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Rosario Di Petta

LOUIS ISIDORE KAHNLA MISURA DELL’ETERNO

Presentazione diFranco Purini

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Copyright © MMXARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A-B00173 Roma(06) 93781065

ISBN 978–88–548–3307–4

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: maggio 2010

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Indice

Presentazione di Franco Purini Il luogo dell’origine pag.7

Premessa pag.12

La misura dell’eterno pag.15

Bibliografia essenziale pag.95

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Il luogo dell’origine

L’opera di Louis Kahn, nonostante l’interesse che continua a suscitare in tutto il mondo, materializzato da un numero crescente di articoli, di saggi e di monografie, presenta aspetti che attendono ancora di essere indagati. Quella che sembra una straordinaria avventura creativa ormai conosciuta in tutti i suoi particolari richiede in realtà interpretazioni nuove, che possono scaturire solo da modelli critici capaci di coglierne gli aspetti rimasti finora in ombra, stabilendo nello stesso tempo inedite relazioni tra contenuti e fatti già ampiamente indagati. Il fatto che siano trascorsi trentasei anni dalla morte del progettista di Dacca fa inoltre sì che il significato della sua vicenda architettonica abbia oltrepassato tre svolte fondamentali quali l’avvento del postmodernismo, la successiva affermazione del decostruttivismo e la nascita dell’architettura dell’immagine. Senza dimenticare che questi tre passaggi epocali si sono svolti all’interno della rivoluzione digitale, una trasformazione profonda e irreversibile dei processi conoscitivi e delle modalità di classificazione e di utilizzazione delle informazioni che ha in qualche modo rifondato l’insieme dei saperi e delle tecniche da essi generate, producendo oltre a tutto ciò ulteriori orizzonti culturali. In architettura tale rivoluzione ha dato vita, tra l’altro, a una nuova visualità del paesaggio, della città e degli edifici. Determinato

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dell’universo dei pixel, questo tipo più acuto e selettivo di osservazione del mondo si è configurato come un potente filtro tematico. Esso ha consentito non solo che alcune architetture continuassero a imporre la propria presenza, ma soprattutto che le esaltassero in una sorta di iperrealismo dell’apparire. Al contempo questa nuova visualità dell’architettura ha causato il declino di molte esperienze linguistiche le quali, a causa di una loro intrinseca fragilità tematico-espressiva e della loro inconsistenza strutturale, non sono riuscite ad accordarsi con i requisiti iconici richiesti dallo sguardo digitale. Le opere di Louis Kahn appartengono senza dubbio a quelle che hanno superato lo sbarramento costruito della nuova visualità, rivelando oggi ambiti tematici prima del tutto nascosti o fortemente attenuati.

Per questi motivi – l’esistenza di nuovi contenuti da fare emergere da un corpus di progetti, di disegni, di relazioni e di scritti che assume via via una crescente completezza, la variazione nel tempo dei valori centrali di un’esperienza creativa, per molti versi unica e la positiva reazione a nuove modalità di lettura dell’architettura – il libro di Rosario Di Petta acquista una particolare rilevanza storico-critica. Leggendolo viene da pensare che la capacità, ampiamente dimostrata dell’opera Kahniana di contrastare il tempo proponendosi sempre come attuale derivi dal fatto che essa si è posta programmaticamente contro l’attitudine

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dell’architettura moderna a interpretare la propria contemporaneità, quasi trascrivendo tutto ciò che di transitorio e di accidentale questa può esprimere. Rosario Di Petta dimostra come l’architettura di Louis Kahn, attraverso una tendenziosa interpretazione delle tematiche linguistiche e strutturali moderne, approdi a una visione che non può definirsi propriamente storicista anche se contiene molti motivi tratti dall’antico, come ricorda a questo proposito il celebre slogan “Il passato come amico”. In effetti la visione di Louis Kahn, più che guardare alla tradizione, intesa come un sedime di lessici ai quali attingere, è più esattamente rivolta alla rivalutazione di un’idea ancestrale del costruire, basata sulla ricorrenza di enigmatici nessi tettonico-spaziali, sospesi in una sorta di immota e metafisica atemporalità. Ciò che sembra interessare il maestro lituano-americano è l’intercettazione di uno strato segreto dell’architettura, un livello implicito nel quale il tempo, e con esso la storia, non scorre, configurandosi come qualcosa di assolutamente fermo, che nella sua stabilità trova la ragione della propria esistenza. Louis Kahn è pervenuto a tale visione attraverso un itinerario piuttosto complesso e in qualche punto contraddittorio. Un itinerario, ripercorso con esattezza da Rosario Di Petta, nel quale si incontrano la riflessione sulla lezione di Rudolf Wittkower, una ispirata analisi dell’architettura miesiana, una attenta comprensione dei luoghi unita a una adesione critica a ipotesi tecnologiche come quelle di

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Richard Buckminster Fuller, un lavoro teorico sugli elementi architettonici e sulle loro connessioni primarie, che anticipa la minimal art, un lavoro assiduo e a suo modo ossessivo associato alla messa a punto del concetto di istituzione come esito di un trascendimento di quanto c’è di contingente in ogni occasione architettonica, ovvero come raggiungimento, da parte dell’edificio, di ciò che esso vuole e deve essere.

Rosario Di Petta ha ricostruito con precisione e chiarezza i passaggi attraverso i quali Louis Kahn è pervenuto alla sua idea di monumentalità come spazio semantico dell’istituzione, rifiutando contestualmente gli argomenti relativi alla utilità sociale dell’architettura cari alla maggioranza degli architetti moderni. Una maggioranza che ha preferito in prima istanza considerare gli edifici come erogatori di servizi per la collettività, trascurando così il loro significato più autentico, quello meno dipendente dalle contingenze. Secondo Louis Kahn, all’architettura non spetta solo il compito di rispondere nel migliore dei modi a una serie di esigenze funzionali. Il suo ruolo più vero e duraturo è infatti quello di rappresentare attraverso la forma, intesa come l’esito della necessità di esistere che le parti dell’edificio e il loro insieme devono esprimere, il senso ultimo, per così dire, dello spazio che rende tale una comunità.

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Sintetico e al contempo capace di affrontare in modo completo i nodi teorici che caratterizzano l’opera kahniana, il libro di Rosario Di Petta è molto più di un’utile introduzione al mondo architettonico di uno dei massimi protagonisti dell’architettura del Novecento. L’autore ha articolato su più piani il suo discorso. Nella sua esposizione le questioni compositive, gli argomenti di natura tecnico-costruttiva, la finalità stessa dell’architettura si ordinano secondo un disegno storico-critico complesso e rigoroso, che mette in evidenza con ammirevole efficacia comunicativa la natura intrinsecamente trattatistica della ricerca kahniana. In questo senso il volume si configura come una mappa circostanziata dei luoghi principali di una scrittura architettonica la quale, opponendosi coraggiosamente al progressivo consumo dei linguaggi architettonici moderni, è stata in grado di rifondarsi a partire dal suo nucleo più interno, quel luogo dell’origine nel quale e dal quale nasce l’esigenza spirituale e concreta del costruire.

Franco Purini

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Premessa

“Come Piranesi, Kahn aveva riconfigurato la realtà. Ma, a differenza di Piranesi, avrebbe traslato negli anni successivi queste monumentali immagini urbane in altri progetti, più realistici”.1

Questa è la lucida analisi effettuata da David Brownlee e David De Long nel loro volume – pubblicato con la collaborazione del Museum of Contemporary Art di Los Angeles e con la partecipazione della Louis I. Kahn Collection – che costituisce un racconto dettagliato ed estremamente suggestivo dell’architettura e della filosofia del maestro lettone-americano. E’ oramai noto come la pianta del Campo Marzio, nella visionaria ricostruzione di Piranesi, fosse appesa dinanzi al tavolo di lavoro di Louis Kahn, a suggerire il ricordo della grandezza dell’architettura antica, e ad imprimere, al contempo, la direzione di ricerca per la prefigurazione di nuove grandiose immagini progettuali. I tre mesi trascorsi da Kahn a Roma, dove l’architettura si mostrava nella purezza geometrica dei volumi scolpiti da muri grandiosi e dalle immense volte in calcestruzzo, influenzarono tutto il suo lavoro successivo, costituendo la necessaria premessa a quella

1 B. Brownlee, G. De Long, Louis I. Kahn : nel regno dell’architettura, Milano, 2000, pp. 100-102.

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rivoluzione silenziosa e solitaria che egli ebbe la forza di compiere, consegnando una preziosa nota dissonante e dubitativa ai fin troppo collaudati territori della modernità.Muovendo da tale presupposto, il presente studio costituisce un tentativo di rilettura sintetica del percorso kahniano, senza pretese di sistematicità o di completezza, mirato soprattutto a far emergere il senso profondo di quella monumentalità trascendentale che egli è riuscito ad infondere nelle sue opere, aprendo scenari inediti che, ancora oggi, rappresentano un territorio concettuale e formale denso di possibili spunti e suggestioni per le ricerche delle nuove generazioni di architetti. La misura classica del suo comporre è riuscita, infatti, a tradursi in opere dotate di un senso profondo dell’ordine, quasi a dispetto di una condizione esistenziale difficile ed a tratti disordinata.Il racconto qui tracciato si avvale di numerose citazioni tratte dagli scritti del maestro, che si intrecciano inevitabilmente con l’analisi descrittiva dei progetti e con il resoconto di qualche frammento particolarmente significativo della sua vicenda umana, provando a chiarire così il senso complessivo di un suggestivo percorso compiuto nei territori dell’architettura; e, più in generale, il significato profondo del suo messaggio di fede assoluta nella spiritualità intrinseca ad ogni opera di architettura. La sola in grado di trasmettere il sentimento della sua eternità.

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Mura Aureliane, Roma.

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La misura dell’eterno

Questa è un’architettura che restituisce qualcosa a coloro che non hanno eredità,

che trovano in essa un’immagine della propria dignità, e che, in mancanza di meglio,

vi leggono una visione di una vita diversa.Darah Diba

Quando George Howe scomparve Louis Kahn trascorse un’intera giornata a camminare da solo sulla spiaggia di Atlantic City, nel vano tentativo di smaltire il grande dolore per la perdita di un amico con cui aveva instaurato un legame indissolubile e verso il quale nutriva profonda adorazione. I due si erano conosciuti nei primi anni trenta, unendosi poi in uno studio associato nel 1940, ma il consolidamento di tale amicizia avviene di fatto a Yale, dove il professore Kahn propone con successo l’amico come direttore della scuola di architettura; e Howe, a sua volta, indicherà nel maestro lettone il progettista per la Yale Art Gallery.

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Howe è un architetto dotato di straordinaria cultura, impostosi all’attenzione con la realizzazione di un edificio per la Philadelphia Saving Fund Society che unisce il rigore strutturale con un’attenzione del tutto nuova per la “funzione”, tradotta in una “separazione tra il blocco uffici e la torre dei servizi, la quale rivela lo sforzo compiuto per stabilire una forte interdipendenza tra struttura, funzione e forma”.2

Il suo impegno teorico, evidenziato dagli scritti giovanili su numerose riviste specializzate, lo condurrà alla creazione della rivista “Perspecta”, centro ideale del dibattito teorico e del confronto architettonico della Scuola di Yale.Howe si interroga sul significato del fare architettonico, trovando la sua personale risposta nel momento in cui si imbatte nella lettura del libro di Oswald Spengler, il Tramonto dell’Occidente. Lo scrittore tedesco è influenzato da Goethe, da Nietzsche (in particolare dalla sua teoria dell’eterno ritorno) e dal pensiero greco, intendendo la storia come un costante processo di decadimento anziché come evoluzione progressiva. Howe intravede così una linea alternativa a certe derive dell'architettura contemporanea, nella possibilità del ritorno ad una architettura intesa quale espressione di un'epoca fondata su un valore centrale. Tale riflessione intorno alla ‘significant form’ elaborata da Howe, sulla scorta delle suggestioni derivanti da Spengler, produce una forte influenza

2 M. Bonaiti, Architettura è. Louis I. Kahn, gli scritti, Verona, 2002, p. 23.

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su Louis Kahn, determinando inequivocabilmente il particolare carattere funzionalista della sua architettura. Per Kahn “la forma comprende un'armonia di sistemi, un senso di Ordine e quanto caratterizza un'esistenza rispetto a un'altra...La forma non ha nulla a che vedere con le circostanze. In architettura, la forma caratterizza un'armonia di spazi adatti a una certa attività dell'uomo”.3 Pur non avendo letto molti libri, Lou ha elaborato una propria teoria, ed è riuscito a trasmetterla con forza e coerenza attraverso l’insegnamento, gli scritti e le architetture realizzate. Tutto il lavoro teorico è quindi strumentale al lavoro pratico, portando così la propria visione del mondo negli spazi realizzati per le attività degli uomini. Kahn non ha mai dimenticato le fasi iniziali della sua formazione, in particolar modo quelle lezioni fondamentali tenute dal professore Paul Cret ed il metodo Beaux-Arts adottato alla University of Pennsylvania, secondo cui lo schizzo iniziale costituiva la base essenziale per ogni successiva elaborazione del progetto. E’ proprio qui che si chiarisce il problema della ‘forma’, ovvero quella essenza intorno alla quale ogni architetto definisce il proprio programma compositivo, al di là delle questioni funzionali.Ciò si palesa con estrema chiarezza in tutte le sue opere, ma sembra trovare il suo nucleo genetico nel progetto di una Chiesa Unitariana a Rochester che Kahn elabora in una prima versione sin dal

3L. Kahn, Form and Design, in V. Scully, Louis I. Kahn, New York, 1962.

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1959, partendo proprio da una riflessione sulla natura della ‘forma’: “Da quanto avevo sentito dire dal sacerdote mentre parlava ai fedeli, mi resi conto che l’aspetto della forma, la presa di coscienza della forma che la fede unitariana comporta, discende dalla Domanda, dall’eterno interrogarsi del perché di tutto. Quindi, dovevo arrivare a prendere coscienza della volontà di essere e dell’ordine di spazi in grado di esprimere questa Domanda”.4

In sostanza, Kahn mette al centro della riflessione i contenuti dell’architettura, e ragiona sul ‘simbolismo’. Egli introduce il tono profetico, ma lo traduce in una forma familiare.5 Il progetto di Rochester è certamente uno schema compositivo dotato di grande chiarezza evocativa e di indubbia efficacia distributiva, che prevede nel suo cuore centrale il grande quadrato della Chiesa e, attorno ad esso, un anello di deambulazione da cui è possibile accedere anche alle aule scolastiche. Il deambulatorio diviene così necessario, a detta di Kahn, “per rispettare l’esigenza per cui a ciò che viene detto o provato in un santuario non si è necessariamente obbligati a partecipare. E così si può camminare e sentirsi liberi di andare via. Allora ho disposto intorno un corridoio di servizio alla scuola, che di fatto costituiva il perimetro dell’intera area”.6

4 Ibidem.5 Cfr. in P. Portoghesi, I grandi architetti del Novecento, Roma, 1998, p. 323.6Cfr. in R.Krautheimer, Early Christian and Byzantine Architecture, Baltimore and Harmondsworth, 1960, pp. 30-32

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First Unitarian Church and School, Rochester, New York, 1959-69, schemi concettuali, 1961.

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Di questo schema egli conserva nella versione finale del progetto il suo nucleo centrale, realizzando dei muri perimetrali dotati di uno spessore notevole, tesi a trasferire nell’edificio una inedita qualità massiva. Tale spessore però è solamente percepito, ma non reale, e si avvale di un abile stratagemma compositivo consistente in un sistema di ripiegamento della parete che è composta da semplici muri da trenta centimetri. Una simile modalità progettuale era già stata sperimentata nel progetto per la casa di Margaret Esherick a Chestnut Hill, dove lo spessore in eccesso veniva riempito da elementi di arredo fissi, quali librerie. Riguardo alle differenze tra la versione iniziale e quella finale della Chiesa di Rochester, Kahn riflette anche sulla diversa incidenza della luce, evidenziando come “prima la finestra è a filo dei muri…Questo rappresenta l’inizio di una comprensione della necessità dell’uso di spessori murari tra il piano del vetro e quello del muro esterno. Questo problema venne sollecitato anche dal desiderio di avere sedili sotto alle finestre…Questo sedile è denso di significati e si è sviluppato nella mia mente in relazione con le finestre”.7 Gli schizzi a tal riguardo sono estremamente esplicativi nel loro raffrontarsi con una tipica finestra rinascimentale e con le facciate michelangiolesche dell'abside di San Pietro, dove nello spessore del muro si scopre uno spazio interstiziale ricavato in negativo dalla profondità della parete.

7B.Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 84.

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First Unitarian Church and School, Rochester, 1957-64. Pianta definitiva e Sezione longitudinale.

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Ciò dimostra l'importanza della lezione italiana ed il suo costante atteggiamento nel voler considerare la Storia come un 'contenitore' di idee da reinventare e adeguare alle necessità della contemporaneità.8 Lo sguardo costantemente rivolto verso la storia lo conduce a considerare il passato come un amico da cui trarre lezioni fondamentali per tracciare una direzione futura. La frequentazione di tale passato significativo, da un punto di vista architettonico, avviene quando kahn ha già una età matura, grazie ad una serie di viaggi in Grecia, in Egitto, ma soprattutto in Italia. Qui, infatti, giunge nell’ottobre del 1928 e vi trascorre tutto l’inverno, visitando Milano, Firenze, San Gimignano, Assisi, Roma, Positano, Amalfi, Ravello e Capri. L’eco profonda delle impressioni ricevute dalle architetture di tali luoghi si rintraccia facilmente nei suoi schizzi che rivelano una ritrovata autonomia, ed appaiono emanare quell’energia tipica della forza tettonica dell’architettura. Come sottolinea Leonardo Benevolo, “le architetture di Kahn combinano riferimenti antichi e moderni con una serietà senza precedenti. Gli imprestiti dai maestri moderni, dal classicismo greco e romano, dall’architettura medievale, islamica e persino dall’accademismo ottocentesco sono usati in un modo che rende antiquati di colpo i revivals tentati nel periodo precedente: perdono la consueta carica polemica, sono ricondotti

8Cfr. in F. Cacciatore, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Louis Kahn, Siracusa, 2008, pp. 93-94.

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all’essenziale e convivono con naturalezza, come se fossero emersi improvvisamente dalla memoria, dopo una lunga attesa”.9

Casa Esherich, Philadelphia, 1959-61. Pianta del piano terra.9 L. Benevolo, L’ultimo capitolo dell’architettura moderna, Roma-Bari, 1985, p. 100.

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La purezza delle architetture italiane, la loro propensione a stagliarsi nitidamente contro il profilo del cielo, la perennità formale, la solidità volumetrica leggibile anche nelle rovine, gli forniscono una ulteriore opportunità di riflessione sul ruolo dell’architettura in relazione alle nuove potenzialità tecniche ed estetiche. “Ho capito che l’architettura italiana continuerà ad essere la fonte d’ispirazione per il futuro. Chi la pensa diversamente dovrebbe riflettere ancora. L’esito dei nostri lavori sembra insignificante comparato a questa città (Roma) dove sono state sperimentate tutte le possibili combinazioni di forme pure. Ciò che si rende necessario è capire come l’architettura italiana si relazioni al nostro sapere costruttivo e ai nostri bisogni. Non mi interessa molto la questione del restauro (quel genere di interpretazione) ma considero di grande importanza la comprensione, per esempio, dei metodi per definire uno spazio modellato dalla presenza degli edifici circostanti”.10

Si tratta quindi di una lezione fondamentale sia dal punto di vista architettonico, con l’assimilazione delle qualità formali e spaziali degli edifici storici, che da quello urbanistico, conla lettura dei vuoti significativi e densi di ‘forma’ dei tessuti storici delle città visitate. Egli inizia così a porsi il problema di come nel vocabolario corrente l’architettura moderna possa aspirare alla monumentalità, e tutta la sua opera futura consiste in una ampia gamma di possibili risposte

10 L. Kahn, lettera allo studio, 6 dicembre 1950, Roma, Box LIK 61, Kahn Collection.

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a tale fondamentale questione: “La monumentalità in architettura può essere definita come una qualità, una qualità spirituale intrinseca a una struttura che trasmette il sentimento della sua eternità, che non può essere né aggiunto né mutato”.11

Piramidi, Giza, 1951.

11 L. Kahn, Monumentality, in P. Zucker (a cura di), New architecture and city planning, New York, 1944, p.577.

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Del resto, nel periodo di collaborazione con Paul Cret aveva avuto modo di intuire i limiti del suo lessico funzionalista che non riusciva ad esprimere idee trascendenti; ed un tale problema iniziò ad essere condiviso da molti interpreti del dibattito architettonico degli anni durante la seconda guerra mondiale, tra cui lo storico dell’architettura Sigfried Giedion, l’architetto Josè Luis Sert e il pittore Fernand Lèger. Tali protagonisti concordarono sulla necessità di una “nuova monumentalità” che potesse soddisfare quella domanda di umanità di rappresentazione simbolica della propria forza collettiva.12

La ricerca di un nuovo linguaggio architettonico per Louis Kahn significa soprattutto ricerca dell’origine della forma architettonica, e quando nel 1951, dopo aver assimilato la lezione italiana, riceve l’incarico per la Yale Art Gallery riesce finalmente, con straordinaria intensità espressiva, a tradurre nel presente quella dimensione a-temporale dell’architettura che, più di ogni altra cosa, lo aveva da sempre affascinato. Egli afferma che, in realtà, “non esiste il concetto di moderno dal momento che tutto ciò che esiste in architettura già appartiene all’architettura stessa e da questa trae il suo significato”.13 E la traccia inequivocabile di tale riflessione è certamente presente nella struttura a vista del soffitto della galleria, caratterizzata dal motivo delle nervature triangolari, rispondenti anche a necessità strutturali e meccaniche.

12Cfr. B.Brownlee, G. De Long, Op. cit., pp. 42-44.13 L. Kahn, Monumentality, cit.

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Questa estensione della Art Gallery si trova all’interno del campus della Yale University ed è concepita come l’ala dedicata alle collezioni di disegni di architettura. E’ un cubo di mattoni senza finestre, segnato da marcapiani di cemento bianco che conferiscono ritmo alla struttura. Come ha intuito Reyner Banham, “l’esatta ripartizione in settori uguali della pianta poco contribuiva alla sua organizzazione funzionale o all’esperienza visiva del visitatore. In altre parole, dal ritmo della griglia strutturale non emergeva alcun percorso architettonico significativo, o, almeno, non emergeva un percorso che in qualche modo trascendesse la disposizione occasionale e sempre mutevole delle sezioni della galleria”.14

Per consentire una flessibilità massima allo spazio espositivo tutti gli impianti sono quindi contenuti nel solaio e le campate presentano luci di rilevanti dimensioni. Si tratta perciò di uno spazio che non sottolinea tanto la questione funzionale e distributiva, ma esalta piuttosto la matrice fortemente simbolica costituita dalla giustapposizione delle geometrie pure di cui si compone l’intero progetto. Il collegamento con l’edificio storico è caratterizzato unicamente da queste strisce orizzontali che segnano l’altezza dei piani interni. La nuova entrata si trova in una rientranza tra i due edifici, in maniera tale da lasciare un ruolo prioritario all’ala già esistente del museo; ciò a testimonianza del rispetto

14 R. Banham, citato in K. Frampton, Storia dell’architettura moderna, Bologna,1993, p. 288.

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profondo che Kahn nutre per l’architettura del passato.Il gioco dei ricorsi lungo le superfici murarie della facciata principale e l’ampio spessore dei solai in calcestruzzo denotano, inoltre, la particolarità ed originalità del linguaggio kahniano, nella assimilazione, nel distacco e nella successiva ridefinizione del lessico modernista corrente. Un tale sistema compositivo costituisce evidentemente una interpretazione in chiave massiva della leggerezza delle strutture spaziali cariche di misticismo di Buckminster Fuller, ma anche una trasposizione della tarda estetica miesiana. A tal proposito, Kenneth Frampton è abile nel rilevare delle differenze significative nelle modalità compositive dei due, consistenti nella diversa priorità data da Mies van der Rohe all'espressione diretta dell'ossatura strutturale, e nella monumentalizzazione delle componenti secondarie, quali pareti, pavimenti e soffitti da parte di Kahn.15 Lo stesso gioco delle proporzioni, l’enfatizzazione della massa e della misura, sono tutti espedienti volti a trascendere la funzione, proprio come accade in uno dei grandi edifici dell’antichità che ha avuto modo di ammirare a Roma: le Terme di Caracalla. Significativa la sua riflessione a tal proposito: “Desta sempre meraviglia quando l’uomo aspira a trascendere la

15Cfr. K. Frampton, Op. Cit., p. 287.

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Yale University Art Gallery, New Haven, 1951-53.Proiezione della pianta del soffitto e Sezione trasversale.

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funzione. In questo edificio c’era la volontà di costruire una struttura voltata alta 100 piedi nella quale gli uomini si facevano il bagno. Sarebbero stati sufficienti 8 piedi. Anche come rovina, è una meraviglia”.16

Egli manifesta dunque la volontà di realizzare un’architettura senza tempo, e lo fa proprio reinventando alcune modalità costruttive tipiche delle strutture romane; basti pensare al trattamento del soffitto lasciato a vista, con il motivo ripetuto delle nervature triangolari che riprende il tema della differenziazione dello spazio sottostante, analogamente a quanto accade nelle strutture voltate romane. In tal modo egli riesce a fondere alcuni aspetti della storia con un’immagine di tecnologia avanzata, realizzando una immagine di sintesi profondamente contemporanea.17 La storia viene quindi fatta interagire con un profondo ordine geometrico che riflette senza dubbio l’apporto critico di Anne Tyng, restituendo l’effetto di una tecnologia avanzata. E’ molto interessante, a tal proposito, quanto afferma Frampton: “Il lavoro di Kahn si presenta secondo due principi complementari ma anche assolutamente opposti. Il primo è categoricamente anti-progressista e afferma la presenza di una memoria architettonica collettiva astratta nella quale tutti i tipi compositivi validi sono eternamente presenti nella loro distinta

16 L. Kahn, citato in A. L. Huxtable, What is your favorite building, “New York Times Magazine”, 21 maggio 1961.17 Cfr. B.Brownlee, G. De Long, Op. Cit., p. 60.

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purezza. Il secondo è enfaticamente progressista e persegue il rinnovamento delle forme architettoniche sulla base di tecnologie avanzate. Sembra che Kahn credesse che questo secondo principio, rispondendo ai nuovi compiti e usi, riuscisse a condurre, combinato con il primo, ad un’appropriata espressione architettonica, sintetizzando i nuovi valori poetici e istituzionali in termini di forma concreta”.18 Forme monumentali tradotte in istituzioni per gli uomini: questo costituisce la sintesi di tutto ciò che egli ricerca.La sua predisposizione verso un ordine geometrico ideale, unito ad una particolare sensibilità per la storia dell’architettura, lo porta ad una riflessione sulla necessità di differenziare lo spazio. A tal proposito, egli stesso dichiara che: “Un buon edificio è quello che il committente non può distruggere con un cattivo uso dello spazio”;19 e intraprende una serie di progetti, tra cui quello irrealizzato per la Adler house, che rappresentano la sua direzione di ricerca sul tema dello spazio differenziato. E’ del tutto evidente come una tale ricerca si muova coraggiosamente in senso opposto a quella caratterizzata dal ‘continuum spaziale’, tipica della modernità, ma è altrettanto palese come Kahn non persegua tanto un ideale di distacco dalla modernità, quanto piuttosto una modalità 18 K. Frampton, Louis Kahn and the French Connection, in “Oppositions”, 22, 1980.19L. Kahn, citato in Henry S. F. Cooper, Dedication Issue; The New Art Gallery and Design Center, “Yale Daily News”, 6 novembre 1953.

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compositiva che sia maggiormente consona ad esprimere quella unicità dello spazio in grado di conferire un adeguato senso ad ogni istituzione.Il progetto di casa Adler, quindi, si caratterizza soprattutto per l'articolazione nettamente visibile delle sue parti, consistenti in una serie di padiglioni racchiudenti specifiche funzioni, con i pilastri angolari concepiti come enormi blocchi di laterizio cavi contenenti gli elementi meccanici e strutturali. La copertura a padiglione ha poi una valenza fondamentale nella sua sintesi visiva; infatti, oltre a richiamare antichi tipi architettonici, sembra realizzare la forma più adatta per definire la logica di autonomia dei vari spazi. La casa non fu realizzata, ed il suo schema, leggermente adattato, fu utilizzato anche per il progetto di casa Weber DeVore a Springfield in Pennsylvania. Anne Tyng notava, a tal proposito, come egli ricercasse sempre, nei suoi progetti, una distinzione tra gli elementi.20 Tale impianto a padiglioni trovò poi la sua possibilità di applicazione concreta nel complesso della piscina del Jewish Community Center a Trenton, manifestandosi con una chiarezza straordinaria, proprio grazie alla logica di autonomia strutturale delle singole unità funzionali. Interessante è senza alcun dubbio ladefinizione che Louis Kahn dà alla parola forma: “La forma non ha configurazione o dimensione. Forma è riconoscimento o realizzazione delle caratteristiche delle diverse cose. La forma afferma di non avere configurazione o

20 Cfr. in A. Tyng, intervista con A. Latour, Op. cit., p. 43.

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dimensione: semplicemente è la realizzazione delle proprie caratteristiche”.21

Adler House, Philadelphia, 1954-55. Schema planimetrico.

21 L. Kahn, Law and Rule, conferenza all’Università di Princeton del 29 novembre 1961.

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E’ evidente, pertanto, lo sforzo costante verso cui egli è proteso, nel cercare di realizzare quelle caratteristiche che definiscono le singole cose, al di là dei dati dimensionali o funzionali.Dell’ampio programma previsto per Trenton furono realizzati solo due piccoli elementi: l’edificio degli spogliatoi e servizi con le docce, ed il campo giochi; eppure questo piccolo edificio dalla dimensione domestica accoglie i nodi cruciali della riflessione kahniana sull’architettura, oltre a segnare una vera e propria svolta nella sua carriera. “Se nella geometria del solaio cassettonato della Yale Art Gallery Kahn dimostra di aver appreso la grande lezione dell'antica architettura romana sulla possibilità di trascendere la funzione per dar vita ad uno spazio con proporzioni monumentali, mai come nello spazio interno dei singoli padiglioni del piccolo edificio della Bath House si era avvicinato ad una evocazione tanto efficace e moderna della straordinaria esperienza spaziale del Pantheon... Il tetto, in questo caso è rappresentato direttamente dal fazzoletto di cielo che si può intravedere alzando lo sguardo, mentre la terra viene materialmente evocata attraverso l'unica parte dell'edificio che rimane senza il pavimento di cemento, un cerchio dal diametro di circa sette metri lasciato a prato”.22 La struttura cruciforme ed il tetto che si solleva al di sopra dei sostegni in maniera tale da evidenziare con una chiarezza didascalica la

22 F. Cacciatore, Op. cit., p. 83.

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struttura dotata di eccezionale forza simbolica, costituiscono l’occasione favorevole per dichiarare una propria poetica architettonica e quegli obiettivi profondi insiti nella sua ricerca, che troveranno un maggiore spazio di applicazione in occasioni progettuali di più ampio respiro. Una parte della critica vede anche una possibile allusione analogica dei padiglioni di copertura alla piramide tronca utilizzata da Etienne Louis Boullèe per uno dei suoi progetti di cenotafio. “Quello che Kahn sembra dedurre dall’illuminismo – e che Wright lasciò rigorosamente in pace – fu la possibilità di ‘decostruire’ gli elementi classici romani a tal punto da farli divenire nient’altro che sottili membrane in tensione (ossature vuote delle loro origini); dispositivi che potrebbero…presentarsi come generatori di una serie di edifici negli edifici”.23 E’ da qui che inizia la fase veramente importante del lavoro kahniano sulla composizione architettonica, quella in cui si definisce un vero e proprio metodo di ricerca teso a fare emergere una spazialità densa di un ordine profondo, quasi trascendentale. E tutto ciò verrà più tardi riconosciuto dallo stesso maestro che, a tal proposito, affermerà: “Se il mondo mi ha scoperto dopo il progetto delle torri del Richards Building, io invece mi scoprirei dopo aver

23 K. Frampton, Louis Kahn e la tradizione francese, in A. Latour (a cura di), Louis Kahn, l’uomo, il maestro, Roma, 1986, p. 246.

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progettato quel piccolo stabilimento in blocchi di cemento a Trenton”.24

Jewish Community Center Bath House, Trenton, 1955. Pianta.

24 L. Kahn, citato in Susan Braudy, The Architectural Metaphysic of Louis Kahn, “New York Times Magazine”, 15 novembre 1970, p. 86.

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La lezione palladiana, desunta dal libro di Wittkower Architectural Principles in the Age of Humanism, viene profondamente assimilata da Louis Kahn e tradotta in nuove forme possibili per le esigenze contemporanee. Del resto, Umanesimo italiano ed Illuminismo francese costituiscono due capisaldi nell’ambito dei riferimenti culturali da lui assunti. La perfetta simmetria di Palladio manca sia nel progetto di casa Adler che in quello redatto per casa De Vore, ma la perennità formale che afferma la netta distinzione tra spazi serviti e spazi serventi è riconoscibile pienamente, e rimane l’elemento di maggior importanza ereditato dall’architetto rinascimentale italiano.Tale tema trova un più largo respiro nel complesso programma dei Richards Medical Research Laboratories realizzati per la University of Pennsylvania fra il 1957 e il 1961. Kahn ricorda così il momento in cui assunse tale incarico: “Il direttore, un uomo famoso, mi aveva sentito parlare a Pittsburgh. E’ venuto a Philadelphia a vedere l’edificio che avevo realizzato per l’Università della Pennsylvania. Mi ha detto, è molto bello questo edificio, proprio bello. Non sapevo che una costruzione che sale così in alto potesse essere bella. Quanti metri quadrati è? 33.200 metri quadrati. E’ più o meno quel che serve a noi. Fu l’inizio del programma per quell’area. Ma lui disse qualcos’altro, che diventò la Chiave dell’intero insieme di spazi. E cioè: la Ricerca Medica non appartiene

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esclusivamente alla medicina o alle scienze naturali. Appartiene alla popolazione”.25 Il tutto rispondeva anche a precise richieste del programma funzionale, in particolar modo alle necessità dettate dai sistemi complessi di ventilazione e di condizionamento. Tali elementi non erano affatto intesi come secondari da Kahn, ma nobilitati proprio dalla logica di autonomia visiva che li assimilava di fatto alle grandi strutture monumentali dell’antichità. A tale riguardo egli stesso scrisse che: “La natura dello spazio è ulteriormente caratterizzata dagli spazi minori di servizio. I depositi, i servizi, i cubicoli non devono essere aree ricavate da partizioni di una stessa struttura spaziale, ma devono essere dotati di una propria struttura”.26 E’ evidente, quindi, come la definizione simbolica degli elementi riesca a travalicare le semplici questioni funzionali, e tenda a sottolineare la netta distinzione tra elementi portati e portanti.I primi, infatti, si mostrano nella loro leggerezza fatta di elementi prefabbricati, i secondi invece denotano tutta la loro pesantezza di torri edificate in mattoni.Tale concetto si impone perciò come prioritario rispetto alle questioni strettamente tecniche ed igieniche, e tende ad affermare l’importanza e la priorità del dato visivo nell’esperienza architettonica, secondo quanto accadeva negli esempi che erano stati fonte di ispirazione, quali

25 L. Kahn, Form and design, cit., pp. 114-121.26 L. Kahn, Form and Design, “Architectural Design”, 30 aprile 1961, p. 151.

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Richards Medical Research Building, 1957-64.

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le torri di San Gimignano, i prospetti di Mies van der Rohe ed il Larkin Building di Wright. Esistono tuttavia notevoli differenze tra il metodo progettuale di Kahn e quello di Wright, sintetizzabili principalmente in una maniera diversa di intendere l’ordine. Tutto ciò è molto chiaramente descritto da Vincent Scully: “…Kahn concepiva l’ordine come una costruzione culturale e… i suoi archetipi (sono) pertanto da rintracciare nella storia umana”27; Wright riteneva l’ordine derivato dalla natura. “Entrambi ricercavano la forma ideale, ma i modelli di Wright facevano parte del mondo naturale mentre Kahn ricercava un principio cosmico”.28

E’ importante sottolineare come le forme delle aperture realizzate da Kahn siano lontane dall’architettura moderna, ma molto adatte alle murature in mattoni. Egli aveva visto tali tipi ‘a serratura’ ad Ostia, ed aveva ritenuto del tutto naturale adoperarli per le sue torri di Ricerca, proprio perché veri e necessari nell’esprimere la natura del materiale adoperato che è immutabile e non soggetto alle mode periodiche. Tali aperture a serratura erano già state sperimentate da Kahn nella casa (poi non realizzata) progettata per M. Morton Goldenberg a Rydal in Pennsylvania nel 1959, dotata di un impianto planimetrico estremamente interessante.

27 L. Kahn, Remarks, conferenza alla Yale University, 30 ottobre 1963, “Perspecta”, 9/10, 1965, p. 305.28 B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 80.

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Richards Medical Research Building, 1957-64. Pianta e disegno del sistema di orditura dei solai cavi in calcestruzzo prefabbricato.

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Qui, infatti, i singoli elementi sono controllati tramite diagonali radiali a 45° che confluiscono nel fulcro del quadrato centrale, vero e proprio antecedente concettuale del progetto di Rochester, realizzando una composizione meno compatta, ma di indubbia efficacia distributiva e spaziale. “La forza della sua architettura, la sua straordinaria icasticità, sta nel riuscire, con enunciati di grande semplicità, ad accedere nel mondo degli archetipi, fortemente sostenuti dalla forza della cultura ebraica, che, attraverso le radici bibliche, ha insita la rivendicazione di quella forza”.29 Kahn considera l’architettura come una ‘cosa mentale’ che non esiste; ciò che invece esiste sono le opere di architettura che, in quanto realizzate, manifestano tutta la loro essenza contraddittoria e provvisoria. Se si pensa allo schema compositivo della Chiesa Unitariana di Rochester che prevede nel suo nucleo centrale il grande quadrato della Chiesa, è facile accorgersi della concreta applicazione di quella frase che lui stesso amava ripetere: “Io parto sempre da un quadrato, a prescindere dalla natura del problema”. E’ quindi evidente che la ‘natura del problema’ per Kahn ha un significato secondario rispetto a quello prioritario, teso ad esprimere la dimensione eterna, evocativa delle aspirazioni degli uomini, di cui l’architettura è espressione corporea. “La grande spiritualità che emana da questa chiesa in quanto istituzione è espressa nella sezione del tetto, dal quale una luce

29 P. Portoghesi, Op. cit., p. 325.

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misteriosa penetra nei quattro angoli cubici del luogo di culto e di riunione, che fanno risaltare le travi con tiranti volanti che garantiscono la stabilità della sua forma quadripartita a guscio”.30

Per quanto riguarda l’ispessimento delle pareti verticali della chiesa, è evidente come ciò sia dovuto alla necessità di controllare ed attenuare la luce dall’esterno verso l’interno, così come emerge da un suo disegno schematico, ma al contempo estremamente esplicativo.Nei suoi edifici è generalmente abbastanza facile assistere ad una divisione marcata tra le strutture primarie, esaltate nella loro purezza materica e formale, e le strutture secondarie che definiscono e separano dall’esterno gli spazi, presentando un rivestimento che denuncia esplicitamente questa loro natura funzionale. E’ agevole notare, inoltre, la profonda analogia del primo disegno per la Unitarian Church con le illustrazioni delle chiese a pianta centrale di Leonardo da Vinci. “La stessa pianta centrale non costituiva un elemento di novità nell’opera di Kahn – la sinagoga AdathJeshurun era stato uno dei numerosi progetti precedenti in cui questo schema era stato studiato. Ciò che risultava nuovo era lo sviluppo di questo modello ottenuto mediante la giustapposizione di elementi unitari, dalla configurazione analoga, ma trattati diversamente”.31

30 K. Frampton, Tettonica e architettura. Poetica della forma architettonica nel XIX e XX secolo, Milano, 1999, p. 262.31 Ibidem, p. 84.

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Goldenberg House, Rydal, 1959. Pianta e modello.

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Le geometrie della pianta immaginaria del Campo Marzio ricostruita da Piranesi, appesa davanti al suo tavolo di lavoro, rappresentano il luogo più appropriato dove l’architettura può ritrovare le proprie ragioni ideali di rappresentazione simbolica delle istituzioni presenti nella società. Manfredo Tafuri, pur soffermandosi sugli equivoci e su alcuni effetti distruttivi che il lascito di Kahn produrrà sul dibattito internazionale (riferendosi, in particolar modo, ad alcuni esiti del post-modern), riconosce come “nel quadro dell’architettura contemporanea, e non solo americana, Kahn offra uno dei più formidabili esempi di un tentativo di ritorno all’immagine espressiva… E’ ancora chiaro, inoltre, che l’intera ricerca di Kahn è una svolta decisa nell’ambito del vuoto formalismo statunitense che si richiama alla pseudopoetica del curtain-wall e che in opposizione ad esso propone una rigorosa e spesso severa intelligenza della forma”.32

La giustapposizione di tali forme pure e incorruttibili fornisce a Kahn gli spunti necessari per una metodologia di composizione paratattica, profondamente diversa da quella utilizzata da Richard Neutra e più in generale dagli architetti ‘organici’. Le composizioni kahniane sono infatti pensate in maniera tale da evidenziare una organizzazione di spazi separati e chiaramente delimitati, mentre Neutra intendeva esaltare

32 M. Tafuri, Storicità di Louis Kahn, in “Comunità”, 117, 1964.

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l’effetto di fluidità degli spazi, in una disposizione libera e senza gerarchie dimensionali e formali. Kahn, in sostanza, intende la forma come una entità che ha caratteristiche riposte fuori dal mondo materiale, e che emerge proprio grazie al lavoro dell’uomo, attraverso il progetto che riesce a definirla in senso materiale.Come sottolinea Enzo Frateili, “la personalità di Kahn evoca un quadro di magistrale saldatura di elementi che coesistono in antitesi. Mentre Kahn è, nei fatti, classico, per la solidità e la simmetria delle sue forme, egli è romantico nella sua nostalgia per il Medioevo. Egli applica con convinzione i più avanzati strumenti tecnologici, ma questo non gli impedisce affatto di usare la pietra come elemento portante per la casa Adler. Egli ha superato gli schemi del Funzionalismo nella sua distribuzione spaziale, ma, in molti casi, egli utilizza l’estetica funzionalista”.33

A Louis Kahn interessava qualcosa che fosse più forte delle contingenze della contemporaneità, e voleva infondere nelle architetture che progettava una visione futura dell’esistente, pur essendo consapevole della mutevolezza e contraddittorietà dell’esperienza umana: “Ledoux sentiva com’è una città, cos’è una città, ma nonostante l’abbia progettata non molti anni fa, le città non assomigliano a quanto lui ha immaginato. Quando un uomo inizia a progettare qualcosa per il futuro, può risultarne un frammento di storia molto divertente, perché ne verrà fuori solo ciò che egli può fare nel momento in cui progetta. Si

33 E. Frateili, Louis Kahn, in “Zodiac“, 8, 1960.

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possono produrre delle immagini, ossia ciò che oggi è possibile e non una prefigurazione di come le cose saranno domani. Non si può predire il domani, perché il domani dipende dalle circostanze e le circostanze sono imprevedibili e continuamente mutevoli”.34 L’incontro con Anne Griswold Tyng costituisce un momento significativo nel percorso architettonico del maestro, ben visibile soprattutto in alcuni progetti degli anni Cinquanta. In particolare, la struttura spaziale utilizzata nel primo progetto della Philadelphia City Tower evidenzia l’interesse profondo, mutuato da Buckminster Fuller, da parte della giovane progettista per le strutture reticolari composte da tetraedri e ottaedri. Le sue riflessioni muovono dal fatto che “i cinque solidi platonici compaiono non solo nell’organizzazione spaziale delle forme a partire dai nuclei atomici e dalle molecole, ma anche nelle cellule, negli organi, nelle piante, nell’embrione umano, nella struttura psichica delle persone e nelle loro opere, nelle configurazioni astronomiche dell’universo preesistenti la comparsa dell’uomo”.35 Questa geometria ‘dell’archetipo’ è proprio ciò che origina una monumentalità senza tempo ed introduce un’aura di potenza simbolica nelle architetture, in grado di travalicare le contingenze, le diversioni programmatiche ed i nodi funzionali all’interno del meccanismo 34 L. Kahn, Talks with students, in “Architecture at rice”, 26, 1969.35 A. Tyng, Geometric extensions of consciousness, in “Zodiac”, 19, 1969.

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compositivo che egli adotterà da questo momento in poi. Come chiarisce bene Vincent Scully, “questo legame evidente con l’ideale, questa intrinseca fisicità richiama altre opere d’arte moderna della stessa profondità. Vengono alla mente i romanzi russi di Tolstoj e, per certi aspetti, di Dostojevkij”.36

Progetto per la City Tower, Philadelphia, 1952-57.

36 V. Scully, in D. Brownlee, D. De Long, Op. Cit., p. 8.

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Ed è proprio quella tensione ideale, insita nella geometria, ciò che a Louis Kahn ed Anne Tyng interessa della lezione di Fuller, e non certo l’entusiasmo nei confronti delle nuove tecnologie. In particolare, Tyng intuisce il valore della geometria “energetica-sinergetica” che regola la crescita delle cupole di Fuller, possiede il fondamentale libro di D’Arcy Thompson (On growth and form) e partecipa ai dibattiti dedicati alla tematica delle proporzioni in architettura. “L’idea di un fare architettonico inteso come manifestazione di un ordine antecedente le ‘scelte’ dell’individuo avvicina dunque Louis Kahn agli studi della compagna e di Buckminster Fuller, per i quali la sostanza di ogni fare artistico non va individuata in originali creazioni bensì in ciò che Kahn qualche anno più tardi chiamerà il potere di prevedere, vale a dire la capacità da parte dell’artista di ‘portare in presenza’ ciò che già è”.37 Eco profonda della geometria “energetica-sinergetica” si rinviene in altre proposte progettuali elaborate in quegli anni, trovando una felice sintesi nell’immagine pensata per la Washington University Library, dove Kahn ripropone l’impianto planimetrico a croce greca adatto ad uno spazio differenziato. Ancora una volta, l’immagine prospettica presentata chiarisce l’intento di creare un sistema di spazi che non dipenda tanto dal soddisfacimento di un

37 M. Bonaiti, Op. cit., p. 18.

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programma funzionale, ma piuttosto da “un’interpretazione allargata dell’uso”.L’ordinata geometria della Yale Art Gallery è dunque frutto dell’apporto di Anne Tyng – a tal proposito, Fuller fece notare come ella fosse il vero stratega della geometria di Lou-, ma è anche intrisa di valenze autobiografiche, ad esempio il recente viaggio compiuto in Egitto, ma anche le rare letture, tra cui l’autobiografia di Goethe che sembra fornirgli un vero e proprio modello: “Se leggo Goethe vi trovo uno spirito di ricerca. La sua autobiografia egli la chiama verità e poesia.

Washington University Library, St. Louis, 1956.

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Questa è una scoperta meravigliosa della vita e del corso della vita. Pur riferendo i fatti che gli sono capitati, egli evita sempre di limitarli al contingente o al semplice accadimento, ma riflette sul significato, che trascende la sua vita personale… Questo è meraviglioso, mi sono detto, e questa è la vera arte”.38 E’ significativo poi il fatto che Kahn abbia preferito evidenziare la pianta del soffitto della galleria che includeva il blocco sottostante della scala all’interno di un cilindro dall’assoluta purezza volumetrica, piuttosto che piante in cui tale forma non si evidenziava. La sua propensione verso un ordine geometrico ideale lo portò quindi ad una riflessione sulla differenziazione gerarchica dello spazio, in netto contrasto con l’ideale modernista di una indifferenziata continuità spaziale. Una tale gerarchia si evidenzia non solo nei suoi edifici realizzati, ma anche nelle proposte di carattere urbanistico che egli elaborò per la città di Filadelfia, con una immagine estremamente efficace che riproduceva i flussi del traffico, intesi come componenti specifiche che raffiguravano veicoli e persone con frecce di diverso spessore e di varie dimensioni. Frampton, del resto, sottolinea come “il rifiuto di Kahn nei confronti di un funzionalismo ingenuo, anche se impegnato dal punto di vista sociale, a favore di una architettura in grado di trascendere la pura

38 L. Kahn, Remarks: Louis I. Kahn, in “Perspecta”, 9/10, 1965, pp. 303-305.

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utilità, lo portò a ipotizzare un approccio analogo per quanto riguarda la forma urbana”.39

Si tratta di una dimensione teorica di estremo interesse in quanto prefigura gli esiti perversi del traffico veicolare sulla condizione urbana, ed afferma con una espressività straordinaria ed al contempo inedita, la necessità di portare la macchina fuori dalla città: “L’automobile ha sconvolto la forma della città. Credo sia giunto il momento di distinguere l’architettura del viadotto per le automobili da quella per le attività degli uomini… L’architettura del viadotto è chiamata a configurare la strada che nel centro della città vuole essere un edificio – un edificio dotato di locali sotterranei per le condutture, in modo da evitare di interrompere il traffico quando se ne fa la manutenzione”.40 Le torri-parcheggio sono strutture dotate di una forte valenza simbolica e devono qualcosa, nella loro immagine complessiva, alle forme potenti della Roma piranesiana. Come ha ben compreso Paolo Portoghesi, “Kahn contrappone alla tesi di Mumford metropolis/necropolis, quella che, giunti al massimo del caos, la città possa essere riordinata con i principi di controllo della macchina, una specie di sfida allo scientismo allora dominante. Rivendica alla mente ordinatrice dell’uomo la capacità di rovesciare il processo naturale di sviluppo e imporre alla

39 K. Frampton, Op. Cit., p. 292.40 L. Kahn, Form and Design, cit.

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struttura urbana una razionalizzazione, estranea agli automatismi della città-fabbrica”.41

Schizzi per l’assetto urbano di Philadelphia.41 P. Portoghesi, Op. cit., p. 324.

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Studi per il piano regolatore di Philadelphia, 1952-68.

Civic Center e Parcheggio, Philadelphia, 1953-57.

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Il progetto elaborato per la Sinagoga Mikveh Israel a Filadelfia mostra in modo inequivocabile questo suo interesse per la forma pura, ed induce a profonde analogie con le fortificazioni medievali, con i castelli scozzesi, ed in particolare con le porte delle antiche mura aureliane che egli aveva avuto modo di vedere a Roma. E proprio questa Roma ‘senza tempo’ gli era rimasta dentro, più di qualsiasi altro riferimento, con le sue immagini architettoniche dotate di una forza primigenia e di un carattere unico, in cui tutte le possibili combinazioni di forme pure erano state sperimentate e portate ad un grado di perfezione assoluta. Qui viene sperimentata l’idea di un edificio ‘avvolto da rovine’, grazie alle torri cilindriche aperte che corrono lungo il perimetro del santuario quadrato. Gli ambienti da cui filtra la luce sono generati da una pianta regolata da moduli circolari.42

Quando Kahn visitò nel 1960 La Jolla, il sito dove avrebbe costruito i laboratori di ricerca commissionatigli dallo scienziato Jonas Salk, sulla costa dell’Oceano Pacifico, fu molto suggestionato dalla luce di quel luogo e dal programma che ne sarebbe dovuto derivare. La soluzione elaborata, con quattro grandi edifici a due piani che presentano i solai cavi aventi la dimensione di un piano ad altezza uomo totalmente ispezionabile, prevede la distinzione tra ambienti distinti per la ricerca teorica e per quella avente carattere empirico.

42 Cfr. F. Cacciatore, Op. cit., p. 106.

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Mikveh Israel Synagogue, Philadelphia, 1961-72.

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I primi, in particolare, vengono ospitati in unità studio attrezzate che affacciano su una corte interna comune; i secondi sono inseriti in uno spazio continuo ben servito. Gli spazi interstiziali di servizio sono integrati all’interno della profondità delle travi scatolari. Una tale possibilità di spazio interstiziale che progressivamente si ingrandisce sarà la tendenza che caratterizzerà d’ora in poi l’opera di Kahn.43

Kahn pensò anche a piccoli studi per gli scienziati più importanti, posti accanto ai laboratori a pianta libera, raggruppati in torri collocate nelle due corti comprese tra i blocchi dei laboratori. L’intera suddivisione del programma funzionale mostra ancora una volta l’interesse del maestro nel voler distinguere ogni funzione attraverso una determinata architettura, in una logica di piena autonomia funzionale e figurativa. L’edificio di riunione, più di ogni altro, rappresentava il senso profondo dell’istituzione e somigliava, grazie alle enormi aperture ad arco, allo scheletro murario di una rovina romana. Una scelta non casuale questa, ma che intendeva esprimere i valori duraturi su cui l’arte si è sempre fondata. Estremamente significative, a tal riguardo, sono le parole del maestro estone: “L’architettura esiste nella mente. Chi realizza un’opera di architettura fa un’offerta allo spirito dell’architettura… uno spirito che non è sottoposto a stile, tecnica o metodo, che soloattende quanto gli viene presentato.

43 Cfr. in F. Cacciatore, Op. cit., pp. 69-71.

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Salk Institute for Biological Studies, La Jolla, 1959-65. Sezione Trasversale e Pianta.

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Salk Institute for Biological Studies, La Jolla, 1959-65.

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Lì è l’architettura, l’incarnazione dell’incommensurabile”.44 Del complesso programma si realizzarono solamente i laboratori, peraltro in maniera differente rispetto al progetto originario in quanto Kahn intuì che c’era qualcosa di inefficace nella natura del luogo di relazione fino ad allora pensato, e così ridisegnò una soluzione con un solo giardino che diveniva un luogo in relazione ai laboratori e agli studi. I materiali impiegati sono il calcestruzzo gettato in opera, il teak utilizzato su alcune parti delle torri degli studi ed il travertino, suggeritogli da Luis Barragan, per pavimentare la grande corte centrale. Egli stesso sottolineò come “i tondini di rinforzo rappresentano il gioco di un meraviglioso lavoratore segreto che fa apparire questa cosiddetta pietra fusa incredibilmente capace, un prodotto della mente”.45 La sensibilità progettuale kahniana si manifesta in alcuni dettagli straordinari, come nella disposizione degli studioli, volta a catturare lo sguardo verso l’oceano, che dimostrano quella componente profondamente umanistica che sottende la sua intera ricerca.La visione monumentale di Louis kahn trova finalmente la sua possibilità di applicazione concreta all’interno di un’area archeologica antichissima, con il progetto della sinagoga Hurva di Gerusalemme. L’attenzione che egli riserva 44 L. Kahn, Talks with Students, cit.45 L. Kahn, I love beginnings, conferenza all’International Design Conference, The invisibile city, Aspen, Colorado, 19 giugno 1972, in “A+U”, numero monografico Louis I. Kahn, 1975, p. 282.

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all’antico viene qui espressa da un progetto che si relazione in maniera sensibile con due monumenti sacri importantissimi: la Cupola della Roccia e il Santo Sepolcro. Il santuario proposto è un quadrato delimitato da quattro pilastri cavi angolari; all’esterno un deambulatorio da cui si può accedere al recinto costituito da sedici nicchie, anch’esse quadrate; le scale poste al centro dei lati del recinto conducono alla galleria superiore, con gli ingressi previsti negli angoli. La tensione ideale di questa ordinata geometria è tale da far assumere all’intero complesso l’aspetto di una fortificazione, con una immagine dotata di una forza primitiva che riesce ad esprimere, secondo quanto nota Wittkower, i rapporti delle armonie cosmiche trasmessi da Dio a Mosè.

Sinagoga Hurva, Gerusalemme, 167-74. Pianta.

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Kahn fu chiamato ad Ahmedabad nel 1962 per realizzare l’Indian Institute of Management, e fu proprio qui, “nell’India mistica e senza tempo, …(che) scoprì che l’essenza immutabile ricercata in tutte le cose sembrava trovarsi più vicina alla superficie e a sua volta entrò immediatamente in sintonia con i committenti che recepirono la sua visione del mondo… Balkrishna Doshi, architetto di Ahmedabad, suo amico e coordinatore dei suoi lavori, disse: Lou mi sembrava uno Yogin (yogi) a causa del suo ‘Samadhi’ (coscienza elevata) teso a scoprire il valore dell’eterno – la Verità – la Atman – l’Anima”.46

Kahn elaborò una visione d’insieme a livello planimetrico, che comprendeva tutti gli elementi richiesti dalla committenza: le aule, gli uffici, la biblioteca, la mensa, i collegi degli studenti, le residenze dei docenti, gli alloggi del personale e spazi commerciali. Gli edifici collegati dei collegi si estendevano dall’edificio principale della didattica fino al lago con la forma delle dita di una mano. Le residenze per i docenti erano collocate invece dall’altra parte del lago e presentavano una disposizione a ‘V’. Le sue parole chiariscono bene gli intenti: “Uno dei presupposti del mio lavoro è rappresentato dalla consapevolezza che ogni edificio appartiene a un’istituzione dell’uomo. Osservo con la più profonda venerazione le ispirazioni dalle quali è scaturito il formarsi delle istituzioni e la bellezza delle interpretazioni che ne ha dato l’architettura.

46 B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 161.

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Ma è dall’architettura che è venuta la soluzione”.47

Da un punto di vista compositivo, si tratta di un impianto diagonale molto suggestivo che esalta la

Indian Institute of Management, Ahmedabad, 1962-74.

47 L. Kahn, Statement on Architecture (discorso tenuto al Politecnico di Milano, gennaio 1967), in “Zodiac”, vol. 17, 1967.

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logica dell’architettura di connessione, ma che soprattutto risponde in maniera ottimale (grazie alla consulenza preziosa di Doshi) alla problematica di orientamento degli edifici nella direzione delle brezze provenienti da sud-ovest. Kahn non riteneva adatta la disposizione delle aule lungo normali corridoi, ma era convinto della necessità di luoghi più informali, adatti ad incontri estemporanei; e dispose quindi i volumi autonomi delle aule e i blocchi degli uffici dell’università ai lati opposti di una grande corte centrale, collegati da percorsi ombreggiati dotati di una serie di ambienti adatti alla sosta ed al dialogo. Un tale impianto, chiaramente derivato dalla suggestione del monastero, riesce in pieno ad esprimere il senso profondo dell’istituzione, tanto che, secondo quanto afferma Doshi, “quando si cammina in silenzio per il complesso, sia durante il freddo inverno che nell’estate caldissima e difficile, si percepiscono vibrazioni di conversazioni, di dialoghi, di riunioni e di attività. Gli spazi che sono concepiti per queste attività collegano l’intero complesso”.48 I collegi presentano degli spazi destinati alle associazioni, situati ai piani terra degli edifici, e sono circondati, secondo le previsioni del maestro, su due lati di un lago che non fu riempito d’acqua per motivi igienici, ma che serviva a separare i collegi dalle residenze dei docenti. Queste ultime erano concepite in modo molto semplice, ma con una serie di dettagli eccezionali, tra cui emergono gli spazi delle terrazze chiuse al livello superiore.

48 B. Doshi, Louis Kahn in India, in “A+U”, cit., p. 313.

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Kahn, del resto, è stato sempre convinto del fatto che “l’architettura ha poco a che fare con la soluzione dei problemi. I problemi sono ordinari. Risolvere un problema è quasi un compito ingrato dell’architettura. Sebbene sia tremendamente piacevole, non esiste nulla di uguale al piacere di giungere alla comprensione dell’architettura stessa. C’è qualcosa che si insinua in te come se stesse trascinandoti verso qualcosa di primordiale, qualcosa che esisteva già prima di te”.49

La leggibilità di una struttura è uno dei temi che maggiormente ha affascinato Louis Kahn, tanto da giungere a criticare persino opere come il Seagram Building di Mies van der Rohe, colpevole di non aver esplicitato con chiarezza le varie esigenze strutturali dei livelli inferiori dell’edificio. Cosa che egli realizza chiaramente in un progetto per un edificio adatto ad ospitare una chiesa e diverse funzioni commerciali. Nella prima proposta, presenta un grattacielo unico in cui è abbastanza agevole rintracciare una serie di figure geometriche paratattiche. La torre del Broadway United Church of Christ and Office Building è pensata, quindi, come un insieme di elementi aperti verso un grande vuoto centrale a tutta altezza che cattura la luce zenitale. Nel disegno di sezione spiccano le pareti inclinate che rispondono ad esigenze di carattere urbanistico, ma che sottolineano soprattutto l’esigenza di

49 L. Kahn, conferenza alla Drexel Architectural Society, Filadelfia, PA, 5 novembre 1968, in Wurman, What will be has always been, p. 27.

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rendere leggibile la struttura. Tale progetto andò incontro a nuove proposte, con una sensibile variazione dell’impianto planimetrico, ridotto ad una serie di quattro grandi colonne cave angolari che sostenevano la struttura reticolare dei piani superiori, a cui erano appesi i piani intermedi. Si tratta di un progetto di estremo interesse che, sebbene non abbia trovato possibilità concreta di realizzazione, costituisce un momento importante per la comprensione della sua logica compositiva di tipo paratattico, dotata della massima chiarezza strutturale, e per il modo di far interagire in maniera significativa luce e struttura.

Broadway United Church of Christ and Office Building, New York, 1966-68. Sezione della prima proposta.

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La profonda sintonia con lo spirito del mondo antico riaffiora continuamente nella ricerca kahniana, e trova la sua piena espressione in alcuni progetti che, sebbene rimasti sulla carta, dimostrano la sua fede nell’ispirazione delle istituzioni. Il Pocono Arts Center mostra un profondo ordine compositivo in cui è abbastanza agevole rintracciare la lezione delle “acropoli tardo-ellenistiche o dei grandi complessi romani tardo-repubblicani, come il Santuario della Fortuna Primigenia, in cui su otto livelli scalinate e ampie rampe collegavano un tempio, un teatro all’aperto e alcune botteghe”.50 Questo centro per le arti visive e lo spettacolo viene pensato da Kahn alle pendici delle Pocono Mountains, e si presenta con un programma molto ambizioso, comprendente una serie di teatri coperti ed esterni, gallerie d’arte ed ateliers permanenti per gli artisti. Al di là dei suoi continui ripensamenti, evidenti nelle varie versioni presentate, ciò che rimane come una trama profonda ed immutabile della composizione sono sicuramente le terrazze monumentali che connettono i diversi edifici, e conferiscono un ampio respiro all’intera realizzazione. Questo profondo ordine conferisce un senso pieno di monumentalità alle singole parti, come la sala principale destinata ai concerti, coperta ma permeabile sui lati, cui si accedeva da un porticato d’ingresso, una sorta di anamorfosi temporale dei maestosi Propilei di Atene. Al livello inferiore emergeva il teatro all’aperto, con gli ateliers e servizi vari predisposti in maniera

50 B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 201.

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tale da inquadrarlo e, al contempo, da concludere il disegno complessivo dell’impianto.

Pocono Arts Center, Lucerne County, 1972-74. Modello.

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Sono dunque questi esercizi morfologici di ampio respiro che aprono la fase matura della sua produzione, un periodo estremamente proficuo in cui si delinea con maggiore convinzione la forza metafisica delle architetture realizzate. “Un grande edificio deve, a mio parere, prendere forma dall’incommensurabile e deve divenire misurabile attraverso il processo progettuale…ma, alla fine, deve essere incommensurabile”.51

Tale incommensurabilità ha a che fare con quella sacralità che egli attribuiva ad ogni edificio che rappresentasse una istituzione. Quando poi si trova ad affrontare il progetto della biblioteca per la Exeter Academy avverte l’esigenza di carattere spirituale di realizzare una immensa stanza colma di luce, che sembra essere un vero e proprio santuario. “Di ciò che caratterizza lo spazio, ossia una stanza, la cosa più meravigliosa è la finestra. Il grande poeta americano Wallace Stevens provocava l’architetto chiedendo: Il tuo edificio che fetta di sole possiede? In altre parole: Che raggio di sole entra nella tua stanza? Qual è l’intensità della luce dal mattino alla sera, da un giorno all’altro, da stagione a stagione, negli anni?”.52

E’ un progetto dotato di un senso alto della classicità; si viene introdotti nell’edificio attraverso un quadrato nettamente definito dalla struttura, i cui interni presentano dei cerchi di 51 L. Kahn, citato in The notebooks and drawings of Louis Kahn, a cura di Richard S. Wurman and Eugene Feldman, Filadelfia, 1962.52 L. Kahn, The Room, The Street, The Human Agreement, cit.

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calcestruzzo, vero e proprio paradigma decostruito dell’ordine naturale vitruviano, e la luce arriva filtrata dall’alto ad illuminare in maniera diffusa l’intero spazio centrale. La pianta presenta quindi una disposizione concentrica della sala, delle scaffalature e delle sale di lettura, sottolineando il tema della gerarchia tra spazi serviti e spazi serventi; infatti le funzioni di servizio vengono concentrate negli angoli, per sottolineare la percezione visiva del grande vuoto centrale. Ai quattro lati di questo spazio sono collocate le scaffalature in una zona semi-oscura, e solo oltre tali scaffalature, le partizioni murarie consentono una illuminazione naturale delle aree a doppia altezza previste per la consultazione dei testi. In ognuna di tali aree si trova poi un ballatoio posto al mezzanino e delle cabine di lettura che assecondano il tipico comportamento del lettore, così descritto da Kahn: “Un uomo con un libro va verso la luce; è l’inizio di una biblioteca. Quell’uomo non percorrerà più di 15 metri per raggiungere la luce di una lampadina. Il tavolino su cui legge è la nicchia che potrebbe originare l’ordine dello spazio e la sua struttura. In una biblioteca, la colonna viene sempre dalla luce. Senza nome, lo spazio creato dalla struttura della colonna ne evoca l’uso come luogo di lettura. Un uomo che legge durante un seminario cercherà la luce, ma la luce è qualcosa di secondario.

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Phillips Exeter Academy Library, Exeter, 1965-72.

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La sala di lettura non ha una personalità: la sua natura è l’incontro nel silenzio tra i lettori e i libri”.53

Nel 1967 Kahn inizia ad occuparsi del progetto per il Kimbell Art Museum a Fort Worth, nel Texas, su committenza di Richard Brown, direttore del museo. La prima intuizione progettuale prevede subito la stanza intesa come uno spazio voltato a botte, una immagine desunta dai depositi della Roma antica, ma anche dalla villa Sarabhai realizzata da Le Corbusier ad Ahmedabad. “La grandezza romana riempie la mia mente. La volta vi è rimasta impressa: anche se non la posso utilizzare, la volta è sempre là, pronta. La volta sembra essere quanto di meglio abbiamo. La luce deve scendere da una sorgente in alto, preferibilmente ricavata allo zenith. La volta non si solleva a grande altezza: non ha modi maestosi, ma appropriati alla scala umana; evoca un senso di familiarità e sicurezza”.54 Tale sintesi intuitiva evolve in varie ipotesi progettuali rifiutate dal committente, attento conoscitore delle complesse problematiche museali, fino a trovare una formulazione convincente in un impianto a ‘C’, organizzato intorno ad una corte anteriore, dalla leggibilità immediata, con un atrio che rende possibile la vista delle varie zone

53 L. Kahn, Space Order and Architecture, in “The Royal Architecture Institute of Canada Journal”, vol. 34, n. 10, ottobre 1957.54 Kimbell Museum Dedication, Forth Worth, Texas, 1972, estratto in What Will Be Has Always Been: The Words of Louis Kahn, a cura di R. S. Wurman, New York, 1986, p. 177.

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pubbliche dell’edificio: il bar, la libreria e le gallerie.

The Room”, dal taccuino di schizzi di Kahn, 1971.

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Da notare come lo spessore dei setti che dividono le diverse campate longitudinali delle volte appaia quasi smaterializzarsi, nella sua logica di spazio autonomo. Il giardino presente nella corte esterna nasce senza dubbio soprattutto dalla sensibilità paesaggistica di Harriet Pattison, ma rappresenta ancora una volta l’idea kahniana di libera scelta da parte dell’individuo se entrare nell’istituzione e vedere cosa c’è all’interno, oppure se passeggiare al suo esterno, senza alcun vincolo. Il sistema strutturale si rende esplicito, fin da subito, nelle campate aperte anteriori del museo che determinano il grande portico, vera e propria traduzione nella contemporaneità dei colonnati dei musei classici. Gli spazi più bassi a copertura piana tra le volte rendono esplicita poi la loro destinazione a funzioni di servizio, secondo la sua nota distinzione tra spazi serviti e spazi serventi.Il sistema integrato di luce e struttura definisce una successione di stanze che è intuibile, quindi, sin dall’esterno, grazie alle campate aperte anteriori che formano il portico. “Tutto era a vista: quattro pilastri in cemento armato sostenevano una volta allungata in calcestruzzo dalla sezione a cicloide. Osservando le campate adiacenti tamponate era evidente che la muratura in travertino non aveva una funzione portante, ma un ruolo studiatamente coreografico in relazione al calcestruzzo”.55 Ogni volta mostra i quattro pilastri di sostegno, configurando quel carattere di

55 B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 223.

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Kimbell Art Museum, Forth Worth, 1966-72. Pianta e Modello.

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completezza tipico della ‘stanza’, sottolineato dalla straordinaria invenzione dei lucernari che aprono “l’edificio al sole esattamente nel modo da lui a lungo raccomandato, separando la struttura e quindi intrecciando sostegno e illuminazione”.56 In realtà non si tratta di una separazione, ma della giustapposizione di due strutture, ovvero di due travi curvate in calcestruzzo gettato in opera post-tese, ma una tale complessità strutturale non viene affatto esaltata, ma piuttosto occultata da Louis Kahn, in quanto ciò che gli interessa è la chiarezza visiva che rende pienamente intelligibili gli elementi della trama compositiva. “Questo è ciò che realizza l’architettura della luce e della struttura. Decidere per una stanza quadrata significa sceglierne la luce: ogni forma ha una sua luce. Anche una stanza pensata per essere buia ha bisogno di almeno una fessura di luce per comunicare la sua oscurità. Ma oggi, gli architetti, nel progettare gli spazi, hanno dimenticato la loro fede nella luce naturale; abituati dalla facilità con cui un dito tocca un interruttore, si accontentano della luce immobile e dimenticano le infinite doti della luce naturale, che modifica lo spazio in ogni attimo del giorno”.57

Un simile stratagemma fu sviluppato, seppure con modalità differenti, nello Yale Center for British Art, ideato sotto l’influenza del direttore Jules

56 Ibidem.57 L. Kahn, Architecture: Silence and Light, in A. Toynbee, On future of Art, New York, 1970.

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Prown che voleva una sistemazione a carattere domestico con una illuminazione naturale. Il progetto si sviluppa intorno a due corti coperte: la prima si trova a livello della strada ed assolve la funzione di atrio; la seconda è situata a livello della biblioteca, e si collega con la prima mediante la scala principale che serve tutti i piani superiori ed assume il ruolo di vero fulcro della spazialità architettonica che il progetto esprime. Tali spazi a corte sono delimitati dalle gallerie che vi si affacciano attraverso grandi aperture che riproducono l’idea di un vuoto urbano delimitato da facciate di edifici con finestre.Un tale programma costituì lo spunto ideale per una riproposizione in chiave contemporanea della tipologia del palazzo rinascimentale italiano, organizzato intorno ad una corte centrale. I temi costanti qui sviluppati sono: gli archetipi della geometria, l’utilizzo di muri ciechi come facciate, il rigore del sistema proporzionale, il rapporto con gli edifici esistenti, l’utilizzo di materiali tradizionali per strutture innovative. L’idea della ‘stanza’ è presente in tutta la sua evidenza nel sistema delle gallerie superiori, dove questi spazi di 6 metri per 6 mostrano la loro logica di autonomia grazie alla massiccia struttura in calcestruzzo dei lucernari quadrati. L’esterno si presenta invece come un prisma volutamente anonimo, fatto di misura e modulo, il cui scheletro si mostra mediante i pilastri rastremati ed i pannelli di tamponamento di acciaio satinato alternati alle finestre in determinati punti dell’edificio.

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Vincent Scully, a proposito di questo intervento, esprime il proprio sincero apprezzamento: “Penso che sia meraviglioso, così stabile, così privo di suoni, così atemporale. E’ veramente silenzio e luce, e cioè quello di cui Lou ha sempre parlato”.58

Yale Center for British Art, New Haven, 1969-74. Prospettiva della corte della biblioteca.

58 V. Scully, intervista con A. Latour, cit., p. 151.

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Memorial to six million jewish martyrs, New York, 1966-72. Modello.

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La misura dell’eterno, insita nei monumenti dell’antichità, sembra essere quindi l’elemento che informa soprattutto i progetti della maturità; ed è significativo il fatto che, quando si trova a dover progettare il Monumento commemorativo ai Sei Milioni di Martiri Ebrei, nella sua prima versione, egli rivolga lo sguardo verso i templi dorici, notando che la misura degli intercolumni è quasi simile al diametro delle colonne. Kahn propone, quindi, un impianto dotato di una potente astrazione, con una griglia ortogonale che presenta tre elementi per lato, con una uguaglianza di pieni e vuoti, in maniera tale che il passo dei piloni sia uguale al diametro degli stessi. La luce trasmessa durante il giorno e riflessa durante la notte rappresenta la resistenza dell’idealismo umano di fronte alla atrocità del nazismo. “Una volta all’università, per spiegare che la struttura è creatrice di luce, mi riferii alla bellezza che le colonne greche traggono dai loro rapporti reciproci e sostenni che la colonna non è luce: lo spazio è luce. Ma la colonna esprime la sua forza non all’interno ma all’esterno”.59

Libero dall’influenza di Anne Tyng, Kahn abbandona l’idea di uno spazio indifferenziato e della pianta libera, per dedicarsi alle possibili evoluzioni derivanti da quel concetto basilare di stanza intesa come luogo atto a racchiudere il senso dell’istituzione. A tal proposito, il progetto non costruito della casa Weber DeVore a Springfield sembra essere un perfetto teorema dell’irriducibilità dello spazio. “La casa è

59 L. Kahn, Statement on Architecture, cit.

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l’astrazione che tiene insieme gli spazi adatti alla vita. La casa è la forma e nella mente della meraviglia dovrebbe esistere priva di ogni configurazione o dimensione. Una casa è un’interpretazione di quegli spazi dettata dalle circostanze. Questo è progetto”.60

De Vore House, Springfield, Pennsylvania, 1954. Pianta.60 L. Kahn, Form and Design, in V. Scully, Louis I. Kahn, New York 1962.

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Si tratta di una composizione dalla ‘complessa semplicità’, costituita da cinque quadrati dal lato di 7,3 metri lungo un muro di contenimento che divide la casa in una zona a sud, in cui sono alloggiate le funzioni pubbliche, ed in una parte a nord in cui si trovano le camere da letto. Quel che emerge di tale progetto è il fatto che ogni stanza è dotata di una struttura autonoma a vista, con pilastri quadrati in muratura disposti negli angoli ed in mezzeria. Egli stesso riflette sul fatto che “l’idea che la decorazione sia necessaria all’architettura contemporanea deriva in parte dalla nostra tendenza a coprire le parti strutturali – in altri termini, a celare la composizione delle parti. Se ci abituassimo a disegnare come costruiamo, dal basso verso l’alto, fermando la nostra matita alle giunzioni del getto o dell’elevazione, la decorazione si svilupperebbe dal nostro senso del perfezionamento della costruzione e noi concepiremmo nuovi metodi costruttivi”.61 In tal modo, la struttura presenta un raddoppiamento non necessario in termini strutturali, ma emblematico da un punto di vista concettuale, ovvero teso a rappresentare la logica di autonomia della singola stanza.Tale principio compositivo si rintraccia in modo inequivocabile anche nei progetti di più largo respiro come quello per il complesso dell’Assemblea Nazionale a Dacca, iniziato sin

61 L. Kahn, citato in How a Develop New Methods of Construction, “Architectural Forum”, 101, novembre 1954, p. 157.

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dal 1963 e portato avanti per tutta la vita. Nonostante i vincoli imposti dalla committenza, Kahn aveva intuito da subito il significato da conferire al progetto ed in che modo far emergere la natura trascendente dell’assemblea. “La relazione instaurata tra assemblea, moschea, corte (suprema) e alloggi, nella loro interazione dal punto di vista psicologico, è ciò che esprime una natura. L’istituzione dell’assemblea potrebbe perdere il proprio significato se i propri componenti fossero dispersi, le aspirazioni di ciascun edificio risulterebbero non completamente espresse. Ciò che sto cercando di fare è di far discendere una fede da una filosofia che io posso consegnare al Pakistan in modo che qualsiasi cosa essi facciano sia sempre coerente ad essa”.62

La geometria costituisce il mezzo più congeniale per esprimere il tutto; una geometria semplice ma evocativa delle aspirazioni degli uomini, in cui l’Assemblea e la moschea sono all’interno di due quadrati, di cui uno ruotato di 45 gradi rispetto all’altro. “Il mio progetto a Dacca si ispira alle Terme di Caracalla, anche se è molto più grande. Gli spazi residui delle Terme sono un anfiteatro, uno spazio trovato, una corte. Attorno vi sono giardini e nel corpo dell’edificio, ovvero nell’anfiteatro, vi sono gli interni e negli interni vi sono giardini a livelli diversi, luoghi che rendono 62 L. Kahn, Conferenza a Yale pubblicata in The Development by Louis Kahn of the Design for the Second Capital of Pakistan at Dacca, “Student Publication of the School of Design, North Carolina State College”, Raleigh, 14 maggio 1964.

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omaggio all’atleta e luoghi che onorano la conoscenza del modo in cui l’uomo è stato creato. Tutti questi sono luoghi di benessere e di riposo, luoghi in cui ci viene consigliato come vivere per sempre…questo è ciò che ha ispirato il progetto”.63

In particolare, il quadrato ruotato era quello dell’edificio dell’assemblea nazionale con una bassa cupola e contrafforti angolari che espandevano il quadrato della moschea. Le costruzioni erano predisposte su terrapieni dalla forma geometrica, delimitati in parte dal lago e, all’altra estremità vennero collocati scuole, biblioteche e servizi vari. Per portare la luce all’interno dell’edificio dell’Assemblea Kahn creò delle strutture molto particolari: “Ho introdotto, nel progetto dell’Assemblea, un elemento che fornisce la luce naturale alla parte più interna della pianta. Immaginate di vedere una serie di colonne, e poter affermare che la scelta delle colonne è una scelta di luce. Le colonne come solidi strutturano gli spazi di luce. Ora, ribaltate i termini del problema e immaginate che le colonne siano cave e molto più grandi e i loro muri possano essi stessi fornire luce: in questo modo i vuoti diventano stanze, e la colonna è generatrice di luce e può assumere forme complesse e dare allo stesso tempo sostegno e luce agli spazi”.64

63 L. Kahn, Talks with students, in “Architecture at rice”, 26, 1969.64 L. Kahn, citato in The Development of Dacca, n.p.

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Complesso dell’assemblea Nazionale, Dakka, 1962-63.

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E’ noto, d’altronde, come kahn avesse indicato l’origine dell’architettura nel momento in cui i muri si erano divisi ed erano diventati colonne, lasciando penetrare la luce e fungendo da sistema strutturale.Quello che risultava con immediatezza era l’unitarietà della composizione, esaltata in modo magistrale dalle connessioni tra le varie parti. “L’architettura della connessione…quella che connette gli spazi utilizzabili…Questa è la misura dell’architetto-la organizzazione degli spazi di collegamento-quella che offre a chi cammina attraverso l’edificio… la percezione dell’intero senso dell’istituzione”.65 La geometria ordinata di Dacca è la chiave di volta per comprendere un altro progetto kahniano: il Levy Memorial Playground a New York, apparentemente di minor importanza, ma fondamentale per l’esplicitarsi di alcuni nodi compositivi che, proprio qui, sembrano trovare la loro felice sintesi nella realizzazione di una sorta di paesaggio arcaico. Si tratta di un campo giochi per bambini che presenta una gradinata monumentale ed ampie terrazze che determinano una serie di collinette per il gioco, con una geometria rigorosa che presenta elementi a rampa e scale che riportano alla memoria le rovine minoiche. E’ un chiaro tentativo di rilettura dei grandi complessi della storia dell’architettura, ed ancora una volta rappresenta l’esplicita volontà di costruire un paesaggio duraturo, a fronte di una occasione tematica di relativa importanza.

65 L. Kahn, Law and Rule, Princeton.

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Probabilmente tale complessità di ideazione non fu compresa appieno nelle sue possibilità realizzative, e pertanto il progetto rimase sulla carta.

Levy Memorial Playground, New York, 1963.

Il tema della rotazione geometrica costituì poi un principio progettuale di estrema importanza, perché da solo riusciva a determinare le connessioni, e trovò applicazione in altri progetti di estremo interesse; basti pensare a quello per la Fisher house ad Hatboro, a nord di Filadelfia, la cui genesi compositiva è pienamente incentrata su tale meccanismo. Si tratta del primo progetto della maturità per abitazioni in cui “si riscontra

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una mancanza di equilibrio simmetrico in cui gli elementi articolati separatamente erano giustapposti in modo tale che nessuno fosse prevalente”.66 Questa rotazione di 45 gradi è il meccanismo che consente alle due figure rettangolari di trovare un punto di contatto che ne determina il collegamento. Da notare come il perimetro della casa sembri avere un notevole spessore murario, anche se in realtà si tratta di uno spessore cavo, e quindi fittizio; ma è interessante soffermarsi anche sul gioco chiaroscurale, ottenuto mediante rilievi ed aggetti, che evoca ‘in nuce’ la potenza massiva delle antiche mura romane, seppure riformulata in una chiave decisamente contemporanea, grazie alla leggerezza ed alla trasparenza ottenuta con l’utilizzo delle ampie vetrate ripartite dalla elegante intelaiatura lignea. “L’esigenza di riporre e conservare gli oggetti necessari alla vitadi ogni giorno senza ingombrare lo spazio, la semplice possibilità di sedersi o l’idea di potersi servire di una postazione privilegiata da cui osservare il paesaggio esterno circostante, rendono questi luoghi del limite per nulla accessori ma, piuttosto, secondo una definizione dello stesso Kahn, profondamente necessari”.67

Tale idea di ‘necessità’ sembra percorrere come un filo rosso tutte le opere realizzate dal maestro estone, tanto che quando egli si trova a dover affrontare la difficile tematica della copertura più adatta ad imprimere carattere al luogo più

66 B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 198.67 F. Cacciatore, Op. cit., p. 115.

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importante dell’intero complesso di Dacca, volge lo sguardo indietro verso i grandi esempi del passato, e si imbatte nella fonte di luce più trascendente che sia mai esistita, ovvero nell’oculo del Pantheon.

Fisher House, Montgomery Country, 1960-61.

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Rifiuta persino i suggerimenti del consulente strutturista August Komendant e decide, dopo vari tentativi, di utilizzare una “volta a melone”, senz’altro più vicina ai suoi ideali di una geometria a-temporale che sembrava indagare l’ordine cosmico: “Ordine è intangibile. E’ uno stadio della coscienza creativa che sempre evolve verso l’alto. Più alto è l’ordine, più grandi sono le differenze nel progetto. Ordine favorisce le congiunzioni. Da ciò che lo spazio aspira a essere, ciò che non è usuale può essere rivelato all’architetto”.68 La tensione ideale viene confermata anche dal diverso trattamento materico dell’edificio dell’Assemblea rispetto alle costruzioni adiacenti, caratterizzate dal mattone rosso. Le esili, eppure potenti, linee marmoree di un bianco intenso, inserite nel calcestruzzo a vista, disegnano un elemento a scala umana, ma rispondono soprattutto a quella necessità profondamente avvertita di dominare gli aspetti arbitrari e pervenire ad un livello di astrazione tale da consentire ad ogni essere umano di conferire il significato adeguato a quella determinata istituzione. E’ evidente, d’altra parte, come nella tradizione occidentale la città, la casa, il teatro, il castello, pur non durando in eterno, vogliono rispecchiare l’Ordinamento eterno del mondo, e quindi esserne il simbolo. L’uomo, così, trova riparo nelle proprie abitazioni non tanto e non solo perché riceva da esse certe prestazioni, ma piuttosto perché è il loro essere simbolo dell’Eterno che

68 L. Kahn, Order is, in “Perspecta”, 3, 1955, p. 59.

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consente loro di fornirle. Le costruisce in modo che siano simbolo dell’Eterno, in modo che egli, abitandole, si senta al riparo.69

A Kahn non interessa dunque commentare la dimensione ridotta dell’individuo, ma evidenziare, piuttosto, la natura trascendente dell’assemblea; e questa pietra preziosa, realizzata in calcestruzzo e marmo, sembra servire proprio a questo. “Non conosco servizio migliore che un architetto possa offrire come professionista di quello di rendere evidente che ogni edificio deve servire un’istituzione degli uomini, vuoi che si tratti del governare, dell’abitare, dell’apprendere, oppure della salute o del tempo libero”.70

Vincent Scully, intervistato a proposito dell’opera kahniana, sottolinea come al maestro interessasse più di tutto la simmetria, l’ordine, la forza primigenia, la realizzazione di monumenti eterni e incorruttibili. Louis Kahn, in sostanza, credeva nella possibilità della costruzione di comunità, ed amava ripetere che lui non era persuaso che fosse la società a fare l’uomo, ma che viceversa fosse l’uomo a fare la società. Per questo egli stabiliva il carattere di un edificio a partire da una riflessione profonda sull’essenza dell’attività umana che questo accoglieva. “Ogni edificio che un architetto costruisce è per un’istituzione. Per l’istituzione dell’apprendimento, per quella della casa, per l’istituzione del governo. Ogni giorno 69 Cfr. in E. Severino, Tecnica e architettura, Milano, 2003, p. 89.70 L. Kahn, Talks with Students, in “Architecture at Rice”, 26, 1969.

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sorgono istituzioni, si affermano o sono in procinto di prendere forma. Difficilmente si riconosce il divenire di un’istituzione, poiché essa diviene gradualmente a partire da altre istituzioni. Molte di esse sono completamente distinte ma rese irriconoscibili in quanto tali dal modo in cui l’architetto ne esprime l’urgere in sé”.71

La sua opinione sulla sacralità dell’assemblea laica rappresenta uno dei luoghi concettuali essenziali per la riuscita dei complessi progetti a scala urbana; e le impressioni suggeritegli dai viaggi compiuti in determinati luoghi lo conducono ad una profonda riflessione sulle condizioni di vita qui presenti: “In India e in Pakistan mi sono reso conto che la grande maggioranza delle persone non ha ambizioni, perché non ha modo di potersi elevare al di là di una vita di sussistenza, e, quel che è peggio, i talenti non hanno sbocchi. Esprimersi è una ragione di vita. Le istituzioni dell’apprendimento, del lavoro, della salute e dell’intrattenimento dovrebbero essere a disposizione di tutti”.72

Il complesso presidenziale di Islamabad è stato costruito da pochi decenni, eppure è così distante dalle tante architetture della contemporaneità, inutili icone luccicanti che esaltano con stupe-facente disinvoltura gli effetti perversi della glo-balizzazione, e in particolar modo quella subcul-tura di massa del consumismo di cui Paul Ri-coeur parlava già negli anni Sessanta, proprio

71 L. Kahn, Law and Rule, Princeton, 29 novembre 1961.72 L. Kahn, The Room, The Street, The Human Agreement, in “AIA Journal”, vol. 56, 1971, pp. 33-34.

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mentre si andava compiendo la rivoluzione kah-niana.

Complesso Presidenziale, Islamabad, 1963-66. Modello dell’area e Pianta schematica dell’edificio dell’Assemblea Nazionale.

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Tali intenti definiscono con estrema chiarezza il senso complessivo e le profonde finalità del lavo-ro svolto da Louis Kahn nel corso della sua esi-stenza, per conferire dignità alle istituzioni ed of-frire agli uomini la possibilità di una visione di vita diversa. E’ evidente, quindi, come le grandi rovine eterne reinventate dal maestro estone rie-scano ad assumere oggi anche una dimensione profetica, nel loro indicare una direzione adeguata all’architettura contemporanea; una strada che dovrebbe consistere fondamentalmente in un fre-no dello spreco di risorse, ma anche nel recupero di quella lunga durata degli edifici che è, prima di tutto, simbolica. Non è certo casuale se, durante la guerra d’indipendenza dal Pakistan del 1971, il suo edificio destinato a sede del Parlamento del Bangladesh fu risparmiato dai bombardamenti, perché percepito come un’antica rovina, un luogo dello spirito colmo della misura dell’eterno.

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

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Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di maggio del 2010dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)

per conto della «Aracne editrice S.r.l. » di Roma

CARTE: Copertina: Patinata opaca Bravomatt 300 g/m2 plastificata opaca; Interno: Usomano bianca Dune 90 g/m2

ALLESTIMENTO: Legatura a filo di refe / brossura