094 epoca balilla f

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  • 94 luglio/agosto 2012

    epoca Motomeccanica Balilla

    I primi cingolati compatti italiani videro la luceagli inizi degli Anni 30, ma non ebbero successo.Se ne imporranno altri, ma solo nel Dopoguerra

    Leggenda vuole che tale Giovan Battista Perasso, un ragazzino ligure passato alla storia con il soprannome di Balilla, sca-gliando un sasso contro un uffi ciale austriaco diede lavvio al-le cinque giornate di Genova del 1746. Che sia vero o no, a cavallo degli Anni Trenta il nome Balilla era sulla bocca di tutti in quanto il Duce, Benito Mussolini, nel 1928 aveva crea- to lOpera Nazionale Balilla, organizzazione paramilitare che

    A lato, la locandi-na con cui il Re-gime promuove-va ladesione dei giovani allOpera Nazionale Balilla

    Erano troppo inanticipo sui TeMpi

  • 952012 luglio/agosto

    I Balilla furono progettati da Ugo Pavesi, ingegnere nato a Torino nel 1886. Dopo la laurea e un breve periodo di apprendistato nelle offi cine Giovanni Enrico, si trasfer a Milano dove inizi un lavoro di progettazione e di sperimentazione nel settore della trazione agricola e stradale. Nel 1911, in societ con lingegner Giulio Tolotti, costru il primo trattore italiano, fornendo allEsercito durante la Grande Guerra Mondiale camion-trattori da 50 cavalli di potenza da adibire al traino delle artiglierie pesanti. Nel 1918, sciolta la societ con Tolotti, costitu la Motomeccanica Brevetti Ing. Pavesi che present un trattore agricolo a quattro ruote motrici poi adottato da diversi eserciti e costruito sino agli Anni Quaranta. Il Balilla vide la luce nella versione a ruote nel 1931 e due anni dopo entr in produzione la versione a cingoli. Fu lultima realizzazione di Ugo Pavesi. Scomparve due anni dopo, nel 1935, a soli 49 anni.

    arruolava i ragazzi dagli otto ai sedici anni. Balilla fi n, nella retori-ca fascista col diventare sinonimo di ardimento e coraggio giovanile diventando talmente usuale che nel 1932 fu usato anche da Fiat per connotare la sua prima automobile utilitaria. Lanno prima, nel 1931 lo stesso nome era stato per dato anche a un minuscolo trattore a ruote che piacque molto ed ebbe subito una buona diffusione, tale da spingere il costruttore, la Motomeccanica Brevetti Ing. Pavesi, ad allestirne anche una versione cingolata che apparve nel 1933. Si trattava del pi piccolo trattore cingolato costruito sino ad allora e la cosa non pass inosservata, anche perch in quegli anni i trattori cin-golati non erano molto diffusi n ambiti, tant vero che Fiat nel 1932 fu la prima Casa europea a iniziare la produzione in serie del modello 700 C o Tipo 30 da 30 cavalli. Gli agricoltori europei che ambiva-no a un veicolo a cingoli allepoca dovevano rivolgersi alla produzio-ne americana, a Caterpillar o a Cletrac che per mettevano a disposi-zione mezzi progettati pi per lindustria che per lagricolo. I cingolati italiani nacquero invece per lagricolo, per lavorare le terre tenaci del-le pianure e quelle collinari in pendenza, ma furono impiegati anche nei lavori forestali, dove peraltro si richiedevano dimensioni ridotte per districarsi sui sentieri di montagna. E fu proprio per rispondere in prima battuta alle richieste dei boscaioli che nel 1933 Motomeccani-ca decise di affi ancare al suo Balilla a ruote anche la versione a cin-goli, mezzo che poi Fiat due anni dopo replic con un suo piccolo cin-golato che chiam 708 C o Tipo 20, motorizzato con un quattro cilindri a petrolio di due mila 520 centimetri cubi capace di erogare 20 cavalli e forte di dimensioni pi

    IL PaDrE DEI balilla

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    epoca Motomeccanica Balilla

    ridotte rispetto a quelle del 700 C. Ma non abbastanza ridotte per fare concorrenza al Balilla cingolato. Entrambe le macchine non ot-tennero una grande diffusione in quanto leconomia del settore agri-colo-forestale sub forti rallentamenti a causa della Guerra dEtiopia prima e della Guerra Mondiale dopo e se del Balilla cingolato si co-struirono dal 1933 al 1951 circa 200 esemplari, per il Fiat la produ-zione dal 1935 al 1937 fu inferiore ai 180 pezzi, 179 per la precisio-ne. Nellimmediato Dopoguerra fiorirono invece altri piccoli cingola-ti, dai Lombardini ai Toselli, destinati principalmente alle lavorazione tra i filari delle viti in collina e ai lavori di una orticoltura specializzata, a conferma che Motomeccanica ci aveva visto giusto, ma era in an-ticipo sui tempi. William Dozza

    Di Balilla cingolati ne furono costruiti circa 200 esemplari, una cinquantina dei quali, a partire dal 1949 e per ragioni evidentemente storiche, venne ribattezzata con la sigla C 50 mediante una targhetta di ottone posta sul serbatoi dellacqua. Per essendo meccanicamente uguali fra loro, i Balilla e i C 50 godono oggi di diverse valutazioni, con gli appassionati che scoprirono il primogenito in ritardo. Sino ai primi Anni 80 era possibile trovarne esemplari in uno stato decente a prezzi molto vicini al peso del ferro, cosa che in effetti fece finire nelle fonderie parecchi esemplari. Col sorgere del moderno collezionismo le cose sono per cambiate. Allinizio le ricerche erano indirizzate pi verso i mezzi grossi e potenti piuttosto che esotici, prerogative che il Nostro non poteva sfoggiare, mentre in tempi pi recenti si fatto strada il concetto di collezionismo storico-culturale in cui ben si inquadra anche il Balilla cingolato. Questi, se funzionante in ogni sua parte e nel suo stato duso, viene attualmente valutato intorno ai 7-8 mila euro, cifra drasticamente abbattuta nel caso di esemplari non completi per i quali occorrono ricambi da ricostruire ex novo. Non esistono valutazioni per modelli funzionanti e restaurati nei colori originali come lesemplare delle fotografie appartenente al collezionista Curzio Battistini di Novafeltria, in provincia di Rimini.

    raro Ma non ancora inarrivabile

  • 972012 luglio/agosto

    Da un punto di vista meccanico Balilla era una autentica meraviglia. Condensata in meno di un metro di altezza e di larghezza e in poco pi di due metri di lunghezza per un peso di mille e 400 chili. Il telaio era costituito dal supporto dellassale anteriore di acciaio forgiato, dal basamento del motore e dalla scatola del cambio-differenziale, gruppo cui erano attaccate le due campane del ponte posteriore. Il motore a quattro cilindri verticali e a quattro tempi di mille e 660 centimetri cubi era organizzato sulla base di canne da 67 millimetri di alesaggio per 102 di corsa e la potenza massima erogata era di 15 cavalli a mille e 500 giri al minuto. Lunit disponeva di valvole in testa comandate da aste e bilancieri, laccensione era a magnete ad alta tensione con scatto automatico, il regolatore era idraulico e la lubrifi cazione forzata con pompa a ingranaggi. La messa in moto era a manovella e a benzina, ma una volta avviato funzionava a petrolio scaricando la propria coppia motrice su una frizione a cono che interfacciava un cambio a tre marce con riduttore per un totale di sei velocit e due retro. Lazionamento dei cingoli avveniva tramite un doppio gruppo di ingranaggi planetari che entravano alternativamente in funzione quando si ruotava in un senso o nellaltro il volante di guida, soluzione che, in curva, portava le due catenarie a essere sempre attive pur essendo animate da velocit di avanzamento diverse. La presa di forza, ad albero scanalato o a puleggia del diametro di 200 millimetri, era innestata su un ingranaggio del cambio e ci permetteva di realizzare ben sei velocit comprese fra i 285 e i mille giri. Una meccanica originale in defi nitiva, cui faceva eco un posto guida molto curato anche nei minimi particolari come ben dimostrava la presenza dei tre indicatori sullo stato del motore, pressione, temperatura dellolio e del liquido di raffreddamento. I comandi vedevano sulla destra il tirante di ritardo dellaccensione per la messa in moto, la leva del cambio e il pedale della frizione che, a fi ne corsa, agiva anche da freno sulla trasmissione. A sinistra si trovavano la manetta dellacceleratore, il tirante per il passaggio dalla benzina al petrolio, la leva del riduttore e quella per linnesto della presa di forza. Anche da un punto di vista estetico, il veicolo si presentava molto bene, forte di una linea massiccia che rendeva lidea di una certa solidit ma risultando anche allo stesso tempo snella e fi lante. La scritta Balilla fusa in rilievo sul serbatoio dellacqua, la statuetta riproducente il ragazzino genovese della leggenda e il colore grigioverde dominante tra i veicoli militari del periodo, conferivano infi ne alla macchina una seriet e una aggressivit perfettamente allineate con il nome e con lo spirito del tempo.

    UnaUTEnTIca MeraviGlia