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 Nahtjak89  Francisco de Quevedo SOGNI E DISCORSI  L'aspetto più originale dei "Sogni e discorsi" non è evidentemente il loro contenuto, né tanto meno la loro struttura narrativa, bensì la loro forma. La satira di Quevedo utilizza come strumento prediletto la retorica, si fonda su giochi di parole, paronomasie, calembours, antitesi e paradossi. Sono questi aspetti stilistici che hanno fatto di Quevedo il capostipite del concettismo spagnol o. Dopo di lui la prosa satirica e didattica non fu più la stessa.

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7/16/2019 79669879 Francisco de Quevedo Sogni e Discorsi

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 Nahtjak89

 Francisco de Quevedo

SOGNI E DISCORSI

 L'aspetto più originale dei "Sogni e discorsi" non è evidentemente il loro

contenuto, né tanto meno la loro struttura narrativa, bensì la loro forma. La

satira di Quevedo utilizza come strumento prediletto la retorica, si fonda sugiochi di parole, paronomasie, calembours, antitesi e paradossi. Sono questi

aspetti stilistici che hanno fatto di Quevedo il capostipite del concettismo

spagnolo. Dopo di lui la prosa satirica e didattica non fu più la stessa.

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SOGNI E DISCORSI

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 APPROVAZIONE

Questi trattatelli su diversi argomenti, che sono stati apprezzati dauomini dotti e letti con grande piacere dai curiosi e dagli amici delle buonelettere, vogliono apparire sotto il titolo di Sogni di verità rivelatrici di abusi,

inganni e vizi in ogni condizione sociale e mestiere umano, e sono opera didon Francisco de Quevedo Villegas, & c.

A tal fine, per ordine e mandato dell'eccellentissimo signor Vescovo diBarcellona, li ho studiati ed esaminati e affermo che, riguardo all'originaleche ho censurato, possono venire pubblicati senza pericolo, giacché in essinon vi è nulla che sia contrario alla fede cattolica e ai buoni costumi. Anzi,sono certo che chiunque li leggerà ne apprezzerà molto la sottigliezzad'ingegno, la vasta e varia erudizione e lo stile asciutto e ben curato, e anchechi è già molto colto imparerà cose assai utili. Questo è il mio giudizio e losottoscrivo firmando di mio pugno questo decreto nella chiesa di SantaCaterina Martire di Barcellona, il 18 gennaio del 1627.

Frate Tomás Roca

Die 25. mensis Ianuaria 1627. Imprimatur. Io, Episcopus BarcinonisDon Michael, Regens.

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AUTORIZZAZIONE

Il Vescovo di Solsona, Luogotenente e Capitano Generale. Joan Sopera,tipografo della nostra città, ci ha riferito che desidera stampare un libro daltitolo Sogni di verità rivelatrici di abusi, inganni e vizi in ogni condizione

sociale e mestiere umano, scritto da don Francisco de Quevedo Villegas e ci prega gli venga concessa la licenza, essendo già stata accordata la licenza dalVescovo Ordinario. Perciò, in virtù del nostro sicuro sapere e della nostra

reale autorità, concediamo la licenza al suddetto Joan Sopera, affinché nessunaltro, senza un mandato o un permesso, possa stampare il libro, pena larequisizione dei caratteri da stampa e delle macchine, il versamento dicinquecento fiorini d'Aragona alle casse reali, la requisizione forzata dei benidei contravventori, conformemente a quanto è più estesamente spiegato nel

 privilegio reale; tale privilegio durerà il tempo di due anni, passati i qualiscadrà. Barcellona, addì 21 di marzo, M.DC.XXVII.

Il Vescovo di Solsona

Ut, Don Michael Sola, RegensUt, Don Jacobus de Lupia& Dominus Regens Thesauri, Michael PérezIn diverso loco, XIII. Fol. CCLXXXV.

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 A DON FRANCISCO JIMÉNEZ DE URREA, CAPPELLANO DI SUA

MAESTÀ.

DON LORENZO VAN DER HAMMEN Y LEÓN, VICARIO DIJÚBILES.

 L'edizione di Barcellona del 1628 comprende la seguente lettera, che

era già comparsa nell'edizione denominata

«Desvelos sonolientos» («Veglie sonnolenti») stampata a Saragozzanel 1627.

Restituisco a vostra Signoria i Sogni del nostro amico e vi assicuro cheora si possono leggere senza scrupoli, perché li ho corretti confrontandoli congli originali che si trovano nella mia libreria; io stesso ho dovuto riscriverneuna gran parte, come vedrete dalla calligrafia. Converrete che avevo ragionee che il testo, prima della correzione, era lacunoso, zeppo di errori e di difetti.La colpa è del nostro cavaliere (io l'avevo sempre messo in guardia), che ha

 permesso a tutti di eseguire copie del suo lavoro; in tal modo chiunque ha potuto far tagli e aggiunte secondo il proprio gusto e il proprio giudizio; eancor meno rispettosi del testo sono stati coloro che con questo genere dilavoro si guadagnano il pane. Da questa constatazione è nata l'idea di far stampare alcune sue opere, le quali, benché incomplete, sono molto celebratee lodate; l'autore lo merita, perché è un individuo straordinario, uno scrittoreuniversale in tutti i generi letterari e in tutte le lingue, come ammettonocoloro che lo conoscono; lo dimostrano la sua Politica, i commenti e le

 parafrasi alle lamentazioni di Geremia e di Anacreonte, la storia di donSebastiano, re del Portogallo, e tanti libri ancora, che non cito per nonstancare la signoria vostra.

Tra tutti forse meritano il primo posto questi discorsi, per la lorooriginalità e la loro struttura, e per l'abilità con cui le verità e la riprovazionedei cattivi costumi si mescolano a episodi assai divertenti, senza che lo spiritodisturbi il fine principale, che è il bene universale e il miglioramento degli

Stati. Questi discorsi hanno già meritato le lodi di quasi tutte le nazioni

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d'Europa e delle più importanti e dotte personalità di Spagna, giacché maicosa venne più celebrata.

Luce sono per tutti gli occhi e cibo che nessuno stomaco, per delicatoche sia, rifiuterà, perché l'asprezza della verità è stata ammorbidita da passiestremamente divertenti. La nostra natura è tale che anche ciò che è salutaredev'essere indorato e addolcito perché piaccia. I vanitosi e coloro che vannoin rovina per vedere i loro nomi sui libri, avrebbero già dato alle stampequesti sogni, ma la modestia del nostro autore non lo ha permesso, a dannodella di lui reputazione.

Errore grande, in un secolo in cui si dà gran spazio alla lusinga,all'ignoranza e al vizio, e in cui solo gli intriganti e gli imbroglioni hannosuccesso; vostra signoria ne è esclusa, perché tanto onora, stima e premia lelettere, le virtù e i meriti. Ma le dovute qualità e la luminosa intelligenza cheil cielo ha accordato alla signoria Vostra, affinché sia d'esempio ai prìncipi ed'insegnamento ai signori, non si trovano in tutti.

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 DEL DOTTOR DON MIGUEL RAMÍREZ, APPROVAZIONE

Per commissione generaledi buon consiglio sfogliaiquesto libro: non è scritto male,grazia e sale possiede, e certamentecura le piaghe il suo sale;contro la fede non va,

e dà consigli a tempo,ammonisce chi lo merita,se vi pare, apparirà,e si potrà stampare.

DEL BACCELLIERE PEDRO DE MELÉNDEZ,APPROVAZIONE

Per commissione generaledel Consiglio, di mia volontàquesto libro esaminai con attenzione,e mi piace; in veritàchi potrebbe dirne male?Senza mentire, con discrezionecritica, perché li vuole abolire,certi cattivi costumi,

consura il più piccolo vizio pertanto si può stampare.

DI DONNA RAIMONDA MATILDE, DECIMA

Criticando, dire bene;dicendo bene, criticare;

tutti satireggiare

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e parlare di tutti bene:soltanto lo può fare

chi all'inferno è disceso.Quantunque voglia il benee il male procuri allontanare,tale è già la sua sventurache il male Che-vietò rimase.

DEL CAPITANO DON JOSÉ DI BRACAMONTE, SONETTO

DIALOGICO TRA TOMUMBEYOTRAQUITANTOS, GUARDIA DELLA REGINA PANTASILEA,E DRAGALVINO, SBIRRO.

Guardia Giuro sull'alcázar di Toledoe sul sacro palladio troiano,che devo vendicarmi di mia manoe azzoppar l'altro piede di Quevedo.

Sbirro Io, se posso, alla Santa Inquisizionelo accuserò, dicendo che è un cattivocristiano, che credette a un sogno vanoe che parlò coi diavoli tranquillo.

Guardia O Dragalvino, questo poco importa;le verità che dice mi fan male,nell'ascoltarle n'ebbi conturbati

l'anima e il cuore.

Sbirro Ha la lingua tagliente, e non le può pubblicar senza lingua,ché quel che fa la lingua è criticare.Ma se lo denunciamo ho gran timoreche tagliata una lingua, a quel che dice,gliene spuntano subito altre sette.

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 DI DONNA VIOLANTE MESEVEA, SONETTO A TUTTI I

LETTORI DI QUESTI SOGNI, IN DIFESA E LODEDELL'AUTORE

Salve lettore! chiunque tu sia,se questi Sogni per caso leggessie ti facessero infine adirare,non li dovrai rileggere mai più.

Se ti toccano e ti tocca disprezzarlinon dire che i sogni sono soltanto sogni, perché se i tuoi sogni assomigliassero a questiad essi crederesti, e non sarebbe peccato.

Se invece non ti toccano, corri in frettaad annunciare a chi li apprezza che il premioè un fiore che nasconde un basilisco.

... Ma basta criticare don Francisco,somari, non lo si eguaglia: sa più coselui quando dorme che gli altri quando vegliano.

L'AUTORE AL VOLGO

Se parli male del mio sogno,

volgo, lo fai per dirne male;ma ho capito che dicendone male;tu dici bene del sogno e del suo autore.Sparlate pure, sia tu che lui,

tu di lui e lui di chi vuole;qualunque cosa diciate,fa molto piacere a chi la capisce.

Dunque, se imitando un po' Marziale

vuoi dire che è malizioso,

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tu gli dai dell'ingegnosodicendo che dice male.

Ma, volgo, giacché bene ti conoscoalla lunga o alla corta,io dico quel che m'importae tu dì quello che vuoi.

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PROLOGO

 All'illustre e bramoso lettore 

Si racconta, non so se in guisa di amena e fantasiosa storiella, chetrovandosi una volta infermo un soldato, il quale assai cortese era stimato, esagace, dopo aver elevato gran numero di orazioni e preghiere e proteste,

tutte le concludesse dicendo: «E Dio mi liberi dalle mani del Signor Diavolo».

E ogni volta ch'egli lo nominava, sempre gli rendeva tal cortesia. Notòla cosa uno dei circostanti e subito gli chiese perché chiamasse signore ildiavolo, che era la più vile creatura del mondo. Al che il malato prontamenterispose:

«Che cos'ha da perdere, l'uomo, nell'usare buone maniere? So forse, io,con chi avrò a che fare, e in quali mani capiterò?»

Racconto questo, signor lettore, perché possedendo la nostra volgar lingua, a differenza di quella latina, un titolo come 'vostra signoria', e assiemea questo diversi altri, tanto più usati quanto meno si conosce la qualità e lostato delle persone alle quali si parla (ciò per non essere scortesi con nessunoed evitare dunque di essere malvisti ed aborriti da tutti), mi è sembratoopportuno rivolgermi a vostra signoria con questo linguaggio e in questitermini, ben diversi da quelli che si notano nei prologhi dedicati al lettore; mi

riferisco ai libri scritti in lingua romanza, dove ci si rivolge alla signoriavostra con un tu rotondo, il quale se non presume molta amicizia efamiliarità, indica tuttavia che chi parla è superiore e padrone, e colui al qualesi parla è inferiore e servo.

A ciò mi hanno mosso le stesse ragioni del soldato infermo, essendoconvinto, e tenendo io conto, che la cortesia è la chiave maestra della volontàe dell'affetto; che essa costa poco e molto vale, e che in fin dei conti non ci

rimetto niente se sono cortese, mentre potrei perdere molto se non lo fossi; è

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 pur sciocco chi, avendo bisogno di qualcosa, risparmia le cortesie, e tanto piùlo sarei io, che ho bisogno che questo libro, il quale vede la luce a mie spese,

venga comprato, e che tutti, dopo averlo comprato e letto, lo lodino, e suquesta scia gli uni spingano gli altri a fare lo stesso, e in grazia di tuttoquesto, il libro abbia ciò che il suo valore merita, cioè maggiore vendita ediffusione, ed io maggior guadagno, cosicché tutti traggano profitto: io nelvendere, e gli altri nel comprare e nel leggere.

Vero è che, nel lodare quest'opera come ingegnosa e acuta, conto dar  poco lavoro e nessun imbarazzo a coloro che ad essa e al loro autore sono

affezionati; essa infatti reca già in sé le raccomandazioni, e le lodi, e il«Quevedo me fecit», ed è tale che soltanto un autore come lui potevascriverne una di tanta erudizione ed acume, e dal momento che essa moltocontiene dell'una e dell'altro, essa soltanto potrebbe essere figlia di un tale etanto raro ingegno. Se l'autore è e dev'essere conosciuto e celebrato per quest'opera, più che per tutte le altre che ha scritto e che sono state fino adoggi stampate col suo nome; anche queste ultime sono tuttavia da stimarsi econsiderarsi per quel che sono, per il solo fatto che sappiamo (come sannotutti ormai) che sono state fino ad oggi stampate da Don Francisco Quevedo.

Per lui e per esse mi do la stessa pena che potevo darmi prima, quandoinvocavo le ragioni che mi hanno mosso a trattare vostra signoria con

 particolare cortesia, considerato che non so in quali mani e in mezzo a qualilingue capiterà questo libro, che si affaccia sul teatro del mondo (dove nonmancano mai censori e scontenti, che molto giustamente si chiamano Zoili ecritici); giorni pericolosi, i nostri, per la salute dei buoni intelletti, ai quali siaddice ciò che ha scritto il dottissimo giureconsulto Don Mateo López Bravo:

«Ridendi vero, Romanuli & Graeculi nostri, qui Grammaticorum infantiasuperbi, & omnium rerum quantum garruli, ignari, triplice lingua, stultit, adoctis noscuntur»; ma se vostra grazia lo leggerà non in fretta e a brani, matranquillamente e con attenzione, visto che non è molto voluminoso (e se nonvuole che le sfuggano di mano e tra le righe alcune delle sue molte arguzie esottigliezze), sono più che sicuro che non dovrà lamentarsi del fatto chel'autore sia parziale e adulatore, ché anzi questi parla a tutti, a tutti dice veritànude e crude, e ciò che sente è senza traccia di lusinghe; e se forse brucia e

 pizzica, si consideri che quanto vien detto è verità e ammonimento, cosa che

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tutti auspicano ma nessuno desidera in casa propria, tanto che non si fa cheripetere: «Pazienza, zitto tu e zitti noi, ognuno pensi agli affari suoi». Sarebbe

molto meglio, allora, lamentarsi delle grandi insufficienze del mondo, quelleche hanno spinto l'autore ad esprimersi così chiaramente contro di esse e adire la verità. In questo senso, parlò bene un certo podestà, quando, nelconstatare che uno studente era stato arrestato per avere scritto una satiracontro le insufficienze del suo paese, disse che sarebbe stato molto meglioarrestare coloro che di tali insufficienze erano colpevoli.

E qualora ciò non bastasse a scongiurare le lamentazioni e i brontolii

che contro una tale opera e il suo autore venissero mossi, voglio rammentarea vostra signoria, signor lettore, chiunque voi siate, la storiella di un vecchiochierico che aveva un fico dai frutti perfettamente maturi. Essendosiarrampicati su di esso alcuni studenti, forti del loro diritto bucolico, e

 pensando il chierico, per essere corto di vista, che essi fossero uccelli o altrecrudeli bestiacce, mise degli spaventapasseri per tenerli alla larga; mavedendo che tutto ciò non serviva a nulla, considerò che le parole potevanoessere più efficaci se mescolate alle pietre (le prime armi dell'umanità) erisolse di tirare queste ultime contro quei tordi dotati di ragione, dicendo cheil Signore Iddio, come aveva conferito virtù alle piante e alle erbe, avevafatto l'istessa cosa con le pietre. E con tale brio si mise all'opra che li fececadere dai rami, e malconci non poco.

A vostra signoria questa storiella sembrerà raccontata a sproposito, o perché io non so spiegarmi o perché vossignoria non mi vuol capire (non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire); ma io sono certo che se appena vorràapprofondire i significati che in essa si possono trovare (cosa che vale per 

tutto il libro) ella comprenderà. E se volesse ulteriori chiarimenti, essendoche «Frustra exprimitur, quod tacite subintelligitur, 1. Iam dubitari», io invitovossignoria, se non si sente obbligata dalla cortesia e dall'umiltà con cui le

 parlo, di fare almeno attenzione a quello che dice, a come e a qual propositomormora e dice male, se dell'autore o della sua opera. E a proteggersi da unacerta pioggia di pietre, fatta delle molte verità dure e crude che questo librocontiene e che il suo autore può scagliarle contro, le quali possono ferire efarla precipitare; mi riferisco alla sua condizione, e alla considerazione di

saggio che ella ha di sé stesso: non le accada di venir considerato ignorante,

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critico, superbo, maldicente, del numero di quegli stupidi che voglionosembrare saggi perché non trovano mai libro che li soddisfi né cosa di cui

non si burlino e che non amino disprezzare. Stiano attenti, costoro, nonsucceda ad essi come all'asino di Sileno, che Giove volle porre tra le stelle eche, essendo queste tanto risplendenti e luminose, e lui dotato, come disseLuciano, «auribus magnis», scoprì in tutta evidenza la sua difforme bruttezzae ne ebbe grande infamia. E si sappia che l'autore ha l'epiteto di satirico.Credete a me e non sbaglierete: assai temerario è chi tira pietre contro il tettodel vicino, avendo il suo di vetro.

 Nessuno si meravigli se chiamo vostra signoria col titolo di illustre e bramoso lettore. Anche se non lo meritasse, secondo la dottrina comune erisaputa del filosofo, l'avere cioè per natura ogni uomo brama di sapere (chesi ottiene con lo studio, la dedizione e l'attento meditare sui buoni libri, dotti,ingegnosi, acuti e chiari), gli spetterebbe in maniera del tutto particolare,solamente in grazia di questo libro, che è stato molto desiderato, sia da quantihanno già letto qualcosa di questi Sogni e Discorsi, sia da quelli che hannosentito riferire e celebrare alcune o anche solo una delle innumerevoli arguzieche essi contengono e si sono lamentati di leggerle in manoscritti tantoadulterati e falsificati, e molti ridotti addirittura a brandelli e diventatiun'assurdità senza capo né coda, e sfigurati come lo sventurato soldato chedopo essere partito dalla sua terra per andare alla guerra pieno di gagliardia,

 ben pasciuto, coperto di gale e piume, vi ritorna dopo molti anni non più investe di soldato, ma sbrindellato e rotto, con un occhio in meno, poveromonocolo, un braccio ridotto a metà, una gamba di legno, una sorta disimulacro di cera, da offrire come ex voto, con la divisa d'ordinanza senza uncolore definito, un miserabile coperto di stracci che nessuno riconosce e che

chiede l'elemosina, o come la cortigiana che ha percorso l'Italia, le Indie e lacasa della Mecca e del Gran Solimano. Per queste ragioni, quanti hannosaputo che io conservavo questi Sogni nella loro integrità, e che uominiesperti e dotti li avevano letti con particolare curiosità e attenzione, mi hannosollecitato con grande insistenza a renderli patrimonio di tutti, dandoli allestampe e assicurando così a me un grande piacere e, ciò che è più importante,a tutti un grande guadagno spirituale, poiché in essi si troveranno moniti edavvertimenti intorno a quel che succede a questo mondo e a quel che

succederà a tutti nell'altro, così che nulla ci colga impreparati, essendo che

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«mala praevisa, minus nocent». Ho dunque risolto di accondiscendere algusto e al desiderio di tanti, confidando, signor lettore, che vostra signoria mi

ringrazierà per questo lavoro e questa spesa e vorrà comprare il libro; solocosì mi considererò soddisfatto e addirittura ricompensato.

Considerando che questo libro è pieno di sottigliezze di espressione, e perché ella non cada in equivoco alcuno, prego la signoria vostra che primadi leggere voglia correggere alcune errata che sono state segnalate all'iniziodel libro.

Del resto, sarebbe eccessiva presunzione e grande vanità pretendere che

questo libro uscisse senza errori di stampa, che sono inevitabili eincorreggibili come i loro stessi compositori, ed è meglio lasciarli,esattamente come si fa con costoro, prigionieri di sé stessi e della falsità deiloro corpi e caratteri. E affinché vostra signoria, signor lettore, comprendache le auguro ogni onore e fortuna, e che la desidero lontana dai pericoli,

 prego Iddio nostro Signore che faccia come il re delle api, che contiene in sée distribuisce con la sua bocca la dolcezza del miele, e non ha pungiglione

 perché non vuole, pungendo, morire, come accade, invece a tutte le api, che il pungiglione ce l'hanno, benché non in bocca, ma nella coda; e che Dio la protegga dai fustigatori della vita e dalle opere altrui e dagli esaltatori delle proprie, le quali non si vendono perché in esse costoro vendono tutti quelliche incontrano e coi quali hanno a che fare.

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IL SOGNO DEL GIUDIZIO UNIVERSALE

 Al conte di Lemos, presidente delle Indie 

 Nelle mani di vostra eccellenza consegno queste verità nude, le qualichiedono non chi le vesta, ma chi le accetti, ché i tempi sono tali che ogni

 bene sommo ha da essere ottenuto con le suppliche. Solamente nelle vostre

mani esse trovano salvaguardia. Viva vostra eccellenza, affinché rechi onoreal tempo nostro.

Francisco Quevedo Villegas

Dice Omero che i sogni sono di Giove e che è lui a mandarceli; ealtrove sostiene che ai sogni bisogna credere.

È così senz'altro, quand'essi riguardano cose importanti o argomentireligiosi, o vengono ai re e ai grandi signori, come si desume dal dottissimo eammirevole Properzio nei seguenti versi:

«Nec tu sperne piis venientia somnia portis

Cum pia venerunt somnia pondus habent».

Parlo a proposito, poiché ritengo caduto dal cielo il sogno che feci inuna delle passati notti, dopo aver chiuso gli occhi in compagnia del libro delBeato Ippolito, quello che tratta della fine del mondo e della seconda venutadi Cristo, e al quale si deve se sognai di assistere al Giudizio Universale. E

 benché in casa di un poeta sia difficile credere si trovi del giudizio, sia purenei sogni, in me un poco ve ne fu tuttavia, per la ragione che fornisceClaudiano nella prefazione al libro secondo del Ratto quando spiega che ciò

che gli animali sognano di notte è come l'ombra di ciò che essi hanno fatto di

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giorno. E Petronio Arbitro dice: «Et canis in somnis leporis vestigia latrat». E parlando dei giudici:

«Et pavido cernit inclusum corde tribunal».

Mi sembrò dunque di vedere un giovinetto che fluttuando nell'ariadesse, col fiato, voce a una tromba, diminuendo così in parte con la forza la

 propria bellezza. Il suono trovò obbedienza nei marmi e ascolto nei morti, eimmediatamente cominciò a muoversi la terra e a dar licenza alle ossa, chegià andavano le une cercando l'altre. E

 passando il tempo, breve tuttavia, vidi coloro che furono soldati ecapitani levarsi con ira dai sepolcri, intendendo il suono della tromba comeavviso di guerra; gli avari uscire dai sepolcri con ansia e spavento, temendoun'aggressione; e i frivoli e i golosi, essendo il suono aspro, pensare che fosseun segnale di festa o di caccia.

Questo io leggevo nel viso di ognuno, ma non mi sembrò che i suonidella tromba arrivassero a orecchie davvero persuase che quello fosse ilsegnale del giudizio. Poi notai il modo tenuto dalle anime nel fuggire dai loroantichi corpi; alcune avevano ribrezzo, altre paura. A chi mancava un

 braccio, e a chi un occhio; e mi fece ridere la varietà delle figure, e mimeravigliò la Provvidenza di Dio, in grazia della quale, pur trovandosimescolati gli uni agli altri, nessuno per errore si metteva le gambe o lemembra del vicino. Solo in un cimitero mi parve avvenisse uno scambio diteste e vidi un notaio, cui non garbava la propria anima, che per liberarseneandava dicendo che non era sua.

Quando poi giunse a tutti la notizia che si trattava del giorno del

giudizio, bisognava vedere come i lussuriosi temessero di essere rintracciatidai loro occhi, per non fornire al tribunale testimoni a sfavore, e i maldicentidalle loro lingue, e come i ladri e gli assassini si consumassero i piedi nelfuggire dalle loro proprie mani.

E girandomi da una parte vidi un avaro che stava chiedendo a un tale(che non parlava perché era stato imbalsamato, ovvero separato dalle proprieinteriora, che non gli erano ancora arrivate) se quel giorno dovessero

resuscitare tutti coloro che erano stati sepolti, e se sarebbero resuscitate anche

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certe sue bisacce.

Mi sarei messo a ridere, se non mi avesse fatto male al cuore vedere daun'altra parte con quale affanno una moltitudine di notai andasse fuggendodalle proprieo recchie, desiderosi di non portarsele dietro per non sentire ciòche era prevedibile attendersi; ma i soli a rimanere senza orecchie furonocoloro che, per essere ladri, le avevano già perdute in questo mondo,quantunque, a causa della disattenzione, non ci fossero proprio tutti. Ma ciòche più mi spaventò fu vedere i corpi di due o tre mercanti che avevanoindossato l'anima a rovescio, e che avevano tutti i cinque sensi nelle unghie

della mano destra.

Osservavo tutto questo da un dirupo assai elevato quando d'improvvisosento ai miei piedi qualcuno che mi grida di spostarmi; non avevo ancorafinito di eseguire l'ordine, che incominciarono a far capolino diverse donne di

 bell'aspetto, che mi dissero scortese e villano perché non avevo portato loro ilrispetto che si conviene (nemmeno all'inferno costoro perdono la loro follia).

Uscirono allo scoperto, molto contente di vedersi belle e nude, e chetanta gente le ammirasse; benché poi, saputo che era il giorno dell'ira e che laloro bellezza segretamente le accusava, cominciassero a scendere a valle a

 passi più lenti. Una di esse, che era stata sposata sette volte, andavaescogitando come discolparsi di fronte ai mariti. Un'altra, che era stata

 pubblica meretrice, non volendo giungere a valle, continuava a ripetere che siera dimenticata i denti, o un sopracciglio, e tornava indietro, e si fermava; maalla fine arrivò in fondo e tutti la videro, ed erano così numerosi coloro cheaveva aiutato a perdersi, e che ora additandola le urlavano contro, che essa

volle nascondersi in mezzo a una masnada di sbirri, convinta che gente diquella risma dovesse contar poco anche in un giorno come quello.

Mi distrasse il frastuono proveniente da una folla che lungo la riva di unfiume stava rincorrendo un medico (che fosse tale, lo seppi poi dallasentenza). Erano persone che lui aveva fatto fuori senza motivo e prima deltempo; per questo si erano dannate, e ora lo rincorrevano per costringerlo a

 presentarsi; e alla fine, con la forza, lo portarono davanti al trono.

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Alla mia sinistra sentii come il rumore di qualcuno che nuotava, e vidiun giudice, almeno tale era stato, che in mezzo a un ruscello si lavava le

mani, ripetendo l'atto diverse volte. Mi avvicinai per chiedergli perché se lelavasse così a lungo e lui mi disse che in vita, falcendo certi affari, non aveva

 potuto mantenerle pulite e che ora si dava da fare per non apparire con lemani tanto sporche al divino cospetto.

Bisognava vedere come una legione di demoni armati di sferza, bastonie altri strumenti, trascinasse in giudizio una folla di tavernieri, sarti, librai ecalzolai, che per paura facevano i sordi, e benché resuscitati non volevano

uscire dai sepolcri. Lungo la via per la quale andavano, sporse la testa, per ilfrastuono, un avvocato, che chiese loro dov'erano diretti; gli risposero cheandavano al giusto giudizio di Dio, che era giunta l'ora. Al che, cacciandosiancor più sottoterra, egli disse: «Avrò meno strada da fare dopo, se mitoccherà di scendere più in basso».

Se ne andava un taverniere e per l'angoscia tanto sudava, che, stanco, silasciava cadere ad ogni passo; mi sembrò che un demone gli dicesse: «Sta

 bene che tu sudi acqua e non ce la vendi per vino».

Uno della schiera dei sarti, piccolo di corpo e rotondo di faccia, brutta barba e modi ancor più brutti, non faceva che dire: «Che cosa ho mai potutorubare io, che ero sempre morto di fame?»

E vedendo che negava di essere stato ladro, gli altri gli rimproveravanodi disprezzare, così facendo, il suo lavoro. Si imbatterono poi in alcuni

 briganti e ladri rinomati che andavano fuggendosi l'un l'altro; in breve i

diavoli furon loro addosso, e dissero che i briganti potevano far parte di unmedesimo gruppo perché erano, a modo loro, tanto sarti di selva e dimontagna quanto gatti selvatici. Continuarono per un po' a discutere se fosseoffensivo o meno che gli uni stessero con gli altri, ma alla fine scesero tuttiinsieme a valle. Dietro li seguiva in truppa la pazzia medesima, nei suoiquattro aspetti: i poeti, i musici, gli innamorati e i vanagloriosi, tutta genteche non c'entrava niente con quella giornata. Si disposero in una zona dovec'erano i carnefici, gli ebrei e i filosofi, e vedendo i sommi pontefici assisi sui

troni della gloria dissero tutti: «I Papi si sono serviti del naso molto meglio di

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noi, che pur avendo un naso lungo dieci varas non ci siamo resi conto di quelche avevamo tra le mani».

Due o tre procuratori andavano contando le facce che avevano, e sistupivano, avendo vissuto sfacciatamente, di averne tante in sovrappiù. Maalla fine mi accorsi che tutti se ne stavano in silenzio.

Al trono avevano provveduto l'onnipotenza e il miracolo. Dio eravestito di se stesso, bello per i santi e terribile per i dannati, il sole e le stelle

appesi alla sua bocca, il vento calmo e muto, l'acqua tranquilla nelle suesponde, sospesa la terra, timorosa per i suoi figli; fra questi alcuniminacciavano chi, col cattivo esempio, aveva loro insegnato peggioricostumi; tutti, in generale, pensierosi: i giusti sul modo di ringraziare Iddio e

 pregare per sé stessi, e i peccatori sul modo di discolparsi.

Gli angeli custodi andavano mostrando negli atteggiamenti e nei coloriquale rendiconto dovevano presentare sulle anime da loro protette, e i demonicontrollavano colpe e processi; alla fine tutti i difensori vennero a trovarsinella zona interna e gli accusatori in quella esterna. I dieci comandamentistavano a guardia di unaporta tanto stretta che perfino chi era magro per iferrei digiuni doveva lasciare qualcosa di sé nella strettoia.

Da un lato si trovavano riunite le disgrazie, la peste e le sofferenze, chedavano sulla voce ai medici. Diceva la peste che lei aveva sì colpito, ma cheerano stati loro a completare l'opera; le sofferenze, che esse non avevanoucciso nessuno senza l'aiuto dei dottori; e le disgrazie, che tutti quelli che

stavano sotto terra ci erano andati per colpa di tutti e due. Ai medici toccòdunque l'incombenza di giustificarsi per quei defunti. E benché sostenesserogli stolti di averne ucciso di più, si misero i medici con carta e penna sopraun'altura, col loro bravo registro, e man mano che la gente veniva chiamata,uno di loro si faceva avanti e diceva ad alta voce: «Questo l'ho avuto fra lemani nei tali giorni del tal mese, ecc.»

L'esame dei rendiconti cominciò con Adamo, e tanto perché si

comprenda quanto fosse minuzioso, bastò la sola mela a renderlo

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rigorosissimo, tanto che sentii dire a Giuda: «Che sarà di me, che ho vendutol'agnello del Signore?»

Fu la volta dei primi Padri, arrivò il Nuovo Testamento; e gli Apostolitutti, con il santo pescatore, si sedettero sugli scranni, a lato di Dio. Poi arrivòun diavolo e disse: «Qui vedete colui che segnalò con tutta la mano, l'uomoche San Giovanni aveva indicato con un dito; e fu lui che schiaffeggiò ilCristo». Giudicò lui stesso la propria causa e fu gettato nei sotterranei delmondo.

Bisognava vedere come alcuni poveracci si introfulassero in mezzo acinque o sei re con la corona, che inciampavano nel vedere come quelle deisacerdoti procedessero invece con tanta sicurezza. Erode e Pilato alzarono latesta,e vedendo nel viso del giudice, quantunque glorioso, dipinta l'ira, dissePilato: «Questo si merita chi volle essere governatore di ebreucci». Ed Erode:«Io non posso salire al cielo; poiché nel limbo non si vorranno più fidare dime gli innocenti, sapendo che ne ho uccisi tanti; finirò all'inferno, che indefinitiva è un albergo conosciuto. In quel mentre arrivò un uomo dismisurato e minaccioso aspetto, che allungando la mano disse: «Questo è ilmio certificato d'esame».

Si stupirono tutti e i portieri gli domandarono chi fosse; e lui a granvoce rispose: «Maestro di scherma diplomato e dei più valenti del mondo»; etirando fuori altri documenti che teneva da parte, disse che erano letestimonianze delle sue imprese; per disattenzione le testimonianze glicaddero a terra, ed ecco precipitarsi a raccattarle due diavoli e uno sbirro, equesti le afferrò prima dei diavoli. Arrivò un angelo e allungò un braccio per acciuffarlo e cacciarlo dentro; e lui indietreggiando allungò il suo e spiccando

un salto disse: «Questa botta di seconda è irreparabile e se mi mettete alla prova ve ne darò una dimostrazione».

Risero tutti e un inquisitore che aveva del moro volle sapere che notizieegli avesse della sua anima. Gli chiesero conto di non so quali cose, ed eglirispose che non conosceva mosse contro i nemici dell'anima. Gli ordinaronodi andare all'inferno in linea retta; lui replicò domandando come mai loconsiderassero esperto in scienze matematiche, quando non sapeva cosa fosse

una linea retta; glielo insegnarono subito e mentre dicevano «avanti un altro»,

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egli si buttò.

Si presentarono alcuni dispensieri che facevano i loro conti, ma non avoce alta, e al mormorio che faceva il gruppo disse un ministro: «Sonodispensieri». E altri dissero: «Non sono». Ma altri: «Sì, son». E liimpressionò tanto la parola sison che rimasero molto turbati. Comunque,chiesero che si cercasse il loro avvocato e disse un diavolo: «Lì c'è Giuda,apostolo dispensiere messo al bando».

Udito questo, si rivolsero a un altro diavolo, che non si concedeva

tregua nel contrassegnare fogli che doveva leggere; dissero: «Nonsottilizziamo, piantiamo qui la partita e prendiamoci infiniti secoli di purgatorio».

Il diavolo, da buon giocatore, disse: «Volete arrendervi? Non avete buone carte». Cominciò dunque a scoprirle, ed essi, vedendo che le guardava,decisero di mettersi nel mazzo con gli altri e di farsi giudicare. Ma urla comequelle che si levarono dietro a un disgraziato cuoco non s'erano mai udite, ederano di uomini squartati che chiedevano che cosa egli avesse fatto delle lorocarni. Di averle messe nei pasticci, lui confessò, ed essi gli ordinarono direstituire a ciascuno le proprie membra, in qualunque stomaco si trovassero.Gli chiesero se voleva essere giudicato e lui rispose di sì, affidandosi a Dio ealla fortuna. La prima accusa parlava di non so quale gatto usato come lepre edi certe ossa, non però appartenenti alla stessa bestia, ma ad altre, quali

 pecore o capre, cavalli o cani. Quando vide che ormai era chiaro che nei suoi pasticci si trovavano più animali che nell'arca di Noè, perché in quella nonerano presenti né topi, né mosche, mentre nei pasticci sì, voltò loro la schiena

e li lasciò con le parole sulle labbra.

Furono giudicati i filosofi, e bisognava vedere come si stillavano ilcervello nel fare sillogismi, a dispetto della loro salvezza. Ma veramentestraordinario fu l'episodio dei poeti, i quali da autentici pazzi volevano daread intendere a Dio che Egli fosse Giove e che ogni cosa la scrivevano per lui.E Virgilio andava in giro con il suo «Sicelides musae», dicendo che parlavadella nascita di Cristo; ma saltò su un diavolo e disse non so che cosa a

 proposito di Mecenate e Ottavia, e che aveva mille volte adorato certi loro

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cornetti, che ora portava in giro perché era giorno di gran festa.

Raccontò poi nonso quali altre storie e alla fine quando Orfeo, essendoil poeta più antico, si mise a parlare a nome di tutti, gli ordinarono chefacesse di nuovo l'esperimento di scendere all'inferno per poi uscirne, e chegli altri lo accompagnassero per fargli da scorta.

Dietro di essi giunse alla porta un avaro, e gli fu chiesto che cosavolesse, e gli fu rammentato che i dieci comandamenti custodivano ora quella

 porta contro coloro che non li avevano custoditi a suo tempo; ed egli disse

che in fatto di custodire era impossibile che avesse peccato. Lesse il primocomandamento: «Amare Dio più di qualsiasi cosa»e disse che doveva aspettare di possederle tutte prima di amare Dio più

di esse. «Non giurare sul suo nome invano»: disse che anche quando avevagiurato il falso, lo aveva fatto per un grande interesse, e perciò tutt'altro cheinvano.

«Osservare le feste»: non solo queste, ma anche certi giorni di lavoroosservava e nascondeva. «Onora il padre e la madre»: sempre aveva levato ilcappello davanti ad essi. «Non uccidere»: per osservarlo non mangiava,

 perché mangiare è ammazzare la fame. «Non fornicare»: sulle cose checostano denaro, già s'era spiegato.

«Non dire falsa testimonianza».

«Qui» disse un diavolo «sta la faccenda, taccagno, perché se confessi diaverla detta, ti condanni; e se no, davanti al giudice la dirai contro temedesimo».

Si arrabbiò l'avaro e disse: «Se non posso entrare, non sprechiamotempo». Perfino quello, rifiutava di sprecare. Si rese conto della sua vita e fumandato dove meritava.

In quel mentre entrarono molti ladri e alcuni di essi, che erano statiimpiccati, si salvarono. Visto che i ladri si salvavano, i cancellieri, chestavano davanti a Maometto, Lutero e Giuda, furono presi da tanto coraggio

che si precipitarono al giudizio. Nel vedere questo, i diavoli scoppiarono in

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una grande risata. Gli angeli custodi cominciarono a farsi animo echiamarono gli evangelisti a far da avvocati. I demoni diedero inizio alle

accuse, le quali non riguardavano i processi da fare alle loro colpe, ma quelliche loro stessi avevano celebrato da vivi.

Per prima cosa dissero: «La loro maggior colpa, Signore, è l'essere staticancellieri». Questi risposero a gran voce, illudendosi di poter dissimulare untantino, che non erano stati che segretari. Gli angeli avvocati cominciarono ladifesa. «Costui è battezzato e membro della Chiesa» disse uno. E molti diloro non trovarono altri argomenti da aggiungere. Alla fine se ne salvarono

due o tre; e agli altri dissero i demoni: «Capito adesso?»

Fecero loro l'occhiolino, dicendo che potevano essere utili nel deporrecontro certa gente. Quelli, vedendo che, per essere cristiani, ricevevano una

 pena più dura dei pagani, cominciarono a dire che non era colpa loro, masemmai, essendo stati battezzati da piccoli, dei loro padrini.

Ho visto, è la verità, Giuda che era lì lì per presentarsi in giudizio, ecosì Maometto e Lutero, rianimati dall'avervisto salvarsi un cancelliere; equasi mi stupii non lo facessero davvero. Li trattenne solo quel medico di cuiho già detto, che venne costretto dai suoi accompagnatori a comparire ingiudizio assieme a un farmacista e a un cerusico.

Un diavolo che aveva gli elenchi disse: «Davanti a questo dottore, e conl'aiuto di questo farmacista e di questo cerusico, è passato il maggior numerodei nostri defunti; gran parte del lavoro di oggi si deve a questi tre. A favoredel farmacista, disse un angelo che costui distribuiva gratuitamente le

medicine ai poveri, ma un diavolo replicò che, per quel che ne sapeva,avevano causato più danni due colpi di spatola del di lui negozio che diecicolpi di picca in una guerra: quello speziale, disse, aveva adulterato tutte lemedicine, alleandosi dunque con le pestilenze e decimando due paesi. Ancheil medico dava tutta la colpa a lui, e alla fine il farmacista fu condannato; ilmedico e il cerusico, invece, con l'intercessione dei Santi Cosma e Damiano,si salvarono.

Fu condannato un avvocato perché il suo diritto non era diritto; si scoprì

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che un uomo si era messo carponi dietro di lui, perché non lo vedessero, eavendogli chiesto chi era, disse che era un comico; ma un diavolo molto

arrabbiato replicò: «Saltimbanco! Potevi fare a meno di venire, sapendocome stavano le cose qui». Egli giurò di andarsene e si diresse all'infernosulla parola.

In quel mentre furono introdotti molti tavernieri e accusati di aver ucciso numerose volte la sete a tradimento, vendendo acqua per vino. Essiarrivavano pieni di fiducia, avendo sempre fornito all'ospedale vino puro per le messe; ma ciò non servì; né servì ai santi dire che avevano vestito dei

Bambini Gesù. E così furono tutti liquidati, come da sempre ci si aspettava.

Arrivarono tre o quattro ricchi genovesi, chiedendo di sedersi dietro aun banco, ma un diavolo disse: «Pensano di guadagnarci, ma è questo che lirovina. Questa volta hanno fatto male i loro conti e non avranno dove sedersi

 perché il loro banco è rotto per mancanza di credito». E rivolgendosi a Diodisse un diavolo: «Tutti gli altri uomini, Signore, rendono conto di ciò che èdi loro spettanza, ma questi anche dell'altrui e di tutto quanto».

Si pronunciò la sentenza: io non la udii chiaramente, ma loroscomparvero.

Arrivò un gentiluomo, tanto rigido che, all'apparenza, voleva competerecon la stessa giustizia che lo attendeva. Fece molte riverenze a tutti e con lamano un gesto cerimonioso, come di colui che beve in uno stagno.

Aveva una gorgiera tanto grande che non si riusciva a vedere s'egliavesse la testa. Un guardiano gli chiese, da parte di Dio, se era un uomo; e lui

rispose con grandi smancerie di sì e che nella fattispecie, in fede sua digentiluomo, si chiamava Don Tizio. Un diavolo disse: «Questo giovanotto èuna tentazione per l'inferno». Gli chiesero cosa desiderasse e lui rispose:«Essere salvato!»

Fu affidato ai diavoli perché lo stritolassero. Lui si preoccupò soltantoche non gli sgualcissero la gorgiera.

Entrò quindi un uomo che disse gridando: «Anche se grido, la mia

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causa non è complicata: io, a tutti i santi che sono in cielo o alla maggior  parte, ho scosso la polvere di dosso». Tutti si aspettavano che fosse un

Diocleziano o un Nerone, per questo fatto di scuotere la polvere; ma saltòfuori che era un sacrestano che ripuliva gli altari. Sembrava dunque già salvo,senonché un diavolo disse che si beveva l'olio delle lampade, e ne dava lacolpa a una civetta, che era stata così uccisa senza alcuna colpa e diffamata;che per vestirsi attingeva dai paramenti; che aveva, in vita ereditato leampolline e che faceva più corte le funzioni. Non so in che modo cercò digiustificarsi, ma gli indicarono la strada sinistra.

Si presentarono alcune donne imbellettate che cominciarono a faremoine a quei brutti ceffi dei demoni. Disse un angelo a Nostra Signora cheesse erano state devote al nome di lei, e che perciò le proteggesse. Ma undiavolo replicò che erano state nemiche della di lei castità. «Sì, certamente»,rispose una che era stata adultera. Il demonio l'accusò di aver avuto un maritoin otto corpi diversi e di averne sposato, all'ingrosso, uno su mille. Sicondannò quindi da sola, e andava dicendo: «Se avessi saputo che miavrebbero condannato lo stesso, non sarei andata a messa nei giorni festivi».

A questo punto, quando tutto sembrava risolto, rimasero allo scopertoGiuda, Maometto e Martin Lutero; e avendo un diavolo chiesto chi dei trefosse Giuda, Maometto e Lutero risposero: «Sono io». Allora Giuda siarrabbiò fieramente e gridò a gran voce: «Signore, sono io Giuda, e sapete

 bene che sono migliore di loro: perché vendendomi ho liberato il mondo,mentre costoro, vendendo se stessi e voi, lo hanno condotto alla rovina».

Fu loro ordinato di togliersi di torno. E un angelo che aveva gli elenchi,

vide che rimanevano ancora da giudicare sbirri e giudici. Li chiamarono, e bisognava vedere com'erano tristi quando si presentarono in Giudizio.

Dissero: «Già ci consideriamo condannati, non c'è bisogno d'altro».

 Non avevano ancora finito di parlare, quando carico di astrolabi e disfere entrò un astrologo, gridando che si erano ingannati, che quello non

 poteva essere il giorno del giudizio perché Saturno non aveva terminato i suoimovimenti, e nemmeno quello di trepidazione si era ancora concluso. Si

voltò indietro un diavolo e vedendolo tanto carico di legni e di carte gli disse:

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«Già portate il legname con voi! Come se sapeste che, dopo tutti i cieli cheavete osservato in vita, ora, in morte, per la mancanza di uno solo di essi,

dovete andare all'inferno».

«Io non ci andrò», disse lui.

«E allora vi ci condurranno».

E così fu.

Con ciò terminò la seduta del tribunale. Alle loro residenze fuggirono leombre; l'aria ebbe nuovo respiro, fiorì la terra, rise il cielo. E Cristo portò consé a riposare i beati per la sua passione. Io rimasi nella valle, e andando ingiro udii sulla terra grandi rumori e lamenti. Mi accostai per vedere che cosasuccedeva, e vidi in una grotta rotonda - la gola dell'inferno - molte animesoffrire grandi pene e tra gli altri un avvocato che rimestava, più che leggi,zizzanie; e un cancelliere che si mangiava le lettere che non aveva voluto [...]leggere in vita. Tutto il guardaroba dell'inferno, i vestiti e le acconciature deicondannati, erano appesi, anziché con chiodi e spilli, per mezzo di sbirri; unavaro contava più dolori che denari, un medico scontava la sua pena sopra unorinale e un farmacista in una medicina. Questo mi fece ridere a tal punto chele mie risate mi svegliarono. Ed è incredibile che dopo un sogno così tristerimanessi più allegro che spaventato.

Sogni son questi, che se vostra eccellenza vorrà dormire in lorocompagnia, vedrà le cose come le ho viste io, e se le aspetterà come le hodescritte.

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LO SBIRRO INDEMONIATO

 Al conte di Lemos, presidente delle Indie 

So bene che agli occhi di vostra eccellenza è più indemoniato l'autoreche l'argomento. Se lo sarà anche il discorso, avrò ottenuto ciò che ci siaspettava dalla mia povera letteratura, la quale, protetta dall'eccellenza vostra

e dalla vostra grandezza, come lo potrebbe essere da un padrone, avrà indisprezzo qualsiasi timore. Vi offro questo discorso: sullo «sbirroindemoniato», anche se sarebbe meglio e più adatto offrirlo agli stessidiavoli; lo riceva vostra eccellenza con l'umanità di cui mi fa grazia; possa iovedere nella sua famiglia quei successori che tanta nobiltà e tanti meritirichiedono.

Vostra eccellenza deve sapere che i sei generi di demoni stabiliti daisuperstiziosi e dai maghi (in tal modo Psello divide i demoni nel capitolo XIdel suo libro sui diavoli) corrispondono alle categorie in cui vengono divisigli sbirri disonesti; i primi vengono chiamati leliuri, che vuol dire ignei, isecondi aerei, i terzi terreni, i quarti acquatici, i quinti sotterranei e i sestilucifughi, che fuggono la luce. A loro volta, sono ignei gli sbirri criminali chea sangue e a fuoco perseguitano gli uomini; aerei sono gli sbirri sussurroniche fanno vento; acquatici sono gli uscieri che fermano chiunque abbia omeno vuotato il pitale nel momento sbagliato, senza dire «attenzione, piove»,e sono chiamati acquatici benché siano quasi tutti ubriaconi e avvinazzati;

terreni sono i civili, che a forza di tangenti ed esecuzioni distruggono le proprietà; lucifughi sono quelli che fan la ronda e fuggono la luce, mentredovrebbe essere la luce a fuggire loro; sotterranei, coloro che stannosottoterra, gli inquisitori delle altrui vite, i fiscali dell'onore, che dicono falsatestimonianza, scelgono sottoterra chi accusare e vanno sempredissotterrando i morti e seppellendo i vivi.

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  Al pio lettore 

E se tu fossi invece crudele, e non pio, perdonami; giacché questoepiteto, con cui ci si rivolge ai polli, l'hai ereditato da Enea; e poiché ti facciola cortesia di non chiamarti benigno lettore, considera che vi sono tre tipi diuomini nel mondo: coloro che essendo ignoranti non scrivono, e questimeritano di essere perdonati per il loro silenzio e lodati perché conoscono sestessi; poi coloro che non comunicano quello che sanno, e di questi bisognaavere pietà, a causa della loro indolenza, e invidia, a causa del loro ingegno,

chiedendo a Dio che li perdoni per il passato e li corregga per il futuro; infineci sono coloro che non scrivono per paura delle male lingue: quest'ultimacategoria merita riprensione, perché un'opera o va nelle mani di uomini saggi,che non sanno dir male di nessuno, o va in quelle degli ignoranti, che non

 possono dir male di nulla, poiché se lo dicono di una cosa cattiva lo dicono dise stessi, e se lo dicono di una cosa buona, non cambia nulla, giacché tuttisanno che non sono in grado di capire.

Questa ragione mi indusse a scrivere il Sogno del Giudizio e mi dà oral'audacia di pubblicare questo discorso.

Se lo vuoi leggere, leggilo, e se no lascia stare: non vi è alcuna pena per chi non lo voglia leggere. Se poi, iniziata la lettura, ti arrabbiassi, hai in manola possibilità di interromperlo là dove ti dia fastidio. Ho soltanto volutoavvertirti, nella prima pagina, che la mia è una semplice reprimenda neiconfronti dei cattivi ministri della giustizia, salvo il rispetto che si deve a queinumerosi che sono da lodare per virtù e nobiltà. Affido il contenuto diquest'opera alla correzione della Chiesa Romana e ai ministri che vigilano sui

 buoni costumi.

Mi capitò un giorno di entrare in San Pietro alla ricerca del dottor Calabrés, chierico dell'alta cappellina a tre punte, fatta a guisa di mezzocelemin, una frangia annodata non troppo strettamente in vita, ai polsi bottonidi Corinto, un affacciarsi di camicia per colletto, rosario in mano, disciplinealla cintura, scarpe grandi e massicce (...) orecchie sorde, un parlare tra il

 penitente e il flagellante, il collo arrovesciato sul braccio, come fa il buon

tiratore che mira alla preda, specialmente se è una preda del Messico o di

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Segovia, gli occhi bassi e inchiodati al suolo, come l'avido alla ricerca dimonete, e i pensieri contratti, il colorito a chiazze, qua vivo e là stinto,

tardone a messa e zelantone a mensa, grande esorcista di diavoli (viveva di puro spirito). Sapeva curare con formule magiche e nel benedire tracciavasegni di croce più grandi di quelli dei male ammogliati. Sul mantello sano

 portava falsi rammendi, faceva della trasandatezza una prova di santità,raccontava di rivelazioni e se non si aveva l'avvertenza di credergli, facevaanche miracoli.

Devo continuare? Insomma, signore, era di quelli che Cristo chiamò

«sepolcri imbiancati»: all'esterno immacolato e ricco d'intarsi, di dentro putrefazione e vermi. Fingendo al di fuori onestà e in fondo all'anima essendoun dissoluto, di traboccante e sfilacciata coscienza, egli era, in buon volgare,un ipocrita, un inganno in carne ed ossa, una menzogna con l'anima,un'impostura con la voce.

Lo trovai in sacrestia, alle prese con un uomo che, le mani legate da uncordone e la stola scomposta, gridava e si agitava freneticamente.

«E questo chi è?», gli chiesi spaventato.

Mi rispose: «È un uomo indemoniato».

In quel mentre, lo spirito che era nell'uomo e che per possederlo avevaingaggiato una lotta con Dio, rispose:

«Questo non è un uomo, è uno sbirro. Attenti a come parlate, voi due, perché nella domanda dell'uno e nella risposta dell'altro si vede che non siete

 bene informati. Dovete sapere che noi diavoli, dentro agli sbirri, ci stiamo per forza e di malavoglia; perciò, se volete dirla giusta, dovete chiamare medemonio insbirrato e non constui sbirro indemoniato. Gli uomini si trovanomeglio con noi che con gli sbirri, e molto più che non si dica, perché noifuggiamo la croce e gli sbirri la usano per far del male. Chi vorrà negare chedemoni e sbirri facciano lo stesso lavoro? A ben guardare, noi ci

 preoccupiamo di condannare e gli sbirri pure. Noi auspichiamo che vi sianosulla terra vizi e peccati, e gli sbirri desiderano e ricercano la stessa cosa e

con un impegno anche maggiore, perché loro ne hanno bisogno per campare

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e noi soltanto per divertirci un po'. Una tale occupazione è molto più da biasimare negli sbirri che in noi, giacché essi fanno del male a uomini come

loro, della loro stessa specie, invece noi no, perché siamo angeli, sebbene privi della grazia. E poi, noi siamo demoni per aver voluto esser più di Dio egli sbirri sono sbirri per voler essere meno degli altri.

Cosicché, padre, ti affanni inutilmente ad agitar reliquie sopra costui;nemmeno un santo, qualora finisse fra le sue mani, riuscirebbe a resistere.Convinciti che noi e lo sbirro siamo della stessa risma, senonché gli sbirrisono diavoli secolari e noi, che facciamo una dura vita all'inferno, sbirri diclausura».

Mi impressionò il parlar sottile del diavolo. Calabrés si adirò, e volendometterlo a tacere riprese i suoi scongiuri; gli gettò addosso acqua benedetta equello prese a fuggire, gridando: »Chierico, guarda che lo sbirro non fa tuttequeste scene perché è benedetta, ma perché è acqua. Non c'è cosa che glisbirri detestino più dell'acqua, visto che persino nel loro nome, 'alguacil', èstata inserita una 'l'. E perché sappiate fino in fondo chi siano e quanto pocoabbiano di cristiano, considerate che tra i pochi termini rimasti in Ispagna daitempi dei Mori, gli sbirri hanno assunto quello di alguacil, che è parolamoresca, abbandonando il vecchio termine di merinos; e han fatto bene,

 perché quel nome si addice alla loro vita e la loro vita alle loro azioni».

«Quella che abbiamo sentito è una grossa insolenza», disse furioso ilmio dottore. «E se diamo via libera a questo imbroglione, dirà altre millecattiverie, e parlerà molto male della giustizia, che corregge il mondo e chegli sottrae, con il timore che incute e la sollecitudine con cui viene esercitata,le anime che ha in potere».

«Non lo faccio per questo», replicò il diavolo, «ma perché è nostronemico colui che fa il nostro stesso mestiere. Abbi pietà di me e toglimi dalcorpo di questo sbirro; sono un demonio per bene e di buona qualità, e

 perderò molto credito all'inferno per essere stato qui in cattiva compagnia».

«Ti scaccerò oggi stesso», disse Calabrés, «perché ho pietà diquest'uomo che tu tartassi e tormenti; le tue colpe non meritano pietà e la tua

ostinazione ti fa incapace di sentirla».

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«Mi puoi chiedere un regalo», disse il diavolo, «se mi scacci oggi.Sappi che le botte che gli dò, e i maltrattamenti, dipendono solo dal fatto cheio e la sua anima litighiamo su chi dovrà avere il posto migliore; e a quanto

 pare, il più diavolo è lui».

E dopo queste parole sbottò in una grande risata; si alterò il mio buonesorcista e decise di farlo tacere. Io, che avevo cominciato ad apprezzare learguzie del diavolo, dal momento che eravamo soli e l'esorcista, come mio

confessore conosceva i miei segreti, e del resto io come amico i suoi, glichiesi che lo lasciasse parlare e che lo obbligasse soltanto a non maltrattare ilcorpo dello sbirro.

Così fu fatto, e subito il diavolo disse: «Per noi diavoli, trattare coi poetiè come avere parenti a corte; dovreste esserci grati, se pensate a tutta la

 pazienza che dobbiamo avere con voi all'inferno. Avete trovato per dannarviun modo così facile che tutto l'inferno ribolle di poeti. Abbiamo dovutoallargare i locali; e siete così numerosi che nelle votazioni e nelle elezionifate concorrenza ai cancellieri. Non c'è cosa tanto graziosa come il primoanno di noviziato di un poeta dannato: c'è chi si porta dalla terra lettere diraccomandazione per i ministri infernali e crede di dover incontrareRadamanto, domanda di Cerbero e di Acheronte ed è convinto che gli sitengano nascosti».

«Quali pene vengono inflitte ai poeti?», chiesi.

«Molte», rispose, «e appropriate. Per alcuni il tormento consiste nelsentir lodare le opere altrui; ma per i più la pena è nel venire lavati. C'è un

 poeta che ha mille anni d'inferno alle spalle e non ha ancora smesso dileggere alcune quartine sulla gelosia. Per altro verso, ne puoi vedere alcuniche si picchiano e si tirano addosso tizzoni ardenti, discutendo se sia megliodire viso o volto. C'è chi, per trovare una rima, ha già perlustrato, mordendosile unghie, tutti i gironi dell'inferno. Ma quelli che stanno peggio e occupanoil posto più brutto sono i poeti di teatro, a causa delle molte regine che essi

hanno creato [...] delle principesse di Bretagna che hanno disonorato, dei

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matrimoni tra ineguali che hanno piazzato nei finali delle commedie, e delle bastonate che hanno rifilato a molti uomini onorati per far finire gli

entremeses. Ma bisogna considerare che i poeti di teatro non stanno insiemeagli altri, giacché essendo abituati a tessere trame ed inganni, si intrufolanofra procuratori e postulanti, gente che si occupa soltanto di cose di quelgenere».

«All'inferno, tutti i dannati vengono sistemati in ordine logico. Unartigliere, arrivato l'altro ieri, voleva essere messo ttra gli uomini d'arme; maessendogli stato chiesto che lavoro avesse fatto e avendo risposto che nel

mondo il suo compito era stato di far dei tiri, fu mandato nel settore deicancellieri, che sono quelli che sulla terra giocano i tiri più brutti. Un sartodisse che aveva vissuto tagliando i panni addosso alla gente, e fu messo tra imaldicenti. Un cieco, che volle infilarsi tra i poeti, fu portato dagliinnamorati, che ciechi son tutti. Un altro, che aveva detto: 'Io seppellivo imorti', fu messo tra i cuochi. Quelli che arrivano con la qualifica di pazzo limettiamo con gli astrologi, e i mentecatti in mezzo agli alchimisti. Un taleche era arrivato da noi perché aveva ucciso qualcuno, ora sta coi medici. Imercanti che si sono dannati facendo mercato stanno con GIuda. I cattivigiudici, corrotti dal denaro, alloggiano coi carnefici. E un acquaiolo, chedichiarò di aver venduto acqua fresca, fu mandato dagli osti. Tre giorni faarrivò un truffatore e si accusò di aver venduto gatto per lepre: lo abbiamomesso di filato insieme ai locandieri, che fanno lo stesso. Insomma, tuttol'inferno è diviso in settori secondo criteri precisi».

«Ti ho sentito parlare poco fa degli innamorati; è un argomento che mitocca da vicino e mi piacerebbe sapere se ve ne sono molti».

«Quella degli innamorati», rispose, «è una macchia che si estende suogni cosa. Infatti tutti lo sono di se stessi; alcuni del proprio denaro, altridelle proprie parole, altri ancora delle proprie opere, e qualcuno delle donne.Di questi ultimi, ce n'è meno di tutti all'inferno; perché le donne, a furia dicattiverie, maltrattamenti e cose ancor peggiori, offrono ogni giorno agliuomini occasione di pentirsi. Come dico, ve ne sono pochi, ma buoni edivertenti, ammesso che laggiù vi sia spazio per il divertimento. Certuni, già

resi cadaveri dalla gelosia, dalla speranza e dal desiderio, giungono veloci

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all'inferno, senza sapere né come né quando: né in che modo. Ci sono amantiinfiocchettati, che ardono ricoperti delle loro gale; altri, chiomati come stelle

comete, sono adorni di ciocche di capelli; altri ancora, grazie ai biglietti cheessi han conservato delle loro dame, fanno risparmiare vent'anni di legnaall'amministrazione della casa e arrostiscono avvolti nelle loro missive. Sontutti da vedere gli amanti delle monache, con le bocche aperte e le mani

 protese, dannati dai veli senza aver nulla svelato, divenuti lo zimbello di tutti,che infilano e tolgono le dita dalle grate, alla vigilia di essere appagati, senzache mai arrivi quel giorno, con [...] il titolo di pretendenti all'Anticristo. Alloro fianco stanno coloro che hanno amato le vergini e si sono dannati per un

 bacio, come Giuda, girando sempre intorno al piacere senza poterlo trovare».

«Dietro a questi, in una prigione sotterranea, vi sono gli adulteri; e sonoquelli che meglio vivono e meno pagano, perché altri mantengono la lorocavalcatura ed essi se ne servono».

«Ma allora per costoro», dissi io, «le pene e i piaceri sono della stessanatura».

«Più giù, in un angolo molto sporco, pieno di scarti del macello, vogliodire di corna, vi sono coloro che quaggiù chiamiamo cornuti, gente cheneanche all'inferno perde la pazienza, poiché, messi alla prova dalla cattivamoglie che hanno avuto, nessuna cosa ormai li turba».

«Dietro ad essi si trovano quelli che si innamorano di donne vecchie, esono incatenati perché noi diavoli non ci fidiamo di uomini che hanno cosìcattivo gusto; e se non fossero ben legati, neanche Barabba sentirebbe sicuro

il suo didietro. Così come siamo, ad essi noi sembriamo bianchi e biondi. La prima cosa che facciamo è di condannare la loro lussuria, coi relativi arnesi,al carcere perpetuo».

«Ma lasciando da parte tutto questo, vi voglio dire che siamo moltorisentiti del minestrone che fate di noi: ci dipingete con gli artigli, come sefossimo uccelli rapaci, e provvisti di coda, nonostante vi siano diavoliscodati; con le corna, anche se non siamo sposati, e sempre con quattro

 peluzzi di barba, benché tra noi ci siano diavoli che potrebbero sembrare

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eremiti e governatori. Vedete di rimediare, perché poco tempo fa ci è venutoa visitare Jerónimo Bosco, e avendogli noi domandato perché ci avesse tanto

vituperato nei suoi sogni, egli ci disse: 'Perché non avevo mai creduto cheesistessero davvero i diavoli'».

«Ma quel che più ci dispiace e che, parlando comunemente, solete dire:'Guardate quel diavolo di un sarto!'

oppure: 'È un diavolo quel sartucolo!'. A sarti ci paragonate? Ma noi liusiamo come legna per l'inferno e ci facciamo persino pregare per riceverli,

 poiché se la partita non è almeno di cinquecento capi, non rilasciamo

nemmeno la ricevuta, per non abituarci male e perché loro non alleghino ildiritto di usucapione: Quoniam consuetudo est altera lex.E poiché per usucapione hanno il diritto di rubare e di fare i guastafeste,

si considerano insultati se non apriamo loro le porte principali come sefossero di casa».

«Un'altra lamentela dobbiamo fare: non c'è cosa cattiva che nonmandiate al diavolo; e quando vi arrabbiate per qualche motivo, dite subito:'Che il diavolo ti porti!'. Sappiate invece che coloro che se ne vengono qui

 per conto proprio sono molto più numerosi di quelli che ci portiamo noi, perché non stiamo a badare a tutti. Se mandate al diavolo della gentucola, ildiavolo non la prende, anche perché c'è della gentucola che il diavolo nonriesce a prendere: Mandate al diavolo un italiano e il diavolo non lo prende

 perché sarà l'italiano a prendere il diavolo. E state attenti che il più delle voltemandate al diavolo ciò che il diavolo ha già in possesso, voglio dire, ciò chenoi abbiamo in possesso».

«Ci sono dei re all'inferno?», gli chiesi.

Lui soddisfò la mia curiosità dicendo: «Tutto l'inferno è pieno di fanti,di donne e di re. Vi sono molti re, perché il potere, la libertà, il comando liinducono a toglier di mezzo le virtù; fra di loro i vizi raggiungono ilmassimo.

Vedendo che i vassalli li riveriscono in sommo grado, e sentendosi per grandezza posti sullo stesso piano degli dei, vogliono valere quanto loro o

quasi, e farlo vedere. E hanno molte vie per dannarsi e molta gente che li

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aiuta. C'è chi si danna per la sua crudeltà: nell'uccidere i suoi sudditi enell'esiliarli, è un veleno coronato [...] ed una peste regale per il suo regno; ve

ne sono altri che si dannano per la cupidigia, facendo amazzoni le loro città ei loro paesi, in grazia di mammelle che invece di nutrire tolgono sostanze;altri poi se ne vanno all'inferno in virtù di terze persone, e si dannano per 

 procura, avendo dato fiducia a infami ministri. Ed è un piacere vederli penare, poiché come a pivellini alle prime armi, qualunque cosa raddoppia illoro dolore. I re hanno questo di buono; che essendo uomini d'onore, nonarrivano mai soli, ma insieme a una coppia o a un tris di consiglieri, e a voltel'incastro riesce, e allora si portan dietro l'intero regno perché tutti prendono

esempio da loro. Fortunati voi, spagnoli, che senza meritarlo siete vassalli esudditi di un re tanto prudente e cattolico, imitando il quale andate diritti incielo; questo, se fate opere buone (e non pensate che opere buone siano i

 palazzi sontuosi; questi fanno sdegnare Iddio, poiché lo sappiamo, egli è natoa Betlemme, sotto un portico in rovina); egli è ben diverso da certi cattivi re,che vanno all'inferno per la strada maestra e dai mercanti, che ci vanno per lavia del denaro».

«Perché adesso te la prendi coi mercanti?», chiese Calabrés.

«È un cibo, questo, che a noi diavoli è ormai venuto a noia; ne abbiamofatto indigestione e addirittura lo vomitiamo. Arrivano a migliaia, dannandosicon le parole e coi fatti. E dovete sapere che in Spagna i conti presentati daimercanti genovesi sono misteri dolorosi per i milioni di monete che

 provengono dalle Indie e le loro penne sono una batteria di cannoni contro le borse, e non vi è rendita che, catturata dal Tago delle loro penne e dal Jaramadel loro inchiostro, non ne venga affogata. Infine, hanno resa sospetta la

 parola banco, che per noi era soltanto qualcosa su cui posare il sedere, mentreadesso non sappiamo quando parlano da affaristi e quando parlano dasporcaccioni. Uno di costoro, che era giunto all'inferno, vedendo che c'eramolto consumo di legna e di fuoco, pretendeva l'appalto del riscaldamento;un altro voleva affittarci gli strumenti di tortura, sembrandogli un affarevantaggioso. Gente di questa risma abbiamo laggiù, assieme ai giudici chesulla terra li hanno lasciati fare».

«Vi son dunque dei giudici da voi?».

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 «Come no!», disse lo spirito. «I giudici sono i nostri fagiani, i nostri

 piatti prelibati, il seme che ai diavoli dà maggior profitto e maggiori frutti; perché per ogni giudice che seminiamo, raccogliamo sei procuratori, duegiudici istruttori, quattro cancellieri, cinque avvocati e cinquemilacommercianti, e questo tutti i giorni. Da ogni cancelliere ricaviamo ventiufficiali giudiziari, da ogni ufficiale trenta sbirri, da ogni sbirro dieciguardiani. E se l'annata è fertile di imbrogli, non vi sono magazziniall'inferno capaci di contenere tutto il raccolto di un cattivo governatore».

«Vorresti forse dire, ribelle a Dio, che non vi è giustizia sulla terra, eche essa non è rispettata dai suoi ministri?».

«Certo che no, perbacco! Non conosci la storia di Astrea, ossia dellagiustizia, che fuggita dalla terra è salita in cielo? Se non la sai, te laracconto».

«Erano scese sulla terra la verità e la giustizia; la prima non si trovò asuo agio perché era nuda, l'altra perché era severa. Stettero molto tempo così,finché la verità, per pura necessità, si unì a un muto».

«La giustizia, in difficoltà, cominciò a vagare per la terra, offrendosi atutti; ma vedendo che nessuno le badava e che le usurpavano il nome per darelustro alle tirannie, decise di fuggire e di tornarsene in cielo. Lasciò le grandicittà e le corti, e fece una capatina nei villaggi dei contadini, dove per alcunigiorni, nacsosta dalla sua povertà, fu ospitata dalla semplicità, finché controdi lei non inviò requisitorie la malizia. Allora fuggì davvero e andò di casa in

casa, chiedendo di essere accolta. Tutti le chiedevano chi fosse, e lei, che nonsa mentire, diceva di essere la giustizia; e la risposta era una sola: 'Giustiziain casa mia? Vada da un'altra parte!».

«E così non entrò da nessuno. Salì in cielo, lasciando sulla terra soltantole sue impronte».

«Gli uomini allora battezzarono col suo nome alcuni bastoni, e son

questi che all'inferno, dopo le croci, bruciano meglio; quaggiù, il nome di

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giustizia vien data soltanto a questi bastoni, e a coloro che li tengono inmano.

Infatti c'è gente che con questi bastoni ruba più di quanto non possa fareil ladro coi suoi grimaldelli, le sue chiavi false e le sue scale».

«E dovete sapere che la cupidigia degli uomini ha fatto di tutte le loromembra, e di tutti i loro sensi e facoltà, uno strumento di furto, laddove Iddioha dato i primi per vivere e le altre per vivere bene. L'innamorato non rubaforse con la volontà l'onore delle fanciulle? L'avvocato, che dà

un'interpretazione perversa e a rovescio della legge, non ruba col cervello? Non ruba con la memoria l'attore che ci sottrae il tempo? Non ruba l'amorecon gli occhi, il consigliere con la bocca, il potente con le bracica (giacchénon ha futuro chi fra le sue braccia non si pone)? L'abile con le mani, ilmusico con le dita, il gitano e il taccagno con le unghie, il medico con lamorte, il farmacista con la salute, l'astrologo con il cielo? Insomma, ognunoruba con una parte o con l'altra. Soltanto lo sbirro ruba con tutto il corpo,

 poiché spia con gli occhi, insegue con i piedi, lega con le mani e testimoniacon la bocca; insomma, sono tali gli sbirri che la Santa Romana Chiesa devedifendere l'umanità da loro come la deve difendere da noi».

«Mi spaventa», dissi, «vedere che tra i ladri non hai messo le donne,che sono di casa anche nel furto».

«Non me le nominare», rispose. «Ci hanno stancato, e fatti uscire daigangheri; non ce ne fossero tante, l'inferno non sarebbe poi una dimora così

 brutta [...] Non sai cosa daremmo, all'inferno, per diventare vedovi. Per di più

si ordiscono trame, ed esse, da quando è morta Medusa la maga, non parlanod'altro, e ho una gran paura che un giorno una più impertinente delle altrevorrà provare la sua abilità con noi, per vedere se ne sa due più del diavolo.Per la verità, le dannate una cosa buona ce l'hanno, ed è per questo che èancora possibile avere a che fare con loro: ormai sono senza speranza equindi non chiedono più nulla».

«Quali si dannano di più, le belle o le brutte?»

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«Le brutte», rispose pronto, «sei volte di più: perché per conoscere edetestare il peccato non c'è altro mezzo che commetterlo, e le belle [...]

trovano tanti uomini disposti a soddisfare i loro appetiti carnali, quindi sisaziano e si pentono; le brutte invece, che non trovano nessuno, se ne vannoall'inferno a digiuno e chiedono uomini con la fame di sempre; e dopo avereutilizzato quelle con occhi neri e quelle con viso aquilino, l'inferno brucia le

 bianche, le bionde, e soprattutto le vecchie, che invidiose dei giovani,ostinate, spirano grugnendo. L'altro giorno ne ho trascinata una di settant'anniche mangiava argilla, faceva esercizi contro la stitichezza e si lamentava delmal di denti per farci credere che li avesse; e poiché aveva già le tempie

avvolte, come cadaveri, nel lenzuolo bianco dei capelli, e la fronte come uncampo arato, fuggiva davanti a un topo e si adornava di nastri, pensando di piacerci. L'abbiamo, come pena, collocata accanto a un damerino, di quellivezzosi, che sapendo che all'inferno il suolo è asciutto e senza fango, viarrivano con scarpe bianche e in punta di piedi».

«Tutto questo mi va bene», dissi, «vorrei solo sapere se all'inferno cisono molti poveri».

«Che cos'è un povero?», replicò.

«L'uomo«, dissi io, «che non possiede niente di quello che esiste almondo».

«Finalmente ti sei fatto capire!», disse il diavolo. «Se ciò che condannagli uomini è ciò che essi possiedono del mondo, e questi non hanno nulla,come fanno a dannarsi? A questo riguardo, i nostri libri hanno ancora le

 pagine bianche. E non stupitevi, perché i poveri mancano persino di diavoli.A volte voi siete, gli uni con gli altri, più diavoli di noi. C'è diavolo piùgrande di un adulatore, di un invidioso, di un falso amico, o di una cattivacompagnia? Ebbene, un povero non li conosce, perché nessuno lo adula,nessuno lo invidia, non ha amici né buoni né cattivi, nessuno gli facompagnia. Soltanto i poveri vivono veramente bene e muoiono meglio. Chidi voi sa, come tutti loro, valutare il tempo e dare un prezzo al giorno,sapendo che la morte ha in suo potere tutto ciò che è passato, che governa il

 presente ed è in agguato su ciò che avverrà?».

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 «Quando il diavolo predica, il mondo sta per finire», disse Calabrés. E

aggiunse: «Ma come mai, tu che sei il padre della menzogna, dici cose cheriuscirebbero a convertire una pietra?».

«Come mai?», disse. «Ma per farvi del male, e perché non possiate direche nessuno ve l'aveva detto. E

sappiate che nei vostri occhi vedo molte lacrime di tristezza e poche di pentimento; e della maggior parte di queste, si deve ringraziare il peccato,che vi stanca o vi opprime, e non la volontà che lo aborrisce in quanto è

male».

«Menti», disse Calabrés. «Oggi ci sono molti santi e molte sante. Miaccorgo che finora non hai fatto che mentire. Per punizione, oggi uscirai daquest'uomo».

Fece i suoi esorcismi e, senza che io potessi intervenire, riuscì a farlotacere. E se un diavolo è già cattivo di per sé, muto è ancora peggio di undiavolo.

Vostra eccellenza consideri tutte queste cose con attenzione curiosa enon badi a chi le ha dette; anche Erode fece delle profezie, e dalla bocca diuna serpe di pietra può uscire uno zampillo d'acqua, tra le fauci di un leone vi

 può essere miele, e il salmo dice che a volte veniamo salvati dai nostrinemici, e per mano di coloro che ci disprezzano.

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 SOGNO DELL'INFERNO

 Lettera a un amico 

Invio a vostra signoria questo discorso, il terzo dopo il Sogno e loSbirro, nel quale posso dire di aver consumato tutte le poche forze del mioingegno, non so davvero se con qualche risultato. Voglia Iddio che le mie

 buone intenzioni, nel caso in cui non meriti lode il mio lavoro, trovino un po'di gratitudine; avrò in tal modo uno di quei premi che il volgo concede conmano parca; non sono tanto superbo da ritenere che qualcuno mi possainvidiare, poiché l'esistenza degli invidiosi avrebbe come gloriosaricompensa il meritare che esistano. Vostra Signoria faccia conoscere questoscritto a Saragozza, concedendogli quell'accoglienza che è solito riservare atutte le cose mie, mentre io qui affronto con pazienza le maliziose calunnieche ancor prima del parto (o aborto) delle mie opere, sogliono venir diffusedai miei nemici. Conceda Dio pace e salute a Vostra Signoria. Fresno, il 3maggio 1608.

Prologo all'ingrato e sconosciuto lettore 

Così perverso tu sei che nemmeno chiamandoti pio, o benevolo e benigno negli altri discorsi, sono riuscito ad evitare le tue persecuzioni.Ormai deluso, voglio parlare con te chiaramente. Questo è il discorso

dell'Inferno; nonconcludere che sono maldicente perché dico male di chi sitrova laggiù, poiché non è possibile che in esso vi sia qualcuno che possadirsi buono. Se ti sembra tirato in lungo, sai cosa fare: prenditi l'inferno che ti

 basta e taci. E se qualcosa non ti garba, sii tanto caritatevole da tacerla o tantodotto da correggerla; poiché l'errare è degli uomini e il ferrare riguarda le

 bestie o gli schiavi. Se ti sembrasse oscuro, mai l'inferno è stato chiaro, setriste e malinconico, io non ho promesso niente. Soltanto ti chiedo, lettore,anzi ti scongiuro in nome di tutti i prologhi, di non travisare le mie ragioni e

di non offendere con malizia le mie buone intenzioni. Poiché innanzitutto io

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 porto rispetto alle persone e soltanto biasimo i vizi, critico le negligente e glieccessi di certi impiegati senza toccare la dignità degli impieghi; infine, se il

discorso ti piacerà, ti divertirai, altrimenti poco mi importa, perché a me nonviene niente né da te né da lui.

Vale.

Discorso

Io, che nel Sogno del giudizio avevo visto tante cose, e nello Sbirro

indemoniato avevo potuto sentirne altre che ancora non conoscevo, benchésappia che i sogni son quasi sempre burla della fantasia e ozio dell'anima eche il diavolo non ha mai detto la verità, giacché non ha sicura conoscenza diciò che Iddio ci tiene nascosto, ho visto ora, guidato dal mio angelo custode,quel che sto per raccontare, grazie alla particolare provvidenza divina che èscesa su di me per recarmi, col timore, la vera pace.

Mi trovavo in un luogo favorito dalla natura per l'amabile quiete, dovesenza malizia la bellezza intratteneva la vista - muto spettacolo e senzaumana risposta - e discorrevano le fonti fra i ciottoli e gli alberi con le fronde,e a tratti cantavano gli uccellini, non so bene se a gara con quelli o perchégrati di tanta armonia. Ma pensate un po' quanto sono strani i nostri desideri:in un luogo come quello non riuscivo a trovar pace. Aguzzai la vista allaricerca di un cammino dove trovare compagnia; e vedo - cosa degna distupore - due sentieri che nascendo nello stesso punto si allontanavano l'unodall'altro come se rifiutassero di proseguire insieme.

Quello di destra era tanto stretto che di più non era possibile; pieno disterpi, di insidie e di passaggi difficili, vi era transitata pochissima gente.Ciononostante, vidi molte persone che si sforzavano di percorrerlo, maandavano scalzi e nudi, e lasciavano lungo il cammino, chi la pelle, chi le

 braccia, chi la testa e chi i piedi; ed eran tutti di color giallognolo. Mi colpìche nessuno di coloro che camminavano per quel sentiero si voltasse indietro,ma che tutti quanti guardassero avanti. Dire che qualcuno vi potesse entrare acavallo è ridicolo. Uno di quelli che stavano lì, avendogli io chiesto se mi

sarebbe stato possibile passare a cavallo per quel deserto, mi rispose: «San

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Paolo lasciò il cavallo per muovere il primo passo in questo sentiero».

Ma osservando con attenzione, non vidi nessuna impronta d'animale. Edera incredibile che non ci fossero segni di ruote di carrozza, né un minimoindizio che per quel sentiero avesse camminato qualcuno. Spaventato, chiesia un mendico che stava riposando e prendendo fiato, se vi erano per casolocande per quella strada o alberghi nei punti di sosta. Mi rispose: «Locandeo alberghi qui, signore? Come volete che ci siano, se questa è la strada dellavirtù? Nel cammino della vita, partire è nascere, vivere è camminare, locandaè il mondo, e una volta usciti si è a una sola e breve giornata dalla pena o

dalla gloria».

Così dicendo si alzò; e proseguì: «Restate con Dio, ché nel camminodella virtù perde tempo chi si ferma ed è pericoloso rispondere a colui che tifa domande per curiosità e non per trarne beneficio».

Incominciò a camminare, e sospirando, inciampava e zoppicava;sembrava che gli occhi, con le lacrime, tentassero di render meno aguzze le

 pietre ai piedi e più docili i rovi.

«Maledizione!», dissi dentro di me, «il cammino è tanto faticoso e lagente che lo affronta è scorbutica e poco piacevole. Per il mio umore, èdavvero quello che ci vuole!».

Feci un passo indietro e abbandonai il cammino del bene, io che mai hoavuto l'intenzione di allontanarmi tanto dalla virtù da dover rifare moltastrada e dovermi riposare. Presi a manca e vidi un corteo molto imponente,

tante carrozze, cariche di tali umane bellezze da sfidare il sole, gran quantitàdi vestiti di gala e di livree, splendidi cavalli, gente dai neri mantelli e moltigentiluomini. Io, che ho sempre sentito dire «dimmi con chi vai e ti dirò chisei», volendo stare in buona compagnia, misi un piede sul margine dellastrada e senza accorgermene mi ritrovai catapultato nel mezzo, come chiscivola sul ghiaccio. E fui circondato da tutto ciò che mi occorreva. Infatti, lìera tutto un ballo e una fsta, e giochi e ricevimenti; non era come nell'altrastrada dove, per mancanza di sarti, tutti erano nudi e feriti; qui c'era

abbondanza di mercanti, gioiellieri e gente di ogni mestiere; e poi locande ad

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ogni passo e taverne innumerevoli. Non ho parole per dire quanto fossicontento di trovarmi in compagnia di gente tanto onorata, anche se la strada

 presentava qualche ostacolo, non tanto provocato dalle mule dei medici,quanto piuttosto dalle barbe degli avvocati, essendo enorme la schiera dicostoro, che avanzavano seguiti da alcuni giudici. Non dico questo perchéfosse più esiguo il battaglione dei dottori, che la nuova eloquenza chiama«veleni laureati», ben sapendo che nelle università si studia per diventare ungiorno tossici. Mi stimolò a proseguire il cammino non soltanto il vedere chelo facevano in molti, ma anche l'allegria che li possedeva e il fatto chedall'altro sentiero alcuni passassero nel nostro, e dal nostro nell'altro, per vie

segrete. Altri cadevano perché non potevano stare in piedi, e mi colpì latremenda scivolata che un branco di tavernieri fece sulle lacrime che alcuniavevano sparso lungo il cammino; infatti, i loro piedi erano scivolatisull'acqua ed essi eran finiti sul sentiero uno sopra l'altro.

Prendevamo in giro quelli che nel cammino della virtù sembravano i più affaticati. Ci burlavamo di loro, li chiamavamo feccia del mondo e scartidella terra. Di essi, alcuni si turavano le orecchie e passavano oltre; altri, chesi fermavano ad ascoltarci, o storditi dalle molte grida o persuasi dalle nostreragioni e umiliati dalle burle, cedevano e passavano dalla nostra parte.

Vidi un sentiero, percorso da molti uomini che avevano l'aspetto dei buoni e da lontano sembrava che camminassero con loro; ma quando miavvicinai, vidi che stavano con noi. Mi dissero che erano gli ipocriti, gente

 per la quale la penitenza, il digiuno, la mortificazione, che in altri sono lamercanzia per il cielo, in loro sono il noviziato per l'inferno. V'eran fra di essimolte donne, che baciavan loro le vesti, essendo alcune nel baciare peggio di

Giuda, perché lui baciò, anche se con animo traditore, il viso del Giusto,figlio di Dio e vero Dio, e loro baciano l'abito di chi è malvagio come Giuda.In alcune o attribuii, più che alla devozione, al piacere che esse provano nel

 baciare. Altre strappavano loro frammenti di mantello come reliquia; e tantostrappano alcune da far sospettare che lo facciano più per vederli nudi o per spogliarli che per la fede che hanno nelle loro opere. Altre si raccomandanoad essi nelle loro orazioni, che è come raccomandarsi al diavolo per interposta persona. Ne vidi ancora che chiedevano loro di avere un figlio, e

dubito che un marito, se consente che la moglie chieda figli a un altro uomo,

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sia poi disposto a ringraziarlo se questi glieli concede. Lo dico perché honotato che le donne, che potrebbero affidare i loro desideri a San Pietro, a

San Paolo, a San Giovanni, a Sant'Agostino, a San Francesco e a tanti altrisanti, che sappiamo aver voce in capitolo presso Dio, si affidano invece agente come quella, che fa atto di umiltà e pretende di salire al cielo passandodi salotto in salotto e di mensa in mensa. Alla fine compresi che costoro sioccultano soltanto al nostro sguardo, ma appaiono senza maschera agli occhieterni, che aperti su tutti gli uomini, scorgono i segreti più oscuri chegiacciono nelle pieghe dell'anima. È certo che vi sono anime eccelse, cuidobbiamo chiedere intercessione presso Iddio e i santi; ma sono differenti da

costoro, che mostrano la disciplina prima della faccia e nutrono la loroambiziosa felicità con l'applauso mondano e col dire che sono indegni egrandissimi peccatori e i più malvagi della terra, sì che proclamandosi bestieingannano dicendo la verità, giacché essendo ipocriti, alla fine son davveroquel che han detto di essere. Essi procedevano isolati ed erano considerati piùstolti dei mori, più ignoranti dei barbari e senza legge, poiché infatti costoronon hanno conosciuto la vita eterna e non la godranno, avendo conosciuto la

 presente e goduta, mentre gli ipocriti non conoscono né questa vita né l'altra, perché nell'una si tormentano da soli e nell'altra vengono tormentati. Inconclusione, si dice giustamente che essi guadagnano l'inferno con le azioni.

Andavamo tutti dicendo male l'uno dell'altro; i ricchi inseguivano laricchezza, i poveri chiedevano ai ricchi ciò che Dio gli aveva tolto. I saggivan per la loro strada per non farsi governare da altri; e gli stolti, non sapendochi li guida, corrono a più non posso. I ministri di giustizia si trascinanodietro i mercanti, la passione la giustizia tradita, e i re, vanesi ed ambiziosi,tutte le repubbliche.

 Non mancarono durante il cammino diversi ecclesiastici; vidi moltiteologi, e qualche soldato, ma pochi, giacché la maggior parte, a forza diassoluzioni e di grazie ricevute, marciavano nell'altra strada in file ordinate,trionfando onoratamente della loro stirpe; ma quelli che stavano con noi, seavessero diffuso il nome di Dio combattendo come lo avevano diffuso

 bestemmiando, sarebbero diventati famosi. Ed erano seminudi, poiché isoldati che si comportano come loro hanno le uniformi rovinate dai colpi ma

il corpo intatto. Essi andavano ricordando le occasioni in cui si erano

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incontrati, i brutti momenti trascorsi (non sia mai che abbiano passato beimomenti) e noi non credevamo a niente perché li tenevamo in conto di

 bugiardi; solo quando, per esaltare i propri meriti, uno disse:«Compagni, che momenti abbiam passato e che bevute ci siam fatte!»

allora alle bevute credemmo, perché ne facevano fede sciami di mosceriniche ronzavano attorno alle loro bocche, golosi dell'alito che indiscretamentediceva il mosto che si erano scolati di soverchio. I capitani, gli ufficiali dicampo e generali d'esercito, che marciavano numerosi per la strada di destra,guardavano rattristati quei vanagloriosi. E sentii dire da uno di essi, che nonli poteva sopportare, vedendo gli astucci di metallo pieni di inutili carte che

aveva con sé quella gente accecata: «Da questa parte, soldati! Èforse da valorosi lasciare la retta via per paura delle sue difficoltà?Venite, qui sappiamo che soltanto chi ha legittimamente combattuto riceve lacorona. Quale vana speranza vi agita? Le anticipate promesse del re? Non sivende la propria anima soltanto perché risuona paurosamente all'orecchio ilgrido 'ammazza o muori'. Resistete all'avidità del premio; è proprio del'uomo

 probo seguire la virtù, mentre è degli avidi pensare unicamente allaricompensa: e chi non si appaga della virtù e la segue per l'interesse e ivantaggi che ne possono derivare, è più mercante che virtuoso, perché lo fainseguendo beni caduchi. La virtù è per se stessa una ricompensa, quindisiatene paghi».

Qui alzò la voce e disse: «Ricordate che la vita è una guerra che l'uomocombatte con se stesso, che i nemici dell'anima ci obbligano a rimanerearmati per tutta la vita e sono per noi minaccia di più perniciosa sconfitta.Ricordate che già i prìncipi considerano il nostro sangue e la nostra vita comedel tutto doverosi, e quando per essi li perdiamo non dicono quasi mai che

abbiamo reso loro un servigio ma che abbiamo pagato il nostro debito.Tornate, tornate!».

Essi lo ascoltarono molto attentamente, e confusi per ciò che era statoloro detto, entrarono in una taverna.

Le donne andavano all'inferno seguendo il denaro degli uomini e gli

uomini correvano dietro ad esse e al loro denaro, inciampando gli uni negli

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altri. Notai che in fondo alla strada dei virtuosi alcuni si sbagliavano e passavano dalla parte nostra; lo stesso facevano quelli di noi che

riconoscevano l'errore alla fine del nostro cammino. Notai che persino unadonna procedeva a piedi; sconvolto che una donna se ne stesse all'infernosenza sedia o carrozza, cercai un cancelliere che ne desse fede per iscritto, main tutto l'inferno non mi fu possibile trovare né un cancelliere né uno sbirro; enon avendone visti, ne dedussi che il nostro era il cammino del cielo equell'altro il cammino opposto. Questo mi consolava un tantino, ma mirimaneva un dubbio: avevo tanto sentito parlare di dolori e penitenze e oravedevo che invece tutti si stavano divertendo... mi tolse ogni dubbio una

frotta di mariti che venivano avanti tenendo le mogli per mano; ogni moglierappresentava il digiuno del proprio marito, che non mangiava per dare a leila pernice e il cappone; e ne rappresentava la nudità perché, per poterleoffrire vestiti sfarzosi e inutili gioielli, lui restava senza camicia. Infine capiiche un male ammogliato ha in sua moglie tutti gli ingredienti necessari per diventare un martire, e talvolta, gli uni come le altre, un inferno ambulante. Ilvedere questa terribile penitenza mi confermò che stavo percorrendo la stradagiusta. Ma la convinzione durò poco, poiché sentii dire alle mie spalle:«Lasciate passare i farmacisti».

«Dei farmacisti qui?», dissi fra di me. «Allora siamo all'inferno».

Ed era vero, perché in quel momento ci trovammo a varcare una porticina simile a quella di una trappola per topi, dalla quale era facile entrarema impossibile uscire. E si noti che per tutta la strada nessuno disse«andiamo all'inferno» ma, essendoci già, dissero tutti molto spaventati«siamo all'inferno».

«All'inferno?», dissi io molto afflitto. «Non può essere».

E volli fare le mie rimostranze. Cominciai a lamentarmi per le cose chedovevo lasciare sulla terra: i parenti, gli amici, i conoscenti, le dame. E

 piangendo alzai lo sguardo verso il mondo e vidi venire per la stessa strada,correndo a precipizio, tutti coloro o quasi che avevo conosciuto laggiù.Questo mi consolò un poco, così come l'apprendere che, a giudicare dalla

fretta con cui correvano all'inferno, sarebbero stati presto con me. Cominciai

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a sentire fastidioso il soggiorno e sgradevole l'ingresso.

Avanzai lentamente, insieme ad alcuni sarti che mi avevano raggiunto eche erano terrorizzati dai diavoli. Al primo varco trovammo sette demoni chescrivevano i nomi di chi entrava; mi chiesero il nome, glielo diedi e passai. Sirivolsero ai miei compagni e questi dissero che erano sarti; allora uno deidiavoli esclamò: «I sarti han capito in terra che l'inferno è stato fatto per loro,sicché se ne vengono tutti qua».

Un altro diavolo chiese quanti fossero: risposero che eranoc ento;

ribatté allora un altro demonio dalla barba grigia e incolta: «Cento sarti? Non possono essere così pochi. La partita più piccola che abbiamo mai ricevuto èstata di milleottocento. Veramente non viene neanche la voglia di riceverli».

I sarti ci rimasero male ma alla fine entrarono. Pensate un po' comesono i sarti: diventa per essi una minaccia il non lasciarli entrare all'inferno.Entrò per primo un sarto livido, piccolino, rosso malpelo. Fece un salto nelvedersi lì e disse: «Ora siamo qua tutti».

Un diavolo più grande degli altri, gobbo e zoppo, uscì da dove sitrovava e gettandoli in una grande fessura gridò: «Arriva legna!»

Per curiosità mi avvicinai e gli chiesi come mai fosse gobbo e zoppo;lui, che era un diavolo di poche parole, mi rispose: «Io ramazzavo sarti,andavo a raccoglierli sulla terra, e a furia di portarmeli sulle spalle sonodiventato gobbo e zoppo. Ho fatto i miei conti e ho trovato che loro arrivanoqui molto più in fretta di quanto possa fare io trascinandoli».

In quel mentre il mondo vomitò un'altra partita di sarti e io dovetti proseguire, perché lì ormai non c'era più posto dove stare; e il mostroinfernale cominciò a spalarli via. A quanto dicono, i sarti costituiscono lalegna migliore che si brucia all'inferno.

Proseguii per un corridoio alquanto buio, quando mi chiamarono per nome. Volsi gli occhi in direzione della voce, non meno impaurita di essi, e

un uomo, del quale nell'oscurità vidi soltanto ciò che la fiamma che lo

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tormentava mi poté consentire, prese a parlare.

«Non mi conoscete?», chiese.

«Ah!» Stavo per dire il suo nome, quando lui mi prevenne: «... illibraio. Proprio io. Chi l'avrebbe mai detto!»

Com'è vero Dio, lo avevo sospettato, perché la sua bottega era il bordello dei libri, e non ce n'era uno che non parlasse di gente di malaffare, dicattivi soggetti e di buffoni. Un cartello che diceva: «Si vende inchiostro fine,

carta speciale e dorata» avrebbe potuto condannare da solo anche chi avesseavuto meno colpe.

«Cosa volete», disse, vedendo che mi ero distratto nel rimuginare questi pensieri, «sono davvero disgraziato: di solito ci si danna per le cattive opereche compiamo noi stessi; io e tutti gli altri librai, invece, ci danniamo per lecattive opere che compiono gli altri, e perché abbiamo trafficato con libriscritti in volgare e tradotti dal latino, ben sapendo che gli ignoranti avrebberoconosciuto ciò che in altri tempi soltanto i dotti potevano lodare; adesso

 persino il lacché latinizza e un giorno troveremo un Orazio in castiglianonella scuderia».

ebbe continuato, se un demonio non avesse cominciato a tormentarlo bruciacchiandolo coi fogli dei suoi libri, mentre un altro gliene leggeva alcuni passi. Vedendo che non parlava più, proseguii, dicendo fra me e me: «Se c'èqualcuno che si danna per le opere altrui, che succederà di quelli che sidannano per le proprie?»

A questo pensavo, quando vidi agitarsi in un porcile un gran numero dianime che gemevano, e molti diavoli che le colpivano con fruste e scudisci.Chiesi chi fossero e mi fu risposto che erano cocchieri. E un diavolo camusoe calvo, tutto infangato, disse che gli sarebbe piaciuto di più, per modo didire, avere a che fare con i lacché; lì infatti c'erano dei cocchieri che per subire il loro tormento chiedevano la mancia, e il timore dei diavoli era chevolessero mettere sotto accusa il loro mestiere, con la scusa che non sapevanofar schioccare la frusta bene come loro.

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«Per quale motivo stan lì dentro a penare?» chiesi.

Si alzò lestamente un cocchiere, barba scura e brutto ceffo, e disse:«Signore, perché essendo furfanti arriviamo all'inferno a cavallo e dandoordini».

Allora gli replicò un diavolo: «E perché tacete le male azioni che aveteoccultato da vivi, i peccati che avete facilitato e le menzogne che avete dettonella vostra vile occupazione?»

Rispose uno di essi, che era stato cocchiere di un consigliere di Stato eche sperava ancora che questi lo potesse togliere di lì: «Non c'è stato da diecianni a questa parte ufficio tanto onorato; ci han fatto indossare tuniche ecasacche, abiti lunghi e collarini, cosicché sembravamo confessori; e nelconoscere i peccati abbiamo appreso cose che loro non hanno mai saputo.Come potevano dannarsi, nella loro modestia, le mogli dei sarti, se non per l'emozione di trovarsi in una carrozza? Ve ne sono di quelle, dall'onore

 posticcio, che hanno inseguito un don come la santa catecumena si dirigevolontariamente al fonte battesimale, e per avere abbassato una cortina edessersi accomodate in fondo alla carrozza sommergeranno di anime i diavoli.Credo che le donne abbiano scambiato la verginità con i doni, e così ora tuttehanno un don e nessuna la verginità.»

«In tal modo», disse il diavolo, «il cocchierino si è scucito la bocca enon la chiuderà più per altri dieci anni».

«Perché dovrei chiuderla», rispose il cocchiere, «se ci trattate in questo

modo, invece di darci una ricompensa? Noi non vi portiamo all'inferno merce sciupata, lacera, arrivata a piedi,

tutta sbrindellata, simile agli scudieri che son sempre laceri, con le ginocchia basse e i piedi sanguinanti, ma riposata, linda, profumata e in carrozza.L'abbiamo già fatto per tanti, che ci hanno saputo ringraziare. Meritereidunque una pena come questa, solo perché ho trasportato paralitici a messa,infermi a far la comunione, e monache ai loro conventi? Nessuno riuscirà maia provare che nella mia carrozza sia entrato qualcuno con buoni pensieri.

S'era arrivati al punto che per sapere se la ragazza che doveva sposarsi era

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ancora donzella ci si informava se fosse mai salita sopra una carrozza,essendo questo un segnale di corruzione. È

così che mi ripagate?»

«Piantala!», gridò un demonio mulatto e mancino.

Raddoppiò le busse e tutti fecero silenzio. Il cattivo odore dei cocchierimi costrinse a proseguire.

Arrivai a una cripta dove si gelava, e cominciai a tremare di freddo e a

 battere i denti. Stupito per la novità di trovare freddo all'inferno, chiesi dovefossi; un diavolo storpio, con abrasioni e ulcere, pieno di geloni, rispose:«Signore, fa tanto freddo perché in questa zona sono riuniti i buffoni, i

ciarlatani e i giullari di basso conio, gente inutile, che era in soprannumeronel mondo e che noi qui teniamo separata perché, se andasse libera per l'inferno, farebbe diminuire il supplizio del fuoco, tanto è il gelo che handentro.»

Volevo andare a vederli e chiesi licenza. La ottenni, giunsi làrabbrividendo, e vidi il più infame degli assembramenti, qualcosa diincredibile: i dannati si tormentavano l'un l'altro con le stesse battute cheavevano pronunciato in vita. E tra i buffoni ne vidi che io consideravoonorati. Chiesi perché si trovassero lì e un diavolo mi rispose che eranoadulatori e che per ciò erano buffoni di serpentina invadenza. Chiesi qualecolpa in particolare avessero, e mi fu risposto che, come gli altri eranocolpevoli di non avere spirito, questi erano colpevoli di averlo o di volerloavere.

«È gente che viene qui senza avvisare e trova la tavola apparecchiata eil letto pronto come a casa sua. In parte gli siamo affezionati, perché essendogià diavoli verso se stessi e verso gli altri, ci risparmiano lavoro e sicondannano da sé; la maggior parte di essi, in vita, già si portava dietro ilmarchio dell'inferno, perché se non accettavano sempre di farsi estirpare identi per denaro, si lasciavano spegnere candele sulle natiche o strappare lesopracciglia. ora, quando li tormentiamo, il rimpianto di molti è soltanto di

non ricevere, dopo la pena, un compenso. Vedi quello? È stato un cattivo

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giudice, e ora sta tra i buffoni, perché per fare un favore non ha fattogiustizia, e quel diritto che non ha reso storto, ha reso strabico. Quell'altro fu

un marito disattento e sta anche lui tra i buffoni perché per dispensare piacerea tutti ha venduto quel piacere che aveva con sua moglie, comprandolo poi dalei a rate e sopportando. Quella donna, benché illustre, è stata un giullare, esta in mezzo a loro perché per dispensar piacere fece di sé un piatto per tuttigli appetiti.»

«Insomma, fra i buffoni c'è gente d'ogni condizione; per questo ce nesono tanti, e a ben guardare sulla terra siete tutti buffoni, perché ridete gli uni

degli altri: tutti lo siete per natura e soltanto alcuni lo sono per mestiere. A parte questo, ci sono buffoni sgranati e buffoni a grappolo. Gli sgranati sonoquelli che ad uno ad uno o a due a due vanno per le case dei signori. Quelli agrappolo sono i miserabili comici vaganti, e vi assicuro che se non fosseroloro a venire qua, noi non andremmo sicuramente a cercarli».

Scoppiò un litigio e il diavolo andò a vedere che cosa stava succedendo.Trovandomi libero, entrai in un cortile che puzzava di cimici in manierainsopportabile.

«Puzza di cimici», dissi io. «Scommetto che da queste parti alloggiano icalzolai. Ed era così, udii ben presto il rumore dei bisegoli e vidi i trincetti.Mi tappai il naso e mi affacciai sullo stabbio in cui si ammassavano. Ce n'eraun'infinità. Mi disse il guardiano: «Questi sono arrivati con se stessi, vogliodire vestiti soltanto delle loro cuoia; e mentre altri dannati arrivano all'infernocoi loro piedi, questi ci vengono con i propri e con gli altrui; per questo ciarrivano tanto rapidamente».

Posso assicurare che in tutto l'inferno non c'è un solo albero, né grandené piccolo, e che Virgilio mentì quando disse che c'erano mirti nel settoredegli amanti; io non vidi alcuna selva ma soltanto, come ho detto, l'alloggiodei calzolai, tutto pieno di legno di bosso, poiché non si consuma altro legnoin queste dimore.

Quasi tutti i calzolai stavano vomitando per lo schifo, a causa di alcuni

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cuochi che si erano asseragliati alle porte perché nel sotterraneo ce n'eranogià troppi ed essi non riuscivano a entrare; mille diavoli armati di

mazzapicchio andavano stipando le anime dei cuochi, e ancora non bastavano.

«Poveretti noi!», disse uno. «Ci condannano per il peccato della carne, enoi non abbiamo mai toccato una donna, e semmai abbiamo avuto a che farecon le ossa!».

Si lamentavano selvaggiamente e allora un diavolo disse: «Ladroni, chi

merita l'inferno più di voi, che avete fatto mangiare agli uomini la forfora? eche avete considerato i vostri pasticci da un reale alla guisa di fazzoletti,soffiandovi dentro il naso, e infinite volte avete usato il midollo mocciosodelle narici come se fosse midollo d'ossa?

Quanti stomaci si metterebbero a latrare, se i cani che avete propinatocome cibo resuscitassero? Quante volte avete fatto passare per uva sultaninala mosca golosa, che spesso era il boccone più grande di carne che toccava achi si mangiava il vostro pasticcio? Quanti denti avete fatto cavalieri e quantistomaci avete messo in sella dando loro da mangiare ronzini interi? E vilamentate, voi che facendo in tal guisa il vostro mestiere, vi siete dannatiancor prima di nascere? Che dovrei dire io delle vostre zuppe? Ma non hointenzione di darvela io, una zuppa. Soffrite e tacete, maledizione! Ciaffatichiamo più noi a tormentarvi che voi a patire.»

«E voi andate avanti!», mi ingiunse, «perché con questi qui ho da fare».

Mi allontanai di lì e mi inerpicai sopra un pendio, in cima al quale e

tutt'intorno alcuni uomini bruciavano nel fuoco immortale, che i diavoliravvivavano, anziché coi mantici, con gli sbirri, che sanno spifferare moltomeglio.

Perfino laggiù essi fanno questo mestiere. I maledetti sbirri nel soffiaregridavano terribilmente. Uno dei dannati diceva:

«Io ho venduto il giusto: perché mi perseguitano?»

Dissi tra di me: «Ha venduto il Giusto? Ma allora è Giuda».

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Mi avvicinai, curioso di vedere se aveva la barba nera o rossa, quandomi accorsi che lo conoscevo: era un mercante morto da poco.

«Ah, siete finito qui!», dissi. «Che ne dite? Non sarebbe stato meglioessere meno ricco e adesso non stare qui?».

Uno dei torturatori disse: «Questi farabutti pensano che non avrebbero potuto farne a meno e vollero fare con la verga per misurare quello che feceMosé con la verga di Dio, e cavare l'acqua dalle pietre».

«Questi», continuò «sono coloro che da bravi gentiluomini si sonoguadagnati l'inferno da sé, con le loro braccia, giacché a forza di bracciaarrivano qui. Ma nessuno ha mai dubitato che l'oscurità delle loro botteghenon fosse una promessa di future tenebre. Questa è gente», continuòadiratissimo, «che volle essere come Dio, perché pretese di non avere misura;ma Lui, che tutto vede, li condusse dai loro rasi cangianti a questi cielitempestosi, perché il guizzar dei fulmini sia loro di tormento. E se vuoisapere fino in fondo chi sono costoro che nel mondo, assieme ai venditori digioielli e di monili, servono la follia degli uomini, devi considerare che se per volontà di Dio il mondo un giorno si risvegliasse saggio, costorodiventerebbero poveri, perché allora si vedrebbe che nel diamante, nelle

 perle, nell'oro, nelle sete d'ogni tipo, si paga più l'inutile, il superfluo, lararità, che il necessario e il giusto. E ricordate che al mondo la cosa che piùcosta è quella che vale meno, e tutto ciò che voi possedete non è che vanità. Equesti mercanti alimentano tutti i vostri disordini e i vostri appetiti».

Avevo l'impressione che l'elenco delle loro imprese non fosse ancora

terminato, ma proseguii, stupito per certe sonore risate che si udivano. Midiressi alla loro volta, poiché udire risa all'inferno è cosa inconsueta.

«Che sarà mai?», mi chiesi.

In quel mentre, scorgo due uomini che gridavano sopra un'altura, molto ben vestiti e con brache allacciate alla cintura. Uno aveva mantello e berretto, polsini come gorgere e gorgere come brache. L'altro portava brache alla

vallona e aveva una pergamena in mano. Ad ogni parola che dicevano, sette

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od otto diavoli si sbellicavano dalle risa, ed essi si infuriavano ancora di più.Mi avvicinai ulteriormente per poterli ascoltare e sentii che quello della

 pergamena, che all'apparenza sembrava un hidalgo, diceva: «Dunque, se mio padre si chiamava Tale dei Tali ed io sono nipote di questi Tali e Talaltri enel mio lignaggio ci sono tredici capitani valorosissimi, e da parte di miamadre, donna Rodriga, discendo da cinque cattedratici, i più dotti del mondo,come mi posso essere dannato? Ho il mio blasone con me, non devo niente anessuno e non devo pagar tasse».

«E allora paga busse», disse un diavolo.

E gli dette quattro bastonate, che lo fecero precipitare dall'altura. Poi glidisse: «Finitela di illudervi, giacché chi discende dal Cid, da Bernardo e daGoffredo e non è come loro ma vizioso come voi, costui più che ereditaredistrugge la propria stirpe. Il sangue è sempre rosso, nobiluccio. [...]Rispecchiate nei costumi la vostra origine e allora crederò che discendiate da

 persone dotte, ma siatelo voi stessi o cercate di esserlo, altrimenti la vostranobiltà sarà breve inganno e durerà lo spazio di una vita: nella cancelleriadell'inferno la pergamena si accartoccia e sbiadiscono le lettere, e chi almondo è stato virtuoso questi è nobile, e la virtù è l'unico blasone cheriteniamo valido, perché chi con divini costumi si rende degno di imitazione,anche se discende da uomini vili e di basso rango, diventa per ciò stessonobile e capostipite di una stirpe. Ridiamo molto, qui, nel vedere comeoltraggiate villani, mori e giudei, quasi che in essi non possano essere

 presenti quelle virtù che voi tanto disprezzate.»

«Tre sono le cose che rendono ridicoli gli uomini: la prima è la nobiltà,

la seconda l'onore, la terza il valore. A voi bastano, è certo, la virtù e lanobiltà dei vostri padri, per dire che sono anche vostre, nonostante siateinutile parto del mondo. Sapiente può diventare il figlio del contadino,diventa arcivescovo il villano che si applica in onesti studi; ma il gentiluomoche, pur discendendo da Cesare, non impiega come lui il tempo e la vita inguerre e vittorie, ma nel gioco e con le donne, costui afferma che è maleassegnare la mitra a chi non discende da buoni padri, come se le cariche cheoggi vengono aggiudicate dipendessero da questi; i viziosi, pensate quale

cecità! esigono che venga loro riconosciuta la virtù altrui, vecchia di

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trecentomila anni e ormai quasi dimenticata, e non vogliono che il povero sifaccia onore con la propria».

L'hidalgo si rodeva nel sentire queste cose, e si affliggeva il cavaliereche era al suo fianco, riordinandosi le piegoline del colletto e risistemando gliocchielli delle brache.

«E che dire poi dell'onore mondano, che è la causa maggiore di danni etirannie sulla terra, e impedisce di vivere a proprio piacimento? Ungentiluomo povero muore di fame, non ha di che vestirsi, va in giro

sbrindellato e con le toppe, potrebbe fare il ladro ma non vuole, perché dicedi essere onorato, e neppure vuol mettersi a servizio, perché sostiene che è undisonore. Se tanto ci si arrabatta e ci si affanna, dicono gli uomini, è per difendere l'onore. Oh, di quanti guasti è causa l'onore! Eppure, a ben vedere,l'onore del mondo non è nulla. Per onore, uno non mangia nel posto in cuivorrebbe; per onore, la vedova muore fra due pareti; per onore, senzaconoscere l'uomo e il piacere, la fanciulla passa trent'anni sposata con sestessa; per onore, la maritata si nega ciò che il desiderio le chiede; per onore,gli uomini affrontano il mare; per onore, un uomo uccide un altro uomo; per onore, ognuno spende più di quanto possiede.

Pertanto, l'onore del mondo è stolta cosa per il corpo e per l'anima, perché all'uno toglie i piaceri e all'altra la gloria. E

 per comprendere quanto siano disgraziati gli uomini, e quali pericolicorrano le cose che avete in maggiore stima, basta pensare che ciò che ha piùvalore per voi sono l'onore, la vita e le ricchezze. L'onore è legato al culodelle donne; la vita è nelle mani dei dottori, e le ricchezze dipendono dalle

 penne dei cancellieri: disilludetevi, dunque, o mortali!».

Pensai fra me e me: come si vede che questo luogo è l'inferno; per tormentare amaramente gli uomini basta dir loro tutta la verità!

Il diavolo riprese a parlare: «Il valore! C'è cosa più degna di burla? Nonci fosse al mondo che la carità, con la quale si vince la ferocia, quella chealberga in noi stessi, e la carità dei martiri, il mondo sarebbe pieno divalorosi: quel che gli uomini fanno, e quel che fanno tanti valorosi capitani

nel corso delle guerre, vien fatto non tanto per valore ma per paura. Infatti,

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chi combatte per difendere la terra, lo fa per paura di mali peggiori, come la prigionia e la morte; e chi aggredisce coloro che se ne stanno a casa propria,

spesso lo fa per paura di venire a sua volta aggredito, e se non riesce inquesto intento egli va, vittima della cupidigia, pensate che valoroso! a rubareoro e a inquietare popoli lontani, ai quali Dio ha donato, perché si difendanodalla nostra ambizione, mari che ci separano ed aspre montagne. Un uomouccide innanzitutto quando è vinto dall'ira, dalla cieca passione, e in altri casi

 per paura di essere ucciso. E così voi uomini, che capite ogni cosa alcontrario, chiamate sciocco chi non è rissoso, provocatore e maldicente; echiamate saggio chi ha cattiva indole, chi è perturbatore e sedizioso; valente

chiamate chi turba la pace, e codardo chi seguendo un moderato costumeevita le occasioni e non permette che certuni [...] presso i quali nessun vizioha licenza, possa mancar loro di rispetto.

«Accidenti!», dissi. «L'aver ascoltato questo diavolo è per me unaricchezza più grande di quella che possiedo».

In quel momento il tizio dalle calze allacciate, tutto mogio, disse:«Queste cose si possono dire al mio scudiero, non a me, in fede digentiluomo» e per dire gentiluomo impiegò tre quarti d'ora. «Le vostremaniere sono rozze e scortesi. Forse pensate che siamo tutti uguali!»

Queste parole fecero molto ridere i diavoli. Quindi uno di questi gli siavvicinò e gli disse di stare tranquillo, di prendere in considerazione la cosache più gli dava pena e di cui avesse maggiormente bisogno, perché lovolevano trattare per quello che era. Lui subito rispose: «Bacio le mani!Vorrei un ferro per rimettere in forma la gorgiera».

Ricominciarono a ridere, e lui di nuovo a tormentarsi.

Io, che volevo vedere tutto e pensavo di essermi trattenuto a lungo, mene partii. Camminavo da poco quando m'imbattei in una laguna grande comeil mare, ma più sporca, e il rumore era così forte che mi sentivo la testascoppiare.

Chiesi di che si trattava e mi fu risposto che lì penavano le donne che

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nel mondo avevano fatto la governante.Seppi così che le donne che quaggiù sono state governanti, all'inferno

sono rane, e come le rane parlano a vanvera e in eterno, umidicce e immersenel fango, e sono in tutto e per tutto rane infernali, poiché le governanti

 proprio come queste non sono né carne né pesce. Mi fece molto riderevederle trasformate in bestioline dalle gambe divaricate, che hanno semnprela faccia rugosa e corrucciata.

Lasciando lo stagno alla mia sinistra, me ne andai verso un pascolo,dove diversi uomini imprecavano e si graffiavano; ce n'era un'infinità e li

controllavano sei guardiani. Chiesi a uno di questi che razza di gente fosse,che appariva tanto vecchia e numerosa.

«Questo», disse, «è il reparto dei genitori che si dannano per aver lasciato ai figli le proprie ricchezze. Con altro nome, si chiama reparto deglistupidi. 'Ahimé' uno disse in quel mentre, 'non ho mai avuto un giorno diquiete in tutta la mia vita; mi sono privato di cibo e vestiti per accumulareun'eredità, e per aumentarla. Così facendo, sono morto senza medico, per nonspendere i soldi messi da parte. Appena spirato, mio figlio si asciugò lelacrime col mio denaro, e sicuro che sarei andato all'inferno a causa di ciòche avevo risparmiato, non mi fece dire le messe, ritenendole inutili, e nonrispettò le mie volontà. Per aumentare la pena Dio permette che io vedadissipare ciò che ho affannosamente raccolto e che mi senta dire: 'dalmomento che mio padre è già dannato, perché non infierire sull'anima sua enon farlo condannare per colpe maggiori?' «Questa», disse un demonio, «èuna verità tanto grande che nel mondo esiste un proverbio per questimiserabili: fortunato è il figlio che ha il padre all'inferno».

 Nell'ascoltare queste parole, tutti si misero a ululare e a prendersi aschiaffi. Mi fecero pena, non potevo sopportare quella vista e andai avanti.

Giunsi al cospetto di un'oscurissima prigione, sentii un gran frastuonodi catene e di ceppi, fuoco, frustate e grida. Chiesi ad un tale che stava là cheche settore fosse quello e mi fu risposto che era il reparto degli «avrei

dovuto».

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«Non capisco», dissi. «Chi sono quelli dell'avrei dovuto?» Subito mirispose: «È gente stolta che nel mondo viveva male e si è dannata senza

rendersene conto, e adesso non fa altro che dire: oh, avrei dovuto andare amessa! Oh, avrei dovuto tacere! Oh, avrei dovuto aiutare i poveri! Oh, avreidovuto confessarmi!»

Fuggii impaurito da queste persone così cattive e ottenebrate, ma in altrirecinti ne incontrai di peggiori. Quel che mi stupì maggiormente fu il motivo

 per il quale si trovavano lì. Avendo infatti chiesto a un diavolo, questi mirispsoe: «Sono quelli di 'Dio è pietoso', che si sono dannati a causa della

misericordia di Dio».

«Dio m'aiuti!», esclamai. «Ma come può essere che la misericordia possa dannare qualcuno, dal momento che esiste la giustizia divina? Voi parlate da diavolo».

«E voi», disse il diavolo, «da ignorante, poiché non sapete che la metàdei presenti si dannano per la misericordia di Dio. Pensate a quanti ce n'è chequando compiono una cattiva azione e vengono ammoniti, ci passan sopra edicono: Dio è pietoso e non bada a queste bagatelle, immensa è la suamisericordia. E così, mentre comportandosi male essi aspettano l'aiuto di Dio,noi stiamo qua ad aspettare loro».

«Ma allora, non bisogna sperare in Dio e nella sua misericordia?»,chiesi. «Non capisci?», mi risposero.

«Bisogna fidare nella pietà del Signore, perché aiuta le buone intenzionie premia le opere buone: ma non sempre tollera l'ostinazione. E si ingannano

le anime che considerano la misericordia di Dio come una copertura per leloro malefatte e la prendono per come fa comodo e non per come essa è inrealtà, purissima e infinita per i santi e per chi è tale da meritarla. Colorotuttavia che in essa più confidano sono proprio quelli che meno le consentonodi porgere aiuto. Non merita la pietà di Dio chi, sapendo che è grande laconverte in licenza e non in profitto spirituale. E la misericordia che essi nonmeritano, Dio la concede a molti. Così avviene per lo più, ché l'uomo non

 può fare da sé ma deve guadagnarsi la misericordia divina coi propri meriti.

Tutto questo affinché non montiate in superbia, e non aspettiate sempre

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l'ultimo giorno per fare ciò che vorreste aver fatto il primo, e sappiate chequasi sempre ciò che temete debba accadere accadrà per colpa vostra».

«Questo s'ha da vedere e da sentire all'inferno? Ah, quanto sarebbe di profitto sulla terra l'esperienza di uno di questi dannati!» Così dicendo giunsiin una stalla, dove stavano dei tintori, ma nessun osservatore avrebbe potutodire quali fossero, perché i diavoli sembravano tintori e i tintori diavoli.Chiesi a un mulatto, con tante di quelle corna che la sua fronte sembrava unarastrelliera, dov'erano i sodomiti, le vecchie e i cornuti. Rispose: «Cornutiall'inferno ce ne sono dappertutto; in vita furono diavoli di prima tonsura, in

quanto si erano impegnati a portare una corona d'osso. Dei sodomiti e dellevecchie non sappiamo niente ma non vorremmo nemmeno sapere che lorosanno di noi. I primi sono un pericolo per le nostre natiche, ed è per questoche noi diavoli abbiamo la coda, per usarla, data la loro presenza, comescacciamosche. Quanto alle vecchie, che ci tormentano e ci fanno inquietare,ve ne sono di quelle che, non ancora sazie di vita, si innamorano di noi: nesono arrivate molte, piene di rughe e di capelli bianchi, senza nemmeno undente, ma nessuna che fosse stanca di vivere. E un'altra cosa divertente è che,se prendete informazioni, non risulta ci siano vecchie all'inferno. Perchéquella che è calva e senza denti, cisposa e piena di rughe, carica d'anni evecchiarda senza remissione, dice che ha perso i capelli per una malattia, chei denti le sono caduti perché ha mangiato troppi dolci, e che è gobba perchéha preso una legnata. E non confesserà che la oclpa è degli anni nemmeno seconfessandolo, dovesse tornar giovane.».

Accanto a costoro un gruppetto di persone si lamentava a gran vocedella propria sventura. «Chi sono quelli?», chiesi. Uno mi rispose: «Siamo gli

sventurati che son morti all'improvviso».

«Mentite», disse un diavolo. «Nessun uomo muore all'improvviso, masoltanto distrattamente e soprappensiero. Come può morire improvvisamentechi fin dalla nascita vede se stesso correre lungo le strade della vita, già

 portandosi dentro la morte? Cos'altro vedete nel mondo se non funerali, mortie sepolture? Cos'altro ascoltate dai pulpiti e leggete sui libri? Su qualeoggetto volgete gli occhi, che non vi ricordi la morte? Il vostro abito che si

consuma, la casa che cade, il muro che invecchia e perfino il sonno ogni

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giorno vi ricorda la morte, imitandola in sé. Insomma, come può un uomomorire d'un tratto, se tante cose lo mettono continuamente sull'avviso? No,

non dovete definirvi morti all'improvviso ma morti che non credevano di poter morire in quel modo; dovevate pur sapere con quale segreto piedes'insinua la morte nella più verde giovinezza, e facendo contemporaneamente

 bene e male, suole essere madre e matrigna.»

Volsi lo sguardo e vidi molte anime stipate in un anfratto; m'investì uncattivo odore.

«E questo cos'è?» chiesi.

Mi rispose un giudice giallastro, che impartiva i castighi: «Questi sonogli speziali, che riempiono di sé l'inferno così come colmano fino all'orlo iloro barattoli. È gente che invece di cercare i rimedi per salvarsi, come fannogli altri, li confeziona per dannarsi. Sono questi i veri alchimisti, nonDemocrito di Abdera con la sua  Arte sacra, Avicenna, Géber e RaimondoLullo. Costoro, infatti, scrissero che dai metalli si poteva ricavar l'oro, manon lo ricavarono o, se lo ricavarono, nessuno in seguito lo ha più saputoricavare; codesti speziali, invece ricavano l'oro dall'acqua torbida, nemmenoquella pulita, e dal legno; oro fanno con le mosche, con lo sterco, oro fannocon i ragni, gli scorpioni e i rospi; e oro fanno con la carta, perché vendono

 persino la carta in cui avvolgono gli unguenti. Si direbbe che soltanto per essiDio abbia infuso virtù nelle erbe, nelle pietre e nelle parole, perché non c'èerba, per dannosa e cattiva che sia, persino l'ortica e la cicuta, che nonfornisca denaro; né vi è pietra che non consenta loro di guadagnare, e persinoil ciottolo grezzo che serve loro da mola. Infine le parole, poiché, se c'è

denaro di mezzo, non si trovano mai sprovvisti di ciò che viene loro chiesto,e spacciano per olio di mattiolo il grasso di balena, e chi compra comprasoltanto parole. Non dovrebbero chiamarsi speziali ma armaioli, e le loro

 botteghe non si dovrebbero chiamare farmacie ma armerie dei dottori, in cuiil medico trova la daga degli elettuari, lo spadone degli sciroppi e ilmoschetto della purga maledetta, smisurata, prescritta in fretta e nel momentosbagliato. Lì si ammirano la colubrina degli unguenti, la schifosaarchibugeria delle medicine con munizioni di supposte. Molti speziali si

salvano; ma costoro, quando muoiono, non c'è da pensare che abbiano di che

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farsi seppellire. E se volete ridere, guardate come dietro ad essi soffrono lor  pene i barbierucoli; salendo quei due scalini, li vedete sopra quell'altura».

[...] Là me ne andai e vidi - cosa stupefacente e giusta pena! - che i barbieri erano legati ma con le mani libere e avevano in testa una chitarra etra le gambe una scacchiera, con le pedine della dama. E quando siapprestavano, per quella loro naturale ansia di passacaglie, a suonare lachitarra, questa se ne fuggiva. Se poi si chinavano per mangiare una pedina,la scacchiera sprofondava. Questa era la loro pena. Per il gran ridere nonriuscivo a proseguire. Dietro una porta c'erano uomini in folta schiera che si

lamentavano perché nessuno gli badava, nemmeno per tormentarli. Undiavolo stava dicendo che, visto che erano diavoli anche loro, dovevanoessere loro a tormentare gli altri.

«Chi sono?», chiesi.

Il diavolo rispose: «Sono, con licenza parlando, i mancini, gente chenon sa fare le cose in modo destro, che si lamenta di non stare con gli altridannati, e noi dubitiamo se siano uomini o qualcos'altro. Nel mondo nonfanno che portare fastidi e malocchio. Se uno è affaccendato e si imbatte inmancini, è come se incrociasse un corvo o sentisse una civetta. E dovetesapere che quando Scevola si bruciò il braccio destro perché mancòPorsenna, non lo fece per bruciarlo e dunque restar monco, ma per darsi ungran castigo; disse infatti: 'ho mancato il colpo? allora la mia pena sarà didiventare mancino'».

«E quando la giustizia ordina di tagliare a qualcuno la mano destra per 

il reato di ribellione, la pena è nel renderlo mancino, non nel taglio in sé. Vi basti sapere che una volta un tizio, volendo lanciare una maledizione enorme,tremenda, offensiva, disse:

Colpo di moro mancinoti possa il cuor trapassare.

«E nel giorno del giudizio tutti i dannati, per far vedere che lo sono, si

metteranno a sinistra. Insomma, questa è gente fatta al contrario e c'è da

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dubitare che sia gente».

In quel mentre un diavolo mi fece dei segnali, avvertendomi con lamano di non fare rumore. Mi avvicinai a lui e mi affacciai a una finestra; eglimi disse: «Guarda cosa fanno le donne brutte».

Vedo una moltitudine di donne; alcune si rammendavano la faccia, altresi ricostruivano di sana pianta, poiché né la loro statura grazie ai tacchi, né leciglia grazie al bistro, né i capelli grazie alla tintura, né il corpo grazie aivestiti, né le mani grazie alle creme, né il viso grazie ai cosmetici, né le

labbra grazie al rossetto, erano gli stessi che erano nati con esse. E ne vidialcune che popolavano la loro calvizie con capelli che erano loro soltanto perché li avevano comprti.

 Ne vidi una che teneva in mano, nei flaconi di unguento e nei belletti,metà della sua faccia.

«E all'inventiva delle donne», disse un diavolo, «non potete chiedere di più, perché riescono a sembrare luminose senza essere né soli né stelle. Lamaggior parte dorme con una faccia e si presenta in salotto con un'altra,dorme con certi capelli e si sveglia con altri. Spesso voi pensate di godere ladonna di un altro, ma il vostro adulterio non va oltre l'intonaco. Guardatecome allo specchio si scrutano in viso. Queste sono le brutte che si dannanosoltanto per farsi belle». | [continua]|

| [SOGNO DELL'INFERNO, 2]|

Mi impressionò la novità della motivazione con la quale quelle donneerano state condannate e, tornando indietro, vidi un uomo seduto su unasedia, solo, senza fuoco né gelo né demonio né pena alcuna, che lanciava le

 più disperate grida che io abbia mai udito all'inferno, compiangendo il suo povero cuore, squassato da strette e sussulti.

«Dio mi aiuti!», dissi in cuor mio. «Di che si lamenta costui chenessuno tormenta?»

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Ad ogni momento l'uomo rinnovava i lamenti e le grida. «Chi sei?»,chiesi. «E dimmi, di che ti lamenti, se nessuno ti molesta, se il fuoco non ti

 brucia e il gelo non ti circonda?».

«Ah!», disse gridando, «la mia è la pena maggiore che esista all'inferno.Ti pare che qui non ci siano torturatori? Misero me, sono i più crudeli e sistanno accanendo contro l'anima mia! Non li vedi?».

E cominciò a mordere la sedia, a girarvi intorno e a gemere. «Guardali,come senza alcuna pietà van commisurando a colpe eccezionali eterne pene.

Ah, terribile demonio tu sei, memoria del bene che avrei potuto fare, deiconsigli che ho disprezzato e del male che ho commesso! Interminabilerappresentazione! Un castigo che viene dalle stesse mani divine! Lasciami:l'intelligenza mi fa balenare l'immagine della gloria che avrei potuto godere eche altri ora godono, e che ad essi è costata meno fatica di quanta ne hosofferta io per procurarmi questi tormenti! Oh! come fai apparire bello ilcielo, o intelligenza, per darmi il colpo di grazia! Lasciami un attimo,almeno. E mai possibile che la mia volontà non possa trovar pace con me unistante? Ah, pellegrino, non sai quanto le tre fiamme invisibili e i mieicarnefici incorporei mi tormentano nelle tre potenze dell'anima! E quando sistancano, subentra il tarlo della coscienza, la cui fame d'anima mai si sazia:guardami qui, miserabile e perpetuo alimento per i loro denti!»

Così dicendo, alzò la voce: «C'è in questo disperato palazzo chi vogliascambiare la sua anima e i suoi torturatori con le mie pene? Così, o mortale,scontano le loro colpe coloro che nel mondo ebbero scienza, cultura e

ragione, e furono assennati: ora sono inferno e martirio di sé stessi».

Tornò tramortito alle sue occupazioni, mostrando un dolore persinomaggiore. Impaurito mi allontanai da lui, dicendo: «Vedi dove conducericchezza di ragione e dottrina e buon discernimento mal riposto! Sembrava,a vederlo, che piangesse da solo, e dentro all'anima aveva l'inferno!».

Facendo questa considerazione, giunsi in un luogo dove c'era un

assembramento di gente che scontava la pena a gruppi; vidi dei carri, che

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 preceduti da banditori, trasportavano non poche anime torturate da tenaglie.Mi avvicinai per ascoltare l'editto, che diceva: «Costoro Iddio ordina di

castigare perché sono i seminatori di scandali e diedero cattivo esempio». Evidi che nei vari gruppi di penitenti, ognuno trasferiva la propria pena suidannati del carro e così costoro sopportavano anche le pene di tutti gli altri,

 poiché erano stati la causa dell'altrui perdizione. Sono quelli che nel mondoinsegnano i cattivi costumi; di essi disse Iddio che sarebbe stato meglio nonfossero mai nati.

Ma mi divertì molto vedere alcuni tavernieri che se ne andavano a piede

libero per tutto l'inferno e scontavano la pena sulla parola, senza alcunacostrizione, mentre tutti gli altri stavano imprigionati.

Chiesi perché soltanto loro venissero lasciati liberi, e un diavolo mirispose: «Gli apriamo anche le porte. Non c'è da temere che scappidall'inferno gente che al mondo si impegna tanto per venirci. Senza contareche i tavernieri che si trasferiscono qui, in tre mesi diventano diavoli quantonoi. Stiamo soltanto attenti che non si avvicinino al fuoco degli altri dannati,altrimenti lo annacquerebbero».

«Ma se volete sapere cose interessanti, andate in quel recinto. Vedretenella parte più profonda dell'inferno Giuda con la sua scomunicata schiera dimaledetti dispensieri».

Così feci e vidi Giuda, che attorniato dai suoi successori mi fece moltecerimonie. Della sua faccia, dirò soltanto che rese vano ogni dubbio intornoal colore della barba, se fosse rossa come la dipingono gli spagnoli per 

renderlo straniero, o nera come la dipingono gli stranieri per renderlospagnolo; a me sembrò semplicemente un castrato. Del resto, non sarebbe

 possibile trovare un'inclinazione così malvagia e un'anima tanto ambigua inchi non sia, essendo castrato, né un uomo né una donna. Chi, se non uncastrato, può essere così spudorato da baciare Cristo per venderlo? E chi altrise non un castrato potrebbe dannarsi per voler portare le borse? E chi se nonun castrato può avere un animo così meschino da impiccarsi, dimenticandosidella grande misericordia di Dio? Considero vero ciò che afferma la Chiesa

Romana, ma all'inferno Giuda mi sembrò un castrato. E la stessa cosa dico

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dei diavoli, che sono tutti castrati, rugosi e senza un filo di barba, benché mivenga il sospetto, visto che son tutti abbrustoliti, che la loro rugosità dipenda

dal calore e il loro essere glabri dal fatto che il fuoco ne ha bruciacchiato i peli. Così dev'essere, perché io non vidi né un ciglio né un sopracciglio, etutti erano calvi.

Era dunque, Giuda, felicissimo di vedere con quanta sollecitudine idispensieri lo venissero a corteggiare e a intrattenere; del resto, mi dissero,erano davvero pochi quelli che evitavano di imitarlo. Guardai piùattentamente e giunsi dove stava Giuda, e vidi che la pena dei dispensieri era

simile a quella di Tizio, al quale un avvoltoio divora le viscer; ma ad essi leviscere venivano divorate da due uccelli che si chiamano «sisones». E undiavolo gridava di tanto in tanto: «I sisones sono dispensieri e i dispensierisono sisones».

 Nel sentire questa affermazione tutti tremavano, e Giuda si tormentavacoi suoi trenta denari. Non ebbi la forza di stare zitto; così gli andai vicino egli dissi: «Traditore, fra tutti gli uomini il più infame, come hai potutovendere il tuo maestro, il tuo Signore e Dio, per così poco denaro?».

Rispose: «Ma perché vi lamentate? Vi è andata ancora bene. Io sonostato il mezzo e l'espediente della vostra salvezza. Sono io che mi devolamentare, è a me che è andata male. Vi sono eretici che mi hannoconsiderato con venerazione perché ho iniziato a distribuire la medicinacontro il vostro male. E non dovete pensare che io sia l'unico Giuda; daquando Cristo morì, ce ne sono stati, e ce ne sono, di peggiori e dipiù ingrati,

 perché non soltanto lo vendono ma lo vendono e lo comprano, lo flagellano e

lo crocifiggono, ae ciò che è peggio, senza rispettare la vita, la passione, lamorte e la resurrezione di lui, lo maltrattano e lo perseguitano, dichiarandosifigli suoi, mentre io l'ho fatto prima che morisse, col nome di apostolo edispensiere. Questo vaso lo dimostra, che è della Maddalena, e che iofamelico volevo che si vendesse e si desse ai poveri; e adesso proprio questoè il mio grande rammarico: il sapere [...] che ho venduto (perché tutto iocercavo di vendere) ciò che desideravo si desse ai poveri per guarirli. Infatti,

 per riuscire nel mio intento e vendere l'unguento, ho venduto il Signore che

lo possedeva e così ho guarito più poveri di quanto volessi».

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 «Ladro!», gridai non potendomi frenare. «Se vedendo la Maddalena ai

 piedi di Cristo ti colse brama di ricchezza, perché non hai raccolto le perledelle molte lacrime che piangeva, e non ti sei saziato con l'oro delle ciocchedi capelli che si strappava dal capo? Non avresti allora bramato il suounguento con anima da farmacista. Ma una cosa vorrei sapere da te. Perché tidescrivono con gli stivali, ed esiste l'espressione 'gli stivali di GIuda'?».

«Non perché io li portassi», rispose. «Gli stivali vogliono solo indicareche ho sempre percorso la strada che conduce all'inferno, e che ero un

dispensiere. In questo modo si devono rappresentare coloro che lo sono.Questa è la vera ragione, e non che fossi portoghese, come si è dedotto nelvedermi con gli stivali; questa è una menzogna, perché io sono originario...».

E non mi ricordo bene da quale paese disse che proveniva, se dallaCalabria o da qualche altra parte.

«E devi sapere che io sono l'unico dispensiere che si è dannato per avere venduto; tutti gli altri, a parte qualcuno, si dannano per aver comprato.E quando dici che sono traditore e maledetto per aver ceduto Cristo a così

 poco prezzo, hai ragione, ma non potevo far altro, trattando con i giudei, cheson tanto meschini che se avessi chiesto un soldo inpiù, non me l'avrebberocomprato. E poiché ti vedo indignato, e sei convinto che io sia il peggior uomo mai esistito, guarda laggiù e ne vedrai tanti peggiori di me. Adessovattene», concluse, «la conversazione con Giuda è finita».

«Dici il vero», risposi.

Andai dove lui mi aveva indicato e lungo il cammino incontrai moltidemoni, con bastoni e lance, che scacciavano dall'inferno diverse belledonne, molti cattivi confessori e non pochi avvocati. Chiesi perché volesseroscacciare dall'inferno proprio quelli e un diavolo mi rispose che sarebberostati di grande utilità sulla terra per aumentare la popolazione dell'inferno: ledame coi loro visini, la loro menzognera bellezza e le loro grazie; i confessoricon le assoluzioni vendute e gli avvocati con le loro buone maniere e i cattivi

consigli. Li scacciavano dunque affinché procurassero altra gente.

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 Ma la questione più intricata e il caso più difficile che mi capitò di

vedere all'inferno fu quello di una donna, dannata con molte altre in qualità di puttana; questa, davanti ad alcuni ladri, mi disse: «Diteci, Signore, comefunziona questa faccenda del dare e del ricevere: come mai il ladro si danna

 perché prende l'altrui e la donna perché dà il suo? Mi illumini il cielo [...] farela puttana significa esercitare la giustizia, se è giustizia dare ad ognuno il suo.Dunque, se ci comportiamo in questo modo, qual è la colpa che ci vieneattribuita?»

Smisi di ascoltarla e chiesi, avendo sentito parlare di ladri: «Dove sonoi cancellieri? È possibile che all'inferno non se ne trovino, e lungo la stradanon ne abbia incontrato neanche uno?»

Mi rispose un demonio: «Credo bene che non se ne incontrino».

«Ma che fanno, si salvano tutti?»

«No», disse, «ma smettono di camminare e si mettono a volare con leloro penne. E se non si trovano cancellieri lungo la strada della perdizionenon è perché, numerosi come sono in mezzo a loro i malvagi, non venganoqui, ma perché è tanta la fretta con la quale giungono che per essi, con le

 penne che possiedono, volare, arrivare ed entrare è tutt'uno; per questo lungola strada non se ne vedono».

«E come mai», chiesi, «qua non ce n'è?».

«Sì che ce ne sono», mi rispose, «ma non usiamo per essi il nome dicancellieri; noi li conosciamo come gatti.

E per rendervi conto di quanti ce ne sono, vi basta notare che, benchél'inferno sia una dimora tanto grande, antica, trasandata, sporca, non vi è unsolo topo, perché loro gli danno la caccia».

«E gli sbirri cattivi non sono all'inferno?».

«Nessuno è all'inferno», disse il demonio.

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 «Come può essere? In mezzo a tanti buoni, ce ne sarà pure uno cattivo

che si danna».

«Dico che non si trovano all'inferno perché in ogni sbirro cattivo, già invita, c'è l'inferno intero».

Mi feci il segno della croce e dissi: «Con quanto astio voi diavolidetestate gli sbirri!».

«Non dovremmo forse detestarli? I cattivi sbirri sono indemoniati, etemiamo che nel condurre le anime a dannazione finiscano col metterci inminoranza e ci rubino il mestiere; non vorremmo che Lucifero, per fareeconomia di diavoli, mandasse via noi per assumere loro».

 Non volli ascoltare altro, e proseguii; attraverso un reticolato vidi unameno recinto, pieno di anime che si lamentavano, alcune in silenzio, altre

 piangendo. Mi dissero che era il reparto degli innamorati. Mi prese unagrande tristezza nel vedere che nemmeno da morti cessavano di sospirare.Alcuni dialogavano col proprio amore e soffrivano nei dubbi e nei sospetti. Equanti davano la colpa della loro perdizione al proprio desiderio, la cui forzao il cui pennello aveva suscitato in essi miraggi di bellezza! I più sistruggevano nei «pensavoché», secondo quel che mi disse un diavolo.

«Che cos'è un pensavoché?», chiesi. «Che genere di delitto è?».

Lui rise e replicò: «È semplicemente il rovinarsi da sé, credendo in

favolose sembianze, e poi dire: pensavo che non mi vrebbe conquistato, pensavo che non mi avrebbe fatto soffrire, pensavo che mi facesse dono di sée non mi abbandonasse, pensavo che non avrei avuto un rivale con cui

 battermi, pensavo che si sarebbe accontentata di me, pensavo che miadorasse; e così tutti gli amanti stanno all'inferno a furia di pensavoché. Sonoqueste le anime più tormentate dal pentimento e che meno conoscono sestesse». In mezzo stava l'amore, coperto di scabbia, con un'insegna, chediceva:

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 Uomo non v'è che amor non sottometta

ingiustamente ovvero con ragione:non è amore ma scabbia maledettala passione che attacca e che divora.

«Versi?», dissi io. «I poeti non dovrebbero essere tanto lontani».

E infatti, girandomi, vedo uno stormo di poeti - potevano esserecentomila - in una gabbia, che venivan chiamati i mattoidi. Li guardai e uno

mi disse, indicandomi un gruppo di donne: «Queste belle signore fan lecameriere a mezzo servizio poiché spogliano gli uomini ma non li rivestono».

«Sprecate sentenze anche qui? Avete una bella zucca», dissi. In quelmentre un poeta incatenato, che penava più di tutti, disse: «Che Dio ti

 benedica, fratello, in me puoi vedere chi ha inventato la rima. Infatti in unsonetto

Quella signora di virtù sovrana più di Lucrezia intemerata e onesta per ragioni di verso fu puttana.

Per la rima ho chiamato senza testadonna di gran talento ed istruita.

Che implacabile legge è mai codesta!

Essendo la terzina non finita,

ho insultato un hidalgo, solamente per averla conclusa con 'semita'.

Ho scritto poi che Erode era innocentee il dolce amaro ho definito spesso,e il timido ho chiamato impertinente.

Per la dannata rima ho già commesso

tanti delitti noti e sconosciuti

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che m'hanno sottoposto ad un processo.Dando all'ottava nuovi contenuti,

sette mariti di dame innocentiho reso senza scrupolo cornuti.

Ci han relegati qui fra doglie e stentie per colpa di rime condannati.Oh, miseri poeti sventurati,

 preda di versi vuoti e inconsistenti!»

«La vostra follia è così divertente», dissi, «che nemmeno qui vi bastal'animo di abbandonarla, e di trovare riposo!» Oh, quanti ne vidi! E undiavolo diceva: «Questa è gente che canta i suoi peccati come altri li

 piangono, giacché quando hanno un'amante, facendola diventare una pastorella o una piccola araba rendono pubblico il misfatto con una romanzache fa il giro del mondo. Se amano le loro dame, il massimo che donano èunsonetto o qualche ottava; e se le disprezzano o le lasciano, il minimo cherifilano loro è una satira. E poi son sempre pieni di praticelli di smeraldo, dicapelli d'oro, di perle del mattino, di fonti di cristallo, senza che poi gli si

 possano trovare addosso, oltre a queste parole e al loro ingegno, quattro soldi per una camicia. Ed è gente che non si sa bene di che religione sia, perché ilnome loro è da cristiani, l'anima è da eretici, i pensieri da mussulmani e le

 parole da pagani».

«Se rimango ancora molto», dissi fra me e me «sentirò qualcosa che miaffliggerà».

Li abbandonai e proseguii, col desiderio di arrivare da coloro che nonseppero pregare Iddio. Oh, quanto dolore dimostravano! Quanti pietosisinghiozzi! Avevano tutti le lingue condannate alla perpetua carcere e, predadel silenzio, le aspre grida di un demonio infliggevano alle loro orecchiequesto martirio: «Oh, anime ingobbite, piegate verso terra, che con orazioniinteressate e mercanteggianti suppliche da barattiere avete sfidato Dio! Glichiedevate grazie soltanto davanti all'altare, per la vergogna che qualcuno viascoltasse! Perché avete avuto più rispetto dei mortali che del Signore di

tutti? Chi non vi ha visto in un angolo, timorosi di essere uditi, trattenendo le

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 parole nella vostra bocca traboccante di proposte, chiedere in un bisbiglio:'Signore! muoia mio padre e a me tocchino le sue fortune: chiama nel tuo

regno mio fratello maggiore e assicura a me la primogenitura; possa trovarequi sotto una miniera; voglia il Re favorirmi e mi veda colmato dei suoifavori'».

«Considerate a quali estremi giunse la vostra insolenza quando osastedire: 'Fatemi questo e vi prometto di sposare due orfane, vestire sei poveri eadorare i vostri altari'».

«Uomini ciechi: promettere ricompense a colui che supplicate, che è lasomma ricchezza! Avete chiesto a Dio come grazia ciò che lui suole dare per castigo; e se vi viene accordato, vi pesa di averlo avuto quando morite; e senon vi viene accordato, quando vivete. Così da veri stolti, avete sempre diche lamentarvi. E se a forza di promesse, diventate ricchi, ditemi: quali diesse potete poi mantenere? Quale tempesta di mare non rovescia sui santivalanghe di voti? E quale successiva bonaccia non torna a spogliarli, sì chetutto cade in oblio? Quanti lumi ha offerto agli altari il terrorizzante aspettodel golfo? E quanti il porto sicuro ne ha spenti e portato via dalle chiese? Levostre offerte nascono dalla necessità, non dalla devozione. Avete qualchevolta chiesto a Dio la pace dell'anima, l'accrescimento della grazia, o il suoaiuto e la sua illuminazione? Mai, è sicuro. Non sapete nemmeno che cosa siatutto ciò, e a che serva. Ignorate che l'olocausto, il sacrificio e l'offerta cheDio accetta da voi vengono dalla coscienza pura, dallo spirito umile,dall'ardente carità. È questa la moneta, accompagnata da lacrime, che ancheDio, se può, brama da voi. O uomini, Dio ha piacere che per il bene vostro viricordiate di lui; ma poiché ve ne ricordate soltanto negli affanni, egli vi

manda gli affanni affinché abbiate memoria di lui. Considerate, stoltiquestuanti, come rapidamente sono svanite le cose che, importuni, avetechiesto a Dio. Come presto vi hanno accompagnato nell'ultimo viaggio!Vedete come i vostri figli non spendano delle vostre ricchezze nemmeno unreale in opere buone; è impossibile, essi dicono, che queste vi siano gradite,giacché se gradite vi fossero state, le avreste compiute voi stessi durante lavita. E a Dio chiedete cose tali che molte volte, per castigare l'insolenza concui le chiedete, ve le concede. Essendo somma sapienza, conosce il pericolo

che si corre nel chiedere, giacché la prima cosa che vi ha insegnato nel Padre

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nostro è come si deve chiedere: ma pochi di voi capiscono le parole con lequali Dio ha insegnato il linguaggio con cui dovete rivolgervi a lui».

Volevano rispondermi ma non glielo consentirono le museruole. Vistoche non potevano parlare, andai avanti, là dove erano riuniti i fattucchieri,condannati ad ardere vivi, e anche i ciarlatani, condannati come imbroglioni.Disse un diavolo: «Guardateli qui, questi commercianti di esorcismi,mercanti di croci, che abbindolarono il mondo dando a intendere che unfanfarone potesse avere una qualche virtù. Di questi fattucchieri, nessuno si èmai lamentato; infatti, se guariscono qualcuno, ottengono ringrazaiamenti; e

se lo uccidono, il morto non può più lamnetarsi. E si è sempre soddisfatti diquel che fanno, e gli si è grati. Perché se guariscono una persona, questa liricompensa; e se la uccidono, l'erede li ringrazia per l'opera svolta. Se curanocon acqua e stracci la ferita, e questa guarisce per virtù naturali, dicono che laragione sta in certe parole miracolose che un giudeo ha loro insegnato.Pensate che bella origine hanno le loro parole miracolose! Se invece il male

 paeggiora, infistolisce, e il malato muore, dicono che è arrivata la sua ora,annunciata da un tocco e da un rintocco.

E quante volte abbiamo sentito le fandonie che raccontano: quella deltale che in un certo luogo si teneva le budella in mano, e di quell'altro che erastato trapassasto da parte a parte! E la cosa più straordinaria è che se vai avedere dove stanno i luoghi in cui essi operavano, scopri che sono lontaniquaranta o cinquanta leghe da qui, e che il sovrano che vi regnava è morto datrecento anni, cosicché la menzogna non si scopre mai troppo presto. Questisignori che curano con l'acqua si ammalano poi in maggioranza a causa delvino. Insomma, ad essi si potrebbe applicare l'espressione; 'rubano che è una

 benedizione' perché con le benedizioni truffano, trattandosi di genteignorante. E ho notato che quasi tutte le loro formule magiche sono piene disolecismi. Io non so quale virtù abbia il solecismo nell'ottenere un effettocurativo. Alla fine, vada come vada, finiscono qua. Qualcuno è anche un

 brav'uomo, e per essere amico di Dio, ottiene la salvezza per coloro che ha incura: ché persino l'ombra di chi gli è amico può dare la vita. Ma se voletevedere della brava gente, guardate i ciarlatani, che pure sostengono di

 possedere delle virtù».

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Questi si offesero e dissero che le possedevano veramente.

Rispose un diavolo: «Come mai allora non c'è verso di trovare virtù ingente che non fa che soffiare?».

«Basta!», disse un demonio. «Mi sono arrabbiato. Andate nel repartodegli sbirri delatori, che vivono di soffiate».

Ci andarono, anche se di malavoglia. Scesi altri scalini per vederecoloro che secondo Giuda erano peggio di lui e mi imbattei in uno stanzone

 pieno di dissennati, che i diavoli confessavano senza riuscire a capirli e aconversare con essi. Erano astrologhi e alchimisti, carichi di forni, crogiuoli,fanghiglie, minerali, scorie, corni, sterco, sangue umano, polveri ealambicchi. Da una parte calcinavano le loro materie, da un'altra le lavavano,da un'altra ancora le scomponevano, e più oltre le purificavano. Un tiziostava fissando il mercurio sul martello, e avendo ridotto la parte vischiosa efatto evaporare la parte aerea, che era il corruttivo del fuoco, nel momento incui arrivava alla coppella il composto se ne andava in fumo. Altridiscutevano se si dovesse fare il fuoco con lo stoppino o se per fuoco o nonfuoco di Raimondo doveva intendersi quello della calce oppure quello dellaluce effettiva del calore, e non del calore effettivo del fuoco. Altri ancora, colsegreto di Ermete davano principio all'opera magna, e da un'altra partevedevano già il nero bianco e aspettavano che diventasse rosso. Eaggiungendovi il principio di natura «con la natura si accontenta la natura econ essa stessa la si aiuta» gli altri loro oracoli ciechi aspettavano lariduzione della prima materia, e in conclusione, riducevano il loro sangueall'estrema putrefazione; e invece di tramutare lo sterco, i capelli, il sangue

umano, i corni e le scorie in oro, tramutavano l'oro in sterco, sprecandolostoltamente. Oh, quante grida ascoltai sul padre morto e quante volte l'hanresuscitato e sono tornati a ucciderlo! E come furibondi urlavanonell'intendere le parole tante volte citate dagli scrittori d'alchimia!

«Oh, rendiamo grazie a Dio, che da ciò che è più vile al mondo ci permette di ricavare una cosa tanto preziosa».

 Nel decidere quale fosse la cosa più vile si accaloravano. Uno sosteneva

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di averla già trovata, e se la pietra filosofale la si doveva fare con la cosa piùvile, era inevitabile usare gli sbirri. Li avrebbero cotti e distillati lì per lì, se

un altro non avesse obiettato che erano composti di troppa aria perché se ne potesse fare una pietra, la quale non poteva essere composta di una materiatanto vaporosa. E così decisero che la cosa più vile del mondo erano i sarti,

 perché si dannavano ad ogni punto e avevano una costituzione più compatta.Si sarebbero buttati su di essi se un diavolo non avesse detto: «Volete saperequal è la cosa più vile? Gli alchimisti. Per fare la pietra è necessario bruciarvitutti».

Dettero loro fuoco; ed essi si lasciavano bruciare quasi volentieri, senon altro per vedere la pietra filosofale.

Sul lato opposto, non era minore la folla degli astrologi e deisuperstiziosi. Un chiromante prendeva la mano agli altri dannati e diceva:«Come si vede chiaramente dal monte di Saturno che costui doveva esserecondannato!».

Un altro, che stava a quattro zampe, e con un compasso misurava ledistanze e rilevava le stelle, circondato da effemeridi e tavole, si alzò e gridò:«Dio mio! Se mia madre mi avesse partorito mezzo minuto prima, mi sareisalvato, perché Saturno, in quel punto, cambiava aspetto e Marte passavanella casa della vita, lo Scorpione aveva perso il suo influsso negativo, ed ioinvece di fare il procuratore sarei diventato un povero mendicante».

Un altro, dietro di lui, pregava i diavoli che lo tormentavano diverificare se era davvero morto; secondo lui, non poteva essere, giacché

aveva Giove per ascendente e Venere nella casa della vita, senza alcunaspetto negativo, e pertanto doveva vivere per forza fino a novant'anni.

«Attenzione!», diceva. «Vi invito ufficialmente a controllare bene sesono defunto, perché per conto mio è impossibile». E ritornava sempre suquesto punto, senza che nessuno riuscisse a smuoverlo. Per emendare la folliadi questi, intervenne un altro geomantico, e nel rigoroso rispetto della scienzafece le sue dodici case governate dall'impulso della mano e le linee a

imitazione delle dita, dicendo orazioni e parole superstiziose. Quindi, dopo

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aver sommato i suoi pari e dispari, e aver chiamato in causa giudici etestimoni, si apprestò a dimostrare che l'astrologo più infallibile era lui. E se

avesse detto puntiglioso avrebbe detto bene, perché la sua è una scienza di punti, come la calza, senza nessun fondamento; anche se ciò dispiace a PietroAbano, che era uno dei presenti e che accompagnava Cornelio Agrippa,famoso mago, il quale con un'anima sola ardeva in quattro corpi delle sueopere maledette e scomunicate.

Dietro di lui vidi, con la sua Poligrafia e la sua Steganografia, l'abateTritemio, sazio di demoni, di cui sembra che in vita fosse molto ghiotto; era

molto arrabbiato con Cardano, che gli stava di fronte, per il fatto che questiaveva parlato male di lui e negli scritti De subtilitate aveva saputo essere, per tutti gli incantesimi da vecchia megera che vi aveva inserito, più menzognerodi lui.

Altrove, Giulio Cesare Scaligero si stava tormentando sulle sue Esercitazioni, ed era punito per le vergognose menzogne che aveva scritto suOmero e per le testimonianze che usò contro di lui per innalzare, diventatoidolatra di Marone, altari a Virgilio.

Stava ridendo di se stesso Artefio con la sua arte magica, mentre preparava tavolette per decifrare il linguaggio degli uccelli; e Mizaldo eramolto triste e si strappava la barba, perché dopo tanti esperimenti bizzarri nonriusciva a trovare nuove sciocchezze da scrivere.

Teofrasto Paracelso si lamentava del tempo sprecato con l'alchimia; maera contento di avere scritto di medicina e di magia, senza che nessuno

capisse, e di avere riempito le tipografie di detti maliziosi, oltre che di acuteosservazioni.

E dietro a tutti c'era Hubequer l'accattone, vestito dei cenci di quantiscrissero menzogne e volgarità, magie e superstizioni, con il suo libro ridottoa un'accozzaglia di mori, pagani e cristiani. Era presente anche l'autoresegreto della Clavicula Salomonis, ovvero colui che gli attribuì i sogni. Oh,come ardeva, burlandosi delle vane e sciocche preghiere, l'eretico che scrisse

il libro Adversus omnia pericula mundi!

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 Come bruciavano bene Catan e le opere di Races! C'era Taisnerio col

suo libro sulle fisionomie e sulle mani, che scontava la pena per aver fattoimpazzire molte persone conle sue assurdità e le sue linee, pur sapendo, il

 briccone, che non si possono trarre conclusioni dal viso di coloro che per timore o per impossibilità non mostrano le loro inclinazioni e le reprimono,ma soltanto dai visi e dalle espressioni di prìncipi e signori, che non dovendosottostare a nessuno possono mostrare le proprie inclinazioni senza alcuntimore.

C'era poi Eilardo Lubino, coi suoi visi umani e i suoi bruti, chericercava corrispondenze tra visi e abitudini.Quanto a Scoto, l'italiano, non lo trovai lì in qualità di stregone e mago,

ma di bugiardo e imbroglione.

Ce n'eranoancora tanti, e se ne aspettavano certamente molti altri, perché diversi campi erano ancora vuoti. E

di tutti questi autori, detenuti come stregoni, nessuno meritava di esserelì quanto alcune splendide donne, i cui volti soltanto furono nel mondo [...]veri incantesimi. Soltanto le donne infatti sono il veleno della vita, poichéalterando le potenze dell'anima e offendendone gli organi, sono la causa per la quale la volontà vuol ritenere buono ciò che l'immagine rappresenta comescandaloso.

Vedendo questo, mi dissi: «Ormai stiamo arrivando, credo, nel quartieredi chi è peggio di Giuda».

Accelerai il passo e alla fine arrivai in un luogo che, senza il favore delcielo, non avrei potuto dire com'era fatto. Alla porta stava la giustizia di Dio,spaventosa, e alla seconda entrata il vizio vergognoso e superbo, la maliziaingrata e ignorante, l'incredulità audace e cieca, la disubbidienza bestiale esfrenata. Anche la bestemmia stava là, insolente e tiranna, piena di sangue,latrando con cento bocche e vomitando veleno, gli occhi armati di fiammeardenti.

Grande orrore mi fece la soglia. Entrai e vidi sulla porta la moltitudine

degli eretici prima della nascita di Cristo.

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C'erano gli ofidici, così chiamati ingreco per il serpente che ingannòEva, e che essi venerarono poiché ci fece conoscere il bene e il male. C'erano

i Cainiani, che esaltavano Caino poiché, dicevano, essendo figlio del male, prevalse con la sua forza contro Abele. C'erano i Sethiani, seguaci di Seth.C'era Dositeo, che ardeva in un forno; aveva sostenuto che si dovesse vivereseguendo la carne, non aveva creduto nella resurrezione e si era quindi

 privato (di tutte le bestie il più ignorante) di un bene immenso. Quand'ancheavesse ragione, se davvero fossimo soltanto animali, per trovare consolazionenella morte dovremmo comunque illuderci di essere eterni. Così Lucano, per 

 bocca d'altri, definisce coloro che [...] credono nell'immortalità dell'anima:

'Felices errore sua', felici nel loro errore. Se così fosse, se coi loro corpimaledetti morissero anche le anime, pensai, l'uomo sarebbe l'animale a cuiuDio ha dato meno intelligenza, poiché capisce al contrario la cosa piùimportante e si aspetta l'immortalità. Ne deriverebbe che la natura ha dato lavita per mantenerla nella più grande miseria; ma Dio non può volere tuttoquesto e chi segue questa opinione non crede in lui. C'era poi, crocifisso, ilcapo dei Sadducei. I Farisei stavano aspettando Cristo, non in quanto Dio main quanto uomo. C'erano gli eliognostici, devictiaci, adoratori del sole; ma i

 più simpatici sono quelli che venerano le rane, che furono il flagello delfaraone, il castigo mandato da Dio. C'erano i musoriti, che a furia di topid'oro riducevano a topaia l'arca santa.

C'erano quelli che adoravano la mosca accaronita: Ozia, colui che vollechiedere salvezza a una mosca prima che a Dio, per la qual cosa Elia locastigò. C'erano i trogloditi, quelli della fortuna del cielo, quelli di Baal, diAstarte, dell'idolo Moloch e Renfan, dell'ara di Tofet; i puteoriti, eretici estividei pozzi, quelli del serpente di metallo.

Sopra tutti risuonavano il frastuono e i pianti delle giudee che, sottoterra, nelle grotte, piangevano sul simulacro di Thamuz. Seguivano i bahaliti,

 poi la Pitonessa conle braccia volte al cielo, e dietro quelli di Astarte e diAstaroth; e infine quelli che aspettavano Erode e che perciò si chiamanoErodiani. Li considerai tutti pazzi e mentecatti.

Poi giunsi dagli eretici dopo Cristo. Vidi (spettacolo straordinario)

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Tertulliano che fece concorrenza agli Apostoli per quattordici anni, prima diOrigine, apostata dottissimo, tormentato dai suoi errori e convinto di se

stesso.Mi avvicinai e vidi che davanti a lui c'erano molte persone, come

Menandro e Simon Mago, suo maestro. C'era Saturnino, che inventavaspropositi; c'era il maledetto eresiarca Basilide, c'era Nicola d'Antiochia,Carpocrate e Cerinto e l'infame Ebione. Poi sopraggiunse Valentino, chemise a principio di tutto il mare e il silenzio.

Menandro, il fanciullo di Samaria, diceva di essere il Salvatore e di

essere caduto dal cielo; per imitarlo, Montano frigio diceva di essere ilParacleto. Dopo di questi venivano le sventurate eresiarche Priscilla eMassimilla. I loro seguaci si chiamarono catafrigi, e furono così pazzi daaffermare che su di essi e non sugli apostoli era disceso lo spirito santo.

C'era il vescovo Nepos, per il quale la mitra fu ignominia, cheaffermava che i santi dovevano regnare mille anni sulla terra, assieme aCristo, nella lascivia e nel lusso. Seguiva Sabino, prelato eretico ariano, chenel concilio di Nicea chiamò idioti coloro che non seguivano Ario. Poi, in unluogo miserabile, ardevano per sentenza di Clemente, il massimo ponteficeche succedette a Benedetto, i templari, che in principio a Gerusalemme furonsanti e poi, corrotti dalle ricchezze, diventarono idolatri e dissoluti.

E che cosa fu vedere Guglielmo, l'ipocrita di Anversa, che fattosi patrono di sgualdrine preferì le prostitute alle donne oneste e la fornicazionealla castità! Ai suoi piedi giaceva Barbara, moglie dell'imperatoreSigismondo, che giudicava sciocche le vergini, poiché ce n'eran troppe. E

 barbara come il suo nome, facendo da imperatrice ai diavoli, mai sazia didelitti né stanca - e in questo volle superare Messalina - sosteneva che l'animamoriva col corpo, e altre cose degne del suo nome.

Lasciai questa gente e mi diressi in un'altra zona, dove in un angologiaceva una persona sola, molto sporca, senza un calcagno in meno e con unacicatrice sulla faccia, carico di sonagli, che ardeva e bestemmiava.

«Chi sei tu», gli chiesi, «che appari di tanti malvagi ilpeggiore?»

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 «Sono Maometto», disse.

Lo dimostravano il suo aspetto, la ferita e i sonagli da mulattiere.

«Tu sei», dissi, «l'uomo più malvagio che il mondo abbia mai avuto, ecolui che più anime ha portato qui».

«Sto pagando tutto», disse. «E intanto quegli sventurati degli africanistanno adorando il mio calcagno, l'osso che qui mi manca».

«Furfante, perché hai vietato il vino alla tua gente?».

Rispose: «Perché, se dopo le ubriacature che procuravo col mio Coranoavessi permesso quelle del vino, sarebbe stata tutta una sbronza».

«E la carne di maiale, perché l'hai vietata, cane schiavo, discendente diAgar?»

«L'ho fatto per non fare uno sgarbo al maiale, perché sarebbe statofargli uno sgarbo mangiare i lardelli bevendo acqua, anche se personalmentemi sono sempre concesso tanto il vino che la pancetta. E tanto detestavo chicredeva in me che gli ho tolto la gloria dell'aldilà, e il prosciutto e la botte invita. Negli ultimi tempi ho ordinato che la mia legge non venisse difesamediante la ragione, perché non vi è nessuna ragione né per obbedirla né per sostenerla; l'ho affidata alle armi, procurando al mio popolo sedizioni per l'intera esistenza. E il fatto che mi segua tanta gente non è in virtù di miracoli,

ma solo perché accordo le leggi agli appetiti, consentendo di cambiar didonna, e in via eccezionale, licenziosità di altro genere; in questo modo tuttimi seguono. Il male, tuttavia, non finisce con me; volgi lo sguardo da quella

 parte e vedrai quanta gente onorata!»

Guardai e vidi tutti gli eretici del nostro tempo, compreso Manicheo.Oh, quanti calvinisti vidi che graffiavano Calvino! E tra questi il principaleera Giuseppe Scaligero, per quella punta di ateismo che aveva e per essere

stato blasfemo, sbloccato, fatuo e senza giudizio. In testa c'era il maledetto

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Lutero, col suo cappuccio e le sue donne, gonfio come un rospo e bestemmiante, e Melantone che si mangiava lemani per le sue eresie.

C'era il rinnegato Beza, maestro di Ginevra, che leggeva seduto soprauna cattedra di pestilenza; mi venne da piangere nel vedere il dottissimoEnrico Stefano. Gli chiesi non so cosa a proposito della lingua greca; ma lasua, di una lingua, era in tale stato che poté rispondermi soltanto con bramiti.

«Mio Dio!», dissi avvicinandomi a Lutero. «[...] uomo cattivo, per nondire [...] cattivo frate, come hai osato dire che non si dovevano adorare le

immagini, se in esse non adoriamo altro che quella grandezza spirituale cheai nostri occhi esse rappresentano? Se dici che per ricordarti di Dio non tiservono immagini, hai ragione; esse non hanno questo scopo ma voglionosoltanto commuoverti attraverso la rappresentazione dell'essere divino cheadoriamo e del Signore che amiamo sopra ogni cosa. Così fanno gliinnamorati, che non portano con sé il ritratto della loro donna per ricordarsidi lei, poiché già il ricordarsi di avere un ritratto da guardare presuppone chedi lei ci si ricordi, ma per godere di quella parte del bene assente che è loroconcessa. Dici anche che Cristo pagò per tutti, e che non dobbiamo far altroche vivere come vogliamo, perché colui che ha fatto noi senza di voi salverànoi senza di noi. D'accordo che ha fatto noi senza di noi, ma una volta che ciha fatto, lo addolora che noi distruggiamo la sua opera, macchiamo la sua

 pittura e cancelliamo la sua immagine. E se, come rico nosci, egli scorse nel primo uomo un peccato tanto grande che, spinto dall'amore, morì per cancellarlo, come puoi dire che colui che tanto soffrì per i nostri peccati siamorto per darci la libertà di peccare? E

se Cristo morì e soffrì per mostrarci quanto un peccato ci costi e quanto

lo si debba fuggire, da che cosa deduci che morì per darci licenza di compieredelitti? È vero che si sacrificò per tutti; ma non dobbiamo forse perseverare?Sei in errore, poiché ci dobbiamo impegnare per non cadere in altri peccati e

 per pagare i delitti commessi. Dio, che tanto si offese per un solo peccato,quando non gli dovevamo che la creazione, potrà non risentirsi per le nostrecolpe, ora che gli dobbiamo una redenzione che tanta sofferenza gli costò?Mi meraviglio, Lutero, che tu non sappia nulla. A che cosa ti sono servite letue letture e la tua intelligenza?»

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Altro gli avrei detto, se non mi avesse intenerito la sventurata situazionein cui si trovava [...] impiccto, soffrendo la sua pena, Elio Eobano Hesso,

celebre poeta, avversario del maledetto Melantone. Oh, come piansi el vedereil suo viso torpido, ferito e tumefatto, e gli occhi vituperati dalle fiammeò

 Non potei far altro che sospirare.

Mi affrettai ad uscire da quel recinto e giunsi davanti a una galleriadove stava Lucifero, circondato da diavolesse, poiché anche fra i diavoli cisono maschi e femmine. Non vi entrai perché non ebbi il coraggio disopportare il suo aspetto mostruoso; dirò soltanto che una galleria come

quella, tanto ordinata, non si è mai vista sulla terra, perché era tuttatappezzata da imperatori e re, tanto vivi laggiù quanto morti da noi. Vidi tuttoil casato ottomano, i re di Roma nel loro ordine. Cercai gli spagnoli, ma nonvidi nessuna corona spagnola; non so dire quale fu la mia contentezza.

Vidi graziosissime scene: Sardanapalo che filava la lana, Eliogabalo chemangiava leccornie, Sapore che si imparentava col sole e le stelle. Viriatoinseguiva i Romani col bastone; Attila metteva a soqquadro il mondo;Belisario, cieco, accusava gli Asteniesi e Giulio Cesare chiamava traditoriBruto e Cassio. Il malvagio vescovo Don Oppas e il conte Don Giuliano, ohcome calpestavano la loro patria e si macchiavano di sangue cristiano!

Incontrai molti altri dannati, di tutte le nazioni, quando arrivò il custodee mi disse: «Lucifero ti ordina, peché tu abbia cose da raccontare nell'altromondo, di andare a trovarlo nel suo studiolo».

Entrai. Stava in un locale bizzarro e pieno di bei gioielli. C'erano sei o

settemila cornuti e altrettanti sbirri in decomposizione.

«Siete qui?», esclamai. «Per tutti i diavoli, come potevo trovarvi nelresto dell'inferno se eravate tutti qui?»

C'erano barili di medici, e moltissimi cronisti di corte, pezzi pregiaticostoro e tutti adulatori dello stesso stampo, e muniti di licenza. Ai quattroangoli bruciavano a guisa di torce quattro perfidi inquisitori. E tutte le

mensole

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[a...] erano piene di vertigini, appese a testa in giù, come tante tazze.

Disse il demonio: «Sono donzelle arrivate all'inferno con la verginitàstantia, e le conserviamo come delle rarità».

Seguivano i questuanti, che portavano tonache diverse secondo la loroattività, e ce n'erano molti di quelli che chiedono soldi per far dir messe insuffragio delle anime, e quel che ricevono lo spendono in vino, ma senzaessere sacerdoti. C'erano madri finte, e zie che facevano commercio dellenipoti, e perfino suocere mezzane delle loro nuore, distribuite tutt'attorno

come mascheroni. Sopra un piedestallo c'era Sebastiano Gertel, che inGermania fu generale e combatté contro l'imperatore, dopo essere stato suoalabardiere, mentre fu taverniere a Roma e ubriacone dappertutto.

 Non finirei più se dovessi raccontare quel che vidi nella stanzetta. Usciifuori e rimasi tutti sconvolto ripetendo fra me e me i fatti che ho raccontato.Chiedo soltanto a chi li leggerà di farlo in modo che il credito che ad essiconcederà gli sia di profitto per non vedere né sperimentare questi luoghi.Assicuro che non ho voluto con questo mio scritto destare scandalo ocondannare nessuno, se non i vizi, per i quali gli uomini si dannano evengono dannati; voglio dire che il parlare di coloro che stanno all'inferno,non scalfisce minimamente i buoni. Terminai questo discorso al Fresno, sulfinire dell'aprile del 1608, all'età di ventotto anni.

Sub correctione Sanctae Matris Ecclesiae.

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IL MONDO DAL DI DENTRO

 A Don Pedro Girón, duca di Osuna 

Questa è la mia opera. Vostra Eccellenza sarà d'opinione, è chiaro, checosì com'è, essa non è fatta per innalzarmi al cielo. Ma poiché non pretendoche di avere un nome in questo mondo e, quel che più importa, di servire

vostra eccellenza, ve la invio perché [...] da grande principe le facciate onore.Essa riceverà in tal modo le debite correzioni.

Conceda Iddio a vostra eccellenza la sua grazia, e la salute, poiché giàavete meritato il resto con la vostra virtù e la vostra grandezza.

Dal paese, il 26 aprile 1612

Don Francisco Quevedo Villegas

 Al lettore,

come Iddio me lo fornisce, candido o purpureo,

 pio o crudele, benigno o senza rogna 

È cosa risaputa, così la pensano Metrodoro Chio e molti altri, che nulla

si sa e che tutti sono ignoranti. Enemmeno questo si sa per certo: perché se si sapesse, già si saprebbe

qualcosa; in realtà, lo si sospetta. Così sostiene il dottissimo FranciscoSánchez, medico e filosofo, nel suo libro dal titolo «Nihil scitur»: non si sanulla. Al mondo vi sono alcuni che non sanno niente e studiano per sapere, ecostoro hanno buone intenzioni ma si applicano vanamente, poiché alla finfine tutto il loro studio li conduce a concludere che ignorano la verità. Altriinvece non sanno niente e non studiano, perché pensano di sapere tutto. Fra

questi, ve ne sono di incorreggibili: bisogna invidiarne l'ozio e compiangerne

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l'intelletto. Altri ancora non sanno niente e dicono di non sapere niente perché in realtà pensano di sapere qualcosa; ma la verità è che non sanno

niente e dovremmo allora credere alla loro confessione per castigarnel'ipocrisia.

Ma i peggiori sono quelli, e nel numero mi ci metto anch'io, che nonsanno niente e non vogliono sapere niente, né credono che si possa saperequalcosa; essi dicono che gli altri non sanno niente e gli altri dicono di loro lastessa cosa, e nessuno mente. E non avendo in fatto di scienza e di lettereniente da perdere, essi osano trarre alla luce e stampare tutto ciò che gli vienein mente. Costoro dan lavoro alle tipografie, mantengono i librai, costringono

i curiosi a spendere quattrini e alla fine sono utili ai droghieri. Essendo io unodi loro, e non dei più ignoranti, non contento di aver sognato il GiudizioUniversale, di aver fatto indemoniare uno sbirro e, ultimamente, di aver descritto l'inferno, ora salto fuori senza un buon motivo (ma non importa,questa non è una canzone) con  Il Mondo dal di dentro. Se lo gradirai e tisembrerà buono, ringrazialo per quel poco che ti riesce, giacché ti accontentidi una misera cosa. E se ti sembrerà brutto, dai la colpa alla mia ignoranzanello scriverlo e alla tua nell'aspettarti altra cosa da me. Dio ti liberi, o lettore,dai prologhi lunghi e dagli orrendi epiteti che ti affibbiano gli scrittori nelleloro dediche.

Il nostro desiderio va sempre pellegrino fra le cose di questa vita, e convana sollecitudine corre dall'una all'altra senza trovar né patria né riposo. Sialimenta e si distrae con la loro varietà, sua occupazione è l'appetito, e ciò per ignoranza. Perché se conoscesse le cose fin dal momento in cui, ansioso eaffamato, le ricerca, le avrebbe in orrore, come quando pentito le disprezza. E

 bisogna considerare la grande forza che esso ha, perché promette e fa credereche i piaceri e i diletti siano meravigliosi, che invece lo sono soltanto finchéli ricerchiamo: e quando si arriva a possederli, nessuno ne è contento. Ilmondo, che sa come è fatto il nostro desiderio, per lusingarlo gli si ponedavanti mutevole e vario, poiché la novità e la diversità sono l'ornamentochepiù ci attrae. Così facendo, solletica i nostri desideri, li trscina con sé edessi trascinano noi.

Valga per tutte l'esperienza che ho fatto: proprio quando la loro

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conoscenza avrebbe dovuto farmi più avvertito, mi son trovato in balìa dellaconfusione, posseduto dalla vanità inmaniera tale che, sperduto nella gran

folla del mondo, ricercavo di volta in volta la bellezza dove gli occhi micnducevano o la conversazione dove trovavo amici: da una strada all'altra,diventato la favola di tutti. E invece di desiderare l'uscita dal labirinto, facevoin modo che aumentasse l'inganno. Già correvo lungo la china dell'ira, senzacontrollo, calpestando sangue e ferite; già, lungo quella della gola vedevo glialtri rispondere turbati ai miei brindisi. Me ne stavo dunque andando da unastrada all'altra, ed erano infinite, talmente confuso, che lo stupore ancora nonlasciava posto alla stanchezza, allorché chiamato da grida scomposte e

sentendomi tirare ostinatamente il mantello, mi volsi.

Vidi un vecchio, venerabile per i suoi capelli bianchi, con un vestitoconsunto, rotto in mille punti e gualcito.

 Non per questo era ridicolo: anzi aveva un aspetto severo e degno dirispetto.

«Chi sei» gli chiesi, «tu che sembri tanto invidioso dei miei piaceri?Lasciami. Voi anziani disprezzate sempre dei giovani le gioie e i diletti, chenon per volontà avete abbandonato ma che con la forza il tempo vi sottrae.Tu parti, io arrivo. Lasciami godere e vedere il mondo».

Smentendo un tale atteggiamento, egli disse ridendo: «Non ostacolo néinvidio ciò che desideri: mi fai pena.

Sai tu per avventura quanto vale un giorno? Ti rendi conto del prezzoche ha un'ora? Hai esaminato il valore del tempo?

Certamente no, dal momento che tanto spensieratamente lo lasci pasare,

derubato dall'ora che, fuggitiva e silenziosa, te lo porta via, preziosissima preda. Chi ti dice che ciò che è stato tornerà, quando ne avrai bisogno e lochiamerai?

Dimmi: Hai mai visto impronte lasciate dai giardini? No, certamente, poiché i giorni si voltano indietro soltanto per ridere e burlarsi di coloro che lilasciarono passare così. Sappi che la morte e i giorni sono due anelli dellastessa catena e che quanto più trascorrono i giorni che hai davanti tanto più tiavvicinano alla morte e la traggono verso di te; spesso si crede di aspettarla e

lei è già arrivata, e a giudicare dalla vita che fai, essa verrà prima che tu te ne

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accorga. Considero stolto chi per tutta la vita muore di paura pensando chedovrà morire e spregevole chi vive senza alcuna paura di morire, come se la

morte non ci fosse. Costui incomincia a temerla quando già la sente, e vintodal timore non trova né un rimedio alla vita trascorsa né una consolazione nelfatto che sta per finire. Saggio è soltanto chi vive ogni giorno come se in ognigiorno e in ogni ora dovesse morire».

«Le tue parole sono efficaci, buon vecchio. Mi hai restituito l'anima chevani desideri mi avevano rapito. Chi sei, da dove vieni e che fai da queste

 parti?»

«Il mio aspetto e il mio vestire dimostrano che sono un uomo dabbene eun amico della verità, non altro vuol dire il mio aspetto cencioso ecagionevole: la cosa peggiore che ti sia capitata nella vita è di non aver maivisto fino ad oggi il mio viso. Io sono il Disinganno. Questi squarci nelvestito sono l'effetto degli strattoni che mi danno coloro che nel mondosostengono di volermi bene, e questi lividi sul viso sono i segni dei colpi edei calci che al mio arrivo mi vengono inferti, o perché sono giunto o perchéme ne vada. Nel mondo dite tutti di volere il disinganno, e quando ce l'avete,o vi disperate, o maledite chi ve l'ha dato; e i più cortesi di voi non ne hannocoscienza. Figlio mio, se vuoi vedere il mondo, vieni con me; ti condurròsulla strada maestra, dove passano tutti i personaggi; lì, senza stancarti,troverai riuniti coloro che qui vanno divisi. Ti mostrerò il mondo com'è:

 perché ora non riesci a vederne che l'apparenza».

«E come si chiama» chiesi «la strada maestra che dobbiamo percorrere?»

«Si chiama Ipocrisia» rispose. «È una strada che è nata col mondo e colmondo terminerà, e non c'è nessuno che in essa non abbia, se non una casa,almeno un appartamento o una stanzetta. Alcuni vi abitano, altri sono di

 passaggio, perché ci sono molte specie di ipocriti; ma tutti quelli che incontrilì lo sono. E vedi quel tale che si guadagna il pane facendo il sarto e si vestecome un hidalgo? È un ipocrita, e nei giorni di festa si camuffa con il raso, ilvelluto, il cintillo e la catena d'oro, per non farsi riconoscere da forbici, aghi e

gessetto, e pare così poco sarto che sembra quasi dire la verità».

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 «Vedi quell'hidalgo, in compagnia di quel tipo che sembra un cavaliere?

Ebbene, se vivesse secondo le sue possibilità, non dovrebbe farsiaccompagnare; ma siccome è un ipocrita e vuol sembrare quello che non è, siatteggia a gentiluomo, e per mantenere un lacché non mantiene fede né aquello che dice né a quello che fa, visto che non mantiene la parola e non

 paga il lacché. E la nobiltà e il titolo gli servono soltanto da pontefice quandodeve sciogliere i matrimoni che egli contrae con i suoi debiti: giacché è piùsposato con questi che con sua moglie. Tal gentiluomo, per diventare'signoria', non si è sottratto a nessuna pratica, ha cercato di essere Venezia,

senonché avrebbe dovuto fondarsi sull'acqua e non sull'aria. Per sembrare unsignore, pratica la caccia col falcone, che con tutte le spese che comporta, prima uccide per fame il suo padrone, poi il ronzino sul quale lo trasportano,e alla fine, se va bene, una cornacchia o un nibbio».

«E nessuno è quello che sembra: il signore si impegna in azioni dagrande nobile, il grande nobile scimmiotta

[...] le azioni del Re. E che dire poi dei saggi? Vedi quella faccia dafunerale? Ebbene, è un mentecatto; ma volendo sembrar saggio ed essereconsiderato tale, ostenta di avere poca memoria, si lamenta per certe suemalinconie, vive scontento e sostiene d'essere malandato; ed è un ipocrita,

 perché sembra ragionevole ma è un mentecatto. Non t'accorgi che i vecchi,con le loro ipocrite barbe, coi capelli bianchi nascosti sotto la tintura,vogliono in tutto sembrare dei giovanotti? Non vedi che i bambini si

 permettono di dar consigli e si considerano saggi? Vedi dunque che tutto èipocrisia».

«Nei nomi delle cose non vi è forse la maggiore ipocrisia di questomondo? Il ciabattino si chiama artigiano della scarpa. Il bottaio, sarto delvino, perché gli confeziona l'abito. Il mulattiere, gentiluomo della strada.L'osteria, ritrovo. L'oste, coppiere. Il boia si chiama giustiziere e lo sbirroservo della giustizia. Il truffatore, uomo abile; il locandiere, padrone di casa;la bettola, cantina; il bordello, casa; le prostitute, signorine, e le tenutarie,direttrici; i cornuti, uomini onorati. Il concubinato si chiama amicizia, l'usurafavore, la truffa gioco, la menzogna scherzo, la malizia garbo, la malvagità

disattenzione, l'insolente valoroso, il fannullone uomo di corte, e i negri si

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chiamano bruni; mastro vien chiamato il sellaio e dottore il parolaio. Essi nonsono quel che sembrano né quel che son chiamati: ipocriti di nome e di

fatto».

«E poi quanta facile generalizzazione! Qualsiasi furbastra è una bellasignora, qualsiasi abito lungo un laureato, qualsiasi gaglioffo un soldato,chiunque sia ben vestito un nobile, qualsiasi frate converso o giù di lì suareverenza o padre eccellentissimo, qualsiasi scrivano un segretario».

«L'uomo è dunque tutto menzogna, da qualunque parte lo si guardi, a

meno che, ignorante come sei, tu creda alle apparenze. Vedi i peccati? Ancheloro sono ipocrisia; con questa iniziano e finiscono, e da questa nascono e sialimentano l'ira, la gola, la superbia, l'avarizia, la lussuria, l'accidia,l'omicidio ed altri mille vizi».

«Come puoi dirlo, o dimostrarlo, dal momento che i vizi sono tanti etutti diversi?».

«Non mi stupisco che ignori questa verità, perché pochi la conoscono.Ascolta bene e capirai facilmente; ti sembra un'affermazione contraddittoria,ma vedrai che ben si conviene. Tutti i peccati sono cattivi, questo lo ammettifacilmente. E ammetti anche, con i filosofi e i teologi, che la volontà insegueil male sotto le sembianze del bene, e che per peccare non bastano larappresentazione dell'ira e la conoscenza della lussuria, ma occorre ilconsenso della volontà; il peccato, per essere tale, non ha bisogno di essereattuato (ciò lo rende soltanto più grave), anche se a questo riguardo vi sonomolte differenze. Visto e capito questo, è chiaro che ogni volta che si

commette un peccato, la volontà lo accetta e lo desidera; e non può, data lasua natura, che esserne stata attratta in ragione di qualche vantaggio. Maquale ipocrisia è più chiara e indiscutibile di quella che si ammanta di un

 bene apparente per uccidere con l'inganno? Qual è la speranza dell'ipocrita?si chiede Giobbe. Nessuna, perché non può averla né per quello che è,essendo malvagio, né per quello che sembra, in quanto lo sembra ma non loè. Nessun peccatore è più sfrontato dell'ipocrita, perché il primo pecca controDio, ma non con Dio e in Dio, mentre l'ipocrita pecca contro Dio e con Dio,

 perché usa Dio come strumento per peccare. E perciò Cristo, che sapeva chi

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erano gli ipocriti e li disprezzava sopra tutti, dopo tanti insegnamenti positivine diede ai suoi discepoli uno in negativo, dicendo loro: 'non siate come i

tristi ipocriti' (  Matteo, VI). Con insegnamenti e similitudini insegnò lorocome dovevano essere: ora come la luce, ora come il sale, ora come l'invitato,ora come l'uomo dei talenti; e quello che invece non dovevano essere, tutto loracchiuse nell'ammonimento 'non siate come i tristi ipocriti', volendo dunquedire che se non si è ipocriti non si è malvagi in nessun modo, perché l'ipocritaè malvagio in tutti i modi».

Con queste parole arrivammo alla strada maestra. Vidi passare tutti

coloro che il vecchio mi aveva annunciato.Ci mettemmo in un punto adatto ad osservare quel che accadeva. Passòun funerale fatto in questo modo. Venivano prima di tutti alcunimascalzoncelli, avvolti in tuniche di vari colori, vivace mosaico di messi diconfraternita. Tutto il branco passò, agitando i campanelli come per incensare. Dietro venivano i fanciulli della dottrina, paggi della morte elacché della bara, urlando le loro litanie; poi gli Ordini religiosi, seguiti a

 passo lento dai chierici che galoppando sui responsori facevan più brevi icanti per non consumare tutte le candele e avere il tempo di seppellirne unaltro.

Venivano poi dodici gaglioffi, ipocriti della povertà, con dodici ceri,che accompagnavano il corpo e proteggevano quelli della sporta, i quali nel

 portare a spalla la defunta attestavano quanto fosse pesante. Li seguiva unalunga processione di persone, gli amici che nella tristezza e nel luttoaccompagnavano il vedovo, che annegato in un cappuccio di baietta eavviluppato in un mantello da lutto, il viso perso nella falda del cappello inguisa che non gli si potessero vedere gli occhi, andava lento e fiacco, a passi

curvi, resi difficili dallo strascico, pesante dieci arrobe, che trscinava.

Impietosito da tale spettacolo, esclamai: «Donna fortunata, se maidonna lo può essere nella morte, giacché tuo marito t'accompagna con unafede e un amore che si prolungano oltre la vita e la tomba! E fortunato ilvedovo, che ha amici che condividono il suo dolore e sembrano anzi soffrire

 più di lui! Guardali come sono tristi e attoniti!».

Il vecchio, scuotendo la testa, con un sorriso disse: «Sventurato! Questo

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è quanto vedi dal di fuori, questo è ciò che appare; ma ora lo vedrai dal didentro e ti accorgerai quanto veramente l'essere smentisca le apparenze. Vedi

quei lumi, quei campanelli, quei messi di confraternita e tutto quel corteo?Chi non penserebbe che gli uni stiano illuminando qualcosa, che gli altristiano accompagnando qualcosa e che a qualcosa servano una tale sfilata etanta pompa? Devi invece sapere che ciò che sta lì dentro è nulla, perché giàin vita era nulla, e in morte ha smesso di essere anche quello, e adesso non gliserve nulla di nulla; ma anche i morti hanno la loro vanità, i defunti e ledefunte la loro superbia. Lì dentro c'è terra di poco frutto, più spaventosa diquella che calpesti, che di per sé non merita alcun onore, nemmeno di essere

coltivata con l'aratro e la zappa. Vedi quei vecchi che portano i ceri? Ebbene,non ci soffiano sopra perché possano illuminare meglio ma perché, attizzaticontinuamente, si sciolgano in fretta ed essi possano raccogliere più cera davendere. Son questi i servi che assaggiano il defunto o la defunta per contodel sepolcro; prima che questo li intacchi e mangi del tutto, essi gli hanno giàdato un morso, traendone uno o due reali. E la tristezza degli amici la vedi?

Dipende dal fatto che devono partecipare al funerale: sono come invitatifuriosi contro chi li ha invitati, e avrebbero preferito andare a spasso odoccuparsi dei loro affari. Quello che parla gesticolando sta dicendo al suovicino che invitare un amico a un funerale, per di più con una messa cantata,non è cosa da farsi, e che in un funerale soltanto la terra è veramente invitata,

 perché soltanto ad essa si dà da mangiare. Il vedovo non è triste per l'accaduto e la vedovanza, ma perché pensa che avrebbe potuto seppellire lamoglie in un letamaio, senza spese e cerimonie, e invece lo han cacciato inquella baraonda, con spese di confraternita e cera: sta dicendo fra sé e sé chenon le deve molto e che visto che doveva morire avrebbe potuto farlo subito,senza fargli spendere soldi in medici, cerusici e medicine, e non lasciarlo

indebitato a causa degli sciroppi e delle pozioni. Due ne ha già seppellite ed ètanto il piacere che trae dal diventar vedovo che sta già progettando ilmatrimonio con una vecchia conoscenza, e confidando nelle cattivecondizioni e nella vita indemoniata di lei, conta di tener ripiegato ilcappuccio da lutto ancora per poco tempo».

Rimasi sconvolto nell'apprendere questa verità, e dissi: «Come sondiverse le cose del mondo da come le vediamo! Da oggi non darò più credito

ai miei occhi e a niente crederò meno che alle cose che vedrò».

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 Il funerale ci passò davanti, e ci sembrò che passasse in fretta e che al

defunta ci stesse indicando il cammino, e silenziosamente dicesse a tutti:«Vado avanti ad aspettare voi che siete rimasti, e a far compagnia a queglialtri che un dì anch'io vidi passare con la stessa vostra indifferenza».

Ci distolse da questa considerazione il rumore che proveniva da unacasa alle nostre spalle. Entrammo per vedere di che cosa si trattava, e nelmomento in cui si avvertì la nostra presenza incominciò un lamento, a seivoci, di donne che facevano compagnia a una vedova. Il pianto era di buona

qualità, ma scarsamente utile al defunto. Si udiva di tanto in tanto un batter dimani, che sembrava quello degli schiaffi dei disciplinanti. Si sentivanosinghiozzi stiracchiati, pieni di sospiri, sforzati per mancanza di voglia. Lacasa era vuota, le pareti nude. La poveretta stava in una stanza oscura, senzaluce alcuna, adorna di drappi neri, dove si piangeva a tentoni. Alcune donnedicevano: «Amica, piangere non serve a nulla».

Le altre: «È andato di sicuro in cielo».

Una esortava la vedova ad accettare la volontà del Signore.

Lei tirava fuori il fazzoletto e piangendo come una fontana diceva:«Come posso vivere senza Tizio? Me sventurata, che non ho più nessuno sucui posare gli occhi! Chi proteggerà una povera donna sola?».

Allora le altre si mettevano a singhiozzare ed era tutto un risonar di nasida far crollare la stanza. In quel momento capii che le donne con queste

doglianze si purgano, perché dagli occhi e dal naso espellono tutto il maleche hanno dentro. Mi intenerii e dissi: «È una pietà giustificata quella cheabbiamo per le vedove! Perché se una donna è già sola di per sé, una vedovalo è molto di più. Per questo le Sacre Scritture le chiamano mute, prive dilingua. Non altro significa infatti il termine vedova in ebraico. La vedova nonha chi parli per lei, né osa farlo da sola; e quando fosse sola a parlare, sarebbecome se fosse morta o peggio, dal momento che nessuna la sentirebbe. Iddionell'Antico Testamento usò molti riguardi nei loro confronti, e nel Nuovo,

attraverso San Paolo, raccomandò agli uomini che facessero 'come il Signore,

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che dall'alto dei cieli protegge le persone abbandonate e difende gli umili'.'Non voglio i vostri sabati e le vostre festività' disse con le parole di Isaia 'e

distolgo il viso dai vostri incensi; i vostri olocausti mi hanno stancato, detestole vostre calende e le vostre solennità. Purificatevi e rimanete puri,allontanate il male dai vostri desideri, perché io lo vedo. Smettete di agiremale, imparate ad agire bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso,considerate nella sua innocenza l'orfano, difendete la vedova'». Il sermoneandò crescendo da un'opera buona a un'altra altrettanto buona e più gradita alSignore, e stabilì come atto di massima carità la difesa delle vedove. «Ed èscritto, per la Provvidenza dello Spirito Santo, 'difendete la vedova', perché

essendo tale non può difendersi, come s'è detto, e tutti la perseguitano.Ed è opera, questa, tanto gradita a Dio che subito dopo il profetaaggiunge: 'E se lo farete, venite e parlate con me'. E si deve al permesso di

 parlare con lui, concesso da Dio a chi ha agito bene e si è allontanato dalmale, ha soccorso l'oppresso, pensato all'orfano e dato soccorso alla vedova,se Giobbe poté parlare con Dio, libero dalle calunnie che, proprio per aver 

 parlato con lui, avevano diffuso i suoi nemici, chiamandolo temerario edempio; e che lo abbia fatto, risulta dal capitolo 31, dove dice: 'Ho mai negatoai poveri ciò che mi chiedevano? Ho forse costretto gli occhi della vedova adaspettare? che equivale a dire: lei non può manifestare la sua necessità perchéè muta di parole, non d'occhi tuttavia. Tradotto letteralmente il testo ebraicodice: 'ho forse consumato gli occhi della vedova?' poiché non altro fa coluiche non ha pietà di chi chiede aiuto con lo sguardo, non potendo chiederlocon la voce». Dissi al vecchio:

«Lasciatemi piangere questa sventura, e unire le mie alle lacrime diqueste donne».

Il vecchio, alquanto seccato, disse: «Hai fatto vanitosa ostentazione deituoi studi, mostrandoti dotto e teologo quando era necessario mostrarsi

 prudenti, e adesso ti metti a piangere? Non potevi aspettare che te le spiegassiio queste cose, e vedere come meritavano che se ne parlasse? Ma c'è maiqualcuno che sappia trattenere sulla bocca la sentenza già formulata? Sai

 poco, e per di più non sai nient'altro; e se non ci fosse stata la vedova, sarestirimasto con tutta la tua scienza sullo stomaco. Non è filosofo chi sa dov'è iltesoro ma chi scava e lo porta alla luce. E nemmeno costui lo è del tutto, ché

filosofo è soltanto chi, un volta posseduto il tesoro, sa usarlo bene. Che

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importa che tu sappia due aneddoti o due citazioni se non hai l'avvedutezza diservirtene al momento giusto? Ascolta: questa vedova, che di fuori ha un

corpo di litanie, di dentro ha un'anima di allelulia, drappi neri e pensieriverdi. Hai notato che la stanza è buia e i visi sono coperti da manti? Ebbene,la ragione è che, non potendo essere viste, le donne, parlando un po' nel naso,con qualche sputo e qualche singhiozzo rimediato, ti mettono insieme un

 pianto casalingo e finto, gli occhi asciutti come stoppa.Vuoi che si consolino? Allora, lasciale sole e balleranno, non avendo

nessuno da ricevere, e poi le amiche faranno il loro mestiere: 'Se resti sola, ti butti via. Ci sarà pure un uomo disposto ad amarti. Conosci bene il Tale, che

quando saprà della dipartita, eccetera'».

«E un'altra: 'Devi molto a don Pedro, che si è dato da fare in questofrangente. Qualcosa mi dice che. E

sinceramente, se ci fosse qualcosa... sei ancora tanto giovane che saràinevitabile...' E allora la vedova, discreta d'occhi e avara di bocca, dice: 'Nonè il momento per queste cose. Tutto è nelle mani di Dio: ci penserà lui, se loriterrà opportuno'».

«E ti faccio osservare che nel giorno del funerale le vedove mangiano più del solito, perché per rianimarle non c'è donna che non le avvicini e nonoffra loro un sorso, e poi un boccone, che esse mandanogiù dicendo: 'Tuttodiventa veleno'».

«E nel masticare aggiungono: 'Che sollievo vuoi che dia tutto questo auna povera vedova, che era abituata a mangiare in compagnia, che dividevaogni cosa, e ora è così sventurata che dovrà mangiare tutto da sé senza

dividere con nessuno?'»

«Stando così le cose, pensa un po' come vengono a proposito le tueesclamazioni!»

Il vecchio aveva appena finito di parlare, quando fummo attirati dagrida che sembravano affogate nel vino, e che provenivano da una gran folla.Andammo a vedere che cosa stava accadendo. C'era uno sbirro dal naso

avvizzito, privo di copricapo e di mantello, che con un pezzo di bastone in

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mano, il colletto spiegazzato, invocando il soccorso del re e della giustiziainseguiva un ladro, e questi andando alla ricerca di una chiesa (ma non

 perché fosse buon cristiano) correva leggero come gli chiedeva la necessità egli ordinava la paura.

Indietro, circondato dalla gente, c'era lo scrivano, sporco di fango, conla sua cassetta sotto il braccio sinistro, che scriveva sulle ginocchia. Poteicosì osservare che nulla cresce tanto e tanto in fretta come una denuncia nellemani di uno scrivano, poiché per finire una risma di carta impiegò un istante.

Chiesi quale fosse la ragione dello scompiglio. Mi dissero che l'uomoche correva era un amico dello sbirro, a cui aveva confidato non si sa qualesegreto a proposito di un delitto; e lo sbirro, per evitare che lo facesse unaltro, voleva arrestarlo lui. Gli aveva dato una carica di botte ma l'amico gliera sfuggito, e vedendo che arrivava gente, si era affidato ai piedi ed eraandato a render conto delle proprie azioni davanti a un altare.

Lo scrivano stendeva la denuncia mentre lo sbirro con le sue guardie,che sono come i segugi del boia che latrano in continuazione, gli correvanodietro e non riuscivano a raggiungerlo. E il ladro doveva essere moltoleggero, se non lo raggiungevano i sussurroni, che ovviamente correvanocome il vento.

«Come potrà premiare un governo lo zelo di questo sbirro che, per assicurare a me e agli altri la vita, l'onore e i beni, rischia la vita? Costuimerita molto da Dio e dal mondo. Guarda come corre, malconcio e feritocom'è, col viso sporco di [...] sangue, per acchiappare quel delinquente e

toglier di mezzo chi minaccia la pace del paese!»

«Basta» disse il vecchio. «Se non ti si mette un bavaglio, parlerai per tutto il giorno. Sappi che se quello sbirro insegue il ladro, e vuole arrestarlo,non è perché vuole il vantaggio particolare e universale di qualcuno, ma

 perché lo stanno guardando tutti, ed egli si vergogna che in materia di furti cisia qualcuno che gli bagna il naso; per questo fa di tutto per acchiapparlo. Elo sbirro non è colpevole se arresta un amico che è un delinquente, poiché chi

si guadagna il pane col proprio lavoro non agisce male, anzi si comporta bene

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e secondo giustizia. Un malvagio e un delinquente, chiunque siano, fan laricchezza dello sbirro, ed è lecito che egli viva di questo. Gli sbirri fondano il

loro patrimonio sulla frusta e sulla galera, e la loro rendita sulla forca. E credia me, il terreno della virtù è per essi infecondo come per l'inferno. Mi chiedo

 perché la gente, che li odia tanto, non si metta, per vendicarsi, a comportarsi bene di proposito per un anno o due, così morirebbero tutti di fame e distenti. Bisogna dunque rifiutare le occupazioni che traggono il lorosostentamento là dove Belzebù trae il proprio».

«Anche in questo tu trovi l'inganno; ma come lo puoi trovare nello

scrivano, che sta compilando la denuncia con tanto di testimoni?».

«Non farmi ridere» disse. «Hai mai visto uno sbirro senza scrivano?Certamente no. Quando costoro escono a cercarsi da mangiare, per nonmandare qualcuno in galera senza una giusta causa (potrebbe trattarsi di uninnocente) si portan dietro lo scrivano perché la causa gliela intenti. Anche seloro una causa per l'arresto non riescono a trovarla, gliene fornisce una loscrivano, e così tutti vengono arrestati con una causa. E quando ai testimoni,non c'è da preoccuparsi: se ne trovano tanti quante sono le gocce di inchiostronel calamaio. In genere, se l'ufficiale di giustizia è corrotto, è la penna che li

 presenta e la cupidigia che li giudica. E se qualcuno dice la verità, lo scrivanoscrive quel che gli pare, e finge di ripetere quel che il testimone ha detto.Perché il mondo vada come dovrebbe, sarebbe meglio e più importante che ilgiuramento su Dio e sulla croce, che viene chiesto al testimone perché dica laverità intorno alle domande che gli vengono rivolte, lo richiedesse iltestimone allo scrivano, perché scrivesse la verità intorno alle risposte cheottiene. Ci sono scrivani molto buoni e molti buoni sbirri, però è tale il loro

mestiere che fa coi buoni come il mare con i morti, che non li tollera e dopotre giorni li getta sulla spiaggia. Mi piace vedere uno scrivano e uno sbirrocon cappa e berretto che onorando la frusta inseguono una sfilza di ladri che

 poi prendono a frustate come se si trattasse di battezzarli, ma quando il banditore annuncia: 'A questi, in quanto ladri, tante frustate' mi addolorasentirne l'eco nel bastone dello sbirro e nella penna dello scrivano».

Avrebbe parlato ancora, se non l'avesse distratto la magnificenza con la

quale un uomo ricco passava in carrozza, così tronfio che sembrava volerla

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scardinare, e tanto pretendeva di apparire autorevole che persino le quattro bestie ne erano convinte, a giudicare dalla lentezza con la quale trascinavano

la carrozza. Procedeva impettito, dandosi importanza, scarso d'occhi e avarodi sguardi, risparmiava cortesie con tutti, il viso sommerso in un collareaperto verso l'alto, sembrava una candela nel suo involucro di carta, cosìassorto nei suoi pensieri che non sapeva voltarsi per fare una riverenza, néalzare il braccio per togliersi il cappello, il quale sembrava una parte di lui,tanto era fisso e immobile.

La carrozza era circondata da una folla di servi portati lì con l'astuzia,

solleticati con le promesse e mantenuti con le speranze. L'altra parte delseguito era formata dai creditori, il cui credito teneva in piedi tutta quellamessinscena.

Assieme all'uomo, viaggiava nella carrozza un buffone che lo facevadivertire.

«Il mondo» dissi non appena lo vidi «è stato fatto per te, che vivi senza preoccupazioni, nella magnificenza e nela quiete. Quanta ricchezza beneimpiegata! E quanto imponente! E come ben ci mostra che questi è ungentiluomo!».

«Tutto quello che pensi e dici» disse il vecchio «è pura assurdità. Hairagione soltanto quando dici che il mondo è stato fatto per quell'uomo. Èvero, perché il mondo è affanno e vanità, e costui è soltanto vanità e follia.Vedi quei cavalli? Mangiano, oltre alla biada e alla paglia, colui che glielafornisce a credito e che soltanto per la cortesia degli ufficiali giudiziari haancora la tunica. A quel riccone costa più fatica architettare truffe per 

mangiare che se zappasse per guadagnarsi il pane. Vedi quel buffone? Devisapere che ha un buffone anche lui, ed è proprio la persona che lo mantiene eche gli dà quello che ha. Quali prove di miseria vuoi ancora da questi ricchi,che per tutto l'anno comprano menzogne e adulazioni e spendono i loro averiin false testimonianze? Ora è tanto contento perché il buffone gli ha detto chenon c'è principe grande come lui e che tutti gli altri gli fanno da scudiero,come se questa fosse la verità.

E c'è poca differenza fra i due, perché l'uno è giullare dell'altro. In

questo modo, il ricco ride col buffone e il buffone ride del ricco, perché

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questi presa orecchie alle sue lusinghe».

Veniva avanti una bella dama e al passaggio si portava via gli occhi chela guardavano, lasciando i cuori pieni di desiderio. Con artificiosanoncuranza, nascondeva il viso a quelli che già l'avevan visto e lo scopriva aquelli che si erano distratti. A volte si mostrava col velo, altre volte a frontescoperta. Ora, con l'oscillar della mantiglia concedeva un bagliore di viso, oramagnetizzava gli sguardi mostrando un solo occhio, ora nascosta a metàscopriva uno spicchio di guancia. I capelli, martirizzati, le inanellavano letempie. Il viso era tutto neve, cocciniglia e rose, che sparse su labbra, collo e

guance, fra di loro amichevolmente conversavano. I denti diafani e le mani,che di tanto in tanto innevavano la mantiglia, infiammavano i cuori. La figurae il passo producevano pensieri lascivi. Tanto era bella e leggiadra quantocarica di gioielli ricevuti e non comprati. La vidi, e trascinato dalla natura,volli seguirla insieme agli altri; e l'avrei fatto, se non fossi inciampato nei

 bianchi capelli del vecchio.

Mi girai [...] e dissi: «Chi non ama con tutti i cinque sensi una belladonna, non sa stimare la più grande e perfetta opera della natura. Fortunatochi ha questa occasione e saggio chi ne gode. Quale dei nostri sensi non siabbandona alla bellezza di una donna, che è nata per essere amata dall'uomo?Il suo amore corrisposto distoglie e allontana da tutte le cose del mondo, che

 più non trovano apprezzamento e sono trattate con disprezzo. Che occhisplendidi e onesti! Che sguardo discreto e prudente nella disinvoltura diun'anima libera! Quanto nere le sopracciglia che donano reciproco risalto alcandore della fronte! Meravigliose gote, dove sangue e latte si uniscono agenerare il rosato che ammiri! Che labbra rosse, custodi di perle, che il riso

mostra con riserbo! Che collo! Che mani! Che figura!Tutto è causa di perdizione e insieme di giustificazione per chi si perde

 per lei.»

«Cos'altro può dire uno della tua età e quali altri desideri può avere?Avrai molto da fare, se davanti a ogni cosa che vedi reagisci in questo modo.Triste è stata la tua vita: sei nato soltanto per meravigliarti. Ti consideravocieco, ma ora vedo che sei anche pazzo e mi rendo conto che non hai mai

saputo perché Dio ti ha dato gli occhi, né quale sia il loro compito: gli occhi

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devono vedere e la ragione deve giudicare e scegliere; tu fai il contrario, onon fai nulla, che è peggio. Se continui a credere agli occhi soffrirai mille

confusioni, scambierai le montagne col cielo, il grande col piccolo, poichélontananza e vicinanza ingannano la vista. Non c'è gran fiume che non si

 burli di te, visto che per sapere da che parte va, è necessasrio che una pagliuzza, o un ramo, te lo mostri. E che dire di questa visione, in cui ladonna, che nel coricarsi era tanto brutta, si è fatta bella stamane e fa lavezzosa? Ebbene, sappi che la prima cosa che indossano le donne al risveglioè una faccia, un collo e due mani, e soltanto alla fine le vesti. Tutto ciò chevedi in quella donna è di bottega, non è naturale. Vedi i capelli? Sono

comprati, non una cosa sua. Le ciglia sono più affumicate che nere, e se ilnaso si facesse come le ciglia, lei non ce l'avrebbe. I denti che le vedi in bocca erano più neri di un calamaio, e a forza di polverine sono diventati unasabbiera. Il cerume delle orecchie è passato sulle labbra, che sembrano duecandeline.

Le mani? Sembrano bianche ma sono unte. Che spettacolo osservareuna donna, che deve uscire il giorno seguente per farsi vedere, mettersi insalamoia la notte prima, andare a letto con le guance che sembrano uncanestrino d'uva passa e scoprire al mattino che si mette a dipingerle sul vivo,come più le aggrada. E che dire di donna brutta o vecchia che, come ilfamoso negromante, vuole uscire rinnovata dal matraccio? Lo vedi? Ebbene,non è roba loro; se si lavassero la faccia, non le riconosceresti. E credimi, almondo non c'è pelle tanto conciata come quella di una donna, sulla quale siasciugano, si seccano e si sciolgono più colori che sulle loro gonne.Diffidando del loro corpo, quando vogliono solleticare qualche narice, siaffidano alle essenze, ai bruciaprofumi e alle acque odorose, e a voltecamuffano il sudore dei piedi con pantofole d'ambra. Ti assicuro che i nostri

sensi sono digiuni di ciò che una donna è, e sazi di ciò che una donna sembra.Se la baci, ti impiastricci le labbra; se l'abbracci, stringi delle stecche eammacchi del cartone; se ci vai a dormire, metà di lei rimane sotto il letto coitacchi; se le fai la corte, ti metti nei pasticci; se la mantieni, vai in rovina; sela lasci, ti perseguita; se l'ami, ti lascia. Insomma, fammi capire in che modoè buona. Confronta ora la nostra debolezza con questo animale immodesto,reso potente dalle nostre esigenze, che del resto sarebbero più giovevoli seinvece di essere soddisfatte fossero frustrate e mortificate, e riconoscerai

chiaramente i tuoi abbagli. Pensa a quando ha le sue ricorrenze mensili e ti

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farà schifo; e quando non ce le ha, ricordati che le ha avute e che le avrà, eciò che ora ti affascina ti farà orrore; e vergognati di perderti per cose che in

qualsiasi statua di legno hanno meno disgustoso fondamento».

(A questo punto termina il testo di  Il mondo dal di dentro nell'edizione principe; quel che segue è il frammento finale che compare in  Juguetes [Giocattoli]).

Stavo osservando quel bailamme di persone, quando due omoni tra ilfantasma e il colosso, con facce abominevoli e fattezze sciupate, tirarono unacorda. Mi sembrò sottile e di mille colori diversi; costoro, spalancando queidue crepacci che avevano per bocca, dissero: «Forza con la corda, adesso!Basta così!».

 Non avevano ancora finito di parlare che dalla folla che stava dalla parte opposta molti vennero a mettersi all'ombra della corda; quando vigiunsero, erano tanto cambiati che si poteva pensare a una metamorfosi o auna magia.

 Non uno di questi fui in grado di riconoscere.

«Iddio mi protegga!« esclamai. «Che corda sarà questa, che fa taliincantesimi?»

Il vecchio si toglieva la cispa dagli occhi e nel vedere la mia confusionedava in risate sdentate, con un tale stirar di guance che sembrava stesse per 

scoppiare in singhiozzi.

«Quella donna che sta laggiù, poco fa era più composta di una strofa, più serena della serena del mare, onesta fino alle ossa e nuvolosa nel manto;una volta entrato là sotto, ha sciolto le giunture, sostiene lo sguardo di tutti,trafigge con gli occhi le viscere di quei giovanotti, li adesca col pissi pissi, fal'occhiolino e si sistema con gesti affettati la crocchia».

«Che cosa è accaduto, donna? Non sei tu la stessa che ho visto poco

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fa?»

«Certo» disse il vecchietto, con voce rotta dalla tosse e da gorgoglii dicatarro. «È lei; ma sotto la corda dà questi saggi di bravura».

«E quell'altro» dissi io «che se ne stava là tutto stretto nel suo ferraiolo,tanto ordinato nell'abito, tanto compunto in viso, tanto afflitto nello sguardo,tanto mortificato nelle parole da incutere rispetto e venerazione, e che nonappena passato là sotto ha spezzato il sigillo delle sue frodi e usure?Cacciatore delle umane necessità, orditore di trappole, perpetuo assertore del

tanto più tanto fa tanto, sta in agguato d'ogni possibile affare».

«Sotto la corda succede questo, già te l'ho detto».

«Diavolo di una corda, quante ne combina! Quel tale che ora stascrivendo bigliettini galanti e rubando verginità, che provoca disonore efavorisce cattive azioni, io l'ho conosciuto al di là della corda, ed era d'unadignità impeccabile».

«Ebbene, sotto la corda sono queste le sue occupazioni» rispose il mioaio.

«Quell'altro che provoca zuffe, aizza litigi, agita acque, sparge zizzania,stimola caparbietà, esaspera piccole incomprensioni, io l'ho visto al di là dellacorda mentre consultava trattati, interpretava leggi, analizzava procedure,ordinava petizioni, dava pareri legali: come si possono spiegare questecose?»

«Te l'ho già detto» disse il buon vegliardo. «Costui sotto la corda fa proprio quel che vedi: il contrario di ciò che professa. E guarda quell'altroche fuori dalla corda, in sella a una mula dalla balbuziente andatura, armatodi tunica, ferraiolo, guanti e ricetta, avevi visto distribuire sciroppi! Ora, acavallo di un basilisco, con corazza, spallacci e manopole, distribuisce

 pugnalate come un invsato, e distrugge quelle vite che prima sembravacurare. Lì, sotto la corda, si è messo a stiracchiare le malattie perché durino

di più e siano più redditizie, mentre là sembrava che rifiutasse di farsi pagare

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le visite. Guarda, guarda quel maledetto cortigiano, perpetuo accompagnatoredei privilegiati, come là fuori, alla vista di quel ministro, studia i

salamelecchi per superare ogni concorrente; e per primeggiare nellecerimonie, si inchinava fino a scomparire, facendo inchini tanto profondi chetoccava il suolo con la bocca. Non lo hai sempre visto con la testa inclinatacome se ricevesse benedizioni? e non trattava i suoi affari con eccessivaumiltà, sotterraneo come la Guadiana? Non ti ricordi il suo amen sonoro, colquale in anticipo su tutti gli altri briganti, si premurava di approvare quanto ilsuo padrone affermava o contraddiceva? Guardalo adesso sotto la corda, glitaglia i panni addosso, al punto che già si vede cosa c'è sotto, ora si infiamma

nel calunniarlo, e lo maledice, e lo tradisce, e quel che erano la schiavitùdella lusinga e l'aria di circostanza, e le piccole adulazioni della barba chescodinzola e del muso che s'atteggia a divertito, ora trasforma in smorfie esberleffi. Hai visto lì fuori quel maritino che prima lanciava grida da far crollare il quartiere: 'Chiudete quella porta, cosa sono queste finestre, nonvoglio carrozza, a casa mia mangia e taci o fila via, perché io sono fatto così',e tutte le tiritere sul solito dannatissimo onore? Ebbene, vedilo adesso sotto lacorda come aggrava col suo tedio la schiavitù della moglie. Vedilo come una

 promessa lo intontisce, o un affare, quella volta che gli viene proposto; ecome agita, quando torna a casa, il campanaccio della sua tosse così sonorache si sente a sei strade di distanza. E come trova squisiti e come pensa chegli facciano onore i cibi che mangia e quelli che avanza; e come è attento aquel che richiede e che gli manca, com'è sospettoso nei riguardi dei poveri eche buon concetto ha dei generosi e dei ricchi; e com'è corrucciato con chinon può più dare nulla e come gli fan comodo le proposte di lavoro che glifanno i prodighi dalle mani bucate! Te lo ricordi quel mascalzone che sispacciava per amico di quell'uomo sposato, che si dichiarava suo fratello, che

lo soccorreva nelle malattie e nelle controversie, che gli faceva prestiti e loseguiva ovunque? Guardalo adesso sotto la corda, mentre gli fornisce altrifigli, fastidi in capo e protuberanze fra i capelli. Ora un suo vicino lo starimproverando perché gli sembra cattiva cosa che egli entri a far quel chesappiamo nella casa del suo amico, dove lo accolgono bene, han fiducia in luie gli aprono la porta a qualsiasi ora. Ascolta un po' che cosa risponde: 'Mache volete? Che vada dove mi ricevono con uno schioppo, non si fidano dime e non mi fanno entrare? Se quello è da mascalzoni, qeusto sarebbe da

stupidi!».

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 Rimasi stupito nell'ascoltare il buon vecchio, e nel vedere quel che

accadeva nel mondo quando si stava sotto la corda, e dissi fra di me: «Sesotto un'ombra tanto sottile, fidando nella protezione che può offrire ilvolume di una corda, gli uomini sono così, come saranno sotto tenebre ben

 più grandi ed estese?»

Strana cosa era vedere come quasi tutti venissero dall'altra parte delmondo a rivelare i loro costumi, mettendosi sotto la corda. E per ultimo, vidiun'altra meraviglia: la corda era una linea indivisibile, e sotto di essa vi

 poteva stare un numero infinito di persone; esiste dunque una corda per tutti isensi e facoltà umane, in ogni luogo e per qualsiasi occupazione. Lo stosperimentando io stesso, che mentre scrivo questo discorso e affermo che ilmio scopo è divertire, sotto la corda dò poi una buona lavata di capo a coloroai quali ho promesso appetitosi allettamenti.

A questo punto il vecchio mi disse: «Ora devi riposare. L'urto con tantemeraviglie e disinganni affatica la ragione e temo che la tua immaginazionevenga turbata. Riposa un po', affinché ciò che t'è rimasto ti sia diinsegnamento e non di tormento». Così com'ero, ubbidiente e sfinito, caddi aterra e mi abbandonai al sonno.

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SOGNO DELLA MORTE

 A Donna Mirena Riqueza 

Dopo aver visto vostra signoria, è già molto che mi sia rimasta unaqualche capacità di discorso, e credo che questo discorso mi sia riuscito

 perché riguarda la morte. Non ve lo dedico perché voi lo proteggiate, ve lo

affido perché il mio proposito, del tutto disinteressato, è che esso vengaemendato di ciò che io possa avere scritto con qualche trascuratezza oimmaginato con scarsi risultati. Non oso lodarne l'invenzione perché nonvoglio passare per inventore.

Ho cercato di ripulire lo stile e di insaporire la penna con cose curiose;ma nel ridere, non mi sono dimenticato della dottrina. Se a qualcosa mi sonvalsi lo studio e l'intelligenza, oso rimettermi alla censura che la signoriavostra vorrà esercitare, quando il mio discorso lo meritasse; potrò dire allorache i sogni hanno portato fortuna.rotegga Iddio la signoria vostra, come iostesso farei se ciò fosse in mio potere.

Dalla prigione della Torre, il 6 aprile 1622.

 A chi mai dovesse leggere 

Ho voluto che la morte, come fa con le altre cose, ponesse fine

anche ai miei discorsi. Voglia Iddio che io abbia fortuna. È questo il quinto brano, che fa seguito al Sogno del giudizio, allo Sbirro indemoniato, all' Inferno e al Mondo dal di dentro. Non mi rimane più niente da sognare; e sedopo la visita della morte non mi sveglierò, sarà inutile attendermi. Se tisembra che ho già dormito molto, vedi di perdonarmi per la sonnolenza di cuisono vittima; e se no, proteggi il mio sonno, poiché sarò il ghiro dell'oraestrema. Vale.

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I cattivi pensieri, la codarda disperazione e la tristezza son sempreattenti e in agguato, nella speranza di sorprendere un disgraziato e di far la

voce grossa con lui; da bravi codardi, dimostrano nello stesso tempo maliziae viltà. Per quanto lo avessi già notato in altri, ho potuto verificarlo nella mia

 prigione. Avendo letto infatti, per lenire le mie sofferenze o per lusingare lamia malinconia, quei versi che Lucrezio scrisse con tanto vibranti parole, milasciai vincere dall'immaginazione e sotto il peso di parole e pensieri tanto

 profondi, caddi a terra, prostrato dal dolore del disinganno ricevuto, tanto chenon so se persi i sensi per l'ammonimento o per la sorpresa. Affinché mi sia

 perdonata la confessione della mia debolezza metterò a introduzione del mio

discorso la voce del divino poeta, che nel suo rigore e nelle sue elegantiminacce, suona così:

Denique si vocem rerum natura repenteMittat et hoc alicui nostrum sic increpet ipsa:Quid tibi tantopere est, mortalis, quod nimis aegrisLuctibus indulges? Quid mortem congemis ac fles?

 Nam si grata fuit tibi vita anteacta, priorque,Et non omnia pertusum congesta quasi in vasCommoda perfluxere atque ingrata interiere:Cur non, ut plenus vitae, conviva, recedis?Aequo animoque capis securam, stulte, quietem?

D'improvviso mi ricordai di Giobbe, che gridando diceva: Homo natusde muliere, ecc. (Cap. 14) Infine sei uomo, nato

da debole donna, di miserie pieno,come fiore a breve vita destinato,da ogni bene e da riposo alieno,che qual ombra vanafugge alla sera e rinasce il mattino.

A questa grande verità faceva poi seguire quell'altra, della vita checonduciamo, dicendo: Militia est vita hominis super terram, ecc. ( Giobbe, 7)

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 Guerra è la vita dell'uomo

mentre vive su questa terra,sono i suoi giorni e le sue orecome il tempo del bracciante.

Trascinato da questa considerazione, vittima del disinganno,abbandonato, con un senso di compassione e di risentita pena, ripresi dalla

 bocca di Giobbe le parole con le quali il suo dolore comincia a rivelarsi:Pereat dies in qua natus sum, ecc. (Cap. 3)

Perisca il primo giornoin cui nacqui sulla terra,e la notte in cui l'uomofu concepito, perisca.Ricada il triste giornonelle tenebre miserabili;non lo illumini più la lucené più lo stimi Iddio.Tenebroso gorgoquella notte inghiottisca;non più appartenga ai giorniné ai mesi dell'anno.Indegna sia di lodee solitaria sempre,la maledicano coloro che il giorno

con voce superba maledicono,e coloro che si preparano a vincere il Leviatano,ed essa con le sue tenebreoscuri le stelle.La luce meravigliosa attendae mai chiara luce veda,né la nascita rosatadell'aurora cinta di perle.

Poiché non chiuse le porte

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del ventre che mi generòe non fece mia tomba

della mia culla prima.

Fra queste domande e risposte, stanco e combattuto (per la cortesia delsonno pietoso, io sospetto, più che per evento naturale) caddi addormentato.Dopo che l'anima sgravata si vide in ozio, senza l'impedimento dei sensiesteriori, mi si parò innanzi una sorta di commedia, e in questo modo larecitarono al buio le mie facoltà, mentre io ero per le mie fantasie uditorio eteatro.

Cominciarono a entrare dei medici, a cavallo di certe mule che con leloro gualdrappe nere sembravano tombe con orecchie. L'andatura delle bestieera lenta e diseguale, a zig zag, così che i loro padroni sembravano muoversiin alto mare, ondeggiando come se stessero segando legna; il loro sguardo,abituato a posarsi su orinali e latrine, era disgustoso; le bocche inselvate nelle

 barbe, che solo un bracco avrebbe potuto stanare, tuniche un po' da bovaro,guanti in infusione, piegati come in attesa di trattamento; anellone al pollice,con una pietra così grande che loro quando sentono il polso al malato gli

 pronosticano la pietra tombale. Erano in gran numero, circondati dai loro praticanti, che studiando da lacché e trattando più con le mule che con idottori, diventano medici. Nel vederli, dissi: «Se da quelli si fanno questialtri, il minimo che questi altri possono fare è disfarci».

Intorno ad essi stava una gran ciurma, una caterva di farmacisti con lespatole sguainate e i clisteri in resta, muniti di suppostone grondantiunguento, come cavalieri armati di tutto punto. I loro medicamenti possono

guastarsi nelle ampolle, tanto son vecchi, gli empiastri avere le ragnatelesopra, essi li spacciano ugualmente, tanto i loro rimedi rimangono comunqueampollosi. Il lamento funebre inizia col mortaio del farmacista, continua nella

 passacaglia del barbiere, passeggia con lo schioccar di guanti del dottore etermina con le campane della chiesa. Non c'è gente più feroce di questifarmacisti. Son gli armieri dei dottori: forniscono a questi le armi. Non c'ècosa loro che non ricordi la guerra e che non alluda ad armi d'offesa. Lasillaba iniziale di sciroppo è la medesima di scimitarra; il loro strumento

quotidiano qual è? il mortaio; nella loro lingua le spatole sono spade, le

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 pillole proiettili, i clisteri e i purganti cannoni, e per questo si soglionchiamare rimedi esplosivi. E a ben pensarci, per rimanere in tema di purghe, i

loro negozi sono purgatori, loro stessi sono inferni, i malati sono dannati e imedici diavoli. E che i medici siano diavoli è sicuro, perché gli uni e gli altrivan dietro ai mali e fuggono i buoni, e tutto il loro scopo è che i buoni sianomali e che i mali non diventino mai buoni.

Erano tutti vestiti di ricette e coronati di reali erre sbarrate, con le qualiiniziano le ricette. E considerai che i dottori si rivolgono ai farmacistidicendo «recipe», che vuol dire prendi. Nello stesso modo si rivolge la cattiva

madre alal figlia e la cupidigia al cattivo ministro. Del resto, sulla ricetta nonci sono che queste erre, messe alla sbarra come delinquenti, e poi degli«ana», che son tanti Anna per condannare un giusto! Vengono poi once suonce: com'è facile spellare un agnello infermo! E poi snocciolano nomi d'erbemedicinali che sembrano invocazioni al demonio: buphtalmus, opopanax,leontopetalon, tragoriganum, potamogeton, senos pugillos, diacathalicon,

 petroselinum, scilla, rapa. E se si va a vedere che cosa voglion dire le paroledi questa spaventosa baraonda, infarcita di lettere bizzarre, si scopre che sonola carota, la rapa, il prezzemolo e altra robaccia. E avendo sentito dire che chinon ti conosce ti compra, camuffano le verdure affinché non venganoriconosciute e i malati le comprino. Elingatis chiamano le pastiglie dasucchiare, catapotia le pillole, clyster il purgante, glans o balanus la supposta,errinhae il naso che cola. E son tali i nomi sulle ricette, e tali le medicine, cheil più delle volte, schifate dalle porcherie e dai fetori che perseguitano imalati, le malattie fuggono.

Può esistere un dolore di tanto cattivo gusto che non voglia fuggire dal

 profondo al pensiero di dover sopportare l'empiastro di Guillén Serven, e divedersi trasformare in baule la gamba o la coscia dov'è annidato? Quandovidi tutti costoro, e i dottori, capii quanto è poco adatto, per indicare unagrande differenza, lo schifoso detto: «Molto ci corre dal c... al polso»; inrealtà non ci corre niente, corrono soltanto i medici, che dal polso passanoimmediatamente al gabinetto e all'orinale, a chiedere alle pisciatine quelloche essi non sanno, per ubbidire a Galeno che raccomanda di rimettersi agliescrementi e all'urina. E come se l'orinale parlasse loro sottovoce, essi lo

avvicinano all'orecchio, e le loro grandi barbe rimangono permeate dei suoi

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vapori. Che dire poi quando comunicano a gesti con gli escrementi,chiedendo un parere all'orinale e un verdetto al puzzo? Non se li prenderebbe

un diavolo. Maledetti ricercatori che si accaniscono contro la vita, poichéimpiccano con la difterite, sgozzano con i salassi, frustano con le ventose,mandano in esilio le anime, strappandole dalla terra dei corpi esanimi e

 privati della coscienza!

Poi venivano i chirurghi, carichi di pinze, sonde, cauteri, forbici, bisturi,seghe, lime, tenagli e lancette. In mezzo ad essi si sentiva una voce, dolorosaalle mie orecchie, che diceva: «Taglia, strappa, squarta, sega, spezza, fora,

 pungi, sminuzza, affetta, scarnifica e brucia».

Mi venne paura, tanto più nel vedere la danza che facevano con i cauterie le sonde. Mi sembrava, per la paura, che certe ossa volessero penetraredentro altre ossa. Mi rannicchiai.

Arrivarono quindi dei demoni con certe catene di incisivi e molari, cheessi portavano come cinture, e compresi da ciò che erano cavadenti, ilmestiere più maledetto del mondo, perché non serve ad altro che a spopolare

 bocche e ad anticipare la vecchiaia. Costoro, a causa dei dentri altrui (e nonaccade mai che vedendo un dente non preferiscano averlo nella loro collanache lasciarlo nella mascella) tolgono alla gente la fiducia in Santa Apollonia,dicono il falso sulle gengive e disselciano le bocche. Il momento peggiore fuquando vidi le loro tenaglie che passeggiavano come se fossero topi, tra identi altrui, e loro che chiedevano denaro per strapparli come se dovesseroinvece metterli.

«Chi potrà mai uguagliare queste maledette canaglie?» mi chiesi.

Stavo pensando che persino il diavolo fosse poca cosa per gente tantomaledetta, quando sentii un grande strepito di chitarre. Mi rallegrai un po'.Suonavano tutte passacaglie e motivetti. «Possa morire se non sono

 barbieri!» e in quel momento essi fecero la loro apparizione.

 Non ci volle molta abilità per capirlo, perché costoro hanno le

 passacaglie infuse e la chitarra gratis data.

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Bisognava vedere come gli uni suonavan la melodia e gli altril'accompagnamento. Io dicevo fra me: «Povera barba, tagliata a ritmo di

saltarello, e povero braccio, salassato fra ciaccone e follie.» Pensai allora chetutti gli altri ministri del martirio e induttori di morte valessero pochi soldi,fossero lavoratori di bassa lega, e che soltanto i barbieri fossero moneted'argento. E mi divertii nel vederli manipolare una faccia, manometterneun'altra e godere quando potevano ficcare una testa nel catino.

Cominciarono poi ad entrare molte altre persone. Le prime eranochiacchieroni. Sembravano la chiusa di un fossato in conversazione, e la loro

musica era peggiore di quella degli organi più stonati. Alcuni parlavano ascrosci, altri a gorgoglii, altri a fiotti, altri, i chiacchieronissimi, a catinelle.Sembravano irresistibilmente spinti a dire sciocchezze, come se avessero

 preso una purga fatta con i fogli di un Calepino di otto lingue. Mi dissero checostoro erano i parlatori diluvi, che non dan tregua né di giorno né di notte;gente che parla nel sonno e che fa giorno parlando.

C'erano parlatori secchi e parlatori che vengon chiamati del fiume odella rugiada o della schiuma; gente che fa grandinare saliva come pallini dacaccia. Altri che chiamano cicaloni, gente che va di parole come si va dicorpo, che parla in tutta furia. C'erano i parlatori nuotatori, che parlanoruotando le braccia in tutte le direzioni e dando manate e calci. Altri, verescimmie, facevano smorfie e boccacce. E tutti si consumavano l'un l'altro.

Seguivano i pettegoli, solerti d'orecchio, attentissimi d'occhi, accanitinella malizia. E diventati unghie delle vite altrui, facevano le pulci a tutti.Dietro ad essi venivano i bugiardi, allegri, grassocci, sorridenti, ben vestiti e

 ben pasciuti, che non avendo altra occupazione, sono il prodigio del mondo egodono di un immenso uditorio di mentecatti e di sciocchi. Poi venivano gliintriganti, dai modi superbi, soddisfatti e presuntuosi, che son le tre lebbreche minacciano l'onore del mondo. Si intrufolavano fra questi e quelli, intutto ficcavano il naso, intrecciati e aggrovigliati in qualsiasi faccenda. Sono

 patelle dell'ambizione e polipi della prosperità. Erano gli ultimi, a quel chesembrava, perché per un bel pezzo non arrivò più nessuno. Mi domandavocome mai procedessero così appartati e alcuni parlatori, senza che io glielo

chiedessi, mi dissero: «Questi intriganti son la quintessenza dei seccatori, nn

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c'è nessuno che sia peggiore».

Mi misi a considerare quanto fosse varia la composizione di quel corteoe non riuscivo a immaginare chi potesse ancora arrivare.

In quel mentre si fece avanti qualcosa che sembrava una donna, moltoelegante e piena di corone, scettri, falci, sandali, zoccoli, tiare, cappucci,mitrie, berretti, pelli, seta, oro, canestri, diamanti, ceste, perle e ciottoli. Unocchio aperto e uno chiuso, vestita e nuda di tutti i colori. Da un lato eragiovane e dall'altro era vecchia. A volte camminva piano, a volte

velocemente. Sembrava esser lontana ed esser vicina. E quando pensai chestesse per entrare, mi stava già di fronte.

 Nel vedere un sì strano apparato e una figura tanto scompaginata, rimasicome un uomo a cui si propone un indovinello. Non mi spaventai: rimasi a

 bocca aperta; e c'era anche da ridere, perché a ben guardare era una figuraspiritosa. Le chiesi chi fosse e le mi rispose: «la morte».

La morte? Mi sentii gelare, e appena mi rimase in petto un po' di fiato per respirare; parlando a fatica, in una grande confusione di pensieri, lechiesi: «Che cosa vieni a fare qui?»

«Sono venuta per te» rispose.

«Gesù mio. Allora sto per morire».

«Non stai morendo» disse lei. «Devi venire con me, vivo, a fare una

visita ai defunti. Se tanti morti sono tornati tra i vivi, è giusto che un vivovada dai morti e che i morti siano ascoltati. Hai mai sentito dire che iom'impadronisca di qualcuno senza regolare permesso? Forza, vieni con me».

Morto di paura, le chiesi: «Non mi lasceresti vestire?»

«Non è necessario» rispose. «Nessuno viene con me vestito, e io non misento per questo a disagio. Li porto io i vostri stracci, affinché procediate più

leggeri.»

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 La seguii dove mi guidava. Lungo la strada, le chiesi: «Non vedo in te i

connotati della morte, che a noi viene descritta come uno scheletro con unafalce.»

Si fermò e rispose: «Quella non è l'immagine della morte ma dei morti,o di ciò che resta dei vivi. Queste ossa sono la traccia su cui si modella e siforma il corpo dell'uomo. Voi la morte non la conoscete: siete voi stessi lavostra morte. Essa ha il viso di ognuno di voi e tutti siete la morte di voistessi. Il teschio è il morto e in viso è la morte. E

quello che chiamate morire è finire di morire, e quello che chiamatenascere è cominciare a morire, e quello che chiamate vivere è morirevivendo. E le ossa sono ciò che di voi lascia la morte e ciò che il sepolcrorisparmia. Se questo vi fosse chiaro, ognuno di voi ogni giornocontemplerebbe in se stesso la propria morte e negli altri la morte altrui; viaccorgereste che tutte le vostre case sono piene di lei e che là dove vivete cisono tante morti quante persone, e non rimarreste ad aspettarla ma vidisporreste ad accompagnarla e a prepararla. Voi pensate che la morte siafatta di ossa e che finché non vedete il teschio e la falce non vi sia morte per voi, mentre siete teschio e ossa prima di credere di poterlo essere.»

«Mi vuoi dire» chiesi, «che significato hanno coloro che tiaccompagnano e come mai, essendo tu la morte, ti stanno più vicini iseccatori e i chiacchieroni che i medici?»

Mi rispose: «Si ammala più gente a causa dei seccatori che per il tifo ela febbre quartana; uccidono più persone i chiacchieroni e gli intriganti che i

medici. E devi sapere che tutti si ammalano per l'eccesso o gli sbalzi degliumori, ma per quel che riguarda il morire, tutti muoiono a causa dei mediciche li curano. Così, quando vi chiedono: 'Di che cosa è morto Tizio?' nondovete rispondere; 'Di febbre quartana, di mal di petto, di tifo, di peste, diferite' ma che è morto del Dottor Tal dei Tali, del dottor Sempronio. Eoccorre notare che in tutte le professioni, le arti e le condizioni sociali è statointrodotto il don: per hidalghi, contadini e frati, come si può vedere neiconventi. Ho visto col don sarti e muratori, e persino, con il loro don, ladri e

galeotti in galera. E poi, se guardiamo tra le scienze: chierici, a migliaia;

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teologi, molti; avvocati, tutti. Soltanto fra i medici non c'è mai stato nessunocol don, anche se molti lo potrebbero avere; e tutti hanno il don di uccidere, e

vogliono più din din nell'accomiatarsi che don quando vengon chiamati.»

Si arrivò quindi ad un burrone profondissimo, la morte sempre predicando ed io disingannato. Essa vi si buttò senza annunciarsi, come fossedi casa, ed io le andai dietro, animato dallo slancio che mi dava una tantoaltolocata conoscenza. All'entrata, da un lato, c'erano tre esseri armati, e difronte ad essi un mostro terribile; ed era un combattersi continuo, i tre conl'uno e l'uno con i tre. La Morte s'arrestò e mi chiese: «Conosci questa

gente?»

«Dio me ne scampi» dissi io.

«Ebbene, ti fanno compagnia fin dalla nascita. Pensa un po' a comevivi» continuò. «Questi sono i tre nemici dell'anima: il Mondo, il Diavolo, ela Carne».

 Notai che si somigliavano molto e che non si riusciva a distinguerlil'uno dall'altro.

Mi disse la Morte: «Son tanto simili che sulla terra li confondete e chiha il primo ha pure gli altri tre. Un uomo superbo pensa di avere per sé tuttoil mondo e invece non possiede che il diavolo. Pensa un lussurioso di avere lacarne e ha il demonio. Così vanno le cose».

«Chi è» «quello che se ne sta in disparte, e si dilania con gli altri tre,che hanno tante facce e tanti aspetti?»

Rispose la Morte: «È il Denaro, che ha fatto causa ai tre nemicidell'anima; sostiene che si può fare a meno dei suoi emuli e che dove sta luiessi non sono necessari, poiché lui da solo vale tutti e tre i nemici. E per direche il denaro è in se stesso il diavolo, si fonda su ciò che voi medesimi soletedire: 'Il denaro è il Demonio', 'quello che non fa il denaro non lo fa il diavolo','indiavolata cosa è il denaro'. E per sostenere d'essere il mondo intero,

riferisce quel che asserite voi: 'Il Mondo non è che denaro', 'chi non ha

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denaro non è di questo mondo'. Di colui che viene derubato voi dite: 'loscacciano dal mondo'; e ancora: 'tutto è possibile e tutto si ottiene col denaro'.

Per dire che il denaro è la carne, dice il Denaro: 'chiedilo un po' alla Carne' esi rimette alle puttane e alle donnacce, ovvero a coloro che agiscono solo per interesse.»

«Sa difendersi bene il Denaro» dissi, «a giudicare da quel che si dicelaggiù».

Scendemmo più in basso, e prima di attraversare una porticina stretta e

 buia, la Morte mi disse: «I due che vedremo sono i Novissimi».

Si aprì la porta: da un lato c'era l'Inferno, dall'altro il Giudizio, così midisse la Morte che si chiamavano.

Rimasi a guardare l'Inferno con attenzione e mi sembrò interessante. Michiese la Morte: «Che cosa guardi?»

«Guardo» risposi «l'Inferno, e mi sembra di averlo visto mille volte».

«Dove?» chiese.

«Dove? Nell'avidità dei giudici, nell'odio dei potenti, sulla lingua deimaldicenti, nelle cattive intenzioni, nelle vendette, nelle voglie dei lussuriosi,nella vanità dei príncipi. E là dove l'inferno entra interamente, senza che sene perda una sola goccia, dico nell'ipocrisia dei falsi virtuosi, che traggono

 profitto dai digiuni e dall'andare a messa. E ciò che più apprezzo è di aver visto il Giudizio, perché fino ad ora sono vissuto nell'inganno, ma adesso che

vedo com'è il Giudizio in verità, capisco che ciò che v'è al mondo non ègiudizio, né vi sono uomini di giudizio, e che al mondo c'è ben poco giudizio.Maledizione! pensavo. Se laggiù vi fosse non dico una parte di questogiudizio ma anche soltanto un ricordo, un'ombra o un indizio, ben altrasarebbe la situazione. Se coloro che son chiamati a giudicare avessero questaspecie di giudizio, le cose al mondo andrebbero meglio. Mi fa paura tornarelaggiù, vedendo che qui il giudizio è pressoché integro, mentre soltanto una

 piccola parte è divisa fra i vivi. Preferisco una morte con giudizio che una

vita senza».

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 Così dicendo,s cendemmo in una vasta pianura, che sembrava il

magazzino in cui si custodisce il buio delle notti. Mi disse la Morte; «Quidobbiamo fermarci; siamo arrivati al mio tribunale, dove tengo udienza».

Le pareti erano ricoperte di condoglianze. Da un lato c'erano le cattienotizie, sicure o presunte, ma inaspettate; e il pianto, nelle donne insincero,illuso negli amanti, buttato via negli stolti, privo di credito nei poveri. Ildolore se ne stava sconsolato, e sempre più grande; soltanto gli affanni eranosolleciti e vigili, poiché traendo nutrimento dai superbi e dagli ambiziosi,

eran diventati tarlo di re e di prìncipi. C'era l'invidia vestita da vedova, e tantosimile a una governante che ero tentato di chiamarla Álvarez o González. Non vivendo che di se stessa, era digiuna di tutto, magra e rinsecchita. I suoidenti, a furia di mordere sempre le cose migliori e più buone, erano giallastrie consumati. E la ragione è questa: che essa avvicina ai denti ciò che è buonoe santo, ma niente di buono riesce a mandar giù. Sotto di lei stava ladiscordia, come se nascesse dal suo ventre; ed è, credo, sua figlia legittima.Costei, fuggita dagli sposi che sbraitano sempre, si era rifugiata presso lecomunità e i collegi, e vedendo che dovunque era di troppo, aveva preso ladirezione dei palazzi e delle corti, dove fa il luogotenente del diavolo.L'ingratitudine stava in un grosso forno, e con un impasto di odio e di superbiconfezionava in continuazione nuovi demoni. Mi fece piacere vederla, perchéavevo sempre sospettato che gli ingrati fossero diavoli, e capii allora che gliangeli, per diventare diavoli, dovettero per prima cosa essere ingrati. Era tuttoun ardere di maledizioni.

«Chi diavolo» dissi «sta facendo piovere maledizioni!»

Mi rispose un morto che stava al mio fianco: «Volete che manchinomaledizioni dove vi sono sensali e sarti, che sono la gente più maledetta delmondo? Non dite forse: 'Maledetto chi mi ha fatto sposare', 'maledetto che miha messo con te' e i più: 'Maledetto chi mi ha vestito'?»

«Cosa c'entrano» chiesi «sensali e sarti con l'udienza della morte?»

«Maledizione!» esclamò il morto, che era impaziente. «Siete matto? Se

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non ci fossero sensali, ci sarebbe forse quaggiù la metà dei morti e deidisperati? A me lo venite a dire, che sono il marito numero cinque, e mia

moglie che è rimasta laggiù pensa di farne cadere altri dieci come se giocasseai birilli? E i sarti? Chi non sono riusciti a uccidere con le loro menzogne, iloro ritardi e i loro furti? E tante ne fanno che le loro botteghe più che sartoriesi dovrebbero chiamare consorterie (e il sarto è il principale membro deltribunale che qui vedete».

Alzai gli occhi e vidi la Morte sul trono, e al suo fianco molte morti.C'era la morte per amore, la morte per freddo, la morte per fame, la morte per 

 paura e la morte per risate, tutte con differenti insegne. La morte per amoreaveva assai poco cervello. C'erano a farle compagnia, perché non sirovinassero con l'età, Piramo e Tisbe imbalsamati, Leandro ed Ero conMacìas conservati sotto sale e alcuni portoghesi liquefatti per amore. Vidimolta gente che era sul punto di finire sotto la falce e per un autemticomiracolo dell'interesse resuscitava.

Presso la morte per freddo vidi tutti i vescovi, i prelati e gli altriecclesiastici, che quando si ammalano, non avendo moglie né figli né nipotiche li amino ma soltanto le loro ricchezze, circondati da gente che arraffaquello che può, muoiono di freddo.

Presso la morte per fame vidi tutti i ricchi; o perché, ben pasciuti comesono, quando si ammalano, nel timore di cibi indigesti, non seguono che dietae regole ferree, e così muoiono di fame; o perché, privati della gozzoviglia,dicono ora tutto è languore e non c'è persona che vada a trovarli senza offrire

loro del cibo, per cui mangiano fino a scoppiare.

La morte per paura era la più ricca e pomposa, e aveva il seguito piùmagnifico; era circondata da una schiera di tiranni e di potenti, dei quali sidisse: «Fugit impius, nemine persequente». Costoro muoiono di propriamano; torturati dalla loro coscienza, sono il boia di se stessi; una sola buonaazione commettono al mondo, giacché uccidendosi per paura, sospetti esfiducia, vendicano da sé gli innocenti. Stavano con loro gli avari, che

chiudevano scrigni, forzieri e finestre, stipavano ogni fessura, tomba dei loro

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denari, attenti ad ogni soffiar di vento, gli occhi affamati di sonno, le boccheingannate dalle mani, le anime trasformate in oro e argento.

La morte per risate veniva per ultima, e aveva attorno una cerchiaimmensa di ottimisti e di pentiti in ritardo.

Gente che vive come se non vi fosse giustizia e muore come se non cifosse misericordia. Sono coloro che quando si senton dire: «Restituite il maltolto» rispondono: «Mi fate ridere». «Badate: siete vecchio e il peccato nonsa più che cosa rodere di voi. Lasciate la ragazzina che infastidite inutilmentee che, malato, opprimete di fatica! Badate: lo stesso diavolo ormai vi

disprezza come cosa inutile e d'impiccio, e la stessa colpa ha schifo di voi».Rispondono: «Non fatemi ridere» e aggiungono che non si sono mai sentitimeglio. Ve ne sono altri che esortati a far testamento e a confessarsi, essendomalati, rispondono che si credono buoni e che in quella situazione si sonotrovati mille volte. È gente che sta già all'altro mondo e ancora non si

 persuade di essere morta.

Mi meravigliò questa immagine, e ferito dal dolore e dalla conoscenza,dissi: «Ci conceda Iddio una sola vita e tante morti! Si nasce in un solo modoma si muore in tanti! Se tornerò nel mondo vorrò incominciare a vivere». Aquesto pensavo quando si sentì una voce che disse tre volte: «Morti, morti,morti».

A queste parole tremò [...] il suolo, e così pure le pareti, e vennero fuoriteste, braccia e corpi straordinari, che si misero silenziosamente in ordine.

«Parlate con ordine» disse la Morte.

Allora saltò su un tale, venne verso di me in fretta e pieno di collera ecompresi che mi voleva maltrattare.

Disse: «Sono morto e distrutto, che cosa volete da me, voi vivi diSatana, che non mi lasciate in pace? Che cosa vi ho fatto perché senzaragione mi diffamiate in ogni occasione e gettiate sopra di me la colpa di fattiche ignoro?»

«Chi sei?» chiesi con timorosa cortesia «Non ti capisco».

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 Rispose: «Sono lo sventurato Juan de la Encina, colui che sta qui da

molti anni e ciononostante voi nominate ad ogni piè sospinto, ogni volta chesentite dire una sciocchezza: 'non avrebbe fatto meglio Juan de la Encina','eccoci con le stramberie di Juan de la Encina'. Sappiate che per dire e farestramberie, tutti gli uomini sono dei Juan de la Encina, e che questo cognomeEncina è la copertura di molte stramberie. Mi domando e dico: li ho scritti iocerti testamenti in cui lasciate che altri facciano della vostra anima quello chemai avreste voluto fare voi? Ho mai sfidato i potenti io? Mi sono mai tinto la

 barba per non sembrare vecchio, diventando in tal modo, oltre che vecchio,

sporco e bugiardo? Mi soon per caso innamorato a scapito del mio denaro?Ho mai considerato un favore che mi si chiedesse quello che possedevo e misi togliesse anche quello che non avevo? Mi sono mai illuso che sicomportasse bene chi per mia intercessione si era mostrato sleale verso unaltro che si era fidato di lui? Ho forse sprecato la vita nell'inseguire onori concui vivere, rimanendo, una volta ottenuto quello che volevo, senza vita davivere? Ho mai creduto sincera la sottomissione di chi era nelle mie mani?Mi sono sposato forse per vendicarmi della mia amichetta? Sono stato tantoavido da sprecare un reale segoviano nella speranza di gudagnare un miseroquarto di reale? Mi ha mai logorato il fatto che qualcun altro fosse ricco ostesse acquistando importanza? Ho creduto forse alle apparenze dellafortuna? Ho mai considerato fortunati coloro che, all'ombra dei príncipi,sacrificano tutta una vita per ottenere un'ora di favori? Mi sono vantato diessere eretico, sregolato e sconcento di tutto perché mi si tenesse in grandeconsiderazione? Mi sono mai lasciato andare a scostumatezze per sembrareintrepido? Ebbene, se Juan de la Encina non ha fatto niente di tutto questo,che sciocchezze avrà mai fatto questo povero Juan de la Encina? Cavatemi

 pure un occhio, se pensate che ne ho fatta una sola! Ladri siete, che chiamatespropositi i miei e buone sentenze le vostre! Ditemi allora: è stato forse Juande la Encina ad affermare: 'Fai del bene e non badare a chi?', mentre loSpirito Santo dice al contrario: 'Si benefeceris scito cui feceris, & erit gratiain bonis tui multa' ( Ecclesiastico, 12, I), ovvero: 'Se farai del bene, attento achi lo fai? Forse che Juan de la Encina, per dire che è un tale è malvagio, hamai detto: 'È un uomo che teme tutto e non deve niente, mentre doveva direche non ha paura di nessuno e non paga i suoi debiti? Io credo che non

temere e non dover niente a nessuno sia sicuro indizio di bontà, mentre non

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temere e non pagare è proprio di chi è malvagio. Juan de la Encina ha forseaffermato: 'tra i pesci, il palombo; tra le carni, il montone; tra i volatili, la

 pernice; tra le dame, Beatrice?Certamente no. Lui avrebbe detto: 'tra le carni, la donna; tra i pesci, il

montone; tra i volatili, ovvero le avi, prima l'Ave Maria e poi quella che tiregalano; e fra le donne, quella che costa meno'. Ditemi se è unosconsiderato, Juan de la Encina; non ha fatto altro che portare pazienza e daredei dispiaceri: non si lasciava convincere né dagli uomini che chiedevanodenaro, né dalle donne che chiedevano il matrimonio. Quali sciocchezze puòaver commesso Juan de la Encina, che andava nudo per non aver a che fare

coi sarti, che si lasciò depredare del patrimonio per non dover trattare con gliavvocati, che preferì morire di malattia, piuttosto che di cure, per non dover  pagare il medico? Solo una sciocchezza commise: essendo calvo non levavail cappello davanti a nessuno, perché considerava meno brutta la scortesiadella calvizie, e avrebbe preferito venire ucciso a bastonate perché non silevava il cappello, piuttosto che a forza di nomignoli perché era una specie dicalvario. Solo una sciocchezza disse: pronunciò il sì, sposandosi con unadonna ottusa, bruna e dagli occhi azzurri. E se, per aver fatto solo unosproposito e averne detto un altro, Juan de la Encina diventa un esempio disciocchezze, che dire di tutti i pulpiti, le cattedre, i conventi, i governi, glistati maggiori e minori? Sono tutti destinati a 'encinarsi'. Brutto momento per loro, giacché il mondo è un monte e tutti sono Encinas?».

In quel momento mi si avvicinò un altro morto, pieno di boria, che conaria molto corrucciata mi disse:

«Volgete a me lo sguardo, io non sono Juan de la Encina».

«Chi è vostra signoria», chiesi, «che con tanta alterigia parla e che qui,dove tutti sono uguali, pretende di essere un uomo superiore?»

«Io sono« rispose, «il Re che s'arrabbiò. Anche se non mi conoscete personalmente, non potete non ricordarvi di me, perché voi vivi siete tantoindiavolati che attribuite a qualsiasi cosa la possibilità di ricordarsi del Re ches'arrabbiò; e quando vedete una vecchia muraglia, un muro diroccato, un

 berretto spelacchiato, un mantello consunto, uno straccio antiquato, un rudere

in rovina, una donna infrollita dagli anni e piena di secoli, allora dite che si

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ricordano del Re che s'arrabbiò. Non c'è mai stato al mondo re più sfortunato, perché non si ricordano di lui che vecchiume e cenci, antichità e fantastiche

visioni. E non c'è mai stato un re il cui ricordo fosse tanto cattivo, schifoso, putrido, caduco, pieno di tarli e di tarme. Han cominciato a dire che mi sonoarrabbiato e giuro su Dio che mentono; ma tutti ripetono che mi sonoarrabbiato e ormai non c'è più rimedio. Io non sono affatto il primo re che sisia arrabbiato, e non sono l'unico; non esiste e non è mai esistito un solo reche qualcuno non abbia fatto arrabbiare. Non vedo proprio come potrebberosmettere di arrabbiarsi, i re. Vi sono sempre invidiosi e adulatori inviperitiche mordon loro le orecchie.»

Un tipo che stava accanto al Re che s'arrabbiò disse: «Vostra Signoria siconsoli, io sono il re Perico e non mi lasciano in pace né di giorno né di notte.

 Non c'è cosa sporca, sgualcita, povera, vecchia, sciupata, che non si dicaessere dei tempi di Re Perico. I miei tempi furono molto migliori di quel chesi pensa. E per sapere chi sono stato e che cosa furono i miei tempi, e chisono invece costoro e quale il loro tempo, basta stare ad ascoltarli. Quandouna madre dice a una ragazza: 'figlia, le donne devono abbassare gli occhi,guardare la terra e non gli uomini', esse rispondono. 'questo succedeva aitempi di re Perico; sono gli uomini che devono guardare la terra, poiché diquesta sono stati fatti, mentre le donne devono guardare gli uomini, perchésono una parte di essi'. Se un padre dice a un figlio: 'non bestemmiare,astieniti dal gioco, dì le orazioni tutte le mattine, fatti il segno della crocequando ti alzi, benedici la mensa', il figlio risponde che questo si usava aitempi di Re Perico e che lo considererebbero una donnicciola se si facesse ilsegno della croce e riderebbero di lui se non bestemmiasse e imprecasse. Diquesti tempi si considera più uomo uno che bestemmia che uno che la barba.»

Aveva appena finito di parlare quando si avvicinò un morticino sottilesottile, che senza tante storie disse:

«Quel che avete detto può bastare; quaggiù siamo in tanti e quest'uomovivo è tutto sbalordito e fuori di sé.»

Vedendolo così irrequieto dissi: «Non direbbe altro Mateo Pico».Avevo appena finito di parlare, quando il morticino disse: «Hai scelto il

momento migliore per venir fuori con questo ritornello! Io sono davvero

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Mateo Pico e son qui per questo. Dunque, manigoldo di un vivo, mi vuoispiegare cos'ha mai detto Mateo Pico, perché lo dobbiate sempre scomodare

con quel 'direbbe altro' e 'non direbbe altro'? Come sapete che Mateo Piconon direbbe altro?

Lasciatemi tornare a vivere senza tornare a nascere (io non mi trovo bene nel ventre delle donne perché mi sono costate troppo) e vedrete se nondirò altro, furfanti. Direi altro e altro ancora e direi tanto da farvi correggereil ritornello in:

'Direbbe ben altro Mateo Pico'. Sono qui e dico ben altro, e tu fallosapere ai chiacchieroni che stanno sulla terra; ho deciso di ricorrere in appello

contro questo ritornello versando le millecinquecento».

Ero rimasto un po' turbato per la mia disattenzione e per aver conosciuto Mateo Pico di persona. Era un omettino minuto, tutto strilli, chesembrava trasudare parole da tutte le giunture, storpio d'occhi e strabico digambe, e mi sembrava di averlo visto mille volte in tante parti diverse.

Quando si levò di torno, apparve ai miei occhi una grandissima ampolladi vetro. Mi dissero di avvicinarmi e vidi che dentro, rosolandosi in unterribile calore, c'era uno spezzatino, che danzava su e giù per il recipiente. A

 poco a poco alcuni pezzi di carne cominciarono ad unirsi e da alcune fettenacquero un braccio, una coscia e una gamba; alla fine si rappezzò e si drizzòin piedi un uomo intero. Mi si cancellò il ricordo di tutto quello che avevovisto e vissuto, ed ero così sconvolto da quella visione che non sembravodiverso da un morto.

«Mille volte Gesù!» esclamai. «Che uomo è mai questo, nato in un

intingolo, figlio di un'ampolla?»

In quel mentre sentii una voce che usciva dal recipiente: «In che annosiamo?»

«Nel milleseicentoventuno» risposi.

«È l'anno che aspettavo».

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«Chi sei tu, che partorito da un matraccio parli e vivi?» chiesi.

«Non mi conosci?» rispose. «Il matraccio e le carni tagliate non tirivelano che sono il marchese di Villena?

 Non hai sentito dire che mi feci spezzatino dentro un matraccio per diventare immortale?»

«Da sempre lo sento dire» gli risposi, «ma ho sempre pensato che fosseuna favola per bambini, una storia che sta tra ninnoli e bavaglioli. Chi sei? Ilmassimo che sono arrivato a pensare, lo confesso, è che tu sia un alchimista,

che in questo matraccio sconta la sua pena, oppure uno speziale. Ma l'avertivisto mi ripaga di tutti i miei timori».

«Devi sapere» disse allora, «che io non sono mai stato Marchese diVillena; questo è il titolo che mi hanno dato gli ignoranti. Io mi chiamavoDon Enrique de Villena ed ero infante di Castiglia; studiai e scrissi moltilibri, ma me li bruciarono, non senza dispiacere dei dotti.»

«Sì, ricordo» dissi. «Ho sentito dire che eri sepolto in San Francesco, aMadrid; ma ora vedo che non è così».

«Visto che sei venuto qui» disse, «apri questo matraccio».

Cominciai a far forza e grattar via la creta con la quale era sigillato ilvetro. Lui mi fermò dicendo: «Aspetta.

Prima dimmi: c'è pace nel mondo?»

«Una pace universale, se così si può dire» risposi, «dal momento chenon ci sono guerre».

«Questo succede? Allora richiudi il matraccio. In tempo di pacecomandano i poltroni, crescono i viziosi, hanno peso gli ignoranti, governanoi tiranni, tiranneggiano gli avvocati, detta legge l'interesse, la pace è amicadei furbastri. Non voglio niente di quel che c'è lì fuori: sto bene nel mio

matraccio, ritorno spezzatino».

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 Ero dispiaciuto perché già cominciava a sbriciolarsi. Dissi: «Aspetta.

Ogni pace che non venga fatta con una buona guerra è sospetta. Una pace,supplicata, comprata e voluta ad ogni costo, è salsa che stuzzica l'appetito per future guerre; e la pace non si sa più per chi sia; perché se gli angeli handetto: 'Pace agli uomini di buona volontà', la frase si addice a ben poca genteche oggi vive sulla terra. Il mondo sta per esplodere, ogni cosa si vasovvertendo.»

A queste parole si tranquillizzò, e alzatosi in piedi disse: «Se c'è una

qualche speranza di guerra, uscirò di qui, perché la necessità obbliga i príncipi a conoscere e a trovare la differenza tra ciò che è buono e ciò che losembra. Con la guerra terminano le frodi della penna e l'ipocrisia dei dottori,e il flusso dei laureati si arresta. Apri, ma prima dimmi: c'è molto denaro inSpagna? Che opinione si ha di esso? Fin dove arriva il suo potere? Hacredito? Ha valore?»

Risposi: «La flotta delle Indie non è ancora decaduta, anche se Genovaha spedito alcune sanguisughe dalla Spagna alla cima del Potosí, che standissanguando le vene e che a furia di succhiare han cominciato a impoverirele miniere.»

«I genovesi fanno razzia di denaro?» disse lui. «Ritorno spezzatino.Figlio mio, i genovesi sono la scrofola del denaro, malattia che viene dalladimestichezza coi gatti. E si vede che è scrofola, perché solo il denaro che vain Francia guarisce; infatti il Re cristianissimo non ammette genovesi nei suoicommerci. Dovrei uscire di qui, quando c'è in giro per le strade codesta rogna

delle borse? Non dico spezzatino in un matraccio, ma sabbia assorbente nellasua scatoletta vorrei piuttosto diventare, prima di vedere che quella gente èdiventata padrona di tutto.»

«Signor negromante» replicai, «anche se le cose stanno così, codestagente, essendo ricca, è ammalata di nobiltà, si dipinge da gran signore e ha ildebole di farla da principe. E in questo modo, con le spese e i prestiti, lamercanzia si guasta e tutto finisce in debiti e follie. E il demonio ordina che

le prostitue facciano vendetta delle rendite reali di costoro, perché li

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ingannano, li fanno ammalare, li fanno innamorare, li derubano, ed ereditatutto il consiglio delle Finanze. La verità si consuma ma non fallisce; da ciò

si capisce che i genovesi non sono la verità, perché si consumano efalliscono.»

«Con questa notizia» disse, «mi hai rianimato. Mi disporrò ad uscire daquesto recipiente se mi dirai in che stato è l'onore del mondo».

«C'è molto da dire a questo proposito», risposi. «Hai toccato un tastodoloroso. Tutti hanno onore, tutti sono onorati, e tutti sono attenti all'onore.

C'è onore in tutti i ceti; l'onore sta ormai decadendo dal suo primitivo stadio esembra già qualche stadio sotto terra. Quando si ruba, si dice che lo si fa per conservare il maledetto onore, e che è preferibile rubare che chiedere. Se sichiede, si dice che lo si fa per conservare il maledetto onore, e che è

 preferibile chiedere che rubare. Se si giura il falso, se si uccide qualcuno, sidice la stessa cosa: che un uomo d'onore non deve perdonare nulla, non devesopportare nessun affronto; che un uomo d'onore deve piuttosto lasciarsimorire fra quattro pareti che assoggettarsi a qualcuno; ma poi si fa tutto ilcontrario. E alla fine, nel mondo, tutti han capito l'antifona, e chiamano onoreil proprio comodo, e reputandosi onorati senza esserlo, si burlano delmondo.»

«Fra questa bella gente ci può andare a vivere il diavolo» disse ilmarchese. «Gli uomini che hanno qualche onore, io me li vedo come

 burattini, che gridano, si agitano e saltano e sembrano carichi di onore e a benguardare sono fatti solo di stracci e di stecchi. Non dire la verità è dunque unmerito; l'impostura e la truffa, cavalleria; l'insolenza, garbo. Uomini d'onore

erano gli spagnoli quando potevano dare dell'invertito e dell'ubriacone aglistranieri; ma alcune malelingue van dicendo che ormai in Spagna il vino nonsi lamenta più d'esser bevuto poco, e gli uomini hanno smesso di morire disete. Ai miei tempi il vino non conosceva la strada per andare alla testa e orasembra che non sappia far altro che salire verso l'alto. Non c'era allora altrasodomia che nell'espressione 'vai a farti' (usata da sempre), giacché tuttierano donnaioli e chi si tirava indietro si prendeva dell'invertito; ora midicono che i culi si sono sostituiti ai grembi; e immagino quindi che i mariti,

visto che parliamo di onore, saranno gli imbonitori delle loro donne, ognuno

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lodando la propria merce».

«Lo so ben io» dissi. «Ci sono mariti di vario tipo: alcuni sonocalzascarpe, che le donne usano per calzare con maggior facilità eabbandonarli subito dopo. Ci sono mariti lanterna, molto composti, molto

 brillanti, molto animosi, che visti di notte e al buio sembrano stelle e visti davicino sono lucignoli, tutti corno e ferro, in giusta proporzione.

Altri mariti vi sono, e assomigliano ai pistoni delle siringhe, cherichiamano quando si allontanano e allontanano quando si avvicinano. Maciò che è più degno di riso è l'onore delle donne, quando chiedono l'onore in

restituzione, che è come dire volere indietro quel che hai regalato. E sedobbiamo credere alla gente e al detto 'ciò che striscia ti onora'l'onore del mondo sono le serpi e le gonne».

«Pertanto» disse il marchese, sono assai prossimo a diventarespezzatino per sempre; non so perché indugio.

Dimmi, ci sono avvocati?»

«Un flagello di avvocati. Non ci sono che avvocati. Alcuni lo sono per mestiere, altri per presunzione, altri per amore allo studio, e questi son pochi;altri ancora lo sono perché trattano con persone più ignoranti di loro (ma aquesto proposito sono forse ingannato dalla passione) e tutti diventano dottorie baccellieri, laureati e maestri, più per i mentecatti con cui hanno a che fareche per le università che hanno frequentato. Converrebbe di più alla Spagnaun'invasione perpetua di cavallette che questi laureati riscattabili.»

«Per nessuna ragione uscirò di qui» disse il marchese. «Questo

succede? Già lo paventavo; ho letto nelle stelle questa sventura e ho presodomicilio in questa ampolla proprio per non vedere quei tempi passati, pienizeppi di avvocati; ora per non tornare a rivederli rimarrò pasticcio di carne inscatola».

Replicai: «In passato, quando la giustizia era più sana, c'erano menodottori. Poi è successo come per i malati, che più chiedono consigli ai medicie più pericoli corrono, la salute peggiora ed essi guariscono di meno e

spendono di più. La giustizia, per quel tanto che ha di verità, andava nuda;

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ora va in giro in un cartoccio come le spezie. Un corpo di leggi con i suoiquantunque, cuemo, cornusco, faciamus, era tutta la biblioteca. E benché si

tratta di voci antiche, suonano con maggiore proprietà, perché chiamano boialo sbirro e le altre cose che gli assomigliano. Ora è intervenuta una folla diMenocchi, Surdi, Fabri, Farinacci e Cujacios con tutta una serie di consigli,decisioni, responsi, lezioni, meditazioni che hanno creato una granconfusione. Se almeno ci si fermasse qui, sarebbe il minore dei mali, ma ognigiorno compaiono autori, ognuno con una caterva di volumi: Doctoris Putei,in legem sextam, volume 1, 2, 3, 4, 5, 6, fino al 15: Licentiai Abtitis, Deusuris; Petri Cusqui, In Codigum, Rupis, Bruticarpi, Castani, Montocanense,

De adulterio & parricidio, Cornarano, Rocabruno, ecc. Tutti gli avvocatihanno un cimitero per libreria e dicono per vantarsi: 'Ho tanticorpi;. Ed èottima cosa che le librerie degli avvocati siano fatte di corpi sen'anima,

 perché in tal modo assomigliano ai loro padroni. Ci consentono di avereragione su qualsiasi questione; l'unica cosa che non ci consentono di avere èil denaro, che vogliono tutto per sé. E le cause non si fanno per stabilire se untale debba o no del denaro a qualcuno, poiché questo non ha bisogno didomande e risposte; le cause servono a decidere che gli avvocati e il

 procuratore avranno denaro senza giustizia e che le parti avranno giustiziasenza denaro. Volete sapere quanto sono cattivi gli avvocati? Ebbene, se nonci fossero avvocati non ci sarebbero liti; e se non ci fossero liti non cisarebbero cause; e se non ci fossero cause non ci sarebbero procuratori; e senon ci fossero procuratori non ci sarebbero imbrogli e se non ci fosseroimbrogli non ci sarebbero delitti; e se non ci fossero delitti, non ci sarebberosbirri; e se non ci fossero sbirri non ci sarebbero carceri; e se non ci fosserocarceri non ci sarebbero giudici; e se non ci fossero giudici non ci sarebbeinquietudine; e se non ci fosse inquietudine non ci sarebbe corruzione.

Pensate alla sfilza di infernali fastidi che procura un avvocatuzzo, quel chenasconde una barbaccia e quel che autorizza un tocco. Andate a chiedere un

 parere e vi dicono: 'È una faccenda da studiare. Vostra signoria faccia contoche sia risolta. La legge parla chiaro'».

«Prendono un quintale di libri, dan loro due scapaccioni verso l'alto everso il basso, e leggono in fretta imitando un calabrone; poi gettano con ungran colpo il libro sul tavolo, a gambe all'aria, coi capitoli ben ostentati, e

dicono: 'In questo caso la parola spetta al giureconsulto. Vostra signoria mi

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lasci i documenti, vogli ooccuparmi a fondo del caso; torni domani sera. Misto occupando della tenuta di Transbarras, ma per servire vostra signoria

lascerò da parte questo lavoro'. E quando nel salutare li volete pagare - ed èdal vostro gesto che essi traggono l'autentica illuminazione e comprensionedel caso che devono risolvere - fanno gran vezzi e cerimonie, e dicono: 'Per amor di Dio, Signore!' E tra un amor di Dio e un Signore allungano la mano esi pappano un doblone per le spese iniziali.»

«Non uscirò di qui» disse il marchese «finché le cause non sidiscuteranno a bastonate. Al tempo in cui, per mancanza di avvocati, le liti si

decidevano col coltello, si diceva che il vero giudice era il bastone e da lìderivò la frase:'lo giudichi il giudice di legno'. Se mai uscirò, sarà soltanto per 

suggerire un espediente ai re della terra. Chi vuole vivere in pace ed esserericco paghi gli avvocati del suo nemico perché lo truffino, lo derubino, lodistruggano. Dimmi, esiste ancora Venezia?»

«Sì», risposi. «Non c'è altro che Venezia e veneziani».

«Oh! La manderei al diavolo» disse il marchese «per vendicarmi dellostesso diavolo; non la potrei mandare a nessun altro se non per fargli delmale. È una repubblica, questa, che può durare soltanto se rimane senzacoscienza.

Dovesse restituire ciò che non è suo, rimarrebbe senza niente. Che brava gente! La città fondata sull'acqua, il tesoro e la libertà sull'aria, ladisonestà sul fuoco. Insomma, è gente a cui la terra è sfuggita sotto i piedi,una sorta di frutto di mare per le nazioni e un immondezzaio per le

monarchie, attraverso le quali purgano le immondezze della pace e dellaguerra. E il turco li tollera per poter far del male ai cristiani; i cristiani per 

 poter far del male ai turchi; ed essi per poter far del male agli uni e agli altri, poiché non sono né mori né cristiani. Uno di essi, in occasione di una guerra, per dare la carica ai suoi contro certi nemici cristiani, disse: 'Coraggio, ché prima di esser cristiani siete veneziani'».

«Lasciamo perdere, e dimmi: sono numerosi coloro che desiderano i

favori dei potenti della terra?»

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 «È un'epidemia» risposi «per la quale tutti i regni sono degli ospedali».

Lui replicò: «O meglio dei manicomi. Pensavo di uscire di qui, ma dopola relazione che mi hai fatto, non mi muoverò più. Ma voglio che tu dica aquesti animali che in sella hanno la vanità e l'ambizione, che i re e i príncipisono in tutto e per tutto fatti di mercurio. Innanzitutto, il mercurio se lo afferriti scivola via; e così accade a quelli che vogliono prendersi coi re maggiore[...] dimestichezza di quel che è ragionevole. Il mercurio non sta mai fermo: ecosì sono i loro animi, per la continua agitazione causata dalle cure dello

stato. Chi tratta e lavora il mercurio si muove tremando; così deve fare chitratta coi re: tremare davanti ad essi di rispetto e timore, altrimenti tremerà poi fino a crollare, è inevitabile. Chi regna dunque in Ispagna, che è lo statoin cui mi trovo meglio? È l'ultima curiosità che mi voglio togliere prima diritornare spezzatino.»

«Filippo III è morto» risposi io.

«Fu un re santo e di incomparabile virtù» disse il marchese. «Ecco ciòche mi hanno permesso di vedere, e di pronosticare, le stelle».

«Da qualche giorno regna Filippo IV» dissi.

«Questo è accaduto?» disse. «Incomincia dunque, nell'ora cheattendevo, il terzo quarto».

Detto e fatto, si arrampicò su per l'ampolla, la agitò e uscì fuori. Si misea correre, dicendo: «Più giustizia farà adesso questo quarto che in altri tempidodici milioni».

Volevo seguirlo, quando un morto mi afferrò per un braccio e mi disse:«Lascialo andare, era causa di preoccupazione per tutti. E quando torneraisulla terra, riferisci che hai visto Agrages, il quale si lamenta perché lochiamate sempre in causa col suo: 'Adesso la vedrete'. Sono io Agrages.

Sappi che non ho mai detto una cosa del genere, perché a me non importa

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niente che la vediate o no. Eppure continuate a ripetere: 'Adesso la vedrete,disse Agrages'. Soltanto in questo momento, ora che ho sentito dire da te e da

quello del matraccio che regna Filippo IV, dico anch'io che adesso la vedrete.E siccome sono Agrages: 'Adesso la vedrete, disse Agrages'».

Se ne andò, e mi siparò davanti un omettino che sembrava il manico diun cucchiaio, i capelli ritti come un rastrello, riccioluto, rossiccio elentigginoso.

«Devi essere un sarto» dissi.

Lui rispose immediatamente: «Acqua, acqua. Sono soltanto un postulante. E non affibbiate soprannomi a nessuno. Mi chiamo Arbalias; vel'ho voluto dire subito perché non andiate poi in giro a dire di questo e diquello: 'È un Arbalias', senza badare a chi lo dite». | [continua]|

| [SOGNO DELLA MORTE, 2]|

Mi avvicinò un vecchio, molto corrucciato, con una gran testa, di quelliche hanno i capelli bianchi per vanità; una gran barba fluente, occhi in ombramolto infossati, fronte enorme piena di solchi, aria scontenta e vestito cheunendo alla sciatteria l'eccentricità dava un tono misterioso alla sua povertà.

«Devo parlare con te» mi disse «ma con più agio che Arbalias. Siediti».

Si sedette e mi sedetti. E come se fosse stato sparato da un archibugio, aguisa di folletto, apparve fra noi due un omettino che sembrava unframmento di Arbalias e non faceva che squittire ed agitarsi. Con voce moltosolenne il vecchio gli disse: «Andate ad arrabbiarvi da un'altra parte, poitornate».

«Anch'io devo parlare» diceva lui, e non la smetteva.

«Chi è questo?» chiesi.

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 Rispose il vecchio: «Non immagini chi possa essere? È Chisgaravís».

«Ce ne sono duecentomila a Madrid» dissi. «Sono tutti Chisgaravís».

Replicò il vecchio: «Questo è venuto qui ad annoiare i morti e i diavoli;ma lascia perdere e veniamo alle cose importanti. Io sono Pedro e non PeroGrullo, e nel togliermi una 'd' dal nome mi avete reso santo e frutta.

Come è vero Dio, quando sentii nominare Pero Grullo, mi sembrò di

vederlo con le ali.

«Onorato di conoscerti» dichiarai. «Tu sei il Pero Grullo delle profezie?»

«Vengo per questo» disse il profeta fantasma. «Di questo dobbiamo parlare. Voi dite che le mie profezie sono assurde e vi burlate di esse senzarisparmio. Vogliamo esaminarle un po'? Le profezie di Pero Grullo, che poisono io, dicono così:

Molte cose ci promiserole antiche profezie:dissero che ai nostri giornisarà quel che Dio vorrà.

Ebbene, bricconi resi stupidi dalla malvagità, infami, c'è forse cosa piùdesiderabile del compiersi di questa profezia? Se ci fosse tutto ciò che Dio

vuole, non ci sarebbero che cose buone, giuste, sante; e non ci sarebbe ciòche vuole il diavolo, ossia il denaro e la cupidigia. Oggi quel che Dio vuole èil meno, e il più è invece quello che vogliamo noi andando contro la sualegge. Ora il denaro rappresenta tutti i desideri: viene desiderato e a sua voltadesidera; e si fa soltanto ciò che lui desidera, e il denaro è come Narciso chedesidera se stesso e non ha altro amore che per se stesso.

Andiamo avanti:

Ci sarà fango se pioverà,

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e dovremo constatareche nessuno correrà

senza i gomiti all'indietro.

Fatemi il favore di correre coi gomiti in avanti, e provatevi a sostenereche la mia affermazione non è verità.

Direte che la pura verità è menzogna: sarà un po' dura, fratelli che sietein vita! La verità, così com'è, dite che è amara; se è poca, dite che èmenzogna; se è molta, che è assurda. In che modo dev'essere questa verità

 perché vi vada a genio?

E siete tanto stolti da non accorgervi che non si è trattato di una profeziada Pero Grullo, perché c'è chi corre coi gomiti in avanti, e sono i medici cheal momento di congedarsi tendono la mano all'indietro per ricevere il denarodella visita, poiché prendono il denaro di corsa e corrono come scimmieverso colui che glielo dà per essere ucciso.

Chi avrà avrà,sarà sposo il marito,e il perduto più perduto,chi meno tiene e più dà.

«Già ti starai dicendo: che perogrullata è questa? chi avrà avrà».«Ebbene» riprese, «è proprio così. Chi ha veramente non è colui cheguadagna molto, né chi eredita molto, né chi riceve molto, ma chi ha e nonspende. E chi ha poco, ha; se ha due pochi, ha qualcosa; e se ha due qualcosa,

ha di più; e se ha due di più ha molto; e se ha due molto è ricco. Perché ildenaro (e fate tesoro di qeusto insegnamento di Pero Grullo) è come ledonne, contento di muoversi, di venire palpato e ubbidito, e scontento divenir custodito, di essere ricercato da chi non lo merita, ma alla fine lasciatutti col cuore spezzato, amico com'è dell'andare di casa in casa. E per capirequanto è spregevole il denaro, che sembra non essere stato altro che un

 pappagallo chiacchierone, osservate a quale spregevole gente, escludendo iProfeti, lo assegna il Signore; allo stesso modo, si vede che cosa sono i beni

di questo mondo attraverso chi li possiede. Date uno sguardo a questi

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mercanti, se avete ancora occhi (vi rubano anche quelli). Guardate questigioiellieri che in grazia della suadente follia vendono splendenti imitazioni e

 paccottiglia colorata, in cui naufragano le virtù dei giovani sposi. Che direancora, se entrate in una gioielleria? Non tornerete interi. Lì l'onore costa. Ec'è chi convince uno sventurato a stringersi al dito l'intero patrimonio, ecostui, non sentendo più il dito a causa del peso, si trascina poi urlando per lacasa. Non parlerò dei cuochi e dei sarti, né dei mercanti d'abiti che sono sarti

 per grazia di Dio e della fortuna e ladri per intercessione dei diavoli e delladisgrazia. Dietro ad essi corre il denaro. Ed è per questo che una persona di

 buoni costumi e di coscienza pulita, se deve comunicare al denaro i propri

desideri, prova ribrezzo. Ma lasciamo perdere e passiamo alla seconda profezia, che dice: sarà sposo il marito.»

E poiché avevo fatto non so quale gesto nel sentire la grullata, «evvivail bladacchino dell'alcova» gridò incollerito, «perché se non mi ascoltate conserietà e mi ridete in faccia, vi strapperò i peli della barba. Ascoltate dunque,vi venisse un accidente! perché ad ascoltare e ad imparare siete venuto.Pensate davvero che tutti gli uomini sposati siano mariti? Vi sbagliate digrosso: ci sono molti sposati che sono celibi e molti celibi che sono mariti. Eci sono uomini che si sposano per morire illibati e donzelle che si sposano per morire vergini del proprio marito. Mi avete ingannato, e siate maledetto: quisono venuti migliaia di morti e mi hanno detto che li avete uccisi con levostre birbonate. Vi assicuro che se non tenessi conto... vi strapperei il naso egli occhi, furfante, nemico di tutte le cose.

Ridete anche di questa profezia:

Le donne partoriranno,

se son gravide, e partoriscono;e i figli che nascerannosaranno di chi saranno.

Come vedete, pare una scemenza di Pero Grullo. Ma vi assicuro che sesi accertassero tutte le paternità, si farebbero grosse confusioni con un'dammi il mio maggiorascato' o un 'prenditi la tua eredità'. A proposito di

 pance ci sarebbero molte cose da dire, ma dal momento che i figli si fanno al

 buio e senza luce, e non si può scoprire chi è stato concepito per una parte e

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chi per l'altra metà, dobbiamo per forza rimetterci al parto: tutti ereditiamo per il fatto di nascere, e non è il caso di sottilizzare. Questo si riferisce alle

donne che hanno rapporti con ufficiali. La mia profezia non riguarda genteonorata, a meno che un maledetto come voi non voglia fraintendere. Quantinel giorno del giudizio riconosceranno il padre nel paggio, nello scudiero, nelservitore e nel vicino di casa? Quanti padri si ritroveranno senza discendenti?Vedrete, vedrete!»

«Queste profezie e le altre» dissi «noi non le consideriamo in codestamaniera. Sono certamente più vere di quel che sembrano, e nella tua bocca

sono tutt'altra cosa. Ti facciamo torto, lo riconosco».

«Allora» disse «ascoltane un'altra:

Volerete con le penne,camminerete coi piedi,due volte tre farà sei.

Volerete con le penne. Voi pensate che mi riferisca agli uccelli, esbagliate: certo, questa sarebbe una sciocchezza. Mi riferisco invece aicancellieri e ai genovesi, che ci involano con le penne il denaro da sotto ilnaso. E

 perché sulla terra si capisca che le mie profezie riguardano i tempiodierni e che Pero Grullo parla a chi è vivo adesso, porta con te questomazzolino di profezie, che ti daranno un bel da fare per essere comprese».

Se ne andò, lasciandomi un foglio su cui erano scritte queste righe, nel

seguente ordine:

 Nacque nel venerdì della Passione perché indovino fossee in quel giorno morisseroil buono e il cattivo ladrone.

Ci saranno mille rivoluzioni

fra stirpi onorate;

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renderà le cose rubate,castigherà i ladroni.

E se volesse per prima cosale perdite rimediare,lo farà col piantare

 baracca e burattini.

Vedrete che successidi questi tempi (strana meraviglia)

incontrerà Castigliain virtù d'un solo Quarto.

Le profezie maggiorila legge vedrà compiutequando sarà Quarto il ree in quarti i malfattori.

Lessi con ammirazione le cinque profezie di Pero Grullo e stavomeditandoci sopra, quando da dietro mi chiamarono. Mi voltai e c'era unmorto, assai malandato e afflitto, tutto bianco e vestito di bianco, che disse:«Abbi pietà di me, se sei buon cristiano; liberami dall'ossessione dellechiacchiere dei parolai e degli ignoranti, che non mi lasciano in pace, emettimi dove ti pare».

Si inginocchiò e prendendosi a schiaffi si mise a piangere come un bambino.

«Chi sei» chiesi, «tu che a tanta sventura sei condannato».

«Io sono» rispose «un uomo molto vecchio, al quale si rivolgono molteaccuse e del quale si dicono mille menzogne. Io sono l'Altro. Mi conosceraisenz'altro, perché non c'è cosa che l'Altro non dica. Quando non sapete comescaricarvi di una responsabilità, dite immediatamente: 'Come ha detto l'Altro'.E io non ho detto niente, non ho nemmeno aperto bocca. I latini mi chiamano

quidam, e nei loro libri mi trovi spesso a riempire le righe e a colmare

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 periodi. Vorrei, per l'amor di Dio, che tu tornassi sulla terra e dicessi che haivisto l'Altro del tutto bianco, che non ho niente in me di scritto, che non dico

e non dirò e non ho mai detto niente, e che smentisco da questo momentochiunque mi citi e mi accusi di fatti che ignora, visto che sono ormai l'autoredegli idioti e il testo fondamentale degli ignoranti. E

nota che nei pettegolezzi mi chiamano 'una certa persona', nelle frottole'non so chi', nelle cattedre 'un certo autore', ma sono sempre io, il disgraziatoAltro. Ti supplico, toglimi da tanta sventura e miseria.»

«Ancora qui siete, non volete lasciar parlare nessuno?» inveì un morto,

armato di tutto punto e molto in collera.Mi afferrò per un braccio e disse: «Ascoltatemi, visto che siete venuto afar da staffetta dei morti per i vivi. Quando tornerete lassù, dite loro che sonomolto seccato con tutti.»

«Chi sei?» chiesi.

Rispose: «Sono Calaínos».

«Sei Calaínos?» dissi. «Non so come tu non sia deperito; da sempre sidice: 'Cavalcava Calaínos'».

«Lasciamo perdere» replicò, «e veniamo a quel che importa. Cheragione c'è, mi domando, che quando si dice una frottola, una spiritosaggine,una bugia, una menzogna, si debba dire: 'Queste sono storie di Calaínos'? Chiè che le conosce le mie storie? Le mie storie furono belle e verissime. Non èil caso di fare tante storie conme».

«Il signor Calaínos ha perfettamente ragione» disse un tale che si eraunito a noi. «Io e lui siamo molto risentiti. Io sono Cantimpalos. La gente nonfa che dire: 'L'oca di Cantimpalos che andò a trovare il lupo'. Sarà bene cheriferiate laggiù che essi hanno trasformato in oca un asino; era un asino infattie non un'oca quello che avevo, e le oche non hanno niente a che vedere con ilupi; mi restituiscano dunque il mio asino nel ritornello e si riprendano la lorooca: vie legali, risarcimento danni, eccetera.»

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Col suo bastone, veniva avanti una vecchia, o forse unospaventapasseri, che diceva: «Chi sta presso le tombe?» Aveva una faccia di

 prugna secca, gli occhi dentro due cestini da vendemmia, la fronte con tantisolchi e di un tal colore e fattezza che sembrava la pianta di un piede; naso emento in conversazione, pressoché uniti formavano un artiglio e tutta lafaccia pareva un grifone; la bocca, all'ombra del naso, dall'aspetto dilampreda, senza un dente, con borse e pieghe scimmiesche e l'osso del cranioche già s'intravedeva sotto i baffi spinosi; la testa col tremore dei sonagli e la

 parola danzante; un ampio velo sopra l'abito da lutto, funereo ornamentodella tomba; in mano un lunghissimo rosario che penzolava e lei tutta curva,

con gli ossicini ballonzolanti, che sembrava andar pescando piccoli teschi.Vedendo questa sintesi del mondo ultraterreno, dissi a voce alta, pensando che fosse sorda: «Ah, signora! Ah, madre!

Ah, zia! Chi siete? Volete qualcosa?».

Lei allora, alzando l'ab initio et ante saecula della faccia fermandosidisse: «Non sono sorda, né madre, né zia; ho un nome e un lavoro e le vostreangherie m'hanno stufato».

Chi avrebbe mai pensato che anche all'altro mondo ci fosse presunzionedi giovinezza, in una carne per di più così rinsecchita come quella? Mi siavvicinò: aveva gli occhi che facevano acqua e dalla punta del naso oscillavauna candelina di moccio che esalava un tanfo di cimitero. Le domandai

 perdono e le chiesi il nome. Mi disse. «Io sono Quintañona la governante.»

«Ci sono delle governanti tra i morti?» chiesi meravigliato. «È giustoquindi chiedere ogni giorno a Dio misericordioso che i morti 'requiescant in

 pace', che riposino in pace; perché se ci sono delle governanti, disturberannotutti con il loro chiasso. Credevo che le donne morissero quando diventavanogovernanti e che le governanti non dovessero morire, perché il mondo eracondannato a un'eterna governante, che non ha mai fine; ma ora ti vedo qui,mi disinganno e mi rallegro di vederti. Perché noi, laggiù, a volte diciamo:«Guardate Quintañona la governante, ecco Quintañona la governante'.»

«Dio vi rimeriti e il diavolo vi porti» disse lei, «se avete tanta memoria

di me senza che io ne senta la necessità.

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Ditemi, su da voi non ci sono altre governanti? Io sono Quintañona; nonce ne sono da voi di diciott'anni e di settanta?

Perché non andate dietro a quelle e lasciate stare me, che sto all'infernoda ottocento anni con lo scopo di trovare alle governanti una collozione e idiavoli ancora non hanno osato riceverle, perché noi, dicono, risparmiamo le

 pene ai dannati, conserviamo l'estremità dei tizzoni come se fossero candele enon ci sarà più alcuna cosa sicura all'inferno? Sto pregando con tutta mestessa il purgatorio; e tutte le anime quando mi vedono dicono: 'Unagovernante? Non a casa mia'. Dal cielo non desidero niente, perché per noigovernanti è la morte se non troviamo qualcuno da tormentare e un po' di

 pettegolezzo da fare. Anche i morti si lamentano perché non li lascio esseremorti come dovrebbero e tutti mi hanno lasciato libera di tornare a fare lagovernante sulla terra. Preferisco starmene qui a servire da fantasma che nelmio salotto tutta la vita, seduta ai bordi di una panca a controllare le donzelle,che poi è più una semplice occupazione che un controllo. Quando arriva unavisita si grida 'chiamate la governante' e devo andar giù con tutti gli orpellidelle frasi di rito; se lasciano un messaggio, subito: 'chiamate la governante' enon ho requie, anzi alla povera governante si lasciano messaggi per quanto èlunga la giornata. Se non si ha un mozzicone di candela, 'chiamate Álvarez,la governante, lei ce l'ha'. Se manca una cosuccia, 'è stata la governante, stavalà'. Ci prendono per cicogne, tartarughe, ricci di casa, che si mangiano glianimali dannosi. Se si fa qualche pettegolezzo, 'ora basta, governante'. È unacosa penosa per la mia condizione e lo è ancora di più vedere che siamo le

 persone peggio sistemate del mondo, perché d'inverno ci mettono in cantina ed'estate in soffitta. Ma il più bello è che nessuno ci può soffrire: Le serve

 perché dicono che le controlliamo, i signori perché li costringiamo aspendere, i domestici perché badiamo a noi stesse, gli estranei per il 'coram

vobis' di tutti i discorsi, e hanno ragione perché tutte noi, appollaiate su altitacchi, alte e diritte, sembriamo un sepolcro vivente. E poi, quando la

 padrona ha visite, che cosa non sono le nostre riunioni! Lì si generanoangosce e singhiozzi, da lì procedono calamità e piaghe, imbrogli e bugie,trame e maldicenze, perché le governanti consigliano bietole e lenticchie e

 pronosticano lucerne, candele e forbici per smoccolare. E che spettacolovedere otto governanti, come otto capodanni o otto anni senza capo, che sialzano avvolte nei loro drappi e si accomiatano, con le loro bocche a

 balconcino, con la loro parlata disossata e il batter delle gengie, piazzandosi

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ciascuna alle spalle della propria padrona e facendola infelice, le natiche basse, inciampando e battendo la fronte, per finire su una portantina, un po'

 barella e un po' feretro, e farsi trascinare da due bricconcelli. Preferiscorestare fra i morti e fra i vivi moribondi piuttosto che tornare a far lagovernante. Una volta, un viandante che andava a Valladolid, avendo chiestodove poteva fermarsi a dormire - era una notte d'inverno - ed essendogli stataconsigliata una località chiamata Dueñas, chiese se poteva trovare alloggio o

 prima o dopo. Gli risposero di no ed egli allora proclamò: 'Preferiscofermarmi sulla forca che a Dueñas'. E rimase all'addiaccio, sugli scalini dellacolonna infame. Vi chiedo soltanto una cosa, e poi Dio vi liberi dalle

governanti (non è piccola grazia: per dire che qualcuno sarà distrutto si diceche lo si concerà da far parlare le governanti, pensate un po' che cosa vuoldire governante [...] Fate in modo di mettere un'altra governante nel

 proverbio e lasciatemi in pace; son troppo vecchia per entrare nei proverbi ecamminerei piuttosto sui trampoli, perché andare di bocca in bocca stancamolto una persona».

Striminzito, pelle e ossa, incarnato da selvaggina, uno zendale addosso,due maniche a far da brache, una pellegrina per cappa e una pensilina per cappello, mi si avvicinò un uomo imbaccuccato e mi si rivolse come farebbeun cappellaio: «Ehi, ehi» mi disse.

Gli risposi subito. Mi avvicinai e capii che doveva essere un morto chesi vergognava. Gli chiesi chi fosse.

«Sono don Diego della Notte, mal vestito e ancor peggio nutrito».«Stimo l'averti visto» dissi «quanto i beni che possiedo. O stomaco

avventuriero! o fauci da rapina! o pancia al trotto! o terrore dei banchetti! omosca d'ogni piatto! o cavabocconi dei signori! O divoratore dei conviti ecancro delle pentole! O gelone delle cene! O rogna dei pranzi! O orticaria delmezzogiorno! Al mondo non ci sono che compagni e discepoli e figli tuoi».

«Tutto per l'amor di Dio» esclamò don Diego della Notte, «non mimancava che questo di sentirmi dire. Ma per ripagarmi della mia pazienza, vi

 prego di compiangermi. In vita, andavo scegliendo le carni d'inverno per le

strippate d'estate, senza poter coprire queste natiche con le brache; il corpetto

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di pelo sopra le carni, la maggior parte del tempo digiuno di camicie, sempredandomi dell'intenditore delle mense altrui; rinvigorendo con impasti di pece

e chiodi lo sfinimento delle scarpe; rianimando le calze col solo nutrimento diago e filo. E mi ridussi in uno stato in cui, vedendomi calzato di geomanzia

 perché tutte le calze erano punti, stanco di rattoppare le finestrelle, mi dipinsile gambe con l'inchiostro e lasciai perdere. Giammai fazzolettino venne insoccorso al mio catarro, perché affilandomi il braccio sotto il naso miverniciavo di raffreddore. E se per caso rimediavo un fazzoletto, affinché nonsi vedesse che mi soffiavo il naso, mi nascondevo sotto il tabarro e facendo ilfantasma con la cappa e coprendomi il viso, soffiavo il naso di nascosto. Nel

vestire sembravo un albero, perché d'estate mi coprivo e rivestivo e ininverno andavo nudo. Non mi è stato mai prestato nulla che io abbia poirestituito: perfino le spade, di cui si dice non ce ne sia una sola che nonritorni, me ne prestassero una tutti, nessuna restituirei. Non avendo mai dettola verità in tutta la vita, e aborrendola, si diceva che la mia personarappresentava proprio la verità: nuda e amara. Quando aprivo la bocca, ilmeglio che ci si potesse attendere dagli altri era uno sbadiglio o un attacco dinervi, perché tutti si aspettavano il 'datemi qualcosa', 'fatemi un prestito','fatemi la carità'; e tutti, essendosi armati di risposte canagliesche,rispondevano a fior di labbra, sbrigativamente: 'non posso dar niente', 'Dio

 provveda', 'davvero non ho niente', 'sarei ben felice', 'non ho un quattrino'.»

«Fui tanto sfortunato che per tre cose sono sempre arrivato in ritardo:[...] a chiedere un prestito arrivavo sempre due ore dopo, e mi ripagavano inquesto modo: 'Se vostra signoria fosse arrivato due ore fa, le avrei prestato ildenaro'. Anche nel visitare i luoghi arrivavo sempre due anni dopo e quandofacevo l'elogio di un qualsiasi paese mi si diceva: 'Adesso non vale niente; se

vostra signoria lo avesse visto due anni fa!»

«A conoscere le belle donne e a dirne le lodi arrivavo sempre annidopo, e mi sentivo dire: 'Vostra signoria avrebbe dovuto vedermi tre anni fa,sprizzavo sangue dalle gote'».

«A questo punto sarebbe stato molto meglio che m'avessero chiamatodon Diego Dopo che don Diego della Notte. Posso forse dire che dopo la

morte ho trovato riposo? Sono qui e non mi sazio di morte; i vermi muoiono

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di fame con me e io per la fame mi mangio i vermi; e i morti fuggono sempreda me perché non attacchi loro il don, non rosicchi loro le ossa o non chieda

 prestiti; e i diavoli mi stanno lontano perché non mi riscaldi a sbafo ed io mene vo per questi angoli nascosto in una ragnatela».

«Ne avete fin troppi, lassù, di don Dieghi a cui fare ricorso. Lasciatemialle mie faccende: non c'è morto che arrivi da noi e non chieda di don Diegodella Notte. E riferisci a tutti i don instabili, ai gentiluomini insipidi,

 parahidalghi e quasi don, che si comportino bene al posto mio. Io son qui a patire in un piegabaffi di fuoco, perché essendo un mendicante gentiluomo

me ne andavo con forma e spiegabaffi da una parte e ferro per la gorgiera e bolla papale dall'altra. Questo, e lo spostare la mia ombra, io lo chiamavocambiar casa».

Sparì quel gentiluomo-visione, e ai morti venne fame. Quindi, con lamaggior fretta che si sia mai vista, mi si avvicinò un uomo alto e magro,minuto di fattezze, a forma di cerbottana, e senza darmi respiro mi disse:«Fratello, lasciate perdere tutto il resto, e subito; vi aspettano le donne morte,che non possono venire qui, dovete andare immediatamente ad ascoltarle e afare quello che vi ordineranno senza replicare e senza dilazione.»

Mi irritò la fretta di quel diavolo di morto; non avevo mai visto uomo più impulsivo. Dissi: «Non sono cose da fare in un battibaleno».

«Sì che lo sono» disse molto turbato «perché sono io Battibaleno, equesti che sta al mio fianco (anche se non l'ho mai visto prima) è Allacarlona,e ci assomigliamo come il piovere e il friggere». Vedendomi fra Battibaleno

e Allacarlona, andai come un fulmine dove mi chiamavano.

Da una parte erano sedute alcune morte; disse Battibaleno: «Ecco donnaFáfula, Mari-Zápalos e Mari-Rabadilla. Disse Allacarlona: «Sbrigatevi,signore, c'è molta gente che aspetta».

Donna Fáfula disse: «Io sono una donna molto illustre».

«Noi siamo» dissero le altre «le povere disgraziate che voi vivi tirate in

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 ballo nelle conversazioni diffamanti».

«A me non importa niente» disse donna Fáfula «ma voglio che sappiateche sono la moglie di un poeta di teatro, che ne ha scritte di molte, e unavolta la carta su cui scriveva mi disse: 'Signora, non le so dire quanto megliomi troverei stracciata in un pozzo nero che usata nelle strofe delle suecommedie'. Fui donna di grande intelligenza e mille volte mi afflissi col

 poeta mio marito per le sue commedie, autos ed entremeses. Gli chiedevocome mai, quando nelle commedie un vassallo inginocchiato dice al re: 'Mi

 prostro ai vostri piedi', questi risponde sempre: 'Vieni piuttosto fra le mie

 braccia'. Sarebbe più ragionevole far dire: 'Mi prostro ai vostri piedi' e che sirispondesse: 'Ed io poi come camminerò?'. Intorno alla fame e alla paura deilacché ebbi una grande discussione con lui. E con le mie buone maniere

[...] lo convinsi a meditare sul finale delle commedie, e a difenderel'onore delle fanciulle: prima le faceva involare alla svelta, ed era un peccato.

 Non mi saranno mai grati abbastanza, in tutta la loro vita, i genitori di quelle poverine. Misi anche un freno alla sua inclinazione per i matrimoni, che luiimprovvisava per uscire dal ginepraio del terzo atto, dove non c'erano renditeal mondo che bastassero. In una commedia, per evitare che si sposassero tutti,gli chiesi che il servitore, visto che il suo padrone gli voleva far sposare lacameriera, non desiderasse sposarsi e non ci fosse per lui alcuna possibilità dimatrimonio, affinché almeno una commedia terminasse con un servitorescapolo. Gli scontri più vivaci, tanto che volevo quasi separarmi, avvennero

 per gli autos del Corpus Domini».

«Io gli dicevo: 'Diavolo d'un uomo, è mai possibile che negli autos delCorpus il diavolo debba sempre entrare conm impeto e urla e calci, e con un

impeto per cui sembra che tutto il teatro sia suo, e troppo piccolo per il suoruolo, come chi dicesse: 'questa è la casa del diavolo'? e Cristo invece siasempre tanto dimesso che appena riesce a parlare?

Per il vostro bene, scrivete un autos in cui il diavolo non dica la bocca èsoltanto mia, e che non parli, visto che deve tacere, e che parli Cristo, perchélo può fare e ha ragione di farlo, e che sia Cristo ad arrabbiarsi. Quantunqueegli sia la pazienza in persona, pure si indignò talvolta, e prese la frusta, erovesciò tavoli, botteghe e cattedre, e fece scalpore.

Ottenni che, potendo dire Padreterno, non dicesse Padre Sempiterno, e

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che dicesse Satanasso invece di Satana, perché queste son le parole chevanno bene quando il diavolo entra facendo bu bu bu ed esce come una

saetta. Difesi gli entremeses, che distribuivano bastonate a tutti e con le loro bastonate rispondevano a chi se ne lamentava: 'Lamentatevi

[...] invece delle commedie, che finiscono tutte con un matrimonio, esono peggio perché son fatte tutte di mogli e di bastonate. Le commedie, cheudirono queste parole, per vendicarsi cedettero i matrimoni agli entremeses ealcuni di questi, per farla franca e rimanere scapoli, decidono ora di terminarecon barbieri, chitarre e canzoni».

«Donna Fáfula» chiese Mari-Zápalos, «son dunque tanto cattive ledonne?»

Irritata e con molto sussiego, rispose donna Fáfula: «Guardate un po'con che cosa salta fuori, adesso Mari-Zápalos!»

Come fu come non fu, cominciarono a battibeccare e in breve siazzuffarono, e Mari-Rabadilla, che era presente, non riusciva a rappacificarle,

 perché i suoi stessi figli, per mangiare ognuno nella propria ciotola, sistavano prendendo a cazzotti.

«Badate» diceva donna Fáfula «di dire al mondo chi sono». RibattevaMari-Zápalos: «Badate piuttosto di riferire come l'ho ridotta».

Mari-Rabadilla disse: «Dite ai vivi che se i miei figli mangiano ognunonella loro ciotola, non fanno male a nessuno. Sono peggiori coloro che

mangiano nella ciotola degli altri, come don Diego della Notte e altri comparidella sua risma!»

Mi allontanai di lì con la testa che mi scoppiava, e mi sentii investire dastrani rumori, pigolii e cigolii; vidi una donna che correva come una pazzagridando: «Pio, pio».

Pensai che si trattasse della regina Didone, che rincorreva il pio Enea a

causa del brutto tiro che le aveva giocato, quando sentii dire: «Quella è Marta

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che insegue i polli».

«Il diavolo ti porti, qui ti trovi? Per chi allevi i tuoi polli?» chiesi.

«Lo so io» rispose. «Li allevo per mangiarmeli, dal momento cheripetete sempre: 'Muoia Marta e muoia sazia'.

Chiedete un po' a quelli che sono al mondo se canta bene chi ha fame.La smettano di dire sciocchezze, si sa benissimo che non c'è miglior canzonedi quella della persona satolla. Dite loro che mi lascino qui coi miei polli eche distribuiscano i loro proverbi fra le altre Marte che cantano dopo essersi

rimpinzate; ho già abbastanza impicci qui coi miei polli senza andare adabitare nelle vostre filastrocche».

Che urla e che grida si sentivano in quella voragine! Chi correva da una parte, chi da un'altra. In un istante fu grande turbolenza. Non sapevo dovenascondermi. Si sentivano fortissime grida, che dicevano: «Io non ti voglio,nessuno ti vuole».

E lo dicevano tutti. Sentendo quelle grida, pensai: «Se non lo vuolenessuno, deve trattarsi di un povero, che si tratti di un povero, tutto lo lascia

 pensare».

Tutti dicevano: «Verso di te, viene verso di te».

Io non sapevo che fare, mi muovevo come un folle cercando il modo difuggire, quando una cosa che appena riuscivo a distinguere, un'ombra, miafferrò. Per lo spavento, mi si rizzarono i capelli in testa, mi sentii tremare

nelle ossa.

«Chi sei, o che cosa sei, o che cosa vuoi» chiesi, «che non ti vedo e nonti sento?»

«Io sono» disse «l'anima di Garibay e vado cercando chi mi vuole; tuttimi fuggono e la colpa è vostra, di voi vivi, che avete incominciato a dire chel'anima di Garibay non l'ha voluta né Dio né il diavolo. E con questo dite una

menzogna e un'eresia. L'eresia sta nel dire che Dio non l'ha voluta; Dio ama

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tutte le anime e per tutte le anime morì.Sono loro che non amano Dio. Dio ha amato l'anima di Garibay come

tutte le altre. La menzogna consiste nel dire che non l'ha voluta il diavolo. C'èforse un'anima che il diavolo non desideri? No di certo. Dal momento chenon ha schifo dell'anima dei cuochi, dei mercanti di panni, dei sarti e deicappellai, non ce l'avrà nemmeno della mia. Quando ero vivo nel mondo, miamava una donna calva e bassa, grassa e brutta, smorfiosa e sporca, e dotatadi un'altra dozzina di difetti.

Se questo non è essere amati dal diavolo, non so cos'è il diavolo;capisco da ciò che il diavolo mi amava per procura e che per procura essa

m'indiavolò, e ora mi aggiro in pena per questi sotterranei e sepolcri. E hodeciso di tornare nel mondo e di andare fra gli sbirri senz'anima e fra gliimbroglioni, che per avere un'anima mi ricevono tutti; si può dire checostoro, e tutti quelli che svolgono analoghe attività, hanno l'anima diGaribay. E andate a dire a quei tanti che dicono che l'anima di Garibay nonl'ha voluta né Dio né il diavolo, che sono loro a volerla, e che già ce l'hanno,e che mi lascino perdere e pensino a se stessi».

Così detto, sparì col medesimo rumore. Lo seguiva una gran ciurma dicenciaioli, osti, locandieri, pittori, venditori di balocchi e gioiellieri, dicendo:«Aspetta, anima mia».

Mai vidi cosa tanto desiderata. E mi stupii che nessuno la volesse al suoarrivo, mentre tutti la volevano alla sua partenza. Rimasi confuso quando miavvicinarono Percio de los Palotes y Pateta, Juan de las calzas blancas, Pedro

 por Demás, el Bobo de Coria, Pedro de Urdemalas (così almeno mi disseroche si chiamava) e dissero: «Non vogliamo parlare dell'affronto che si fa a

noi nei racconti e nelle conversazioni, perché non basterebbe un interogiorno».

Risposi che era una buona idea, perché con tutto quello che avevo vistoavrei finito per non ricordarmi niente.

«Vogliamo soltanto» disse Pateta «che tu veda la galleria dei morti dei proverbi».

Alzai gli occhi e vidi da un lato San Macarro che imitava il ronzio del

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calabrone e al suo fianco San Leprisco.In mezzo c'era san Ciruelo, con molte offerte e promesse di signori e

 prìncipi nell'attesa del loro giorno, quello di San Ciruelo, in cui finalmente nefarebbero di generose. Sopra di lui c'erano il santo di Pajares e frate Jarro, ilsacrestano, gonfio come un otre, vicino a San Porro che si lamentava deicarrettieri. Odoroso di tino, con una vendemmia ad occhi occhio e sputandograppoli, le mani come sgabelli per otre e il naso come cannella da botte,Frate Jarro disse in tono avvinazzato ma chiaretto: «Questi sono santi che lamalizia ha canonizzato con poco timor di Dio».

Me ne volevo andare, quando sentii quel santo di Pajares che diceva:«Ah, compagno, informate il mondo che molti furfanti, che da voi sonoconsiderati santi, hanno già qui il loro pagliaio; il resto che abbiamo da direlo diremo un altro giorno».

Volsi loro le spalle e mi ritrovai accanto, appiccicato, don Diego della Notte, che si stava grattando in un angolo; lo riconobbi e gli dissi: «È possibile che in vostra signoria ci sia ancora qualcosa da mangiare, signor don Diego?»

Mi rispose: «A causa dei miei peccati, sono refettorio e albergo di pidocchi. Vi supplico, mandatemi degli stuzzicadenti, visto che ve ne andate;da voi ce ne sono molti mentre qua non se ne trovano; vorrei fare la miafigura e senza di essi mi sento impacciato. Appena me ne metto uno in bocca,mi sento un re, le mie mascelle si danno ai giochi di prestigio e insommamastico, succhio e tengo fra i denti qualcosa, che a poco a poco finisco per 

rosicchiare. E se sono di lentisco, fan bene contro l'idropisia».

Mi fece molto ridere, e m'allontanai fuggendo, per non vederloabbattere un muro a forza di grattarsi le costole contro di esso.

Così scomparve quel cavaliere-illusione. Gridando e ululando venivaavanti un morto dicendo: «Tocca a me. Io lo saprò. Lo dirà. Ci capiremo.Cos'è questo?» e altre cose del genere.

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Un po' confuso dalla baraonda dei ragionamenti, chiesi chi fosse quella persona così bene informata. Un altro defunto che stava al mio fianco

rispose: «È Vargas, che si sta occupando di ogni cosa, secondo il detto: 'Se neoccupi Vargas'». Camminando, incontrò Villadiego. Il poveretto era moltoafflitto, parlava da solo, si rivolse a Vargas e gli disse: «Signor Vargas, dalmomento che lei si occupa di tutto, mi faccia la grazia di accertare chi sono'quelle di Villadiego' di cui tutti parlano; io sono Villadiego e in tanti anniche sono vissuto e che mi trovo qui non l'ho mai potuto sapere; non sento laloro mancanza ma vorrei uscire da questo incantesimo».

Vargas gli rispose: «C'è tempo per questo, rimaniamo a casa nostra; oralasciatemi, per la vita vostra, perché sto indagando su chi è nato prima, se le bugie o i sarti. Perché se le bugie son nate prima, chi le poteva dire, se nonc'erano i sarti? E se son nati prima i sarti, come potevano esistere senza

 bugie? Appena l'ho scoperto, ritorno».

E con questo sparì. Dietro di lui veniva Miguel de Bergas, dicendo: «Iosono il Miguel delle negazioni che non hanno un perché, e vado sempre ingiro con uno attaccato ai fianchi (questo no, Miguel de Bergas), e nessuno miconcede nulla, senza ch'io sappia bene perché e che cosa ho fatto».

Avrebbe parlato ancora, tanto si era appassionato, se non fosse arrivata,carica di panini votivi, piena di acciacchi e singhiozzante, una povera donna.«Donna sventurata, chi sei?» chiesi. Rispose: «La serva dell'abate, quella chenelle favole divide il male con chi lo va a cercare. Così l'esordio della moraledice: 'E il male ricada su chi lo va a cercare e sulla serva dell'abate'. Io nondivido proprio nessuno, anzi faccio in modo che si sposino tutti: mi

accontento dell'elemosina che mi può fare una pianeta e del sostentamentodelle ampolline di vino da messa: osservo i responsi della Chiesa comeun'anima del purgatorio; che cosa pretendete dunque da me, se non c'èmalanno che non mi tocchi?»

Detto questo, se ne andò; al suo posto rimase un uomo triste, con unafaccia un po' da spettro e un po' da messaggero di sventure. «Con quellafaccia da funerale» dissi, «sei di troppo persino al martedì. Chi sei?»

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«Sono Uccidiletacendo» rispose, e nessuno sa perché mi abbianoaffibbiato qusto nome; è un'assurdità, perché si uccide proprio quando si

 parla troppo e il nome giusto dovrebbe essere Uccidileparlando. Infatti ledonne desiderano soltanto che un uomo dica di sì, dal momento che chiedonoin continuazione; e se chi tace acconsente, io mi dovrei chiamareResuscitaletacendo; invece ci sono in giro molti ragazzetti dalla lingua lesta,che uccidono quanti li stanno ad ascoltare e per questo si vedono tanteorecchie ferite.»

«È vero» disse Lancillotto. «Hanno consumato anche me a furia di

lancillottarmi nel discutere se son venuto o no dalla Bretagna; e sono talichiacchieroni, che sapendo che il mio romance dice:

le donzelle si curavan di luie le governanti del suo ronzino

han dedotto che ai miei tempi le governanti fossero garzoni di scuderia perché si prendevano cura del ronzino. Starebbe fresco il ronzino in manoalle governanti! Soltanto il diavolo glielo potrebbe affidare! È vero (non lo

 posso negare) che le governanti, essendo giovani, anche se si trattava solo dicavalli, si intromisero (come fanno per tante altre cose), ma io feci ciò che miconveniva».

«Credete pure al signor Lancillotto» disse un povero garzone, semplice,umile e dalla faccia ebete. «Garantisco io».

«Chi sei tu» chiesi, «che pretendi di trovar credito in questa gente

imputridita?»

Rispose: «Sono il povero Giovanni Anima Buona, a cui non è servitoavere una buona anima o altro perché lo lascino stare da morto. Strana cosache nel mondo io serva da soprannome per tutto ciò che vi è di peggio! 'È unGiovanni anima buona' dicono del marito che soffre, dell'innamorato tradito,dell'uomo imbrogliato, del padrone derubato, e della donna raggirata. Ioinvece me ne sto qui senza avere a che fare con nessuno».

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«Questo è niente» disse Juan Ramos, «giuraddio, furono i diavoli chemi fecero prendere una gatta. Mi conveniva piuttosto farmi mangiare dai topi,

visto che non mi si lascia mai in pace col ritornello: 'Ecco la gatta di JuanRamos', 'Prenditi la gatta di Juan Ramos'. E il peggio è che adesso non c'èragazzina, né ragionierino (che fino a ieri non aveva da contare che dolori efallimenti), né segretario, né ministro, né ipocrita, né postulante, né giudice,né querelante, né vedova, che non si comporti come la gatta di Juan Ramos;ora mi sento tutto una gatta, mi par d'essere sempre in febbraio e preferireiessere il sarto del Campillo, piuttosto che Juan Ramos».

Come un lampo saltò su il sarto del Campillo e chiese che cosac'entrasse Juan Ramos col sarto. Cominciarono a litigare sull'intromettersi onon intromettersi, se si doveva dire per l'innanzi gatto invece di gatta, e se ilsesso costituisse o meno un miglioramento. Il sarto non si affidò alle forbici,ma usò le unghie, e giustamente, cosicché cominciò una briga del diavolo. Difronte a tale rissa, decisi di lasciarli.

Stavo camminando pian pianino e cercando chi mi guidasse, quando misiparò dinnanzi, senza dir parola e neanche farfugliando come i bambini, unmorto di bella presenza, vestito bene e di bella cera. Temendo che fosse

 pazzo, lo affrontai. Cercarono di rappacificarci.

Diceva il morto: «Lasciatemi sistemare questo mascalzone, disonorati.Giuro sulle mie ciabatte che farò in modo che rimanga qua». Io ero in collerae gli dissi: «Vieni un po' qui che torno ad ucciderti, infame. Non puoi essereun uomo dabbene: vieni un po' qua cornuto.»

 Non l'avessi mai detto! Non avevo ancora finito di pronunciare la brutta parola, che di nuovo l'uomo mi si avventò contro e io feci lo stesso.

Arrivarono altri morti e dissero: «Cosa avete fatto? Sapete con chi state parlando? Diego Moreno chiamate cornuto? Non potevate prendervela conuna testa meno adornata?»

«Sarebbe lui Diego Moreno?» esclamai. Ero infuriato e gridai: «Infame,

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hai il coraggio di parlare? Chiami gli altri disonorati? Ma allora è la morteche non ha onore, se consente a costui di rimanere qui. Che cosa ti ho fatto

io?»

«Avete scritto un entremés» disse subitamente Diego Moreno. «Sareidunque un cornuto, e tutte quelle altre porcherie che avete detto di me? Nonavevate altri Moreni sotto mano? Non sapevi che tutti i Moreni, anche se sichiamano Giovanni, sposandosi diventano Dieghi e che moreno è il coloredella maggioranza dei mariti? Che cosa ho fatto io, che non abbiano fattotanti altri? Le corna sono forse terminate con me? Sono forse montato in

superbia in virtù di esse? Son diventati più preziosi, dopo la mia morte, icalamai e i manici dei coltelli? Che cosa ti ha spinto a mettermi sul palcoscenico? Io sono stato un marito in tutto e per tutto, perché tutto prendevo e dappertutto ingrassavo: facevo la bella addormentata coi ricchi edero vigile come una volpe coi poveri. Poco malizioso, quello che potevocacciare nella borsa, non lo cacciavo in brutte faccende. Mia moglie era unafurbacchiona e mi diffamava, perché aveva preso l'abitudine di dire: 'Dio

 protegga il mio Diego Moreno, che non mi ha mai detto né bene né male'.Mentiva la birbona, ho detto bene e male di lei duecento volte. E se puòessere utile, raccomandate ai cornutacci che vivono adesso sulla terra, dicominciare a dire alle loro donne bene e male, e vedremo se le teste gli sisfronderanno e se potranno fermare la crescita dell'osso frontale. Ma c'èdell'altro: si sussurra che non ho mai detto né male né bene, ed è vero tutto ilcontrario, perché quando vedevo entrare in casa mia dei poeti dicevo male!;quando ne vedevo uscire dei genovesi dicevo bene!; quando vedevo miamoglie coi damerini dicevo male!; quando la vedevo coi mercanti dicevo

 bene! Se incontravo sulle scale un pezzo d'uomo dicevo male male!; se

incontravo un fornitore o un commerciante dicevo bene bene!»

«Di quali altri cose potevo dire bene e male? Ai miei tempi un marito posticcio faceva scalpore, si faceva moneta falsa per averne uno, e trovarlonon era facile. Adesso si sposano in tanti e si mettono a fare i mariti comefarebbero i sarti o gli scrivani. E ci sono mariti che studiano da cornuti, sonogli apprendisti della vita coniugale. E la faccenda procede in maniera che setornassi a vivere, pur essendo Diego Moreno in persona e un cornuto

esemplare, potrei fare lo studente e l'apprendista di fronte a certi mariti che

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non riescono a pettinarsi per colpa delle escrescenze e si pettinano soltanto leloro barbe da capricorno».

«Perché tanta umiltà?» gli dissi. «Sei stato il primo uomo che con latesta abbia reso corneo il matrimonio, il primo che abbia fatto crescere, sottoil cappello, vetri di lanterna, il primo che abbia dato l'avvio ai matrimonisenza adeguata copertura. Una volta sulla terra non farò che scrivere giorno enotte entremeses sulla tua vita».

«Questa volta non ci andrai» disse.

E tornammo a sbranarci; le grida e il chiasso che facevamo misvegliarono. Diedi un sobbalzo nel letto e gridai: «Il diavolo tiporti; adesso tiarrabbi? È proprio dei cornuti arrabbiarsi dopo la morte?»

E mi ritrovai nella mia stanza stanco e incollerito, come se la lite fossestata vera e il mio viaggio non fosse stato un sogno. Ciononostante misembrò giusto non disprezzare del tutto questa visione e darle un certocredito, perché son del parere che raramente i morti si burlano di noi che,

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