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Abeti verdi, bianchi e rossi

di Angelo Ranzenigo

Passato ormai il tempo degli auguri natalizi (edelle abbuffate!), ciò che rimane oltre ai ricordidei pranzi e delle cene in famiglia e dell’aperturadei regali sono sempre più frequentemente glialberi di Natale veri, acquistati in vaso nei vivai.

Per capire il business legato alla produzione diqueste piante basta pensare alle stime di acquistoda parte delle famiglie italiane, che per laColdiretti si aggirano a circa 6,5 milioni diesemplari per un volume d’affariabbondantemente sopra i 140 milioni di euro.Questa scelta potrebbe essere quella migliore perun “Natale green” se gli acquirenti decidessero –terminate le feste – di conferire gli esemplariverso i punti di raccolta che consentono ilsuccessivo rinfoltimento di aree disboscate,evitando inquinamenti genetici legati apiantumazioni poco accorte in ambienti naturalidi specie non autoctone. Spesso però si sceglie diripiantare gli abeti nel proprio giardino: masiamo sicuri che sia la scelta giusta? Ecco comepotremmo commetteremeno errori.

Innanzitutto il CorpoForestale dello Statoraccomanda diacquistare gli alberi invivaio scegliendoquelli contrassegnatidal certificato diriconoscimento: inquesto modo saremosicuri che l’alberoprovenga da coltivazioni specifiche e non daprelievi illeciti nei boschi (la coltivazione diquesti alberi è estremamente diffusa in Toscana ein Veneto) e contemporaneamente ci permette diconoscere la specie e di risalire alle sue esigenzedi coltivazione. Se così non fosse, se avessimoperso il cartellino dovremmo riuscire a

riconoscere la specie cercando nella nostrapianta le sue caratteristiche distintive.

Un modo semplice per distinguere abeti dailarici e dai pini è quello di osservareattentamente l’inserzione degli aghi suirametti. Grossolanamente potremmo ricordarela formula “(A1) (L+) (P2)” ( o anche, piùmnemonico, ALP 1+2), dove A sta per Abetee presenterà gli aghi inseriti singolarmente (1)sul ramo stesso; L sta per Larice e presenteràgli aghi raggruppati a ciuffetti (+) inseriti sulramo principale attraverso un corto ramettochiamato brachiblasto; P presenterà gli aghiinseriti a due a due (2) sul brachiblasto(specie europee) o di tre in tre e cinque incinque (rispettivamente specie asiatiche eamericane).

Nella quasi totalità dei casi ci ritroveremo conpiante ad aghi inseriti singolarmente, quindiappartenenti al gruppo degli abeti e tra questila scelta si riduce di fatto a due sole specie:l’abete rosso e l’abete bianco.

Abete rosso

Il primo (Picea abies L. o Picea excelsa L.) èun albero a portamento conico-piramidale chepuò raggiungere notevoli altezze in poco

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tempo grazie a una rapida crescita che nellepiante giovani può superare tranquillamente i 40cm all’anno. È una specie largamente diffusasulle Alpi e poco frequente nell’Appennino se siesclude la zona tosco-emiliana. Deve il suonome al colore della corteccia ocra-rossicciatipica delle piante più giovani che tende ad uncolore bruno-grigiastro in quelle adulte. La parteesterna della corteccia presenta placche didimensioni diverse che si sfaldano staccandosicol tempo, mentre gli aghi hanno una sezionequadrangolare e sono inseriti isolati intorno atutto il rametto. Le pigne risultano pendule el’apparato radicale è solitamente superficiale.Questa specie ama ambienti montuosi o collinaricon terreni profondi e umidi, sopporta bene ilfreddo ma è sensibile alle estati calde e siccitosetipiche delle pianure. Il legno di questa specie èutilizzato in diversi settori produttivi edall’incisione della corteccia si ottiene la pecebianca.

Abete bianco

Il secondo (Abies pectinata Lam. et DC o Abiesalba Mill.), anch’esso a portamento a chiomaconica, molto longevo e con radici profonde,raggiunge altezze di 40-50 metri. La corteccia dicolore grigio si presenta al tatto ruvida e si sfaldain piccole placche. Gli aghi, a differenzadell’abete rosso, sono inseriti in modo appiattitoquasi a formare due file parallele (quasi come unpettine) e nella pagina inferiore sonoriconoscibili due strisce biancastro-argentate ai

lati della nervatura centrale chiamate “lineestomatiche”. I singoli aghi presentano sezionepiatta. Le pigne invece sono erette.

Inserzione degli aghi nell'abete bianco

Questa specie è tipica degli Appennini ecresce spesso spontanea in associazione conlatifoglie come il faggio o con altre conifere.Predilige posizioni abbastanza soleggiate eun’altitudine superiore agli 800 metri. Dallaresina si ottiene la trementina di Strasburgo.

Ora abbiamo tutti gli elementi necessari percapire che i nostri giardini di pianura, perquanto curati, abbelliti e provvisti di impiantidi irrigazione che possano compensare lecarenze idriche estive, non sono zonepedoclimatiche ideali per la coltivazione siadell’una che dell’altra specie di abete, le qualidopo il trapianto con operazioni colturaliappropriate riusciranno sì a sopravvivere e acrescere, ma dovranno affrontare findall’inizio condizioni climatiche per loroavverse che ne aumenteranno la sensibilità aipatogeni e alle malattie e ne ridurranno lapotenziale e naturale longevità.

Come possiamo allora affrontare il prossimoaddobbo di Natale in maniera più corretta?Due possono essere le vie: la prima è quella discegliere un abete per poi rivolgersi agli entidi competenza che sapranno ridestinarlo nellamaniera più opportuna. La seconda, quella discegliere essenze più adeguate alle nostrezone, come ad esempio i ginepri oppure, se siva verso la fascia mediterranea, ulivi e lecci.

Dimenticavo… se avete tempo controllate cheil manico della scopa della vostra befana nonsia fatto proprio da un abete!

Le foto sono tratte da Wikipedia:www.wikipedia.org

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DICIAMO PANE AL PANE

di Carlo Fortunato

Dopo la moda dei corsi di sopravvivenza, eccosbucare la nuova tendenza del foraging(letteralmente andare alla ricerca di cibo neiluoghi aperti), un anglicismo che non riguarda lasussistenza, ma una forma alternativa alimentare.

Al contrario di quanti da tempo apprezzano l’usodelle spontanee, il foraging sembra incarnarsi inuna di quelle tipiche forme snobisticheall’italiana destinate a pochi eletti. La differenzasostanziale credo, sia semplicemente il pulpitoda cui proviene la predica.

Sarà, ma il suo significato ricalca un po’ lascoperta dell’acqua calda. Spiego meglio: sitratta di raccogliere in natura bacche, erbeselvatiche, funghi per farne prodotti da dispensa,senza andare al supermercato.

Ma dov’è la novità? E’ semplicemente ilpercorso alimentare condotto dell’uomoprimitivo e poi dai ceti meno abbienti fino aigiorni nostri, diventando espressione di unaradicata cultura rurale ove il ciclo delle stagioniscandiva la regolazione dell'alimentazionenonché imponeva l’organizzazione delladispensa per i tempi di minore abbondanza.

Dagli anni sessanta in poi con l’arrivo delbenessere e del consumismo tutto ciò divennedimenticato anzi, spesso equiparato a cibo perbestie! Ora, il foraging è trandy e raccoglie adestra e a manca proseliti, specie nell’altasocietà.

Riusciremo un’altra volta a farci coinvolgere daibusiness dei soliti furbi o dal fascinod’oltremanica, anche quando, ogni giorno,calpestiamo gli stessi vegetali, ignorandoli!Eppure c’è chi, sorpreso, avverte una “vivaemozione” nel raccogliere bacche di rosa canina

piuttosto che succhiare uno stelo di loietto.

Rosa canina d'inverno

Scusate la vena polemica, ma non sarebbe piùsemplice incitare ad un comune e sano ritornoalle nostre radici, alla rievocazione di unripudiato mondo contadino o ancor più alleorigini dell’alimentazione dell’uomo?

Si dice che al mondo sia necessario esseresufficientemente bravi a raccontarla e che, dicontro, vi sia sempre qualcuno moltodisponibile a farsela raccontare! Trovereteanche chi, sulle colonne di una testata atiratura nazionale, scrive che in autunno leradici del tarassaco saltate in padella risultanodolci e polpose… bontà sua! Beh spesso suigiornali, capita anche questo.

L’importante è non farsi infinocchiare daisoliti aspetti consumistici e commercialicollaterali perché l’alternativa è la natura, nonsolo l’industria che vende derivati di prodottinaturali.

L’aspetto positivo vede in questa tendenzal’interesse per l’informazione, supportato dalmoltiplicarsi di corsi e di testi per laconoscenza e l’utilizzo delle piante spontanee,

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contribuendo a rinverdire un patrimonioetnobotanico non più tramandato, che negliultimi anni sembrava condannato a perdersiirreparabilmente.

Un personale interpretazione del foragingriconduce a racconti e realtà degli scorsi anniquaranta quando frequentare con regolaritàcampagne e boschi, permetteva, anche ininverno, di trovare di che nutrirsi. Il terrenooffriva topinambur, radici di bardana, qualchecespetto d’insalatina fuori stagione, noci,nocciole, bacche varie, ma vi era la possibilità dispingersi oltre. Era alla portata di moltiidentificare, anche se spogli, i vari alberi, siandava alla ricerca di legna da ardere ma anchedi alberi adatti, con i loro ramoscelli, gemme ecortecce, ad usi di cucina.

Notoriamente gli alberi sono avvolti da duecortecce, la più esterna ha finalità protettivementre quella interna è atta a veicolare, permezzo della linfa, il nutrimento prodottoattraverso le foglie ai rami, al tronco e alle radici.

Quest’ultima, se opportunamente incisa con unalama, tagliata a nastri, poi essiccata e ridotta afarina poteva essere utilizzata come alimentonegli impasti da forno. Per questa pratica eranoadatti l’ontano, il frassino, il tiglio, il faggio,l’olmo, l’abete, l’acero, il pino, il pioppo e ilsalice.

D'altronde se pensiamo che la corteccia dellegiovani betulle, per secoli è consolidato alimentodei popoli nordeuropei in quei luoghi sperduti incui la coltre di neve e ghiacci per mesi rendeimpossibile l’approvvigionamento di alimentivegetali spontanei, o come analogamente siverifica per la linfa dell’acero ancora raccolta perla preparazione dell’omonimo sciroppo.

Bacche di ginepro d'inverno

I ramoscelli e i germogli di alcune caducifoglie

possono essere nel corso della raccoltamasticati allo scopo di ridurre la sete, o inalcuni casi, per farne una bevanda caldautilizzando ontano, abete e betulla. I bocciolipossono essere anche aggiunti alle insalateinsieme alle gemme oppure tostati. Anche gliaghi di alcune conifere possono trasformarsiin un tè invernale ricco di vitamina C inseguito a macerazione in acqua calda.

Possiamo pensare ad un pasto con brodo dibosco a base di licheni, cetraria islandica eginepro, oppure ad un il risotto al larice euova di salmerino concludendo con gelatoall'acetosella dei boschi, biscotto di farinaamara di corteccia di conifere, sale alfinocchio selvatico.

Ah, poi… pane ai licheni cotto sottoterra e nelbicchiere linfa di betulla aromatizzata alsambuco oppure birra d'abete… di certo nonstò fantasticando!

Un augurio per il nuovo anno da vivere anchelungo il sentiero dell’orto delle erbacce!

Bacche d'inverno

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Lophiaris silverarum

di Francesca Castiglione

Le orchidee, tutte quante, appartengono adun'unica grande famiglia botanica, quella delleOrchidaceae. Tuttavia il numero di generi,specie e varietà sia coltivate che spontanee èmolto alto, tanto che questa famiglia è una fra lepiù ricche del regno vegetale, seconda solo allaAsteraceae (le margherite insomma).

E' una famiglia che si arricchisce incontinuazione, perchè vengono sempre scopertenuove specie.

È stata scoperta nel 2006 una nuova specie diorchidea nell’area montuosa di Panama centrale.È stata chiamata Lophiaris silverarum in onoredella biologa dell’Università della CaliforniaKatia Silvera che l’ha scoperta, da sempreappassionata in merito, in quanto è cresciuta inuna famiglia panamense impegnata nelcommercio delle orchidee.

Appartiene al genere Lophiaris, che si componedi 25 specie e 3 ibridi naturali che si trovano nelsud della Florida, Indie Occidentali, dal nord delMessico al sud del Brasile e Argentinasettentrionale. Per ora Lophiaris silverarum ènota solo nel centro di Panama e fa parte delle1100 specie di orchidee conosciute nell’area. Lapianta fiorisce solo nel mese di novembre e isuoi fiori durano circa un mese.

La ricercatrice si è imbattuta in questa orchideaper la prima volta 10 anni fa durante unapasseggiata con il padre. Per identificare questaspecie hanno contattato il tedesco Carnevali,autorità mondiale sulle orchidee, che haconfermato che si tratta di una nuova specie. Daquel momento è iniziato il lungo processo distudio per la classificazione della pianta,concluso il 13 marzo 2014 con la pubblicazionesu Phytotaxa della nuova specie.

Foto presa da http://www.sci-news.com/

Il padre Gaspar Silvera è il proprietario di unapiccola azienda a Panama specializzata nellamoltiplicazione delle specie di orchideeautoctone. Dato che la Lophiaris silverarumcresce molto lentamente, ci vogliono circa 4anni per riprodurla in vitro e molti altri perportarla a fiore, ci vorra molto tempo primache sarà disponibile al pubblico e alcommercio.

Katia Silvera ribadisce che scoprire unanuova specie di orchidea è una cosa rara, oltrealla confusione nella classificazione ericonoscimento delle orchidee, un’altraragione è che queste piante tendono a crescerein zone di difficile accesso, a influire è anchel’attività umana che minacca gli habitat. Ladiversità di orchidee è più visibile ai tropici,dove purtroppo l’habitat viene distrutto moltovelocemente, il risulato è che stiamo perdendomolte specie di orchidee, delle quali alcunenon sono ancora state scoperte e non lopotremo più fare.

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Oro, incenso, mirra … e carbone

di Vittoria Gianuzzi

Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemmee domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che ènato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, esiamo venuti per adorarlo”… Ed ecco la stella,che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva,finché giunse e si fermò sopra il luogo dove sitrovava il bambino. Entrati nella casa, videro ilbambino con Maria sua madre, e prostratisi loadorarono. Poi aprirono i loro scrigni e glioffrirono in dono oro, incenso e mirra.dal vangelo secondo Matteo

Ai miei tempi....

o accidenti, a cominciare così mi sembra diessere decrepita, ma comunque, continuiamo

… si faceva il presepe. Nella notte di Natale simetteva il bambinello nella mangiatoia e la seraprima dell'Epifania si mettevano anche i tre ReMagi: Melchiorre, Gasparre e Baldassarre.

A me i regali li portava Gesu' aiutato dai suoiangeli, poi e' venuto Babbo Natale, poi ancoraSanta Claus, che mi sono sempre chiesta se sonola stessa cosa, e perchè si chiami Santa,chiaramente un nome femminile. Forse perche'politicamente piu' corretto?

Il 6 gennaio ora c'è la Befana che porta dolci ecarbone, ma chi è mai? Forse la nonna dei ReMagi?

Insomma una bella confusione, aumentata dalfatto che i Re Magi portavano dei doni albambinello: oro, incenso e mirra.

Cosa fosse l'oro lo sapevo, un bel mineralelucente e piuttosto caro. L'incenso per me eranodei carboncini profumati che emanavavano unfumo un po' greve, un profumo diverso dai solitifiori, anche un po' ipnotico. A me piaceva e miincantavo a guardare i refoli di fumo chesalivano lenti dai turiboli, manovrati dachierichetti che a volte facendo schizzare via icarboncini. Insomma, molto pittoresco.

Ma cosa fosse la mirra....

Anni dopo sono andata a guardarmi meglio lacosa, vediamo insieme da dove arrivano ecosa sono l'incenso e la mirra, così finalmenteho saputo.

Entrambi sono resine che si ottengono daalberi e piante. Le resine essiccate sono poiutilizzate, soprattutto per fumigazioni, fin datempi antichi.

In Arabia, moooolto tempo fa, si vide che laresina di una pianta del deserto agiva su stratiprofondi della mente, e forse riduceva ilrischio di contagio delle malattie infettive. Lapianta era la Boswellia, da cui si ricaval'incenso. Si accorsero anche che la mirra,resina ottenuta da un altro arbusto di queiluoghi, aveva altri effetti, più “terrestri”.Dall'India, dall'Egitto arrivarono subitoingenti richieste di entrambe le resine congran gioia dei mercanti del tempo.

L'incenso, di colore giallo pallido si ottieneappunto dagli alberi di Boswellia checrescono ai confini del deserto in una ristrettafascia di terra e sassi, la “cinturadell’incenso”: troppa acqua le ucciderebbe.La più famosa è Boswellia sacra, diffusanell’Arabia del sud, ma ci sono più di 20varietà tra cui l’indiana Boswellia serrata,detta Guggul.

Nell'antico Egitto si ricorreva ai profumi eall’incenso durante l’imbalsamazione deidefunti o lo svolgimento di riti magici ereligiosi. Soprattutto l’olibano (BoswelliaCarterii) era tenuto in grande considerazione;questo incenso rappresentava l’elemento piùimportante nell’ambito del rito dell’offertorio.

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La regina Hatschepsut (verso il 1475 a.C.)gestiva una serie di scambi commerciali conPunt, la leggendaria terra dell’incenso, situatanell’attuale Somalia. Oggi piu' prosaicamente sipuo' acquistare su Internet.

Gli antichi ebrei vennero a conoscenza dell’usodell’incenso in Babilonia e in Egitto ebruciavano l’incenso sull’altare del Tempio diGerusalemme al mattino e alla sera.

Da sempre si ritiene che questo aroma avvicinil’anima a Dio; all’inizio, i primi cristiani nonbruciavano l’incenso poiché questo ritualerichiamava troppo la fede giudaica. Tuttavia, apartire dal V° secolo d.C., è diventata unaconsuetudine utilizzare l’incenso nel corso dellecerimonie religiose e di purificazione.

Ed eccoci alla misteriosa mirra, usata dagli egiziper imbalsamare i defunti assieme a cinnamomo,aloe, gomma di cedro,bitume, zafferano e altro.

Anche la mirra è una resina profumata, di colorerosso, ricavata da alberi della specieCommiphora myrrha della famiglia

Burseraceae.

Secondo il vangelo di Giovanni mirra e aloevennero usati per la sepoltura di Gesù. NellaBibbia è uno dei principali componentidell'olio santo per le unzioni, ma anche unprofumo, citato ben sette volte nel Cantico deiCantici.

L'albero è nativo della penisola Arabica(Oman,Yemen) e dell'Africa (Gibuti, Etiopia,Somalia, Kenya nord orientale). Si trova aun'altitudine di 250-1300 m, con unapiovosità di 230-300 mm, principalmente inaree di suolo calcareo. Durante l'estate sultronco dell’albero sono presenti nodi erigature che, con l’alta temperatura, rilascianoall’esterno un liquido giallastro solitamentecontenuto all’interno del tronco. Per l’usoterapeutico si fa ricorso proprio a questaresina seccata oppure dell’olio essenziale chese ne ricava, ricco di chetoni, steroli,sesquiterpeni e polisaccaridi.

Esistono diverse forme di somministrazione:in crema o balsamo per la pelle, tramite l’olioessenziale o in forma secca per gli alimenti(oggi poco usato).

Se l'incenso è "maschio", la mirra è"femmina": racchiude in sé l'energia dellaterra, dona forza, radicamento, tonicità. Idealeper uscire da stati di affaticamento econfusione mentale. Nel mondo medio-orientale, ma anche nell'antico Egitto, siriteneva che questa fragranza accendesse lasensualità: in Egitto era detta "scongiuro dallapazzia" proprio perché in grado di calmare lepersone con gravi disagi psicofisici. Come

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altre piante, si usava bruciarla nelle stanze deimalati, per somministrare forza e comeantisettico.

Insomma, nei nostri climi non possiamoaspettarci di estrarre personalmente nè incensonè mirra, però possiamo coltivare una bellapianta di Plectranthus. Si tratta di una piantadella famiglia delle Labiatae, che non ha nulla ache vedere con la Boswellia sacra, ma che è notacome pianta dell’incenso, per il suocaratteristico profumo.

È una pianta dal portamento ricadente moltodecorativa e rigogliosa, le più apprezzate sono afoglia cuoriforme, variegata verde chiaro ebianco. Può essere coltivata come pianta daesterno, nei climi miti o nelle stagioni tiepide ecalde, ma anche come pianta da intero, essendosempreverde.

Plectranthus forsteri Variegata

Facile da coltivare e piuttosto rigogliosa e rapidanella crescita, fiorisce in primavera con fiorelliniazzurri, poco appariscenti. Si trova bene convarietà fiorite da balcone come i gerani, lepetunie, la verbena, la lantana e la Dipladenia.

Se coltivata in casa è preferibile metterle vicinoad una finestra e nella zona più luminosa,piantarla in terreno ben drenato e bagnarlafrequentemente. Insomma, non avremo la resinada bruciare, ma potremo sempre annusare le suefoglie e sognare l'oriente.

Ma un momento, il giorno dell'Epifania è ancheil giorno della Befana, e allora all'oro, incenso emirra si dovrebbe anche citare il carbone, quelloche la Befana ha portato o avrebbe dovutoportare, in questa notte magica, a molti di noi!

Noterelle finali

Il termine ἐπιφάνεια (epifania) in greco indicala manifestazione di una divinità, dunqueGesù si manifesta come Dio.

Nei Vangeli i Magi, probabilmente astronomie sacerdoti zoroastriani, sono citati solo daMatteo (2,2) senza precisarne nè il numero nèi nomi. Portano oro come omaggio allaregalità di Gesù, incenso per la sua divinità emirra, come anticipazione della sua futuramorte redentrice.

La leggenda (o la storia?) narra che i restimortali dei Re Magi furono recuperati in Indiada Sant'Elena e poi portati a Costantinopoli.In seguito arrivarono a Milano, e furono postiin un'arca romana di marmo nella chiesa diSant'Eustorgio.

Nel 1164 Federico Barbarossa li trafugò e liportò a Colonia, dove ancora oggi riposanonella cattedrale costruita apposta. Milanotentò più volte di riaverle, ci provò ancheLudovico il Moro nel 1434 ma inutilmente.

Agli inizi del secolo scorso il cardinal Ferraririuscì ad ottenere parte delle ossa oraricollocate sopra l'altare dei Magi nella Chiesadi S. Eustorgio a Milano.

Ma il Barbarossa, tutto preso dal suosaccheggio, non si accorse che mancavano trepezzetti: il vescovo Ambrogio regalò infattitre falangi delle dita alla sorella Marcellinache li portò nel suo convento a Brugherio. Nel1613 il cardinale Borromeo le trasportò nellachiesa di San Bartolomeo di Brugherio, doveancora si trovano.

La Befana, termine che deriva da Epifania, èun mitico personaggio derivante da tradizionimagiche precristiane. Queste credenze furonopoi condannate dalla Chiesa ma, essendoimpossibile cancellarla, divenne nelMedioevo la nostra Befana.

Una leggenda racconta che i Re Magi sifermarono alla casa di una vecchietta e lainvitarono ad unirsi a loro, ma essa declinòl'invito. Ripensandoci, decise di seguirli manon riuscì più a trovarli e non potè dare i suoidoni al Bambinello. Da allora, la Befanalascia i doni ai bambini, sperando che fra queibambini ci sia Gesù.

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