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Provincia di Sondrio Distretto Culturale della Valtellina - Fondazione di Sviluppo Locale - via Piazzi, 23 - 23100 Sondrio (SO) - Tel. +39 0342 358708 - Fax +39 0342 518287 - [email protected] 50. Il museo aperto del Dòs de la fórca Mario Giovanni Simonelli Icone scutiformi e spiraliformi (foto: M. G. Simonelli)

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Page 1: 50. Il museo aperto del Dòs de la fórca · 2015-02-10 · Pace, 1997b = D. Pace, Tutela del “Doss de la Forca” in Silloge in onore di Davide Pace, Edizione a cura del Centro

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Distretto Culturale della Valtellina - Fondazione di Sviluppo Locale - via Piazzi, 23 - 23100 Sondrio (SO) - Tel. +39 0342 358708 - Fax +39 0342 518287 - [email protected]

50. Il museo aperto del Dòs de la fórca Mario Giovanni Simonelli

Icone scutiformi e spiraliformi (foto: M. G. Simonelli)

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La designazione del sito archeologico tellino fu elaborata nel 1981 da Davide Pace: «Il Dòss de la Fórca può essere considerato un museo aper-to: sacro repertorio i cultuali petroglifi. La qua-lificazione ufficiale di ‘museo aperto del Dòss de la Fórca’ introdurrebbe una felice novità nel problema della tutela di quei complessi cultu-rali che ostendono inscindibile la concomitanza dei valori naturali e dei valori storici» (Pace, 1997b, p. 107). Il culmine del dosso variegato è posto a 868 m s.l.m. ed è indicato NS 799139 sulla carta d’I-talia, scala 1:25000, F. N°19 IV S.O. (Ponte in

Valtellina), edizione IGM.La composizione geologica del terreno è dif-forme: la struttura portante del terrazzamento glaciale è formata da rocce filladiche e calca-ree con strati superficiali di argilla, di torba e di ghiaia (Russo, 2009, pp. 4-9).Rigogliosa la flora spontanea che riveste il sito. Nell’area circoscritta, caratterizzata da un pe-culiare microclima, si rileva a sud la presenza di vegetazione xero-termofila e a nord di boschi (latifoglia) (Garbellini, 1981, pp. 1-2; Simonel-li, 2006, pp. 5-9). Il toponimo richiama il luogo dove nel Medio-

Immagini fimorfoidi, a forma di φ (foto: M. G. Simonelli)

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evo furono eseguite le condanne capitali con-template negli statuti comunali. Il latino furca, in realtà, evoca un passaggio obbligato, una stretta gola. Tanto più che l’espressione sugge-risce anche la conformazione a «V» dell’itinere (Olivieri, 1961, p. 232). Il dosso, infatti, incom-be sulla biforcazione dell’arcaica strada roma-na. Il tratturo lambisce, a destra, le chiese di S. Martino e di S. Pietro e poi digrada verso Boalzo e Bianzone; ascende, a sinistra, verso Ligone, quindi perviene a Prato Valentino e al passo Meden, passaggio obbligato per la Val Saent (Confederazione Elvetica). Le mappe comuna-li, peraltro, assegnano al sito la denominazione di Dosso Rigoletto che potrebbe discendere dal diminutivo «ripula» con significato di «piccola riva» ovvero «piccolo terreno rialzato, in pen-dio». Quest’ultima formulazione, proposta da D. Olivieri, ben si attaglia al dòs de la fórca (Olivieri, 1961, p. 468).

Si propone un itinerario archeologico, con ac-cenni esegetici, che si può agevolmente com-pletare, a piedi, in tre ore. Si raggiunge il punto di partenza percorrendo la strada panoramica dei Castelli da Sondrio nella direzione Teglio. Dopo Vangione si incro-cia a destra Ca Frigeri; immettersi, a sinistra, sulla carrozzabile comunale che conduce a Pra-to Valentino, S. Rocco e Ligone. Si oltrepassa un’azienda agricola e si parcheg-gia nei pressi di una edicola lignea collocata di fronte ad un edificio dotato di un malmesso campo da tennis. Ci si può accostare al masche-rone istoriato sulla roccia affiorante nell’a-diacente spiazzo erboso (h cm 70). Il Gruppo Archeologico Tiranese, il 24 gennaio 1976, rin-venne il complesso di profonde incisioni che, anche su suggerimento di E. Anati, fu definito «immagine mascheriforme antropomorfa». D. Pace esaminò, due anni dopo, i petroglifi ed

espresse la cauta opinione che l’artefice aves-se utilizzato le fenditure naturali della roccia per raffigurare un idolo contornato da numero-se microcoppelle a grappolo. Diverse le inter-pretazioni (coppelle congiunte da canaletti o idolo) e, conseguentemente, le determinazioni cronologiche (età del Bronzo o del Ferro) (Si-monelli, 1985, p. 112). Si rientra nella carrozzabile e a sinistra, in cor-rispondenza di un disarmonico prefabbricato si

Coppelle e microcoppelle componenti il cosiddetto mascherone (foto: M. G. Simonelli)

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ascende verso un poggiolo. Dopo una decina di metri si intravede una lastra litica ripulita di recente che riporta incisioni a coppelle, armi, e la sagoma di un grande animale selvatico (Neolitico?). Per esaminare due avvincenti im-magini topografiche ci si sposta a sinistra di al-cuni metri (Poggiani Keller, 1988, p. 85; Sanso-ni Gavaldo, Gastaldi 1999, pp. 34-35; Simonelli 2011, p. 113). Si riprende il percorso e superate due curve si imbocca la strada sterrata che porta a Pana-gia, Scranzi, San Giovanni. Dopo una decina di metri, ci si volge a sinistra e si può osservare un cospicuo masso erratico adagiato in un pra-to: è la corna del sass comunemente additata come ’l sass de la stria o del diaol. Il macigno è investito da una leggenda tramandata in di-verse versioni. Una strega decise di distruggere il borgo di Villanova scagliando la grossa pietra sull’abitato. Santo Stefano planò dall’alto della

omonima montagna vanificando le malvagie in-tenzioni della megera e il macigno ripiombò nel prato dove è tuttora visibile. Le dita grifagne della strega, tuttavia, rimasero impresse nella pietra. Si tratta della tipica fabulazione popo-lare elaborata per interpretare l’enigma dei se-gni misteriosi. D. Pace nel 1965 documentò cin-que incisioni fusiformi con coppellucole (Pace, 1997a, pp. 82-85). Nel 2011, assieme a P. Anni-baldi, ho riesaminato il monumento. Le icone individuate sono una trentina e la zona apicale risulta digrossata e provvista di un allogamento per adagiarvi la vittima. ’L sass de la stria è, in realtà, un’ arcaica ara sacrificale con alla base raffigurazioni teomorfe e antropomorfe. Si riguadagna la rotabile e dopo circa 1000 me-tri dal bivio per Panaggia ci si inoltra, a sinistra, in un sentiero campestre che, in una decina di minuti, adduce alla fresca radura di Dena. Il microtoponimo, secondo G. Borghi, deriva dal

Corna del sass: ara sacrificale con istoriazioni antropomorfe e fusiformi (foto: M. G. Simonelli)

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lessema celtico dêwênâ che al neutro significa territori divini. L’attigua Panagia, per altro, secondo D. Pace discende dal greco ed equiva-le a tutta santa, ancorché R. Bracchi proponga penàgia [zangola] (Bracchi, 2008, p. 145). Nella primavera del 2009 rinvenni in questo luogo tre monoliti istoriati. Il primo riporta asce, alabar-de e armi da caccia. Il secondo rappresenta, quasi sicuramente, un idolo e il terzo esibisce circoli solari. Un caratteristico allineamento preistorico di menhir, di contro ai tre manu-fatti, conferma l’arcaicità del sito non ancora compiutamente indagato (Simonelli, 2010, pp. 14-15). Si digrada, ora, fino ad una croce lignea (la crus de Proesa) che fronteggia un muro a secco nel quale è incastonato un frammento stelico dell’età del Rame/Bronzo istoriato con un’ar-ma fogliata. Percorsi ancora pochi metri, invece di dirigersi verso la chiesa parrocchiale di San Giovanni ci si incammina, a sinistra, sulla mulattiera che conduce alla zona meridionale del dòs, sopra Villanova. Dopo cinque minuti di escursione ci si rende conto che il fondo e i lati del tratturo furono scavati nella viva roccia. Si calca quel-la che la tradizione chiama strada “romana” o “valeriana”. Il periodo nel quale la carrareccia fu tracciata non è facile da indicare. Il filolo-go tellino Pio Rajna, nel 1924, congetturò che fosse un’opera ispirata dall’imperatore roma-no Gaio Publio Licinio Valeriano (III sec. d.C.). Altri studiosi, tra i quali B. Besta e U. Cavallari, asserirono che l’aggettivo “valeriana”, ovvero “valleriana”, significasse semplicemente “stra-da di valle”. Quest’ultima sentenza appare la più probabile. Il problema cronologico, tutta-via, non è risolto: le icone dell’età del Rame, del Bronzo e del Ferro che contornano il sen-tiero sono testimonianze della vetusta realizza-zione viaria (Simonelli, 2006, p. 11).

Giunti nei pressi del «capitèl de Vilanova» - in origine probabile edicola precristiana - sulle rocce che sovrastano il villaggio si possono indi-viduare numerose incisioni: coppelliformi, scu-tiformi, topografiche, spiraliformi e fusiformi. Rilevanti alcuni scivoli incavati nella roccia: glissidi nelle quali le donne sterili scendevano a sdrucciolo, talvolta con il sedere nudo, con l’intento di favorire la fertilità (Russo, 2009, pp. 81-122). Si oltrepassa di una decina di metri la cappel-letta e a sinistra si possono ammirare i fimor-foidi, immagini alte fino cm 70 a forma di ph greca [φ] che per D. Pace rappresentano l’o-riginaria unità androgina del demiurgo riflessa nella creatura (Pace, 1999, pp. 76-90). Si può percorrere la pista e in venti minuti, attra-versato l’evocativo torrente Magada, si sbuca sulla provinciale a Ca Frigerio. Per completa-re il percorso archeologico consiglio, tuttavia, di tornare all’edicola e seguire il ben indicato percorso CAI. In trenta minuti si perviene al culmine del dòs de la fórca. Il viandante atten-to, durante il cammino, osserverà sulle rocce raffigurazioni antropomorfe, scutiformi e nu-merose coppelle (Sansoni, Gavaldo, Gastaldi, 1999, pp. 33-36). Siamo giunti, finalmente, all’epilogo dell’iti-nerario. I polmoni si dilatano e lo sguardo si perde nel grandioso spettacolo offerto dalle Orobie ricoperte di neve. Il museo aperto ci ha mostrato solo alcuni dei tesori che custo-disce gelosamente sulle rupi e nelle gleba. Analogamente al dòs de la fórca/Galgenbühel altoatesino anche quello tellino potrebbe ri-servarci la sorpresa di reperti riconducibili ai bivacchi Mesolitici risalenti a 8.000 anni a. C.

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Fonti edite e bibliografia citata

Bracchi, Garbellini, Sebeni, Simonelli, 1997 = R. Bracchi, G. Garbellini, F. Sebeni, M. G. Simonelli, Silloge in onore di Davide Pace. Una selezione tra i suoi studi editi e inediti, Centro Tellino di Cultura, Villa di Tirano, 1997, pp. 67-71; 81-92.

Garbellini, 1981 = G. Garbellini, Il Doss de la Forca di Teglio, Comune di Teglio, 1981.

Garbellini, Simonelli, 2010 = G. Garbellini, M. G. Simonelli, San Giovanni di Teglio. I doni di una comunità, Sondrio, 2010, pp. 9-16.

Olivieri, 1961 = D. Olivieri, Dizionario di toponomastica lombarda, Milano, Ceschina, 1961.

Pace, 1999 = D. Pace, Petroglifi fimorfoidi di Teglio in Atti del II convegno archeologico provinciale, Qua-derni del Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio, Sondrio, 1999, pp. 75-94 D.

Pace, 1997a = D. Pace, Dossum Panagium, I, II, III, in Silloge in onore di Davide Pace, Edizione a cura del Centro Tellino di Cultura, Villa di Tirano 1997, pp. 81-92.

Pace, 1997b = D. Pace, Tutela del “Doss de la Forca” in Silloge in onore di Davide Pace, Edizione a cura del Centro Tellino di Cultura, Villa di Tirano 1997, pp. 106-110.

Pace, 1999 = D. Pace, Petròglifi fimorfòidi di Teglio, in Atti del II Convegno archeologico provinciale. Grosio 20 e 21 ottobre 1995, Quaderni del Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio, Sondrio 1999, pp.75-94.

Pace, Simonelli, Valmadre, 1985 = D. Pace, M. G. Simonelli, L. Valmadre, Escursione nell’antichità della Valtellina: da Teglio a Grosio, Sistema Bibliotecario di Tirano, 1985, pp. 111-113.

Poggiani Keller, 1999 = R. Poggiani Keller, Ricerche e scavi in Valtellina in Atti del II Convegno Archeologico Provinciale. Grosio 20-21 ottobre 1995, Quaderni del Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio, Sondrio 1999, pp. 41-62.

Sansoni, Gavaldo, Gastaldi, 1999 = U. Sansoni, S. Gavaldo, C. Gastaldi, Simboli sulla roccia : l’arte rupestre della Valtellina centrale dalle armi del bronzo ai segni cristiani, Centro Camuno di Studi Preistorici, Capo di Ponte, 1999, pp. 33-42.

Simonelli, 2006 = M. G. Simonelli, Il museo aperto del Doss de la Forca, Teglio, Milano 2006.

© Copyright 2014 byDistretto Culturale della Valtellina, Società Storica Valtellinese, autori di testo e fotografie

La riproduzione della scheda è consentita, con il vincolo della completa citazione della fonte:scheda n. 50 pubblicata online in: www.distrettoculturalevaltellina.itnell’ambito di Az. 1: “Percorsi per la valorizzazione del paesaggio dei terrazzamenti del versante retico”