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Gli ultimi giorni di bombe e di morte Poi fu libertà Alla vigilia della resa dei nazifascisti la Resistenza trova nel Veneto lo scacchiere strategico per l’offensiva finale di FRANCESCO JORI È un avvertimento di quel- li che non si possono ignorare, la pioggia di bombe che intorno alle 10 di venerdì 20 aprile 1945 si abbat- te sul quartier generale tede- sco di Recoaro, e lascia dietro di sé 28 tra morti e feriti: gli americani stanno mandando a dire al nemico che è tempo di chiudere le trattative per la re- sa. Messaggio pervenuto: la do- menica successiva nella locali- tà vicentina si siedono attorno a un tavolo il generale von Vie- tinghoff con il suo stato mag- giore, il generale Wolff, l’amba- sciatore presso la Repubblica sociale italiana Rahn, e il gau- leiter del Tirolo Hofer. Si deci- de di far partire immediata- mente, alla volta di Caserta do- ve ha sede il quartier generale alleato, il colonnello von Swie- nitz e il gruppenfuhrer SS We- ner, con la credenziali firmate per la resa. Ma in quelle circo- stanze il viaggio è tutt’altro che semplice, oltretutto bisogna passare per la Svizzera: i due messaggeri arriveranno a desti- nazione soltanto sei giorni do- po. Il documento che sancisce la capitolazione nemica viene sottoscritto alle due di pome- riggio di domenica 29 aprile: prevede la cessazione delle ostilità il 2 maggio successivo, sempre alle due di pomeriggio. Sembra chiusa, ma non lo è. Il comandante delle armate te- desche del sud, generale Kes- selring, quando viene a cono- scenza delle condizioni desti- tuisce sia von Vietinghoff che il suo capo di stato maggiore Rot- tinger. Nel quartier generale di Bolzano, dove si sono trasferiti i comandi, si discute animata- mente; a dirimere la controver- sia, alle 11 di sera di martedì 1 maggio, arriva la notizia del suicidio di Hitler. A quel punto von Vietinghoff viene reinte- grato, e finalmente la resa di- venta operativa. Dal bombar- damento di Recoaro sono tra- scorsi dieci drammatici giorni: li ricostruisce con grande ab- bondanza di particolari Luca Valente nel suo libro “Dieci giorni di guerra”, visti dal bas- so, con molte testimonianze di soldati e di civili. La Resistenza intanto non è certo rimasta ferma. Un mes- saggio in codice trasmesso via radio, “Aldo dice 26 per 1”, se- gna l’inizio dell’offensiva fina- le, in cui il Veneto diventa lo scacchiere più strategico: attra- verso di esso passano di fatto le principali vie di fuga tedesche, verso le direttrici di Tarvisio a est e del Brennero a ovest. Già il 4 aprile è stato diffuso il pro- clama “Arrendersi o perire!”, ri- volto alle forze nazifasciste. È il preludio dell’insurrezione, co- me fa notare Ernesto Brunetta nel suo libro “Dal fascismo alla Resistenza”. Tra Veneto e Friuli, la Resi- stenza può contare su 12 mila uomini, concentrati principal- mente in tre zone: il Polesine, la Bassa veneziana e la pianura veronese, dove l’obiettivo è ri- tardare e compromettere il più possibile la ritirata delle trup- pe nemiche; la montagna vero- nese, le province di Padova e Vicenza, l’alto Veneziano e il Trevigiano in destra Piave, per bloccare le colonne tedesche dirette verso casa; il Trevigiano in sinistra Piave e il Bellunese, che diventano l’estremo ba- luardo. Già il 12 aprile la divisione Garemi muove all’attacco su un fronte di una cinquantina di chilometri, nell’alto Vicenti- no, interrompendo ponti e vie di comunicazione. Il 23 aprile l’esercito tedesco in rotta arri- va sulle sponde del Po, dove in- tanto la Resistenza ha fatto sal- tare i ponti: mentre gli aerei al- leati bombardano le colonne ammassate sugli argini, i solda- ti si gettano in acqua per gua- dare il fiume; molti di loro muoiono annegati. Tra il 25 e il 26 aprile le prime avanguardie alleate, che han- no attraversato il Po ad Ostiglia su veicoli anfibi, entrano a Ve- rona; intanto i carri amati neo- zelandesi attraversano l’Adige, e il 28 entrano a Padova, prose- guendo quindi alla volta di Tri- este. Sempre il 28 aprile altre truppe fanno l’ingresso a Vi- cenza; il 30 viene liberata Bas- sano. Gli uomini della Resistenza hanno fatto la loro parte. Nella notte tra il 25 e il 26 aprile, i par- tigiani dei battaglioni “Gian Della Bona” e “Perseo” sono scesi dalla montagna veronese a San Giovanni Ilarione, cir- condando l’edificio delle scuo- le elementari dove si sono as- serragliati i tedeschi: questi ul- timi si arrendono verso le 3 del mattino, è il primo presidio ne- mico ad arrendersi. Intanto, attraverso Radio Mi- lano, tutte le formazioni parti- giane che operano in Veneto sono state informate che il Cor- po Volontari della Libertà ha proclamato l’insurrezione na- zionale a partire dalle 8 di mat- tina del 26 aprile: «In queste ore il mondo vi guarda. Nel no- me dei nostri martiri date pro- va del vostro valore, e dimo- strate di essere degni della li- bertà per la quale avete tanto combattuto e sofferto». I giorni della liberazione sono contras- segnati purtroppo da sangui- nose rappresaglie tedesche: in particolare gli eccidi in Polesi- ne di Villadose e Granzette; nel Padovano di Ponso, Lozzo, Sa- onara, Santa Giustina in Colle e dei paesi dell’Alta a partire da Sant’Anna Morosina; nel Vi- centino di Creazzo, Campedel- lo, Montecrocetta, Dueville, Tresché Conca e Pedescala. L’epicentro è Padova, dove dal 25 aprile padre Carlo Mes- sori Roncaglia, gesuita, ha mes- so il collegio Antonianum a di- sposizione della Resistenza, la quale vi ha installato il proprio quartier generale. È qui che i responsabili della Repubblica sociale italiana firmano la resa, a mezzogiorno e un quarto di sabato 28 aprile; nel pomerig- gio, alle 3, l’esercito nemico la- scia la città. In mezzo ci sono state ore di concitata trattativa, svoltasi in un locale della vici- na basilica del Santo, in quan- to zona extraterritoriale facen- do capo direttamente al Vatica- no. Il documento si articola in una parte militare, che preve- de tra l’altro lo scioglimento e il disarmo di tutte le formazioni militari della Rsi, e la liberazio- ne immediata dei prigionieri politici; e in una parte politi- co-amministrativa, che dispo- ne la consegna di beni, fondi e uffici e il disarmo di tutti gli agenti di questura; inoltre, la consegna dei locali delle fede- razioni venete del fascio, e de- gli archivi ed elenchi, nonché dei fondi, del partiti fascista, «compresi i trenta milioni pre- levati nella corrente settima- na». Sono passate da poco le 22 di quel sabato quando dal Bas- sanello entrano in città i primi carri armati neozelandesi, ac- colti dai suoni delle campane e delle sirene. Una scena che in quei giorni si ripete in tutto il Veneto, con manifestazioni che lasciano stupiti e commos- si gli stessi soldati alleati. Ricor- da uno dei loro: «Nelle vie e nel- le piazze millenarie ci accolse- ro con un entusiasmo quasi im- barazzante. Ad ogni stop mo- mentaneo i veicoli venivano sommersi da civili che rideva- no, piangevano e cantavano. Una signora anziana, piangen- do con gioia, stava cantando “America” verso una jeep cari- ca di uomini: non conosceva altro in inglese». Una scena particolare si verifica in un pae- sino della Bassa veronese. La ri- evoca un sergente Usa: «La co- sa da ricordare fu la stretta di mano di una signora anziana di circa ottant’anni, che aveva la presa di un fabbro, e non vo- leva lasciarmi andare… Un bambino fece il saluto fascista, e suo padre gli diede uno scap- pellotto sulla testa». «Nelle vie e nelle piazze i veicoli venivano sommersi da civili che ridevano piangevano e cantavano» 70 ° 70 ° della LIBERAZIONE della LIBERAZIONE «In queste ore il mondo vi guarda Date prova del vostro valore e dimostrate di essere degni della libertà per la quale avete tanto sofferto» IL MATTINO SABATO 25 APRILE 2015 25 Aprile 1945 2015

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Gli ultimi giornidi bombe e di mortePoi fu libertàAllavigiliadellaresadeinazifascisti laResistenzatrovanel Veneto lo scacchiere strategico per l’offensiva finale

di FRANCESCO JORI

È un avvertimento di quel-li che non si possonoignorare, la pioggia di

bombe che intorno alle 10 divenerdì 20 aprile 1945 si abbat-te sul quartier generale tede-sco di Recoaro, e lascia dietrodi sé 28 tra morti e feriti: gliamericani stanno mandando adire al nemico che è tempo dichiudere le trattative per la re-sa. Messaggio pervenuto: la do-menica successiva nella locali-tà vicentina si siedono attornoa un tavolo il generale von Vie-tinghoff con il suo stato mag-giore, il generale Wolff, l’amba-sciatore presso la Repubblicasociale italiana Rahn, e il gau-leiter del Tirolo Hofer. Si deci-de di far partire immediata-mente, alla volta di Caserta do-ve ha sede il quartier generalealleato, il colonnello von Swie-nitz e il gruppenfuhrer SS We-ner, con la credenziali firmateper la resa. Ma in quelle circo-stanze il viaggio è tutt’altro chesemplice, oltretutto bisognapassare per la Svizzera: i duemessaggeri arriveranno a desti-nazione soltanto sei giorni do-po. Il documento che sanciscela capitolazione nemica vienesottoscritto alle due di pome-riggio di domenica 29 aprile:prevede la cessazione delleostilità il 2 maggio successivo,sempre alle due di pomeriggio.

Sembra chiusa, ma non lo è.Il comandante delle armate te-desche del sud, generale Kes-selring, quando viene a cono-scenza delle condizioni desti-tuisce sia von Vietinghoff che ilsuo capo di stato maggiore Rot-tinger. Nel quartier generale diBolzano, dove si sono trasferitii comandi, si discute animata-mente; a dirimere la controver-sia, alle 11 di sera di martedì 1maggio, arriva la notizia delsuicidio di Hitler. A quel puntovon Vietinghoff viene reinte-grato, e finalmente la resa di-venta operativa. Dal bombar-damento di Recoaro sono tra-scorsi dieci drammatici giorni:li ricostruisce con grande ab-bondanza di particolari LucaValente nel suo libro “Diecigiorni di guerra”, visti dal bas-so, con molte testimonianze disoldati e di civili.

La Resistenza intanto non ècerto rimasta ferma. Un mes-saggio in codice trasmesso viaradio, “Aldo dice 26 per 1”, se-gna l’inizio dell’offensiva fina-le, in cui il Veneto diventa loscacchiere più strategico: attra-verso di esso passano di fatto leprincipali vie di fuga tedesche,verso le direttrici di Tarvisio aest e del Brennero a ovest. Giàil 4 aprile è stato diffuso il pro-clama “Arrendersi o perire!”, ri-volto alle forze nazifasciste. È ilpreludio dell’insurrezione, co-me fa notare Ernesto Brunettanel suo libro “Dal fascismo allaResistenza”.

Tra Veneto e Friuli, la Resi-stenza può contare su 12 milauomini, concentrati principal-mente in tre zone: il Polesine,la Bassa veneziana e la pianuraveronese, dove l’obiettivo è ri-tardare e compromettere il piùpossibile la ritirata delle trup-pe nemiche; la montagna vero-nese, le province di Padova eVicenza, l’alto Veneziano e ilTrevigiano in destra Piave, perbloccare le colonne tedeschedirette verso casa; il Trevigianoin sinistra Piave e il Bellunese,che diventano l’estremo ba-

luardo.Già il 12 aprile la divisione

Garemi muove all’attacco suun fronte di una cinquantinadi chilometri, nell’alto Vicenti-no, interrompendo ponti e viedi comunicazione. Il 23 aprilel’esercito tedesco in rotta arri-va sulle sponde del Po, dove in-

tanto la Resistenza ha fatto sal-tare i ponti: mentre gli aerei al-leati bombardano le colonneammassate sugli argini, i solda-ti si gettano in acqua per gua-dare il fiume; molti di loromuoiono annegati.

Tra il 25 e il 26 aprile le primeavanguardie alleate, che han-

no attraversato il Po ad Ostigliasu veicoli anfibi, entrano a Ve-rona; intanto i carri amati neo-zelandesi attraversano l’Adige,e il 28 entrano a Padova, prose-guendo quindi alla volta di Tri-este. Sempre il 28 aprile altretruppe fanno l’ingresso a Vi-cenza; il 30 viene liberata Bas-

sano.Gli uomini della Resistenza

hanno fatto la loro parte. Nellanotte tra il 25 e il 26 aprile, i par-tigiani dei battaglioni “GianDella Bona” e “Perseo” sonoscesi dalla montagna veronesea San Giovanni Ilarione, cir-condando l’edificio delle scuo-

le elementari dove si sono as-serragliati i tedeschi: questi ul-timi si arrendono verso le 3 delmattino, è il primo presidio ne-mico ad arrendersi.

Intanto, attraverso Radio Mi-lano, tutte le formazioni parti-giane che operano in Venetosono state informate che il Cor-po Volontari della Libertà haproclamato l’insurrezione na-zionale a partire dalle 8 di mat-tina del 26 aprile: «In questeore il mondo vi guarda. Nel no-me dei nostri martiri date pro-va del vostro valore, e dimo-strate di essere degni della li-bertà per la quale avete tantocombattuto e sofferto». I giornidella liberazione sono contras-segnati purtroppo da sangui-nose rappresaglie tedesche: inparticolare gli eccidi in Polesi-ne di Villadose e Granzette; nelPadovano di Ponso, Lozzo, Sa-onara, Santa Giustina in Collee dei paesi dell’Alta a partire daSant’Anna Morosina; nel Vi-centino di Creazzo, Campedel-lo, Montecrocetta, Dueville,Tresché Conca e Pedescala.

L’epicentro è Padova, dovedal 25 aprile padre Carlo Mes-sori Roncaglia, gesuita, ha mes-so il collegio Antonianum a di-sposizione della Resistenza, laquale vi ha installato il proprioquartier generale. È qui che iresponsabili della Repubblicasociale italiana firmano la resa,a mezzogiorno e un quarto disabato 28 aprile; nel pomerig-gio, alle 3, l’esercito nemico la-scia la città. In mezzo ci sonostate ore di concitata trattativa,svoltasi in un locale della vici-na basilica del Santo, in quan-to zona extraterritoriale facen-do capo direttamente al Vatica-no. Il documento si articola inuna parte militare, che preve-de tra l’altro lo scioglimento e ildisarmo di tutte le formazionimilitari della Rsi, e la liberazio-ne immediata dei prigionieripolitici; e in una parte politi-co-amministrativa, che dispo-ne la consegna di beni, fondi euffici e il disarmo di tutti gliagenti di questura; inoltre, laconsegna dei locali delle fede-razioni venete del fascio, e de-gli archivi ed elenchi, nonchédei fondi, del partiti fascista,«compresi i trenta milioni pre-levati nella corrente settima-na».

Sono passate da poco le 22di quel sabato quando dal Bas-sanello entrano in città i primicarri armati neozelandesi, ac-colti dai suoni delle campane edelle sirene. Una scena che inquei giorni si ripete in tutto ilVeneto, con manifestazioniche lasciano stupiti e commos-si gli stessi soldati alleati. Ricor-da uno dei loro: «Nelle vie e nel-le piazze millenarie ci accolse-ro con un entusiasmo quasi im-barazzante. Ad ogni stop mo-mentaneo i veicoli venivanosommersi da civili che rideva-no, piangevano e cantavano.Una signora anziana, piangen-do con gioia, stava cantando“America” verso una jeep cari-ca di uomini: non conoscevaaltro in inglese». Una scenaparticolare si verifica in un pae-sino della Bassa veronese. La ri-evoca un sergente Usa: «La co-sa da ricordare fu la stretta dimano di una signora anzianadi circa ottant’anni, che avevala presa di un fabbro, e non vo-leva lasciarmi andare… Unbambino fece il saluto fascista,e suo padre gli diede uno scap-pellotto sulla testa».

«Nellevieenellepiazzeiveicolivenivanosommersidacivilicheridevanopiangevanoecantavano»

70°70°

dellaLIBERAZIONE

dellaLIBERAZIONE

«InquesteoreilmondoviguardaDateprovadelvostrovaloreedimostratediesseredegnidella libertàper laqualeavetetantosofferto»

IL MATTINO SABATO 25 APRILE 2015

25Aprile19452015

di ALDO COMELLO

E milio Pegoraro, nome dibattaglia “Leo”, ha com-piuto 93 anni e celebra

in questo 25 aprile, il 70˚ anni-versario della Liberazione.

Ha ancora negli occhi la cu-riosità dell’intelligenza e lapropensione al sorriso. Lasciascorrere un fiume di ricordi, al-cuni atroci, altri gioiosi. Comequando, alle 11,20 del 29 aprile1945, la colonna d’avanguar-dia della V Armata americanaarrivò a Fontaniva salutata dauna folla festosa di partigiani eausiliari, di donne e bambini:fiori, frutta, vino, abbracci, of-ferti a quei soldati giganteschi,protagonisti e testimoni dellafine di un incubo, anche sequesto momento di trionfo siincrociava con l’ultima resi-stenza feroce, efferata (lo scor-pione ha il veleno nella coda),dell’esercito nazista in via dismobilitazione.

Pegoraro ha partecipato allacampagna di Russia: «Le no-stre granate rimbalzavano con-tro i carri armati sovietici Sta-lin 41. Eravamo male armati epeggio equipaggiati, buttati al-lo sbaraglio come carne da ma-cello», mormora ancora incol-lerito. Qui ebbe la sensazioneprecisa del lato tragico, buffo-nesco, irresponsabile della dit-tatura fascista.

Rientrato in patria è subitonelle file della Resistenza. Cat-turato dai nazisti viene rin-chiuso nella prigione di Bassa-no, da cui evade attraversouna finestra dei bagni, grazieanche all’offerta di biscotti fat-ti in casa da parte di LeontineParolin, moglie di Emilio, com-pagna di vita e d’avventura,che distrae gli aguzzini.

Nell’area di Fontaniva-Citta-della, Emilio è a capo della for-mazione della Brigata Garibal-di “Franco Sabatucci” a cui siaffianca la brigata dei partigia-ni cattolici Damiano Chiesa.Va ricordato che nel territoriosi svolge l’opera critica, pole-mica, di un grande “eretico”della politica del tempo comeGavino Sabbadin. Con la tecni-ca della guerriglia, di un mordie fuggi fatto di imboscate e sa-botaggi, i partigiani riescono asabotare l’avanzata dell’eserci-to tedesco, armato fino a i den-ti, fornito di tank e cannoniche in campo aperto li avrebbesopraffatti in pochi giorni.

Come è successo? «La natu-ra ha dato una mano al nostrocoraggio: il fiume Brenta era inpiena e i nemici non potevanoattraversarlo. Ciò ci consentìdi organizzarci sulla riva oppo-sta. Nello stesso tempo riu-scimmo a blindare Cittadella,rendendola inespugnabile. Cifavorì l’appoggio della popola-zione: era a nostra disposizio-ne una rete di staffette, croce-rossine, volontari che veniva-no dalla campagna, segno chenell’area dopo anni di soprusie di oppressione fascista, so-prattutto a danno dei fittavoli

e dei braccianti trattati comeservi della gleba, si era creatonell’Alta Padovana un humusribellistico molto fecondo».

«Un altro passo fondamen-tale verso la vittoria – continuaPegoraro – fu la conquista di

due presidi tedeschi. Uno era aVilla Cittadella-Vigodarzere,settecentesca, immersa nelverde del giardino jappelliano.Ne impedimmo la distruzio-ne. Lì trovammo un’enormequantità di generi alimentari,

coperte, sigarette, liquori, ar-mi. I tedeschi si arresero im-mediatamente. Il 25 aprile l’in-surrezione generale, con l’oc-cupazione della periferia suddi Fontaniva, e il 27, la batta-glia infuria in tutti i comuni

dell’Alta».Pegoraro, era diventato un

esperto di esplosivi. E’ lui chedirige le azioni coordinate del-la formazione garibaldina e diquella cattolica e fa saltare ilponte sulla linea ferroviaria Vi-

cenza-Treviso in località Ma-glio.

Emilio, come tutti i capi par-tigiani, negli anni torbididell’occupazione nazista, di-sponeva di un falso documen-to di identità intestato a Rino

Costantini di Bertrando e Ma-ria Breda, studente, residentea San Pietro in Gu’. Emilio Pe-goraro, per il Pci, è stato parla-mentare in tre legislature, se-natore per due volte, per unadeputato. E’ considerato il pa-

dre delle riforme agrarie assie-me al senatore Dc, De Marzi,esponente della Coldiretti.Emilio cancella antichi privile-gi feudali come il livello, la de-cima e il quartese che i mezza-dri dovevano pagare.

il 29 aprile 1945

Domenica di sangue, l’ultima strageDa Sant’Anna Morosina alla “Cazzadora”, 136 innocenti fucilati

di FRANCESCO JORI

L a Liberazione in Venetoconosce nell’Alta Pado-vana giorni tra i più san-

guinosi. Che iniziano proprio il25 aprile, quando la brigatapartigiana Damiano Chiesa oc-cupa il centro dell’abitato diSanta Giustina in Colle, ucci-dendo alcuni soldati nemici,costringendo alla ritirata il pre-sidio tedesco e sequestrando-ne le armi. La notizia arriva ra-pidamente alle brigate neredella vicina Camposampiero,che la rilanciano a loro volta al-le forze tedesche delle Waf-fen-SS di stanza a Castelfran-co. Da qui, nella notte tra il 26 eil 27, si muove una colonna diduecento soldati appoggiati daautoblindo, che raggiungonoSanta Giustina iniziando unpesante fuoco di sbarramento.I partigiani si asserragliano neilocali della parrocchia, mentregli abitanti fuggono: cinque diloro vengono catturati e am-mazzati sul posto, altri 23 sonofatti prigionieri e tenuti comeostaggi. I tedeschi avanzano, efanno irruzione nella canoni-ca, dando fuoco al campanile.Il parroco don Giuseppe Lon-go, 65 anni, si fa avanti, offren-dosi di essere scambiato congli ostaggi, tra i quali figuranotra l’altro due sedicenni. Ma ilsuo gesto viene respinto: i pri-gionieri vengono allineati lun-go il muro a fianco della chiesa,e giustiziati a colpi di fucile. Su-bito dopo, un soldato prendedi mira il cappellano don Gia-comelli, trentenne, sferrando-gli un pugno che lo fa crollare aterra, dove viene ucciso conquattro colpi di pistola. La stes-sa sorte tocca al parroco, fred-dato con un colpo di pistolasulla bocca. Dopo la guerra gliverrà assegnata una medagliad’oro alla memoria.

Purtroppo, è soltanto unasanguinosa anticipazione diquel che accade qualche gior-no dopo, domenica 29 aprile, apartire lì vicino, da Sant’AnnaMorosina, teatro di uno dei piùefferati eccidi nazisti. Repartitedeschi della divisione Falck,che si stanno ritirando dal fron-te, in risposta ad un attacco ne-mico, iniziano un vasto rastrel-lamento che parte la mattinadel 29 proprio da Sant’Anna,prelevando dalle loro abitazio-ni i maschi senza alcuna distin-zione di età e usandoli comescudi umani nel corso di un ri-piegamento verso nord. In tut-to, 39 persone. Lungo il percor-so, la stessa sorte tocca alle per-sone degli altri paesi di volta involta attraversati: via via, SanGiorgio in Bosco, Abbazia Pisa-ni, Villa del Conte, San Martino

di Lupari. A questo punto la co-lonna attraversa i confini tra leprovince di Padova e Treviso,dirigendosi verso Castello diGodego. La barbarie inizia giàdurante il percorso: diversiostaggi vengono ammazzatidurante la marcia di ripiega-mento, gettando i loro cadave-ri ai bordi della strada.

La sanguinosa odissea si pro-trae per l’intera giornata, fino ache verso sera la colonna si fer-ma all’incrocio della“Cazzadora”, sulla strada perBassano, in territorio di Castel-lo di Godego. Qui i superstitidel rastrellamento vengonochiamati a gruppi di quindici,e passati per le armi. Non pa-ghi, secondo una testimonian-za, i nazisti «urlando come for-sennati, squarciarono il cranioalle vittime con il calcio del fu-cile o sparando pallottoleesplosive». Su questa strage c’èanche una documentazione dichi si trovò costretto a recarsisul posto poco dopo l’eccidio:il dottor Giannino De Sandre,medico condotto. Le sue te-stuali parole: «Fui dolorosa-mente testimone dello scem-pio di tante povere creature.Orribile era lo stato di una ven-tina di giovani col capo e le fac-

ce deformati, più che dai pro-iettili di arma da fuoco, da col-pi di corpo contundente (cal-cio di fucile, mazza). Posso af-fermare che tutte le vittime,quando le vidi io, avevano an-cora le braccia sollevate in alto,parecchi con le dita della ma-no chiuse e con serrate nel pal-mo terra ed erba. In alcuni lostato d’animo di terrore ed an-goscia traspariva ancoradall’espressione degli occhispalancati e fissi in atteggia-mento di massima sofferen-za». Alla fine, la drammaticacontabilità di questa tragicadomenica di sangue dovrà an-noverare ben 136 vittime.

Va ricordato che nei mesiscorsi il Comune di San Gior-gio in Bosco (nella cui giurisdi-zione territoriale rientraSant’Anna Morosina) ha chie-sto al governo tedesco un risar-cimento per queste esecuzionisommarie, che avevano tocca-to quasi tutte le famiglie dellafrazione. Le due vicende ricor-date si inseriscono, in ogni ca-so, all’interno di un quadro piùcomplessivo, che vide la pro-vincia di Padova al centro diviolenti combattimenti e san-guinose rappresaglie. Tra il 25e il 29 aprile, sempre nell’AltaPadovana, furono quindici ipartigiani della brigata“Damiano Chiesa” caduti incombattimento. E anche altrelocalità della provincia dovette-ro pagare un loro tributo disangue, come dimostrano le 44vittime civili di Saonara truci-date il 28 aprile. Ultimi focolaidi barbarie, prima della defini-tiva liberazione.

La banda Carità, terrore a palazzo GiustiL’edificio di via San Francesco trasformato in luogo di tortura, stupri e omicidi

l’eroe che cade all’alba della vittoria

Il Palinuro-Masaccio del Bo■■ Sotto l’arco del portonedel Bo la statua di marmo diPalinuro, scolpita da ArturoMartini, si trova ai piedi dellascala che porta in Rettorato.Palinuro, timoniere di Enea,viene rapito da un’onda

notturna mentre sta per attraccare dopo ilviaggio con Ulisse. Palinuro è il partigianoPrimo Visentin, ucciso a Loria il 29 aprile del1945 mentre procedeva al controllo di unreparto tedesco che stava trattando la resa,da una raffica di mitra sparata alle spalle.

7oo della liberazione

P alazzo Giusti, in via SanFrancesco, massiccio,cinquecentesco, severo,

sotto l’ampio portico ospitaun’iscrizione: la Canzone dellaNave («Fame, torture, scari-che, sibili di staffili, non ci fa-ranno vili: viva la libertà») ricor-da un passato nefasto, di eroi-smo e di sangue perché questa“Villa Triste”, una delle più fa-migerate d’Italia, fra la fine diottobre e i primi di novembre1944 diventa la tana della ban-da del maggiore Mario Carità.«A Palazzo Giusti – scrive Gior-gio Bocca nella sua Storiadell’Italia partigiana – si fa usodi droghe, il sangue e le grida

dei prigionieri sono anch’essidroga…i picchiatori ebeti be-vono e mangiano mentre ba-stonano». L’alcol e la cocainaelevano a potenza la ferociadei torturatori, alimentata an-che dalla consapevolezza chesi avvicina l’ora della resa deiconti.

Ma da quale inferno sbucaquesta accozzaglia di informa-tori, spie, assassini, addetti airastrellamenti e alle spedizionipunitive? Carità e i suoi vengo-no da Firenze. La banda si è fi-nanziata con una rapina inbanca da 55 milioni di lire econ i beni strappati agli ebrei.Da Firenze il gruppo, al diretto

comando dei nazisti, sorta diSpectre italica, passa a Bergan-tino e poi a Padova su richiestadel questore Menna. Finisco-no nella rete operai, professoriuniversitari, madri di famiglia,artigiani: ognuno è portatoredi una memoria in cui spicca lasospensione di ogni dirittoumano. Tra le vittime delle tor-ture, il professor Egidio Mene-ghetti, Antonio Zamboni do-cente al Tito Livio, l’avvocatoSebastiano Giacomelli, il pro-fessor Giovanni Apolloni, inse-gnante al Barbarigo, molto vici-no a don Giovanni Nervo, loscultore Amleto Sartori. A pa-lazzo Giusti viene portato ago-

nizzante, tra le risate di scher-no degli aguzzini, il partigianoOtello Pighin (Renato). Il capo,Mario Carità, faccia pesante,occhi spiritati, un ciuffo di ca-pelli bianchi, è uno splendidocampione della galleria lom-brosiana. I mezzi di persuasio-ne nel salone del palazzo e neicosiddetti uffici (camere dicontenzione) sono calci, pu-gni, scariche elettriche, unghiestrappate. Un altro soggettomeritevole di identikit è Anto-nio Corradeschi, un bel tene-broso, un gagà, nerovestitosempre intento ad insidiare leprigioniere, cercando di strap-pare loro qualche confidenza.

Corradeschi avrebbe irretitoanche una signora della buonaborghesia padovana che fu pe-rò il principale testimone a ca-rico del suo processo. A lei ilbel Tonino avrebbe indirizzatouna lettera, nei giorni del suo

arresto, piena di amarezza e dirisentimento. Corradeschi,con Chiarotto e Falugiani, co-stituisce il gruppo di fuoco, untrio di assassini. Una delazionepermette loro di tendere un ag-guato mortale, vicino a palaz-

zo Esedra, a Francesco Saba-tucci, comandante della Briga-ta Padova, eroe del Ponte dellaPriula. Cercano di prenderloma Francesco si mette a corre-re veloce; Corradeschi gli sparacon la pistola, gli altri dueesplodono raffiche di mitra: Sa-batucci si abbatte raggiunto dauna trentina di proiettili. Vici-no al Santo, vittima di tradi-mento, viene ucciso CorradoLubian che ha appena sostitui-to nel comando Otello Pighin.

La storia della banda Caritàè un po’ come l’Iliade di Ome-ro, non c’è una documentazio-ne scritta. «Carità e i suoi uomi-

ni – scrive Taìna Dogo – hannodistrutto ogni prova dei loromisfatti. Difficile anche rintrac-ciare gli atti del processo delsettembre 1945». Quando la li-nea di resistenza tedescasull’Appennino mostra i segnidi profonda usura, Mario Cari-tà si rifugia in un paesinodell’Alpe di Siusi a 30 chilome-tri da Bolzano. Viene sorpresoda soldati americani mentre fal’amore in una baita. Prende lapistola, spara, ma viene falcia-to da raffiche di mitra e la don-na che è con lui viene ferita.Corradeschi è fucilato allaschiena al poligono di tiro diPadova; per Chiarotto e Falu-giani, la sentenza è l’ergastolo;viene condannata a 16 anni an-che la figlia maggiore di Carità.A palazzo Giusti è tornato il si-lenzio, mentre gli alberi rinsec-chiti in giardino hanno ripresoa fiorire.

Aldo Comello

Ecco il discorso fatto dal rettore egrande latinista, Concetto Marchesi(nella foto), agli studenti padovaniil 1 dicembre 1943.«Studenti dell’Università di Padova!Sono rimasto a capo della vostraUniversità finché speravo dimantenerla immune dall'offesafascista e dalla minaccia germanica; fino a che speravodi difendervi da servitù politiche e militari e diproteggere con la mia fede pubblicamente professatala vostra fede costretta al silenzio e al segreto. Taleproposito mi ha fatto resistere, contro il malessere chesempre più mi invadeva nel restare a un posto che ailontani e agli estranei poteva apparire di pacificaconvivenza mentre era un posto di ininterrottocombattimento(… ). Nel giorno inaugurale dell'annoaccademico avete veduto un manipolo di questi

sciagurati, violatori dell'Aula Magna, travolti sotto laimmensa ondata del vostro irrefrenabile sdegno. Ed io,o giovani studenti, ho atteso questo giorno in cuiavreste riconsacrato il vostro tempio per più divent'anni profanato; e benedico il destino di avermidato la gioia di una così solenne comunione con l'animavostra. Ma quelli, che per un ventennio hanno vilipesoogni onorevole cosa e mentito e calunniato, hannotramutato in vanteria la disfatta e nei loro annuncimendaci hanno soffocato il vostro grido e si sonoappropriata la vostra parola. Studenti: non possolasciare l'ufficio del Rettore dell'Università di Padovasenza rivolgervi un ultimo appello. Una generazione diuomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostrapatria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall'ignavia,dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventùoperaia e contadina, dovete rifare la storia dell'Italia ecostituire il popolo italiano».

le tappe codevigo, la strage

La vendetta tremenda di Bulow■■ C'è un volto oscuro dellaResistenza, quello che - aguerra conclusa - spinsegruppi di partigiani, speciecomunisti, a fare strage diprigionieri, talvolta accusatidi atrocità, ma in altri casi

estranei a crimini di guerra. A Codevigo, trail 28 aprile e metà giugno - furono igaribaldini del comandante Arrigo Boldrini"Bulow" , saliti da Ravenna, a massacrare136 fascisti (nella foto la lapide dellacappella del cimitero che ricorda l’eccidio).

A destra,i partigianipadovaniin parataquasi militaremanifestanonel centrodella cittàpoco dopola liberazionedel Paese

«Fu il popolo a vinceresui tedeschi e i fascisti»Emilio Pegoraro, l’ultimo partigiano: volevamo cambiarele ingiustizie nelle campagne, per questo ci aiutarono

Le Ss, dopo averlifucilati, infierirono

sui volti dei padovanicon bastoni e calci di fucilerendendoli irriconoscibili

Arrivarono nel ’44da Firenze, con l’oro

rubato agli ebreiSotto i loro colpi morironoSabatucci e Pighin

le trattative per la resa

I neozelandesi al Bassanello■■ Il 25 aprile 1945 il Cln ordinal’insurrezione generale contro inazifascisti. Il 26, a Padova, cominciano letrattative per la resa, con la Chiesa chemedia. Il 27, gli alleati arrivano all’Adige ei fascisti si arrendono ai delegati dellaResistenza Sabadin, Prevedello e Canilli.Il Clp assume il potere e designa le carichepubbliche. Alle 23,30 del 28 i neozelandsientrano in città dal ponte del Bassanello.

L'impiccagione di Flavio Busonera, Ettore Calderoni e Clemente Lampioni il 17 agosto 1944, in via Santa Lucia.Sotto, alcuni componenti della banda Carità che terrorizzò Padova tra il 1944 e il 1945, compiendo torture e omicidi

Il documento falso di Pegoraro

Il Comune di Padova invita lacittadinanza alla cerimoniaper celebrare l’Anniversariodella Liberazione, incollaborazione con Provinciadi Padova, Università degliStudi, Comando Forze diDifesa Interregionale Nord,Associazione NazionalePartigiani d’Italia,Combattenti della Guerra diLiberazione Inquadrati neiReparti Regolari FF.AA., exCombattenti e associazionid’Arma. Il programma di oggiprevede alle ore 10.30, aPalazzo Moroni, via VIIIfebbraio, l’alzabandiera;onore ai Caduti e deposizionedelle corone di alloro conaccompagnamento musicaledella Fanfara dei Bersaglieri,intervento del sindaco;orazione ufficiale delpresidente provinciale Anpi.Alle ore 11.15, nel cortilepensile di Palazzo Moroni,inaugurazione della mostra"Uomini e Donne nella Guerradi Liberazione 1943-1945".

La celebrazionein Comunecon una mostra

Mogli e madri disperate accorse sul luogo della strage dei loro uomini

La benedizione delle vittime

Concetto Marchesi: «Rifate la storia d’Italia e costituite il popolo italiano»

II 25 Aprile 1945-2015 IL MATTINO SABATO 25 APRILE 2015

di ALDO COMELLO

E milio Pegoraro, nome dibattaglia “Leo”, ha com-piuto 93 anni e celebra

in questo 25 aprile, il 70˚ anni-versario della Liberazione.

Ha ancora negli occhi la cu-riosità dell’intelligenza e lapropensione al sorriso. Lasciascorrere un fiume di ricordi, al-cuni atroci, altri gioiosi. Comequando, alle 11,20 del 29 aprile1945, la colonna d’avanguar-dia della V Armata americanaarrivò a Fontaniva salutata dauna folla festosa di partigiani eausiliari, di donne e bambini:fiori, frutta, vino, abbracci, of-ferti a quei soldati giganteschi,protagonisti e testimoni dellafine di un incubo, anche sequesto momento di trionfo siincrociava con l’ultima resi-stenza feroce, efferata (lo scor-pione ha il veleno nella coda),dell’esercito nazista in via dismobilitazione.

Pegoraro ha partecipato allacampagna di Russia: «Le no-stre granate rimbalzavano con-tro i carri armati sovietici Sta-lin 41. Eravamo male armati epeggio equipaggiati, buttati al-lo sbaraglio come carne da ma-cello», mormora ancora incol-lerito. Qui ebbe la sensazioneprecisa del lato tragico, buffo-nesco, irresponsabile della dit-tatura fascista.

Rientrato in patria è subitonelle file della Resistenza. Cat-turato dai nazisti viene rin-chiuso nella prigione di Bassa-no, da cui evade attraversouna finestra dei bagni, grazieanche all’offerta di biscotti fat-ti in casa da parte di LeontineParolin, moglie di Emilio, com-pagna di vita e d’avventura,che distrae gli aguzzini.

Nell’area di Fontaniva-Citta-della, Emilio è a capo della for-mazione della Brigata Garibal-di “Franco Sabatucci” a cui siaffianca la brigata dei partigia-ni cattolici Damiano Chiesa.Va ricordato che nel territoriosi svolge l’opera critica, pole-mica, di un grande “eretico”della politica del tempo comeGavino Sabbadin. Con la tecni-ca della guerriglia, di un mordie fuggi fatto di imboscate e sa-botaggi, i partigiani riescono asabotare l’avanzata dell’eserci-to tedesco, armato fino a i den-ti, fornito di tank e cannoniche in campo aperto li avrebbesopraffatti in pochi giorni.

Come è successo? «La natu-ra ha dato una mano al nostrocoraggio: il fiume Brenta era inpiena e i nemici non potevanoattraversarlo. Ciò ci consentìdi organizzarci sulla riva oppo-sta. Nello stesso tempo riu-scimmo a blindare Cittadella,rendendola inespugnabile. Cifavorì l’appoggio della popola-zione: era a nostra disposizio-ne una rete di staffette, croce-rossine, volontari che veniva-no dalla campagna, segno chenell’area dopo anni di soprusie di oppressione fascista, so-prattutto a danno dei fittavoli

e dei braccianti trattati comeservi della gleba, si era creatonell’Alta Padovana un humusribellistico molto fecondo».

«Un altro passo fondamen-tale verso la vittoria – continuaPegoraro – fu la conquista di

due presidi tedeschi. Uno era aVilla Cittadella-Vigodarzere,settecentesca, immersa nelverde del giardino jappelliano.Ne impedimmo la distruzio-ne. Lì trovammo un’enormequantità di generi alimentari,

coperte, sigarette, liquori, ar-mi. I tedeschi si arresero im-mediatamente. Il 25 aprile l’in-surrezione generale, con l’oc-cupazione della periferia suddi Fontaniva, e il 27, la batta-glia infuria in tutti i comuni

dell’Alta».Pegoraro, era diventato un

esperto di esplosivi. E’ lui chedirige le azioni coordinate del-la formazione garibaldina e diquella cattolica e fa saltare ilponte sulla linea ferroviaria Vi-

cenza-Treviso in località Ma-glio.

Emilio, come tutti i capi par-tigiani, negli anni torbididell’occupazione nazista, di-sponeva di un falso documen-to di identità intestato a Rino

Costantini di Bertrando e Ma-ria Breda, studente, residentea San Pietro in Gu’. Emilio Pe-goraro, per il Pci, è stato parla-mentare in tre legislature, se-natore per due volte, per unadeputato. E’ considerato il pa-

dre delle riforme agrarie assie-me al senatore Dc, De Marzi,esponente della Coldiretti.Emilio cancella antichi privile-gi feudali come il livello, la de-cima e il quartese che i mezza-dri dovevano pagare.

il 29 aprile 1945

Domenica di sangue, l’ultima strageDa Sant’Anna Morosina alla “Cazzadora”, 136 innocenti fucilati

di FRANCESCO JORI

L a Liberazione in Venetoconosce nell’Alta Pado-vana giorni tra i più san-

guinosi. Che iniziano proprio il25 aprile, quando la brigatapartigiana Damiano Chiesa oc-cupa il centro dell’abitato diSanta Giustina in Colle, ucci-dendo alcuni soldati nemici,costringendo alla ritirata il pre-sidio tedesco e sequestrando-ne le armi. La notizia arriva ra-pidamente alle brigate neredella vicina Camposampiero,che la rilanciano a loro volta al-le forze tedesche delle Waf-fen-SS di stanza a Castelfran-co. Da qui, nella notte tra il 26 eil 27, si muove una colonna diduecento soldati appoggiati daautoblindo, che raggiungonoSanta Giustina iniziando unpesante fuoco di sbarramento.I partigiani si asserragliano neilocali della parrocchia, mentregli abitanti fuggono: cinque diloro vengono catturati e am-mazzati sul posto, altri 23 sonofatti prigionieri e tenuti comeostaggi. I tedeschi avanzano, efanno irruzione nella canoni-ca, dando fuoco al campanile.Il parroco don Giuseppe Lon-go, 65 anni, si fa avanti, offren-dosi di essere scambiato congli ostaggi, tra i quali figuranotra l’altro due sedicenni. Ma ilsuo gesto viene respinto: i pri-gionieri vengono allineati lun-go il muro a fianco della chiesa,e giustiziati a colpi di fucile. Su-bito dopo, un soldato prendedi mira il cappellano don Gia-comelli, trentenne, sferrando-gli un pugno che lo fa crollare aterra, dove viene ucciso conquattro colpi di pistola. La stes-sa sorte tocca al parroco, fred-dato con un colpo di pistolasulla bocca. Dopo la guerra gliverrà assegnata una medagliad’oro alla memoria.

Purtroppo, è soltanto unasanguinosa anticipazione diquel che accade qualche gior-no dopo, domenica 29 aprile, apartire lì vicino, da Sant’AnnaMorosina, teatro di uno dei piùefferati eccidi nazisti. Repartitedeschi della divisione Falck,che si stanno ritirando dal fron-te, in risposta ad un attacco ne-mico, iniziano un vasto rastrel-lamento che parte la mattinadel 29 proprio da Sant’Anna,prelevando dalle loro abitazio-ni i maschi senza alcuna distin-zione di età e usandoli comescudi umani nel corso di un ri-piegamento verso nord. In tut-to, 39 persone. Lungo il percor-so, la stessa sorte tocca alle per-sone degli altri paesi di volta involta attraversati: via via, SanGiorgio in Bosco, Abbazia Pisa-ni, Villa del Conte, San Martino

di Lupari. A questo punto la co-lonna attraversa i confini tra leprovince di Padova e Treviso,dirigendosi verso Castello diGodego. La barbarie inizia giàdurante il percorso: diversiostaggi vengono ammazzatidurante la marcia di ripiega-mento, gettando i loro cadave-ri ai bordi della strada.

La sanguinosa odissea si pro-trae per l’intera giornata, fino ache verso sera la colonna si fer-ma all’incrocio della“Cazzadora”, sulla strada perBassano, in territorio di Castel-lo di Godego. Qui i superstitidel rastrellamento vengonochiamati a gruppi di quindici,e passati per le armi. Non pa-ghi, secondo una testimonian-za, i nazisti «urlando come for-sennati, squarciarono il cranioalle vittime con il calcio del fu-cile o sparando pallottoleesplosive». Su questa strage c’èanche una documentazione dichi si trovò costretto a recarsisul posto poco dopo l’eccidio:il dottor Giannino De Sandre,medico condotto. Le sue te-stuali parole: «Fui dolorosa-mente testimone dello scem-pio di tante povere creature.Orribile era lo stato di una ven-tina di giovani col capo e le fac-

ce deformati, più che dai pro-iettili di arma da fuoco, da col-pi di corpo contundente (cal-cio di fucile, mazza). Posso af-fermare che tutte le vittime,quando le vidi io, avevano an-cora le braccia sollevate in alto,parecchi con le dita della ma-no chiuse e con serrate nel pal-mo terra ed erba. In alcuni lostato d’animo di terrore ed an-goscia traspariva ancoradall’espressione degli occhispalancati e fissi in atteggia-mento di massima sofferen-za». Alla fine, la drammaticacontabilità di questa tragicadomenica di sangue dovrà an-noverare ben 136 vittime.

Va ricordato che nei mesiscorsi il Comune di San Gior-gio in Bosco (nella cui giurisdi-zione territoriale rientraSant’Anna Morosina) ha chie-sto al governo tedesco un risar-cimento per queste esecuzionisommarie, che avevano tocca-to quasi tutte le famiglie dellafrazione. Le due vicende ricor-date si inseriscono, in ogni ca-so, all’interno di un quadro piùcomplessivo, che vide la pro-vincia di Padova al centro diviolenti combattimenti e san-guinose rappresaglie. Tra il 25e il 29 aprile, sempre nell’AltaPadovana, furono quindici ipartigiani della brigata“Damiano Chiesa” caduti incombattimento. E anche altrelocalità della provincia dovette-ro pagare un loro tributo disangue, come dimostrano le 44vittime civili di Saonara truci-date il 28 aprile. Ultimi focolaidi barbarie, prima della defini-tiva liberazione.

La banda Carità, terrore a palazzo GiustiL’edificio di via San Francesco trasformato in luogo di tortura, stupri e omicidi

l’eroe che cade all’alba della vittoria

Il Palinuro-Masaccio del Bo■■ Sotto l’arco del portonedel Bo la statua di marmo diPalinuro, scolpita da ArturoMartini, si trova ai piedi dellascala che porta in Rettorato.Palinuro, timoniere di Enea,viene rapito da un’onda

notturna mentre sta per attraccare dopo ilviaggio con Ulisse. Palinuro è il partigianoPrimo Visentin, ucciso a Loria il 29 aprile del1945 mentre procedeva al controllo di unreparto tedesco che stava trattando la resa,da una raffica di mitra sparata alle spalle.

7oo della liberazione

P alazzo Giusti, in via SanFrancesco, massiccio,cinquecentesco, severo,

sotto l’ampio portico ospitaun’iscrizione: la Canzone dellaNave («Fame, torture, scari-che, sibili di staffili, non ci fa-ranno vili: viva la libertà») ricor-da un passato nefasto, di eroi-smo e di sangue perché questa“Villa Triste”, una delle più fa-migerate d’Italia, fra la fine diottobre e i primi di novembre1944 diventa la tana della ban-da del maggiore Mario Carità.«A Palazzo Giusti – scrive Gior-gio Bocca nella sua Storiadell’Italia partigiana – si fa usodi droghe, il sangue e le grida

dei prigionieri sono anch’essidroga…i picchiatori ebeti be-vono e mangiano mentre ba-stonano». L’alcol e la cocainaelevano a potenza la ferociadei torturatori, alimentata an-che dalla consapevolezza chesi avvicina l’ora della resa deiconti.

Ma da quale inferno sbucaquesta accozzaglia di informa-tori, spie, assassini, addetti airastrellamenti e alle spedizionipunitive? Carità e i suoi vengo-no da Firenze. La banda si è fi-nanziata con una rapina inbanca da 55 milioni di lire econ i beni strappati agli ebrei.Da Firenze il gruppo, al diretto

comando dei nazisti, sorta diSpectre italica, passa a Bergan-tino e poi a Padova su richiestadel questore Menna. Finisco-no nella rete operai, professoriuniversitari, madri di famiglia,artigiani: ognuno è portatoredi una memoria in cui spicca lasospensione di ogni dirittoumano. Tra le vittime delle tor-ture, il professor Egidio Mene-ghetti, Antonio Zamboni do-cente al Tito Livio, l’avvocatoSebastiano Giacomelli, il pro-fessor Giovanni Apolloni, inse-gnante al Barbarigo, molto vici-no a don Giovanni Nervo, loscultore Amleto Sartori. A pa-lazzo Giusti viene portato ago-

nizzante, tra le risate di scher-no degli aguzzini, il partigianoOtello Pighin (Renato). Il capo,Mario Carità, faccia pesante,occhi spiritati, un ciuffo di ca-pelli bianchi, è uno splendidocampione della galleria lom-brosiana. I mezzi di persuasio-ne nel salone del palazzo e neicosiddetti uffici (camere dicontenzione) sono calci, pu-gni, scariche elettriche, unghiestrappate. Un altro soggettomeritevole di identikit è Anto-nio Corradeschi, un bel tene-broso, un gagà, nerovestitosempre intento ad insidiare leprigioniere, cercando di strap-pare loro qualche confidenza.

Corradeschi avrebbe irretitoanche una signora della buonaborghesia padovana che fu pe-rò il principale testimone a ca-rico del suo processo. A lei ilbel Tonino avrebbe indirizzatouna lettera, nei giorni del suo

arresto, piena di amarezza e dirisentimento. Corradeschi,con Chiarotto e Falugiani, co-stituisce il gruppo di fuoco, untrio di assassini. Una delazionepermette loro di tendere un ag-guato mortale, vicino a palaz-

zo Esedra, a Francesco Saba-tucci, comandante della Briga-ta Padova, eroe del Ponte dellaPriula. Cercano di prenderloma Francesco si mette a corre-re veloce; Corradeschi gli sparacon la pistola, gli altri dueesplodono raffiche di mitra: Sa-batucci si abbatte raggiunto dauna trentina di proiettili. Vici-no al Santo, vittima di tradi-mento, viene ucciso CorradoLubian che ha appena sostitui-to nel comando Otello Pighin.

La storia della banda Caritàè un po’ come l’Iliade di Ome-ro, non c’è una documentazio-ne scritta. «Carità e i suoi uomi-

ni – scrive Taìna Dogo – hannodistrutto ogni prova dei loromisfatti. Difficile anche rintrac-ciare gli atti del processo delsettembre 1945». Quando la li-nea di resistenza tedescasull’Appennino mostra i segnidi profonda usura, Mario Cari-tà si rifugia in un paesinodell’Alpe di Siusi a 30 chilome-tri da Bolzano. Viene sorpresoda soldati americani mentre fal’amore in una baita. Prende lapistola, spara, ma viene falcia-to da raffiche di mitra e la don-na che è con lui viene ferita.Corradeschi è fucilato allaschiena al poligono di tiro diPadova; per Chiarotto e Falu-giani, la sentenza è l’ergastolo;viene condannata a 16 anni an-che la figlia maggiore di Carità.A palazzo Giusti è tornato il si-lenzio, mentre gli alberi rinsec-chiti in giardino hanno ripresoa fiorire.

Aldo Comello

Ecco il discorso fatto dal rettore egrande latinista, Concetto Marchesi(nella foto), agli studenti padovaniil 1 dicembre 1943.«Studenti dell’Università di Padova!Sono rimasto a capo della vostraUniversità finché speravo dimantenerla immune dall'offesafascista e dalla minaccia germanica; fino a che speravodi difendervi da servitù politiche e militari e diproteggere con la mia fede pubblicamente professatala vostra fede costretta al silenzio e al segreto. Taleproposito mi ha fatto resistere, contro il malessere chesempre più mi invadeva nel restare a un posto che ailontani e agli estranei poteva apparire di pacificaconvivenza mentre era un posto di ininterrottocombattimento(… ). Nel giorno inaugurale dell'annoaccademico avete veduto un manipolo di questi

sciagurati, violatori dell'Aula Magna, travolti sotto laimmensa ondata del vostro irrefrenabile sdegno. Ed io,o giovani studenti, ho atteso questo giorno in cuiavreste riconsacrato il vostro tempio per più divent'anni profanato; e benedico il destino di avermidato la gioia di una così solenne comunione con l'animavostra. Ma quelli, che per un ventennio hanno vilipesoogni onorevole cosa e mentito e calunniato, hannotramutato in vanteria la disfatta e nei loro annuncimendaci hanno soffocato il vostro grido e si sonoappropriata la vostra parola. Studenti: non possolasciare l'ufficio del Rettore dell'Università di Padovasenza rivolgervi un ultimo appello. Una generazione diuomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostrapatria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall'ignavia,dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventùoperaia e contadina, dovete rifare la storia dell'Italia ecostituire il popolo italiano».

le tappe codevigo, la strage

La vendetta tremenda di Bulow■■ C'è un volto oscuro dellaResistenza, quello che - aguerra conclusa - spinsegruppi di partigiani, speciecomunisti, a fare strage diprigionieri, talvolta accusatidi atrocità, ma in altri casi

estranei a crimini di guerra. A Codevigo, trail 28 aprile e metà giugno - furono igaribaldini del comandante Arrigo Boldrini"Bulow" , saliti da Ravenna, a massacrare136 fascisti (nella foto la lapide dellacappella del cimitero che ricorda l’eccidio).

A destra,i partigianipadovaniin parataquasi militaremanifestanonel centrodella cittàpoco dopola liberazionedel Paese

«Fu il popolo a vinceresui tedeschi e i fascisti»Emilio Pegoraro, l’ultimo partigiano: volevamo cambiarele ingiustizie nelle campagne, per questo ci aiutarono

Le Ss, dopo averlifucilati, infierirono

sui volti dei padovanicon bastoni e calci di fucilerendendoli irriconoscibili

Arrivarono nel ’44da Firenze, con l’oro

rubato agli ebreiSotto i loro colpi morironoSabatucci e Pighin

le trattative per la resa

I neozelandesi al Bassanello■■ Il 25 aprile 1945 il Cln ordinal’insurrezione generale contro inazifascisti. Il 26, a Padova, cominciano letrattative per la resa, con la Chiesa chemedia. Il 27, gli alleati arrivano all’Adige ei fascisti si arrendono ai delegati dellaResistenza Sabadin, Prevedello e Canilli.Il Clp assume il potere e designa le carichepubbliche. Alle 23,30 del 28 i neozelandsientrano in città dal ponte del Bassanello.

L'impiccagione di Flavio Busonera, Ettore Calderoni e Clemente Lampioni il 17 agosto 1944, in via Santa Lucia.Sotto, alcuni componenti della banda Carità che terrorizzò Padova tra il 1944 e il 1945, compiendo torture e omicidi

Il documento falso di Pegoraro

Il Comune di Padova invita lacittadinanza alla cerimoniaper celebrare l’Anniversariodella Liberazione, incollaborazione con Provinciadi Padova, Università degliStudi, Comando Forze diDifesa Interregionale Nord,Associazione NazionalePartigiani d’Italia,Combattenti della Guerra diLiberazione Inquadrati neiReparti Regolari FF.AA., exCombattenti e associazionid’Arma. Il programma di oggiprevede alle ore 10.30, aPalazzo Moroni, via VIIIfebbraio, l’alzabandiera;onore ai Caduti e deposizionedelle corone di alloro conaccompagnamento musicaledella Fanfara dei Bersaglieri,intervento del sindaco;orazione ufficiale delpresidente provinciale Anpi.Alle ore 11.15, nel cortilepensile di Palazzo Moroni,inaugurazione della mostra"Uomini e Donne nella Guerradi Liberazione 1943-1945".

La celebrazionein Comunecon una mostra

Mogli e madri disperate accorse sul luogo della strage dei loro uomini

La benedizione delle vittime

Concetto Marchesi: «Rifate la storia d’Italia e costituite il popolo italiano»

SABATO 25 APRILE 2015 IL MATTINO 25 Aprile 1945-2015 III