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2. Il testo che si stampa 2.1 Storia Breve storia del testo a stampa 2.1.1 Modelli antichi 2.1.2 La scoperta di un nuovo codice 2.1.3 La nuova percezione del testo 2.1.4 La tipografia della pagina 2.1.5 Forma e contenuto 2.2 Progettazione Strumenti di prescrittura 2.2.1 Una macchina tante funzioni 2.2.2 Scalette 2.2.3 Tipologie di scalette 2.2.4 Scalette al computer 2.3 Stesura Una parola dopo l’altra 2.3.1 Per il piacere di leggere 2.3.2 Il flusso della scrittura 2.3.3 Capitoli, paragrafi, capoversi e altro 2.3.4 Titoli 2.3.5 Modelli predefiniti: stili, temi e composizioni guidate 2.3.6 La scrittura più facile 2.4 Pubblicazione L’aspetto del testo 2.4.1 Impaginazione 2.4.2 La gabbia grafica 2.4.3 Caratteri 2.4.4 Colori nel testo 2.4.5 Immagini nel testo “Sebbene senza la sostanza non valga nessuna forza d’espressione, tuttavia un medesimo concetto può essere approvato o respinto se- condo che è presentato con una o con un’altra forma”. (Cicerone, Orator, Mondatori, Milano, 2001, p. 51)

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2. Il testo che si stampa

2.1 StoriaBreve storia del testo a stampa2.1.1 Modelli antichi2.1.2 La scoperta di un nuovo codice2.1.3 La nuova percezione del testo2.1.4 La tipografia della pagina2.1.5 Forma e contenuto

2.2 ProgettazioneStrumenti di prescrittura2.2.1 Una macchina tante funzioni2.2.2 Scalette2.2.3 Tipologie di scalette2.2.4 Scalette al computer

2.3 StesuraUna parola dopo l’altra2.3.1 Per il piacere di leggere2.3.2 Il flusso della scrittura2.3.3 Capitoli, paragrafi, capoversi e altro2.3.4 Titoli2.3.5 Modelli predefiniti: stili, temi e composizioni guidate2.3.6 La scrittura più facile

2.4 PubblicazioneL’aspetto del testo2.4.1 Impaginazione2.4.2 La gabbia grafica2.4.3 Caratteri2.4.4 Colori nel testo2.4.5 Immagini nel testo

“Sebbene senza la sostanza non valga nessuna forza d’espressione,tuttavia un medesimo concetto può essere approvato o respinto se-condo che è presentato con una o con un’altra forma”.(Cicerone, Orator, Mondatori, Milano, 2001, p. 51)

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70 Capitolo 2

Questo secondo capitolo si occupa dei testi destinati a essere stampatisu carta, pur se elaborati da memorie elettroniche. L’uso del computere dei programmi di videoscrittura come moderni sostituti delle mac-chine da scrivere di vecchia generazione è ancora oggi uno dei più

diffusi.Un’introduzione storica servirà a mettere in luce alcune delle problematiche

chiave legate alla fruizione e alla produzione dei testi a stampa; successivamen-te seguiremo il processo di costruzione di un testo dalla fase di gestazione finoal maquillage tipografico.

Gli obiettivi che ci poniamo sono:

• restituire lo spessore storico dei nostri comportamenti di lettori e scrittori• capire le peculiarità di un testo destinato a essere letto su carta• individuare i vantaggi e il cambiamento che l’introduzione del personal

computer ha comportato per la scrittura

2.1 StoriaBreve storia del testo a stampa

2.1.1 Modelli antichi

Una decina di anni dopo la data ufficiale dell’invenzione della stampa a caratterimobili, avvenuta a Magonza a opera di Johannes Gutenberg (Approfondimento2.1), si apre a Subiaco, un paese tra Lazio e Abruzzo, la prima stamperia italia-na. Sono proprio due artigiani tedeschi a esportare nel nostro paese la tecnicaappresa a Magonza. Nei grandi centri della penisola, come Roma, Venezia,Firenze, è forse prematuro pensare a una moderna stamperia poiché regnaancora indiscusso il primato del libro manoscritto. Proprio a Firenze Vespasianoda Bisticci, uno dei più noti editori e commercianti di libri, continua la suafiorente attività, indifferente ai prodigi della nuova tecnica; non nasconde, anzi,il proprio biasimo nei confronti dei testi stampati. Come lui molti altri, nellapatria del Rinascimento, considerano ancora il manoscritto l’unica forma accet-tabile di libro: Federico da Montefeltro non vuole nel suo palazzo di Urbinoneppure un libro stampato.

Forse è questo il motivo per cui, con una sorta di timore reverenziale, iprimi incunabula somigliano in tutto e per tutto ai manoscritti contemporanei:tra il 1450 e il 1480 è pressoché impossibile distinguerli nell’aspetto dalle operedegli amanuensi.

Gli stampatori adottano tutte le scritture usate alla metà del 1400: la texturaliturgica, la bastarda dei testi di legge, la rotonda e la gothicoantiqua, la letteraanticha ufficiale e la cancelleresca corsiva amata dagli umanisti. Tutti i volumisono stampati senza alcun frontespizio di presentazione e senza numeri dipagina, la carta utilizzata (o in qualche caso ancora la pergamena) è la stessa,come identici sono i formati (soprattutto in-quarto e in-folio), le illustrazioni o

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Figura 2.1 Esempio della collaborazione tra tipografi e amanuensi in una paginadel volume Re gestae a Francisco Sfortia, di Giovanni Simonetta, editoa Milano nel 1486 dal tipografo Antonio Caroto.

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72 Capitolo 2

Approfondimento 2.1 Johannes Gutenberg e l’invenzione della stampa

Johannes Gensfleisch, detto Gutenberg da un possedimento della famiglia, na-sce tra il 1394 e il 1399 da una famiglia di orafi. La sua scoperta è senza dubbiolegata all’attività del padre: Gutemberg inizia come incisore e tagliatore di gem-me e può sperimentare tecniche come la stampa xilografica, ampiamente utiliz-zata in oreficeria.

Dopo una parentesi a Strasburgo intorno al 1440, fa ritorno a Magonzadove costituisce una società tipografica finanziata da Fust, un ricco avvocato. Èin questa tipografia che vedono la luce le Lettere d’indulgenza e ha inizio lacelebre Bibbia latina, detta “delle 42 linee o Mazarina”, pubblicata fra il 1452 eil 1456 in 150 copie su carta e 34 su pergamena. L’opera è già nominata da EneaSilvio Piccolomini (Papa Pio II) in una lettera del 12 marzo 1455 al cardinalCarvajal: “Non ho visto Bibbie complete, ma ho visto però un certo numero difascicoli di cinque pagine di alcuni libri della Bibbia, dai caratteri chiari e nitidi,che Vostra Eminenza avrebbe potuto leggere facilmente senza occhiali …”.

La società di Gutenberg fallisce nel 1455 e tutti i lavori restano sospesi.Qualche tempo dopo egli aprirà una nuova tipografia dove stampa, nel 1457-1458, la Bibbia di 36 linee e nel 1460 il Catholicon, una sorta di enciclopediapopolare. Secondo la tradizione, Gutenberg avrebbe abbandonato l’attività ti-pografica nel 1460, perché colpito da cecità.

Il sistema di stampa gutenberghiano rimase invariato fino all’inizio del XIXsecolo: i punzoni fissati su cubetti metallici per l’impressione dei caratteri, lacomposizione dei testi, la correzione delle bozze, il torchio a vite per la stampadei fogli subirono solo lievi modifiche nel giro di tre secoli.

Nell’Ottocento, invece, l’arte della stampa si trasforma in fatto industrialecon tutta una serie di innovazioni tecnologiche che mutano sostanzialmente ilprocedimento di lavoro e successivamente anche la forma, il costo e la diffusio-ne del libro. Il torchio a vite manovrato a mano è sostituito dalla stampatrice avapore e dalla rotativa; la composizione a mano dalla linotype; le incisioni sulegno e su rame e l’acquaforte dalla litografia, stereotipia e fotografia.

eventuali capilettera colorati che vengono inseriti a parte e a parte dipinti (Ap-profondimento 2.2).

Accade persino che i primi tipografi, nel tentativo di rendere i loro prodottiidentici a quelli degli amanuensi, introducano di proposito alcune imprecisionitipiche della scrittura a mano, che raramente possiede la regolarità meccanicadelle lettere, tutte con la stessa altezza e con gli stessi intervalli di spazio. Gliamanuensi, da parte loro, profondamente attratti dalla perfezione delle paginea stampa, si ispirano a queste e si sforzano di perfezionare la loro tecnica messain ombra dalla nuova scoperta.

Le tradizioni sono sempre lente da superare e solo dopo molti anni il testostampato sarà considerato alla stregua del manoscritto. Più rapida è, invece, laconsapevolezza dei vantaggi e dei possibili tornaconti derivanti dalla nuovatecnica, come ad esempio la possibilità di dare un nuovo impulso alla diffusio-

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ne di testi assai rari fino a questo momento, l’estensione cioè della produzioneanche a campi relativamente nuovi e poco frequentati. La possibilità di produr-re copie in grande numero e completamente identiche favorisce, così, la diffu-sione di stampe popolari: calendari, opuscoli, indulgenze, tutta quella produ-zione che si rivolge a un nuovo pubblico di lettori e consumatori.

Nel giro di pochi anni, quando da Magonza le stamperie si diffondono intutti i maggiori centri europei, la quantità di copie dei testi in circolazione au-menta in maniera vertiginosa. Siamo di fronte a quella che Elisabeth Eisenstein,una delle più note studiose del fenomeno, definisce rivoluzione delle comuni-cazioni.1

La stampa diventa una vera e propria industria retta da leggi commerciali,il libro è una merce a tutti gli effetti che necessita di investimenti e devesoddisfare una clientela destinata ad aumentare di anno in anno. Assieme allenuove esigenze dei lettori cresce la cura nei confronti dell’aspetto dei testi,della loro qualità di forma e contenuti; si sviluppa una nuova attenzione versotutti quegli espedienti che possono rendere più allettante la lettura e di conse-guenza rappresentano elementi di concorrenza tra le varie stamperie. Già daiprimi anni della stampa si fa uso di colophon che hanno la funzione di comu-nicare al lettore il nome dello stampatore, la data e la città in cui la stampa è

Approfondimento 2.2 Ars artificialiter scribendi

«Riguardo al carattere non c’è innovazione da parte del Gutenberg, che si limitaa riprodurre la lettera gotica, nella sua forma più solenne, la Textura, in uso inGermania. Anche per il formato e l’impaginazione egli non si discosta dall’imi-tazione del libro manoscritto. [...] L’Ars artificialiter scribendi, come viene chia-mata la stampa alla sua apparizione, costituisce il punto d’arrivo dell’evoluzio-ne della scrittura, che, come abbiamo visto, si è svolta senza soluzione di con-tinuità, in tempi lunghissimi e in modi differenziati, promossa e condizionata dafattori complessi di ordine psicologico, sociologico e storico. “Scrittura sostenu-ta da una tecnologia”, la scrittura a stampa non è più duttile espressione sogget-tiva, rivelatrice della personalità di colui che la traccia. Essa perde la ricchezzadi segni tipica della scrittura a mano, le sue forme si cristallizzano in pochielementi semplificati e standardizzati, adatti alla riproduzione meccanica. Lelettere dell’alfabeto diventano oggetto di studio, analizzate, e geometrizzate. Ilprocesso di razionalizzazione tende a una omologazione dei segni (retti, curvi,verticali, orizzontali, obliqui) che, variamente disposti, permettano la costruzio-ne di tutte le lettere dell’alfabeto.»

(Da Salvatore Gregorietti ed Emilia Vassale, La forma della scrittura, Feltrinelli,Milano, 1988, pp. 126-29)

1 Elisabeth L. Eisenstein, La rivoluzione inavvertita, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 66.

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74 Capitolo 2

avvenuta. Sweynheym e Pannartz se ne servono per fare propaganda ai loroprodotti:

Questi libri stampò il famoso e abilissimo artefice Arnold Pannartz, di nazio-nalità tedesca, nella casa del nobile Pietro de Massimi, cittadino romano. Tuche vuoi parlare latino comprati questi libri. Se ti applicherai con attenzionee diligenza a leggerli, capirai di non aver fatto cosa da poco.2

È il frontespizio che compare nelle edizioni del 1475 del De Elegantia Lin-guae Latinae di Lorenzo Valla, una lusinga diretta agli acquirenti del libro, laprima forma di pubblicità.

2.1.2 La scoperta di un nuovo codice

Abbiamo già sottolineato come il carattere commerciale della nuova produzio-ne tendesse a incoraggiare l’adozione di tutte le innovazioni che potevano ren-dere allettante l’acquisto di un libro (Approfondimento 2.3). Pochi anni dopo lascoperta della stampa lo stampatore Peter Schoeffer, primo collaboratore diGutenberg, prometteva al suo pubblico indici più organizzati: la concorrenzastava ormai migliorando il formato dei libri. La compilazione di indici in ordinealfabetico, del resto, non era estranea neppure agli amanuensi e dal 1200 in poiaveva subito un progressivo aumento, segno evidente dell’affermarsi di nuoverichieste da parte di lettori sempre più esigenti.

Ben prima del 1500 gli stampatori avevano cominciato a sperimentare l’usodi tutta la gradazione dei corpi di carattere, dei titoletti [...] delle note [...]dell’indice generale [...] dei numeri esponenti e deponenti [...] e di tutte lealtre possibilità che si offrono allo stampatore.3

Spetta ad Aldo Manuzio il merito di aver dato un nuovo e definitivo orien-tamento alla stampa, in quella Venezia, che già da qualche anno era divenuta ilcentro tipografico più importante di tutta la penisola e non solo. Con i suoivolumi si eliminano definitivamente le ultime tracce di ossequio al manoscritto:spariscono i capolettera tinteggiati di rosso, il formato dei volumi si riduce, icaratteri si uniformano per economia di spazi e di denaro, la superficie dellapagina viene sfruttata al meglio nell’intento di risparmiare carta.

Manuzio non è solo uno stampatore, è il primo grande editore che assom-ma in sé tutte le caratteristiche necessarie per svolgere bene un lavoro tantoimportante quanto quello di trasmettere la cultura. Umanista e precettore dellafamiglia Pio, estimatore della lingua greca, fonda a Venezia una propria stampe-

2 Dalla selce al silicio, a cura di Giovanni Giovannini, Gutenberg 2000, Torino, 1991,p. 124.3 Eisenstein, op. cit., p. 73.

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ria nell’ultimo decennio del secolo XV, quando ha già oltre quarant’anni. L’obiet-tivo è quello di diffondere la cultura greca riproponendo i testi classici a stampa.

Nel giro di pochi anni dalla sua stamperia escono numerosissimi volumi e sisperimentano innovazioni tipografiche di grande rilievo.

Nel 1499, con la Cornucopia di Perotti, Manuzio introduce per la primavolta la numerazione delle pagine.

Nello stesso anno pubblica un testo in volgare corredato di moltissime illu-strazioni, l’Hypnerotomachia Poliphili, considerato nella storia dell’editoria ilprimo vero esempio di testo a stampa illustrato.

Nel 1500 escono le Lettere di Santa Caterina, il testo in cui fa una primatimida comparsa un nuovo carattere: il corsivo, raffinato e particolarmente adat-to a riempire al meglio lo spazio della pagina, ideato dal disegnatore FrancescoGriffo.

Altra novità, di lì a qualche anno, è il formato dei volumi, notevolmenteridotto, che trasforma il libro in un maneggevole oggetto di consumo “adatto atutte le tasche”.

Una ventina di anni più tardi tutte le sperimentazioni tipografiche sonoormai divenute una norma. Nel 1527 Francesco I re di Francia fissa con unalegge le dimensioni dei libri.

Finita la fase sperimentale, il libro, pur nelle sue varietà, presenta una gene-rale uniformità di stile. Si afferma la divisione in privilegio, dedica, prefazione,

Approfondimento 2.3 Evoluzione dei testi

«Un po’ alla volta il libro a stampa cessava di essere la riproduzione del suomodello manoscritto. [...] Certo i primi stampatori si sforzarono di riprodurremolto esattamente i manoscritti che avevano sotto gli occhi. Arrivarono, pare,fino riprodurre certi loro modelli rigo per rigo: la biblioteca di Lione conservadue esemplari del Messale di Lione, uno manoscritto e l’altro stampato nel 1482da Neumeister, posseduti allora dal medesimo canonico e decorati dallo stessominiatore – veri e propri gemelli, che non si possono distinguere, se non si èspecialisti [...]. Ma ben presto tutto cambiò. Si abbandonarono, eccetto i libri diChiesa, le stampe a due colori che richiedevano si facessero passare per duevolte le medesime pagine sotto la macchina, applicando sulla forma mascheri-ne diverse. Si soppresse così, un po’ alla volta, la decorazione manoscritta e sisostituirono le iniziali in rosso o dipinte con le lettere incise su legno. Non sifecero più accompagnare le scritture minute che contrassegnavano l’articola-zione dei ragionamenti da trattini di colore diverso che ne indicavano la gerar-chizzazione. Si tese, al tempo stesso, a ridurre il formato, a stringere le righe ea riempire sempre di più le pagine per abbassare i costi. Un po’ alla volta icaratteri tipografici, quei piccoli parallelepipedi di bronzo che andavano alline-ati lungo le righe come soldati in parata imposero la loro logica.»

(Da H.J. Martin, Storia e potere della scrittura, Laterza, Bari, 1990, pp. 244-45)

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76 Capitolo 2

Figura 2.2 Una pagina del famoso volume Historiae di Erodoto, stampato a Venezianel 1494, presso Gregorio de’ Gregari.

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indice e note. Si diffonde l’uso di frontespizi decorati contenenti il nome del-l’autore e anche dello stampatore con tanto di marca tipografica (tutto questoera prima relegato nel colophon, in chiusura).

La razionalizzazione dei metodi di impaginazione e di stampa, orientativerso la chiarezza espositiva, sembrano impoverire la varietà espressiva deglianni precedenti: le soluzioni grafiche dell’impaginato, poco fantasiose, obbe-dienti a criteri razionali, sembrano limitare la creatività degli stampatori e siassiste a quella che può essere scambiata per una sorta di “vittoria della ragionesulla fantasia”.4

Tuttavia un grandissimo grafico del nostro secolo, Albe Steiner, sottolineacome una solida struttura tipografica possa essere la base necessaria per un’espres-sività creativa più efficiente e più attenta alla ricezione del testo:

… lo standard della forma conduce invece al perfezionamento del prototipoche deve servire come supporto, traccia o schema di una pagina o di unostampato, sia esso libro, opuscolo o giornale per trarne infinite soluzionimodulari diverse. La produzione di serie deve migliorare sempre il prodot-to. Gli elementi tipografici standard, la ricerca attenta del colore più adattonella forma più utile, l’originalità delle illustrazioni e la tecnica della comu-nicazione visiva più avanzata non sono ostacoli alla fantasia o vincoli allalibertà creatrice, ma al contrario sono validi mezzi per realizzare un messag-gio artistico.5

2.1.3 La nuova percezione del testo

Accumulare le parole e le lettere secondo l’ordine alfabetico era un’attività diroutine nella bottega dello stampatore, un’abitudine alla sistematicità necessariaa velocizzare le procedure di stampa. La meccanizzazione del lavoro sembra inqualche modo aver favorito la tendenza a razionalizzare le pagine prodotte,definendone in maniera metodica l’aspetto e facendo ricorso a strumenti diconsultazione sempre più efficaci.

Abbiamo già avuto modo di ricordare come vari sistemi di indicizzazionefossero già diffusi nel Medioevo. Per facilitare la consultazione dei manoscritti,i copisti erano usi collocare all’inizio di un capitolo un breve riassunto; il testopoteva contenere titoli correnti, o lettere o segni colorati utili per rintracciare unsingolo passo; le citazioni, poi, venivano scritte tra puntini e, talvolta, a margi-ne, veniva riportato il nome dell’autore. Nella Summa di San Tommaso, adesempio, il copista aveva indicato in apertura le parti di cui l’opera si compone-va e ogni parte del testo era preceduta da un sommario. (La Summa, d’altraparte, era scritta in maniera del tutto schematica, articolata in parti estremamen-te simmetriche, introdotte da formule ricorrenti.) I monaci cistercensi avevano

4 Albe Steiner, Il mestiere di grafico, Einaudi, Torino. 1978, p. 60.5 Steiner, op. cit., p. 70.

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78 Capitolo 2

addirittura studiato un modo per indicizzare i testi, che consisteva nel suddivi-dere la pagina in zone contrassegnate da lettere dell’alfabeto collocate ai margini.

L’indice, quindi, non è un’invenzione della stampa, anche se è vero chedurante il Medioevo le tecniche si differenziavano e le diverse metodologiecorrispondevano “a una società in cui ciascuna piccola cerchia possedeva ilproprio vocabolario e il proprio linguaggio”.6

La stampa, invece, favorì quel processo di uniformazione delle tecniche e digraduale standardizzazione che rese simili, negli anni, testi stampati di ogniparte d’Europa. Ciò che si era presentata, prima, come caratteristica occasionalee differenziata diventava, ora, un’aspettativa consueta per il lettore di un volume,determinando l’affermazione di un nuovo modo di leggere. La presenza di paginenumerate e di segni di punteggiatura, la divisione in paragrafi, capitoli, gli indici,contribuirono a ridefinire il modo di pensare dei lettori (Approfondimento 2.4).

Nel suo noto volume La galassia Gutenberg, Marshall McLuhan evidenzial’impatto della diffusione dei testi a stampa sui modelli mentali dei lettori: “Unateoria dei mutamenti culturali è impossibile senza la conoscenza dei mutamentinei rapporti tra i sensi provocati dalle diverse estrinsecazioni di essi” è il titolo diuno dei tanti capitoli del testo in cui si individuano le definitive conseguenzedell’introduzione delle tecniche di stampa in una cultura già profondamentesegnata da un tipo di scrittura fonetica.

Volendo tentare una sintesi dei profondi mutamenti determinati dalla diffu-sione della stampa, elenchiamo una serie di punti focali:

1. È evidente come la diffusione di un impaginato standard, all’interno delquale grande rilievo veniva dato alle caratterizzazioni tipografiche, abbiasancito definitivamente il primato dell’occhio sull’udito nell’atto della lettu-ra. Se potessimo azzardare il ricorso a definizioni attuali si potrebbe parlaredi un “formato invisibile” che facilitava l’approccio del lettore al testo. Leregole tipografiche tendono, infatti, a mettere il lettore in condizione di“abbracciare” a colpo d’occhio il contenuto di un testo, e di affidarsi arassicuranti consuetudini di lettura.

2. La suddivisione del testo in capitoli e paragrafi, tipograficamente scanditi,contribuisce, inoltre, a valorizzare una concezione modulare del testo (com-posto di parti, così come la pagina è composta di singoli caratteri). Moltistudiosi hanno sostenuto come una delle caratteristiche prime della culturanata dall’”Universo Gutemberg” sia quella di dare alla realtà una notazione“atomistica” e lineare, la stessa linearità che ha poi plasmato la logica dellacultura occidentale.

3. Il nuovo formato del libro, più maneggevole, oltre che più accessibile intermini economici, incrementa la tendenza a una fruizione come fatto indi-viduale, una lettura solitaria che crea nuove forme di identità di gruppo (la

6 Martin, op. cit., p. 160.

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Approfondimento 2.4 Leggere nel tardo Medioevo

Riportiamo la trascrizione di un brano del saggio di Paul Saenger Leggere neltardo Medioevo, in cui si illustrano le novità introdotte nei manoscritti delleopere di Ugo di San Vittore (morto nel 1141):

«Come in molti manoscritti cistercensi, le parole erano regolarmente separate,con spazi fra l’una e l’altra pari al doppio dell’unità di spazio, vale a dire alladistanza fra le due gambe della lettera n. L’impiego di maiuscole iniziali persegnalare i nomi propri era comune a questo e ad altri codici antichi delleopere di Ugo.

Le pagine dei più antichi manoscritti di quest’ultimo facevano ampio uso diiniziali colorate, allo scopo di conferire a ogni partizione testuale un’immaginequasi distinta, che ne agevolasse la memorizzazione. Nelle mani di Ugo, lapresentazione grafica dell’informazione con l’ausilio di iniziali colorate e motiviarchitettonici messa a punto dagli scribi del secolo XI – principalmente nelleabbazie di Fécamp e di Saint-Germain-des-Prés – si trasformò in un consapevo-le artificio pedagogico. Nel De tribus maximis circumstantiis gestorum, Ugoconsigliava agli scolari di studiare tenendo lo sguardo fisso sul libro e di ricor-darne i colori, le forme delle lettere e la collocazione sulla pagina di specificheinformazioni all’interno del testo. Per Ugo, l’interazione visiva tra libro e lettoreera parte integrante dello studio; nel Didascalion egli propose espressamentetre modalità di lettura: la lettura rivolta a un altro, l’ascolto di una lettura altruie la lettura a se stessi con gli occhi fissi sulla pagina (inspicere), vale a dire lalettura silenziosa privata. [...] Secondo Ugo, il lettore imparava dapprima a do-minare la costruzione grammaticale (agevolata dal raggruppamento sulla pagi-na delle parole collegate), quindi il significato letterale, per procedere infineverso il significato più profondo, in un processo libero dall’antico condiziona-mento dell’espressione orale e della corretta accentazione. La ristrutturazionedella lingua scritta operata nel secolo XI aveva agevolato proprio questi proces-si largamente visivi. Ugo descrisse i segni, o notae, dei grammatici antichi,compresa la punteggiatura, come simboli normalmente presenti sulla paginascritta, ove dovevano essere inseriti dallo scriba per assistere il lettore nellacomprensione del testo. Nei tempi antichi, era stato il lettore, piuttosto che loscriba, ad aggiungere segni per facilitare l’analisi grammaticale e logica deltesto. La convinzione di Ugo che spettasse al copista preparare il testo per illettore esemplificava il mutamento di mentalità introdotto in Francia dal secoloanteriore. Ugo incluse nel suo De grammatica un glossario estensivo dei sim-boli diacritici e fu il primo grammatico medievale a elencare i segni di rinvio frai simboli che gli scribi dovevano fornire al lettore. Tali simboli, che presuppo-nevano i movimenti oculari richiesti dalla consultazione silenziosa, erano dive-nuti sempre più abbondanti a partire dallo scorcio del secolo X.»

(Da Storia della lettura, a cura di G. Cavallo e R. Chartier, Laterza, Bari, 1995,pp. 119-20)

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80 Capitolo 2

comunità a cui l’individuo sente di appartenere non è più quella circoscrittadel gruppo all’interno del quale il testo è letto e commentato, ma si identi-fica con altri potenziali lettori di un testo identico in tutto e per tutto, lettorimagari residenti a chilometri e chilometri di distanza).

4. La conservazione dei testi, considerata fino a questo momento il compitofondamentale del copista, è enormemente favorita dalla stampa e ciò deter-mina una nuova libertà nella stesura stessa di un testo: non è più necessariomodificare o scovare espedienti per abbreviare un testo, poiché la sua ri-produzione è garantita da uno strumento assai meno sensibile alla quantitàdelle mani di un copista.

5. La facilità con cui si producono grandi numeri di copie sottrae alla memoriaumana il compito di conservazione del testo. Un testo può essere facilmentea disposizione e non è necessario richiamare alla memoria i passi, bastapoterli rintracciare tra la trama delle righe. I testi possono abbandonarecadenze, rime, immagini, simboli e tutti quegli espedienti destinati ad assol-vere la funzione di conservare la memoria collettiva:

La stampa non solo cancellò molte funzioni svolte in precedenza da imma-gini di pietra sui portali e dalle vetrate istoriate, ma influenzò anche imma-gini meno tangibili, eliminando la necessità di porre figure e oggetti innicchie immaginarie situate nei teatri della memoria. Fu aperta la strada aun’iconoclastia più radicale di quanto una chiesa avesse mai conosciuto.“L’uomo ramista deve distruggere le immagini sia dentro sia fuori, devesostituire alla vecchia arte idolatra il nuovo modo privo di immagini diricordare mediante un astratto ordine dialettico”.7

Se leggiamo con attenzione ognuno dei punti riassuntivi che riepilogano leinnovazioni introdotte dalla stampa, potremmo facilmente ritenerle valide an-che oggi, per quanto riguarda l’introduzione delle nuove tecniche di comunica-zione. Il profondo processo di mutamento avviato con l’introduzione dei carat-teri mobili, trova oggi una continuità marcata, assieme a tante sorprendentinovità. La ricerca di uno standard di presentazione dei testi è, infatti, uno deipunti nodali della ricerca attuale; è evidente, poi, come il carattere modulare deltesto si stia gradualmente accentuando con la nuova scrittura; non c’è dubbioche Internet ha mutato profondamente non solo il rapporto tra lettore e testo,ma anche il senso di appartenenza a una certa comunità di lettori, ampliandonotevolmente la percezione globale della comunicazione scritta; infine il temadella conservazione dei testi riacquista nuovo interesse da quando le memorieottiche permettono di racchiudere in spazi esigui enormi quantità di dati, la cuinatura digitale permette operazioni di riproduzione e manipolazione prima inim-maginabili.

7 Eisenstein, op. cit., pp. 85-86.

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2.1.4 La tipografia della pagina

Ormai il lettore non ascolta più il testo, ma guarda la pagina, e i suoi occhisi spostano sulle due dimensioni di questa cercando dei segni di riferimentoo delle lettere colorate in funzione di indicazioni, o anche in cerca di unaparola determinata [...] Rivoluzione, dunque, figlia dell’alfabeto e madredella stampa. Capitalizzazione dei testi, non più, prima di tutto, nella memo-ria umana, ma partendo da strumenti esteriori all’uomo.8

Abbiamo visto come, con il passare dei secoli, la “forma del testo” abbiaassunto un’importanza crescente. L’obiettivo: rendere piacevole, allettante, fun-zionale, l’approccio del lettore al libro.

“A niun’arte più che alla tipografia si convien tener intento il pensiero aisecoli avvenire, perché non meno ai posteri che agli ora vivi fien d’uso lepresenti sue opere”. Sono parole di Gianbattista Bodoni, noto editore parmen-se, che nel suo Manuale tipografico sottolineò l’importanza della “gioia per gliocchi” provata di fronte alle pagine di un libro i cui caratteri fossero scelti concura, il testo distribuito in linee uguali, con regolarità, buon gusto e grazia, lacarta e gli inchiostri di ottima qualità. Dopo di lui, durante tutto il Settecento el’Ottocento, lo studio dei caratteri e le tecniche di impaginazione hanno conti-nuato ad affinarsi e sarebbe impossibile ripercorrere l’intera storia dell’editoria edei suoi progressi; ci basta qui enunciare alcune direzioni chiave.

Se fino a ora ci siamo occupati di stampa parlando di libri in generale, cidedicheremo adesso con attenzione all’idea di “pagina”, un’idea che, maturataattraverso i secoli, condiziona ancora oggi profondamente la nostra concezionedel testo. È sulla pagina che concentreremo la nostra attenzione, più che sullibro intero, essendo il nostro tema di fondo il testo elettronico, in tutti i suoiaspetti.

La pagina non è la schermata di un computer, ma il computer ci fornisceoggi tutti gli strumenti necessari a confezionare pagine, soprattutto in formatoA4, che tengano conto di tutte le possibilità tipografiche. Consuetudini anticheci hanno assuefatto a concepire secondo parametri definiti lo spazio destinatoal testo. La direzione e l’ordine delle linee, il rapporto tra spazi pieni e vuoti, ladisposizione del testo, il disegno dei caratteri e la loro dimensione, sono levariabili su cui si può intervenire nel momento in cui si progetta, da un punto divista visivo, la pagina di un qualsiasi testo.

La simmetria è sempre stata una delle regole dominanti della tipografia, unaregola che ha stimolato la ricerca di una distribuzione proporzionale di aree eforme, secondo i principi del disegno. Rispetto al passato, si tende oggi a parla-re di simmetria dinamica, di una giusta relazione, cioè, fra misure, proporzioni,direzioni, contrasti di chiaro e scuro.

8 Martin, op. cit., p. 162.

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Uno dei momenti di rottura della tradizione tipografica lo si è avuto agliinizi del Novecento, quando futuristi, surrealisti e dadaisti hanno negato l’ordi-ne lineare della tipografia tradizionale, utilizzando caratteri diversi disseminatisulla pagina secondo disposizioni casuali e atipiche. Il loro intento, dichiaratonei manifesti programmatici, era quello di dissacrare l’oggetto libro come lo siera inteso fino a quel momento, proponendo una nuova provocatoria correla-zione tra contenuto e aspetto del testo.

Contemporaneamente altri accentuavano l’aspetto funzionale della tipogra-fia: nella Russia degli anni Venti si affermava una nuova concezione, la cosìdetta “Tipografia elementare”. Legato al movimento del Bauhaus, Jan Tschi-chold sosteneva che lo scopo principale della tipografia fosse quello di comuni-care nella forma più breve e nella maniera più efficace. A questo scopo predi-ligeva i caratteri a bastone, quelli cioè privi di grazie; desiderava abolire lasimmetria, così come l’uso delle maiuscole; per le illustrazioni amava le foto inluogo dei disegni, per il loro maggiore realismo, e le preferiva collocate nell’in-tero spazio della pagina, talvolta su due pagine, senza rispetto alcuno per imargini.

L’indicazione chiara di queste tendenze avanguardistiche è senza dubbio uninvito alla sperimentazione e alla riscoperta della fisicità del testo, considerataelemento imprescindibile dal suo contenuto.

Figura 2.3 Esempio di una pagina ideata da Jan Tschichold.

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2.1.5 Forma e contenuto

Il computer invisibile è il titolo di un recente e famoso saggio di Donald Nor-man, uno dei fondatori del concetto di usabilità, ovvero lo studio, fra le altre, diquelle norme che rendono più immediato l’approccio ai testi elettronici daparte di un’utenza allargata. Secondo questa prospettiva, l’obiettivo di fondo dichi scrive e progetta un testo elettronico deve essere quello di rendere l’inter-faccia uomo-macchina il più possibile invisibile, azzerando tutte le difficoltà diuso o i condizionamenti che il medium, inteso proprio nel senso di tramite,comporta.

Alla base di queste teorizzazioni c’è l’idea di un “testo puro” che deve essere“liberato” dalla sua forma di presentazione. Senza volere, si ripropone l’eternaquestione della separazione tra forma e contento.

Nelle pagine precedenti abbiamo provato a dimostrare come la forma di untesto condizioni sempre la lettura, sostenendo che ogni informazione è sempreveicolata da oggetti (i testi, appunto) dotati di una loro materialità.

… i significati dei testi dipendono dalle forme e dalle circostanze attraversole quali i loro lettori (o ascoltatori) li recepiscono e se ne appropriano.Questi ultimi non si confrontano mai con testi astratti, ideali, distaccati daogni materialità: maneggiano oggetti, ascoltano parole le cui modalità infor-mano la lettura e l’ascolto e, ciò facendo, governano la possibile compren-sione del testo. [...] bisogna tener presente il fatto che le forme produconosenso e che un testo è investito di un significato e di uno statuto ineditiquando cambiano i supporti che lo propongono alla lettura.9

Sarebbe, dunque, sconveniente parlare della presentazione di un testo inassoluto, senza considerare il suo contenuto. D’altra parte ogni word processorsembra in qualche modo potenziare questa distinzione, ponendoci di fronteall’idea di un involucro esteriore che contiene la vera sostanza dell’informazio-ne, una concezione dicotomica della realtà che ripropone antiche separazioni.

Ognuno di noi, digitando un qualsiasi testo al computer, ha provato lasoddisfazione di abbandonarsi a una sorta di flusso di scrittura, una scritturaignara della sua presentazione, che sembra recuperare il suo valore esclusiva-mente fonico: quello che appare a video non è che la traccia provvisoria di untesto sul quale è possibile, successivamente, intervenire “formattando” la pagi-na a piacimento, modificando caratteri, introducendo spaziature o colonne.Ovvero, la “confezione” di un testo, sia esso una lettera ufficiale, un saggio ouna tesi di laurea, viene spesso rimandata a un secondo tempo, quando leparole, le frasi, i periodi sono già stesi nella loro forma definitiva. È questo unmodo di concepire la scrittura a video: dividere cioè il tempo della scrittura vera

9 G. Cavallo e R. Chartier, a cura di, op. cit., p. VI.

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e propria da quella della formattazione, un po’ come si fa con un manoscrittoche si manda in stamperia una volta compiuto.

Secondo la medesima logica dicotomica, i programmi come Word o affinipropongono, talvolta, un approccio rovesciato: si può infatti impostare a priorila pagina, il carattere, e scrivere vedendo, a grandi linee, sullo schermo, ciò chesuccessivamente sarà stampato su carta. Comunque si proceda, la suddivisionedelle fasi sussiste.

Figura 2.4 Jean Dupay, Video ergo sum, 1988.

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Ma il testo finale, quello che sarà stampato, sarà comunque uno e irripetibi-le, combinazione tangibile di parole-suono e di parole-grafica, la sua presenta-zione, le grassettature dei titoli o le numerazioni di pagina al centro piuttostoche in alto a destra, il carattere bastone piuttosto che un Algerian, la lunghezzadel rigo o la suddivisione in colonne, ne faranno di volta in volta un oggettodiverso di fronte agli occhi dell’utente.

Non può esistere una “forma invisibile”, come non esiste una forma inno-cente, incapace cioè di suscitare nel lettore suggestioni, impressioni, valutazio-ni, poiché sono i nostri occhi, assieme alle nostre orecchie, assieme alle nostremani, a ponderare e penetrare nei significati di un testo. Occhi assuefatti a usi esimbologie stratificati negli anni. Chi può dire se il carattere Old English (���

������) contenga di per sé tratti che suscitano un senso di antico mistero oviceversa si tenda semplicemente ad associarlo, per consuetudine assodata, ascritture gotiche e oscure? Certo è che di fronte a un testo che fa uso di questocarattere le aspettative del lettore sono già segnate prima che la lettura effettivaabbia inizio, e difficilmente chi legge si aspetterà un saggio tecnico sul funzio-namento delle leve idrauliche. La storia della tipografia pesa sulla nostra perce-zione dei testi scritti e fatalmente la condiziona.

Per non parlare, poi, dell’uso dei supporti: la semplice frase “Video ergosum”, che potrebbe benissimo essere scambiata per un antico motto latinoconiato sul più famoso “cogito” acquista un nuovo significato se tracciata conun pennello sopra lo schermo di un vecchio televisore. Ma questa è un’altraquestione.

Dopo questa lunga introduzione storica, nei paragrafi che seguono affronte-remo il tema dei testi che nascono sulle memorie di un hard disk, ma sonocomunque destinati a essere stampati. Il computer e i programmi si trasformanoin una potenziatissima macchina da scrivere, con funzioni supplementari tutt’al-tro che di secondo ordine. Analizzeremo tutte le funzioni offerte dai word pro-cessor che possono agevolare le operazioni di scrittura, partendo dalla faseprogettuale, fino ad arrivare alle fasi di stampa.

2.2 ProgettazioneStrumenti di prescrittura

2.2.1 Una macchina tante funzioni

Quando si parla di “scrittura elettronica”, ci si riferisce in realtà a diversi tipidi programma, ognuno con caratteristiche e funzioni particolari: gli editori,i formattatori, i word processor (wp), gli outline processor, i correttori orto-grafici, sintattici e stilistici, e i programmi di desktop publishing (dtp).10

10 Scavetta, op. cit., p. 129.

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Le pagine di Scavetta, risalenti al 1992 (un’epoca lontana quando si parla ditesti elettronici) ci servono a ricordare come tutte le funzioni, offerte oggi a chiscrive da uno stesso programma, siano state svolte, in passato, da softwarediversi.

Gli editor erano e sono semplici programmi utili a creare o modificare file ditesto, non possiedono funzioni di elaborazione come ad esempio la possibilitàdi inserire corsivi o caratteri particolari.

Per formattatori si intendono invece gli elaboratori di testo in grado ditrasformare l’aspetto tipografico, una funzione contenuta nei word processor,generalmente indicati con la sigla wp.

Gli outline processor elaboratori di scalette, sono programmi che consento-no la scrittura di un intero documento partendo dal suo indice, associando aititoli o sottotitoli il blocco di testo corrispondente. Eventuali modifiche o sposta-menti si potranno effettuare lavorando proprio su di essi. Oggi la loro utilissimafunzione è svolta da qualsiasi wp.

Per desktop publishing si intendono quei programmi in grado di costruirel’impaginato di un testo destinato alla stampa. L’utente dispone a video parole eimmagini secondo griglie tipografiche da lui impostate.

Scrivere, semplicemente mettere una parola dopo l’altra per iscritto, siste-mare il testo cambiando carattere inserendo corsivi, sottolineati o grassetti, cor-reggere automaticamente la grammatica e l’ortografia del testo, impaginare untesto per la stampa e poi anche preparare scalette: tutte queste funzioni sonooggi svolte da un unico software che ci affianca nel lavoro di preparazione diun testo dall’inizio alla fine.

I nuovi software, dicevamo, sono pensati per esaudire ogni desiderio di chiscrive e offrire alla scrittura tutti gli strumenti di cui necessita. Negli anni latendenza progressiva è stata quella di riunire in un solo prodotto offerte primaconsiderate specifiche e calibrate sui bisogni dei vari utenti: oggi un word pro-cessor è uno strumento assai raffinato e complesso di cui ognuno di noi utilizzanel migliore dei casi il cinquanta per cento delle potenzialità.

La cura nella “forma” del testo ha riconquistato un suo posto di riguardo,incoraggiata, anche a livello amatoriale, da una cassetta degli attrezzi così benequipaggiata da tentare chiunque scriva. Quale adulto non si è divertito, duran-te i primi approcci a un programma di videoscrittura, a confezionare spiritosibiglietti o a sperimentare le funzioni di formattazione offerte dal programma?Chi non si è offerto di preparare inviti o volantini divertendosi a provare carat-teri, impaginati e clip art? La facilità di manipolare un testo da un punto di vistapuramente visivo è stata la più immediata scoperta della nuova scrittura con ilcomputer. Accanto a essa, poi, si è apprezzato tutto il bagaglio di ferri delmestiere che ogni wp mette a disposizione. Attrezzi più raffinati, un po’ per tuttii gusti, che servono anche a valutare lo stile di ciò che si scrive, che suggerisco-no timide soluzioni tramite i correttori in linea o forniscono modelli preconfe-zionati di lettere ufficiali o curricula. E nessuno, oggi, dopo aver provato, riu-scirebbe a rinunciarci con facilità.

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Il computer dunque, tramite l’uso di un solo programma, accompagna oggidall’inizio alla fine la scrittura di un testo destinato, poi, ad altro supporto. Ementre da una parte libera la scrittura dal peso di antichi vincoli rendendola piùfluida e più semplice alla correzione, dall’altra impone come metodo la proget-tazione puntuale di ogni fase, dalla organizzazione delle idee, fino alla sceltadell’impaginato e del carattere.

Nei paragrafi che seguono analizzeremo il processo di preparazione di untesto destinato alla stampa, facendo riferimento agli strumenti di cui ci si puòavvalere utilizzando un word processor.

I metodi tradizionali saranno come al solito il punto di riferimento costantedel nostro lavoro.

2.2.2 Scalette

Immaginiamo di trovarci nella situazione di dover scrivere un breve saggio diargomento e lunghezza imprecisati. Si ha già in mente in linea di massima qualisaranno gli argomenti da trattare e naturalmente l’idea di fondo.

Ogni testo di una certa complessità richiede sempre una fase preparatoria, ilmomento in cui si fa ordine tra le idee e si prova a mettere per iscritto quelloche si pensa potrà essere l’ordine della trattazione. Nel primo capitolo abbiamogià descritto le diverse tecniche di pre-scrittura; vorremmo ora concentrarcisulla scaletta come procedura di progettazione di un testo complesso.

Da un punto di vista concettuale una scaletta è l’ossatura di un testo, laprima articolazione del tema o argomento principale e costituisce la prima trac-cia dell’organizzazione logica che si intende dare agli argomenti. Come abbia-mo già visto, una scaletta permette di esplicitare l’ordine secondo cui gli argo-menti saranno presentati e consente di stabilire anche i diversi livelli nella gerar-chia del testo; la scaletta, dunque, non è la semplice lista ordinata degli argo-menti, ma una sistemazione logica degli stessi.

La stesura di una scaletta è generalmente consigliata a ogni studente che sitrovi di fronte alla composizione di un tema (oggi si direbbe saggio breve). Perscritture di questo tipo, esistono persino suggerimenti di base riguardo l’impo-stazione di fondo. Molti manuali, ad esempio, suggeriscono di articolare lascaletta secondo i seguenti punti:

1. enunciazione dell’idea centrale2. elencazione di argomentazioni a sostegno dell’idea centrale3. esemplificazioni e dettagli4. conclusioni e ripresa dell’idea centrale.

Si tratta naturalmente di un esempio che fornisce una sorta di contenitorevuoto da riempire, di volta in volta, con i temi affrontati.

Proviamo a fare un esempio concreto: supponiamo che l’idea centrale siaquesta: 1. Lo sviluppo tecnologico determina una sorta di “oralità di ritorno”. Alpunto 2 si affronteranno le seguenti argomentazioni: 2.1 La scrittura al compu-

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88 Capitolo 2

ter è più immediata di quella a macchina perché più facilmente correggibile, 2.2La comunicazione tramite computer è più veloce e quindi meno formale, 2.3Internet tende a instaurare con il lettore una comunicazione del tipo uno a uno.Il punto 3 potrebbe analizzare in dettaglio 3.1 Il caso del linguaggio delle e-maile citare come caso emblematico 3.2 La testimonianza di uno scrittore che rac-conta le sue esperienze di scrittura a video. Il punto 4, infine, oltre a ribadirel’idea centrale, potrebbe ipotizzare 4 La nascita di una scrittura nuova, menovincolata alle antiche regole, ma non priva di un suo statuto formale. Se voles-simo rappresentare con una scaletta questo progetto di saggio avremmo il se-guente risultato:

1 Idea centrale: Oralità di ritorno e nuove tecnologie della comunicazione2 Argomentazioni a sostegno:

2.1 Nuova immediatezza della scrittura a video2.2 Comunicazione rapida e informale2.3 Comunicazione privilegiata

3 Esemplificazioni:3.1 Il linguaggio delle e-mail3.2 Umberto Eco e la scrittura al computer

4 Conclusioni: Verso una nuova scrittura

Se tutto questo può valere per una trattazione breve, dell’ordine di due o trecartelle, figuriamoci l’utilità di una traccia organizzativa in una trattazione assaipiù complessa, come una tesi o un intero volume. Qualsiasi editore discutel’opportunità di un volume sulla traccia di una prima scaletta preparata dall’au-tore. Solo nel migliore dei casi quello schema iniziale potrà diventare l’indicedefinitivo del libro che andrà in stampa. Il più delle volte, viceversa, l’organizza-zione iniziale sarà rivista e corretta; in ogni caso essa rappresenterà sempre ilpunto di partenza su cui iniziare a lavorare.

Abbiamo sempre parlato di scaletta, ovvero di ciò che molti manuali inlingua inglese definiscono outline, utilizzando un termine il cui significato pro-prio è profilo, contorno, e che allude alla natura schematica di traccia, abbozzo,ombra di quella che sarà la trattazione definitiva.

Più spesso si parla anche di struttura e a farlo sono soprattutto i sistemi discrittura elettronici, i word processor, che oggi offrono strumenti assai raffinatiper la compilazione di scalette molto più efficaci di quelle su carta. Ma avremomodo di parlare più avanti dei vantaggi offerti dal software nella stesura dellescalette.

Per esercitarsi nella stesura di una scaletta può essere utile compiere l’ope-razione inversa a quella che generalmente si compie quando si scrive: ovveroleggere un testo e provare a individuare la struttura sottesa. Si tratta di un’ope-razione che generalmente si fa quando si studia, una sorta di schematizzazionedel testo che permette di individuarne i punti nodali e le gerarchie interne.

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Proviamo a fare un esempio utilizzando un breve brano che dovrà essereletto con attenzione e ridotto alla sua scaletta.

La nascita dell’ipertesto

Il concetto di ipertesto nasce ufficialmente nel 1960, quando Ted Nelson pub-blicò per la prima volta il progetto destinato a diventare il senso di un lavoro diquasi trent’anni. Xanadu era la concretizzazione delle utopie di Vannevar Bush,era l’antesignano di Internet in tempi in cui non esistevano ancora i personalcomputer. Alla base delle formulazioni di Nelson c’erano anni di studi informa-tici e interessi letterari dichiarati; c’erano le teorie, allora in voga, degli struttu-ralisti che stavano mettendo in discussione l’idea di testo così come lo si eraconcepito fino a quel momento.

L’ipertesto è per Nelson, in primo luogo, un testo che scardina l’idea disequenza insita nella stessa natura materiale del libro. L’aver per primo definitola natura e le caratteristiche dell’ipertesto conferisce all’autore un posto di pri-mo piano nel panorama delle riflessioni sui nuovi linguaggi, ma sono le impli-cazioni che Nelson coglie, l’esattezza delle sue formalizzazioni, a fare di Lite-rary Machine un testo ancora fondamentale per chiunque si avvicini al nuovolinguaggio.

Parlando di ipertesti Nelson propone una distinzione che risulta un prezio-so spunto di riflessione per chiunque scriva testi per la rete o per CD-ROM/DVD. Nel suo progetto immagina due categorie di testi nettamente distinte:

1. documenti compositi,2. ipertesti a brani.

Il primo tipo comprende tutti quei testi che, mantenendo la loro ordinariastruttura sequenziale, si arricchiscono di un corredo di documenti correlatitramite catene associative molteplici. Secondo Nelson, non si tratta di veri epropri ipertesti in quanto il testo d’origine non è messo in discussione e man-tiene sostanzialmente la sua natura “cartacea”. Pensiamo, ad esempio, alladigitalizzazione della Divina Commedia, alla memorizzazione integrale delletre cantiche, da leggere a video. Immaginiamo che, mentre si sta leggendo unpasso dell’opera, si possa richiamare sullo schermo una prima finestra in cuicompaia il commento a quel brano, una seconda in cui si possano leggerenotizie sulla biografia di Dante e ancora una terza contenente dati sulle vicen-de storiche di quegli anni. Si tratterà di testi legati tra loro, certo, ma sostanzial-mente autonomi.

Gli ipertesti a brani, invece, pur mantenendo una fondamentale unitarietàdi contenuto, si presentano secondo una struttura reticolare distante dalla con-sueta organizzazione sequenziale. I singoli nodi, unità di significato autonome,saranno collegati tra loro secondo nessi associativi di vario genere e formeran-no un reticolo concettuale lontano dalla consueta organizzazione lineare. Iltesto d’origine viene stravolto e manipolato per assecondare le esigenze di unanuova forma di scrittura. Sarebbe come riscrivere la Divina Commedia inver-

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tendo l’ordine dei canti e creando una rete di associazioni tra episodi ritenuti inqualche modo affini: una vera e propria regia del testo che conserva della suaoriginale natura solo l’essenza.

La brevità del brano non consente operazioni troppo raffinate; tuttavia pos-siamo supporre una scaletta di questo tipo:

1 Nascita dell’ipertesto1.1 Ted Nelson e l’invenzione dell’ipertesto

1.1.1 I predecessori1.1.2 Il contesto storico-culturale

1.2 L’ipertesto per Ted Nelson1.2.1 Ipertesti compositi

1.2.1.1 Definizione1.2.1.2 Esempio

1.2.2 Ipertesti a brani1.2.2.1 Definizione1.2.2.2 Esempio

L’operazione che si è compiuta è quella di individuare piccole unità infor-mative in cui suddividere il brano, attribuire a esse un titolo, e definire la strut-tura logica secondo i rapporti gerarchici di contenenza che si stabiliscono tra levarie informazioni.

2.2.3 Tipologie di scalette

Facciamo un altro esempio. Questo libro è stato concepito secondo una suddi-visione in quattro capitoli fondamentali che hanno l’obiettivo di rappresentarequattro diverse funzioni di scrittura rese possibili dall’avvento delle nuove tec-nologie. Il tema generale, come i lettori dovrebbero ormai aver capito, è Lanuova scrittura articolata secondo cinque parti riconducibili a quattro diversetipologie di testo: Il testo pensato, Il testo che si stampa, Il testo che si guarda, Iltesto che si naviga. Ognuna di queste sottosezioni si articola in quattro partisimmetriche, che ricorrono cioè in ognuna di esse (La storia, La progettazione,La stesura, La pubblicazione). Naturalmente, di volta in volta, i quattro conteni-tori concettuali si riempiono di contenuti diversi in base all’argomento affronta-to, dando origine all’indice dei capitoli e dei paragrafi definitivo (il capitoloconclusivo, per sua natura più “aperto” e problematico, non rientra in questastruttura rigida).

La gabbia concettuale che abbiamo creato attorno ai contenuti non solo ci èstata di grande aiuto al momento della stesura, rappresentando un punto diriferimento solido per una trattazione tanto varia da rischiare di far perdere ilfilo, ma ci sembra garantire l’orientamento al lettore che potrebbe a sua voltaperdere di vista l’organicità del ragionamento.

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La scaletta di questo manuale è l’indice che trovate in apertura del volume,anche se non è stata così fino dall’inizio. Non tutte le scalette sono però costru-ite secondo le modalità da noi seguite Questa è una scaletta, ad esempio, cheprevede quattro livelli di approfondimento ed è costruita, come si diceva, te-nendo conto di una simmetria interna. Se dovessimo rappresentare graficamen-te la sua struttura otterremmo un albero di questo tipo:

Questa struttura, naturalmente, non varrà in assoluto: il ricorso alla simme-tria, ad esempio, può rappresentare, in molti casi, semplicemente una forzatura.Per quanto riguarda i livelli, poi, la “profondità” di una scaletta può andare daun livello zero, fino a un livello molto più alto di quello proposto in questovolume.

La simmetria corrisponde, in genere, a una ricerca di sistematicità e puòrisultare utile nel caso di trattazioni assai articolate, che abbracciano una quan-tità vasta di temi e necessitano, di conseguenza, di un ordine logico sufficiente-mente rigido che li argini. Altre volte, avvalersi di strutture simmetriche puòcostituire più semplicemente un puro sfizio logico, la costruzione di un’architet-tura raffinata retta da un gioco artificioso di combinazioni.

La simmetria di cui abbiamo parlato fino a ora è una simmetria di tipologico, ovvero la replica di uno schema di analisi applicato ad argomenti diver-si; talvolta la simmetria può essere semplicemente numerica, cioè stabilire un’uni-formità quantitativa tra i livelli del testo, come in un caso del genere:

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92 Capitolo 2

11.11.21.3

22.12.22.3

33.13.23.3

Ogni volta che ci troviamo di fronte a un indice che rivela al suo internoparti della struttura simmetricamente disegnate, possiamo essere certi di un’at-tenzione formale alla fase di pre-scrittura particolarmente accentuata, e ci tro-viamo spesso di fronte a testi in cui la struttura di fondo è la garanzia di unasistematicità che la trattazione in dettaglio delle pagine poi in parte abbandona;niente di più che una delega.

Una struttura profonda è tipica di scalette in cui si prevedono molti livelli ditrattazione. La materia è organizzata in modo rigidamente gerarchico. Anche inquesto caso si può supporre che alla fase di progettazione e organizzazione deltesto sia stato dato un rilievo particolare. Naturalmente ciò dipenderà anche daltipo di trattazione e dalle tematiche affrontate che si possono prestare più omeno a costruzioni piramidali, quasi i concetti siano legati da relazioni di appar-tenenza, incastri perfetti come scatole cinesi.

Una struttura poco profonda (possiamo dire superficiale?) prevede inveceuno o due livelli e dispone i suoi argomenti in una forma quasi lineare attribu-endo a essi il medesimo valore gerarchico.

Un indice che si presenta articolato su uno o due livelli è la spia di un testoin cui l’ordine logico è probabilmente affidato al contenuto, oppure dove l’au-tonomia dei singoli capitoli risulta particolarmente marcata.

Proviamo a mettere a confronto due indici di due volumi diversi.Quello sotto riportato è l’indice del volume di Manlio Brusatin Storia delle

immagini, edito da Einaudi nel 1989 e ripubblicato nel 2002:

p. XV PremessaXXI Come ascoltare le immagini

Storia delle immagini

3 I. L’immagine che si prende e che si perde12 II. Immagini immobili, mobili e sospese28 III. Immagini apparse e scomparse42 IV. Le immagini viventi: l’immagine di sé

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59 V. L’utilità e il discorso delle immagini75 VI. L’immagine e la somiglianza86 VII. Immagini in posa99 VIII. La fiera delle immagini

117 Bibliografia129 Indice dei nomi

Come è facile intuire ci si trova di fronte a una struttura ad articolazionezero, una raccolta di saggi autonomi, anche se tutti centrati sullo stesso argo-mento di fondo; solo il ricorso nei titoli della parola immagine rappresenta il filoconduttore subito evidente, per il resto spetterà al lettore ricostruire i legami trai singoli tasselli del testo e lo sviluppo organico della trattazione.

Prendiamo ora come secondo esempio l’indice di un volume ampiamentecitato in questo testo, Come si scrive, di Maria Teresa Serafini, edito nella collanaStrumenti di Bompiani nel 1992.

Si tratta di un indice assai ampio, caratterizzato da una strutturazione estre-mamente simmetrica che prevede almeno quattro livelli: una suddivisione diparti (I La pre-scrittura, II La scrittura, III La post-scrittura); ogni parte contiene4 capitoli, ogni capitolo contiene altri sottocapitoli, suddivisi in tanti paragrafi,ma ecco la riproduzione della Parte I:

Parte I: La Pre-scrittura

1. LA RACCOLTA DELLE IDEE

1.1 La lista delle idee1.1.1 Descrizione1.1.2 Come si costruisce1.1.3 Gli errori più comuni1.1.4 Esercizi

1.2 Il grappolo associativo1.2.1 Descrizione1.2.2 Come si costruisce1.2.3 Gli errori più comuni1.2.4 Esercizi

1.3 Il flusso di scrittura1.3.1 Descrizione1.3.2 Come si costruisce1.3.3 Gli errori più comuni1.3.4 Esercizi

1.4 Soluzione di alcuni esercizi

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94 Capitolo 2

È subito chiara la diversa impostazione dei testi e il lettore dell’indice puòimmediatamente stabilire l’intento più o meno didattico sotteso a strategie cosìdissimili.

2.2.4 Scalette al computer

Una scaletta è facilmente tracciabile a mano, su carta. Assomiglia a una lista, marispetto a quest’ultima ricorre a una serie di espedienti grafici atti a rappresenta-re la struttura logica degli argomenti.

Il rientro, ovvero la spaziatura lasciata tra il margine sinistro e l’inizio delrigo, è uno degli indicatori di livello più utilizzati. Questo sistema consente dicreare vere e proprie scalette (nel senso più letterale del termine) dove i gradinisaranno dovuti ai rientri tra le diverse righe. Spostandosi da un livello a unoinferiore, infatti, la digitazione salterà verso sinistra di un TAB. Alla fine, righe ditesto appartenenti allo stesso livello saranno allineate a sinistra lungo un’imma-ginaria banda verticale. La maggiore o minore sporgenza delle righe verso ilbordo sinistro sarà indice dell’ordine gerarchico degli argomenti.

Quando il rientro non è utilizzato o sembra insufficiente a esprimere lagerarchia, si fa ricorso all’uso di lettere, numeri o simboli che indicano la suc-cessione e il livello degli argomenti da trattare.

La modalità più in uso è senza dubbio quella di numerare in ordine progres-sivo i primi livelli di una scaletta e di attribuire ai sottolivelli una numerazionecomposita, costituita da un primo numero indicante il contenitore a cui si fariferimento e un secondo relativo alla progressione. Si può procedere oltre,aggiungendo livelli e numerandoli secondo le stesse modalità. Il risultato sarà ilseguente:

11.1

1.1.11.2

1.1.22eccetera

Il sistema, conosciuto come “numerazione decimale”, largamente adottatonelle pubblicazioni tecniche, è regolato da norme internazionali (ISO 2145-UNI4647) che definiscono in forma generale lo schema di suddivisione e numera-zione sistematica dei testi.11 Tale schema prevede l’uso di livelli gerarchici disuddivisione. Il numero dei livelli varia a seconda del testo, tuttavia la stessanormativa consiglia di non eccedere nel numero delle suddivisioni.

11 Vedi ISO 2145 Numbering of division and subdivision in written documents, norma UNIcorrispondente UNI 4647 Numerazione sistematica dei testi.

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Il testo che si stampa 95

Talvolta i numeri possono essere sostituiti dall’uso di lettere minuscole omaiuscole. Il significato dell’operazione non cambia.

Per avere un’idea esauriente delle possibilità offerte a chi scrive una scalet-ta, basta fare riferimento proprio alle opzioni offerte da programmi di video-scrittura, come ad esempio l’arcinoto Word di Microsoft. La finestra nella figura2.5 ci mostra tutte le possibilità offerte dal programma.

Le prerogative proprie della compilazione di scalette tramite l’uso di unword processor non si limitano però alle varianti tipografiche offerte come scel-ta. Il vantaggio più evidente è senza dubbio un altro: la possibilità cioè dicompilare scalette che mostrino di volta in volta, secondo le richieste dell’uten-te, i diversi livelli del testo.

La Visualizzazione Struttura di un testo consente infatti proprio di trasfor-mare un testo fisso e apparentemente immobile sullo schermo in un testo dina-mico che mostra o nasconde livelli della scaletta a seconda delle necessità. Unasemplice opzione permette di decidere quali livelli del testo visualizzare: sel’intera scaletta per esteso, se la scaletta solo fino al terzo livello compreso, seesclusivamente il primo livello. Questa funzione garantisce un orientamentoimmediato all’interno di strutture che possono presentarsi non sufficientementechiare ed esplicite a una prima occhiata: poterle sezionare e ripercorrerne la

Figura 2.5 Le varie possibilità di stesura di una scaletta offerte dal programmaWord di Microsoft.

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progressione lungo le gerarchie logiche previste costituisce un notevole rispar-mio di energie.

Ma generalmente un word processor che si rispetti non si ferma qui. È ingrado di trasformare una scaletta nel contenitore aperto del suo testo. Per-mette, cioè, l’inserimento, all’interno dei livelli costruiti, di interi brani checostituiscono il contenuto di quell’ossatura. Questo procedimento, che Wordindica con il nome di Documento Master, mette lo scrittore in condizione dicostruire un intero saggio partendo proprio dalla scaletta che di esso dovreb-be essere il punto di avvio e avendola sempre sott’occhio. Utilizzare docu-menti master è utile nel caso in cui si stia lavorando su testi lunghi e comples-si, generalmente distribuiti su più file. In un documento master i livelli strut-turali non sono costituiti da semplici stringhe di testo quanto piuttosto da altridocumenti, detti documenti secondari, salvati come file distinti, ma dipen-denti dal documento master per tutto ciò che concerne i formati pagina, leintestazioni, gli stili che vengono automaticamente ereditati. Ogni documentosecondario mantiene una propria autonomia e può essere gestito indipen-dentemente, le modifiche a esso apportate, tuttavia, saranno immediatamenteregistrate dal documento principale. Alla fine ci troveremo di fronte a unasorta di “indice attivo” che può, all’occorrenza, aprirsi e mostrare il testo perintero.

Capire tutte le implicazioni logiche e psicologiche che questa nuova proce-dura comporta è impossibile; prima che studi sistematici conducano ricerche inquesto senso, ci possiamo per il momento limitare alle impressioni che ognunodi noi registra nel momento in cui utilizza un sistema di questo tipo. Aumenta digran lunga il dominio sul testo nel suo complesso, così come si potenzia lavisione d’insieme. O forse, così come si sostiene sia già successo di fronte adaltre innovazioni, ancora una volta la delega totale alla macchina, che garanti-sce il coordinamento tra una messe di materiali disparati, impoverisce di fatto lanostra capacità di orientamento. Tutto questo è difficile da stabilire: è tuttaviachiaro che “tornare indietro”, dopo aver sperimentato i benefici di nuove prero-gative, è praticamente impossibile per tutti.

2.3 StesuraUna parola dopo l’altra

2.3.1 Per il piacere di leggere

La scrittura, non quella preparatoria, ma quella che riordina pensieri e frasi e limette nero su bianco, ha inizio.

Diversamente dagli schemi grafici, che riescono a mostrare l’organizzazionedelle relazioni in una singola occhiata, la scrittura alfabetica è sequenziale enecessita di una “pazienza percettiva” maggiore da parte dell’utente. I lettorinon incontrano le idee tutte insieme, ma una dopo l’altra, così come l’autore del

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testo ha deciso di sistemarle. L’ordine delle idee all’interno di una trattazione ela loro articolazione costituiscono un elemento di grande importanza ai finidella comprensibilità del testo e della sua gradevolezza.

Esistono tecniche di scrittura codificate che forniscono suggerimenti espres-sivi per autori alle prime armi e offrono spunti di riflessione per chiunque siaccinga a comporre un testo complesso. È la scrittura giornalistica quella chevanta il maggior numero di tecniche ormai assunte come assiomi. Si tratta diregole valide in generale, anche per altre forme di trattazione, e facilmenteapplicabili alla scrittura per il web. Molti dei manuali di web writing comparsinegli ultimi anni non fanno altro che riproporre, infatti, magari con lievi modi-fiche, le norme ormai consolidate della scrittura giornalistica. Scrittura modula-re, regola delle 5 w, regola della piramide invertita sono le tre strategie piùutilizzate e propagandate quando si parla di una scrittura che deve possederecome requisito fondamentale la velocità della comunicazione e la chiarezza. Diqueste tecniche parleremo nel quarto capitolo, quello dedicato alla scritturaipertestuale; per ora consideriamo alcuni consigli che possono riguardare ognitipo di testo.

Il primo obiettivo di chi scrive è senza dubbio quello di farsi comprendere.La premessa perché ciò avvenga è riuscire a tenere sveglia l’attenzione di chilegge, suscitando il suo interesse e la sua voglia di capire. Uno dei sistemi piùefficaci per raggiungere lo scopo è quello di creare aspettativa.

Quali sono i metodi per creare aspettativa in chi legge? La maniera piùsemplice consiste nel preannunciare il contenuto del testo, riassumendo in po-che righe l’intento di un intero paragrafo, anticipando, cioè, l’argomento centra-le. Una specie di dichiarazione di intenti che può aiutare non solo il lettore, maanche chi scrive a mantenere la coerenza richiesta da una trattazione. Alcunitesti di studio, o saggi con chiari intenti divulgativi, usano questo sistema nellastesura di interi capitoli, ma la tecnica vale anche per i singoli paragrafi struttu-rati internamente in maniera tale che i periodi di apertura costituiscano unasorta di abstract di ciò che in seguito sarà sviluppato. Tale metodologia, senzadubbio assai utile alla comprensione, può risultare talvolta eccessiva e nonsoddisfare il gusto di chi ama scritture magari meno chiare ma più avvincenti edense di sorpresa. In questo caso si può ricorrere a una vera e propria strategiadella rivelazione.

Questo metodo consiste nell’avanzare anticipazioni meno esplicite, tese asuggerire soltanto il tema centrale, lasciando aperti ampi margini di curiosità dasoddisfare. Si sceglie di non rivelare fino dall’inizio l’intero piano di scrittura, malo si fa intuire al lettore per gradi, con il procedere del discorso. Si può alluderetramite dettagli, inserire accenni, rimandando il chiarimento alla parte conclusi-va del testo. La tecnica è fin troppo utilizzata nella narrativa, basti pensare, uncaso per tutti, alle parole di apertura di Cent’anni di solitudine, il capolavoro diMarquez, che inizia con un’anticipazione della storia di Aureliano Buendía,facendo presupporre le sue future avventure politiche e una morte che poi saràin realtà smentita dalla vicenda.

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Anche se la narrativa costituisce un caso a sé ed è difficile stabilire paragonitra le pagine di un romanzo e quelle di un saggio, la regola vale sempre: se sirivela troppo si toglie suspence al lettore, d’altra parte una scrittura troppo allu-siva rischia di far perdere il filo; di volta in volta si dovrà valutare il tagliostilistico da dare al proprio testo, a seconda naturalmente degli interlocutori checi siamo idealmente scelti (i nostri lettori modello).

Così come il testo nel suo complesso, anche un singolo paragrafo possiedeuna propria architettura interna fatta di anticipi e di rimandi, di un ordine datoai concetti espressi. È questo ordine che lo scrittore decide nel momento in cuistende il proprio pezzo.

Supponiamo che io stia scrivendo un breve saggio di storia dell’arte. Unodei paragrafi prevede la descrizione puntuale di un dipinto. Come inizierò lamia descrizione? Potrò semplicemente operare una divisione spaziale del dipin-to iniziando dallo sfondo e procedendo verso il primo piano. Potrò viceversascegliere un orientamento che proceda da destra a sinistra. Se intendo assegna-re al mio testo una connotazione “meno spaziale”, potrò iniziare parlando delcolore e successivamente delle forme e della loro disposizione. Le possibilitàsono innumerevoli e la scelta determina di volta in volta un preciso stile. Quelloche conta è sapere che, sebbene in maniera inconsapevole, ogni volta che siscrive si tende a seguire un ordine nella trattazione di un argomento. Da sinistraa destra, dall’alto in basso, da davanti a dietro, dal passato al futuro, dal peggioal meglio, dal meno al più importante, dal particolare al generale o viceversa,tutti questi possono essere considerati ordini naturali, utilizzati in base all’argo-mento di cui si sta parlando. Ognuno di essi può anche essere rovesciato, o sipuò arrivare a immaginare una totale anarchia all’interno di un testo, a discapitodella chiarezza, ma magari, chissà, a vantaggio di una imprevista creatività daparte del lettore.

2.3.2 Il flusso della scrittura

È sempre difficile essere prescrittivi quando si parla di scrittura e anche que-ste pagine, che pure hanno tutta l’intenzione di proporsi come un manuale,non vorrebbero in alcun modo mostrare atteggiamenti castranti nei confrontidi un’attività che richiede sempre e comunque una buona dose di creativitàpersonale. Le ricette, in ogni caso, servono per iniziare, servono per esseremesse in discussione e per essere modificate all’occorrenza, servono a sugge-rire spunti di riflessione e a far nascere la voglia di provare strade alternative.In fatto di ricette non mancano, nel panorama americano, manuali di tecnicadi scrittura capaci di scendere nel dettaglio. Alcuni di essi, che hanno fornitola base delle riflessioni di questi paragrafi, forniscono suggerimenti operativi,nel tentativo di svelare i segreti della scrittura. Come raggiungere gli obiettiviprevisti dal testo, come usare una prosa chiara e semplice priva di ridondan-za, come affinare il proprio stile e rendere più fluido il ritmo di una trattazio-ne: a queste e ad altre esigenze si tenta di rispondere con esempi e indicazio-ni di metodo.

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Persino avendo organizzato tutto con estrema attenzione, preparato unabuona scaletta, ordinato gli argomenti secondo un ordine prestabilito e tuttoquanto segue, può succedere che la scrittura manchi di fluidità, di ritmo e dicontinuità. Il punto è trovare lo stile, il modo più efficace secondo cui collegaretra loro le idee espresse tra i vari paragrafi di un testo. Si può andare a orecchio,ovvero abbandonarsi al suono delle parole così come vengono, ma per chistenta a trovare il proprio tono espressivo può essere utile il ricorso alle regoledi grammatica e di analisi del periodo.

Tra gli accorgimenti suggeriti dai manuali di stile, tesi a rendere la scritturapiù scorrevole, c’è il ricorso a classificazioni, veri e propri elenchi di espressioniche fungono da ponte tra due periodi e creano una connessione tra di essi, inlingua inglese si parla di transitional device.

Le transitional expression sono parole (per lo più preposizioni, congiunzio-ni, avverbi) o frasi, che agiscono come segnaposti per il lettore, esprimendo inquale direzione la scrittura stia procedendo. Generalmente si trovano all’iniziodi un paragrafo e rappresentano la modalità secondo cui un nuovo pensiero sicollega al precedente.

Ecco una classificazione suggerita che suddivide le espressioni di collega-mento (così potremmo tradurre) in alcuni sottogruppi:

• Contrasto: al contrario, comunque, in contrasto, ancora, d’altra parte (onthe contrary, however, in contrast, still, yet, nevertheless, on the other hand).

• Continuità: inoltre, in aggiunta, anche, secondariamente, per continuare,allo stesso modo, di nuovo, in altre parole eccetera (besides, furthermore,in addition, also, secondly, to continue, next, similarly, likewise, moreover,indeed, again, in other words).

• Causa/effetto: per questo motivo, conseguentemente, (thus, therefore, as aresult, consequently, hence, for this reason).

• Esemplificazione: per esempio, infatti, più specificatamente, per illustrare(for instance, for example, in fact, more specifically, to illustrate).

• Conclusione: alla fine, in conclusione, per riassumere, in breve, per finire,come abbiamo visto (finally, in conclusion, to sum up, in brief, lastly, as wehave seen).

Naturalmente questo è un elenco incompleto e sommario, che non intendeesaurire le casistiche possibili, ma vuole semmai definire alcune categorie logi-che principali più o meno ricorrenti. Riconoscere e utilizzare i connettivi logiciproposti nell’elenco costituisce un valido supporto alla scrittura.

Un metodo utile a conferire alle pagine di un testo coerenza e fluidità è ilricorso ripetuto a parole chiave. Le parole chiave sono parole che si riferisconoalle idee centrali del testo. La ripetizione di questi termini essenziali non servesolo a ribadirle all’attenzione del lettore, ma aiuta anche a cucire insieme duefrasi o più, facilitando la coerenza e la continuità tra i pensieri.

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100 Capitolo 2

Così come le parole chiave, anche frasi ricorrenti, le frasi modello, possonoessere ripetute nel corso della trattazione. Così facendo si stabilisce un ritmostilistico e si ottiene lo scopo di accrescere nei lettori la percezione di un sensodi ordine e coerenza dell’intero progetto. La ripetizione non è sempre qualcosada evitare, non è sempre un errore, talvolta può rappresentare una precisatecnica di scrittura destinata a chiarire un concetto e a mantenere il filo all’inter-no di una trattazione complessa.

Attenzione comunque, ancora una volta, che la ricerca di chiarezza nondiventi monotonia.

2.3.3 Capitoli, paragrafi, capoversi e altro

Nelle prime pagine di questo capitolo ci siamo soffermati a lungo sull’utilità diuna suddivisione in parti del testo, necessaria a favorire l’orientamento del let-tore. Le stesse norme ISO e UNI, a cui abbiamo già fatto cenno nelle pagineprecedenti, consigliano di suddividere in parti o sezioni testi lunghi e comples-si. Titoli interni, rientri, capilettera all’inizio di una frase segnaleranno al lettorel’inizio di una nuova “unità di pensiero”.

Procedendo dal grande al piccolo, proviamo a elencare, assegnando a esseuna denominazione, tutte le parti in cui è possibile suddividere un testo, siaesso un saggio, una tesi, una relazione.

Le parti contrassegnano aree interne al testo affini per qualche motivo erappresentano la prima possibile partizione di un testo. In un volume, general-mente le parti possono contenere anche molti capitoli, una trattazione breve,invece, raramente richiederà una suddivisione in parti. La divisione in parti è,comunque, facoltativa ed è da introdursi solo se serve veramente a rendere piùchiara la struttura del lavoro. Va da sé che una parte non dovrebbe contenereun unico capitolo.

La suddivisione in parti è presente anche là dove esistono strutture simme-triche che prevedono la ripetizione di moduli. È il caso di questo volume, in cuila suddivisione dei diversi capitoli in Storia, Progettazione, Stesura e Pubblica-zione rappresenta una suddivisione interna in parti che sono solo la sistemazio-ne degli argomenti all’interno di una gabbia logica prefissata.

Il capitolo è la sezione di primo livello, l’unità più ampia in cui un testo sisuddivide. Generalmente indicato da un numero arabo, il capitolo è semprecontrassegnato da un titolo. Per quanto riguarda la lunghezza, è ovvio che nonesiste una misura standard da indicare anche se in genere si parla di non menodi una ventina di pagine; all’interno di uno stesso testo i capitoli dovrebberoavere lunghezze simili, a meno che la natura delle cose non renda inevitabilidelle sproporzioni; ogni capitolo dovrebbe condurre un discorso sostanzial-mente compiuto e parzialmente autonomo: un lettore dovrebbe essere in gradodi capirne il senso complessivo, anche a prescindere dagli altri presenti neltesto.

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Anche se molti testi autorevoli usano il termine per indicare qualcosa didiverso, utilizzeremo qui l’espressione paragrafo (Approfondimento 2.5) perindicare la sottosezione di un capitolo, un’unità di misura di grado minore cheframmenta ulteriormente il testo. Sezione sarebbe il termine da preferire secon-do molti manuali di stile, tuttavia l’uso ormai comunemente accettato ci inducea questa scelta. La divisione in paragrafi, sebbene non necessaria, è altamenteconsigliabile (soprattutto in scritti brevi che altrimenti resterebbero privi di qual-siasi struttura visibile). Essa può essere introdotta anche dopo la stesura diciascun capitolo, e dovrebbe essere concepita più che altro come un aiuto allettore per seguire il filo del discorso. Quando sono presenti paragrafi si fa inmodo che il capitolo si trasformi in una sorta di contenitore; sarebbe bene,infatti, non prevedere alcuna parte di testo tra l’inizio del capitolo e l’inizio delprimo paragrafo, se non un’introduzione generale che funga da collegamentotra i paragrafi stessi.

Divisioni ulteriori e più analitiche sono possibili se l’indice del testo prevedeun terzo livello di approfondimento; potremo parlare in questo caso di sottopa-ragrafi. Come abbiamo già avuto modo di precisare nel primo capitolo, suddi-

Approfondimento 2.5 Il paragrafo

Usato spesso a indicare lo spazio tra un a capo e l’altro (capoverso), indichere-mo qui con paragrafo un’unità di testo composta da uno o più capoversi, dotatadi una propria autonomia e capace di sviluppare in maniera completa e coeren-te un’idea. Il paragrafo è l’unità di informazione di base di un testo.

L’idea centrale di un paragrafo viene generalmente espressa tramite unafrase chiave (la topic sentence degli inglesi) ed è attorno alla frase centrale chesi sviluppa l’intero paragrafo. La frase chiave è la sintesi suprema del paragrafo,quella che esprime l’idea centrale, ma è anche la spia della modalità secondocui il paragrafo si sviluppa.

Riprendendo la classificazione adottata da Maria Teresa Serafini nel suovolume Come si scrive, proponiamo alcune tipologie di paragrafi possibili.

Paragrafo per enumerazione: la frase chiave introduce una sorta di elenco.Paragrafo per sequenza: gli elementi della trattazione sono presentati in ordinetemporale.Paragrafo per confronto/contrasto: indica le somiglianze o differenze tra sog-getti.Paragrafo per espansione di un concetto: la frase chiave riassume ciò che verràspiegato più dettagliatamente.Paragrafo per enunciazione/soluzione di un problema: schema domanda/ri-spostaParagrafo per causa/effetto: stabilisce un legame tra un evento e ciò che lo haprovocato

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visioni molto analitiche sono da utilizzare solo se imposte dalla natura delloscritto o se rendono davvero più chiara l’articolazione complessiva del testo.

Il termine capoverso viene qui usato in luogo di paragrafo per indicare laporzione di testo compresa tra due successivi ritorni a capo (un’altra denomina-zione, meno usata, è quella di comma). Il capoverso è il livello base di fram-mentazione di un testo, composto da una serie di periodi collegati logicamentetra di loro a formare una singola unità informativa. Ogni capoverso dovrebbecostituire un tratto compiuto nella trattazione e contenere un significato infor-mativo autonomo. Graficamente un capoverso è delimitato da a capo e rientri(ritorni) che aiutano i lettori a individuare le singole unità di pensiero. La praticadi lettori ci aiuta a capire come un’intera, ininterrotta pagina di testo appaia nondifferenziata e faticosa ai fini della comprensione. Capoversi troppo lunghi ral-lentano la lettura costringendo a una concentrazione gravosa. Capoversi brevi,invece, fanno risparmiare tempo, invitando il lettore a scorrere o scremare velo-cemente le informazioni. La lunghezza consigliata per un capoverso è di 10-15righe di testo, nel formato standard Courier corpo 10. Naturalmente, ancora unavolta la regola è puramente indicativa, basta osservare con attenzione ciò cheaccade in questo volume.

Un testo stampato possiede talvolta delle appendici, utilizzate per allegaredocumenti di vario genere, per sviluppare approfondimenti collaterali, o ancheper fornire argomentazioni dettagliate che appesantirebbero il filo generale deldiscorso.

Le note, da inserire a piè di pagina o alla fine del testo, sono piccoli appro-fondimenti o citazioni bibliografiche ritenute di importanza secondaria rispettoalla trattazione, ma tuttavia utili a chiarire alcune informazioni del testo. Possie-dono una numerazione che serve a ricondurle a un preciso brano del testoprincipale e che nel caso della scrittura elettronica viene generata automatica-mente dal programma. Un wp tende per default a collocare le note a piè dipagina e questo, soprattutto all’interno di pagine di dimensioni relativamentegrandi, comporta per la lettura vantaggi che la collocazione delle note alla finedel capitolo, o peggio ancora dell’intero testo, non possiede.

Nel caso di un testo elettronico, stiamo pensando in questo momento a unsito web, le cose non sono ancora così definite e le suddivisioni del testo nonhanno una altrettanto chiara fisionomia. Si parla generalmente di sezione perindicare quello che corrisponde sommariamente al capitolo di un libro, ovveroun contenitore di informazioni molteplici tuttavia ben definite e riconducibili aun tema di fondo. La pagina è l’unità di misura più piccola, una pagina cheraramente possiede dimensioni fisse, ma come vedremo più ampiamente nelcapitolo 4, può essere raramente identificabile con la schermata o con il forma-to cartaceo A4.

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2.3.4 Titoli

Un titolo dev’essere un’espressione stimolo che funga da trampolino perl’immaginazione. Un titolo deve essere una formula magica, una specie diapriti sesamo che ci fa intravedere prospettive incantate.12

Chi parla allude naturalmente a opere narrative, soprattutto romanzi, cheaffidano al titolo il potere di esca nei confronti di potenziali lettori. Il titolo è unasorta di formula che racchiude in sé il senso di ogni pagina. Tutto questo valeanche per altre tipologie di testi scritti; vale per saggi, per interventi a convegnie per articoli di giornale. Il titolo è sempre, comunque, il primo frammento diinformazione offerto al lettore; il biglietto da visita di un testo.

Come abbiamo già visto nei capitoli precedenti l’uso dei titoli (Approfondi-mento 2.6), così come li intendiamo oggi, è un’acquisizione relativamente re-cente. L’etimologia del termine rimanda all’etichetta identificativa di un volu-men fissata sull’estremità (umbilicus) del rullo, il titulus, appunto. Qualcosa diesterno, dunque, ma che permetteva di individuare e designare subito un rotolotra gli altri. Raramente il titolo poteva essere menzionato nelle prime o ultimerighe del testo. Neppure i primi testi a stampa contemplavano un frontespiziosu cui comparisse il titolo, solo alla fine, nel colophon, si trovava il nome del-l’autore e dello stampatore assieme alla data di stampa. Abbiamo visto come ilfrontespizio faccia la sua comparsa attorno agli anni 1475-80, con il nome,appunto, di “titolo”; in seguito, sarà spesso riportato anche sulla costola perpermettere il riconoscimento immediato dei volumi sugli scaffali.

Tutte le definizioni di “titolo” che ci è dato rintracciare nei manuali di stile oin saggi relativi all’editoria concordano sull’enunciazione delle funzioni da essoassolte:

• il titolo serve innanzi tutto per identificare un’opera scritta,• in secondo luogo per designare il suo contenuto• e, infine, per invitare il lettore alla lettura, ossia valorizzare il testo nel suo

complesso rendendolo ammiccante e invitante nei confronti del pubblico.

Per Leo Hoek, uno dei fondatori della titologia moderna, il titolo è l’“insiemedi segni linguistici [...] che possono figurare all’inizio del testo per designarlo,per indicarne il contenuto globale e per attirare il pubblico contemplato”.13 Nonun semplice nome, dunque, ma un primo anello di contatto tra autore e lettore,in grado di svolgere la funzione chiave di stimolare o scoraggiare definitiva-mente l’utente.

12 Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi, Ricettario di scrittura creativa, Zanichelli, Bologna,2000, p. 234.13 In Genette, Soglie, Einaudi, Torino, 1989, p. 76.

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Approfondimento 2.6 Lo stile dei titoli

Brevità e coerenza all’argomento trattato sono le due caratteristiche peculiari diun titolo.

Nella stampa così come in altri tipi di comunicazione, i titoli presentanoormai una varietà e una ricchezza tale da scoraggiare qualsiasi tipo di classifica-zione. Da un’analisi sommaria dei titoli della stampa periodica e dei testi ingenere possiamo tuttavia individuare alcune formule ricorrenti.

Frasi nominaliNei titoli prevale l’uso del sostantivo che talvolta riassume in sé anche la funzio-ne del predicato. L’uso di sostituire alla frase completa la sua sostantivizzazionecostituisce uno dei metodi di sintesi più utlizzati.Fecondazione artificiale: la sindrome della culla vuotaLondra, lezioni di IslamBrasile elettronico tra jazz e bossanova

Sono alcuni titoli ricavati da una rivista che possono costituire esempi chiaridella tipologia che stiamo descrivendo. In ognuno di essi l’uso verbale è statosoppresso a vantaggio di costruzioni giustappositive che affiancano due espres-sioni nominali. Punteggiatura e congiunzioni giocano un ruolo determinante.Nel primo caso i due punti sostituiscono qualsiasi spiegazione, nel secondocaso basta una virgola a sintetizzare al massimo una frase che avrebbe potutosuonare così: Andare a Londra a lezione di Islam o A Londra si va a lezione diIslam. I titoli in questione sono più efficaci e immediati di una frase forse piùchiara, ma certo meno accattivante.

Frasi passiveTalvolta il verbo non è completamente eliminato dal titolo, ma ridotto a un suouso specifico, quello del participio passato:Sventata banda di malviventiRidotti al silenzio dalle minacce

Si tratta di un tentativo di sintesi di frasi che, se scritte per intero, richiede-rebbero l’uso di qualche parola in più e perderebbero anche di effetto: il sem-plice primo esempio diventerebbe veramente troppo banale È stata sventatauna banda di malviventi.

Frasi verbaliDicevamo come il predicato tende a essere eliminato dai titoli, ma ci dobbiamocorreggere: esiste infatti una tendenza a utilizzare forme verbali particolari,come ad esempio il gerundio, per esprimere particolari stati d’animo (Sognan-do l’Africa) o l’infinito trasformato quasi in un sostantivo (Voglia di sparare).

Altre volte il verbo viene recuperato all’interno di frasi che si presentanocome domande dirette o indirette:Sarò vecchio e felice?Chi compra l’arte del futuro

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Figura 2.6 Eric Anderson, I don’t want to ch’ange the law; Only to compliment it,senza datazione.

Per questo il titolo è sempre un elemento di grande rilievo per un’opera ingenere e per un testo in particolare. Il caso limite di quanto stiamo sostenendoriguarda alcune opere d’arte contemporanea che, private del titolo, perderebbe-ro agli occhi del pubblico gran parte del loro significato intrinseco.

CD musicali, film, spettacoli, eventi ci dimostrano, ogni giorno, il potere diun nome azzeccato. La stampa quotidiana, poi, più di tutto, affida ai titoli granparte della sua forza comunicativa. È, ancora una volta, dal mondo della stampache ci giungono i suggerimenti più validi in fatto di titolazioni, da un mondoche di scelta delle parole se ne intende per mestiere.

Nel volume Medium e messaggio, Sergio Lepri individua tre categorie dititoli, utilizzati nella stampa quotidiana: gli indicativi, gli esplicativi, quelli difantasia.

Per indicativi si intendono i titoli che denotano la natura del testo più che ilsuo contenuto specifico (per esempio Il testo del comunicato o Il testo dellaLegge).

Esplicativi sono invece quei titoli che tendono a esprimere in maniera il piùpossibile esauriente e oggettiva il contenuto di un testo (Es. Nuovo sbarco diclandestini in Sicilia).

I titoli di fantasia, infine, sono quelli in cui l’autore esprime in manieracreativa una propria interpretazione dei dati, secondo svariati registri stilistici:suggestivo, allusivo, spettacolare, letterario, ironico eccetera (per esempio Sulleonde del destino).

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Talvolta si preferisce utilizzare una diversa classificazione, o meglio, indica-re con altri nomi la stessa suddivisione di massima delle titolazioni. In partico-lare si tende a parlare di titoli enunciativi o descrittivi nel caso in cui l’informa-zione venga espressa in maniera quanto più possibile oggettiva, evitando ogniallusione interpretativa, e di titoli paradigmatici o valutativi nel caso in cui iltitolo esprima in maniera chiara un’opinione rispetto al fatto rappresentato.

Se questo vale per la stampa, parlando di titoli in generale si tende a suddi-videre la categoria in due gruppi: i titoli rematici e quelli tematici. Genettepropone la suddivisione mutuandola dagli studi linguistici in cui si stabilisceun’opposizione tra il tema (ciò di cui si parla) e il rema (ciò che se ne dice).

I titoli rematici, il corrispettivo degli indicativi di cui si parlava poco sopra,sono formali o generici, senza riferimenti espliciti al contenuto del testo. Per unvolume si parla di titolo rematico nel caso in cui si esprima la natura del testopiuttosto che l’argomento (per esempio Poemetti in prosa o Autobiografia).Hoek li ha definiti titoli oggetto ovvero riferiti al testo in sé.

I titoli tematici, titoli soggetto per Hoek, indicano invece il contenuto di untesto. I titoli tematici sono a loro volta suddivisibili in sottogruppi, quelli cosìdetti letterali che designano senza deviazioni e senza figure il tema dell’opera,individuando da subito quale sia il tema centrale del testo, altri che fanno rife-rimento a elementi marginali del testo assumendoli, secondo procedure meto-nimiche o sineddotiche, a elementi chiave, altri ancora che ricorrono a metaforeper esprimere in modo simbolico il contenuto, altri, infine, che fanno uso diantifrasi e ironia (il titolo è opposto al contenuto dell’opera: per esempio Cecin’est pas une pipe).

Figura 2.7 Le parole sono parte fondamentale dell’opera in Magritte, Ceci n’estpas une pipe.

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Nei testi a stampa di una certa consistenza, saggi, relazioni, tesi ecceteranon esiste generalmente solo il titolo di apertura, ma ogni porzione significativadi testo è contrassegnata da un titolo. I titoli hanno, in questo caso, la funzionedi indicare l’argomento delle singole parti di un testo, siano esse capitoli oparagrafi, facilitando la comprensione globale. A questo scopo devono esseresignificativi, ovvero rappresentare in maniera esauriente il contenuto del testodi riferimento.

Una delle caratteristiche fondamentali del titolo è la brevità, sempre cheessa non costituisca un impedimento alla chiarezza e alla esaustività.

Nel corso di questo capitolo, abbiamo più volte asserito come sia più facileper il lettore l’approccio a un testo differenziato da un punto di vista tipograficorispetto a pagine dense di testo, senza alcuna interruzione. Pagine di testodisseminate di sottotitoli in evidenza permettono una lettura rapida, a colpod’occhio, mettendo il lettore in condizione di individuare in breve i punti salien-ti della trattazione.

I titoli sono sempre differenziati graficamente, generalmente indicati con uncorpo maggiore, talvolta in grassetto e comunque distanziati di un rigo o duedal testo comune.

Quando si utilizzano diversi livelli di suddivisione del testo, è bene differen-ziare graficamente i corrispondenti titoli perché il lettore possa distinguere acolpo d’occhio la struttura generale dell’opera. L’evidenza del titolo sarà pro-porzionale al livello a cui la sezione appartiene, ovvero passando da un livellosuperiore a uno più basso l’aspetto dei titoli sarà sempre meno marcato. “Mar-care” un titolo significa aumentare il corpo del testo, inserire uno stile diverso edistanziare il rigo dal testo. Le parti di un testo, i suoi capitoli e i suoi paragrafisaranno sempre introdotti da titoli caratterizzati da una diversa formattazioneche restituisca visivamente la profondità della struttura.

2.3.5 Modelli predefiniti: stili, temi e composizioni guidate

Allo scopo di rendere più veloce e automatica la scrittura, i wp forniscono agliutenti alcuni modelli preconfezionati da utilizzare all’occorrenza.

Per Word lo stile è semplicemente un insieme di caratteristiche di formatta-zione che possono essere facilmente applicate a un testo. Quando si parla distile non ci si riferisce, cioè, ad aspetti relativi al contenuto di un testo, quantoalla sua presentazione.

Il tema non è altro che un’estensione dello stile, che fornisce agli autori lapossibilità di produrre testi corredati di una veste grafica standard in base auna raccolta di modelli che prevedono il colore dello sfondo, il carattere, ilcorpo e il colore dei titoli, del testo e degli eventuali collegamenti ipertestua-li. Insomma tanti contenitori vuoti, come scatole colorate, da riempire dicontenuti diversi.

Il computer non può scrivere per noi, non è in grado di sostituirsi alla nostracreatività, ma supplisce a tutte quelle competenze di tipo “stilistico” che appar-

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tengono alle nostre consuetudini tipografiche e alle quali è necessario attenersiperché i nostri testi siano conformi alle regole ormai definite di presentazione.

Come impostare la scrittura di un dépliant o di una tesi, di una letteraufficiale o di un fax elegante: tutto questo è possibile utilizzando i modellipredefiniti messi a disposizione da librerie presenti nel programma. La funzio-ne, come dicevamo, ci permette di aggirare una serie di conoscenze “tecniche”relative alla presentazione dei documenti, evitare le pastoie di una forma giàpredefinita che deve solo essere ripresa e utilizzata in base alle esigenze perso-nali della scrittura. Il programma crea il contenitore definendone ogni caratteri-stica, spetta a chi scrive riempire di contenuti la griglia compositiva creata adhoc.

Tutto questo riguarda soprattutto la presentazione di un testo, la sua vesteesteriore. Ma nel definire l’aspetto di un testo i programmi avanzano anchetimidi suggerimenti di contenuto: formule ricorrenti, saluti o aperture di circo-stanza, fino a un’impostazione strutturale, che se non suggerisce parole, avanzaalmeno indicazioni circa la loro disposizione.

Definita la struttura portante di un testo, la sua stesura risulta assai facilitata.Queste riflessioni ci ripropongono un tema che abbiamo già affrontato nel cor-so del volume: una dicotomia che si viene a creare tra due fasi della scrittura,una più preparatoria che stabilisce i criteri generali formali in tutti i sensi, siastrutturali che grafici, l’altra definitiva che fa i conti con le singole frasi e lesingole parole. È come se l’uso di “macchine pensanti”, che possono svolgere alnostro posto una parte cospicua del lavoro, accentuasse una divisione che pe-raltro è sempre stata presente a chi scrive.

La retorica classica proponeva un metodo preciso a chi si accingeva a “com-porre” un’orazione: l’inventio, la dispositio, l’elocutio, l’actio erano le fasi dapercorrere. Naturalmente il rispetto delle fasi non rappresentava certo una ga-ranzia dell’efficacia di un testo che, attraverso altre strade, facendo uso di altretecniche codificate e infine di una notevole dose di inventiva personale, giunge-va a compimento. Come nell’oratoria, così nel teatro e poi, proseguendo lanostra rapidissima analisi nel corso dei secoli ogni tipo di testo, sia esso scrittoche orale, ha seguito una strutturazione logica dettata da una tradizione, unastrutturazione logica che lo rende riconoscibile e rappresenta un elemento digrande sostegno non solo per chi scrive, ma soprattutto per il destinatario,rassicurato da formule ricorrenti che riconosce e comprende.

Nel secolo scorso Vladimir Propp ha individuato le costanti più o menoricorrenti nella struttura interna di testi narrativi tradizionali, come la fiaba. Ilracconto segue sempre una sua struttura che viene prima delle parole e tra-mite queste si esprime. La narrativa moderna ha smentito la necessità dicontenitori ripetitivi che costringerebbero il libero svolgimento del pensiero etuttavia il disegno di una trama, che anticipa il testo vero e proprio, è laconferma di questa necessità quasi insita nel nostro modo di intendere iltesto. McLuhan direbbe che siamo troppo condizionati da una cultura di tipoalfabetico per “vivere la parola”, per usarla senza progetto, attribuendo alla

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sua stessa magia il potere di forgiare una realtà, come accadrebbe alle cultureanalfabete.

Tornando ai nostri semplici strumenti informatici è chiara ormai la tendenzaa una scrittura che si fa via via più “tecnica”, che si presenta, nel bene e nelmale, come un gioco di combinazioni e di incastri in qualche modo già previsti.

Avremo modo di parlare delle tendenze emergenti della scrittura nell’ultimocapitolo di questo volume. Per ora riflettiamo ancora un momento sui vantaggie sui limiti che una scrittura “assistita”, come quella che si pratica oggi grazieall’uso del computer, comporti sui nostri modelli. Una tendenza alla standardiz-zazione estrema è il rischio maggiore che si corre e d’altra parte a un’uniformitàrassicurante ha teso sempre, come abbiamo visto, la storia della nostra tradizio-ne letteraria e tipografica.

2.3.6 La scrittura più facile

Prima di concludere questa terza parte del secondo capitolo vorremmo fareriferimento a tutti quegli strumenti che un word processor mette a disposizionedella scrittura nella sua fase di stesura e di revisione.

Il controllo di ortografia e grammatica risulta uno strumento utilissimo chesegnala ai disattenti la presenza di digitazioni errate o di parole dubbie presenti

Figura 2.8 Modelli predefiniti di testo offerti da Word.

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nel testo. Se è vero che non sempre i suggerimenti del programma risultanocorretti, rappresentano tuttavia una buona base di riflessione per la revisionecompleta di un testo.

Il thesaurus, il vocabolario in linea, sostituisce spesso il dizionario dei sino-nimi e contrari sempre presente sul tavolo di lavoro di chi scrive.

Tramite un uso meno immediato di macro è possibile attivare un conteg-gio delle parole, un interessante strumento di lavoro che permette una sortadi meta-riflessione sulla scrittura: verificare la frequenza di certi termini puòrappresentare un valido ausilio sia per evitare le ripetizioni, ma anche perstabilire se certe parole chiave, che dovrebbero rappresentare una sorta dileit motiv nella trattazione, ricorrono di fatto con un’alta frequenza nelloscritto.

Il conteggio automatico delle parole è la base su cui il programma, secondouna procedura che può essere considerata discutibile, sviluppa una funzioneassai utile, quanto difficile da utilizzare al meglio: il sunto automatico. Il suntoautomatico, come recita la guida interna di Word, “definisce i punti chiave di undocumento, in modo che sia possibile prenderne visione rapidamente e condi-viderli con altri”. Si tratta di una funzione assai ambiziosa che consentirebbe dielaborare automaticamente l’abstract di un documento, individuandone i puntichiave. In realtà il sunto automatico funziona bene solo se chi scrive adatta la

Figura 2.9 Strumenti di facilitazione alla scrittura offerti da Word.

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propria scrittura ai criteri secondo cui la macchina elabora la sintesi, ovverostruttura in maniera chiara i propri testi. La macchina sceglie all’interno del testouna serie di frasi a cui è stato assegnato un punteggio alto in base alla presenzao meno delle parole più utilizzate nell’intero documento; l’insieme di questefrasi dovrebbe rappresentare la sintesi del testo.

E così, lo scrittore è tenuto per mano dall’inizio fino alla fine del percorsodella scrittura. Può trarre vantaggio da tutti gli strumenti che gli vengonoofferti. Per farlo ha bisogno, più di tutto e più che mai oggi, di conoscere leimplicazioni comunicative di un determinato comportamento tipografico ocapire il significato della scelta di un carattere o di un termine rispetto a unaltro. Deve affinare, accanto alla ricchezza delle sue possibilità espressive,una capacità selettiva ancora più potente che lo salvi da una poco efficaceuniformità espressiva.

2.4 PubblicazioneL’aspetto del testo

2.4.1 Impaginazione

L’articolazione logica di un testo, la suddivisione in capitoli, paragrafi, capoversideve trovare negli aspetti grafici del testo stesso la sua massima espressione. Lagerarchia complessiva, fondamentale per l’orientamento del lettore, deve, cioè,essere “tradotta” visivamente dalla grafica in un progetto di impaginato atto avalorizzarla. Comunicare con chiarezza la struttura dell’opera è il punto fonda-mentale su cui si gioca la forma generale del testo e quella di ogni pagina(Approfondimento 2.7).

Nel 1929 Stanley Morison, inventore del carattere Times New Roman, pub-blica la prima versione di First Principles of Typography, in cui esprime la suaconcezione di tipografia:

L’arte della tipografia consiste nel disporre correttamente gli elementi distampa in vista di un obiettivo ben definito; nel comporre i caratteri, nelripartire gli spazi e nel disporre la composizione in modo da facilitare almassimo lo sforzo del lettore e la sua comprensione del testo. L’arte dellatipografia è lo strumento appropriato in vista d’un obiettivo essenzialmenteutilitario, e che non è estetico se non accidentalmente, poiché il piaceredegli occhi è raramente la preoccupazione principale del lettore.14

In perfetta linea con un processo che trova le sue radici negli anni dellanascita della stampa e prosegue attraverso l’opera dei grandi editori dei secoli

14 In Angiolo Bandinelli, Giovanni Lussu, Roberto Iacobelli, Farsi un libro, Stampa alterna-tiva, Roma, 1990, p. 76.

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successivi, Morison ribadisce lo scopo fondamentale di tutta l’arte tipografica,ossia quello di facilitare il lettore nella sua opera di comprensione. La tipografiasi pone come anello fondamentale nella relazione che unisce l’opera e il suoautore al lettore di un testo. Una sorta di lavoro di traduzione atto a valorizzareal meglio le potenzialità espressive di un testo e offrirle su un piatto d’argentoall’utente finale.

Così come ogni traduzione che si rispetti richiede una conoscenza appro-fondita e non superficiale dell’opera originale, allo stesso modo lo studio dellagrafica di un testo presuppone una fondamentale padronanza dei suoi contenuti.

Per progettare con criteri appropriati l’impaginazione di un libro, l’operato-re deve prima conoscere:• la natura del libro (contenuto);

Approfondimento 2.7 Il formato della pagina

«In Italia [...] vigono le norme UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), chehanno carattere internazionale e si fondano su basi tecniche e scientifiche. Leprime proposte in tal senso si devono al fisico tedesco Georg Christoph Li-chtenberg (1742-1799), professore all’Università di Gottinga. Fin dal 1884, inGermania fu emanato un decreto relativo alla definizione dei formati d’usoconsueto, e nel 1922 vennero stabiliti i formati DIN che nel 1939 furono accoltianche dall’UNI. Secondo la regolamentazione UNI, formato base è un fogliorettangolare con la superficie di un metro quadrato e con i due lati di dimensio-ni tali da dare un rapporto di 1,414 ossia di radice Questo rettangolo hai lati nell’unico rapporto che consente, per dimezzamento continuo di uno deilati, di ottenere altrettanti formati di identico rapporto. Il formato rettangolare di con queste caratteristiche ha le dimensioni di mm 841 × 1189 ed è nomina-to A0. Da qui, per successivi dimezzamenti, si ottengono gli altri formati dellaserie A, denominati rispettivamente A1, A2, A3, A4 e così via. Calcolando lamedia geometrica dei lati della serie A si ottiene il lato minore della serie B che,moltiplicato per il coefficiente 1,414, dà il lato maggiore. Dalla serie A e dallaserie B, per la media geometrica dei due lati minori, si ottiene il lato minoredella serie C che, moltiplicato per il coefficiente 1,414, dà il lato maggiore.

La serie A, che è poi quella fondamentale, dà i formati per i prodotti graficiper uso primario o finiti, come ad esempio carte da lettera, stampati per ufficio,opuscoli, fascicoli eccetera I formati della serie C sono destinati a contenere iprodotti della serie A, come ad esempio buste e cartellette. Infine quelli dellaserie B sono destinati a contenere quelli della serie C. Così. ad esempio, unfoglio da lettera A4, contenuto in una cartelletta C4, è a sua volta contenuto inun sacchetto di formato B4.»

(Da Daniele Baroni, Il manuale del design grafico, Longanesi, Milano, 1999, pp.117-18)

2( 2).

2

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• la veste che l’editore intende dare all’edizione (di lusso, normale, eco-nomica);

• il formato;• il materiale grafico dell’edizione (particolari modalità, elaborazione del

testo, dei titoli e sottotitoli, il tipo e il formato delle incisioni, i graficieccetera).15

Come abbiamo visto nei paragrafi di apertura, accanto a una concezionecosì propriamente utilitaristica della tipografia emergono sempre istanze di or-dine puramente estetico che si ispirano a modelli correnti: la bellezza dellastampa è uno dei criteri che guida la realizzazione di un tipo di impaginatopiuttosto che un altro. Abbiamo esempi illustri, partendo dal già citato Bodoni,fino ad autori dei nostri tempi che hanno messo in evidenza l’aspetto artisticodella grafica del testo:

Secondo Paul Valéry la pagina del libro, oltre che essere scorrevole allalettura, oltre a offrire, cioè, una visione netta e chiara delle righe di stampae delle singole parole, deve (o dovrebbe) possedere una vera e propriaqualità d’arte, ottenuta lavorando sulle proporzioni e l’equilibrio tra le “mas-se di nero puro” dei caratteri, disposte sul “campo purissimo” del foglio dicarta con “potenza di contrasto” raggiunta a spese delle interlinee.16

Valori funzionali, valori estetici, e sopra tutto valori espressivi: vale per l’artedella tipografia ciò che conta per l’arte in genere, una perfetta correlazione traforma e contenuto, anzi una sostanziale e indissolubile unitarietà. Gli spazibianchi, i caratteri, i rientri e e le aree più o meno grandi di testo sono semprefunzionali alle parole che rappresentano:

… gli spazi corrispondono a un codice segreto che è in relazione col temponarrativo: se lo spazio tipografico è maggiore, si intende che nel racconto èpassato più tempo. [...] questi vuoti si sentono. Il lettore li sente.17

La pagina, unità fondamentale di un testo a stampa, possiede una propriaimpostazione dettata dall’impostazione generale di un testo. L’impaginazione èil coordinamento estetico e pratico del materiale grafico di un libro, di unarivista, di un periodico, di un giornale, di un catalogo, di una tesi o di unarelazione. Lavorare sull’impaginato di un testo significa definire una gabbiagrafica che contenga il testo stesso, o anche eventuali immagini, stabilisca i suoimargini, la posizione dei numeri di pagina, dei titoli o sottotitoli, di eventuali

15 Steiner, op. cit., p. 61.16 Bandinelli, Lussu, Iacobelli, op. cit., p. 24.17 Marquez, op. cit., pp. 296-97.

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note a piè di pagina o intestazioni. Significa anche definire lo stile del caratteree la sua dimensione, la sua distribuzione nello spazio assegnato (colonna unicao multipla, interlinea, spaziatura), tutto questo allo scopo, dicevamo, di tradurreal meglio le intenzioni originarie di un testo e/o immaginare una pagina cherisponda a precisi canoni estetici.

Oggi ci si trova di fronte a tendenze creative che considerano gli schemid’impaginazione un limite all’espressione individuale e propongono una libertàdi progettazione illimitata. Tuttavia, per cambiare le regole bisogna prima cono-scerle e sapere quali siano le implicazioni di un gesto sovversivo.

Se guardiamo una pagina nel suo insieme prima ancora di averne decifratouna sola parola, essa ci colpisce con una certa figura, che per lo più è unrettangolo, pieno o spezzato in paragrafi, schiarito o no dai titoli; oppureuna massa fluida di versi, o strofe regolari.18

2.4.2 La gabbia grafica

Per gabbia grafica si intende uno schema che definisce gli spazi in cui andran-no a collocarsi testo e immagini. Nel caso di un volume, l’unità di misura su cuisi lavora per definire la gabbia non è la singola pagina ma la coppia di pagineaffiancate (sulle due pagine si possono stabilire di volta in volta perfette simme-trie o dissimmetrie) (Approfondimento 2.8).

La gabbia determina l’area occupata dal testo e la sua eventuale suddivisio-ne in colonne, la posizione dei titoli di capitolo e della prima riga di ognicapitolo (in apertura di un nuovo capitolo, generalmente, il testo ha inizio piùin basso rispetto alle altre pagine, circa 2/3 dell’altezza complessiva della gab-bia), la posizione delle eventuali intestazioni (testatine o piedini, cioè scritte chesi ripetono in cima o in fondo pagina), la posizione dei numeri di pagina.

L’uso della gabbia grafica garantisce chiarezza e ordine, è una maniera pervalorizzare il contenuto; lo scopo della gabbia consiste, infatti, nel conferireunità al testo tramite il ricorso a elementi costanti che ne definiscono l’architet-tura generale. Il lettore troverà grandi vantaggi dalla costanza delle forme edelle dimensioni e la sua lettura sarà liberata dagli impacci di un continuoriadattamento a moduli visivi diversi. Quella della costanza percettiva è, d’altraparte, una delle regole chiave del nostro modo di vedere la realtà.

Una gabbia ha generalmente una struttura modulare, ossia è costituita daunità combinate e ripetute, un po’ come dei mattoncini Lego, che creano lastruttura generale.

È il 1925 quando El Lissitzky, un designer russo degli anni Venti legato almovimento costruttivista, nel suo volume Gli ismi dell’arte propone un testoche spicca per l’uso originale della gabbia a struttura modulare. Per elaborare la

18 Michel Butor, in Daniele Baroni, Il manuale del design grafico, Longanesi, Milano, 1999,p. 115.

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Approfondimento 2.8 La percezione dello spazio grafico

Quando osserviamo una superficie stampata, il centro di attrazione per il nostroocchio è sempre il centro della pagina, o meglio il centro ottico, che si trovaleggermente al di sopra del centro geometrico.

Studi sperimentali hanno dimostrato come l’occhio umano riesca a metterea fuoco aree relativamente piccole dello spazio grafico. Nel caso di testi scritti siriesce a vedere con chiarezza una parola alla volta, a due gradi e mezzo didistanza dal punto di maggior nitidezza, la possibilità di visione diminuisce delcinquanta per cento. L’occhio umano, poi, non segue un testo in maniera line-are, ma tende a esplorare rapidamente la superficie secondo pause di fissazio-ne non regolari che disegnano una nuova disposizione degli elementi.

Studi di psicologia delle percezione ci hanno dimostrato la tendenza dellamente umana a far ordine tra gli elementi dello spazio visivo. La psicologiagestaltica ha elaborato alcune leggi chiave che definiscono la nostra percezionedello spazio visivo. Le leggi della percezione ci forniscono gli strumenti per una“lettura” tecnica delle immagini, anche se si tratta di analisi compiute in astratto,prescindendo dai contesti di appartenenza. Qualsiasi immagine, infatti, assumevalori specifici in base alle relazioni che stabilisce con altri eventuali elementidel testo o in base ai rimandi a un preciso contesto storico-culturale.

EquilibrioL’equilibrio in una composizione grafica è dovuto al peso e alla direzione deglielementi che ne fanno parte.

Peso/CollocazioneOgni elemento appartenente a una composizione risulta più pesante se collo-cato sulla destra e nella parte inferiore dello spazio a disposizione. Questo vale,naturalmente, per tutta la civiltà occidentale, assuefatta, da millenni a un movi-mento oculare, durante l’atto della lettura, che procede dall’alto verso il basso eda sinistra verso destra. La consueta pausa a fine riga corrisponde alla fissazio-ne dell’occhio sullo spazio in questione.

DimensioneAnche la dimensione di un elemento determina il suo peso all’interno dellacomposizione: è facilmente intuibile come un elemento più grande avrà gene-ralmente un rilievo maggiore rispetto a uno più piccolo.

IsolamentoUn elemento isolato nello spazio di una pagina acquisterà rilievo, tanto piùquanto più sarà distanziato dagli altri elementi del testo.

FormaUna figura di forma regolare, e di conseguenza più compatta, risulta più pesan-te rispetto a una dai contorni irregolari.

(continua)

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DirezioneUna composizione può comunicare un senso di movimento o di staticità aseconda della disposizione e della forma degli elementi.Un oggetto posizionato su di un lato di un’immagine crea una spinta direziona-le in senso opposto. La dimensione verticale risulta dominante nell’orientamen-to delle forme nello spazio. La posizione obliqua di un oggetto determina sem-pre un’idea di movimento.

Rapporto figura-sfondoNella disposizione di più elementi su piani diversi una superficie chiusa da uncontorno tende ad apparire su un piano superiore.

(seguito)

Figura 2.10 Pagina di El Lissitzky.

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19 Vedi Dario Moretti, Il progetto grafico del libro, Editrice bibliografica, Milano, 1993,p. 111.

gabbia del suo testo, contenente soprattutto immagini, Lissitzky ha utilizzatocarta millimetrata e ha fatto in modo che alcune delle linee, di solito immagina-rie, della gabbia, fossero evidenziate all’interno delle pagine allo scopo di crea-re una continuità visiva.

Negli anni Quaranta, Max Bill (Moderne Schweizer Architektur), alla ricercadi un assoluto ordine matematico, stabilisce un metodo ancora più rigido, sud-dividendo lo spazio grafico in un sistema modulare che consta di 33 unità inverticale e di 23 in orizzontale.

I due esempi citati, forse i più noti in campo grafico, riguardano l’impagina-to di volumi ampiamente illustrati. Per quanto riguarda le gabbie da utilizzarsiper volumi che prevedono una prevalenza di testo alfabetico citiamo tre deimetodi più comunemente utilizzati per la determinazione di proporzioni armo-niche, per ciò che viene considerato un giusto equilibrio tra spazi pieni e vuoti,tra margini e campo del testo.

Ecco di seguito descritti i tre metodi:

1. Il primo modello esaminato prevede la collocazione del testo in un rettan-golo i cui lati osservano la regola della “proporzione aurea”: la somma deidue lati sta al lato maggiore come questo sta al minore (la proporzione sibasa sugli studi rinascimentali del matematico Luca Pacioli). La larghezzadel margine di testa e di quello di cucitura è assunta come unità di misura,quello esterno è il doppio, il margine di piede il triplo. Come abbiamoaccennato sopra la costruzione è più facilmente comprensibile analizzandola coppia di pagine affiancate, ossia il libro aperto.19

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2. Il secondo modello presenta la costruzione di una gabbia secondo le indica-zioni fornite dal tipografo Rosarivo. La pagina viene suddivisa in tanti picco-li rettangoli i cui lati sono rispettivamente 1/9 di quelli dell’intero foglio. Iltesto sarà collocato sullo spazio occupato dai rettangoli interni, lasciandonevuota una fila in testa e in cucitura, 2 al taglio e al piede.

20 Moretti, op. cit., p. 113.

3. Il terzo metodo consiste nella costruzione di una pagina secondo il sistemadi Van der Graf. Le proporzioni ottenute risultano le stesse del modelloprecedente, diverso è, tuttavia, il sistema adottato per ottenerle. Non si trattapiù di suddividere la pagina in piccoli rettangoli, ma semplicemente di co-struire lo schema utilizzando le linee di intersecazioni tra le diagonali dellacoppia di pagine e le diagonali delle singole pagine.20

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Il testo che si stampa 119

Un wp consente oggi a chi scrive un testo di impostare da subito imargini della sua pagina, definendo l’area del foglio che sarà occupata daltesto. La libertà di scelta è assoluta e il testo può restringersi, distendersi,comprimersi a piacimento secondo pochi e semplici comandi; ogni varianteè già prevista.

La tendenza generale di chi scrive per stampare su un formato A4 è quella diutilizzare margini di eguale dimensione a sinistra e a destra e margini leggermen-te più ampi per la testa e il piede (superiore e inferiore). Ciò è dovuto al fatto chel’occhio percepisce, in questo caso, una maggiore stabilità del testo, come se lospazio bianco verticale, soprattutto quello inferiore, costituisse una sorta di basedi appoggio per le righe sovrastanti. Resta il dubbio, ancora una volta, se sianomotivazioni di ordine percettivo a determinare la preferenza del nostro occhio, osemplicemente una consuetudine che ci rende abitudinari, soprattutto là dove èrichiesto da parte nostra uno sforzo di qualsiasi genere. D’altra parte è vero chele stesse consuetudini ci hanno assuefatto ad attribuire a testi racchiusi in gabbiedi misure più ridotte, ovvero tra margini molto ampi, i connotati di testi prestigio-si, di un certo riguardo, viceversa, giudichiamo immediatamente poco raffinatauna pagina fitta di testo che sfrutta al massimo tutto lo spazio a disposizione deicaratteri. È evidente in questo caso il condizionamento decennale che ci vede

Figura 2.11 La funzione Imposta pagina di word permette di definire a priori unaserie di variabili che riguarderanno ogni pagina di un documento.

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sfogliare tascabili di poco valore, in cui il risparmio delle pagine costituisce unrisparmio economico per l’editore, e libri di alto livello, magari stampati su cartapatinata, in cui non si è badato a spese e numero di pagine.

2.4.3 Caratteri

Le possibilità di formattazione di un testo offerte dagli odierni wp consentonoun’ampia scelta di stile tra i caratteri (Approfondimento 2.9). Dal classico TimesNew Roman (Times), ormai promosso a carattere ufficiale dei documenti su PC, alsuo più diretto rivale Arial (Arial), fino all’esotico Algerian (��������)o al-l’estroso Gigi (����).

Lo scrittore sarà messo a dura prova, confuso da una varietà tanto ricca,combattuto tra ragioni di tipo fisiologico (la maggiore o minore capacità percet-tiva di un carattere) e motivazioni più puramente estetiche (legate al gustopersonale e all’abitudine).

Approfondimento 2.9 Qualche notizia sui caratteri

L’alfabeto latino ha due forme fondamentali: la maiuscola e la minuscola. Ilmaiuscolo nasce dalla capitalis romana, il minuscolo, invece, deriva dalla scrit-tura neocarolingia utilizzata dagli umanisti fiorentini dei primi del 1400.

Nel 1470 nasce a Venezia il prototipo del carattere Garamond (Garamond),inciso dal francese Nicholas Jenson. Il vero Garamond sarà inciso qualche annodopo dall’omonimo stampatore (Claude Garamond), che, nella Francia di Fran-cesco I, conquisterà grande fama grazie alla bellezza dei suoi caratteri. Oggi è ilpiù classico tra i caratteri utilizzati per il libro.

Nel 1700 in Inghilterra John Baskerville incide un nuovo carattere (Basker-ville) che bandisce ogni fregio decorativo ispirandosi al gusto razionalista del-l’Illuminismo. Le grazie superiori sono quasi orizzontali, gli spessori dei trattinon seguono più gli andamenti del pennino cinquecentesco.

Tipografo della corte di Parma, sostenitore dell’eleganza neoclassica, Giam-battista Bodoni propone una nuova configurazione tipografica per i suoi volu-mi, nei quali abbondano spazi bianchi e i caratteri si allargano. Il carattereBodoni è noto per la differenza tra gli spessori delle varie parti della lettera,caratteristica che, mentre accentua l’eleganza dei tratti toglie leggibilità ai corpiminori.

Agli inizi dell’Ottocento si sopprimono le grazie, e si affermano caratteriche ristabiliscono un rapporto paritetico tra grazie e tratti delle aste, nasce lacategoria “egiziani”.

Se Bodoni aveva allargato le lettere in nome dell’eleganza, in InghilterraRichard Austin le restringe, modera i contrasti, accorcia i tratti ascendenti ediscendenti.

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La scelta del lettering influisce sempre sul senso complessivo di un testo:

il lettering è per un’headline ciò che l’intonazione è per un discorso, larecitazione per una poesia. È, insomma, una messa in scena delle vostreparole, ed è importante che sia la più adatta.21

Per orientare la nostra scelta si può oggi far ricorso a una nutrita serie distudi che hanno tentato di misurare la leggibilità dei caratteri in relazione allaloro grandezza e alla dimensione generale del testo. Non sempre le conclusionisono identiche, anche se è possibile ormai dare per buone alcune regole difondo (Approfondimento 2.10).

Ogni carattere si definisce in base allo stile e al corpo.Per stile si intende la conformazione grafica delle lettere, indicata oggi da

nomi commerciali come Helvetica o Garamond o Verdana. In luogo del termi-ne stile, molti programmi di videoscrittura tra cui Winword, parlano di tipo.

Il corpo di un carattere indica, invece, la sua dimensione e proprio conquesto termine viene oggi generalmente indicato nei wp.

Nel 1895 Lynn Boyd Bentos disegna il Century, punto di arrivo di una seriedi caratteri detti “scozzesi”. Di ottima leggibilità, riduce le proporzioni tra ascen-denti e discendenti e usa spessori relativamente uniformi. Si adatta bene alle com-pressioni e alle deformazioni ottiche facili da ottenere con la fotocomposizione.

Nell’ambito delle avanguardie degli anni Venti del Novecento nasce, nellaboratorio di tipografia del Bauhaus, il ������ di Paul Renner. (assunto poicome modello di base per l’autorappresentazione del regime fascista). Essen-zialità e regolarità geometrica sono le caratteristiche di base.

Nel 1929, Stanley Morison, come consulente del Times, progetta un nuovocarattere che tenga conto delle esigenze di leggibilità e di spazio delle colonnedel giornale. Lavorando prima sul Baskerville poi sul �������� e infine sul Platin,produce studi a matita che vengono trasformati in punzoni dalla Monotype Cor-poration. Nel 1932, per la prima volta, il Times esce composto con il nuovocarattere (Times New Roman) che da quel momento riscuoterà un enorme successo.

La base cinquecentesca è quasi completamente superata, le lettere sono piùpiene, i tratti ascendenti e discendenti più corti, lo spessore più marcato e legrazie più regolari e uniformi. Il grande vantaggio del nuovo carattere è quellodi garantire la leggibilità a dimensioni ridotte e di occupare il minimo di spaziorichiesto.

21 Anna Maria Testa, La parola immaginata, Nuova Pratiche Editrice, Milano, 2000.

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122 Capitolo 2

Approfondimento 2.10 Leggibilità dei testi

Durante l’atto della lettura su carta si sa che l’occhio procede per “pause difissazione” (saccadi, microsaccadi, tremori e drift). Fin dal 1898, Delabarre, unodei primi ricercatori a studiare i movimenti oculari, aveva rilevato che l’occhiotende a prediligere il centro della pagina. Almeno per quanto riguarda tutta lacultura occidentale, tuttavia, il lato destro di una pagina (o di una schermata) èda considerare un’area spaziale pregnante, così come l’angolo in basso a sini-stra. Le pause di fissazione sono sempre più lunghe all’inizio di una riga di testo,anche se il contenuto stesso può condizionare in maniera pesante la fissazione (ilverbo, ad esempio, richiama maggiore attenzione oculare del soggetto).

L’occhio non legge un testo distinguendo lettera per lettera, ma scorre lapagina secondo un movimento a balzi (nistagmo). Ogni sosta dura 1/3 o1/4 disecondo e la lettura procede in modo casuale all’interno dell’intero campovisivo. La percezione procede per gruppi di parole. Durante questi rapidi spo-stamenti l’occhio non percepisce l’intera forma della lettera: si deve a Leclerc,studioso della prima metà dell’Ottocento, l’aver per primo stabilito che l’occhiopercepisce solo una parte dei caratteri ed è di conseguenza in grado di decifra-re un testo anche vedendo solo la loro parte superiore.

La leggibilità di un testo dipende sempre dal contesto di lettura, ovvero èlegata al tempo, al luogo e all’argomento dei testi. La leggibilità è legata, inoltre,al modo in cui le parole sono disposte sulla pagina, alla spaziatura tra caratteri,alla giustezza della riga, all’interlinea.

Nel leggere righe brevi il lettore compie un solo movimento oculare (8/9parole per riga), questo il motivo per cui non è bene impostare una gabbia chepreveda righe che superino queste misure; nel caso dei giornali, ad esempio, lascelta di colonne strette di testo è legata proprio a questo motivo.

Generalmente si considera leggibile un testo che può essere decifrato an-che coprendo la metà inferiore del corpo delle lettere. Per questo motivo untesto scritto con lettere maiuscole risulterà meno leggibile del minuscolo per-ché meno differenziato nella parte superiore, costituito com’è da lettere aventiognuna la stessa altezza.

Per i testi scuri su fondo bianco di una certa lunghezza si considerano, poi,più leggibili i caratteri con grazie, rispetto a quelli a bastone, poiché compostida caratteri più differenziati tra loro.

I caratteri a bastone saranno indicati, tuttavia, per i testi da stampare su sfondinon uniformi: in questo caso le grazie delle lettere potrebbero confondersi piùfacilmente con le linee sottostanti creando elementi di disturbo nella lettura.

Per un libro si tende a utilizzare 20-26 righe tipografiche per pagina. I corpidei caratteri comunemente usati vanno da 10 a 12,5, con interlinea da 0,5 a 1.L’interlinea ha generalmente un valore che va da 0 a 1/12 del valore del corpodel carattere. La spaziatura tra caratteri può variare, si va da un grado più alto,(espansa) a uno più basso (ridotta). Un wp è in grado di definire e cambiaretutte le impostazioni a cui abbiamo fatto cenno, assieme all’impostazione gene-rale della pagina.

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Ogni stile prevede a sua volta una serie di varianti legate all’inclinazionedell’asse (tondo/corsivo/controcorsivo) o alla forza visiva (chiaro/nero). En-trambe le varianti sono intese in un wp con il termine di stile.

Figura 2.12 Le possibilità di formattazione del carattere offerte da Word.

Figura 2.13 Esempio di corpo di dimensioni diverse da 8 a 72 punti.

Figura 2.14 Differenziazioni di stile.

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124 Capitolo 2

Tutti i tipi di carattere esistenti si suddividono in due grandi gruppi distintiin base e alla presenza o meno di terminazioni, le così dette grazie, che distin-guono tra caratteri graziati e caratteri a bastone.

Oltre a questa prima sommaria suddivisione, esistono innumerevoli classifi-cazioni che individuano diversi sottogruppi di caratteri accomunati da alcunecaratteristiche di base.22 Qui sotto proponiamo una classificazione piuttostoessenziale che delinea 7 famiglie principali:

1. bastoni, etruschi, grotteschi (privi di grazie e di spessore uniforme: Aa);2. egiziani (con terminazioni ad angolo retto e spessore uniforme: ��);3. romani antichi (lo spessore delle aste si differenzia, le terminazioni sono

curve: Aa);4. romani moderni (lo spessore delle aste è fortemente contrastato e le termi-

nazioni sono orizzontali e sottili: ��);5. gotici e medievali (si tratta di caratteri molto particolari, ispirati all’antica

scrittura tedesca: Aa);6. inglesi (sviluppati dalle antiche scritture cancelleresche, presentano forti

contrasti tra le aste: ��);7. fantasia (non esistono regole precise che definiscono questa famiglia, alla

quale appartengono i caratteri più disparati: ��).

Nella maggior parte dei casi un testo viene redatto usando un solo tipo; soloraramente è possibile utilizzare tipi diversi per la composizione di titoli o diparti considerate in qualche modo autonome dalla trattazione generale.

Generalmente in un testo si tende anche a utilizzare lo stesso corpo delcarattere, differenziando solo la dimensione dei titoli o le citazioni e le note apiè di pagina.

La stile tondo è quello generalmente più utilizzato per un testo a stampa,anche per i titoli e per le note a piè di pagina, perché è quello più leggibile.

Il corsivo viene usato come elemento distintivo all’interno di un testo eserve a evidenziare parole o frasi che assumono un significato particolare. Con-venzioni ormai generalmente accolte delegano al corsivo il compito di distin-guere all’interno di una trattazione i termini tecnici o specialistici, le voci stra-niere, le parole intese come tali, i titoli di opere in genere, le parole alle quali siintende dare una particolare enfasi.

Il grassetto viene usato prevalentemente per i titoli o come elemento di-stintivo per particolari termini all’interno del testo.

Il MAIUSCOLETTO viene usato nei titoli delle illustrazioni e delle tabelle. Talvol-ta, all’interno del testo, può sostituire il maiuscolo.

Il MAIUSCOLO viene generalmente sconsigliato per testi di una certa lun-ghezza, perché meno leggibile del minuscolo. Il maiuscolo viene tuttavia talvol-ta utilizzato per titoli di particolare evidenza, per sigle o acronimi.

22 Vedi Dario Moretti, op. cit., tabella a p. 124.

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2.4.4 Colori nel testo

Nella prima parte di questo capitolo, abbiamo già avuto modo di accennare,come il colore sia gradualmente scomparso dai testi a stampa, dopo l’invenzio-ne dei caratteri mobili. Niente miniature né capilettera istoriati, niente segni diparagrafo rossi (le rubriche): la stampa impone, per ovvi motivi economici, lamonocromia del testo nero su bianco.

Ancora oggi l’impiego del colore nei processi di composizione e di stampaaumenta notevolmente i costi di produzione. La stampa a colori, sia essa a dueo più colori arbitrari o in quadricromia, pur con le dovute differenze, è sempremolto costosa. Più facile è l’impiego del colore per documenti prodotti in casa:è sufficiente una cartuccia a colori e una stampante per ottenere pagine policro-me con una certa facilità.

Al pari di altri espedienti grafici, il colore può assumere, all’interno di untesto, funzioni diverse: può svolgere un compito puramente estetico di abbelli-mento, può contribuire al disegno della struttura generale del testo sottolinean-do le distinzioni tra le parti, può rappresentare un prezioso elemento per enfa-tizzare paragrafi, capoversi, frasi o singole parole all’interno del testo. Un bordorosso che racchiude un certo capoverso susciterà immediatamente l’attenzionedel lettore e lo indurrà a scorrere quel testo filettato prima di altri, così comeuna parola colorata acquisterà una valenza particolare in mezzo al testo anoni-mo di una pagina in bianco e nero.

Il perché della scelta di uno standard che è quasi sempre (che si tratti dicarta stampata o di schermi) testo nero su fondo bianco trova la sua motivazio-ne e la sua conferma nelle leggi della visione, che dimostrano come la leggibi-lità di un testo aumenti in virtù della forza del contrasto tra caratteri e sfondo (ilmassimo di contrasto possibile è proprio quello che si ha tra nero e bianco)(Approfondimento 2.11). Per questo motivo si sceglie sempre di stampare testineri su carta bianca, a meno che ragioni di ordine comunicativo indichino l’usodi altri colori (potrebbe essere ad esempio il caso di una ditta che intende dareuna precisa connotazione ai suoi testi, utilizzando quello che è il colore domi-nate del suo marchio).

Diverso è il caso in cui all’interno di un testo stampato in nero compaionocaratteri colorati. In questo caso è evidente lo scopo enfatico attribuito al colore.

Un capolettera colorato può servire, ad esempio, a evidenziare una suddivi-sione in parti non scandita da titoli interni: il capolettera, reso evidente dalladimensione, dalla posizione e dal colore, costituisce un’ancora visiva in gradonon certo di sostituire, ma di supplire alla meglio alla mancanza di un titolo diparagrafo. Un testo così realizzato avrà naturalmente un sapore antico, conferi-togli proprio dalla presenza di un elemento che richiama la tradizione del pas-sato.

Una parola colorata all’interno del testo richiama, come dicevamo, imme-diatamente lo sguardo del lettore conferendo a quella parola una funzioneaggregante rispetto all’intero testo. Lo stesso scopo può essere raggiunto tra-

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126 Capitolo 2

mite altre forme di enfatizzazione tipografica quali ad esempio l’uso del gras-setto o del sottolineato, ma il colore è senz’altro, tra questi, la forma piùefficace. Un po’ come succede per i link di un testo web che finiscono permarchiare in maniera definitiva il testo a cui appartengono, così una serie diparole colorate inserite in una pagina rappresenterebbero una sorta di per-corso interno che il lettore sicuramente esplorerà prima della lettura comple-ta del testo.

Lo stesso vale per bordi o linee, che già di per sé segnano la pagina definen-do una gerarchia delle parti, una gerarchia senza dubbio ribadita o accentuatadall’uso del colore. Supponiamo poi che il diverso colore assuma un significatointrinseco divenendo una maniera immediata per comunicare al lettore un cam-bio di registro: potrei ad esempio scrivere un testo in cui un bordo rosso rac-chiude citazioni e brani di altri autori e un bordo blu approfondimenti interni al

Approfondimento 2.11 Tipologie di contrasto tra colori

Contrasto di colori puri. Giallo, rosso, blu sono i colori primari. Il contrasto chesi crea accostando a coppie i tre colori risulta di grande impatto per l’occhio,specie se sono presenti linee di delimitazione bianche o nere. Rappresenta ilmassimo grado di tensione.

Contrasto di chiaro scuro. Si verifica ogni volta che si accostano colori dellastessa tinta, ma diversi per luminosità, con diverse concentrazioni di bianco o dinero. Il contrasto che si ottiene è il più pacato, più soft.

Contrasto caldo-freddo. Sono considerati colori caldi i rossi e i gialli e gli aran-cio e alcuni viola.

Il verde, il blu, alcuni tipi di viola sono considerati, invece colori freddi. Ilcontrasto che si stabilisce tra colori del primo e del secondo gruppo è utile percreare sensazioni di distanza.

Contrasto di simultaneità. È il contrasto considerato più efficace, ottenuto tuttele volte che si accostano due colori complementari, proprio perché l’occhioesige, naturalmente, il complementare di un colore osservato (per esempiorosso-verde). Due colori sono complementari quando i loro raggi combinatidanno il bianco. Le coppie di colori complementari sono: giallo-viola, arancio-blu, rosso-verde. Quando si accostano due colori complementari l’equilibrioarmonico di una composizione grafica può essere ottenuto rispettando le pro-porzioni indicate dagli studi sulla percezione ottica e dosando le quantità dicolore secondo le seguenti frazioni:

giallo-viola = 3:9arancio-blu = 4:8rosso-verde = 6:6.

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testo considerati comunque in qualche maniera esterni alla trattazione. Il colorediventa, in questo caso, l’interfaccia tra il testo e il lettore, elemento di un codicedi lettura che si stabilisce tra chi scrive e chi fruisce, e che, come al solito, facilitail passaggio di informazione tra l’uno e l’altro.

Un ultimo caso di uso del colore a cui vorremmo accennare è quello delricorso a sfondi colorati per porzioni di testo, che spiccano in questo caso inmaniera netta. Gli svantaggi connessi a questo uso sono riconducibili alle rifles-sioni relative al contrasto a cui si accennava poche righe sopra.

Il contrasto è una necessità fisiologica per la vista, è necessario per percepi-re forme, leggere testi e rispondere a qualsiasi stimolazione cromatica. Più duecolori sono diversi, maggiore sarà il contrasto tra di loro. Abbiamo già ricordatocome il massimo contrasto lo si raggiunga accostando bianco e nero; altri colorisufficientemente in contrasto sono quelli che nella ruota cromatica si trovanouno di fronte all’altro, come ad esempio i colori complementari. Attenzionedunque, sempre, alla scelta dei colori da utilizzare per caratteri e sfondo di untesto.

Un ultimo accenno alla psicologia del colore. La fonte principale di questesintetiche notazioni sull’uso del colore è il volume di Molly E. Holschlag Ilcolore del Web edito da Apogeo nel 2001. La Holschlag sottolinea come lapercezione di un colore sia determinata da condizionamenti culturali. Esistonocolori, come il blu, accattivanti e apprezzabili in ogni parte del pianeta, mentrealtri, primo tra tutti il viola, simbolo della morte nelle società occidentali e diprostituzione in alcune culture orientali, o il bianco ritenuto il colore della pu-rezza è presagio di infelicità in India o in Cina o Giappone, dove è il colore dellutto. Sono dati importanti da tener presenti nel momento in cui si opta per unascelta alternativa al bianco e nero, ma questo riguarda soprattutto i testi pubbli-cati on line su cui torneremo nei prossimi capitoli.

Il volume citato propone una sorta di classificazione dei colori, attribuendoloro alcune connotazioni emotive specifiche. Generalmente, seguendo una tra-dizione accumulata nel corso dei secoli, più che una tendenza fisiologicamentedeterminata, si tende ad associare a un colore una serie di etichette:

Rosso: forza, energia, amore, calore, passione, aggressività, pericoloBlu: fiducia, tradizione, sicurezza, tecnologia, pulizia, tristezza, ordineVerde: natura, terra, salute, buona sorte, gelosia, rinnovamento, denaroGiallo: ottimismo, speranza, filosofia, disonestà, vigliaccheria, tradimentoViola: spiritualità, mistero, regalità, forza, trasformazione, crudeltà, arrogan-za, omosessualitàArancione: energia, equilibrio, caloreMarrone: terra, affidabilità, comodità, resistenzaGrigio: intelletto, futurismo, eleganza, modestia, tristezza, decadimentoBianco: purezza, pulizia, precisione, innocenza, sterilità, morteNero: forza, sessualità, sofisticatezza, mistero, paura, infelicità, morte.

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128 Capitolo 2

2.4.5 Immagini nel testo

Così facile e immediata, l’immagine possiede un suo linguaggio, composto diidioletti, lessici e sottocodici. È una lingua difficile da riconoscere, proprio per-ché si nasconde dietro l’apparente assenza di codici. Nessuna riproduzionedella realtà è innocente, nessuna rappresentazione esula da un senso che vaoltre ciò che l’occhio direttamente percepisce. Ogni immagine, disegno, foto-grafia o pittura che sia, ha una doppia natura: mostra e suggerisce, evoca, creaassociazioni nella mente di chi la osserva. Ogni immagine denota e raccontaassieme, oltre le linee della sua composizione. Solo all’occhio esperto il codicesi rivela sotto l’apparente immediatezza del messaggio.

Le immagini parlano il loro linguaggio. Dagli schermi televisivi, dai cartello-ni pubblicitari o dalle pagine di un libro entrano nella nostra esistenza, simula-cri di realtà tangibili, realtà a tutti gli effetti.

Ci sono casi in cui un’immagine riesce a comunicare all’istante informazioniche le parole stenterebbero a esprimere. Talvolta, invece che dilungarsi in con-torte descrizioni, è più semplice mostrare una rappresentazione grafica di ciòche si vuole comunicare: non è necessario pensare a un libro di origami percapire come, ad esempio, la visualizzazione di procedure sia più facilmentecomprensibile di tante parole o come una cartina tematica riassuma meglio diun intero paragrafo la distribuzione dei conflitti sul nostro pianeta.

Quella per immagini è una forma di comunicazione più immediata e talvol-ta più efficace e il ricorso alle illustrazioni nei testi a stampa ha, perciò, unastoria molto antica. Ma su questo avremo modo di tornare in maniera approfon-dita nel capitolo 3 del volume. Ci basti qui fare riferimento alle modalità secon-do cui, nel corso dei secoli, l’immagine si è inserita all’interno di un testo scritto,stravolgendone l’impaginato o rispettandolo integralmente.

Sappiamo come la xilografia, ovvero l’incisione su legno, avesse permessoper anni di “stampare” l’immagine assieme a un testo. L’esempio dei primi librixilografici, libri illustrati di epoca medievale, ci conferma quest’uso peraltrolimitato nel tempo, di una stampa in simultanea di testo e immagini.

Dopo l’affermazione della tecnica di incisione su rame e della stampa acaratteri mobili, le illustrazioni abbandonarono il loro posto tra le parole efurono, nel migliore dei casi, confinate nelle tavole fuori testo che venivanoinserite nell’impaginato o addirittura vendute a parte (un caso emblematico ècostituito dall’edizione del 1760 della Nouvelle Héloïse di Jean Jacques Rousse-au, per la quale l’autore stesso aveva commissionato a disegnatori di fiducial’esecuzione di dodici illustrazioni che vennero stampate a parte, ma allegate allibro).

Per ritrovare volumi contenenti un alto numero di illustrazioni frammistealle parole si dovrà attendere la prima metà dell’Ottocento, il 1830 per l’esattez-za, quando l’Histoire du Roi de Bohème di Charles Nodier inaugurò una fornitaserie di romanzi illustrati che uscirono nel decennio successivo. All’origine ditali imprese editoriali c’era una nuova tecnica d’incisione, quella del “legno di

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testa”, che consentiva di ottenere su legno risultati paragonabili al rame e per-metteva anche, grazie a legni più resistenti che potevano sostenere il peso deltorchio, la stampa in simultanea di immagine e testo. Fu in quegli anni che sidiffusero nuovi volumi riccamente illustrati, in cui l’immagine, non più relegatanelle tavole fuori testo, o inserita a fine di capitolo, chiedeva spazio tra le paroleall’interno delle pagine di romanzi e saggi. In Italia, Alessandro Manzoni è ilprimo grande autore che si interessa direttamente all’illustrazione del suo ro-manzo, realizzando nel 1840 un’edizione riccamente illustrata dei Promessi spo-si. Di lì a poco i primi fumetti stabilirono una prima, inedita forma di comunica-zione tra parole e disegno.

Questa breve panoramica sulla storia dell’illustrazione ci permette di stabi-lire le modalità secondo cui un’immagine può entrare a far parte di un progettoeditoriale, divenendo parte integrante di un testo.

Le tavole fuori testo sono immagini stampate su pagine staccate dal restodella trattazione, inserite spesso in fondo allo scritto, alle quali, magari, si rinviatramite un riferimento inserito tra le parole. Una dicitura del tipo (vedi fig. 1)rimanda a un’immagine numerata, spesso corredata di didascalia, ovvero di untesto di accompagnamento che spiega il contenuto dell’illustrazione o ne cita lafonte. La distanza tra le parole e l’immagine relega quest’ultima in una posizio-ne di sudditanza, il suo potere “illustrativo” è in parte ridotto, a tutto vantaggiodella lettura alfabetica considerata di primaria importanza.

Quando le immagini sono inserite all’interno della pagina, in prossimità deltesto di riferimento, la dislocazione spaziale conferisce all’immagine una mag-giore dignità. La figura interagisce con le parole, ridefinendo il suo ruolo all’in-terno della trattazione, non più puro compendio visivo, ma parte fondante deltesto. L’immagine nel testo impone pause, sospensioni, riprese che mutano lestesse modalità di lettura, modificandone il ritmo.

In una sorta di crescendo, che attraverso la dislocazione spaziale dell’imma-gine stabilisce il grado d’importanza a essa attribuita, si giunge fino ai casi in cuitesto e immagine si fondono a creare un tutto organico, una sinestesia espressi-va di intenti comunicativi all’interno della quale è impossibile stabilire chi fra idue abbia la meglio sull’altro. È il caso in cui le immagini sono, ad esempio,utilizzate come sfondo al testo e diventano a questo modo un vero e propriocommento espressivo alle parole stesse, oppure di testi in cui il rapporto tra idue codici si fa stretto, come in certi annunci pubblicitari in cui l’head line e ilvisual, ovvero la parte scritta e l’immagine, si completano a vicenda a esprimerelo stesso messaggio.

I wp di nuova generazione permettono un uso sufficientemente disinvoltodelle immagini nel testo, siano esse disegni, schemi, diagrammi o fotografie,anche se sono insufficienti, da soli, a trattare un’immagine o a fonderla visiva-mente con le parole. Inserire immagini in un testo è un’operazione relativamen-te facile se prima l’immagine è stata acquisita e trattata tramite programmi digestione delle immagini. È possibile anche stabilire i margini entro cui un’imma-gine dovrà essere inserita o affiancarla a un testo scritto facendo ricorso all’uso

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130 Capitolo 2

Figura 2.15 Una pagina della Passio veneziana, il più antico e famoso libroxilografico italiano: parole e immagini venivano stampate contem-poraneamente dopo essere state incise su legno.

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delle tabelle chiamate a definire griglie di impaginato. Per un uso più raffinatodi testi e immagini combinate si potrà far ricorso ad altri tipi di programmi.

Con uno word processor come Winword si distingue tra disegno e immagine.Per disegno si intende una figura costruita ad hoc per il testo in questione

utilizzando gli strumenti interni offerti dallo stesso programma: figure geometri-che, linee curve e spezzate, call out e altre decorazioni preconfezionate chepermettono la creazione di semplici figure. Tra gli strumenti del disegno esisteanche la possibilità di inserire caselle di testo che possono essere sovrapposteal testo primo o a eventuali immagini già inserite.

Figura 2.16 Copertina delle memorie di Nata Hentoff, che raccontano l’esperienzadi un giovane ebreo di Boston. La stella di David inserita nel titolosvela l’argomento trattato.

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132 Capitolo 2

La parola immagine indica invece il contenuto di un file a parte preceden-temente archiviato e contenente la riproduzione di una foto, di un disegno, diun dipinto, o qualsiasi altro. L’immagine può anche essere inserita direttamenteda scanner, catturandola da fotografie o disegni su carta.

Anche in questo campo, dunque, la libertà offerta dai nuovi strumenti dellascrittura ci dà l’illusione di essere noi stessi, oltre che gli autori, anche i tipografidel nostro testo. Forse di nuovo un po’ amanuensi.

ConclusioniAll’inizio sui fogli di pergamena c’era un flusso ininterrotto di simboli, memoriaacustica per chi aveva il compito di tradurre in suono i segni scritti tutti diseguito. La scrittura non aveva altro scopo se non quello di fissare un discorsoorale destinato a essere ripetuto a voce alta.

Ma una volta fissate sulla superficie stabile di un supporto le parole acqui-stano nuovi connotati trasformandosi in oggetti dotati di una loro fisionomia,qualcosa in più rispetto al loro semplice suono. L’inserimento di spazi tra leparole, di una punteggiatura che segna il ritmo delle frasi, sono i passi ulterioriverso una sorta di presa di possesso spaziale della scrittura. La scrittura assumeuna forma nello spazio della pagina.

Il contenuto resta il suono delle parole, la forma è il disegno che le letteretracciano sulla pagina, una forma che non è puro sfizio visivo, ma è sempreausilio alla lettura e alla comprensione.

Un po’ come accade per un discorso pronunciato che si trasforma nell’im-magine di una pagina, così il flusso indistinto di un testo digitato nello spaziovirtuale di una memoria elettronica può essere modificato e ridisegnato a pia-cere.

Un testo scritto al computer non ha una forma prima che essa sia definitadal programma di scrittura: caratteri, spazi e interpunzione sono solo simbolisistemati uno di seguito all’altro.

Formattare un testo significa attribuire a esso un preciso disegno, una formariconoscibile nello spazio, che definisce la grandezza dei caratteri e la lorodisposizione sulla pagina, la spaziatura tra caratteri, righe e margini, il coloredelle lettere e la loro forma.

Ancora una volta la scrittura elettronica ci mette di fronte a una separazione,a due fasi distinte: la scelta delle parole, da una parte, e quella della loro vestevisiva dall’altra. È una scrittura in due tempi che presuppone un’attenzioneparticolare alla forma intesa come presentazione grafica.

Chi scrive un testo destinato a essere stampato su carta si preoccupa primadi della forma delle frasi, della successione logica degli argomenti e dello stiledel discorso; poi cura la forma visiva, ovvero la maniera in cui il testo presente-rà se stesso agli occhi o alle orecchie del lettore. L’autore di un testo si improv-visa tipografo delle proprie pagine e la forma grafica diventa scrittura a tutti glieffetti.

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In questo secondo capitolo si sono analizzati i vantaggi che i supporti digi-tali offrono alla scrittura di tipo tradizionale, ovvero si è cercato di definirequanto l’uso del computer e dei programmi di editing abbiano facilitato lascrittura, da una parte, e introdotto novità sostanziali nel modo di concepirel’atto di scrivere dall’altra.

Al di là di ogni altra considerazione risulta evidente quanto l’uso del compu-ter abbia permesso allo scrittore di recuperare una nuova attenzione all’aspettovisivo dei propri testi, riappropriandosi di forme espressive da troppo tempotrascurate.

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