2 i confini del territorio di populonia

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 ©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale  1 I CONFINI DEL TERRITORIO DI P OPULONIA: STATO DELLA QUESTIONE  I confini di età arcaica Questo contributo si propone di riesaminare alcuni dati, per lo più già noti, utili ad un inquadramento della topografia generale del comprensorio populoniese fra l’età arcaica e la romanizzazione e va considerato alla stre- gua di punto della situazione su quanto si sa dei limiti del territorio antico e sulla localizzazione di alcuni degli insediamenti importanti, i toponimi dei quali sono stati tramandati dagli  Itineraria e da altre fonti documentarie. È auspicabile che gli approcci avanzati alla ricostruzione dei paesaggi antichi, forti delle più aggiornate tecnologie relazionali e cartografiche, necessarie alla analisi formale della distribuzione degli insediamenti, recuperino, allo scopo di rileggerli in una nuova luce, documenti di tipo tradizionale. Nel rispetto delle singole filologie, questi appaiono indispensabili se si vogliono costruire sistemi di fonti nuovi e più complessi, sposando una buona antiqua- ria ottocentesca con le analisi spaziali e con gli aspetti di percezione del pae- saggio antico. Alla fine di un ventennio di scavi, scoperte e ricognizioni in Etruria-Tuscia-Toscana e in molte parti della penisola, nuove tecnologie, e una nuova cultura, possono valorizzare i vecchi sistemi di fonti e farli intera- gire con i nuovi. Una serie di considerazioni sono preliminari e indispensabili alla descri- zione della topografia antica del comprensorio di Populonia. La suggestione che qui si propone è che il territorio si estendesse in età ellenistica fino a comprendere le Colline Metallifere. Il ragionamento parte dalla congettura che il confine diocesano fra Populonia e Roselle avesse ripreso il fossile di u n confine antico. Nella consapevolezza dei limiti imposti dalla documentazio- ne archeologica finora acquisita tenterò di definire alcune linee-guida da se- guire nella ricerca futura. Ma procediamo con ordine partendo da nord. La metropoli etrusca confinante a settentrion e era certamente V olaterrae. Questa possedeva sul mare il porto di Vada (detta appunto Volaterrana) e l’area circostante la foce del Cecina. Il confine fra V olterra e Populonia dove- va quindi passare più a sud, lungo una linea tracciata fra la pieve di Bolgheri (Diocesi di Massa e Populonia) e Bibbona, già nella Diocesi di V olterra (C  AR- DARELLI 1963; FIUMI 1968; CHELLINI  1997). Il confine orientale, ancora con l’  ager V olaterranus, chiuso verso una delle zone interne meno conosciute del-

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I CONFINI DEL TERRITORIO DI POPULONIA: STATO DELLA QUESTIONE

 I confini di età arcaica

Questo contributo si propone di riesaminare alcuni dati, per lo più giànoti, utili ad un inquadramento della topografia generale del comprensorio

populoniese fra l’età arcaica e la romanizzazione e va considerato alla stre-gua di punto della situazione su quanto si sa dei limiti del territorio antico esulla localizzazione di alcuni degli insediamenti importanti, i toponimi deiquali sono stati tramandati dagli Itineraria e da altre fonti documentarie. Èauspicabile che gli approcci avanzati alla ricostruzione dei paesaggi antichi,forti delle più aggiornate tecnologie relazionali e cartografiche, necessariealla analisi formale della distribuzione degli insediamenti, recuperino, alloscopo di rileggerli in una nuova luce, documenti di tipo tradizionale. Nelrispetto delle singole filologie, questi appaiono indispensabili se si voglionocostruire sistemi di fonti nuovi e più complessi, sposando una buona antiqua-

ria ottocentesca con le analisi spaziali e con gli aspetti di percezione del pae-saggio antico. Alla fine di un ventennio di scavi, scoperte e ricognizioni inEtruria-Tuscia-Toscana e in molte parti della penisola, nuove tecnologie, euna nuova cultura, possono valorizzare i vecchi sistemi di fonti e farli intera-gire con i nuovi.

Una serie di considerazioni sono preliminari e indispensabili alla descri-zione della topografia antica del comprensorio di Populonia. La suggestioneche qui si propone è che il territorio si estendesse in età ellenistica fino acomprendere le Colline Metallifere. Il ragionamento parte dalla congetturache il confine diocesano fra Populonia e Roselle avesse ripreso il fossile di un

confine antico. Nella consapevolezza dei limiti imposti dalla documentazio-ne archeologica finora acquisita tenterò di definire alcune linee-guida da se-guire nella ricerca futura. Ma procediamo con ordine partendo da nord.

La metropoli etrusca confinante a settentrione era certamente Volaterrae.Questa possedeva sul mare il porto di Vada (detta appunto Volaterrana) el’area circostante la foce del Cecina. Il confine fra Volterra e Populonia dove-va quindi passare più a sud, lungo una linea tracciata fra la pieve di Bolgheri(Diocesi di Massa e Populonia) e Bibbona, già nella Diocesi di Volterra (C AR-DARELLI 1963; FIUMI 1968; CHELLINI 1997). Il confine orientale, ancora conl’ ager Volaterranus, chiuso verso una delle zone interne meno conosciute del-

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l’Etruria, doveva essere costituito dal versante sud-occidentale delle CollineMetallifere. Massa Marittima dovrà essere considerata populoniese in virtùdel fatto che l’abitato tardoantico, detto Massa Veternensis e noto per avere

dato i natali a Treboniano Gallo, era inizialmente compreso nella diocesi diPopulonia, tanto da raccoglierne l’eredità, divenendo a sua volta sede episco-pale (AMM. M ARC. 14, 2, 27; CUCINI 1985, pp. 257-260, sito 232, p. 300;M ANSUELLI 1988, pp. 55 ss.). L’Elba e alcune delle isole minori possono benessere considerate parte integrante del territorio populoniese.

La situazione risulta invece molto meno chiara per quanto riguarda lefasi più remote e il confine meridionale dell’agro Populoniese. Mario Torelli,nel saggio sulla definizione degli originari XII populi Etruriae (TORELLI 1987,pp. 110 ss.), metteva in rilievo l’iniziale egemonia di Vetulonia sulla regionedel lago Prile (tra l’età del Ferro e gli inizi del VI secolo a.C.) e la successiva

crescita, fino alla conquista romana, di Rusellae, da considerare con ogni pro-babilità come epìneion emporico di Clusium. In modo analogo, Populonia vavista come colonia di Volterra. Alla base del ragionamento è il noto passo diServio sulle città dell’Etruria (  ad Aen. X, 172): «…alii PopulonamVolaterranorum coloniam dicunt. Alii Volaterranos Corsis eripuisse Populoniamdicunt…». Le due città avrebbero condiviso una stessa magnifica sorte, quelladi assimilare, dopo oscuri inizi, il territorio vetuloniese da una parte e dall’al-tra. Viste le analogie suggerite dalle fonti, ritengo che sarebbero da indagaremeglio le differenze proposte dalla documentazione archeologica. Mentre Ro-selle cresce sensibilmente soltanto nel VI secolo e vi sono tracce piuttosto labili

della fase orientalizzante, Populonia è retta già a partire dal VII da una classedominante molto attiva. A queste élite andrebbe ascritta la prima fase di sfrut-tamento delle risorse minerarie dell’area campigliese (ZIFFERERO c.s.).

 Anche all’Elba va registrata una fase precoce di espansione da partedelle metropoli continentali (CRISTOFANI M ARTELLI 1973, pp. 525-526; AA.VV.1958, p. 110, n. 274; JUCKER 1970, pp. 199 ss., figg. 8a-b.). L’isola ebbevivaci orizzonti eneolitici e del Bronzo (soprattutto recente) ed una fase dilungo silenzio fra il Bronzo Finale e la tarda età del Ferro. Le scarne testimo-nianze di età orientalizzante e arcaica, lungi dal dimostrare la reale assenza digruppi populoniesi nell’isola, potrebbero essere suscettibili di un sostanziale

incremento, soprattutto se indagate con metodologie più aggiornate e po-trebbero indicare presenze stabili attuate attraverso tipologie insediative pocoidentificabili: ripari sotto roccia o dimore rupestri. Comprendere la fisiono-mia di queste presenze (Populonia o Vetulonia) è problema al momento lon-tano da una soluzione. Un attento studio della distribuzione dei reperti e deirelitti orientalizzanti noti nell’isola e lungo le coste del continente potrebbeportare elementi nuovi.

Vetulonia appare, dopo gli splendori della tarda età del Ferro e dellafase orientalizzante, in declino. Nel VI secolo la città pare soggetta a un gene-rale impoverimento, tanto che le tombe delle necropoli urbane e del territo-

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rio, anche se utilizzate o riutilizzate nel VI e nella prima metà del V, sonostate erette tutte, al più tardi, nell’orientalizzante recente (MICHELUCCI 1981).Questo quadro, da accogliere con cautela, appare, per la verità, eccessiva-

mente severo. Le ricerche in corso potrebbero delineare una situazione menocatastrofica (M. C YGIELMAN, comunicazione personale).Il territorio rivela invece tracce copiose di frequentazione e di utilizza-

zione avanzata delle risorse. In età orientalizzante la città organizza una reteassai fitta di insediamenti volti, in molti casi, al sistematico sfruttamento del-le risorse minerarie dell’area campigliese e alla lavorazione del minerale grezzodi ferro evidentemente proveniente dall’Elba. Gli abitati del lago dell’Accesa,di Selvello, di San Germano, di Poggio Zenone, di Val Berretta (C AMPOREALE

1985, pp. 392-396), di Val Petraia (ARANGUREN, P ARIBENI ROVAI 1997, schedenn. 3-4), benché conoscano la loro fase di massima espansione nel VI, spesso

affondano le loro origini nella fine del VII o direttamente (Val Berretta) op-pure attraverso la frequente localizzazione nei loro paraggi di aree sepolcraligià utilizzate nel pieno VII, nella prima metà (Val Petraia) o talvolta ancheprima (Accesa: C AMPOREALE 1985, pp. 170 ss.). Ad essi aggiungerei l’abitatorinvenuto sotto il castello di Scarlino, ove sono chiaramente attestati episodidi riduzione/fusione del minerale di ferro databili al VII-VI secolo (FRANCOVI-CH 1985, pp. 13-14). Il ritrovamento assume un rilievo particolare anche inconsiderazione della complessità stratigrafica del sito, nel quale la fase arcai-ca si pone dopo quella del Bronzo Tardo e prima di quelle ellenistica, roma-na, altomedievale, medievale e moderna, che avranno sicuramente asportato

molta della documentazione più antica. Controversa è la natura della mani-fattura di Rondelli, ove a uno sviluppo nell’iniziale VI secolo succede unafase di abbandono quindi una fase prima di frequentazione (discarica dellescorie di ferro da un punto di lavorazione dislocato altrove) poi di effettivarioccupazione (edificio manifatturiero coperto con tegole fra la fine del VI egli inizi del V) (ARANGUREN, P ARIBENI ROVAI 1997, schede nn. 7-8).

Questi insediamenti, dipendenti da Vetulonia, cui sono affiliati dai ca-ratteri culturali, costituiscono un tessuto uniforme (C AMPOREALE 1997). Re-sta difficile da spiegare la natura dei rapporti di questi abitati con la metro-poli (C AMPOREALE 1985, pp. 170 ss.) e soprattutto la contemporaneità esi-

stente fra gli inizi della prosperità degli uni e il lento declino dell’altra (CE-LUZZA 1993, pp. 95-103). È certo che la frequentazione del territorio, legataalla città in formazione ma più ancora ai gruppi gentilizi che ne governavanoi destini, debba essere vista come una emanazione nel territorio dei principese delle loro clientele. Fra gli indizi che potrebbero servire ad indirizzare laricerca futura è il finimento equino rinvenuto non lontano da Scarlino, diprobabile produzione vetuloniese, a suo tempo indicato come uno dei segnidistintivi di una aristocrazia locale dominante i centri satelliti e desiderosa diimitare i fasti della classe egemone del centro primario (CUCINI 1983; 1985,pp. 198-199, sito 88). Nel ritrovamento va visto piuttosto il segno di una fase

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di penetrazione delle aristocrazie vetuloniesi nel territorio attraverso un com-plesso sistema di ramificazioni gentilizie. I gruppi marginali sembrano so-pravvivere alla caduta della classe principesca di Vetulonia nella prima metà

del VI secolo. Ricerche e scavi recenti confermano con regolarità il quadro diuna precoce occupazione vetuloniese tanto dei paraggi della città (valli delBruna e dell’Alma) quanto delle zone più a nord (valle del Pecora: C AMPOREALE

1985, pp. 31 ss.) (Fig. 2).Il definitivo esaurimento dell’egemonia vetuloniese su questi paraggi va

fissato alla prima metà del V secolo a.C., in concomitanza con l’abbandonodella maggior parte degli abitati cui si è finora accennato, incluso il villaggiodel lago dell’Accesa. La città solo più tardi recupererà un ruolo marginale,anche se significativo, nell’ambito delle vicende della romanizzazione.

In contemporanea, soprattutto a partire dagli anni finali del VI secolo,

si assiste a quello che ormai si potrebbe con ragione definire il “miracolopopuloniese”. La città, mantenendo un ruolo attivo anche in seguito alledisfatte che determinano l’eclisse del potere etrusco sul mare, dopo alternevicende, assimila l’arcipelago e il bacino minerario elbano nei suoi possedi-menti. L’acquisizione delle isole è fatto indubitabile e archeologicamente di-mostrato dalla imponenza e dalla capillare e strategica distribuzione dellefortezze d’altura costruite all’Elba a partire dalla seconda metà del V secolo(M AGGIANI 1981; M AGGIANI, P ANCRAZZI 1979; DUCCI, P ANCRAZZI 1996). Nel-l’interno il tramonto di Vetulonia potrebbe avere favorito Roselle, nella zonadel lago Prile, e Populonia. La prima espanse il proprio territorio verso ovest

arrivando a inglobare il lago nella sua interezza. La seconda, proiettata versoil mare e i ricchi bacini minerari dell’interno, si espanse nel litorale compresofra Follonica e Pian d’Alma e verso il comprensorio delle Colline Metallifere.Retrospettivamente si spiega il motivo per cui, nella tarda antichità,  MassaVeternensis era considerata appartenente alla diocesi di Populonia (Fig. 3).

Il territorio populoniese venne allora portato fino oltre l’attuale localitàdi Bagni di Gavorrano. Se in questa potesse essere ravvisato l’antico abitato di“ Aquae Populoniae” sarebbe più facile considerare di pertinenza populonieseanche il settore più interno dell’alta valle del Bruna almeno fino all’altezza delcastello medievale della Pietra. Il castello, fra l’altro, in virtù delle preesistenze

di epoca ellenistica individuate nel corso di scavi recenti (D ALLAI, F ARINELLI1998, pp. 49-74; BIANCHI et al. 1999, pp. 151-152), può probabilmente essereconsiderato come una sorta di indicatore di confine fra i territori, ora accre-sciuti, di Populonia e di Roselle. In questo punto convergono, oltre a Pietra,altri toponimi dalla valenza confinaria altrettanto forte: Termini, Tre Termini,Terminuzzo.

Stabilito che si tratta indubitabilmente di una zona di frontiera e chedal gioco delle parti va immediatamente esclusa Vetulonia, che, trovandosisubito sopra la valle del Bruna, avrebbe finito per avere un territorio piccolis-simo, la domanda da porsi è: quando? Un primo terminus ante quem per la

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creazione di un limite confinario nella zona viene dai secoli centrali del Me-dioevo, al tempo (secolo XI) di una vivace controversia territoriale fra i ve-scovi di Massa e Roselle relativamente al possesso dei comprensori detti “di

 Accesa” e “di Pietra” (C ARDARELLI 1932, p. 40; F ARINELLI 2000, pp. 141-203,in particolare Appendice I ). La bolla papale che mise la parola fine alla con-troversia rifletteva l’ambiguità della situazione relativa alla pertinenza del-l’area vetuloniese, tale da far leggere, in trasparenza, che il territorio di Ca-stel di Pietra fosse considerato per tradizione nella diocesi di Populonia. Lepoche notizie fanno pensare alla tradizione di un fossile di confine antico chepassava per questi paraggi. Il toponimo “Tre Termini” pare portare in questosenso una debole ma significativa schiarita. A nord di Tre Termini l’elementovisivamente più forte dell’intero comprensorio è il monte detto Sassoforte, lasommità più elevata e più carica di significati per le comunità della zona. Il

lessico saxum, oltre che una rupe, può ben indicare una montagna sede di unculto, ruolo, questo, confermato dal ritrovamento di una dedica a  Iuppiter Optimus ai piedi della montagna (GUIDERI 1993, pp. 23-33). Nella montagnava inoltre ravvisato il punto più eminente del confine fra le diocesi di Volter-ra e di Roselle. E. Fiumi (1968 , pp. 43 ss.) fissava nel piviere di Prata il puntopiù meridionale della diocesi di Volterra, a breve distanza dal Sassoforte,un’ipotesi ricostruttiva condivisa anche da R. Farinelli (comunicazione per-sonale; cfr. anche CHELLINI 1997).

È dunque possibile che in una fase molto antica della vita delle diocesiuna linea confinaria discendesse dal Sassoforte verso la valle del Bruna, at-

traversasse l’area ora nota come “Tre Termini”, risalisse verso il massicciovetuloniese e quindi si allineasse al fiume Alma fino al mare. Da una parte erala diocesi di Roselle, dall’altra la diocesi di Populonia. Più in alto nel temponon si è certamente in grado di risalire e conviene fermarsi a questo puntolasciando aperta del tutto la questione se questa frontiera sia nata dal nullanella tarda antichità in funzione delle neonate diocesi oppure se, come spes-so accade in Maremma e come personalmente ritengo più plausibile, sia ilfossile di un confine più antico, evidentemente sancito fra Populonia e Rosel-le nei decenni successivi al tramonto di Vetulonia (Fig. 3).

 Dall’età classica all’età ellenistica

 A partire dalla fine del V secolo Populonia sembra piuttosto impegnataa consolidare i territori acquisiti. Non è facile stabilire le modalità di questaoccupazione e vi è da chiedersi se, dopo una iniziale frequentazione vetulo-niese, alcuni siti (penso alla rioccupazione tarda di Rondelli) siano stati rifon-dati da Populonia. L’insediamento rientrerebbe in un orizzonte metallurgicopopuloniese che coinvolgerebbe, oltre che il golfo di Baratti, anche le pianu-re costiere verso Follonica (ARANGUREN, P ARIBENI ROVAI 1997, scheda 17). È

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comunque certo che, in concomitanza, o forse in conseguenza, dei raid sira-cusani nell’alto Tirreno (anni 453-451) questi insediamenti vengono abban-donati e si assiste ad una fase di ulteriori trasformazioni.

La tipologia insediativa della fortezza d’altura costituisce, dal punto di vi-sta archeologico, una precisa cifra stilistica dell’orizzonte populoniese di età clas-sica ed ellenistica e rappresenta certamente il segno di un cambiamento epocale.Una fortezza d’altura va probabilmente ravvisata sotto il castello della Gherarde-sca (Castagneto Carducci, Livorno), in prossimità del confine settentrionale del-l’agro Populoniese, con chiara funzione di controllo sulla costa (comunicazionepersonale di R. Francovich). Populonia è l’unica città dell’Etruria costiera capacedi salvarsi dalla decadenza e di riprendere in pieno la sua fiorente attività metal-lurgica, dopo una breve fase di difficoltà, proprio grazie al grande sforzo difortificazione del territorio metropolitano e di quello insulare.

 Anche se non si esclude la possibilità che fortificazioni di questo tipopotessero trovarsi in altri ambiti coevi (la costa volterrana o quella vulcente),in nessun altro contesto esse raggiungono lo stesso impatto territoriale chehanno nei possedimenti populoniesi. Si tratta di unità modulari formanti unpreciso tessuto al quale sono affidate le funzioni più disparate:– la difesa del bacino di approvvigionamento minerario;– il controllo del territorio e delle manifatture metallurgiche;– il controllo, ed eventualmente l’assistenza, alla navigazione.

In questo tessuto vanno ad inserirsi gli abitati fortificati di Poggio Casti-

glione (LEVI 1933, pp. 122-123; CUCINI 1985, pp. 223-224, sito 144; CELUZ-ZA 1993, pp. 80-81) e di Scarlino, la prima posta a guardia della valle delPecora, la seconda (con una cinta muraria di oltre due metri di spessore:FRANCOVICH 1985, pp. 14 ss.) con funzioni di vigilanza sul braccio di marecompreso fra Piombino, Punta Ala e la costa orientale dell’Elba. Più a sud,forse, il citato sito fortificato di Castel di Pietra potrebbe avere avuto il ruolodi segnacolo di confine lungo la valle del Bruna (gli scavi degli ultimi annihanno mostrato una consistente fase ellenistica sotto l’impianto del castellomedievale, tanto da far pensare ad una fortezza d’altura o a un santuario: R.Francovich, comunicazione personale). In ogni caso, e pur con le difficoltà

imposte dalla natura diseguale della documentazione, è possibile cogliere se-gni evidenti del nuovo assetto dato al territorio sul finire del V secolo a.C.:l’intero distretto massetano, un tempo vetuloniese, era stato inglobato daPopulonia analogamente a quanto era avvenuto per le isole e presto munitodegli stessi, speciali indicatori (le fortezze).

In questa ottica va forse vista la tardiva e circoscritta ripresa di Vetulo-nia, riferita da alcuni alla fine del IV secolo (CURRI 1978, pp. 35 ss.), da altridirettamente alla prima metà del III o al II (TORELLI 1987, p. 110). La notizia diFrontino, tarda e di incerta tradizione, definisce Vetulonia come “oppidum”(Frontin. Strat. I, 2, 7) in relazione alle vicende del 282 (anno del primo

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consolato di Emilio Papo e di importanti conquiste in Etruria) oppure a quel-le del 278 (secondo consolato) e particolarmente all’episodio di un agguatoteso dai Galli Boi nei pressi di Vetulonia. Il passo sembra indicare nell’abitato

vetuloniese un centro fortificato e non una civitas, come ci si aspetterebbe,titolo evidentemente perduto da tempo. Pur con le necessarie cautele e nellasperanza che nuovi scavi gettino luce su questa incognita, si può forse sugge-rire, fra i futuri indirizzi di ricerca, la possibilità che la trasformazione diVetulonia in “oppidum” possa essere inquadrata nel processo di ristruttura-zione della costa tirrenica attuato da Populonia a partire dalla seconda metàdel V secolo. Proprio Vetulonia, prima ancora che Populonia, potrebbe esse-re stata l’oggetto delle scorrerie siracusane nel Tirreno settentrionale verso lametà del V secolo, secondo alcuni studiosi (MICHELUCCI 1981, pp. 510-511). Èinvece meno credibile che queste spedizioni abbiano causato la fine della

città, comunque ridotta, nel secolo precedente, alla pallida ombra di sé stes-sa. Potendo dar credito a questa congettura, l’oppidum verrebbe a trovarsisulla linea del nuovo confine che divideva i territori di Populonia e Roselle.Perduto, e per sempre, l’antico ruolo di capitale del maggiore distretto mine-rario dell’Etruria (le Colline Metallifere), l’antica metropoli, in gran parteabbandonata, poteva ormai svolgere un ruolo puramente secondario. D’altraparte la posizione dominante del sito sulla sponda settentrionale del lagoPrile e sulle colline Metallifere poteva ancora essere sfruttata con qualchesuccesso. Ci si può dunque chiedere se scavi futuri nell’abitato non potrebbe-ro portare alla scoperta di una fase “populoniese” di Vetulonia, ridotta al ran-

go di fortezza d’altura di grandi dimensioni e costretta a fare il paio con lafortezza di Scarlino, situata nel versante nord dello stesso massiccio collinare.Il toponimo “Castelvecchio”, che adorna la sommità occidentale dell’abitatovetuloniese è, in questo senso, abbastanza suggestivo. “Castiglione” (due casi)e “Monte Castello” (un caso certo e uno ipotetico) ricorrono infatti all’isolad’Elba in corrispondenza di fortezze d’altura.

L’eventualità opposta a questa, che il distretto vetuloniese sia cadutointegralmente in mano rosellana, è da abbandonare a favore di un’ipotesi dialternanza nel predominio sui ruoli produttivi e siderurgici fra Vetulonia ePopulonia (MICHELUCCI 1981). Gli stessi, recenti scavi condotti nella valle del

Bruna, e quindi in prossimità del lago Prile, non contraddicono questa lineainterpretativa (BIANCHI et al. 1999).

 La romanizzazione

Vista da nord, la romanizzazione dell’Etruria nel primo trentennio delIII secolo si configura come un vasto disegno complessivo da attuarsi per fasidiverse ma in tempi serrati. Nella prima fase vennero abbastanza facilmenterisolte le questioni aperte con le città etrusco-settentrionali, ormai probabil-

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mente sempre più disposte ad accettare l’egemonia romana sull’Italia centra-le e quindi ad accettare foedera che, sia pure limitativi delle rispettive libertà,rappresentavano comunque una via d’uscita atta a limitare i danni e a conser-

vare il potere interno. In questa ottica va vista, negli anni 294-283/2, la pro-gressiva assimilazione dei territori di Volterra, Populonia, Roselle e Vetulonia(TORELLI 1985, pp. 310-314).

La seconda fase consisté sostanzialmente nel ciclone che, in soli setteanni (280-273), spazzò via l’intero orizzonte etrusco-meridionale.

La prima fase inizia dunque con la presa di Roselle e si conclude conl’assimilazione di Vetulonia, particolare caso di romanizzazione progressiva.In questa prospettiva va inquadrata la presunta “ripresa” vetuloniese e, diconseguenza, le nuove emissioni monetali (CELUZZA 1993, pp. 95-103). Ilterritorio populoniese non venne colonizzato dai Romani ma più probabil-

mente incorporato nel corso del III secolo a.C. La città sopravvisse comepolo amministrativo della zona, tanto da essere prescelta come sede vescovi-le nel VI secolo. In una storia di relativa continuità amministrativa, anche senon politica, deve essere ambientato il passaggio di mano della chora Populo-niese, con questo intendendo sia la cospicua massa di risorse minerarie rap-presentata dall’Elba e dalle altre isole dell’arcipelago sia l’eredità manifattu-riera rappresentata da Populonia e dal suo hinterland, compresa CampigliaMarittima (ZIFFERERO c.s.).

Oggi il quadro della romanizzazione dell’Etruria settentrionale va fa-cendosi sempre più chiaro grazie soprattutto a studi recenti. Partendo da

nord, un dato significativo è rappresentato dal ruolo di Pisa. La città, attivasul mare dall’orientalizzante (BRUNI 1998, pp. 38 ss.; 233 ss.), nel III secolorisulta ben inserita in traffici che accomunano la rete mercantile tirrenica(Populonia, l’Elba, Aleria, Genova) a quella costituita dai maggiori poli com-merciali situati fra la Narbonese e la Tarraconese. I rapporti di Pisa con ilterritorio Populoniese sono inoltre confermati dall’intensa attività metallur-gica che pare interessare il settore nordorientale di Pisa nel pieno III secolo.La vitalità delle due città va vista nel quadro generale della romanizzazionecosì come l’apparente maggiore sviluppo della zona proiettata verso il Portus

 Pisanus. L’inserimento della costa settentrionale etrusca nell’orbita romana

va probabilmente fatto risalire assai indietro nel tempo, probabilmente aiprimi anni del III secolo. All’anno 298 risalgono alcuni decisivi momenti delconflitto con la principale avversaria del nord, Volterra, che dovette portare,se non alla conquista e alla confisca immediata di quegli immensi territori,almeno a una radicale ristrutturazione delle alleanze e degli schieramenti(Liv. 10.12; H ARRIS 1971, passim; TERRENATO 1998). Nell’ambito degli eventidella conquista dell’Etruria, il primo ventennio del III secolo appare sostan-zialmente dedicato alla parte settentrionale con particolare riferimento allafascia costiera e con l’eccezione di Falerii, attaccata e sottomessa nel 293a.C., che conservò comunque inizialmente, proprio come le città del nord

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dell’Etruria, lo status non meglio precisabile di civitas. Così, nel 294 avvienela presa di Roselle. Soltanto nel 280 riprende l’iniziativa verso le metropolidel sud, destinata ad occupare buona parte del decennio 280-270. Fra l’ac-

quisizione del nord, avvenuta tramite patti e alleanze presumibili, e quelladel sud, avvenuta secondo la successione della rude sequenza conquista-mas-sacro-confisca, esistono differenze che hanno poi forti riflessi anche nelladocumentazione archeologica.

Oggi che gli scavi pisani vanno ampiamente confermando i raccontidelle fonti, si può dire che il portus Pisanus svolse un ruolo di primo pianonei traffici e nelle operazioni navali che facevano capo a Roma, forse anchepiù del portus Cosanus, costruito allo scopo. Pisa fu dunque un pilastro cen-trale nella costruzione del power-at-sea romano di età repubblicana (COAREL-LI 1988, pp. 35-48; fonti in TORELLI 1978).

Il terzo passo di Polibio, fra l’altro, narrando della tentata spedizionenavale cartaginese che avrebbe dovuto utilizzare proprio il portus Pisanus perportare rinforzi ad Annibale nel 217, costituisce la prova del fatto che ancheper i nemici Pisa era un porto di nevralgica importanza. I dati emergenti dagliscavi nell’abitato e nel porto pisano mostrano come i rapporti, almeno mer-cantili, fra le due città dovessero rinsaldarsi nella seconda metà del IV secolo (iritrovamenti di vasi “ à petites estampilles” e di piatti di Genucilia sono fre-quenti a Pisa come a Populonia, all’Elba e in Corsica: BRUNI 1993, pp. 89 ss.;FEDELI-G ALIBERTI-ROMUALDI 1993, pp. 122-26). Le strette relazioni commercia-li, come avveniva forse anche a Caere, dovevano sottintendere anche rapporti

politici stretti e regolati da particolari norme giuridiche.Vanno inoltre considerati, in questa luce, particolari dati relativi al per-

corso e al tracciato della più antica via Aurelia (Fig. 4).La via Aurelia del III secolo, detta Vetus in una iscrizione del II d.C. per

distinguerla dalla posteriore  Nova (CIL XIV, 3610=ILS 1071), venne co-struita con ogni probabilità da C. Aurelius Cotta durante il suo consolato(252) o durante la censura (241: COARELLI 1988, p. 42). Se il versante storicodella questione può dirsi sufficientemente solido in virtù degli ultimi studi,quello archeologico risente ancora di incertezze relative alla cronologia deltracciato più antico (  Aurelia Vetus). Questa, stando a scavi condotti nellamassicciata all’altezza di Castrum Novum, fu, inizialmente, via glareata (conpiano in ciottoli), databile entro il III secolo a.C. (GIANFROTTA 1972, p. 22, p.110). I dati riguardano però prevalentemente la costa etrusco-meridionale asud di Cosa mentre poco o niente si sa sugli itinerari seguiti dalla via nel-l’Etruria centrale e settentrionale.

La funzione strategica della strada era legata al dispositivo di difesa/offesa composto dalle quattro coloniae maritimae fortificate, dalla base na-vale di Cosa e, proseguendo nell’Etruria settentrionale, dalle civitates alleatedi Populonia e di Pisa, appartenenti in età romana alla stessa tribù (la Gale-

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ria: TORELLI 1987, p. 102). Il poderoso vallo costiero, collegato da un’impor-tante arteria, proteggeva quindi l’Etruria da eventuali minacce esterne e con-sentiva, nel contempo, di organizzare rapide incursioni sul mare. Il percorso

litoraneo della strada, che conferma l’intento strategico del costruttore, riu-tilizzava le direttrici di vie costiere già esistenti in epoca etrusca.Se è vero che la costruzione della strada va messa in relazione anche con le

operazioni intraprese dai Romani nell’alto Tirreno e in Liguria alla metà del IIIsecolo (COARELLI 1988) e con le operazioni navali in Corsica (nel 259) e in Sarde-gna, evidentemente svolte in funzione anticartaginese (Polyb.I,10, 5), è possibileo probabile che l’ Aurelia Vetus, o almeno l’insieme dei tronconi dalla fusione deiquali questa era nata, raggiungesse Pisa già negli anni di guerra 252/241. Lapossibilità che il prolungamento Cosa-Pisa fosse fatto nel 200 a.C., anno delconsolato di un altro Aurelio Cotta e di altre guerre contro i Liguri (FENTRESS

1984, pp. 72-76; 1985, pp. 123-124), parrebbe meno convincente. Nel II secoloulteriori aggiunte alla viabilità costiera sono adombrate dal miliario di Vulci (ILLRP1288), riferibile allo Aurelius Cotta console nel 200 a.C. o all’omonimo consoledel 144. Questo potrebbe indicare migliorie apportate alla viabilità etrusco-me-ridionale (COARELLI, 1988, p. 43). Il cippo vulcente indicava evidentemente ladistanza da Roma (70 miglia) relativa ad un diverticolo fra la  Aurelia Vetus eVulci oppure il tracciato della [via] aliter a Roma Cosa[m]. Fra gli ultimi perso-naggi illustri a percorrere il vecchio tracciato della Aurelia Vetus fu Tiberio Graccoall’epoca del suo viaggio in Spagna, nel 135 a.C., anno del suo tribunato. Il passodi Plutarco (Tiberio Gracco, VIII), contenente le celebri riflessioni attribuite a

Tiberio sullo stato delle campagne etrusche, sembra indicare che comunementel’imbarco per la Gallia o per la Spagna avvenisse non a Ostia, ma in un porto anord di Roma (C ARANDINI 1985, pp. 145-146).

Il precoce interesse per gli equilibri (e per i ricchi bacini di approvvigio-namento) dell’Etruria settentrionale pare dunque indicare un progetto unita-rio che, partendo dalla guerra contro Volterra (anno 298), si snoda poi attra-verso la conquista di Roselle (294), il recupero di Vetulonia (anni 283/2-280?), le incursioni navali nel Tirreno (259) e la costruzione del vallo tirreni-co. Nel contempo Populonia e Pisa sono divenuti due preziosi porti alleati.

Una intensa ristrutturazione viaria interessò la costa etrusca alla fine del II

a.C. La via Aurelia Nova va probabilmente identificata nel raddoppio della stra-da da Roma a Cosa effettuato dal console del 119 (epoca delle operazioni inNarbonese) per consentire un più veloce collegamento con i porti a nord diRoma (WISEMAN 1970, pp. 122-152; FENTRESS 1985). Altri sono propensi a vede-re nella Aurelia Nova il prolungamento della Vetus da Pisa a Luni nel 200 a.C., inoccasione delle campagne iberiche e considerano la via Aemilia Scauri del 115-109 il vero e proprio raddoppio della direttrice costiera (COARELLI 1988, p. 47).È difficile, almeno al momento, individuare la definitiva soluzione del proble-ma. È comunque un fatto che la nuova Aurelia solo in parte riutilizzò il traccia-to della vecchia, preferendo seguire un percorso più interno (che lasciava fuori

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le antiche colonie) e risultò più breve, più rettilinea e più funzionale al popola-mento rurale (Strab. 5.217; FENTRESS 1985). Le stazioni sono ricordate dall’ Iti-nerarium Antonini ( 289.3-292.1; 300.6-301.5). I lavori per adeguare la viabi-

lità costiera alle nuove esigenze proseguirono negli anni successivi. La via AemiliaScauri del 115 fu, se non il raddoppio integrale della Aurelia Vetus, almeno ilprolungamento da Cosa fino a Pisa della Aurelia Nova. Nel 109, anno della suacensura, Scauro estese la strada da Pisa fino a Dertona, oltre l’Appennino.

 Alcuni luoghi del comprensorio

La tesi tradizionale, secondo la quale il tracciato più antico dell’Aureliasi sarebbe fermato a Cosa nel 242-1 a.C., comporta automaticamente l’esclu-sione di un collegamento con Roma dei territori romanizzati del nord finoagli anni della costruzione della vie  Aurelia Nova-Aemilia Scauri (119-109a.C.). L’area populoniese, della quale ci stiamo occupando, sarebbe stata ser-vita (e controllata) soltanto da un’antica strada etrusca riusata dai Romaniper più di un secolo.

 Accettando invece la tesi di Coarelli di un percorso Roma-Pisa fin dal IIIsecolo, è possibile spiegare meglio il ruolo di primissimo piano interpretato daPopulonia e da Pisa. Nella zona di Scarlino la direttrice della  Aurelia vetus vaidentificata, approssimativamente, con la attuale strada delle Collacchie, toponi-mo che rinvia ad una strada peri-lacustre (circum lacum), con ovvio riferimentoal lago Prile e al più settentrionale lago di Scarlino. Il tracciato della via Aurelia

 Nova (o Aemilia Scauri) degli anni 119-109 a.C. va invece identificato, approssi-mativamente, con la attuale Strada Statale 1 (Aurelia). Si vedrà come anche nelletrasformazioni delle tipologie insediative e dell’uso delle risorse locali possa leg-gersi abbastanza chiaramente il riflesso di queste ristrutturazioni viarie.

È ora il momento di riprendere contatto con gli Itinerari antichi.

Scabris

La Tabula Peutingeriana indica nell’area di Scarlino, lungo la via Aure-lia, la stazione di posta nominata “ Manliana”, confermata in questo dall’Iti-

nerarium Antonini, che registra una stazione di posta omonima. L’ Itinera-rium Maritimum segnala alla foce del fiume Alma l’omonima  positio e, seimiglia più a nord, uno Scabris portus. È interessante verificare come l’Itine-rario marittimo registri a nord di “  portus Augusti” una lunga serie di“ positiones” generalmente poco distanti fra loro (sotto le dieci miglia), conl’eccezione di “ Portus Herculis” e di “ portus Talamonis”. Il fatto che la loca-lità di Scabris sia elevata alla dignità di “ portus”, come poi anche  Falesia,

 Populonia, Vada e  Portus Pisanus, è chiaro segno del ruolo importante chequesto svolgeva lungo la costa tirrenica. L’Itinerario marittimo, per quantodi età imperiale, pare infatti riflettere una situazione più antica e consolidata,

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forse di età repubblicana, come farebbe pensare anche il fatto che CentumCellae, all’epoca di redazione dell’Itinerario ormai divenuta Portus (Traiani),sia ancora citata come semplice “ positio” ( Itinerarium Maritimum , 500-501;

CUNTZ 1929, p. 79). Esiste una parziale ma significativa coincidenza fra Iti-nerario marittimo e via Aurelia vetus, determinata proprio dal carattere lito-raneo del tracciato di quest’ultima (cfr. anche TORTORICI 1985).

Scabris dovrebbe essere identificata con lo specchio d’acqua sottostantel’area di Portiglione e contigua al Puntone vecchio. Le cronologie degli inse-diamenti romani indicano una fioritura della zona fra il III e il I secolo a.C.(CUCINI 1985, pp. 171-174, siti 13-20). Scavi recenti stanno rilevando unconsistente orizzonte di età repubblicana (comunicazione di B.M. Arangu-ren). Successivamente i nuclei principali si estesero alla zona in basso, pressol’attuale Puntone Vecchio, dove già esistevano le manifatture siderurgiche

tardo-etrusche e dove si sarebbe sviluppato l’abitato di Manliana. Manliana e Scabris sono evidentemente i nomi rispettivi della stazioneviaria e della stazione marittima, luoghi almeno in parte coincidenti. La focedel fiume Pecora, ancora oggi buon approdo, è stata coperta e alterata dallecostruzioni di Puntone Nuovo. Manliana doveva forse trovarsi leggermentepiù a nord, a brevissima distanza dalle strutture delle terme della “villa”.

 Ancora a nord di queste era un’ampia area manifatturiera.Le terme della “villa” di Puntone Vecchio, portate in luce negli anni ’30

di questo secolo, subirono danni rilevanti nel 1962 in occasione della costru-zione di un canale artificiale. Lo scasso distrusse strutture murarie alcune

delle quali sono oggi ancora visibili lungo le sponde del canale e all’internodel padule. Stando a notizie ormai incontrollabili, all’epoca andarono di-strutti anche i pavimenti a mosaico della “villa”. I resti superstiti sono rap-presentati da strutture in opera laterizia, conservate fino ad un’altezza di m2,70 circa e pertinenti a tre ambienti coassiali con pavimenti in bipedali e

 suspensurae, uno dei quali conserva una vasca foderata in cocciopesto (P ARI-BENI 1982, pp. 371-372; CUCINI 1985, pp. 175-179, siti 21-25; B AIOCCO et al.1990, pp. 101-107; CUCINI, TIZZONI 1992, pp. 19, 25, 51 ss.; scheda C15,pp. 134-135.). L’area del primo porto del territorio populoniese incontratoda chi proveniva da sud si presentava ampia e vivace.

Sulla base di queste considerazioni e della ricca documentazione editada C. Cucini, viene confermato come l’abitato antico di Puntone Vecchiodovesse essere, per consistenza ed estensione, uno degli abitati maggiori delterritorio populoniese di età tardo-etrusca e repubblicana. In seguito, al grandeinsediamento manifatturiero situato a sud della Casa Budelli si sovrapposel’abitato di età imperiale collegato al portus e alla stazione marittima.

In un momento successivo, fra la tarda età repubblicana e la prima etàimperiale, la costruzione delle vie Aurelia Nova ed Aemilia Scauri favorì l’usodi un nuovo e più rettilineo percorso interno. In questo contesto va collocatala nascita di tre nuovi abitati:

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 Aquae Populoniae

La località è tradizionalmente identificata con la contemporanea “Caldana”,stazione termale antica e moderna (FEDELI 1983, pp. 159-160; schede 320 e 321,

pp. 412-413). È al momento difficile localizzare questo importante insediamen-to. La distanza di VII miglia rispetto a Manliana riportata dalla Tabula portereb-be a indicare, con tutte le cautele del caso, il sito di Bagni di Gavorrano, un’area,quindi, completamente diversa, ammesso che l’indicazione delle miglia sia statatradita con fedeltà. La distanza non è però il motivo principale per sostenereun’esclusione dell’identità  Aquae Populoniae-Caldana. Il fatto è che la Tabulaindica chiaramente che A.P. sorgeva sulla strada interna di collegamento fra SaenaIulia e l’Aurelia (CUCINI 1985, p. 300) e non lungo il tracciato di quest’ultima.Lospostamento di  A.P. tanto a sud (Gavorrano) comporta un nuovo problema,quello della localizzazione delle « aquae ad Vetulonios» delle quali è traccia solo

in Plinio (n. h. II, 227) ma non negli Itinerari, e che quindi dobbiamo pensaredistante dalla viabilità principale. Le caratteristiche “termali” dell’insediamentodi Bagni di Gavorrano sono tracciate, oltre che da eloquenti toponimi della zona(Bagno e Forni), anche dai “resti di bagni romani” ancora visibili agli inizi delsecolo. Altra possibilità è quella di collocare Aquae Populoniae «lungo la valle delCornia, in un’area di confine fra il territorio di Populonia e quello volterrano»(FEDELI, G ALIBERTI, ROMUALDI 1993, p. 130). In questo caso però l’insediamentoverrebbe a cadere molto più lontano delle sette miglia indicate dalla Tabula e,soprattutto, lungo la via Aurelia e non lungo il diverticolo per Saena Iulia.

VignaleNon si conosce il toponimo antico. Sulla base dell’imponente docu-

mentazione archeologica occorre probabilmente rivedere l’interpretazionedel sito, assai più simile ad una stazione di posta o ad una mutatio che a unavilla (FEDELI 1983, p. 421, sito 338.; CUCINI 1985, pp. 262-265, sito 235).Il sito, stando alla natura dello spargimento di reperti in superficie, apparefrequentato dal V secolo a.C. e con regolarità fra il I secolo a.C. (all’indo-mani della costruzione della Aemilia Scauri) e il VII secolo d.C. Una possi-bilità è nell’identificazione Bagno di Gavorrano- aquae ad Vetulonios e Vi-gnale- aquae Populoniae. A favore di questa duplice identificazione è la mag-giore prossimità delle  A.P. a Populonia e il fatto di non avere più un topo-nimo antico da collocare. Per contro vi è: la mancanza di un definito carat-tere termale a Vignale; l’assenza di legami topografici fra il sito attuale diVignale e la viabilità diretta verso l’interno, come indicato dalla Tabula; ilfatto che Plinio parli di “ aqua” nel senso molto generico di fonti di varianatura: le acque «…ad Vetulonios in Etruria non procul a mari…» nellequali si troverebbero i pesci sembrano indicare piuttosto il lago Prile oqualcuno dei fiumi della zona. Solo altre ricerche potranno sciogliere que-sti nodi. E se in Vignale dovesse essere identificata la  Populonium dell’ Iti-nerarium Antonini?

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 Falesia

Il sito è noto, oltre che dall’Itinerario Marittimo, dal reditus di RutilioNamaziano (I, 371-414), che lo ritrae in forma di somma di “hilares pagi”, in

festa per la nuova seminagione (sono i giorni fra la fine di ottobre e i primi dinovembre del 417). Sbarcato, Rutilio incontra una villa, un boschetto e so-prattutto “ stagna deliciosa” con vivaria per i pesci. Il quadro è idilliaco, an-che facendo salve le esigenze dell’espressione poetica, tanto dal punto divista paesaggistico quanto da quello sociale (requies stationis amoenae), ma-lamente interrotto dal conductor giudeo (cfr. FO 1992). La tradizione colloca

 Falesia a nord-est di Piombino, nella località di Porto Vecchio, località giàchiamata Falese, o Porto de’ Faliesi o Porto dei Faliegi (FEDELI 1983, p.). Ora,anche se, in realtà, non vi è motivo per ribaltare la tesi tradizionale, la loca-lizzazione può essere ulteriormente discussa.

Se si parte dalla semplice etimologia del nome “ Falesia”, si osserva chedi strutture geomorfologiche scoscese (a falesia) il promontorio di Piombinoè assai ricco, tanto nel versante marino quanto in quello interno. Questastrada porta poco lontano.

L’approccio toponomastico ci costringe, per forza di cose, al monasteromedievale di “S. Giustiniano a Phalesia” (XI secolo), localizzato da Ceccarel-li Lemut (1972 e 1996) in località Cotone (altro toponimo portuale interes-sante) e da L. Dallai a Montegemoli (in questo volume), altura fra Piombinoe Baratti nella quale è facile identificare un promontorio che, dal più vastopromontorio piombinese, si protraeva nella grande laguna costiera, a suo

tempo, e con ragione, considerata un tratto fortemente caratterizzante il pa-esaggio populoniese antico (C ARDARELLI 1963; B ARDI, in questo volume). Oggiil problema delle localizzazioni di S. Giustiniano e di Falesia appare ancoraattuale anche se, forse, non lontano dalla soluzione. Il solo e modesto contri-buto che mi sembra utile poter portare a questo dibattito consiste in unarivalutazione delle distanze in miglia riportate dagli Itinerarii. L’ Itinerarium

 Maritimum indica una distanza di 18 miglia fra Scabris portus e Falesia portus,una distanza troppo lunga per i dintorni di Piombino (anche per Cotone) ma,tutto sommato, adatta se al percorso per mare aggiungiamo quello lagunare,non diversamente da quanto doveva accadere quando da  Portus Herculis o

da Incitaria si doveva raggiungere lo scalo interno di Orbetello.Dalla rassegna delle diverse fonti emergono quattro località centrali(Scabris-Manliana, Aquae Populoniae, Vignale, Falesia) caratterizzate da for-ti identità (portuale, manifatturiera, viaria, termale, agricola). Questi aspetticoncorrono ad indicare con forza la complessità della geografia storica po-puloniese fra la tarda età etrusca e la prima età imperiale.

FRANCO C AMBI*

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vazioni sui rapporti fra Etruria e Sardegna, in corso di stampa.* Università degli Studi di Siena –   Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti.

Molte delle idee esposte in questo contributo sono legate a colloqui avuti con diverse perso-ne. Ricordo qui la dott.ssa B.M. Aranguren (Soprintendenza Archeologica della Toscana),Luisa Dallai (Dottorato di ricerca in Archeologia Medievale), alla quale devo numerose infor-mazioni e delucidazioni di carattere archeometallurgico, Roberto Farinelli, con cui ho sem-pre avuto un proficuo scambio di impressioni sui confini medievali della diocesi di Populo-nia-Massa. Ringrazio inoltre: G. Bartoloni, A. Ciacci, M. Cygielman, R. Francovich, G. Mac-chi, A. Zifferero.