questopercorso, è di cercare, anche attraversogli stimoli offerti da questo Kit, nuovipercorsi che stimolino ad inventare nuo-vi modi di guardare i fenomeni sociali euna nuova fiducia verso ciò che è possi-bile costruire - o ricostruire. Come giànotano, con parole assai suggestive, Be-nasayag e Schmit, «le passioni tristi,l’impotenza e il fatalismo non mancanodi un certo fascino. È una tentazionefarsi sedurre dal canto delle sirene delladisperazione, assaporare l’attesa delpeggio, lasciarsi avvolgere dalla notteapocalittica che, dalla minaccia nuclearealla minaccia terroristica, cala come unmanto a ricoprire ogni altra realtà. È aquesto punto che ciascuno di noi deveresistere... creando»2. Poco oltre i duepsicoanalisti indicano una strada peruscire dallo scoramento, che ci sentia-mo di prendere in prestito come con-clusione del nostro percorso: «Per evita-re la trappola dei desideri velleitari, dob-biamo sostenere i legami concreti chespingono le persone fuori dall’isolamen-to nel quale la società tende a rinchiu-derle in nome degli ideali individualisti-ci»3. Ed è con questa disponibilità, pro-ve ed errori di ascolto e condivisione,speranza e fiducia in noi stessi e nellegiovani generazioni che possiamo sce-gliere, giorno dopo giorno, di continua-re il cammino. q

1 Cfr. A. Miltenburg, A. Surian, Apprendimento e com-petenze interculturali. Venti giochi e attività per inse-gnanti ed educatori, Quaderni dell’interculturalità 24,EMI, Bologna 2002, p. 7.2 M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi,Feltrinelli, Milano 2009, p. 128.3 Ibidem, p. 128-129.

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tante. Richiama infatti una modalità dilavoro che invita alla cooperazione nellacostruzione condivisa di significati. Lacondivisione è allora spazio di crescita edi arricchimento, in cui s’incoraggianocompetenze di decostruzione, di rifles-sione su stereotipi e pregiudizi, di de-centramento. Non solo: è anche lo spa-zio in cui si cercano di sviluppare «quelleabilità [di risoluzione di un problema]che, da un punto di vista culturale, po-tremmo visualizzare con un iceberg [...]e che corrispondono alla cooperazione,al riconoscere e valorizzare l’altro, al-l’ascolto attivo e alla consapevolezza

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È possibile pensare unmondo senza povertà?

È possibile progettarlo? La domanda è provocatoria

perché invita a far usciredall’anonimato ciò che lanostra società preferisce

lasciare sommerso

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Per saperne di piùwww.argine.it

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Sentieri che s’incrociano di Nadia Savoldelli

Claudio Misculin (Accademia della Fol-lia), Mario Mazzoleni (Centro di riedu-cazione per minori in conflitto con lalegge di Santa Cruz, Bolivia). Inoltre siattiveranno lavori di gruppo su Biogra-fie - Vite ed esperienze ai margini, Let-terature - Scrivere e descrivere lo stra-niero, Architetture - I luoghi dell’inclu-sione, i teatri dell’esclusione, Adole-scenze - I ragazzi e il teatro: nuovi evecchi esclusi, Periferie - Buone e cattivepratiche per territori urbani.

L’evento. «Network Humanity Fair», Fie-ra di altre umanità, il 22 maggio 2011.Si vogliono raccontare attività sociali,educative ed artistiche delle realtà cheformano il network di Crossing Pathscome rete di associazioni, scuole, uni-versità, istituzioni, enti, ong, non profit,centri interculturali o di accoglienza,compagnie teatrali, artisti che si occu-pano di educazione o di sociale o di artiapplicate al sociale. Tra le interessanti attività interculturaliteatrali del Teatro dell’Argine segnalia-mo inoltre il recente meeting del Pro-getto Theater across the borders, finan-ziato dall’Unione Europea con il soste-gno del programma Youth in Action inSvezia. Il progetto, centrato sullo scam-bio tra i rifugiati svedesi e italiani, pre-vede che la Compagnia dei Rifugiatidel Teatro dell’Argine e un gruppo dirifugiati e richiedenti asilo della NBV Study Association lavorino in un workshop teatrale per confrontareesperienze di teatro come strumento

per parlare della loro condizione, perimparare la lingua e per socializzare congli abitanti del paese in cui abitano. Lospettacolo conclusivo interpretato dalledue compagnie è stato rappresentato inaprile al Festival Storytelling di Skellefteanella serata dedicata ai giovani e al dia-logo interculturale. q

Tra le compagnie teatrali che in Italia operano con uno sguardointerculturale va segnalato il Teatro dell’Argine di Bologna. Crossing Paths(Sentieri che s’incrociano) è un progetto europeo, dedicato ai giovani, suitemi della povertà, dell’inclusione sociale e dell’intercultura e del possibileruolo del teatro e delle arti come strumenti contro il disagio, per lacrescita personale. Un progetto di Teatro dell’Argine con partner TaastrupTeater (Danimarca) e Badac Theatre (Regno Unito), con il sostegno delProgramma Cultura dell’Unione Europea. Il progetto vede la suapresentazione nell’abituale Festival di Teatro Scolastico con ITC Teatro diSan Lazzaro di Bologna, che prevede un Concorso di teatro delle ScuoleSecondarie di 2° grado e un Concorso di Arti Visive, Tutti i colori delmondo, per rappresentare l’incontro e il dialogo fra culturediverse e lontane.

Gli spettacoli internazionali. 3 paesi, 4spettacoli, 6 registi- ecco i veri protago-nisti del progetto: quattro gruppi diragazzi dai 12 ai 21 anni, due in Italia,uno in Danimarca e uno nel Regno Uni-to, che hanno affrontato i temi attra-verso il teatro, in laboratori arricchitidall’intervento di registi e insegnanti de-gli altri due paesi.

Il convegno. L’arte delle resistenze Tea-tri e cittadinanze tra inclusione edesclusione, 21 maggio 2011, per inse-gnanti e operatori educativi, teatrali esociali. Si prevedono interventi di Mar-co Revelli (storico e sociologo), Alessan-dro Dal Lago (sociologo), Mimmo Sor-rentino (regista e drammaturgo), Mi-guel Benasayag (filosofo e psicanalista),

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Perché le religioni a scuola?La domanda è tutt’altro che

scontata. Le religioni, nelle scuo-le italiane, ci sono perché tantistudenti fanno riferimento a di-versi mondi religiosi; ci sonoperché da tempo si discute delcrocifisso nelle aule scolastiche,dei presepi e dei canti religiosida insegnare o meno agli alunni;ma non ci sono, se non in manie-ra del tutto periferica, come ma-teria di studio e connotato essen-ziale per una cultura che si pre-tenda completa e al passo coitempi. Com’è noto, c’è però unadisciplina, l’Insegnamento dellareligione (sic!) cattolica (IRC),peraltro facoltativa e di stampoconfessionale. Come uscire daquesta situazione ingessata e,apparentemente, priva di sboc-chi? Di questo, e di altro, si è di-scusso a Brescia lo scorso 9aprile, in un convegno assai par-tecipato organizzato da CEMMondialità, con l’obiettivo di ri-lanciare il dibattito, in una fasestorica poco favorevole al plura-lismo religioso. Il fatto è che domina ancora, introppi ambiti, la paura di toccareargomenti che scottano, mentre,di converso, posso testimoniareche aumenta il disagio di tantidocenti di IRC. In tale contesto,a Brescia si è auspicato l’avvio diquella che, a partire da un altroconvegno bresciano di ormainove anni fa, fu definita l’ora del-le religioni, sulla base del meto-do didattico di Bradford, in chia-

ve aconfessionale, interculturalee aperta a tutti gli studenti. I nu-merosi relatori presenti hanno ri-levato come l’ambito scolasticosia strategico, e rischia di costi-tuire lo spazio principe per stru-mentalizzazioni e banalizzazionivarie. Mentre solo una fortecompetenza religiosa è garanziadi laicità, e la laicità non può pre-scindere da una forte competen-za religiosa. E solo una scuolache favorisca e promuova il dia-logo interreligioso e intercultura-le sarà in grado di rafforzare ilfondamento della civiltà e dellaconvivenza sociale.La presenza delle seconde ge-nerazioni (G2) nelle aule italianemostra, con l’evidenza dei nu-

meri in progress, che il mosaicodelle fedi richiede un’analisi del-la situazione dell’insegnamentoreligioso a scuola a più alto livel-lo di una semplice contrapposi-zione ideologica. E le tante buo-ne pratiche presentate a Brescia,su scala europea e mondiale,che coinvolgono università ecentri studio, chiese e comunitàreligiose, confermano che qual-cosa sta avvenendo. Perchél’educazione interculturale nonpuò non fare i conti con le reli-gioni: la considerazione del pe-dagogista Andrea Canevaro puòessere lo slogan per avviare unariflessione su quanto l’ambito re-ligioso e interreligioso costitui-sca oggi un terreno fertile per ilmicrocosmo della scuola, del-l’educazione e della formazione.Questo, e molto altro, dichiara laCarta di Brescia, letta alla fine delconvegno e applaudita a lungodai presenti. Che «guardandocon interesse alle esperienze diinsegnamento delle religioni inuna prospettiva curriculare eaconfessionale realizzate all’este-ro, e assecondando le specificheraccomandazioni di politica edu-cativa provenienti da autorevoliOrganismi europei (Consigliod’Europa, Ue, Osce...)», si augu-ra «che qualche sperimentazionesia tentata anche in Italia». Sarà possibile discuterne, amente serena, e coinvolgendoquella classe politica che dà se-gni di completo disinteresse(basti pensare allo stop su tuttele Intese e alla mancata realizza-zione di una qualsiasi Legge sul-la libertà religiosa)? E farlo sen-za chiusure preconcette, maprendendo le mosse dal datooggettivo e realistico di un’igno-ranza crescente sia della Bibbiasia degli altri grandi codici e del-le religioni in genere, nel nostropaese? q

Solo unaforte

competenzareligiosa

è garanzia di laicità,

e la laicitànon può

prescindereda una fortecompetenza

religiosa

Brunetto Salvarani | [email protected]

Perché le religioni a scuola?Competenze, buone pratiche e laicità

9 aprile 2011 | Ore 9-18

Convegno promosso da CEM Mondialità

Con il patrocinio dell’Università La SapienzaRoma

Missionari SaverianiVia Piamarta, 9 - BresciaENTRATA LIBERA

Chiesa di San Cristo

Perché le religionia scuola?Brescia, 9 aprile 2011

Per richiedere il testo della «Carta di Brescia»rivolgersi a [email protected]

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L’educazione interculturalee il dialogo interreligiosoBari, 5 aprile 2011

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rubrica a cura di Eugenio Scardaccione | [email protected]

spicabili azioni efficaci. Acuto eforiero di ulteriori approfondi-menti è stato il contributo lettodal prof. Fornasari per contodella prof.ssa Santelli-Beccega-to, impossibilitata a partecipare.Leo Lestingi ha ricordato che ilmulticulturalismo, quando vienevissuto come arido elenco di sto-rie, lingue e tradizioni, non pro-duce effetti positivi e di effettivaintegrazione. Vanno, invece, fa-vorite e promosse la cultura e laconvivialità delle differenze, sen-za che ciò comporti l’abbandonodel patrimonio culturale di pro-venienza, ma mantenendo lapropria identità, senza caderenelle insidie dei pregiudizi e del-la xenofobia. Maria Luisa Damini ha aiutatotutti noi, offrendoci un intriganteed originale punto di vista, quan-do ha affermato che, rispetto aldibattito attuale, l’etnocentrismoculturale imperante risulta fuor-viante e va sostituito con la pro-mozione di una seria ed argo-mentata dimensione di un plura-lismo educativo interculturale,che va diffuso, valorizzato e tute-lato, perché si fonda sull’elogiodell’incontro, del dialogo e delloscambio. Per ridefinire, in sensopositivo, anche l’idea del confi-ne, che presenta caratteristicheassimilabili e feconde, come ap-punto l’incontro e l’intreccio, unesempio del quale è rappresen-tato dal bilinguismo di frontieradelle valli aostane e delle mon-tagne altoatesine . Per finire in... bellezza, la melo-dia musicale degli Historicantiha allietato tutti. Nella consape-volezza che nella mente e nelcuore dei partecipanti sono statigenerati il desiderio genuino diazione ed impegno, tali che ilconvegno può e deve continua-re. Eccome! q

La vita, amici, è l’artedell’incontroVinicius De Moraes

Gli operatori di intercultura,pace, giustizia, solidarietà,

mondialità e il coordinamentoCEM Sud, sostenuti dall’Asses-sorato comunale per le politicheeducative e giovanili, accoglien-za e pace e il Gep (Gruppo edu-chiamoci alla pace), non hannodeluso le aspettative il 5 aprile2011 a Bari, nella suggestiva cor-nice dell’auditorium de «La Valli-sa». Anzi. Ci si è trovati di frontead un’attenta, numerosa e moti-vata pattuglia di persone di Bari,Foggia, Andria, Trani, Putignano,Turi, Matera, i Missionari Save-riani di Salerno e Taranto. Per ri-badire, riflettere e continuare adimpegnarsi in quanto Sud, senzaalimentare inutili contrapposizio-ni, o peggio, facilitare infruttuosecompetizioni rispetto a ciò cheaccade in altre parti d’Italia. Letematiche del convegno sonostate trattate, pertanto, con lospirito di chi vuole abbattere imuri dei pregiudizi, degli stereo-tipi e dei luoghi comuni, che de-scrivono spesso il Sud come ter-ra della questua, della corruzio-ne, del lamento, del rimpianto epronto a rispondere soltanto alleemergenze. Alcune delle qualimolto attuali, subìte dai cittadinidi Lampedusa e Manduria per-ché non adeguatamente coinvol-

ti. Per entrare nel vivo delle in-tense ore vissute durante il con-vegno, molto interessanti sonostate le testimonianze a nomedei rom di Giuliana Martiradon-na e Daniel Tomescu, oltre lepreziose nonché documentateesperienze didattiche da partedel Liceo «Bianchi-Dottula» diBari e del «T. Fiore» di Modu-gno. Frizzanti e convincenti sonostati gli interventi di DomenicoLa Marca e Taysir Hassan deiCentri interculturali Baobab diFoggia e Abusuan di Bari. Moltoproficuo si è rivelato l’interventodel giornalista Gianluigi De Vito,che si è soffermato su comevengono costruite (e talvolta tra-visate) le notizie nei giornali,web, radio e tv riguardanti le vi-cende degli immigrati. Sinteticaed efficace è stata la relazionedi Angela Martiradonna, curatri-ce del rapporto annuale di Cari-tas-Migrantes, dal quale si evin-cono spunti di riflessioni ed au-

Le tematichedel convegno

sono statetrattate con lo

spirito di chivuole

abbattere imuri dei

pregiudizi,degli

stereotipi edei luoghi

comuni

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Vito Di ChioBisogno di maestri. Una proposta formativaArmando, Roma 2010, pp. 432, euro 31.85

Il volume introduce, mediante un vocabolario accessibile all’uomo d’oggi, a una rilettura di un pa-trimonio culturale di cui siamo eredi e indica in molteplici forme come tradurlo nel linguaggio at-tuale. Un libro che ci accompagna nel confronto con la realtà e, soprattutto, con il disagio di vivere,un libro che apre alla speranza e ci arricchisce interiormente. Molti di noi vivono oggi, nonostanteil frastuono della vita che ci assale, in solitudine. Una solitudine che coglie le persone anche dovegli affetti familiari sono intatti e la vita quotidiana procede tranquilla. Una solitudine causata da unvuoto che noi oggi sperimentiamo: vuoto di valori etici nella società, vuoto di prospettive per il fu-turo dei giovani, vuoto culturale per l’invadenza di televisioni e di pubblicità.Perché c’è «Bisogno di Maestri»? Il libro non contiene ricette risolutive. Si parla con sempre più in-sistenza di «insostenibile declino di chi deve educare il paese», di «emergenza educativa». Il docu-mento dei vescovi italiani afferma: «I giovani si trovano spesso a confronto con figure adulte de-motivate e poco autorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di vita che suscitino amore e dedizione». Il libro invita a una pausa di riflessione, di confronto, pone domande coinvolgendo il lettore. Nel-

l’affrontare il problema della mancanza dimaestri, l’autore non parte da analisi settoriali,da indagini statistiche, sociologiche o psicolo-giche, ma tenta di elaborare un patrimonioculturale che, da un lato, è andato perdendosiin questi ultimi decenni e, dall’altro, è diventa-to di difficile traduzione per le nuove genera-zioni e per l’uomo di oggi in genere. L’autoresi confronta con realtà concrete, a cui dà unnome: un’antropologia alternativa a una visio-ne dell’uomo che non parte dalla persona edalla libertà, ma che ha assorbito la pretesapositivistica e scientista e la traduce nei pro-cessi educativi, dove appunto non la persona-lità del maestro, ma altre figure divengonocentrali: i tecnici, gli esperti, i metodologi, i ve-rificatori di un’oggettività di facciata; il biso-gno di «compagni di viaggio», che ci aiutino aritrovare, anche nel nostro caotico mondo, il

senso profondo dell’amicizia, non solo nel suo aspetto personale, ma anche come vero motoredell’attività nella polis, dell’impegno politico concreto.Queste riflessioni affondano le loro origini nel dialogo con gli amici, nei gruppi della variegatarealtà di volontariato presente nelle città, nella riflessione di eventi, nello scambio di valutazioni surealtà culturali disparate, dove la poesia ha organizzato la regia. La ricerca della verità sotto la guidadella poesia, infatti, addita nell’arte, nella musica, nella letteratura i veri avamposti della coscienzacritica, che nella società del benessere sembra narcotizzata. q

I materiali segnalati (e non segnalati) possono essere richiesti allanostra Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, consconti del 10% per gli abbonati e pagamento in CPP a materiale giàricevuto (nelle richieste specifica che sei un abbonato di CEM)www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

a cura della redazione

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i paradossi arnaldo de vidi

Occhio per occhio, casa per casa

[email protected]

Nei miei tre mesi di holidays in Italia ho accettatol’invito di parlare ai giovani delle classi del Li-ceo Scientifico «Leonardo da Vinci» di Treviso,

la mia città. Prevedevo la domanda: «Possiamo e dob-biamo accogliere tanti nordafricani in fuga?». Sì, dob-biamo, e per più di un motivo. Dice un proverbio africano: «È per lo straniero che siuccide il vitello grasso. Se vedi uno straniero, conside-ralo come un re». Il principio dell’ospitalità fa parte deldna dell’umanità. Il diritto di cercare un luogo dove po-ter vivere è consacrato dalla Dichiarazione uni-versale dei diritti umani. C’è poi il motivo religioso. Abitiamo il vil-laggio globale di cui Dio è «padre e capo-tribù». Lui vuole che noi, suoi figli, condivi-diamo spazi e beni. Ma voglio dilungarmi su un terzo motivo. IlTalmud, un libro ebraico di 6 mila pagine,interpreta il detto «occhio per occhio, denteper dente» in una forma inedita: «Se tu ac-cechi una persona, i tuoi occhi devono di-ventare i suoi occhi, cioè tu devi diventare laguida del cieco...».Quanto al problema degli immigrati,e siamo al punto che ci interessa,vale il principio «casa per ca-sa». Per secoli (e ancora og-

gi!) noi del primo mondo abbiamo distrutto la casa delterzo mondo, ora la nostra casa deve diventare la casadei terzomondiali. Sì, noi siamo stati «Gulliver» in giroper il mondo, rastrellando e portando a casa nostraquello che trovavamo. Poi abbiamo creato il patriotti-smo, col sacro principio «ius soli, ius sanguinis» cheequivale a dire: «L’Italia è nostra, ce la siamo meritata eguai a chi la tocca». Abbiamo abbellito il nostro giardino,facendo terra bruciata nel resto del pianeta, dove i po-veri faticano a sopravvivere e da dove fuggono (come

uno tsunami, disse con espressione infelice il no-stro Presidente del Consiglio). Adesso, in ripa-razione, dobbiamo aprire le porte a loro, ai ter-zomondiali.

Nella storia, la formazione degli Stati-nazioni èstata provvidenziale: noi italiani, a partire da 150

anni fa, abbiamo goduto d’identità, coesione e di uncrescente welfare (che ora, in tempo di globalizzazione,dobbiamo difendere, perché minacciato). Ma la rigidamappa del pianeta in Stati-nazioni è stata fonte di guer-re. Ed oggi in Italia il patriottismo è invocato per essereinospitali. Giunge l’ora, ed è questa, in cui il patriottismo

non è più una virtù.

Mai come oggi diventa stimolante il pensiero di Ugo di San Vittore:

Chi ama la sua patria è un uomo comune; chi considera ogni terra come sua patria è già più saggio; ma solo è perfetto chi si considerastraniero ovunque.

«Il mondo è la mia patria» recitava il titolo diun’antologia CEM degli anni sessanta. Nel terzomillennio il mondo oltre ad essere la patria co-mune, diventa la grande diaspora. q

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Il principiodell’ospitalità fa

parte del dnadell’umanità. Il

diritto di cercare unluogo dove poter

vivere è consacratodalla Dichiarazione

universale dei diritti umani

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la pagina di... rubem alves

Pillole del pluralismoche verrà

prima di essere suonata al pianoforte? Era nel sognodel compositore. La verità dell’universo sta nel cuoredegli uomini, nel luogo dei loro sogni.

L’anima non si alimenta di verità. Essa si alimenta di fan-tasie. Strana e meravigliosa capacità quella di giocareal «fare finta che…». Abbandonare le nostre certezzeper vedere come il mondo si presenta nella visione diun’altra persona. Se è vero che il sogno senza la tecnicaè impotente, è vero anche che la tecnica senza il sognoè stupida.

Eternità non è un tempo senza fine. Un tempo senza fineè insopportabile. Pensate, ad esempio, ad una musicasenza fine, un bacio senza fine, un libro senza fine! Tuttoquello che è bello deve morire. Bellezza e morte vannosempre a braccetto.

Un amico è una persona con cui si prova piacere nelcondividere idee di forma tranquilla e mansueta. Non ènecessario essere d’accordo. Il volto del mio amico nonè uguale al mio. E questa differenza mi dà allegria. Seconviviamo senza problemi con le nostre facce differen-ti, perché mai dovremmo volere che le nostre idee sianouguali?

L’eresia si situa sul piano del potere. Ortodossi sonoi forti, coloro che hanno il potere per dire l’ultima

parola. Per questo essi si defini-scono come i portatori della

verità e i loro avversari comei portatori della falsità. L’ere-sia è la voce dei deboli.

La vita non sopporta la ripetizione della stessa co-sa. Nascere, crescere, invecchiare, riprodursi.Nessuna pianta è uguale a se stessa nel susse-

guirsi dei momenti temporali. Le pietre non nascono,non crescono, non invecchiano e neppure si riproduco-no. Sono eterne. Sono sempre le stesse. Morte.

Tutti coloro che vantano certezze sono condannati aldogmatismo. Se sono sicuro della verità della mia teo-ria, perché mai dovrei perdere tempo ad ascoltare un’al-tra persona che, per il fatto di difendere idee differenti,deve star dicendo una cosa sbagliata? Le certezze van-no sempre a braccetto con i roghi…

I filosofi dicono di essere alla ricerca della verità. Ma laverità per loro è quello che è. Ma anche quello che nonè può essere la verità. La verità del pianoforte non è ilpianoforte: sono le musiche che questo può suonare, laverità è il possibile. Dov’era la composizione musicale

Traduzione di Marco Dal Corso

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Chiedilo a lei.

Sì, chiedilo a Giovanna,

Se non ci credi, ascolta le loro storie: www.chiediloaloro.it CEI Conferenza Episcopale Italiana

Sì, chiedilo a Giovanna, crescere un doposcuola. Chiedilo ad Anna e agli anziani soli di Pantelleria, come sarebbe la loro vita senza l’assistenza di suor Patrizia. Oppure chiedilo a Francis, che era un bambino soldato e oggi è un uomo che studia e lavora. Con l’8xmille alla Chiesa cattolica continui a fare molto, per tanti.

Se non ci credi, ascolta le loro storie: www.chiediloaloro.it CEI Conferenza Episcopale Italiana

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www.terrafutura.itRelazioni istituzionali e Programmazione culturaleFondazione Culturale Responsabilità Etica Onlustel. +39 049 7399726 - email [email protected]

Organizzazione eventoAdescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.tel. +39 049 8726599 - email [email protected]

mostra-convegno internazionale

terrafuturabuone pratiche di vita, di governo e d’impresaverso un futuro equo e sostenibile

firenze - fortezza da basso20-22 maggio 2011VIII edizione ingresso libero

• appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

ONLUS

Regione ToscanaDiritti Valori Innovazione Sostenibilità

Sentinella,quanto resta

della notte?

STEFANO ALLIEVI, ALUISI TOSOLINI,KHALID CHAOUKI, ADEL JABBAR, CISCO BELLOTTI,MILOUD OUKILI, MIMMO LUCANO, LUBNA AMMOUNE

Sentinella,quanto resta

della notte?

Trevi (Perugia)Hotel della Torre 20-25 agosto 2011

Laboratori, incontri,

spettacoli, narrazioni di buone

pratiche

50° CONVEGNO di CEM Mondialità

CEM MondialitàTel. 030/3772780 - Fax 030/3772781

Via G. Piamarta, 9 - 25121 [email protected] - www.cem.coop

Segreteria organizzativa

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