150 anni unità d'italia

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34 IL RESTO DEL CARLINO - LA NAZIONE - IL GIORNO GIOVEDÌ 25 NOVEMBRE 2010 conseil.it 150 anni d’Italia, insieme al tuo Quotidiano Ogni mercoledì due pagine dedicate al Risorgimento Andare insieme verso la libertà, il progresso e la crescita civile: questo volevano gli italiani, uomini e donne, che fecero l’Italia unita. Un’Unità conquistata il 17 marzo 1861 con aspre ed epiche battaglie sostenute da questi forti ideali. La politica, l’economia, la letteratura, l’arte, la musica accompagnarono il Paese verso un sentire comune, verso la modernità e l’Europa. Da mercoledì 1° dicembre il vostro giornale ospiterà per quattro mesi, fino al 17 marzo 2011, articoli di storici, docenti universitari, intellettuali, giornalisti che racconteranno gli eventi e i personaggi di quella fondamentale stagione. Una riflessione sull’Italia di allora per meglio capire quella di oggi. Legat R. (sec. XIX): Battaglia di Calatafimi. Milano, Museo del Risorgimento. © 2010. Foto Scala, Firenze

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Fascicolo celebrativo del 150° anniversario dell'Unità d'Italia pubblicato da QN Quotidiano Nazionale, il Giorno, il Resto del Carlino e La Nazione

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34 IL RESTO DEL CARLINO - LA NAZIONE - IL GIORNO GIOVEDÌ 25 NOVEMBRE 2010

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150 anni d’Italia,insieme al tuo Quotidiano

Ogni mercoledì due pagine dedicate al Risorgimento

Andare insieme verso la libertà, il progresso e la crescita civile:questo volevano gli italiani, uomini e donne, che fecero l’Italia unita.Un’Unità conquistata il 17 marzo 1861 con aspre ed epiche battaglie

sostenute da questi forti ideali. La politica, l’economia, la letteratura, l’arte, la musicaaccompagnarono il Paese verso un sentire comune, verso la modernità e l’Europa.

Da mercoledì 1° dicembre il vostro giornale ospiterà per quattro mesi, fino al 17 marzo 2011, articoli di storici, docenti universitari, intellettuali,

giornalisti che racconteranno gli eventi e i personaggi di quella fondamentale stagione.

Una riflessione sull’Italia di allora per meglio capire quella di oggi.

sostenute da questi forti ideali. La politica, l’economia, la letteratura, l’arte, la musicaaccompagnarono il Paese verso un sentire comune, verso la modernità e l’Europa.

giornalisti che racconteranno gli eventi e i personaggi di quella fondamentale stagione.

Una riflessione sull’Italia di allora per meglio capire quella di oggi.

sostenute da questi forti ideali. La politica, l’economia, la letteratura, l’arte, la musicaaccompagnarono il Paese verso un sentire comune, verso la modernità e l’Europa.

giornalisti che racconteranno gli eventi e i personaggi di quella fondamentale stagione.

Una riflessione sull’Italia di allora per meglio capire quella di oggi.

Legat R. (sec. XIX): Battaglia di Calatafimi. Milano, Museo del Risorgimento. © 2010. Foto Scala, Firenze

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30 Il caffè della domenica IL RESTO DEL CARLINO - LA NAZIONE - IL GIORNO DOMENICA 28 NOVEMBRE 2010

Alessandro Farruggia

«DICIAMOLO chiaramente:l’Italia è un posto migliore diquello che era due secoli fa, an-che grazie all’unificazione. An-che se mi rendo conto che inmolti non saranno d’accor-do...».Dalla sua bella casa di Oxford,indulgendo in una ironia moltobritish, lo storico Dennis MackSmith — uno dei massimiesperti di Risorgimento, prota-gonista di epiche battaglie conicone della nostra storiografiacome Rosario Romeo e RenzoDe Felice — si gode i suoi no-vant’anni, che «mi fanno senti-re più ottimista».

Al punto da riconoscere i

meriti delRisorgimento ita-liano? Al punto da dire, leicosì critico con i Savoia econ igermichehanno infet-tato ilparlamentarismo ita-liano dell’ottocento e chepoi hanno portato al fasci-smo, che tutto sommato fuun successo?

«Alcuni lo negano che il risorgi-mento abbia avuto meriti. Mavogliamo provare che cosa sa-rebbe stato se l’unificazionenon ci fosse stata? Ipotizzare ifuturi possibili non mi appassio-

na, ma il vostro Paese, laddovenon era parte di altri imperi, ametà ottocento era un mosaicodi regni, graducati, ducati, indi-vidualmente di poco o nessunpeso e anche globalmente di se-conda fascia fino a quando, gra-zie a Cavour, si è trasformatouna potenza europea. L’Italiane ha tratto vantaggi e così tuttal’Europa. E quindi Cavour, purcon i suoi errori e il rapportoconflittuale con Garibaldi, do-vrebbe essere caldamente rin-graziato per la sua capacità di vi-sione e il suo coraggio...».

Crede che anche la Legadovrebbericonoscere ime-riti del Risorgimento?

«Se qualcuno pensa che il Nordnon ha tratto vantaggi dall’an-

Quando l’Italia s’è destaIl Risorgimento degli idealiDa mercoledì il nostro viaggio attraverso la stagione dell’Unità

«Attenti, il pericolo ora è il

Denis Mack Smith«Senza il Sud il Nord nonsarebbe decollato. Tantipassi in avanti, però...»

IL “FARSI” dell’Italia nel corso dell’’800fu paradossalmente, ad un tempo,avventura brevissima e per tanti versiimprovviso e lento sedimentarsi dimolteplici raccordi soprattutto culturali,che unirono nei secoli le popolazioni traAlpi e Sicilia.Eppure la presenza, per un verso, del ruolouniversale della Chiesa e il perdurare delledivisioni ereditate dalle frammentazioniterritoriali del medioevo, sembravanorendere impossibile il realizzarsi di

qualsiasi utopia di unità politica. Ma poiarrivò l’’800, che raccoglieva l’espandersidei valori della Rivoluzione francese, conla loro uguaglianza degli individui e lanuova sovranità democratica, tenuteinsieme da un forte sentimento diappartenenza nazionale. Questo significòallora il 17 marzo 1861, questo significòl’Unità d’Italia.L’idea di nazione, dunque, a far da lievitoad un diffuso sentimento di popoli chevolevano riappropriarsi del propriodestino, protesi verso spazi di libertà ostiliai vecchi assolutismi dei principi e alleantiche immobili gerarchie sociali.Secolo cruciale, dunque, l’Ottocento, veroe proprio balzo in avanti verso una“modernità” che si allargava, nel bene enel male, a tutti gli aspetti della realtà eche riassumeva tutte le diverse aspirazioni

al collegamento del nostro paese con lapiù avanzata civiltà europea.Ecco perché il nostro giornale haritenuto importante riflettere –attraverso gli interventi dei nostricollaboratori e giornalisti, di storici,docenti universitari, intellettuali – sualcuni di tali fenomeni e supersonaggi che connotarono il secoloe che trovarono particolarerispondenza nelle diverse regioni

della penisola. Consentendo in tal modo alricordo celebrativo del nostro processounitario di immergersi nel concreto dellamolteplicità delle variabili che siintrecciarono allora e che spiegano ancoraoggi – di là dai miti e dai richiamimonumentali – gli eventi di quellastagione.Dal 1˚ dicembre e fino a marzo 2011 - datain cui ricorre il 150˚ anniversariodell’Unità d’Italia -, dedicheremo ognimercoledì due pagine all’argomento. Sitratta di diciassette appuntamenti, con ilcoordinamento redazionale di AchilleScalabrin e quello scientifico del professorAngelo Varni, che vogliono essere uninvito a riflettere sull’Italia di allora permeglio capire quella di oggi.La politica, l’economia, la letteratura,l’arte, la musica accompagnarono questocammino storico. Che il vostro giornaleracconterà avvalendosi di firmeimportanti - da Petacco a Cardini, da DellaPeruta a Franzina, da Brilli a Bressan, daEmiliani a Ugolini, da Ceccuti aCasamassima, da Ciuffoletti a tanti altri -.Si tratta di un viaggio nella storia di unPaese che appena un secolo e mezzo faconquistò la sua indipendenza. E che oggivuole ricordare, per continuare su quellastrada.

Sopra, un particolare de «La battaglia diNovara del 1848», olio su tela.«La battaglia di Solferino del 24 giugno 1859»di Paul Alexandre Protais

CULTURA E SOCIETÀ

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31Il caffè della domenicaIL RESTO DEL CARLINO - LA NAZIONE - IL GIORNO DOMENICA 28 NOVEMBRE 2010

nessione del Regno delle due Sici-lie sbaglia. E sbaglia anche se pen-sa che il Nord si sarebbe potuto svi-luppare in questo modo prodigio-so fino ad essere in grado di compe-tere alla pari con le parti più avan-zate d’Europa senza il contributoeconomico, tecnologico e umano

del Sud, che è stato rilevante. Sem-mai c’è da chiedersi perchè sia an-dato principalmente a vantaggiodel Nord. Qui la responsabilità del-la classe dirigente del Sud mi pareemergere con chiarezza».

Ma si può dire che infine “sisono fatti gli italiani“?

«Ma certo. Lei pensa il contrariosolo perchè sente parlare di Pada-nia? La presenza di pulsioni auto-nomiste è comprensibile ed è unacostante in tutta Europa, ma que-sto non significa che nel vostro Pa-ese non ci sia un carattere naziona-le e una cultura nazionale, ancor-chè incompiuti. Non stato un pro-cesso perfetto? E’ la storia, chenon è perfetta e va accettata perquella che è. E semmai bisognatrarne delle elezioni per il futu-ro..».

E noi l’abbiamo fatto?«Disordinatamente, parzialmente.Ma se posso avanzare un modestosuggerimento da un novantenneinnamorato dell’Italia, cercate dinon essere prigionieri di rivendica-zioni localistiche nè di vittimismie abbiate la saggezza di percepirel’immagine globale. Se guardate al-la situazione disastrosa nella qualeversava l’Italia ancora alla fine del-la seconda guerra mondiale nonpotrete che riconoscere che sì, ipassi in avanti sono stati notevolipur se tra mille problemi come ilpersistente divario tra Nord e Sud,la ricorrente tendenza al populi-smo, le infiltrazioni della crimina-lità organizzata. L’Italia non è an-cora una nazione in pace con sestessa, ma vi siete rialzati».

Chi è

«Attenti, il pericolo ora è il localismo»

CLASSE 1920, londinese,Denis Mack Smith è unodei maggiori storici europei.Si è occupato, con taglio dialta divulgazione, di storiaitaliana tra Otto eNovecento. Moltissime lesue opere: dalle biografie diGaribaldi e Mazzini,all’analisi del fascismo, allastoria di Casa Savoia.

CULTURA E SOCIETA’

«L’incontro tra VittorioEmanuele II e Garibaldi a Teano il26 ottobre 1860», di SebastianoDe Albertis. Sotto, «VittorioEmanuele e Cavour durante ilplebiscito della Toscana»

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36 CULTURA &SOCIETA’ IL RESTO DEL CARLINO - LA NAZIONE - IL GIORNO MERCOLEDÌ 1 DICEMBRE 2010

di ANGELOVARNI

FU LA RIVOLUZIONE francese a dif-fondere in Europa l’aspirazione deipopoli a costituirsi in libere comuni-tà nazionali. Nel momento, cioè, incui i sudditi delle precedenti monar-chie assolute si trasformavano in cit-tadini uguali di fronte alla legge e re-clamavano il diritto-dovere di parte-cipare, attraverso i propri rappresen-tanti eletti, alle decisioni di gover-no, ecco che dovevano riconoscersiin collettività omogenee, tenute in-sieme da vincoli che ne giustificasse-ro un identico destino.Nacque allora il concetto di patria,con tutta la sua tensione etico-politi-ca, la sua capacità di porsi in cimaalla scala dei valori cui finiva per es-sere lecito sacrificare anche la pro-pria vita. Con una sfumatura purereligiosa, in grado di sostituirsi conugual forza alla concezione, fino adallora accettata, di un potere eserci-tato per diritto divino. Da qui l’uso

della parola martire al di fuori deltradizionale contesto cristiano, perqualificare chi si sacrificava, appun-to, per la patria, avvolta, così, in sor-ta di aura di sacralità.Le conquiste napoleoniche di tantaparte della nostra penisola, tra fine‘700 e primo decennio dell’’800, im-mersero da subito l’Italia in questa

atmosfera culturale ed in questa pro-spettiva politica. Il progetto di co-struire uno Stato nazionale unitarioe indipendente dallo straniero uscìdalle aspirazioni intellettuali dei no-stri maggiori letterati (da Dante , aPetrarca, a Machiavelli) e divenneprogramma concreto di una batta-glia, dove l’anelito ad un comune ri-

Una sola Patria per tante diversitàCon la Rivoluzione francese nacque l’idea di nazione, poi il Risorgimento la consegnò agli Italiani

SU PALERMO splendeva il sole quel lunedì 4 marzo 1861, quandosalpò l’«Ercole», una nave a vapore sulla quale si trovava ancheIppolito Nievo, trentenne letterato padovano al seguito di Garibaldi, di

cui era stato il cronista più attento. La nave s’inabissò al largo di Napoli, suadestinazione finale. Il 17 marzo nasceva il Regno d’Italia, e sull’affondamentodell’“Ercole” calò il sipario. Le cause del disastro furono addebitate allo

scoppio di una caldaia.Cento anni dopo, Giulio Di Vita, uno studioso del Risorgimento, riaprì il

caso, sostenendo che gli inglesi avevano versato a Garibaldi tre milioni

DA SUDDITI A CITTADINIPER DECIDERE IL PROPRIO

FUTURO. UNO STATOUNITARIO A COSTO ANCHE

DELLA PROPRIA VITA

Carlo Albertoentra a Pavia(stampadell’epoca);«Maninproclama laRepubblica diVenezia,1848» - MuseoRisorgimento diVenezia

«Bersaglieri che conducono prigionieri austriaci», di Silvestro LegaGalleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze

Quando il mare inghiottì l’«Ercole» e i segreti dei Mille

LO SQUILLO di Pino Casamassima

Camillo Benso, conte di Cavour( ritratto dell’epoca)

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37CULTURA &SOCIETA’IL RESTO DEL CARLINO - LA NAZIONE - IL GIORNO MERCOLEDÌ 1 DICEMBRE 2010

sorgimento delle popolazioni, divi-se in una molteplicità di Stati rettida principi assoluti, si nutriva deivalori di libertà e democrazia, ere-ditati dall’’89, e trasfusi in un’Eu-ropa avviata a grandi passi versonuovi livelli di progresso materia-le e civile.In questo senso l’idea di nazioneche animò il nostro cammino ver-so l’unità rimase estranea ad ogni

considerazione di uniformità dirazza, di sangue, di territorio, persi-no di lingua: di appartenenze, indefinitiva, sanzionate a priori dal-la natura, ritenute, invece, solo in-dizi dell’esistenza di una famiglianazionale. Questa occorreva vives-se, al contrario, nella coscienza diognuno, nella volontà di esserneparte, nella disponibilità ad assu-merne il carico di doveri necessarial compito supremo di contribuireal progresso collettivo dell’umani-tà in armonia con le altre nazioni,ugualmente assurte a indipenden-za e ad autonomo autogoverno.

ERA QUESTA, in particolare, la vo-ce di Mazzini a parlare agli Italianiincitandoli alla lotta e portando intal modo nel nostro paese le sugge-stioni del miglior romanticismoeuropeo, quello che coniugava sen-timento e libertà, grandi ideali e di-sponibilità al sacrificio per rag-giungerli, richiamo alle radici delpassato e aspirazione appassionataalla costruzione di un futuro riccodei valori dello spirito.

Ma non si trattava solo del messag-gio fatto giungere nel paesedall’esule genovese: l’intero grup-po dirigente che seppe realizzare,sotto la guida lucidissima di Ca-vour e in collaborazione con il vit-torioso azionismo garibaldino, il“miracolo” dell’unità, in nessunmomento si lasciò attrarre da unaconcezione della nazione che nonfosse sostanza di libertà per la so-cietà italiana. Senza mai indulgeread un’interpretazione egoistica del-la cittadinanza nazionale, dove il

pacifico combinarsi con gli altriStati nazionali europei escludesseprevaricazioni, superiorità razzia-li, illusioni di conquista.Quando, dunque, negli ultimi de-cenni del secolo, sotto l’impressio-ne della raggiunta unità dello Sta-to tedesco dovuta alla forza delle ar-mi prussiane, la speranza di nazio-ne si tramutò in nazionalismo so-praffattore, il richiamo all’ideale ri-sorgimentale si spense e si spezzòil legame inscindibile con il sognodi democrazia dei popoli. E furonoallora le guerre del ‘900, i soprusietnici, le conflittualità di un oggi,incapace di comprendere il mes-saggio più profondo di quell’eredi-tà lasciataci dall’ elaborazione civi-le e morale dell’’800. La presenteoccasione commemorativa deveaiutarci, di là da ogni retorica, a ri-prendere il filo di quel pensieroche ci vide non ultimi protagonistidella cultura e della politica euro-pee.

di ZEFFIROCIUFFOLETTI

Una sola Patria per tante diversitàCon la Rivoluzione francese nacque l’idea di nazione, poi il Risorgimento la consegnò agli Italiani

di franchi francesi («diversi milioni di euro attuali») per agevolare con lacorruzione la “conquista” del Sud in funzione antiborbonica. Si spiegavacosì la resa di Palermo – assolutamente inconcepibile sul piano militare –ottenuta non a colpi di moschetto, ma di piastre d’oro: quelle versate aFerdinando Lanza, il generale napoletano che fece ‘arrendere’ centomilauomini a poco più di mille. Ma si spiegava così anche il naufragio di unanave che trasportava i registri finanziari della spedizione garibaldina. Ilgiovane Nievo avrebbe potuto salvarsi se solo avesse dato retta aHennequin, console inglese a Palermo, che cercò di dissuadere quelgiovane e ingenuo «poet» dall’imbarcarsi sull’«Ercole».

LE CLASSI dirigenti che se-gnarono la nascita dello sta-to unitario provenivano ingenerale dal patriziato urba-no storicamente dominantenelle città dell’Italia centro-settentrionale. Durante ilquindicennio successivoall’Unità – ovvero nel perio-do di quella Destra storicache pose le basi dello Stato li-berale – il 43% dei ministriapparteneva infatti alla no-biltà, o borghesia terriera eproveniva dall’area centro-settentrionale della Peniso-la. Per quanto spesso dissi-mili per cultura e per forma-zione, gli uomini politiciche costruirono lo Stato uni-tario avevano da secoli fattodelle città l’epicentro del ri-spettivo potere politico e so-ciale, sebbene la fonte princi-pale della loro ricchezza deri-vasse prevalentemente dallaproprietà fondiaria e dallarendita che da questa ricava-vano. Tuttavia, più che verie propri percettori di rendi-ta, essi erano spesso veri epropri imprenditori agrico-li.

LA NOBILTÀ ITALIANA –per ragioni storiche, geogra-fiche ed economiche, ma an-che per via della frammenta-zione politica della Penisola– rappresentava un casoestremo di diversificazionenel quadro della aristocraziaeuropea. Del resto, il proces-so che condusse all’unifica-zione fu visto come un feno-meno eversivo da buona par-te della nobiltà romana e an-che da quella meridionale,con conseguenze non indif-ferenti sullo stesso processodi costruzione della nazione.Nonostante le diversità, pro-prio da questa nobiltà citta-dina, spesso colta e aperta al-le nuove correnti ideali e cul-turali europee, provenivanoin gran parte i ristretti nu-clei di patrizi subalpini, ligu-ri, lombardi, veneti e toscaniche alimentarono il liberali-smo – laico e cattolico –dell’era risorgimentale. Sipensi a Federico Confalonie-ri, una delle figure di primopiano del patriziato milane-se e al gruppo del Conciliato-re, oppure al gruppo toscanodi Capponi, Ricasoli e Ridol-fi, unito intorno all’«Antolo-gia» e all’«Accademia dei Ge-

orgofili». Un patriziato citta-dino che proprio perché ero-so nei suoi privilegi di cetodall’avanzare dello stato am-ministrativo e dell’accentra-mento burocratico, era parti-colarmente sensibile alleistanze ideali liberali e pa-triottiche che si manifestaro-no con forza nell’età del Ro-manticismo e della Restaura-zione. Questo patriziato cit-tadino, spesso liberale e libe-rista come nel caso dei lom-bardi e dei toscani, nutrì laferma convinzione che laquestione italiana e la que-stione costituzionale doves-sero andare di pari passo e,magari, trovare soluzionenell’istituzione di un’unio-ne confederale. Pur dotati disensibilità religiosa, i libera-li italiani miravano alla sepa-razione fra Stato e Chiesa oalla riforma di quest’ultima.Infine, essi avevano una co-stante attenzione alle temati-che relative al progresso tec-nico-economico e allo svilup-po dei canali navigabili e del-le ferrovie, ma mostravanoanche una certa sensibilitàsociale, troppo spesso consi-derata, in maniera sbrigati-va, di tipo paternalistico. Inverità, i più illuminati favori-rono l’istruzione del popoloe – quando fu possibile – svi-lupparono il mutuo soccor-so e l’associazionismo, non-ché le Casse di Risparmioper i ceti popolari.

Furono queste – in una real-tà prevalentemente agricolacome era la penisola nellaprima metà dell’’800 – le éli-tes destinate a svolgere unruolo attivo nel corso del Ri-sorgimento e, successiva-mente, nella costruzione del-lo Stato nazionale.

PER TUTTI LORO non pote-vano esserci Risorgimento eStato nazionale senza un pa-rallelo sviluppo dell’econo-mia e della società civile. Ca-vour, Ricasoli e Minghettifurono fra i maggiori arteficidella indipendenza naziona-le e della costruzione delloStato unitario. Furono, perforza di cose e per destino,ma anche per passione, cul-tura, senso di responsabilitàe coraggio, uomini di Statoche venivano, appunto, dal-la Terra e dall’esperienza im-prenditoriale.

IDENTIKIT DELLA PRIMA CLASSE DIRIGENTE

Quell’élite di patrizicon animo liberale

L’INDIPENDENZA DALLO STRANIERO:UN’IDEA DI DANTE E MACHIAVELLICHE MAZZINI, GARIBALDI E CAVOURTRASFORMARONO IN REALTA’

Sentimento e libertàUn’unica famiglia nazionalenonostante la non uniformitàdi razza, di sangue e di lingua

Quando il mare inghiottì l’«Ercole» e i segreti dei Mille

Sensibili all’EuropaProprietari terrierie borghesi di originicentrosettentrionali

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38 CULTURA &SOCIETA’ IL RESTO DEL CARLINO - LA NAZIONE - IL GIORNO MERCOLEDÌ 8 DICEMBRE 2010

di ROBERTOBALZANI *

GARIBALDI, UNICOPADRE DELLA

PATRIA A VISITARETUTTO IL PAESE.PER UNIFICARLO

SONO POCHI, nel Risorgimen-to, i personaggi che hanno attra-versato davvero la penisola, dal-le Alpi alla Sicilia. Cavour nonfrequentava volentieri gli am-bienti a sud del Po, ai quali pre-feriva di gran lunga le villes lu-mières, Parigi e Londra. Mazzi-ni, poi, fu addirittura il leaderassente, l’uomo il cui profilo,per moltissimi patrioti, preseforma più nell’immaginazioneche nella realtà: se si escludonoil 1848-49 e il 1860, la sua pre-senza pubblica fu infatti presso-ché nulla, anche a causa della vi-ta da cospiratore braccato che loaccompagnò per quarant’anni.Andò meglio a Massimo d’Aze-glio, in alcuni momenti dellastagione riformatrice anteceden-te il ’48; e, forse, in circuiti piùregionali, a Farini e a Ricasoli.Ma si tratta di personaggi consi-derati dal grande pubblico alla

stregua di comprimari. L’uni-co, fra i “padri della patria”, adaver davvero visto il paese, tan-to sotto il profilo sociale, quan-to sotto quello paesaggistico, fuGiuseppe Garibaldi. Le sue pe-regrinazioni nel teatro bellicodel nord Italia, nel 1848-49 e nel1859; le campagne di Roma; laspedizione siciliana del 1860 equella finita in Aspromonte nel1862; la breve guerra in Trenti-no nel 1866; e, dopo il 1870, lesue presenze in luoghi e cittàdella “nuova Italia”, scortatodal suo “stato maggiore” ed ac-clamato da reduci, società opera-ie e deputati progressisti, rendo-no evidente la mobilitàdell’Eroe dei Due Mondi e lasua straordinaria capacità di ve-nire in contatto con i mille voltidel paese.

UN ININTERROTTO itinerariodi lapidi e monumenti, d’altron-de, conferma il rilievo attribui-to, già all’indomani dell’Unità,al contatto fra il Generale e lepiccole patrie: al punto da gene-rare, in alcuni casi, veri e proprirituali da “santo protettore” lai-

co, come a Cesenatico apartire dagli anni Ottan-ta dell’Ottocento. Manon è della “memoria dimarmo” che ci si vuolequi occupare. Il tema,piuttosto, è quello dei ri-flessi indotti dal passag-gio garibaldino sull’iden-tità dei territori, anche adistanza di tempo. Il casoforse più clamoroso è rap-presentato dalla cosiddet-ta “trafila” che consentì aGaribaldi di sfuggire aquattro eserciti nell’esta-

te del 1849, inseguito con isuoi uomini dopo la cadutadella Repubblica romana.La storia è nota. Uscito daRoma il 2 luglio con circa4.000 effettivi, il Generaleraggiungeva rocambolesca-mente San Marino il 31 lu-glio, con la moglie Anita in-cinta e malata. A quel pun-to, contando di poter guada-gnare la via per Venezia,egli affidava il destino suo edi circa 250 fedelissimi aduna rete di patrioti locali, difatto ignoti, i quali lo aiuta-rono a scendere in Roma-gna, ad evitare gl’imperiali,ad imbarcarsi a Cesenaticoe - dopo esser stato intercet-tato all’altezza delle Valli diComacchio -, a riprenderela fuga con l’inseparabileLeggero attraverso Ravenna,Forlì, Modigliana e, di lì, perCerbaia, Prato, Empoli fino aMassa Marittima e Cala Marti-na, nel Grossetano, da doves’imbarcò, ormai libero, il 2 set-tembre 1849. Nel frattempo,Anita era morta, Ugo Bassi e Ci-ceruacchio erano stati fucilati,la tragedia dei democratici in fu-ga si era compiuta: ma l’Eroeera stato salvato. Il capanno incui aveva trovato ricovero, allaperiferia di Ravenna, sarebbestato equiparato dai repubblica-ni locali, vent’anni dopo, alla ca-panna di Betlemme: un postodove si era fatta l’Unità d’Italia.Il capanno esiste ancora,dov’era e com’era: una società,da 130 anni, ne custodisce la me-moria e ne cura la manutenzio-ne.Ma Garibaldi era sceso pure at-traverso le Marche, da Pesaro al-

la valle del Tronto, durante latrionfale marcia d’avvicinamen-to a Roma, nel gennaio 1849.Egli andava nella Città eternaper la Costituente, e, al suo pas-sare, mobilitava i giovani e i re-duci della recente campagna nelVeneto, delusi e amareggiati dal-la conclusione ingloriosa del“loro” ’48. Diverso lo statod’animo con cui sarebbe giun-to, ferito, a Pisa, nel novembre1862, dopo i fatti di Aspromon-te. Il Garibaldi pisano, il cui ri-cordo è testimoniato sul Lun-garno dal monumento di EttoreFerrari, condensava in sé l’aspi-razione repressa a un moto po-polare per liberare Roma e, d’al-tro canto, il senso di una “guer-ra civile” strisciante fra modera-ti e democratici, che si sarebberisolta a vantaggio dei primi al-cuni anni dopo, a Mentana(1867). Gli itinerari garibaldini

Michelina, che per amore diventò brigantessaLO SQUILLO di Pino Casamassima

IL FENOMENO delbrigantaggio meridionale,esploso dopo l’unità d’Italia,

coinvolse anche diverse donne. Unadi esse fu Michelina Di Desare, lacui «pessima condotta» èdocumentata nei registri del comunedi Caspoli (Caserta) con unasegnalazione del maggio del 1868,cioè tre mesi prima della sua morte,

avvenuta il 30 agosto di quell’anno,quando la brigantessa aveva 26anni.La «malavita» di Michelina erainiziata fin dall’infanzia, quando lafame l’aveva spinta a compierediversi furti, finché a vent’anni – inquel 1861 che aveva salutato l’unitàd’Italia – era andata in sposa a uncafone del luogo: tal Rocco Tanga,

morto però dopo nemmeno un anno.Francesco Guerra era un ex soldatoborbonico, poi affiliato alla bandadi Rafaniello, di cui aveva assuntoil comando alla sua morte.Michelina lo conobbe casualmente,se ne innamorò, e ne condivise lacondizione di brigante.Grazie alla spiata per soldi diGiovanni, fratello di Michelina, la

banda fu sorpresa e sgominata:dopo l’uccisione del suo uomo, labrigantessa si battè strenuamentefino alla morte.Poi anche lei fu denudata, espostanella pubblica piazza, e fotografata:l’immagine del suo cadaverecontrasta con un’altra che la ritraebella e fiera nel suo costume “dellafesta”.

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39CULTURA &SOCIETA’IL RESTO DEL CARLINO - LA NAZIONE - IL GIORNO MERCOLEDÌ 8 DICEMBRE 2010

di COSIMOCECCUTI *

RITORNARE alle fonti:carteggi, biografie, diari,memorie. Può essere questa lavia da percorrere, pur con leopportune accortezze, perritrovare nella rivisitazione delRisorgimento, a 150 annidall’Unità d’Italia, unadimensione fedele ed umana,contro le deviazionidell’agiografia e della retoricadi antica memoria o leforzature di certe “moderevisionistiche” dei nostrigiorni, che rischianoegualmente di snaturare ilsignificato ed i valori di unastagione della storia italiana edeuropea che sta alle originidella nostra comunitànazionale.

Anche quellamemorialistica aveva spessointenti ben precisi. Popolaribiografie della seconda metàdell’Ottocento, come quelle diJessie White Mario,l’infermiera dei Mille, dedicatea Garibaldi come a Mazzini,erano dettate dal desiderio dicostruire o rafforzare il mitodegli “eroi”, cercando altresì dievidenziare il contributo dellecorrenti democratiche alprocesso di unità nazionale,soffocato nella storiografiaufficiale dall’egemonia

sabauda, esaltante oltre ognilimite il ruolo svolto dallaMonarchia.

Se rileggiamo le note dialcuni protagonisti, spessoappartati e discreti, si cogliel’efficacia e l’autenticità di unavicenda complessiva assai piùvicina a noi, fatta di grandezzee di miserie, di generosità e diegoismi, in una più correttacollocazione delle figure edegli eventi.

Penso alla recente,opportuna ristampa dellememorie di Giuseppe Bandi, IMille (editore Polistampa), unlivornese che seguedevotamente Garibaldi nellasua più clamorosa impresa.

Ebbene, un solo esempiodemitizzante: l’autore nonparla mai dell’incontro diTeano, “gonfiato” nei

resoconti ufficiali peropportunità politica e retoricanazionalistica. E’ vero cheBandi si ripromette di riferiresolo ciò a cui è statoconcretamente presente (nonsi trovava a Teano), ma nessunaccenno, nelle sue pagine,nessun richiamo all’episodioeretto a simbolo dellacollaborazione e dell’unitàd’intenti. La verità storica, cheaffiora da quelle memorie,ricorda piuttosto l’irritazionedel Re, “geloso” del clamorososuccesso di Garibaldi, ilfastidio delle truppepiemontesi per i volontarigaribaldini, il vivo desiderio di“toglierseli tutti di torno”, unavolta ricevuto nelle mani unregno.

Era stata negata la prorogadella dittatura a Garibaldi, chel’aveva chiesta, era stato feritol’orgoglio dei garibaldini cui fuimpedito di battersi insiemealle truppe regolari per ilcompletamento dell’impresa,

contro le ultime residueresistenze del Borbone.Sollevate dal compito che fratante reticenze si eranoassegnato – liberare ilMezzogiorno - le camicierosse, furono congedate dopol’ultimo atto loro consentito,quello di partecipare opiuttosto assistere alla presa diCapua. Garibaldi, del resto, sene va, poiché si rifiuta diassistere al bombardamentodella città deciso daipiemontesi del Generale dellaRocca: “In vita mia non homai tirato cannonate suicivili”; fu il suo sprezzantecommento nel malinconicosaluto ai volontari.

Al Re fu impedito dallaragion di Stato di recarsi alcampo dei garibaldini, nérivolse loro l’atteso ordine delgiorno. “Il nostro compito erafinito – si lamenta Bandi- manon ne veniva perconseguenza buona e legittimache ci si considerasse cosìdall’oggi al domani comelimoni oramai spremuti e nonbuoni che a gettarsi via”.Eppure è bene cercare ancoraoggi tra quei “limonispremuti” le radici autentichee solide della nostra identità dinazione.(*) Docente di Storia dei partiti edelle rappresentanze politiche,Università di Firenze

conservano, quindi, la testimo-nianza tanto del grande “pelle-grinaggio involontario”dell’Eroe dei Due Mondi,quanto delle fasi alterne delRisorgimento, di cui egli fuprotagonista: luoghi im-portanti non solo per ali-mentare il contributolocale al pantheonnazionale, maper capire, at-t r a v e r s oeventi nondi radodrammati-ci, le fasicomplesse econtrover-se, spesso se-gnate da una traccia rossa comeuna camicia e come il sangue,che hanno fatto della nostra pe-nisola una Nazione.(*) Docente di Storia contempora-nea all’Università di Bologna

Grandezze e miserieIl mito degli eroi nasce perper bilanciare i meriti impropriche Casa Savoia si attribuisce

LA DELUSIONE DEI GARIBALDINI DOPO L’UNITA’

Poi venne la stagionedei ‘limoni spremuti’

«Garibaldi davanti aCapua» di Girolamo

Induno (Museo delRisorgimento di Milano);

«Garibaldi nellabattaglia di

Calatafini» diRemy-Legat (Museo del

Risorgimento di Milano).Sotto: «Garibaldimentre trasporta

Anita morente» diPietro Bauvier (Museo

del Risorgimento di Brescia)

Le memorie di chi c’eraIl successo di Garibaldi nonpiace al re, che in tutta frettaliquida i suoi fedelissimi