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1 Indice Rassegna Stampa “Being Norwegian” di David Greig # Corriere della Sera (Franco Cordelli ) 04/2013 http://archiviostorico.corriere.it/2013/aprile/23/Una_breccia_nel_buio_co_0_20130423_0d733660- abdb-11e2-b42e-90ad9648a598.shtml # La Repubblica (Sara Chiappori) 05/2014 # Persinsala (Alfredo Agostini) 04/2014 http://teatro.persinsala.it/essere-norvegesi-being-norwegian-al-teatro-i-di-milano/10572 # Krapp’s Last Post (Michele Ortore) 04/2013 http://www.klpteatro.it/essere-norvegesi-la-autoassoluzione-di-david-greig-e-roberto-rustioni # Teatro.it (Mariangela Lamacchia ) 05/2014 http://www.teatro.it/spettacoli/dettaglio_spettacolo.asp?contrRecensione=OK&id_spettacolo=25828 # Teatro.it (Alessandro Paesano) 04/2013 http://www.teatro.it/spettacoli/dettaglio_spettacolo.asp?contrRecensione=OK&id_spettacolo=25828 # Teatrionline.com (Alessandro Fantinato) 05/2014 http://www.teatrionline.com/2014/05/being-norwegian/ # Che Teatro fa /Repubblica.it (Rossella Porcheddu) 04/2013 http://cheteatrochefa-roma.blogautore.repubblica.it/2013/04/16/giovani-criticitrend4essere- norvegesir-p/ # Stratagemmi (Sara Sullan ) 05/2013 http://www.stratagemmi.it/?p=4637 # Linkiesta ( Giulia Valsecchi ) 05/2014 http://www.linkiesta.it/blogs/teatrora/la-distanza-dell-amore # Equilibriarte (Riccardo Mazzoni) http://www.equilibriarte.net/profile/riccardo/blog/32983

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Rassegna stampa Being Norwegian / regia Roberto Rustioni/traduzione Elena Arvigo /con Roberto Rustioni e Elena Arvigo

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Indice Rassegna Stampa “Being Norwegian” di David Greig # Corriere della Sera (Franco Cordelli ) 04/2013 http://archiviostorico.corriere.it/2013/aprile/23/Una_breccia_nel_buio_co_0_20130423_0d733660-abdb-11e2-b42e-90ad9648a598.shtml # La Repubblica (Sara Chiappori) 05/2014 # Persinsala (Alfredo Agostini) 04/2014 http://teatro.persinsala.it/essere-norvegesi-being-norwegian-al-teatro-i-di-milano/10572 # Krapp’s Last Post (Michele Ortore) 04/2013 http://www.klpteatro.it/essere-norvegesi-la-autoassoluzione-di-david-greig-e-roberto-rustioni # Teatro.it (Mariangela Lamacchia ) 05/2014 http://www.teatro.it/spettacoli/dettaglio_spettacolo.asp?contrRecensione=OK&id_spettacolo=25828 # Teatro.it (Alessandro Paesano) 04/2013 http://www.teatro.it/spettacoli/dettaglio_spettacolo.asp?contrRecensione=OK&id_spettacolo=25828 # Teatrionline.com (Alessandro Fantinato) 05/2014 http://www.teatrionline.com/2014/05/being-norwegian/ # Che Teatro fa /Repubblica.it (Rossella Porcheddu) 04/2013 http://cheteatrochefa-roma.blogautore.repubblica.it/2013/04/16/giovani-criticitrend4essere-norvegesir-p/ # Stratagemmi (Sara Sullan ) 05/2013 http://www.stratagemmi.it/?p=4637 # Linkiesta ( Giulia Valsecchi ) 05/2014 http://www.linkiesta.it/blogs/teatrora/la-distanza-dell-amore # Equilibriarte (Riccardo Mazzoni) http://www.equilibriarte.net/profile/riccardo/blog/32983

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Una breccia nel buio Di David Greig, drammaturgo scozzese poco più che quarantenne,

conoscevamo due commedie proposte anni fa da Rodolfo Di

Giammarco in una collana da lui diretta per Gremese. Ancora Di

Giammarco presenta nella rassegna Trend al Belli «Essere

norvegesi», per la regia di Roberto Rustioni, che ne è anche

interprete, con Elena Arvigo. Ed è proprio Arvigo il vero richiamo

di questo spettacolo. L'avevamo lasciata poche settimane fa in

tutt'altre vesti, in «La torre d'avorio» all'Eliseo. Qui è una tanto

smarrita quanto determinata trentenne, una ragazza norvegese

che incontriamo, come Lisa, in casa dello scozzese Sean, un uomo

smarrito quanto lei, ma, a differenza di Lisa, tutt'altro che

determinato. I due s'incontrano in un pub. Non sappiamo come sia

accaduto che ora sono a casa di Sean. Forse a invitare Lisa non è

stato lui, forse è stata lei a suggerirlo. Sta di fatto che presto, dopo

le prime parole, è Lisa a chiedere a Sean di abbracciarla. S'era

parlato del divano, che non era piazzato davanti al televisore,

bensì davanti alla finestra, come in Norvegia; s'era parlato della

luce, che in Norvegia è sempre poca; e s'era detto che, sempre in

Norvegia, non si parla molto, anzi non si parla affatto: semmai, ci

si abbraccia. Ma Sean, di fronte all'esplicito invito, si sottrae.

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Neppure l'ipotesi di un pò di musica mette in moto il meccanismo

d'una qualche condivisione. Al contrario, Lisa e Sean cominciano

ad alzare la voce, litigano, a nulla vale che Sean spieghi che si è

separato dalla moglie e dal figlio, e che dica d'essere incappato in

brutti impicci. Egli è davvero nei guai. Ma Lisa resiste, non vuole

andar via. Rimane là, sulla soglia di casa. Poco a poco si apre una

breccia, Sean comincia a capire che Lisa gli assomiglia; la

conversazione tra loro può riprendere; possono mettere un pò di

musica, possono perfino ballare. E così si chiude l'incontro, al

buio, con il filo d'una possibilità per i due sventurati. A questa

delicata commedia dà vita, con il suo talento, con la sua grazia,

Elena Arvigo - in punta di piedi. Le è vicino, con pari pudore,

Roberto Rustioni, cauto e impacciato come il personaggio

richiede.Cordelli Franco

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In occasione delle repliche al Teatro i di Milano, ripubblichiamo la recensione dello spettacolo Essere norvegesi (Being Norwegian), diretto da Roberto Rustioni e con la solita straordinaria Elena Arvigo, del nostro Alfredo Agostini. La dodicesima edizione di Trend, l’interessante rassegna al Teatro Belli che esplora le «nuove frontiere della scena britannica», avanguardia della prosa contemporanea, chiude all’insegna della commedia. Chi ha detto che il teatro, e in generale l’arte contemporanea, per rappresentare il mondo oggi debba necessariamente risalire le foci della sofferenza fino alle origine del dolore? Sarà solo un’impressione, ma la tendenza sembra quella di voler affondare nel torbido oppure di rifiutarlo in blocco, con una programmatica leggerezza (leggi superficialità) che prega di lasciare le paturnie fuori dalla sala, please. Esiste un intero universo al di là degli intellettualismi e delle risate pianificate a tavolino, diciamo pure un equilibrio che rende fertile l’immaginazione. Ne sa qualcosa David Greig, scozzese, classe 1969, tra i più prolifici drammaturghi contemporanei, se firma in media cinque opere ogni anno. Greig collabora con le principali compagnie della Corona con opere che esplorano numerosi generi e tematiche e che poi fanno il giro del mondo, compresa l’Italia. Il suo è un approccio che non si lega a filo doppio con gli scenari anglosassoni, ma che piuttosto gonfia le vele in un respiro europeo e globale, non stupisce che sia cresciuto nel nord della Nigeria al seguito del padre lavoratore edile. Essere Norvegesi, il testo scelto dal curatore Rodolfo Di Giammarco a chiusura di Trend, è un catapulta che fa schizzare il pubblico in una dimensione priva di coordinate geografiche propriamente dette, in un “qui e ora” che è la scena della narrazione. Si sta come dentro a una storia, trascinati dal ritmo brillante e incuriositi dai due irresistibili protagonisti. Lo stile è quello delle sophisticated comedy dei tempi d’oro, ascrivibile al teatro di Neil Simon, ma soprattutto al

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cinema di Billy Wilder. Lisa e Sean sono, infatti, due misfits impacciati, inciampano sulle scatole in giro e nei loro discorsi, ingenui in modo disarmante, ma anche carichi di una raffinata sensibilità. Momentaneamente isolati dal mondo, si trovano nel caotico appartamento di Sean, a poche ore dal loro incontro in un anonimo pub. Si conoscono dunque, ma non nel modo che pensiamo tutti, ossia andando a letto insieme, né scambiandosi il loro passato di miserie e chissà che tristi trascorsi, visto che nessuno dei due ne ha voglia, in verità. La loro è più una connessione emotiva, sentono di essere entrambi cittadini del mondo senza però farne parte appieno, senza essere integrati nel meccanismo che manda avanti il consorzio civile della massa. Sono della stessa pasta, perciò si comprendono. Sean dice di aver frequentato la galera, Lisa di essere straniera, dalla Norvegia. Due diversi confini, due solitudini simili. La Norvegia nelle parole di Lisa acquista sembianze leggendarie. Tutto quanto è “norvegese” se inusuale e bello. Quasi un proverbio, che già appena uscito dalla sala il pubblico non esita a fare proprio. Nel corso della serata dovranno escogitare un modo per superare le loro debolezze, far crollare l’imbarazzo o il timore, le barriere metaforicamente culturali, mentre osservano fuori dalla finestra il mondo che continua a scorrere distante. La finestra che non si vede si trova di fronte alla platea, sulla fantomatica quarta parete. Spesso attori e pubblico stanno letteralmente occhi negli occhi, una prospettiva che trasforma perciò gli spettatori in veri e propri voyeur di fronte a una finestra immaginaria. Come tali, si entra da subito in intimità con la coppia, dal loro comparire in scena, ai loro buffi approcci iniziali. La regia è snella, immediata, dinamica pur nella fissità della ben studiata scenografia, ma davvero gran parte del merito va agli attori. Rustioni (protagonista oltre che regista) crea un personaggio misurato e verosimile, mentre Elena Arvigo mostra una straordinaria verve comica. Conoscevamo la sua capacità di calarsi autenticamente nelle zone d’ombra dell’anima, la stimiamo come un talento che non si esibisce tanto per fare o strafare, unica, ma vederla canticchiare su un tacco dodici in un inaspettato quanto aggressivo raptus musicale da gatta che scotta fa pensare in un momento alla fragilità voluttuosa della migliore Marylin.

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Essere norvegesi.

L'autoassoluzione di David Greig e Roberto Rustioni Succede poche volte, ma tuttavia succede, che uno spettacolo ti ricordi ciò che non solo il teatro, ma tutta l'arte dovrebbe fondamentalmente essere: una vita in più. Un bonus d'esistenza. La possibilità di esperire l'altro da sé, e di tornare poi alla propria, di vita, con quel prezioso dono aggiuntivo. Che ti arricchisce o a volte ti sconvolge. Non succede spesso, però. Perché serve la serata giusta, oltre ad una serie di fortunate coincidenze. Con "Being norwegian", invece, testo del drammaturgo scozzese David Greig ogni variabile si è sistemata proprio al posto giusto. Prima variabile: la base di un testo intelligente ed onesto come quello di Greig. Un testo in grado di rischiare, di muoversi sulle ripe strette del parlato quotidiano, ovvero sulle frasi normali, ripetitive, superficiali, generiche con cui siamo abituati a comunicare per la maggior parte della giornata. Ma, così come accade nella vita, sotto all'epidermide dei dialoghi facili c'è un mare inesplicabile di complessità. Quando si cerca di riprodurre artisticamente questa realtà, la maggior parte delle volte si finisce per afferrarne la superficie e lasciarsi sfuggire il mare sottostante: il mimetismo svuota la vita e ci si ritrova con un pugno di banalità. I più bravi, invece (e Greig è senz'altro tra questi), ti lasciano i primi dieci minuti dello spettacolo per essere scettico, per ascoltare le battute di un dialogo apparentemente privo di ogni ricercatezza stilistica, fin troppo simile ai dialoghi reali, aspettandoti da un momento all'altro la caduta, la rivelazione dell'artefatto. Invece quei dieci minuti passano e tu, senza che sia dato di rendertene conto, cominci a credere a quel testo molto più di quanto ti succeda con la maggior parte degli altri. Sean accoglie Lisa nel suo caotico appartamento: si sono conosciuti

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poco tempo prima in un pub. Le cose di Sean, appena trasferitosi, sono ancora tutte negli scatoloni; Lisa si siede sul divano. Nell'imbarazzo di quell'intimità non prevista, gli oggetti attorno diventano degli appigli cui legare le frasi, per evitare quei secondi di silenzio che, nella legge delle nuove relazioni, sembrano a volte pesare come ore. Sean, che nel corpo di Roberto Rustioni è una sorta di allampanato e schivo asceta, commenta ad alta voce le sue stesse azioni, ciò che trova attorno, e anche se non lo dice sembra quasi chiedere scusa per non poter fare di meglio. Lisa, con gli occhi selenici ed il volto svampito di Elena Arvigo, è molto più intraprendente. La credibilità del loro conoscersi è davvero avvolgente: il testo di Greig crea nel loro dialogo una sorta di trasparenza emotiva, di esposizione sincera che attira in un soffio l'amicizia e la muta confidenza del pubblico. Se Sean ha costruito il suo spazio di silenzio, anche per elaborare un passato familiare doloroso, Lisa è la meravigliosa parodia di chi cerca conforto nel sentirsi superiore alla società cui appartiene; essere naif significa allora rifugiarsi in stereotipi salvifici che poi non reggono alla prova dei fatti. Tutto ciò che è bello e diverso dev'essere anche norvegese, dalle tivù spente al piacere del silenzio, e se Sean legge solitario un libro in mezzo al pub, anche lui dev'essere un norvegese eroicamente appassionato di letteratura, piuttosto che un uomo qualsiasi curioso di sapere chi è l'assassino nell'ultimo giallo best seller. È norvegese guardare la luna, è norvegese ascoltare buona musica, è norvegese fare l'amore. Pian piano il testo osa di più, acuisce l'intensità parodica di alcune frasi, ma mai con l'obiettivo di stupire o di guadagnarsi per forza la risata (che proprio per questo arriva puntuale); sempre piuttosto un'umile aderenza ai personaggi e alla situazione, che diventa preziosa man mano che quest'ultima si sviluppa. Si arriva, così, ad un'atmosfera capace di rendere alla perfezione il grottesco quotidiano di tante situazioni comuni, di mostrare la complessità secondo cui si evolvono, nello spazio di un semplice dialogo notturno fra un uomo e una donna, le distanze e gli avvicinamenti, il magnetismo dei caratteri. Da qui nasce con spontaneità sia l'affetto fra i due personaggi in scena, sia la partecipazione del pubblico: e, lo ripetiamo, saper rappresentare senza gonfiore di stilemi la piccola follia di ognuno di noi è un merito davvero molto raro.

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È evidente che non potrebbe esserci tutto questo senza la maestria degli interpreti. Il lavoro di Arvigo sul personaggio è straordinario, e si vede per come l'attrice è riuscita a caratterizzare la sua linea vocale, nervosa come la retta tracciata su un foglio da una mano tremante, con certe sillabe che schizzano stridenti verso l'alto e poi subito vengono ricacciate in tonalità meno acute, più adeguate alla medietà della norma sociale. Arvigo si conferma insomma un'attrice di gran valore: già un paio d'anni aveva colpito per la sua recitazione tesa e mai affettata in una bella versione di un classico dello «in yer face theatre», cioè "4:48 psychosis" di Sarah Kane. Rustioni, che ha anche il merito di una regia pulita e ben scandita, sa posizionare il suo Sean in una ritrosia mai statuaria, bensì scossa da vibrazioni interiori e da sempre meno sottili variazioni emotive: come capita spesso, la sua introversione si rivela più sincera dell'estroversione di Lisa, e i ruoli apparenti dei due finiscono per scambiarsi nel momento di maggior intensità scenica, quando il ritmo si spezza ed apre al finale. La sezione britannica di Trend 2013 ci lascia con questo gioiellino d'ironia e tenerezza. Il testo di Greig e la messa in scena di Rustioni regalano al pubblico il racconto delicato di un incontro: e già questo, se fatto con cotanta asciuttezza e attenzione emotiva, non sarebbe poco.

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Being norwegian... in a shrinking world?

Quando il proprio modo di essere è nascosto dietro a dei luoghi comuni. È tipicamente norvegese dire di avere fame quando si è assetati, quando si desidera qualcosa di nuovo e di diverso? Secondo Lisalotte, meglio nota come Lisa, si. Lei è norvegese, bella, tenera, morbida e in cerca di affetto e di calore umano. E incontra lui, Sean, in un pub scozzese, intento a leggere assorto un poliziesco davanti ad una birra, lui che norvegese non è e che in quel momento non è in cerca di niente, se non di un po’ di solitudine e pace. La conoscenza continua nell’appartamento di lui, spoglio ma più che altro in disordine, con libri impilati e in cerca di sistemazione, scatoloni da disfare e una bottiglia di vino che ha appena dieci anni ma che viene aperta per sugellare il loro incontro.

In un’ora di spettacolo, i due avranno modo di rivelarsi l’uno all’altro, alternando alla cauta esplorazione di gusti e pensieri, anche scontri tanto assurdi da sembrare surreali, ma in realtà così veri da ricordare i battibecchi quotidiani di ciascuno di noi. Come spesso accade, il gioco è inizialmente condotto da Lisa, una gatta che sembra fare le fusa ma anche piena di fragilità e incertezze. La sua apparente sicurezza lascia sgomento Sean, reduce da un anno di prigione e a disagio con il mondo, il quale non sa cosa fare e decide di tirarsi indietro, spaventato da sviluppi che non sa come gestire.

La pièce offre uno spaccato della vita quotidiana, spesso ruvida e dura, oltre che precaria, analizzando con delicatezza e un umorismo, spesso involontario, le relazioni umane e sentimentali. Una storia che sembra quasi suggerire la necessità di reinventare continuamente le nostre identità per sopravvivere e apparire più interessanti agli occhi degli altri. Tutto si gioca sull’interpretazione dei due attori protagonisti, Elena Arvigo e Roberto Rustioni, tra i quali sembra esserci una complicità e un’intesa professionale che li rende inattaccabili da un punto di vista recitativo e sulla quale si regge l’intero schema narrativo. Una menzione particolare va poi a Paolo Calafiore che, con pochi elementi nell’allestimento, ha saputo ricreare un ambiente comune ma non banale, affidandosi soprattutto ad un ardito gioco di luci, per sottolineare la complessità delle dinamiche relazionali. Una ricostruzione dei diversi stati d’animo, di tensioni e imbarazzi delle intimità che si vengono inaspettatamente a creare tra individui sconosciuti ma che, in realtà, si attirano come magneti.

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La recensione di Alessandro Paesano Quando non sei di nessuno

Il testo è un piccolo (per la durata) gioiello di poesia e intelligenza che parte da uno dei luoghi comuni centrali del patriarcato nel quale tutte e tutti viviamo per scalzarlo e metterlo in discussione. Sean e Lise entrano in casa di lui. Un divano rosso e molti scatoloni che il pubblico ha già visto mentre prendeva posto in platea. Lise è stralunata, flemmatica, con due occhi così grandi che l'intera platea può specchiarvisi. Sean sta sulle sue. Non approfitta di Lise, nemmeno quando lei, più goffamente che con disinvoltura, lo incoraggia. A frenarli le loro storie. Quella millantata di Lise (sono norvegese il mio nome è il diminutivo di Liselote) quella vera, e non detta, di Sean. In un breve incontro i due intessono una serata che non va. E quando lei gli dice che vuole fare l'amore lui decide di riaccompagnarla a casa. In platea, uno spettatore canuto e anziano, commenta l'atteggiamento di Sean con ferocia maschilista dicendo a bassa voce ma alta a sufficienza perchè chi scrive possa sentirlo 'sto frocio! Fossi io al suo posto. E' il migliore tributo al testo di Greig che nella reazione di quello sciagurato spettatore trova la sua chiave di lettura. Se una donna ci sta soprattutto se è norvegese e dunque disinibita l'uomo che non ne approfitta o è frocio o le sta comunque mancando di rispetto. Poco importa se l'uomo dopo molti anni in carcere non riesce ancora a vivere da cittadino libero e a un anno dal trasloco non ha ancora disfatto le scatole i cui tiene le sue cose. Poco importa se si sente un padre fallito visto che non sa più nemmeno dove sui figlio sia. Poco importa se la millantata disponibilità di Lise serva a nascondere un bisogno bruciante di contatto umano, che gli altri uomini le hanno permesso di cercare solo tramite il sesso, per allontanare una solitudine che toglie il fiato. Se lei ci sta e tu non ne approfitti sei frocio. Ecco la solitudine profonda in cui siamo tutti e tutte condannati a vivere. Quella dove il sesso non è mai il tramite di un'autodeterminazione che ci liberi ma solamente, sempre e ancora, uno strumento di potere col quale sopraffare o disporre dell'unica compagnia che ci è dato avere. Se la società, quella esterna dove Lise e Sean si sono conosciuti, in casa di Sean non c'è non è perchè i due perosnaggi sono dei reietti ma al contrario perchè sono delle persone vere. Reietta è la società dei consumi (del sesso, delle emozioni, delle relazioni) in cui (soprav)vivono gli altri e le altre. Nessuna storia esemplare, nessuna particolare sorte caratterizza Sean e Lise se non il dolore

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di non avere a disposizione un immaginario collettivo che possa davvero sostenere due vite vere dove ogni gesto non è la negoziazione di una performance da esperire, da superare o nella quale eccellere ma dove, più semplicemente, ma anche molto più umanamente si è qui e ora. L'abbraccio finale, non sessuale né sentimentale ma di contatto umano col quale la commedia si chiude cancella ogni smania competitiva e rigenera quella speranza nell'esser nel mondo cui il (buon) teatro sa spesso contribuire sensibilmente. Roberto Rustioni che firma anche la regia, è uno Sean adeguatamente sottotono, che non ruba mai la scena a Elena Arvigo la cui interpretazione di Lise è talmente piena di vita e di umanità da farcene innamorare disperatamente. Being Norwegian è sicuramente il più bel testo di questa tredicesima edizione di Trend un testo che ti entra nel sangue e ti rende libera e libero di essere senza dover competere, per trovarsi proprio quando non sei più di nessuno.

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Being Norwegian

Uomini e donne. Maschile e femminile. Due mondi che si attirano, si respingono, si scontrano, si amano, ma che non potrebbero fare a meno uno dell’altra.Questa la tematica fondante dello spettacolo “Being Norwegian” in scena al Teatro I di Milano fino al 21 maggio; fondante, ma non unica, perché nel testo di David Greig, giovane ed apprezzato autore scozzese, si parla anche di solitudine, di bisogno di calore umano, di sofferenza, di vita insomma, di quella che tutti, chi più chi meno, hanno affrontato. Ed è proprio questo che attira e coinvolge subito lo spettatore, creando un filo immaginario che tiene legati alle vicende raccontate fino alla fine dello spettacolo. Grande merito va dato anche alla regia di Roberto Rustioni ed alla traduzione di Elena Arvigo, entrambi anche attori nelle pièce, che riescono a creare un climax intenso e continuo dall’inizio alla fine. Si ride e ci si diverte, si hanno aspettative per come la storia evolverà, ci si sorprende per come evolve, ci si sente empaticamente vicini ora a uno e ora all’altro personaggio, ma soprattutto ci si sente coinvolti, perché quella che si vede potrebbe essere la narrazione di quello che è accaduto anche a me o a qualcuno che conosco molto bene. Lo spettacolo inizia sulle note di “Norwegian wood” dei Beatles, e non potrebbe essere altrimenti, ed in quei secondi iniziali, prima dell’ingresso dei due protagonisti, si ha modo di vedere la minimale ma attenta scenografia scelta da Paolo Calafiore, che cura anche l’impianto luci, metafora, lo si capirà alla fine, di una certa condizione esistenziale moderna: si accumula e s’inscatola tutto, le cose, le idee, i sentimenti e le emozioni, forse, e purtroppo, anche le persone, ma non si trova mai il tempo, e il coraggio, di mettere in ordine. Un applauso convinto all’interpretazione che viene data dagli attori ai due personaggi; fin da subito vengono creati due “caratteri” che mettono in evidenza un modo di essere, agire e pensare, molto distanti, in antitesi, che

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difficilmente possono interagire uno con l’altro. Ed il rimando a certe problematiche attuali, alla difficile convivenza fra uomo e donna, al fatto che gli uni, spesso, non capiscono le altre e viceversa. In questo senso sia la drammaturgia che la recitazione fanno in modo di enfatizzare, di portare all’eccesso, alcune caratteristiche peculiari dei due mondi, andando a creare un’abile esca per il pubblico; in questo modo si crede di assistere ad una leggera rappresentazione di una normale serata fra un uomo ed una donna, ma poi ci si trova a dover fare i conti con la realtà, che non è solo quella che si vede recitata davanti ai propri occhi. Viaggiamo su binari paralleli, ma non riusciamo/vogliamo che questi s’incontrino e quando questo avviene spesso si tende a voler imporre la propria individualità sull’altro; siamo diversi, e sia, abbiamo un differente modo di affrontare la vita, voglie e bisogni dissimili, ma invece di vederci sbagliati e considerare la convivenza come un male necessario, potremmo partire dal presupposto che 1 più 1 fa sempre e comunque 2, e che il doppio, o l’unione, è sempre e comunque meglio del singolo, o della divisione. Provare a guardare con gli occhi dell’altro/a, anche se questo modo è un po’ “norvegese”, nel senso che è talmente strano e bizzarro, o semplicemente diverso, che non si pensava potesse essere così. Forse il consiglio dell’autore è soltanto questo: per vivere felici dovremmo essere tutti un po’ più “norvegesi”, sederci sul divano, rigorosamente posizionato di fronte alla finestra in modo da poter vedere fuori da essa, con al fianco una persona cara, magari abbracciarla, con le luci basse, farsi compagnia ed accettare, o meglio integrarsi, col mondo dell’altro/a. Semplice no? Ah, quasi dimenticavo, la storia: Sean e Lisa (o Lisedotte) si conosco una sera in pub, dove entrambi si sono recati da soli, e insieme vanno a casa di lui dove, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, non concludono la serata facendo sesso, ma dopo un acceso, intenso e scoppiettante dialogo, lo fanno in un tenero abbraccio, ballando (allo norvegese però) sulle note di una languida canzone… Resta il fatto che, dopo un’ora circa di spettacolo, il testo, e la bravura degli attori, hanno creato un’empatia tale col pubblico che rimane il rammarico perché si sarebbe voluto rimanere lì con loro ad ascoltarli ancora un po’. E questo penso sia il miglior complimento possibile che si possa fare.

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essere norvegesi Essere affamati. Lo è Lisa, svitata sulla trentina, leggera e dolce come una torta alla panna. Lo è Sean, quarantenne tormentato, segnato dalla vita, incapace di perdonare se stesso. Essere soli in un pub qualsiasi, in una città scozzese. Scegliersi, trascorrere una manciata di ore insieme, senza sapere niente l’uno dell’altra. Desiderare abbracci e carezze. Avere paura di lasciarsi andare.

È una notte scura, rischiarata da una luna tonda e piena, quella descritta da David Greig in “Essere Norvegesi”. La finestra, appena una silhouette, lascia entrare la luce naturale, illuminando debolmente un ambiente sciatto, luogo di trasloco perenne, interno che è difficile chiamare casa. La luce artificiale, che si fa gradatamente più soffusa, disegna l’imbarazzo, la ricerca di intimità, il rifiuto. Un divano rosso, unico elemento d’arredo, scatoloni sigillati, un vecchio stereo, una fotografia di famiglia definiscono uno spazio e un momento circoscritti, diventano gli spettatori inanimati di una serata qualunque.

Tacchi alti, capelli raccolti, lei (Elena Arvigo), ironica e insicura, cerca di rendersi affascinante inventando una provenienza straniera, un essere norvegese che significa amare il letargo invernale, preferire il silenzio, perdersi nel buio. Jeans neri, maglietta e tatuaggi, lui (Roberto Rustioni), schivo e diffidente, ha fatto dieci anni di galera, si è lasciato sfuggire moglie e figlio, sguscia goffamente dalle domande e dagli approcci. Non sono misteriosi, né interessanti, i due protagonisti, non hanno personalità prorompenti né avventure straordinarie da raccontare, solo errori da dimenticare e solitudini da colmare. La scrittura garbata, lieve di Greig, lascia fluire poco a poco insicurezze, delusioni, rimpianti, tra un bicchiere di vino scadente e una sigaretta. La regia di Rustioni sottolinea delicatamente i piccoli gesti e più decisamente i momenti di tensione. Dalle strette ostinate ai baci rubati, dalle canzoni sussurrate all’orecchio al dondolio danzante dei corpi. Dagli scatti d’ira all’ansia di coinvolgimenti emotivi, dal timore di raccontarsi allo sciogliersi delle rigidità. Essere estranei, eppure riconoscersi, guardarsi senza promettersi niente, sfiorarsi senza toccarsi. Essere affamati. Di un incontro che non è l’inizio di una storia, ma solo un timido, incerto, tenero incrocio di vite.

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Il teatro come uno spazio altro. O uno spazio altro che

diventa teatro. Questo accade in Essere Norvegesi, lo spettacolo

diretto da Roberto Rustioni e presentato nella rassegna “Stanze”,

ideata da Rossella Tansini e Alberica Archinto e giunta ora alla sua

seconda edizione. L’incontro fra geografia e teatro è una cifra

costante nella produzione del prolifico e poliedrico drammaturgo

scozzese David Greig: dagli esordi di Europe (1994) alle isole scozzesi

di Outlying Islands (2002) alla capitale siriana in cui è ambientato

Damascus (2003) alla San Diego americana, moderna e globale della

pièce eponima (2004). Con Being Norwegian (2007), Greig si interroga

sulla vera e propria costruzione di un’identità e di uno spazio altro:

non c’è nemmeno più bisogno di viaggiare. L’essere norvegesi è una

condizione esistenziale, che si può sperimentare persino in una casa

spoglia e disadorna. La pièce si adatta dunque particolarmente bene

all’atmosfera di “Stanze”, che porta gli spettacoli volta per volta

nell’intimità di una casa diversa; e persino il consueto momento

conviviale al termine dello spettacolo richiama l’analogo contesto nel

quale fu presentato Being Norwegian, cioè il progetto “A Play, a Pie

and a Pint”.

Entriamo nell’appartamento scelto per l’occasione accompagnati

dalle note di “Norwegian Wood” dei Beatles: “I once had a girl, or

should I say, she once had me”. L’attacco della canzone non potrebbe

essere più calzante per introdurci ai due protagonisti Sean e Lisa e

alla loro relazione, all’insegna del ribaltamento dei ruoli. Siamo in

Scozia: i due si conoscono una sera in un pub e finiscono presto a

casa di Sean. È una casa spoglia, ancora piena di scatoloni: ma la

vista dalla finestra, a Lisa, ricorda Oslo. Perché Lisa è norvegese, o

almeno così dice. Ed è convinta che anche Sean lo sia, perché tutto in

casa sua la fa pensare al suo paese. A colpi di “noi in Norvegia” e “noi

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norvegesi” Lisa costruisce uno spazio dell’immaginario per lei e Sean,

uno spazio in cui iniziare a conoscersi.

Sulle prime, però, Sean non sembra convinto. Ha un linguaggio

diverso e convenzionale per relazionarsi a Lisa: le offre del vino, le

chiede che musica le piaccia, si preoccupa che ci sia la luce giusta.

Ma Lisa incalza, vuole portarlo verso di sé. È lei, in realtà, quella che si

fa avanti mentre Sean è visibilmente spaesato: è appena uscito dal

carcere, ha perso ogni contatto con la sua famiglia e stenta a

riprendere una vita normale. Nella sua testa, dice, c’è ancora “un

grande buio”. Nessun problema, ribatte Lisa: “noi norvegesi siamo

abituati a vivere con il buio”. Sean però non cede e la frizione tra i due

arriva a una lite violenta: anche Lisa perde le staffe, “nessun uomo”

urla “è abbastanza per una vera donna norvegese”. Ma proprio la

disperazione di lei condurrà Sean a sciogliersi e i due potranno

essere finalmente “come due norvegesi che si incontrano in terra

straniera”.

Il testo di Greig ci invita a non dare nulla per scontato, a immaginare

ogni volta di nuovo lo spazio del nostro incontro con l’altro, a

costruirlo con parole semplici ma mai scontate. Una sfida a cui

rispondono con efficacia la regia e l’interpretazione di Roberto

Rustioni. Come nel riuscito Tre atti unici da Cechov (presentato lo

scorso dicembre al teatro I) Rustioni sceglie un linguaggio terso e

mai melodrammatico, anche nei momenti di maggiore tensione.

Complice l’ottima interpretazione di Elena Arvigo, nemmeno il

ritornello di Lisa – “Noi-in-Norvegia. Noi-norvegesi” – spezza il ritmo di

uno spettacolo che, pur intonato a un realismo quasi ossessivo, è un

invito a scorgere un angolo della nostra personalissima Norvegia in

una stanza d’appartamento milanese.

Sara Sullam

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La distanza dell'amore Fino a che punto ci si spinge nel rischio dellʼincontro? Quali sono le regole e i parametri del caso? Inutile fingere di interpellarsi senza convinzione, prima o poi si va in cerca delle proprie leggi, il paravento è visibile e lo si afferra a colpi verbali o di atti previsti dal ricordo dei propri bagagli più o meno rivelati.Nellʼappartamento in disarmo dove lo scozzese David Greig raccoglie le vite di Sean e Lisa nel suo Being Norwegian, la calca delle scatole e degli oggetti accatastati fa della provvisorietà una premessa di relazione. Il caso che ha fatto incontrare i due in un pub torna come opinione e regola di Lisa che non vorrebbe notare disordine e sporcizia, e nemmeno trangugiare il pessimo e unico vino rosso che Sean le offre. Quel che è stato conservato è serrato nelle scatole di cartone, il resto è sparso e inconsapevole quanto la spinta a ricercare solitudine guardando verso il pubblico, città illuminata da una luna urbana.

Così lʼinsistenza di Lisa a farsi conoscere per ironia e sentire norvegesi cozza con lʼimbarazzo rigido di Sean che ha persino timore a occupare il posto sul divano, mentre nasconde una vergogna sotterranea e accumulata come le cicche sul pavimento o le cassette dei gruppi rock che nessuno ascolta più. Elena Arvigo è allora lʼocchio assetato di bellezza, mentre Roberto Rustioni fa girare Sean come una trottola e non sa mai cosa sia bene rispondere, preferendo di gran lunga spostare lʼattenzione sul disturbo dellʼimpianto elettrico.Un corpo a corpo di voluti e inconsistenti attraversamenti delle mosse reciproche, ma anche una calamita che si spezza fino alla confessione del sospeso alle spalle, della presenza di un figlio mai più rivisto e incollato a una foto che Sean non vorrebbe spiegare. La scrittura di Greig lima leggerezze confuse che Arvigo ha tradotto e reso scenicamente quasi delineando i corteggiamenti di due belve timorose e in

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energetica quanto improbabile connessione. E quando Sean grida e respinge, per Lisa la repulsione è di un copione che si ripete, nonostante il coraggio dellʼaver scelto lʼunico uomo intento a leggere nel vuoto pneumatico di un locale. Vuoto che a fatica si riempie di verità fino al bisogno di difendere il buio dentro la testa, di ballare senza essere visti e destinare sempre alla stessa luna urbana la platea dellʼascolto.

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La rassegna TREND in scena nei teatri romani fino al 28 Aprile consente di vedere bravi attori, belli spettacoli ed autori stranieri per una carrellata di cultura da non perdere.Tra questi, il 13 e 14 Aprile al Teatro Belli è andato in scena Essere norvegesi di David Creig. Interpreti Roberto Rustioni ed Elena Arvigo, quest'ultima specialista nell'interpretare testi di autori anglosassoni e scandinavi.Lo scozzese autore della pièce coglie profondamente un aspetto della cultura europea molto distante dalla nostra visione mediterranea. Probabilmente, perché la Scozia ha da tempo immemore subito l'influenza culturale della Scandinavia, moltissimi scandinavi solcarono il mare e si fermarono in Scozia, ragion per cui il legame appare indissolubile.

L'incontro casuale di due persone in cerca della propria identità, un uomo e una donna, consente di navigare nello stato d'animo vagabondo che è sempre più presente nel nostro tempo. Un vagabondare lontano dallo spleen ed ancora di più da quell'insoddisfazione romantica. Il XXI° secolo, ed anche la chiusura del precedente della fine degli anni '90, sembra caratterizzato dall'apatia e dalla dissociazione. E i due sembrano pugili suonati che neanche riescono a colpirsi, dove lei rimarca la sua ironia e provenienza norvegese come gli ignavi inseguono la bandiera strappata.

Una realtà metropolitana e soprattutto del Nord Europa, luogo di altra cultura, bellissima, profonda, votata all'interiorità e alla natura, dove il pensare cosa esiste là fuori indica l'origine anglo-sassone.

Elena Arvigo è in Italia la migliore interprete di questi ruoli, di situazioni dove lo scavare interiore risulta preponderante rispetto alla trama, alla comicità. Infatti, il rendere i dialoghi, o i monologhi com'era capitato con Sarah Kane allo Studio Argot, con la caratteristica di essere paratattici, ossia gli argomenti sono posizionati su uno stesso piano e legati in maniera sequenziale senza gerarchie di interpretazione, ben si adatta alla sua capacità di trasmettere col corpo e con la voce il tremore che gli autori vogliono comunicare. Elena Arvigo sta a Glenn Gould come David Creig sta a Arnold Schönberg.