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2.2.1 Fotointerpretazione, telerilevamento, cartografia digitale, cartografia integrata Introduzione In questa sezione descriveremo il forte e rapido impat- to esercitato, soprattutto negli ultimi due decenni del 20° secolo, dalle tecnologie spaziali e informatiche sulle atti- vità di esplorazione e di sviluppo degli idrocarburi sia in terra che in mare. Per ricercare ed estrarre dal sottosuolo gli idrocar- buri è indispensabile la conoscenza dettagliata della geo- logia, della geografia e dell’oceanografia. Occorre rico- struire l’evoluzione geologica di una regione non solo per stabilire se nel suo sottosuolo esistano rocce madri, sepolte a una profondità tale da consentire la formazio- ne di idrocarburi, e rocce serbatoio, ma anche per deter- minare se sono presenti strutture che hanno consentito la migrazione e l’intrappolamento degli idrocarburi. La topografia e la geografia di superficie sono importanti sia per gli aspetti logistici relativi all’esplorazione geo- fisica e alla perforazione sia nelle fasi successive di pro- duzione, costruzione di pipeline e infrastrutture di super- ficie. Se oggi la nostra conoscenza di gran parte della superficie e degli oceani della Terra ha raggiunto un così alto grado di sviluppo, si deve soprattutto ai rilevamen- ti dettagliati eseguiti nel corso della seconda metà del 20° secolo, impiegando tecnologie prima aerotrasporta- te e poi spaziali. Questa attività continua a essere svol- ta con sistemi ancora più sofisticati montati a bordo di veicoli spaziali e con l’uso generalizzato di tecniche di cartografia computerizzata che ha ormai sostituito le vec- chie mappe stampate e le fotografie. Nel 19° secolo e all’inizio del 20°, rilevamenti regionali di questo tipo non esistevano e fino a non molto tempo fa, disponeva- mo di mappe topografiche digitali degli altri pianeti più precise di quelle terrestri. Sviluppi ancora più recenti, relativi, in particolare, all’uso dello spazio e agli straordinari progressi com- piuti nella produzione di potenti microcomputer, hanno esercitato un’influenza ancora più profonda sull’evolu- zione delle scienze della terra. Oggi, veicoli spaziali orbi- tanti trasmettono dati geograficamente corretti agli ope- ratori a terra, i quali possono interpretare con computer portatili il loro complesso contenuto spettrale, per map- pare le strutture, la litologia e persino la mineralogia. I satelliti orbitanti rilevano le manifestazioni di superfi- cie degli idrocarburi naturali e le variazioni del campo gravitazionale terrestre sugli oceani, mentre i satelliti del Global Positioning System (GPS) consentono ai geolo- gi di determinare con grande precisione la loro posizio- ne sul terreno. Fotogeologia La fotogeologia, che consiste nell’interpretazione geologica di fotografie aeree, si è sviluppata nel perio- do tra le due guerre mondiali, rivelandosi un metodo di rilevamento efficace e rapido. In quel periodo furono sviluppate macchine foto- grafiche di grande formato (pellicola di 2525 cm), con cui si ottenevano coppie stereoscopiche sovrapposte di fotografie aeree in bianco e nero, successivamente inter- pretate con uno stereoscopio a specchio che permetteva ai geologi di osservare il terreno in tre dimensioni. Gran- di aree di terreno di cui fino ad allora non esistevano mappe dettagliate furono rilevate in questo modo soprat- tutto in Africa e in Asia, per iniziativa delle ex potenze coloniali, e negli Stati Uniti d’America. I rilevamenti aerei erano eseguiti in particolare per scopi topografici (nelle aree più remote, la mancanza di buone mappe topo- grafiche costituiva un serio ostacolo per qualsiasi tipo di sviluppo socio-economico). Tuttavia, i geologi ben presto si resero conto del fatto che differenti litologie e tipi di rocce subivano un processo di erosione diverso e caratteristico a seconda degli ambienti geografici e 185 VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO 2.2 Prospezioni geologiche

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Page 1: 2.2 Prospezioni geologiche 2009-01-28 · se della fotogeologia: un’accurata analisi visiva con-dotta da esperti geologi con una buona conoscenza del terreno. Un altro grande vantaggio

2.2.1 Fotointerpretazione,telerilevamento, cartografia digitale,cartografia integrata

IntroduzioneIn questa sezione descriveremo il forte e rapido impat-

to esercitato, soprattutto negli ultimi due decenni del 20°secolo, dalle tecnologie spaziali e informatiche sulle atti-vità di esplorazione e di sviluppo degli idrocarburi siain terra che in mare.

Per ricercare ed estrarre dal sottosuolo gli idrocar-buri è indispensabile la conoscenza dettagliata della geo-logia, della geografia e dell’oceanografia. Occorre rico-struire l’evoluzione geologica di una regione non soloper stabilire se nel suo sottosuolo esistano rocce madri,sepolte a una profondità tale da consentire la formazio-ne di idrocarburi, e rocce serbatoio, ma anche per deter-minare se sono presenti strutture che hanno consentitola migrazione e l’intrappolamento degli idrocarburi. Latopografia e la geografia di superficie sono importantisia per gli aspetti logistici relativi all’esplorazione geo-fisica e alla perforazione sia nelle fasi successive di pro-duzione, costruzione di pipeline e infrastrutture di super-ficie. Se oggi la nostra conoscenza di gran parte dellasuperficie e degli oceani della Terra ha raggiunto un cosìalto grado di sviluppo, si deve soprattutto ai rilevamen-ti dettagliati eseguiti nel corso della seconda metà del20° secolo, impiegando tecnologie prima aerotrasporta-te e poi spaziali. Questa attività continua a essere svol-ta con sistemi ancora più sofisticati montati a bordo diveicoli spaziali e con l’uso generalizzato di tecniche dicartografia computerizzata che ha ormai sostituito le vec-chie mappe stampate e le fotografie. Nel 19° secolo eall’inizio del 20°, rilevamenti regionali di questo tiponon esistevano e fino a non molto tempo fa, disponeva-mo di mappe topografiche digitali degli altri pianeti piùprecise di quelle terrestri.

Sviluppi ancora più recenti, relativi, in particolare,all’uso dello spazio e agli straordinari progressi com-piuti nella produzione di potenti microcomputer, hannoesercitato un’influenza ancora più profonda sull’evolu-zione delle scienze della terra. Oggi, veicoli spaziali orbi-tanti trasmettono dati geograficamente corretti agli ope-ratori a terra, i quali possono interpretare con computerportatili il loro complesso contenuto spettrale, per map-pare le strutture, la litologia e persino la mineralogia. Isatelliti orbitanti rilevano le manifestazioni di superfi-cie degli idrocarburi naturali e le variazioni del campogravitazionale terrestre sugli oceani, mentre i satelliti delGlobal Positioning System (GPS) consentono ai geolo-gi di determinare con grande precisione la loro posizio-ne sul terreno.

FotogeologiaLa fotogeologia, che consiste nell’interpretazione

geologica di fotografie aeree, si è sviluppata nel perio-do tra le due guerre mondiali, rivelandosi un metodo dirilevamento efficace e rapido.

In quel periodo furono sviluppate macchine foto-grafiche di grande formato (pellicola di 25�25 cm), concui si ottenevano coppie stereoscopiche sovrapposte difotografie aeree in bianco e nero, successivamente inter-pretate con uno stereoscopio a specchio che permettevaai geologi di osservare il terreno in tre dimensioni. Gran-di aree di terreno di cui fino ad allora non esistevanomappe dettagliate furono rilevate in questo modo soprat-tutto in Africa e in Asia, per iniziativa delle ex potenzecoloniali, e negli Stati Uniti d’America. I rilevamentiaerei erano eseguiti in particolare per scopi topografici(nelle aree più remote, la mancanza di buone mappe topo-grafiche costituiva un serio ostacolo per qualsiasi tipodi sviluppo socio-economico). Tuttavia, i geologi benpresto si resero conto del fatto che differenti litologie etipi di rocce subivano un processo di erosione diversoe caratteristico a seconda degli ambienti geografici e

185VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

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Prospezioni geologiche

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climatici, condizione che consentì di realizzare mappe geo-logiche molto accurate e dettagliate con un minimo lavo-ro sul terreno. La visione stereoscopica (o in 3D) è utilesoprattutto perché aiuta l’interprete a riconoscere le diver-se morfologie del terreno, a mappare il reticolato idro-grafico (che spesso riflette i tipi di roccia sottostanti), lastratificazione, la direzione e l’inclinazione geologiche,così come i rigetti delle faglie.

Si procedette così per la prima volta al rilevamen-to dettagliato della geologia delle principali regioni pro-duttrici di petrolio del mondo, come, per esempio, imonti Zagros in Iran, i bacini interni del Nord Ameri-ca e le strutture giganti dell’Algeria. Oggi, come vedre-mo più avanti, la fotogeologia è stata ormai in gran partesostituita dall’interpretazione delle immagini satellita-ri, e la visione stereoscopica ha ceduto il passo alle tec-niche Digital Elevation Models (DEM) per la rappre-sentazione e visualizzazione 3D, rese possibili dallagrafica computerizzata. Tuttavia, le basi per l’inter-pretazione delle immagini satellitari rimangono le stes-se della fotogeologia: un’accurata analisi visiva con-dotta da esperti geologi con una buona conoscenza delterreno.

Un altro grande vantaggio della fotogeologia, e so-prattutto dei successivi sviluppi registrati con le imma-gini da satellite, è l’ampia visione d’insieme fornita daqueste tecniche rispetto a ciò che si può realizzare lavo-rando a terra. Esse non si limitano ad accelerare il lavo-ro di rilevamento geologico, ma consentono ai geologidi compiere osservazioni al di là dell’immediata area diinteresse – spesso, per esempio, le rocce madri non affio-rano all’interno del bacino preso in esame, ma a una certadistanza da quest’ultimo, a volte al di là dei confini poli-tici del paese – e consentono di osservare grandi strut-ture, a volte difficili o impossibili da individuare a distan-za ravvicinata sul terreno.

La fotografia aerea e la fotogrammetria, tenuto contodel fatto che si sono sviluppate in un periodo in cui nonesistevano ancora i computer, divennero procedimentimolto sofisticati e accurati attraverso i quali si potevanoottenere mappe topografiche dettagliate. Per combinaretra loro le fotografie come tasselli di un mosaico ed eli-minare le distorsioni derivanti dal processo fotografico,furono impiegati ingegnosi metodi ottici, meccanici efotografici.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, quando laricognizione aerea divenne uno strumento di informa-zione strategico di capitale importanza, questi metodifurono ulteriormente sviluppati. Nello stesso periodo,iniziarono a emergere nuove tecniche di fotografia acolori, incluse le pellicole all’infrarosso per l’indivi-duazione delle mimetizzazioni, e la tecnologia radar,due strumenti che si sarebbero rivelati estremamenteimportanti nei successivi sviluppi spaziali della rico-gnizione geologica.

La fotografia all’infrarosso o a falso coloreLa fotografia aerea raggiunse il culmine del suo svi-

luppo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale,periodo in cui la maggior parte delle aree del globo furo-no rilevate con questo metodo, anche se le fotografie inquestione e le mappe da esse ottenute spesso furonosegretate dai governi nazionali per ragioni di sicurezza.Uno degli sviluppi più significativi di questo periodo furappresentato dal monitoraggio della mimetizzazionemilitare con l’impiego della pellicola all’infrarosso. Talepellicola è sensibile alla radiazione infrarossa riflessa,in una parte dello spettro dove la sensibilità dell’occhioumano non arriva. In questa parte dello spettro, la vege-tazione risulta particolarmente evidente e la gamma dirisposte dei diversi tipi di vegetazione è molto ampia.Questa è la ragione per cui la pellicola all’infrarosso fusviluppata soprattutto per rivelare la vegetazione artifi-ciale usata per la mimetizzazione militare, ma questotipo di pellicola permette anche di cogliere con mag-giore chiarezza le minime variazioni della vegetazionenaturale, che spesso risultano correlate a determinatecaratteristiche geologiche. Particolari combinazioni dicomunità di piante privilegiano, infatti, suoli derivati daspecifici tipi di rocce e queste informazioni possonoaiutare i geologi a mappare la diversità e le variazionidei tipi di rocce, soprattutto nelle regioni in gran parteoscurate dalla copertura della vegetazione e del suolo.Un ulteriore vantaggio di questa tecnica è costituito dalfatto che nell’infrarosso vicino, la penetrazione dellafoschia atmosferica migliora e quindi questo tipo di foto-grafie a falso colore spesso appaiono più chiare, soprat-tutto se realizzate ad alta quota. In seguito, queste pro-prietà furono sfruttate nello sviluppo degli strumenti diimmagine satellitare.

Le immagini radarRimanevano, tuttavia, alcune difficoltà da supera-

re nelle regioni dell’estremo Nord e Sud e in quelletropicali ed equatoriali dove una coltre stabile di nubipreclude l’acquisizione di fotografie nitide. Questoproblema fu risolto grazie allo sviluppo di sistemi radarin grado di registrare immagini della superficie del ter-reno attraverso la copertura di nubi. Si tratta di senso-ri attivi che operano nella regione a microonde dellospettro elettromagnetico e che illuminano il terrenocon una strisciata obliqua, per poi registrare le radia-zioni riflesse generando un’immagine; le strisciateadiacenti sovrapposte possono essere osservate ste-reoscopicamente. Queste immagini radar, benché sianoin generale più difficili da interpretare delle fotogra-fie convenzionali a causa dei loro angoli obliqui di illu-minazione, a volte evidenziano le caratteristiche geo-morfiche e topografiche di un’area, rivelando sorpren-denti dettagli geologici aggiuntivi. Negli anni Settanta,prima dell’avvento delle immagini satellitari, molte

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ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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aree tropicali di rilevante interesse per l’esplorazionepetrolifera come, per esempio, l’America centrale emeridionale, l’Africa occidentale e l’Asia sudorienta-le furono mappate con radar aerotrasportati per l’in-terpretazione geologica.

Il telerilevamento dallo spazioLa cosiddetta guerra fredda portò a una intensifica-

zione dell’informazione telerilevata aerea e a una mag-giore consapevolezza delle sue possibilità e, in seguito,la vulnerabilità degli aerei da ricognizione ad alta quotaguidati da equipaggi umani favorì l’uso dello spazio perscopi strategici. Lo spazio divenne così la nuova arenadell’esplorazione e dell’acquisizione di immagini dellaTerra. Negli anni Cinquanta e Sessanta, sia gli Stati Unitiche l’Unione Sovietica svilupparono satelliti da fotori-cognizione, ma solo in alcuni rari casi ai civili fu con-sentito di accedere ai risultati, benché, verso la fine deglianni Sessanta, le fotografie della Terra realizzate dagliastronauti delle missioni Apollo avessero dimostrato lagrande utilità per gli studiosi delle scienze della terradelle immagini fornite dai satelliti. Solo nel 1971, con illancio del satellite statunitense ERTSl (in seguito ribat-tezzato Landsat), immagini satellitari coerenti e geo-graficamente rettificate iniziarono a divenire accessibi-li ai ricercatori di tutto il mondo.

Le prime immagini Landsat, anche se con una riso-luzione spaziale di soli 80 m, erano in falso colore a infra-rossi, potevano essere ingrandite in scala di 1:250.000 eriprendevano la maggior parte delle regioni del mondo,con l’eccezione di quelle coperte da coltri di nubi. Nelcorso degli anni Settanta e Ottanta, la loro diffusionecontribuì alla comprensione della tettonica a placche,soprattutto in merito ad alcune caratteristiche tettoniche,come le faglie e i lineamenti, che ora potevano esseremappate su scala continentale. Da questo punto di vista,anche il rilevamento gravimetrico satellitare offshore (v.oltre) ha fornito un importante contributo. Le compa-gnie petrolifere iniziarono subito a sfruttare le immagi-ni satellitari, finalmente accessibili, per studi tettoniciregionali, per l’analisi dei bacini, per la pianificazionedei rilievi sismici e persino per una prima selezione degliobiettivi strutturali. Alcune aree remote del globo, maistudiate attraverso la fotografia aerea, furono rilevate perla prima volta. La serie Landsat ha continuato a svilup-parsi con immagini a risoluzione spaziale di 30 m (otte-nute nel 1986 tramite il Landsat ETM), con l’aggiuntadi bande spettrali nel medio infrarosso, utili soprattuttoper distinguere i differenti minerali argillosi, e quindi permigliorare la qualità del rilevamento geologico. L’ulti-mo satellite della serie, il Landsat 7, lanciato nel 1999(anche se il sistema operativo ha smesso di funzionarenel 2003), ha prodotto immagini di 15 m di risoluzioneal suolo e reso possibili rilevamenti in scala 1:50.000(fig. 1 A).

In seguito a questo fallimento, il sistema satellitareper immagini ASTER (costruito in Giappone ma mon-tato sul satellite Terra della NASA, lanciato nel 1999) siè imposto come alternativa a breve termine. ASTER èinteressante per i geologi perché offre 15 m di risolu-zione con 14 bande spettrali e la possibilità di produrreDEM (v. oltre). Purtroppo le bande spettrali di ASTERsono in generale più utili per l’esame delle rocce ignee,delle rocce metamorfiche e dei minerali che per la geo-logia dell’esplorazione petrolifera. ASTER, tuttavia, hasuscitato un vivo interesse tra i geologi soprattutto per-ché ha portato alla realizzazione di altri due sensori satel-

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PROSPEZIONI GEOLOGICHE

fig. 1. Confronto fra immagini Landsat ETM, SPOT e Ikonos (Yemen).

A. 15 m Landsat ETM

B. 5 m SPOT

C. 2,5 m SPOT

D. 1 m Ikonos

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litari iperspettrali, Hyperion della NASA, lanciato sulsatellite EO-1 nel 2000 (con 220 bande spettrali e 30 mdi risoluzione) e CHRIS dell’Agenzia Spaziale Europea(European Space Agency, ESA), lanciato su PROBA nel2002 (con 18 bande spettrali e 18 m di risoluzione). Acausa delle ridotte aree delle immagini di questi due sen-sori, della limitata copertura disponibile e della inido-neità delle bande di CHRIS per la ricerca geologica,entrambi i satelliti rivestono interesse più dal punto divista della ricerca che da quello applicativo.

Negli Stati Uniti si prevede una nuova missione Land-sat, ma la maggior parte degli osservatori ritiene che cisi orienterà verso un programma diverso, probabilmen-te con una cooperazione internazionale. Le future lineeguida di tali programmi riguarderanno soprattutto il moni-toraggio ambientale, la selvicoltura, l’agricoltura e lacartografia dell’utilizzo del territorio, ma anche le scien-ze geologiche potranno beneficiarne. È comunque anco-ra possibile fare molti studi geologici con le immaginiarchiviate negli ultimi venti-trenta anni; in generale, infat-ti, l’interpretazione geologica non richiede necessaria-mente immagini estremamente aggiornate.

Elaborazione delle immagini e cartografia mediante computer

Poiché le immagini del Landsat (e della maggior partedei satelliti) vengono trasmesse a terra sotto forma disegnali elettromagnetici, sono particolarmente adatte aessere elaborate al computer. Negli anni Settanta, i com-puter digitali a basso costo erano ancora in via di svi-luppo e i dispositivi di input, di spazio dati e di outputnecessari al trattamento di grandi e complessi volumi didati delle immagini satellitari erano pochi e molto costo-si. Questa situazione ha iniziato a subire un drastico cam-biamento verso la fine degli anni Ottanta con l’avventodi microcomputer meno dispendiosi che hanno final-mente permesso di sfruttare a fondo questa importantefonte di informazioni geologiche. Oggi, i geologi pos-sono scaricare da Internet nei loro personal computerimmagini di 15 m di risoluzione di quasi tutte le regio-ni del mondo, combinarle con i dati di quota digitale erestituire i risultati in 3D, per poi ‘colorare’ la propriainterpretazione geologica sull’immagine stessa ed estrar-la, alla fine del processo, sotto forma di carta geologicadestinata alla stampa a colori. I geologi, inoltre, posso-no acquisire e registrare molti tipi di dati ausiliari come,per esempio, dati magnetometrici e gravimetrici, datirelativi al sottosuolo (sismica e pozzi) e altre informa-zioni generali attraverso cui elaborare e perfezionare l’in-terpretazione finale.

Le tecniche di Image Processing (IP) permettono dimigliorare e visualizzare in modo ottimale le immagini,soprattutto quelle a più bande spettrali, aiutando così l’in-terprete nel suo lavoro. Le immagini possono essere otti-mizzate e filtrate in diversi modi, mentre la luminosità e

il contrasto possono essere regolati in modo da miglio-rare l’interpretazione. In alcune aree, la tecnica IP puòessere usata anche per effettuare in modo semiautomati-co alcune operazioni di cartografia, come, per esempio,la selezione di aree caratterizzate da un particolare tipodi roccia o di copertura vegetale. La maggioranza dei geo-logi, tuttavia, concorda nel ritenere l’interpretazione visi-va di primaria importanza, grazie alla sorprendente capa-cità del cervello umano di compiere associazioni ottichee di richiamare dalla memoria tutta l’esperienza acquisi-ta sul terreno. I sistemi IP consentono, grazie a opportu-ne funzioni, di registrare nelle immagini le note carto-grafiche dell’interprete, come stratificazioni, simbolistrutturali e limiti litologici. L’IP facilita inoltre il mer-ging di diverse serie di dati, in modo che la tessitura o idettagli del terreno di un’immagine satellitare possanoessere caratterizzati, per esempio, con i dati di quota core-gistrati o con una mappa delle linee di livello aeroma-gnetiche così da formare un’immagine composita. Lo stu-dio comparato di queste informazioni può aiutare i geo-logi sia nell’interpretazione della superficie sia nellostudio delle relazioni esistenti tra la morfologia superfi-ciale e la geologia del sottosuolo. Queste immagini com-binate, infine, possono essere visualizzate in 3D o in pro-spettiva, conferendo, quindi, una dimensione addiziona-le. L’IP è particolarmente importante quando si opera conpiù canali spettrali, come avviene, per esempio, con i datidel satellite ASTER, perché è solo tramite il computerche differenti combinazioni di risposte spettrali possonoessere analizzate per mappare i diversi contributi deglispettri di minerali. Tale tecnica diverrà ancora più impor-tante nel futuro per esaminare i dati forniti dai satellitiiperspettrali di prossima generazione.

Il Geographical Information System (GIS) costitui-sce invece il sostituto moderno delle mappe stampatecon la proprietà addizionale che tutte le informazionisono immagazzinate in forma digitale e ordinate in unabanca dati relazionale. Il sistema GIS consente ai carto-grafi di combinare informazioni disparate – organiz-zando i dati di fonti molto diverse e garantendo che tuttii dati siano stati geograficamente coregistrati – e di pre-sentare risultati con un alto grado di flessibilità (fig. 2).In generale, un GIS consente l’uso di differenti proie-zioni cartografiche e di diversi dati, e contiene funzioniche permettono il confronto delle informazioni conte-nute e di link tra i differenti elementi che compongonoil database. È possibile infine stampare mappe in un’am-pia gamma di scale e di proiezioni, con appropriate sovrap-posizioni di immagini o di dati geofisici a seconda dellenecessità. L’evidente vantaggio dell’approccio GIS ècostituito dal fatto che le mappe possono essere conti-nuamente aggiornate e rivedute in merito al contenuto ealle correlazioni visualizzate. La tendenza attuale privi-legia questo lavoro quasi esclusivamente sullo schermodel computer invece che sulla stampa.

188 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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Lo sviluppo della tecnologia IP e GIS è legato a suavolta a quello, molto rapido, della potenza e delle capa-cità dei microcomputer. L’IP opera su dati raster (cheincludono una matrice o griglia di valori di dati, come,per esempio, un’immagine fotografica o di altro gene-re), spesso con un alto grado di colour depth (per esem-pio, 24 bit nel caso della maggior parte dei dati satelli-tari), mentre i GIS sono prevalentemente basati su data-base relazionali e sulla grafica vettoriale (che includonovalori su singoli punti, spesso legati tra loro per forma-re linee e poligoni). Attualmente questi due approcci nonconvergono o non si integrano così facilmente comeoccorrerebbe ai geologi, ma la situazione è destinata acambiare con l’ulteriore sviluppo di queste tecnologie.Esiste ancora una lacuna tra i sistemi specializzati di ela-borazione e di visualizzazione usati per i dati relativi alsottosuolo (per esempio, sismici) e quelli usati nell’IP enei GIS, ma è molto probabile che nel prossimo futuroquesta lacuna sarà colmata.

Cartografia integrata, carte tematiche,banche dati digitali e modelli tridimensionali

Le mappe e i dati ottenuti sia direttamente sul terre-no sia con le metodologie e gli strumenti sopra descrit-ti, possono essere integrati tra loro all’interno del siste-ma GIS, per ottenere cartografie particolari (anche tri-dimensionali) che possano soddisfare le diverse esigenzerichieste dall’attività di ricerca petrolifera. Le carte topo-grafiche possono, per esempio, essere integrate alle cartegeologiche, alle foto aeree e alle immagini da satellite(fig. 3).

Il merging di diversi tipi di dati telerilevati, per esem-pio immagini Landsat con immagini SPOT o radar (v.oltre), permette di ottenere mappe che descrivono par-ticolari caratteristiche del territorio (litologia, lineamentistrutturali, vegetazione, umidità), evidenziate da unadiversa risoluzione spettrale o da un diverso sensore (peresempio, Radar) o contraddistinte da un’elevata risolu-zione spaziale (per esempio, ottenuta con le immaginiSPOT). Su mappe specifiche (morfologiche, geologi-che, relative a facilities petrolifere, ecc.) possono esse-re sovrapposte altre informazioni come strade, confinidi Stato, vegetazione, fabbricati e così via. Il databasegeografico risulta così costituito da diversi strati, o layers(v. ancora fig. 3).

All’interno del sistema GIS, i dati cartografici ven-gono analizzati e integrati per ottenere, oltre alle cartetopografiche, anche carte tematiche digitali come mappemorfologiche, geologiche e strutturali, litologiche, idro-geologiche, stratigrafiche e cronostratigrafiche, di sta-bilità dei versanti, della distribuzione della vegetazione,della distribuzione delle aree umide, dell’inquinamento.Ovviamente i programmi informatici permettono di crea-re sovrapposizioni e confronti fra le diverse carte tema-tiche. Nel sistema GIS, i dati cartografici possono esse-re correlati a un database relazionale dove risiedono tuttele informazioni che caratterizzano un determinato ele-mento della carta (quota, nomi, simboli, litologia, datistrutturali, dati geochimici, ecc.) che possono esserevisualizzati, editati, analizzati o aggiornati.

Queste moderne mappe digitali derivano da una seriedi database digitali intercorrelati, per cui dati diversicome ubicazione di pozzi, limiti di titoli minerari, trac-ciati di rilievi sismici, pipeline, mappe di giacimenti pos-sono essere importati o esportati. Le fonti per questi data-base sono sempre più facilmente reperibili presso diffe-renti sedi come compagnie petrolifere, contrattisti, agenziegovernative, e anche il grande potere di Internet entra ingioco per ricercare i dati e mettere insieme i vari ele-menti che costituiscono specifiche mappe richieste perparticolari applicazioni.

Inoltre le più recenti tecniche di visualizzazione ridu-cono la necessità di stampare mappe e ottimizzano larappresentazione dei dati, particolarmente in 3D, comenel caso di mappe tematiche drappeggiate sopra model-li digitali del terreno (DEM). Nel passato le mappe eranodisegnate a matita e a inchiostro e stampate a colori consistemi litografici, un processo costoso e lungo. Oggistampanti a colori di largo formato sono collegate diret-tamente ai computer e stampano rapidamente mappesecondo le esigenze richieste. D’altra parte, le mappestampate sono sempre meno utilizzate poiché geologi egeofisici eseguono le interpretazioni su work-station, nu-merose delle quali hanno la possibilità di visualizzazio-ni 3D, sia con l’uso di speciali occhiali sia con schermiche producono direttamente proiezioni tridimensionali

189VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

elaborazione dei datie GIS

acquisizionedei dati

cartografia digitale integrata

fig. 2. Sistema GIS: costruzione di carte tematiche e modelli 3D digitali e georeferenziati.

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visibili a occhio nudo. Qualora i diversi specialisti dellegeoscienze abbiano la necessità di consultarsi insiemesono, inoltre, stati sviluppati speciali sistemi di visua-lizzazione 3D o centri immersivi di visualizzazione. Inquesto modo tutti i partecipanti possono vedere model-li 3D di superficie e di sottosuolo e persino camminar-ci dentro per discutere la geologia in uno spazio 3D, conle tracce delle linee sismiche riportate sulla superficiedel terreno e le sezioni sismiche e i pozzi esplorativiproiettati nel sottosuolo!

VHR e i futuri satelliti otticiAltri satelliti hanno contribuito al database di imma-

gini ottiche e, in particolare, quelli della serie franceseSPOT che, a partire dal 1986, hanno fornito immagini di10 m di risoluzione al suolo e capacità stereo che con-sentono la produzione di modelli digitali di elevazionedel terreno e l’interpretazione geologica in 3D. Lo SPOT5, l’ultimo della serie, offre 2,5 m di risoluzione (fig. 1 C)ed è dotato di un sensore speciale che genera DEM. Direcente, sono apparsi i satelliti per immagini ad altissimarisoluzione (Very High Resolution, VHR) che offrono unarisoluzione al suolo di 1 m (Ikonos, operativo dal 1999,fig. 1 D) o di 0,65 m (Quickbird, operativo dal 2002). Anchese questi satelliti sono prevalentemente impiegati perl’informazione militare, è possibile accedere alle imma-gini relative alla maggior parte delle aree del globo, chepossono rivelarsi di grande utilità nel campo dell’esplora-zione petrolifera per mappare le vie di accesso, le infra-strutture e persino gli impianti di produzione (fig. 4). Laridotta area coperta da ogni fotogramma (11 km�11 km),fa tuttavia preferire per il rilevamento geologico le imma-

gini fornite dai satelliti SPOT (60 km�60 km) o Land-sat (185 km�185 km) (v. ancora fig. 1). Altri paesi, tra iquali la Russia, l’India, il Giappone e Israele, hanno lan-ciato satelliti ottici, utilizzati anche nel rilevamento geo-logico. Nel Regno Unito è stata sviluppata una nuovagenerazione di microsatelliti a basso costo. Una costel-lazione formata da cinque di questi satelliti è specifica-tamente destinata al monitoraggio delle catastrofi. Tenen-do conto delle esigenze di sicurezza e di carattere mili-tare, si può essere certi che in futuro i dati ottici sarannodisponibili in grande quantità.

I satelliti radarParallelamente ai satelliti ottici sono stati sviluppa-

ti satelliti per immagini dotati di radar ad apertura sin-tetica (Synthetic Aperture Radar, SAR), destinati pre-valentemente all’osservazione degli oceani ma rivelati-si molto utili anche per l’interpretazione geologica sullaterraferma nelle aree caratterizzate da una copertura dinubi alte.

La prima copertura globale radar consistente è statafornita dal satellite ERS1 lanciato dall’Agenzia Spazia-le Europea nel 1991, seguito nel 1996 da ERS2. Questisatelliti erano destinati all’osservazione dello stato deglioceani come indicatore ambientale (gli oceani, infatti,governano la variazione delle condizioni atmosferichecontinentali), ma la conoscenza delle condizioni deglioceani è di grande importanza anche per molti aspettidell’esplorazione, della produzione e del trasporto off-shore degli idrocarburi e i risultati così ottenuti sono statiun importante spin off in questo settore industriale. Ilsensore radar fornisce inoltre anche eccellenti immagini

190 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

40° 22'

40° 19'

3° 22'

3° 17'

immagineda satellite

cartatopografica

cartageologica

DEM

coordinate (georeferenziazione)

fig. 3. GeographicalInformation System(GIS): cartografiaintegrata.

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del terreno, che possono essere usate sia per l’interpre-tazione geologica sia per un’ampia gamma di applica-zioni ambientali (cfr. fig. 5, dove le immagini radar ERSmostrano un maggior numero di dettagli strutturali rispet-to a quelli visibili sulle immagini ottiche Landsat relati-ve alla stessa area; la facoltà del radar di penetrare lenuvole ha permesso di mappare faglie, lineamenti strut-turali e anticlinali estesi decine di kilometri). Nel 1995,il Canada ha lanciato un satellite analogo ma più versa-tile, Radarsat, destinato soprattutto al monitoraggio delghiaccio marino (un altro aspetto importante dal puntodi vista ambientale per le attività di esplorazione e pro-duzione offshore alle alte latitudini). Radarsat, con la suacapacità di puntamento variabile, può essere usato anche

per realizzare mappe delle linee di livello topografichegrazie alla ‘radargrammetria’ e ha fornito alcuni dei pri-mi modelli digitali di elevazione del terreno di aree remo-te del globo coperte da nubi. Mentre ERS e il suo suc-cessore, Envisat, forniscono una risoluzione al suolo dicirca 20 m, Radarsat è dotato anche di una modalità afascio ‘fine’ con una risoluzione di 10 m. Sono in via diprogettazione altri satelliti con 1 m di risoluzione (Radar-sat e Terrasar).

Digital Elevation Models (DEM)Per l’interpretazione geologica, i modelli digitali di ele-

vazione del terreno sono sotto molti aspetti l’equivalentemoderno delle stereofotografie aeree e di conseguenza

191VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

fig. 4. Immagine Ikonos con le strutture di produzione intorno ad Hassi Messaoud (Algeria; NPA Satellite Mapping).

fig. 5. Confronto fra immagini otticheLandsat ETM e immaginiradar ERS (Irian Jaya;NPA Satellite Mapping).

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sono molto richiesti per l’esplorazione nelle aree più re-mote. I DEM possono essere usati da soli sia per l’in-terpretazione geologica e geomorfologica sia per la valu-tazione delle vie di accesso o della logistica, ma posso-no essere combinati con le immagini satellitari perottenere serie di dati restituibili al computer per realiz-zare immagini in 3D o in prospettiva, comprese le simu-lazioni di voli aerei. I DEM possono essere ottenuti dastereofotografie aeree, digitalizzando mappe topografi-che già esistenti, da immagini stereoscopiche satellita-ri o attraverso l’interferometria radar (InSAR) aerea ospaziale. Uno di questi sistemi InSAR, l’SRTM (Shut-tle Radar Topographic Mission) è stato utilizzato in unamissione Shuttle nel 2000 e ha prodotto una serie di datiad alta definizione (30 m di risoluzione orizzontale, 15 mdi precisione verticale) per la maggior parte delle regio-ni del mondo tra i paralleli a 60° Sud e 60° Nord. Oggii dati SRTM a più alto livello di definizione sono pro-tetti dal segreto militare nella maggior parte delle areeche si trovano al di là dei confini degli Stati Uniti a causadella loro importanza per la navigazione logistica, e per-tanto è possibile accedere solo ai dati con 100 m di gri-glia orizzontale.

Tra i sistemi satellitari ottici per la produzione diDEM figura lo SPOT 5, con una precisione verticale di6-10 m e una risoluzione orizzontale di 20 m, e ASTER,con una precisione verticale di 30 m e una risoluzioneorizzontale di 15 m. La fig. 6 rappresenta un’immagine3D creata con ASTER DEM e realizzata a falsi colori,utilizzando tre delle sue bande spettrali (3-2-1, R-G-B),guardando verso nord-est, in direzione della cernieradella piega; il nucleo della piega più resistente e freddo,è costituito da carbonati dell’Eocene inferiore, circon-dati da marne e argille.

I sistemi aerotrasportati possono fornire livelli anco-ra più alti di precisione, e un sistema radar interferome-trico è stato impiegato per coprire interi territori comequelli del Regno Unito e dell’Indonesia, fornendo DEMdi circa 0,5 m di precisione verticale. Per quanto riguarda

i dettagli del terreno, il più alto livello di precisione èottenuto con i sistemi aerotrasportati Lidar, in grado difornire una precisione verticale di pochi centimetri. ILidar sono stati impiegati con successo per produrreDEM per la pianificazione sismica a terra in diverse tipo-logie di terreno, come le dune di sabbia del deserto e lepaludi costiere ricoperte di mangrovia.

L’esplorazione offshore. Rilevamento delle manifestazioni di idrocarburi e gravimetria satellitare

L’uso delle tecniche satellitari non è confinato alleregioni sulla terraferma. Un inaspettato beneficio che isatelliti radar hanno offerto al settore dell’esplorazionepetrolifera è rappresentato dalla possibilità di individuaretracce di petrolio (oil seepage) sulla superficie del mareattraverso le immagini radar satellitari. La presenza dipiccole quantità di petrolio presenti sulla superficie delmare modifica le piccole onde o increspature indottenaturalmente dal vento sulla superficie del mare, crean-do ‘chiazze’ o aree di mare calmo. Esse appaiono moltochiaramente sulle immagini radar, poiché la lunghezzad’onda delle increspature si avvicina molto a quella delradar (5,6 cm). Molte di queste indicazioni superficialisono il risultato degli effetti dell’inquinamento, ma alcu-ne sono prodotte dalla fuoriuscita naturale degli idro-carburi sul fondo del mare che risalgono, poi, alla super-ficie. Un attento esame di queste ‘chiazze’, integrato dal-l’analisi della loro forma e dalla conoscenza dei ventiprevalenti, permette di distinguere con un buon grado diattendibilità gli effetti dell’inquinamento dalle manife-stazioni naturali (fig. 7). Questa metodologia ha con-sentito di studiare in modo consistente quasi tutti i baci-ni offshore del mondo per individuare le manifestazioninaturali, rivelandosi uno strumento di indagine econo-mico ed efficace nell’esame dei bacini di frontiera, soprat-tutto in acque profonde, in modo da dare una valutazio-ne delle rispettive potenzialità prima che le compagniepetrolifere ricorrano ai metodi geofisici, necessari nellasuccessiva fase dell’esplorazione e molto più dispen-diosi. Questa tecnica non si limita a indicare la presen-za o l’assenza di idrocarburi nei bacini, ma consenteanche di studiare la relazione tra il pattern di rilasciodelle manifestazioni e l’assetto strutturale del bacino,che può rivelare importanti informazioni sui depocentri,sulle aree di generazione e sui percorsi di migrazionedegli idrocarburi.

La geologia applicata all’esplorazione petrolifera off-shore ha sfruttato un’altra innovazione militare derivan-te dalla ricerca spaziale: i requisiti per la navigazionesottomarina. Sott’acqua, senza la vista delle stelle o l’aiu-to dei satelliti per la navigazione (come il GPS), i som-mergibilisti avevano bisogno di una mappa del fondooceanico comparabile a una mappa topografica del-la superficie terrestre. Disegnare una carta degli oceani

192 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

fig. 6. DEM da immagine ASTER (Tunisia; NPA Satellite Mapping).

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sufficientemente dettagliata con i mezzi convenzionaliè impraticabile sia operativamente che politicamente.Tuttavia, ci si rese conto che una mappa della batimetria(della profondità, cioè, delle acque) o del campo gravi-tazionale terrestre avrebbe fornito il necessario strumentodi assistenza alla navigazione, e questo obiettivo potevaessere raggiunto attraverso i radaraltimetri, in grado dimisurare l’altezza della superficie degli oceani da satel-liti orbitanti.

Si potrebbe pensare che la Terra sia uno sferoide quasiperfetto, di cui si conosce esattamente la forma. In realtà,la superficie degli oceani non corrisponde precisamen-te a questo modello, ma presenta un pattern complessodi piccole ondulazioni prodotte dalla combinazione dellaprofondità delle acque nel punto considerato con il campogravitazionale, quest’ultimo legato alla densità delle roccecircostanti. Osservando sistematicamente l’altezza delgeoide oceanico dai satelliti per molte centinaia di orbi-te e ottenendo un risultato medio che mostra i piccoligradienti superficiali oceanici, si possono costruire mappeestremamente dettagliate che mostrano la batimetria ocea-nica e la gravità offshore. Queste mappe, benché nonpossano sostituire le misurazioni batimetriche a strisciateestremamente accurate e le registrazioni gravimetrichea bordo di navi eseguite nelle fasi successive del pro-cesso di esplorazione, consentono di effettuare rilievispeditivi a basso costo nei bacini di frontiera offshorenon ancora esplorati, soprattutto se accoppiate al meto-do del rilevamento offshore delle manifestazioni di idro-carburi attraverso il radar satellitare in precedenza descrit-to (v. ancora fig. 7). I primi altimetri oceanici sono statiutilizzati dagli Stati Uniti in missioni militari, come, peresempio, quella Geosat, promossa negli anni Ottanta edesegretata solo negli anni Novanta, ma la densità diosservazioni globali è molto aumentata grazie ad alcu-ne missioni civili più recenti come Topex/Poseidon e aglialtimetri montati a bordo dei due satelliti ERS (che hanno

prodotto anche la grande massa delle immagini radardella superficie oceanica usate per l’individuazione dellemanifestazioni superficiali d’idrocarburi).

Global Positioning System e sistemi di comunicazione

L’analisi dei contributi forniti dalla ricerca spazia-le all’esplorazione petrolifera sarebbe incompleta senon si ricordassero i satelliti di posizionamento globa-le e di comunicazione. I dispositivi GPS portatili e per-sino da polso in grado di determinare la latitudine e lalongitudine con un’approssimazione di pochi metri oggisono un fatto acquisito, ma non dobbiamo dimentica-re che fino agli anni Settanta, i geologi spesso doveva-no ricorrere all’osservazione astronomica per determi-nare con certezza la loro posizione sul terreno. Inoltrei telefoni satellitari permettono ormai a chi è impegnatosul campo non solo di comunicare con la base e con leproprie case, sia in mare che sulla terraferma, ma tra-smettono anche mappe, immagini, dati di campagna edocumentazione di riferimento a e da archivi centralivia Internet. Naturalmente, anche questi vantaggiosistrumenti oggi a nostra disposizione in origine eranodestinati a usi militari.

Applicazioni ambientaliTutte le tecniche di cartografia aerea, satellitare e

computerizzata in precedenza descritte sono suscettibi-li di molte importanti applicazioni in campo ambienta-le, con il fattore aggiuntivo che il monitoraggio dei cam-biamenti temporali è molto più importante in campoambientale che in quello geologico. I satelliti sono estre-mamente efficienti anche in termini di costi per la pro-duzione ripetuta di immagini e per il monitoraggio alungo termine. Inoltre, sono più adatti, per esempio,all’individuazione dei cambiamenti della vegetazione edel suolo o al rilevamento dell’ecologia costiera, piutto-sto che alla geologia. Con la crescente consapevolezzache è necessario adottare un atteggiamento responsabi-le in difesa dell’ambiente, è certo che molti progetti inaree sensibili saranno realizzati in base a criteri ambien-tali sviluppati usando dati satellitari archiviati storica-mente, e saranno monitorati con i satelliti di ultima gene-razione disponibili. Queste tecniche sono applicabilianche alle facilities impiegate nell’esplorazione e nellaproduzione, alle pipeline e agli impianti di trattamento,dove la difesa contro i movimenti del terreno non è menoimportante degli aspetti ambientali.

Gli ultimi sviluppi dell’interferometria radar satelli-tare (fig. 8) consentono di misurare i movimenti del ter-reno o i cambiamenti relativi della superficie della Terraa livello millimetrico, con una precisione molto mag-giore di quella attualmente conseguibile con i GPS. Diconseguenza, possiamo non solo rilevare il movimentoincipiente della reptazione del suolo (piccoli smottamenti

193VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

fig. 7. Immagine da satellite, interpretazione gravimetrica offshore e rilevamento di manifestazionidi idrocarburi (Oman; NPA Satellite Mapping).

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superficiali del terreno o spoil creep) come indizio difrane che potrebbero colpire condotte o impianti indu-striali, ma siamo in grado di misurare anche la subsi-denza del suolo conseguente allo svuotamento di reser-voir e controllarne i possibili effetti ambientali. In areesensibili o instabili, ciò potrebbe portare a munire pipe-line e altre installazioni di speciali riflettori (corner reflect-ors) o transponditori (trasponders) per facilitare il moni-toraggio e le misurazioni satellitari. Nel campo dell’in-gegneria dei giacimenti sono inoltre individuabili altrepossibili applicazioni, poiché questo tipo di rilevamen-to può aiutare a comprendere la risposta stocastica delgiacimento.

Il futuro delle tecnologie e degli strumenti di telerilevamento

È in via di progettazione il lancio di molti satellitiper l’osservazione terrestre e, in particolare, di sistemiper immagini radar e ottici ad alta risoluzione. Sarannosenza dubbio costruiti più satelliti per immagini ‘iper-spettrali’ con centinaia di bande spettrali che amplie-ranno molto la nostra capacità di distinguere e mapparedifferenti tipi di rocce, anche se la copertura del suolo edella vegetazione seguiterà a costituire un problema. Sipuò inoltre prevedere l’emergere di modelli digitali dielevazione della superficie della Terra sempre più det-tagliati che faciliteranno, insieme all’interpretazione geo-logica, la pianificazione delle vie di accesso e della dife-sa ambientale.

Tuttavia, gli accumuli di idrocarburi si trovano ingenerale a una certa profondità al di sotto della super-

ficie della Terra e per il momento gli strumenti a nostradisposizione possono esaminarne solo la superficie.Idealmente lo scopo sarebbe quello di poter disporre distrumenti montati a bordo di aerei o veicoli spaziali ingrado di rivelare la presenza di idrocarburi a una certaprofondità, ma questo obiettivo è ancora irraggiungi-bile. Sappiamo che in molti bacini, se non in tutti, gliidrocarburi possono migrare fino alla superficie, masulla terraferma le manifestazioni di superficie più evi-denti sono già conosciute. Un importante risultato delmetodo di individuazione radar delle manifestazioni diidrocarburi in offshore, precedentemente descritto, ècostituito dal fatto che in mare aperto i pattern di rila-scio sono molto più diffusi e pervasivi di quanto ci sipotrebbe aspettare basandosi esclusivamente sull’os-servazione onshore, dato che, sulla terraferma, il qua-dro è incompleto a causa del mascheramento dovutoalla copertura del suolo e della vegetazione. Gli effet-ti più deboli, come la emissione di gas, sono estrema-mente difficili da individuare anche con metodi moltoaccurati sul terreno, per non parlare del loro ricono-scimento dall’aria o dallo spazio. Anche rocce ben espo-ste e fortemente alterate dagli effetti a lungo terminedella emissione di idrocarburi gassosi si sono rivelatemolto difficili da individuare con i sensori termici ospettrali attualmente esistenti. Molto probabilmentesaranno compiuti notevoli progressi in quest’area quan-do satelliti più sofisticati, soprattutto iperspettrali, diver-ranno operativi, ma va tenuto presente che questi satel-liti saranno prevalentemente impiegati per scopi diver-si da quelli dell’esplorazione petrolifera. Riguardo alla

194 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

fig. 8. Trend di subsidenza sopra il giacimento ad olio di Jibal (Oman)ricavato da interferometria radarda satellite: ogni frangiadi colore rappresenta 28 mm di subsidenza(Oman; NPA SatelliteMapping).

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mappatura a distanza del sottosuolo (cioè non sismica)è probabile che si registreranno notevoli perfeziona-menti della sensibilità e della capacità delle tecniche abordo di aerei, come la magnetometria e la gravime-tria, ma poiché è molto difficile che questi risultati pos-sano essere conseguiti dall’altezza a cui operano i satel-liti orbitanti, gli sviluppi continueranno a riguardare letecniche aerotrasportate. Un’area che potrebbe rivelar-si promettente è quella dell’uso dell’interferometriaradar satellitare per rivelare cambiamenti millimetricidell’elevazione della superficie della Terra nel tempo.Come abbiamo già osservato, gli attuali satelliti radarsono già impiegati in questo modo per controllare pic-cole variazioni nella subsidenza al di sopra di giaci-menti a gas e a olio in via di svuotamento. Questa tec-nica è così sensibile, in grado di risolvere cambiamen-ti fino al livello millimetrico, che potrebbe fornire indizidi accumuli sotterranei e del loro probabile contenuto(petrolio o gas) dalle variazioni differenziali superfi-ciali in funzione dello stato di marea della Terra. I satel-liti per scopi ambientali sono già paragonati alla tec-nologia medica in quanto permettono di esercitare un‘controllo sulla salute del pianeta Terra’. In termini geo-logici, è lecito aspettarsi che le future missioni spazia-li forniscano analisi spettrografiche e tomografichedella superficie terrestre, approfondendo la nostra cono-scenza del sottosuolo, dove sono ancora nascosti gia-cimenti di gas e di petrolio. Si tratta forse di una visio-ne avveniristica, ma non del tutto inverosimile, tenutoconto del grande progresso già compiuto: dall’osser-vazione a occhio nudo dalla cima delle colline all’at-tuale era spaziale.

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Mattia SellaEni - Divisione E&P

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195VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

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2.2.2 Rilevamento geologico

Il rilevamento geologico è il metodo di indagine più anti-co nella ricerca petrolifera. È stato applicato fin dallaseconda metà dell’Ottocento, quando si cominciò a capi-re che la presenza dei giacimenti era legata alla geo-metria delle rocce (trappole) e alle loro caratteristichelitologiche, e che era possibile, a volte, riconoscere inaffioramento l’espressione di geometrie profonde. L’e-splorazione in aree con queste caratteristiche è ormaipressoché esaurita, anche se la mappatura con immagi-ni da satellite dei lineamenti strutturali a grande scala èancora molto utile negli studi regionali. Attualmente ilrilievo geologico viene realizzato per lo più come inte-grazione delle prospezioni geofisiche, soprattutto quan-do l’esplorazione interessa le aree dove, in assenza disondaggi, sono disponibili solo dati indiretti (sismolo-gia, gravimetria, ecc.).

Questo tipo di rilevamento consiste nella raccolta siste-matica di dati geologici, atta a fornire informazioni sullacostituzione geologica di una data zona. I risultati delleosservazioni sul terreno devono essere integrati da ana-lisi stratigrafiche, strutturali, petrografiche, sedimento-logiche e paleontologiche che nel loro complesso con-sentono la realizzazione di elaborati sintetici (carte e sezio-ni geologiche, colonne e schemi stratigrafici), i qualidelineano le rocce presenti nell’area in oggetto, la lorodistribuzione in affioramento e i loro rapporti spaziali.

Il rilevamento geologico ha un’importanza fonda-mentale nella geologia degli idrocarburi perché per-mette di inquadrare sia la stratigrafia della regione, epertanto l’esistenza di potenziali rocce madre, rocceserbatoio e rocce di copertura, sia la conformazionestrutturale dell’area da esplorare. Poiché per la mag-gior parte le strutture contenenti idrocarburi sono sepol-te, cioè non direttamente osservabili sul terreno, il rile-vamento geologico può essere condotto in aree limi-trofe alla zona di esplorazione mineraria, quando esisteun’analogia (litologica, stratigrafica, strutturale, ecc.)tra le unità rocciose sepolte e quelle in affioramento.Le informazioni dedotte dal rilevamento geologico devo-no quindi essere estrapolate all’area di esplorazione.Per esempio le rocce potenziali serbatoio con relativecoperture, sedi di giacimenti di idrocarburi in PianuraPadana, affiorano ampiamente sulle Alpi. Il rilevamentogeologico, effettuato sulla catena alpina da generazio-ni di geologi, ha offerto un quadro completo della suc-

cessione stratigrafica che è stato ampiamente utilizza-to nell’esplorazione profonda delle strutture sepoltedella Pianura Padana.

Lo scopo primario di un rilevamento geologico è larappresentazione cartografica della distribuzione dellerocce in affioramento (carta geologica). Di norma que-sta carta viene rappresentata su una base topografica giàesistente; se nell’area in esame non esiste una base topo-grafica, essa deve essere prodotta allo scopo. Attualmentetale rappresentazione viene effettuata con il telerileva-mento (immagini da satellite, aerofotogrammetria, ecc.).

Sulla carta geologica vengono rappresentate le rocceaffioranti, la cui distinzione viene effettuata essenzial-mente sulla base delle caratteristiche litologiche con l’au-silio di tecniche di rilevamento (Low, 1957; Lahee, 1961;Cremonini, 1973; Damiani, 1984).

Il concetto di formazioneLa formazione è un corpo geologico le cui caratteri-

stiche litologiche osservabili sul terreno, non necessa-riamente uniformi, ne permettono il riconoscimento e ladistinzione. Nella ricerca di idrocarburi hanno partico-lare rilievo le rocce di origine sedimentaria. Poiché lalitologia di un corpo sedimentario è dovuta all’ambien-te di sedimentazione, compito del geologo è rilevare lastretta corrispondenza fra gli ambienti di sedimentazio-ne, la loro evoluzione verticale e i loro passaggi laterali.

La posizione stratigrafica di una formazione è di fon-damentale importanza: rocce con caratteristiche litologi-che e sedimentologiche analoghe ma di differente età vannoriferite a formazioni diverse; rocce coeve ma di litologiadifferente, in quanto formate in diversi ambienti sedi-mentari, vanno pure attribuite a formazioni diverse.

I criteri distintivi fra una formazione e l’altra sonomolto numerosi. La litologia può differenziarsi anchenell’ambito di una stessa formazione: alcune formazio-ni hanno una litologia abbastanza uniforme (come laDolomia Principale), mentre altre sono costituite dal-l’alternarsi di due litotipi diversi (come la FormazioneMarnoso-Arenacea). Altri criteri distintivi sono: le carat-teristiche della stratificazione, che può essere massiccia(come nella Dolomia dello Sciliar in ambiente di sco-gliera) o più articolata (come nella già citata DolomiaPrincipale in ambiente di piattaforma); il colore (la Sca-glia Rossa, ben distinguibile dalla Scaglia Cinerea); lecaratteristiche sedimentologiche (le Arenarie di Serra-valle sono molto più cementate delle Sabbie di Asti);

196 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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l’età (le ultime due formazioni sono rispettivamente delMiocene e del Pliocene). Quest’ultima a volte può nonessere identificabile direttamente sul terreno, con l’esa-me dei macrofossili, ma solo grazie all’esame micropa-leontologico di laboratorio. Fra gli esempi citati, alcuneformazioni sono state denominate con un criterio litolo-gico cui è stato associato il nome della località tipo ovela formazione assume la migliore caratterizzazione. È inquesta località tipo che la formazione viene di normadescritta nelle sue peculiarità litologiche, sedimentolo-giche e paleontologiche, con la misurazione dello spes-sore, l’interpretazione ambientale e le variazioni verti-cali e laterali.

L’esplorazione mineraria può raggiungere formazio-ni non affioranti o comunque meglio valutabili nel sot-tosuolo; molte formazioni sono state recentemente rico-nosciute e descritte durante la ricerca di idrocarburi. Èmolto frequente il caso in cui una formazione è meglioconosciuta nel sottosuolo, ove un’intensa esplorazionel’ha attraversata con numerosi pozzi, piuttosto che inaffioramento. Spesso inoltre nel sottosuolo essa è menodeformata e quindi meglio ricostruibile nella sua inte-rezza, come per esempio la Frio Formation in rocce del-l’Oligocene del Texas (Galloway et al., 1982), o la For-mazione Cellino in rocce del Pliocene inferiore dell’I-talia centrale (Casnedi, 1983).

La carta geologica La carta geologica è il frutto di un lavoro sistemati-

co che di norma richiede diverse fasi.La prima fase consiste nello studio preliminare effet-

tuato con rilevamenti speditivi attraverso l’area oggettodi esame; il geologo potrà individuare le principali for-mazioni affioranti e i loro rapporti stratigrafici.

Nella seconda fase viene eseguita una cartografiadell’area con itinerari a maglie via via più fitte; in que-sto stadio il geologo acquisisce maggiori dati sulle for-mazioni presenti, distingue in esse unità a maggior det-taglio (la formazione può essere distinta in membri) estabilisce i rapporti stratigrafici relativi, cioè di sovrap-posizione o passaggio laterale, qualora le formazionisiano coeve. Nello stesso tempo raccoglie dati strati-metrici (direzione, immersione e inclinazione degli stra-ti), utili per stabilire i rapporti di sovrapposizione deglistrati e l’assetto strutturale dell’area. Sulla carta devo-no essere riportate, con la massima precisione possibi-le, le linee di delimitazione fra le formazioni laddoveesse sono in contatto. Nel delineare tali linee va speci-ficato se il contatto fra due formazioni è di natura stra-tigrafica, corrispondente a una normale successionecronologica, oppure di natura tettonica, dovuto a unadeformazione (faglia) che sposta irregolarmente i corpirocciosi.

Nel caso di un contatto stratigrafico, la superficie diseparazione fra due formazioni è raffigurata da una linea

che rappresenta l’intersezione di detta superficie con lasuperficie topografica: se gli strati sono orizzontali, lalinea corre in orizzontale, cioè parallelamente alle iso-ipse; se gli strati sono a reggipoggio, cioè immergenti insenso opposto a quello del versante, la linea segue le iso-ipse addolcendone la curvatura; se gli strati sono a fra-napoggio, cioè immergenti parallelamente al versante,ma con inclinazione minore di quella del pendio, la lineaaccentua la curvatura delle isoipse; se gli strati sono afranapoggio ma con inclinazione superiore a quella delpendio, la linea assume disposizione contraria alle iso-ipse; infine in strati verticali la linea è retta e segue ladirezione (strike) degli strati. Sul terreno possono esse-re raccolti anche dati paleontologici (per lo più consi-stenti in macrofossili), sedimentologici (come le impron-te di fondo degli strati che permettono di risalire alladirezione di provenienza dei sedimenti clastici), petro-grafici, strutturali e geochimici.

La terza fase consiste nell’elaborazione dei dati rac-colti; questo stadio, che segue oppure si alterna al lavo-ro di campagna, è essenziale per un esauriente rileva-mento geologico. In esso può essere completata la deli-mitazione delle formazioni quando il loro contatto sulterreno non è osservabile, per copertura vegetale o perinaccessibilità: i dati stratimetrici sono molto utili pertracciare o completare le linee di delimitazione, poi-ché permettono l’interpolazione e l’estrapolazionedella giacitura relativa delle formazioni, tenuto conto,come si è detto, dell’andamento degli strati rispettoall’inclinazione del pendio. Inoltre, un’adeguata retedi sezioni geologiche interpretative fornisce utili indi-cazioni per controllare l’esattezza del rilevamento dicampagna.

In questa fase si interpreta la natura delle superficitettoniche rilevate sul terreno: se la successione è stra-tigraficamente normale e i fenomeni erosivi hanno agitosoprattutto sulle aree sollevate, una faglia porterà all’af-fioramento delle formazioni più antiche nel fianco sol-levato. Una corretta traccia della superficie di fagliapermetterà di riconoscere l’immersione del piano difaglia e quindi di distinguere le faglie di distensione,in cui il fianco ribassato coincide con l’immersione delpiano di faglia, da quelle di compressione, in cui si veri-fica il caso opposto. Anche i fenomeni di piegamento,se non riconosciuti direttamente sul terreno (come nelcaso di pieghe ad ampia scala), possono essere rico-struiti durante la fase di elaborazione cartografica: unapiega anticlinale si presenta con strati divergenti rispet-to a una linea (asse della piega) e, nella gran parte deicasi, affioramenti di rocce più antiche lungo il nucleodella piega stessa, normalmente disposto in corrispon-denza dell’asse. Il piegamento in cui si verifica il casoopposto è detto sinclinale. Anche le geometrie dellepieghe vengono riconosciute con l’analisi della carto-grafia geologica, specie se corredata dal corrispettivo

197VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

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blocco-diagramma (fig. 1): una piega anticlinale può pre-sentare zone in cui il piegamento è più pronunciato (cul-minazione strutturale) o meno (depressione strutturale);lo stesso avviene per le pieghe sinclinali. Le culmina-zioni strutturali sono favorevoli all’accumulo degli idro-carburi (v. cap. 1.3).

L’ultima fase si compie in laboratorio, dove vengo-no effettuati gli studi petrografici e sedimentologici chepermettono di risalire alle composizioni chimico-mine-ralogiche delle formazioni; in parallelo vengono con-dotti studi sedimentologici atti sia a riconoscere l’am-biente in cui è avvenuta la sedimentazione, sia a defi-nire le tessiture dei sedimenti (dimensioni, forma edisposizione dei costituenti). Questi studi sono di gran-de utilità nella ricerca degli idrocarburi, poiché forni-scono indicazioni sulle caratteristiche petrofisiche dellepotenziali rocce serbatoio, in primo luogo sulla poro-sità. Di massima importanza sono le analisi paleonto-logiche: mentre il riconoscimento di un macrofossilepuò essere effettuato direttamente sul terreno, lo studiodei microfossili e delle loro associazioni, alla base dellastratigrafia, viene fatto al microscopio, su sezioni sot-tili o su residui di lavaggio di campioni opportunamen-te scelti. Le analisi geochimiche possono essere effet-tuate sia su campioni di roccia madre (per studi di cor-relazione olio-roccia madre), sia su campioni di olio ogas quando sono presenti manifestazioni superficiali diidrocarburi.

Un rilevamento geologico ben organizzato si basasulla collaborazione dei rilevatori, che operano sul ter-reno oppure a tavolino sulla base di quanto raccolto incampagna, e degli analisti che lavorano in laboratorio,fra cui i petrografi, particolarmente del sedimentario, ei micropaleontologi.

Le carte tematiche Dalla cartografia geologica possono derivare diver-

si elaborati tematici riferiti a particolari caratteri di inte-resse scientifico o applicato alla ricerca mineraria. Lecarte che interessano la ricerca degli idrocarburi, checomprendono sia i dati di superficie sia quelli di sotto-suolo, per una valutazione tridimensionale dei corpi roc-ciosi, sono: le carte strutturali, le carte isopache, le carteisolite, le carte di litofacies, le carte paleogeografiche ele carte palinspastiche.

Le carte strutturali possono essere di due tipi: quel-le che rappresentano le aree di affioramento delle mag-giori unità strutturali (per esempio la carta strutturaledelle Alpi che riporta la cartografia di affioramento diElvetidi, Pennidi, Austridi, ecc.) e quelle, di maggior det-taglio e interesse minerario, che riportano la struttura diuna singola formazione nel sottosuolo e sono configu-rate per mezzo di isobate (contours). Queste ultime carte,utilizzate per rappresentare la struttura di una roccia ser-batoio, permettono di individuare le aree mineralizzatenelle parti strutturalmente più alte delle rocce serbatoiostesse.

Le carte isopache rappresentano con isolinee la distri-buzione dello spessore di una determinata formazione;se essa costituisce una roccia serbatoio, la carta dà infor-mazioni sul volume del giacimento.

Le carte isolite rappresentano, nell’ambito di una for-mazione con differenti litologie, lo spessore di un sololitotipo; anch’esse vengono disegnate con isolinee diuguale spessore del litotipo in oggetto, che nella ricercamineraria è di norma quello della frazione poroso-per-meabile (per esempio in una formazione ad alternanzedi sabbie e argille si riportano gli spessori delle sole sab-bie, che possono contenere gli idrocarburi).

198 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

6

5

4

3

2

1

verso l’assedi depressione

verso l’assedi culminazione

asse di depressione

asse di culminazione

fig. 1. Blocco-diagrammadi una regione piegata con ondulazioni assiali(assi di elevazione o culminazione e assi di depressione);1-6, colonna stratigraficain sequenza cronologica(Jaroszewski, 1984).

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Le carte di litofacies rappresentano, per un dato inter-vallo cronologico, le litofacies delle formazioni, con par-ticolare risalto alle litofacies poroso-permeabili, e inte-grano i dati di superficie con quelli derivanti dalle perfo-razioni. A tale carta, che fornisce un panorama delle areepotenzialmente sede di serbatoi, si sovrappone la cartadi litofacies dell’intervallo cronologico superiore. Il finedi questa sovrapposizione è quello di individuare le areein cui litofacies impermeabili possono costituire coper-tura (roccia di copertura) a quelle con litofacies poroso-permeabili (potenziali rocce serbatoio), presupposto stra-tigrafico indispensabile per la presenza di idrocarburinei serbatoi stessi.

Le carte paleogeografiche rappresentano la geogra-fia di una regione nel periodo di riferimento e quindiriportano la distribuzione e l’altitudine delle aree emer-se, delle linee di costa e delle aree sommerse, con laprofondità del mare nel periodo in oggetto. Sono utiliz-zate nella ricerca di idrocarburi per individuare trappo-le stratigrafiche (v. cap. 1.3).

Le carte palinspastiche riportano le formazioni allaloro posizione originaria, prima che dislocazioni suc-cessive abbiano modificato i loro rapporti primari.

L’utilizzo degli strumenti classici, bussola e altime-tro, può essere integrato con strumenti più moderni comeil GPS (Global Positioning System) per la georeferen-ziazione diretta dei punti rilevati, che usa una rete disatelliti geostazionari, e la bussola elettronica, fornita diuna memoria digitale che permette l’immediata memo-rizzazione dei dati misurati. Questi strumenti facilitanol’immissione dei dati in formato digitale.

Particolari aspetti del terreno (morfologia, frattura-zione delle rocce) possono essere acquisiti attraverso lastereofotogrammetria, che permette di ricostruire rap-presentazioni fotografiche tridimensionali di affiora-menti significativi come tagli di cave, pareti rocciose,frane. La cartografia acquisita direttamente sul terrenopuò essere inoltre integrata con le informazioni ottenu-te con il telerilevamento (aerofotogrammetria, immagi-ni da satellite, ecc.).

I dati possono venire elaborati utilizzando il GIS(Geographic Information System), un sistema informa-tico sviluppato per gestire, manipolare e analizzare datispaziali (cartografia numerica digitale); ciò significa chesi utilizzano dati di cui si conoscono o si possono cal-colare le coordinate geografiche (la latitudine, la longi-tudine e, se disponibile, anche l’altitudine).

Per la cartografia sono poi particolarmente importantile elaborazioni DEM (Digital Elevation Model), nellequali i dati cartografati corrispondono alla quota mediadel terreno in quel punto; tali elaborazioni possono esse-re ricavate dalle immagini telerilevate oppure dalla digi-talizzazione di carte topografiche già esistenti.

Le carte tematiche (topografiche, geologiche, mor-fologiche, strutturali, ecc.), realizzate con l’ausilio delle

metodologie e degli strumenti sopra descritti (georefe-renziazione, bussole elettroniche, modelli digitali del ter-reno, stereofotogrammetria, immagini da satellite, ecc.),permettono la costruzione di data base digitali che inte-grano i prodotti cartografici (spesso tridimensionali) coni relativi dati litologici, strutturali, petrografici, ecc.

2.2.3 Petrografia

La petrografia è lo studio dei processi genetici dellerocce, della loro struttura e composizione. Poiché gliidrocarburi, salvo rare eccezioni, sono strettamente lega-ti alle rocce sedimentarie, sia nella formazione che nellamigrazione e nell’accumulo, sarà trattata esclusivamen-te la petrografia del sedimentario (Pettijohn, 1957; Bosel-lini et al., 1989; Blatt, 1992; Tucker, 2001) e in partico-lare la natura, la composizione e la classificazione dellerocce sedimentarie.

In campo petrolifero, le analisi quantitative e gli studipetrografici vengono condotti attraverso l’uso di micro-scopia ottica ed elettronica e di diffrattometria e fluore-scenza a raggi X e consentono di determinare la com-posizione dei costituenti delle rocce, di riconoscere lefasi autogene (cementi) formatesi durante il seppelli-mento delle rocce stesse, di evidenziare fenomeni di dis-soluzione di determinati costituenti, di ricostruire la suc-cessione degli eventi di cementazione-dissoluzione chehanno interessato il sedimento fino a determinarne l’at-tuale struttura e infine di specificare, attraverso l’uso dianalisi d’immagine, le caratteristiche geometriche dellacomponente porosa presente nei sedimenti.

Gli studi petrografici, nell’attività petrolifera, vengo-no condotti sui campioni di rocce provenienti da carote dipozzo e da affioramenti e anche sui detriti di perforazio-ne, detti cuttings (piccoli frammenti di roccia prodotti dalloscalpello e portati in superficie dal fango di perforazio-ne). L’insieme di questi dati viene poi inquadrato nel model-lo sedimentologico e geologico del bacino al fine di pre-vedere la qualità, in termini di caratteristiche di reservoir(porosità e permeabilità), delle rocce sedimentarie anchein zone non ancora interessate da perforazioni.

In questo modo si ottengono importanti informazio-ni che, insieme ad altre, permettono di valutare l’oppor-tunità di eseguire o meno un pozzo esplorativo o di pro-grammare lo sviluppo e la messa in produzione dei gia-cimenti individuati.

Frequenza delle rocce sedimentarieI processi endogeni sono responsabili dell’origine

delle rocce magmatiche, mentre le rocce sedimentarienascono da quelli esogeni; di conseguenza, la frequen-za di queste ultime aumenta progressivamente man manoche ci si avvicina alla superficie terrestre. Mentre la cro-sta terrestre, nel suo insieme, contiene meno del 5% di

199VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

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rocce sedimentarie e di rocce metamorfiche di genesisedimentaria, gran parte (circa il 75%) delle rocce affio-ranti in superficie è di origine sedimentaria.

La ragione principale di questa abbondanza di roccesedimentarie affioranti è l’instabilità, o la metastabilità,chimica delle rocce magmatiche in presenza di atmo-sfera. Infatti rocce e minerali sono in equilibrio solo nellecondizioni fisico-chimiche in cui si sono formati. Tem-peratura e pressione di formazione delle rocce magma-tiche sono molto superiori a quelle che si riscontranosulla superficie terrestre; inoltre gli ambienti profondiin cui esse si sono formate contengono minori quantitàdi ossigeno, acqua, biossido di carbonio e materia orga-nica, sostanze di cui le rocce sedimentarie si arricchi-scono con processi di ossidazione, idratazione, idrolisi,salificazione.

Classificazione delle rocce sedimentarieEsistono due criteri principali di classificazione: il

primo è basato sulla genesi delle rocce, l’altro sulla lorocomposizione chimico-mineralogica. I due criteri spes-so danno luogo a tipologie analoghe, in quanto la gene-si di un sedimento influisce sulla sua composizione.

Criterio genetico. La roccia originaria, esposta all’a-zione degli agenti atmosferici, viene degradata sia daprocessi fisici (disgregazione) che da processi chimici(alterazione). Gran parte dei prodotti di disgregazione(clasti) viene asportata e subisce un processo di traspor-to (in sospensione o per rotolamento) a opera dei corsid’acqua e del vento, dando luogo alle rocce epiclastiche,costituite da particelle che si sedimentano per decanta-zione; altre rocce particellari o granulari sono rappre-sentate dalle rocce piroclastiche, di derivazione vulca-nica, e allochimiche, come i calcari oolitici e i calcariformati da frammenti fossili.

L’alterazione chimica genera prodotti che di normasono trasportati in soluzione nelle acque meteoriche e,in seguito a evaporazione o variazione degli equilibri chi-mici, si sedimentano per precipitazione formando roccecristalline di origine sedimentaria, da non confonderecon quelle di origine metamorfica. Dopo la sedimenta-zione, la diagenesi dei calcari, che avviene con scambioionico con l’acqua marina, può dare luogo alla forma-zione di dolomie.

La parte di roccia che non viene asportata dopo ladegradazione o la decomposizione rimane in situ e formale rocce residuali. L’azione degli organismi viventi dàluogo alle rocce organogene o biocostruite, costituiteinteramente da scheletri o frammenti di gusci di anima-li o vegetali (le scogliere formate essenzialmente da coral-li e alghe) o da fissazione carbonatica da parte di vege-tali (le stromatoliti) (fig. 2).

Criterio composizionale. I componenti fondamenta-li delle rocce sedimentarie sono i terrigeni, gli allochi-mici e gli ortochimici (Bosellini et al., 1989; fig. 3).

I componenti terrigeni sono costituiti da particellegenerate dalla disgregazione e dalla frammentazionedi rocce preesistenti, erose e trasportate singolarmen-te nel bacino di sedimentazione. Questo processo dialterazione agisce nel tempo modificando la compo-sizione chimico-mineralogica della roccia (fig. 4). Ipiù importanti terrigeni sono il quarzo (35-50%), ifeldspati (5-15%), i minerali argillosi (25-35%), lemiche e i minerali pesanti (meno dell’1%), i frammentidi roccia e la selce (5-25%).

I componenti allochimici sono costituiti da particel-le che si formano per precipitazione chimica o secre-zione organica direttamente nel bacino di sedimenta-zione, nel quale possono venire spostate e accumulate.

I componenti ortochimici sono precipitati chimiciformati entro il bacino di sedimentazione, come le eva-poriti, o derivati da soluzioni circolanti entro lo stessosedimento, come il cemento.

Nella descrizione dei vari tipi di rocce sedimentariesi utilizzano i criteri genetici (arenarie), quelli composi-zionali (rocce carbonatiche), oppure ambedue (argille).

200 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

rocc

e se

dim

enta

rie

e lo

ro p

rinc

ipal

i fat

tori

-con

trol

lo

particellariepiclastiche

gruppi fattori-controllo famiglie esempi

allochimiche

precipitate

diagenetiche

secrete

fissate

inorganiche

organiche

calcari

salgemma

dolomia

scogliere

stromatoliti

suoli

carbone

arenarie

processiidrodinamici

cristalline

processichimici

biocostruite

secrezionebiochimica

residuali

degradazionechimica

e/o fisica

fig. 2. Schema generale delle rocce sedimentariein base alle loro caratteristiche genetico-tessiturali (Bosellini et al., 1989).

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Tipi di rocce sedimentarieI principali tipi di rocce sedimentarie sono: argille

(60%), sabbie, arenarie, ghiaie e conglomerati (20%),rocce carbonatiche come calcari e dolomie (15%); a que-ste vanno aggiunte, in percentuali molto inferiori, le eva-poriti in senso stretto, soprattutto salgemma e solfati.

Le argille sono formate da particelle inferiori a 4 mmdi diametro; a esse si possono aggiungere i silt, con dimen-sioni da 4 a 62 mm. Per questo motivo, tali particelle pos-sono essere facilmente mantenute in sospensione ancheda correnti molto deboli. Gli accumuli più considerevo-li di argille si trovano sulle piattaforme continentali o,alternate ad arenarie, ai piedi delle scarpate, ove forma-no successioni, con spessore anche di alcuni chilometri,

nelle conoidi torbiditiche. Sono costituite in gran parteda minerali argillosi, derivanti da processi di idrolisi suisilicati; nei silt prevalgono il quarzo e i feldspati. Sonomolto porose ma impermeabili e quindi costituisconoun’ottima roccia di copertura, mentre non offrono pos-sibilità di accumulo come roccia serbatoio. Sotto caricogeostatico e, in genere, sottoposte a pressione, vengonocompattate con perdita di porosità e si definiscono argil-liti (o peliti, o lutiti).

Le arenarie comprendono tutte le rocce detritiche com-poste da particelle di diametro superiore a 62 mm; quan-do le arenarie non sono coerenti vengono definite sabbie.Se le particelle sono superiori a 2 mm, le arenarie rien-trano nel gruppo dei conglomerati (o ghiaie se incoeren-ti, o brecce se composte da elementi a spigoli vivi). Laloro composizione è in relazione con quella della rocciada cui derivano: prevalgono il quarzo e i feldspati, spe-cialmente quelli acidi, che sono i minerali più stabili. Iprocessi di alterazione tendono a trasformare i mineralimeno stabili, come gli anfiboli, i pirosseni, l’olivina e ingenere quelli più basici, che quindi sono meno frequenti.L’arenaria viene definita matura appunto quando l’altera-zione chimica ha agito a lungo e con maggiore intensitàsia nell’area di provenienza che durante il trasporto. Paral-lelamente agiscono gli agenti fisici, come il trasporto: ilrotolamento ha un effetto abrasivo e tende a smussare glispigoli e arrotondare le particelle. Dopo la sedimentazio-ne, fra i processi diagenetici il più importante è la cemen-tazione per precipitazione, a opera di soluzioni circolan-ti nei pori della roccia. La cementazione è fondamentaleper la determinazione dei valori di porosità.

Le arenarie vengono classificate in base alle dimen-sioni delle particelle o in funzione della loro composi-zione mineralogica. La distinzione per dimensioni è effet-tuata in scala geometrica: da 1�16 di mm, pari a 62,5 mm,

201VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

casnedi2_f3

terrigeni T. Rocce terrigene - esempio: molte argilliti,arenarie e conglomerati.Costituiscono il 65-75% della colonna stratigrafica;gran parte di esse cade nell’area scura.

Ai. Rocce allochimiche impure - esempio:argille molto fossillifere, calcari arenacei, marne.Costituiscono il 10-15% della colonna stratigrafica.

Oi. Rocce ortochimiche impure - esempio:gesso argilloso.Costituiscono il 2-5% della colonna stratigrafica.

A. Rocce allochimiche - esempio: calcarioolitici e fossiliferi.Costituiscono l’8-15% della colonna stratigrafica.

O. Rocce ortochimiche - esempio: sale, anidrite, selce.Costituiscono il 2-8% della colonna stratigrafica.

T

Ai Oi

A O10%

ortochimiciallochimici

10%

50%

10%

50%

fig. 3. Diagramma triangolare per la suddivisione delle rocce sedimentarie in base ai lorotre componenti fondamentali (Bosellini et al., 1989).

% d

i min

eral

i

quarzo

intensità dell’alterazione

argillefeldspati

mineraliferromagnesiaci

fig. 4. Variazione di composizione mineralogicache subisce una sabbia di derivazione graniticasottoposta a progressiva alterazione in un climatemperato (Bosellini et al., 1989).

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a 1�8 di mm, sabbia (o arenaria) molto fine; da 1�8 a 1�4di mm sabbia fine; da 1�4 a 1�2 di mm sabbia media; da1�2 a 1 mm sabbia grossolana; da 1 a 2 mm sabbia moltogrossolana. Analogamente si prosegue nelle rocce a granamaggiore come i conglomerati. Più diversificata è la clas-sificazione basata sulla composizione mineralogica: auna terminologia classica molto articolata, con numero-sissimi termini per rappresentare i diversi tipi di arena-rie, si preferisce attualmente la classificazione introdot-ta all’inizio del 20° secolo dal geologo tedesco AmadeusWilliam Grabau, che in sintesi definisce una roccia conun prefisso composizionale e un suffisso dimensionale(Grabau, 1913); fra le arenarie le silicoareniti, per esem-pio, hanno composizione silicatica e suffisso derivantedal latino arena «sabbia» e vengono distinte da calcare-niti, doloareniti, gessoareniti, ecc.

Questa terminologia può essere estesa a tutte le roccedetritiche o clastiche, dalle più fini (per esempio le sili-colutiti, dal latino lutum «fango») alle più grossolane(per esempio le silicoruditi, dal latino rudus «ciottolo»).È da notare che le rocce clastiche a composizione car-bonatica (come le calcareniti), malgrado la loro genesisia diversa da quella delle rocce carbonatiche di originechimica od organogena, vengono di norma descritte insie-me a queste ultime, dando maggiore importanza all’a-spetto della composizione che a quello genetico.

Le rocce carbonatiche derivano dalla precipitazionechimica di CaCO3, diretta o per fissazione da parte diorganismi con guscio o scheletro calcareo. Alla forma-zione di calcari segue spesso, per scambio ionico conl’acqua di mare contenente magnesio, la loro trasfor-mazione in dolomie, il cui minerale costituente, la dolo-mite, ha formula CaMg(CO3)2. L’interesse scientificoper le rocce carbonatiche è accentuato dal loro conte-nuto in fossili: infatti è soprattutto grazie allo studio

paleontologico dei resti contenuti nelle rocce carbonati-che che si conosce la storia della Terra nella sua evolu-zione biologica.

Oltre che per la loro connessione con il mondo bio-logico, le rocce carbonatiche si differenziano dalle altrerocce sedimentarie per la deposizione in situ, senzaapprezzabile intervento di processi di trasporto (salvo ilgià citato caso delle rocce carbonatiche clastiche), peruna diagenesi precoce e per la composizione spessomonominerale. Infatti i minerali che le compongono sonoil carbonato di calcio (nelle sue forme di calcite e ara-gonite, spesso determinate da un diverso stato cristalli-no dei gusci degli organismi) o la dolomite, derivata daprocessi secondari successivi alla sedimentazione; rara-mente il carbonato può essere quello di ferro (siderite)o magnesio (magnesite). Abbastanza frequenti sono iminerali argillosi, la cui presenza dà luogo a tipiche roccemiste, come i calcari marnosi e le marne.

La classificazione delle rocce carbonatiche presen-ta problemi più complessi rispetto a quella delle rocceclastiche, poiché, oltre che della composizione minera-logica, si deve tenere conto delle caratteristiche tessitu-rali e diagenetiche che maggiormente caratterizzano iltipo di roccia. Le classificazioni più adottate (Bosellini,1991) sono quella proposta da R.L. Folk nel 1959 (fig. 5)e quella realizzata da R.J. Dunham nel 1962 (fig. 6). Laclassificazione di Folk è basata sui componenti tessitu-rali: gli allochimici, cioè le varie particelle costituenti;la matrice, costituita da fango carbonatico (micrite); ilcemento, formato da calcite spatica, o sparite. Più usataè la classificazione di Dunham, basata sulla tessitura de-posizionale originaria in rapporto al suo significato idro-dinamico, che introduce la distinzione fra particelle senzafango, quindi deposte in ambiente ad alta energia (sco-gliera), e particelle sostenute da fango, quindi deposte

202 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

cem

ento

> 2

/3

cem

ento m

atri

ce >

2/3

mic

rite

fossili ebioclasti

ooidi

principali allochimici altre categorie

peloidi intraclasti

biomicrite oomicrite pelmicrite intramicrite

micritecon cavità(dismicrite)

(fenestra, birdseye)

biosparite oosparite pelsparite intrasparite biolitite

fig. 5. Classificazione delle rocce carbonatichesecondo la terminologiaproposta da Folk (1959),in accordo ai componentitessiturali (Bosellini et al., 1989).

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in ambiente relativamente tranquillo (laguna). Per le roccecarbonatiche di origine clastica possono essere mante-nuti i termini già descritti (calcarenite, ecc.). Nelle roccecarbonatiche le caratteristiche di porosità e permeabilitàsono in relazione soprattutto ai processi secondari, primofra tutti la dolomitizzazione.

Le rocce di origine evaporitica, meno frequenti dellealtre, rivestono molta importanza nell’industria petroli-fera perché sono impermeabili e formano delle tipicherocce di copertura. Prendono il nome dalla loro origine,legata a processi di evaporazione, particolarmente atti-vi in climi caldi e aridi. Essendo rocce molto solubili,sono facilmente oggetto di dissoluzione a opera delleacque meteoriche.

L’evaporazione di acqua marina in un sistema chiu-so causa la precipitazione progressiva di sali in ordineinverso alla loro solubilità. Il primo a precipitare è ilcarbonato di calcio, la cui scarsa solubilità dà luogo aformazione di rocce carbonatiche; queste ultime pos-sono formarsi anche con scarsa evaporazione (la pre-cipitazione è legata alla liberazione nell’atmosfera dibiossido di carbonio). Segue, con concentrazione sali-na molto maggiore, la deposizione di solfato di calcio,sotto forma di anidrite ad alte temperature, o di gessoe quindi di salgemma. Gli ultimi minerali a formarsi,in quantità minore per la loro scarsa concentrazionenell’acqua marina, sono il solfato di magnesio e il clo-ruro di potassio (silvite).

Spesso l’evaporazione non avviene in un sistemachiuso: saltuari apporti di acqua marina possono causa-re innumerevoli ripetizioni e alternanze. Nel Mediterra-neo e aree limitrofe, per esempio, hanno particolareimportanza le successioni evaporitiche del Miocene supe-riore, che sono state messe in relazione con fasi di dis-seccamento di tutto il mare in seguito alla chiusura delloStretto di Gibilterra.

Fra le altre rocce sedimentarie sono compresi i depo-siti silicei di origine biogenica, dovuti all’accumulo diorganismi a scheletro siliceo (spicole di spugne, diato-mee, radiolari), e di origine diagenetica (noduli, lenti eletti di selce), spesso presenti nelle successioni carbo-natiche; sono inoltre frequenti i depositi ferro-manga-nesiferi, fosfatici e di carbone. Nella geologia degli idro-carburi sono importanti anche i sedimenti anossici, dovu-ti alla sedimentazione di materia organica in ambienteriducente; per un maggiore approfondimento su questisedimenti, strettamente legati alle rocce madri degli idro-carburi, v. cap. 1.2.

2.2.4 Principii di stratigrafia e sedimentologia

La stratigrafiaLa stratigrafia studia il succedersi cronologico degli

eventi che hanno interessato la storia della Terra, deter-minando i rapporti di giacitura spaziali e temporali dellerocce. Strettamente legata alla sedimentazione, la stra-tigrafia analizza altresì altri fenomeni come il magma-tismo, il metamorfismo, le deformazioni, le variazioniclimatiche e i cambiamenti della distribuzione dei marie delle terre emerse.

Poiché gran parte delle attribuzioni cronologiche èdovuta allo studio dei fossili e dell’evoluzione biologi-ca propria delle rocce sedimentarie, la stratigrafia ha unvalido supporto nella paleontologia e nella sedimento-logia. I metodi per definire la cronologia di una succes-sione stratigrafica si basano su criteri relativi e su crite-ri assoluti.

Cronologia relativa. Il concetto stesso di successio-ne è un criterio relativo, legato ai rapporti verticali e quin-di temporali delle unità stratigrafiche. Il principio base

203VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

tessitura deposizionale riconoscibile

fango presente (particelle < 30 µm)

tessitura fango-sostenuta tessitura grano-sostenuta

grani < 10% grani > 10%

fango assente

componenti originali (grani)non legati assieme durante la deposizione

mudstone wackestone packstone grainstone boundstone

componentioriginari

legati assiemedurante la

deposizione

non riconoscibile

carbonaticristallini

fig. 6. Classificazione delle rocce carbonatichesecondo la terminologiaproposta da Dunham(1962), in accordo alla tessitura deposizionale(Bosellini et al., 1989).

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della cronologia relativa è infatti il principio di sovrap-posizione che presuppone il succedersi di unità semprepiù recenti dal basso verso l’alto, salvo particolari ecce-zioni, facilmente riconoscibili, di successioni intensa-mente deformate o rovesciate. L’esempio più spettaco-lare di applicazione del principio di sovrapposizione èmostrato dall’incisione del Grand Canyon del Colorado(fig. 7), nella quale affiorano in regolare successione for-mazioni che vanno dal Precambriano al Terziario, per unintervallo cronologico di oltre 600 milioni di anni. Que-sto principio è confermato dalla paleontologia che rico-nosce forme fossili sempre più evolute nella successio-ne verticale.

Il secondo principio è quello di correlazione, che per-mette di riconoscere l’equivalenza cronologica fra unitàdi successioni stratigrafiche diverse. Esso può essere sta-bilito confrontando le caratteristiche litologiche dellesuccessioni (litostratigrafia) e distinguendo le varie unità(formazioni) o sottounità (membri). La ricerca petroli-fera ha permesso di affiancare l’analisi litologica fattain superficie con l’analisi di sottosuolo: con le registra-zioni (log) elettriche e radioattive degli strati nei son-daggi si possono effettuare correlazioni basate sull’ana-logia delle loro caratteristiche; analogamente le prospe-zioni sismiche hanno permesso di tracciare sezioni chepossono essere interpretate dalla stratigrafia (sismo-stratigrafia) con possibilità di ricostruire la geometriadei corpi sedimentari. Un’unità ha di norma uno svi-luppo orizzontale limitato poiché la sua litologia cam-bia al variare dell’ambiente di sedimentazione; per cor-relazioni a vasto raggio si preferisce utilizzare il criteriopaleontologico (biostratigrafia) che consente di effet-tuare confronti anche tra un continente e l’altro. Questocriterio ha permesso di istituire una scala cronologica(cronostratigrafia) valida a livello globale, che costitui-sce la base della storia della Terra.

La cronostratigrafia permette di datare l’età deglistrati rocciosi e di stabilire le relazioni temporali esistentitra gli stessi. L’unità geocronologica fa riferimento esclu-sivamente all’intervallo di tempo durante il quale è avve-nuta la deposizione di una certa sequenza di rocce; nel-l’unità cronostratigrafica il tempo geologico è invecerappresentato dalla stessa sequenza. Le unità cronostra-tigrafiche, nel loro complesso, rappresentano quindi lavisualizzazione di quella che è stata la storia della Terra,suddivisa, in ordine gerarchico decrescente, in ere, perio-di, epoche ed età in funzione della loro importanza edella relativa durata (si vedano i dati offerti dalla Inter-national Commission on Stratigraphy; Hedberg, 1976);le unità geocronologiche esprimono invece solo il datonumerico temporale.

Altre correlazioni sono basate sul paleomagnetismo:i minerali ferromagnetici, se posti in un campo magne-tico, acquisiscono una magnetizzazione che viene con-servata durante il raffreddamento e che quindi fissa lecaratteristiche del campo magnetico al momento dellacristallizzazione di detti minerali; poiché le caratteristi-che del campo magnetico variano nel tempo, la loro deter-minazione su campioni orientati permette valutazioni dimagnetostratigrafia.

Discordanze. Il rilievo terrestre è soggetto a erosio-ne per l’azione degli agenti atmosferici: il continuo spo-stamento di materiali dai continenti agli oceani deter-mina la peneplanazione del rilievo alla fine di un cicloorogenetico, finché un’invasione del mare sull’area pre-cedentemente emersa (trasgressione) innesca il ciclosuccessivo. I prodotti dell’erosione, sedimentati inambiente sottomarino, possono dar luogo a una succes-sione continua di unità stratigrafiche, senza che si veri-fichino interruzioni nella sedimentazione. In altri casi,eventi di norma legati a fasi di deformazione comporta-no un’interruzione, registrata dalla mancanza delle unità

204 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

fig. 7. La successionesedimentaria del Grand Canyon del Colorado mostra una sovrapposizione di strati dal Precambrianoal Terziario, per un intervallocronologico di oltre 600milioni di anni (percortesia RIT, New York).

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corrispondenti, spesso ben documentata dalla paleonto-logia (hiatus sedimentario-cronologico). Il caso più comu-ne è quello del sollevamento di una parte della succes-sione con conseguente emersione (regressione). Duran-te questa fase la sedimentazione può proseguire inambiente continentale ma più spesso si attiva un pro-cesso di smantellamento e denudazione, totale o parzia-le, per opera degli agenti erosivi.

Una successiva trasgressione può dar luogo a unanuova fase di sedimentazione e sovrapposizione di stra-ti orizzontali su quelli deformati (discordanza). La casi-stica riguardante le discordanze stratigrafiche è moltovaria.

Le oscillazioni del livello del mare hanno incidenzasoprattutto sui margini continentali, dando luogo a varia-zioni della linea di costa, con conseguente diversa paleo-geografia. Le cause di queste oscillazioni possono esse-re di natura globale (eustatismo), come l’aumento di tem-peratura che determina lo scioglimento dei ghiacci, olocale, come il vulcanismo o le deformazioni della cro-sta terrestre. Sono state ricostruite curve di variazioneeustatica a livello globale (Vail et al., 1977) di grandeinteresse per la geologia degli idrocarburi, poiché unabbassamento del livello del mare (low-stand) determi-na un’attivazione dei fenomeni erosivi e una prograda-zione nel mare di corpi sedimentari nei quali possonoaccumularsi idrocarburi.

Cronologia assoluta. Mentre i principii di cronolo-gia relativa derivano dall’osservazione diretta sul terre-no, quelli di cronologia assoluta si basano sul decadi-mento degli elementi radioattivi presenti nelle rocce.Ogni elemento radioattivo si trasforma, emettendo radia-zioni, in uno o più elementi non radioattivi, cioè stabili.Il tempo necessario perché una certa quantità di elementoradioattivo si riduca della metà (semiperiodo) è rigoro-samente costante per ciascun isotopo dell’elemento stes-so. La misura di questo tempo fornisce l’età assolutadella roccia. Per datazioni di rocce molto antiche si usanole misure di decadimento del torio e dell’uranio che sitrasformano rispettivamente in piombo ed elio; la tra-sformazione del torio 232 in piombo 208 ha un semipe-riodo di 2 ⋅ 1010 anni. Misure del rapporto fra il piombocomune (204Pb) e quelli radiogenici, cioè derivati daldecadimento di torio e uranio (206Pb, 207Pb e 208Pb), con-sentono determinazioni di età assoluta. Per le prime data-zioni vennero utilizzati minerali ricchi di uranio, comela pechblenda, e si notò subito che le rocce erano moltopiù antiche delle stime effettuate in precedenza, basatesulla velocità di sedimentazione.

Altri metodi per datazioni molto antiche sono quel-li del decadimento del rubidio che si trasforma in stron-zio (semiperiodo di 9�1010 anni) e del potassio che si tra-sforma in calcio e argon.

In campo petrolifero la stratigrafia è fondamentaleperché permette di inquadrare nel tempo e nello spazio

le successioni sedimentarie incontrate nel sottosuolo, inparticolare le rocce madri e le rocce serbatoio. Fornisce,inoltre, informazioni per altre indagini quali correlazio-ni tra pozzi, interpretazione dei dati sismici, modelliz-zazione di bacino e caratterizzazione dei reservoir.

Per attribuire un’età ai sedimenti attraversati dallaperforazione e identificare il loro originario ambiente disedimentazione ci si avvale soprattutto della micropa-leontologia (studio dei microfossili); grazie alle loro esi-gue dimensioni, questi microrganismi possono essereindividuati anche in piccole quantità di sedimento o inframmenti di roccia (per esempio i cuttings). Il ricono-scimento dei microfossili si effettua con il microscopioottico su diversi tipi di preparati (campioni lavati, sezio-ni sottili, ecc.) e permette di datare la successione incon-trata e di costruire la colonna stratigrafica del pozzo, conle età e i nomi delle unità stratigrafiche attraversate.

La stratigrafia trova applicazione anche durante laperforazione, poiché, identificando gli strati che si stan-no attraversando sulla base della litologia e dei microfos-sili presenti, consente di stabilire la posizione alla qualeè giunto il sondaggio, permettendo una migliore pro-grammazione delle operazioni successive e, soprattutto,una previsione più precisa dei tempi necessari per rag-giungere la roccia serbatoio.

La stratigrafia è dunque uno strumento molto utilequando la perforazione si effettua con pozzi direziona-ti. La conoscenza dettagliata degli strati che si stannoattraversando permette, infatti, di stabilire, nel corso dellaperforazione, le variazioni di direzione da imporre alloscalpello al fine di intercettare e seguire, lungo la loroestensione, gli strati mineralizzati a idrocarburi.

La sedimentologiaLa sedimentologia studia la natura e la composi zione

dei sedimenti attuali e di quelli del passato (rocce sedimentarie) per conoscerne l’origine, l’ambiente in cuisi formano, le modalità di trasporto e di deposito, non-ché i processi successivi che modificano e trasforma-no gli accumuli sedimentari (Ricci Lucchi, 1973-1978;Reineck e Singh, 1980; Selley, 1988; Zimmerle, 1995).

Le modalità di trasporto, deposito e sedimentazionee le trasformazioni successive influiscono sulla porositàe sulla permeabilità, che sono fra i parametri fondamentalidegli accumuli di idrocarburi.

In campo petrolifero questa disciplina viene princi-palmente utilizzata per determinare la distribuzione area-le e la geometria delle rocce che possono costituire roccemadri, vie di migrazione, serbatoi, rocce di copertura,variazioni di facies e quindi potenziali trappole.

Alla scala regionale, di bacino, sono importanti siale informazioni che si ottengono dai pozzi già eseguiti,sia quelle che provengono dai rilievi geologici di super-ficie. I dati di pozzo danno, infatti, informazioni ‘pun-tuali’, localizzate nello spazio, mentre la ricostruzione

205VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

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di strutture sedimentarie visibili negli affioramenti per-mette di creare modelli geologico-sedimentari, che pos-sono essere utilizzati come riferimento per l’interpreta-zione di situazioni analoghe nel sottosuolo. Alla scala,più ridotta, di giacimento, la sedimentologia permette distudiare in dettaglio come si distribuiscono le facies delreservoir, fornendo informazioni che consentono unamigliore conoscenza del giacimento.

2.2.5 Tettonica e geologiastrutturale

La tettonica e la geologia strutturale sono discipline chestudiano i movimenti che hanno deformato e modellatola crosta terrestre.

Il movimento può realizzarsi con il semplice trasportodi un corpo roccioso da un luogo a un altro o, più comu-nemente, con una deformazione che rompe la roccia one modifica la forma e le dimensioni. La tettonica gene-ralmente studia la storia dei movimenti e delle defor-mazioni dalla scala regionale fino a quella globale, men-tre la geologia strutturale va dalla scala regionale alledeformazioni microscopiche (Boccaletti e Tortorici, 1987;Twiss e Moores, 1997).

In ambito petrolifero si applica la tettonica per stu-diare le deformazioni che hanno caratterizzato l’evolu-zione geologica di un bacino sedimentario e che posso-no aver contribuito a determinare le condizioni favore-voli all’accumulo di idrocarburi.

La geologia strutturale viene impiegata in aree piùlimitate per stabilire ugualmente modalità e tempi di for-mazione delle trappole. Con gli studi di geologia strut-turale è possibile definire la configurazione attuale, rico-struire l’evoluzione progressiva delle deformazioni neltempo (sintesi cinematica) e stabilire le relazioni esi-stenti fra gli sforzi applicati e le deformazioni risultanti

(sintesi dinamica). Questa disciplina studia anche queiprocessi di fratturazione che possono avere determina-to, per esempio nelle rocce carbonatiche, condizionipetrofisiche idonee alla formazione di reservoir.

Nel contesto della geologia degli idrocarburi, sonodi interesse le deformazioni delle rocce sedimentarie(Maltman, 1994); quando queste rocce vengono sotto-poste a sforzi subiscono una deformazione (strain) eoffrono una resistenza (stress) che dipende dal loro statofisico e dalla loro forma geometrica. Quindi un sedi-mento incoerente può assumere un particolare stato distrain in risposta a un debole sforzo, con un leggero stress,mentre un sedimento litificato richiederà una forza piùintensa, con un forte stress, per assumere lo stesso statodi strain.

La prima forza che agisce su un sedimento è la forzadi gravità che, in funzione della comprimibilità del sedi-mento stesso, produce uno strain di compattazione asso-ciato a uno stress verticale, ambedue in aumento con laprofondità, secondo una relazione che lega il carico geo-statico a densità e profondità.

Forze tangenziali determinano deformazioni di diver-sa natura in rapporto allo stato fisico della roccia sedi-mentaria, alla sua elasticità, alla sua omogeneità, all’in-tensità con cui la forza agisce in funzione del tempo ealle condizioni di pressione e temperatura. Si effettuauna prima distinzione fra le deformazioni rigide (brit-tle) e le deformazioni plastiche (ductile). Le prime avven-gono su rocce compatte (calcari e arenarie), che reagi-scono con fratture e faglie, le seconde su rocce plasti-che o incoerenti (argille e sabbie), che si deformanopiegandosi.

Se la forza agisce con bassa intensità ma in tempilunghi, una roccia compatta può deformarsi plastica-mente; analogamente temperature e pressioni alte favo-riscono deformazioni plastiche (per esempio piega-menti in calcari e arenarie compatte). Al contrario, forti

206 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

casnedi2_f08

half-grabens

half-grabens

fagliadi distacco

fagliadi distacco

faglialistrica faglia

listrica

fagliaprincipale

fagliaprincipale

fagliesintetiche

faglieantitetiche

horst horst

giaciture di faglie coniugate

graben

fig. 8. Sistemi di faglie normali di norma caratterizzate da una faglia principale associata a faglie secondarie e da faglie di distacco a basso angolo (Twiss e Moores, 1997).

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intensità in tempi brevi possono produrre deformazio-ni rigide in rocce plastiche (per esempio fratture e faglienelle argille). Un fattore molto influente è l’omogeneitàdella successione sedimentaria: calcari o arenarie sonoquasi sempre deformati rigidamente se si trovano in stra-tificazione massiccia; se invece si alternano ad argille,come avviene in una successione torbiditica, l’insiemetenderà a deformarsi plasticamente in pieghe anche astretto raggio.

Lo stile di deformazione è fondamentale nella geo-logia degli idrocarburi, così come il sistema roccia dicopertura-trappola strutturale (v. cap. 1.3). Esiste un’am-pia casistica di deformazioni per faglia, sia di originedistensiva (faglie normali, fig. 8) che compressiva (faglieinverse), il cui effetto più evidente si manifesta nellastruttura a falde che caratterizza le catene (fig. 9), in par-ticolare quella alpina (fig. 10). Anche i fenomeni di pie-gamento determinano trappole strutturali riconoscibili

dalla morfologia delle pieghe, in particolare nelle loroculminazioni assiali (v. ancora fig. 1).

Diverse tecniche permettono di ottenere tutte le infor-mazioni che contribuiscono alla definizione dei sistemifratturati e alla ricostruzione delle deformazioni struttu-rali. I dati acquisiti possono essere a tutte le scale: cam-pioni e log di pozzo danno, per esempio, informazioni ascala da pochi mm a poco più di 1 m, mentre i dati deri-vati dalla sismica o dalle immagini da satellite sono ovvia-mente a scala maggiore, da alcune decine di m a qual-che km. Quando i dati sono completi si possono rico-struire modelli geologico-strutturali tridimensionali.

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207VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

lembo di ricoprimentolimite del ricoprimento

limite del ricoprimento

superficie di ricoprimento

finestratettonica

alloctono

autoctono

fig. 9. Schema di falda di ricoprimento (allochthon)in stile compressivo che si sovrappone alla successione autoctonacon faglia di scivolamento(thrust fault). L’autoctono è esposto in finestra tettonica(window) e un lembo di ricoprimento (klippe)rappresenta l’alloctono più esterno, avulso dalla faldaper erosione (Twiss e Moores, 1997).

6° 10°8° 12° 14°

48°

46°

44°

lembo di ricoprimentodella Dent Blanche

finestra tettonicadei Tauri

Alpi meridionali

falde Austroalpine

falde Pennidiche

Appennini

Mar Ligure

Mare Adriatico

falde Elvetidie Ultraelvetidi

Giura

fig. 10. Carta strutturale delle Alpi con la distribuzione delle maggiori falde. Le falde Austroalpine si sovrappongono sulle Pennidi, affioranti altresì in due finestretettoniche (Engadina e Tauri), che ricoprono a loro volta le Elvetidi. All’esterno della catenail Giura autoctono ripiegato (Twiss e Moores, 1997).

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Raffaele CasnediDipartimento di Scienze della Terra

Università degli Studi di PaviaPavia, Italia

Mattia SellaEni - Divisione E&P

San Donato Milanese, Milano, Italia

208 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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2.2.6 Geologia del sottosuolo

IntroduzioneLa geologia del sottosuolo è una disciplina che stu-

dia, mediante la tecnica della perforazione, sia la strut-tura delle formazioni geologiche sia i fluidi che questepossono contenere (gas, olio e/o acqua). Tale indagineavviene sul luogo dell’impianto di perforazione, dove ilgeologo della compagnia petrolifera supervisiona il lavo-ro dello specialista di una società di servizio (mud loggero diagrafista). Nel laboratorio collegato all’impianto, ilgeologo studia i detriti di roccia frantumata (cuttings)disponibili per l’intera lunghezza perforata del pozzo,oppure studia le carote di fondo estratte dalle zone diinteresse e le carote di parete dove quelle di fondo nonerano mai state ricavate in precedenza. Un rivelatore digas e un gascromatografo collegati a un degassatore for-niscono informazioni sulla fuoriuscita di gas durante ilflusso del fango. Il rilevamento di gas è molto impor-tante per motivi di sicurezza e per determinare il tipo diidrocarburi presenti nei potenziali giacimenti. Altre infor-mazioni riguardanti i parametri di perforazione e le carat-teristiche del fango – densità, resistività e temperatura –vengono trasmesse al laboratorio di cantiere da sensorisituati sull’impianto di perforazione.

Ciò consente di ottenere un’interpretazione dellecaratteristiche della colonna litologica del pozzo, di

stabilire correlazioni con i pozzi vicini e, basandosi sul-l’analisi dei gas, di determinare la presenza di giacimentidi idrocarburi.

Detriti di perforazione (cuttings)La dimensione dei detriti di perforazione (cuttings)

dipende dal tipo di scalpello utilizzato, poiché più lunghisono i denti dello scalpello, maggiori sono le dimensionidei detriti; per esempio, gli scalpelli a inserti di diamantipolicristallini (Polycrystalline Diamond Compact, PDC)scalfiscono la formazione ottenendo detriti molto picco-li, alquanto difficili da analizzare. Una volta in superfi-cie, il fango procede tramite una condotta verso i vibro-vagli dove i detriti vengono separati dal fango. È possibi-le mettere un contenitore o una pedana sotto il vibrovaglioin modo da recuperare parte dei detriti da raccogliere peressere analizzati dal geologo o dal diagrafista (fig. 1).

Detriti di notevoli dimensioni (più di 5 mm), detticaving, possono cadere dalla parete del pozzo e non ven-gono frammentati sul fondo dallo scalpello. Il processodi caving è un segno di instabilità del pozzo e può crea-re dei grossi problemi, dall’occlusione del condotto alcrollo del pozzo stesso.

La perforazione ad aria compressa, anche conosciu-ta col termine inglese dusting the hole, produce detritimolto fini. È necessario estrarre una gran quantità dicampioni per recuperare dalla polvere alcuni detriti utili.

209VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

fig. 1. Cuttings osservatial microscopio (per cortesia diGeoservices S.A.).

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Un’altra potenziale fonte di difficoltà consiste nellaperdita di fango in pozzo, in quanto alcuni dei detritivengono persi oppure arrivano in ritardo rispetto al lorotempo di risalita teorico. L’analisi viene resa più com-plicata dall’aggiunta al fango di materiali per controlla-re le perdite e dalla difficoltà nell’eliminarli.

Tempo di risalita dei detriti (lag time)Il tempo impiegato dal flusso di fango per trasporta-

re i detriti dal fondo del pozzo alla sua superficie è cono-sciuto con il nome di tempo di risalita o lag time, la cuiformula generale è la seguente:

tempo di risalita (min) � volume anulare delpozzo (l) / portata del fango (l/min)

Il volume anulare viene calcolato nel modo seguente:

volume anulare � volume del/i foro/i aperto/i� volume interno del tubo di rivestimento � volu-me lineare interno � volume interno della even-tuale colonna montante (riser) � volume esternodella batteria di perforazione

La portata è data dall’espressione:

portata � volume della corsa del pistone dellapompa � rendimento della pompa � numero dellecorse del pistone della pompa al minuto

Potrebbe rivelarsi utile sapere anche il numero delle corsedel pistone della pompa necessarie a far risalire il flus-so di fango dal fondo, secondo la relazione:

numero di corse � volume anulare / (volumedescritto dalle corse � rendimento della pompa)

Nella perforazione offshore in acque profonde, è tal-volta necessaria una pompa ausiliaria per aumentarela velocità del fango nel riser di grande diametro. Inquesto caso, il tempo necessario al fango per spostar-si dallo scalpello alla testa del pozzo e da questa allasuperficie deve essere calcolato separatamente e quin-di sommato.

Il problema nasce dal fatto che il tempo di risalitadipende dal diametro del foro del pozzo aperto, il quale,in teoria, è lo stesso del diametro dello scalpello. In realtà,tuttavia, il caving potrebbe aumentare notevolmente ilvolume del pozzo rendendo il tempo di risalita calcola-to minore rispetto a quello reale.

Vi sono diverse tecniche per controllare l’accuratez-za della valutazione del tempo di risalita. Originaria-mente ciò veniva fatto versando riso colorato di rossonel condotto, in superficie, e lasciando che il riso venis-se trasportato verso il fondo dal flusso di fango e poi dinuovo verso la superficie. La misurazione del tempo cheil riso impiegava per arrivare al vibrovaglio forniva unvalore accurato del cosiddetto ciclo breve, cioè dellasomma del tempo di risalita più il tempo che il fango

impiegava per andare all’interno della batteria di perfo-razione a partire dalla superficie fino al fondo.

Per evitare l’occlusione dell’ugello, è di uso comu-ne ricorrere al carburo di calcio (che forma acetilenequando si trova a contatto con l’acqua), o al propano (idue gas vengono poi monitorati da un rivelatore). Conquesta tecnica occorre assolutamente prendere in consi-derazione il tempo di transito del gas dal degassatore alrivelatore.

CampionaturaDiversi tipi di campioni vengono prelevati dallo spe-

cialista della società contrattista e mandati ai clienti peranalisi ulteriori: • terreno umido e non lavato: 500 cm3 di campione non

lavorato (direttamente dal vibrovaglio) e riposto inuna busta di plastica sigillata;

• terreno umido e lavato: 150 cm3 di campione lavatoe riposto in una busta di plastica sigillata;

• terreno lavato ed essiccato: 20 cm3 di campione lava-to, essiccato al forno e riposto in buste di carta sigil-late;

• campione geochimico: 750 cm3 di campione nonlavorato, riposto in un contenitore e poi coperto conuna soluzione battericida; questo tipo di campione èutilizzato per gli studi geochimici.Un campione puntuale consiste in una piccola quan-

tità di detriti prelevata, con l’unico scopo di analizzarla,alla fine della circolazione, prima di una manovra (trip)o quando una qualche drastica variazione nella velocitàdi penetrazione indica una variazione litologica.

Procedimento generale d’analisiSecondo il programma di esplorazione geologica, lo

specialista della società contrattista preleva un campio-ne di detriti a un dato intervallo della perforazione (peresempio ogni 5 m). Ciò significa che se lo scalpello staperforando a una profondità di 1.000 m alle ore 12, cono-scendo il tempo di risalita (per esempio 45 min), l’ana-lizzatore prenderà un campione sul vibrovaglio alle ore12 e 45 min. Ciò che viene recuperato corrisponde quin-di all’intervallo compreso tra 995 e 1.000 m.

Nel laboratorio di cantiere in cui viene svolta l’atti-vità di registrazione dei dati della perforazione (mud-logging), la prima cosa che occorre fare è controllare l’e-sistenza o meno di un fenomeno di fluorescenza, chepotrebbe indicare la presenza di una impregnazione daolio; a tale scopo una piccola quantità di detriti vieneosservata con una lampada a raggi ultravioletti chiama-ta fluoroscopio.

Per ottenere un’analisi accurata, un volume costantedi detriti deve essere lavato attraverso tre setacci (di 5mm, 0,25 mm e 0,063 mm), come mostrato in fig. 2. Conun fango a base d’acqua, i campioni vengono lavati conacqua; con un fango a base d’olio, vengono lavati con olio

210 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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diesel o con olio, e poi vengono risciacquati con un deter-gente. Quando si perfora argilla plastica è importante cheil volume dei campioni sia costante; il materiale argillo-so è molto piccolo e passa attraverso il setaccio da 0,063mm, risultando alla fine completamente dilavato. La parterimanente è costituita prevalentemente da sabbia e il suovolume viene misurato in un tubo graduato al fine dideterminare le percentuali relative di sabbia e di argilla.

La frazione grossolana che rimane nel setaccio supe-riore proviene dal caving. La parte che rimane nei duesetacci inferiori viene osservata con un microscopio inmodo tale da poter descrivere i diversi tipi di roccia. Esi-stono numerosi test chimici che permettono di indivi-duare il tipo di roccia con il quale abbiamo a che fare.Inoltre è anche importante determinare le percentuali deidiversi tipi litologici; il campione prelevato, infatti, cor-risponde a un intervallo di profondità che va da 1 a 10 m

e, nel caso di una deposizione ritmica, esso conterràdiversi tipi di roccia.

Attrezzatura per l’analisi dei detritiI materiali necessari per analizzare i detriti sono fon-

damentalmente: a) le pinzette per maneggiarli; b) un agoper saggio ‘alla tocca’ per esaminarne la durezza; c) unvassoio di porcellana per effettuare i test chimici ‘allatocca’; d) un microscopio binoculare per osservare i detri-ti umidi; e) un calcimetro per determinare la quantità dicarbonato di calcio e di dolomite. I reagenti chimici uti-lizzati per i test in generale sono: a) una soluzione al10% di acido cloridrico; b) una soluzione al 10% di acidonitrico; c) il cloruro di bario; d) il nitrato di argento; e)i coloranti alizarina e fenolftaleina.

CalcimetriaLa calcimetria è un metodo di indagine mediante il

quale si misura il contenuto di carbonato di calcio di unaroccia, consentendo così di determinare la quantità dicalcare e di dolomite in essa presenti. Esso consiste neltrattare con acido cloridrico un peso standard di cam-pione finemente macinato e nel misurare il volume dibiossido di carbonio, per esempio sviluppato dalla rea-zione chimica:

CaCO3�2HCl → CaCl2�CO2�H2O

La registrazione della velocità di questa reazione ci for-nisce informazioni sulla presenza delle sostanze sopra-citate, soprattutto della dolomite; una reazione veloce(meno di 1 min) indica, infatti, la presenza di calcare,mentre una reazione lenta è caratteristica della dolomi-te. Nel caso del calcare dolomitico, la curva è divisa indue parti: la prima riguarda la reazione del calcare (finoa 1 min), la seconda quella della dolomite (dopo 1 minfino alla fine del processo). Anche dall’esame del resi-duo si possono ottenere dati interessanti poiché potreb-be fornire un’indicazione della presenza di sabbia, diargilla o di minerali accessori presenti nei carbonati.

La calcimetria quantitativa, inoltre, permette anchedi tener conto delle combinazioni argilla-carbonato: a)un’argilla calcarea contiene dal 10 al 35% di carbonati;b) una marna dal 35 al 65%; c) un calcare argilloso dal65 al 90%; d) un calcare puro ne contiene più del 90%.

Densità delle argilleÈ anche possibile misurare la densità delle argille

allo scopo di prevedere sovrapressioni dovute alle argil-le sotto compattazione. In condizioni normali, la com-pattazione aumenta con la profondità e l’acqua di for-mazione è espulsa con il diminuire della porosità; in alcu-ni casi, tuttavia, l’acqua non può essere eliminata in tempoe rimane intrappolata nel sedimento. L’eliminazione del-l’acqua dalle argille dipende da tre fattori: la permeabi-lità verticale molto bassa dell’argilla; la sedimentazione

211VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

campionegrezzo

franamenti ?

setaccio 2 (o 5) mm

setaccio 0,25 mm

setaccio0,063 mm

lavaggio

lavaggio

fluoroscopio

trattamentogeochimico

calcimetriadensità

delle argille

bagnatonon lavato

lavatoed essiccato

campionidi riferimentomicroscopio

essiccazione

fig. 2. Procedura di analisi del campione.

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e le velocità di affossamento (se la velocità di sedimen-tazione è molto alta, l’argilla è sepolta a notevole profon-dità prima che l’acqua abbia il tempo di fluire via e quin-di rimane intrappolata nel sedimento, per esempio inzone deltizie); l’efficacia del drenaggio (gli strati sab-biosi agiscono da drenaggio e facilitano l’eliminazionedell’acqua; per esempio, se l’argilla ha meno del 15% dicontenuto sabbioso, si avrà un’assenza di drenaggio).L’acqua in eccesso provoca una diminuzione nella den-sità dell’argilla. Quando si riporta in un grafico la den-sità delle argille in funzione della profondità, un’inver-sione nella tendenza della densità individua la parte supe-riore che è una zona sottocompattata.

Il principio della misurazione della densità delle argil-le consiste nel dividere il peso in aria di un campioned’argilla per lo stesso peso nell’aria meno il peso delcampione immerso nell’acqua.

Preparazione e uso delle soluzioni analitiche più comuni

Per distinguere il carbone dalla lignite si utilizza acidonitrico al 10%, poiché la lignite dà luogo a una soluzio-ne tendente al marrone; invece, per individuare il car-bonato di calcio e la dolomite si usa acido cloridrico al10%. A contatto con l’acido, il carbonato di calcio rea-gisce velocemente producendo un’effervescenza dovu-ta all’emissione di biossido di carbonio, mentre la dolo-mite ha una reazione più lenta.

Per determinare i solfati presenti nel gesso e nell’a-nidrite si ricorre a una soluzione di cloruro di bario pre-parata con 61 g di questo sale diluito in 1.000 cm3 diacqua distillata. In questa soluzione i solfati danno luogoa un precipitato lattiginoso.

L’alite viene individuata utilizzando una soluzione dinitrato di argento con la quale darà un precipitato latti-ginoso, che diventa nero se viene esposto alla luce.

Per mettere in evidenza i cristalli di dolomite in uncalcare dolomitico si adopera una soluzione di rosso dializarina preparata con un 1 g di alizarina rossa dissoltain 998 cm3 di acqua distillata e 2 cm3 di acido cloridri-co concentrato. La soluzione di alizarina colora di rossoil calcare ma non agisce sulla dolomite.

Il cemento industriale viene rilevato con una solu-zione di fenolftaleina preparata con 1 g di polvere di que-sta sostanza in 50 cm3 di metanolo o di etanolo. Tale solu-zione viene usata dopo una cementazione del casing perdeterminare la quantità di cemento nei campioni. Il cemen-to, infatti, viene colorato di rosso dalla fenolftaleina.

Analisi dei detritiIl primo passo nell’analisi dei detriti implica l’uso di

un ago per determinare se la roccia è tenera, compatta odura. Una roccia bianca, tenera e adesiva, che si dissol-ve completamente nell’acido, è il calcare tipo gesso; sela roccia non reagisce chimicamente con un acido si tratta

di argilla, mentre una reazione minima indica una pre-senza di marna, definibile mediante un’analisi calcime-trica quantitativa, che fornisce un risultato che va dal 35al 65% di carbonato di calcio.

Granelli disciolti possono essere definiti sabbia, mapotrebbero anche essere interpretati come arenaria fran-tumata dallo scalpello. Un campione che mostra unaminima o nessuna reazione all’acido, può essere facil-mente graffiato con un’unghia, è trasparente da biancoa rosa e dà un test positivo di cloruro di bario, è gesso oanidrite (il primo, inoltre, è più fragile e più leggero dellaseconda).

L’alite (salgemma) ha una minima o nessuna reazio-ne all’acido, è trasparente da bianco a rosa, si scioglienell’acqua, ha un sapore salato e reagisce positivamenteal test col nitrato d’argento. La lignite è una roccia nerae fibrosa che reagisce positivamente al test dell’acidonitrico. L’argilla è un detrito solido con una minima o nes-suna reazione in acido, si graffia e si rompe facilmentecon un ago e, infine, è refrattaria a qualsiasi test chimi-co. Per quanto riguarda le rocce dure, una forte reazionecon un acido e una quantità di carbonato di calcio supe-riore al 65% sono indici caratteristici del calcare. La dolo-mite dà luogo a una reazione chimica più lenta. Inoltreun test colorimetrico all’alizarina consente di individua-re i cristalli di dolomite in un calcare dolomitico. Unaminima reazione all’acido ma con una gran quantità diresiduo molto fine indica la presenza di marna.

Una roccia molto dura che non può essere graffiatacon un ago, ma che graffia il vetro, è una roccia silicea(chiamata selce se è nera, mentre le selci verdi o rossesono il diaspro o le radiolariti). Un calcare siliceo rea-girà con l’acido cloridrico. Talvolta alcune rocce ignee,come per esempio il basalto, possono essere perforate.

Un insieme di molti grani cementati tra loro può esse-re interpretato in modi diversi: se è possibile separarevisivamente i grani e se vi sono delle sabbie disciolte pre-senti nel campione, si tratta di arenaria. Dopo la cemen-tazione del casing, nei campioni il cemento può assume-re l’aspetto di un’arenaria, ma esso può essere identifi-cato mediante il test con la fenolftaleina. Se invece i granisi uniscono e sono disposti a caso, con molta mica, siamoin presenza di granito o di un’altra roccia plutonica.

Preparazione di sezioni sottiliLe sezioni sottili vengono realizzate allo scopo di

determinare il tipo di roccia, per fornire informazioniqualitative riguardanti la dimensione dei pori e la lorointerconnessione e infine per facilitare l’identificazionedei microfossili. Tali sezioni – molto utili per l’indivi-duazione dei carbonati – possono essere realizzate suidetriti di perforazione o su quelli delle carote.

Esistono due metodi per ottenere sezioni sottili: quel-lo convenzionale, dove i campioni vengono incollatidirettamente su un vetrino, e quello in cui i campioni

212 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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(non coerenti o molto fragili) vengono invece collocatiin una matrice modellata fatta con una resina trasparen-te. Il primo metodo è utilizzato al meglio quando le roccesono aderenti e non molto fragili e i detriti vengono levi-gati su un piattino di vetro ricoperto da polveri abrasi-ve, finché diventano trasparenti e possono essere osser-vati con un microscopio.

Rilevamento degli idrocarburi Gli oli danno fenomeni di fluorescenza se sottoposti

all’azione dei raggi ultravioletti, mediante un’appositalampada. Gli oli naturali hanno un colore fluorescenteopaco e ‘sporco’ (fig. 3), mentre quelli artificiali e i gras-si hanno un colore brillante e ‘vistoso’. È importantedistinguere fra i due perché il grasso della batteria diperforazione potrebbe essere presente anche nei detritie quindi essere inteso, erroneamente, per una manife-stazione della presenza di idrocarburi.

Un test di ‘fluorescenza indiretta’ viene effettuato suun campione essiccato: alcune gocce di solvente vengo-no versate sui detriti e poi messe sotto una lampada a raggiultravioletti. Questo test elimina il rischio di interpretarela fluorescenza minerale (eventualmente dovuta alla cal-cite e alla fluorite) come fluorescenza da olio (fig. 4). Glioli morti e gli asfalti non possiedono una fluorescenzadiretta ma mostrano una forte fluorescenza indiretta.

Descrizione del campioneIl campione viene sempre descritto nel seguente modo

standard: nome della roccia, colore, durezza e fissilità,elementi o granuli. La descrizione di quest’ultimo fat-tore dipende dal tipo di roccia: per esempio, per i car-bonati viene riportata la natura del granulo e la sua dimen-sione, mentre per le rocce clastiche si definiscono an-che la dimensione del granulo, la rotondità, la sfericitàe l’assortimento. La descrizione continua poi con il tipo,

la natura e la cristallizzazione del cemento o della matri-ce, i minerali accessori (pirite, calcite, quarzo e così via),i fossili, la stima della porosità visiva e indicazioni sullapresenza di idrocarburi, che possono essere di vario tipo:visive (macchie, eruzione di gas), da fluorescenza diret-ta (estensione, intensità, colore), da fluorescenza indi-retta (velocità, intensità, colore). Altre caratteristichepossono essere aggiunte alla fine della descrizione.

Il masterlog o mud logIl masterlog è il documento finale che contiene tutti

i dati riguardanti il pozzo. Una interpretazione dellacolonna litologica sul masterlog viene realizzata con l’au-silio di tutte le informazioni disponibili (percentuale deidetriti, velocità di avanzamento, manifestazioni di gas,raggi gamma e così via).

Un masterlog standard contiene le seguenti colonne(da sinistra a destra): a) data; b) curva della velocità diavanzamento, dati dei log elettrici (raggi gamma, resi-stività), profondità, caratteristiche dello scalpello, indi-cazioni della manovra, diametro del casing e profonditàdella scarpa; c) percentuali dei detriti; d ) fluorescenzadiretta e indiretta da frazione del detrito; e) curva totaledel gas; f ) tutti i gas individuati con l’analisi cromato-grafica (dal metano al pentano); g) interpretazione lito-logica; h) dati del fango; i) descrizione geologica e misu-ra della deviazione del pozzo.

Interpretazione della colonna litologica L’interpretazione di una colonna litologica si effet-

tua con l’ausilio di diverse fonti di informazione, innan-zitutto le percentuali e le descrizioni dei detriti. Tali per-centuali sono rappresentative di un intervallo di perfo-razione (1 m se la perforazione è lenta, ma potrebbearrivare a 10 m all’inizio del pozzo o nel caso in cui ci

213VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

fig. 3. Cuttings con la fluorescenza diretta(Geoservices S.A.).

fig. 4. Cuttings con la fluorescenza indiretta(Geoservices S.A.).

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fosse un’alta velocità di perforazione) e quindi potreb-bero contenere varie litologie mescolate insieme. La pre-senza di manifestazioni di gas aiuta a determinare la posi-zione dei livelli porosi/permeabili (generalmente arena-rie o calcari fratturati). Le variazioni rilevabili sulla curvadella velocità di perforazione permettono di localizzarele parti superiori e quelle inferiori degli strati di diversadurezza o perforabilità. La curva calcimetrica evidenziai livelli dei carbonati (calcare, dolomite e marne). La pre-senza di livelli di sale è indicata da una diminuzione nellaresistività del fango. Altre informazioni utili vengonofornite dai log di raggi gamma e dal log di resistività quan-do durante la perforazione è disponibile la registrazio-ne elettrica, detta in inglese Logging While Drilling(LWD). I log di raggi gamma mostrano i livelli di argil-la, e la resistività può individuare diversi tipi di fluidi (èalta per l’acqua dolce e gli idrocarburi ed è bassa perl’acqua salata).

CaroteL’analisi dei detriti è limitata poiché è molto diffici-

le trovare elementi macroscopici da valutare; essi, però,possono essere studiati in una carota, cioè in un cilindrodi roccia perforata con uno scalpello diamantato a formadi corona circolare (il cilindro è intrappolato in un caro-tiere posto sopra lo scalpello). Possono essere prelevatidue tipi di carote: per gli studi litologici oppure per cono-scere le caratteristiche del giacimento. La carota litolo-gica fornisce informazioni sulle strutture sedimentarie,le fratture, i macrofossili, l’inclinazione e lo spessoredella stratificazione, la granulometria nei conglomera-ti, ecc. Una carota prelevata in un giacimento permettedi valutare la sua porosità, la sua permeabilità e il suogrado di saturazione in acqua e in olio.

La più semplice analisi della carota effettuata in can-tiere include un esame fisico della superficie della caro-ta, il prelevamento di frammenti per la descrizione lito-logica e un test per individuare la presenza di idrocar-buri (con luce normale e ultravioletta). Se la carota èprotetta da un manicotto, i campioni possono essere pre-levati solo dalle estremità di ciascuna sezione. Alla fine,il geologo di cantiere compila un rapporto nel qualedescrive la carota basandosi su tale esame.

Se la carota non è protetta da un manicotto, è possi-bile osservarne l’intensità e il colore della fluorescenza.L’intera carota, inoltre, dovrebbe essere descritta detta-gliatamente nel modo seguente: aspetto, caratteristichelitologiche degli strati, strutture sedimentarie. Si prele-va un piccolo campione ogni volta che vi è un cambia-mento degno di nota (facies, litologia, durezza, porositàapparente, granulometria e colore). Se la litologia è unifor-me, viene prelevato un campione a ogni metro.

Se si vuole effettuare un’analisi dettagliata della caro-ta in un posto diverso dal cantiere, essa deve essere imbal-lata il prima possibile dopo il prelevamento dei campioni.

Quando l’imballaggio è completo, viene effettuata un’ul-teriore analisi sui campioni: a) indagine col microsco-pio binoculare; b) analisi calcimetrica; c) test della fluo-rescenza indiretta; d) realizzazioni di sezioni sottili. Unavolta che l’analisi è completa, viene compilato un rap-porto sulla descrizione della carota con le seguenti infor-mazioni: a) intervallo carotato e percentuale di recu-pero (il più delle volte si perde parte della carota nelforo quando viene estratto il carotiere); b) profonditàdella campionatura; c) descrizione litologica; d) risul-tati della calcimetria; e) fluorescenza qualitativa (diret-ta e indiretta).

Carote di pareteLe carote di parete sono utili per l’acquisizione di

informazioni dopo aver perforato un pozzo o parte diesso senza che sia stato effettuato alcun carotaggio. Lecarote vengono prelevate per mezzo di uno speciale fuci-le disceso mediante un cavo. I minicarotieri vengono spa-rati con esplosivi che penetrano la formazione. Essendoi carotieri collegati al fucile da un cavo, l’estrazione delfucile fa estrarre tutte le carote.

Le carote di parete vengono prelevate a discrezionedel geologo di cantiere, di solito dopo aver completato laperforazione in una determinata fase. Vengono prelevatenumerose carote sulla parete del pozzo al fine di sondarela zona di interesse (giacimento o altra zona critica).

Per impedire la perdita dei fluidi recuperati, subitodopo il recupero le carote vengono conservate in reci-pienti di vetro. Sul cantiere di perforazione, l’esame dellacarota di parete è dunque limitato soltanto a una descri-zione visiva, senza che venga effettuato alcun esamemicroscopico.

Fango di perforazioneL’analisi del fango di perforazione costituisce anch’es-

sa una ricca fonte di informazioni. Una diminuzione nellaresistività del fango che fuoriesce dal pozzo può indica-re la presenza di sali, che può avere due origini: perfo-razione di strati di sali oppure acqua salata prodotta dauna formazione ad alta pressione. Se i sali si trovano instrati sottili, potrebbero dissolversi completamente in unfango a base d’acqua e non sarà possibile individuarlinei detriti. Le variazioni nella densità del fango permet-tono di distinguere questi vari tipi di origine dei sali.L’aggiunta di acqua al fango ne diminuisce la densità, etale diminuzione di densità si manifesta anche in pre-senza di invasione fluida, come gas od olio.

Gas

Idrocarburi I più importanti idrocarburi rilevati sono gli alcani

o paraffine. La rilevazione che va dal metano al penta-no è realizzabile con attrezzature standard, ma l’uso di

214 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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spettrometri di massa associati a un degassatore/riscal-datore permette di individuare gli alcani che vanno dalmetano all’ottano, nonché i composti aromatici (ben-zene, toluene, xilene). Tutte queste sostanze sono alta-mente infiammabili e potenzialmente pericolose in casodi eruzione.

A seconda della proporzione gas-olio nel giacimen-to, possiamo definire diversi tipi di gas: un gas secco,che contiene meno di 1,3 l di liquidi condensabili per100 m3 di gas e un gas umido, che ha più di 4 l di liqui-di condensabili per 100 m3 di gas. In un giacimento sot-tosaturo, il gas è dissolto in olio. Un giacimento saturoha una cappa di gas (denominato gas libero) che occu-pa la parte superiore del giacimento stesso; in generale,comunque, il gas potrebbe anche essere dissolto in acqua.Gli idrocarburi, infine, possono essere contenuti all’in-terno di una gabbia di acqua congelata sotto forma diclatrati (idrati di idrocarburo), che hanno l’aspetto dellaneve e sono stabili ad alta pressione e a bassa tempera-tura. I clatrati sono stati riscontrati in alcuni sedimentiin Alaska e in Siberia, ma anche in operazioni di perfo-razione in mare profondo.

Altri gasUn gas contenente idrogeno solforato (H2S) è chia-

mato gas acido. Quando l’idrogeno solforato è presen-te in basse concentrazioni ha lo stesso odore delle uovamarce, invece le alte concentrazioni rendono l’odoremeno forte. Esso è estremamente tossico e letale quan-do le concentrazioni in atmosfera superano 500 ppm.Inoltre è anche infiammabile e molto corrosivo nei con-fronti dei metalli (l’attrezzatura di perforazione diventanera e si spezza facilmente). Il rischio maggiore in unimpianto di perforazione è proprio la possibilità di unaeruzione di questo gas.

Il biossido di carbonio (CO2) non è infiammabile,ma la sua alta solubilità in acqua provoca una grandeespansione del suo volume e quando arriva in superfi-cie può causare una eruzione.

L’idrogeno (H2) è altamente infiammabile, ma la suapresenza in un pozzo è spesso dovuta all’azione di metal-lo contro metallo o a reazioni elettrolitiche provocate daun contatto metallo-prodotti fangosi.

L’elio (He) è un gas inerte creato sotto forma di radia-zione alfa a causa della disintegrazione di elementiradioattivi riscontrati nella crosta terrestre; esso si spo-sta attraverso la litosfera nelle fratture delle rocce.

Valutazione dei gasUn gas che raggiunge la superficie potrebbe esiste-

re in una fase diversa nel giacimento, a seconda dellatemperatura e della pressione, della composizione in idro-carburi, della quantità di gas dissolto nell’olio e nel-l’acqua e del tipo di giacimento (saturo o insaturo). Duran-te il percorso verso la superficie, ovviamente il volume

del gas aumenta con il diminuire della pressione. Que-sta espansione segue l’equazione:

VS�(VR�ZS�TS�PR) � (ZR�TR�PS)

dove PR rappresenta la pressione del gas nel giacimento(kPa), PS la pressione del gas in superficie (kPa), TR latemperatura del gas nel giacimento (K), TS la tempera-tura del gas in superficie (K), VR il volume del gas nelgiacimento (m3), VS il volume del gas in superficie (m3),ZR il fattore di compressibilità del gas nel giacimento eZS il fattore di compressibilità del gas in superficie.

Il gas liberato è quello contenuto nei pori del volu-me di roccia perforato, di conseguenza la sua quantitàdipende dalla porosità della roccia medesima. Il volumedi gas liberato aumenta con la permeabilità e con la poro-sità della formazione, con il diametro del pozzo e con lavelocità di penetrazione dello scalpello.

Il gas prodotto si manifesta quando la pressione delgas di formazione è maggiore della pressione idrostati-ca della colonna del fango di perforazione. In tal caso ilgas fluisce dalla formazione fin dentro il foro del pozzoprovocando un kick, ossia l’ingresso improvviso di unfluido nel pozzo, o, peggio ancora, una eruzione.

Il gas riciclato è quello che non è stato eliminato dalleattrezzature di superficie e che viene pompato di nuovonel pozzo. Più pesante è il gas, più difficile è la sua estra-zione dal fango. Con un degassatore collocato nelle vascheè possibile valutare e rimuovere il gas riciclato dal gasliberato. In tal caso è necessario conoscere il tempo diciclo lungo del fango, cioè il tempo che il fango impie-ga a compiere un ciclo completo da/verso le vasche diaspirazione.

Si denomina gas di manovra (trip gas) quello pro-dotto dal pistonaggio durante la manovra. Mentre il gasviene trasferito durante il tempo di manovra, il trip gaspotrebbe arrivare prima del tempo di risalita (special-mente se la manovra è lunga).

Il pistonaggio durante la connessione delle aste pro-duce un pipe connection gas che dovrebbe arrivare dopoun certo tempo di risalita. Se tale gas arriva con un temposuperiore al tempo di risalita, ciò sta a indicare uno sca-vernamento.

Acquisizione dei dati pratici

RilevamentoIl degassatore rappresenta una parte importante della

catena e degli strumenti per l’analisi dei gas. Esso è col-locato dopo il vibrovaglio o sul condotto di erogazioneed estrae dal fango, sotto forma di soluzione, una partedel gas che viene poi mescolato con aria nella camera didegassaggio. Un degassatore standard è composto da unacamera di degassaggio immersa nel flusso di fango: unagitatore a forma di ‘T’ ruota e rimuove il gas dal fango;una linea collega la parte superiore della camera con una

215VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

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pompa a vuoto nel rivelatore di gas posto nel laborato-rio geologico (fig. 5). Il problema che sorge con questostrumento consiste nel fatto che la lettura della percen-tuale del gas dipende dalle variazioni del livello del fangonella camera di degassaggio. Per eliminare tale incon-veniente può essere utilizzato un degassatore di livellocostante. Il principio di base è lo stesso, ma la camera didegassaggio non è immersa nel flusso mentre una pompaporta il fango attraverso una sonda di aspirazione dallalinea di flusso alla camera di degassaggio. È importan-te posizionare la sonda di aspirazione in prossimità delnipplo a campana per evitare il degassaggio spontaneodel fango. Il rivelatore di gas fornisce la percentuale digas nella miscela aria/gas. Il più comune sistema di indi-viduazione del gas si basa sulla tecnologia FID (FlameIonization Detection).

La combustione di idrocarburi gassosi con una fiam-ma a idrogeno origina ioni carbonio-idrogeno caricatipositivamente e raccolti da un catodo. La conta degli ioniviene compiuta da un elettrometro. L’intero processo èequivalente a un contatore di carbonio. Infatti, la com-bustione di una molecola di metano (CH4, detto C1) pro-duce uno ione, cioè il contatore del carbonio segna ilvalore 1. Per una molecola combusta dell’etano, C2H6(detto C2), il contatore segna il valore 2 e così via per glialtri gas con atomi di carbonio superiori a 2 (C3, C4, ecc.).Di conseguenza, l’individuazione del gas totale basatasul conteggio degli atomi di carbonio da una miscela di

gas è fatta in termini di un equivalente di metano (dalmomento che il metano è considerato l’unità di baseavendo un solo atomo di carbonio). Tale rilevamento ècontinuo e rende bene l’idea delle variazioni della per-centuale di gas, che è di enorme importanza ai fini dellasicurezza.

È possibile ottenere un dato quantitativo delle diver-se percentuali di gas mediante la cromatografia, che con-siste in una separazione dei gas in una colonna riempi-ta di un materiale in grado di adsorbirli in modo diffe-renziato in base al loro peso molecolare. Così il tempodi percorrenza del metano nella colonna sarà minorerispetto a quello dell’etano e così via. I gas lasciano lacolonna cromatografica uno alla volta e in questo modopossono essere bruciati e misurati nel rilevatore che uti-lizza il FID. L’intero processo cromatografico impiega3 min. Con questo metodo possono essere rilevati pocheppm di gas, ma esso è valido solo per gli alcani (dal meta-no al pentano).

La sostituzione del FID con uno spettrometro di massapermette di effettuare un’analisi più rapida, di ottenereuna maggiore precisione (da 1 ppm) e di analizzare un’am-pia gamma di gas (gli alcani dal metano all’ottano, i com-posti aromatici, il biossido di carbonio, l’elio, l’idroge-no solforato e così via).

Per quanto riguarda il campionamento del gas, siusano due tubi di metallo collegati in parallelo al gasdot-to fra il degassatore e la pompa a vuoto del rivelatore.Un dispositivo consente di chiudere un tubo e aprire l’al-tro. Il tubo chiuso contiene un campione di gas e puòessere rimosso, il tubo aperto viene riempito dal flussodel gas. Questo sistema evita l’interruzione del flussodel gas in direzione del rivelatore.

Normalizzazione del gasL’indice corretto di gas (Corrected Gas Index, CGI)

rappresenta una percentuale di gas normalizzato corret-ta per le variazioni della portata, la velocità di penetra-zione (Rate Of Penetration, ROP) e il diametro dello scal-pello. Il CGI è dato dalla formula seguente:

CGI�(gas-nell’aria � portata � ROP) /volumemetrico del pozzo

dove il CGI è espresso in percentuale decimale, il gas-nell’aria in percentuale decimale, la portata in m3�min,la ROP in min�m, il volume metrico del pozzo in m3�m.

La normalizzazione volumetrica cerca di fornire larelazione fra i valori del gas realmente letti e un insie-me standard di condizioni di perforazione per la stessaprofondità:

Gn�[Ga�Rn�(Dn)2�Qa] / [Ra�(Da)

2�Qn]

dove Gn rappresenta il gas normalizzato in percentuale,Ga la reale percentuale del gas letta dal rivelatore del gastotale, Rn la normale velocità di penetrazione in questo

216 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

tubodi gomma

8 mm. I.D.

serbatoiocilindrico

uscita fanghi

raccordoa femmina

braccimontantitubolari

presa d’aria

motore

cameradi degassamento

piastra rotanteper raccordo

all’unità mud logging

tubo di decantazione

valvola di controllo

tubo di gomma12 mm I.D.

uscita del gas

galleggiante

pala rotantelivello dei fanghiraccomandato

fig. 5. Degassatore standard.

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tipo di formazione in ft/h o m/h (l’usuale velocità di pene-trazione in aree produttive va dai 20 ai 30 m/h), Dn il dia-metro normale del pozzo in pollici (dove esistono le areeproduttive, il diametro usuale è pari al valore standarddi 8,5), Qa la portata reale in gal/min o l/min, Ra la velo-cità di penetrazione reale in ft/h o m/h, Da il diametroreale del pozzo in pollici, Qn la portata normale in gal/mino l/min (la portata usuale quando viene perforata un’a-rea produttiva è 900-1.000 l/min).

Saturazione del gasL’indice potenziale della superficie (Surface Potential

Index, SPI) rappresenta il volume di gas recuperato insuperficie per ogni m3 di roccia perforata (questo indi-ce richiede di conoscere la percentuale di gas nel fango).Lo SPI è dato dalla formula:

SPI � (gas-nel-fango�portata�ROP) /(100� volume del pozzo)

dove lo SPI è adimensionale, il gas-nel-fango è indica-to in percentuale decimale, la portata in m3�min, la ROPin min�m e il volume del pozzo in m3�m.

La saturazione del gas calcolata (Calculated GasSaturation, CGS) rappresenta il volume di gas per m3

di roccia perforata alle condizioni della temperatura edella pressione del fondo del pozzo:

CGS�(100�SPI�Pa�Z�Tu) / (Pu�Ta )

dove CGS è data in percentuale, Pa (pressione in super-ficie) in kg�cm2, Z (compressibilità del gas) è ricavatadal diagramma di Katz, Tu (temperatura della formazio-ne) in K, Pu (pressione della formazione) in kg�cm2, Ta(temperatura della superficie) è 288 K.

Rapporti fra i gasL’analisi dei rapporti fra i gas ha molte applicazioni:

a) la determinazione dell’origine del fluido (termogenicao biogenica); b) la possibile miscela o diffusione nel gia-cimento; c) i processi di alterazione (biodegradazione,lavaggio con acqua e così via); d) i contatti con i fluidi;

e) la valutazione indipendente sulla collocazione delle payzones sui siti dell’area di pagamento (contesto di acquadolce, letti sottili, presenza di zone stagne); f ) l’identifi-cazione del marcatore per il geosteering, studio della con-nettività; g) l’efficacia della roccia di copertura; h) i cri-teri per il campionamento del fluido del giacimento; i) leorigini dei cambiamenti di composizione e così via.

Il confronto fra i rapporti di gas di diversi pozzi for-nisce un buono strumento di correlazione. Molti rapportidi gas sono disponibili per quest’analisi, per esempio,leggeri�pesanti, C1�C3, percentuali di isomeri. I rappor-ti iC4�nC4, iC5�nC5 consentono il rilevamento della bio-degradazione esercitata dai batteri che attaccano prefe-ribilmente gli alcani normali.

Se il fluido non è stato biodegradato, alcuni autoristimano che una percentuale di C1�C2 da 2 a 15 indichiun’area potenzialmente ricca di olio, mentre una per-centuale fra 15 e 65 indichi un’area a gas. Più bassa è lapercentuale di C1�C2, più ricco sarà il gas (o più bassala densità dell’olio). Una percentuale di C1�C2 minoredi 2 o maggiore di 65 probabilmente indica una zona nonproduttiva.

Bibliografia generale

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Jean-Claude DereuderGeoservices S.A.

Le Blanc Mesnil, Francia

217VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

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tura o di faglia, avviene in sedimenti argilloso/siltosinon consolidati e pregni di acqua. Le eruzioni di fangocreano corpi conici e sono frequenti gli episodi paros-sistici a carattere esplosivo e le forti emissioni gassosein grado di alimentare fiamme poderose. Solitamentequesti corpi misurano pochi metri in altezza, come quel-li dell’Appennino Emiliano, ben descritti fin dal Sette-cento da naturalisti come Antonio Vallisneri e LazzaroSpallanzani, ma alcuni, come quelli dell’area di Bakuin Azerbaigian, raggiungono altezze di diverse decinedi metri. L’area di Baku, con i suoi vulcani di fango etutti i fenomeni connessi (fontane di petrolio, esplosio-ni e accensioni di gas metano) è, nella storia, la localitàpetrolifera più celebrata, visitata e descritta da viaggia-tori, naturalisti e geologi che si occupano di petrolio.Basti ricordare l’antichissimo tempio di Zoroastro (iltempio del fuoco perenne), le citazioni delle ‘fontane diolio’ nel Milione di Marco Polo (seconda metà del 13°secolo), gli antichi pozzi di petrolio scavati a mano(documentati già nel 16° secolo) e il primo modernopozzo di petrolio (perforato, vicino a Baku, nel 1848,11 anni prima del più celebrato pozzo del ColonnelloDrake in Pennsylvania),

A differenza dei gas, per i quali le analisi offrono diregola solo indicazioni sul tipo di fenomeno generativo(biogenico o termogenico) e sul suo grado, per gli oli/bitu-mi si può spesso ricostruire, in assenza di alterazionicome la biodegradazione, una più precisa caratterizza-zione della roccia madre. I campioni di bitumi/asfaltidevono essere scelti fra i meno alterati, avendo l’accor-tezza di conservarli o in recipienti di vetro o avvolti inpellicola di alluminio. Tramite analisi gascromatografi-che, isotopiche e di spettrometria di massa, è possibilededurre la facies litologica, l’ambiente di sedimentazio-ne, il tipo di materia organica e l’età approssimativa dellaroccia madre.

Inquadrando correttamente i diversi tipi di oli/bitu-mi, la loro distribuzione areale, la frequenza e l’entitàdei ritrovamenti, è possibile dedurre l’importanza di undeterminato evento naftogenico. Con l’analisi degli idro-carburi liberi estraibili da potenziali livelli naftogeni-ci, è possibile ottenere una esaustiva correlazione olio-roccia madre.

Le manifestazioni in superficie di petroli e asfaltihanno incuriosito l’uomo fin dall’antichità ed è super-fluo ricordarne gli innumerevoli usi. I primi sfruttamentiavvenivano per semplice coltivazione del prodotto cheemergeva naturalmente, o con la tecnica dei pozzi digrande diametro scavati a mano. Lo sfruttamento indu-striale tramite pozzi di piccolo diametro trivellati è, neivari luoghi del mondo, sempre partito dalle aree che pre-sentavano ricche manifestazioni naturali in superficie.Le manifestazioni sono molto spesso espressione didismigrazioni di petrolio da giacimenti solitamente pic-coli e poco profondi. Esse generalmente danno vita, in

una determinata area petrolifera, a un primo ciclo diesplorazione, sovente limitato nel tempo e nelle quan-tità di olio recuperato. Solo con il maturare di nuoviapprocci di ricerca un’area può essere soggetta a rivalu-tazioni continue che possono alla fine alimentare piùcicli esplorativi.

La storica sorgente di acqua e petrolio di Tramutolain Val d’Agri, Basilicata (fig. 6), per esempio, è stata ori-ginata dall’emersione in superficie, per scarsa tenutadella roccia di copertura, di petrolio e gas da un mode-sto accumulo poco profondo sfruttato negli anni Trentadel secolo scorso. Quest’accumulo è, a sua volta, il risul-tato di una dismigrazione da un accumulo più profondo.Un secondo ciclo esplorativo, iniziato negli anni Ottan-ta, avente come obiettivo il reservoir sottostante, dotatodi coperture più efficaci, ha permesso di scoprire il piùgrande giacimento onshore di petrolio dell’Europa occi-dentale. L’olio affiorante in superficie è risultato, quin-di, l’indizio di un processo naftogenico identificante unsistema petrolifero attivo di primaria importanza.

Nel corso dell’ultimo decennio si stanno afferman-do metodologie in grado di rilevare e interpretare leminime tracce di idrocarburi che arrivano in superficieda un accumulo anche molto profondo. Tramite l’ana-lisi geochimica di queste tracce di idrocarburi è possi-bile elaborare carte di anomalie positive in base allacomparazione con mappe strutturali di orizzonti profon-di. Il campionamento si attua tramite carotaggio delsuolo (o di sedimenti di fondo mare), o cattura diretta(solo in terraferma) degli idrocarburi tramite moduliadsorbenti lasciati infissi nel terreno per alcuni giorni.Questa metodologia è meglio applicabile in aree congiacimenti noti. Si può infatti eseguire una calibrazione

220 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

fig. 6. Sorgente di acqua, petrolio e gas di Tramutola (Val d’Agri, Basilicata). Nel ruscello, immediatamente a valle della sorgente, sono evidenti le chiazze di denso petrolio, mentre al bordo è visibileuna concrezione di asfalto (Eni).

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delle caratteristiche delle tracce di idrocarburi rileva-bili in superficie sulla verticale dei pozzi mineraliz-zati (segnale oil-like) e una sulla verticale dei pozzisterili, in modo che si possa ottenere anche un segna-le di background, cioè un valore di fondo determina-to dall’insieme di segnali estranei al tipo dell’olio deigiacimenti. Successivamente, attraverso un opportunotrattamento statistico dei dati, si può attribuire a ognipunto di campionamento, in aree non esplorate da pozzi,un valore che indica la probabilità di appartenere allacategoria oil-like (segnalazione di un possibile accu-mulo profondo) o a quella di background, cioè di fondo,sterile.

Un metodo indiretto di ricerca, l’iperspettrometria,utilizza uno spettrometro montato su un aereo. Lo spet-trometro analizza un elevato numero di bande dello spet-tro elettromagnetico e lo studio si basa sull’analisi deicambiamenti chimico/biologici indotti nei suoli e nellavegetazione dagli idrocarburi. Questa metodologia è uti-lizzata soprattutto per individuare le aree inquinate dapetrolio, facilitando le operazioni di ripristino ambien-tale. In fase sperimentale è applicata in aree di esplora-zione di frontiera, per le quali si hanno solitamente datigeologici limitati e di difficile accesso, per individuare,nel terreno, eventuali manifestazioni naturali di idrocar-buri, indizio di un possibile sistema petrolifero attivo inquel bacino sedimentario.

In mare si può individuare la presenza di manifesta-zioni di idrocarburi utilizzando strumenti di telerileva-mento (per esempio, radar satellitari o laser aerotraspor-tati); studi comparativi di immagini eseguite in tempisuccessivi permettono di distinguere le anomalie gene-rate da inquinamento (per esempio scarichi di petrolie-re) da quelle determinate da manifestazioni naturali diidrocarburi.

Roccia madre: un componente del sistema petrolifero

Per capire dove sia possibile trovare e mettere in pro-duzione giacimenti di olio o gas è necessario studiare ilsistema petrolifero. Il termine petrolio in questo conte-sto si riferisce alla generazione di olio e di gas da unaroccia madre. Quantità commerciali di idrocarburi pos-sono essere trovate solo quando tutti gli elementi e i pro-cessi di un sistema petrolifero sono presenti al momen-to opportuno. Gli elementi di un sistema petrolifero sono:la roccia madre, il percorso di migrazione, la trappola,la copertura impermeabile e il carico sedimentario. I pro-cessi di un sistema petrolifero sono: la generazione, l’e-spulsione, la migrazione, la degradazione termica, l’al-terazione batterica e la miscelatura di più oli. Per per-mettere che una trappola possa essere caricata, i variprocessi devono avvenire secondo una sequenza bendeterminata, per esempio la trappola deve essere pre-

sente durante la fase di generazione ed espulsione degliidrocarburi, che altrimenti andrebbero persi o accumu-lati in quantità non commerciali.

Se sono disponibili campioni di roccia provenientida pozzi o da affioramenti, essi rappresentano un buonpunto di partenza per la valutazione delle potenzialirocce madri. Comunque, anche i campioni di olio rap-presentano un eccellente punto di partenza per arrivarea conoscere, attraverso una tecnica di inversione geo-chimica (Bissada et al., 1993), le caratteristiche dellaroccia madre. L’inversione geochimica è una tecnicagrazie alla quale dall’analisi di un olio si ricavano infor-mazioni sulla fonte dell’olio come, per esempio, il gradodi maturità termica, la litologia e l’ambiente di deposi-zione. Queste informazioni permettono al geologo ogeochimico di indirizzare la ricerca della roccia madreverso una particolare litologia e possono anche sugge-rire direttamente l’età della roccia madre stessa. Inol-tre, la frazione pesante di un olio (asfalteni) ha una buonaanalogia con la materia organica presente in una rocciamadre e può essere utilizzata per valutare sia il tipo diidrocarburi che si può formare a diversi livelli di matu-rità termica, sia la loro velocità di generazione.

Nel corso della ricerca delle effettive rocce madri inun bacino sedimentario i dati possono provenire da diver-se fonti quali: pubblicazioni scientifiche, pozzi campio-ne disponibili e archivi. In generale, per identificare laroccia madre di un particolare campione di olio si devo-no considerare tutti gli intervalli rocciosi che hanno capa-cità di generare idrocarburi. Questo vuol dire analizza-re campioni che possono andare dall’affioramento, alpozzo, a specifiche litologie o intervalli stratigrafici sug-geriti dalle analisi dei campioni di olio. Una roccia sidefinisce possibile roccia madre quando non è stata anco-ra caratterizzata dal punto di vista geochimico, e potràesserlo o meno solo sulla base del risultato delle analisie della correlazione con un giacimento di olio o di gasnoto. Una roccia si definisce invece effettiva roccia madrequando è stata provata la sua correlazione con un giaci-mento di olio o di gas noto (Magoon e Dow, 1994). Unaroccia si definisce infine potenziale roccia madre quan-do dopo essere stata analizzata risulta immatura e quin-di non ha prodotto quantità commerciali di idrocarburi(Magoon e Dow, 1994). Una roccia madre potenziale perdiventare effettiva deve trovarsi a grandi profondità oesposta a elevate temperature e successivamente risulta-re correlata con un olio già scoperto. Le caratteristichegeochimiche dell’olio o il modello geologico relativoalla storia di sedimentazione possono essere utilizzatiper ipotizzare quale potrebbe essere la roccia madre.

Gli obiettivi dell’identificazione e della caratterizza-zione di una roccia madre sono: a) identificare l’origi-ne dell’olio e del gas; b) determinare la sua capacità digenerare ed espellere idrocarburi; c) identificare il tipodi prodotti generati; d) identificare il livello di maturità

221VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

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termica per la valutazione dei percorsi di migrazione;e) misurare la sua velocità di decomposizione (cineti-ca) per valutare accuratamente il momento della gene-razione degli idrocarburi. Inoltre attraverso i dati rica-vati dall’analisi di una roccia madre è possibile valuta-re la probabilità di ritrovare idrocarburi in un datoprospect o in una data regione. Lo scopo ultimo dellavalutazione di una roccia madre è quello di definire iprospect per la perforazione e produzione degli idro-carburi. Sicuramente se uno degli elementi del sistemapetrolifero è mancante o non presente al momento oppor-tuno, non ci sarà la possibilità di avere una scoperta com-merciale di idrocarburi.

Analisi per la valutazione della roccia madre

CampionamentoGeneralmente i cutting, vale a dire i frammenti di

roccia prodotti dalla perforazione, vengono raccolti insuperficie con un intervallo di campionatura da 3 a 10 m.È molto importante identificare e assegnare una profon-dità a ogni frammento di roccia che arriva in superficie,considerando anche la lag correction (tempo di ritardodovuto alla risalita del fango dal fondo del pozzo). Perle analisi geochimiche i cutting sono utili perché le caro-te (prelevate a fondo pozzo) vengono raramente cam-pionate negli intervalli argillosi utili per valutare le poten-ziali rocce madri; durante questa fase non deve esserefatta una selezione dei campioni. Generalmente argilledi colore da grigio a nero o altre rocce scure sono indi-cative di possibili rocce madri. Approssimativamente siraccomanda di campionare una quantità di roccia equi-valente a circa 30 g, anche se è preferibile una quantitàdi circa 160 g. In alcuni casi la quantità di roccia neces-saria per le analisi preliminari può essere molto piccola(1-5 g), ma ciò dipende dalla quantità di materia orga-nica contenuta nella roccia oltre che dal tipo e dal nume-ro di analisi che si devono eseguire.

Per ottenere una misurazione ottimale della frazioneleggera (LH, Light Hydrocarbons) di un olio i campio-ni devono essere conservati surgelati o bagnati e in que-st’ultimo caso devono essere leggermente essiccati primadell’analisi. Espitalie et al. (1985) hanno misurato quan-tità ottimali di LH essiccando per 20 minuti campioni diroccia freschi. La frazione leggera di un olio può essererilevata tramite estrazione termica gascromatografica inalta risoluzione (Jarvie e Walker, 1998; Odden et al., 1998)o utilizzando una speciale tecnica di estrazione (Jarvie,dati non pubblicati). Si raccomanda la raccolta di cam-pioni in contenitori a tenuta di gas (Iso-Jars; Coleman etal., 2004); questa modalità permette di ottenere un cam-pione ben preservato e in quantità sufficiente per ognianalisi che dovesse essere successivamente necessaria.Nel contenitore a tenuta deve sempre essere aggiunto un

battericida per evitare che l’attività batterica alterigli idrocarburi.

Contenuto di carbonio organicoL’analisi iniziale per la valutazione della roccia madre

è la misurazione del suo contenuto di carbonio organicototale (TOC, Total Organic Carbon), che fornisce un’in-dicazione della quantità di carbonio disponibile per lagenerazione di olio e gas.

La quantità di carbonio organico totale necessaria perpoter avere un accumulo commerciale di idrocarburi èstata spesso oggetto di discussione nelle pubblicazioniscientifiche. È possibile classificare il contenuto di car-bonio organico sulla base di valori medi, come propostoda Baker (1962):• valori inferiori all’1,00% sono sotto la media: mino-

re probabilità che sia una roccia madre;• valori superiori all’1,00% sono sopra la media: mag-

giore probabilità che sia una roccia madre.Altri autori utilizzano termini quantitativi (Peters,

1986) o valutano il contenuto di carbonio organico infunzione della litologia della roccia madre argillosa ocarbonatica (Tissot e Welte, 1984). Jones (1984) ha dimo-strato che rocce madri argillose o carbonatiche devonoessenzialmente avere lo stesso contenuto minimo di mate-ria organica per produrre quantità commerciali di idro-carburi. Si deve anche considerare che, quando si ana-lizzano i frammenti di roccia provenienti dalla perfora-zione, i valori di carbonio organico totale sono spessoinferiori rispetto a quelli misurati sulle carote, a causadell’effetto di diluizione provocato dalla possibilità diincludere anche intervalli poveri di carbonio organico,soprastanti le rocce madri.

Comunque, è importante sottolineare che non tuttoil carbonio organico presente in una roccia madre puòessere convertito in idrocarburi a causa della mancanzadi idrogeno. Il kerogene migliore per produrre idrocar-buri liquidi mostra un rapporto idrogeno/carbonio di circa1,5. Durante la fase di generazione degli idrocarburi ilcontenuto di carbonio organico reattivo diminuisce, men-tre aumenta quello di carbonio inerte in funzione del con-sumo di idrogeno (fig. 7), avendo come risultato finaleuna struttura carboniosa condensata e povera in idroge-no. Questo materiale non ha potenziale petrolifero a causadel suo basso contenuto di idrogeno. Quando gli idro-carburi generati vengono espulsi dalla roccia madre, ilcontenuto di carbonio organico diminuisce in seguitoalla perdita di carbonio associato con gli idrocarburiespulsi (v. ancora fig. 7).

La stima del contenuto di carbonio organico totaleoriginario in una roccia madre matura è importante percalcolare la quantità di olio o gas che potrebbe esserestata generata. A elevati livelli di maturità termica, ilcontenuto di carbonio organico per un kerogene di TipoII (algale marina, in grado di generare principalmente

222 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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idrocarburi liquidi) si riduce del 30-50%. Per un kero-gene di Tipo I (algale lacustre, in grado di generare prin-cipalmente idrocarburi liquidi) la riduzione in carbonioorganico sarà del 30-80%, mentre per il kerogene di TipoIII (terrestre, in grado di generare principalmente idro-carburi gassosi) la riduzione sarà inferiore al 30%. Que-sto significa che, di solito, meno della metà del conte-nuto di carbonio organico di una roccia madre immatu-ra è convertito in idrocarburi in fase di alta maturità;pertanto i valori minimi di carbonio organico totale neces-sari per avere una roccia madre ‘commerciale’sono moltoprobabilmente vicini a 2,00%.

Analisi Rock-EvalL’analisi del carbonio organico totale è associata ai

dati ottenuti dall’estrazione termica e dalla pirolisi,comunemente chiamata Rock-Eval (Espitalie et al.,1977) o SR Analyser (Jarvie et al., 1996). In questo tipodi analisi una piccola quantità di roccia (25-100 mg)viene inizialmente riscaldata a temperature inferiori allapirolisi (<350 °C) per separare gli idrocarburi volatili;successivamente, per velocità di riscaldamento pro-grammate, la temperatura viene aumentata progressi-vamente fino a 550-900 °C ottenendo così la pirolisi(cracking) della materia organica (fig. 8). Gli idrocar-buri prodotti dalla pirolisi vengono misurati tramite unrilevatore a ionizzazione di fiamma (FID), che produ-ce un segnale corrispondente al contenuto di carbonio.In questo modo è possibile conoscere il contenuto diidrocarburi liberi (S1) e valutare il potenziale generati-vo residuo (S2). La temperatura alla quale si ottiene lamassima generazione di idrocarburi (Tmax) viene regi-strata ed è direttamente legata alla maturità termica delcampione (quando si è in presenza di solo kerogene).Alcuni strumenti registrano anche la produzione di bios-sido di carbonio, che per definizione è organico a tempe-rature inferiori alla degradazione termica dei carbonati.

Comunque, biossido di carbonio di origine inorganicapuò contaminare questa misura, specialmente in pre-senza di campioni alterati o ossidati.

Dalla combinazione dei dati ricavati dal contenuto dicarbonio organico totale e dall’analisi Rock-Eval/SRAnalyser si ottengono le seguenti informazioni: a) laquantità totale di carbonio organico disponibile per laformazione di idrocarburi (% in peso di TOC); b) il poten-ziale petrolifero attuale della roccia madre (quantitàpotenziale di idrocarburi residua, quantità di S2 in mgdi idrocarburi/g roccia); c) il tipo di kerogene al tempoattuale (potenziale per olio o gas, indice di idrogeno oS2/TOC·100); d) la maturità termica della roccia madre(Tmax in °C); e) manifestazioni di olio e potenziali inter-valli serbatoio (contenuto di olio normalizzato in mgS1/TOC·100).

Questi valori misurati sono riferiti al tempo attualeperché tutti questi parametri sono condizionati dalla matu-

223VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

materia organica totale

carbonio organico totale originale

carbonio organico totale al tempo attuale

carbonio attivo nel kerogene carbonioinerte

carbonioinerte

altri composticontenenticarbonioorganico

carbonio inolio e gas indigeni

S1 S2 (Tmax misurato al picco dell’S2)

perdita di carbonioper espulsione di olio,

gas e CO2

fig. 7. Modello della materia organica totale contenuta in un campione di roccia.

S1

S2

S4

S3

300 ° C

600 ° CTmax

quan

tità

temperatura(non isoterma

25 ° C/min)

tempo (min)

fig. 8. Pirogramma dell’analisi Rock-Eval.

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rità termica. Pertanto, l’interpretazione di questi dati devetenere conto del grado di maturità raggiunto dalla roc-cia madre.

Uno dei parametri più utili per la valutazione inizia-le del tipo di kerogene è l’indice di idrogeno (HI). Jones(1984) ha proposto uno schema per l’interpretazione deivalori di HI in funzione dell’ambiente di deposizione edel tipo di idrocarburi prodotti (tab. 1). È necessario ricor-dare che la valutazione del tipo di kerogene basato suivalori di HI non è infallibile. Per esempio, valori di HImaggiori di 700 indicano che il kerogene è di tipo lacu-stre; tuttavia questo non è sempre vero perché molte roccecon kerogene lacustre mostrano valori di HI inferiori a700, come diversi intervalli della formazione geologicaGreen River Oil Shale o della formazione Cacheuta(Argentina).

In rocce madri mature l’HI rappresenta solo il poten-ziale al tempo attuale. Il suo potenziale genetico è statoridotto in funzione del grado di maturità termica rag-giunto. Dovendo eseguire delle stime quantitative èimportante conoscere il valore originale dell’HI che puòessere determinato o approssimato una volta calcolatoil TOC originale in base alla seguente formula:

TOCo�TOCp11111 �S2p0,083

HIo� 111111333333333TOCo·100

dove o � tempo originale e p � tempo attuale.Valori originali di HI sono utili per calcolare il grado

di trasformazione del kerogene in idrocarburi. Una for-mula per il calcolo del grado di trasformazione (TR,Transformation Ratio) del kerogene è (Espitalie et al.,1985):

HIo�HIpTR� 11132

HIo

oppure una versione modificata della precedente pro-posta da Pelet (1985):

1.200(HIo�HIp)TR� 11111132

HIo(1.200�HIp)

Il parametro denominato Tmax è un indicatore chimi-co di maturità termica e, come tale, varia al variare deltipo di kerogene. Generalmente non è un parametro affi-dabile per valutare la maturità di rocce madri con kero-gene lacustre o aventi una composizione molto unifor-me. I valori di Tmax possono essere convertiti, tramiteuna semplice equazione, in valori equivalenti di riflet-tanza della vitrinite per un kerogene di Tipo III e per alcu-ni tipi di kerogene di Tipo II (Jarvie et al., 2001):

Ro�0,0180 (Tmax)�7,16

dove Ro è la percentuale di riflettanza della vitrinitein olio.

Questa formula può essere applicata solo quandola maturità della roccia madre non è particolarmenteelevata e si mantiene all’interno della finestra di gene-razione di olio, corrispondente a valori di Tmax com-presi tra 430 e 459 °C. Per gradi di maturità più ele-vati, i valori di Tmax sono irregolari perché, a causa delbasso contenuto in kerogene, spesso il picco massimodi generazione non è facilmente riconoscibile. Infine,bisogna ricordare che in alcuni tipi di kerogene la pre-senza di impregnazioni di idrocarburi solidi nella roc-cia madre può portare a una sottostima dei valori diTmax.

224 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

tab. 1. Schema di classificazione delle rocce madri in funzione dell’indice di idrogeno(Jones, 1984)

tipo di indice di indice di rapporto materia ambiente di struttura prodottikerogene idrogeno ossigeno H/C organica deposizione interna principali

I 700-1.000+ 10-40 1,4 Algale; Anossico (salino); Finemente laminata OlioAmorfa; Lacustre;Raramente terrestre Raramente marino

II 350-700 20-60 1,2-1,4 Algale; Amorfa; Anossico; Marino Laminata; OlioComunemente Ben stratificataterrestre

II/III 200-350 40-80 1-1,2 Mista marina; Variabile; Poco stratificata MistoTerrestre Deltaico olio/gas

III 50-200 50-150 0,7-1,0 Terrestre; Poco ossidante; Poco stratificata; GasPrincipalmente Piattaforma/Scarpata; Bioturbatavitrinite; CarboniAlgale alterata

IV <50 20-200 0,4-0,7 Altamente ossidata; Altamente ossidante; Caotica; Gas seccoRimaneggiata Ovunque Bioturbata

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Quantità di olio e gas prodottiUna finalità propria dell’esplorazione petrolifera è

la valutazione della probabilità che una data roccia madrepossa produrre idrocarburi in grado di caricare una trap-pola. La valutazione della potenzialità della roccia madredeve quindi comprendere anche il volume di olio o gasche può essere generato. Una metodologia per la valu-tazione quantitativa degli idrocarburi generati è stata pro-posta da Schmoker (1994). Tale metodologia permetteil calcolo della quantità di olio e di gas generati se siconoscono o possono essere stimati i valori di carbonioorganico originale, di HI originale e al tempo attuale, ladensità della roccia, lo spessore e l’estensione arealedella roccia madre. Questo metodo di calcolo tende asovrastimare i volumi di olio e gas prodotti. Modifichea questo approccio metodologico forniscono stime piùrealistiche dei volumi generati; per esempio, i valori diTOC devono essere solo quelli relativi al carbonio orga-nico reattivo e non a tutto il carbonio organico totale. Ilgrado di conversione in gas deve tenere conto anche dellamancanza di idrogeno in quantità sufficiente per idro-genare tutto il carbonio, anche quello reattivo. Inoltre,una parte degli idrocarburi può essere espulsa in altri ser-batoi, e, in più, non tutto l’olio e non tutto il gas posso-no essere recuperati. Tenendo conto di queste limitazio-ni, il metodo proposto da Schmoker può fornire un con-fronto relativo tra le quantità in volume che possonoessere generate da diverse rocce madri.

Riflettanza della vitrinite, indice di alterazionetermica e analisi ottica del kerogene

La percentuale di riflettanza della vitrinite in olio(Ro) rappresenta un’ulteriore indicazione della massi-ma temperatura raggiunta da una roccia e quindi dellasua maturità termica. La misura viene eseguita attra-verso l’analisi visuale del kerogene isolato o di un cam-pione di roccia preparato su un supporto non fluore-scente. Il suo utilizzo è dovuto al lavoro embrionale diRogers (1860), che per primo ha compreso che un car-bone si comporta come un geotermometro. In seguitoWhite (1915) ha riscoperto il lavoro di Rogers metten-do in relazione i processi di carbonificazione con i ritro-vamenti di olio e gas nel Bacino Appalachiano (USA).Un eccellente resoconto di questa storia si trova in Bur-gess (1977). La misura della riflettanza della vitrinite èbasata sull’abilità del microscopista di identificare inmaniera accurata i frammenti di vitrinite derivati dallabiomassa legnosa che sono ‘indigeni’ nella matrice roc-ciosa. Talvolta accade che, a causa della presenza dibitume, di idrocarburi solidi, di kerogene riciclato o diframmenti di inertinite, l’identificazione della popola-zione indigena di vitrinite non è ovvia e certamente puòessere soggettiva (fig. 9).

Per validare la misura della maturità termica il micro-scopista utilizza anche il colore dei palinomorfi o delle

spore, tecnica conosciuta come indice di alterazione ter-mica (TAI), o indice di colorazione delle spore (SCI).Queste tecniche, come anche le misure chimiche (peresempio Tmax), se disponibili, aiutano nella selezione deiframmenti indigeni di vitrinite nel kerogene isolato. Èrelativamente più facile riconoscere i frammenti di vitri-nite indigena nei campioni interi di roccia perché pos-sono essere identificati dal piano di giacitura nella matri-ce rocciosa. Il numero di misure di riflettanza della vitri-nite in un campione di roccia preparato è propriamentedi 20 o meno, mentre in un campione di kerogene isola-to può essere superiore a 50. Si deve sottolineare il fattoche il numero di misure è meno importante dell’accura-tezza nel determinare la popolazione indigena dei fram-menti di vitrinite, anche se è sempre auspicabile un nu-mero minimo di misure pari a 10-20.

Raramente i campioni di rocce madri rappresentanoil campione ideale per la misura della riflettanza dellavitrinite, a causa del loro basso contenuto in frammen-ti di vitrinite o per la sottostima del potere di riflettan-za dovuto al fenomeno noto come suppression (v. oltre).È spesso consigliabile utilizzare campioni provenientidagli strati sottostanti o soprastanti la roccia madre (spe-cialmente gli intervalli carboniosi) e proiettare i valoridi maturità così ottenuti sull’intervallo corrispondentealla roccia madre; in questo modo è possibile calcolarepaleogradienti di temperatura in pozzo. Spesso i profi-li di maturità mostrano un andamento lineare attraverso

225VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

40

35

30

25

20

15

10

5

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1,0

1,2

1,4

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1,8

2,0

2,2

2,4

2,6

2,8

3,0

3,2

3,4

3,6

3,8

4,0

freq

uenz

a

riflettanza della vitrinite in olio (Ro)

fig. 9. Istogrammi della riflettanza della vitrinite:A, distribuzione del numero totale di letture; B, interpretazione della sola frazione indigena.

40

35

30

25

20

15

10

5

0

freq

uenz

a

0,2

0,4

0,6

0,8

1,0

1,2

1,4

1,6

1,8

2,0

2,2

2,4

2,6

2,8

3,0

3,2

3,4

3,6

3,8

4,0

riflettanza della vitrinite in olio (Ro)

bitume solidoframmenti ricaduti (carboni)

frammenti di vitrinite indigeniframmenti di vitrinite rimaneggiati

inertinite

A

B

Page 42: 2.2 Prospezioni geologiche 2009-01-28 · se della fotogeologia: un’accurata analisi visiva con-dotta da esperti geologi con una buona conoscenza del terreno. Un altro grande vantaggio

intervalli carboniosi o privi di proprietà da roccia madre,mentre mostrano valori più bassi nella roccia madre stes-sa. Questo fenomeno è noto come suppression ed è dovu-to alla presenza o alla non identificazione di idrocarbu-ri intimamente legati al kerogene. Lo (1993) ha propo-sto un metodo basato sui valori di HI per correggerequeste misure sottostimate di riflettanza. Anche Landise Castaño (1995) hanno pubblicato una curva di cali-brazione e regressione per correggere questi valori diriflettanza misurati su bitumi solidi, rendendo così que-ste misure utilizzabili nella valutazione della maturitàdelle rocce madri.

L’analisi ottica del kerogene permette anche di valu-tare i diversi tipi di kerogene presenti in un campionesulla base della distribuzione dei macerali dei carboni.L’analisi tipo comprende l’identificazione delle seguen-ti popolazioni: amorfa, erbacea, vitrinite e inertinite. Adiscrezione del microscopista possono essere incluse per-centuali di altri specifici macerali quali liptinite, algini-te, cutinite, sporinite, ecc. Questi dati petrografici sonodi grande aiuto nella valutazione del tipo di kerogene odi parametri chimici selezionati, quali l’HI e la Tmax. Peresempio, la presenza primaria di inertinite come mace-rale spesso comporta valori di Tmax molto elevati (500 °Co superiori).

Estrazione con solventeLo scopo finale dello studio di una roccia madre effet-

tiva è quello di ottenere una correlazione con un cam-pione di olio. Per procedere alla correlazione bisognatrattare con un solvente organico la roccia madre perestrarre gli idrocarburi liberi o il bitume. Il campioneottimale per questo tipo di analisi deve avere una matu-rità compresa all’interno della finestra di generazione diolio, perché campioni immaturi non hanno le caratteri-stiche necessarie mentre in campioni troppo maturi gliestratti sono impoveriti in marker biologici a causa del-l’elevato stress termico. Per ulteriori procedure analiti-che per la preparazione di un estratto, v. oltre.

Gascromatografia abbinata alla pirolisiUna tecnica analitica semplice per valutare il poten-

ziale di generazione di olio o gas di una roccia madre èla pirolisi gascromatografica (Py-GC). Estratti da cam-pioni di roccia o kerogene isolato vengono pirolizzati efatti passare attraverso una colonna gascromatografica. Icomposti che vengono separati producono sullo spettrodoppietti corrispondenti ad alcheni e alcani e picchi inter-medi corrispondenti a vari altri composti chimici (aro-matici, tiofeni, fenoli, ecc.). Sulla base del rapporto trala quantità totale di gas (somma degli idrocarburi C1-C4)e la quantità totale di gas sommata alla quantità totale diolio è possibile ricavare informazioni sulla capacità delkerogene di produrre olio o gas. Diversi rapporti gas/oliosono stati proposti e chiamati con vari nomi, come per

esempio l’indice di generazione gas-olio (GOGI; tab. 2),BP (British Petroleum).

Altri schemi interpretativi utilizzano distribuzioniternarie dei composti C1-C5, C6-C14, e C15� (Horsfield,1990), oppure altri composti (Larter, 1985), oppure ap-procci multivariati utilizzando specifici composti deter-minati attraverso la tecnica statistica nota come analisidelle componenti principali (PCA; John Zumberge, comu-nicazione personale).

Pirolisi con il metodo MicroScale Sealed VesselUn metodo usato per generare idrocarburi in labo-

ratorio è quello noto come MSSV (MicroScale SealedVessel; Horsfield et al., 1989). Questo approccio utiliz-za microfiale in pyrex o tubi di quarzo (40 µ l) che ven-gono sigillati dopo aver aggiunto una piccola quantità dikerogene isolato (1-2 mg) o asfaltene, e riempiendo ilresto del contenitore con quarzo. Successivamente, ilcontenitore MSSV viene riscaldato in condizioni isoter-me o non isoterme, producendo così una traccia gascro-matografica, chiamata fingerprint, dei composti che sisono generati, confrontabile con un olio che si è gene-rato in condizioni geologiche naturali. Questa analisi rap-presenta un mezzo insostituibile per studiare una rocciamadre a diversi livelli di maturità e determinare i cam-biamenti della quantità e distribuzione dei prodotti. Que-sta metodica viene applicata su campioni di olio biode-gradati o su manifestazioni superficiali per ottenere unafingerprint dell’olio originale generato. Le analisi pos-sono andare dalla valutazione delle quantità di olio e gasgenerate, ai rapporti pristano/fitano o al contenuto inparaffine e alla loro distribuzione.

Cinetica della degradazione della materia organicaI parametri cinetici descrivono la velocità alla quale

la materia organica si decompone in idrocarburi in fun-zione di un determinato andamento della temperatura neltempo. Per primi si decompongono i legami più deboli,seguiti da quelli più forti. Numerose reazioni interven-gono durante i processi di trasformazione del kerogene(diagenesi) e di formazione degli idrocarburi (catagene-si). Le reazioni di decomposizione sono influenzate dallacomposizione chimica e dalla struttura della materia orga-nica (Claxton et al., 1994). Le velocità di decomposizio-ne di diverse rocce madri, espresse come grado di tra-sformazione calcolato in funzione della temperatura, sono

226 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

tab. 2. Indice di generazione gas-olio

Valore di GOGI Interpretazione

<0,35 principalmente olio0,35-0,50 misto olio-gas

>0,50 principalmente gas

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illustrate nella fig. 10 (Jarvie et al., 1996). Questa figuramostra che la posizione della finestra di generazione del-l’olio è variabile, cioè, a parità di riflettanza della vitrini-te o di maturità termica, la velocità di trasformazione perle diverse rocce madri cambia. Anche la posizione dellafinestra di generazione del gas varia molto in funzionedella roccia madre e dei prodotti primari che si formanodurante la decomposizione della materia organica.

Schemi cinetici composizionali descrivono anche laformazione di specifici idrocarburi quali metano, etanoe propano, e di idrocarburi con più alto peso molecola-re così come di composti non idrocarburici (Espitalie etal., 1988; Jarvie et al., 1998). Per la misurazione dei para-metri cinetici si possono usare sia campioni di roccemadri sia campioni di asfalteni da oli o da manifesta-zioni superficiali.

Altre tecniche per la valutazione della roccia madreEsistono numerose altre tecniche analitiche per la

valutazione delle potenziali rocce madri. L’analisi ele-mentare è stata comunemente utilizzata nel passato (vanKrevelen, 1961), ma oggi è rimpiazzata dai valori di HIe di indice di ossigeno (OI) nel diagramma modificatodi van Krevelen (Espitalie et al., 1977). L’analisi ele-mentare del kerogene isolato, comunque, fornisce unavalutazione più accurata del tipo di materia organica edel suo percorso di maturazione. Questa tecnica però èsfavorita dal fatto che l’isolamento del kerogene dallasua matrice rocciosa comporta problematiche di tipoambientale e chimico e costi di analisi.

L’analisi isotopica del gas da mud logging (MGIL,Mud Gas Isotopic Logging; Ellis et al., 2003) e il gas daheadspace rappresentano ulteriori tecniche di valuta-zione di una potenziale roccia madre o anche di un ser-batoio con gas. Per esempio, se durante la perforazionesi attraversa una roccia madre, la composizione del gase i valori isotopici del carbonio possono essere confrontaticon quelli ricavati dal gas prodotto durante una prova odurante la produzione.

La stratigrafia da inclusione fluida (FIS) è una re-cente metodica di analisi che esamina le inclusioni dipaleofluidi intrappolati nella matrice rocciosa. Questa

analisi richiede che i campioni di roccia siano accura-tamente puliti per evitare ogni tipo di contaminazioneda olio indigeno o migrato. La tecnica FIS è veloce,poco costosa e fornisce una grande abbondanza di infor-mazioni molecolari sia sulla frazione idrocarburica chesu quella non idrocarburica. Questi dati sono stati uti-lizzati (Hadley et al., 1997; Hall et al., 1997) per deli-neare e caratterizzare gli intervalli produttivi di un pozzo(pay zone).

L’idropirolisi (HP) è una tecnica di maturazione inlaboratorio che è stata largamente utilizzata per genera-re idrocarburi da una roccia madre (Lewan, 1985). Èanche utilizzata per la determinazione dei parametri ci-netici (Hunt et al., 1991; Lewan e Ruble, 2002; Lewane Jarvie, 2003).

Correlazioni olio-olio e olio-roccia madre

BackgroundLe correlazioni olio-olio e olio-roccia madre forni-

scono informazioni fondamentali per capire quali siste-mi petroliferi siano funzionali in un bacino sedimenta-rio. Il geologo che opera nell’esplorazione utilizza que-ste informazioni per valutare i prospect da perforare infunzione della possibilità di caricamento, per individua-re i percorsi di migrazione dell’olio e del gas e per valu-tare l’estensione di andamenti produttivi esistenti o laprobabilità di individuarne di nuovi. Il geologo o l’in-gegnere di produzione utilizzano accurate analisi di fin-gerprint dell’olio per valutare la continuità laterale e ver-ticale in serbatoio, per quantificare la produzione da piùlivelli e per migliorare il recupero di olio e il well plumb-ing (tenuta delle apparecchiature di produzione). Que-st’ultimo tipo di analisi può essere eseguito senza doverchiudere temporaneamente un pozzo e quindi perdereproduzione.

Una delle funzioni più importanti della geochimicaorganica è quella di identificare la roccia madre speci-fica di un olio per fornire utili indicazioni che possanoportare alla scoperta di nuovi giacimenti di olio e di gas.Per fare ciò è necessario correlare un olio agli estratti da

227VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

0102030405060708090

100

2,0

1,8

1,61,4

1,21,00,80,6

0,40,2

20 40 60 80 100

temperatura (° C)

120 140 160 180 200gr

ado

di tr

asfo

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ione

del

kero

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cal

cola

to (

%)

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a (R

o)

Monterey kg-4 (tipo II-ons)Monterey kg-16 (tipo II-S) Kimmeridge (tipo II)Woodford (tipo II)Green River (tipo I)Indiana coal (tipo III)Ro

fig. 10. Velocità di decomposizione della materia organica per diverse rocce madri.

Page 44: 2.2 Prospezioni geologiche 2009-01-28 · se della fotogeologia: un’accurata analisi visiva con-dotta da esperti geologi con una buona conoscenza del terreno. Un altro grande vantaggio

una roccia madre. Tuttavia non è sempre possibile sot-toporre ad analisi la roccia madre e, in questo caso, laroccia madre deve essere identificata attraverso ipotesio deduzioni ricavate dalla geochimica.

Le tecniche di correlazione includono la misura delleproprietà generali (o di bulk) e dettagliate analisi geochimi-che. Le proprietà di bulk comprendono le caratteristichechimico-fisiche quali la densità specifica API (AmericanPetroleum Institute) e misure chimiche come il contenu-to di zolfo e di acidi. Le analisi geochimiche fornisconodettagli a livello molecolare essenziali per la distinzionedi oli che sulla base delle proprietà di bulk possono sem-brare simili. Infine l’inversione geochimica può essereutilizzata per dedurre le caratteristiche della roccia madrepiù probabile per un olio (Bissada et al., 1993).

Le proprietà generali di un olio e le relative analisisono utili per una caratterizzazione iniziale degli oli. Peresempio, il Ministero delle Miniere statunitense carat-terizza gli oli del Bacino Permiano usando i rapporti ato-mici di zolfo, azoto e carbonio (Jones e Smith, 1965).Tra le proprietà chimico-fisiche di bulk si segnalanoanche il contenuto di zolfo espresso in percentuale delpeso, il contenuto in nichel e vanadio e le quantità perfrazione secondo LC (Liquid Chromatography).

Proprietà molecolariLa gascromatografia (GC) è una tecnica utilizzata

per caratterizzare un olio e ricavarne la sua impronta digi-tale o fingerprint, ossia, sostanzialmente, un istogram-ma della quantità e della distribuzione dei componentiche sono separati e rilevati dal lettore gascromatografi-co. La fingerprint di un olio è riportata nella fig. 11 A,mentre nella fig. 11 B si può vedere l’istogramma dellaquantità e della distribuzione delle paraffine normali.

Un parametro semplice e largamente utilizzato nellacorrelazione olio-olio è il rapporto tra due isoprenoidi, ilpristano e il fitano (Illich, 1983). Un elevato contenuto difitano è indicativo di un ambiente di sedimentazione for-temente riducente (anossico), tipico di una roccia madrecarbonatica. Un elevato contenuto di pristano è indicati-vo di un ambiente di sedimentazione poco riducente ocaratterizzato da una concentrazione di idrogeno relativa-mente inferiore. Nella tab. 3 sono riportate le indicazioniper l’interpretazione dei rapporti pristano/fitano (Pr/Ph;Hughes et al., 1995). A elevati livelli di maturità termicaquesti rapporti devono essere utilizzati con cautela perchéil fitano si decompone prima del pristano e quindi il rap-porto Pr/Ph risulta più alto a causa della diminuzione pre-ferenziale del fitano. Il rapporto di questi isoprenoidi coni corrispondenti n-alcani viene usato per ricavare infor-mazioni sulla maturità e sulla biodegradazione di un olioo di una roccia madre (Connan e Cassou, 1980). Un dia-gramma del rapporto tra Pr/n-C17 e Ph/n-C18 è general-mente utilizzato per suddividere in gruppi oli o estratti darocce madri sulla base del tipo e della maturità termica.

Altri parametri ricavati dalla gascromatografia e usatiper fini correlativi comprendono la traccia di inviluppodelle paraffine, che varia in funzione del tipo di rocciamadre e della sua maturità, il rapporto tra n-C17 e n-C27,che è indicativo di paraffinicità, e il Carbon PreferenceIndex (CPI), che viene usato per una preliminare valuta-zione della litologia e della maturità termica della rocciamadre. A bassi livelli di maturità generalmente questoindice è dispari, mentre nei carbonati è generalmentepari. Questi dati sono usati come strumenti complementariper l’interpretazione dei rapporti pristano/fitano, deimarker biologici e dei rapporti isotopici.

Gli idrocarburi leggeri (LH) sono sempre più utiliz-zati per la correlazione olio-olio e olio-roccia madre. Studidi valutazione (Thompson, 1983; Mango, 1990, 1992;Mango et al., 1994; Bement et al., 1994; Halpern, 1995;

228 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

quan

tità

quan

tità

tempi di ritenzione

tempi di ritenzione

n-C

7

n-C

15

n-C

40

n-C

15

n-C

40

fig. 11. Analisi gascromatografica: A, traccia gascromatografica; B, istogramma che mostra la distribuzionedelle paraffine.

A

B

tab. 3. Interpretazione dei rapporti pristano fitano(Pr/Ph)

Pr/Ph Descrizione

<1,00 altamente riducente,litologia della roccia da carbonatica a marnosa, ambiente talvolta lacustre

1,00-3,00 moderatamente riducente,litologia da marnosa ad argillosa,ambiente talvolta lacustre

>3,00 moderatamente ossidante,ambiente fluviale-deltaico, carboni

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Ten Haven, 1996; Jarvie, 2001) hanno mostrato che gliLH forniscono utili informazioni sulle associazioni gene-tiche, l’alterazione e la maturità termica degli oli. È fon-damentale includere l’analisi degli LH negli studi deisistemi petroliferi, per evitare di sottostimare gli effettidell’alterazione o della presenza di miscele di oli. Gli LHcostituiscono il componente primario nei campioni di oliocondensato generati durante le fasi terminali della cata-genesi e possono essere usati come parametro correlati-vo quando, a causa dell’elevata maturità, i marker biolo-gici come sterani e terpani sono impoveriti o assenti. Hal-pern (1995) ha proposto dei diagrammi polari che usanoi valori di C7 LH per valutare il grado di correlazione etrasformazione dei campioni analizzati. Inoltre, è statodimostrato che l’analisi della frazione leggera di un oliopuò essere applicata nelle correlazioni olio-roccia madreperché la frazione più leggera (C5-C8) di una roccia madrepuò essere ricavata tramite estrazione termica (Jarvie eWalker, 1998; Odden et al., 1998) o altre speciali tecni-che di estrazione. Infine, dai dati di LH è possibile otte-nere informazioni sulla litologia della roccia madre.

La distribuzione normalizzata delle paraffine e i fat-tori di pendenza sono particolarmente utili per determi-nare se il dato della gascromatografia è influenzato daalterazione o da miscelazione. I campioni di olio ‘morto’(campioni di olio conservati a pressione atmosferica chehanno perso la maggior parte del gas in soluzione) mostra-no sempre contenuti ridotti delle paraffine più leggere;ciò si traduce in una diminuzione del profilo delle paraf-fine a partire da valori inferiori a C6. Migrazioni secon-darie di olio leggero possono modificare questo profiloche sarà così riconoscibile e identificabile (fig. 12).

Correlazioni mediante rapporti fra biomarkerI marker biologici (biomarker) sono molecole fossi-

li che permettono di mettere in relazione l’olio con il suoprecursore biologico originario. Per oli che non sono for-temente biodegradati può essere utilizzato un gran nume-ro di biomarker o di relativi frammentogrammi per lacorrelazione olio-olio e olio-roccia madre. Uno degliapprocci più semplici è il riconoscimento degli anda-menti dei cromatogrammi di diversi ioni. Per esempio,

è facile distinguere una roccia madre carbonatica da unaargillosa mediante l’analisi gascromatografica associa-ta alla spettrometria di massa (GC-MS, Gas Chromato-graphy-Mass Spectrometry) dei terpani, considerandolo ione caratteristico 191m/z (fig. 13). Uno dei vantagginell’uso dei marker biologici è la loro resistenza alla bio-degradazione. Peters e Moldowan (1993) hanno propo-sto una scala per valutare il livello di biodegradazionedi un olio, partendo da un valore 1 (biodegradazione leg-gera) fino a un valore 10 (biodegradazione severa). Gene-ralmente il livello di biodegradazione di un olio vienemisurato confrontando la scala di riferimento con il gradodi impoverimento del dato misurato.

Numerosi composti o classi di composti e rapportisono usati per caratterizzare un olio o un estratto da unaroccia madre (Peters e Moldowan, 1993; Peters et al.,2005).

Isotopi del carbonioGli isotopi del carbonio sono generalmente misu-

rati sulla frazione intera di un olio o sulle frazioni se-parate quali la satura e l’aromatica. Il rapporto tra il

229VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

olio con migrazione primariaolio con migrazione secondaria

valo

ri n

orm

aliz

zati 1,4

1,21,00,80,60,40,20,0

numero di atomi di carbonio normal-alcani (da n-4 a n-42)0 5 10 15 20 25 30 35 40

fig. 12. Profilo normalizzato delle paraffine per un olio non alterato e per un olio alterato da migrazione secondaria di idrocarburi leggeriprovenienti dalla Libia.

tempi di ritenzione40

180.000

150.000

120.000

90.000

60.000

30.000

quan

tità

rel

ativ

a

C19

tri

C20

tri

C21

tri

C22

tri

C23

tri

C29

HC

29T

sno

rH mor

e.

Gam

C30

HC

31H

SC

31H

RC

32H

RC

31H

SC

33H

S

C34

HS

C35

HS

C35

HR

C28

tri

C29

tri

Tm

Ts

C26

tri

C24

tet

C25

tri (

S+

R)

50 60 70

fig. 13. Cromatogramma GC-MS dei terpani (ione 191 m/z) per oli provenientidal Bacino Permiano (USA): A, olio carbonatico; B, olio argilloso.

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

70.000

80.000

90.000

quan

tità

rel

ativ

a

tempi di ritenzione40

C23

tri

C26

tri

C29

HC

29T

sno

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30H

mor

e.C

31H

SC

31H

RG

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32H

SC

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S

C35

HS

C35

HR

C34

HR

C33

HRC

32H

R

30-n

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Ts

Tm

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tri (

S+

R)

C24

tet

C22

tri

C21

tri

C20

tri

C19

tri

50 60 70

A

B

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carbonio-13 e il carbonio-12 (13C/12C, riportato a unostandard) può essere usato per separare gruppi di oli. Peresempio, Sofer (1984) ha dimostrato che oli generati dauna materia organica terrestre possono essere separatida quelli generati da una materia organica marina tra-mite il diagramma degli idrocarburi saturi in funzionedi quelli aromatici. Recentemente tecniche geochimichedi alta risoluzione sono state utilizzate per misurare ilrapporto isotopico di singoli idrocarburi e marker bio-logici come terpani e sterani (Mello et al., 2003; Mol-dowan et al., 2004).

Valori isotopici del carbonio dei singoli biomarkerLa misura del rapporto isotopico di specifici com-

posti, quali alcani, isoprenoidi, hopani (detti anche ter-pani) e sterani, ha permesso di separare oli che, sullabase delle classiche analisi geochimiche, risultavanosimili. Per esempio, oli generati da rocce madri del Cre-taceo inferiore e del Giurassico superiore provenienti dalMedio Oriente e dal Golfo del Messico sono stati sepa-rati utilizzando questo approccio metodologico (Mol-dowan et al., 2004).

Per approfondimenti su questo argomento e per infor-mazioni dettagliate sulla tecnica analitica e sulla stru-mentazione, si rimanda a Peters e Moldowan, 1993 ePeters et al., 2005.

Valutazione della maturità dell’olio

Per valutare il livello di maturità di un olio vengononormalmente utilizzati specifici rapporti tra marker bio-logici. Generalmente vengono usati il rapporto Ts/Tm(dove Ts è il C27 18�- trisnorhopano e Tm è il C27 17�-trisnorhopano), i rapporti tra gli stereoisomeri R e S neglihopani o negli sterani e i rapporti degli sterani triaro-matici (TAS). In oli derivati da materia organica terre-stre i metil-fenantreni sono risultati particolarmente utiliper la definizione del livello di maturità raggiunto.

In aggiunta a questi rapporti anche gli idrocarburileggeri possono essere usati per la valutazione del gradodi maturità. Schaeffer e Littke (1988) hanno dimostratola variazione della concentrazione di dimetilciclopenta-no in relazione ai valori di riflettanza della vitrinite.

La temperatura di espulsione di un olio (CTemp, in°C) può essere calcolata, sulla base degli studi di FrankD. Mango e altri autori presso il Bellaire Research Cen-ter di Shell (Bement et al., 1994; Mango, 1997), comesegue:

2,4�DMPCTemp (°C)�140�15�ln11113�2,3�DMP

dove DMP indica il dimetilpentano.Dal momento che la quantità di LH aumenta con l’au-

mentare della maturità termica, questi composti sonostati usati per la stima dei rapporti olio/gas (GOR) per

campioni di olio originali (non alterati) provenienti peresempio dal Bacino Williston, USA (Mango e Jarvie,2001). In questo caso sono stati usati i composti isoal-cani C6 e C7 secondo la seguente formula:

ln GOR�(1,33 ln 2MP)�(2,81 ln 3MP)�(3,19 ln 2MH)�(0,875 ln 3MH)�7,2

dove MP sta ad indicare il metilpentano e MH indicainvece il metilesano.

L’utilizzo di questi parametri per altri giacimenti diidrocarburi o in differenti bacini sedimentari potrebberichiedere una fase di calibrazione dei dati.

Alterazione dell’olio

L’ambiente in cui si trovano sia le rocce madri chegli oli è dinamico e in costante evoluzione nel tempo.Per esempio, un giacimento che si è caricato inizialmentecon un olio a bassa maturità può ricevere in un secondotempo un olio a maturità più elevata proveniente dallastessa roccia madre o da altre rocce madri che hanno rag-giunto il livello di espulsione. È pertanto possibile cheun singolo olio possa aver ricevuto diversi contributi,anche se spesso non vengono riconosciuti.

Inoltre, i processi di alterazione possono compli-care l’interpretazione dei dati. Questi processi posso-no essere rappresentati da: a) miscele di oli (mixing);b) degradazione batterica; c) frazionamento evaporati-vo; d) dilavamento da parte di gas (gas washing); e) dila-vamento da parte di acqua (water washing); f ) precipi-tazione degli asfalteni (deasphalting); g) riduzione ter-mochimica dei solfati (TSR); h) cracking dell’olio oqualsiasi combinazione di questi processi.

Water washing e biodegradazioneIl processo di water washing riguarda il contatto tra

idrocarburi e acqua all’interno di un giacimento. Que-sto tipo di alterazione produce due effetti sull’olio: per-dita selettiva degli idrocarburi leggeri aromatici più so-lubili in acqua e, nel caso di acque dolci, introduzionedi batteri con conseguente biodegradazione. Un esem-pio di water washing in oli del Nevada è riportato daPalmer (1984).

La biodegradazione è un processo di demolizione diun olio, attraverso fenomeni biochimici catalizzati da bat-teri, che procede secondo una successione ben precisa distadi. Inizialmente l’attacco batterico elimina di prefe-renza le molecole più semplici e leggere, in un secondotempo quelle più complesse e pesanti. L’effetto finale dellabiodegradazione è quello di aumentare la viscosità e ladensità di un olio (vale a dire diminuire i gradi API).

Diversi livelli di biodegradazione sono stati riporta-ti da Peters e Moldowan (1993) ed espressi secondo unascala da 1 (leggermente biodegradato) a 10 (severamentebiodegradato).

230 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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Di solito, la biodegradazione è rallentata o assentequando un giacimento si trova a temperature superiori acirca 80 oC. A causa di cambiamenti nella storia geolo-gica di seppellimento dei sedimenti può accadere che ungiacimento più profondo, un tempo più caldo, possa esse-re sollevato e quindi portato a temperature più basse, allequali i batteri diventano attivi, prima di una successivafase di seppellimento, o viceversa.

Frazionamento per evaporazioneQualsiasi processo di frazionamento implica un cam-

biamento nella composizione di un olio o di un gas. Ilmetano è l’idrocarburo più leggero e la sua elevata vola-tilità gli permette di espandersi e di migrare facilmen-te attraverso i sedimenti. In presenza di una dismigra-zione di gas da un giacimento di idrocarburi liquidi, glialcani leggeri sono selettivamente dissolti nel gas men-tre l’olio residuale si arricchisce in idrocarburi aroma-tici leggeri. Questo processo è stato descritto e defini-to sperimentalmente da Thompson. Il diagramma diaromaticità/paraffinicità di Thompson è parte integrantedi qualsiasi studio di caratterizzazione di un olio (fig. 14).La presenza di frazionamento per evaporazione indicainoltre che esistono due giacimenti di idrocarburi, dicui uno più profondo.

Precipitazione degli asfalteniLa migrazione secondaria di gas non idrocarburici,

di idrocarburi gassosi o condensati in un giacimento diidrocarburi liquidi può causare la precipitazione degliasfalteni, con la conseguente formazione di un residuoasfaltenico pesante chiamato tar mat. Questo processoè stato descritto da Milner et al. (1977) nel Western Cana-da Basin ed è comune nei sistemi petroliferi dove sonoavvenuti episodi di migrazione verticale.

Riduzione termochimica dei solfati Il solfuro di idrogeno H2S (detto anche acido solfi-

drico o idrogeno solforato) è un gas che, se presente inelevate concentrazioni in un giacimento, deriva dalla ri-duzione termochimica dei solfati (TSR; Orr, 1974). Du-rante il processo di TSR l’H2S si forma per riduzione delsolfato, che porta alla formazione di zolfo elementare ilquale, reagendo a sua volta con gli idrocarburi, formacome suoi sottoprodotti H2S e CO2 peggiorando la qua-lità dell’olio. Il risultato di questa reazione è che il rap-porto isotopico δ 13C del CO2 è simile a quello dell’o-lio, mentre il valore isotopico δ 34S dell’H2S è simile aquello del solfato.

Giacimenti che presentano rocce serbatoio con lito-logia carbonatica-evaporitica mostrano elevate concen-trazioni di H2S (Le Tran, 1972). Questi giacimenti hannoconcentrazioni di H2S che variano dal 6 al 98% rispettoal gas totale. Le sequenze rocciose sopracitate favori-scono la presenza di alte concentrazioni di solfato nelle

evaporiti e di basse concentrazioni di ferro nei carbona-ti che altrimenti trasformerebbero l’H2S in pirite, comeaccade nelle argille.

Craking dell’olioGli oli si decompongono, come il kerogene, in idro-

carburi più semplici e leggeri, formando un residuo car-bonioso che è refrattario a elevate temperature. Il crackingdelle frazioni pesanti di un olio (resine e asfalteni) avvie-ne a temperature comprese tra 100 e 150 °C, prossime aquelle richieste per la decomposizione del kerogene inidrocarburi. Per decomporre la frazione paraffinica diun olio in gas sono necessarie temperature superiori a145 oC. Questo tipo di decomposizione può essere model-lata utilizzando i parametri cinetici proposti da Waples(2000).

È stato dimostrato che l’analisi dei diamantoidi è par-ticolarmente efficace per valutare il grado di cracking diun olio (Mello et al., 2003; Moldowan et al., 2004). Men-tre molecole quali gli hopani estesi o gli sterani vengonotrasformate in idrocarburi più leggeri a elevate tempera-ture, i diamantoidi sono molto stabili. Pertanto, il rappor-to tra molecole di composti con diversa stabilità fornisceun’indicazione del livello di cracking dell’olio. Questatecnica è molto importante perché i parametri di maturitàderivati dai marker biologici non sono più utilizzabili pervalori di riflettanza della vitrinite superiori a 0,90%.

Miscele di oliGli oli originariamente presenti in un giacimento si

possono mischiare con idrocarburi più leggeri derivatidalla stessa roccia madre a più elevati livelli di maturità

231VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

rapporto eptano-metilcicloesano (indice di paraffinicità)

oli generati da una roccia madre carbonaticaoli generati da una roccia madre argillosaoli generati da materia organica terrestreoli generati da una roccia madre ordovicianaoli frazionati per evaporazioneoli alterati da dilavamento di acque

rapp

orto

tolu

ene-

epta

no (

indi

ce d

i aro

mat

icit

à) 5,00

4,50

4,00

3,50

3,00

2,50

2,00

1,50

1,00

0,50

0,000,00 0,50 1,00 1,50 2,00 2,50 3,00 3,50 4,00 4,50 5,00

fig. 14. Diagramma di aromaticità/paraffinicitàdi Thompson.

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232 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

tab. 4. Linee guida per l’interpretazione delle analisi di TOC, Rock-Eval, riflettanza della vitrinite e olio, gas e condensati

Descrizione Valori Interpretazione Riferimentobibliografico

I. Analisi dei campioni di roccia

TOC (% in peso) <1,00 Sotto la media Baker, 1962>1,00 Sopra la media

Indice di Idrogeno (HI) (mg idrocarburi/g TOC) 0-50 Tipo IV gas secco Espitalie et al., 197750-200 Tipo III gas (terrestre)200-350 Miscela Tipo II/III olio-gas350-700 Tipo II olio (marina)

700-1.000 Tipo I olio (lacustre)

Tmax (°C) <430 Immaturo Espitalie et al., 1985430-439 Inizio generazione di olio440-450 Picco generazione di olio451-459 Fine generazione di olio460-475 Generazione gas umidi

>475 Generazione gas secchiTmax eq. Ro Ro�0,0180 (Tmax)�7,16

Riflettanza della vitrinite in olio (Ro) 0,20-0,55 Immaturo Dow e O’Connor, 19820,55-0,74 Inizio di generazione di olio0,75-0,94 Picco generazione di olio0,95-1,09 Fine generazione di olio1,10-1,39 Generazione gas umidi

>1,40 Generazione gas secchi

II. Linee guida per l’interpretazione delle analisi di olio, gas e condensati

A. Gas

Isotopi del carbonio ca.�60 Gas biogenico Schoell, 1983da �55 a �60 Gas misto

<�55 Gas termogenico

B. Oli e condensati

Indicatori di facies organica e litologica

Indicatori di litologia e carbonaticaPristano / fitano <1,00 Didyk et al., 1978Dibenzotiofene / fenantrene >1,00 Hughes et al., 1995C35 homohortani AbbondantiDiasterani / sterani Pochi diasteraniC24 tetraciclico / C26 terpani triciclici >1,00

Argille marinePristano / fitano 1,00-3,00C29 / C30 hopani C29<<C30C35 / C34 hopani <1,00Disterano / sterani regolari Abbondanti diasterani

Materia organica terrestre / carboniosaPristano / fitano >3,00Presenza di oleanano e lupani Ekweozor et al., 1979C19 e C20 dominanti nei tarpani tricicliciElevato contenuto di cereDiasterani AbbondantiC27 C28 e C29 sterani C29>>C27, C28C31 hopani Molto abbondanteC24 tetraciclico / C26 terpano triciclico >1,00

Ambiente lacustre4-metilsterano AbbondanteDisterano / sterani regolari Abbondanti diasterani

Maturità termica

Analisi idrocarburi leggeriTemperatura calcolata�140�15[ln(2,4�DMP/2,3�DMP)] 95-150 °C Mango, 1997

Analisi dei marker biologiciC29 aaa sterano 20S/(20S�20R) da 0,00 a 0,55 Seifert e Moldowan, 1986Hopani estesi C32 22S/(22S�22R) da 0,00 a 0,62 Ensminger et al., 1977C27 hopani Ts/(Ts�Tm) da 0 a 1,00 Seifert e Moldowan, 1978C20�C21/(C26�C29) sterani triaromatici RelativoC28TA/(C29Ma+C28TA) (triaromatici- e monoaromatici steroidi) da 0 a 1,00

Indice di metilfenantrene MP�1,5(3MP�2MP)/(P�9MP�1MP) 0,6-1,5 Generazione di olio

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o con olio e gas generati da altre rocce madri. Di solito,la presenza di miscele di oli è un processo difficile dariconoscere tranne nel caso ovvio in cui un condensatosi mischia con un olio biodegradato. Tipicamente le cor-relazioni olio-olio si basano sugli idrocarburi con medio ealto peso molecolare derivati dalle analisi GC e GC-MS esugli isotopi del carbonio delle frazioni degli oli. In que-sto caso possono essere necessarie numerose analisi, maspesso è possibile riconoscere le miscele di oli median-te una accurata interpretazione degli LH, specialmenteper gli slope factor (o fattori di pendenza, parametri checonsiderano la pendenza della distribuzione degli n-alca-ni nel cromatogramma), gli idrocarburi a medio pesomolecolare e i marker biologici. Quindi tutti gli studi dicaratterizzazione di un olio dovrebbero includere la valu-tazione della presenza di miscele.

Interpretazione dei parametri geochimiciLe linee guida per l’interpretazione preliminare dei

parametri geochimici discussi in questo testo sono ripor-tate dettagliatamente nella tab. 4.

Caratterizzazione geochimica del gas naturale

Il gas naturale è la parte gassosa del petrolio ed ècostituito da una miscela di idrocarburi gassosi qualimetano, etano, propano, butani, pentani.

Gli idrocarburi gassosi possono essere formati attra-verso differenti meccanismi di generazione. Tra i prin-cipali processi genetici ricordiamo la formazione bio-genica (a opera di batteri metanogeni, a bassa tempera-tura) e la formazione termogenica. Le analisi geochimichepermettono di determinare l’origine degli accumuli gas-sosi o di manifestazioni gassose di superficie e di rica-vare informazioni sulla presenza di un effettivo sistemapetrolifero (Mattavelli et al., 1983; Schoell, 1983, 1988;Faber, 1987; Rice, 1993).

Grazie a recenti sviluppi tecnologici, oggi è possibi-le caratterizzare geochimicamente anche le minuscolequantità di gas che si rinvengono disciolte nei fanghi diperforazione durante la perforazione di un pozzo (cam-pionamento headspace).

Le metodologie analitiche impiegate sono la gascro-matografia (per determinare la composizione chimica deigas) e l’analisi degli isotopi stabili. Gli isotopi sono atomiche contengono lo stesso numero di protoni ma diversonumero di neutroni e si dividono in due categorie: radioat-tivi e stabili. Gli isotopi radioattivi si disintegrano spon-taneamente per formare atomi di altri elementi con l’e-missione di radiazioni che in alcuni casi possono esserepericolose. Gli isotopi stabili hanno, viceversa, un nucleostabile e quindi non pongono rischi radiogeni (v. sche-matizzazione del set-up analitico nella fig. 15). La carat-terizzazione isotopica degli idrocarburi si effettua attra-verso l’analisi degli isotopi stabili del carbonio e dell’i-drogeno, anche se quest’ultimo viene impiegato solo incasi particolari. Come detto sopra, il gas naturale si formaattraverso due meccanismi principali: il processo bioge-nico e quello termogenico. In realtà tutti gli accumuli diidrocarburi hanno un’origine biogenica in quanto deri-vano dalla decomposizione della materia organica, ma inquesto contesto si utilizza il termine biogenico per indi-care un particolare meccanismo di formazione del gasnaturale a bassa temperatura. In alternativa a gas bioge-nico è usata anche la denominazione di gas batterico.

Gas biogenicoIl gas biogenico come risorsa naturale di energia rap-

presenta, su base mondiale, circa il 20% delle risorsedisponibili di idrocarburi (Rice, 1993). Il meccanismodi generazione del gas a opera di batteri si svolge a basseprofondità, in condizioni anossiche (assenza di ossige-no) e a temperature relativamente basse (inferiori a 70°C) su materia organica immatura. Per la formazione diaccumuli commerciali di gas biogenico si richiedono tut-tavia particolari condizioni geologiche che favorisconola preservazione di tali accumuli (sistemi di intrappola-mento precoce, formazione di coperture efficienti e altevelocità di sedimentazione).

La maggior parte degli accumuli di gas biogenico ècontenuta in sequenze deposizionali costituite da alter-nanza di sabbia e argilla: la materia organica continen-tale (kerogene di Tipo III, derivato da materiale organi-co terrestre, piante superiori e frammenti di legno) incondizioni di anossia viene degradata a opera di batteri

233VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

gas-cromatografo

forno + CvO

ossidazione

interfaccia di combustione spettrometro di massa

sorgenteionica magnete

44

45

46

C1 C2 C3 C4

CO2standard

CO2

CO2campione

+ O212C 16O 16O

12C 16O 18O

13C 16O 16O + 12C 16O 17O

fig. 15. Caratterizzazionegeochimica del gas naturale medianteanalisi chimica e isotopica.

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metanogeni e il gas formato è quasi sempre perso per lamancanza di una copertura efficace. Laddove sussisto-no le condizioni favorevoli (apporto di materiale orga-nico continentale, alta velocità di sedimentazione e for-mazione di una copertura adeguata) si possono formareaccumuli di gas anche commercialmente interessanti.

Gli elementi che caratterizzano un gas biogenicosono:• la composizione chimica: il gas biogenico è chimi-

camente molto secco (cioè formato quasi esclusiva-mente da metano con tracce di etano o comunque concontenuto in omologhi superiori minore di 0,1% oltrea scarse quantità di CO2 e N2); il gas termogenico (cheanch’esso in particolari condizioni può essere secco)può contenere, invece, importanti concentrazioni dicomposti omologhi superiori (etano, propano, buta-no, pentano, ecc.), vale a dire di composti condensa-bili. Da qui il termine wet e il parametro Gas Wetness,definito come rapporto, espresso in percentuale, frala somma degli idrocarburi (escluso il metano) e lasomma di tutti gli idrocarburi costituenti il gas:

�(C2�C3�iC4 ...�Cn)�11111111221313�·100�(C1�C2�C3�iC4… �Cn)

• la composizione isotopica del carbonio (rapporto iso-topico 13C/12C): il gas biogenico è isotopicamente bencaratterizzato, avendo un rapporto isotopico del car-bonio (δ 13C) compreso tra �110 e �60‰. Durante latrasformazione del materiale organico in gas, i batte-ri tendono a utilizzare preferenzialmente il carbonioleggero (12C) piuttosto che quello pesante (13C), percui il metano che si forma ha un rapporto isotopicodel carbonio (δ 13C) negativo (a questo proposito vanotato che i valori isotopici del carbonio degli idro-carburi, sia gassosi che liquidi, sono sempre negativi);

• la composizione isotopica dell’idrogeno (rapportoisotopico tra deuterio e idrogeno o D/H) riflette unmedesimo schema per cui i gas biogenici sono sem-pre più poveri in deuterio rispetto ai gas termogeni-ci (range isotopico δ D tra �250 e �170‰).In Italia un valido esempio di accumuli di gas bio-

genico è rappresentato dai numerosi serbatoi posti aprofondità relativamente bassa (inferiore a 2.000 m) nel-l’onshore della Pianura Padana, come anche dai giaci-menti del vicino offshore di Ravenna (formazioni costi-tuite da alternanze di sabbia e argille del Pliocene; Mat-tavelli et al., 1983). Il gas biogenico della Pianura Padana,con valori di δ 13C molto negativi (solitamente compre-si tra �70 e �76‰) è rinvenuto in serbatoi localizzatisia a scarse profondità sia a profondità molto elevate (unpozzo offshore, che ha prodotto gas biogenico a circa4.500 m di profondità, costituisce il più profondo esem-pio di gas biogenico riportato in letteratura).

Il trend isotopico con la profondità nei pozzi a gas del-la Pianura Padana indica che è possibile trovare entrambe

le tipologie di gas (biogenico e termogenico) oltre al pro-dotto del mescolamento, o gas misto. Il gas misto è disolito rinvenibile in serbatoi di età messiniana mentre inserbatoi del Mesozoico si rinvengono solo gas termoge-nici. Condizioni geologiche particolari possono tuttaviafavorire la migrazione di gas profondi termogenici inserbatoi più superficiali senza che vi siano modificherelative al segnale isotopico del gas.

Gas termogenicoIl gas termogenico è formato dal kerogene o dal petro-

lio e, come risultato del riscaldamento durante la depo-sizione, può essere generato da: cracking termico dellamateria organica (kerogene) in idrocarburi sia gassosiche liquidi (gas termogenico primario, od oil-associatedgas); cracking termico di un olio ad alta temperatura ingas (gas termogenico secondario).

Il gas termogenico, che è generato a temperature piùalte (80-150 °C), rispetto al gas biogenico è generalmentemolto ricco in omologhi superiori. Il rapporto isotopicodel carbonio del metano ( δ 13C) è in relazione al livellodi maturità dei sedimenti che lo hanno generato ed è com-preso nell’intervallo tra �60 e �20‰, mentre il rappor-to isotopico dell’idrogeno varia tra �200 e �80‰.

Per distinguere un gas termogenico primario da ungas termogenico secondario (ultramaturo, cioè formatoa temperature più elevate, 150-200 °C e oltre) viene presain considerazione la quantità di omologhi superiori. Gene-ralmente un gas termogenico primario è caratterizzatoda alte percentuali di omologhi superiori (Gas Wetnessfino al 50-60%, per esempio nei pozzi della Val d’Agriin Basilicata), mentre un gas termogenico secondario haun parametro di Gas Wetness molto basso (anche mino-re di 0,2%)

Queste caratteristiche sono attribuibili al crackingtermico dei composti liquidi: molecole pesanti e com-plesse (per esempio C6 e superiori) sottoposte ad altetemperature si rompono, formando molecole più sem-plici. La conseguenza finale di questo meccanismo didegradazione termica è la formazione di un gas costi-tuito principalmente da metano. Questo gas è chimica-mente affine a un gas biogenico ma facilmente distin-guibile da quest’ultimo per un più alto contenuto in 13C(δ 13C metano tra �30 e �27‰) e in deuterio.

In presenza di bassi livelli di maturità della materiaorganica, il gas termogenico potrebbe essere scambiatoper un gas biogenico (basso rapporto 13C/12C e scarsapresenza di omologhi superiori), per cui si fa ricorso al-l’analisi isotopica di etano e propano per definirne l’ori-gine genetica.

Caratterizzazione dei composti non idrocarburici I gas non idrocarburici che possono essere associati

al gas naturale sono comunemente il biossido di carbonio,l’azoto e il solfuro di idrogeno. La presenza di questi

234 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

ESPLORAZIONE PETROLIFERA

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composti rappresenta un elemento negativo nella valuta-zione economica della scoperta in quanto: riduce il valo-re commerciale della scoperta stessa (essendo più bassoil contenuto energetico del gas); richiede investimenti inimpianti necessari per la loro rimozione e il loro smal-timento; pone problemi di natura tecnica (corrosione deimateriali) e di sicurezza.

Biossido di carbonio (CO2 ). Il rinvenimento di CO2non è molto frequente, tuttavia la sua presenza può seria-mente influire sull’economicità di una scoperta. Esem-pi di accumuli di CO2 sono costituiti da: Bacino Pan-nonico, Bacino Cooper-Eromanga (Australia), MarCinese meridionale, Campo di Palino-Candela (Italiameridionale).

Da una statistica elaborata da Thrasher e Fleet (1995)risulta che la probabilità di rinvenire CO2 in misura supe-riore al 20% è di 1 su 100, ma che la media di questi rin-venimenti mostra contenuti in CO2 prossimi al 50%. Que-sto indica che la probabilità di trovare biossido di car-bonio non è molto alta, ma quando ciò si verifica si hannolivelli talmente alti di CO2 da rendere non economico ilrinvenimento dell’accumulo a meno di non sfruttare sulposto, con opportune strategie, la risorsa in questione(centrali elettriche alimentate a lean-gas).

Tra vari meccanismi di formazione di CO2 i più impor-tanti sono: a) CO2 di derivazione organica (per esempio,degradazione della materia organica durante la diage-nesi e la catagenesi); b) degradazione batterica del petro-lio (T<70 °C); c) CO2 prodotto da attività vulcanica e dacorpi magmatici intrusivi; d) come prodotto della ridu-zione termochimica dei solfati (TSR) con idrocarburi.

Azoto (N2 ). Attualmente si conosce poco della geo-chimica isotopica dell’azoto nei bacini petroliferi e que-sto potrebbe essere dovuto al fatto che gli accumuli sonospesso il risultato di un mescolamento di gas formatiattraverso diversi meccanismi genetici. Studiando casiparticolari in cui l’origine dell’azoto era dovuta a un sin-golo meccanismo, è stato possibile stabilire con suffi-ciente accuratezza i campi di variazione del dato isoto-pico dell’azoto a seconda dei meccanismi responsabilidella sua formazione. Importanti accumuli di azoto sonostati scoperti in molti bacini petroliferi, quali la GreatValley in California (Jenden et al., 1988), la regione baci-nica del Volga-Urali, il bacino Centro Europeo (Jendenet al., 1988; Kroos et al., 1995), lo Yinggehai Basin.

Solfuro di idrogeno (H2S). L’H2S, a causa della suapericolosità, pone molti problemi dal punto di vista dellasicurezza; è avvertibile olfattivamente a livelli di pocheparti per milione, ma oltre le 30 ppm i centri nervosi del-l’olfatto non riescono più a percepirlo ed è a questo livel-lo che inizia il pericolo. La messa in produzione dellescoperte petrolifere con presenza di H2S ha costi moltopiù alti a causa delle problematiche legate alla corrosio-ne dei materiali impiegati nelle strutture produttive e alsuo smaltimento. In natura si rinvengono accumuli di

H2S che possono arrivare anche al 98% della quantitàtotale di gas.

Il solfuro di idrogeno (H2S) può avere origine batteri-ca o inorganica. Nell’origine batterica vi è la riduzione delsolfato disciolto nelle acque in H2S. Questo meccanismoperò non riesce a formare livelli di H2S superiori al 5%.Un altro limite alla formazione batterica di H2S è la tem-peratura, che deve essere inferiore a 80 °C.

Per quanto riguarda l’origine inorganica si distin-guono due modalità:• decomposizione termica del kerogene: l’H2S si forma

durante le varie fasi della diagenesi della materiaorganica. Questo meccanismo è di solito presentenelle rocce carbonatiche, mentre nelle argille la pre-senza di ferro costituisce un naturale fattore limitante(precipitazione di pirite, FeS2);

• riduzione termochimica del solfato (TSR): è una rea-zione termochimica che avviene a temperature dialmeno 120 °C tra gli idrocarburi e le evaporiti. Que-sto meccanismo è quello che consente di formare lepiù alte concentrazioni di H2S.

Conclusioni

La valutazione di una roccia madre viene condottaattraverso una sequenza di analisi mirate alla definizio-ne del suo potenziale e alla possibilità di correlazionecon i giacimenti di olio e gas già scoperti. Lo schemaanalitico deve fornire i mezzi per determinare il poten-ziale petrolifero della roccia, il tipo di idrocarburi che sipossono generare (gas oppure olio), la sua maturità ter-mica (immatura, atta alla generazione di olio oppure digas) e la sua velocità di decomposizione (cinetica). Que-sti dati sono utilizzati per la realizzazione di mappe difacies organica, di potenziali generativi, di maturità e dirapporto di trasformazione utili per individuare i miglio-ri prospect (potenziali trappole strutturali) a olio o a gasda perforare. Gli estratti da rocce madri mature sono usatiper la correlazione con i campioni di olio, per stabilirel’effettiva roccia madre dell’olio o del gas. In questo casosono necessari diversi campioni prelevati da una singo-la roccia madre perché leggere variazioni nella faciesorganica possono modificare le caratteristiche dei markerbiologici.

Le correlazioni olio-olio e olio-roccia madre si basa-no sia sulle analisi di bulk sia su dettagliate analisi chi-miche. Le analisi di bulk comprendono determinazionedi zolfo, nichel e vanadio, composizione elementare,composizione delle frazioni e densità specifica (gradiAPI) dell’olio. Le analisi chimiche di dettaglio com-prendono: gascromatografia, marker biologici e isotopidel carbonio, oltre alle più recenti tecniche di analisiquali rapporto isotopico dei componenti dei marker bio-logici e rapporto dei diamantoidi per valutare il crackingtermico dell’olio.

235VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

PROSPEZIONI GEOLOGICHE

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Le analisi di un olio devono includere la valutazio-ne dei processi di alterazione subiti dal campione, qualimigrazione secondaria (miscele di oli), degradazionebatterica, frazionamento per evaporazione, water washing,riduzione termochimica dei solfati o precipitazione degliasfalteni. La dinamicità dell’ambiente geologico e dellachimica degli oli implica la necessità di studiare tutti icambiamenti che possono essere avvenuti in un cam-pione di olio in funzione dei vari processi ai quali è statosottoposto.

Lo scopo ultimo di uno studio di un sistema petroli-fero è quello di individuare i prospect migliori per lafutura produzione di olio e gas, compresi quelli che inpassato erano stati trascurati. Questo studio deve inclu-dere anche le valutazioni necessarie a definire sia le qua-lità degli idrocarburi sia il grado di compartimentaliz-zazione di un giacimento.

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