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190 M Macrosemiotica, n.f. Macrosémiotique, Macrosemiotics, Macrosemiótica Proponiamo di chiamare macrose- miotica ciascuno di quei due vasti in- siemi* significanti – quello che copre ciò che chiamiamo il mondo* naturale e quello delle lingue* naturali – che costituiscono il terreno delle semioti- che naturali. Semiotica Mancanza, n.f. Manque, Lack, Carencia 1. Fra le funzioni proppiane la man- canza – associata al “danno” (che pro- duce una mancanza, ma dall’esterno) causato dall’aggressore* – occupa una posizione essenziale nello svolgimento narrativo, poiché, secondo lo stesso V. Propp, è ciò che dà al racconto il suo “movimento”: la partenza dell’eroe*, la sua ricerca* e la sua vittoria permette- ranno, in effetti, che la mancanza sia colmata, il danno riparato. 2. Nello schema narrativo canonico derivato da Propp, la mancanza è l’e- spressione figurativa* della disgiunzio- ne* iniziale fra il soggetto* e l’oggetto* della ricerca: la trasformazione* che opera la loro congiunzione* (o la rea- lizzazione*) gioca un ruolo di pivot narrativo (permettendo di passare da uno stato di mancanza alla sua liquida- zione) e corrisponde alla prova decisi- va* (performanza*). Come si vede dun- que la mancanza non è propriamente una funzione*, ma piuttosto uno stato* che risulta, è vero, da un’operazione preliminare di negazione (situata al li- vello profondo*). Narrativo (schema –), Ricerca, Negazione Manifestazione, n.f. Manifestation, Manifestation, Manifestación 1. Nella tradizione saussuriana, più elaborata da L. Hjelmslev, il termine manifestazione, integrato nella dicoto- mia manifestazione/immanenza serviva in primo luogo da contrasto per mette- re in evidenza quello di immanenza. Il principio di immanenza*, essenziale per la linguistica (e, per estensione, an- che per la semiotica nel suo insieme) è insieme il postulato che afferma la spe- cificità di quell’oggetto linguistico che è la forma* e l’esigenza metodologica che esclude ogni ricorso ai fatti extra- linguistici. In questa prospettiva, essen- do la forma semiotica considerata co- me ciò che è manifestato, la sostanza* ne è la manifestante (o la manifestazio- ne) nella materia* (o il senso). 2. La considerazione della sola ante- riorità logica dell’immanenza sulla ma- nifestazione ha autorizzato di conse- guenza l’omologazione un po’ azzarda- ta di questa dicotomia con quelle di manifesto/latente o di esplicito/implici- to. L’opposizione del piano manifesto e del piano immanente del linguaggio è così apparsa come una formulazione hjeimsleviana, assimilabile all’ulteriore distinzione, stabilita dai generativisti, tra le strutture di superficie e le struttu- re profonde. 3. Tuttavia la cosa non è grave, poiché 02_034_07.qxp 12-04-2007 11:51 Pagina 190

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MMacrosemiotica, n.f. Macrosémiotique, Macrosemiotics,Macrosemiótica

Proponiamo di chiamare macrose-miotica ciascuno di quei due vasti in-siemi* significanti – quello che copreciò che chiamiamo il mondo* naturalee quello delle lingue* naturali – checostituiscono il terreno delle semioti-che naturali.

→ Semiotica

Mancanza, n.f. Manque, Lack, Carencia

1. Fra le funzioni proppiane la man-canza – associata al “danno” (che pro-duce una mancanza, ma dall’esterno)causato dall’aggressore* – occupa unaposizione essenziale nello svolgimentonarrativo, poiché, secondo lo stesso V.Propp, è ciò che dà al racconto il suo“movimento”: la partenza dell’eroe*, lasua ricerca* e la sua vittoria permette-ranno, in effetti, che la mancanza siacolmata, il danno riparato. 2. Nello schema narrativo canonicoderivato da Propp, la mancanza è l’e-spressione figurativa* della disgiunzio-ne* iniziale fra il soggetto* e l’oggetto*della ricerca: la trasformazione* cheopera la loro congiunzione* (o la rea-lizzazione*) gioca un ruolo di pivotnarrativo (permettendo di passare dauno stato di mancanza alla sua liquida-zione) e corrisponde alla prova decisi-va* (performanza*). Come si vede dun-que la mancanza non è propriamenteuna funzione*, ma piuttosto uno stato*che risulta, è vero, da un’operazione

preliminare di negazione (situata al li-vello profondo*).

→ Narrativo (schema –), Ricerca, Negazione

Manifestazione, n.f. Manifestation, Manifestation,Manifestación

1. Nella tradizione saussuriana, piùelaborata da L. Hjelmslev, il terminemanifestazione, integrato nella dicoto-mia manifestazione/immanenza servivain primo luogo da contrasto per mette-re in evidenza quello di immanenza. Ilprincipio di immanenza*, essenzialeper la linguistica (e, per estensione, an-che per la semiotica nel suo insieme) èinsieme il postulato che afferma la spe-cificità di quell’oggetto linguistico cheè la forma* e l’esigenza metodologicache esclude ogni ricorso ai fatti extra-linguistici. In questa prospettiva, essen-do la forma semiotica considerata co-me ciò che è manifestato, la sostanza*ne è la manifestante (o la manifestazio-ne) nella materia* (o il senso). 2. La considerazione della sola ante-riorità logica dell’immanenza sulla ma-nifestazione ha autorizzato di conse-guenza l’omologazione un po’ azzarda-ta di questa dicotomia con quelle dimanifesto/latente o di esplicito/implici-to. L’opposizione del piano manifesto edel piano immanente del linguaggio ècosì apparsa come una formulazionehjeimsleviana, assimilabile all’ulterioredistinzione, stabilita dai generativisti,tra le strutture di superficie e le struttu-re profonde. 3. Tuttavia la cosa non è grave, poiché

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Manipolazione

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la manifestazione, concepita come lapresentificazione della forma* nella so-stanza* presuppone preliminarmente lasemiosi* (o l’atto semiotico) che con-giunge le due forme dell’espressione* edel contenuto* ancor prima, per cosìdire, della loro realizzazione materiale.La manifestazione è dunque, e anzitut-to, la formazione del livello dei segni*,o, se si vuole, (e grossolanamente) lapostulazione del piano dell’espressioneal momento della produzione dell’e-nunciato* e, all’inverso, l’attribuzionedel piano del contenuto al momentodella sua lettura. L’analisi immanentedi una semiotica è allora lo studio diciascuno dei due piani del linguaggiopresi separatamente. 4. Ne deriva che le due coppie opposi-zionali: immanenza/manifestazione eprofondità/superficie non sono né omo-logabili né sovrapponibili. I differentilivelli* di profondità che si possono di-stinguere sono articolazioni della strut-tura immanente di ciascuno dei duepiani del linguaggio (espressione e con-tenuto) presi separatamente e secondolo scaglionamento del loro percorso ge-nerativo*: la manifestazione è al contra-rio una incidenza, una interruzione euna deviazione, che obbliga un’istanzaqualsiasi di questo percorso a costituir-si in uno dei piani dei segni. Per usareuna cattiva metafora, è un po’ comeun’interruzione volontaria della gravi-danza. Quando il linguista analizza lestrutture profonde e vuole renderneconto con l’aiuto di un sistema* di rap-presentazione qualsiasi, egli arresta, fis-sa, a un dato momento, il percorso ge-nerativo, e manifesta allora le struttureimmanenti monoplanari servendosi diun concatenamento di segni biplanari(o di simboli interpretabili). Allo stessomodo può essere stabilita la distinzionefra il discorso astratto e il discorso figu-rativo, tenuto conto dell’interruzione,seguita da manifestazione, del percorsogenerativo in due momenti distinti delprocesso di produzione.

5. Nel quadro delle modalità veriditti-ve*, lo schema della manifestazione èquello dell’apparire/non apparire, in op-posizione (e complementarità) con loschema dell’immanenza (essere/non es-sere), senza che peraltro simili denomi-nazioni implichino una presa di posi-zione ontologica.

→ Immanenza, Profonda (struttura –),Superficie (struttura di –),

Veridittive (modalità –)

Manipolazione, n.f. Manipulation, Manipulation,Manipulación

1. A differenza dell’operazione* (inquanto azione dell’uomo sulle cose), lamanipolazione si caratterizza come un’a-zione dell’uomo su altri uomini, ten-dente a far loro eseguire un dato pro-gramma: nel primo caso si tratta di un“far-essere”, nel secondo di un “far-fa-re”; queste due forme di attività, dellequali una si inscrive sulla dimensionepragmatica*, l’altra sulla dimensionecognitiva*, corrispondono a strutturemodali di tipo fattitivo*. Proiettate sulquadrato semiotico, la manipolazione,in quanto far-fare, dà luogo a quattropossibilità:

far-fare far non fare(intervento) (impedimento)

non far non fare non far fare(lasciar fare) (non intervento)

2. In quanto configurazione* discorsi-va, la manipolazione è sottesa sia dauna struttura* contrattuale, sia da unastruttura modale. Si tratta, infatti, di una comunicazione*(destinata a far-sapere) in cui il desti-nante-manipolatore spinge il destinata-rio-manipolato verso una posizione dimancanza di libertà (non poter non

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fare), al punto che quest’ultimo è obbli-gato ad accettare il contratto proposto.Così, ciò che è in gioco, a prima vista, èla trasformazione della competenza*modale del destinatario-soggetto: se es-so, per esempio, congiunge a un nonpoter non fare un dover fare, si avrà chefare con la provocazione o con l’intimi-dazione, se gli congiunge un voler fare,si tratterà allora piuttosto di seduzioneo di tentazione. 3. Situata sintagmaticamente tra il vo-lere del destinante* e la realizzazioneeffettiva, da parte del destinatario-sog-getto, del programma* narrativo (pro-posto dal manipolatore), la manipola-zione agisce sulla persuasione, artico-lando il fare persuasivo del destinante eil fare interpretativo* del destinatario.– a) Il manipolare può esercitare il suofare persuasivo appoggiandosi sullamodalità del potere*: sulla dimensionepragmatica*, egli proporrà allora al ma-nipolato degli oggetti positivi (valoriculturali) o negativi (minacce). In altricasi egli persuaderà il destinatario gra-zie al sapere*: sulla dimensione cogniti-va*, gli farà allora sapere ciò che pensadella sua competenza modale sotto for-ma di giudizi positivi o negativi. Si vedecosì che la persuasione per mezzo delpotere caratterizza la tentazione (quan-do viene proposto un oggetto di valorepositivo) e l’intimidazione (presentan-do un oggetto negativo), mentre quellache usa il sapere è propria della provo-cazione (con un giudizio negativo: “Tusei incapace di ...”) e della seduzione(con un giudizio positivo). – b) Il manipolato è indotto a esercitarecorrelativamente un fare interpretativoe a scegliere necessariamente sia tra dueimmagini della sua competenza – posi-tiva nel caso della seduzione, negativanel caso della provocazione – se si trat-ta di una manipolazione sul sapere, siatra due oggetti di valore – positivo nellatentazione, negativo nell’intimidazione–, se la manipolazione gioca sul potere.(Ben inteso, una tale tipologia elemen-

tare delle forme della manipolazione èprovvisoria; essa abbozza solo una dire-zione di ricerca.) 4. A livello della competenza modaledel destinatario, tenendo conto dellasola modalità del poter-fare, sono pre-viste quattro posizioni:

poter-fare poter non fare(libertà) (indipendenza)

non poter non fare non poter-fare(obbedienza) (impotenza)

A partire da questa lessicalizzazione(indicata tra parentesi) approssimativadi alcune strutture modali, si può pro-porre di classificare delle specie di sot-to-codici dell’onore (all’interno del no-stro universo socioculturale) messi ingioco dalla manipolazione (dal punto divista del destinatario-soggetto): codicidella “sovranità” (libertà + indipenden-za), della “sottomissione” (obbedien-za + impotenza), dell’“orgoglio” (liber-tà + obbedienza) e della “umiltà” (indi-pendenza + impotenza). L’azione, cheil destinatario manipolato realizzerà, alseguito della manipolazione del desti-nante, diventa allora per il destinatarioun semplice programma* narrativod’uso, mentre il suo programma narra-tivo di base sarebbe la congiunzionecon l’onore (nel caso di una manipola-zione che si svolga sul piano del sape-re), o con un oggetto di valore dato (sela manipolazione poggia sul potere). 5. In quanto far-fare, la manipolazionesembra doversi inscrivere tra le compo-nenti essenziali dello schema narrativo*canonico. Il sistema di scambio*, o, piùesattamente, il contratto* che vi si regi-stra, è preso in carico, per così dire, aun livello gerarchicamente superiore,dalla struttura della manipolazione: inquesto caso, in effetti, il rapporto tra ilDestinante e il Destinatario non è di pa-rità (come nella semplice operazione discambio, in cui entrano in gioco due

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Marcatore

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soggetti forniti di competenze di gradocomparabile), ma da superiore a infe-riore; d’altra parte, la manipolazionerealizzata dal Destinante invocherà lasanzione* del Destinante-giudicante, el’una e l’altra operazione si situano sul-la dimensione cognitiva (mentre la per-formanza* del destinatario-soggetto sirealizza sul piano pragmatico). 6. Anche se, come si è notato, l’analisidella manipolazione non è che agli inizi,si può prevedere tuttavia, trasportando-la dal piano dei racconti a quello dellepratiche* semiotiche, l’elaborazione diuna vera e propria semiotica della mani-polazione (in relazione a una semioticadella sanzione e a una semiotica dell’a-zione), di cui si sa almeno che spazio im-portante occupi nelle relazioni umane.Tale semiotica dovrebbe costituirsi apartire dal percorso narrativo del Desti-nante iniziale, e tener conto non solodella manipolazione del soggetto – dicui abbiamo appena fatto qualcheesempio – ma anche di quella dell’anti-soggetto (con la strategia dell’astuziache permetta, per esempio, operazionidi “recupero”, di “incastro” ecc.).

→ Modalità, Fattitività, Persuasivo(fare –), Narrativo (schema –),

Narrativo (percorso –)

Marca, n.f. Marque, Mark, Marca

1. Nel senso più generale, la marca èl’inscrizione di un elemento* supple-mentare eterogeneo su di (o in) unaunità o un insieme, e serve come segnodi riconoscimento*. In questa accezio-ne si parlerà, per esempio, delle marchedell’enunciazione* nell’enunciato*. 2. In linguistica, l’opposizione marca-to/non marcato è largamente diffusa.La fonologia utilizza così il concetto dimarca per distinguere le unità, a se-conda che siano caratterizzate dallapresenza* o dall’assenza* di un tratto

distintivo* (essendo b sonora e p nonsonora, si dirà, da questo punto di vi-sta, che b è marcata e p non marcata);la marca di correlazione sarà quellache permette di distinguere diversecoppie di fonemi* (dato che la seriesonora b, d, g, v, z si oppone a quellanon sonora p, t, k, f, s). Anche nella sintassi frastica, la marca èlargamente utilizzata, per lo studio dideterminate categorie* grammaticalicome il genere (“carino”: non marcato;“carina”: marcato) o il numero (il sin-golare è non marcato, il plurale è mar-cato). 3. Seguendo V. Propp, si intenderàcon marca o marchio, nell’analisi narra-tiva dei discorsi, un segno materiale –come oggetto, ferita ecc. – che attestaagli occhi del Destinante che la provadecisiva*, compiuta secondo la moda-lità del segreto*, è stata realizzata posi-tivamente dall’eroe*: da questo puntodi vista, il riconoscimento* presuppo-ne, nello schema narrativo*, l’attribu-zione di una marca che permetta di pas-sare dal segreto alla rivelazione del ve-ro*. In quanto segno di riconoscimen-to, la marca si inscrive dunque nella di-mensione cognitiva* e mette in gioco lemodalità veridittive*: in effetti, la mar-ca è “ciò che appare” nella posizioneveridittiva del segreto (essere + non ap-parire) e costituisce la condizione ne-cessaria della trasformazione del segre-to in verità.

→ Riconoscimento

Marcatore, n.m. Démarcateur, Demarcator, Demarcador

Si chiama marcatore una grandezza*semiotica che, pur tenendo conto delsuo valore specifico, serve da criterioper la delimitazione di un’unità sintag-matica.

→ Segmentazione, Disgiunzione

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Materia

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Materia, n.f. Matière, Purport, Materia

Per designare il materiale primo grazieal quale una semiotica, in quanto for-ma* immanente, si trova manifestata,L. Hjelmslev usa indifferentemente itermini materia o senso (in inglese: pur-port) applicandoli insieme ai due “ma-nifestanti” del piano dell’espressione* edel piano del contenuto*. La sua preoc-cupazione di non-impegno metafisico èqui evidente: i semiologi possono dun-que scegliere a loro piacimento una se-miotica “materialista” o “idealista”.

→ Senso, Sostanza

Matrice, n.f. Matrice, Matrix, Matriz

Sotto forma di rettangolo diviso in co-lonne e righe la matrice è uno dei modipossibili della rappresentazione* di da-ti nell’analisi di tipo tassonomico*, pa-ragonabile alla rappresentazione ad al-bero* o alle parentesi*.

Menzogna, n.f. Mensonge, Lie, Mentira

Nel quadrato* semiotico delle modalitàveridittorie, si designa con il nome dimenzogna il termine complementare*che sussume i termini di non-essere e diapparire situati sulla deissi* negativa.

→ Veridittive (modalità –), Quadrato semiotico

Messaggio, n.m. Message, Message, Mensaje

1. Nella teoria dell’informazione* ilmessaggio, trasmesso da un emittente*a un ricevente* per mezzo di un cana-le*, è una sequenza di segnali*, organiz-

zata in conformità alle regole di un co-dice*: esso presuppone pertanto delleoperazioni di codifica* e di decodifi-ca*. Nell’ambito ristretto della comuni-cazione linguistica, per esempio, il mes-saggio corrisponderà all’enunciato*considerato dal solo punto di vista delpiano dell’espressione* (o del signifi-cante*), a esclusione dei contenuti* in-vestiti. 2. Nello schema della comunicazione asei funzioni proposto da R. Jakobson, ladicotomia codice/messaggio può esse-re considerata come una reinterpreta-zione dell’opposizione saussuriana lan-gue/parole, e il messaggio appare alloracome il prodotto del codice (senza chetuttavia sia tenuto in conto il processodi produzione). 3. La situazione del messaggio comehic et nunc dell’atto* di linguaggio puòessere riformulata in termini di enun-ciazione*: in questo caso, il messaggiodiviene sinonimo di enunciato, e inclu-de allora il significante e il significato*.

→ Comunicazione

Metafora, n.f. Métaphore, Metaphor, Metáfora

1. Nella retorica*, la metafora designa-va una delle figure (chiamate tropi*)che “modificano il senso delle parole”.Attualmente questo termine è impiega-to in semantica lessicale o frastica perdenominare il risultato della sostituzio-ne* – operata su uno sfondo di equiva-lenza* semantica –, in un contesto dato,di un lessema con un altro. La letteratu-ra consacrata alla problematica dellametafora potrebbe costituire da solauna biblioteca, e dunque ne daremo so-lo un rapido scorcio: ci accontenteremodi qualche osservazione relativa al suoruolo e al suo funzionamento nel qua-dro della semiotica discorsiva. 2. Considerata dal punto di vista delle“strutture di ricezione” la metafora ap-

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Metafora

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pare come un corpo estraneo (comeuna “anomalia”, nella prospettiva gene-rativista) la cui leggibilità resta sempreambigua anche se è garantita dal per-corso discorsivo all’interno del quale siinscrive (i semi contestuali*, integran-dolo, lo costituiscono in semema*): illessema metaforico si presenta comeuna virtualità di letture* multiple, masospese dalla disciplina discorsiva, purprovocando un effetto di senso di “ric-chezza” o di “spessore” semantici. (Larosa, messa al posto di “fanciulla” saràletta, evidentemente, come “fanciulla”,sviluppando per un istante le virtualitàdi profumo, di colore, di forma, ecc.della rosa.) 3. Dal punto di vista delle sue origini,la metafora evidentemente non è unametafora, ma un lessema qualsiasi;avulsa dal suo contesto, va consideratacome una figura* (nucleare*) che forsetrasporta con sé, al momento del suotrasferimento, qualche sema dipenden-te dal suo contesto d’origine (ma non ilsema contestuale vegetale, per esempio,nel caso del trasferimento di “rosa”,per quanto questo punto sia discutibi-le). Questa traslazione delle figure les-sematiche rende conto del fatto che ildiscorso di ricezione tende a sviluppar-si in discorso figurativo*. 4. Nella prospettiva del percorso gene-rativo* del discorso, è la metaforizza-zione (e non la metafora) come proce-dura di produzione discorsiva che so-prattutto ci interessa. R. Jakobson haavuto ragione di attirare l’attenzionesull’aspetto paradigmatico* di questaprocedura. In effetti la metaforizzazio-ne, in quanto sostituzione di un indivi-duo semiotico con un altro, presuppo-ne l’esistenza di un paradigma di sosti-tuzione. In questo senso si può dire chetutti i sememi di una lingua, che possie-dono almeno un sema comune (o iden-tico), costituiscono virtualmente un pa-radigma di termini sostituibili (il che hapermesso a F. Rastier di affermare chequesto sema iterativo era costitutivo di

una isotopia*). Tuttavia, ed è allora chela tesi jakobsoniana diventa discutibile– le relazioni paradigmatiche hannosenso solo in quanto sono creatrici disenso, o detto altrimenti, in quantocreatrici – per mezzo di opposizioni nelquadro di ogni paradigma fra ciò che ildiscorso conserva e ciò che esclude – didifferenze*, che è il solo modo di con-cepire, da F. de Saussure in poi, la pro-duzione della significazione* e/o la pos-sibilità di coglierla. Al contrario, la “fun-zione poetica” jakobsoniana consistenella manifestazione, attraverso la pro-cedura di sostituzione, non di paradig-mi di differenze, ma di paradigmi di so-miglianze*, cioè, di fatto, nell’abolizio-ne del senso (non è in effetti a questatotalizzazione del senso, a questo ritor-no della significazione al senso origina-le che tendono le “corrispondenze”baudelairiane?). Può darsi che il discor-so poetico miri, con le sue ridondanze,all’abolizione del senso: in ogni casonon vi perviene grazie (o a causa) all’as-se sintagmatico* che riesce a mantenerela significazione nel suo stato, attraver-so l’elaborazione di isotopie figurative. 5. L’interpretazione della metaforizza-zione come una sostituzione paradig-matica delle figure, ottenuta, su una ba-se semica comune, con la sospensionedi altri semi della stessa figura, permet-te di spiegare contemporaneamente al-tre “anomalie” del funzionamento se-mantico dell’enunciato*. Il sema, comesi sa, non è un atomo di senso, ma il ter-mine* di una categoria* semica: perciòla procedura di sostituzione che, invecedi riprendere lo stesso sema, cercheràdi imporre il sema contrario (o contrad-dittorio) appartenente alla stessa cate-goria semica, avrà l’effetto di produrreuna antifrasi* (si dice “vecchio mio” ri-volgendosi a un bambino, o “regolo”parlando del più piccolo degli uccelli).Inoltre, i semi fanno parte di costruzio-ni ipotattiche* chiamate sememi: se, almomento della procedura di sostituzio-ne, il sema scelto come operatore di so-

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Metalinguaggio

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stituzione è rimpiazzato da un semaipotattico (o ipertattico) appartenenteallo stesso semema, il risultato dell’ope-razione potrà essere chiamato metoni-mia* (una specie di metafora deviante).Non si tratta, evidentemente, di defini-zioni “reali”, ma di indicazioni sul mo-do di formulare le risposte che la se-mantica può dare alla problematica del-le figure* retoriche. 6. Dal punto di vista della semiotica di-scorsiva, queste procedure di sostitu-zione semantica ci interessano soprat-tutto in quanto connettori* di isotopie.Se la metafora funziona normalmentenell’ambito della frase e può essere col-ta e descritta in questo contesto, essadiventa un fatto discorsivo solo quandoè prolungata o “filata”, o, detto altri-menti, quando costituisce una isotopiafigurativa transfrastica. Le proceduredi sostituzione paradigmatica che ab-biamo appena passato in rassegna, sipresentano allora come degli operatoridi collegamento di isotopie, e poi, a in-tervalli regolari, come dei conservatorio connettori di isotopie, che riallaccia-no le une alle altre, rinviando le isotopiefigurative ad altre isotopie figurative e aisotopie tematiche più astratte. Parlan-do di una isotopia semantica, conside-rata come isotopia di base, si possonodesignare, secondo la natura della con-nessione – metafora, antifrasi, antino-mia ecc. – le altre isotopie del discorsocome metaforiche, antifrastiche, meto-nimiche ecc.

→ Figura, Analogia, Poetica, Antifrasi,Isotopia, Connettore di isotopie

Metalinguaggio, n.m. Métalangage, Metalanguage,Metalenguaje

1. Il termine metalinguaggio è stato in-trodotto dai logici, della Scuola diVienna (R. Carnap) e soprattutto dellaScuola polacca, che hanno sentito il bi-

sogno «di distinguere nettamente la lin-gua della quale parliamo dalla linguache parliamo» (A. Tarski). Il concettocosì creato è stato in seguito adattato aibisogni della semiotica da L. Hjelmsleve a quelli della linguistica da Z. Harris.Il morfema “meta-” serve così a distin-guere due livelli* linguistici, quello dilinguaggio*-oggetto e quello di meta-linguaggio. 2. È sufficiente osservare il funziona-mento delle lingue* naturali per accor-gersi che esse hanno la particolarità dipoter parlare non soltanto delle “cose”,ma anche di se stesse, e che esse possie-dono, secondo R. Jakobson, una fun-zione* metalinguistica. L’esistenza diun gran numero di espressioni metalin-guistiche nelle lingue naturali pone al-meno due ordini di problemi: – a) da un lato, l’insieme di questeespressioni, una volta riunite, costituiràun metalinguaggio? Detto altrimenti,esso possiederà le caratteristiche fonda-mentali che definiscono una semioti-ca*? – b) d’altra parte, l’esclusione di tutte lefrasi metalinguistiche permetterà di ot-tenere un puro linguaggio di denotazio-ne*? Si tratta di domande alle quali è diffici-le rispondere positivamente. Si può so-stenere con una certa sicurezza il carat-tere estremamente complesso delle lin-gue naturali, capaci di contenere al lorointerno un gran numero di microuni-versi* e produttive di discorsi* diversi-ficati e quasi autonomi*. 3. Dopo aver riconosciuto la ricchezzae l’importanza degli elementi metalin-guistici nelle lingue naturali, Harris hapostulato la possibilità, per una linguadata, di descrivere se stessa, e inoltre lapossibilità, per il linguista, di costruireuna grammatica* come una metalin-gua, servendosi di materiali situati nellalingua-oggetto. Tale atteggiamento halasciato probabilmente delle tracce nel-la linguistica americana e spiega, in par-te, una certa indifferenza della semioti-

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Metalinguaggio

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ca generativa*, per esempio, per unaconcettualizzazione rigorosa del lin-guaggio di descrizione* che utilizza. 4. Anche E. Benveniste considera lametalingua come “la lingua della gram-matica”, ma le conseguenze che si pos-sono trarre da questa constatazione so-no del tutto diverse. Se invece di co-struire ex nihilo delle nuove teorie lin-guistiche si vuole assumere pienamentel’eredità della grammatica comparati-va*, allora le riflessioni sulle condizionidella comparabilità delle lingue ci obbli-gano ad ammettere che i concetti gram-maticali utilizzati a questo fine devononecessariamente trascendere le linguenaturali prese in esame; la possibili-tà della comparazione pone, dal cantosuo, il problema dell’esistenza degli u-niversali (primitivi/universali*) lingui-stici. In questo caso, il metalinguaggionon può essere che esterno alla lingua-oggetto, e dev’essere concepito comeun linguaggio artificiale, e comportareproprie regole di costruzione. È in que-sto senso che va interpretato lo sforzoteorico di Hjelmslev, per il quale il me-talinguaggio è una semiotica, cioè unagerarchia* – non di parole o di frasi –ma di definizioni*, suscettibili di pren-dere la forma sia del sistema* sia delprocesso* semiotico. La costruzionegerarchica perviene all’inventario deiconcetti ultimi, non definibili (che sipossono considerare come universaliipotetici*), e può allora costituirsi unaassiomatica*, a partire dalla quale la de-duzione* sarà in grado di produrre lalinguistica* come un linguaggio forma-le*, come una “pura algebra”. 5. Così concepito il metalinguaggio sipresenta allora come un linguaggio didescrizione (nel senso vasto e neutro diquesto termine). Come tale, esso puòessere rappresentato sotto la forma dimolteplici livelli metalinguistici so-vrapposti, essendo ogni livello capace –secondo la tradizione della Scuola po-lacca – di mettere in discussione e fon-dare al tempo stesso il livello immedia-

tamente inferiore. Abbiamo propostotempo fa di distinguere tre livelli: de-scrittivo*, metodologico* e epistemolo-gico*; quest’ultimo controlla l’elabora-zione delle procedure* e la costruzionedei modelli*, mentre il livello metodo-logico fa a sua volta da supervisore aglistrumenti concettuali della descrizionestricto sensu. 6. Conviene mantenere una distinzioneanche fra il metalinguaggio e il linguag-gio di rappresentazione* di cui ci si ser-ve per manifestarlo. Si sa che diversimodi di rappresentazione – come la pa-rentesizzazione*, la rappresentazionead albero*, la riscrittura* ecc. – sonoomologabili, e che sono maniere diffe-renti di rappresentare lo stesso fenome-no, la stessa “realtà”. È come se questilinguaggi di rappresentazione si trovas-sero rispetto al metalinguaggio in unarelazione paragonabile a quella degli al-fabeti latino, greco, arabo con la linguanaturale scritta che essi traducono. 7. La problematica del metalinguag-gio, così come è stata riassunta qui so-pra, si inscrive in un quadro limitato:essa concerne solo le lingue naturali, –considerate come delle lingue-oggetto,e il metalinguaggio di cui si tratta è piùo meno coestensivo alla grammatica (oalla teoria grammaticale). La semioti-ca*, in quanto teoria dell’insieme dei“sistemi di significazione”, deve andareal di là di questo ambito. È banale, peresempio, dire che le lingue naturali so-no capaci di parlare non soltanto di sestesse, ma anche di altre semiotiche(pittura, musica ecc.). Come si vede inquesto caso, determinate zone all’inter-no delle lingue naturali devono essereconsiderate metalinguistiche, o piutto-sto metasemiotiche, rispetto alle semio-tiche di cui esse parlano. Si pone alloraalla semiotica il problema dei metalin-guaggi non scientifici, in concorrenzacon l’elaborazione di un metalinguag-gio (a vocazione) scientifico(a) di cuiessa necessita. L’insieme delle relazionitra la linguistica e la semiotica generale

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Metasapere

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(o semiologia*) si trova così rimesso inquestione.

→ Livello, Rappresentazione,Semiotica, Primitivi/Universali

Metasapere, n.m. Métasavoir, Metaknowledge, Metasaber

A differenza del sapere, che porta sulfare pragmatico di un soggetto dato, ilmetasapere è il sapere che un soggettoha sul sapere di un altro soggetto. Puòessere sia transitivo* (quando si trattadel sapere che S1 può avere sul saperedi S2 e che sfocia nel fare di S2) sia ri-flessivo* (quando si tratta del sapere diS1 che porta sul sapere di S2 relativo alfare pragmatico di S1).

A. 1. Il metasapere o il sapere riflessivo(J. Piaget) riflette l’esistenza di unacompetenza* autoregolativa, di un sa-per-fare operativo* (di un “saper-sa-per-fare”). Così, un soggetto* d’azionedotato di un metasapere deve avere asua disposizione, in primo luogo, le re-gole costitutive della coordinazionedelle varie trasformazioni*, semplici ocomplesse, investite in programminarrativi* specifici, i quali, a loro vol-ta, articolano le forme (o, secondo J.Piaget, gli schemi astratti) dell’azione*e dell’interazione*. In secondo luogo,lo stesso soggetto deve avere a sua di-sposizione le regole che determinanole relazioni* tra tutti quegli stati* (se-mionarrativi) coinvolti nel coordina-mento delle varie trasformazioni sem-plici e complesse. 2. Da un punto di vista (morfo-)geneti-co* il metasapere indica la realizzazionedella formazione dell’intelligenza ope-rativa* (classificatrice* e programma-trice*), vale a dire il compimento dellastrutturazione progressiva della compe-tenza* semionarrativa. (P. S.)

B. Il concetto di metasapere, talvolta anchedenominato “ipersapere” (per evitare leconfusioni legate alle interpretazioni delprefisso “meta”), permette di definirel’informazione* come un sapere sussun-to da un ipersapere, e gli attanti infor-matori* e osservatori* come soggetti co-gnitivi la cui competenza comporta unipersapere che verte sulla circolazione ola fabbricazione dei saperi nell’enuncia-to. La figura del “segreto”, per esempio,instaura un osservatore esclusivamentese quest’ultimo sa, quanto meno, “chec’è qualcosa da sapere”. (J.F.)

→ Sapere

Metasemema, n.m. Métasémème, Metasememe,Metasemema

A differenza dei sememi* che compor-tano una figura* semica e una base clas-sematica, i metasememi manifestanosoltanto delle combinazioni di semi con-testuali (cfr., al livello lessicale, e in ita-liano, le congiunzioni e, o; gli avverbirelazionali più, meno ecc.).

→ Contesto

Metasemiotica, n.f. Métasémiotique, Metasemiotics,Metasemiótica

Nell’ambito delle semiotiche pluripla-nari* L. Hjelmslev distingue le semioti-che connotative* (non scientifiche) dal-le metasemiotiche (che sono delle se-miotiche scientifiche), e quest’ultimesono: – a) scientifiche quando la semiotica-oggetto di cui trattano è una semioticascientifica (come la logica, la matemati-ca, la linguistica ecc.): esse dipendonoallora dalla problematica del metalin-guaggio;

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Metonimia

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– b) non scientifiche quando la semioti-ca-oggetto non è scientifica: in questo ca-so, Hjelmslev parla di semiologie*; la me-tasemiotica non scientifica corrispondealla nostra definizione della semiotica.

→ Semiotica, Metalinguaggio,Semiologia

Metatermine, n.m. Métaterme, Metaterm, Metatérmino

Ogni relazione*, presa come asse* se-mantico, è costitutiva di una categoria*che comporta almeno due termini*.Tuttavia la relazione – considerata in sestessa – può essere presa come termine:contraendo allora una relazione con unaltro termine della stessa natura, si co-stituirà in categoria di livello gerarchica-mente superiore, i cui termini-relazionesaranno chiamati, per distinguerli daitermini semplici, metatermini. Così, lerelazioni di contrarietà, che caratteriz-zano gli assi dei contrari e dei subcon-trari*, sono dei metatermini contrari,costitutivi di una categoria di contrad-dittori*. Allo stesso modo le relazioni dicomplementarità, attraverso cui si defi-niscono le deissi* positiva e negativa,sono dei metatermini complementari,costitutivi di una categoria di contrari.

→ Quadrato semiotico, Contrarietà,Complementarità

Metodo, n.m. Méthode, Method, Método

1. Per metodo si intende abitualmenteuna serie programmata di operazionitendente a ottenere un risultato confor-me alle esigenze della teoria. In questosenso, il termine di metodo è quasi si-nonimo a quello di procedura; metodiparticolari, esplicitati* e ben definiti,con un valore generale, sono assimilabi-li a delle procedure di scoperta*.

2. La metodologia – o il livello meto-dologico della teoria semiotica – consi-ste allora nell’analisi, mirante a garanti-re la loro coerenza* interna, dei concet-ti* operativi (come elemento, unità, clas-se, categoria ecc.) e delle procedure*(come l’identificazione, la segmentazio-ne, la sostituzione, la generalizzazioneecc.), che sono serviti a produrre la rap-presentazione* semantica di una semio-tica-oggetto. La metodologia deve esse-re distinta dall’epistemologia, destinataa sua volta a garantire il linguaggio me-todologico.

→ Teoria, Semiotica, Epistemologia

Metonimia, n.f. Métonymie, Metonymy, Metonimia

1. Tradizionalmente, la figura* retori-ca chiamata metonimia (che include ilcaso più particolare della sineddoche),designa il fenomeno linguistico secon-do il quale a una unità frastica data vie-ne sostituita un’altra unità che le è “le-gata” (in un rapporto di contenente acontenuto, di causa a effetto, della par-te al tutto ecc.). 2. Interpretata nel quadro della semanti-ca* discorsiva, la metonimia è il risultatodi una procedura di sostituzione* tramitela quale si rimpiazza, per esempio, un se-ma* dato con un altro sema ipotattico* (oipertattico): i due semi in questione ap-partengono beninteso allo stesso seme-ma*. Da questo punto di vista si può con-siderare la metonimia come una metafora“deviante”: C. Lévi-Strauss ha infatti no-tato che, nel pensiero mitico, «ogni me-tafora termina in metonimia», e che ognimetonimia è di natura metaforica. La sua osservazione è facilmente inter-pretabile se si tiene conto del fatto chein queste due figure retoriche si produ-ce in effetti un fenomeno di sostituzionesu una base di equivalenza* semantica.

→ Metafora

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Microuniverso

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Microuniverso, n.m. Microunivers, Microuniverse,Microuniverso

Nell’impossibilità in cui si trova la se-mantica* di descrivere l’universo se-mantico nella sua totalità – sarebbe, ineffetti, coestensivo a tutta la cultura* diuna comunità etnolinguistica –, si è ob-bligati a introdurre il concetto operati-vo* di microuniverso, intendendo conesso un insieme semantico, suscettibiledi essere articolato alla base da una ca-tegoria* semantica (quella di vita/mor-te, per esempio) e sotto-articolato da al-tre categorie che sono iponimicamen-te* o ipotassicamente* subordinate allaprima. Un simile microuniverso generadei discorsi in cui trova la propriaespressione sintagmatica. È il concettodi isotopia* – intesa come il fascio dicategorie comuni all’insieme del discor-so – a permettere di stabilire la corri-spondenza fra un microuniverso e il di-scorso che se ne fa carico: le categorie,costitutive dell’isotopia, possono essereidentificate con quelle che articolanotassonomicamente* il microuniverso.

→ Universo

Mitico (discorso –, livello –), agg. Mythique (discours –, niveau –),Mythical (Discourse, Level), Mitico (discurso –, nivel –)

1. Si qualifica come mitica una classedi discorsi dipendenti dall’etnolettera-tura, o un livello discorsivo soggiacentee anagogico, riconoscibile al momentodella lettura del suo livello pratico (chesi presenta come un racconto d’azionecon gli attori che vi sono implicati). 2. Nella sua analisi strutturale del mitodi Edipo, C. Lévi-Strauss giunge a con-siderare che la lettura del livello pratico(il termine non è suo) è orizzontale(cioè sintagmatica), mentre l’interpre-tazione del livello mitico è verticale,

d’ordine paradigmatico, permettendodi riconoscere, per il loro ricorrere neltesto di superficie, una organizzazionedei contenuti* che può essere formula-ta come la messa in correlazione* didue categorie* binarie di semi* con-traddittori* o contrari*. Una simile in-terpretazione ha permesso di rendersiconto dell’esistenza, nella profonditàdel discorso, di strutture semiotichecomportanti una sintassi* e una seman-tica* fondamentali; al tempo stesso essaha fatto perdere al discorso mitico lasua specificità: strutture semiotiche si-mili reggono i discorsi poetici, oniriciecc. Da allora la dicotomia pratico/miti-co cessa di essere operativa: il livellopratico si identifica con il piano figura-tivo* del discorso, mentre il livello mi-tico corrisponde, nel percorso genera-tivo*, alle organizzazioni semioticheprofonde*. 3 Le ricerche di M. Détienne hannomostrato che il mito è una categoria re-lativa, costruita dalla riflessione greca,poi sviluppata in seno all’antropologiaoccidentale moderna nell’ambito diuna rimessa in gioco dei valori di veritàdi certi racconti (v. Convalida). Ci sipuò quindi domandare su quali criterisi fondi, tra gli etnologi, l’apprensioneintuitiva di un discorso considerato co-me specificamente mitico. Non ci sonod’aiuto le categorie indigene, le qualioperano, nel corpus dei racconti, delleripartizioni relative, legate allo specifi-co di ogni cultura. D’altronde, affer-mando che il discorso mitico – elabora-zione modellizzante secondaria dei datidel mondo* naturale e culturale – corri-sponde a un uso locale della lingua, nonsi riesce comunque a definirne il carat-tere distintivo. In compenso, si può tentare di caratte-rizzarne la specificità lavorando la que-stione a tutti i differenti livelli del per-corso generativo*. In primo luogo, sulpiano della discorsivizzazione* e dalpunto di vista dell’attorializzazione* iracconti nei quali il senso comune occi-

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Mitico (discorso –, livello –)

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dentale riconosce dei miti sembranoagiti da attori* che per le loro qualità(tematizzazione*) si collocano general-mente nell’infra- o nel sovrumano. Ri-troviamo questo oltre-umano nel pro-cesso di temporalizzazione* del discor-so mitico, ma non nella spazializzazio-ne*, perché lo spazio del mito, contra-riamente a quello della favola, è ancora-to a luoghi socialmente definiti in senoa una certa cultura. Questo legame di “referenzializzazio-ne” esterna (D. Bertrand) tra luoghinarrativi e spazio sociale si riscontra,per quanto riguarda la temporalizzazio-ne, nella categoria particolare dei mitidi fondazione, connessi, a titolo espli-cativo (aition), all’istituzione di certi ri-ti* o di altre pratiche sociali. In questocaso – passando al livello di superficiedelle strutture semio-narrative – loschema narrativo* che struttura il rac-conto ne travalica il quadro. Il mito sipresenta allora come la fase di manipo-lazione* che istituisce la competenza*dei soggetti* operatori della pratica so-ciale, presumibilmente giustificati dalracconto. Anche se lo stesso rito può asua volta presentarsi come un’operazio-ne di manipolazione (invertita, v. Rito),gli attori del racconto mitico occupano,relativamente agli attori della praticasociale, il ruolo attanziale* di destinan-ti*, che sanzionano la performanza* deisoggetti sociali. Rispetto alle pratichesemiotiche generalmente deputate amantenere o a ristabilire l’equilibrio so-ciale, il mito introduce spesso una rot-tura, una mancanza*, la quale “tempo-ralizza” o “narrativizza” la pratica so-ciale inscrivendola in uno schema nar-rativo*. Non sempre è possibile esten-dere con sicurezza a tutti i miti questafunzione sintattica di istituzione dellacompetenza in rapporto alle diversepratiche sociali. Si può tuttavia affer-mare che, dal punto di vista della se-mantica narrativa di superficie, i valoriattualizzati nel discorso mitico dal pro-cesso di tematizzazione* devono prove-

nire dalla tassonomia, cioè dall’assiolo-gia culturale a cui appartengono, perpoter essere confrontati gli uni con glialtri nel gioco della sintassi. Si spieganocosì i “codici” cari a Lévi-Strauss (checorrispondono a delle isotopie* temati-che) e soprattutto la tendenza a metterein relazione, attraverso procedure di-scorsive, elementi tratti da diversi ordi-ni di realtà (minerale, vegetale, animale,umano ecc.), che fa del mito una mac-china per riformulare e trasformarel’ordine delle cose e la realtà sociale. Diqui discende un processo di metaforiz-zazione che non riguarda soltanto leisotopie* figurative (livello delle strut-ture discorsive), ma anche le isotopietematiche (livello della semantica nar-rativa di superficie).Oltre a questo aspetto speculativo, il di-scorso mitico istituisce una situazionedi squilibrio narrativo senza possibilitàdi soluzione armonica. Al livello pro-fondo delle strutture narrative sembrache il mito articoli spesso, all’interno diuno stesso microuniverso, due catego-rie semantiche eterogenee. La sintassifondamentale* del mito consiste alloranell’asserire come veri i due terminicontrari di questo universo del discor-so. La possibilità aperta dal mito dellacoesistenza semantica dei due contrarideriva forse dal fatto che il discorso mi-tico mette in scena e in narrazione l’e-mergenza di categorie che, nell’antro-pologia di una data cultura, sono orga-nizzate in una tassonomia o in un’assio-logia coerenti. Di qui il fatto che il mitonon può mai essere considerato come ilriflesso fedele di una qualsivoglia realtàculturale; di qui il suo aspetto teorico ecreativo. In ogni caso la conclusione narrativadella logica del racconto mitico e l’esitodel suo schema canonico nella praticadella realtà sociale rinviano alla suaenunciazione*.Costruzione speculativa rivolta a un farfare e a un far essere sociali, il discorsomitico è la posta di un contratto di veri-

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Mitologia

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dizione* tra il suo enunciatore* e l’e-nunciatario (soggetti dell’essere e delfare sociali). Il suo valore cognitivo e lasua efficacia pratica dipendono da que-sto gioco del far credere*. Se il contrat-to è rotto, il discorso mitico diventa mi-to nel senso moderno, finzionale deltermine. (C.C.)

→ Pratico, Discorso

Mitologia, n.f. Mythologie, Mythology, Mitología

1. Si intende con mitologia sia l’insie-me dei miti di una comunità etnolingui-stica data, sia una disciplina che cercadi descrivere, di analizzare e di compa-rare i differenti miti. 2. Più recentemente la mitologia comedisciplina si è trovata stretta fra le am-bizioni smisurate e ingenue di una mi-tologia universale (Frazer) e l’afferma-zione della specificità di ogni mitologia– se non di ogni mito – dalla quale nonerano estranee anche le preoccupazioniestetiche. La costituzione di una mito-logia a vocazione scientifica è legata al-l’elaborazione della mitologia compa-rata da parte di G. Dumézil (ambito in-doeuropeo) e C. Lévi-Strauss (ambitoamerindo). La formulazione della at-trezzatura metodologica, messa a puntodalla semiotica narrativa e discorsiva ècomplementare e debitrice delle ricer-che comparative.

→ Comparata (mitologia –),Comparativismo, Mitico

(discorso –, livello –)

Modalità, n.f. Modalité, Modality, Modalidad

1. A partire dalla definizione tradizio-nale di modalità intesa come «ciò chemodifica il predicato» di un enunciato,si può concepire la modalizzazione co-

me la produzione di un enunciato dettomodale, che surdetermina un enunciatodescrittivo*. L’approccio induttivo allemodalità appare poco convincente; da-to che gli inventari di verbi modali (e,eventualmente, delle locuzioni modali)possono sempre essere contestati e va-riare da una lingua naturale all’altra, èragionevole pensare – in una prima ap-prossimazione – che le due forme dienunciati* elementari (detti canonici),quelli di fare* e quelli di stato*, posso-no venirsi a trovare sia nella situazionesintattica di enunciati descrittivi, sia inquella, ipertattica, di enunciati modali.Detto altrimenti, si può prendere inconsiderazione: – a) il fare che modalizza l’essere (cfr.l’esecuzione*, l’atto*); – b) l’essere che modalizza il fare (cfr. lemodalità veridittive*); – c) il fare che modalizza il fare (cfr. lemodalità fattitive*). In questa prospet-tiva, il predicato modale è definibile an-zitutto per la sua sola funzione tassica,per il suo scopo transitivo*, orientatoverso un altro enunciato consideratocome oggetto. 2. Da questa presa di posizione deriva-no due conseguenze. La prima riguardal’organizzazione sintattica dell’enuncia-to-discorso. Mentre la grammatica fra-stica considera, non senza ragione, co-me essenziale per l’analisi il riconosci-mento di livelli* di pertinenza interpre-tati come dei gradi (o degli ordini) diderivazione*, noi pensiamo che l’esi-stenza dei livelli discorsivi (o dei tipi didiscorso) può essere affermata sul pia-no transfrastico grazie alla ricorrenza*delle strutture modali (poiché un pianomodale sovradetermina un piano de-scrittivo). Una nuova gerarchia* sintag-matica, dovuta non soltanto alle strut-ture ipotattiche che collegano gli enun-ciati modalizzati, ma anche a una tipo-logia delle modalizzazioni, può essereallora postulata come uno dei princi-pi dell’organizzazione sintattica degli e-nunciati-discorsi.

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Modalità

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La seconda conseguenza concerne ap-punto la tipologia delle modalizzazioni.Essendo l’approccio induttivo poco si-curo e di una generalità insufficiente,solo una pratica ipotetico-deduttiva haqualche probabilità di mettere un po’di ordine negli inventari confusi dellemodalità delle lingue naturali. Le logi-che modali, è vero, danno l’esempio diun simile approccio: dopo aver identifi-cato un campo modale problematico,esse selezionano al suo interno dei “va-lori di verità” – valori aletici o deontici,per esempio – e li pongono assiomati-camente come punto di partenza delleloro deduzioni e dei loro calcoli. Lapratica semiotica è un po’ diversa, per ilfatto che si basa anzitutto su un nume-ro abbastanza alto di analisi concrete,situate, per di più, sul piano narrativo,che trascende le organizzazioni discor-sive delle lingue naturali: questi studihanno costantemente mostrato il ruoloeccezionale che, nell’organizzazione se-miotica del discorso, giocano i valorimodali di volere*, dovere*, potere* esapere*, che possono modalizzare in-differentemente l’essere e il fare. D’altro canto la tradizione saussurianain linguistica, che N. Chomsky d’al-tronde non ha mai smentito (e che, infilosofia, risale molto addietro), ci haabituato a pensare in termini di modi diesistenze* e di livelli di esistenza – esi-stenza virtuale*, attuale*, realizzata* –che costituiscono altrettante istanze chescandiscono un percorso – interpreta-bile come una tensione (G. Guillaume)– che va dal punto zero alla sua realiz-zazione. Come si vede la semiotica, an-che se cerca, alla maniera della logica,di installare nel bel mezzo della propriateoria una struttura modale fondamen-tale con una dichiarazione assiomatica,mantiene il carattere ipotetico della suaricerca, cercando appigli empirici e teo-rici alla sua impresa. 3. La costruzione di un modello che at-traverso interdefinizioni successive per-metta di render conto, sussumendone

le diverse articolazioni, della strutturamodale fondamentale, è solo agli inizi. Icriteri di interdefinizione e di classifica-zione devono essere sintagmatici* e pa-radigmatici* allo stesso tempo, poichéogni modalità si definisce da una partecome una struttura modale ipotattica, edall’altra come una categoria* suscetti-bile d’essere rappresentata sul quadra-to* semiotico. Così, prendendo in considerazione ilpercorso tensivo che conduce alla rea-lizzazione, si possono raggruppare lemodalità sinora riconosciute secondo laseguente tabella:

Seguendo il suggerimento di M. Reng-sdorf, si designano qui come esotatti-che le modalità che possono entrare inrelazioni transitive (collegare deglienunciati con soggetti distinti) e comeendotattiche le modalità semplici (checollegano dei soggetti identici oppurein sincretismo). 4. Un altro criterio di classificazione,cioè la natura dell’enunciato da moda-lizzare, permette di distinguere duegrandi classi di modalizzazioni: quelladel fare e quella dell’essere. In tal modola struttura modale di dover-fare, deno-minata prescrizione*, per esempio, sioppone a quella di dover-essere, deno-minata necessità*, anche se fra loro per-mane una incontestabile affinità seman-tica. Nel primo caso, infatti, la modaliz-zazione come relazione predicativa por-ta maggiormente sul soggetto che essa“modalizza”, mentre nel secondo è l’og-getto (cioè l’enunciato di stato) a essere“modalizzato”. All’interno di queste due classi di mo-dalizzazioni, è probabilmente possibilenon soltanto prevedere dei processi dimodalizzazione, formulabili come serieordinate di enunciati (una modalità at-

Modalità virtualizzanti attualizzanti realizzanti

esotattiche Dovere Potere Fare

endotattiche Volere Sapere Essere

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Modello

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tualizzante che presuppone una moda-lità virtualizzante, per esempio), ma al-tresì calcolare le compatibilità e le in-compatibilità all’interno di queste serie(il dover-fare è compatibile con il nonpoter non fare, mentre il voler-fare nonlo è con il non saper fare). È del tuttoconcepibile, in questa situazione, unastrategia della modalizzazione, che per-metterà l’elaborazione di una tipologiadei soggetti e degli oggetti (enunciati)modalizzati. 5. È prevedibile un terzo criterio diclassificazione, questa volta dal puntodi vista della competenza* modale va-riabile. È quello delle modalizzazionigraduali (epistemiche* per esempio)che appartengono a uno stesso univer-so cognitivo e che all’interno della sin-tassi semio-narrativa sono collegate dauna relazione ipotattica. Definiremocome alotassiche* le modalità che man-tengono relazioni ipotattiche in unostesso universo cognitivo. (E.B.A.)

→ Enunciato, Aletiche (modalità –),Deontiche (modalità –), Epistemiche

(modalità –), Veridittive (modalità –),Fattitività, Potere, Sapere, Dovere,

Volere, Sintassi narrativa di superficie

Modello, n.m. Modèle, Model, Modelo

1. Nel senso ereditato dalla tradizioneclassica, si intende per modello ciò chepuò servire come oggetto di imitazione.Il modello può allora essere considera-to sia come una forma ideale preesi-stente a ogni realizzazione più o menoperfetta, sia come simulacro costruitoche consente di rappresentare un insie-me di fenomeni. È in quest’ultima acce-zione che il termine modello è utilizza-to in linguistica e, più in generale, in se-miotica, dove designa una costruzioneastratta e ipotetica* che si ritiene in gra-do di rendere conto di un insieme datodi fatti semiotici.

2. La costruzione di modelli si realizzanello spazio che separa il linguaggio-og-getto dal metalinguaggio*. Rispetto allasemiotica-oggetto, i modelli vanno con-cepiti come rappresentazioni* ipoteti-che, suscettibili d’essere confermate,infirmate o falsificate*. Sotto un altroaspetto, essi dipendono dalla teoria* se-miotica generale a partire dalla qualevengono dedotti*, e che controlla la lo-ro omogeneità e coerenza*. L’elabora-zione e l’utilizzazione dei modelli si tro-vano così strette, come in una morsa,tra le esigenze della teoria e la neces-saria adeguatezza* all’oggetto di cono-scenza. È dunque a questo livello*, chequalifichiamo come metodologico*, chesi situa inizialmente l’essenza del farescientifico*: è questa doppia confor-mità dei modelli che conferisce loro uncarattere ipotetico-deduttivo. 3. Il concetto di modello rischia tut-tavia di perdere la sua consistenza acausa dell’uso troppo esteso che è fattodi questo termine. Così, quando N.Chomsky parla di tre modelli principa-li in linguistica (il modello di Markov, imodelli sintagmatico e trasformaziona-le), il termine di modello è equivalentea quello di grammatica*; nello stessomodo, quando i generativisti paragona-no il modello standard o allargato almodello della semantica generativa, sitratta piuttosto di uno schema che rap-presenta l’economia* generale di unateoria linguistica, che noi, per parte no-stra, designamo con l’espressione dipercorso generativo*. Proponendo diconsiderare come modello costitutivo(così precisato con l’aiuto di una deter-minazione) la struttura* elementare abquo, a partire dalla quale si possono de-durre, e progressivamente elaborare, glielementi di una morfologia e di una sin-tassi* fondamentale, abbiamo cercatodi sottolineare il carattere costruito ededuttivo della teoria semiotica. 4. Se il termine modello, usato in que-sto senso molto generale, corrispondegrosso modo al concetto hjelmsleviano

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Mondo naturale

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di descrizione*, i modelli parziali sonocorrelativamente omologabili alle pro-cedure*. La questione che allora si po-ne è quella del loro “buon uso”. È evi-dente che i modelli, considerati comedelle ipotesi falsificabili, giocano unruolo notevole nella misura in cui essipoco a poco si sostituiscono all’intui-zione* del soggetto del fare scientifico,ed essi possono inoltre rendere dei ser-vigi apprezzabili se soddisfano l’esigen-za della generalizzazione*, cioè se sonocostruiti in modo tale che il fenomenoesplorato costituisca una singola varia-bile di un modello capace di renderconto di tutto un insieme di fenomeniconfrontabili o opposti. In compenso,la riproduzione imitativa degli stessimodelli rischia di trasformare la ricercadel sapere in una tecnologia senza im-maginazione; prendere in prestito e ap-plicare a uno stesso oggetto di cono-scenza dei modelli eterogenei* – cosache purtroppo è oggi fin troppo fre-quente – toglie ogni coerenza teorica, e,al tempo stesso, ogni significazione alprogetto semiotico.

Mondo naturaleMonde naturel, Phisical World, Mundo natural

1. Intendiamo come mondo naturalel’apparenza secondo la quale l’universosi presenta all’uomo come un insiemedi qualità sensibili, dotato di una deter-minata organizzazione che lo fa talvoltadesignare come “il mondo del senso co-mune”. Rispetto alla struttura “profon-da” dell’universo, che è di ordine fisico,chimico, biologico ecc., il mondo natu-rale corrisponde, per così dire, alla suastruttura “di superficie”; ma è, d’altrocanto, una struttura “discorsiva”, poi-ché si presenta nell’ambito della rela-zione soggetto/oggetto, come l’“enun-ciato” costruito dal soggetto umano eda lui decifrabile. Come si vede il con-cetto di mondo naturale che proponia-

mo non mira altro che a dare una inter-pretazione semiotica più generale allenozioni di referente* o di contesto* ex-tra-linguistico, apparse nelle teorie lin-guistiche in senso stretto. 2. La qualificazione di naturale, cheutilizziamo apposta per sottolineare ilparallelismo fra mondo naturale e lin-gue* naturali, serve a indicare la sua an-teriorità rispetto all’individuo: quest’ul-timo si inscrive fin dalla nascita – e vi siintegra progressivamente attraverso l’ap-prendimento – in un mondo significan-te fatto di “natura” e di “cultura” a untempo. La natura* non è dunque un re-ferente neutro, ma è fortemente cultu-ralizzata («Un uomo cresciuto da solo,saprebbe fare l’amore?» è stato tempofa il tema di un famoso dibattito in cuile risposte dell’antropologo e dello psi-canalista sono state negative) e, al tem-po stesso, relativizzata (le etnotassono-mie danno delle “visioni del mondo”differenti, per esempio). Questo ci ri-porta a dire che il mondo naturale è illuogo di elaborazione di una vasta se-miotica delle culture*. 3. È evidente che i rapporti fra mondonaturale e lingue naturali sono stretti: lelingue naturali informano, nella fatti-specie, e categorizzano* il mondo ester-no, procedendo alla sua scomposizio-ne. Si avrebbe torto, tuttavia, ad adotta-re l’atteggiamento estremo che consistenell’affermare che il mondo naturale èun “mondo parlato” e che non esiste-rebbe, in quanto significazione, se nonattraverso l’applicazione su di lui, dellecategorie linguistiche: la zoo-semioti-ca* sarebbe pronta a fornire numerosicontro-esempi. Sarà sufficiente notaresoltanto che, contrariamente alle linguenaturali, le uniche capaci di esplicitarele categorie semantiche astratte (o gliuniversali), le organizzazioni semioti-che riconosciute all’interno del mondonaturale sono determinate dal carattereimplicito* di queste categorie. Per al-tro, e soprattutto, il mondo naturale èun linguaggio figurativo, le cui figure*

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Monema

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– che noi ritroviamo nel piano del con-tenuto* delle lingue naturali – sono fat-te delle “qualità sensibili” del mondo, eagiscono direttamente – senza media-zione linguistica – sull’uomo. 4. Il mondo naturale, così come le lin-gue naturali, non deve essere consideratocome una semiotica particolare, ma piut-tosto come un luogo di elaborazione e diesercizio di molteplici semiotiche. Tutt’alpiù lo si potrebbe trattare come una ma-crosemiotica, supponendo l’esistenza diun certo numero di proprietà comuni atutte queste semiotiche. Ma sarebbe unavana pretesa quella di voler tentare unaclassificazione o anche solo un semplicerilievo delle differenti semiotiche delmondo naturale. Si può in ogni caso sug-gerire sin d’ora una prima distinzione frale “visioni significative” e le “pratiche si-gnificanti”, tra le significazioni che parla-no del mondo così com’esso appare e lesignificazioni che si rapportano all’uomoper come si comporta e significa per sé eper gli altri. Al primo gruppo apparter-rebbero le etnotassonomie, le “semioti-che degli oggetti”, quella dei processi na-turali (la nuvola annuncia la pioggia, ilcattivo odore segnala la presenza del dia-volo ecc.) e infine, ma solo in parte, la se-miotica dello spazio*, che cerca ancora lasua strada. Il secondo gruppo sarebbe costituito al-meno dai vasti campi semiotici rappre-sentati dalla gestualità*, la prossemica*ecc., e, in modo generale, dalle pratiche*semiotiche come i comportamenti più omeno finalizzati (a priori o in seguito) estereotipati degli uomini, analizzabili co-me “discorsi” del mondo naturale.

→ Semiotica, Referente,Categorizzazione, Cultura, Universo

Monema, n.m. Monème, Moneme, Monema

A. Martinet ha proposto il termine mo-nema per designare il segno* linguisti-

co minimale o morfema (nel senso ame-ricano), cioè l’unità minima della primaarticolazione (in opposizione al fone-ma*, unità minima della seconda arti-colazione).

→ Morfema, Articolazione

Monoplanare (semiotica –), agg. Monoplane (sémiotique –), Monoplanar Semiotic System,Monoplana (semiótica –)

Per L. Hjelmslev le semiotiche mono-planari – o sistemi di simboli* – sonoquelle che comportano un solo piano*linguistico, o almeno quelle i cui duepiani sarebbero legati da una relazionedi conformità.

→ Semiotica, Conformità

Monosememia (o Monosemia), n.f. Monosémémie (ou Monosémie),Monosememy, Monosememia (o Monosemía)

La monosememia è la caratteristica deilessemi* che comportano un unico se-mema* ed, eventualmente, dei discorsiin cui predominano simili lessemi. Lamonosememia è una delle condizioni diun metalinguaggio ben costruito.

→ Polisemia, Metalinguaggio

Moralizzazione, n.f. Moralisation, Moralization,Moralización

1. Connotazione* timica* degli attanti-soggetti della narrazione, la moralizza-zione ha l’effetto di omologare il termi-ne euforia con il soggetto, e il terminedisforia con l’antisoggetto (eroe*-tradi-tore*). Così concepita, essa caratterizza

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Morfologia

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un gran numero di discorsi etnolettera-ri. Talvolta la moralizzazione può spo-starsi dall’istanza del testo verso quelladell’enunciatario*, e consistere alloranell’identificazione* euforica di que-st’ultimo con uno dei soggetti della nar-razione. Questo tipo di moralizzazionesembra frequente nei discorsi sociolet-terari (romanzi giallo/rosa, gare di boc-cette, corse di ciclismo ecc.) 2. La stessa connotazione timica puòriguardare non più le strutture attanzia-li, ma gli stessi contenuti investiti, e inquesto senso essa appare come uno de-gli aspetti del fenomeno più generaledell’assiologizzazione (che verte sullecategorie del bene e del male, euforiz-zando la deissi* positiva e disforizzan-do quella negativa).

→ Timica (categoria –), Assiologia

Morfema, n.m. Morphème, Morpheme, Morfema

1. In senso tradizionale, il morfema èla parte di una parola (o di un sintag-ma) che indica la sua funzione* gram-maticale (per esempio: desinenza, affis-so, preposizione, caso ecc.) in opposi-zione al semantema* inteso come la ba-se lessicale (di una parola). In questomodo A. Martinet riserva il terminemorfema per designare gli elementigrammaticali, e lessema* per la baselessicale: morfemi e lessemi costituisco-no allora per lui la classe dei monemi*. 2. Nell’analisi in costituenti* immedia-ti, praticata in America, i morfemi sonole unità minime dell’analisi grammati-cale (unità che compongono le parole)o, se si vuole, i segni* minimi (= mone-mi, nella terminologia di Martinet) por-tatori di significazione, al di là dei qualisi entra nell’analisi fonologica*. In que-sta prospettiva si possono distinguere imorfemi lessicali (spesso chiamati les-semi) e i morfemi grammaticali (qualchevolta chiamati grammemi*).

Morfologia, n.f. Morphologie, Morphology, Morfología

1. Per la linguistica del XIX secolo lamorfologia e la sintassi* erano le duecomponenti della grammatica*: la mor-fologia si faceva carico dello studio del-le “parti del discorso”, cioè delle unitàche hanno le dimensioni delle parole*,mentre la sintassi si occupava della loroorganizzazione nelle unità più vasterappresentate dalle proposizioni* e lefrasi*. Tale divisione dei compiti è sem-brata soddisfacente finché si trattavasoprattutto di studiare delle lingue in-doeuropee con sistemi di flessione svi-luppati, dove erano frequenti omologa-zioni tra funzioni* sintattiche e caratte-ristiche morfologiche (predicato e ver-bo, soggetto e nominativo ecc.). Lamessa in discussione del concetto di pa-rola, ma anche lo spostamento di inte-resse verso le lingue moderne o esoti-che hanno spinto la linguistica più re-cente a eliminare la morfologia comecomponente autonoma dal campo dellesue preoccupazioni. 2. Tuttavia se anche il termine dimorfologia, fuori moda, è poco a pocoscomparso dalla letteratura linguistica,non per questo il campo di problemiche esso ricopriva ha perduto la sua at-tualità. Alla costruzione delle gramma-tiche categoriali infatti si pone anzituttola questione delle categorie* grammati-cali, di natura paradigmatica, che si ma-nifestano sintagmaticamente sia all’in-terno di morfemi* grammaticali flessi-vi, sia sotto forma di classi formate damorfemi (preposizioni, congiunzioniecc.), e inoltre quella delle classi morfo-logiche (determinati sintagmi combina-no, per esempio, dei morfemi lessicali edei morfemi grammaticali, lasciandoprevedere dei sintagmi a radice zero edei sintagmi a flessione zero). 3. È sufficiente comparare in modo su-perficiale qualche lingua europea (ilrusso e l’inglese, o, diacronicamente, illatino e il francese) per riconoscere l’e-

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sistenza di quelle che si potrebberochiamare lingue a dominanza morfolo-gica, e altre a dominanza sintagmatica,e per rendersi conto che le stesse cate-gorie grammaticali possono presentarsitalvolta sotto forma di flessioni di caso,talaltra come morfemi grammaticali in-dipendenti, oppure realizzarsi “proso-dicamente” tramite un ordine* obbli-gato delle parole: tutti questi modi dipresenza sintagmatica sono solo feno-meni di superficie i quali esplicitano lecategorie grammaticali che manifestanola faccia paradigmatica del linguaggio.A questo proposito è interessante con-statare come i linguaggi artificiali (do-cumentari, per esempio) possano essereripartiti, dal punto di vista della lorocostruzione, in due grandi classi: quelliche comportano una “morfologia” svi-luppata hanno bisogno solo di un pic-colo numero di relazioni sintattiche,mentre, all’inverso, quelli il cui reticolodi relazioni è particolarmente fitto si ac-contentano di una base morfologica (otassonomica) ridotta: sembra di trovar-si di fronte a un fenomeno di compen-sazione. 4. Proponendo di dare alle strutture*semiotiche ab quo (punto di partenzadel percorso generativo*) la forma diuna sintassi* fondamentale, vi abbiamodistinto una “morfologia” (rappresen-tata dal quadrato* semiotico) e una“sintassi” elementari, di cui la primacostituita in reticolo tassonomico checonsente le operazioni della secondacome altrettante ingiunzioni effettuatesu termini della categoria di base. L’uso– arcaicizzante – del termine morfolo-gia, lungi dal significare un ritorno alleconcezioni tradizionali, è destinato asottolineare la “realtà morfologica” checerti sintagmaticisti vogliono ignorare(parlando, ad esempio, degli “alfabeti”e non delle tassonomie). 5. Bisogna forse sottolineare, ad ognibuon conto, che il termine “morfolo-gia” usato da V. Propp ha un senso bo-tanico piuttosto che linguistico: la sua

descrizione del racconto fiabesco russocomporta, in fatto di “morfologia”, so-lo un pacchetto di dramatis personae(che noi abbiamo articolato, interpre-tandole, in struttura attanziale).

→ Categoria, Sintassi

Morte, n.f. Mort, Death, Muerte

Morte è il termine negativo* della cate-goria* vita/morte, considerata comeipotetico-universale* e perciò suscetti-bile di essere utilizzata come una primaarticolazione dell’universo* semanticoindividuale. Esattamente come la cate-goria cultura/natura, chiamata a giocarelo stesso ruolo nell’universo collettivo,la categoria vita/morte è sprovvista diogni altro investimento semantico.

→ Vita, Universo, Struttura

Motivazione, n.f. Motivation, Motivation, Motivación

1. Nella teoria saussuriana viene affer-mato il carattere arbitrario* del segno(cioè della relazione fra il significante*e il significato*), negando al tempostesso il suo carattere motivato. L’opposizione così formulata risale, inultima analisi, al problema dell’originedelle lingue* naturali, la cui elaborazio-ne si spiegherebbe, secondo alcuni filo-sofi, con l’«imitazione dei suoni dellanatura», e di cui le onomatopee rappre-senterebbero la testimonianza nello sta-to attuale del loro sviluppo. L’esistenzadelle onomatopee pone in effetti la que-stione dell’analogia* tra la sostanza* so-nora della lingua e i rumori o le grida“naturali”. Le interpretazioni che nevengono date situano l’imitazione tal-volta al livello della percezione (cfr.“chicchirichì”), talaltra a quello dellaproduzione sonora (“soffiare”). Talvol-

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Motivo

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ta l’analogia, che si situa al livello dellasostanza, è trascesa al momento dell’e-laborazione della forma* linguistica:così il canto del gallo, assunto da questoo quel sistema fonologico, è rappresen-tato da formanti* che differiscono dauna lingua all’altra; allo stesso modo, imorfemi “motivati”, integrati nel siste-ma dell’espressione*, obbediscono allecostrizioni generali delle trasformazionidiacroniche*, e perdono il loro caratte-re di onomatopee. Più interessante èl’approccio di P. Guiraud, per esem-pio, che, attraverso le imitazioni cheservono a produrre morfemi isolati(onomatopee), mette in evidenza l’esi-stenza di strutture morfofonologiche,sorta di nucleo figurativo di lessemi(del tipo “tic”/“tac”) capaci di produr-re intere famiglie di parole e di artico-larle, al tempo stesso, al livello semanti-co, tenuto conto delle opposizioni fo-nologiche (/i/ vs* /a/). Quel che interessa al semiologo non èrisolvere il problema dell’origine dellelingue naturali, ma di determinare, conla maggior precisione possibile, i ruolirispettivi dell’analogia e della forma se-miotica nell’economia dei sistemi se-miotici. 2. Nelle osservazioni precedenti, sitrattava di relazioni estrinseche tra i se-gni e la realtà extra-linguistica. Tutt’altro è il problema della motiva-zione considerata come una relazioneintrinseca tra il segno e gli altri elemen-ti dipendenti dalla stessa semiotica.Certi semantisti (Ulmann) arrivano aclassificare questo genere di motivazio-ni in: – a) motivazioni foniche (in cui si met-tono a torto le onomatopee, ma dove sipotrebbero sistemare, per esempio, lerelazioni fra gli omofoni, le rime ric-che); – b) motivazioni morfologiche (le fami-glie di derivati); – c) motivazioni semantiche (relazionifra “senso proprio” e “senso figurato”). In questo caso vengono confuse due

cose diverse fra loro: le relazioni classi-ficate in questo modo sono delle rela-zioni strutturali “normali”, costitutivedella semiotica linguistica, e vanno di-stinte dal sapere concernente l’esisten-za di questa o quella relazione, che ilsoggetto parlante (o la comunità lingui-stica) può possedere a un dato momen-to. Si tratta in questo caso di un feno-meno metasemiotico, di un atteggia-mento di una società riguardo ai proprisegni, fenomeno che dipende dunqueda una tipologia delle culture* (cfr.Lotman). La motivazione, distinta dal-l’analogia* (trattata in 1) va fatta con-fluire nella problematica delle connota-zioni* sociali: seguendo le culture, èpossibile riconoscere talvolta la tenden-za a “naturalizzare” l’arbitrario mo-tivandolo, talaltra a “culturalizzare” il motivato intellettualizzandolo (R.Barthes).

→ Arbitrarietà

Motivo, n.m. Motif, Motif, Motivo

1. Usato in diverse discipline (peresempio nella storia dell’arte da Panof-sky), il concetto di motivo è stato mes-so particolarmente in evidenza daglistudi di etnoletteratura, in cui la tradi-zione lo oppone in genere a quello di ti-po (di racconto), senza che si sia maipotuta dare una definizione precisa diqueste due nozioni. Se il tipo è concepi-to come una successione di motivi, ob-bediente a un’organizzazione narrativae discorsiva particolare, il motivo ne èun elemento costitutivo, che S. Thom-pson (conosciuto, tra l’altro per il suoMotif/Index of Folk-Literature) definivatutt’al più come «il più piccolo elemen-to del racconto, suscettibile d’essere ri-trovato tale e quale nella tradizione po-polare»: al livello della manifestazione,i suoi limiti restano per lo meno impre-cisi, poiché questa “unità” può al limi-

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te, come riconoscono gli stessi folklori-sti, costituire un micro-racconto perfet-tamente autonomo, e dunque rientrarenella classe dei tipi. 2. Malgrado queste difficoltà, ci si puòcomunque domandare se il riconosci-mento, la descrizione e la tipologia deimotivi non costituiscano un campo diricerca nell’ambito più generale dellasemantica* discorsiva. Si tratterebbe al-lora di procedere, sul campo, alla de-limitazione e all’analisi di quelle unitàfigurative transfrastiche, costituite inblocchi fissi: delle specie di invarianti ingrado di emigrare sia in racconti diffe-renti di un universo culturale dato, siaal di là dei limiti di un’area culturale,con una certa persistenza malgrado icambiamenti di contesti e di significa-zioni funzionali seconde, che i contestinarrativi possono conferire loro. Così,nel racconto popolare francese, il moti-vo “matrimonio” occupa delle posizio-ni e gioca delle funzioni differenti (può,per esempio, rappresentare l’oggettodella ricerca di un programma* narrati-vo di base, o, al contrario, servire comeprogramma narrativo d’uso). 3. Il motivo appare come un’unità ditipo figurativo*, che dunque possiedeun senso indipendente dalla sua signifi-cazione funzionale in rapporto all’insie-me del racconto nel quale prende po-sto. Se si considera la struttura narrati-va del racconto – con i suoi percorsinarrativi – come una invariante*, i mo-tivi si presentano allora come delle va-riabili, e inversamente: di qui la possibi-lità di studiarli in se stessi consideran-doli come un livello autonomo e paral-lelo delle strutture narrative. È in que-sta prospettiva che si possono assimila-re i motivi a delle configurazioni* di-scorsive sia per quanto riguarda la loropropria organizzazione interna (tantosul piano semantico che sintattico) siaper quanto concerne la loro integrazio-ne in un’unità discorsiva più vasta. 4. Gli studiosi del folklore non hannomancato di osservare il carattere migra-

torio dei motivi, non soltanto da unaletteratura etnica all’altra, o da un rac-conto all’altro, ma talvolta anche all’in-terno di uno stesso racconto: per esem-pio nel caso in cui il soggetto e l’anti-soggetto sono sottoposti successiva-mente a un’identica prova*, oppurequando lo stesso motivo è utilizzato pernumerosi programmi narrativi d’uso,situati a livelli di derivazione* differen-ti. Di qui forse la possibilità di interpre-tare, in certi casi, l’esistenza dei motivitramite la ricorsività*: evidentemente sitratta di un semplice suggerimento al-l’interno di una problematica partico-larmente ardua (e ancora inesplorata) lacui importanza è nondimeno decisivaper un’analisi metodica del livello di-scorsivo della teoria semiotica*. 5. Il termine motivo designa per lo piùun micro-racconto ricorrente; in questosenso è un sinonimo di configurazio-ne*.Potremo tuttavia utilizzare il terminemotivo, in un’accezione più ristretta,per designare un insieme ricorrente difigure*, indipendente dalla forma te-matico-narrativa*, che contestualmentese ne fa carico. Si tratta dunque piutto-sto di una sorta di cristallizzazione so-cioculturale di un codice mitico che or-ganizza il livello figurativo profondo.Chiameremo pertanto motivema la rea-lizzazione* nel discorso di un motivodato. (J.C.)

→ Configurazione

Movimento, n.m. Mouvement, Movement, Movimiento

A differenza del concetto di durata, ri-servato all’aspettualizzazione tempo-rale, il concetto di movimento serve dasupporto alla descrizione dell’aspet-tualizzazione* spaziale. Nella duratadel passaggio da uno spazio all’altrol’attante osservatore* può registrare ilmovimento come istantaneo (corri-

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Movimento

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sponde, in termini di temporalità, alpuntuale) o come “esteso” (è il caso incui la figuratività presenta dei passag-gi tra spazi contigui o separati da unacerta distanza). In quest’ultimo casol’aspetto incoativo coincide con l’usci-ta dal primo spazio, l’aspetto termina-tivo coincide con l’entrata nel secon-do, l’aspetto iterativo corrisponde a un

movimento di andirivieni. La tensivitàè infine tradotta in termini di prossi-mità. Il termine “movimento” sembrasufficientemente neutro per ricoprireogni sorta di spostamento in tutte ledirezioni di uno spazio orientato dal-l’attante osservatore. (F.B.)

→ Localizzazione spazio-temporale

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NNarratività, n.f. Narrativité, Narrativity, Narratividad

1. Si può chiamare narratività una pro-prietà data che caratterizza un certo ti-po di discorso, e a partire dalla quale sidistingueranno i discorsi narrativi daquelli non narrativi.Tale è, per esempio, la proposta di E.Benveniste, che oppone il racconto sto-rico (o storia) al discorso (in senso re-strittivo), prendendo come criterio didivisione la categoria della persona(dove la non persona caratterizza lastoria e la persona – l’“io” e il “tu” – ildiscorso) e, in secondo luogo, la distri-buzione particolare dei tempi verbali. 2. Senza entrare qui nel dibattito teori-co – che prende le mosse dalla proble-matica dell’enunciazione* –, basterà ri-levare semplicemente che queste dueforme di discorso non esistono quasimai allo stato puro, che una conversa-zione si prolunga quasi automatica-mente in racconto di qualche cosa, eche un racconto rischia, in ogni istante,di svilupparsi in dialogo ecc. Si può così condividere l’opinione diG. Genette, il quale, invece di distin-guere due classi indipendenti di discor-si, rileva, in questi due tipi di organiz-zazione, due livelli discorsivi autonomi:al “racconto” considerato come il nar-rato oppone il “discorso” (in senso ri-stretto), che definisce come il modo dinarrare il racconto. Rifacendoci alle di-stinzioni proposte da Benveniste e Ge-nette, noi adottiamo un’organizzazionerelativamente vicina alla loro: il livellodiscorsivo dipende, per noi, dall’enun-ciazione*, mentre il livello narrativocorrisponde a ciò che si può chiamarel’enunciato.

3. A un primo esame del narrato deldiscorso, ci si accorge che esso com-porta spesso dei racconti di avvenimen-ti, di eroismi o tradimenti, che vi si tro-va, insomma, molto “rumore e furore”:i racconti, intesi come descrizioni diazioni concatenate – racconti folklorici,mitici, letterari –, sono stati, non lo di-mentichiamo, all’origine delle analisinarrative (V. Propp, G. Dumézil, C.Lévi-Strauss). Questi diversi approcci hanno già rive-lato, sotto l’apparenza di un narrato fi-gurativo*, l’esistenza di organizzazionipiù astratte e più profonde, che com-portano una significazione implicita eche reggono la produzione e la letturadi questo genere di discorso. Così lanarratività è progressivamente apparsacome il principio stesso dell’organizza-zione di ogni discorso, narrativo (iden-tificato, in un primo tempo, con quellofigurativo) e non narrativo. Infatti, si impone una scelta: o il discor-so è una semplice concatenazione difrasi, e allora il senso che veicola è do-vuto solo a delle concatenazioni più omeno azzardate, fuori dalla competen-za della linguistica (e più in generale,della semiotica); oppure esso costitui-sce un tutto di significazione, un atto dilinguaggio provvisto di senso che ha insé la propria organizzazione, il cui ca-rattere più o meno astratto o figurativoè legato al grado di forza degli investi-menti semantici e di complessità dellearticolazioni sintattiche. 4. Il riconoscimento di un’organizza-zione discorsiva immanente (o dellanarratività in senso lato) pone il proble-ma della competenza discorsiva (narra-tiva). Gli studi folklorici hanno rivelatogià da tempo l’esistenza di forme narra-

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Narratività

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tive quasi universali, in ogni caso chetrascendono, in ampia misura, le fron-tiere delle comunità linguistiche. An-che se spesso è solo intuitivo, l’approc-cio alle forme letterarie, ai racconti sto-rici o ai discorsi religiosi, ci mostra chevi sono dei “generi” o “tipi” di discor-so. Tutto ciò significa che l’attività di-scorsiva riposa su un saper-fare discor-sivo che non è affatto inferiore, peresempio, al saper-fare di un calzolaio.In altri termini, deve essere presuppo-sta una competenza* narrativa se sivuole render conto della produzione edella lettura dei discorsi-occorrenze,competenza che può essere considerata– un po’ metaforicamente – una sorta diintelligenza sintagmatica (il cui mododi esistenza, alla maniera della languesaussuriana, sarebbe la virtualità*). 5. Il riconoscimento della competenzanarrativa permette di porre più chiara-mente la questione fondamentale dallaquale dipenderà la forma generale dellateoria semiotica*, la questione cioè del-la relazione di dipendenza tra i due li-velli, già visti – quello delle strutturenarrative (o semiotiche) e quello dellestrutture discorsive, la cui congiunzionedefinisce il discorso nella sua totalità. Se si considera che le strutture discorsi-ve dipendono dall’istanza dell’enuncia-zione e che questa istanza suprema èdominata dall’enunciante*, produttoredi enunciati narrativi, allora le strutturenarrative potrebbero sembrare subor-dinate alle strutture discorsive, come loè il prodotto al processo produttore.Ma si può, altrettanto bene, sostenere ilcontrario – ed è questa la nostra opinio-ne –, e vedere nelle strutture narrativeprofonde l’istanza suscettibile di renderconto dell’insorgenza e dell’elaborazio-ne di ogni significazione (e non soloverbale), e capace anche di promuoverenon solo le performanze narrative, maanche di articolare le differenti formedella competenza discorsiva. Questestrutture semiotiche – che noi conti-nuiamo a chiamare, in mancanza di un

termine migliore, narrative o meglio,semio-narrative, sono, secondo noi, ildeposito delle forme significanti fonda-mentali. Poiché godono di una esisten-za virtuale, esse corrispondono, con uninventario ampliato, alla langue di F. deSaussure e Benveniste, lingua che è pre-supposta da ogni manifestazione di-scorsiva e che, nello stesso tempo, pre-determina le condizioni della “messa indiscorso” (cioè le condizioni di funzio-namento dell’enunciazione). Le strut-ture semiotiche, dette narrative, reggo-no, per noi, le strutture discorsive. Laportata di questa scelta è considerevole:nel quadro di una teoria unificata, sitratta di conciliare da una parte l’opzio-ne generativa (che, nella sua formula-zione chomskiana, non è che una teoriadell’enunciato*) e dall’altra la teoria del-l’enunciazione (con la cosiddetta prag-matica* americana). La grammatica ge-nerativa, infatti, lascia la problematicadell’enunciazione fuori dalle sue preoc-cupazioni. Le analisi di numerosi di-scorsi, intraprese dalla semiotica, solle-vano continuamente, all’interno dei te-sti manipolati, la questione dell’atto* –dell’atto di linguaggio in particolare – edella competenza presupposta dal com-pimento dell’atto. Il problema dellacompetenza e performanza discorsive(in senso stretto), dipende, secondonoi, dalla competenza narrativa (o se-miotica) generale: invece di essere sot-toposti a un trattamento “pragmatico”,i modelli della competenza possono edevono essere prima costruiti a partiredalle competenze “descritte” nei di-scorsi, salvo essere estrapolate in segui-to, in vista della costruzione più genera-le di una semiotica dell’azione* e dellamanipolazione*. 6. Nel nostro progetto semiotico, lanarratività generalizzata – liberata dallainterpretazione restrittiva che la volevalegata alle forme figurative dei racconti– è considerata il principio organizzato-re di ogni discorso. Potendo ogni se-miotica essere trattata sia come siste-

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Narrativo (percorso –)

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ma* sia come processo*, le strutturenarrative possono essere definite comecostitutive del livello profondo* delprocesso semiotico.

→ Diegesi, Enunciazione, Generativo(percorso –), Sintassi fondamentale,

Sintassi narrativa di superficie

Narrativo (percorso –), agg. Narratif (parcours –), Narrative(Trajectory), Narrativo (recorrido –)

1. Un percorso narrativo è una serieipotattica* di programmi* narrativi (ab-breviati in PN), semplici o complessi,cioè una concatenazione logica in cuiciascun PN è presupposto da un altroPN presupponente. 2. I PN sono unità sintattiche semplicie gli attanti* sintattici (soggetto del fareo di stato, oggetto) che entrano nella lo-ro formulazione sono soggetti o oggettiqualsiasi: ogni segmento narrativo, ri-conoscibile all’interno di un discorsoenunciato, è, di conseguenza, analizza-bile in PN. Perciò, una volta inscritti inun percorso narrativo, i soggetti sintat-tici sono suscettibili di essere definiti –per ciascuno dei PN integrati – dallaposizione che essi occupano (o che oc-cupa il PN di cui fanno parte) nel per-corso e dalla natura degli oggetti di va-lore* con i quali entrano in giunzione*.In una prima approssimazione, si chia-merà ruolo attanziale proprio la doppiadefinizione dell’attante sintattico in ba-se alla sua posizione e alla sua “esisten-za semiotica”: la definizione di que-st’ultima corrisponde al suo status di“soggetto di stato”* (congiunto con ivalori modali* o i modi di esistenza*),mentre la definizione in base alla suaposizione nel percorso significa che ilruolo attanziale non è caratterizzato so-lamente dall’ultimo PN realizzato e dal-l’ultimo valore acquisito o perduto, mache esso sussume l’insieme del percorsogià effettuato, e che porta in sé l’au-

mento, o la diminuzione, del suo esse-re*. Questo doppio carattere ha cosìl’effetto di dinamizzare gli attanti e offrela possibilità di misurare, in ogni istante,il progresso narrativo del discorso. 3. Il percorso narrativo comporta, diconseguenza, tanti ruoli attanziali quan-ti sono i PN che lo costituiscono: per-ciò, l’insieme dei ruoli attanziali di unpercorso può essere chiamato attante o– per distinguerlo dagli attanti sintatticidei PN – attante funzionale (o sintag-matico): definito in questo modo, l’at-tante non è un concetto fissato una vol-ta per tutte, ma una virtualità che sus-sume un intero percorso narrativo. 4. Ci troviamo in questo modo in pre-senza di una gerarchia sintattica in cui aciascuna unità corrisponde un tipo at-tanziale definito: gli attanti sintattici,stricto sensu, sono dei costituenti deiprogrammi narrativi, i ruoli attanzialisono calcolabili all’interno dei percorsinarrativi, mentre gli attanti funzionalidanno conto dello schema narrativo*d’insieme. 5. Il percorso narrativo meglio cono-sciuto attualmente è quello del sogget-to*. Si può definire come la concatena-zione logica di due tipi di programmi: ilPN modale, detto programma di com-petenza*, è logicamente presuppostodal programma di realizzazione, dettodi performanza*, che si collochi sulladimensione pragmatica* o cognitiva*.Il soggetto funzionale, definito da unpercorso di questo genere, si scom-porrà eventualmente in un insieme diruoli attanziali, come il soggetto com-petente e il soggetto performatore. Asua volta, il soggetto competente saràcostituito di una serie cumulativa diruoli attanziali che verranno denomina-ti, in base all’ultima modalità acquisita,soggetto del volere, del potere, soggettosecondo il segreto* (non rivelato), se-condo la menzogna* ecc. Quanto alsoggetto performatore, può essere vit-torioso (realizzato*) o sconfitto, sogget-to modalizzato secondo il dover-volere

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(in vista della realizzazione di PN d’u-so) ecc. L’essenziale – come ci si rendeconto – non consiste nel dotare tutti iruoli attanziali di denominazioni ap-propriate, ma di disporre di uno stru-mento di analisi che permetta di rico-noscere i soggetti mobili, in progressio-ne narrativa, al posto dei “caratteri” odegli “eroi” della critica letteraria tradi-zionale, di identificare anche, traspo-nendo la problematica del soggetto deidiscorsi verbali verso le pratiche semio-tiche* sociali, la possibilità di una se-miotica all’azione*. 6. Anche considerando solo la compe-tenza modale dei soggetti, si è portati aimmaginare facilmente, prendendo inconsiderazione le quattro modalitàprincipali, una tipologia di soggetticompetenti, che si baserebbe sulla scel-ta delle modalità in grado di stabilirequesto o quel percorso modale e sul-l’ordine della loro acquisizione. Una ti-pologia di questo tipo (e il contributodi J.C. Coquet in questo campo è parti-colarmente interessante) dovrà esserepoi relativizzata, cioè considerata comeun insieme di dispositivi, variabile se-condo le culture* (la cui tipologia saràfacilitata da questo criterio supplemen-tare). 7. Il segmento di performanza in que-sto percorso narrativo si presenta, daparte sua, in due modi diversi: o dà luo-go a una circolazione di oggetti già esi-stenti, comportando dei valori* investi-ti e cercati (l’acquisizione di una vettu-ra, per esempio investita di valori tali darappresentare “evasione”, “potenza”);oppure, in modo più complesso neces-sita, a partire da un valore identificato,la costruzione dell’oggetto nel quale es-so potrebbe essere investito (per esem-pio la preparazione, a partire dal valoregustativo preliminarmente posto, dellazuppa al pesto). 8. Due altri percorsi narrativi, prevedi-bili, sono attualmente in via di ricono-scimento, anche se non se ne può anco-ra dare una formulazione soddisfacen-

te. Si tratta di due istanze, trascenden-ti* rispetto al percorso del soggetto,che hanno la funzione di inquadrarlo:la prima è quella del Destinante* inizia-le, fonte di ogni valore, e più in partico-lare, dei valori modali (suscettibili didotare il Destinatario-soggetto dellacompetenza necessaria); la seconda èquella del Destinante finale, di volta involta giudice delle performanze delsoggetto di cui trasforma il “fare” in un“essere” riconosciuto* e depositario ditutti i valori ai quali questo soggetto èpronto a rinunciare. Il fatto che questidue Destinanti possano trovarsi in sin-cretismo in numerosi discorsi non cam-bia niente. Trasposti al livello delle pra-tiche* semiotiche sociali, i due percorsinarrativi autonomi – la cui definizione èancora intuitiva – potrebbero dar luogoa una semiotica della manipolazione e auna della sanzione.

→ Attante, Programma narrativo,Narrativo (schema –)

Narrativo (schema –), agg. Narratif (schéma –), Narrative(Schema), Narrativo (esquema –)

1. La riflessione sull’organizzazione nar-rativa dei discorsi trova la sua originenelle analisi effettuate da V. Propp suun corpus di fiabe russe. Mentre la se-miotica sovietica degli anni sessanta si è dedicata soprattutto all’approfondi-mento della conoscenza dei meccani-smi interni del funzionamento delle fia-be (E. Meletinsky e la sua équipe) e glietnologi americani (A. Dundes) e fran-cesi (D. Paulme) cercavano di interpre-tare lo schema proppiano in vista dellasua applicazione a racconti orali di altreetnie (amerinde e africane), la semioticafrancese ha voluto vedervi, sin dall’ini-zio, un modello, perfezionabile, che po-teva servire come punto di partenza perla comprensione dei principi di orga-nizzazione di tutti i discorsi narrativi.

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L’ipotesi secondo la quale esistono del-le forme universali di organizzazionenarrativa ha posto le ricerche di Proppal centro dei problemi della semioticanascente. 2. Più che la successione di trentunofunzioni*, con la quale Propp definivail racconto orale, e di cui mal si distin-guevano i principi logici di ordinamen-to, è l’iterazione delle tre prove* – qua-lificante*, decisiva* e glorificante* – adapparire come la regolarità, situata sul-l’asse sintagmatico, che rivelava l’esi-stenza di uno schema narrativo canoni-co: la prova poteva allora essere consi-derata come un sintagma* narrativo ri-corrente, formalmente riconoscibile,poiché solo l’investimento semantico –inscritto nella conseguenza* – permettedi distinguerle le une dalle altre. Le ul-teriori analisi e i progressi nella costru-zione della grammatica narrativa hannodiminuito, in seguito, l’importanza delruolo della prova, giungendo sino aconsiderarla unicamente una figura*discorsiva di superficie*: il che non im-pedisce che proprio la successione del-le prove, interpretate come un ordinedi presupposizione logica all’inverso,sia retta da una intenzionalità* ricono-scibile e paragonabile a quella che servea spiegare, in genetica, lo sviluppo del-l’organismo. Anche se oggi le prove ciappaiono più che altro come ornamen-ti figurativi di operazioni logiche piùprofonde*, la loro posizione le situa,ciò nondimeno, all’interno dei tre per-corsi narrativi* che costituiscono la tra-ma di uno schema sintagmatico di gran-de generalità. In effetti, lo schema nar-rativo costituisce una sorta di quadroformale in cui viene ad inscriversi il“senso della vita”, con le sue tre istanzeessenziali: la qualificazione* del sogget-to, che lo introduce nella vita; la sua“realizzazione” attraverso qualcosa cheegli “fa”; infine la sanzione* – retribu-zione e ricompensa insieme – che è l’u-nica a garantire il senso dei suoi atti ead instaurarlo come soggetto secondo

l’essere. Questo schema è sufficiente-mente generale per consentire tutte lepossibili variazioni sul tema: considera-to a un livello più astratto e scompostoin percorsi, esso aiuta ad articolare e ainterpretare differenti tipi di attività, siacognitive sia pragmatiche. 3. Esaminando lo schema proppiano sipossono riconoscere delle altre regola-rità, non più d’ordine sintagmatico, madi ordine paradigmatico. Proiezioni dicategorie paradigmatiche sull’asse sin-tagmatico, esse possono essere conside-rate, in prima approssimazione, comedei sintagmi narrativi discontinui. Men-tre le regolarità sintagmatiche giocanosulla ricorrenza di elementi identici, leregolarità paradigmatiche sono itera-zioni di unità con delle strutture o deicontenuti invertiti. È il caso dell’orga-nizzazione contrattuale dello schemanarrativo. Le tre prove del soggetto so-no, per così dire, inquadrate, a un livel-lo gerarchicamente superiore, da unastruttura contrattuale: in seguito al con-tratto* stabilito fra il Destinante* e ilDestinatario-soggetto, quest’ultimo pas-sa attraverso una serie di prove per as-solvere gli impegni contratti, e si trova,alla fine, retribuito dal Destinante chein tal modo apporta anche il suo contri-buto contrattuale. A guardare più da vi-cino, tuttavia, ci si accorge che questocontratto viene stipulato solo in seguitoalla rottura dell’ordine stabilito (cioè diun contratto sociale implicito che è sta-to trasgredito): lo schema narrativo sipresenta allora come una serie di in-staurazioni, di rotture, di restaurazioniecc., di obblighi contrattuali. 4. D’altro canto ci si è resi conto che ilracconto proppiano possedeva una for-te articolazione spaziale, e che i diversispazi corrispondevano a forme narrati-ve distinte (per esempio lo spazio dovesi compiono le prove non è lo stesso incui viene istituito e sancito il contratto),e, quanto agli attanti*, anch’essi intrat-tengono delle relazioni specifiche congli spazi dai quali dipendono (il sogget-

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to, per esempio, non può realizzarsi chein uno spazio utopico* e solitario). L’ar-ticolazione spaziale dello schema narra-tivo – che all’inizio abbiamo considera-to come dotato dello status di sintagmanarrativo discontinuo – ha dato luogo aricerche che proseguono in due dire-zioni: da una parte l’esame più ap-profondito dell’organizzazione spazialeinvita a considerare la spazializzazione*come una sotto-componente relativa-mente autonoma delle strutture* di-scorsive; dall’altra il riconoscimento divariazioni correlative degli spazi e degliattanti induce a vedere nelle disgiunzio-ni* e congiunzioni* successive un nuo-vo principio paradigmatico di organiz-zazione narrativa. 5. Un’ultima proiezione paradigmati-ca, forse la più visibile, corrisponde allarelazione riconoscibile fra le due fun-zioni proppiane di “mancanza*” e di“riparazione della mancanza”, che per-mette al limite di interpretare il raccon-to come una successione di peggiora-menti e di miglioramenti (cfr. i lavori diC. Brémond). A prima vista si tratta, inquesto caso, di prendere in considera-zione non tanto l’attività dei soggetti,quanto piuttosto la circolazione deglioggetti* di valore. I soggetti del fare*appaiono allora come dei semplici ope-ratori destinati a eseguire uno schemadi trasferimento di oggetti prestabilito. Soltanto definendo gli oggetti comequei luoghi di investimento di valoriche sono proprietà dei soggetti di sta-to* e determinandoli nel loro “essere”,si può reinterpretare lo schema di tra-sferimento degli oggetti come una sin-tassi della comunicazione* fra soggetti. 6. In questa rilettura dello schemaproppiano, il passo decisivo è stato fat-to con il riconoscimento della strutturapolemica* che gli è soggiacente: la fiabanon è soltanto la storia dell’eroe e dellasua ricerca, ma anche, in modo più omeno nascosto, quella del traditore*:due percorsi narrativi, quello del sog-getto e quello dell’anti-soggetto, si svol-

gono in due direzioni opposte, ma ca-ratterizzate dal fatto che i due soggettimirano ad un unico e identico ogget-to di valore: si sviluppa così uno sche-ma narrativo elementare, fondato sullastruttura polemica. A ben guardare,questa struttura conflittuale è alla fin fi-ne uno dei due poli estremi – di cui l’al-tro è la struttura contrattuale – del con-fronto che caratterizza ogni forma dicomunicazione umana: lo scambio piùpacato implica l’affrontarsi di due vole-ri contrari e la lotta si inscrive nel qua-dro di una rete di tacite convenzioni. Il discorso narrativo appare allora co-me un luogo di rappresentazioni figura-tive delle differenti forme della comu-nicazione umana, fatta di tensioni e diritorni all’equilibrio. 7. Il percorso narrativo del soggetto,che sembra costituire il nucleo delloschema narrativo, è inquadrato ai duelati da un’istanza trascendente* in cuirisiede il Destinante*, incaricato di ma-nipolare e di giudicare il soggetto del li-vello immanente*, considerato comeDestinatario. La relazione fra Destinan-te e Destinatario è ambigua; da un latoessa obbedisce al principio della comu-nicazione che abbiamo appena richia-mato, e la struttura contrattuale sembradominare l’insieme dello schema nar-rativo: la performanza del soggetto cor-risponde all’esecuzione delle esigenzecontrattuali accettate e chiede comecontropartita la sanzione. Tuttavia, lerelazioni simmetriche ed egualitarie chesi stabiliscono tra Destinante e Destina-tario – e che permettono di trattarle,nel calcolo sintattico, come dei soggettiS1 e S2 – sono in parte contraddettedall’asimmetria dei loro statuti rispetti-vi: il Destinante – poco importa se siamanipolatore, incaricato di trasforma-re, dal canto suo, il Destinatario in unsoggetto competente, oppure che siagiudice, e stabilisca il potere giusto e ilsapere vero – esercita un fare fattitivo*che lo pone in una posizione gerarchi-camente superiore rispetto al Destina-

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tario. Ma questo non è sufficiente perdefinirlo: l’adulazione, per esempio, inquanto configurazione* discorsiva, met-te in scena un soggetto S1 che manipo-la S2: ciò non toglie che S2 è, per defi-nizione, gerarchicamente superiore aS1. Più che l’esercizio del potere, è ilpotere prestabilito che caratterizza lostatus gerarchico del Destinante: è persuo tramite, probabilmente, che con-viene definire l’istanza trascendentenella quale l’abbiamo inscritto. 8. Frutto di generalizzazioni successivea partire dalla descrizione di Propp, loschema narrativo si presenta dunquecome un modello ideologico di riferi-mento, che stimolerà ancora a lungoogni riflessione sulla narratività*. Magià sin d’ora permette di distinguere tresegmenti autonomi della sintassi narra-tiva, cioè i percorsi narrativi del sogget-to performatore, quello del Destinante-manipolatore e quello del Destinante-giudice, e di guardare con fiducia i pro-getti di una semiotica dell’azione, diuna semiotica della manipolazione e diuna semiotica della sanzione. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare chela semplice concatenazione di questi trepercorsi produca una unità sintattica didimensioni più vaste – ma della stessanatura dei suoi costituenti – che sareb-be lo schema narrativo. Fatte le debite proporzioni, tra lo sche-ma narrativo da una parte e i percorsinarrativi che vi si incontrano dall’altra,sussiste la stessa distanza che fra lestrutture attanziali di un enunciato e leclassi sintagmatiche che occupano que-sta o quella posizione attanziale. In talmodo, la configurazione discorsiva,identificata come percorso della mani-polazione, può corrispondere alla “fun-zione” del Destinante-manipolatore,ma si ritroverà anche all’interno delpercorso del soggetto performatore (leregole specifiche di questo genere di ri-corsività* sono lungi dall’essere elabo-rate). Si potrebbe dire che è la strate-gia* narrativa che dà ordine agli asse-

stamenti e alle sovrapposizioni dei per-corsi narrativi, mentre lo schema narra-tivo è canonico in quanto modello di ri-ferimento, rispetto al quale possono es-sere calcolate le deviazioni, le espansio-ni, le dislocazioni strategiche.

→ Narrativo (percorso –), Narratività,Manipolazione, Sanzione, Performanza,Competenza, Contratto, Comunicazione

Narratore/Narratario, n.m. Narrateur/Narrataire,Narrator/Narratee,Narrador/Narratoire

Quando il destinante e il destinatariodel discorso sono esplicitamente in-stallati nell’enunciato* (come nel casodi “io” e “tu”), possono essere chiama-ti, secondo la terminologia di G. Ge-nette, narratore e narratario. Attantidell’enunciazione* enunciata, sono deisoggetti, direttamente delegati, dell’e-nunciante e dell’enunciatario, e posso-no trovarsi in sincretismo con uno de-gli attanti dell’enunciato (o della nar-razione), come il soggetto del farepragmatico*, o il soggetto cognitivo*,per esempio.

→ Destinante/Destinatario,Attante, Débrayage

Nascondimento, n.m. Camouflage, Camouflage, Camuflaje

Il nascondimento è una figura* discorsi-va, situata sulla dimensione cognitiva*,che corrisponde a una operazione* logi-ca di negazione* sull’asse dei contrad-dittori* apparire/non-apparire del qua-drato* semiotico delle modalità veridit-tive. La negazione – partendo dal vero*(definito come la congiunzione dell’esse-re e dell’apparire) – del termine apparireproduce lo stato di segreto*: è questaoperazione, effettuata da un soggetto

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Negativo (termine –, deissi –)

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dato, che è chiamata nascondimento.Essa è dunque diametralmente oppostaall’inganno* che, partendo dal falso* (= non-essere + non-apparire) e negandoil non-apparire, porta allo stato di menzo-gna*. In un caso come nell’altro, si trattadi un’operazione di negazione, effettuatasullo schema* della manifestazione*.

→ Veridittive (modalità –), Simulata(prova –)

Natura, n.f. Nature, Nature, Naturaleza o Natura

1. La natura designa, in opposizioneall’artificiale o al costruito, il dato giàesistente o lo stato nel quale l’uomo sitrova dalla nascita: in questo senso, siparlerà di lingue* naturali o di mondo*naturale. 2. Nel quadro dell’antropologia strut-turale, e in particolare nel sistema levi-straussiano, l’opposizione natura/cultu-ra è difficile da definire nella misura incui essa si inscrive in contesti sociocul-turali differenti dove designa un rap-porto fra ciò che è concepito come par-te della cultura e ciò che è catalogatocome appartenente alla natura. In que-sta prospettiva, la natura non può maiessere una sorta di dato primario, origi-nario, anteriore all’uomo, quanto piut-tosto una natura già culturalizzata,informata dalla cultura. È in questosenso che abbiamo ripreso questa dico-tomia*, postulando che essa possa arti-colare il primo investimento elementa-re* dell’universo semantico collettivo*.

→ Cultura, Universo semantico

Naturale (semiotica –), agg. Naturelle (sémiotique –), Natural(Semiotics), Natural (semiótica –)

Si intendono per semiotiche naturali idue vasti insiemi* significanti (o macro-

semiotiche) che sono il mondo* natura-le e le lingue* naturali.

→ Semiotica

Necessità, n.f. Nécessité, Necessity, Necesidad

1. Secondo L. Hjelmslev, la necessità èun concetto* non definibile, ma allostesso tempo assolutamente indispensa-bile per definire la relazione di presup-posizione*. Questa presa di posizione èdel tutto comprensibile dal punto di vi-sta della logica, per la quale la necessitàfa parte dei concetti postulabili per di-chiarazione assiomatica*. 2. Dal punto di vista semiotico, la ne-cessità può essere considerata come ladenominazione della struttura modaledel dover-essere (dove un enunciatomodale regge un enunciato di stato).Essa è dunque in relazione di contra-rietà con l’impossibilità* concepita co-me dover non essere. In quanto concet-to della logica, la necessità è semiotica-mente ambigua, perché copre anche lastruttura modale del non poter non es-sere.

→ Aletiche (modalità –), Dovere

Negativo (termine –, deissi –), agg. Négatif (terme –, deixis –), Negative (Term, Deixis), Negativo (término –, deíxis –)

Per distinguerli fra di loro, nell’uso cor-rente, i due termini* dell’asse dei con-trari* – S1 e S2 – sono denominati ter-mine positivo* e termine negativo, sen-za alcuna connotazione timica*. Ladeissi* alla quale appartiene il terminecontrario negativo è detta per correla-zione deissi negativa: questa include iltermine subcontrario S1 del quale siprende in considerazione, in questo ca-so, solo la deissi di appartenenza, e non

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Negazione

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– per il fatto che è il contraddittorio* diS1–

– la sua deissi d’origine.

→ Quadrato semiotico

Negazione, n.f. Négation, Negation, Negación

1. La negazione è, con l’asserzione,uno dei due termini della categoria ditrasformazione* (che a sua volta è con-siderata come la formulazione astrattadella modalità* fattitiva). D’altro canto,definita come una delle due funzionidell’enunciato di fare*, la negazioneregge gli enunciati di stato* operandodelle disgiunzioni* fra soggetti* e og-getti*. 2. Dal punto di vista paradigmatico, lanegazione si presenta come l’operazio-ne che stabilisce la relazione di contrad-dizione* fra due termini dei quali il pri-mo, oggetto della ingiunzione negativa,è reso assente*, mentre il secondo, suocontraddittorio, acquisisce un’esisten-za* in praesentia. 3. Un gran numero di discorsi narrativisembra privilegiare l’operazione di ne-gazione considerandola come instaura-trice della narrazione (cfr. la trasgres-sione del divieto* e l’installazione del-la mancanza nel racconto proppiano).Ciò non esclude evidentemente l’esi-stenza di discorsi di distruzione.

→ Asserzione, Quadrato semiotico,Sintassi fondamentale

Neutralizzazione, n.f. Neutralisation, Neutralization,Neutralización

1. Si designa con il nome di neutralizza-zione la soppressione dell’opposizionedistintiva* all’interno di una categoria*semantica, suscettibile di prodursi in uncontesto* sintagmatico dato, a condizio-ne tuttavia che esista un supporto cate-

gorico che definisca l’unità linguisticamessa in gioco. Così, per esempio, indanese, l’opposizione sonoro/sordo èneutralizzata in finale di parola, perchéil mantenimento dei femi occlusivo edentale, comuni ai fonemi d e t, permet-te il riconoscimento, malgrado la neu-tralizzazione, di una unità-supportochiamata arcifonema. La neutralizza-zione si incontra tanto sul piano dell’e-spressione che su quello del contenuto(cfr. “loro” che sussume “Maria” e“Giovanni”, in seguito alla neutralizza-zione della categoria di genere) e puòessere interpretata semanticamente perlo più come la manifestazione dell’asse*semantico al posto di uno di questi ter-mini*. 2. A. In semiotica la neutralizzazione èuna delle procedure discorsive e rap-presenta la conversione*, sul piano deldiscorso, della doppia opposizione*privativa che costituisce il termine neu-tro del quadrato semiotico. Alla stessaoperazione di neutralizzazione ricon-ducono altre procedure, quali la so-spensione, la sincretizzazione, l’asten-sione della risposta nel dialogo, il bloc-co della funzione di riconoscimento nelracconto ecc. Il funzionamento detta-gliato di questi meccanismi è ancora dastudiare (F.M.)B. L’esempio danese di neutralizzazio-ne sul piano dell’espressione concernel’opposizione aspirato vs non aspirato,che normalmente distingue le occlusivedentali \t\ e \d \ in questa lingua. I duefonemi sono infatti non vocalizzati, adifferenza di quanto accade nello sve-dese e in francese. La neutralizzazioneha luogo in finale di parola, quando lasillaba è post-tonica: in questa situazio-ne i due fonemi convergono in una fri-cativa non aspirata [∂] (v. havet, il ma-re; Naestved, nome di città). La neutra-lizzazione si produce unicamente quan-do la vocale della sillaba finale è \e\ nel-la sua versione debole [ ], altrimenti lat non è fricativizzata.

e

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Non-conformità

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Le neutralizzazioni fonetiche sono ingenere assai fortemente condizionate,caso che vale forse anche per le neutra-lizzazioni che si producono sul pianodel contenuto. (P.A.B.)

→ Sincretismo, Sospensione

Neutro (termine –), agg. Neutre (terme –), Neutral (Term),Neutro (termíno –)

Derivato dalla struttura* elementaredella significazione, il termine neutro sidefinisce per mezzo della relazione “e... e”, contratta, in seguito a operazioni*sintattiche preliminari, dai termini S1

—e

S2—

situati sull’asse dei subcontrari*. Sideve a V. Brøndal l’aver definito questotermine come facente parte della reterelazionale costitutiva delle categorie*grammaticali (e non come un terminedella categoria di genere, per esempio).

→ Quadrato semiotico, Complesso(termine –), Termine

Nodo, n.m. Nœud, Node, Nudo

1. In grammatica generativa*, nodoserve a designare ogni punto di ramifi-cazione dell’albero a ciascuno dei livellidi derivazione*. Il nodo è dunque larappresentazione* della relazione di-scriminatoria fra due costituenti* im-mediati, relazione riconoscibile graziealla contiguità lineare. 2. L. Tesnière definisce il nodo comel’insieme relazionale, costituito dal ter-mine reggente e da tutti i suoi subordi-nati. “Mio vecchio amico”, per esem-pio, è un nodo costituito da un lato da“amico” che è il termine reggente, edall’altro da “mio” e “vecchio” che so-no i termini subordinati; questo nodo è,a sua volta, rappresentato da uno stem-ma (o albero di tipo differente).

3. La differenza fra queste due defini-zioni di nodo risiede nel fatto che perN. Chomsky il nodo rappresenta unarelazione binaria, fondata sulla linea-rità* dell’enunciato, riconoscibile aqualsiasi livello preso separatamente,mentre per Tesnière è un insieme di re-lazioni ipotattiche*, di tipo logico,comprendente tutti i livelli di derivazio-ne. Così, il nodo dei nodi, che è la fraseper Tesnière, corrisponde, per quantoanalizzato secondo criteri differenti, al-la descrizione* strutturale della frase.

→ Albero

Nomenclatura, n.f. Nomenclature, Nomenclature,Nomenclatura

La nomenclatura è l’insieme dei termi-ni monosememici* (o bi-univoci) artifi-cialmente forgiati o ridotti alla monose-memia, che servono a designare gli og-getti fabbricati (o le parti di questi og-getti) e che fanno parte di un socioletto.

→ Termine, Socioletto

Non completivo, agg. Inaccompli, Unaccomplished, No terminado

Certi linguisti denominano completi-vo/non completivo la categoria* semicaaspettuale perfettività/imperfettività.

→ Imperfettività, Aspettualizzazione

Non-conformità, n.f. Non-conformité, Non-conformity, No-conformidad

Si chiama non-conformità la relazione*esistente tra i due piani (espressione* econtenuto*) di un oggetto semiotico,quando questi possiedono articolazioni*

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Non linguistica

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paradigmatiche e/o divisioni* sintagma-tiche differenti. Essa permette allora diconsiderare un tale oggetto come una se-miotica biplanare* (o semplicemente se-miotica, secondo L. Hjelmslev).

→ Conformità, Semiotica

Non linguistica (semiotica –), agg. Non linguistique (semiotique –), Non-linguistic semiotic system, No lingüística (semiótica –)

Si qualificano talora come non lingui-stiche – in opposizione alle lingue natu-rali (che vengono ingiustamente privile-giate) – le semiotiche* del mondo natu-rale (come la semiotica degli oggetti, lagestualità*, la prossemica* ecc.).

→ Mondo naturale

Non scientifica (semiotica –), agg. Non scientifique (sémiotique –) Non Scientific (Semiotics), No científica (semiótica –)

Secondo L. Hjelmslev, una semiotica ènon scientifica se non obbedisce alprincipio di empirismo*.

→ Semiotica

Noologico, agg. Noologique, Noological, Noológico

1. L’insieme delle categorie* semicheche articolano l’universo* semanticopuò essere suddiviso in due sotto-insie-mi, prendendo come criterio la catego-ria esterocettività/interocettività. Si trat-ta di una classificazione paradigmatica*che permette di distinguere le categoriefigurative* dalle categorie non figurati-ve (o astratte*). 2. Questa medesima categoria – estero-cettività/interocettività – può essere

considerata dal punto di vista sintagma-tico* come una categoria classematica*di carattere universale, che autorizza,per la sua ricorrenza, una distinzionefra due classi di discorsi (o fra due di-mensioni dello stesso discorso manife-stato): così un discorso sarà detto noo-logico se è sotteso dal classema intero-cettività, e cosmologico* se è dotato delclassema esterocettività. Tuttavia, peressere teoricamente soddisfacente, ladicotomia noologico/cosmologico sem-bra avere, allo stato attuale delle ricer-che semiotiche, un rendimento operati-vo* assai debole, e la pratica semioticatende a sostituirle l’opposizione fra ledimensioni cognitiva* e pragmatica*del discorso. 3. L’esempio che segue permette di il-lustrare la differenza fra i due concettioperativi di non figurativo (o interocet-tivo) e cognitivo (o noologico): l’enun-ciato “una borsa pesante” si trova situa-to sulla dimensione pragmatica e com-porta dei semi figurativi; l’enunciato“una coscienza pesante” va inscrittosulla dimensione cognitiva: esso com-porta di volta in volta dei semi non fi-gurativi (“coscienza”) e figurativi (“pe-sante”). Come si vede, la dimensionecognitiva è il luogo in cui possono svi-lupparsi tanto dei discorsi figurativiquanto dei discorsi non figurativi.

→ Interocettività, Cosmologico,Pragmatico, Cognitivo

Norma, n.f. Norme, Norm, Norma

1. In sociolinguistica*, si intende pernorma un modello costruito a partiredall’osservazione, più o meno rigorosa,di usi sociali o individuali di una lin-gua* naturale. La scelta di questo o diquel tipo d’uso in vista della costituzio-ne della norma riposa su criteri extra-linguistici: lingua sacra, lingua del pote-re politico, prestigio letterario ecc.

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Nucleo

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Questo insieme di usi è codificato sottoforma di regole* – prescrizione e divie-ti – alle quali si deve conformare la co-munità linguistica, e prende il nome digrammatica* (detta grammatica nor-mativa dai linguisti del XIX secolo inopposizione alla grammatica descritti-va* che cerca unicamente di rendereconto del funzionamento della lingua,escludendo qualsiasi preoccupazionedeontica). 2. Il bisogno di uniformare gli usi, pro-prio delle società moderne (insegna-mento, amministrazione ecc.) imponespesso la scelta deliberata di una normaper la costituzione (o l’affermazione)delle lingue nazionali: così è apparsa lanozione di lingua standard, che si tentadi fondare su criteri statistici (il normaleessendo identificato con il “medio”) oprobabilistici (il normale è corrispon-dente a ciò che è atteso in un contestodato). La grammatica normativa riappa-re nuovamente: evitando l’impiego delsuo epiteto, divenuto peggiorativo, essamantiene la confusione fra la struttura*e la norma linguistiche, e contribuisce acreare una stilistica degli scarti. 3. La confusione fra la norma sociolin-guistica (la cui origine e il cui manteni-mento dipendono dall’esercizio del po-tere politico e/o culturale) e le costri-zioni* semiotiche (condizioni della par-tecipazione alle pratiche* semiotiche dicarattere sociale), porta a considerare lelingue naturali – sulla scorta di certeideologie – come delle “macchine di ca-strazione” o come gli strumenti di un“potere fascista”. Simili eccessi metafo-rici non vanno presi troppo sul serio. 4. La grammatica generativa* reintro-duce in qualche modo la nozione dinorma con i criteri di grammaticalità* edi accettabilità*. Tutta una problemati-ca che L. Hjelmslev ha cercato di chia-rire analizzando i concetti di schema*,di norma*, di uso* e di atto* linguistici,è riapparsa così sotto la pelle di unanuova terminologia. Le apparenze nor-mative della grammatica generativa so-

no ancora sottolineate dal fatto che siutilizza un metalinguaggio* che operain termini di regole: è evidente pertantoche le regole si indirizzano, nel casodella grammaticità normativa, a chi usala lingua, mentre esse sono destinate, ingrammatica generativa, all’automa* o,eventualmente, all’analisi manuale.

→ Costrizione, Scarto, Grammaticalità,Accettabilità, Retorica

Notazione simbolicaNotation symbolique, SymbolicNotation, Notación simbólica

La notazione simbolica, che impiegasotto forma di un grafo convenzionale(figure geometriche, lettere, abbrevia-zioni, iniziali ecc.) un insieme di simbo-li, serve alla rappresentazione* visiva diunità costitutive di un metalinguaggio*.

→ Simbolo

Noumenico, agg. Nouménal, Noumenal Plane,Nouménico

Ereditato dalla tradizione scolastica (ri-presa da Kant), il termine noumenico –opposto a fenomenico* – viene impie-gato talora come sinonimo di essere(nel quadro della modalizzazione veri-dittiva* dell’essere e dell’apparire): vie-ne così identificato il piano noumenicocon il piano dell’essere.

→ Essere, Immanenza

Nucleo, n.m. Noyau (ou Nucleus), Kernel (or Nucleus), Núcleo

1. Si chiama nucleo, frase o proposi-zione nucleare, l’unità linguistica mi-nima costitutiva della frase* o gli ele-

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Nucleo

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menti “primitivi” che la costituiscono.Per tradizione (risalente ad Aristotele)ma anche per partito preso, si conside-ra assai spesso che la struttura* dell’e-nunciato sia binaria*, che sia costituitada un soggetto* e da un predicato*, daun sintagma nominale e da un sintag-ma verbale, da un topic e da un com-mento ecc.

2. In semantica, designamo come nu-cleo la parte invariabile di un lessema*,che produce, con l’aggiunta di semicontestuali*, uno o più sememi*. I se-mi* costitutivi del nucleo sono spessodi ordine esterocettivo: di qui la sua de-nominazione di figura nucleare.

→ Enunciato, Figura

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OOccorrimento, n.m. Occurrence, Occurrence, Ocurrencia

1. L’occorrimento è la manifestazio-ne* di una grandezza* semiotica all’in-terno di una sintagmatica*, o la gran-dezza medesima, considerata nella suamanifestazione singola. Il termine è diuso corrente in statistica linguistica,dove serve da unità di misura per il cal-colo di un corpus*, mentre i “vocabo-li”, che sono delle classi di occorrimen-ti, sono unità utilizzate per computareil vocabolario*. Bisogna ancora notareche i “vocaboli” così definiti non sonole parole nel senso corrente, perché leforme verbali “andare”, “va”, “andrà”,per esempio, sono sempre vocaboli insenso statistico. 2. Un approccio linguistico (e, più ge-neralmente, semiotico) che prenda co-me punto di avvio il carattere occorren-ziale del piano dell’espressione* consi-derato nella sua materialità e che cerchidi costruire delle unità* linguistichesenza il ricorso a un metalinguaggio*,mostra qui tutti i suoi limiti. La ridu-zione* degli occorrimenti a queste clas-si di occorrimenti che sono i “vocabo-li” richiede la messa a punto di proce-dure di identificazione* o di riconosci-mento* anche a questo più elementa-re* livello di analisi*: due occorrimentinon sono mai identici, a causa della sin-golarità della pronuncia o della grafia;partendo dal piano dell’espressione,dove sono situati i “vocaboli”, è impos-sibile, checché ne pensino i distribuzio-nalisti, passare al piano dei segni* dovesi trovano i vocaboli* (che sono dei se-gni biplanari*): così la costruzione delvocabolo “andare”, a partire dall’insie-me delle sue varianti-parole, richiede il

contributo dell’intera morfologia del-l’italiano. 3. Il termine di occorrimento va man-tenuto per designare, per esempio, co-me discorso-occorrimento, il discorsoconsiderato nella singolarità e nell’uni-cità della sua manifestazione, quando sitratti di distinguerlo dal discorso inquanto classe o in quanto modo d’e-nunciazione.

→ Rioccorrimento

Occultamento, n.m. Occultation, Occultation, Ocultamiento

1. In semiotica narrativa, si designacon occultamento l’espulsione fuoridal testo* di ogni marca di presenza delprogramma* narrativo del soggetto S1,mentre il programma correlato di S2 èampiamente manifestato, o viceveresa.Tale operazione dipende in parte dal-le costrizioni imposte dalla testualizza-zione* lineare delle strutture narrative,che impedisce la messa in discorso didue programmi concomitanti. L’occul-tamento deve essere distinto, però, dalpiù generale fenomeno della messa inprospettiva. Mentre quest’ultima nonesclude la manifestazione parziale deiprogrammi correlati di S2 (che appari-rebbe come l’opponente* o l’anti-sog-getto dei programmi di S1), l’occulta-mento, cancellando ogni manifestazio-ne di superficie*, non permette la lettu-ra del programma correlato a meno chequesto non possa essere dedotto comecontraddittorio* (o contrario*) delprogramma manifestato, cioè a menoche questo non sia implicitamente pre-sente a un livello strutturale più pro-

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Oggettivo

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fondo*. Un esempio palese di occulta-mento è quello dei Due amici (Maupas-sant) rimasti silenziosi davanti allo svol-gimento ostentato del programma del-l’ufficiale prussiano. 2. L’occultamento, che permette la let-tura del programma implicitato come ilcontraddittorio del programma corre-lato esplicito*, non deve essere confusocon la semplice implicitazione che au-torizza la ricostruzione dei programmianteriori non esplicitati, grazie alla rela-zione di presupposizione* logica che licollega al programma manifestato.

→ Prospettiva, Implicito

Oggettivo, agg. Objectif, Objective, Objetivo

1. Si oppongono talora i valori oggettiviai valori soggettivi*, nella misura in cui iprimi sono considerati come proprietà“accidentali”, attribuibili al soggetto at-traverso la predicazione, mentre i secon-di gli saranno “essenziali”. Una tale di-stinzione, ereditata dalla filosofia scola-stica, corrisponde, in alcune lingue natu-rali, ai due tipi di predicazione: in fran-cese, grazie al verbo “avere” nel primocaso e alla copula “essere” nel secondo. 2. Il discorso oggettivo è prodotto dalmassimo sfruttamento delle proceduredi débrayage*: quelle del débrayage at-tanziale, che consiste nella cancellazio-ne di tutte le marche di presenza delsoggetto enunciante* nell’enunciato (co-me si ottiene mediante l’impiego di sog-getti apparenti del tipo “è evidente ...”,e di concetti astratti in posizione di sog-getti frastici), ma anche quelle del dé-brayage temporale, che permette allapredicazione di operare in un presenteatemporale. Tale discorso possiede ge-neralmente un carattere tassonomico*pronunciato. 3. Si intende per oggettivazione deltesto, in un tipo di analisi che affrontala descrizione del solo enunciato, l’eli-

minazione* delle categorie* grammati-cali (persona, tempo, spazio) che rin-viano all’istanza dell’enunciazione*,marcando con ciò la presenza, indiret-ta, dell’enunciante all’interno dell’e-nunciato.

Oggetto, n.m. Objet, Object, Objeto

1. Nel quadro della riflessione episte-mologica si designa con il nome ogget-to, ciò che è pensato o percepito inquanto distinto dall’atto di pensare (odi percepire) e dal soggetto che lo pen-sa (o lo percepisce). Questa definizio-ne è sufficiente per dire che solo la re-lazione* fra il soggetto che conosce el’oggetto di conoscenza li fonda comeesistenti e distinti l’uno dall’altro: at-teggiamento che pare del tutto confor-me all’approccio strutturale della semio-tica. È in questo senso che si parla dilinguaggio-oggetto o di grandezza* se-miotica, insistendo sull’assenza di ognideterminazione anticipata dell’ogget-to, fatta salva la sua relazione con ilsoggetto. 2. Scelto in questa istanza, l’oggetto èsolo una posizione formale, è conosci-bile solo per le sue determinazioni chesono, anch’esse, di natura relazionale:l’oggetto si costruisce perché si stabili-scono relazioni: – a) fra esso e gli altri oggetti; – b) fra esso, considerato come un tut-to, e le sue parti; – c) fra le parti da un lato e l’insiemedelle relazioni stabilite precedentemen-te dall’altro. Risultato della costruzione effettuatadal soggetto che conosce, l’oggetto se-miotico si riduce dunque, come dice L.Hjelmslev, ai «punti d’intersezione difasci di relazioni». 3. La procedura di débrayage* permet-te di proiettare fuori dal soggetto checonosce (o soggetto dell’enunciazione*)e di “oggettivare” queste relazioni fon-

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Omologazione

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damentali dell’uomo con il mondo, e lasemiotica* si autorizza a darne la rap-presentazione sotto forma di enunciati*costituiti di funzioni* (= relazioni) e diattanti* (soggetti e oggetti). In quantoattanti, gli oggetti sintattici devono esse-re considerati come posizioni attanziali,suscettibili di ricevere investimenti siadei progetti di soggetti (si parlerà alloradi oggetti di fare), sia delle loro propriedeterminazioni (oggetti di stato). 4. I soggetti debraiati e installati nel di-scorso sono posizioni vuote che non ri-cevono le loro determinazioni (o i loroinvestimenti* semantici) se non in se-guito al fare* del soggetto medesimodell’enunciazione (attraverso la predi-cazione*), o del soggetto delegato in-scritto nel discorso: tali soggetti sonodunque trattati come oggetti in attesadelle loro determinazioni, che possonoessere positive o negative (se sono defi-niti come sprovvisti di attributi enun-ciati). Si può rappresentare tutto que-sto sotto forma di un enunciato di sta-to* che indica la giunzione* (congiun-zione* o disgiunzione*) del soggettocon l’oggetto. L’oggetto – o oggetto divalore – si definisce allora come il luogodi investimento dei valori* (o delle de-terminazioni) con le quali il soggetto ècongiunto o disgiunto. 5. Accanto alla nozione di oggetto co-me attante sintattico, F. Bastide propo-ne, non senza ragione, un concetto di-verso definito all’interno della figurati-vità spaziale. (A.J.G.)

→ Soggetto, Enunciato, Attante, Valore

Omogeneità, n.f. Homogénéité, Homogeneity,Homogeneidad

1. Un insieme* è detto omogeneo setutti i suoi elementi* costitutivi hannoin comune le medesime proprietà. A differenza del concetto di isotopia*,

riservato all’analisi interna del discorso,quello di omogeneità, molto più vasto erelativamente impreciso (L. Hjelmslevl’ha riconosciuto come non definibile),si applica essenzialmente alla costituzio-ne del corpus*, facendo giocare, fra lealtre, delle condizioni extra-linguistiche. 2. In senso più ristretto l’omogeneità sifonda su una scelta di elementi di iden-tico livello*, di unità di identiche di-mensioni, di relazioni dello stesso tipo(Hjelmslev). In questa prospettiva vaconsiderata simile alla pertinenza*: tut-tavia, mentre quest’ultima dipende dalpunto di vista dell’analista (o della suaoperazione), la prima concerne piutto-sto la natura “immanente” del materia-le esaminato.

Omologazione, n.f. Homologation, Homologation,Homologación

1. L’omologazione è una operazionedi analisi semantica, applicabile a tuttigli ambiti semiotici, che fa parte dellaprocedura generale di strutturazione.Va considerata come una formulazionerigorosa del ragionamento per analo-gia*. Data la struttura

A: B : : A': B'

A e A' sono detti omologhi in rapportoa B e B'. Dal punto di vista semantico,un’omologia simile può essere afferma-ta solo a tre condizioni: – a) i termini rappresentati dalle letteremaiuscole devono essere dei sememi*scomponibili in semi*; – b) i termini A e A' da un lato e B e B'dall’altro comportano necessariamentealmeno un sema comune; – c) la relazione fra A e B da un lato efra A' e B'dall’altro è identica e può es-sere riconosciuta come una delle rela-zioni logiche elementari (contraddizio-ne, contrarietà, complementarità). 2. L’omologazione così definita è com-

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Omonimia

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plementare, nell’analisi semantica, alla ri-duzione*: un inventario di occorrimenti*parasinonimici può essere ridotto a ununico sema descrittivo solo se ogni oc-corrimento ritrova il suo termine oppo-sto (contrario o contraddittorio) nell’in-ventario (o negli inventari) parallelo, esolo se ciascuna delle categorie così stabi-lite è omologabile alle altre categorie de-gli inventari paralleli. 3. In quanto disciplina imposta al ra-gionamento analogico, e la cui impor-tanza per la ricerca non va sottovaluta-ta, l’omologazione è una procedura ge-nerale che travalica i limiti della seman-tica (in senso stretto): si usa, per esem-pio, per stabilire le regole di conversio-ne* tra livelli*, per determinare correla-zioni nella metodologia comparativa*,per formulare le costrizioni semiotiche(sintattiche o semantiche) ecc.

→ Strutturazione, Analogia

Omonimia, n.f. Homonymie, Homonymy, Homonimia

L’omonimia è la relazione di identità*, si-tuata al livello del significante* e ricono-sciuta fra due o più morfemi* o vocaboli icui significati* sono considerati distinti.Le omonimie possono essere omofone(in italiano “calcio” l’atto del calciare e“calcio” parte della pistola) o omografe(in italiano “pesca” il frutto del pesco, e“pesca” l’attività del pescare). Due lesse-mi* sono considerati indipendenti eomonimi se i loro sememi* non compor-tano alcuna figura nucleare comune.

→ Polisememia

Onomasiologia, n.f. Onomasiologie, Onomasiology,Onomasiologia

Si definisce onomasiologia il procedi-mento che, in semantica lessicale, con-

siste nel partire dal significato* (“con-cetto” o “nozione”) per studiarne lemanifestazioni sul piano dei segni*; ègeneralmente opposta alla semasiolo-gia.

→ Semantica, Semasiologia

Onomastica, n.f. Onomastique, Onomastics, Onomástica

Dal punto di vista dell’organizzazioneinterna del discorso*, si può considera-re l’onomastica – con i suoi antroponi-mi*, i suoi toponimi* e i suoi crononi-mi* – come una delle sotto-componen-ti della figurativizzazione. Ritenuta ca-pace di conferire al testo* il grado de-siderato di riproduzione del reale, lacomponente onomastica permette unancoraggio* storico che mira a costitui-re il simulacro di un referente* esternoe a produrre l’effetto di senso “realtà”.

→ Figurativizzazione

Operativo (o Operazionale), agg. Opératoire (ou Opérationnel),Operational, Operatorio (o Operaciónal)

Il qualificativo operativo è impiegato intre accezioni differenti, ma non con-traddittorie: – a) un concetto* o una regola* sonodetti operativi quando, pur insufficien-temente definiti e non ancora integratinel corpo dei concetti e/o nell’insiemedelle regole, permettono però di eserci-tare un fare scientifico apparentementeefficace; applicati ai concetti, operativoe strumentale sono, in questa accezio-ne, quasi sinonimi; – b) a livello di una teoria già formaliz-zata*, una regola viene detta operativaquando è perfettamente esplicita*, de-finita e tale da essere eseguibile da unautoma*;

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Ordine

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– c) una teoria* – la teoria semiotica*per esempio – è considerata operativanel suo insieme se prevede delle proce-dure di applicabilità.

→ Efficacia, Adeguazione

Operazione, n.f. Opération, Operation, Operación

1. In senso generale, si dà il nome dioperazione alla descrizione* che soddi-sfa le condizioni di scientificità* (ciòche L. Hjelmslev chiama principio diempirismo*). Una serie ordinata dioperazioni è denominata procedura. 2. In senso più ristretto, intendiamoper operazione, a livello di sintassi fon-damentale, il passaggio di un termine*della categoria semantica da uno statoall’altro (o da una posizione sul quadra-to* semiotico a un’altra) effettuato perconsentire una trasformazione* (asser-zione o negazione). 3. Si deve altresì opporre operazione amanipolazione*, intendendo per ope-razione la trasformazione logico-se-mantica dell’azione dell’uomo sulle co-se, mentre la manipolazione corrispon-de all’azione dell’uomo sugli altri uo-mini.

→ Procedura, Sintassi fondamentale

Opponente, n.m. Opposant, Opponent, Oponente

Si definisce opponente il ruolo di ausi-liante negativo quando è assunto da unattore* diverso da quello del soggettodel fare*. Corrisponde allora – dal pun-to di vista del soggetto del fare – a unnon-poter-fare individualizzato che, sot-to forma di attore* autonomo, intralciala realizzazione del programma* narra-tivo in questione.

→ Ausiliante, Adiuvante

Opposizione, n.f. Opposition, Opposition, Oposición

1. In un senso molto generale, il ter-mine opposizione è un concetto ope-rativo* che designa l’esistenza, fradue grandezze*, di una relazione*qualunque, sufficiente a permetteredi accostarle, senza che ci si possa tut-tavia, a questo stadio, pronunciaresulla sua natura. Il simbolo vs* (ab-breviazione del latino versus) o la bar-ra obliqua (/) rappresentano per lopiù tale relazione. 2. In un senso più preciso, il termineopposizione si applica alla relazione deltipo “o ... o” che si stabilisce, sull’asseparadigmatico*, fra le unità di medesi-mo rango compatibili fra loro. L’asse pa-radigmatico è detto allora asse delle op-posizioni (o asse delle selezioni*, secon-do R. Jakobson) e si distingue così dal-l’asse sintagmatico*, chiamato asse deicontrasti (o asse delle combinazioni*). 3. Per evitare confusione, basta men-zionare la terminologia di L. Hjelmslev,che riserva il termine di relazione alcontrasto e designa con il nome di cor-relazione la relazione di opposizione:dato che questa è soltanto discrimina-toria, il linguista danese ha previsto unatipologia delle relazioni specifiche chele unità paradigmatiche intrattengonofra loro.

→ Contrasto, Correlazione

Ordine, n.m. Ordre, Order, Orden

Il concetto epistemologico di ordine, ilcui senso più generale è quello di unaserie regolare di termini*, non può es-sere precisato se non in seguito a inter-definizioni successive. Interessa la se-miotica in due delle sue accezioni. 1. L’ordine designa, da un lato, la re-golarità di presenza o di apparizione diun fenomeno (di una grandezza*) al-

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Orientamento

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l’interno di una catena di fenomeni nondefiniti. Se viene riconosciuta, tale regolarità di-venta significativa e può servire da pun-to di partenza per un’interpretazionelogico-semantica del fenomeno ricor-rente. L’ordine appare così come ilprincipio esplicativo dell’organizzazio-ne, sintattica e semantica, del discorso. 2. Pertanto, perché una regolarità pos-sa essere identificata nella catena di-scorsiva, il fenomeno ricorrente devepresentarsi, in un certo senso, comediscontinuo*, e manifestare, in rap-porto ai termini che lo circondano,una relazione asimmetrica e transitiva.Così, per esempio, la scelta del ritmo*presuppone non solo la regolaritàd’apparizione di un medesimo feno-meno, ma anche la presenza di almenodue termini distinti, situati in un “or-dine” di successione non reversibilel’uno in rapporto all’altro. È in questosenso che si parla di ordine delle paro-le (nella frase), intendendo con ciò cheesso è pertinente e significativo (in“Piero colpisce Paolo”, l’ordine fun-ziona come una categoria dell’espres-sione*, e permette di distinguere ilsoggetto dall’oggetto). Preso in questaaccezione, il concetto di ordine è unodei postulati fondamentali dell’analisidistribuzionale*: la critica principaleche gli si può rivolgere è la confusioneche esprime fra l’orientamento logicoe l’ordine del significante*.

→ Transitività, Orientamento,Linearità

Orientamento, n.m. Orientation, Orientation, Orientación

1. Concetto intuitivo, probabilmentenon definibile, ma necessario per fonda-re la metalogica o la teoria semiotica*,l’orientamento copre più o meno le no-zioni linguistiche di transitività e di reg-

genza, e corrisponde in parte a quella diintenzionalità* in epistemologia. 2. Per precisare meglio il concetto, sipuò partire dall’espressione metaforicadi L. Hjelmslev che vi vede “un movi-mento logico” che va da un terminereggente verso il termine retto; tale“movimento” può essere definito dalcarattere asimmetrico e irreversibiledella relazione* fra due termini* (latransitività va, per esempio, dal sogget-to “verso” l’oggetto, e non inversamen-te). Una simile interpretazione determi-na le condizioni necessarie al riconosci-mento* dell’orientamento, mentre laspiegazione che tenta di dargli la logica(per mezzo dell’“intensità” psicologicadel primo termine o per mezzo dell’im-patto della sua “traccia” nel cervello –B. Russel) resta più vaga e non è piùsoddisfacente della metafora di Hjelm-slev. 3. Un esempio aiuterà a chiarire me-glio la nozione: due grandezze x e y, si-tuate sull’asse della verticalità, sonodefinite per mezzo della relazione to-pologica che le riunisce, e che è una re-lazione simmetrica, poiché le grandez-ze possono cambiare di posizione sen-za modificare in nulla e per nulla la na-tura della loro relazione. Pertanto, separlando di queste due grandezze si di-ce che “x è sotto y” la relazione ricono-scibile fra i due termini è asimmetrica,in quanto la grandezza y diventa il pun-to di partenza di una relazione orienta-ta verso x (mentre l’ordine discorsivova da x a y). Si può dire, allora, che l’o-rientamento costituisce un investimen-to supplementare e restrittivo che si ag-giunge alla relazione topologica esi-stente. Nello stesso senso distinguere-mo la trasformazione non orientata(che è una correlazione* fra due unitàdipendenti da due sistemi* o da dueprocessi* diversi) dalla trasformazioneorientata (genetica o storica) che è irre-versibile.

→ Transitività, Ordine, Trasformazione

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Osservatore

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Originalità semanticaOriginalité sémantique, SemanticOriginality, Originalidad semántica

1. La nozione di originalità appare, nelcontesto culturale francese, solo nellaprima metà del XVIII secolo, ed è assaidifficile da cogliere. Gli sforzi della sti-listica*, che ha cercato di definirla co-me uno scarto* in rapporto alla nor-ma*, non sono per nulla conclusivi, acausa della mancanza di una distinzio-ne chiara tra i livelli* del linguaggio.Per quanto illuminante, il suggerimen-to di M. Merleau-Ponty di considerarelo stile come una “deformazione coe-rente” dell’universo* semantico – e dicercar di riconoscere non più gli scartidi fatti atomici, presi isolatamente in sé,ma degli scarti di struttura – non haavuto conseguenze pratiche. 2. Nella prospettiva appena aperta, sipuò tentare un primo passo, che consi-ste nel definire l’originalità, a livellodelle strutture semantiche profonde*,come la risposta specifica che un indivi-duo o una società danno agli interroga-tivi fondamentali, come quelli che pos-sono essere formulati per mezzo dellecategorie* di vita/morte e di natura/cul-tura. Si è così portati a distinguere unaoriginalità idiolettale*, che specifica unattore individuale, e una originalità so-ciolettale*, che relativizza e particola-rizza una cultura*. 3. Accanto alle due assiologie* temati-che – individuali e collettive – sopramenzionate, entro le quali potrebbeessere calcolato lo scarto strutturalecostitutivo dell’originalità, una terzaassiologia, figurativa, che articola lequattro figure* degli elementi “prima-ri” della “natura” (acqua, fuoco, aria,terra) deve essere presa in considera-zione e omologata alle prime due. Ineffetti, l’impiego, da parte di un indivi-duo o di una società, di tali elementi fi-gurativi, e la loro disposizione partico-larizzante sul quadrato* semiotico (iltermine morte è omologato, per esem-

pio, da Bernanos con acqua, e da Mau-passant con terra) costituiscono sen-za dubbio un criterio importante per il riconoscimento della “deformazionecoerente”.

→ Universo semantico, Struttura,Idioletto, Socioletto, Scarto

Osservatore, n.m. Observateur, Observer, Observador

1. Chiamiamo osservatore il soggettoipercognitivo delegato dall’enunciatoree da questi installato, grazie alle proce-dure di débrayage, nel discorso enun-ciato. Un semplice fare ricettivo non èsufficiente a definire un osservatore, vi-sto che quest’ultimo implica il darsi diuna vera e propria informazione*, valea dire l’assunzione di un sapere, a un li-vello gerarchicamente superiore, permezzo di un ipersapere*. 2. La circolazione del sapere, accom-pagnata dall’ipersapere di cui è l’ogget-to, è quindi determinata dall’interazio-ne tra due soggetti (osservatore e infor-matore*). È il confronto delle loro ri-spettive posizioni modali a dar luogo aidiversi regimi di intersoggettività (co-municazione, indiscrezione, pudore,indovinello, dissimulazione, violazionedell’informazione ecc.).3. Considerando il modo di manifesta-zione dell’osservatore nell’enunciato (lasua implicitazione/esplicitazione attan-ziale e/o la sua implicitazione/esplicita-zione attoriale), ossia il grado di dé-brayage* che lo installa nell’enunciato,possiamo definire una tipologia mini-male degli osservatori, che va dal sem-plice ruolo attanziale ricostruibile a li-vello dell’analisi, all’attore coinvoltonell’enunciato con i ruoli propri ai sog-getti enunciati. Inoltre, distinguendo idue ruoli fondamentali dell’osservatorerispetto all’oggetto cognitivo e all’infor-matore (l’eterogeneizzazione per dé-brayage e l’omogeneizzazione per em-

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Ottimizzazione

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Ottimizzazione, n.f. Optimisation, Optimization,Optimización

1. L’ottimizzazione è l’applicazionealle procedure sintagmatiche* del prin-cipio di semplicità*. Può manifestarsia diversi livelli di analisi: consisterà,per esempio, nella riduzione del nu-mero di operazioni* che una procedu-ra di analisi richiede (implicando talo-ra, per questo motivo, la scelta di que-sto o quel modello*); apparirà anche almomento della scelta del sistema dirappresentazione* metasemiotico (al-bero*, parentesizzazione* ecc.) consi-derato come il più adatto all’oggetto dianalisi ecc. 2. Si può designare con l’espressio-ne ottimizzazione funzionale l’applica-

zione del principio di semplicità allaprogrammazione temporale di un pro-gramma* narrativo complesso, come ca-pita nella ricerca operazionale, in lin-guistica applicata, in semiotica dellospazio ecc. 3. Si parla talora di ottimizzazioneestetica a proposito di fatti discorsivicome la riorganizzazione, conforme allalinearità* del testo, della programma-zione cronologica dello schema narrati-vo*. In questo senso, l’ottimizzazionedeve essere interpretata come la ricercadi una conformità fra le disposizioni te-stuali e le strutture idiolettali* e/o so-ciolettali* da cui dipende l’attore dell’e-nunciazione*.

→ Programmazione spazio-temporale,Strategia

brayage), possiamo definire due ruoli at-tanziali discorsivi: rispettivamente il fo-calizzatore* e l’aspettualizzatore*. Infi-ne, nel caso in cui questi differenti tipidi osservatore siano dotati di un percor-

so figurativo di verbalizzazione, avremouna tipologia dei narratori*. L’insiemedelle tre variabili può presentarsi in ununico quadro, come nel seguente:

Definizione del tipo

Attante di discorsiviz-zazione ricostruibile alivello d’analisi

Attante virtuale, impli-cato per la deissi spa-zio-temporale

Attore attualizzato nel-l’enunciato

Denominazione deltipo di narratore

(con percorso di verbalizzazione)NARRATORE

RELATORE

TESTIMONE

Denominazione del tipo di osservatore

FOCALIZZATORE (“Foc”)ASPETTUALIZZATORE (“Asp”)

SPETTATORE (“Sp”)

ASTANTE (“As”)

(J.F.)

→ Cognitivo, Teatrale (semiotica –),Comunicazione

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PParadigma, n.m. Paradigme, Paradigm, Paradigma

1. Il paradigma è una classe* di ele-menti suscettibili di occupare una stes-sa posizione nella catena sintagmatica*,o, il che è alla fine lo stesso, un insiemedi elementi sostituibili gli uni agli altriin un medesimo contesto*. Gli elemen-ti così riconosciuti per mezzo della pro-va di commutazione* intrattengono fraloro delle relazioni di opposizione* cheun’analisi ulteriore può formulare intermini di tratti distintivi*. Le opposi-zioni distintive permettono a loro voltadi costituire delle sotto-classi all’inter-no di un paradigma. 2. Tradizionalmente, il termine para-digma serviva a designare gli schemi diflessione o di accentuazione delle paro-le (declinazione, coniugazione ecc.).Questo concetto, allargato e ridefinito,è utilizzato per la costituzione non solodelle classi grammaticali, ma anche del-le classi fonologiche e semantiche.

Paradigmatico, agg. Paradigmatique, Paradigmatic,Paradigmatica(o)

1. Una volta applicata alla semiotica ladicotomia sistema*/processo*, di ca-rattere universale, i suoi termini sonodenominati da L. Hjelmslev paradig-matico e sintagmatico*. Tale dicotomiaè essenzialmente e unicamente fondatasul tipo di relazione che caratterizzaciascuno dei suoi assi: le funzioni fra legrandezze situate sull’asse paradigma-tico sono delle “correlazioni” (disgiun-zioni logiche del tipo “o ... o”) mentrequelle che trovano posto sull’asse sin-

tagmatico sono delle “relazioni” (con-giunzioni logiche del tipo “e ... e”). Laparadigmatica si definisce così come ilsistema semiotico costituito da un in-sieme di paradigmi* articolati fra loroper mezzo di relazioni disgiuntive: ilche le conferisce, in prima approssima-zione, la forma di una gerarchia* di ca-rattere tassonomico*. 2. La paradigmatica può essere consi-derata come la riformulazione del con-cetto saussuriano di langue*, con que-sta differenza però: che il sistemahjelmsleviano non è costituito di sem-plici correlazioni fra paradigmi e termi-ni di ciascun paradigma, ma di correla-zioni fra categorie* (definite allo stessotempo dal loro modo di comportamen-to sintagmatico). Mentre per F. deSaussure «l’assemblaggio delle parolein frasi» dipende dalla parole (parola*),la definizione di volta in volta paradig-matica e sintagmatica della categoriaavvicina la paradigmatica hjelmslevianaalla competenza* chomskiana, checontiene le regole di formazione dellefrasi. 3. La semiotica letteraria presta moltaattenzione alla proiezione dell’asse pa-radigmatico sull’asse sintagmatico, pro-cedimento che, secondo R. Jakobson,caratterizza il modo d’esistenza di ungran numero di discorsi poetici*. Il fattoè che termini in disgiunzione paradig-matica sono suscettibili di apparire incongiunzione (copresenza) sull’asse sin-tagmatico (si dirà, per esempio, cheun’antifrasi* può manifestarsi sotto for-ma di antitesi*). La generalizzazione euna formulazione più rigorosa di questaintuizione jakobsoniana ha messo in evi-denza il ruolo delle proiezioni paradig-matiche nell’organizzazione dei discorsi

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Parafrasi

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narrativi, e in particolare nello schemanarrativo*.

→ Paradigma

Parafrasi, n.f. Paraphrase, Paraphrasing, Paráfrasis

1. La parafrasi è un’operazione meta-linguistica* che consiste nel produrre,all’interno di uno stesso discorso, unaunità discorsiva semanticamente equi-valente a un’altra unità prodotta ante-riormente. In questo senso, un parasi-nonimo*, una definizione* discorsiva,una sequenza possono essere conside-rate come parafrasi di un lessema*, diun enunciato* o di ogni altro segmentodiscorsivo. Tale operazione è, a secon-da dei casi, una traduzione* intralingui-stica e una espansione* (che dipendedall’elasticità* del discorso). 2. La parafrasi si presenta come una atti-vità “naturale” (cioè non scientifica) disostituzione* (che è una delle basi delcalcolo logico e linguistico), e come taledipende dalla dimensione paradigmati-ca* del linguaggio: un insieme di parafra-si costituisce, in certo qual modo, unaclasse paradigmatica di “frasi”. Pertanto,contrariamente a ciò che accade al mo-mento della costituzione delle classi*morfologiche, sintattiche o sintagmati-che – dove i criteri di sostituibilità pre-scelti sono sia la distribuzione*, sia le ca-tegorie* grammaticali precedentementericonosciute – una classe di parafrasi hacome denominatore comune un’equiva-lenza semantica postulata più o meno in-tuitivamente. Si vede bene come in que-sta prospettiva, e col fine di render contodella semantica mediante la sintassi, lagrammatica generativa* può individuareuna grammatica di parafrasi: una classedi parafrasi, caratterizzata da una struttu-ra profonda* unica, permetterà di gene-rare un insieme di parafrasi corrispon-denti e parimenti un insieme di strutturedi superficie*, risultanti dal gioco delle

diverse trasformazioni*. In una prospet-tiva propriamente semantica, si potrà ot-tenere un risultato analogo postulandouna rappresentazione* logico-semanticacomune a tutte le parafrasi. 3. Non sarà inutile distinguere due tipidi parafrasi: – a) le parafrasi sostitutive (o denotati-ve*), che mostrano l’equivalenza diret-ta con l’enunciato parafrasato; – b) le parafrasi oblique (in parte conno-tative*), nelle quali il contenuto disam-bigua l’enunciato primario (mediante ri-ferimento sia al contesto dell’enunciatosia all’istanza dell’enunciazione*). 4. In maniera più generale, la parafrasiva concepita come uno dei due modi diproduzione e di riconoscimento dellasignificazione, e, più precisamente, co-me il modo paradigmatico, in opposi-zione al modo sintagmatico che consi-sterà nel cogliere le significazioni inquanto intenzionalità*.

→ Elasticità del discorso, Definizione

Paralessema, n.m. Paralexème, Paralexeme, Paralexema

Si definiscono paralessemi le unità delpiano del contenuto* le cui dimensionisintagmatiche*, sul piano dell’espres-sione, sono maggiori di quelle dei lesse-mi*, ma che, paradigmaticamente*, so-no sostituibili all’interno di una classedi lessemi appropriati (“porta-bandie-ra”, “macchina da scrivere”). Tale ter-mine è in concorrenza con quello di les-sìa, proposto da B. Pottier.

→ Lessìa

Paralinguistico, agg. Paralinguistique, Paralinguistic,Paralingüística(o)

Si considerano paralinguistiche le gran-dezze* dipendenti da semiotiche non

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Parola

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linguistiche* che sono prodotte in con-comitanza con i messaggi orali o grafi-ci delle lingue* naturali. Si classificanogeneralmente sotto questa etichetta daun lato i fenomeni di intonazione*, digestualità*, certi atteggiamenti somati-ci ecc., e dall’altro la scelta dei caratte-ri, l’impaginazione ecc. Il termine pa-ralinguistica (o anche paralinguaggio)rappresenta un punto di vista stretta-mente linguistico, che, pur ricono-scendo l’esistenza di altre pratiche se-miotiche, le considera come seconda-rie o accessorie.

→ Sincretismo, Semiotica

Parasinonimia, n.f. Parasynonymie, Parasynonymy,Parasinonimia

La parasinonimia (o quasi-sinonimia) èl’identità* parziale di due o più lesse-mi*, riconoscibile dal fatto che essi so-no sostituibili in certi contesti* soltan-to. La sinonimia totale può essere po-stulata solo al livello dei sememi*.

→ Sinonimia

Paratopico, agg. Paratopique, Paratopic, Paratópico

Sotto-componente dello spazio topi-co*, e opposto allo spazio utopico*(dove si realizzano le performanze*),lo spazio paratopico è quello in cui sisviluppano le prove preparatorie oqualificanti*, dove si acquisiscono lecompetenze* (tanto sulla dimensionepragmatica* che sulla dimensione co-gnitiva*).

→ Localizzazione spazio-temporale

Parentesizzazione, n.f. Parenthétisation, Bracketing,Parentización

La parentesizzazione, come utilizzazio-ne di parentesi, è una forma particolaredella rappresentazione dell’analisi* inlinguistica (e, più in generale, in semio-tica), equivalente (omologabile e tradu-cibile) a quella della rappresentazionead albero. In questo caso, essa costitui-sce una “scrittura” omogenea da nonconfondere con l’impiego accidentaleo specifico di parentesi in un altro si-stema di rappresentazione. In gramma-tica generativa*, per esempio, le paren-tesi servono come simbolo* per segna-lare il carattere facoltativo di un costi-tuente*.

→ Rappresentazione, Albero

Parola, n.f. Parole, Speech, Habla

1. Nella dicotomia saussuriana, parolesi oppone a langue (lingua*), anche senon si tratta di un concetto ben definito.In effetti, poiché tale dicotomia è stataposta da F. de Saussure solo per megliocircoscrivere la nozione di langue (uni-co oggetto, per lui, della linguistica), laparola appare, fin dall’origine, comeuna sorta di coacervo nozionale la cuiforza di suggestione è stata nondimenoconsiderevole al momento degli svilup-pi ulteriori della linguistica. La proble-matica che le era soggiacente si è mani-festata, in seguito, in una serie di conce-zioni variabili da una teoria all’altra, dimodo che oggi il concetto di parola hacessato di essere operativo*. 2. Le nozioni seguenti possono esse-re considerate delle reinterpretazioniparziali della parola (nel senso saussu-riano): – a) il processo* (opposto al sistema*)che è, per L. Hjelmslev, una delle duemaniere d’essere dell’universo struttu-

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Parola

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rato (o strutturabile), e la sintag-matica* (opposta alla paradigmatica*)definita come processo semiotico, rico-prono uno degli aspetti della parola,perché ordinano gli elementi della lan-gue in vista della costruzione delle fra-si; – b) il messaggio* (opposto al codice*)riprende, nella teoria della comunica-zione*, la parola considerata come ilprodotto del codice (ma senza tenerconto del processo di produzione*); – c) il discorso* (opposto alla lingua),concepito da E. Benveniste come lin-gua assunta e trasformata dal soggettoparlante, occupa per lui un posto com-parabile a quello della parola per Saus-sure. Tuttavia, la sua insistenza sul ruo-lo del soggetto che assume la linguaproduce una nuova dicotomia, quellatra enunciazione* ed enunciato*: dueaspetti complementari della parolasaussuriana; – d) la performanza* (opposta allacompetenza*) corrisponde, nella teoriagenerativa*, al termine parola, nella mi-sura in cui insiste sul suo aspetto di rea-lizzazione* (a differenza della lingua,virtuale*): al tempo stesso, essa situal’attività formatrice delle frasi sul latodella competenza; – e) l’uso* (opposto allo schema*) cor-risponde in Hjelmslev al “meccanismopsicofisico” della parola in Saussure e,sussumendo tutto ciò che nel linguag-gio dipende dalla sostanza, si opponeallo schema linguistico considerato co-me forma*. Così, la sintagmatica, inquanto forma, si colloca, per tale moti-vo, accanto allo schema; – f) la stilistica* (opposta alla linguisti-ca) cerca infine di sviluppare tutto ciòche nella parola concerne l’uso indivi-duale (e non l’attività dell’enunciante*considerato come “soggetto parlante”)o collettivo.

→ Performanza, Lingua

Passione, n.f. Passion, Passion, Pasión

L’introduzione in semiotica della no-zione di passione comporta i rischi del-l’utilizzo che altre discipline hanno fat-to del termine, fin dalle origini delle lo-ro rispettive tradizioni: la filosofia occi-dentale dall’età classica, la psicologia ela sociologia nel corso degli ultimi duesecoli. Senza voler entrare in un dibatti-to di ampia portata, la semiotica tentadi costruirsi un concetto operatorio ederivato, tenuta com’è alla necessità diadeguazione ai fenomeni di descrizioneempirica e fedele a un impegno di coe-renza con l’insieme del proprio meta-linguaggio e con le esigenze interne allosviluppo della teoria. 1. In opposizione all’azione, la passio-ne può essere considerata come un’or-ganizzazione sintagmatica* degli “statid’animo”, nei termini di un rivestimen-to discorsivo dell’essere* dei soggetti nar-rativi, modalizzato. Le passioni e gli sta-ti d’animo che le compongono sono at-tribuibili a un attore e contribuiscono,come le sue azioni, alla determinazionedei ruoli di cui egli è il supporto. Que-sta opposizione rappresenta quindi laconversione, sul piano discorsivo, del-l’opposizione più profonda e astrattatra l’essere e il fare, o più precisamentetra l’essere e il fare modalizzati.Si tratta dell’essere dei soggetti, sotto-posti a una doppia modalizzazione*che li costituisce come soggetti semioti-ci. La prima di queste riguarda la mo-dalità del volere*, l’altra è invece inne-scata dalla categoria timica*, ma en-trambe hanno dirette implicazioni conla nozione di valore, che si situa al livel-lo più profondo della teoria. È chiaroche questa modalizzazione dell’esseregioca poi un ruolo fondamentale nellacostituzione della competenza dei sog-getti sintattici.2. Così inteso, il concetto di passionefa coppia con quello di azione. Diventauno degli elementi che contribuiscono

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Performanza

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all’individuazione attoriale e offre de-nominazioni per ruoli tematici ricono-scibili (l’avaro, il collerico, l’indifferen-te ecc.). Quando si comprenderà me-glio il modo con cui i ruoli tematici* in-contrano i ruoli attanziali nelle passionidegli attori, saremo in grado di descri-vere le tipologie passionali in termini distereotipi di previsione. Così le diffe-renti culture hanno organizzato i lorouniversi affettivi o emotivi, provando ariconciliare il relativismo culturale pro-prio alla semantica discorsiva con l’or-dine di necessità implicato nella naturasintattica dei ruoli attanziali.3. Tutte le passioni appartengono auna dimensione discorsiva il cui statusnon è ancora del tutto chiaro. È quin-di importante decidere se introdurreuna dimensione patemica allo stesso ti-tolo delle due dimensioni già ammesse:quella pragmatica* e quella cognitiva*. Sicapisce che questo corrisponderebbe,per sostituzione, alla collocazione delpropriocettivo (timico) accanto all’inte-rocettivo e all’esterocettivo. L’introdu-zione di una terza dimensione pone ilproblema dei rapporti reciproci. Biso-gna pensare a una dimensione cognitivadotata di uno status gerarchicamentesuperiore alle altre due, che le farebbe-ro da referente* esterno? O è meglioimmaginare tre dimensioni libere, ca-paci di sovradeterminarsi mutuamente,secondo le logiche interne dei vari oc-corrimenti discorsivi? O ancora: non sidovrebbe forse tentare di costruire unagerarchia lineare che quindi risalirebbedal pragmatico verso il patemico e poiverso il cognitivo? Ecco alcuni proble-mi da affrontare e altrettanti campi diricerca da esplorare.In ogni caso la questione può essere po-sta grazie al riconoscimento di percorsicaratteristici dell’essere dei soggetti,percorsi che sono autonomi e dotati diuna “potenza interna” relativamentestabile e cogente.

Percorso, n.m. Parcours, Trajectory, Recorrido

Finora poco utilizzato in semiotica, iltermine percorso dovrebbe progressi-vamente imporsi nella misura in cui im-plica non soltanto una disposizione li-neare e ordinata degli elementi, ma an-che una prospettiva dinamica, sugge-rendo una progressione da un punto aun altro, grazie a delle istanze interme-die. È in questo senso che parliamo, peresempio, di percorso narrativo del sog-getto o del Destinante, di percorso ge-nerativo del discorso (che si stabili-sce fra le strutture ab quo e le strutturead quem), di percorso tematico e figu-rativo.

→ Generativo (percorso –), Narrativo(percorso –), Tematico, Figurativo

Perfettività, n.f. Perfectivité, Perfectiveness,Perfectividad

La perfettività è il sema* aspettualecorrispondente all’aspetto terminale*del processo* e che attualizza* al tem-po stesso il termine durativo a esso pre-supposto. L’opposizione perfettività/imperfettività è interamente omologa-bile alla dicotomia compiuto/incom-piuto.

→ Aspettualizzazione

Performanza, n.f. Performance, Performance,Performancia

1. Nella teoria chomskiana il concettodi performanza fa coppia con quello dicompetenza* per costituire una dicoto-mia comparabile a quella langue/parolein F. de Saussure. Il termine performan-za dovrebbe coprire la funzione dellamessa in opera, della realizzazione* del-

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Performanza

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la competenza, nel suo doppio compitodi produzione* e di interpretazione* de-gli enunciati. La parola saussuriana, chedefinita negativamente come tutto ciòche non appartiene alla lingua*, solo og-getto della linguistica, lasciava il campolibero a tutte le interpretazioni e a tuttele speculazioni, la performanza è ambi-gua, fonte di perplessità. Affrontato daun punto di vista strettamente linguisti-co, lo studio della performanza presup-pone la conoscenza preliminare dellacompetenza (in questo caso della gram-matica completa di una lingua): come di-re che è ancora soltanto un progetto avenire. Considerata come produzione dienunciati «nelle condizioni reali dellacomunicazione», cioè come l’insiemedelle realizzazioni occorrenziali, la per-formanza non si lascia rinchiudere inmodelli linguistici: ma, al contrario, esi-ge l’introduzione di fattori e di parame-tri di natura extra-linguistica, d’ordinepsicologico e sociologico per esempio, ilche distrugge l’unità dell’oggetto lingui-stico. Si comprende allora come il cam-po problematico della performanza siasempre di più invaso da concettualizza-zioni che contemplano l’atto* di lin-guaggio o l’enunciazione*, fino a provacontraria estranee alla grammatica gene-rativa* (che è una teoria del solo enun-ciato). 2. La semiotica intende la performanzalinguistica anzitutto come un caso par-ticolare nella problematica generaledella comprensione e della formulazio-ne delle attività umane, che essa incon-tra descritte in innumerevoli esempi e sotto forme diverse nei discorsi chedeve analizzare. Considerata così, laperformanza si identifica, ad un primoapproccio, con l’atto* umano che inter-pretiamo (in cattivo italiano) con un“far-essere” e al quale diamo la formu-lazione canonica di una struttura moda-le*, costituita da un enunciato di fare*che regge un enunciato di stato*. Laperformanza appare allora, indipen-dentemente da ogni considerazione di

contenuto (o di campo di applicazione)come una trasformazione* che produceun nuovo “stato di cose”. Essa è peròcondizionata, cioè sovramodalizzata, daun lato dal tipo di competenza di cui sitrova dotato il soggetto esecutore e,dall’altro, dalla griglia modale del do-ver-essere (della necessità* o dell’im-possibilità*), chiamata a filtrare i valoridestinati a entrare nella composizionedi tali nuovi “stati di cose” (cfr. il con-cetto di accettabilità*). 3. In maniera generale, distingueremodue tipi di performanza, tenendo contodella natura dei valori* sui quali si fon-dano e che sono inscritti negli enuncia-ti di stato: quelli che mirano all’acquisi-zione dei valori modali (cioè delleperformanze il cui oggetto è l’acquisi-zione della competenza*: di un saper-fare, per esempio quando si tratta diimparare una lingua straniera) e quelliche sono caratterizzati dall’acquisizioneo dalla produzione di valori descrittivi*(la confezione della zuppa al pesto, peresempio). 4. Restringendone maggiormente il sen-so, riserveremo il termine performanzaalla designazione di uno dei due com-ponenti del percorso narrativo* delsoggetto: la performanza, intesa comeacquisizione e/o produzione di valoridescrittivi, si oppone (e la presuppone)alla competenza considerata come unaserie programmata di acquisizioni mo-dali. In questo caso, la restrizione im-posta è duplice: – a) si parlerà di performanza solo se ilfare del soggetto poggia su valori de-scrittivi, – b) solo se il soggetto del fare e il sog-getto di stato sono inscritti, in sincreti-smo*, in un solo attore*. Noteremo allora che la performanzanarrativa si presenta come un caso spe-ciale del programma* narrativo: il sin-cretismo dei soggetti, caratteristico del-la performanza, è lungi dall’essere unfenomeno generale: la configurazionedel dono*, per esempio, distingue il de-

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Perlocuzione

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stinante in quanto soggetto del fare e ildestinatario, soggetto di stato. 5. La performanza, considerata come ilprogramma narrativo del soggettocompetente e agente (per se stesso),può servire da punto di partenza peruna teoria semiotica dell’azione*: si sache ogni programma narrativo è suscet-tibile di espansione sotto forma di pro-grammi narrativi d’uso che si presup-pongono l’un l’altro nel quadro di unprogramma di base. Interpretata, d’al-tro canto, come struttura modale del fa-re, la performanza – chiamata decisio-ne quando è situata sulla dimensionecognitiva*, ed esecuzione sulla dimen-sione pragmatica* – permette di apriresviluppi teorici ulteriori.

→ Psicosemiotica, Atto, Narrativo(percorso –), Programma narrativo,

Sintassi narrativa di superficie

Performativo (verbo –), agg. Performatif (verbe –), Performative(Verb), Performativo (verbo –)

1. Nella terminologia di J.L. Austin, e inopposizione ai verbi constativi (che nonhanno, secondo lui, altra funzione chequella di descrivere una situazione, un’a-zione ecc.), i verbi performativi sarebbe-ro quelli che non solo descrivono l’azionedi colui che li utilizza, ma anche, al tempostesso, implicano l’azione stessa. Così, leformule “Ti consiglio di ...”, “Giuro che...”, “Ti ordino di ...” realizzerebbero l’a-zione che esprimono nel momento stessodell’enunciazione*. E. Benveniste ha fat-to propria questa tesi. 2. Austin riconosce che questa defini-zione, data ai verbi performativi, si ap-plica anche ad espressioni non perfor-mative, per esempio nel caso di un ordi-ne (“Lavate i piatti”) o di una domanda:qui, la forma imperativa o interrogativacostituirebbe un atto* di parola. È perquesto che, pur restando nel quadro ri-stretto della sola comunicazione* verba-

le e delle sue condizioni d’esercizio, Au-stin è stato portato ad allargare la suaproblematica introducendo i concetti diillocuzione* e di perlocuzione*. 3. Si noterà tuttavia che l’aspetto per-formativo – sotto qualsiasi forma cheAustin abbia creduto di riconoscere –non è legato, di fatto, a una forma lin-guistica particolare: esso dipende es-senzialmente da alcune condizioni rela-tive alla natura del contratto* enuncia-tivo e alla competenza* modale dei sog-getti implicati nella comunicazione.

→ Enunciato, Funzione

Periodizzazione, n.f. Périodisation, Periodization,Periodización

1. La periodizzazione è la segmenta-zione* della durata, effettuata per mez-zo di criteri estrinseci e arbitrari. La di-visione in “regni” o in “secoli” costitui-sce così delle temporalità lineari, in op-posizione alle temporalità cicliche co-me per esempio gli “anni” o i “giorni”. 2. La periodizzazione designa anche laconversione*, al momento della pro-grammazione temporale, dei fare* inprocessi* durativi* e la loro disposizio-ne lineare in funzione del programma*narrativo di base. L’esecuzione di unprogramma completo (la costruzione diun’automobile, per esempio) esige l’at-tribuzione, a ciascun programma narra-tivo d’uso, di un periodo calcolato infunzione del risultato finale.

→ Temporalizzazione, Programmazione spazio-temporale

Perlocuzione, n.f. Perlocution, Perlocution, Perlocución

Opposta, nella terminologia di J.L.Austin, alla locuzione* e all’illocuzio-ne*, la perlocuzione non è direttamen-

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Permissività

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te legata né al contenuto* proprio del-l’enunciato*, né alla sua forma lingui-stica: si tratta di un effetto secondario,come quello che produce un discorsoelettorale che suscita l’entusiasmo, laconvinzione o la noia; lo stesso dicasidel caso in cui si pone una domanda aqualcuno per metterlo in imbarazzo oal contrario per aiutarlo. A differenzadell’illocuzione, in cui si produce uneffetto nel dire, la perlocuzione produ-ce un effetto (sull’interlocutore o l’in-terlocutario) per il fatto di dire. Pernoi, la nozione di perlocuzione dipen-de così in parte da una semiotica co-gnitiva* e da una semiotica delle pas-sioni; sotto certi aspetti, essa va avvici-nata alla pragmatica* (nel senso ameri-cano), nella misura in cui è legata allecondizioni della comunicazione lin-guistica.

→ Atto di linguaggio

Permissività, n.f. Permissivité, Permissiveness,Permisividad

1. La permissività è la denominazionedi uno dei due termini della categoria*modale deontica, la cui definizione sin-tattica è la struttura modale del non-do-ver-fare; presuppone l’esistenza dell’in-terdizione*, di cui è il termine contrad-dittorio*. 2. Quando, all’interno della competen-za* modale del soggetto, esiste unacompatibilità fra il suo voler-fare e ilnon-dover-non-fare o il non-dover-faresuggeriti dal Destinante*, la strutturarelazionale fra il Destinante e il Desti-natario-soggetto potrà essere denomi-nata contratto* permissivo (denomina-zione abbastanza impropria, perché es-sa copre anche la modalità facoltati-va*), in opposizione al contratto in-giuntivo*.

→ Deontiche (modalità –)

Permutazione, n.f. Permutation, Permutation,Permutación

La permutazione è una procedura*comparabile a quella della commuta-zione, con la differenza che la relazioneconstatata fra i cambiamenti che inter-vengono sui due piani del linguaggionon riguarda più scambi fra termini pa-radigmatici, ma trasposizioni all’inter-no dei sintagmi*.

→ Commutazione

Personaggio, n.m. Personnage, Character, Personaje

Impiegato, fra l’altro, in letteratura e ri-servato agli esseri umani, il termine per-sonaggio è stato progressivamente rim-piazzato dai due concetti – più rigoro-samente definiti in semiotica – di attan-te e di attore.

→ Attante, Attore

Personificazione, n.f. Personnification, Personification,Personificación

La personificazione è un procedimentonarrativo che consiste nell’attribuire aun oggetto (cosa, entità astratta o esserenon umano) delle proprietà che per-mettono di considerarlo come un sog-getto. Detto altrimenti è un proce-dimento che consiste nel dotarlo di unprogramma* narrativo all’interno delquale egli possa esercitare un fare*. Lapersonificazione sembra caratterizzareun certo tipo di discorsi etnoletterari (ilracconto fantastico, per esempio, dovesi incontrano oggetti magici, animalisoccorrevoli ecc.).

→ Reificazione

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Pertinenza

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Persuasivo (fare –), agg. Persuasif (faire –), Persuasive (Doing),Persuasivo (Hacer –)

1. Una delle forme del fare cognitivo*,il fare persuasivo è legato all’istanzadell’enunciazione* e consiste nella con-vocazione da parte dell’enunciante* diogni sorta di modalità* miranti a far ac-cettare, da parte dell’enunciatario, ilcontratto* enunciativo proposto e arendere così la comunicazione efficace. 2. In questa prospettiva, il fare persua-sivo può essere considerato come un’e-spansione – suscettibile di produrreprogrammi narrativi* modali semprepiù complessi – della modalità dettafattitiva. La fattitività* può mirare tan-to all’essere del soggetto da modalizza-re quanto al suo fare eventuale, ed èsotto questi due aspetti che si potrà ri-conoscere il fare persuasivo. 3. Nel primo caso, il fare persuasivo siinterpreta come un fare cognitivo chemira a che l’enunciatario accordi lo sta-tus dell’immanenza* al processo semio-tico (o a uno qualunque dei suoi seg-menti) – che sarà quindi ricevuto comeuna manifestazione* –, e gli permetteràdi inferire il noumenico* dal fenomeni-co*. A partire dallo schema della mani-festazione (apparire/non-apparire), sipossono prevedere, in prima approssi-mazione, quattro percorsi suscettibili dicondurre allo schema dell’immanenza(essere/non-essere): partendo dall’appa-rire, si può “dimostrare” sia l’essere siail non-essere; a partire dal non-apparire,tanto l’essere quanto il non-essere. Visono, lo si vede, dei percorsi di ontolo-gizzazione, che mirano a trasformare lasemiotica in ontologia. È all’interno diquesti percorsi che si costruiscono iprogrammi modali di persuasione più omeno complessi. 4. Nel secondo caso, quello della per-suasione che cerca di provocare un farealtrui, il fare persuasivo inscrive i suoiprogrammi modali nel quadro dellestrutture della manipolazione*. I due

tipi di fare persuasivo hanno almeno untratto in comune, e cioè che la persua-sione manipolatoria monta le sue pro-cedure e i suoi simulacri come dellestrutture di manifestazione, chiamate aturbare l’enunciatario nel suo essere,cioè nella sua immanenza. 5. L’analisi discorsiva dovrebbe arriva-re senza troppa difficoltà a distinguerediverse forme di discorsi persuasivi:quelli che si danno come tali (discorsidi convincimento e di manipolazione) equelli che manifestano uno scopo di-verso (la ricerca o la comunicazione delsapere, per esempio), pur comportan-do, inscritti in maniera più o menoesplicita, dei programmi* narrativi dipersuasione con modelli del credere* edell’agire (discorsi scientifici o didatti-ci). E infine quelli che includono, sot-to forma di enunciazioni* enunciate,sequenze persuasive più o meno auto-nome. 6. Come nel caso del fare interpretati-vo*, anche nel fare persuasivo la cate-goria veridittiva non è predominante; ildestinante che opera un fare persuasivo“traduce” in oggetti o in percorsi attrat-tivi o repulsivi i termini del sistema divalori di cui è depositario.

→ Fattitività, Manipolazione,Veridizione, Verosimile,

Retorica

Pertinenza, n.f. Pertinence, Pertinence, Pertinencia

1. Il concetto di pertinenza si è impo-sto in linguistica grazie alla Scuola diPraga, legato com’è agli sviluppi dellafonologia*. È anzitutto proprietà di unelemento linguistico (il fonema*), chelo distingue dagli altri elementi parago-nabili e lo rende adatto, con ciò stesso,a servire alla comunicazione (A. Marti-net). Tale caratteristica è allora deno-minata tratto pertinente (= fema*). 2. Il riconoscimento del principio di

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Pertinenza

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pertinenza introduce una differenza dinatura fra la sostanza* fonica nella qua-le si realizza una lingua e la forma* fo-nica che dipende da una scelta differen-ziale fra due o più realizzazioni date: diqui la distinzione fra fonetica* e fonolo-gia. Ormai liberato dei suoi vincoli conla sostanza, il concetto di pertinenza ve-de allargarsi il suo campo di applicazio-ne all’insieme della semiotica. 3. In senso generale, si può definire lapertinenza come una regola della descri-zione* scientifica (o come una condizio-ne che un oggetto semiotico costruito de-ve soddisfare), secondo la quale devonoessere prese in considerazione, fra le nu-merose determinazioni (o tratti distinti-vi*) possibili di un oggetto, solo quellenecessarie e sufficienti per esaurire la suadefinizione*. In questo modo, l’oggettonon potrà essere confuso con un altrodello stesso livello né sovraccaricato dideterminazioni che, essendo discrimi-nanti, andranno riprese su un piano ge-rarchicamente inferiore. La nostra defi-nizione della pertinenza è così intima-mente legata, lo si vede, alla concezionedei livelli* di linguaggio (Benveniste) e aquella della semiotica* considerata comeuna gerarchia* (L. Hjelmsiev). 4. In un senso meno rigoroso, ma dia-letticamente accettabile, si intenderàper pertinenza la regola deontica, adot-tata dal semiologo, del descrivere l’og-getto prescelto da un solo punto di vi-sta (R. Barthes), prendendone quindi inconsiderazione, in vista della descrizio-ne, solo i tratti che interessano tale pun-to di vista (che, per il semiologo, è quel-lo della significazione). È secondo que-sto principio che si praticherà, peresempio, a un primo approccio (a parti-re da un corpus* dato) sia l’estrazione*di elementi supposti pertinenti per l’a-nalisi, sia, al contrario, l’eliminazione*di ciò che è giudicato non pertinente.

→ Isotopia

Piano, n.m. Plan, Plane, Plano

Termine figurativo* spaziale, pianoserve – dopo F. de Saussure e L.Hjelmslev – a designare separatamentei due termini della dicotomia signifi-cante/significato o espressione/contenu-to che la funzione* semiotica riunisce.Il riconoscimento dei piani del linguag-gio è uno dei postulati per una defini-zione della semiotica* (per Hjelmslevsolo le semiotiche biplanari* sono del-le “vere” semiotiche).

→ Planare (semiotica –)

Pivot narrativoPivot narratif, Narrative Pivot Point,Pivote narrativo

1. Nell’organizzazione sintagmatica* diun racconto* o di una sequenza*, sipuò designare come pivot narrativo frai diversi programmi* narrativi successi-vi quello che occupa un posto centraleper il fatto di coinvolgerne altri per viaconsequenziale. È così, per esempio,che l’acquisizione di un sapere*, riferi-to a un programma pragmatico* ante-cedente, può far scattare, mediante lacompetenza* cognitiva che instaura, unnuovo programma narrativo (che sisvolgerà sulla dimensione pragmatica ocognitiva*). Parimenti, nel quadro dellaprova*, il confronto* polemico può es-sere considerato come pivot narrativo,nella misura in cui comporta la domina-zione* di uno dei protagonisti (domina-zione che porta a sua volta all’attribu-zione dell’oggetto* di valore). 2. In ogni caso, il pivot narrativo è rile-vabile come tale solo tramite una lettu-ra a ritroso, che restituisce, a partiredall’asse delle consecuzioni (stabilitotramite la programmazione* tempora-le) l’asse delle presupposizioni*. Il con-cetto di pivot narrativo, lo si vede, miraa mettere in evidenza, su base logica,

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Pluriplanare (semiotica –)

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una gerarchia* dei programmi narrativinell’analisi di un (segmento di) raccon-to dato.

Planare (semiotica –), agg. Planaire (sémiotique –), Planar(Semiotics), Planaria (semiótica –)

Nel quadro della riorganizzazione con-cettuale della semiotica* generale, sidistingue, all’interno delle semiotichevisive, una semiotica planare, che sicaratterizza per l’impiego di un signifi-cante* bidimensionale (a differenzadella semiotica dello spazio*, per e-sempio, che gioca su un significante tri-dimensionale). Nel tentativo di pren-dere le distanze, almeno per un mo-mento, dalle semiologie* che si fonda-no essenzialmente sull’analogia* e l’i-conicità* dell’immagine* (di cui allafin fine danno solo una trascrizione lin-guistica), la semiotica planare – che trat-ta anche la fotografia, il manifesto, ilquadro, il fumetto, il progetto archi-tettonico, la scrittura calligrafica ecc. –mette in gioco categorie* visive speci-fiche a livello di piano dell’espressio-ne*, prima di esaminare il loro rappor-to con la forma del contenuto*. In taleprospettiva, l’analisi dell’immagine fis-sa, per esempio, non si riduce né a unproblema di denominazione (tradu-zione verbale degli oggetti “rappresen-tati”, che fa spesso appello alla dicoto-mia denotazione/connotazione) né auna scelta semplicistica di percorsipossibili, legati alla dimensione pro-spettica (i tentativi di stabilire una“sintassi visiva” conforme al percorsodello sguardo dell’osservatore sonolungi dall’essere probanti). L’interessedi un tale procedimento è di metterein luce i vincoli generali che la naturadel piano dell’espressione impone allamanifestazione della significazione. Mi-ra a enunclare inoltre le forme semioti-che minime (relazioni, unità) comuniai differenti campi visivi (parzialmente

evocati poco sopra), anteriormente aipostulati già pronti (per esempio,quelli che portano sul tema dell’iconi-cità o sulla natura dei segni visivi) chele teorie estetiche o la tradizione diciascuno dei “generi” in questionetendono sempre a mettere in evidenza.

→ Iconicità, Immagine

Pluri-isotopia, n.f. Pluri-isotopie, Pluri-isotopy, Pluri-isotopía

Si intende con pluri-isotopia la sovrap-posizione, in uno stesso discorso, di iso-topie* differenti. Introdotta da connet-tori di isotopie, essa è legata ai fenome-ni di polisememia*: una figura pluri-se-memica, che propone virtualmente di-versi percorsi figurativi*, può dar luogo– a condizione però che le unità figura-tive, a livello della manifestazione*, nonsiano contraddittorie* – a letture* dif-ferenti e simultanee.

→ Isotopia, Lettura,Semantica discorsiva

Pluriplanare (semiotica –), agg. Pluriplane (semiotique –), Pluri-planar (Semiotic System),Pluripiana (semiótica –)

Per semiotiche pluriplanari L. Hjelm-slev intende le semiotiche biplanari*delle quali almeno uno dei piani* siauna semiotica (detta semiotica-ogget-to): è il caso delle semiotiche connotati-ve* (che non sono scientifiche) e del-le metasemiotiche* (a carattere scienti-fico).

→ Semiotica

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Poetica

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Poetica, n.f. Poétique, Poetics, Poética

1. Comunemente, la poetica designasia lo studio della poesia sia, integratacon la prosa, la “teoria generale delleopere letterarie”. Quest’ultima accezio-ne, che risale ad Aristotele, è stata re-centemente ripresa dai teorici della“scienza della letteratura” (Litera-turwissenschaft), i quali tentano di ge-neralizzare quella che per lungo tempoè stata solo una “etnoteoria” inseritanel quadro della tradizione greco-ro-mana e di evidenziare allo stesso tempola specificità di questa forma di attivitàlinguistica. Così R. Jakobson – con ilformalismo* russo di cui è erede e rap-presentante – fa da mediatore tra la let-teratura e la linguistica, distinguendo,fra le principali funzioni* del linguag-gio, la funzione poetica, da lui definitacome «l’accento [...] posto sul messag-gio per suo proprio conto». L’integra-zione della poetica nella linguistica hapotuto dare buona coscienza alle ricer-che di poetica compromesse dal ro-manticismo. L’imprecisione di questoconcetto ha permesso ad alcuni di rein-trodurre, sotto un nome ringiovanito,preoccupazioni estetiche che non osa-no ancora – questione di moda – pre-sentarsi a viso scoperto. 2. Da un punto di vista semiotico, i te-sti letterari sono manifestazioni occor-renziali del discorso letterario*, il qua-le appartiene, a sua volta, a una tipolo-gia generale dei discorsi. Assumere co-me postulato di base la letterarietà* ola poeticità di una classe particolare didiscorsi, vuol dire mettere il carro da-vanti ai buoi: esiste un fondo comunedi proprietà, di articolazioni e di for-me di organizzazione del discorso chebisogna esplorare prima di cercar di ri-conoscere e di determinare la specifi-cità di un particolare tipo. Così la po-sizione della poetica, considerata co-me disciplina aprioristica certa dellecaratteristiche del suo oggetto, è inso-

stenibile nel quadro della teoria semio-tica. 3. Non è così quando si tratta del fattopoetico in senso stretto, cioè di un cam-po semiotico autonomo, fondato sul ri-conoscimento di articolazioni parallelee correlative che impegnano contempo-raneamente i due piani – dell’espressio-ne* e del contenuto* – del discorso.Questa “doppia articolazione” (in sen-so non martinetista), la cui forma rilas-sata, distesa, è riconoscibile grazie alleregolarità prosodiche della versificazio-ne e che raggiunge un grado di conden-sazione esacerbata nella poesia dettasimbolista (o in certi testi sacri), nonbasta comunque per definire il discorsopoetico. La celebre intuizione jakobso-niana, secondo cui il discorso poeticocorrisponderebbe alla proiezione del-l’asse paradigmatico* sull’asse sintag-matico, ha dato un nuovo impulso allericerche poetiche (I gatti baudelairianidi Jakobson e C. Lévi-Strauss ne segna-no una tappa). La sospensione, al mo-mento della lettura, delle relazioni ipo-tattiche che regolano il discorso a pro-fitto delle relazioni tassonomiche enfa-ticamente sottolineate, ha permesso diconsiderare alcune definizioni possibilidi unità* e di isotopie* poetiche, situa-te sui due piani del linguaggio. Allostesso tempo, altre ricerche hanno mes-so in evidenza l’esistenza di una narrati-vità* poetica e di trasformazioni* chearticolano il discorso poetico a livelloprofondo*. In tal modo si precisa lostatus paradossale del discorso poetico:sintatticamente*, è un discorso astratto,confrontabile quindi con i discorsi pra-ticati in logica e in matematica; seman-ticamente, è un discorso figurativo*, e,come tale, garantisce una forte efficaciacomunicativa. Non stupisce allora chel’effetto* di senso che sviluppa sia, co-me nel caso del discorso sacro, quellodella verità.

→ Letteraria (semiotica –), Metafora, Unità (poetica)

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Positivo (termine –, deissi –)

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Polemico, agg. Polémique, Polemic, Polémico

1. A livello di enunciato*, la moltipli-cazione di analisi concrete di discorsinarrativi ha messo in rilievo l’esistenzadi un autentico principio polemico sucui si basa l’organizzazione narrativa:l’attività umana, pensata sotto forma diconfronti*, caratterizza in larga misural’immaginario umano. Anche nei casiin cui la narratività* non è organizzatacome un faccia a faccia di due pro-grammi* narrativi contrari* (o con-traddittori*), che mette in scena unsoggetto* e un anti-soggetto, la figuradell’opponente* (animato o inanima-to) appare sempre come una manife-stazione metonimica dell’anti-soggetto.È in questo senso che si può parlare distruttura polemica, caratteristica di ungran numero di discorsi, sia figurativisia astratti. 2. A livello di enunciazione*, la strut-tura della comunicazione* intersog-gettiva, fondata su un contratto impli-cito fra i partecipanti, rivela l’esistenzadi una tipologia virtuale degli “atteg-giamenti”, cioè delle competenze*modali enunciative, che va dalle strut-ture contrattuali “benevole” (come ilmutuo accordo, l’obbedienza ecc.) allestrutture polemiche “costrittive” (incaso di provocazione o di ricatto, peresempio). 3. Il riconoscimento di questo tipo distrutture in semiotica permette di arti-colare e di formulare con maggior pre-cisione la problematica più generale –propria dell’insieme delle scienze socia-li – all’interno della quale si oppongonodue concezioni quasi inconciliabili del-la socialità: la vita sociale in quanto lot-ta (di classe) e competizione, e la so-cietà fondata sullo scambio e la coesio-ne sociale.

→ Costrizione, Contratto

Polisememia (o Polisemia), n.f. Polysémémie (ou Polysémie), Polysememy (or Traditionally Poli-semy, Polisememia (o Polisemia)

1. La polisememia corrisponde allapresenza di più di un semema all’inter-no di un lessema. I lessemi polisememi-ci si oppongono così ai lessemi monose-memici*, i quali comportano solo unsolo semema e che caratterizzano so-prattutto i lessici specializzati: tecnici,scientifici ecc. La polisememia non esi-ste però – fatta eccezione per i casi dipluri-isotopia* – che allo stato virtuale(“sul dizionario”). Infatti la manifesta-zione di un lessema di tal genere, inscri-vendolo nell’enunciato*, lo desambi-guizza, realizzando solo uno dei suoi se-memi. 2. La lessicografia oppone tradizional-mente la polisememia all’omonimia,considerando come omonimi i morfe-mi* o le parole distinti quanto al signifi-cato* e identici quanto al significante*.Quelli che riguardano la sostanza del si-gnificante sono detti omofoni (“c’en-tro”, “centro”) o omografi (“lama” ani-male, “lama” di coltello, “lama” tibeta-no). In pratica, la distinzione fra un les-sema polisemico e due o più lessemi o-monimi è difficile da mantenere; la suagiustificazione dipende di solito dall’u-so*. Dal punto di vista teorico, si può co-munque considerare che due o più lesse-mi sono distinti ma omonimi quando iloro sememi non hanno (o non hannopiù) alcuna figura nucleare* comune.

→ Semema, Lessema, Omonimia

Positivo (termine –, deissi –), agg. Positif (terme –, deixis –), Positive (Term,Deixis) Positivo (termine –, deissi –)

I due termini* dell’asse dei contrari* –S1 e S2 – sono detti rispettivamente po-sitivo e negativo, senza che per questotali classificazioni comportino una con-

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Posizione

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notazione timica*, euforizzante o disfo-rizzante. Così, le due deissi* cui appar-tengono sono designate, in manierasemplicemente discriminatoria*, deissipositiva e deissi negativa. Quindi i sub-contrari*, che appartengono ciascuno auna deissi differente, saranno detti po-sitivo (S2

—) e negativo (S1

—) a seconda

della loro deissi di appartenenza (e non,essendo dei contraddittori*, a secondadella loro deissi d’origine).

→ Quadrato semiotico

Posizione, n.f. Position, Position, Posición

1. In linguistica, la posizione designa ilposto che un elemento occupa nella ca-tena sintagmatica* e che gli conferiscealcune proprietà supplementari. Ne con-segue che lo studio delle posizioni deglielementi linguistici, elevato a procedu-ra generale, corrisponde a quello delledistribuzioni*, che caratterizza la Scuo-la di L. Bloomfield. Cercando di conci-liare i punti di vista paradigmatico esintagmatico (la morfologia e la sintas-si), L. Hjelmslev introduce la nozionedi posizione nella sua definizione dellacategoria* linguistica. 2. In semiotica poetica, l’analisi posi-zionale, preconizzata da J. Geninasca,ha messo in evidenza la possibilità diuno studio semantico dei testi, fonda-to sul riconoscimento di articolazioniposizionali (rima*, ritmo*) del signifi-cante*. 3. La semiotica narrativa definisce ilruolo attanziale allo stesso tempo tra-mite il suo investimento modale e la suaposizione nel percorso narrativo* delsoggetto. Perciò i personaggi, lungi dal-l’essere immutabili e definiti una voltaper tutte, si trovano relativizzati: l’eroe*o il traditore* sono tali solo in una posi-zione narrativa definita.

→ Ordine, Sintagmatico

Possibilità, n.f. Possibilité, Possibility, Posibilidad

In quanto denominazione, la possibi-lità designa la struttura modale corri-spondente, dal punto di vista della suadefinizione sintattica, al predicato mo-dale non dovere, che regola l’enunciatodi stato non essere. Nel quadro dellemodalità aletiche, presuppone, sul qua-drato* semiotico, l’esistenza dell’im-possibilità di cui è la negazione. Cometermine della logica, la possibilità deno-mina anche la struttura modale del po-ter-essere, il che la rende semioticamen-te ambigua.

→ Aletiche (modalità –), Dovere

Posteriorità, n.f. Postériorité, Posteriority, Posterioridad

La posteriorità è uno dei due termini*della categoria* logico-temporale ante-riorità/posteriorità. Permette la costru-zione del quadro di localizzazione tem-porale dei programmi* narrativi, al mo-mento della procedura di temporalizza-zione* del discorso.

→ Localizzazione spazio-temporale

Potere, n.m. Pouvoir, Being Able (to Do or to Be),Poder

1. Il potere può essere considerato, nelquadro di una teoria delle modalità, co-me la denominazione di uno dei predi-cati possibili dell’enunciato modale*che regge un enunciato descrittivo* (difare* o di stato*). Concetto indefinibi-le, è però suscettibile di essere interde-finito in un sistema di valori modaliscelto e postulato assiomaticamente. 2. Gli enunciati modali sono per defini-zione destinati a reggere altri enunciati,perciò vanno prese in esame due struttu-

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Potere

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re* modali del potere: quella che com-porta un enunciato di stato, detta per co-modità il poter-essere, e quella che ha co-me oggetto un enunciato di fare: il poter-fare. A loro volta, queste due strutturepossono essere proiettate sul quadrato*semiotico, e produrre categorie modalicorrispondenti, e precisamente:

poter-essere poter non essere(possibilità) (contingenza)

non poter non essere non poter essere(necessità) (impossibilità)

e:

poter-fare poter non fare(libertà) (indipendenza)

non poter non fare non poter fare(obbedienza) (impotenza)

Le denominazioni attribuite ai terminidi ciascuna categoria modale, benché in-tuitivamente motivate sul piano semanti-co, sono comunque arbitrarie per defini-zione, e possono essere senza difficoltàsostituite da altre, giudicate più idonee. 3. Anche se si fondano solo sull’intui-zione semantica, queste denominazioninon possono non mettere in evidenza leaffinità esistenti fra le strutture modalidel potere e quelle del dovere*. Così, ilconfronto tra i quadrati semiotici deldover-essere e del poter-essere mostra

doverdover-essere non essere

non poter non poter non essere essere

non dover non poter non essere essere

poter-essere poter non essere

come una stessa denominazione, cherinvia al sistema delle modalità aletiche,sussuma due strutture modali, quelledel dover-essere e del poter-essere, con idue termini che si trovano ogni volta inrelazione di complementarità* (cioèuno presuppone l’altro). Sono possibiliallora due generi d’interpretazione: o lemodalità aletiche sono termini com-plessi* che sussumono le modalità deldovere e del potere in relazione di com-plementarità (la necessità, per esempio,sarebbe un non poter non essere chepresuppone un dover-essere), oppurec’è modo di distinguere due categoriemodali autonome e di costruire due lo-giche aletiche, interdipendenti. 4. Parallelamente, si può esaminare ilconfronto tra le strutture modali del do-ver-fare e del poter-fare. L’assenza didenominazioni comuni in questo casonon è meno suggestiva:

dover fare dover non fare(prescrizione) (interdizione)

non poter nonnon fare poter fare

(obbedienza) (impotenza)

non dover nonnon fare dover fare

(permissività) (facoltatività)

poter fare poter non fare(libertà) (indipendenza)

Malgrado la differenza delle denomina-zioni – e forse a causa di essa – il caratte-re complementare dei termini che parte-cipano delle due categorie modali saltaagli occhi: tutto funziona come se l’obbe-dienza, per esempio, in quanto valoremodale che definisce una certa compe-tenza del soggetto, presupponesse l’altrovalore modale, la prescrizione. Non solo,sembrerebbe anche che la definizionedelle relazioni gerarchiche* di dominan-te/dominato abbia bisogno di tener con-to di tale complementarità modale.

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Pragmatico

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5. Tutto ciò ci conduce a considerare lemodalità del dovere e del potere comedue istanze autonome e complementaridella modalizzazione, l’una detta virtua-lizzante, l’altra attualizzante.

→ Modalità, Dovere

Pragmatico(a), agg. (n.f.) Pragmatique, Pragmatic(s),Pragmático(ca)

1. L’esame dei discorsi narrativi ci hacondotto a distinguere, a livello superfi-ciale, la dimensione cognitiva* e la di-mensione pragmatica, che fa in qualchemodo da referente* interno alla prima.La dimensione pragmatica, riconosciutanei racconti, corrisponde grosso modoalle descrizioni che qui troviamo deicomportamenti somatici* significanti,organizzati in programmi e ricevuti dal-l’enunciatario* come “eventi”, indipen-dentemente dalla loro eventuale utiliz-zazione a livello del sapere*: gli oggettipragmatici sono riconoscibili come va-lori descrittivi* (come gli oggetti tesau-rizzabili o di consumo), in opposizioneai valori modali*. In questo senso lapragmatica potrebbe essere omologa-ta alla terza funzione* di G. Dumézil. Èin questa accezione che si distinguerannocorrelativamente il fare* pragmatico e ilfare cognitivo*, il soggetto pragmatico eil soggetto cognitivo, le performanze ecompetenze pragmatiche e cognitive. 2. Si vede lo scarto che separa la nostraconcezione – che considera l’insiemedelle attività umane per come sono de-scritte nei discorsi, articolandole secon-do la dicotomia pragmatico/cognitivo –da quella che si è sviluppata oltremare,in particolare a partire dai lavori diCh.W Morris. La pragmatica, in sensoamericano, mira essenzialmente a indivi-duare le condizioni della comunicazio-ne* (linguistica), come per esempio lamaniera, per due interlocutori, di agirel’uno sull’altro. Per noi, questa “prag-

matica” del linguaggio, che riguarda lecaratteristiche del suo utilizzo, costitui-sce uno degli aspetti della dimensionecognitiva*, perché concerne di fatto lacompetenza* cognitiva dei soggetti co-municanti così come la si può riconosce-re (e ricostruirne il simulacro) all’internodei discorsi-enunciati. Così, il fare per-suasivo* e il fare interpretativo* non co-stituiscono dei parametri “extra-lingui-stici”, come potrebbe lasciar intendereuna certa concezione meccanicista dellacomunicazione. Entrano invece a pienotitolo nel processo della comunicazione,inteso in senso semiotico, dove cioè ildestinante* e il destinatario, per esem-pio, non sono istanze vuote (come l’e-mittente* o il ricevente), ma soggetticompetenti. Va da sé che nella linea stes-sa della “pragmatica” americana si puòelaborare una semiotica della comunica-zione “reale” (in quanto oggetto descri-vibile), estrapolando in particolare i mo-delli della semiotica cognitiva, prove-nienti dall’analisi dei discorsi narrativi.

→ Cognitivo, Sapere, Comunicazione,Discorso, Fare

Pratiche semiotichePratiques sémiotiques, SemioticPractices, Prácticas semióticas

1. Partendo dalla definizione di senso*come intenzionalità* orientata, e tenen-do conto di come le organizzazioni se-miotiche si costituiscono all’interno del-le due macrosemiotiche* lingue* natura-li e mondi naturali, si chiameranno pra-tiche semiotiche i processi semiotici ri-conoscibili all’interno del mondo natu-rale e definibili in modo comparabile aidiscorsi* (che sono “pratiche verbali”,cioè processi semiotici situati all’inter-no delle lingue naturali). 2. Le pratiche semiotiche, qualificabilicome sociali, sono come successioni si-gnificanti di comportamenti somatici or-ganizzati, le cui realizzazioni vanno dai

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Predicato

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semplici stereotipi sociali fino a pro-grammazioni di forma algoritmica*, chepermettono eventualmente il ricorso aun automa*. I modi di organizzazione ditali comportamenti possono essere ana-lizzati come programmi* (narrativi) lacui finalità è riconoscibile, al limite, soloa posteriori: poi si utilizzeranno, perquanto vi si prestano, i metodi e le proce-dure dell’analisi discorsiva. In questosenso, alcune descrizioni di rituali e ceri-moniali sono convincenti. Il concetto dipratica semiotica abbraccia, fra l’altro, idiscorsi gestuali* e le strategie prossemi-che*, ancora troppo poco esplorati. Lostudio delle pratiche semiotiche costitui-sce forse i prolegomeni di una semioticadell’azione*.

→ Mondo naturale, Discorso

Pratico, agg. Pratique, Practical, Práctico

Si definisce pratico, in occasione dellalettura di un racconto mitico, il livellodiscorsivo di superficie* che si presentacome una semplice narrazione di azionirelative agli attori che vi sono installati,in opposizione al livello mitico*, piùprofondo, soggiacente al primo e che,una volta esplicitato*, appare comeportatore di significazioni astratte* (ar-ticola le preoccupazioni fondamentalidell’uomo e della cultura* all’internodella quale vive). A questo termine, su-scettibile di prestarsi a confusione, si èsostituito progressivamente quello di fi-gurativo*.

→ Cosmologica (dimensione –), Mitico(discorso –, livello –), Figura

Predicato, n.m. Prédicat, Predicate, Predicado

1. Si considera tradizionalmente il pre-dicato come una delle funzioni* sintat-

tiche costitutive dell’enunciato*. Inquanto classe* sintattica, il predicatocorrisponde più o meno (senza confon-dervisi) al verbo (definito come classemorfologica) o al sintagma verbale(considerato come classe sintagmatica).L’incassamento di questi tre tipi di u-nità linguistiche costituisce uno deiproblemi più ardui di ogni teoria gram-maticale. 2. La definizione del predicato e il po-sto che gli è accordato nell’economiadell’enunciato dipendono dalla conce-zione della struttura dell’enunciato ele-mentare che questa o quella teoria lin-guistica dichiara come assiomaticamentevera. La concezione binaria, la più tena-ce, risale all’antichità, e, malgrado le va-riazioni terminologiche (soggetto/predi-cato, tema/rema, tema/proposito ecc.) sifonda globalmente su un’opposizionesemantica fra “ciò di cui si parla” e “ciòche se ne dice”. Ne risulta che per tuttele grammatiche dell’enunciato (che nontengono conto dell’enunciazione), la pre-dicazione appare come uno degli ele-menti essenziali dell’atto di linguaggio. 3. La scelta aprioristica della natura bi-naria dell’enunciato si accompagna disolito ad un’altra ipotesi, più o menoimplicita, che verte sull’unicità dell’e-nunciato elementare, cioè sulla convin-zione che tutti gli enunciati, quali chesiano, sono riducibili a una forma ele-mentare unica. È così che la logica clas-sica riduce l’insieme degli enunciati allasola forma attributiva (“Pietro è addor-mentato”). Le teorie linguistiche più re-centi – tanto il distribuzionalismo* (se-guito in questo dalla grammatica gene-rativa*) quanto la glossematica* – han-no cercato di svuotare tale problema siacostruendo una sintassi fondata sulleclassi sintagmatiche, sia desemantizzan-do – o mantenendo la sola relazioneastratta di presupposizione* – il legameche unisce il predicato al soggetto. 4. Situandoci fra i continuatori di L.Tesnière e di H. Reichenbach, conce-piamo il predicato come la relazione

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Prescrizione

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costitutiva dell’enunciato, cioè comeuna funzione* i cui termini finali sonogli attanti*: allo stesso tempo distin-guiamo due tipi di enunciati elementari(e due tipi di relazioni-predicati, costi-tutive di tali enunciati): gli enunciati difare* e gli enunciati di stato*.

→ Classe, Enunciato

Prescrizione, n.f. Prescription, Prescription, Prescripción

Denominazione del termine positivodella categoria* modale deontica, laprescrizione comporta, come definizio-ne sintattica, la struttura modale del do-ver-fare; costituisce, con il suo terminecontrario, l’interdizione*, l’asse dell’in-giunzione*. Nella logica deontica, iltermine di prescrizione è spesso sosti-tuito da quello di obbligazione; si trattain questo caso di un’incoerenza seman-tica: l’obbligazione, sussumendo tantol’interdizione quanto la prescrizione,sarebbe da considerare come parasino-nimo d’ingiunzione*.

→ Deontiche (modalità –), Dovere

Presenza, n.f. Présence, Presence, Presencia

1. Il concetto di presenza compete allateoria della conoscenza e comportaquindi forti implicazioni metafisiche(presenza “nella” percezione o “rivela-ta” dalla percezione, presenza “nellamente” ecc.): la sua definizione ontolo-gica va esclusa dalla teoria semiotica. 2. Nella prospettiva semiotica, si consi-dera la presenza (l’“esserci”) come unadeterminazione attribuita a una gran-dezza* che la trasforma in oggetto di sa-pere* del soggetto cognitivo. Una simi-le accezione, essenzialmente operativa,stabilita nel quadro teorico della rela-zione transitiva* fra il soggetto cono-

scente e l’oggetto conoscibile, è assaiampia: sono presenti, in questo caso,tutti gli oggetti di sapere possibili, e lapresenza si identifica in parte con la no-zione di esistenza* semiotica. 3. L’opposizione categoriale presen-za/assenza appare allora come una pos-sibilità di distinguere due modi d’esi-stenza semiotica. Così il riconoscimen-to di un paradigma, per esempio, impli-ca – accanto a un termine presente (inpraesentia) nella catena sintagmatica –un’esistenza assente (in absentia) deglialtri termini costitutivi del paradigma.L’esistenza in absentia, che caratterizzal’asse paradigmatico*, corrisponde aun’esistenza virtuale*, mentre l’esisten-za in praesentia, d’ordine sintagmatico,è un’esistenza attuale* (si tratta eviden-temente dei modi di esistenza delleunità e delle classi sintagmatiche, e nondei modi di un vocabolo-occorrimento“reale”, per esempio, che manifesta,sotto forma d’una grafia, la sola sostan-za del suo significante).

→ Esistenza semiotica, Presupposizione

Presupposizione, n.f. Présupposition, Presupposition,Presuposición

1. Nel linguaggio corrente, il terminepresupposizione è ambiguo, perchédesigna sia l’atto di presupporre, sia uncerto tipo di relazione fra termini, siauno dei termini (il presupposto) al qua-le conduce la relazione. Utilizzato delresto in logica e in linguistica, questoconcetto ha dato luogo recentementead ampi e profondi sviluppi che è quiimpossibile descrivere. Ci limiteremosoltanto a precisare l’apporto di questoconcetto a una tipologia delle relazionifondamentali. 2. Riservando la denominazione dipresupposizione alla sola relazione*, sidirà che essa designa la relazione che le-ga il termine presupponente con il ter-

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Primitivi/Universali

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mine presupposto. Per termine presup-posto, si intenderà quello la cui presen-za* è la condizione necessaria della pre-senza del termine presupponente, men-tre la presenza del termine presuppo-nente non è la condizione necessaria diquella del termine presupposto. L’e-sempio classico dato da L. Hjelmslev èquello della relazione di presupposizio-ne riconosciuta (in latino) fra ab (pre-supponente) e l’ablativo (presupposto):la presenza dell’ablativo non necessitaquella di ab. 3. Questo esempio può aiutarci a di-stinguere la presupposizione dall’impli-cazione* (che è una relazione del tipo“se... allora”): si dirà che il latino ab im-plica l’ablativo, intendendo con ciòche, logicamente anteriore, condizionala presenza dell’ablativo. Per altro, l’a-blativo presuppone ab poiché in quan-to termine presupposto è logicamenteanteriore ad ab, termine presupponen-te. Si può dunque dire che i due tipi direlazioni sono orientate*, ma in direzio-ni opposte. Si osserverà d’altra parteche la relazione d’implicazione presup-pone la relazione di presupposizioneche le è anteriore; è nella misura in cuil’ablativo è il termine presupposto, ecome tale necessario, che l’implicazio-ne “se... allora” può esercitarsi a pienodiritto; se non fosse così, l’implicazionesarebbe aleatoria. 4. Accanto alla presupposizione sem-plice che abbiamo appena trattato, si ri-conosce una presupposizione doppia(detta anche presupposizione recipro-ca) in cui i due termini sono nello stes-so tempo presupponenti e presupposti.L’assenza di presupposizione fra duetermini restituisce loro la propria auto-nomia*: la relazione che contrarrannosarà allora o quella di combinazione*,sull’asse sintagmatico, o quella di oppo-sizione, sull’asse paradigmatico. 5. In semiotica narrativa, la lettura a ri-troso del racconto* permette per esem-pio, conformemente allo schema narra-tivo*, di mettere in luce un ordine logi-

co di presupposizione fra differentiprove*: la prova glorificante* presup-pone la prova decisiva* e quest’ultima asua volta presuppone la prova qualifi-cante*. In altri termini, la logica del rac-conto è orientata e va da valle a monte,e non al contrario, come alcuni potreb-bero credere. In questa prospettiva, edal punto di vista della produzione* deldiscorso narrativo, la conversione* del-l’asse delle presupposizioni in asse del-le consecuzioni, che caratterizza la pro-grammazione* temporale, è una dellecomponenti della performanza dell’e-nunciatore*.

→ Presenza, Quadrato semiotico

Primitivi/Universali, n.m.pl. Primitifs/Universaux,Primitives/Universals,Primitivos/Universales

1. In linguistica, si intende general-mente per primitivi/universali i concet-ti, categorie o tratti, considerati comunia tutte le lingue naturali esistenti. Maquesta definizione si basa su un’erroneainterpretazione del concetto di esausti-vità* e non può dunque essere soddi-sfacente: le quasi tremila lingue cono-sciute non sono state né tutte descrittené, se lo sono state, si sono seguiti glistessi metodi; d’altra parte tale corpusnon comprende né le lingue scomparsené quelle che si formeranno in futuro.Le ricerche che si basano sulle caratte-ristiche comuni alle lingue naturali nonsono certo inutili, ma mirano solo allageneralizzazione*, senza poter afferma-re l’universalità di uno o dell’altro ele-mento. 2. Il problema degli universali si poneoggi in termini sostanzialmente diversigrazie all’approccio semiotico, il qualestabilisce una distinzione tra gli univer-sali del linguaggio – comuni a tutte le se-miotiche, siano esse linguistiche o nonlinguistiche –, e gli universali delle lingue

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Primitivi/Universali

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naturali che, oltre alle proprietà comuni,hanno caratteristiche proprie (quali ladoppia articolazione*, la linearità* dellacatena sintagmatica ecc.). 3. Pur tentando di superare la proble-matica relativa al carattere immanente*o costruito* delle strutture semiotiche– c’è poi da sapere se gli universali sonostati “scoperti” o “inventati” dai semio-tici – non ci si può non accorgere dellostretto legame tra, da una parte, le con-dizioni necessarie e sufficienti per l’esi-stenza di una semiotica (che vanno tro-vate “osservando” l’oggetto in esame)e, dall’altra, i concetti utilizzati nella co-struzione della teoria semiotica (o lin-guistica). Così i generativisti sono statiportati, nella loro pratica, a constatareche si può parlare di universali solo a li-vello della struttura profonda*, mentrenell’analisi delle strutture di superficiehanno dovuto riconoscere specificazio-ni sempre più numerose e differenze trale lingue (anche tra quelle sintattica-mente più vicine come l’inglese e il fran-cese) sempre più notevoli. L’apparizio-ne della semantica* generativa è, daquesto punto di vista, doppiamente si-gnificativa: sul piano teorico, questonuovo approccio postula un livelloprofondo, di natura logico-semantica (agaranzia della sua universalità) e, sulpiano pratico, organizza l’attività lin-guistica come una specie di ricerca de-gli universali. 4. Lo studio degli universali si presentacosì come un problema di metalinguag-gio*. Rispondere alle domande: in chemodo, con quali materiali, quali gerar-chie e quali certezze si costruisce unmetalinguaggio, vuol dire già abbozza-re la configurazione generale degli uni-versali semiotici. Così, quando N.Chomsky propone di distinguere trauniversali formali (basati sui tipi di re-lazioni e di regole) e universali sostan-ziali (comprendenti elementi e catego-rie) fa due cose in una: stabilisce che ilproblema degli universali è un proble-ma specifico del metalinguaggio forma-

le* e pone così implicitamente la neces-sità d’un “meta-metalinguaggio” capa-ce d’analizzare il metalinguaggio. Inquanto criterio che lo autorizza a rico-noscere due classi d’universali (e chequi identifichiamo nella categoria rela-zione/termine considerata come univer-sale) è infatti gerarchicamente superio-re al livello metalinguistico su cui situagli universali. 5. È come se il metalinguaggio, luogoabitato dagli universali utilizzati daquesta o quella teoria semiotica (o daquesto o quel linguaggio formale, logi-co o matematico), sia dominato da un“meta-metalinguaggio” (o metalogica)incaricato di esaminare questi universa-li, di ridurli eventualmente a categoriepiù semplici, a provarne la coerenza*.Ma i logici polacchi hanno chiaramentedimostrato come una siffatta architettu-ra di “meta-metalinguaggi” possa esse-re estesa – teoricamente – all’infinito.Bisogna quindi fermarsi a un momentostabilito da un procedimento assiomati-co*. È curioso constatare come L.Hjelmslev, il cui costruttivismo era atte-nuato dal suo attaccamento al principiod’empiria*, abbia potuto affermareche: «Un’operazione con risultato èchiamata universale, e i suoi risultantiuniversali, solo se si afferma che que-st’operazione può essere effettuata suqualsiasi oggetto» (Prolegomena, Defi-nizione 32). All’interno di una teoria, sivede – e Chomsky non avrebbe nulla daobiettare – quanto gli universali sianostabiliti da una dichiarazione assioma-tizzante, lasciando così in sospeso ilproblema dei “meta-universali” comeasserzione/negazione, che l’atto assio-matico implica. 6. Il compito della semiotica generale èduplice: deve costruire la teoria semio-tica, e, per poterlo fare, arrestarsi a undato stadio stabilito dell’impalcaturametalinguistica il più profondo e astrat-to possibile; d’altra parte non può nonassolvere a uno dei suoi doveri, la ricer-ca dei “meta-universali”. Così si spiega

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Procedimento stilistico

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l’apparente paradosso che vuole gliuniversali, in quanto “oggetti” d’analisisemiotica, di natura semantica (e cometali suscettibili d’essere sottomessi all’a-nalisi semantica) e nello stesso tempocome entità formali (desemantizzate),per poter servire da materiali per le co-struzioni sintattiche e logiche. 7. Seguendo l’approccio di Hjelmslev,l’analisi semantica di un metalinguag-gio consiste, per ogni concetto, nel de-finirlo e poi nel decomporlo in un certonumero di concetti costitutivi piùastratti: la definizione di ciascuno diquesti nuovi concetti, seguita da de-composizioni sempre più profonde eastratte, costituisce così una gerarchiaconcettuale che si conclude necessaria-mente, in un dato momento, nel rico-noscimento dei concetti ultimi non de-finibili. L’inventario epistemologico*degli indefinibili (come “relazione”,“operazione”) equivale così a una pri-ma lista di universali semantici. Si no-terà, per esempio, che questa è la pro-cedura da noi utilizzata per stabilire ilquadro della struttura* elementare del-la significazione; solo in un secondomomento, e attraverso un mutato pun-to di vista, dopo aver sviluppato una ti-pologia delle relazioni elementari (rela-zioni “e ... e” e “o ... o”, contrarietà,contraddizione, complementarità) ab-biamo riconosciuto queste relazioni eoperazioni (asserzione/negazione) co-me universali, tracciando così la via peruna formalizzazione ulteriore. 8. Nel seguire lo sviluppo di una certacomponente della teoria semiotica piut-tosto che un’altra, il semiotico può es-sere portato a dichiarare come univer-sali (con maggiore o minore certezza*,in quanto questa è graduale e non cate-gorica) alcune categorie o operazioni diquesta componente. Così R. Jakobsonha proposto di considerare universalifonologici* una dozzina di categorie fe-miche binarie. Allo stesso modo, perstimolare l’operatività della componen-te semantica, noi consideriamo univer-

sali ad hoc le categorie vita/morte e cul-tura/natura, giudicandole adatte a ser-vire come punto di partenza per l’anali-si degli universi* semantici.

Privazione, n.f. Privation, Deprivation, Privación

Situata al livello figurativo*, la privazio-ne – che opposta paradigmaticamenteall’acquisizione* – rappresenta la tra-sformazione* che stabilisce la disgiun-zione* fra il soggetto* e l’oggetto* apartire dalla loro congiunzione* ante-riore; essa si effettuerà sia in modo tran-sitivo* (spoliazione), sia riflessivo (ri-nuncia*). Inserita nello schema narrati-vo*, la privazione è la forma negativadella conseguenza e può essere consi-derata, a questo titolo, come una dellecomponenti possibili di quella figuradiscorsiva che è la prova.

→ Comunicazione, Conseguenza, Prova

Probabilità, n.f. Probabilité, Probability, Probabilidad

In quanto denominazione della struttu-ra modale del non credere non essere, laprobabilità è uno dei termini della cate-goria modale epistemica: ha l’improba-bilità* come termine contraddittorio el’incertezza* come termine subcontra-rio.

→ Epistemiche (modalità –)

Procedimento stilisticoProcédé stylistique, Stylistic Device,Proceder estilístico

Termine della stilistica, che indica la“maniera di operare” dell’enunciatore*nell’atto della produzione* del discor-so, il procedimento stilistico si può ri-

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Procedura

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conoscere, almeno intuitivamente, a uncerto livello di superficie* del testo.Questa nozione riprende a sua volta levecchie figure* retoriche, collegandoleperò all’istanza dell’enunciazione*. L’as-senza di procedure di riconoscimento*di tali procedimenti, come di ogni de-scrizione strutturale che permetta distabilire la loro tassonomia, è stata, finoa oggi, la ragione principale del falli-mento della stilistica.

→ Stilistica

Procedura, n.f. Procédure, Procedure, Procedimiento

1. Nella tradizione hjelmsleviana si in-tende per procedura una successioneordinata di operazioni* che mira aesaurire la descrizione* di un oggettosemiotico secondo il livello di pertinen-za* scelto. Tale definizione, teoricamente irrepren-sibile, è troppo generale per essere uti-lizzata. Così si applica generalmente iltermine procedura a successioni di ope-razioni limitate e/o localizzate, corri-spondenti a un’istanza, a un segmento oa un microuniverso* dati, che si tenta disottoporre a descrizione. 2. Si distingueranno due grandi tipi diprocedure: le procedure analitiche* (odiscendenti) partono da un oggetto se-miotico considerato come un tutto emirano a stabilire le relazioni fra le sueparti e il tutto; le procedure sintetiche(o ascendenti) partono generalmentedagli elementi considerati non scompo-nibili, riconoscendo che fanno parte diunità più ampie. 3. Nella tradizione americana, si cercadi distinguere le procedure di descri-zione* dalle procedure di scoperta. Èpossibile vedere qui due generi di pro-blematiche – spesso confuse – di ordineepistemologico: le procedure di descri-zione partecipano della riflessione sullacostruzione dei metalinguaggi* e dei si-

stemi di rappresentazione* del farescientifico, mentre le procedure di sco-perta pongono problemi relativi al va-lore delle teorie* e all’efficacia* dellemetodologie*. 4. È in quest’ultima prospettiva che lalinguistica chomskyana oppone alleprocedure di scoperta, considerate nonpertinenti per fondare e giustificare leteorie grammaticali, le procedure di va-lutazione, suscettibili di apprezzarle inbase al principio di semplicità.

→ Descrizione, Scoperta,Metalinguaggio, Rappresentazione,

Semplicità

Processo, n.m. Procès, Process, Proceso

1. Cercando di precisare la dicotomiasaussuriana lingua/parola, L. Hjelmslevl’ha interpretata come un caso partico-lare di un approccio più generale, attra-verso il quale il soggetto conoscente af-fronta l’oggetto da conoscere, conside-randolo sia come sistema* sia comeprocesso. Il processo semiotico, che ri-prende solo una parte delle determina-zioni del concetto vago di parola*, desi-gna allora, nella terminologia hjelmsle-viana, l’asse* sintagmatico del linguag-gio, e si oppone al sistema semioticoche ne rappresenta l’asse paradigmati-co. 2. In semiotica discorsiva, il termineprocesso serve a designare il risultatodella conversione* della funzione nar-rativa del fare*, conversione che si ef-fettua grazie agli investimenti comple-mentari delle categorie temporali e so-prattutto aspettuali. Un processo puòessere allora lessicalizzato sia in formacondensata* (un semplice verbo, peresempio), sia in espansione* (frase, pa-ragrafo, capitolo ecc.).

→ Sintagmatico, Aspettualizzazione,Temporalizzazione

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Profonda (struttura –)

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Produzione, n.f. Production, Production, Producción

1. Nel quadro delle attività umane, sipuò opporre la produzione – concepitacome l’operazione* tramite la qualel’uomo trasforma la natura o le cose – al-la comunicazione*, che concerne le rela-zioni intersoggettive e che quindi con-cerne la manipolazione* (in quanto essaimplica un far-credere e un far-fare). 2. In semiotica, la produzione è l’atti-vità semiotica, considerata come un tut-to, che, situata nell’istanza dell’enun-ciazione* conduce alla formazione del-l’enunciato* (frase o discorso). L’usoha tendenza a confondere i termini pro-duzione e generazione. Secondo lagrammatica generativa*, la generazionepartecipa della competenza* del sog-getto parlante (che è insieme e indistin-tamente emittente* e ricevente*), men-tre la produzione, caratteristica dellaperformanza*, è determinata dal soloenunciante*. 3. Si oppongono spesso le grammati-che di produzione alle grammatiche diriconoscimento: mentre queste si situa-no idealmente al posto dell’enunciata-rio e operano l’analisi di un corpus* dienunciati, quelle adottano il punto divista dell’enunciante e procedono persintesi*, mirando a costruire le frasigrammaticali a partire dagli elementi.

→ Operazione, Comunicazione,Generazione, Enunciazione, Atto di

linguaggio, Riconoscimento

Profonda (struttura –), agg. Profonde (structure –), Deep (Structure),Profunda (estructura –)

1. Le strutture* profonde sono abi-tualmente opposte in semiotica allestrutture di superficie* (o superficiali):mentre queste rilevano del campo del-l’osservabile, quelle sono consideratesoggiacenti all’enunciato. Si osserverà

tuttavia che il termine profondità ècontaminato da connotazioni ideologi-che, per l’allusione alla psicologia delprofondo, e che il suo senso si avvicinaspesso a quello di autenticità. 2. La profondità al tempo stesso è im-plicitamente legata alla semantica e sug-gerisce una certa “qualità” della signifi-cazione e/o la difficoltà di decifrarla.Pur ammettendo l’esistenza di differen-ti livelli di significazione (o differentiisotopie*), non sembra possibile ridur-re la problematica delle struttureprofonde alla sola dimensione semanti-ca, né del resto legare l’interpretazio-ne* semantica – come faceva la gram-matica generativa* standard – alle solestrutture profonde. 3. In linguistica, la distinzione fra que-sti due tipi di strutture, dovuta allagrammatica generativa e trasformazio-nale, astrae evidentemente dai sensi (1)e (2) sopra considerati. Concerne sol-tanto la dimensione sintattica* dellalingua, ed è fondata sulla relazione ditrasformazione* – o di una successionedi trasformazioni – riconoscibili (edesplicitabili sotto forma di regole*) fradue analisi di una stessa frase, di cui lapiù semplice e astratta viene situata a li-vello profondo. Si vede facilmente che,nel caso di strutture di superficie, nonsi tratta di frasi “reali” o realizzate*,mentre le strutture profonde sono solovirtuali*. Le une e le altre partecipanodel modello della competenza* (o del-la lingua*) e sono tributarie della teo-ria linguistica che le ha formulate non-ché del sistema formale* che le haesplicitate. 4. Ciò ci conduce a dire che questi duetipi di strutture sono costruzioni meta-linguistiche* (“profondo” e “superfi-cie” sono due metafore spaziali, relativeall’asse della verticalità). Servono a de-signare l’una la posizione iniziale, l’altrail punto finale di una catena di trasfor-mazioni che si presenta come un pro-cesso di generazione*, come un percor-so generativo* d’insieme, all’interno del

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Programma narrativo

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quale si possono distinguere tante tap-pe quante ne occorrono per la chia-rezza della spiegazione. Il caratterepuramente operativo* di questi livellistrutturali, del resto, giustifica e auto-rizza i rimaneggiamenti e le rimesse inquestione che la teoria è spinta a in-trodurre. 5. In semiotica, l’utilizzo di questa di-cotomia s’inscrive necessariamente nel-la teoria generale della generazione del-la significazione e tiene conto essenzial-mente sia del principio generativo, se-condo cui le strutture complesse sonoprodotte a partire da strutture più sem-plici (cfr. la combinatoria*), sia delprincipio di “accrescimento del senso”secondo cui ogni complessificazionedelle strutture apporta un complemen-to di significazione. È la ragione per cuiogni istanza del percorso generativo de-ve comportare le due componenti sin-tattica e semantica (cosa che la teoriagenerativa allargata è sul punto di am-mettere). La nozione di profondità èperò relativa: ogni istanza di generazio-ne del discorso rinvia a un’istanza “piùprofonda” e così via, fino alla strutturaprofonda per eccellenza che è la strut-tura* elementare della significazione,punto ab quo del percorso generativo.

→ Superficie, Livello, Struttura

Programma narrativoProgramme narratif, Narrative Program, Programa narrativo

1. Il programma narrativo (abbreviatoin PN) è un sintagma* elementare del-la sintassi* narrativa di superficie, co-stituito da un enunciato di fare* cheregge un enunciato di stato*. Può esse-re rappresentato* nelle due forme se-guenti:

PN = F [S1 → (S2 � Ov)] PN = F [S1 → (S2 � Ov)]

dove: F = funzione. S1 = soggetto di fare. S2 = soggetto di stato. O = oggetto (suscettibile di

subire un investimentosemantico sotto forma div: valore).

[ ] = enunciato di fare. ( ) = enunciato di stato. → = funzione di fare (risultan-

te della conversione* del-la trasformazione*).

� � = giunzione (congiunzioneo disgiunzione) che indi-ca lo stato finale, la conse-guenza del fare.

Osservazione: per maggior chiarezza lafunzione “fare” è rappresentata pleona-sticamente dai due simboli F e →. Il programma narrativo è da intenderecome un cambiamento di stato effettua-to da un soggetto (S1) qualunque, su unsoggetto (S2) qualunque: a partire dal-l’enunciato di stato del PN, consideratocome conseguenza, a livello discorsivosi possono ricostituire figure* come laprova*, il dono* ecc. 2. Una tipologia dei PN va stabilitaprendendo successivamente in conside-razione i seguenti criteri: – a) la natura della giunzione*: con-giunzione o disgiunzione (corrispon-denti all’acquisizione* o alla privazio-ne* di valori); – b) il valore investito: valori modali* odescrittivi* (e, all’interno di questi, va-lori pragmatici* o cognitivi*); – c) la natura dei soggetti presenti: chesono sia distinti (presi allora in caricoda due attori* autonomi), sia presentiin sincretismo* in un solo attore; inquest’ultimo caso il PN viene alloradetto performanza*. 3. Il programma narrativo sarà talvoltacomplessificato a fini d’enfasi* cioè perprodurre l’effetto di senso “difficoltà”,“carattere estremo” del compito. Dueprocedure d’enfasi sono relativamentefrequenti, specialmente in etnolettera-

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Programmazione spazio-temporale

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tura: la duplicazione* (quando il PN èsdoppiato, poiché lo scacco del primo èseguito dalla riuscita del secondo), sim-bolicamente rappresentata con PN(× 2),e la triplicazione* (dove tre PN succes-sivi differiscono solo per la “difficoltà”crescente del compito), indicata conPN(×3). 4. Un PN semplice si trasforma in PNcomplesso quando esige la realizzazio-ne preventiva di un altro PN: è il caso,per esempio, della scimmia che per rag-giungere la banana deve anzitutto cer-care un bastone. Il PN generale sarà al-lora detto PN di base, mentre i PN pre-supposti* e necessari saranno detti PNd’uso: questi sono in numero indefini-to, legato alla complessità del compitoda eseguire; li si indicherà come PN(PNu 1, 2, ...), segnalando con le paren-tesi, come in (3), il carattere facoltativodell’espansione. 5. Il PN d’uso può essere realizzato siadal soggetto stesso sia da un altro sog-getto, delegato del primo: in quest’ulti-mo caso, si parlerà di PN annesso, sim-bolizzato da PN(PNa) e riconosciutocome appartenente a un livello di deri-vazione* inferiore (l’installazione delsoggetto di fare delegato* – essere uma-no, animale o automa – che pone il pro-blema della sua competenza*). 6. È dal PN di base scelto, cioè essen-zialmente dall’ultimo valore cui si èpuntato, che dipende la forma attualiz-zata* del PN globale, destinato a esseremesso in discorso, cioè in primo luogotemporalizzato, a fini di realizzazione*.Si vede anche che un PN si trasforma,attraverso la messa in opera di alcuneprocedure di complessificazione (for-mulabili come regole*), in programma-zione operativa. Si noterà che a livellodiscorsivo i PN possono essere esplici-ti* o restare impliciti*: la loro esplica-zione è un’esigenza della sintassi narra-tiva di superficie. 7. Che si tratti di un PN semplice o diuna successione ordinata di PN (che in-clude dei PN d’uso ed eventualmente

dei PN annessi), l’insieme sintagmaticocosì riconosciuto corrisponde alla per-formanza* del soggetto, a condizione co-munque che i soggetti di fare e di statosiano in sincretismo in un attore deter-minato e che i soggetti dei PN annessisiano identici al soggetto del fare prin-cipale, o almeno delegati e diretti da lui.Il PN detto performanza ne presuppo-ne un altro, quello della competenza*(il soggetto del “far-essere” va preventi-vamente modalizzato, per esempio co-me soggetto del voler-fare o del dover-fare). In questa prospettiva, la compe-tenza appare come un programma d’u-so, caratterizzato tuttavia dal fatto che ivalori cui tende sono di natura moda-le*. La performanza presuppone la com-petenza, quindi si sviluppa una nuovaunità sintattica, che risulta dalla loroconcatenazione logica ed è loro gerar-chicamente superiore: le diamo il nomedi percorso narrativo.

→ Sintassi narrativa di superficie,Narrativo (schema –), Narrativo

(percorso –)

Programmazione spazio-temporaleProgrammation spatio-temporelle,Spatial and Temporal Programming,Programación espacio-temporal

Dal punto di vista della produzione deldiscorso e nell’ambito del percorso ge-nerativo* globale, le programmazionispaziale e temporale si presentano co-me sottocomponenti delle procedure dispazializzazione e di temporalizzazio-ne* (integrate queste, a loro volta, nelladiscorsivizzazione*) con cui – tra l’altro– si effettua la conversione delle strut-ture narrative in strutture discorsive.

A. PROGRAMMAZIONE SPAZIALE

1. In semiotica discorsiva è la procedu-ra che consiste, a seguito della localiz-zazione spaziale dei programmi* nar-rativi, nell’organizzare la concatenazio-

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Programmazione spazio-temporale

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ne sintagmatica* degli spazi parziali. 2. In semiotica dello spazio*, la pro-grammazione spaziale si effettua con lamessa in correlazione dei comporta-menti programmati dei soggetti (dei lo-ro programmi narrativi) con gli spazisegmentati che essi usano (cfr. cucina +sala da pranzo; camera + bagno + w.c.).Tale programmazione è detta funziona-le quando mira all’ottimizzazione del-l’organizzazione spaziale in funzione diprogrammi narrativi stereotipi.

B. PROGRAMMAZIONE TEMPORALE

1. La sua principale caratteristica è laconversione* dell’asse delle presuppo-sizioni*, che rappresenta l’ordine logi-co della concatenazione dei programminarrativi, in asse delle consecuzioni,dando così luogo allo spiegarsi tempo-rale e pseudo-causale delle azioni rac-contate. Dato quindi un programmanarrativo (PN) complesso (per esempiola preparazione di una ricetta di cuci-na), l’ordine narrativo consiste, parten-do dal programma narrativo di base(dare la minestra agli invitati) nel risali-re attraverso una catena di presupposi-zioni logiche, da un programma d’uso aun altro, fino allo stato iniziale (caratte-rizzato dalla non esistenza della mine-stra e del progetto della sua preparazio-ne). La programmazione temporale haper effetto di invertire quest’ordine e disostituirgli un ordine “cronologico”che dispone i PN d’uso in consecuzionetemporale. 2. Tuttavia, la programmazione tempo-rale non si riduce alla sola disposizionesulla linea temporale secondo la catego-ria di anteriorità/posteriorità dei diversiPN. Implica, invece, una misura deltempo in durate (introducendo così l’a-spettualizzazione* che trasforma i fare*in processi*): tutti i PN d’uso sono valu-tati in quanto processi durativi* per es-sere inscritti nel programma temporale,in modo tale che l’aspetto terminativo*di ogni processo corrisponda al mo-mento dell’integrazione di ogni sotto-

programma nel programma d’insieme.Si tratta dunque della procedura di pe-riodizzazione* dei PN d’uso in funzionedella realizzazione del PN di base. 3. Dato che la temporalizzazione mettein gioco non solo la categoria relazionaleanteriorità/posteriorità collegando i PNsituati su un’unica linea, ma anche quel-la della concomitanza identificando tem-poralmente due PN paralleli, la pro-grammazione temporale tiene conto del-la possibilità di programmare in conco-mitanza* due o più PN. La procedurautilizzata, allora, è quella dell’inclusio-ne* temporale, che permette di inscrive-re in una durata, più lunga una duratapiù corta o una puntualità*. Un PN, in-stallato nella durata, o lascia un lassod’“attesa”, cioè un non-fare che permettedi eseguire un PN 2, o permette di instal-lare, parallelamente, un soggetto delega-to* (un aiuto cuoco per esempio) cheesegue simultaneamente il PN 2. 4. La programmazione temporale cosìeseguita offre una rappresentazionecronologica dell’organizzazione narrati-va. Ora, la cronologia non è necessaria-mente razionale, comporta spesso deisintagmi programmati stereotipi che simantengono tali e quali malgrado il mu-tamento del PN di base. È possibile allo-ra concepire delle procedure d’ottimiz-zazione* funzionale, quali quelle prati-cate in ricerca operazionale, ma anche,sebbene in modo imperfetto, in lingui-stica applicata. Sono procedure cheesplicitano il concetto di semplicità* insintagmatica. 5. La programmazione temporale, cheporta a stabilire una cronologia, nondeve essere confusa con la programma-zione testuale (nel quadro della testua-lizzazione*) che l’enunciante* effettuaobbedendo alle costrizioni e profittan-do delle libertà dovute alla natura linea-re (temporale o spaziale) del testo*. Seè costretto, per esempio, a programma-re concomitanze e successioni, egli pe-rò dispone comunque di un margine dilibertà per riorganizzare la cronologia a

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Prosodia

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modo suo (operando delle anacronizza-zioni e preparando delle suspense, peresempio). Con le dovute riserve, si po-trebbe forse parlare qui, per analogia,di un’ottimizzazione estetica (idioletta-le o sociolettale).

→ Spazializzazione, Temporalizzazione,Localizzazione spazio-temporale

Proposizione, n.f. Proposition, Clause, Proposición

1. In grammatica tradizionale, il termi-ne proposizione è utilizzato per designa-re sia un’unità sintattica autosufficiente,e allora la proposizione, detta indipen-dente, è identificata con la frase sempli-ce, sia un’unità che ha la stessa strutturama è integrata nella frase complessa (incui la proposizione principale regge lesubordinate). Dopo L. Tesnière e N.Chomsky la problematica della frasecomplessa è stata riassorbita da un mec-canismo unico di produzione frastica (cfr.l’incassamento*). Sul piano terminologi-co, l’enunciato sostituisce vantaggiosa-mente tanto il termine frase quanto iltermine proposizione. 2. In logica, si intende con proposizio-ne un enunciato suscettibile di esseredetto vero o falso: una simile definizio-ne è restrittiva (esclude, per esempio, lefrasi interrogative, imperative) e nonpermette l’utilizzo del termine proposi-zione come sinonimo di enunciato.

→ Frase, Enunciato

Propriocettività, n.f. Proprioceptivité, Proprioceptivity,Proprioceptividad

Termine* complesso* (o neutro*?) del-la categoria* classematica esterocetti-vità/interocettività, la propriocettivitàserve a classificare l’insieme delle cate-gorie semiche le quali denotano il se-

mantismo* risultante dalla percezioneche l’uomo ha del suo proprio corpo.D’ispirazione psicologica, questo ter-mine va rimpiazzato con quello di timia(che ha connotazioni psicofisiologiche).

→ Timica (categoria–), Esterocettività

Prosodia, n.f. Prosodie, Prosody, Prosodia

1. Sotto-componente della fonologiae/o della fonetica* (l’una e l’altra sonoallora dette soprasegmentali), la proso-dia si consacra allo studio delle unitàdel piano dell’espressione* che oltre-passano la dimensione dei fonemi*.Queste unità soprasegmentali sono det-te generalmente prosodemi. L’inventa-rio delle categorie* prosodiche è lungidall’essere completo (comprende ognisorta di fenomeni, come l’accentuazio-ne, l’intonazione*, il rumore, le pause, la“parlata”, il ritmo* ecc.). Questo cam-po di ricerca, ancora insufficientementeesplorato, potrebbe essere uno dei luo-ghi di convergenza fra semiotica poeti-ca e semiotica musicale. 2. Lo status dei prosodemi non è evi-dente, ma è chiaro che essi non possonoessere limitati alla sola funzione discri-minatoria* che caratterizza i fonemi. Al-cuni si presentano come categorie sin-tattiche (l’intonazione, per esempio, puòessere considerata come un costituen-te* della frase), morfosintattiche (l’ac-cento, secondo le lingue, può avere unafunzione demarcativa* per termini osintagmi), o morfologiche (l’accentua-zione della prima o della seconda silla-ba dell’inglese “insult” lo determina ri-spettivamente come sostantivo o comeverbo). 3. Anche il loro status propriamentesemiotico pone delle difficoltà, poiché iprosodemi non sembrano figure* nelsenso hjelmsleviano del termine, cioèunità del piano dell’espressione*, mapiuttosto segni* biplanari semi-motiva-

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Prospettiva

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ti: così, per esempio, se si distingue nel-l’intonazione un’opposizione del tipocurva crescente/curva decrescente sulpiano dell’espressione, quest’opposi-zione è correlata a un’altra, situata sulpiano del contenuto, che si può desi-gnare come sospensione/conclusione.Le categorie prosodiche sono quindiaccostabili, per esempio, alle categoriegestuali o pittoriche.

→ Fonologia

Prospettiva, n.f. Perspective, Perspective, Perspectiva

1. A differenza del punto di vista, cheha bisogno della mediazione di un osser-vatore, la prospettiva gioca sul rapportoenunciante*/enunciatario e si riferiscealle procedure di testualizzazione*. 2. Fondata sulla struttura polemica*del discorso narrativo, la messa in pro-spettiva consiste, per l’enunciante, nellascelta che egli è portato a fare, all’inter-no della organizzazione sintagmatica,tra i programmi* narrativi, tenendoconto delle costrizioni della linearizza-zione* delle strutture narrative. Peresempio, il racconto di una rapina puòmettere in exergo il programma narrati-vo del ladro o del derubato; nello stessosenso il racconto proppiano privilegia ilprogramma dell’eroe* a spese di quellodel traditore*. 3. Mentre l’occultamento ha l’effettodi eliminare totalmente dalla manifesta-zione* il programma narrativo del sog-getto in favore di quello dell’anti-sog-getto (o inversamente), la prospettivaconserva i due programmi opposti, purprivilegiando – in rapporto alla istanzaricettiva dell’enunciatario – uno deiprogrammi, che viene allora largamenteesplicitato, a spese dell’altro che è ma-nifestato solo in modo frammentario.

→ Punto di vista, Focalizzazione,Occultamento

Prossemica, n.f. Proxémique, Proxemics, Proxémica

1. È una disciplina – o piuttosto unprogetto di disciplina – semiotica, chemira ad analizzare il disporsi dei sog-getti* e degli oggetti* nello spazio* e inparticolare l’uso che i soggetti fannodello spazio a fini di significazione. Co-sì definita, la prossemica si presenta co-me un campo problematico della teoriasemiotica* che copre la semiotica dellospazio, ma anche in parte le semiotichenaturale*, teatrale*, discorsiva* ecc. 2. I contorni di questo campo proble-matico restano tuttora molto incerti. Aun primo approccio, la prossemicasembra interessata alle relazioni spazia-li (di prossimità, di distanza ecc.) che isoggetti intrattengono tra loro e alle si-gnificazioni non verbalizzate che netraggono. Talora, quando non si trattapiù di semiotiche naturali (cioè di com-portamenti “reali” nel mondo), ma disemiotiche artificiali e costruite (teatro,liturgia, rituale, urbanistica ecc.) equando si arriva a introdurre un’istanzadi enunciazione*, la disposizione deglioggetti, così come quella dei soggetti,diventa portatrice di senso. 3. La prossemica non può limitarsi allasola descrizione dei dispositivi spaziali,formulati in termini di enunciati di sta-to*; deve anche prevedere i movimen-ti* dei soggetti e gli spostamenti deglioggetti, che, in quanto rappresentazio-ni spazio-temporali delle trasformazio-ni* (tra stati) non sono meno significa-tivi. A questo punto la prossemica var-ca i limiti che si è data e si vede costret-ta a integrare nel proprio campo d’ana-lisi i linguaggi gestuali insieme ai lin-guaggi spaziali. 4. Indipendentemente dai limiti che sifisseranno, le procedure di prossema-zione vanno fin da ora integrate allacomponente della semiotica discorsivache chiamiamo spazializzazione.

→ Spazializzazione, Gestualità

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Prova

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Protoattante, n.m. Protoactant, Proto-actant, Protoactante

Poiché la struttura* è il modo d’esisten-za semiotica elementare, ogni attante èsuscettibile di essere proiettato sul qua-drato semiotico e di essere quindi arti-colato in almeno quattro posizioni at-tanziali (attante, antiattante, negattante,negantiattante): in rapporto alla catego-ria* attanziale che viene così a costituir-si, sarà detto protoattante. Si dirà, peresempio, che il soggetto* o il destinan-te* sono protoattanti quando manife-stano nel discorso posizioni attanzialicome quelle di soggetto e di anti-sogget-to, di destinante e di anti-destinante.

→ Attante, Quadrato semiotico

Prova, n.f. Epreuve, Test, Prueba

1. L’esame delle funzioni proppiane hapermesso di rilevare la ricorrenza, nelracconto meraviglioso, di quel sintag-ma* narrativo al quale corrisponde laprova, nelle sue tre forme: prova quali-ficante*, decisiva*, e glorificante*, ri-correnza che, autorizzandone la com-parazione, ne garantisce l’identificazio-ne formale. 2. A differenza del dono*, che implicasimultaneamente una congiunzione*transitiva* (o attribuzione*) e una di-sgiunzione* riflessiva (o rinuncia*) eche si inscrive tra un destinante* e undestinatario, la prova è una figura* di-scorsiva del trasferimento* degli ogget-ti* di valore che suppone, in modo con-comitante, una congiunzione riflessiva(o appropriazione*) e una disgiunzionetransitiva (o spoliazione*) e che caratte-rizza il fare del soggetto-eroe alla ricer-ca* dell’oggetto di valore. 3. In quanto congiunzione riflessiva, laprova corrisponde, al livello della sin-tassi* narrativa di superficie, a un pro-gramma* narrativo nel quale il soggetto

del fare* e il soggetto di stato* sono in-vestiti in un solo e medesimo attore*. Inquanto disgiunzione transitiva, essa im-plica, almeno implicitamente, l’esisten-za, e anche l’azione contraria, di un an-ti-soggetto volto a realizzare un pro-gramma narrativo inverso: la provamette così in rilievo la struttura polemi-ca* del racconto. 4. Dal punto di vista della sua organiz-zazione interna, la prova è costituita dal-la concatenazione di tre enunciati che,al livello discorsivo, possono esprimersicome confronto*, dominazione* e con-seguenza* (acquisizione* o privazio-ne*). A questo asse delle consecuzionipuò essere sostituito quello delle pre-supposizioni*, il che fa apparire unasorta di logica “a ritroso”: la conseguen-za presuppone la dominazione, la qualepresuppone, a sua volta, il confronto.Ciò autorizza, se in un racconto datosoltanto la conseguenza è manifestata, acatalizzare* la prova nel suo insieme. 5. Se le tre prove – qualificante, decisi-va e glorificante – hanno la stessa orga-nizzazione sintattica, esse si distinguo-no tuttavia – nello schema narrativo ca-nonico – per l’investimento semantico,manifestato nella conseguenza: così laprova qualificante corrisponde all’ac-quisizione della competenza* (o dellemodalità* del fare), la prova decisiva al-la performanza*, la prova glorificante alriconoscimento*. La consecuzione ditre prove (di cui le prime due sono si-tuate sulla dimensione pragmatica*,l’ultima sulla dimensione cognitiva*)costituisce di fatto un concatenamentoa ritroso, per cui il riconoscimento pre-suppone la performanza, e quest’ultimala competenza corrispondente: non puòesserci prova glorificante che per san-zionare la prova decisiva preliminare, e,a sua volta, la prova decisiva non puòrealizzarsi senza la presenza (implicita oesplicita) della prova qualificante.

→ Narrativo (schema –)

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Psicosemiotica

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Psicosemiotica, n.f. Psychosémiotique, Psycho-semiotics,Sicosemiótica

1. È bene avvertire subito che il termi-ne psicosemiotica qui proposto, non-ché il campo che è supposto coprire,non esistono, e costituiscono solo unapia illusione dei semiologi. Una sola se-miotica particolare, la linguistica, si tro-va da qualche tempo associata alla psi-cologia e costituisce la psico-linguisti-ca, considerata, dagli anni cinquanta,disciplina autonoma. 2. L’avvicinamento di due disciplineelaborate in maniera indipendente, chemira a produrre un nuovo campo scien-tifico autonomo, riposa su un’illusione,quella dell’interdisciplinarità. In effetti,per poco che si ammetta che una scienzasi definisce tramite i suoi metodi d’ap-proccio e non tramite l’oggetto o domi-nazione d’applicazione, bisogna esseremolto ingenui per pretendere che duemetodologie costruite separatamentepossano essere considerate compatibili eomologabili, mentre già due teorie lin-guistiche e, a fortiori, due teorie psicolo-giche non lo sono fra loro, se manca lapossibilità di tradurle in un linguaggioformale*, coerente e unico. Si sa che unostudio iniziato da J.P. Boons, diretto al-l’omologazione di una decina di rappor-ti forniti da altrettante scienze umane econcernente un unico villaggio bretone,ha rivelato la massima convergenza dellediscipline interessate su un termine co-mune, il qualificativo “importante”. È ilsegno infallibile di un alto grado di non-scientificità di questi discorsi. È evidenteche l’alleanza tra la psicologia e la lingui-stica non può avere per effetto che la do-minazione di una disciplina sull’altra, ilche dà luogo a ricerche che vertono siasulla psicologia del linguaggio sia sullalinguistica psicologica. 3. In una prima fase, la psicolinguisticaè apparsa come l’alleanza piuttosto riu-scita tra la psicologia dei comportamen-ti (il behaviorismo) e lo strutturalismo

americano, discipline che almeno aveva-no in comune il loro asemantismo. Il se-condo periodo, che arriva fino ai giorninostri, comincia con l’avvento dellagrammatica generativa*, che si dà comepartner una psicologia molto più classi-ca e tollerante (che tratta della percezio-ne, della memoria, della personalitàecc.). La linguistica generativa aveva, ineffetti, qualche cosa da dare alla psicolo-gia: riservandosi il campo della compe-tenza* linguistica (la cui descrizione co-struisce la grammatica di una lingua), haceduto senza rimpianti alla psicolingui-stica quello della performanza*, invitan-dola a definire un doppio modello dellaproduzione e della percezione del lin-guaggio, modello che vuol rendere con-to del modo con cui il soggetto parlanteassume il modello della competenza.Così, alla stregua di F. de Saussure che,definita la lingua* come il solo soggettodella linguistica, ha gettato la parola* inpasto agli appetiti psicologici e sociolo-gici, N. Chomsky fa sua la competenza, arischio di offrire la sua performanza alleinterpretazioni più eterogenee. 4. Altre due teorie psicologiche – lapsicologia genetica di Piaget e la psica-nalisi freudiana – non sembra siano sta-te adeguatamente messe a profitto dallapsicolinguistica: l’importanza – che cisembra eccessiva – assegnata ai proble-mi dell’“innatismo” non ha lasciato senon pochissimo spazio per un confron-to, metodologicamente fondamentale,degli approcci genetico (che caratteriz-za queste due forme di psicologia) e ge-nerativo (che è quello della linguisticadominante). 5. Quanto ai rapporti tra la psicologiae la semiotica, essi sembrano caratteriz-zati, d’ambo le parti, da certezze episte-mologiche e metodologiche che am-mettono solo l’integrazione, parziale ototale, del campo vicino al proprio, sen-za concepire la possibilità di una colla-borazione duratura. Ciò è particolar-mente netto nel caso della psicanalisi:benché la Traumdeutung di Freud sia

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Punto di vista

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un notevole lavoro di analisi semioticaante litteram, benché gli apporti di La-can alla linguistica (e alla semiotica)non siano trascurabili, la psicanalisi siconsidera come un campo di sapere to-talizzante, suscettibile di interpretare edi assorbire i dati e le problematicheche incontra nel suo cammino. Nonconcede niente, in questo settore, allasemiotica, che, forte di un “antipsicolo-gismo” ereditato da Saussure, è fintroppo disponibile a dispensare i suoi“consigli” e ad offrire i suoi servigi me-todologici a chiunque. La situazioneche si è così creata, tutto sommato, èforse più sana e più chiara di quella diuna falsa interdisciplinarità: la “psico-logia del linguaggio” e la “semioticapsicologica”, distinte, restano così cia-scuna sulle proprie posizioni. 6. La semiotica è costantemente con-dotta a sconfinare sul terreno tradizio-nalmente riservato alla psicologia. Così,sul piano semantico, dovendo precisarel’universo* semantico come un datoprecedente ad ogni analisi, non può evi-tare di distinguere l’universo individua-le* opponendolo all’universo colletti-vo*, di prevedere quindi, a titolo d’ipo-tesi, strutture* assiologiche elementari(come le categorie vita/morte e natu-ra/cultura) che permettono d’intrapren-dere la descrizione. Universi del genere,considerati come oggetti, possono esse-re assunti e interpretati da soggetti* in-dividuali e collettivi, e danno luogo adarticolazioni particolarizzanti, gli uni-versi idiolettale* e sociolettale*. L’indi-viduale e il sociale, il psicologico e il so-ciologico si trovano così organizzati, peri bisogni della semiotica, in concettioperativi. 7. Sul piano sintattico, del resto, i re-centi sviluppi della grammatica attan-ziale, mettendo in luce il dinamismo deiruoli attanziali* e la varietà delle moda-lizzazioni* dei soggetti, hanno condot-to la semiotica a concepire la “vita inte-riore” dell’attore chiamato “persona” co-me un campo di esercizi sintattici in cui

un numero abbastanza alto di soggetti(sintattici) coesistono, si confrontano,eseguono percorsi e partecipano allemanovre tattiche e strategiche. È unavisione che si può accostare allo spetta-colo (con gli “io”, i “super-io” e i “ça”)che offre la psicanalisi. 8. Resta infine un campo semiotico an-cora inesplorato – solo suggerito da L.Hjelmslev –, quello delle connotazioni*individuali, cioè di un sistema di conno-tazione (che dà luogo probabilmente aprocessi connotativi) che, parallelamentealle connotazioni sociali, si trova sottesoai nostri discorsi e costituisce, un po’ co-me le caratterologie di un tempo, una ti-pologia immanente delle personalità, deimodi di essere, dei registri, delle voci edei timbri. In questo senso una psicose-miotica che si facesse carico di tali semio-tiche, con il loro modo di manifestazionesincretico*, potrebbe trovare un campodisponibile di sperimentazione.

Punizione, n.f. Punition, Punishment, Castigo

Inserita nello schema narrativo* cano-nico, la punizione è la forma negativadella retribuzione (che, nella dimensio-ne pragmatica*, fa parte del contratto*,esplicito o implicito, fra il Destinante eil Destinatario-soggetto), in opposizio-ne alla sua forma positiva che è la ri-compensa*. A seconda che la sanzionepragmatica negativa sia esercitata da unDestinante sociale o individuale, si po-tranno distinguere i due modi di puni-zione giustizia* e vendetta*.

→ Retribuzione, Sanzione

Punto di vistaPoint de vue, Point of View, Punto de vista

Si designa generalmente con l’espres-sione punto di vista un insieme di pro-

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Punto di vista

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cedimenti utilizzati dall’enunciatore*per fare variare la messa a fuoco, cioèper diversificare la lettura che l’enun-ciatario farà del racconto preso nel suoinsieme o di certe sue parti. Questa no-zione è intuitiva e troppo complessa:sforzi teorici successivi hanno tentatodi ricavarne alcune articolazioni defini-bili, come la messa in prospettiva e lafocalizzazione. Una migliore conoscen-za della dimensione cognitiva* dei di-scorsi narrativi ha anche condotto aprevedere l’installazione all’interno deldiscorso, del soggetto cognitivo dettoosservatore.

→ Prospettiva, Focalizzazione,Osservatore

Puntualità, n.f. Ponctualité, Punctuality, Puntualidad

1. La puntualità è il sema* aspettualeche si oppone, paradigmaticamente, aquello di duratività*; caratterizza il pro-cesso* tramite l’assenza* di durata.Puntualità/duratività costituiscono cosìuna categoria* aspettuale. 2. Dal punto di vista sintagmatico, lapuntualità può marcare sia l’inizio delprocesso (è detta allora incoatività*), sia lasua fine (sarà detta allora terminatività*).Con la duratività, essa costituisce una con-figurazione* aspettuale. L’assenza di du-rata in un processo neutralizza l’opposi-zione fra l’incoativo e il terminativo.

→ Aspettualizzazione, Duratività

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QQuadrato semioticoCarré sémiotique, Semiotic Square,Cuadro/Cuadrado semiótico

1. Si intende per quadrato semioticola rappresentazione* visiva dell’artico-lazione logica di una categoria* seman-tica qualunque. La struttura* elemen-tare della significazione, quando è defi-nita – in un primo tempo – come unarelazione* tra almeno due termini*, sibasa solo su una distinzione d’opposi-zione* che caratterizza l’asse paradig-matico del linguaggio: essa è, di conse-guenza, sufficiente per costituire unparadigma* composto da n termini, manon permette di distinguere, all’internodi questo paradigma, categorie seman-tiche fondate sull’isotopia* (la “paren-tela”) dei tratti distintivi* che possonoesservi riconosciuti. È necessaria unatipologia delle relazioni, grazie allaquale si potranno distinguere i tratti in-trinseci, costitutivi della categoria, daquelli che le sono estranei. 2. La tradizione linguistica del periodotra le due guerre ha imposto la conce-zione binaria* della categoria. Rari era-no i linguisti, come V. Brøndal peresempio, che sostenevano – in seguito aricerche comparative sulle categoriemorfologiche – l’esistenza di strutturemultipolari, che comportano fino a seitermini collegati tra loro. R. Jakobson,uno dei difensori del binarismo, è statoanch’egli portato a riconoscere l’esi-stenza di due tipi di relazioni binarie, leune del tipo A/A, caratterizzate dal-l’opposizione risultante dalla presen-za* e dall’assenza di un tratto definito,le altre, del tipo A/non-A, che manife-stano in qualche modo lo stesso tratto,due volte presente sotto due forme dif-

ferenti. È a partire da questa acquisi-zione, risultato del fare linguistico, chesi è potuto stabilire una tipologia dellerelazioni intercategoriali. 3. La prima generazione dei terminicategoriali. È sufficiente partire dal-l’opposizione A/non-A e, pur conside-rando che la natura logica di questa re-lazione resta indeterminata, denomi-narla asse semantico, per accorgersiche ciascuno dei due termini di questoasse è suscettibile di contrarre separa-tamente una nuova relazione di tipoA/A

–. La rappresentazione di questo in-

sieme di relazioni prenderà allora laforma di un quadrato:

A non-A

non-A A–

Restano allora da identificare, una auna, queste diverse relazioni. – a) La prima – A/A

–– definita dall’im-

possibilità che hanno due termini di es-sere presenti insieme, sarà denominatarelazione di contraddizione*: è la suadefinizione statica. Dal punto di vistadinamico, si può dire che è l’operazio-ne di negazione*, effettuata sul termineA (o non-A), che genera il suo contrad-dittorio A

–(o non-A). Così, a partire da

due termini primitivi, è possibile gene-rare due nuovi termini contraddittori(termini di prima generazione). – b) La seconda operazione è quella diasserzione*: effettuata sui termini con-traddittori (A

–, non-A), essa può presen-

tarsi come un’implicazione* e far appa-rire i due termini primitivi co-me di presupposti dei termini asseriti (A

⊃ non-A; non-A ⊃ A). Se, e soltanto se,questa doppia asserzione ha per effetto

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Quadrato semiotico

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di produrre queste due implicazioni pa-rallele, si è in diritto di dire che i due ter-mini primitivi presupposti sono i terminidi una sola e medesima categoria e chel’asse semantico scelto è costitutivo diuna categoria semantica. Al contrario, seA–

non implica non-A e se non-A non im-plica A, i termini primitivi – A e non-A –,con i loro contraddittori, appartengono adue categorie semantiche differenti. Nelprimo caso, si dirà che l’operazione d’im-plicazione stabilita tra i termini (A

–e non-

A) e (non-A e A) è una relazione di com-plementarità*. – c) I due termini primitivi sono ambeduetermini presupposti; caratterizzati inoltredal fatto di essere potenzialmente presen-ti in maniera concomitante (o, in terminilogici, di essere veri o falsi insieme: crite-rio di difficile applicazione in semiotica),si dice contraggano una relazione di pre-supposizione* reciproca o, il che è lostesso, una relazione di contrarietà*. È ora possibile dare una rappresenta-zione definitiva di ciò che chiamiamo ilquadrato semiotico:

S1 S2

↑ ↑S2

—S1

dove: : relazione di con-traddizione.

: relazione di con-trarietà.

: relazione di com-plementarità.

S1-S2 : asse dei contrari.

S2

—-S1

—: asse dei subcontrari.

S1-S1

—: schema positivo.

S2-S2

—: schema negativo.

S1-S2

—: deissi positiva.

S2-S1

—: deissi negativa.

Un ultimo punto resta tuttavia da chia-rire, quello dell’esistenza delle catego-rie semantiche binarie stricto sensu (la

cui relazione costitutiva non è la contra-rietà, ma la contraddizione), come, peresempio, asserzione/negazione. Nienteimpedisce una rappresentazione in qua-drato di queste due categorie:

asserzione negazione↑ ↑

negazione asserzione

È evidente che la negazione della nega-zione equivale all’asserzione. Genera-lizzando, si può dunque dire che unacategoria semantica può essere chiama-ta contraddittoria quando la negazionedei suoi termini primitivi produce im-plicazioni tautologiche. Una tale defini-zione, di ordine tassonomico*, soddisfala logica tradizionale, che può opera-re sostituzioni* nei due sensi (nonorientati) rimpiazzando asserzione connegazione, o inversamente. In linguisti-ca, le cose vanno altrimenti: il discorsoconserva infatti le tracce di operazionisintattiche effettuate anteriormente:

«oui» (fr.) «non» (fr.) ↑

«sì» (it.)

Il termine sì è, certamente, l’equivalen-te di «oui», ma comporta nello stessotempo, sotto forma di presupposizioneimplicita, un’operazione di negazioneanteriore. È quindi preferibile, nelledescrizioni semiotiche, utilizzare – an-che per le categorie contraddittorie – larappresentazione canonica in quadrato. 4. La seconda generazione dei terminicategoriali. Si è visto come due opera-zioni parallele di negazione, effettuatesui termini primitivi, hanno permessodi generare due termini contraddittorie come, successivamente, due implica-zioni hanno stabilito delle relazioni dicomplementarità, determinando, nellostesso tempo, la relazione di contrarietàriscontrabile tra i due termini primitivi(non ci attardiamo a rifare, partendodal reticolo così costituito, le stesse

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Quadrato semiotico

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operazioni che, attraverso la negazionedei subcontrari, instaurano la loro pre-supposizione reciproca.) È importantericavare adesso le prime conseguenzedel modello* relazionale così costruito. – a) È chiaro che i quattro termini dellacategoria non sono definiti in manierasostanziale, bensì unicamente comepunti d’intersezione, come supporti direlazioni: e ciò soddisfa il principiostrutturale enunciato da F. de Saussuresecondo il quale «nella lingua, non cisono che differenze». – b) Si noterà anche che a partire dallaproiezione dei contraddittori, quattronuove relazioni vengono riconosciuteall’interno del quadrato: due relazionidi contrarietà (l’asse dei contrari e deisubcontrari) e due relazioni di comple-mentarità (le deissi positiva e negativa). – c) Dato che ogni sistema semiotico èuna gerarchia*, è accertato che le rela-zioni contratte tra i termini possono ser-vire, a loro volta, da termini che stabili-scono tra di loro relazioni gerarchica-mente superiori (funzioni* che giocanoil ruolo di funtivi, secondo la terminolo-gia di L. Hjelmslev). Si dirà, in questocaso, che due relazioni di contrarietàcontraggono tra loro la relazione di con-traddizione e che due relazioni di com-plementarità stabiliscono tra loro la re-lazione di contrarietà. L’esempio se-guente illustra questa constatazione:

verità

S1 S2

essere apparire

S2

–S1

non-apparire non-essere

falsità

Si potrà così riconoscere che verità e fal-sità sono metatermini contraddittori,mentre segreto e menzogna sono meta-

termini contrari. I metatermini e le cate-gorie che essi costituiscono saranno con-siderati termini e categorie di secondagenerazione. 5. La terza generazione dei termini ca-tegoriali. Il problema che resta in so-speso è quello della terza generazionedei termini. In effetti, le ricerche com-parative di Brøndal hanno fatto emer-gere l’esistenza, all’interno del reticoloche articola le categorie grammaticali,dei termini complesso e neutro risul-tanti dal costituirsi della relazione “e...e” tra termini contrari: il termine com-plesso sarà l’unione dei termini dell’as-se dei contrari (S1 + S2), mentre il ter-mine neutro risulterà dalla combinazio-ne dei termini dell’asse dei subcontrari (S1

–+ S2

–). Alcune lingue naturali saranno

in grado di produrre dei termini com-plessi positivi e dei termini complessinegativi, a seconda della predominanzadell’uno o dell’altro dei due termini cheentrano in composizione. Differenti soluzioni sono state proposteper render conto della formazione diquesti termini. Poco desiderosi di ag-giungere un’ipotesi in più – in attesa didescrizioni più precise e più numerose–, consideriamo il problema aperto. Ciònonostante, l’importanza del problemanon può sfuggire: si sa che i discorsi sa-cri, mitici*, poetici* ecc. manifestanouna predilezione particolare per l’utiliz-zazione dei termini categoriali comples-si. La soluzione è difficile, poiché impli-ca il riconoscimento dei percorsi sintag-matici, molto complessi e probabilmen-te contraddittori, che fanno capo a que-sto genere di formazioni. 6. Il quadrato semiotico può essereutilmente confrontato con l’esagono diR. Blanché, con i gruppi di Klein e diPiaget. Esso rileva tuttavia della proble-matica epistemologica relativa alle con-dizioni dell’esistenza e della produzio-ne della significazione, e, insieme, delfare metodologico applicato agli ogget-ti linguistici concreti; si distingue, per-ciò, dalle costruzioni logiche o matema-

segr

eto

menzogna⎫

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⎫⎬⎭

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⎫⎬⎭

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Qualificante

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tiche, indipendenti, in quanto formula-zioni di “sintassi pura”, dalla compo-nente semantica. Ogni identificazioneaffrettata dei modelli semiotici e logico-matematici in queste condizioni nonpuò che essere pericolosa.

→ Struttura

Qualificante (prova –), agg. Qualifiante (épreuve –), Qualifying (Te-st), Calificante (prueba –)

Figura discorsiva collegata allo schemanarrativo, la prova qualificante – situa-ta sulla dimensione pragmatica* – cor-risponde all’acquisizione* della compe-tenza (o, più precisamente, delle moda-lità* attualizzanti del saper-fare e/o delpoter/fare): essa è logicamente presup-posta dalla prova decisiva*. Dal puntodi vista della sintassi* narrativa di su-perficie, la prova qualificante può esse-re considerata come un programma*narrativo d’uso, in rapporto al pro-gramma narrativo di base (che corri-sponde alla performanza*).

→ Prova, Competenza, Narrativo(schema –)

Qualificazione, n.f. Qualification, Qualification,Calificación

1. In una prima fase della ricerca, ave-vamo proposto di distinguere due tipi

di predicati*: le qualificazioni, corri-spondenti agli stati* e alle determina-zioni degli attanti*, e le funzioni* intesecome processi*. Questa opposizioneera fondata sulla categoria* statico/di-namico. In questa prospettiva, l’analisiprocedeva in due direzioni e permette-va di sviluppare, parallelamente e inmaniera complementare, un modello*qualificativo (di tipo tassonomico*) eun modello funzionale (di caratterenarrativo) eventualmente convertibilil’uno nell’altro. 2. Tuttavia, gli elementi qualificativicosì riconosciuti si presentavano comeenunciati* a un solo attante (a differen-za degli enunciati funzionali che stabili-vano una relazione fra attanti), contrad-dicendo così il postulato generale se-condo cui ogni relazione* non può esi-stere che fra almeno due termini*. Unriesame, divenuto necessario, del con-cetto di enunciato elementare, ci hapermesso di assimilare gli enunciatiqualificativi agli enunciati di stato (spe-cificati dalla giunzione* del soggetto* edell’oggetto*); la qualificazione vieneallora considerata come il valore* inve-stito nell’attante-oggetto. 3. Nel quadro dello schema narrativo*,la qualificazione è la conseguenza* del-la prova qualificante* e si identifica conl’acquisizione della competenza* mo-dale (o, più esattamente, con le moda-lità* attualizzanti* che sono il saper-fa-re e/o il poter-fare).

→ Funzione, Enunciato, Prova

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RRacconto, n.m. Récit, Narrative, Relato

1. Vocabolo del linguaggio corrente, iltermine racconto è spesso utilizzatoper designare il discorso narrativo dicarattere figurativo* (che comportapersonaggi* che compiono azioni*).Siccome si tratta, in questo caso, delloschema narrativo* (o di uno qualsiasidei suoi segmenti) già messo in discor-so e perciò inscritto nelle coordinatespazio-temporali, alcuni semiologi de-finiscono il racconto – seguendo V.Propp – come una successione tempo-rale di funzioni* (nel senso di azioni).Concepita così in modo molto restritti-vo (come figurativa e temporale), lanarratività* concerne solo una classe didiscorsi. 2. Di fronte alla diversità delle formenarrative, ci si è interrogati sulla possi-bilità di definire il racconto semplice.Al limite, questo si riduce a una frasecome “Adamo ha mangiato una mela”,analizzabile come il passaggio da unostato* anteriore (precedente l’assorbi-mento) a uno stato ulteriore (che seguel’assorbimento), operato con l’aiuto diun fare (o di un processo*). In questaprospettiva, il racconto semplice si av-vicina al concetto di programma narra-tivo. 3. A livello delle strutture* discorsive,il termine racconto designa l’unità di-scorsiva, situata sulla dimensione prag-matica* di carattere figurativo, ottenu-ta con la procedura di débrayage*enunciativo.

→ Figurativizzazione, Narratività,Programma narrativo, Unità

(discorsiva), Diegesi

Raggiro, n.m. Tromperie, Deceipt, Engaño

A differenza del nascondimento* chemira a spostare il destinatario* dallaposizione cognitiva* del vero* a quelladel segreto*, il raggiro tende a condur-lo dal vero alla menzogna*: corrispon-de dunque alla configurazione* discor-siva della prova ingannatoria.

→ Inganno

Rappresentatività, n.f. Représentativité, Representativity,Representatividad

La rappresentatività, come criterio discelta di un corpus, permette all’anali-sta di soddisfare al meglio il principiodi adeguazione, senza doversi sotto-mettere all’esigenza di esaustività*. Larappresentatività si ottiene sia per cam-pionatura statistica, sia per saturazionedel modello*.

→ Corpus

Rappresentazione, n.f. Représentation, Representation,Representación

1. La rappresentazione è un concettodella filosofia classica che, utilizzato insemiotica, insinua – in modo più o me-no esplicito – che il linguaggio* avreb-be per funzione di stare al posto diqualcosa d’altro, di rappresentare una“realtà” altra. Sta qui, evidentemente,l’origine della concezione della linguain quanto denotazione*: i vocaboli

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Reale

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quindi non sono altro che segni, rap-presentazioni delle cose del mondo*.La funzione* denotativa o referenziale*del linguaggio non è, nella terminologiadi R. Jakobson, che un rivestimento piùmoderno della funzione di rappresen-tazione di K. Bühler. 2. Le teorie linguistiche e, più in genera-le, semiotiche, utilizzano il termine rap-presentazione dandogli un senso tecnicopiù preciso. Così, per rappresentazionesemantica o logico-semantica si inten-derà la costruzione di un linguaggio didescrizione* di una semiotica oggetto,costruzione che consiste, grosso modo,nell’unire investimenti* semantici a con-cetti interdefiniti e controllati dalla teo-ria* (o nell’interpretare* i simboli* di unlinguaggio formale*). L’istanza che devericevere una rappresentazione logico-se-mantica – strutture profonde* o struttu-re di superficie*, per esempio – dipendedal modo in cui ogni teoria concepisce ilpercorso generativo* globale. 3. Ci si avvede però che uno stesso li-vello metalinguistico* è suscettibile diessere rappresentato in diverse maniere(albero*, matrice*, parentesizzazione*,regole* di riscrittura ecc.) e che questidiversi sistemi di rappresentazione so-no omologabili, traducibili gli uni neglialtri: converrà allora mantenere una di-stinzione fra il metalinguaggio e le suedifferenti rappresentazioni possibili.

→ Referente, Metalinguaggio

Reale , n.m.Réel, Real, Real

Si tratta di assegnare uno status semio-tico a ciò che, all’interno dei linguaggi edei discorsi-oggetto da descrivere, sipresenta come livello di riferimento“vero” o “reale”. Il termine concernedunque, da una parte, la problematicadella veridizione*, cui si ricollega in ge-nere la produzione degli “effetti direaltà” (R. Barthes), che li si analizzi in

termini di referenzializzazione* internaal discorso o che essi facciano appelload altre produzioni discorsive. Riguar-da, dall’altra parte e più estesamente, laproblematica dell’intersemioticità*, laquale, situata com’è sul crinale tra se-miotiche del mondo naturale e semioti-che delle lingue naturali, porta a conce-pire il “reale” come un livello di realtàgià semiotizzato nel quadro delle se-miotiche del mondo* naturale. Sarebbecioè, volendo, un “linguaggio delle co-se” anteriore a ogni discorso. (E.L.)

Realizzazione, n.f. Réalisation, Realization, Realización

Dal punto di vista dei modi di esisten-za*, la semiotica è stata condotta a so-stituire alla categoria* virtuale/attualel’articolazione ternaria virtuale/attua-le/realizzato, in modo da poter megliorender conto dell’organizzazione narra-tiva. Prima della loro giunzione*, sog-getti e oggetti sono in posizione virtua-le*. Con la funzione* giuntiva – e nelquadro degli enunciati di stato* – s’in-staurano due tipi di relazioni: o c’è di-sgiunzione* fra soggetti e oggetti, e inquesto caso si dirà che questi sono at-tualizzati; oppure c’è congiunzione*,ed essi si trovano realizzati. Si intenderàdunque per realizzazione la trasforma-zione* che, a partire da una disgiunzio-ne precedente, stabilisce la congiunzio-ne fra il soggetto e l’oggetto. A secondache, a livello attoriale, il soggetto del fa-re sia diverso o no dal beneficiario, siavrà sia una realizzazione transitiva* (fi-gurativizzata dall’attribuzione*), siauna realizzazione riflessiva* (l’appro-priazione*). Si chiamerà valore realiz-zato il valore investito nell’oggetto almomento (cioè nella posizione* sintat-tica) in cui esso è in congiunzione con ilsoggetto.

→ Esistenza semiotica, Attualizzazione,Valore, Narrativo (schema –)

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Referente

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Reciproca (presupposizione –), agg. Réciproque (présupposition –),Reciprocal (Presupposition),Reciproca (presuposición –)

La presupposizione è detta reciprocaquando la presenza* di ciascuno deidue termini* è necessaria a quella del-l’altro. Nella terminologia di L. Hjelm-slev, essa è denominata solidarietà*.

→ Presupposizione

Referente, n.m. Référent, Referent, Referente

1. Tradizionalmente, per referente siintendono gli oggetti del mondo “rea-le” che designano i vocaboli delle lin-gue* naturali. Il termine oggetto si èmostrato notoriamente insufficiente: co-sì il referente è chiamato a ricoprire an-che le qualità, le azioni, gli avvenimentireali. Del resto, visto che il mondo “rea-le” pare ancora troppo stretto, il refe-rente deve inglobare anche il mondo“immaginario”. La corrispondenza ter-mine a termine fra l’universo linguisticoe l’universo referenziale, che è così me-tafisicamente presupposta, resta nondi-meno incompleta: da una parte, alcunecategorie* grammaticali – e, soprattut-to, le relazioni* logiche – non hanno unreferente accettabile; dall’altra, certideittici* (pronomi personali, per esem-pio) non hanno un referente fisso, e rin-viano ogni volta a oggetti differenti.Con ciò si torna a dire che a partire dapresupposti positivisti, considerati co-me evidenze, è impossibile elaborareuna teoria soddisfacente del referente,in grado di render conto dell’insiemedei fenomeni considerati. 2. È nel quadro di una simile concezio-ne tuttavia che si inscrivono due tenta-tivi che hanno cercato di integrare il re-ferente, il primo nella teoria saussuria-na del segno*, il secondo nella teoriadella comunicazione*.

– a) Ogden e Richards propongono unmodello triangolare, teso a render con-to della struttura del segno: il simbolo*(o del significante*) è legato al referen-te non direttamente, ma per l’interme-diario della referenza (o del significa-to*). In questa interpretazione, la refe-renza anziché essere concepita comeuna relazione*, è reificata e si trasformain un concetto – essere ibrido, né lin-guistico né referenziale – la cui espan-sione copre una classe di referenti. – b) Da parte sua, R. Jakobson, analiz-zando la struttura della comunicazione,vi introduce il referente identificandolocon il contesto*: questo, necessario perl’esplicitazione del messaggio e perce-pibile da parte del destinatario*, è ver-bale* o suscettibile di verbalizzazione(cioè può essere linguisticamente espli-citato*). Jakobson riconosce allora l’e-sistenza di una funzione* referenziale(che riprende il concetto di rappresen-tazione di K. Bühler) del linguaggio:l’enunciato-discorso, una volta debraia-to* (messo in terza persona), serve a de-scrivere il mondo, cioè il referente. 3. Il contesto linguistico – verbale overbalizzabile – diventa così il luogo direferenza del testo, e gli elementi parti-colari di questo contesto sono alloradetti referenti: impiegato in questo sen-so, il termine referente è quindi sinoni-mo d’anaforico*. È qui e in questo mo-do che si instaura la problematica dellareferenza*, che mira a descrivere la retedi referenze* non solo all’interno del-l’enunciato*, ma anche fra questo e l’i-stanza dell’enunciazione*. 4. Per stabilire un compromesso fral’autonomia del linguaggio, proclamatada F. de Saussurre, e l’evidenza delmondo “reale”, cara ai positivisti, ci sipropone talvolta di definire il referentecome costituito «di cose in quanto og-getti nominati o significati dai vocabo-li» (J. Lyons), cioè non di cose “in sé”,ma di cose nominate o nominabili. Taleatteggiamento non è esente da contrad-dizioni: perché, se si ammette il princi-

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Referente

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pio di categorizzazione* del mondooperato dal linguaggio (cfr. E. Benveni-ste e, soprattutto, Sapir-Whorf), cioè ilfatto che le lingue naturali informano ilmondo e lo costituiscono in “oggetti”distinti, come ci si può allora, per defi-nire i segni di cui sono costituite questelingue, riferire a questo mondo che è inparte il risultato dell’attività linguistica? 5. Ci sembra possibile un’altra soluzio-ne: essa consiste nel dire che il mondoextra-linguistico, quello del “senso co-mune”, è informato dall’uomo e istitui-to da lui in quanto significazione*, eche tale mondo, lungi dall’essere il refe-rente (cioè il significato denotativo*delle lingue naturali), è, al contrario,anch’esso un linguaggio* biplanare*,una semiotica naturale* (o semioticadel mondo* naturale). Il problema delreferente allora è solo una questione dicorrelazione fra due semiotiche (linguenaturali e semiotiche naturali, semioti-ca pittorica e semiotica naturale, peresempio), un problema d’intersemioti-cità (cfr. l’intertestualità*). Concepitocome semiotica naturale, il referenteperde allora la sua ragione d’essere inquanto concetto linguistico. 6. Una tale presa di posizione permettedi situare la questione del referente deidiscorsi letterari, che si cerca spesso didefinire, con l’assenza di referente o conla corrispondenza con un referente fitti-zio o immaginario; la finzione sarebbe ca-ratteristica specifica di questo genere ditesti. Da una parte, l’impossibilità di defi-nire il discorso “reale” (i cui segni corri-sponderebbero agli oggetti del mondo)esclude la definizione del discorso fittizio:questi due tipi di discorsi possono esserecaratterizzati solo dalla veridizione*, cheè una proprietà intrinseca del dire e deldetto. Dall’altra, ogni discorso (non sololetterario, ma anche, per esempio, il di-scorso giuridico o scientifico) si costrui-sce il proprio referente interno e si asse-gna così un livello* discorsivo referenzia-le che serve da supporto allo spiegamen-to degli altri livelli discorsivi.

7. Il problema che si pone, quando sivuole affrontare il discorso dal punto divista generativo, non è dunque quellodel referente dato a priori, ma della re-ferenzializzazione dell’enunciato, cheimplica l’esame delle procedure con cuisi costituisce l’illusione referenziale –l’effetto di senso “realtà” o “verità” –proposta da R. Barthes. Fra queste pro-cedure, il cui studio globale non è anco-ra stato intrapreso, si può notare, peresempio, l’ancoraggio* spazio-tempo-rale (l’impiego di toponimi* e/o di cro-nonimi* che danno l’illusione della “re-altà”) o il débrayage* interno (che refe-renzializza il segmento discorsivo a par-tire dal quale si effettua il débrayage:cfr. il passaggio dal dialogo* al raccon-to*, o viceversa).

→ Lingua, Mondo naturale, Contesto,Iconicità, Débrayage, Embrayage,

Veridizione

Referenza, n.f. Référence, Reference, Referencia

1. In senso generale, la referenza desi-gna la relazione orientata, di solito nondeterminata, che si stabilisce (o che siriconosce) fra due grandezze* qualsiasi. 2. Tradizionalmente, il termine refe-renza denomina la relazione che va dauna grandezza semiotica verso un’altranon semiotica (= il referente), che ap-partiene, per esempio, al contesto* ex-tra-linguistico. In questa prospettiva, lareferenza, che unisce il segno* della lin-gua naturale al suo “referente” (oggettodel “mondo”), è detta arbitraria* nelquadro della teoria saussuriana, e moti-vata* (per somiglianza, contiguità ecc.)nella concezione di Ch.S. Peirce. Se sidefinisce il mondo del senso comunecome una semiotica naturale*, la refe-renza prende la forma di una correla-zione* fra elementi, preventivamentedefiniti, di due semiotiche. 3. Nel quadro della sola semiotica lin-

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Regola

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guistica, le referenze si stabiliscono tantoall’interno dell’enunciato* (in particola-re grazie alle procedure di anaforizzazio-ne*) che fra l’enunciato e l’enunciazio-ne* (i deittici*, per esempio, non rinvia-no a elementi fissi del mondo naturale,non hanno senso che in rapporto allecircostanze dell’enunciazione). Quandola referenza si instaura fra discorsi diver-si, allora si parla di intertestualità*. 4. La nozione di livello referenzialeemerge nell’ambito dell’analisi dei di-scorsi cognitivi. Designa il livello deglienunciati a cui fa riferimento il discorsoper autorizzare o confermare, ovveroper sanzionare, le performanze cogniti-ve (la ricerca del sapere, che rappresen-ta il livello cognitivo del discorso cogni-tivo) e il risultato proposto (l’oggettodel sapere, che rappresenta il livello og-gettivo del discorso cognitivo). Laconformità tra gli enunciati del livellooggettivo e gli enunciati del livello refe-renziale garantisce la loro accettabilità ela loro credibilità agli occhi del riceven-te. La messa in opera del livello referen-ziale fa parte della funzione persuasiva*del discorso cognitivo. (L.P.)

→ Referente, Mondo naturale

Registro, n.m. Registre, Register, Registro

Per scrupolo di chiarificazione e per evi-tare un’ulteriore confusione nel concettodi livello, si riserverà il termine registro(che, nel XVIII secolo, corrispondeva,nella tipologia dei discorsi, allo stile*) perdenominare ciò che i sociolinguisti chia-mano generalmente livello di lingua, cioèle realizzazioni di una lingua* naturaleche variano in funzione delle classi socia-li. La questione dei registri non è diretta-mente legata alla lingua in quanto siste-ma semiotico: rinvia piuttosto al proble-ma delle connotazioni* sociali.

→ Livello, Sociosemiotica

Regola, n.f. Règle, Rule, Regla

1. La regola è l’espressione metalingui-stica* di una struttura modale deontica*(in quanto far-dover-fare) che presupponeun soggetto qualsiasi (o neutro) che dàistruzioni a un altro soggetto (umano omacchina) perché questo esegua alcuneoperazioni cognitive consistenti in generenel passaggio da uno stato a un altro. 2. Sia, per esempio, il caso del fare tas-sonomico* che opera la segmentazio-ne* di un’unità sintagmatica, come lafrase, nei suoi costituenti* immediati. Irisultati di questo fare possono riceve-re, a livello metalinguistico, una doppiarappresentazione*: – a) possono essere considerati comeuno stato* che è il risultato dell’anali-si*, ed essere rappresentati come unadescrizione* strutturale di tipo tassono-mico (P=SN+SV); – b) ma il metalinguaggio impiegatopuò anche tendere a costruire il simula-cro di questo fare tassonomico rappre-sentandolo come un processo di deriva-zione*: in questo caso, la rappresenta-zione avrà, per esempio, la forma di unaregola di riscrittura* (P→ SN+SV). Al-la relazione di inclusione, simbolizzatada (=), corrisponde l’operazione di di-cotomizzazione col suo simbolo (→). I due modi di rappresentazione sonodunque comparabili: corrispondono al-le due accezioni del vocabolo “descri-zione”, che designa ora il fare descritti-vo, ora il suo risultato. 3. La formulazione della regola sotten-de implicitamente una struttura* attan-ziale della manipolazione*, che compor-ta due soggetti (legati fra loro da un rap-porto del tipo “maestro”/“allievo”). Ilproblema epistemologico è sapere qualicondizioni di scientificità* devono esse-re soddisfatte perché i due soggetti diquesta struttura modale possano essereelevati a concetti, cioè installati come at-tanti* astratti e competenti insieme. Ilprimo – il soggetto scientifico – si sup-

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Reificazione

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pone rappresenti un saper*-fare certo,ed è lì che ritroviamo la problematicariassunta da L. Hjelmslev sotto il nomedi principio di empirismo*; il secondodev’essere un soggetto qualsiasi (uomo omacchina) capace di eseguire corretta-mente e di ripetere all’infinito le istruzio-ni ricevute: è il caso dell’automa*. 4. Il fare tassonomico, rappresentatosotto forma di regole, è dominato dalfare programmatico che lo organizzasintagmaticamente in successioni ordi-nate di regole dette algoritmi*.

→ Norma

Reificazione, n.f. Réification, Reification, Reificación

La reificazione è una procedura narrati-va che consiste nel trasformare un sog-getto umano in oggetto, inscrivendolonella posizione sintattica d’oggetto* al-l’interno del programma* narrativo diun altro soggetto. Questo programmapuò essere solamente in stato di attua-lizzazione* (cfr. la problematica della“donna-oggetto”) o completamente rea-lizzato* (cfr. la cattura dei due amicinella novella di Maupassant). In que-st’ultimo caso si priva il soggetto, diven-tato oggetto, del suo fare e lo si trasfor-ma da agente in paziente (sull’una o l’al-tra delle dimensioni pragmatiche* e co-gnitive*, o su entrambe in una volta).

→ Personificazione

Relazione, n.f. Relation, Relation, Relación

1. Si può concepire la relazione comeun’attività cognitiva che stabilisce, inmaniera concomitante, sia l’identità* sial’alterità* di due o più grandezze* (o og-getti di sapere) – oppure come il risulta-to di tale atto. Una simile accezione tut-tavia è solo un’interdefinizione che arti-

cola fra loro degli universali (primiti-vi/universali*) semiotici, poiché i termi-ni di identità e di alterità reclamano, perdefinizione, la presenza del concettonon definibile di relazione. Quest’ulti-mo non è meno fondamentale per lateoria semiotica: è lo stabilirsi (la produ-zione* e/o il riconoscimento*) delle re-lazioni e delle reti relazionali che fondagli oggetti o gli universi semiotici. L’or-ganizzazione e la costruzione di tali og-getti o di tali universi dipenderà alloradalla tipologia* delle relazioni che lateoria semiotica si sceglierà e porrà co-me preliminare alla sua pratica. 2. Così, i due assi* fondamentali dellinguaggio – l’asse paradigmatico* el’asse sintagmatico* – sono definiti daltipo di relazione che li caratterizza: larelazione “o ... o” (chiamata opposizio-ne* o correlazione* da L. Hjelmslev, oselezione* da R. Jakobson) per il para-digmatico; e la relazione “e ... e” (dettacombinazione*, o relazione in sensostretto da Hjelmslev, o contrasto* da A.Martinet) per il sintagmatico. 3. Un’altra tipologia delle relazioni co-stitutive della categoria* semantica (con-siderata come unità semiotica minima)si sovrappone alla precedente: sono lerelazioni di contrarietà*, di contraddi-zione* e di complementarità*, che, rap-presentate sul quadrato semiotico, per-mettono di fondare una sintassi* e unasemantica* fondamentali. Esse sonopresenti sui due assi del linguaggio: co-me, per esempio, nell’antifrasi*, figurasintagmatica della stessa natura, i cuidue termini, anziché escludersi, sonopresenti l’uno accanto all’altro.

→ Struttura, Quadrato semiotico,Sintassi fondamentale

Restrizione, n.f. Restriction, Restriction, Restricción

A differenza della generalizzazione*, larestrizione consiste nel limitare la por-

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Retribuzione

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tata o l’estensione d’una regola, d’unaprocedura ecc., per un certo numero dicondizioni particolari d’impiego; que-sto termine è da accostare a quello, piùlargo, di costrizione.

→ Costrizione

Retorica, n.f. Rhétorique, Rhetoric, Retórica

Legata alla tradizione greco-romana(Aristotele, Quintiliano), consacratadalla sua integrazione, accanto allagrammatica e alla dialettica, nel triviummedievale, e ripresa nell’insegnamentoufficiale fino al XIX secolo, la retoricasi presenta come una sorta di teoriaprescientifica del discorso, marcata dalcontesto culturale all’interno del qualesi è sviluppata. L’attuale ritorno alla re-torica si spiega con il riapparire, sottol’impulso della semiotica, della proble-matica del discorso*. Benché non pos-sano, per evidenti ragioni, essere inte-grati tali e quali nella semiotica discor-siva, alcuni campi teorici dell’antica re-torica corrispondono alle preoccupa-zioni attuali e meritano di essere esplo-rati. 1. La presa in considerazione del discor-so come un tutto, il riconoscimento delle“parti del discorso” e della sua organiz-zazione sintagmatica (“dispositio”), cor-rispondono alle nostre preoccupazioni disegmentazione* e di definizione diunità* discorsive (più larghe della fra-se*). Tuttavia, in quanto definita dall’ori-gine come un’“arte del ben parlare”, co-me un’“arte di persuadere”, la retoricaappartiene solo a una classe di discorsi, idiscorsi persuasivi*. Del resto, poiché siè data il compito di elaborare “regoledell’arte”, essa comporta un pronunciatocarattere normativo* (cfr. la grammaticanormativa, che è parallela). 2. Una parte della retorica, detta “in-ventio”, trascurata fino a oggi, merite-rebbe uno studio approfondito. Di-

sprezzata in quanto raccolta di “luoghicomuni”, potrebbe essere riesaminatacome un deposito “in lingua” dei prin-cipali temi* discorsivi e delle configura-zioni* discorsive più generali, cioè co-me una “topica”, come una tassonomiasemantica fondamentale. 3. Quanto all’“elocutio”, essa è il luogodi una tassonomia possibile delle figu-re* retoriche, non tanto nella dimensio-ne del discorso, ma della frase o del vo-cabolo. È questa parte che si cerca at-tualmente di ringiovanire integrandolain primo luogo come componente stili-stica* nella semiotica discorsiva e te-stuale. Malgrado l’interesse dell’impre-sa, i rischi sono evidenti: risultato d’ac-cumulazioni secolari, l’inventario dellefigure non può pretendere la condizio-ne di una tassonomia coerente e solouna rivalutazione completa fondata sul-la linguistica permetterà la sua integra-zione nella teoria del discorso. Una disa-mina del genere è stata compiuta dalGruppo μ di Liegi, che, basandosi sullalinguistica di L. Hjelmslev, ha tentato dicostituire una nuova retorica generale.

→ Figura, Discorso

Retribuzione, n.f. Rétribution, Retribution, Retribución

La retribuzione è una figura* discorsi-va che, situata sulla dimensione prag-matica*, fa parte – a titolo di compo-nente – della struttura contrattuale checaratterizza lo schema narrativo*: è lacontropartita data dal Destinante alDestinatario-soggetto, una volta chequesto ha realizzato la performanza*stipulata (esplicitamente o implicita-mente) nel quadro del contratto* ini-ziale. Se è positiva, si parlerà di ricom-pensa*, se è negativa, di punizione*:nell’uno e nell’altro caso, si tratta di ri-stabilire l’equilibrio* narrativo.

→ Sanzione

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Retrolettura

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Retrolettura, n.f. Rétrolecture, Back-reading, Retrolectura

Se, nel corso dell’analisi sintagmatica, cheopera sequenza* dopo sequenza, alcunielementi sono provvisoriamente messi fraparentesi perché non sembrano trovareimmediatamente il loro posto all’internodell’organizzazione del discorso esamina-to, la retrolettura, effettuata in funzionedella fine, e grazie in particolare ai connet-tori di isotopie susseguenti, può permette-re di prendere in considerazione – conuno sguardo ai risultati già ottenuti – glielementi momentaneamente trascurati.Questo “tornare indietro” va riconosciutodunque come una delle forme possibilidella lettura (intesa, in senso semiotico,come la costruzione sintattica e semantica,insieme, dell’enunciato-discorso).

→ Connettore di isotopie, Lettura

Ricerca, n.f. Quête, Quest, Búsqueda

Termine figurativo* che designa insie-me la tensione fra il soggetto* e l’ogget-to di valore ambito, e lo spostamentodel primo verso il secondo, la ricerca èuna rappresentazione spaziale, sottoforma di “movimento” e con aspettodurativo*, dell’attualizzazione (corri-spondente a una relazione di disgiun-zione* fra soggetto e oggetto), e piùparticolarmente, della modalità del vo-lere*. L’aspetto terminativo* della ricer-ca corrisponderà alla realizzazione* (ocongiunzione* fra soggetto e oggetto).

→ Oggetto, Attualizzazione

Ricettivo (fare –), agg. Réceptif (faire –), Receptive (Doing),Receptivo (Hacer –)

1. Nella trasmissione del sapere*, il fa-re informativo ricettivo caratterizza

l’attività del destinatario* (o dell’enun-ciatario*), in opposizione al fare emissi-vo* che esercita il destinante* (o l’e-nunciante*). Il fare ricettivo – che è siaattivo che passivo (cfr. in italiano le op-posizioni del genere “ascoltare”/“udi-re”, “vedere”/”guardare”) – si oppone,dal punto di vista modale*, al fare in-terpretativo*, che mette in gioco le mo-dalità epistemiche* e veridittive*. 2. Il fare ricettivo è uno degli elementidella tipologia dei programmi narrati-vi*. È caratterizzato dalla natura cogni-tiva* dell’oggetto* e dal sincretismo*,in uno stesso attore, dei ruoli di sogget-to operatore e di ricevente*. Può essereselettivo, e rivolgersi allora ad un emit-tente particolare a discapito di altriemittenti, o non selettivo. (F.B.)

→ Informativo (fare –)

Ricevente, n.m. Récepteur, Receiver, Receptor

1. In teoria dell’informazione*, il ri-cevente, opposto all’emittente, desi-gna, nel processo della comunicazio-ne*, l’istanza in cui è ricevuto il mes-saggio*. In questo senso il riceventenon è necessariamente colui al quale ilmessaggio deve essere definitivamentetrasmesso. 2. In semiotica, e per ogni genere dicomunicazione (verbale o no) si impie-ga, in un’accezione comparabile, il ter-mine destinatario*, tratto da R. Jakob-son; nel caso particolare della comuni-cazione verbale*, il ricevente (al qualepossono collegarsi i concetti di lettore*e di uditore*) sarà detto enunciatario*. 3. Al di là di una semplice questione diterminologia, la differenza fra la teoriadella comunicazione e il punto di vistasemiotico consiste nel fatto che, nel pri-mo caso, il ricevente rappresenta unaposizione vuota (il che è conforme a unaposizione meccanicista), mentre, nel se-condo, il destinatario corrisponde a un

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Riconoscimento

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soggetto dotato di competenza* e coltoa un dato momento del suo divenire, inun’ottica più “dinamica” (cosa che sot-tolinea il punto di vista più “umanizzan-te” adottato dalla semiotica).

Ricompensa, n.f. Récompense, Recompense, Recompensa

Nello schema narrativo* canonico, laricompensa è la forma positiva della re-tribuzione (che sulla dimensione prag-matica* fa parte del contratto* – impli-cito o esplicito – fra il Destinante e ilDestinatario-soggetto), in opposizionealla sua forma negativa, la punizione*.

→ Retribuzione, Sanzione

Riconoscimento, n.m. Reconnaissance, Recognition,Reconocimiento

1. In senso generale, il riconoscimentoè un’operazione cognitiva attraverso laquale un soggetto stabilisce una relazio-ne d’identità* fra due elementi di cuiuno è presente* e l’altro assente* (altro-ve o nel passato). L’operazione implicaprocedure d’identificazione che per-mettono di discernere le identità e le al-terità*. Ciò accade, per esempio, quan-do l’identificazione avviene tramite lamemoria. 2. J. Lyons distingue le grammatiche diproduzione* (come la grammatica gene-rativa), di tipo sintetico (che va dallagrammatica al lessico), dalle grammati-che di riconoscimento (o grammatichedescrittive) che, fondate sull’analisi di uncorpus di enunciati, cercano di indivi-duare le proprietà formali che questi ma-nifestano: i due tipi di approccio, cheoperano dall’alto al basso, o viceversa,sono da lui giudicati complementari. 3. Situato sulla dimensione cognitiva*dei discorsi narrativi, il riconoscimentoè una figura* discorsiva che è stata

spesso definita, da Aristotele in poi, co-me un enunciato informativo*, concer-nente la trasformazione* del non-sape-re in sapere*. Ad ogni modo, osservan-do meglio, si vede che ciò che si desi-gnava come ignoranza non è realmente,in un racconto dato, un’assenza di sape-re sugli avvenimenti o le cose, ma un sa-pere che non è “corretto” (un miscono-scimento), un sapere che consisterà peresempio nel considerare come esistenti(nell’ordine dell’essere*) cose che nonfanno che apparire* (come un mirag-gio), e viceversa. Il pivot* narrativod’ordine cognitivo chiamato riconosci-mento, non è il passaggio dall’ignoran-za al sapere, ma quello da un certo sa-pere (erroneo) a un altro sapere (vero).Nello schema narrativo* canonico, il ri-conoscimento – operato grazie a unmarchio* preventivamente attribuitoall’eroe – corrisponde alla sanzione*cognitiva del Destinante: si tratta qui diun’identificazione fra il programma*narrativo del soggetto-eroe e il sistemaassiologico* del destinante (che giudicala conformità dell’azione del Destinata-rio-soggetto). Dal punto di vista dell’e-roe, questo riconoscimento corrispon-de alla prova glorificante*. 4. Nel quadro dell’interazione* inter-soggettiva il riconoscimento è un attocognitivo con cui un soggetto semiotica-mente competente costruisce l’alterità –soggetto-altro o antisoggetto* – mentrecostruisce se stesso. In realtà il soggettonon fa che compiere una serie di opera-zioni: in primo luogo l’attribuzione, alsoggetto-altro, di una competenza strut-turata a partire dalla costruzione dellesue rappresentazioni all’interno del pro-prio spazio cognitivo* (è il simulacrodell’altro*); poi l’identificazione dellacompetenza strutturata dell’altro conuna configurazione passionale stereoti-pata – geloso, collerico, coraggioso ecc.;infine la valutazione di questa presuntacompetenza dell’altro in relazione allapropria (è una minaccia, un alleato, unaforza con cui fare i conti ecc.). Con la va-

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Ricorsività

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lutazione il soggetto dimostra di avereeffettuato la stessa serie di operazioni,ma questa volta rispetto a se stesso. Hacioè costruito il proprio simulacro assu-mendo le competenze modali del po-ter*-fare e del non-poter-fare e ha iden-tificato, con una configurazione passio-nale stereotipata, la competenza struttu-rata che egli stesso si è attribuito. Infine,dopo aver valutato le due competenzestrutturate, costruisce un soggetto-altro,diverso da sé, costruisce se stesso e co-struisce una relazione* modale di tipocontrattuale* o conflittuale – caso in cuiil soggetto-altro diventa antisoggetto. Èperò evidente che fin qui il soggetto nonha fatto altro che costruire simulacri del-l’altro, di se stesso e della relazione dicontrarietà* o di complementarità* chelo lega all’altro. Sono solo delle rappre-sentazioni costruite dal soggetto, unprodotto – diciamo – della sua “immagi-nazione”, che non coinvolge affatto ilsoggetto-altro “reale” che gli sta di fron-te. Questi costruisce intanto, alle stessecondizioni, i propri simulacri – di sé,dell’altro, della loro relazione. Soloquando i due soggetti accetteranno laconformità dei loro rispettivi simulacri,saranno mutuamente in grado di assu-mere l’altro, se stessi e la loro relazionemodale. Soltanto allora potranno fonda-re una relazione che non è più dell’ordi-ne del simulacro, ma diventa intersog-gettiva. Proponiamo, così, di chiamarecontratto di assunzione* quel mutuo im-pegno che permette ai soggetti di fonda-re una struttura intersoggettiva. (G.L.)

→ Sapere

Ricorsività, n.f. Récursivité, Recursivity, Recursividad

La ricorsività è una proprietà delle linguenaturali (o di altre semiotiche) secondocui un’unità* sintagmatica data può ritro-varsi tale e quale all’interno di una stessagerarchia*, a livelli di derivazione* diffe-

renti (esempio: “il colore delle foglie deglialberi del giardino del vicino”). Secondola grammatica generativa*, la ricorsività èteoricamente infinita a livello della com-petenza*, ma si trova limitata – per causadi una più o meno grande accettabilità* –sul piano della performanza*. Il concettodi ricorsività è ancora poco utilizzato insemiotica discorsiva: è comunque in que-sto quadro che si potrebbe tentare d’in-terpretare, per esempio, i motivi*.

→ Elasticità del discorso

Ridondanza, n.f. Redondance, Redundance, Redundancia

1. Termine della teoria dell’informazio-ne, la ridondanza designa, per unaquantità d’informazione data, lo scartofra il numero minimo di segnali* (o dioperazioni di codifica* e di decodifica*)necessari alla sua trasmissione, e quello– generalmente molto superiore – di se-gnali (o di operazioni) effettivamenteutilizzati. Sono considerati ridondanti isegnali superflui in quanto ripetuti. Tut-tavia, la ridondanza si giustifica perchéfacilita la ricezione dei messaggi* mal-grado l’interferenza dei disturbi. 2. Dal punto di vista semiotico, l’itera-zione di elementi dati in uno stesso di-scorso appare significativa, in quantomanifesta regolarità che servono allasua organizzazione interna: così, il ter-mine rioccorrimento, più neutro, sem-bra preferibile a quello di ridondanza.

→ Informazione, Rumore,Rioccorrimento

Riduzione, n.f. Réduction, Reduction, Reducción

La riduzione è una delle operazioni d’a-nalisi semantica che fa parte della piùgenerale procedura di strutturazione.Consiste nel trasformare un inventario

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Rima

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di occorrimenti sememici di natura pa-rasinonimica* in una classe, costruita edotata, a livello del linguaggio di descri-zione, di una denominazione arbitraria(o semi-motivata). La riduzione nonpuò essere operata solo parallelamenteall’omologazione, che controlla l’appar-tenenza di ciascuno degli occorrimentiprevisti alla classe da costruire in via ca-tegoriale, cioè cercando di riconoscere itermini contraddittori e contrari, chia-mati a far parte di una stessa strutturache si cerca di descrivere.

→ Strutturazione, Omologazione

Riduzionismo, n.m. Réductionisme, Reductionism,Reducciónismo

1. In una prospettiva propriamentescientifica, l’approccio semiotico pone lanecessità di operare, nella manipolazionedei materiali studiati, delle riduzioni chepermettono di stabilire – conformementeal principio di pertinenza* – livelli* d’a-nalisi omogenei*; si produce perciò unaperdita di sostanza semantica (che potràesser presa in carico, del resto, in occasio-ne di analisi complementari). Si segue l’e-sempio del botanico, a cui nessuno sa-prebbe rimproverare di mettere fra pa-rentesi, nel suo lavoro, gli aspetti esteticied economici dei fiori che studia. 2. Si vede anche che l’accusa di ridu-zionismo mossa spesso alla semioticacon il pretesto che è incapace di esauri-re, con le sue analisi, la totalità del vis-suto o del reale, non è affatto pertinen-te sul piano scientifico, in quanto pre-suppone, ontologicamente, la cono-scenza di che cos’è il “vissuto” o il “rea-le”. Del resto gli stessi oppositori non sifanno scrupolo di operare da parte lororiduzioni altrettanto inammissibili, co-me quel critico della Via delle mascheredi C. Lévi-Strauss che termina il suo ar-ticolo con: «Ciò che Lévi-Strauss cerca,è sua madre».

3. La semiotica rifiuta di render contodi tutto il materiale studiato, di tutte lesue componenti, poiché essa ritiene so-lo ciò che è pertinente all’oggetto che sidà; quanto alla “percezione totalizzan-te”, alla “pienezza”, esse non possonofar parte di una ricerca scientifica (pernatura analitica), situate come sono sulversante delle sintesi interpretative dicui – lo riconosciamo volentieri – si fasentire parallelamente il bisogno.

→ Riduzione

Riflessività, n.f. Réfléxivité, Reflexivity, Reflexividad

Opposta alla transitività, la riflessività èun concetto di semiotica discorsiva, im-piegato per designare il sincretismo* dipiù ruoli attanziali* quando questi sonopresi in carico da un solo attore*.

→ Transitività

Rima, n.f. Rime, Rhyme, Rima

In semiotica poetica, la rima corrispon-de al rioccorimento*, a intervalli rego-lari, di un segmento dell’espressione*(identico o comparabile), segmento chefa parte di due formanti* che ricopronodue unità del contenuto* (lessemi) di-stinte: perciò, la differenza semanticane risulta evidenziata. La rima non è dunque un’articolazio-ne* particolare del piano dell’espressio-ne, ma un fenomeno che è parte dellaprosodia ed impegna i due piani del lin-guaggio: si tratta di un prosodema chemette l’enfasi sull’identità dei signifi-canti* solo per meglio sottolineare l’al-terità dei significati*. Stabilendo così grazie a queste “posi-zioni forti” un’organizzazione ritmicadel discorso poetico, la rima permettedi prendere in esame la costruzione di

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Rinuncia

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una sorta di sintassi posizionale (J. Ge-ninasca).

→ Prosodia, Posizione

Rinuncia, n.f. Renonciation, Renunciation, Renunciación

Situata al livello figurativo*, la rinunciacaratterizza la posizione del soggetto*di un enunciato di stato* che priva sestesso dell’oggetto* di valore: corri-sponde dunque alla disgiunzione* ri-flessiva* dall’oggetto di valore, effet-tuata in un momento qualunque delpercorso narrativo*. Con la spoliazio-ne*, la rinuncia è una delle due formedella privazione, che possono essereconsiderate, a titolo di conseguenza*,come sottocomponenti della prova*.

Rioccorrimento, n.m. Récurrence, Recurrence, Recurrencia

Il rioccorrimento è l’iterazione di occorri-menti (identificabili tra loro) all’internodi un processo* sintagmatico che manife-sta, in un modo significativo, delle regola-rità che servono all’organizzazione del di-scorso-enunciato. Il rioccorrimento di uncerto numero di categorie* semiche, peresempio, istituisce un’isotopia*; il rioc-corrimento nel discorso di enunciati mo-dali che reggono sempre, sotto date con-dizioni, enunciati descrittivi (o dichiarati-vi), autorizza la costruzione di un livello*discorsivo modale autonomo ecc. Il ter-mine rioccorrimento va distinto, volta pervolta, da quello di ridondanza (che rinviaindirettamente a una carenza d’informa-zione*) e da quello di ricorsività (che spe-cifica la ricorrenza in quanto si effettua,all’interno di una gerarchia*, a livelli dif-ferenti di derivazione*).

→ Occorrimento, Ordine, Ridondanza, Ricorsività

Riscrittura (sistema di –), n.f. Réécriture (système de –), Rewriting(System), Reescritura (sistema de –)

In grammatica generativa*, il sistema diriscrittura, che mette in opera assiomi eregole di costruzione di espressioni*ben formate, è un modo di rappresenta-zione* del processo di derivazione*, cheporta a una descrizione* strutturale del-la frase. Così, per esempio, la regola diriscrittura «P→+SN+SV» è da leggerecome un’operazione di sostituzione* at-traverso la quale si rimpiazza il simboloP con l’espressione «SN+SV».

→ Regola

Risemantizzazione, n.f. Resémantisation, Resemantization,Resemantización

Al contrario della desemantizzazione, larisemantizzazione è l’operazione con cuicerti contenuti* parziali, preliminarmen-te perduti – e spesso a profitto d’un si-gnificato* globale di un’unità discorsivapiù ampia – ritrovano il loro primo valo-re semantico. Così, nei Due amici (diMaupassant), l’appellativo “monsieur”,che li situa all’inizio del racconto nel lorostatus sociale ordinario (che risulta dun-que desemantizzato), è impiegato, alla fi-ne, tanto dall’ufficiale prussiano (per ri-conoscere, senza volerlo o saperlo, le lo-ro alte qualità umane) quanto da Sauva-ge e Morissot – l’uno all’indirizzo dell’al-tro e reciprocamente – in segno di mutuoriconoscimento del proprio valore.

→ Desemantizzazione

Ritmo, n.m. Rythme, Rhythm, Ritmo

Il ritmo si può definire come un’attesa (C.Zilberberg, secondo P. Valéry), cioè co-me la temporalizzazione*, con l’aiuto del-

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Ruolo

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l’aspettualità incoativa*, della modalità*del voler-essere applicata sull’intervallo ri-corrente fra gruppi di elementi asimme-trici che riproducono la stessa formazio-ne. Contrariamente all’accezione corren-te di questo vocabolo, che sembra indica-re una disposizione particolare del pianodell’espressione*, optiamo per una defi-nizione del ritmo che lo considera comeuna forma significante e dunque di natu-ra uguale agli altri fenomeni di prosodia*.Tale concezione libera il ritmo dai suoi le-gami con il significante* sonoro (il chepermette di parlare di ritmo in semioticavisiva, per esempio) e anche con il signifi-cante tout court (il che offre la possibilitàdi riconoscere un ritmo a livello del con-tenuto*, per esempio).

→ Prosodia

Rivalorizzazione, n.f. Revalorisation, Revalorization,Revalorización

Dopo la realizzazione* (intesa comecongiunzione* fra il soggetto* e l’og-getto* della ricerca*), l’oggetto è su-scettibile di acquisire un nuovo valore*grazie alla modalità del sapere*, peresempio nel caso in cui qualcuno si ap-presta a mantenere con tutti i mezzi ciòche un altro progetta di prendergli: larivalorizzazione, provocata allora dalfare cognitivo*, è in tal modo legata aun nuovo volere e può generare un nuo-vo programma* narrativo.

Rumore, n.m. Bruit, Noise, Ruido

Termine della teoria dell’informazione,il rumore designa tutto ciò che provocauna perdita di informazione nel proces-so della comunicazione*: a partire dalmomento in cui il messaggio* lascia lafonte (emittente*), fino a quello in cui è

ricevuto dal ricevente* (o destinatario),il rumore può intervenire in ogni istan-te, tanto nella trasmissione stessa quan-to nelle operazioni di codifica* e di de-codifica*. Per compensare l’effetto ne-gativo del rumore, considerato comeimprevedibile e parzialmente inevitabi-le, si è fatto ricorso alla messa in operadella ridondanza*, così da garantire l’ef-ficacia della comunicazione.

→ Informazione

Ruolo, n.m. Rôle, Role, Rol

1. Il concetto di ruolo è molto difficileda precisare in quanto ammette molte-plici accezioni, a seconda dei settori do-ve è impiegato. Riporteremo qui soltanto, a titolo com-parativo, il punto di vista della psicoso-ciologia che utilizza questo termine perdesignare un modello organizzativo dicomportamento, legato a una posizionedeterminata nella società, le cui manife-stazioni sono largamente prevedibili. Sipossono senz’altro collegare a questaconcezione i “ruoli narrativi” quali so-no in effetti proposti da C. Brémond(anche se la definizione iniziale che egline dà è molto più ampia). 2. In semiotica narrativa e discorsiva, ilruolo ha un carattere molto più forma-le e diventa sinonimo di “funzione”(nel senso corrente del termine): par-zialmente desemantizzato, è impiegatosolo con un determinante. Così, i ruoliattanziali costituiscono il paradigmadelle posizioni sintattiche modali, chegli attanti* possono assumere lungo ilpercorso narrativo*. Parallelamente, iruoli tematici sono la formulazione at-tanziale di temi o di percorsi tematici.

→ Attanziale (ruolo –, status –),Tematico

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SSanzione, n.f. Sanction, Sanction, Sanción

1. La sanzione è una figura discorsiva,correlata alla manipolazione*, che, in-serita nello schema narrativo*, si collo-ca sulle sue dimensioni pragmatica* ecognitiva*. In quanto esercitata dal De-stinante* finale, presuppone in lui unacompetenza* assoluta. 2. La sanzione pragmatica è un giudi-zio epistemico portato dal Destinante-giudicatore sulla conformità dei com-portamenti e, più precisamente, del pro-gramma* narrativo del soggetto* per-formante, in rapporto al sistema assiolo-gico* (di giustizia, di “buone maniere”,di estetica ecc.), implicito o esplicito,quale è stato attualizzato nel contratto*iniziale. Dal punto di vista del Destina-tario*-soggetto, la sanzione pragmaticacorrisponde alla retribuzione*: in quan-to risultato, quest’ultima è la contropar-tita, nella struttura di scambio*, richie-sta dalla performanza* che il soggettoha realizzato conformemente alle sueobbligazioni contrattuali; può essere ditipo positivo (ricompensa*) o negativo(punizione*); in quest’ultimo caso, a se-conda che la punizione sia assegnata daun Destinante individuale o sociale, laretribuzione negativa si chiamerà ven-detta* o giustizia*. Questi diversi generidi retribuzione permettono di ristabilirel’equilibrio narrativo. 3. In quanto giudizio sul fare*, la san-zione pragmatica si oppone alla sanzio-ne cognitiva, che è un giudizio episte-mico sull’essere* del soggetto e, più ingenerale, sugli enunciati di stato* cheesso sovradetermina grazie alle moda-lità veridittive* ed epistemiche* (si po-trebbe situare qui il concetto di accet-

tabilità*, impiegato in grammatica ge-nerativa, che si presenta come un giudi-zio epistemico, comparabile alla san-zione cognitiva). Dal punto di vista delDestinatario-soggetto, la sanzione co-gnitiva equivale al riconoscimento*dell’eroe* e, negativamente, alla confu-sione del traditore*. Il riconoscimentoda parte del Destinante è la contropar-tita della prova glorificante* assuntadal Destinatario-soggetto. 4. Trasponendo il percorso narrativodi sanzione al livello delle pratiche* se-miotiche sociali, si deve poter prevede-re l’elaborazione di una semiotica dellasanzione (correlata a una semioticadella manipolazione* e a una semioticadell’azione*).

→ Narrativo (schema –),Narrativo (percorso –)

Sapere, n.m. Savoir, Knowing, Saber

1. La comunicazione* può essere con-siderata, da un certo punto di vista, co-me la trasmissione del sapere da un’i-stanza di enunciazione all’altra. Il sape-re così trasferito – di cui non si può di-re nulla, ma che si può accostare intui-tivamente al concetto di significazione*– si presenta anzitutto come una strut-tura transitiva*: è sempre un sapere suqualche cosa, ma è inconcepibile senzal’oggetto di sapere. Ciò permette subi-to di riconoscere, nello svolgimentostesso del discorso, una dimensioneparticolare sulla quale si dispongonogli oggetti di sapere formulabili in ter-mini di enunciati descrittivi* e che co-stituiscono i fondamenti di ciò che si

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Scambio

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può chiamare la dimensione pragmati-ca*. D’altra parte il sapere si presentaanche come un oggetto in circolazione:si parlerà dunque della produzione,dell’acquisizione del sapere, della suapresenza o della sua assenza (il non-sa-pere) e anche dei suoi gradi. In quantooggetto, il sapere rinvia all’istanza dienunciazione in cui si trovano situati isoggetti del sapere che esercitano atti-vità cognitive*: la dimensione cognitivadel discorso si sovrappone in tal modoalla sua dimensione pragmatica. 2. Questo ritorno all’istanza di enuncia-zione* permette allora di concepire il di-scorso in quanto tale sia come un fare,cioè come un’attività cognitiva, sia comeun essere, come uno stato di sapere.Quindi, il saper-fare appare come ciòche rende possibile questa attività, comeuna competenza cognitiva (che si puòinterpretare in termini di “intelligenzasintagmatica”, di abilità a organizzare iprogrammi narrativi), e il saper-esserecome ciò che sanziona il sapere sugli og-getti e garantisce la qualità modale diquesto sapere, in altre parole, come unacompetenza epistemica*. Secondo la de-finizione che abbiamo dato della moda-lizzazione, il sapere appare come unamodalità* di portata molto generale. 3. Se il sapere abbraccia, come è evi-dente, l’istanza dell’enunciazione nelsuo insieme, la procedura di débraya-ge*, che rende conto dell’installazionedi strutture dell’“enunciazione enuncia-ta” all’interno del discorso enunciato,spiega perché si incontrino al suo inter-no tanti tipi diversi di simulacri e di di-spositivi cognitivi: vi si ritrovano instal-lati per delega*, diversi soggetti cogniti-vi come narratore* e narratario, infor-matore* e osservatore*, suscettibili diassumere posizioni di attori* autonomi,di entrare così in sincretismo* attorialecon differenti attanti della narrazione odi identificarsi solamente con posizioniimplicite. Una volta collocati nel discor-so, i soggetti cognitivi vi esercitano atti-vità diverse: per esempio, un fare emis-

sivo* o ricettivo* semplice oppure, piùspesso, dei fare cognitivi – persuasivo* einterpretativo* – più complessi, capacidi sviluppare programmi interi e anchedi occupare intere dimensioni discorsi-ve; infine, i soggetti cognitivi possonomanipolare gli oggetti di sapere (glienunciati del fare* e di stato*) conferen-do loro diversi statuti veridittivi* ecc.

→ Cognitivo, Metasapere,Riconoscimento, Punto di vista

Scambio, n.m. Echange, Exchange, Intercambio

1. Lo scambio è un fare performatoreche, situato all’interno di una strutturabinaria di soggetti* (nel rapporto “nien-te per niente”), costituisce una delleforme della comunicazione* o del tra-sferimento* degli oggetti* di valore. 2. In quanto operazione reciproca, cheimplica il fare di S1 e di S2, lo scambioè una doppia performanza, conseguen-te alla conclusione, esplicita o implicita,di un contratto*: si riferisce dunque al-la coppia destinante/destinatario*. Daquesto punto di vista, lo schema narrati-vo* canonico è dominato dalla strutturadello scambio: il fare di S1-Destinatariocostituisce la componente performanza*,il fare di S2-Destinante la componente re-tribuzione* o sanzione* (positiva: ricom-pensa*, o negativa: punizione*). 3. Questa operazione reciproca pre-suppone la collocazione di attanti com-petenti ognuno dei quali rappresentiuna posizione modale* al momento diquel pivot* narrativo che è lo scambio. 4. In tal modo, sequenze ordinate discambio possono costituire sistemi diobbligazioni e di costrizioni, come quel-li descritti, tra gli altri, da M. Mauss e C.Lévi-Strauss (scambio ristretto/scambiogeneralizzato).

→ Comunicazione, Contratto,Narrativo (schema –)

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Scarto

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Scarto, n.m. Ecart, Gap, Desviación

1. La nozione di scarto è strettamentelegata alla sorte della stilistica*, di cui èapparsa sovente come uno dei concettifondamentali. Sembra legata, in buonaparte, alle riflessioni di F. de Saussuresulla parola* (considerata come l’insie-me degli scarti individuali, prodotti dachi usa la lingua*): si è così creato unmalinteso, dato che si è voluta istituire,a partire dalla parola che, per Saussure,era solo un ripostiglio utile a definirenegativamente la lingua, unico obbietti-vo della linguistica, una disciplina lin-guistica, fondata sull’apprezzamento esul calcolo degli scarti. 2. La nozione di scarto è legata, d’altraparte, a quella di norma*: la lingua lette-raria si definirebbe allora come unoscarto in rapporto alla lingua normale,“quotidiana”. Ora, la normalità dellalingua quotidiana – che si designa tal-volta, sotto l’influenza di certe teoriepsicanalitiche, come il significante* – è,sia dal punto di vista linguistico sia se-miotico, un’autentica aberrazione. Sesul piano sintattico si cerca di coglierla edi controllarla con l’aiuto del concettodi grammaticalità* (la cui utilizzazionepratica solleva tante difficoltà), la deter-minazione delle anomalie semantiche(cfr. le ricerche di T. Todorov) non puòche basarsi su una concezione particola-re, positivista, della razionalità. Il semio-tico sa, per quanto lo riguarda, che lelingue naturali sono dei serbatoi, deiluoghi di manifestazione e di costruzio-ne di semiotiche* multiple e diverse. 3. L’introduzione, in linguistica, di me-todi statistici rigorosi, che rimpiazzanogli scarti stilistici di carattere intuitivocon scarti significativi oggettivamentecalcolati, ha potuto dare – sul momento– l’illusione di un risorgere delle ricer-che stilistiche. Ciò derivava dalla confu-sione che intercorre tra il rigore del cal-colo statistico, indiscutibile, e quellodella concettualizzazione, della costru-

zione di modelli in rapporto ai quali sipoteva calcolare lo scarto. Lo scarto si-gnificativo dell’utilizzazione degli agget-tivi da parte di questo o quello scrittore,per esempio, non appariva affatto comeun dato prodigioso suscettibile di nutri-re la riflessione stilistica. Il risultato piùconvincente – ottenuto dal linguista sta-tistico Ch. Muller – è l’omologia, rinve-nuta nell’opera di Corneille, tra, da unaparte, la tragedia e la commedia, e, dal-l’altra, la frequenza delle preposizioni“à” e “de”: si tratta di una constatazionesuggestiva, che permette – per il fatto diessere situata al livello degli universali(primitivi/universali*) – di intraprende-re una riflessione verso altri oggetti, co-sì come può essere suggestivo compilareliste di termini chiave. 4. Praticato in tal modo, il calcolo degliscarti, in assenza di una teoria semanticaalmeno implicita, resta ancora legato al-le concezioni atomiste del secolo scorso.Preferiremmo sostituirlo con il concettodi deformazione coerente delle struttu-re, così com’è stato proposto da M.Merleau-Ponty, concetto a partire dalquale si può intravedere, sebbene conprecauzione, la possibilità del calcolodell’originalità semantica.

→ Stilistica, Originalità semantica

Schema, n.m. Schéma, Schema, Esquema

1. Si utilizza il termine schema per de-signare la rappresentazione* di un og-getto semiotico ridotto alle sue pro-prietà essenziali. 2. È così che L. Hjelmslev ha introdot-to l’espressione di schema linguisticocome sostituto della lingua* saussuria-na, opponendola all’uso linguistico chesostituisce vantaggiosamente, a suo av-viso, il concetto di parola* giudicatoteoricamente insoddisfacente. Questadicotomia, applicata alle sole lingue na-turali, può essere estesa alle altre semio-

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Scientificità

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tiche: in questo caso, lo schema (o laforma*, in senso saussuriano) è oppo-sto alla sostanza*. 3. Abbiamo tentato di sfruttare la di-cotomia schema/uso in semantica gene-rale: se si designa con il nome di sche-ma la combinatoria* semica aperta dicui dispone una cultura intesa come uninsieme di virtualità, il termine uso ser-virà allora a denominare la combinato-ria ristretta e chiusa, cioè l’insieme del-le combinazioni (o delle espressioni*)sememiche quali sono effettivamenteprodotte. 4. In senso stretto, si chiama schemauna delle dimensioni* del quadrato se-miotico, quella che riunisce due terminicontraddittori*. Si distingue uno sche-ma positivo (quello il cui primo termi-ne appartiene alla deissi* positiva) euno schema negativo (di cui il termineprimo è situato sulla deissi negativa).La denominazione scelta a tale scopo èsemi-motivata, poiché rinvia alla conce-zione della forma semiotica come fattadi esclusioni, di presenze e di assenze.

→ Uso, Quadrato semioticoNarrativo (schema –)

Scientifica (semiotica –), agg. Scientifique (sémiotique –), Scientific(Semiotics), Cientifica (semiótica –)

Per L. Hjelmslev, è scientifica ogni se-miotica che sia un’operazione (o descri-zione*) conforme al principio di empi-rismo: in funzione di questo criterio, di-stingue le semiotiche scientifiche e lesemiotiche non scientifiche.

→ Semiotica, Empirismo

Scientificità, n.f. Scientificité, Scientific, Científicidad

1. La ricerca scientifica è una formaparticolare di attività cognitiva* carat-

terizzata da un certo numero di precau-zioni deontiche* – dette condizioni discientificità – di cui si circonda il sog-getto conoscente per esercitarla e, inparticolare, per realizzare il programmache si è prefissato. L’atteggiamentoscientifico è da considerare quindi co-me un’ideologia*, cioè come una ricer-ca* del sapere, seguita dal dono* diquesto oggetto* di valore, o piuttosto,dalla rinuncia* a questo oggetto a pro-fitto del Destinante sociale. Il soggettodi questa ricerca – come di ogni ricercaideologica – è dotato delle modalità delvoler-fare e del dover-fare, e quest’ulti-ma assume la forma di una deontolo-gia* scientifica. Ciò che distingue la ri-cerca scientifica dalle altre attività co-gnitive non è tanto la sottomissione auna deontica, quanto il contenuto spe-cifico del dover-fare. 2. La ricerca scientifica si esprime sot-to forma di discorso scientifico, e pocoimporta che si tratti di un discorso “in-teriore” o manifestato (oralmente o periscritto). In quanto tale, può essere sot-toposto all’analisi semiotica che cer-cherà di riconoscerne la specificità. Siosserverà allora che, se in quanto farecognitivo* si definisce come un proces-so produttore di sapere, in quanto far-sapere sarà sottomesso a un eventualeenunciatario* e cambierà perciò di sta-tus per presentarsi come discorso refe-renziale* (che, in seguito a valutazioneepistemica*, potrà servire da supportoa un nuovo discorso cognitivo, e così diseguito). Il soggetto individuale dellaricerca si inserisce così in una concate-nazione sintagmatica che lo trascende eche si presenta come un discorso scien-tifico sociale. Perciò, quest’ultimo nonsi definisce come un percorso storico(sarebbe la sua interpretazione geneti-ca), ma come un algoritmo* finalizzatoa posteriori, poiché il referenziale col-lettivo è la ricostruzione di un procedi-mento ideale. 3. La pratica scientifica, che abbiamomolto sommariamente abbozzato, ha

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Scientificità

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un punto debole: si tratta del momentoe del luogo in cui il discorso individualecerca di inscriversi nel discorso sociale, ilmomento in cui è sottoposto a una stimaepistemica prima di essere sanzionato edichiarato dignus intrari: delle analisi,ancora assai parziali, del discorso biolo-gico, mostrano già che l’essenziale del-l’intercomunicazione fra scienziati chelavorano su programmi parziali consistenell’interrogarsi sul grado di probabi-lità* o di certezza* dei risultati ottenuti.Questo luogo d’incertezze è coperto dal-la riflessione teorica sulle condizioni del-la scientificità. 4. Una di queste condizioni consistenel dare al discorso scientifico una for-ma tale che il soggetto scientifico, postoall’interno del discorso-enunciato, pos-sa funzionare come un soggetto qual-siasi (che, in quanto attante*, abbracciauna classe indefinita di attori* sostitui-bili), suscettibile, al limite, di essererimpiazzato da un automa*. Per farequesto, deve mettere in opera un lin-guaggio “proprio” (o un metalinguag-gio*) i cui termini siano ben definiti* eunivoci*; inoltre, deve essere dotato diun saper-fare formulato in termini diprocedure e/o di regole* suscettibili diessere ordinate in successioni algoritmi-che* ecc. 5. Si ritiene che tutte queste precauzio-ni garantiscano il buon funzionamentodel discorso scientifico: il loro esame ela loro organizzazione costituisconouno dei compiti dell’epistemologia* ge-nerale delle scienze e delle teorie pro-prie ad ogni ambito della ricerca. Essenon vertono tuttavia che su alcuniaspetti della scientificità: condizionisoddisfacenti della coerenza* del di-scorso, esse sono tuttavia lontane dal ri-solvere, per esempio, i problemi relativiall’adeguazione* dei metodi impiegatiin rapporto all’oggetto da conoscere(preoccupazione espressa da L. Hjelm-slev nel suo principio di empirismo*).Esse lasciano soprattutto aperta la que-stione delle relazioni fra il discorso del-

la scoperta* e quello della ricerca, fra leipotesi* di natura ampiamente intuitivae la loro verifica*.

→ Teoria, Metalinguaggio, Empirismo

Scomposizione, n.f. Découpage, Segmentation,Fragmentación

1. La scomposizione designa la proce-dura* di segmentazione del testo mani-festato in sequenze testuali, operazioneche è effettuata sull’asse* sintagmatico. 2. Talvolta per scomposizione si inten-de anche la categorizzazione del mondoe/o dell’esperienza, così come è effet-tuata diversamente a seconda delle lin-gue naturali: C. Lévi-Strauss impiega,in questo senso, l’espressione «scompo-sizione intellettuale», che rinvia a un’or-ganizzazione di tipo paradigmatico.

→ Segmentazione, Categorizzazione

Scoperta (procedura di –), n.f. Découverte (procédure de –), Discovery (Procedure), Descubrimiento (procedimiento de –)

1. Una procedura di scoperta è la for-mulazione esplicita* delle operazionicognitive che permettono la descrizio-ne* di un oggetto semiotico, soddisfa-cendo le condizioni della scientificità*.L’esplicitazione dell’insieme di questeprocedure può condurre alla costitu-zione di una metodologia e di una teo-ria semiotiche (o linguistiche). Questomodo pragmatico di porre il problemadelle relazioni tra la teoria e la pratica sispiega in parte con l’atteggiamento del-la linguistica del XIX secolo – il cui fa-re si è rivelato assai efficace – che avevalasciato implicite gran parte delle sueprocedure. 2. Tra le procedure di scoperta che ri-salgono al secolo scorso, e che la lin-

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Scrittura

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guistica strutturale ha formulato inmaniera esplicita, bisogna menzionare,in primo luogo, le operazioni di seg-mentazione*, di sostituzione* e dicommutazione*: operazioni che ren-dono conto della costituzione dellalinguistica in scienza all’inizio del XIXsecolo e che sono alla base di ogni lin-guaggio logico. L’errore degli struttura-listi americani è stato di credere, sottol’influenza di un formalismo eccessivo,che queste procedure di scoperta po-tessero far le veci di una teoria genera-le e che, sostituendosi all’intuizione*,permettessero di concepire la lingui-stica come una “macchina per scopri-re”. Ciò è sufficiente a giustificare lecritiche formulate da N. Chomsky neiloro confronti, senza farsi garanti peròdi un’altra ingenuità, e cioè che lagrammatica possa essere concepita co-me una “descrizione pura”. 3. Rovesciando la relazione tra la teo-ria* e la pratica, bisogna esigere che unateoria sia applicabile, che cerchi di pro-durre e di esplicitare le procedure discoperta: l’applicabilità ci pare, con lasemplicità*, un secondo criterio capacedi fondare le procedure di valutazionedelle teorie (o delle grammatiche). 4. Per altro, è a partire da analisi con-crete dei discorsi di ricerca e di scoper-ta che il semiotico potrà farsi un’ideapiù precisa delle operazioni che si tro-vano poste nelle pratiche semiotiche dicarattere scientifico.

→ Procedura, Teoria, Metodologia

Scrittura, n.f. Ecriture, Writing, Escritura

1. Si intende per scrittura la manifesta-zione di una lingua* naturale con l’aiu-to di un significante* la cui sostanza èdi natura visuale e grafica (o pittografi-ca). Esiste una controversia sul caratte-re derivato o autonomo della scritturain rapporto all’espressione orale: i par-

tigiani dello status derivato (R. Jakob-son, per esempio) si appoggiano ai datidella storia della scrittura, mentre l’af-fermazione della sua autonomia (L.Hjelmslev) orienta le ricerche nel sensodella costruzione di una tipologia. 2. Una tipologia, ancora provvisoria,delle scritture permette di distingueretre generi: – a) una scrittura narrativa (o sintagma-tica) in cui ogni disegno corrisponde aun enunciato narrativo (Eschimesi e In-diani dell’Alaska); – b) una scrittura morfematica (o anali-tica) dove a un grafema corrisponde unsegno-morfema (scritture cinese, egi-ziana ecc.); – c) una scrittura fonematica che stabi-lisce la corrispondenza tra grafemi e fo-nemi (lingue occidentali, per esempio).La storia della scrittura, insufficiente-mente conosciuta, mostra, naturalmen-te, che i tipi di scrittura “allo stato pu-ro” sono rari se non inesistenti. 3. In semiotica letteraria, il termine discrittura, ripreso dai Goncourt, è stato in-trodotto e popolarizzato da R. Barthes.Vittima del suo successo – sfruttato dal-la critica letteraria (ma anche da quelladi altre arti) e, più recentemente, dallafilosofia del linguaggio (J. Derrida) – ilconcetto di scrittura si è volatilizzato inbuona parte e resta, malgrado le suepromesse, di un’efficacia operativa*estremamente debole. In quanto pro-prietà dell’universo sociolettale*, la scrit-tura può essere opposta allo stile* checaratterizza l’universo idiolettale*, perquanto la natura di questa opposizioneabbia dato luogo a diverse interpreta-zioni. Manifestazione iterativa e stereo-tipata delle forme letterarie (la scritturaclassica, per esempio, potrebbe esserecaratterizzata dalla metafora), situata allivello delle strutture discorsive del te-sto, la scrittura è ancora l’oggetto diuna comprensione intuitiva e probabili-stica.

→ Socioletto, Embrayage

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Segmentazione

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Segmentazione, n.f. Segmentation, Segmentation,Segmentación

1. Si intende per segmentazione l’in-sieme delle procedure di divisione deltesto in segmenti, cioè unità sintagmati-che provvisorie che, pur combinandosifra loro (attraverso relazioni del tipo “e ... e”), si distinguono le une dalle al-tre tramite uno o più criteri di scompo-sizione*, senza che si sappia a che livel-lo di pertinenza* questi rinviano. Comedire che la segmentazione, di naturasintagmatica, non permette, da sola, ilriconoscimento* di unità linguistiche,o, più in generale, semiotiche. Così leprocedure d’ordine paradigmatico, co-me la commutazione* o la sostituzio-ne*, sono riprese in linguistica frastica(e, più in particolare, in fonologia*):questo duplice approccio garantisce ladefinizione di unità proprie a ogni livel-lo di linguaggio. Noteremo tuttavia chele unità ottenute per segmentazionenon sono le sole unità linguistiche pos-sibili: esistono unità discontinue (comela negazione francese “ne ... pas”). Lafonologia si divide in fonologia seg-mentale (che tratta dei fonemi*) e an-che soprasegmentale* (o prosodia*). 2. In linguistica discorsiva la segmenta-zione è da considerare come un primoprocedimento empirico, che mira ascomporre provvisoriamente il testo*in grandezze* più maneggevoli: le se-quenze* così ottenute non sono quindiunità* discorsive fisse, ma solo unità te-stuali. La segmentazione può procede-re dalla ricerca di marcatori* (la con-giunzione disgiuntiva “ma” per esem-pio), sorta di segnali che indicano l’esi-stenza di una frontiera fra due sequen-ze. Ma la procedura di gran lunga piùefficace sembra essere il riconoscimen-to di disgiunzioni* categoriali, in cuiuno dei termini della categoria* consi-derata caratterizza la sequenza che pre-cede o l’altro la sequenza che segue.Così, si riconosceranno disgiunzioni

spaziali (qui/altrove), temporali (pri-ma/dopo), timiche (euforia/disforia),topiche (stesso/altro), attoriali (io/lui)ecc. L’inventario dei criteri di segmen-tazione è lungi dall’essere esauriente, e il grado di certezza dell’operazionestessa aumenta con il numero di di-sgiunzioni concomitanti. Tuttavia que-ste non si situano necessariamente nellostesso luogo, e due sequenze, così di-sgiunte, possono spesso apparire comearee di isoglosse*, comparabili alle zo-ne dialettali all’interno di una lingua. 3. Se nella prospettiva della lettura* odell’analisi* la segmentazione è un’ope-razione che sviluppa dunque delleunità testuali, la si potrà considerare,dal punto di vista del percorso genera-tivo*, come una delle procedure di te-stualizzazione*, che scompone il di-scorso in parti, stabilisce e dispone insuccessione le unità testuali (frasi, para-grafi, capitoli ecc.), dà luogo all’anafo-rizzazione* ecc., tenendo conto eviden-temente dell’elasticità* del discorso.

→ Sequenza, Testualizzazione

Segnale, n.m. Signal, Signal, Señal

1. In teoria dell’informazione* si inten-de per segnale ogni unità che, osservan-do le regole di un codice*, entra nellacomposizione dei messaggi*; nel casopiù particolare della comunicazionelinguistica, si vede che il segnale po-trebbe equivalere, per esempio, a quel-le unità del piano dell’espressione* chesono i fonemi. 2. L. Hjelmslev chiama segnali le unitàminimali di manifestazione delle semio-tiche monoplanari (che siano scientifi-che – esempio: algebra – o non scienti-fiche: giochi). 3. Per qualcuno (L. Prieto), il segnalerientra nella categoria più generale de-gli indici*: la sua specificità allora èquella di un prodotto che serve da indi-

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Segno

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ce (e non per caso) in modo che colui alquale l’indicazione è destinata possa ri-conoscerla come tale. Fra gli esempispesso citati ricordiamo i segnali stra-dali e quelli marittimi. 4. Se si ammette, con la linguistica diispirazione saussuriana, che l’esclusio-ne del referente* è un preliminare ne-cessario per esercitare qualsiasi semioti-ca, si deve allora riconoscere che il se-gnale, come l’indice, entra nella catego-ria dei non-segni.

→ Messaggio, Indice, Segno

Segno, n.m. Signe, Sign, Signo

1. Il segno è una unità* del piano dellamanifestazione* costituito dalla funzio-ne* semiotica, cioè dalla relazione dipresupposizione* reciproca (o solida-rietà*) che si stabilisce fra grandezze*del piano dell’espressione* (o signifi-cante*) e grandezze del piano del conte-nuto* (o significato*) al momento del-l’atto di linguaggio. 2. Per F. de Saussure, che ha instaura-to la problematica del segno linguisti-co, quest’ultimo risulta dalla unione delsignificante e del significato (che egliidentifica, in un primo momento, al-l’immagine acustica e al concetto). Ben-ché sviluppando, in seguito, la teoria,egli sia stato condotto a epurare questedue nozioni considerando il significan-te e il significato solo in quanto servonocome costituenti della forma* linguisti-ca (come il recto e il verso di un foglio dicarta), il termine segno è stato comune-mente identificato a lungo – e ancoraoggi – con il segno minimo, cioè la “pa-rola” o, più rigorosamente, il morfema*(o monema* per A. Martinet). È in que-sto senso che si utilizza la definizionepassepartout della lingua come “sistemadi segni”. 3. Il contributo di L. Hjelmslev allateoria del segno è doppio:

– a) presentando il segno come risulta-to della semiosi* che si produce al mo-mento dell’atto di linguaggio, mostrache la dimensione* della unità di mani-festazione non è pertinente per la defi-nizione del segno; in altre parole, a fian-co dei segni minimi “parole”, si puòparlare anche dei segni-enunciati o deisegni-discorsi; – b) postulando per ciascuno dei duepiani di linguaggio – espressione e con-tenuto – la distinzione fra la forma* e lasostanza*, è condotto a precisare la na-tura del segno come unione della formadell’espressione e della forma del con-tenuto (quindi, sul piano dell’espressio-ne, è la struttura fonologica* e non fo-netica* a entrare nella costituzione deisegni). 4. L’esercizio del linguaggio producedunque la manifestazione semioticasotto forma di concatenamento di se-gni. L’analisi dei segni prodotti dall’ar-ticolazione della forma dell’espressionee di quella del contenuto, è possibile so-lo se i due piani del linguaggio sono an-zitutto dissociati per essere studiati edescritti ciascuno separatamente. In al-tri termini, se l’analisi della manifesta-zione, che mira al riconoscimento e allacostruzione dei segni minimi, costitui-sce un preliminare necessario, l’esplo-razione semiotica inizia davvero soltan-to al di qua del segno minimo e deve es-sere proseguita separatamente su cia-scuno dei piani di linguaggio, in cui leunità costitutive non sono più dei segni,ma delle figure*. 5. Il senso extra- o para-semiotico dellaparola segno non è da trascurare e si in-troduce a volte nella letteratura semioti-ca o linguistica. Segno designa comune-mente, in questo caso, “qualcosa che rap-presenta qualcosa d’altro”. Impiegato insemiotica, denomina quindi una formaqualsiasi dell’espressione, incaricata ditradurre un’“idea” o una “cosa”: ciò cor-risponde al concetto di formante*. Unasimile utilizzazione presuppone una con-cezione particolare della lingua* pensata

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Segno

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come una riserva di “etichette” destinatead essere attaccate a oggetti preesistenti,come una nomenclatura pura e semplice(Hjelmslev). 6. La linguistica anglo-americana si èinteressata pochissimo alla problemati-ca del segno, influenzata com’era dalbehaviorismo, o ha cercato sotto l’in-fluenza del positivismo di introdurre lanozione di referente* nella definizionedel segno, costruendo un modellotriangolare della sua interpretazione(Ogden e Richards, sulla scia di Ch.S.Peirce); i tre vertici sono costituiti da: – a) il simbolo (= il significante, o il re-presentamen per Peirce), – b) la referenza (= il significato, o l’in-terpretazione di Peirce), – c) il referente (la “realtà” denotata, ol’oggetto secondo Peirce). La linguistica d’ispirazione saussuriana,si sa, considera l’esclusione del referen-te come condizione necessaria dellapropria attività. 7. Il problema del referente allarga ancordi più il fossato che continua a separaredue concezioni della linguistica, e soprat-tutto della semiotica. Mentre l’analisi deisegni non è per la semiotica europea cheuna tappa da superare verso la descrizio-ne di reti di articolazione di forme, la se-miotica americana (T. Sebeok) tende abloccarsi a livello dei segni e a procederealla loro classificazione basata allora, inlarga parte, sul tipo di relazione che il se-gno intrattiene con il referente (l’icona*,per esempio, si definisce con una relazio-ne di somiglianza, l’indice* con una rela-zione di contiguità “naturale”, il segnale*con una relazione artificiale ecc.). 8. Sembra possibile un’altra distribu-zione dei segni, di carattere intrinseco;si tratterebbe di specificarli secondo laloro appartenenza a questo o a quel ti-po di semiotica* (monoplanare, bipla-nare, pluriplanare).

→ Significante, Significato,Articolazione, Referente, Semiologia,

Sociosemiotica

Segreto, n.m. Secret, Secret, Secreto

Nel quadrato semiotico delle modalitàveridittive, si designa con il nome di se-greto il termine complementare chesussume i termini essere e non-appariresituati sulla deissi* positiva.

→ Veridittive (modalità –),Sospensione, Quadrato semiotico,

Marca

Selezione, n.f. Sélection, Selection, Selección

La selezione è il termine con cui L.Hjelmslev chiama la presupposizioneunilaterale quando questa è riconosciu-ta nella catena sintagmatica*. L’uso hatendenza a generalizzare questo termi-ne applicandolo anche alle relazioni pa-radigmatiche.

→ Unilaterale (presupposizione –)

Sema, n.m. Séme, Seme, Sema

1. Il sema designa comunementel’“unità minima” (comparabile al trattopertinente* o solo distintivo* dellaScuola di Praga) della significazione*:situato sul piano del contenuto*, corri-sponde al fema*, unità del piano dell’e-spressione*. Conservando il paralleli-smo fra i due piani di linguaggio, si puòdire che i semi sono elementi costitutividei sememi*, proprio come i femi lo so-no dei fonemi, e che un sistema seman-tico può essere postulato – a titolo d’i-potesi* – per render conto del pianodel contenuto di una semiotica*, com-parabile al sistema fonologico le cui ar-ticolazioni costituiscono il piano dell’e-spressione. 2. Il sema non è un elemento atomico eautonomo, deve, al contrario, la sua esi-

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stenza allo scarto differenziale che l’op-pone ad altri semi. In altre parole, la na-tura dei semi è unicamente relazionale,e non sostanziale, e il sema può esseredefinito come termine*-risultante dellarelazione* che si instaura e/o che si co-glie con almeno un altro termine di unastessa rete relazionale. È riconoscerecosì che la categoria semica (=catego-ria* semantica che serve alla costituzio-ne del piano del contenuto) è logica-mente anteriore ai semi che la costitui-scono e che i semi non possono esserecolti se non all’interno della struttura*elementare della significazione. È dan-do uno status logico preciso alle rela-zioni costitutive di tale struttura (con-traddizione*, contrarietà*, implicazio-ne*) che si determina il concetto di se-ma e lo si rende operativo*. 3. I semi, se non sono altro che termi-ni, cioè punti d’intersezione e d’incon-tro di relazioni significanti (e corrispon-dono solo raramente a realizzazioni les-sicali in lingua naturale), devono esseredenominati, al momento della procedu-ra d’analisi, in modo arbitrario*: verti-calità/orizzontalità, per esempio, sonodenominazioni di carattere metalingui-stico*, alle quali conviene dare un’orga-nizzazione coerente: non si tratta qui disemplici parafrasi* in lingua naturale. Èuna relazione teorica che oppone i se-miologi (come noi stessi) ai semanticigenerativisti, e anche a B. Pottier: l’ana-lisi semica* per noi è una costruzionemetalinguistica. 4. La definizione approssimativa delsema come “unità minimale” del conte-nuto dev’essere rimessa in questionenon solo nel suo status d’unità*, ma an-che di unità “minima”. – a) Teoricamente, è facile immaginareche la combinatoria* di una ventina dicategorie semiche (numero comparabi-le a quello delle categorie femiche mes-se a profitto da una lingua naturale qua-lunque) possa produrre una quantità disememi tale da soddisfare interamente ibisogni di una lingua naturale o di ogni

altra semiotica. Le categorie semiche,così inventariate, conterrebbero senzaalcun dubbio l’insieme degli universali(primitivi/universali*) del linguaggio. Èin questo senso che si può parlare di se-mi come unità minime della significa-zione. Si vede tuttavia che in mancanzadi un inventario completo dei semi“primitivi”, qualsiasi analisi semica sa-rebbe inefficace. – b) Il carattere “minimale” del semadeve poi essere inteso in senso moltorelativo, come minimale in rapporto alcampo d’esplorazione scelto. Così, inpresenza di una data terminologia dellaparentela o di una classe sintagmaticadi determinativi costituiti in paradigmachiuso, l’analisi semica richiederà sol-tanto il numero minimo di tratti diffe-renziali (o di categorie semiche) neces-sari a esplicitare tutte le opposizioni frai morfemi esaminati. Lo stesso dicasiper l’analisi della componente semanti-ca di un discorso o di una collezione didiscorsi. Il carattere minimale del sema(che, non dimentichiamolo, è un’entitàcostruita) è dunque relativo e si fondasul criterio di pertinenza* della descri-zione. 5. L’esame delle diverse categorie semi-che permette di distinguere più classi: – a) i semi figurativi (o esterocettivi*)sono grandezze* del piano del contenu-to delle lingue* naturali che corrispon-dono agli elementi del piano dell’e-spressione* della semiotica del mondo*naturale, cioè alle articolazioni degli or-dini sensoriali, alle qualità sensibili delmondo; – b) i semi astratti (o interocettivi*) so-no grandezze del contenuto che non siriferiscono ad alcuna esteriorità, ma cheal contrario servono a categorizzare* ilmondo e a instaurarne la significazione:è il caso, per esempio, delle categorie direlazione/termine, oggetto/processo; – c) i semi timici* (o propriocettivi*)connotano i microsistemi semici secondola categoria euforia/disforia, portandolialla condizione di sistemi assiologici*.

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Semantema

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6. Si possono distinguere due modi diorganizzazione degli insiemi semici: – a) le strutture tassonomiche* (o siste-matiche), che rappresentano l’organiz-zazione delle categorie semiche omoge-nee in gerarchie* (fondate su relazioniiponimiche*); – b) le strutture morfematiche, che ri-sultano dalle articolazioni integrative disemi provenienti da diversi microsiste-mi e categorie semiche e che si presen-tano come figure* (i cui diversi elemen-ti intrattengono relazioni ipotattiche*). È alla concezione tassonomica e all’or-ganizzazione semica che rinvia la distin-zione stabilita da Pottier fra semi gene-rici e semi specifici; è all’organizzazio-ne morfematica che si riferisce la nostraconcezione delle figure semiche (costi-tutive di nuclei* sememici). 7. La messa in opera della combinato-ria semica produce un gran numero disememi che non sono però semplicicollezioni di semi, ma costruzioni ipo-tattiche che obbediscono a un insiemedi regole di formazione. All’interno diun semema, si possono distinguere i se-mi contestuali* (che il semema ha incomune con gli altri elementi dell’e-nunciato semantico) e i semi nucleari*che caratterizzano il semema (ed even-tualmente il lessema di sua competen-za) nella sua specificità.

→ Semica (analisi –), Struttura,Quadrato semiotico, Semema

Semantema, n.m. Sémantème, Semanteme, Semantema

1. Il termine semantema appartiene auna terminologia oggi abbandonata, incui designava la base lessicale di unaparola in opposizione al morfema* (checomportava informazioni grammatica-li). Oggi è sostituito, in questa accezio-ne, da morfema lessicale (o lessema*).Quando si vuol parlare dell’investimen-to* semantico di un morfema o di un

enunciato*, anteriormente alla sua ana-lisi*, è preferibile utilizzare il termine disemantismo. 2. Il termine di semantema è stato re-centemente ripreso da B. Pottier perdenominare, nel suo sistema, il sottoin-sieme di semi* specifici che, con il clas-sema* (sottoinsieme di semi generici) eil virtuema* (sottoinsieme di semi con-notativi), costituisce il semema*.

Semantica, n.f. Sémantique, Semantics, Semántica

1. Opposta talvolta alla coppia foneti-ca-fonologia, talvolta alla sintassi (piùin particolare in logica), la semantica èuna delle componenti* della teoria dellinguaggio (o della grammatica*). 2. Nel XIX secolo la linguistica si eraoccupata soprattutto dell’elaborazionedella fonetica* e della morfologia*; nelXX secolo, come per un’inversione ditendenza, si è incaricata di sviluppareanzitutto la sintassi* e la semantica. In-fatti, solo alla fine del Novecento M.Bréal formula per primo i principi diuna semantica diacronica, concepitaper studiare i mutamenti di senso delleparole, adattando alla dimensione so-ciale delle lingue naturali gli strumentidella vecchia retorica (e più in partico-lare della tropologia) e della stilisticadel XIX secolo. 3. Abbandonando la dimensione dia-cronica delle ricerche a profitto di unadescrizione sincronica dei fatti di signi-ficazione, la semantica si fa carico – nel-la prima metà del XX secolo – del rico-noscimento e dell’analisi dei campi* se-mantici (o nozionali o concettuali). Apartire dai lavori di J. Trier che pratica-va parallelamente gli approcci semasio-logico* e onomasiologico*, prende ilnome di lessicologia (G. Matoré). Que-sta semantica lessicale conserva tutta-via il vocabolo* come unità di base del-le sue analisi e si ricollega in tal modoall’ipotesi di Sapir-Whorf, relativa alla

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categorizzazione* del mondo medianteil dispositivo lessicale delle lingue natu-rali. Quest’approccio, il cui intento ètassonomico, ha prodotto tuttavia – inassenza di criteri inerenti alla strutturaimmanente del linguaggio – solo risul-tati parziali e limitati. 4. È negli anni sessanta che l’utilizzo delmodello fonologico* – basato sul postu-lato più o meno esplicito del paralleli-smo dei due piani* di linguaggio – haspianato la strada a ciò che si chiama co-munemente la semantica strutturale.Considerando che il piano dell’espres-sione* di una lingua è costituito di scartidifferenziali e che a tali scarti del signifi-cante* devono corrispondere scarti del si-gnificato* (interpretabili come tratti di-stintivi* della significazione), questonuovo approccio trova così un modoper analizzare le unità lessicali manifeste(morfemi o simili), scomponendole inunità soggiacenti più piccole (dette avolte minimali), cioè i tratti semantici osemi*. A prescindere dai presuppostiteorici dei linguisti impegnati in questaricerca (citiamo, senza ordine, i nomi diWeinrich, Pottier, Greimas, Apresjan,Katz e Fodor), e senza considerare i ri-sultati – più o meno soddisfacenti – ot-tenuti individualmente da ciascuno diessi, non si può negare che la semanticastrutturale costituisca una tappa decisi-va: la sua esperienza metodologica hareso possibile una nuova riflessione sul-la teoria della significazione e ha apertola strada alla semiotica. 5. Così com’è, la semantica d’oggi sem-bra aver messo da parte le apprensionidi molti linguisti, cristallizzate nella fa-mosa formula di L. Bloomfield, secon-do cui il senso esiste senza che per que-sto si possa dirne qualcosa di sensato.Infatti, se una certa “materialità” del si-gnificante* garantisce una descrizionescientifica, il piano del significato* – chepoteva solo essere presupposto – sfuggi-va a un approccio positivo. È stata ne-cessaria una vera rivoluzione mentale –che ha sostituito alle certezze di una de-

scrizione dei “fatti” di linguaggio l’ideache la linguistica sia solo una costru-zione teorica, che cerca di rendereconto di fenomeni altrimenti (e diret-tamente) insondabili –, perché la se-mantica fosse ammessa e riconosciutacome un linguaggio costruito, capacedi parlare del linguaggio-oggetto. Oc-corre inoltre precisare che lo statusdella semantica, in quanto metalin-guaggio*, divide, più o meno consape-volmente, i semantici: accanto a unprogetto che esige un metalinguaggioscientifico a cui noi ci ricolleghiamo, illinguaggio semantico è spesso consi-derato come una semplice parafrasi inlingua naturale. 6. Fra i problemi ancora in sospeso chela semantica è chiamata a risolvere, se-gnaliamo anzitutto quello della produ-zione semica. Si può immaginare, teori-camente, che una ventina di categorie*semiche binarie, considerate come basetassonomica di una combinatoria*, siasuscettibile di produrre qualche milio-ne di combinazioni sememiche, nume-ro ampiamente sufficiente, a prima vi-sta, per coprire l’universo semanticocoestensivo a una lingua naturale data.Senza parlare della difficoltà pratica distabilire una simile base di universali(primitivi/universali*) semantici, un al-tro problema – non meno arduo – sipresenta quando si tratta di precisare leregole di compatibilità semantiche, chepresiedono non solo alla costruzionedei sememi*, ma anche di unità sintag-matiche più larghe (enunciato, discor-so). Così si vede che l’analisi semica (ocomponenziale) non ottiene risultatisoddisfacenti se non praticando descri-zioni tassonomiche limitate (suscettibilidi essere estese alla strutturazione* dicampi semantici più aperti), e che l’ideadi poter disporre, per l’interpretazionesemantica, di matrici comparabili aquelle che la fonologia è capace di for-nire per la propria interpretazione, de-ve essere abbandonata; infine la seman-tica linguistica (generativa o logica, alla

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Semantica

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maniera di O. Ducrot) viene ridotta co-sì a esplicitare soltanto eventuali uni-versali. Si è dovuta abbandonare quindila grande illusione degli anni sessanta –si riteneva possibile dotare la linguisticadei mezzi necessari per l’analisi esausti-va del piano del contenuto delle linguenaturali – in quanto la linguistica si eraimpegnata in tal modo, senza renderse-ne conto, nel progetto straordinario diuna descrizione completa dell’insiemedelle culture, progetto che ha le dimen-sioni stesse dell’umanità. 7. Per poter superare la fase del suosviluppo (qui brevemente descritta), lasemantica – quale ci dedichiamo a ela-borarla nel quadro del Gruppo di Ri-cerche semiolinguistiche – deve soddi-sfare, sembra, ad almeno tre condizioniprincipali. – a) Deve essere generativa, concepitasotto forma di investimenti progressividel contenuto, disposta su piani succes-sivi, che vanno dagli investimenti piùastratti* verso i più concreti* e figurati-vi*, in modo tale che a ogni piano sipossa assegnare una rappresentazione*metalinguistica esplicita*. – b) Deve essere sintagmatica, e nonpiù soltanto tassonomica. Deve quindicercare di render conto non di unitàlessicali particolari, ma della produzio-ne e dell’apprensione del discorso. Suquesto punto, l’importanza riconosciu-ta ai semi contestuali* nella costruzio-ne dei sememi permette di postularel’ipotesi* seguente: gli investimenti se-mantici più profondi corrispondono aunità sintagmatiche le cui dimensionisono vastissime e servono da base perstabilire delle isotopie* discorsive; inquesto modo, nuovi strati d’investi-mento daranno luogo a specificazionidi contenuti, scomponendo il discorsoin unità sintagmatiche più piccole pergiungere infine a combinazioni seme-miche. – c) La semantica deve essere generale:le lingue* naturali, esattamente come imondi* naturali, sono luoghi di appari-

zione e di produzione di semiotichemultiple e si deve postulare l’unicità delsenso e riconoscere che può essere ma-nifestato da semiotiche diverse o da pa-recchie semiotiche a un tempo (nel casodello spettacolo, per esempio): è perquesto che la semantica rientra in unateoria generale della significazione. 8. Nel quadro della grammatica* se-miotica, quale la concepiamo, si distin-gueranno due componenti complemen-tari – sintattica e semantica – articolabi-li su due livelli di profondità. Il percor-so generativo* del discorso comporteràcosì due istanze semantiche, a livello se-miotico o narrativo, quella di una se-mantica fondamentale, dotata di unarappresentazione logica astratta, e quel-la di una semantica narrativa, i cui in-vestimenti si inseriscono nelle formedella sintassi* narrativa di superficie.La rappresentazione semantico-sintat-tica che ne risulta è quella delle struttu-re semiotiche, suscettibili di essere as-sunte dall’istanza di enunciazione* invista della produzione del discorso.

→ Contenuto, Generativo (percorso –),Semantica fondamentale, Semantica

narrativa, Semantica discorsiva,Semantica generativa

Semantica discorsivaSémantique discursive, Semanticsdiscoursive, Semántica discursiva

A.1. La messa in discorso (o discorsiviz-zazione*) delle strutture semiotiche enarrative può essere definita, dal puntodi vista sintattico, come un insieme diprocedure di attorializzazione*, di tem-poralizzazione* e di spazializzazione*;dal lato semantico, parallelamente,nuovi investimenti – che cercheremo didisporre su più piani – accompagnanoquesta riorganizzazione sintagmatica.Un esempio molto semplice servirà aprecisare ciò che intendiamo. Suppo-

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Semantica discorsiva

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niamo che esista, a livello delle struttu-re narrative, un programma* narrativoil cui attante oggetto è investito dal va-lore* “libertà” (valore che partecipadella struttura modale del potere); poi-ché questo oggetto è posto come di-sgiunto dal soggetto, il valore “libertà”costituirà l’intento del percorso narrati-vo* del soggetto. Quindi l’inscrizionedi tale percorso nel discorso può darluogo, per esempio, alla sua spazializza-zione e il percorso “libertà” potrà esse-re tematizzato, per questo, come unpercorso “evasione”. Tuttavia l’evasio-ne resta ancora un percorso astratto*:nuovi investimenti sono suscettibili difigurativizzarlo, presentandolo, per e-sempio, come un imbarco per mari lon-tani. Si dirà dunque che un percorsonarrativo dato può essere convertito, almomento della discorsivizzazione, siain un percorso tematico, sia, con unatappa ulteriore, in un percorso figurati-vo*, e si distingueranno così – tenendoconto delle due procedure di tematiz-zazione* e di figurativizzazione* – duegrandi classi di discorso: i discorsi nonfigurativi (o astratti) e quelli figurativi. 2. La distanza che separa i due livellidiscorsivi è dunque il luogo di conver-sioni* semantiche di complessità varia-bile. Così alcuni discorsi sono capaci diutilizzare un percorso tematico conver-tendolo successivamente in più percor-si figurativi: è il caso, frequente, delleparabole del Vangelo. Altri invece, an-ziché disporre i percorsi figurativi insuccessione, li sovrappongono, in si-multanea, gli uni sugli altri: come acca-de nei casi di pluri-isotopia* che dannoluogo a letture* multiple di un solo di-scorso. È sempre a questo livello che siinserisce l’assunzione, da parte del di-scorso, di numerose figure* e configu-razioni* discorsive (di carattere spessoiterativo e migratorio): si tratta insom-ma di un vasto ambito di ricerca ancoraassai poco esplorato, che compete allasemantica discorsiva. 3. All’interno del livello figurativo del

discorso, conviene distinguere i duestadi della figurazione e dell’iconizza-zione*. Mentre la figurazione consistenella messa in opera, nello svolgersi deldiscorso, di un insieme di figure* (cfr.le figure nucleari*, gli schemi di G. Ba-chelard, i disegni dei bambini ecc.), l’i-conizzazione cerca, a un livello piùavanzato, di “rivestire” queste figurerenderle simili alla “realtà”, creandocosì l’illusione referenziale*. Sempre aquesto livello si collocano le procedureonomastiche* che corrispondono, sulpiano semantico, con l’antroponimia*, lacrononimia*, e toponimia*, ovvero conle tre principali procedure sintattichedella discorsivizzazione (attorializzazio-ne, temporalizzazione, spazializzazione). 4. Allo stato attuale delle ricerche se-miotiche, è evidentemente impossibiledeterminare con sicurezza l’economiagenerale della semantica discorsiva. Èper questo che non si può indicare altroche le grandi linee di un progetto fonda-to su un certo numero di postulati: dalpunto di vista metodologico convienescomporre il percorso generativo* deldiscorso, che va dall’astratto al concretoe al figurativo, in tante istanze semiauto-nome quante ne occorrono per far sìche si colgano meglio, a ogni tappa, isuoi modi particolari di produzione: delresto il processo di generazione nel suoinsieme – nonché gli investimenti se-mantici riconoscibili a ogni stadio – co-stituiscono altrettante restrizioni* e spe-cificazioni del discorso che si cerca digenerare; l’insieme delle opzioni succes-sive e delle selezioni che ne deriverannopotranno allora servire come punto dipartenza per una tipologia dei discorsi.

→ Semantica narrativa, Tematizzazione,Figurativizzazione, Configurazione,

Generativo (percorso –)

B.1. La semantica discorsiva – tematiz-zazione* e figurativizzazione* – è in viadi elaborazione; quelle che seguono so-

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Semantica discorsiva

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no alcune osservazioni generali circa lesue relazioni con le componenti semio-narrative. Suggeriscono semplicementeuna pista che, se esplorata, può contri-buire a mettere a punto la questione.2. La semantica discorsiva – come lasintassi* discorsiva – è definita dallaprocedura di discorsivizzazione*, cheentra in gioco al livello dell’enuncia-zione, cioè al livello della realizzazionecomplessiva delle strutture semio-nar-rative nel loro insieme. Possiamo con-siderare la discorsivizzazione come laserie ordinata di due programmi: ilprimo è un programma di competenza,un’operazione sulle strutture semio-narrative attualizzate con la quale essediventano competenza semantica del-l’enunciatore che le assume; il secondoè un programma di performanza, intesocome la manipolazione della compe-tenza semantica dell’enunciatario. Col-to questo, si può concludere che la se-mantica discorsiva è la realizzazione,non di uno, ma di due insiemi di strut-ture semio-narrative attualizzate: quel-la dell’enunciatore e quella dell’enun-ciatario.3. Si già visto che le procedure di figu-rativizzazione possono essere descrittecome il doppio investimento semanticodi un enunciato di stato il cui oggetto èdapprima investito di un valore e poisottoposto a un secondo “investimen-to* semantico, che permette all’enun-ciatario di riconoscerlo come una figura(v. Figurativizzazione 2.). Presumibil-mente, il primo investimento semanticoè la procedura di tematizzazione, defi-nibile come la presa in carico dei valorisemantici già attualizzati dalla semanti-ca narrativa dell’enunciatore. Il secon-do, specifico allora della figurativizza-zione, sarà la sovradeterminazione diun tema tramite la presa in carico deivalori semantici già attualizzati dalla se-mantica dell’enunciatario, il quale rico-noscerà dunque il risultato di questodoppio investimento come una figura.4. In quest’ottica vanno recepite le

proposte di P.A. Brandt e J. Petitot, percui i termini di seconda generazione delquadrato semiotico – come le moda-lità* veridittive: verità, falsità, segreto,menzogna – possono essere compresisolo attraverso un secondo investimen-to semantico del quadrato. I termini diseconda generazione dei quadrati se-miotici sarebbero quindi il risultato diuna sovradeterminazione della seman-tica narrativa fondamentale e della se-mantica narrativa dell’enunciatore daparte di quella dell’enunciatario.5. Questi esempi e queste questionisuggeriscono che per proseguire nell’e-laborazione delle strutture discorsive,l’ipotesi, secondo cui le strutture narra-tive realizzate sarebbero il risultato del-la realizzazione di due insiemi di strut-ture semio-narrative attualizzate, do-vrebbe diventare l’oggetto di ricercheapprofondite. (D.P.)

→ Generativo (percorso –)

Semantica fondamentaleSémantique fondamentale,Fundamental Semantics, Semánticafundamental

1. Complementare della semantica nar-rativa, e costitutiva, con essa, della com-ponente* semantica della grammaticasemiotica (a livello delle strutture se-miotiche), la semantica fondamentale sidefinisce per il suo carattere astratto*,in quanto corrisponde – con la sintassi*fondamentale – all’istanza ab quo delpercorso generativo* del senso. Le uni-tà che la istituiscono sono strutture* ele-mentari della significazione e possonoessere formulate come categorie* se-mantiche, suscettibili di essere articola-te sul quadrato* semiotico (il che confe-risce loro uno status logico-semantico ele rende operative). 2. Di norma, si considera che una solacategoria semantica basta per ordinaree produrre, attraverso investimenti*

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Semantica generativa

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successivi ad ogni istanza generativa,un microuniverso* di discorso. Tutta-via, due categorie semantiche distinte,assunte come schemi* del quadrato se-miotico, possono generare egualmenteun discorso innovatore (analitico o sin-tetico-mitico). L’esistenza di discorsinon conclusi o di discorsi incoerentinon contraddice una simile concezione:proprio come un discorso a due voci(dialogo*) o un discorso a più voci (di-battito) può costituire un solo ed unicouniverso di discorso e dover la sua or-ganizzazione fondamentale a una solacategoria (o a una coppia di categorieincrociate), un unico discorso manife-stato può essere incoerente e partecipa-re a più universi di discorso. Sotto de-terminate condizioni, si può anche pre-vedere il caso in cui una sola categoria(o due schemi incrociati) che regge unmicrouniverso regga altre categorie su-bordinate o anche soltanto coordinate:un simile dispositivo, di forma gerar-chica, che sorregge un universo cultu-rale dato, sarà detto episteme*. 3. Dato che un universo* semantico sipuò articolare in due modi sia come ununiverso individuale* (una “persona”),sia come un universo sociale (una “cul-tura”), è possibile suggerire – a titolod’ipotesi – l’esistenza di due generi diuniversali (primitivi/universali*) seman-tici – la categoria vita/morte e quella na-tura/cultura – la cui efficacia operativapare incontestabile. 4. La semantica fondamentale appare,a quel livello, come un inventario (ouna tassonomia?) di categorie semiche,suscettibili di essere impiegate come al-trettanti sistemi assiologici* virtuali* icui valori si attualizzano solo al livellonarrativo, al momento della loro con-giunzione con i soggetti. Una similestruttura assiologica elementare, di or-dine paradigmatico*, può essere sintag-matizzata grazie alle operazioni sintatti-che che fanno compiere ai termini deipercorsi prevedibili sul quadrato se-miotico: la struttura semantica dunque

si presta a ricevere, su questo piano,una rappresentazione sintagmatica.

→ Generativo (percorso –), Semantica, Struttura (elementare

della significazione), Episteme,Universo semantico

Semantica generativaSémantique générative, GenerativeSemantics, Semántica generativa

1. Nel momento in cui la grammaticagenerativa* si sforzava di situare lacomponente semantica non più al sololivello delle strutture profonde, ma lun-go tutto lo sviluppo del percorso tra-sformazionale, e dunque di riconciliarela sintassi e la semantica (inizialmente,del tutto separate), la semantica gene-rativa ha rovesciato i dati del problema,postulando che l’istanza ab quo del per-corso generativo* sia costituita da for-me logico-semantiche a partire dallequali, per un gioco di trasformazioni*,vengono generate le forme di superficie(la componente fonologica permetteràpoi di dare una rappresentazione fone-tica dell’enunciato): allo stesso tempo,la questione dell’interpretazione se-mantica – spinosa in grammatica gene-rativa – è stata risolta. 2. L’esclusione di un approccio pura-mente formale a profitto di un’opzioneautenticamente semantica avvicina la se-mantica generativa alla semiotica fran-cese. Anche se il modello attuale è anco-ra molto approssimativo, lo si può com-parare, per esempio, alla nostra conce-zione del percorso generativo, e la suaorganizzazione delle strutture profondepuò corrispondere, in parte, al livelloprofondo della nostra grammatica* se-miotica. 3. Comunque, anche se la semantica ge-nerativa testimonia di un interesse posi-tivo per gli universali (primitivi/univer-sali*), le sue ricerche sembrano oggimolto localizzate e mancano soprattutto

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Semantica narrativa

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di una teoria generale della significazio-ne. Del resto, a differenza del nostroprogetto scientifico, la semantica gene-rativa sembra rifiutare (o, quanto meno,sottolineare la sua indifferenza per) ilmetalinguaggio* descrittivo.

→ Generativo (percorso –), Generativa(grammatica –)

Semantica narrativaSémantique narrative, NarrativeSemantics, Semántica narrativa

1. Nell’economia del percorso genera-tivo*, la semantica narrativa va consi-derata come l’istanza di attualizzazionedei valori. Infatti, se il livello fonda-mentale, in cui si inseriscono la sintas-si* e la semantica* fondamentali, è de-stinato ad articolare e a dar forma cate-gorica al microuniverso* capace di pro-durre le significazioni discorsive, taleuniverso organizzato resta ancora quel-lo dei valori virtuali finché non è assun-to, preso in carico da un soggetto. Ilpassaggio dalla semantica fondamenta-le alla semantica narrativa consiste dun-que essenzialmente nella selezione deivalori disponibili – e disposti sul (o sui)quadrato(i) semiotico(i) – e nella attua-lizzazione realizzata tramite la congiun-zione* con soggetti della sintassi narra-tiva di superficie. Mentre il livello fon-damentale si presenta come un disposi-tivo assiologico, suscettibile di servireda fondamento per generare un venta-glio tipologico di discorsi possibili, il li-vello narrativo della semantica è il luogodelle restrizioni imposte alla combi-natoria, in cui si decide in parte il tipodi discorso da produrre. 2. Lo stampo sintattico in cui si effettual’investimento dei valori selezionati è l’e-nunciato di stato*. Indipendentementedalla natura del valore – che può esseremodale*, culturale, soggettivo* o ogget-tivo* –, la sua inscrizione nell’attante-og-getto in congiunzione con il soggetto de-

finisce quest’ultimo nel suo “essere”mobile, attuabile in vista del program-ma* narrativo che lo trasformerà. Se l’at-tualizzazione dei valori solleva in tal mo-do i programmi narrativi fino alla signifi-cazione, il percorso narrativo* costitui-sce il quadro sintattico dell’accumula-zione (non solo addizionale ma anche“memoriale”, come sarà testimoniato, alivello di semantica discorsiva, dal ruolotematico*) dei valori.

→ Semantica fondamentale, Sintassinarrativa di superficie, Attualizzazione,

Generativo (percorso –)

Semanticità, n.f. Sémanticité, Semanticity, Semanticidad

A differenza della linguistica generati-va* e trasformazionale, per cui la se-manticità di un enunciato* corrispondealla possibilità che esso ha di ricevereun’interpretazione semantica (cosa chemette in gioco una stima epistemica*dell’enunciatario*), si intenderà per se-manticità – da un punto di vista opera-tivo* – la relazione di compatibilità cheintrattengono due elementi del livellosemantico (come due semi* o due se-memi*), grazie alla quale essi possonoessere presenti insieme in un’unità ge-rarchicamente superiore: si tratta nonsolo di criteri di accettabilità*, ma an-che di interpretazione semantica.

→ Compatibilità, Accettabilità,Interpretazione

Semantico (inventario –, livello –),agg. Sémantique (inventaire –, niveau –),Semantic (Inventory, Level), Semántico (inventario –, nivel –)

In opposizione all’inventario semiolo-gico* delle categorie* semiche che rien-trano nel piano del contenuto* delle

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lingue naturali e corrispondono a figu-re* dell’espressione* della semiotica na-turale*, l’inventario semantico (nel sen-so stretto del termine) è costituito dacategorie che non hanno alcun rappor-to con il mondo esteriore quale lo per-cepiamo e che sono presupposte anchedalla categorizzazione* del mondo. Perevitare qualsiasi confusione terminolo-gica, ci proponiamo di adoperare ilqualificativo figurativo* per sostituiresemiologico, e quello non figurativo (oastratto), al posto di semantico.

→ Interocettività

Semantismo, n.m. Sémantismo, Semanticism, Semantismo

Si dà il nome di semantismo all’investi-mento semantico di un morfema* o diun enunciato*, precedentemente a qual-siasi analisi.

→ Investimento semantico

Semasiologia, n.f. Sémasiologie, Semasiology, Semasiología

Il termine semasiologia designa in se-mantica lessicale il tentativo volto alladescrizione delle significazioni* a parti-re dai segni* minimali (o dai lessemi*).La semasiologia è di solito opposta al-l’onomasiologia.

→ Onomasiologia, Semantica

Sembrare, n.m. Paraître, Appearing, Parecer

Si definisce sembrare il termine* positi-vo dello schema* della manifestazio-ne*, che dipende dal quadrato* semio-tico sul quale si trova proiettata la cate-goria modale della veridizione. Il termi-

ne sembrare è in relazione di contrarietàcon quello di essere (inteso, in questosenso, come termine positivo delloschema dell’immanenza*). La doppiaoperazione, che ha per effetto l’asser-zione dei termini sembrare ed essere,produce il termine veridittivo comples-so denominato verità* (che caratterizzauno stato del quale si dice che esso “ap-pare” ed “è” allo stesso tempo). Costituenti della categorizzazione mo-dale della veridizione*, /sembrare/ ed/essere/ non vanno presi come entità on-tologiche (il sembrare, l’essere). Si trattapur sempre di caratterizzare, in un di-spositivo veridittivo, uno stato, secondol’essere o secondo il sembrare. (L.P.)

→ Veridittive (modalità –)

Semema, n.m. Sémème, Sememe, Semema

1. Nella terminologia proposta da B.Pottier, il semema si definisce comel’insieme dei semi* riconoscibili all’in-terno del segno* minimale (o morfe-ma*). L’unità di significazione così de-limitata è composta da tre sottoinsiemisemici: il classema* (i semi generici), ilsemantema* (i semi specifici), e il vir-tuema* (i semi connotativi). 2. Rispetto a questa definizione, la no-stra concezione del semema si distinguein più punti fondamentali. – a) Mentre Pottier attribuisce al seme-ma la totalità degli investimenti* del si-gnificato* di un morfema, il semema –per noi – corrisponde a ciò che un lin-guaggio ordinario intende per “accezio-ne”, “senso particolare” di una parola.Il semema di Pottier corrisponde dun-que al nostro lessema*, che è costituitoda un insieme di sememi (insieme chepuò essere, al limite, monosememico*)raccolti da un nucleo* semico comune.Così, il lessema “tavola” comporta, oltreal semema designato dai dizionari come

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“superficie piana retta da uno o più pie-di”, altri sememi riconoscibili entroespressioni come “tavola illustrata”,“tavole della legge”, “tavola pitagorica”ecc. Il lessema – in quanto unione di se-memi – è, come si vede, il risultato dellosviluppo storico di una lingua naturale,mentre il semema è un fatto strutturale,un’unità del piano del contenuto. – b) Il semantismo*, comune a più se-memi rivestiti da uno stesso formante*,ma distinto dagli investimenti semicidei sememi contigui della stessa cate-na*, costituisce il nucleo del semema eassicura la sua specificità semantica(cfr. i semi specifici di Pottier, o se-mantema). Questo nucleo – o figura se-mica – è ciò che il semema possiede inproprio, mentre il resto gli proviene dalcontesto* (di solito, dall’unità conte-stuale minima, formata da almeno duesememi) e costituisce la sua base classe-matica*. In altre parole, il semema nonè un’unità di significazione delimitatadalle dimensioni del segno minimale; inimmanenza o “in lingua”, come si dice,non è che una figura semica: solo al mo-mento della sua manifestazione nel di-scorso, questa figura raggiunge la suabase classematica (costituita di semicontestuali) e seleziona così un percor-so sememico che la realizza come se-mema, escludendo altri percorsi possi-bili, rimasti virtuali ma suscettibili diprodurre, in altri contesti discorsivi, al-tri sememi di uno stesso lessema. Allascomposizione del semema in:

semema = semantema + classema

proposta da Pottier, la nostra analisisuggerisce di sostituire un’altra parti-zione:

semema = figura semica + base classematica

due formulazioni i cui fondamenti teo-rici sono diversi. (Lasciamo qui apertoil problema del virtuema.)

– c) La distinzione così stabilita fra illessema (legato al suo formante) e il se-mema (unità risultante dall’articolazio-ne del solo piano del contenuto) liberal’analisi semantica dalle costrizioni delsegno* e permette di ritrovare, sotto di-verse coperture lessematiche, contenutisememici simili o confrontabili. Preci-sando in anticipo il livello d’analisi chesi considera come pertinente, e operan-do la sospensione* delle opposizioni se-miche giudicate non pertinenti, si arri-verà al passaggio dalla parasinonimia*dei sememi al riconoscimento della lorosinonimia* e a costituire così delle clas-si di sememi (o di sememi costruiti) cheraccolgono un buon numero di seme-mi-occorrimenti dispersi nel discorso eappartenenti a lessemi differenti. – d) Infine, il semema non può essereconsiderato come una collezione di se-mi, prodotti di una pura combinatoria.Si presenta come un’organizzazionesintattica* di semi, e le figure semichecontengono spesso, in modo implicito,strutture attanziali (per esempio, “do-nare” implica la presenza di almenodue posizioni attanziali) e/o di configu-razioni* tematiche più o meno com-plesse (“rantolare”, per esempio, vuoldire “emettere un rumore rauco, quan-do si parla di un moribondo”).

→ Sema, Semica (analisi –)

Semica (analisi –), agg. Sémique (analyse –), Semic (Analysis),Sémico (análisis –)

1. L’analisi semica e l’analisi compo-nenziale sono, di solito, riunite insieme,malgrado le loro origini distinte (l’una èeuropea, l’altra americana). Il loro svi-luppo è autonomo e i loro progetti sonodivergenti: la prima mira a rendere con-to dell’organizzazione semantica di uncampo lessicale, la seconda a descrivereil più economicamente possibile la ter-minologia della parentela. Hanno in co-

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Semica (analisi –)

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mune il fatto di essere procedure tasso-nomiche* che cercano di mettere in lu-ce l’organizzazione paradigmatica* deifatti linguistici sul piano semantico*,stabilendo delle distinzioni grazie aitratti pertinenti* (opposizione di semi*in un caso, di “componenti” o elementicostituenti, nell’altro). 2. L’analisi semica può essere conside-rata, a giusto titolo, il prolungamentodell’analisi distribuzionale*, ma con ilcontributo degli strumenti semantici: laclasse dei determinanti del sostantivo,per esempio, una volta costituita graziealle distribuzioni*, sarà trattata come unparadigma* chiuso, formato dalle sotto-classi articoli, dimostrativi, possessiviecc. e che non possono essere definiti senon tramite opposizioni semiche; l’ana-lisi ulteriore di queste sottoclassi, preseuna a una, permette di articolarle in ca-tegorie* grammaticali ecc. 3. La complessità aumenta se si voglio-no trattare allo stesso modo le classiaperte (radicali, nominali o verbali): icriteri scelti per delimitare una sotto-classe formata da lessemi, sono poco si-curi e spesso intuitivi (così B. Pottier,che inaugura questo genere di analisicon la tassonomia dei “sedili”, si riferi-sce al concetto vago di “campo di espe-rienze”, di cui riconosce la fragilità),mentre la natura dei semi (“per seder-si”, “con braccioli”, “con schienale”ecc.), che opera le distinzioni necessa-rie, è problematica. Il rischio di un si-mile approccio – lo mostrano chiara-mente i suoi prolungamenti nella classi-ficazione dei mezzi di trasporto, peresempio – consiste nello scivolare im-percettibilmente dall’analisi di un cam-po semantico a quella di un campo d’e-sperienza (psicologico), per giungereinfine alla descrizione di un campo di“realtà” (fisico). 4. L’analisi componenziale sceglie co-me oggetto, inizialmente, un micro-si-stema costituito, all’interno delle linguenaturali, dalla terminologia della paren-tela. Il carattere strano, unico, di questo

micro-sistema – il cui funzionamentopuò essere comparato solo a quello del-la categoria della persona – presentaper l’analisi vantaggi e inconvenienti. Iprincipali vantaggi, che assicurano al-l’analisi componenziale omogeneità* erigore, sono la natura puramente para-digmatica di questo codice* e il suo ca-rattere puramente semantico e arbitra-rio* (l’ego, che fa da punto di riferi-mento a tutto il sistema, non può essereidentificato con nessun essere umanoreferenziale). Utilizzando soltanto unpiccolo numero di categorie semiche –consanguineità/alleanza, lateralità/ver-ticalità, avvicinamento/allontanamento(calcolo dei gradi di parentela) ecc. –,l’analisi componenziale riesce a costrui-re un modello tassonomico quasi per-fetto. Ma il suo inconveniente maggioreconsiste nel carattere ristretto del suocampo d’applicabilità: i tentativi diestrapolazione fuori da questo microsi-stema immanente – per lo studio delleetnotassonomie botanica, zoologicaecc., in etnolinguistica – incontrano dif-ficoltà comparabili a quelle dell’analisisemica. 5. L’analisi semica e componenziale,nella misura in cui si definisce comeesplicitazione delle relazioni paradig-matiche e come costruzione di tassono-mie considerate in quanto risultati del-la sola combinatoria*, si presenta comeuna disciplina autonoma, con una pro-pria specificità, e, per contro, con uncampo di applicazione limitato. L’al-largamento di questo campo di ricercadipende in gran parte dai progressidella semantica* stessa, che tardano avenire: quest’ultima infatti, elaborata apartire dal modello fonologico*, faticaa introdurre, nelle proprie analisi, iprincipi di organizzazione sintagmaticae sintattica dell’universo* semantico.

→ Sema, Tassonomia, Classificazione,Combinatoria, Etnosemiotica,

Semantica

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Semiologia

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Semiologia, n.f. Sémiologie, Semiology, Semiología

1. Il termine semiologia, che insiemecon semiotica*, continua a designare lateoria del linguaggio e le sue applicazio-ni a diversi insiemi* significanti, risale aF. de Saussure, il quale si augurava la co-stituzione, sotto questa etichetta, dellostudio generale dei “sistemi di segni”. Ilcampo del sapere (o del voler-sapere)che i due termini coprono, si è costituitodapprima in Francia, negli anni sessanta,nell’ambito di quello che si chiama lostrutturalismo* francese (intorno ai no-mi di M. Merleau-Ponty, C. Lévi-Strauss, G. Dumézil, J. Lacan ecc.), in-fluenzato sul piano linguistico dagli ere-di di Saussure: L. Hjelmslev e, in misuraminore, R. Jakobson. Dei due termini, alungo impiegati indifferentemente, quel-lo di semiotica è stato a un certo puntopreferito: si fondò allora l’Associazioneinternazionale di Semiotica; malgradotale istituzionalizzazione, il termine se-miologia, solidamente impiantato inFrancia (fra i discepoli di R. Barthes e, inparte, di A. Martinet) e nei paesi latini,continua a essere ampiamente utilizzato,e solo negli anni settanta il contenutometodologico della semiologia e dellasemiotica si è progressivamente differen-ziato, rendendo significativa l’opposizio-ne delle due designazioni. 2. Il progetto semiologico, nella misurain cui si è cercato di svilupparlo nelquadro ristretto della definizione saus-suriana (e al di fuori di ogni contattocon l’epistemologia delle scienze uma-ne dell’epoca), si è presto ridotto a benpoca cosa: il “sistema” escludeva infattiil processo semiotico e, quindi, le prati-che significanti più diverse; inoltre lostudio dei “segni”, inscritto nella teoriadella comunicazione*, consisteva nel-l’applicazione quasi meccanica del mo-dello del “segno linguistico” ecc. Oggitale progetto è ridotto a ben poca cosa:all’analisi di alcuni codici artificiali sup-pletivi (cfr. le analisi di Prieto, di Mou-

nin), il che ha fatto apparire la semiolo-gia come una disciplina annessa alla lin-guistica. 3. Non è in questa scarna formulazio-ne, ma nella teoria del linguaggio consi-derata nel suo insieme, di cui Saussureha tracciato le dimensioni fondamenta-li, che bisogna cercare le ragioni del-l’impatto decisivo del linguista sullosviluppo degli studi semiologici. Così, è nella sua formulazione hjelmslevia-na (cfr. Elementi di semiologia di R.Barthes, Semantica strutturale di A.J.Greimas) che il saussurismo si è defini-tivamente espresso nella semiologiafrancese. Ora, Hjelmslev, pur conser-vando il termine di Saussure, gli dà unadefinizione precisa: intende per semio-logia la metasemiotica* scientifica la cuisemiotica-oggetto non è scientifica: intal modo, esclude dal campo della se-miologia da una parte le semioticheconnotative, cioè i linguaggi di conno-tazione*, e, dall’altra, le metasemioti-che che hanno per semiotica-oggettodelle semiotiche scientifiche (i linguag-gi logici, per esempio). 4. Queste sottigliezze terminologiche,in apparenza futili, ci sembrano a ognimodo necessarie come punto di riferi-mento, perché permettono di situare leopzioni fondamentali che hanno gover-nato la differenziazione progressivadella semiologia e della semiotica. Così,rispetto alla definizione hjeimslevianadella semiologia, l’“infedeltà” prima diR. Barthes, precedentemente ai suoiElementi, è stata il suo interesse per ladimensione connotativa del linguaggio(cfr. i suoi Miti d’oggi), campo cheHjelmslev ha escluso dalla definizionedi semiologia e che noi rinviamo da unaparte, alla sociosemiotica* (per le con-notazioni sociali) e, dall’altra alla psico-semiotica* (per quanto riguarda le con-notazioni individuali). Non si è trattatopropriamente di un’infedeltà, ma di unatteggiamento fondamentale nei con-fronti dei segni e dei linguaggi; si ricor-derà d’altra parte l’effetto di shock pro-

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dotto dall’originalità di questo procedi-mento e il suo risultato pressoché im-mediato: il riconoscimento di cittadi-nanza per una semiologia così intesa.Tuttavia, questo approccio obliquo dellinguaggio lasciava troppo all’intuizio-ne dell’analista (o dello scrittore): il si-gnificante* dei linguaggi di connotazio-ne, disseminato lungo il discorso e inac-cessibile a ogni strutturazione diretta,non poteva essere colto se non attraver-so la postulazione arbitraria e prelimi-nare del significato*. Nella misura in cui non era più soste-nuta da un’immaginazione sottomessaa una disciplina concettuale rigorosa,l’analisi semiologica, di ispirazione con-notativa, poteva sfociare solo in un ec-cesso di luoghi comuni, a meno di noncercare altrove i propri fondamenti: oin una certa forma di psicologia – e sivede allora la semiotica-oggetto, nonanalizzata, diventare il “significante”per lo psicanalista, o in una certa socio-logia. La semiologia si è allora trasfor-mata nella giustificazione a posteriori diuna teoria delle ideologie. Dal momen-to in cui si lascia che i significati scelga-no liberamente i propri significanti – enon si vede come un approccio conno-tativo conseguente potrebbe fare altri-menti – si abbandona il postulato fon-damentale della semiotica, quello dellapresupposizione reciproca del signifi-cante e del significato, che ne costitui-sce la forza e la specificità. 5. L’“infedeltà” inversa – sempre inrapporto alla definizione hjelmslevianadella semiologia – è consistita nell’inte-ressarsi alla metasemiotica, dove le se-miotiche-oggetto erano già semiotichescientifiche (cioè i discorsi scientifici e ilinguaggi formali), campo lasciato daHjelmslev ai logici e ai matematici. Nonsi trattava evidentemente di sostituirsi aloro – benché la differenza tra i punti divista semiotico e logico potrebbe even-tualmente rivelarne la complementarità– ma di andare a vedere in che modotrattavano il problema, particolarmente

arduo, dei metalinguaggi di descrizio-ne. Questo incontro con la Scuola vien-nese di logica e i suoi prolungamentianglossassoni (che definisce la semioti-ca come unione di due componenti: lasintassi e la semantica), come con laScuola polacca di matematiche (che svi-luppa la problematica della gerarchiadei metalinguaggi), non fa che confer-mare l’esigenza hjelmsleviana di unadescrizione metalinguistica “scientifi-ca”. Bisogna dire – da questo punto divista – che la semiologia (nel senso ri-stretto che cominciamo a dare a questotermine) non s’è mai interessata moltoai problemi di semantica, e ha trattatola descrizione del significato come unasemplice questione di parafrasi*. Ora,per sfuggire a una soggettività incon-trollabile, la parafrasi deve essere rego-lamentata, e la descrizione parafrasticadel piano del significato (di una semio-tica) va sottomessa all’analisi: se quellasi riconosce come costruzione, questadeve essere coerente e adeguata. Non sitratta allora, come pretendono alcuni,di un indebito predominio della lingui-stica sulla semiologia, ma delle condi-zioni generali in cui si esercita qualsiasipratica e vocazione scientifica. Si scavacosì un fossato fra la semiologia, per laquale le lingue naturali servono comestrumenti di parafrasi nella descrizionedegli oggetti semiotici, da una parte, ela semiotica* che si propone come pri-mo compito la costruzione di un meta-linguaggio adeguato, dall’altra. 6. L’ultimo punto controverso sta infi-ne nella valutazione dei rapporti fra lalinguistica e la semiologia/semiotica. Inapparenza la semiologia rifiuta il prima-to della linguistica, insistendo sulla spe-cificità dei segni e delle organizzazioniriconoscibili all’interno delle semioti-che non linguistiche, mentre la semioti-ca è considerata strettamente legata aimetodi della linguistica. In realtà – equesto è particolarmente chiaro nel set-tore delle semiotiche visive (cfr. Semio-tica planare) – la semiologia postula, in

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Semiologico (livello –)

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maniera più o meno esplicita, la media-zione delle lingue naturali nel processodi lettura dei significati che appartienealle semiotiche non linguistiche (imma-gine, pittura, architettura ecc.), mentrela semiotica la rifiuta. A partire dal Si-stema della moda, la più hjelmslevianadelle opere di Barthes, in cui, per de-scrivere la semiotica del vestiario, lostudioso si serve della mediazione della“moda scritta” (considerando comun-que che si tratta di una questione di co-modità, e non di direttiva metodologi-ca), si giunge a concepire la semiologiadella pittura come l’analisi del discorsosulla pittura. Il malinteso risale all’epo-ca in cui i teorici della linguistica, comeJakobson, lottando contro lo psicologi-smo del “pensiero”, espresso da quellostrumento che è il linguaggio affermavaapertamente il carattere indissolubile diqueste due “entità”. Riconoscere chenon c’è linguaggio senza pensiero népensiero senza linguaggio non implicache si debbano considerare le linguenaturali come il solo ricettacolo del“pensiero”: le altre semiotiche, non lin-guistiche, sono ugualmente linguaggi,cioè delle forme significanti. Quindi, il“sentito”, il “vissuto”, termini con cuidesignamo, per esempio, l’impressionesu di noi delle forme architettoniche,non sono altro che i significati di taliforme, di cui un metalinguaggio co-struito, più o meno adeguato, ma arbi-trario, deve rendere conto.

→ Semiotica, Segno, Iconicità, Contenuto

Semiologico (livello –), agg. Sémiologique (niveau –), Semiological(Level), Semiológico (nivél –)

In una prima formulazione, il livellosemiologico, in opposizione al livellosemantico*, era considerato come co-stituito di semi* formatori di figure*nucleari, mentre il livello semantico

forniva i semi contestuali al discorso: idue livelli insieme componevano l’uni-verso significante. È la bivalenza, inu-tile, del termine “semantica” – poichél’universo* semantico era identificatocon l’universo significante preso nellasua totalità, e il livello semantico con-siderava solo le categorie interocetti-ve* di questo universo – che ci ha con-dotti a operare una rettificazione ter-minologica: la “componente figurati-va” dell’universo semantico sostitui-sce, in maniera più chiara, il vecchio“livello semiologico”.

Semiosi, n.f. Sémiosis, Semiosis, Semiosis

1. La semiosi è l’operazione che, in-staurando una relazione di presupposi-zione* reciproca fra la forma* dell’e-spressione* e quella del contenuto*(nella terminologia di L. Hjelmslev) – ofra il significante* e il significato* (F. deSaussure) – produce segni: in questosenso ogni atto* di linguaggio, peresempio, implica una semiosi. Questotermine è sinonimo di funzione semio-tica. 2. Per semiosi si può anche intenderela categoria* semica i cui due terminicostitutivi sono la forma dell’espressio-ne e quella del contenuto (del signifi-cante e del significato).

→ Segno, Funzione

Semiotica, n.f. Sémiotique, Semiotics, Semiótica

Il termine semiotica si adopera in sensodiverso a seconda che designi (A) unagrandezza* manifesta qualunque, checi si propone di conoscere; (B) un og-getto di conoscenza, come appare nelcorso e in seguito alla sua descrizione*,e (C) l’insieme dei mezzi che rendonopossibile la sua conoscenza.

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A. SEMIOTICA-OGGETTO

1. È chiaro che la definizione correntedella semiotica come “sistema di segni”non si addice al senso (A), poiché essapresuppone già il riconoscimento* deisegni*: sostituendola con “sistema di si-gnificazioni”, si introdurrebbe subito ilconcetto meno impegnativo di “signifi-cazione”; sostituendo infine a “siste-ma” – che è una nozione teorica precisae limitativa – quello di insieme*, si puòproporre di definire, in un primo tem-po, la semiotica come un insieme signi-ficante che sospettiamo, a titolo d’ipo-tesi*, possieda un’organizzazione, un’ar-ticolazione* interna autonoma*. Si diràanche che ogni insieme significante,dall’istante in cui ci si propone di sotto-porlo ad analisi*, può essere designa-to come una semiotica-oggetto: questadefinizione è del tutto provvisoria per-ché non vale se non nel quadro di unprogetto di descrizione e presupponeperciò una metasemiotica* che si ritie-ne se ne farà carico. I concetti di insie-me significante e di semiotica-oggetto,del resto, non sono coestensivi: i risul-tati dell’analisi mostreranno a volte chesolo una parte dell’insieme significanteè coperta dalla semiotica costruita o cheal contrario quest’ultima rende conto diun numero di grandezze maggiore diquelle inizialmente previste come partedell’insieme significante (cfr. Camposemantico). 2. Queste osservazioni preliminari, inapparenza futili, acquistano tutto il lororilievo quando si tratta di pronunciarsisullo status delle semiotiche dette natu-rali* e sulla pertinenza della dicotomiafra ciò che è “naturale” e ciò che è “co-struito”: tale problema impegna del re-sto la teoria semiotica nel suo insieme.Si intendono per semiotiche naturalidue vasti insiemi significanti: da unaparte le lingue* naturali, e dall’altra i“contesti* extra-linguistici”, che noiconsideriamo come semiotiche delmondo* naturale. Esse sono dette “na-turali” perché anteriori all’uomo – im-

merso nella lingua materna, egli èproiettato, dalla nascita, nel mondo delsenso comune – che le subisce, ma nonle costruisce. Tuttavia, la frontiera fraciò che è “naturalmente” dato e ciò cheè costruito è sfocata: il discorso lettera-rio utilizza una certa lingua naturale, lelogiche prendono come punto di par-tenza le lingue naturali, eppure si trattaindiscutibilmente di autentiche costru-zioni. La semiotica dello spazio* incon-tra la stessa difficoltà nel distinguere lospazio “costruito” dallo spazio “natura-le”: il paesaggio “naturale” è evidente-mente un concetto culturale e non hasenso se non in rapporto allo spazioinformato dall’uomo. Contrariamentedunque a F. de Saussure e a L. Hjelm-slev, per i quali le lingue naturali sonosemiotiche fra le altre, le lingue natura-li e il mondo naturale ci sembrano vastiserbatoi di segni, luoghi di manifesta-zione di numerose semiotiche. D’altraparte anche il concetto di costruzione*va rivisto e rivalorizzato in questa pro-spettiva: nella misura in cui la costru-zione implica l’esistenza di un soggettocostruttore, va previsto un posto – ac-canto ai soggetti individuali – per deisoggetti collettivi* (i discorsi etnolette-rari o etnomusicali, per esempio, sonodiscorsi costruiti, quale che sia lo statusche l’antropologia genetica attribuisceai soggetti produttori di tali discorsi).Ci sembra quindi augurabile sostituireall’opposizione naturale/costruito (o“artificiale”) quella di semiotiche scien-tifiche/semiotiche non scientifiche: si in-tenderà qui per semiotica scientifica –nel senso largo di questo qualificativo –una semiotica-oggetto trattata nel qua-dro di una teoria semiotica, esplicita* oimplicita* (la costruzione di un linguag-gio documentario, per esempio, si fon-da su una teoria, per quanto pocoscientifica). 3. Diventa allora indispensabile preci-sare lo status di quelle macrosemioti-che che sono le lingue naturali (nel sen-so di “natura” informata dalla “cultu-

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ra”, cosa che le relativizza e permettel’impiego del plurale), all’interno dellequali si organizzano semiotiche parti-colari. In primo luogo bisogna registra-re le correlazioni* che esistono fra idue insiemi: così l’affermazione secon-do cui il mondo naturale è traducibilein una lingua naturale dev’essere inter-pretata come la corrispondenza che sipuò stabilire fra unità che partecipanoai due tipi di semiotica (i femi del mon-do naturale corrispondono sul pianofigurativo* ai semi* delle lingue natu-rali; i comportamenti somatici sono“descritti” come processi* linguisticiecc.). Ne risulta una certa interpenetra-zione di segmenti che partecipano del-le due semiotiche, riconoscibili sul pia-no sintagmatico: i deittici* linguisticirinviano al contesto naturale, i segmen-ti gestuali rimpiazzano sintagmi verba-li ecc. In secondo luogo, l’affermazionesecondo cui le lingue naturali sono lesole in cui sono traducibili le altre se-miotiche (mentre l’inverso è impossibi-le) si spiega con due tipi di ragioni: an-zitutto, perché le figure del mondo na-turale sono semanticamente codificatenelle lingue naturali; e poi perché so-prattutto queste ultime sono le unichecapaci di lessicalizzare e di manifestarele categorie* semantiche astratte (o i pri-mitivi/universali*) che restano general-mente implicite in altre semiotiche. 4. Le macrosemiotiche – lingue e mon-di naturali – sono così, secondo noi, iluoghi d’esercizio dell’insieme delle se-miotiche.

→ Lingua, Mondo naturale

B. TIPOLOGIA SEMIOTICA

1. Se nel senso (A) il termine semioti-ca serve a designare un insieme signifi-cante anteriormente alla sua descrizio-ne, in una nuova accezione esso vieneimpiegato per denominare un oggettodi conoscenza in via di costruzione ogià costituito: si tratterà allora di una

semiotica-oggetto considerata sia co-me progetto di descrizione, sia comegià sottomessa all’analisi, sia infine co-me oggetto costruito. In altre parole, sipuò parlare di semiotica solo se c’è unincontro fra la semiotica-oggetto e lateoria semiotica che la coglie, l’infor-ma e l’articola. 2. Inscrivendoci nella tradizione di L.Hjelmslev, che è stato il primo a pro-porre una teoria semiotica coerente,possiamo accettare la sua definizione disemiotica: la considera come una gerar-chia* (cioè come una rete di relazioni,gerarchicamente organizzata) dotata diun duplice modo di esistenza, paradig-matico e sintagmatico (e dunque pensa-bile come sistema* o come processo*semiotico) e provvisto di almeno duepiani* di articolazione – espressione* econtenuto* – la cui unione costituiscela semiosi*. Il fatto che le ricerche at-tuali accentuino, sotto forma di analisidel discorso* e di pratiche semiotiche,l’asse sintagmatico e i processi semioti-ci, non modifica affatto questa defini-zione: si può immaginare benissimo cheuna fase ulteriore della ricerca sia con-sacrata alla sistematizzazione dei risul-tati ottenuti. 3. A queste caratteristiche comuni,tentiamo di aggiungere alcuni tratti piùspecifici, per aprire la strada a una tipo-logia delle semiotiche. Al giorno d’oggisono implicitamente o tacitamente ac-cettati due generi di classificazione: unadistribuzione delle semiotiche, fondatasui canali* della comunicazione*, e un’al-tra, basata sulla natura dei segni ricono-sciuti. Nessuna delle due corrispondecomunque alla nostra definizione di se-miotica. La classificazione secondo i ca-nali di trasmissione dei segni (o secon-do gli ordini sensoriali) si fonda sullapresa in considerazione della sostanza*dell’espressione: ora, questa non è per-tinente per una definizione della semio-tica (che è, in primo luogo, una for-ma*). La distribuzione secondo la natu-ra dei segni, d’altra parte, si basa sulle

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relazioni che questi segni (simboli*,icone*, indici* ecc.) intrattengono conil referente*: infrangendo il principio diautonomia* (o di immanenza*) delleorganizzazioni semiotiche, stabilito daSaussure, un simile criterio non può es-sere mantenuto, perché anch’esso nonpertinente. Ad ogni modo, ci si puòchiedere se nello stato d’avanzamentoattuale delle ricerche semiotiche qual-siasi classificazione di questo generenon sia prematura. 4. La tipologia delle semiotiche, pro-posta da Hjelmslev nei suoi Prolego-meni, è di natura molto diversa. Perevitare qualsiasi confusione, comin-ciamo così con darne una esposizionesuccinta, che sarà poi supportata dal-le nostre osservazioni. Questa tipolo-gia è fondata su due criteri di classifi-cazione: – a) la scientificità* (una semiotica èdetta scientifica quando è una descri-zione conforme al principio d’empiri-smo*);– b) il numero di piani* (di linguag-gio) di cui è costituita una semiotica.Si distingueranno così le semiotichemonoplanari (o sistemi di simboli*,nella terminologia di Hjelmslev) chesono scientifiche (esempio: l’algebra),o non scientifiche (esempio: i giochi),le semiotiche biplanari (o semiotichepropriamente dette, per Hjelmslev)che, anch’esse, saranno scientifiche ono, e le semiotiche pluriplanari, chesono semiotiche biplanari in cui alme-no uno dei piani è una semiotica (det-ta semiotica-oggetto): il caso in cuiuno solo dei due piani è una semioti-ca-oggetto è di gran lunga il più fre-quente. Le semiotiche pluriplanari sisuddividono: – a) a seconda che siano scientifiche omeno;– b) a seconda che la loro semiotica-og-getto sia scientifica o meno. Lo schema seguente rappresenta questadistribuzione:

Semiotiche pluriplanari

(non scientifiche) (scientifiche) semiotiche metasemiotiche connotative

metasemiotiche semiologie scientifiche (la cui (la cui semiotica-oggetto semiotica-oggetto non è scientifica) è una semiotica scientifica)

A questa classificazione vengono aggiun-te altre due semiotiche: una metasemio-logia e una metasemiotica delle semioti-che connotative, che hanno rispettiva-mente il compito di esaminare le semio-logie e le semiotiche connotative. 5. Per comprendere, interpretare e va-lutare tale tipologia, sono necessariepiù osservazioni. – a) In rapporto alle classificazioni pri-ma indicate, quella di Hjelmslev si di-stingue anzitutto per l’introduzione delcriterio di scientificità, cioè per la ne-cessità assoluta di disporre, volendoparlare di semiotica, di una teoria*esplicita, chiamata a renderne conto, e– inoltre – per l’utilizzazione, come cri-terio, dei piani del linguaggio (signifi-cante* e significato* presi globalmen-te), criterio già compreso nella defini-zione della semiotica, e perciò omoge-neo (mentre la sostanza o il referenteintroducono variabili supplementari edeterogenee). Questo ci obbliga a consi-derare la tipologia proposta come partedi una teoria d’insieme: si può respin-gere in blocco la teoria, ma non la solaclassificazione. – b) Per omologare la terminologia, sinoterà che la nostra definizione di se-miotica corrisponde, nella tipologia diHjelmslev, alla metasemiotica detta se-miologia: ogni insieme significante, setrattato dalla teoria semiotica, divieneuna semiotica. – c) Le metasemiotiche scientifiche ap-

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partengono alla problematica dei meta-linguaggi*, comune alla logica, alla ma-tematica, alla linguistica e alla teoria se-miotica. – d) L’accantonamento delle semioti-che monoplanari, che Hjelmslev consi-dera come sistemi di simboli rifiutandoloro la dignità di “semiotiche”, fa diffi-coltà. La definizione che egli ne dà – es-se sarebbero riconoscibili grazie allaconformità* dei due piani, al loro iso-morfismo* e alla loro isotopia*, allacorrispondenza termine a termine delleloro unità – non vuol dire necessaria-mente che comportano un solo piano dilinguaggio, ma che si presentano comeuna forma* significante (nel senso saus-suriano, e non hjelmsleviano). Si po-trebbe del resto stabilire una distinzio-ne fra le semiotiche monoplanari, ri-guardante il tipo di conformità ricono-sciuta: i linguaggi formali* (o sistemi disimboli) sarebbero, in questo senso,“elementari”, e ogni elemento, presoseparatamente, è riconoscibile sia sulpiano dell’espressione, sia su quello delcontenuto (sarà detto allora “interpre-tabile”), poiché la distinzione fra ele-menti si basa sulla semplice discrimina-zione* (ciò che permette d’identificarequesti linguaggi per il solo piano dell’e-spressione). Ai linguaggi formali si op-porrebbero allora i linguaggi “molari”o semi-simbolici, caratterizzati non piùdalla conformità tra elementi isolati, mada quella tra categorie*: le categorieprosodiche* e gestuali, per esempio,sono forme significanti – il “sì” e il“no” corrispondono, nel nostro conte-sto culturale, all’opposizione vertica-lità/orizzontalità – quanto le categorieriscontrate nella pittura astratta o incerte forme musicali. La posta in gioconella distinzione fra le semiotiche mo-noplanari interpretabili e quelle che so-no significanti è, si vede, considerevole. – e) Il problema (legato del resto a quel-lo della denotazione*) delle semioticheconnotative, lasciate fuori dal campodella scientificità, è ugualmente imba-

razzante. È facile indovinare che la dif-ficoltà di una descrizione rigorosa diquesti linguaggi di connotazione* risie-de nel fatto che, procedendo a partiredal loro piano dell’espressione, è im-possibile prevedere delle connotazioni(il cui significante sarà ora un tratto dipronuncia, ora la scelta di un lessema odi una figura sintattica ecc.) e, più an-cora, di proporne una distribuzione ge-rarchica (cioè una semiotica connotati-va). Così, i I miti d’oggi di R. Barthes,per quanto ingegnosi e raffinati, nonsono che brani connotativi e non giun-gono neanche a suggerire un sistemasoggiacente. Questo ci porta a dire chedeve essere tentato un approccio inver-so ai linguaggi di connotazione, comin-ciando con l’elaborare una teoria, apartire dalla quale intraprendere la de-scrizione di sistemi connotativi basan-dosi sul piano del contenuto. Noi l’ab-biamo appena abbozzata trattando del-le connotazioni sociali che si presenta-no sotto forma di tassonomie connota-tive (lingue “profana” e “sacra”, “inter-na” ed “esterna” “maschile” e “femmi-nile” ecc.) in etnosemiotica*, o di sin-tassi connotative (che corrispondono auna tipologia dei discorsi) in sociose-miotica*. Le ricerche in questo camposono appena iniziate: accanto alle con-notazioni sociali, esistono, secondo ilsuggerimento di Hjelmslev, connota-zioni individuali (che corrispondonopiù o meno alla caratterologia antica emoderna) di cui abbiamo appena unavaga idea. – f) L’uso attuale ha tendenza a stabilireuna distinzione fra le semiotiche lingui-stiche e le semiotiche non linguistiche,riferendosi a quei due luoghi privilegiatidella manifestazione delle semioticheche designiamo – forse impropriamente– come macrosemiotiche: le lingue natu-rali e i mondi naturali. Non lo si può fa-re se non postulando – all’opposto diHjelmslev per il quale una lingua natura-le è una semiotica come un’altra (dotatatuttavia di un carattere privilegiato) –

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uno status a parte, specifico, per le ma-crosemiotiche, considerando che essesono suscettibili di contenere e di svilup-pare delle semiotiche autonome (cometestimoniano, per esempio, molte analisirecenti, condotte su discorsi giuridici,religiosi ecc.). Si pone però subito il pro-blema della trasgressione della frontierache abbiamo appena stabilito, e questosotto la forma delle semiotiche sincreti-che* – le quali costituiscono il loro pianodell’espressione con elementi apparte-nenti a molte semiotiche eterogenee – lacui esistenza è immediatamente eviden-te. Se l’opera o il film si presentano im-mediatamente come esempi perentori didiscorsi sincretici, ci si può domandarese le lingue naturali – e più in particolarei discorsi orali – non costituiscano cheun elemento, essenziale certo, accantoad altri dati paralinguistici* o prossemi-ci*, di una comunicazione anch’essa sin-cretica. – g) Si possono infine proporre altre di-stinzioni, tenendo conto del percorsogenerativo* del senso. È così che si op-porranno discorsi figurativi* e non fi-gurativi (o astratti), e, insieme, semioti-che figurative e non figurative (datoche il discorso non è altro che la consi-derazione di una semiotica in quantoprocesso), in dipendenza dal livello diprofondità che viene testualizzato* emanifestato*. Tutte queste distinzioni eriorganizzazioni, anche se suscitano avolte un po’ di confusione in campo se-miotico, sono da considerare come unsegno di salute e di vitalità di una se-miotica che vuole essere un progetto diricerca e una ricerca in corso.

→ Psicosemiotica, Sociosemiotica, Etnosemiotica,

Letteraria (semiotica –), Teatrale (semiotica –),

Planare (semiotica –)

C. TEORIA SEMIOTICA

1. Se nel senso (B) la semiotica era con-cepita come la sovrapposizione adegua-

ta* di una semiotica-oggetto e di un lin-guaggio di descrizione, qui la si può an-che pensare come il luogo di elabora-zione delle procedure* di costruzione*dei modelli* e della scelta dei sistemi dirappresentazione*, che regge il livellodescrittivo* (cioè il livello metalingui-stico metodologico*); ma anche comeluogo di controllo dell’omogeneità* edella coerenza* di queste procedure emodelli, insieme all’esplicitazione – sot-to forma di un’assiomatica* – degli in-definibili e del fondamento di tuttaquesta impalcatura teorica (si tratta dellivello epistemologico* propriamentedetto). In questa prospettiva, la semio-tica sarà intesa sia come semiotica ge-nerale (insistendo così sull’esigenza chele è imposta di render conto dell’esi-stenza e del funzionamento di tutte lesemiotiche particolari), sia come teoriasemiotica, nella misura in cui è chiama-ta a soddisfare alle condizioni di scien-tificità proprie a ogni teoria*, e in quan-to si definisce, perciò, come un metalin-guaggio* (insieme metasemiotica scien-tifica e metasemiologia, nella termino-logia di Hjelmslev). 2. Di regola, si possono elaborare mol-te teorie semiotiche – così come moltegrammatiche generative, per esempio –ma solo la loro formalizzazione* per-mette eventualmente di compararle e divalutarle le une in rapporto alle altre.Un simile procedimento comparativo èal giorno d’oggi assolutamente impossi-bile, perché non esiste ancora una teo-ria semiotica degna di questo nome: sitrovano da una parte teorie intuitivesenza procedure operative* (ci si con-tenta spesso di “professioni di fede”perentorie) e, dall’altra, procedure tal-volta formalizzate, ma che non si fonda-no su nessuna teoria esplicita. Questo ciautorizza a riassumere qui quelle checonsideriamo come le condizioni gene-rali di una teoria semiotica, riferendociallo stesso tempo al nostro stesso pro-getto teorico. 3. La teoria semiotica deve presentarsi

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anzitutto per quello che è, cioè comeuna teoria della significazione. La suapreoccupazione principale sarà dunquedi esplicitare, sotto forma di una costru-zione concettuale, le condizioni dellacomprensione e della produzione delsenso. Situata nella tradizione saussu-riana e hjelmsleviana, secondo cui la si-gnificazione è la creazione e/o la com-prensione delle “differenze”, dovrà riu-nire tutti i concetti, in sé indefinibili,che sono necessari per situare la defini-zione della struttura* elementare dellasignificazione. Questa esplicitazioneconcettuale la porta allora a dare unaespressione formale dei concetti tra-scelti: considerando la struttura comeuna rete relazionale, dovrà formulareun’assiomatica semiotica che si presen-ti essenzialmente come una tipologia direlazioni (presupposizione, contraddi-zione ecc.). Assiomatica che le permet-terà di costituirsi uno stock di defini-zioni formali, come, per esempio, quel-la di categoria* semantica (unità mini-ma) e quella di semiotica stessa (unitàmassima): quest’ultima include, allamaniera di Hjelmslev, le definizioni lo-giche di sistema (relazione “o ... o”) e diprocesso (relazione “e ... e”), di conte-nuto e di espressione, di forma e di so-stanza ecc. La tappa seguente consi-sterà nella messa in opera di un lin-guaggio formale minimo: la distinzionefra le relazioni-stati (la contraddizioneper esempio) e le relazioni-operazioni(la negazione, per esempio) le permettedi postulare i termini-simboli e i termi-ni-operatori, aprendo così la strada aun calcolo di enunciati*. Solo allora do-vrà occuparsi della scelta – o della libe-ra scelta – dei sistemi di rappresenta-zione nei quali essa dovrà formulare leprocedure e i modelli (il quadrato* se-miotico o l’enunciato* elementare peresempio). Queste poche indicazioni so-no destinate semplicemente a dare un’i-dea generale del tentativo che si impo-ne al momento della costruzione di unateoria semiotica: è evidente che gli ele-

menti del nostro progetto semiotico sitrovano sparsi lungo tutta quest’opera. 4. A questi tratti generali di una teoriasemiotica si aggiungono necessaria-mente altre opzioni, più specifiche, dacui dipende però l’articolazione dellasua economia globale. La prima di esseè la forma generativa che secondo noiconviene dare al suo dispiegamento, in-tendendo con ciò, in senso lato, la ricer-ca della definizione dell’oggetto semio-tico, pensato secondo il suo modo diproduzione. Questo tentativo, che vadal più semplice al più complesso, e dalpiù astratto al più concreto, ha il van-taggio di permettere di introdurre, almomento opportuno, un certo numerodi esperienze della teoria linguistica,come le problematiche relative alla“lingua” (E. Benveniste) e alla “compe-tenza” (N. Chomsky), ma anche l’arti-colazione delle strutture in livelli secon-do i loro modi di esistenza* virtuale, at-tuale o realizzata. Così, la generazionesemiotica di un discorso sarà rappre-sentata sotto forma di un percorso ge-nerativo* che comporta un buon nu-mero di livelli e di componenti, distin-zioni che sono forse solo provvisorie,operazionali, ma che permettono di si-tuare, gli uni in rapporto agli altri, i dif-ferenti campi d’esercizio dell’attività se-miotica. 5. La seconda delle nostre opzioniconsiste nell’introdurre, nella teoriasemiotica, la questione dell’enuncia-zione, della messa in discorso della lin-gua (Benveniste) e delle condizionispecifiche, esplicitabili – di cui si oc-cupa, in maniera diversa, la pragmati-ca* americana – che la circondano. Al-le strutture semiotiche profonde, si-tuate “in lingua” e di cui si nutre la“competenza”, siamo stati portati adaggiungere strutture meno profonde,discorsive, quali si costruiscono pas-sando attraverso il filtro dell’istanzadell’enunciazione. La teoria semioticadev’essere più che una teoria dell’e-nunciato – come nel caso della gram-

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Semi-simbolico (sistema, linguaggio, codice –)

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matica generativa – e più che una se-miotica dell’enunciazione: deve conci-liare ciò che sembra a prima vista in-conciliabile, integrandolo in una teoriasemiotica generale.

→ Scientificità, Teoria, Generativo(percorso –), Enunciazione,

Discorso, Semiologia

Semi-simbolico(sistema, linguaggio, codice –), agg.Semi-symbolique (sistème, langage, code –), Semi-simbolic (system,language, code –), Semi-simbólico(sistema, lenguaje, código –)

La messa al margine delle semiotichemonoplanari, che Hjelmslev consideracome sistemi di simboli rifiutando lorola dignità di “semiotiche”, fa problema.La definizione che egli ne dà – esse sa-rebbero riconoscibili grazie alla confor-mità* dei due piani, al loro isomorfi-smo* e alla loro isotopia*, alla corri-spondenza termine a termine delle lorounità – non vuol dire necessariamenteche comportano un solo piano di lin-guaggio, ma che si presentano come unaforma* significante (in senso saussuria-no, e non hjelmsleviano). Si potrebbeformulare una distinzione fra queste se-miotiche monoplanari, secondo il tipodi conformità riconosciuta: i linguaggiformali* (o sistemi di simboli) sarebbe-ro, in questo senso, “elementari”, e ognielemento, preso separatamente, è rico-noscibile sia sul piano dell’espressione,sia su quello del contenuto (detto allora“interpretabile”), poiché la distinzionefra elementi si basa sulla semplice di-scriminazione* (il che permette di iden-tificare questi linguaggi per il solo pianodell’espressione). Ai linguaggi formali siopporrebbero allora i linguaggi “mola-ri” o semi-simbolici, caratterizzati nonpiù dalla conformità tra elementi isolati,ma tra categorie*: le categorie prosodi-che* e gestuali, per esempio, sono for-

me significanti – il “sì” e il “no” corri-spondono, nel nostro contesto cultura-le, all’opposizione verticalità/orizzonta-lità – quanto lo sono le categorie riscon-trate nella pittura astratta o in certe for-me musicali. La posta in gioco nella di-stinzione fra le semiotiche monoplanariinterpretabili e quelle che sono signifi-canti è, come si vede, considerevole.

1. Il concetto di linguaggio semi-sim-bolico o “molare” è stato proposto daGreimas e Courtés (1979) con l’obietti-vo di precisare la teoria hjelmslevianarelativa ai linguaggi monoplanari* o si-stemi di simboli*. Contrariamente aipuri sistemi di simboli (i linguaggi for-mali, per esempio), i sistemi semi-sim-bolici sono dei sistemi significanti e so-no caratterizzati non dalla conformità*fra unità del piano dell’espressione eunità del piano del contenuto, ma dallacorrelazione tra categorie* che appar-tengono ai due piani. In questi ultimianni il concetto di linguaggio (rispetti-vamente sistema o codice) semi-simbo-lico si è rivelato particolarmente opera-tivo, soprattutto per lo studio dei di-scorsi plastici* e dei discorsi poetici*. Per la notazione dei codici* semi-sim-bolici, ci si serve utilmente della formu-la d’omologazione*, come nell’esempioche segue:

verticalità : orizzontalità : : affermazione : negazione

(F.T.)

2. La ricerca sul semi-simbolismo è sta-ta in particolar modo stimolata dall’in-terrogazione sullo status di quelle unitàsintagmatiche che i pittori chiamanocontrasti* plastici; questi, infatti, posso-no realizzare nell’immagine una sovra-segmentazione significante di cui lasemplice lessicalizzazione della dimen-sione figurativa non rende affatto con-to. L’organizzazione contrastiva del te-sto visivo offre all’analista un vantag-gio metodologico apprezzabile: per-

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Semi-simbolico (sistema, linguaggio, codice –)

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mette di riconoscere le categorie* con iloro termini presenti su una stessa su-perficie, senza dover ricorrere alle pro-cedure di comparazione tra differentienunciati. Ma soprattutto, l’organizza-zione contrastiva rappresenta in se stessauna paradigmatizzazione del discorso.Ora, questa paradigmatizzazione non èaffatto specifica del linguaggio plastico.Tutti sappiamo, infatti, come Jakobsonabbia definito l’essenza del linguaggiopoetico in termini di proiezione del pa-radigmatico* sul sintagmatico*. Lo stu-dio dei contrasti suggerisce dunque l’o-mologazione parziale del discorso plasti-co e del discorso poetico, così come il ri-conoscimento dei fenomeni di sopraseg-mentazione invita ad accomunare la se-miotica plastica della prosodia e la se-miotica musicale. (J.-M. F.)3. Definiti dal tipo di relazione tra formadell’espressione* e forma del contenu-to*, i sistemi semi-simbolici possono rea-lizzarsi in modi alquanto diversi, com-prensibili grazie ad alcune distinzioni:– a) un sistema semi-simbolico puòpoggiare su una sola categoria dell’e-spressione o su una gerarchia* di cate-gorie; altri possono poggiare su una ve-ra ridondanza del significante: peresempio, una decina di categorie (diforme, di colori, di tecniche) può sosti-tutivamente o collettivamente costitui-re la forma dell’espressione;– b) un sistema semi-simbolico può rea-lizzarsi, come abbiamo detto, in una so-stanza sonora, visiva ecc.; ma vi è anchela possibilità che si realizzi in una semio-tica sincretica*, in una pluralità di so-stanze, producendo così una sinestesia*;– c) infine, attraverso un’organizzazionecontrastiva, un sistema semi-simbolicopuò realizzarsi all’interno di un unicotesto. Altri, invece, saranno riconosciutia partire dall’analisi di una comunica-zione nella sua globalità, dato che alcu-ni testi che la compongono realizzanosolamente la relazione semiotica tra i so-li termini positivi, o tra i soli termini ne-gativi, delle categorie dei due piani.

Si deve segnalare, per altri versi, comesia legittimo riconoscere la realizzazio-ne di sistemi semi-simbolici nel pianodel contenuto di un discorso (letterario,per esempio), se si considera la relazio-ne tra la sua dimensione figurativa* e lasua componente semionarrativa. Alcu-ne categorie relativamente profonde del-la figuratività possono essere infatti o-mologate a categorie assiologiche*. Siparlerà in questo caso di codificazionesemisimbolica. (J.-M. F.)4. Un testo dato non poggia necessa-riamente su un solo codice* o su un in-sieme di codici semi-simbolici. È il casodel racconto mitico*, che può essereconcepito come un’operazione di tra-sformazione* su dei codici semi-simbo-lici. Da ciò si comprende quale sia l’im-portanza della segmentazione* del te-sto in sotto-unità, ognuna delle qualipuò manifestare codici differenti.Lo studio tradizionale del simbolismo(cfr. simbolo*) è dominato da una vi-sione “lessicale”, dove una figura del-l’espressione è correlata a una figuradel contenuto (“linguaggio dei fiori”ecc.). Lévi-Strauss (1962) è stato unodei primi a contrapporre una visionerelazionale a questa tradizionale pro-spettiva sostanzialista. Un’analisi ap-profondita dei linguaggi simbolici nellediverse culture mostra come questi sibasino in larga misura – nonostantepermettano spesso una lettura di tipolessicale – su sistemi semi-simbolici.Così la maggior parte delle culture pri-mitive africane si servono del contrastotra due colori /cromatico (“rosso”)/ vs/acromatico (“nero”, “bianco”)/ peresprimere l’opposizione vita vs morte.Il concetto di linguaggio semi-simboli-co può risultare utile anche per la co-struzione di una tipologia dei discorsisincretici*. Un certo tipo di discorsosincretico sembra mirato, in effetti, acombinare categorie dipendenti da di-verse sostanze dell’espressione (visiva,uditiva ecc.) per esprimere una sola ca-tegoria del contenuto. Per altri versi,

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Senso

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persino i linguaggi che si servono di unsolo canale* sensoriale (si pensi alla pit-tura o alla musica, per esempio) posso-no fare ricorso a una pluralità di con-trasti dell’espressione per esprimereuna stessa categoria del contenuto, mi-rando così a stabilire un effetto di poe-ticità (v. poetico*).Un ruolo particolarmente importantenella costituzione di alcuni discorsi –linguistici o di altro tipo – è assuntodalle correlazioni semi-simboliche diordine topologico*. La struttura di ma-nifestazione spaziale dei discorsi puòessere sfruttata come una griglia che re-gola l’investimento* semantico e ciò, diritorno, facilita la lettura dei discorsicosì organizzati (si veda, in particolare,lo studio di J. Geninasca sulla formastabile del sonetto in Essai de sémioti-que poétique). (F.T.)5. Rimane in sospeso la questione delcontenuto e dell’intenzionalità* dei di-scorsi semi-simbolici. Allo stato attualedella ricerca possiamo sostenere che lecategorie del contenuto omologate, insede di analisi, a categorie dell’espres-sione, sono categorie astratte* che rin-viano ai grandi universali detti figurati-vi (terra, acqua, aria, fuoco) oppuremolto spesso sono situate a livello dellestrutture semionarrative (superficiali oprofonde). Queste categorie semionar-rative possono essere di natura seman-tica (come le categorie assiologiche vi-ta/morte, natura/cultura) o di naturasintattica (come le categorie sog-getto/antisoggetto o ancora – per la sin-tassi fondamentale – asserzione/nega-zione).Quanto all’intenzionalità, essa appareduplice. Sembra corrispondere alla co-struzione di un linguaggio secondo chepiega alcuni tratti del significante alloscopo di rinnovare o confortare alcunisignificati. I sistemi semi-simbolici per-mettono in tal senso, da un lato, di te-nere un discorso più profondo e piùmitico, dall’altro, di farlo passare comepiù “vero”, nella misura in cui l’arbitra-

rietà del segno è in parte abolita in virtùdel grado di motivazione conquistato.(J.-M.F.)

→ Semiotica

Semplicità, n.f. Simplicité, Simplicity, Simplicidad

1. L. Hjelmslev considera la semplicitàcome uno dei tre criteri – con la coe-renza* e l’esaustività* – della scientifi-cità di una teoria*. A partire dal postu-lato di semplicità, deduce poi gli altridue principi – di riduzione* e d’econo-mia* – cui deve obbedire il fare scienti-fico. 2. Nella pratica semiotica, l’applicazio-ne del principio di semplicità si traducenella “semplificazione”, cioè l’ottimiz-zazione delle procedure sintagmatiche,che può manifestarsi ora attraverso lariduzione del numero di operazioni cheuna procedura di analisi richiede, oraattraverso la scelta di questo o quel si-stema di rappresentazione* metalingui-stica ecc.

→ Empirismo, Scientificità,Ottimizzazione, Programmazione

spazio-temporale

Senso, n.m. Sens, Meaning, Sentido

1. Proprietà comune a tutte le semioti-che*, il concetto di senso è indefinibile.Intuitivamente o semplicemente, sonopossibili due approcci al senso: può es-sere considerato sia come ciò che per-mette le operazioni di parafrasi* o di tra-scodifica*, sia come ciò che fonda l’atti-vità umana in quanto intenzionalità*.Anteriormente alle sue manifestazionisotto forma di significazione* articolata,nulla si potrebbe dire del senso, se nonfacendo intervenire presupposti metafi-sici fin troppo carichi di conseguenze.

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Sequenza

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2. L. Hjelmslev propone una definizio-ne operativa* del senso, identificandolocon il “materiale” primo, o con il “sup-porto” grazie al quale ogni semiotica, inquanto forma*, si trova manifestata.Senso diviene così sinonimo di “mate-ria” (l’inglese “purport” sussume le dueparole): l’uno e l’altro sono impiegatiindifferentemente parlando dei due“manifestanti” del piano dell’espressio-ne* e del piano del contenuto*. Il ter-mine sostanza è poi utilizzato per desi-gnare il senso in quanto assunto da unasemiotica, ciò che permette di distin-guere allora la sostanza del contenutoda quella dell’espressione.

→ Materia, Sostanza, Significazione,Parafrasi, Intenzione

Sequenza, n.f. Séquence, Sequence, Secuencia

1. In semiotica narrativa, è preferibileriservare il termine sequenza alla desi-gnazione di una unità testuale, ottenutatramite la procedura di segmentazione,distinguendola così dai sintagmi, unitànarrative situate a un livello più profon-do*. 2. Il carattere discreto di una sequenzaè assicurato dalla presenza di demarca-tori* che servono a delimitarne le fron-tiere. Il confronto con le sequenze pre-cedenti e seguenti permette di stabiliredelle disgiunzioni* contrastive e di ri-conoscere in tal modo sia le sue pro-prietà formali, sia le sue caratteristichesemantiche denominabili (distinguen-do, nel primo caso, delle sequenze de-scrittive, dialogate, narrative ecc. e, nelsecondo, delle sequenze “passeggiata”,“danza”, “caccia”, “sogno” ecc.): le de-nominazioni del primo genere mirano acostituire una tipologia di unità discor-sive, quelle del secondo si danno comeriassunti approssimativi, di ordine te-matico, utili per farsi un’idea del di-scorso esaminato.

3. Una sequenza può essere suddivisain unità* testuali più piccole, o segmen-ti, che rivelano l’esistenza di un’orga-nizzazione interna. Scopo di una similedivisione* è il riconoscimento di unitàdiscorsive le cui dimensioni non corri-sponderanno necessariamente allascomposizione in frasi o in paragrafi,ma che permetteranno di mettere in lu-ce enunciati o sintagmi narrativi soggia-centi. Concetto puramente operativo*,la sequenza non è dunque coestensivaal sintagma narrativo.

→ Segmentazione, Unità (testuale,discorsiva), Sintagma, Sovrapposizione

Shifter, n.m. Embrayeur, Shifter, Embrayeur

Shifter è una parola inglese introdottada R. Jakobson e tradotta, in francese,con embrayeur (N. Ruwet). Un’analisipiù spinta di questo concetto, in riferi-mento all’enunciazione*, ci ha condot-to a distinguere le due differenti proce-dure di débrayage e di embrayage.

→ Débrayage, Embrayage

Significante, n.m. Signifiant, Signifier, Significante

1. Con significante si intende uno deidue termini costitutivi della categoriadella semiosi* in cui due grandezze* so-no necessarie, al momento dell’atto dilinguaggio, per produrre una manife-stazione semiotica. Una simile defini-zione è formale: solo la relazione di pre-supposizione* reciproca (o solida-rietà*) definisce rispettivamente i duetermini in gioco – significante e signifi-cato* – escludendo ogni altro investi-mento semantico. 2. Storicamente, e seguendo il modo incui viene letto F. de Saussure, si intendeper significante ora una delle grandezze

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Significato

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costitutive del segno* minimo (o mor-fema*), che corrisponde, nella primaapprossimazione di Saussure stesso, al-la “immagine acustica”, ora un piano*di linguaggio, considerato nel suo insie-me e che copre con le sue articolazioni*la totalità dei significati. È a partire daquesta seconda concezione del signifi-cante saussuriano che L. Hjelmslev –chiamandolo piano dell’espressione* –l’ha definito come uno dei due piani co-stitutivi di ogni semiotica (o di ogni lin-guaggio). 3. Si può seguire Hjelmslev quandomostra che i concetti di significante e disignificato, per la relazione formale cheli costituisce, sono interscambiabili, so-prattutto quando si tratta di semiotichepluriplanari*. Comunque, nel caso del-le semiotiche biplanari (come le linguenaturali, per esempio), il significante èpercepito, in rapporto al significato, co-me il piano esterno del linguaggio, co-me esterno all’uomo e parte dell’uni-verso naturale, che si manifesta tramitele sue qualità sensibili. Così, che si trat-ti del livello della percezione (audizio-ne, lettura, visione) o di quello dell’e-missione da parte del soggetto che co-struisce il suo enunciato, il significantesi trova referenzializzato e appare comeun dato del mondo. Solo un’analisi più approfondita del pia-no dell’espressione riesce a mostrare cheil significante è, anch’esso, il risultato diuna costruzione di natura semantica. 4. Questo aspetto materiale del signifi-cante suggerisce una classificazionedelle semiotiche* a seconda della natu-ra della sostanza* del significante, cioèsecondo gli ordini sensoriali (o i canali*di comunicazione) in base ai quali sonodisposte le qualità sensibili del mondo.Si parlerà in questo senso di semiotichevisuali, olfattive o tattili, per esempio.Una simile classificazione non ci dà tut-tavia indicazioni sul modo di esistenza edi organizzazione del significante: lelingue naturali, la semiotica musicale eil linguaggio dei rumori non sono suffi-

cientemente definiti dal significato so-noro che hanno in comune, e la lorospecificità, anche solo su questo piano,va cercata altrove, nel modo di articola-zione* della forma del significante. 5. Il termine significante è utilizzato daalcuni non linguisti (di solito in testi diispirazione psicanalitica) per designarela “lingua quotidiana” (nozione quantomai confusa). Un uso simile non è omo-logabile con la nozione semiotica di si-gnificante: al massimo si potrebbe con-siderare il significante come una speciedi “meta-significante” nella misura incui la lingua quotidiana, presa nel suoinsieme, potrebbe servire da significantea un nuovo piano del significato: tuttociò, ad ogni modo, sarebbe possibile so-lo se le lingue naturali fossero effettiva-mente denotative* e non sviluppasseroaffatto, al loro interno, delle semioticheseconde (religione, diritto, morale ecc.).

→ Significato, Espressione, Segno

Significato, n.m. Signifié, Signified, Significado

1. Nella tradizione saussuriana, si desi-gna con il nome significato uno dei duepiani* del linguaggio (l’altro è il signifi-cante*) la cui unione (o semiosi*) al mo-mento dell’atto* di linguaggio costitui-sce segni* portatori di significazione*.Significante e significato si definisconotramite la relazione di presupposizione*reciproca: tale accezione, di carattereoperativo, soddisfa la semiotica la qualesi interdice qualsiasi giudizio ontologicosulla natura del “significato” 2. La lettura del Corso di linguistica ge-nerale di F. de Saussure ha dato luogo ainterpretazioni diverse del segno. Pro-cedendo in modo didattico, il linguistaginevrino comincia col rappresentare ilsegno come costituito da un’immagineacustica (= significante) e da un concet-to (= significato). Fino a questo puntola lettura ottiene come effetto l’identifi-

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Significazione

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cazione del segno con il morfema* e delsignificato con il lessema*: ma ciò signi-fica ridurre a poca cosa l’innovazionesaussuriana. Proseguendo la lettura sigiunge a tutt’altra rappresentazione dellinguaggio, sviluppata in forma metafo-rica come un foglio di carta il cui rectosarebbe il significante e il verso, il signi-ficato, mentre gli arabeschi che vi si tro-vano tracciati darebbero un’idea dellamaniera di cui si tratta di concepire laforma* linguistica. Questa seconda for-mulazione insiste sul legame indissolu-bile fra il significante e il significato nel-la totalità del testo (e non solo per le pa-role prese una per una), e permette digiungere al cuore della teoria saussuria-na. L. Hjelmslev ha adottato la dicoto-mia significante/significato in terminidi piani* del linguaggio, dando al signi-ficante il nome di piano dell’espressio-ne e al significato quella di piano delcontenuto.

→ Contenuto, Segno, Significante

Significazione, n.f. Signification, Signification, Significación

1. La significazione è il concetto chia-ve attorno al quale si organizza tutta lateoria semiotica: non stupisce perciò divederlo installato all’interno delle di-verse posizioni del campo programma-tico che la teoria si propone di delimita-re. Solo progressivamente, tramite lamessa in opera di definizioni e di deno-minazioni che lo ricoprono, il terminesignificazione viene espulso dalle sueposizioni iniziali, pur conservando isuoi impieghi parasinonimici nell’usoquotidiano. Recensiamone qualcuno. 2. Come tutti i sostantivi di questa sot-to-classe (cfr. descrizione, operazioneecc.), la significazione è suscettibile didesignare ora il fare (la significazionecome processo), ora lo stato (ciò che èsignificato), rivelando così una conce-zione dinamica o statica della teoria

sottostante. Da questo punto di vista, lasignificazione può essere parafrasata siacome “produzione del senso” sia come“senso prodotto”. 3. Si ottiene una prima delimitazionedel campo semantico coperto dalla si-gnificazione opponendolo al “senso”,cioè riservando quest’ultimo termine aciò che viene prima della produzionesemiotica: definiremo così la significa-zione come il senso articolato*. Ciò si-gnifica che il termine significazione èadoperato talvolta per designare la“materia” in senso hjelmsleviano, matale accezione dovrebbe essere esclusadal metalinguaggio semiotico. 4. Insieme al termine senso, il terminesignificazione è utilizzato anche per de-nominare la sostanza* del contenuto*:poiché questa è già selezionata in vistadella significazione e presuppone l’esi-stenza della forma del contenuto, l’usodel termine significazione non è scor-retto, è superfluo. E così pure quandosignificazione è adoperato come signifi-cato* del segno o del piano del conte-nuto in generale. 5. La significazione è pure utilizzatacome sinonimo di semiosi* (o atto di si-gnificare) e si interpreta allora sia comel’unione del significante* e del signifi-cato* (costitutiva del segno*), sia comela relazione di presupposizione recipro-ca che definisce il segno costituito. 6. Siccome tutti questi impieghi sonogià dotati di etichette semantiche parti-colarizzanti, riserviamo il termine signi-ficazione a ciò che ci sembra essenziale,cioè alla “differenza” – alla produzionee alla scelta degli scarti – che definisce,secondo F. de Saussure, la natura stessadel linguaggio. Intesa così, come lamessa in opera di relazioni – o cometentativo – la significazione si inserisce,come “senso articolato”, nella dicoto-mia senso/significazione e sussume,contemporaneamente, come concettogenerale, tutte le accezioni appena pre-sentate. 7. A questa definizione assiomatizzan-

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Simbolo

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te della significazione, occorre aggiun-gerne un’altra, di carattere empirico,che verte non più sulla sua “natura”,ma sui mezzi con cui la si apprende inquanto oggetto di conoscenza. Si vedeallora che la significazione non può es-sere colta che al momento della sua ma-nipolazione, al momento in cui, interro-gandosi su di essa in un linguaggio e inun testo dati, l’enunciante è condotto aoperare trasposizioni, traduzioni* daun testo in un altro, da un livello di lin-guaggio in un altro, insomma da un lin-guaggio in un altro linguaggio. Questofare parafrastico* può essere considera-to come rappresentazione della signifi-cazione in quanto atto produttore, cheriunisce in una sola istanza l’enunciata-rio-interprete (la significazione non èuna produzione ex nihilo) e l’enuncian-te-produttore. In quanto attività cogni-tiva programmata, la significazione sitrova così sorretta e sostenuta dall’in-tenzionalità*, che è un altro modo diparafrasare la significazione.

→ Senso, Contenuto, Struttura(elementare della significazione)

Simbolo, n.m. Symbole, Symbol, Símbolo

A.1. Per L. Hjelmslev, il simbolo è unagrandezza* della semiotica monoplana-re*, suscettibile di ricevere una o piùinterpretazioni*. In opposizione alle se-miotiche biplanari, il linguista daneseriserva così il nome di sistema di sim-boli alle semiotiche monoplanari. Inquanto non-segno, il simbolo si diffe-renzia dunque dal segno, grandezzadelle semiotiche bi- o pluriplanari*. 2. Si può utilizzare l’espressione disimbolo molare (detto da Hjelmslev,ma, sembra, in modo improprio, sim-bolo isomorfo) per denominare, nelsenso che F. de Saussure dà a simbolo,una grandezza – eventualmente inscrit-

ta in un testo di semiotica biplanare, mache possiede uno status autonomo –che è suscettibile, in un contesto socio-culturale dato, di una sola interpreta-zione e che, contrariamente al segno,non ammette un’analisi ulteriore in fi-gure* (esempio: la bilancia, simbolodella giustizia). Tali simboli possono es-sere inventariati, ma non costituiscono,per la verità, dei sistemi di simboli. 3. In un senso simile Ch.S. Peirce defi-nisce il simbolo come fondato su unaconvenzione sociale, in opposizione al-l’icona* (caratterizzata da una relazionedi somiglianza con il referente*) e al-l’indice* (fondato su una relazione dicontiguità “naturale”). Ogden e Ri-chards, da parte loro, tentano una sin-tesi maldestra fra la concezione saussu-riana del segno* e la definizione tradi-zionale del simbolo: nel loro modellotriangolare il simbolo corrisponde al si-gnificante* saussuriano, la referenza alsignificato* mentre il referente denotala “realtà”. 4. Nei suoi impieghi non linguistici enon semiotici, il termine simbolo am-mette definizioni multiple e varie, come“ciò che rappresenta qualcosa d’altro invirtù di una corrispondenza analogica”o “assenza fatta presenza” ecc. In tuttiquesti casi, la sua natura di segno non èmessa in causa, e le determinazionicomplementari che vi si aggiungonorinviano ora al carattere pluri-isotopo*del discorso, ora ai meccanismi ancorapoco esplorati della connotazione* ecc.L’impiego di questo termine sincreticoè ambiguo in semiotica e provvisoria-mente da evitare. 5. In metasemiotica* scientifica, il sim-bolo è un grafismo convenzionale (cheutilizza figure geometriche, lettere ecc.)che serve a denominare in modo univo-co* una classe di grandezze*, un tipo direlazione* e/o d’operazione*. La nota-zione simbolica è da considerare comeuna strumentazione visuale di rappre-sentazione di unità costitutive di un me-talinguaggio*. In senso stretto, il termi-

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Simbolo

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ne simbolo si applica, in primo luogo, airappresentanti delle classi di grandezze:si dice così che un insieme finito di sim-boli (da a a z, per esempio) costituiscel’alfabeto* (che corrisponde più o menoalla “morfologia” tradizionale). La no-tazione algebrica e logica ci ha abituatoa utilizzare le lettere come simboli diclassi mentre le figure (segni di ugua-glianza, di moltiplicazione ecc.) sonostati riservate alla rappresentazione direlazioni e di operazioni. Queste ultimesono a volte dette simboli operativi. Nelcaso della rappresentazione ad albero*,i simboli non terminali servono a eti-chettare i nodi* di tutti i livelli, eccettol’ultimo, i cui simboli, detti terminali,possono essere rimpiazzati da voci lessi-cali grazie all’applicazione di regoled’inserzione lessicale. Le ramificazionidell’albero, da parte loro, sono assimila-bili a simboli operativi, incaricati di rap-presentare le operazioni di concatena-zione* e di derivazione*. Si vede che ladefinizione hjelmsleviana del simbolo inquanto grandezza di semiotica mono-planare (in 1) si avvicina a quella dellegrandezze di metasemiotica scientifica.

→ Segno, Rappresentazione

B.La nozione di simbolo dà luogo, secon-do i contesti teorici in cui si presenta, adefinizioni così radicalmente divergentiche una legittima prudenza consiglie-rebbe di evitare l’impiego di un terminetanto sincretico e ambiguo. Ci sembratuttavia utile individuare alcune originidi questi fenomeni di ambiguità e disincretismo. 1. Nel Corso di Linguistica GeneraleSaussure adopera il simbolo in modomolto marginale. Lo oppone al segnosostenendo che la relazione tra le duefacce del simbolo comporta “per lo me-no un rudimento di legame naturale”.Dunque, non appena posto, il simboloviene subito eliminato: per il semplicefatto dell’esistenza di una relazione non

arbitraria tra le due facce, i simboli so-no inadatti a costituire un sistema. Laloro appartenenza alla “semiologia” èmessa fortemente in dubbio.2. Nelle ricerche sulla leggenda sembrache Saussure utilizzi la nozione di sim-bolo con un’accezione simile a quellaadottata per il segno nel Corso. Il cam-biamento dell’apparato terminologicosecondo il campo di ricerca è, a dire ilvero, un fenomeno specificamente saus-suriano. Contrariamente al simbolo delCorso, il simbolo della ricerca sulla leg-genda è descritto come una “combina-zione di tre o quattro tratti che si posso-no dissociare in qualunque occasione”.3. Dal canto suo Hjelmslev, attento, co-me in molti altri punti, ad articolare ilproprio apparato terminologico sullabase di quello di Saussure, mantiene lanozione di simbolo con il senso che ave-va nel Corso. Definisce dunque i sistemidi simboli – che non sono propriamentedelle semiotiche – come strutture inter-pretabili ma non biplanari. L’articola-zione tra Saussure e Hjelmslev risiedenel “legame naturale” che nel Corso uni-sce le due facce del simbolo e che è poiinterpretato, nei Prolegomena, come la“conformità” tra i due piani. Quanto aisimboli hjelmsleviani, la possibilità dicostituire dei sistemi si deve al fatto che,contrariamente ai loro omologhi saussu-riani, la conformità tra i due piani nonimplica in nessun modo un’eventualerelazione con un referente. 4. L’École di Parigi utilizza la nozionedi sistemi semi-simbolici* in un senso incui si riconosce, attraverso il prefisso se-mi- la concezione hjelmsleviana dei si-stemi di simboli: i sistemi semi-simboli-ci presentano fenomeni di conformitàtra elementi dei due piani, non però ter-mine a termine, ma tra alcune delle lorocategorie. 5. In psicanalisi il termine simbolo dàluogo a una proliferazione di usi. Limi-tandoci a Freud, possiamo enumerarealcuni tipi di simbolo messi in scena. 1. Il simbolo mnestico è il risultato del-

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Sincretiche (semiotiche –)

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la conversione somatica di un fenome-no di inconciliabilità nella vita rappre-sentativa del soggetto. 2. Qui il simbolo, quale si manifesta so-prattutto nel sogno, è un’unità a duefacce, allo stesso titolo del suo omonimosaussuriano. Una delle facce è manife-stata e prende anch’essa il nome di sim-bolo, l’altra è non manifestata, è cioè ilcontenuto. La relazione tra le due facceviene sempre data come motivata pervia dell’esistenza di un tratto che hannoin comune (tertium comparationis). Isimboli, tuttavia, non sono sempre im-mediatamente interpretabili. A elimina-re questa opacità sono allora spesso re-lazioni osservabili tra i simboli e le unitàdi sistemi semiotici come il folklore, imiti, la poesia e soprattutto le lingue.Ciò spiega la riflessione a tutto campodi Freud sul problema delle comuni ori-gini del linguaggio e del simbolismo.3. Freud dà infine il nome di simbolo alprodotto di quel fenomeno di simboliz-zazione che fissa su un oggetto l’ango-scia prodotta dalla repressione di unanozione pulsionale: per esempio il “ca-vallo di angoscia” nell’analisi del casodel piccolo Hans.6. Gli eventuali punti di contatto tra leconcezioni semiotiche e psicanalitichedel simbolo hanno una diversa colloca-zione secondo il tipo di simbolo freu-diano cui si fa riferimento: nell’accezio-ne 1. “l’ancoraggio somatico” che ca-ratterizza il simbolo sembra a prima vi-sta scoraggiare ogni sforzo di omologa-zione con la problematica semiotica.Quanto all’accezione 2., l’incontro po-trebbe farsi al livello di un eventuale ri-torno della semiotica alle origini del lin-guaggio. Nell’accezione 3. il simbolo èconsiderato il prodotto di un processodi simbolizzazione. La semiotica cono-sce questi processi e li descrive general-mente dal punto di vista della messa indiscorso: le sequenze discorsive pren-dono uno status simbolico attraverso ilgioco delle procedure di débrayage*.Per articolare i due tipi di concezione

bisognerebbe dunque descrivere, informa di discorso, l’istanza in cui vieneelaborato il simbolo freudiano nell’ac-cezione 3. (Mi.A.)

Simulata (prova –), agg. Simulée (épreuve –), Simulated (Test),Simulada (prueba –)

Quando il nascondimento* – che consi-ste nel negare, partendo dal vero*, iltermine apparire e nel produrre in talmodo uno stato di segreto* – è seguitoda un’esecuzione*, l’unità sintagmaticache viene in tal modo a costituirsi è det-ta prova simulata: così è, per esempio,quando il ruolo dell’anti-soggetto è as-sunto dal destinante* o dal delegato(esempio: il combattimento dell’Ange-lo nella Bibbia, illustrato da Delacroix,dove Giacobbe affronta Dio). La prova simulata sembra interessaresoprattutto la prova qualificante*.

→ Nascondimento, Veridittive(modalità –), Prova

Sincretiche (semiotiche –)Syncrétiques (sémiotiques), Syncretic Semiotics, Semióticas sincréticas)

1. Le semiotiche sincretiche – nel sen-so di semiotiche-oggetto, cioè grandez-ze manifestate come oggetto di cono-scenza – si contraddistinguono per l’im-piego di diversi linguaggi di manifesta-zione*. Uno spot pubblicitario, un fu-metto, un telegiornale, una manifesta-zione culturale o politica, sono esempidi discorsi sincretici. Questa prima os-servazione sulle semiotiche sincretichepone immediatamente il problema del-la tipologia dei linguaggi implicati inuna pluralità definitoria. È nota l’assen-za di criteri comuni alle diverse scuole egruppi di semiotici. Alcuni consideranola natura dei segni* sulla base del rap-porto con il referente*; altri rilevano la

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Sincretiche (semiotiche –)

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sostanza* del significante* e i canali*sensoriali della loro trasmissione; altriancora, seguendo Hjelmslev, prendonoin considerazione il grado di scientifi-cità e soprattutto il numero dei piani diqueste semiotiche. 2. Adottando quest’ultima posizione,diremo che le semiotiche sincretichecostituiscono il loro piano di espressio-ne* – e precisamente la sostanza di que-sto – con elementi appartenenti a moltesemiotiche* eterogenee. Si pongono al-lora la necessità e la possibilità di af-frontare questi oggetti come totalità disignificazione e di procedere, in un pri-mo tempo, all’analisi del loro piano delcontenuto*. Il reperimento di grandidisgiunzioni* categoriali permette diottenere una prima segmentazione* deltesto in sequenze discorsive – descrizio-ni, dialoghi, racconti – o in sequenze te-maticamente definite – combattimenti,passeggiate – che consentiranno poi diindividuare strutture narrative soggia-centi. È in funzione della conoscenza,così acquisita, dei diversi gradi di corri-spondenza e di coestensività tra le unitàtestuali e i sintagmi narrativi che si po-trà poi ritornare al piano di manifesta-zione per capire meglio le regole dellasua distribuzione in parecchi linguaggi,così come i ruoli e gli status attribuiti aquesti ultimi. Si potrà a quel punto af-frontare il problema dell’espressione.Va osservato, comunque, che allo statoattuale delle cose l’analisi di questo pia-no è particolarmente delicata, data l’as-senza di metalinguaggi descrittivi capa-ci di rendere conto dell’espressione dicerti linguaggi. Quale sistema di nota-zione scegliere per i processi gestuali?Si deve ricorrere al linguaggio profes-sionale dei produttori e dei registi perprocedere alla prima segmentazione diuna sequenza filmata? E questo lin-guaggio è davvero così univoco?Le analisi di enunciati sincretici realiz-zate finora permettono di riconoscerealmeno due problematiche relative al-l’enunciazione* sincretica: da un lato

quella sulle procedure di sincretizzazio-ne – la produzione e il processo genera-tivo del sincretismo – e dall’altro quellasulle strategie* sincretiche – l’elabora-zione di programmi complessi di comu-nicazione contrattuale e/o polemica. 3. L’analisi degli enunciati sincreticiinvita inoltre a interrogarsi sui tipi dicomunicazione implicati. È interessan-te constatare che la maggior parte deglistudi concreti sul testo illustrato, sulteatro o sulla pubblicità insiste voluta-mente sull’aspetto manipolatorio* dellacomunicazione sincretica. Tale aspettoè d’altro canto una realtà di tutti i gior-ni per i “media planners” pubblicitari,il cui mestiere consiste proprio nellascelta, nella programmazione e nel con-trollo delle diverse manifestazioni me-diatiche di una stessa campagna – ma-nifesti, radio, televisione, stampa. Lostudio delle semiotiche sincretiche rin-via quindi, in parte, a una teoria semio-tica degli atti* di linguaggio. (J.-M.F.)

Sincretismo, n.m. Syncrétisme, Syncretism, Sincretismo

1. Si può considerare il sincretismo co-me la procedura (o il suo risultato) checonsiste nello stabilire per sovrapposi-zione una relazione fra due (o più) ter-mini o categorie eterogenei, riuniti permezzo di una grandezza* semiotica (olinguistica) che li ricopre. Così, mentreil soggetto di un enunciato di fare* è lostesso di quello di un enunciato di sta-to* (è il caso del programma narrativodell’acquisizione*, in opposizione all’at-tribuzione* in cui i due soggetti corri-spondono ad attori* diversi), il ruolo at-tanziale che li riunisce è il risultato di unsincretismo. Nella frase “Eva dà unamela ad Adamo” il soggetto frastico“Eva” rappresenta il sincretismo degliattanti* soggetto e destinante. Il sincre-tismo, così ottenuto, è legato alla messain gioco di un’unità linguistica (soggettofrastico) che appartiene a un livello di

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Sinonimia

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generazione* più superficiale che quellodegli attanti: si tratta dunque di un sin-cretismo a posteriori. Al contrario,quando si definisce, per esempio, l’i-stanza dell’enunciazione come il luogodi un’indistinzione originale dell’“io-qui-adesso”, l’enunciazione è da consi-derare come un sincretismo a priori. 2. In senso più largo, saranno conside-rate sincretiche le semiotiche* che, co-me l’opera o il cinema – mettono inopera più linguaggi di manifestazione:così la comunicazione verbale non èsoltanto di tipo linguistico, ma includeanche elementi paralinguistici* (comela gestualità o la prossemica), sociolin-guistici ecc.

→ Neutralizzazione, Sospensione,Semiotica, Implicito

Sincronia, n.f. Synchronie, Synchrony, Sincronia

1. Il termine sincronia è stato propostoda F. de Saussure, in opposizione a dia-cronia, per denominare la simultaneitàcome criterio di raccolta – in vista distudi sistematici – di un insieme di fattilinguistici che costituiscono così unostato* di lingua. 2. La sincronia è stato un concetto ope-rativo*, nella misura in cui essa ha per-messo di fondare quello di sistema* lin-guistico (pensato come una gerarchia*relazionale il cui funzionamento è assi-curato dalla propria organizzazione in-terna). Se è stato utile per pensare il si-stema, il concetto di sincronia non lo èpiù per analizzarlo. Questa nozione, ineffetti, è tanto imprecisa quanto, peresempio, quella di presente. Una me-tafora, inventata dal soggetto parlantenel momento stesso in cui parla, è un fe-nomeno di ordine sincronico o diacro-nico? Uno stato di lingua – dunque unasincronia – dura molte centinaia d’annie comporta trasformazioni* interne(dette conversioni* da L. Hjelmslev)

numerose e varie. La linguistica d’oggiopera in acronia, poiché il concetto disincronia non è più operativo.

→ Diacronia, Acronia

Sinonimia, n.f. Synonimie, Synonymy, Sinonimia

1. Si intende generalmente per sinoni-mia la relazione di identità che due opiù grandezze (dette allora sinonimi)del piano del contenuto* sono suscetti-bili di contrarre. Questa relazione, fradue lessemi* per esempio, sarebbe veri-ficabile con la prova di sostituzione*: intal caso i due lessemi sarebbero sosti-tuibili in tutti i contesti, mostrando cosìche i semi contestuali – che entrano nel-la composizione dei loro sememi* – so-no identici. Ora, numerose e generaliz-zabili verifiche attestano fino a provacontraria solo l’esistenza di una sinoni-mia parziale: due verbi (“temere” e“aver paura”, per esempio) sono sosti-tuibili in certi contesti, ma non in tutti.A livello di lessemi si potrà parlare solodi parasinonimia*, il che corrobora delresto l’affermazione di F. de Saussuresecondo cui nella lingua non ci sonoche differenze. 2. Il problema della sinonimia si ponealtrimenti a livello delle unità semanti-che sememi*: se si considera che un les-sema può avere tanti sememi quanti so-no i percorsi contestuali possibili (o se-mi contestuali differenti), allora si ha ildiritto di sostenere, riprendendo l’e-sempio, che se i lessemi “temere” e“aver paura” non sono sinonimi, esistealmeno un semema di “temere” identi-co ad almeno un semema di “aver pau-ra” (in quanto questi sememi sono so-stituibili in una classe di contesti). Purrestando fedele al principio saussuria-no, la semantica può allora liberarsidelle costrizioni che le impone la diver-sità dei formanti* (che ricoprono i les-semi) e prendere in considerazione la

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Sintagma

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costruzione di sememi come unità dicontenuto, suscettibili di essere manife-state in diversi lessemi. Se si incontrasoltanto una parasinonimia lessematica,c’è almeno una sinonimia sememica.

→ Semema, Lessema, Parasinonimia

Sintagma, n.m. Syntagme, Syntagm, Sintagma

1. Si designa con il nome di sintagmauna combinazione* di elementi copre-senti all’interno di un enunciato* (fraseo discorso), definibili, oltre alla relazio-ne del tipo “e ... e” che permette di ri-conoscerli, tramite relazioni di selezio-ne* o di solidarietà* che intrattengonofra di loro, da una parte, e tramite la re-lazione ipotattica* che li collega all’u-nità superiore che costituiscono. I sin-tagmi sono ottenuti per segmentazio-ne* della catena sintagmatica, e lo sta-bilire relazioni fra le parti e le totalitàsegmentabili ha per effetto di trasfor-mare questa catena in una gerarchia*sintagmatica. L’analisi sintagmatica sitrova esaurita quando gli elementi ulti-mi, costitutivi di un sintagma, non sonopiù segmentabili e non possono più es-sere considerati come sintagmi: l’analisiparadigmatica dà allora il cambio alladescrizione sintagmatica. 2. Il concetto di sintagma, dotato diuna definizione puramente relazionale,è applicabile a tutti i piani del linguag-gio e ad unità di svariate dimensioni.Così la sillaba, per esempio, è un sin-tagma del piano dell’espressione, in cuiil nucleo sillabico è considerato comeelemento presupposto in relazione congli elementi periferici, presupponenti.Così, si parlerà anche di sintagmi nar-rativi, costituiti di più enunciati* narra-tivi che si presuppongono l’un l’altro(per esempio la prova*). Comunque,l’uso più diffuso tende a limitare l’im-piego di questo termine al solo camposintattico: nel quadro dell’analisi distri-

buzionale*, il sintagma serve a designa-re i costituenti immediati della frase,detti rispettivamente sintagma nomina-le (SN) e sintagma verbale (SV).

→ Sintagmatico

Sintagmatico, agg. Syntagmatique, Syntagmatic,Sintagmatico

1. Ogni oggetto conoscibile può essereconsiderato sotto due aspetti fonda-mentali – sia in quanto sistema*, sia co-me processo* –, e il termine sintagmati-co serve a designare il processo quandol’oggetto in questione è di natura se-miotica. In opposizione all’asse para-digmatico* che si definisce tramite lerelazioni del tipo “o ... o” che intratten-gono fra loro le grandezze riconoscibili,l’asse sintagmatico è caratterizzato, inun primo approccio, come un reticolodi relazioni del tipo “e ... e”. 2. Dobbiamo insistere sulla natura pu-ramente relazionale della sintagmaticaal fine di disambiguare questo concettoche soffre di deplorevoli confusioni.Identificata talvolta con la parola* saus-suriana, la sintagmatica è consideratacome la realizzazione* della lingua*,cioè come dotata di un modo di esisten-za* diverso, più “reale” che non la pa-radigmatica: non è certo il caso. La sin-tagmatica è spesso definita, del resto,dalla linearità, che è solo un modo dimanifestazione, temporale o spaziale,di quella struttura logico-relazionale – equindi atemporale e aspaziale – che è ilsintagmatico. La relazione “e ... e” è in-fine confusa con la nozione di conti-guità “materiale”, mentre va interpreta-ta solo come la copresenza di grandezzeall’interno di un enunciato (frase o di-scorso); per parte sua, la contiguità(l’ordine* dei vocaboli) corrisponde auna delle costrizioni regolamentate cheriguardano il piano dell’espressione(della fonologia soprasegmentale*). È

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noto il ruolo eminente che il sincreti-smo delle nozioni di linearità e di conti-guità gioca nell’analisi distribuzionale*. 3. È su questo sfondo, costituito dallarete relazionale di copresenza (o di com-binazioni*), che si elaborano relazionisintagmatiche più precise e più strin-genti. Così, L. Hjelmslev distingue tretipi di relazioni possibili, riconoscendo,accanto alla semplice combinazione, lerelazioni di selezione* (in cui la presen-za di un termine presuppone quelladell’altro, ma non viceversa) e di solida-rietà* (in cui i due termini si presup-pongono reciprocamente). Una similetipologia elementare conduce allora alriconoscimento e alla formulazione diunità* sintagmatiche (o sintagmi*), de-finite attraverso le relazioni che gli ele-menti costituenti intrattengono fra loroe con l’unità che li sussume. La sintag-matica si presenta allora come una ge-rarchia* relazionale, disposta su livelli*di derivazione* successivi. 4. Ogni processo presuppone l’esisten-za di un sistema semiotico: dunque nonè possibile parlare di semiotiche che sa-rebbero sintagmatiche pure, se non altroperché il discorso, quale che sia, posse-dendo un’organizzazione sintagmatica,si inscrive in un’intertestualità* e si trovaquindi correlato con altri discorsi. Ladifficoltà di stabilire, oggi come oggi,una tipologia* dei discorsi deriva dall’in-sufficienza delle nostre conoscenze: daquesta lacuna non si può però inferirel’assenza di reti paradigmatiche.

→ Sintagma, Paradigmatico, Linearità, Asse

Sintassi, n.f. Syntaxe, Syntax, Sintaxis

1. In logica, la sintassi è opposta (ecomplementare) alla semantica. In se-miotica, sintassi e semantica* sono ledue componenti* della grammatica*semiotica.

2. Dal punto di vista linguistico, la sin-tassi è tradizionalmente consideratauna delle due parti – l’altra è la morfo-logia – costitutive della grammatica: inquesta prospettiva, la morfologia è lostudio delle unità che compongono lafrase*, mentre la sintassi si dedica a de-scrivere le loro relazioni e/o a stabilireregole per la loro costruzione. 3. Questa concezione della sintassi èstata sconvolta dalla rimessa in discus-sione dello status della morfologia* nel-l’economia di una grammatica. Le lin-gue indoeuropee, di cui si è principal-mente occupata la linguistica del secoloscorso, erano di tipo flessivo, e le classimorfologiche (sostantivi, verbi, aggetti-vi ecc.) vi occupavano un posto fonda-mentale, e potevano essere considerate,senza inconvenienti, come unità di baseper descrizioni sintattiche. L’estensionedel campo di studi ad altri tipi di linguenaturali ha rivelato l’esistenza di tre tipidi classi suscettibili di essere assunte co-me unità del calcolo sintattico: accantoalle classi morfologiche esistono infatticlassi “sintattiche” (o funzioni* sintatti-che, come soggetto, predicato, epitetoecc.) e classi “sintagmatiche” (gruppinominale e verbale, determinante/de-terminato ecc.). Allora, due soluzioni sipresentavano ai teorici: la prima consi-steva in uno sforzo di sintesi per cercaredi costruire unità sintattiche dotate dideterminazioni capaci di soddisfare leesigenze poste dall’esistenza dei tre tipidi classi (è soprattutto L. Hjelmslev chevi si è impegnato). La seconda era fareun’opzione fondamentale, in occasionedella costruzione di una teoria gramma-ticale, a favore di un certo tipo di unitàdi base, salvo poi cercar di risolvere iproblemi che pongono le altre classi aun livello gerarchicamente inferiore. Ècosì che si incontrano grammatiche (esintassi) sintagmatiche (per esempio lagrammatica generativa*, che ha optatoper classi distribuzionali* sintagmati-che), grammatiche categoriali (operanticon classi morfologiche) elaborate da

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logici come K. Ajdukiewicz, Y. Bar-Hil-lel ecc., e grammatiche propriamentesintattiche (cfr. la sintassi strutturale diL. Tesnière, ma anche la nostra sintassiattanziale). 4. Lo status di una sintassi può esseredeterminato solo in rapporto alla se-mantica con la quale costituisce una se-miotica (o una grammatica). Un’osser-vazione superficiale permette di distin-guere, all’interno di una stessa proposi-zione, le relazioni semantiche dalle rela-zioni sintattiche: così, nel sintagma “Loschienale della sedia”, “schienale” reg-ge sintatticamente “sedia”, mentre, se-manticamente, è, per così dire, l’inver-so. In altri termini, le relazioni sintatti-che (ipotattiche) si stabiliscono fra leclassi sintattiche, indipendentementedal loro investimento semantico e costi-tuiscono così un’organizzazione (unastruttura sintattica) autonoma. Si poneallora un altro problema, cioè sapere sele relazioni sintattiche sono di naturasemantica (se sono significanti) o se so-no sprovviste di senso. A questo propo-sito sono due gli atteggiamenti che sicontrappongono. Le sintassi formalisono elaborate senza alcun riferimentoalla significazione: i simboli* a, b, cd’un linguaggio formale* si distinguo-no gli uni dagli altri in modo solo di-scriminatorio*, e il loro carattere di-screto* si fonda su un “senso negativo”(a non è b). Esattamente come l’orga-nizzazione dei fonemi* di una linguanaturale, una sintassi formale può esse-re considerata, con le debite proporzio-ni, come parte della forma dell’espres-sione (in senso hjelmsleviano). Le sin-tassi concettuali al contrario riconosco-no le relazioni sintattiche come signifi-canti (che partecipano della forma delcontenuto), anche se sono astratte e as-similabili alle relazioni logiche. Per lateoria semiotica si tratta dunque diun’opzione fondamentale: mentre leunità-simboli di una sintassi formalecostituiscono un alfabeto* (cioè un in-ventario qualunque, detto a volte, im-

propriamente, “struttura”) retto poi daun insieme di regole* operative, le unitàdella sintassi concettuale sono organiz-zate come una tassonomia* (una sortadi morfologia elementare) al cui internosi effettuano le operazioni sintattiche.La sintassi semiotica che proponiamo èinsieme attanziale (dunque sintattica insenso stretto) e concettuale. 5. La sintassi, tanto tradizionale quantorecente (con i suoi sviluppi generativo etrasformazionale) è essenzialmente unasintassi della frase, e studia quindi sol-tanto le combinazioni, le sostituzioni e leequivalenze situate all’interno di questaunità sintagmatica a dimensioni limitate.Tuttavia, le ricerche sulla narratività*hanno mostrato non solo l’esistenza diorganizzazioni sintagmatiche più vaste,transfrastiche, ma anche la loro univer-salità, dato che queste organizzazioni so-no risultate caratteristiche dell’insiemedelle comunità etnolinguistiche. D’altraparte, la grammatica trasformazionaleha ben mostrato – ma senza trarne anco-ra tutte le conseguenze – che a una frasedi superficie, per esempio, possono cor-rispondere due o più frasi di livelloprofondo: il che significa che le dimen-sioni della frase non costituiscono limitiinvalicabili per l’esplorazione di organiz-zazioni sintagmatiche. Infine, l’approc-cio generativo permette di concepire lasintassi come un’architettura a più piani,ciascuno dei quali può essere dotato diuna formulazione sintattica propria, diregole di conversione* (forma particola-re di omologazione*) che permettono dipassare da un piano all’altro. Tutto ciòcostituisce delle condizioni favorevoliper ricerche – multiple e variate – chetendono all’elaborazione di una sintassi,non più frastica ma discorsiva. 6. Lo stato di avanzamento delle ricer-che in semiotica – analisi particolari e ri-flessioni teoriche – ci permette di con-cepire la grammatica semiotica come unprogetto in via di realizzazione: anche sele sue differenti componenti sono anco-ra inegualmente sviluppate, l’economia

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Sintassi fondamentale

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d’insieme e i contorni di una tale teoriasono sufficientemente precisi. Così, sipuò distinguere una componente sintat-tica e una componente semantica*, cia-scuna delle quali è suscettibile di essereformulata su due livelli di profondità.La sintassi semionarrativa comportadunque un livello profondo, quello del-la sintassi fondamentale, e un livello disuperficie in cui si colloca la sintassinarrativa (in senso stretto).

→ Morfologia, Funzione, Grammatica,Generativo (percorso –),

Sintassi fondamentale, Sintassinarrativa di superficie, Sintassi

discorsiva, Sintassi testuale

Sintassi discorsivaSyntaxe discursive, Syntax, discoursive,Sintaxis discursiva

La sintassi discorsiva è tuttora in via dielaborazione: non è dunque possibilefissare in modo definitivo lo status delleunità e delle operazioni che comporta.Così, abbiamo preferito proporne legrandi linee sotto forma di procedureche entrano in gioco, a livello dell’istan-za dell’enunciazione*, nel momentodella produzione del discorso: questeprocedure, alle quali abbiamo dato ilnome di discorsivizzazione, conduco-no, grazie al meccanismo di débrayage edi embrayage, alla costituzione di unità*discorsive la cui tipologia e le mutue re-lazioni dovranno fare l’oggetto di ap-profondite ricerche. Abbiamo distintotre sottocomponenti nella discorsivizza-zione: l’attorializzazione*, la tempora-lizzazione* e la spazializzazione*. Inquanto procedure, esse permettono diinscrivere le strutture narrative (di natu-ra logica) in coordinate spazio-tempora-li e di investire gli attanti in attori di-scorsivi. Tale articolazione della sintassidiscorsiva – anche se è solo provvisoria– ha il vantaggio di prevedere in antici-po la posizione di problematiche e di ri-

cerche da effettuare: così, per esempio,si può approfittare dell’esperienza (eforse di certi risultati) dei costruttori dilogiche temporali per formulare in mo-do più preciso la componente tempora-le di questa sintassi (evitando così losmarrimento dei ricercatori di fronte al-l’uso improprio e travisato delle catego-rie temporali). Analogamente, la sotto-componente spaziale costituisce senz’al-tro un luogo d’incontro per differentiapprocci relativi alla spazialità, e diffusisull’insieme del campo semiotico (peresempio, linguaggi spaziali, prossemica,gestualità, semiotica dello spazio ecc.).

→ Discorsivizzazione, Generativo(percorso –)

Sintassi fondamentaleSyntaxe fondamentale, Syntax,fundamental, Sintaxis fundamental

1. La sintassi fondamentale costitui-sce, con la semantica* fondamentale, illivello profondo della grammatica* se-miotica e narrativa. Dovrebbe renderconto della produzione, del funziona-mento e della apprensione delle orga-nizzazioni sintagmatiche, dette discor-si, che fanno parte di semiotiche lingui-stiche e non linguistiche: rappresental’istanza ab quo del percorso generati-vo* di tali discorsi. 2. Una sintassi simile comporta una sot-tocomponente tassonomica* (che corri-sponde all’alfabeto* dei linguaggi for-mali*) e una sottocomponente operativa(o sintattica, in senso stretto). Questidue aspetti di una sintassi che cerca dirender conto allo stesso tempo del mododi esistenza e del modo di funzionamen-to della significazione, possono essere il-lustrati da un esempio semplice: il termi-ne “contraddizione” designa allo stessotempo una relazione fra due termini, e lanegazione di un termine che provocal’apparizione dell’altro. 3. Il modello tassonomico corrisponde

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Sintassi fondamentale

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alle condizioni epistemologiche necessa-rie al riconoscimento della struttura* ele-mentare della significazione; è contem-poraneamente formulato in termini di lo-gica qualitativa (o logica della compren-sione*) e riceve la sua rappresentazione*sotto forma di quadrato* semiotico (altrimodi di rappresentazione sono però pos-sibili). Costituisce così una sorta di spa-zio organizzato, che comporta terminiinterdefiniti sui quali potranno effettuar-si le operazioni sintattiche che dannoluogo a combinazioni tassiche nuove(termini derivati e complessi), o a succes-sioni sintattiche ordinate. 4. Le operazioni sintattiche fonda-mentali, chiamate trasformazioni*, so-no di due tipi: la negazione* e l’asser-zione*. Se la negazione serve essenzial-mente a produrre termini contradditto-ri*, l’asserzione è capace di riunire ter-mini situati sugli assi dei contrari* e deisubcontrari*. Mentre il modello tasso-nomico, in quanto schema relazionalepreesistente, permette di circoscrivereil campo d’esercizio delle operazioni(di produzione e/o di apprensione disenso), queste si costituiscono in serie,non solo nel senso del loro orientamen-to*, ma anche per la loro capacità “me-moriale” (la denegazione*, per esem-pio, non è una semplice negazione, mala negazione di un’asserzione anterio-re): è un tratto essenziale che distinguela sintassi semiotica dalla sintassi logica. 5. La sintassi fondamentale così conce-pita è puramente relazionale, insiemeconcettuale e logica: i simboli-terminidella sua tassonomia sono definiti comeintersezioni di relazioni, e le operazioni,a loro volta, sono atti* che stabilisconorelazioni. Essa è di conseguenza logica-mente anteriore alla sintassi* narrativadi superficie, formulata in termini dienunciati che comportano degli attan-ti* e delle funzioni*.

→ Quadrato semiotico, Asserzione,Negazione, Sintassi narrativa di

superficie, Generativo (percorso –)

Sintassi narrativa di superficieSyntaxe narrative de surface, Syntax,surface narrative, Sintaxis narrativa desuperficie

1. La sintassi narrativa di superficie (osintassi narrativa propriamente detta) èun’istanza del percorso generativo* ot-tenuta, con l’aiuto di un insieme di pro-cedure (formulabili in regole), a partiredalla sintassi* fondamentale. Il proble-ma della costruzione di questo livello èdoppio: si tratta contemporaneamentedi prevedere quale sarà la forma gene-rale di questa istanza e di tener contodella sua omologazione con la sintassifondamentale, la quale soltanto puòpermettere di esplicitare le regole diconversione* dall’una nell’altra. 2. Contrariamente alla sintassi fonda-mentale, dove si tratta di un insieme dioperazioni effettuate su termini, la for-ma generale della sintassi di superficie èquella di una manipolazione di enun-ciati*. Ricorrendo a un’immagine ana-logica, giusta solo in parte, si potrebbedire che il passaggio dal livello sintatti-co profondo a quello di superficie cor-risponde, grosso modo, a quello dallalogica delle classi alla logica delle pro-posizioni. 3. La costruzione di un modello sintat-tico implica un certo numero di opzio-ni teoriche (epistemologiche e metodo-logiche) da cui dipende, in definitiva, laforma che ne sarà data. La prima diqueste opzioni consiste nella scelta del-le unità che la sintassi dovrà manipola-re: mentre le grammatiche categorialiscelgono le classi* morfologiche, e legrammatiche trasformazionali le classisintagmatiche (mutuate del resto dall’a-nalisi distribuzionale), noi abbiamo op-tato per le classi sintattiche (tradizio-nalmente dette funzioni* sintattiche),che consideriamo gerarchicamente su-periori alle precedenti, lasciando a li-velli sintattici più superficiali – comequelli di discorsivizzazione* e di testua-lizzazione* – la cura di prevedere l’inte-

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Sintassi narrativa di superficie

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grazione delle classi morfologiche e sin-tagmatiche. 4. La seconda opzione non è meno de-cisiva: si tratta di concepire la strutturasintattica più semplice e di definire cosìla forma da dare all’enunciato* elemen-tare. Contrariamente alla tradizione,che risale ad Aristotele, e che postula labinarietà* della struttura elementare(soggetto/predicato, sintagmi nomina-le/verbale), la nostra concezione dell’e-nunciato è relazionale: assumendo l’e-redità hjelmsleviana, ma riferendoci an-che a L. Tesnière e H. Reichenbach, fragli altri, consideriamo l’enunciato comeun’espansione relazionale del predica-to*: in quanto funzione*, questo proiet-ta, come termine-esito della relazione, i“funtivi” che definiamo come attanti*.L’enunciato narrativo si definirà dun-que, per noi, come una relazione-fun-zione fra almeno due attanti. 5. Una simile concezione dell’enuncia-to elementare permette allora di formu-lare il principio sul quale si fondano leprocedure di conversione dalla sintassifondamentale nella sintassi narrativa:alle relazioni (che costituiscono la basetassonomica della struttura sintatticaprofonda) e alle operazioni-trasforma-zioni (che si effettuano su questa base)corrispondono, a un livello più superfi-ciale, degli “stati” e del “fare”, formula-ti in enunciati di stato* ed enunciati difare*, con gli enunciati di fare che reg-gono gli enunciati di stato, proprio co-me le trasformazioni operano su rela-zioni. 6. La struttura costituita da un enun-ciato di fare che regge un enunciato distato è detta programma* narrativo(abbreviato in PN): sarà consideratacome l’unità elementare* operativa*della sintassi narrativa. Il PN può esse-re interpretato, in cattivo italiano, comeun “far-essere” del soggetto, come l’ap-pello all’esistenza semiotica di un nuo-vo “stato di cose”, come generazione(sperimentabile tanto a livello di pro-duzione che a livello di lettura) di un

nuovo “essere semiotico”. La distinzio-ne che si stabilirà poi fra il fare* prag-matico e il fare cognitivo permetterà disdoppiare i PN situandoli ora sulla di-mensione* pragmatica, ora sulla di-mensione cognitiva della narratività. 7. I programmi narrativi, che possonoessere semplici o complessi (integrandoeventualmente un numero indefinito diPN d’uso), e detti allora PN di base, ri-sultano complessificati dal riconosci-mento degli enunciati modali che reg-gono enunciati di fare. Se il programmanarrativo, in quanto “far-essere” delsoggetto, dev’essere considerato comela sua performanza*, le modalità – co-me quelle del voler-fare o del poter-fare– appaiono come condizioni necessarieper la realizzazione di questa perfor-manza, costituendo così ciò che si puòdesignare come la competenza* modaledel soggetto. Si vede allora che ogni PNdi fare presuppone la competenza. Untale programma allargato – suscettibiledi integrare altri elementi facoltativi –prenderà allora il nome di percorsonarrativo del soggetto*. 8. Il riconoscimento della struttura po-larizzata – polemica o contrattuale – deldiscorso narrativo impone alla sintassinarrativa la necessità di tenere (e di ren-der) conto della presenza e delle mutuerelazioni di almeno due soggetti, con iloro propri programmi e percorsi nar-rativi. Tale sintassi si presenta allora co-me una sintassi della comunicazione*fra soggetti (o come una sintassi di tra-slazione d’oggetti; le acquisizioni prag-matiche, cognitive o modali di uno deisoggetti possono considerarsi come al-trettante perdite per l’anti-soggetto). 9. Non si tratta evidentemente che diforme elementari della sintassi narrativa,quale la concepiamo allo stato attuale del-lo sviluppo delle ricerche semiotiche. Leforme dell’organizzazione narrativa deldiscorso sono certamente più complesse,per quanto mal conosciute. È chiaro chela sintassi narrativa dovrà sviluppare lebasi teoriche di una strategia* dei pro-

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Sintassi testuale

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grammi e dei percorsi narrativi, e soloquesta permetterà di manipolare “massenarrative” di dimensioni più ampie e dipiù grande complessità. Lo scopo da rag-giungere, abbastanza curiosamente, sem-bra consista nel riempire, con l’aiuto diuna tipologia dei programmi strategici, ladistanza che separa le forme elementarigià riconosciute dallo schema narrativo*elaborato – per generalizzazioni successi-ve – come una sorta di canone, a partiredalle scoperte di V. Propp. 10. Abbiamo poc’anzi insistito sul carat-tere antropomorfo* della sintassi fonda-mentale, logica e astratta*. Infatti, siache si consideri la concezione dell’enun-ciato elementare (che è la formulazionesintattica della relazione fondamentaledell’uomo-soggetto con il mondo-ogget-to), o quella dei programmi narrativiche si interpretano come trasformazionidelle cose da parte dell’uomo (che se netrova egli allo stesso tempo trasformato)– o che si pensi alla dimensione comuni-cativa* della narratività, che corrispon-de al concetto generale dello scambiointersoggettivo –, tutto sembra indicareche, geneticamente, la sintassi narrativadi superficie è la fonte che origina ogniprocesso semiotico. È il mantenimentostretto del principio generativo, all’op-posto della concezione genetica, che ciobbliga a considerare questa istanza co-me più superficiale in rapporto alla sin-tassi fondamentale.

→ Enunciato, Attante, Funzione,Programma narrativo, Performanza,Competenza, Narrativo (percorso –),

Narrativo (schema –), Sintassifondamentale, Generativo (percorso –)

Sintassi testualeSyntaxe textuelle, Textual Syntax,Sintaxis testual

Si può riunire sotto il nome di sintassitestuale l’insieme delle procedure di te-stualizzazione (cioè della messa in testo

del discorso) suscettibili d’intervenirein ogni istante del percorso generativo*(livello profondo o di superficie, di-scorso non figurativo o figurativo ecc.).La testualizzazione consiste nell’unire ildiscorso (situato sul piano del contenu-to*) al piano dell’espressione* che gli èattribuito (unione detta semiosi*),quindi il discorso deve sottomettersi al-le costrizioni che gli impone la natura –spaziale o temporale – del significanteimpiegato. Fra le procedure che fannoparte di tali costrizioni, segnaliamo la li-nearizzazione*, la segmentazione* (co-stitutiva di unità* testuali che sono i pa-ragrafi, le frasi), l’anaforizzazione* ecc.

→ Testualizzazione, Generativo(percorso –)

Sintesi, n.f. Synthèse, Synthesis, Síntesis

In opposizione all’analisi, che parte dal-l’oggetto semiotico da descrivere consi-derato come un tutto di significazione*,si intende per sintesi – nella tradizionehjelmsleviana – le procedure che lo con-siderano anzitutto come parte costituti-va di un’unità gerarchicamente* supe-riore o come individuo appartenente auna classe*, e che cercano in modo ri-corrente di raggiungere progressiva-mente la totalità dell’insieme nel qualesi inscrive. Così le procedure che pon-gono anzitutto elementi discreti* per ot-tenere poi le loro combinazioni* o le lo-ro espressioni* sono dette sintetiche (otalvolta ascendenti), in opposizione alleprocedure analitiche (o discendenti).

→ Analisi

Sistema, n.m. Système, System, Sistema

1. Il sistema è uno dei due modi di esi-stenza – complementare a quello di

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Socioletto

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processo* – degli universi strutturati ostrutturabili. Per L. Hjelmslev, questoconcetto è di portata universale e oltre-passa non solo il quadro della linguisti-ca, ma anche quello della semiotica; co-sì egli designa con il nome di paradig-matica* il sistema semiotico. 2. Per F. de Saussure, il termine siste-ma permette di definire il concetto dilingua* (= “sistema di segni”) nella mi-sura in cui, tradizionalmente, denomi-na un tutto coerente i cui elementi di-pendono gli uni dagli altri. Saussure haarricchito il concetto di lingua-sistemaconsiderandolo anzitutto come un in-sieme di campi associativi (attualmenteriformulati in termini di paradigma*) icui termini intrattengono fra loro “rap-porti associativi”, mettendo in evidenzale somiglianze che li uniscono e le diffe-renze che li oppongono. Ogni terminedi un paradigma si definisce dunquenegativamente come tutto ciò che nonè, opponendosi all’insieme degli altritermini, mentre il supporto delle somi-glianze, ciò che riunisce tutti i terminidi un paradigma, è un tratto differen-ziale tramite il quale il paradigma nelsuo insieme si oppone a un altro para-digma. Il concetto di sistema è alloradepurato: la lingua cessa di essere uninsieme di elementi interdipendenti perdivenire un sistema di relazioni (diffe-renziali e oppositive). Per inciso, si ve-de che ci sono due letture possibili diSaussure: la prima consiste nel registra-re e organizzare i concetti che servonocome punto di partenza alla sua rifles-sione (per esempio, “la lingua è un si-stema di segni”; il significante e il signi-ficato sono le due facce di un vocabolo-segno); la seconda, a trarre tutte le con-seguenze, a volte implicite, di questa ri-flessione. 3. Dato che la lingua, in quanto sistema,costituisce un insieme stratificato, checomporta due piani* (espressione* econtenuto*) e che ciascuno di essi fa ap-parire a sua volta dei livelli di articolazio-ne* (livello dei fonemi* e dei femi*, dei

sememi* e dei semi*), vi si possono rico-noscere dei sotto-sistemi relativamenteautonomi che chiameremo sistemi fono-logico e femico, sememico e semico. Èchiaro che la definizione iniziale di Saus-sure, relativa alla lingua come sistema disegni, concerne solo lo strato più appa-rente, quello dei segni-morfemi*.

Socioletto, n.m. Sociolecte, Sociolect, Sociolecto

1. Opposto tanto all’idioletto*, che de-signa le attività semiotiche di un attoreindividuale, quanto al dialetto*, cherinvia alla differenziazione (dovuta auna ripartizione geografica dei gruppiumani) di attività identiche se conside-rate dal punto di vista sociale, il socio-letto caratterizza il fare semiotico nellesue relazioni con la stratificazione so-ciale. Se si prendono in esame le strati-ficazioni di una società data come feno-meni extra-semiotici, le configurazionisemiotiche corrispondenti costituisco-no la faccia significante di tali organiz-zazioni, in quanto spiegano le ragioniper cui la società, le classi, gli strati oraggruppamenti sociali si distinguonogli uni dagli altri. I socioletti sono cosìquasi dei sotto-linguaggi, resi riconosci-bili dalle variazioni semiotiche che lioppongono gli uni agli altri (è il loropiano dell’espressione*) e per le conno-tazioni* sociali che li accompagnano (èil loro piano del contenuto*); si costi-tuiscono in tassonomie* sociali, soggia-centi ai discorsi sociali. Lo studio deisocioletti fa parte di una disciplina par-ticolare, la sociosemiotica*. 2. Le variazioni sociolettali sono ri-scontrabili tanto a livello della superfi-cie lessicale (cfr. le nomenclature*, leterminologie* ecc.) quanto al livellodelle organizzazioni discorsive (la scrit-tura è assimilabile a un fatto socioletta-le, in opposizione allo stile*, d’ordineidiolettale). A livello di strutture* se-mantiche profonde*, l’universo socio-

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Sociosemiotica

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lettale si caratterizza insieme per il suoimpiego particolare della categoria na-tura/cultura (dotando l’universo* se-mantico collettivo* di investimenti ipo-tattici specifici) e per la sua articolazio-ne della categoria vita/morte che glipermette d’interpretare a suo modo l’u-niverso semantico individuale: si tratta,in definitiva, di render conto dell’atteg-giamento che una comunità sociocultu-rale adotta a proposito degli interroga-tivi fondamentali che le sono posti.

→ Universo semantico, Sociosemiotica,Idioletto, Psicosemiotica

Sociosemiotica, n.f. Sociosémiotique, Socio-semiotics,Sociosemiótica

1. All’interno della dominazione chepotrebbe eventualmente essere copertadal termine sociosemiotica, solo la so-ciolinguistica può avanzare pretese diottenere lo status di disciplina più omeno istituzionalizzata. Il tentativo diavvicinare due discipline – sociologia elinguistica – eterogenee quanto alle me-todologie, ha dato luogo a ricerche chepossiamo raggruppare sommariamentesotto due aspetti principali: – a) le ricerche che vertono sulle conva-riazioni delle strutture linguistiche edelle strutture sociali; – b) quelle che concernono la conte-stualità sociale della comunicazione lin-guistica. 2. Lo studio delle convariazioni, in séirreprensibile, non manca di porre pro-blemi quando si esamina, un po’ più davicino, la natura delle variabili prescel-te. Finché si mettono in relazione leclassi sociali tradizionali (aristocrazia,borghesia, popolo) da una parte e i re-gistri* di lingua dall’altra, l’accosta-mento è generalmente accettato comeun’evidenza. Ma i criteri impiegati perstabilire la stratificazione sociale dellenostre società industriali (come i “modi

di vita”: comportamenti concernenti ilvestiario, la cucina, l’abitazione ecc.)sembrano appartenere, per il semiolo-go, a pratiche significanti inserite inquello che egli considera come il vastocampo delle semiotiche dette non-lin-guistiche*: la loro messa in relazionecon le pratiche linguistiche è allora, perlui, una questione di intertestualità* se-miotica e non di interdisciplinarità so-ciolinguistica. Del resto, nelle strutturelinguistiche, che costituiscono la secon-da variabile della correlazione, non c’ènulla che permette di considerarle co-me “strutture”: le marche grazie allequali si riconosce il parlare dei “Whitecollars” o il dialetto di New York sonodisparate, e appartengono a tutti i pianie livelli del linguaggio; non sono strut-turabili, sono piuttosto indici sparsi cherinviano a qualcosa d’altro che non lalingua considerata: a un linguaggio diconnotazione* sociale. 3. Osservazioni analoghe possono es-sere formulate a proposito della messain relazione del contesto sociale e dellacomunicazione linguistica. La semioti-ca non può accontentarsi del concettodi comunicazione*, elaborato nel qua-dro della teoria dell’informazione in cuile due istanze dell’emissione e della ri-cezione sono considerate come auto-mi* incaricati di trasmettere informa-zioni neutre. La comunicazione mettein gioco dei sincretismi semiotici com-plessi, in cui le attitudini somatiche, lagestualità, la prossimità spaziale gioca-no un ruolo considerevole. Vi parteci-pano non degli automi ma dei soggetticompetenti*: le presupposizioni e leimplicazioni logiche che si possono ri-cavare dall’analisi dei messaggi scam-biati ce li mostrano dotati di saper-faremultipli, in possesso di numerosi codiciculturali. Quindi ci si può chiedere se leinformazioni – insufficienti, senz’altro,ma sicure – che ci offre l’analisi dell’e-nunciato, non ci illuminino di più sullanatura dell’enunciazione* che non i pa-rametri sociologici, tratti un po’ a caso

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e in numero indefinito come dal cap-pello di un prestigiatore. In ambedue icasi – si tratti di correlazioni strutturalio dello status della comunicazione – lacoerenza metodologica ci sembra pre-feribile alle ambizioni interdisciplinari,soprattutto quando tale coerenza siasalvaguardata considerando i problemilinguistici in un quadro semiotico piùgenerale. 4. Obbligata, per garantire i suoi primitentativi, a postulare l’esistenza di ununiverso* semantico, pensato come latotalità dei significati precedenti a ognianalisi, la semiotica sconfina immedia-tamente nel “sociologico”, distinguen-do arbitrariamente l’universo colletti-vo* da quello individuale*. Proponen-do poi, a titolo d’ipotesi, le categorie*elementari di cultura/natura e di vi-ta/morte come suscettibili di articolare,a un primo approccio, questi due uni-versi, essa può cercare di definire il so-cioletto come la maniera specifica, ca-ratteristica di ogni società, d’interpre-tare e di assumere tanto l’universo col-lettivo quanto l’universo individuale(cioè di esplicitare ciò che essa intendeper cultura e natura, per vita e morte).Una simile concettualizzazione apriori-stica è destinata a fornire una rappre-sentazione della cultura* identificatacon “la società come significazione” e arender conto, allo stesso tempo, diun’eventuale tipologia delle culture co-me del relativismo culturale contempo-raneo. 5. L’universalità della cultura e le spe-cificità culturali costituiscono uno degliobbiettivi della teoria semiotica, checerca di coglierle e di analizzarle siste-maticamente attraverso la diversità del-le semiotiche che si possono prenderein considerazione come assiologie* ocome ideologie* e definire come mo-delli d’azione* e di manipolazione*. Al-la sociosemiotica – nella misura in cuiuna simile distinzione terminologicapuò essere di qualche attualità – è riser-vata la vasta dominazione delle conno-

tazioni* sociali, di cui indicheremo bre-vemente alcune dimensioni. 6. Un primo livello di connotazionecorrisponde a ciò che si potrebbe con-siderare come una “epistemologia miti-ca”, fatta di atteggiamenti che una datasocietà adotta a proposito dei propri se-gni (J. Lotman, M. Foucault) e che sipalesa tanto nei discorsi che parlano deisegni quanto in quelli che li analizzanoo li interpretano, dai miti di origine dellinguaggio fino alle più recenti filosofiedel linguaggio. Si sa, per esempio, che isegni medievali sono metonimici e rin-viano a una totalità di senso, che i segnidel XVIII secolo sono “naturali”, che ilsegno saussuriano è detto “borghese”da R. Barthes. Si possono mettere indubbio alcune di queste interpretazio-ni, altre possono arricchire la teoria se-miotica. In ogni caso, bisogna constata-re che esiste, nel campo linguistico, unarelativa indipendenza del fare scientifi-co propriamente detto in rapporto alleteorie del segno alle quali è comunquecollegato: tutto accade come se l’attivitàa vocazione scientifica, raggiunto un li-vello di maturità, si liberasse progressi-vamente alle variazioni gnoseologicheche si suppone che la fondino. 7. Un altro livello di connotazionestrettamente legato al primo sembrasottendere i discorsi e stabilire il modoe il grado di veridizione* che una so-cietà attribuisce loro: ciò che è “realtà”e ciò che non è altro che “finzione”, ov-vero ciò che è una “storia vera” e ciòche non è che una “storiella” (criteriper una classificazione dei “generi” let-terari e per una tipologia dei “mondipossibili”), appartengono ad un’onto-logia culturale di ordine connotativo. 8. A questo non è difficile aggiungere,finché si tratta di società arcaiche o tra-dizionali, una tassonomia di linguaggisociali, fondata su una decina di catego-rie discriminatorie (come “sacro”/“pro-fano”, “esterno”/“interno”, “maschi-le”/“femminile”, “superiore”/“inferio-re” ecc.), che ricopre una morfologia

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sociale stabile. L’avvento delle macro-società fa sì che questi quadri rigidi sifrantumino in un gran numero di di-scorsi sociali (la lingua sacra, per esem-pio, si diluisce in discorsi religioso, filo-sofico, poetico ecc.) che corrispondonoai “club di utenti” con entrata a paga-mento, ma che trasformano anche mor-fologie di connotazione chiuse (dove isoggetti parlanti sono legati al loro lin-guaggio) in sintassi connotative elasti-che (ognuno è relativamente libero discegliersi il suo linguaggio a secondadelle circostanze) e, più ancora, in au-tentiche strategie di comunicazione do-ve le cariche connotative prevalgonospesso sui contenuti denotativi. Ciò cheappare di frequente, in superficie, co-me una democratizzazione della societàda parte del linguaggio, è, di fatto, solola costruzione di una nuova torre di Ba-bele, tanto più dannosa quanto più la-scia alla gente l’illusione di parlare unasola e stessa lingua. 9. Come per colmare il vuoto lasciatodalla frammentazione dei linguaggi, eanche dalla scomparsa di tutta una let-teratura etnica, si sviluppano nuoveforme semiotiche che tendono a rinfor-zare la coesione sociale intaccata. Essesi manifestano sotto la forma di una so-cioletteratura la cui teoria dei generi(poliziesco, western, posta del cuore,oroscopo ecc.) è ancora da elaborare,ma anche per mezzo di semiotiche so-ciospettacolari molto varie (incontrisportivi, corse, “giri” ecc.) che si avvici-nano agli oggetti sincretici complessi diun tempo (come la poesia cantata e, in-sieme, danzata). È un vasto settore chela sociosemiotica, interessata allo stessotempo ai mezzi (i media) e alla loro fi-nalità sociale, potrebbe incaricarsi di ri-conoscere e organizzare. 10. Se il progetto sociosemiotico pren-de corpo, si dovrà subito porre la que-stione del suo grado di autonomia ri-spetto al tronco comune della semioticagenerale. Dalle ricerche in corso sem-brano emergere due tendenze diver-

genti. La prima deriva dall’idea dell’ir-riducibilità dei fatti sociali a puri fattisemiotici. Se la realtà*, economica opolitica, per esempio, viene consideratacome sostanzialmente dotata di regoleproprie che richiedono teorie specifi-che a ciascuno dei livelli considerati –sociologia, scienza economica, politolo-gia – allora il ruolo della semiotica sitrova ridotto a quello di sovrastrutturao di copertura stilistica* che riveste lamanifestazione dei rapporti sociali pro-priamente detti. In quest’ottica si costi-tuisce, per esempio, una psico-socio-se-miotica discorsiva (Cl. Chabrol), conun’innegabile autonomia rispetto all’o-perato e forse agli stessi principi episte-mologici di una semiotica generale.Nulla impedisce tuttavia, al contrario,di concepire una sociosemiotica che sisviluppi in piena armonia con il quadrodei postulati generali della disciplinamadre. In effetti, fin dall’inizio e a suomodo, la semiotica generale non ha maismesso di occuparsi del reale*, e a for-tiori del sociale*, concepiti come effettidi senso*. Formulata in termini succin-ti e intenzionalmente ingenui, la grandequestione posta al sociosemiologo sa-rebbe quindi quella di rendere conto di“ciò che facciamo” per dare consisten-za al sociale (o alla vita politica) inquanto tale: come ne costruiamo gli og-getti e come ci collochiamo in esso inquanto soggetti che parlano e agiscono.L’oggetto empirico della sociosemioti-ca si definisce in questo caso come l’in-sieme dei discorsi e delle pratiche cheintervengono nella costituzione e/o nel-la trasformazione delle condizioni di in-terazione tra i soggetti – individuali ocollettivi. Centrata in un primo temposullo studio dei sistemi* – tassonomiedei linguaggi sociali, sistemi di conno-tazioni sociali – la problematica si rio-rienta oggi gradualmente verso una mi-gliore conoscenza dei processi sociose-miotici operanti in quello che vienechiamato, in sociologia e in storia, il“cambiamento” sociale. Si serve, per

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l’essenziale, dei modelli della gramma-tica narrativa. (E.L.)

→ Semiotica, Connotazione,Etnosemiotica, Giuridica (semiotica –),

Politica (semiotica –)

Soggettivo (valore –), agg. Subjective (valeur –), Subjective(Value), Subjetivo (valor –)

Si chiamano valori soggettivi le pro-prietà “sostanziali” del soggetto* chegli sono attribuite dalla predicazione*mediante la copula “essere”*, in oppo-sizione ai valori oggettivi, “accidentali”,attribuiti in molte lingue naturali dalverbo “avere” e dai suoi parasinonimi.

→ Oggettivo

Soggetto, n.m. Sujet, Subject, Sujeto

1. Al crocevia di diverse tradizioni – fi-losofica, logica e linguistica – il concettodi soggetto è difficile da trattare e dàluogo a non poche ambiguità. In questasede tratteremo perciò due punti princi-pali di vista sotto i quali è preso in con-siderazione. – a) Si parla spesso del soggetto comedi ciò che è “sottoposto” (etimologica-mente) alla riflessione o all’osservazio-ne, come ciò di cui si tratta, in opposi-zione a ciò che se ne dice (predicato*).Questa è l’accezione usuale in logicaclassica: il soggetto è situato in tal casoall’interno di un enunciato oggettivatoe trattato come una grandezza* osser-vabile, suscettibile di ricevere le deter-minazioni che il discorso le attribuisce.L’estrapolazione e l’applicazione di unsimile soggetto logico alla linguistica dàrisultati più o meno soddisfacenti: lalinguistica si vede obbligata, difatti, aintrodurre accanto al soggetto logico,un soggetto apparente (“gli è che ...”),

un soggetto grammaticale (in “niente èbello quanto il vero”, dato che “il vero”è il soggetto logico, bisogna postulare,per “niente”, lo status di soggettogrammaticale) ecc. – b) Per un’altra tradizione, più filosofi-ca, il termine soggetto rinvia a un “esse-re”, a un “principio attivo” suscettibilenon solo di possedere qualità, ma anchedi effettuare atti. È il senso che gli vieneconferito in psicologia o in sociologia, eal quale si possono ricollegare le nozionidi soggetto parlante in linguistica e disoggetto conoscente (o epistemico) inepistemologia. Escludendo ad ogni mo-do le particolarità individuali, capaci dicaratterizzare il soggetto nell’hic et nunc,l’epistemologia tenta di definirlo comeun luogo astratto* in cui si trovano riu-nite le condizioni necessarie a garantirel’unità dell’oggetto* che questo è suscet-tibile di costituire. Tale concezione è al-la base dell’idea che la linguistica si fadel soggetto dell’enunciazione* (o delsuo simulacro, installato nel discorso). 2. Alcuni linguisti (L. Tesnière) e logici(H. Reichenbach) hanno cercato di su-perare questi due punti di vista (fra loroincompatibili) rovesciando la problema-tica: anziché partire dal soggetto per do-tarlo poi di determinazioni e di attività,hanno postulato la priorità della relazio-ne* (“verbo” o “funzione”) di cui il sog-getto sarebbe soltanto uno dei termini-esito. In questa prospettiva diventa inu-tile definire il soggetto “in sé”, poiché ilsuo valore è determinato dalla naturadella funzione costitutiva dell’enuncia-to*. Si è quindi affermata una grammati-ca attanziale capace di oltrepassare ledefinizioni sostanziali del soggetto, dicui essa relativizza così lo status. 3. Nel quadro dell’enunciato elemen-tare il soggetto appare dunque come unattante* la cui natura dipende dallafunzione in cui si inserisce. L’apparizio-ne della linguistica discorsiva ci obbli-ga, tuttavia, a postulare l’esistenza, ac-canto a questo soggetto frastico, di unsoggetto discorsivo che, pur suscettibi-

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Soggetto

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le di occupare, all’interno degli enun-ciati-frase, diverse posizioni attanziali(cioè anche quelle di non-soggetto), rie-sce a mantenere, grazie soprattutto alleprocedure di anaforizzazione*, la pro-pria identità lungo il discorso (o lungouna sequenza discorsiva). 4. Questa inadeguatezza fra soggettifrastici e soggetti discorsivi (e, più in ge-nerale, fra gli attanti dei due generi), èuna delle ragioni, fra l’altro, che porta ilsemiologo a darsi una rappresentazio-ne* logico-semantica del funzionamentodel discorso, capace di render conto – informa di enunciati elementari canonici –di fenomeni insieme frastici e discorsivi.Ai due tipi di enunciati elementari –enunciato di stato* ed enunciato di fare*corrispondono perciò due generi di sog-getti, i soggetti di stato, caratterizzatidalla relazione di giunzione* con gli og-getti di valore (simile alla definizione so-stanziale formulata in 1-a), e i soggettidel fare, definiti dalla relazione di tra-sformazione* (più prossimi alla nozionedi soggetto evocata in 1-b). 5. Il riconoscimento di due distinte di-mensioni* dei discorsi porta, d’altraparte, a stabilire una distinzione fra isoggetti pragmatici* e i soggetti cogni-tivi*: essi si specificano per la naturadei valori* che li definiscono in quantosoggetti di stato e per il modo di fare –somatico e pragmatico da una parte,cognitivo dall’altra – che è loro proprio.Quest’opposizione sembra tanto piùoperativa quanto più è in grado di ren-dere conto dell’esistenza di una catego-ria particolare di attanti – chiamati, inmancanza di meglio, soggetti cognitivi– che l’enunciante* delega e installaspesso nel discorso pragmatico (rap-presentati dai “si” impersonali che de-signano l’opinione pubblica, per esem-pio, o in sincretismo con certi attantidella narrazione, dotati, perciò, di unsapere* particolare). 6. Nel quadro dello schema narrativo*definito come una struttura polemica*e/o contrattuale*, il soggetto si trova

sempre confrontato a un anti-sogget-to*: i loro percorsi* distinti e opposti siincrociano continuamente. In questaprospettiva il soggetto si presenta comeun attante funzionale* che esiste semio-ticamente solo nella relazione* con unanti-soggetto; è la loro relazione a costi-tuirli in quanto entità semiotiche diver-se l’una dall’altra. Tale rapporto, con-cepito come una relazione di presuppo-sizione reciproca*, viene definito dalconflitto tra questi due attanti. La sim-metria che caratterizza il rapporto sog-getto/antisoggetto dà la possibilità checiascuno dei due attanti eserciti unamanipolazione* sull’altro e permette dipensare la loro comunicazione in termi-ni di interazione*, cioè come una tra-sformazione reciproca e progressivadelle loro competenze modali e cogniti-ve. È quindi evidente che gli attantiqualificati da questa particolare intera-zione non vanno considerati alla stre-gua dei destinanti/destinatari*, a cui ilrapporto di presupposizione unilatera-le* e asimmetrica non consente di co-gliere il gioco dell’interazione. Il rap-porto soggetto/antisoggetto, simmetri-co e conflittuale, permette invece difornire una rappresentazione più ade-guata delle interazioni intersoggettivecaratterizzate da conflitti e da tensioni.D’altra parte, va tenuto conto dell’ope-razione di riconoscimento*, con cui ilsoggetto costruisce l’altro costruendose stesso per fondare la relazione inter-soggettiva attraverso il contratto di as-sunzione*. Trattandosi di un mutuo at-to cognitivo esercitato da entrambi gliattanti – la distinzione soggetto/anti-soggetto è quindi solo un problema difocalizzazione* della relazione sull’unoo sull’altro – li chiameremo preferibil-mente soggetti dell’interazione quandosi troveranno impegnati nella stessa in-terazione. In questo caso i soggetti del-l’interazione – termine che comprendele due posizioni attanziali – effettuanouno stesso percorso narrativo* princi-palmente al livello della dimensione co-

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Soprasegmentale

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gnitiva*, la quale comporta due seg-menti.1. Un percorso di manipolazione in cuii soggetti possono identificarsi al desti-nante-manipolatore iniziale dello sche-ma narrativo globale, che è costituitodall’esercizio di un fare persuasivo* –far fare o far credere. 2. Un percorso dell’interpretazione incui i soggetti possono identificarsi aldestinante-giudicatore dello schemanarrativo globale, il che comporta fon-damentalmente una valutazione deisoggetti e della loro competenza, dellacompetenza dell’altro e della loro rela-zione modale. (G.L.)

→ Attante, Oggetto, Valore

Solidarietà, n.f. Solidarité, Solidarity, Solidaridad

L. Hjelmslev ha introdotto il terminesolidarietà per denominare la presup-posizione reciproca riconosciuta nellacatena* sintagmatica. L’uso ha tenden-za ad applicare questo concetto anchealle relazioni paradigmatiche*.

→ Presupposizione

Somatico, agg. Somatique, Somatic, Somàtico

1. Somatico qualifica in generale l’at-tore figurativo* (o personaggio) che èsituato e che agisce sulla dimensionepragmatica* del discorso. Il fare* so-matico è sia pragmatico (se rinvia aun’attività corporale programmata), siacomunicativo (il corpo umano è capacedi significare con gesti, attitudini, mi-miche ecc.). Sarà bene allora distingue-re, in tal caso, la comunicazione* soma-tica dalla comunicazione verbale*. 2. Sotto certe condizioni, ancora dadeterminare (nel caso di un raccontopragmatico – un racconto di miracolo

nel Vangelo, per esempio – inserito inun altro racconto, più vasto), il fare so-matico è menzionato (o effettuato) nonsolo in funzione di uno scopo assegnato(una guarigione, per esempio), ma an-che in rapporto ad un attante osserva-tore (di solito implicito) che si supponelettore e interprete di questo racconto(o di questo comportamento) dotato disignificazione. Un simile fare somatico, insieme prag-matico e comunicativo, provoca l’effet-to di senso “irrealtà” ed è letto sulla di-mensione cognitiva del discorso.

→ Pragmatica, Gestualità

Somiglianza, n.f. Ressemblance, Resemblance, Semejanza

1. La somiglianza è l’apprensione intui-tiva* di una certa affinità fra due o piùgrandezze*, che permette il riconosci-mento, sotto certe condizioni e con l’aiu-to di procedure appropriate, di una lororelazione d’identità*. Comunque, que-sta identità (e l’operazione d’identifica-zione che sottintende) presupponeun’alterità* preesistente (che è solo laformulazione categoriale della differen-za). L’apprensione complessa e conco-mitante della somiglianza e della diffe-renza costituisce così il preliminare epi-stemologico dell’apparizione del senso. 2. Sul piano intuitivo, ricerca e regi-strazione delle somiglianze e delle diffe-renze definiscono il primo tentativo diogni approccio comparativo*.

→ Differenza, Identità

Soprasegmentale, n.m.Suprasegmental, Suprasegmental, Sobre-segmental

Si definisce soprasegmentale la partedella fonologia* e/o della fonetica* con-sacrata allo studio dei fatti, appartenenti

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Sospensione

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al piano dell’espressione, che oltrepassa-no i limiti di quelle unità di questo pianoe sono ottenute per segmentazione* (fo-nemi* ed, eventualmente, sillabe): si trat-ta di fenomeni come per esempio l’into-nazione* o l’accentuazione. La fonologiae/o fonetica soprasegmentale è più in ge-nerale detta prosodia.

→ Prosodia

Sospensione, n.f. Suspension, Suspension, Suspensión

1. In quanto figura dell’antica retorica,la sospensione consiste nella creazionedi uno scarto fra la topica dell’enuncia-to, rinviata alla fine di quest’ultimo, e ilsuo annuncio allusivo, situato all’inizio. 2. Per la semiotica, la sospensione ap-pare come una delle “molle drammati-che” del discorso narrativo. Benché lateoria sia lontana dall’essere elaborata,sembra che si manifesti anzitutto comela proiezione di categorie paradigmati-che sull’asse sintagmatico del discorso.Così, per esempio, l’apparizione, nelracconto, della funzione* proppiana di“creazione della mancanza”, produceuna sospensione, un’attesa della funzio-ne “liquidazione della mancanza”. Laprocedura sembra più fine e più com-plessa ancora, quando, per esempio, lasospensione della modalizzazione epi-stemica fa apparire, a un certo punto,un fare informativo* neutro, che pro-voca così una “inquietudine” dell’e-nunciatario*, lasciato nell’ignoranzaquanto allo status veridittivo del saperericevuto. In altri casi – per esempioquello dell’isotopia del segreto* –, ladifficoltà consiste nel riconoscimentodelle marche* del segreto, cioè dell’al-lusione che insinua che il non-apparirenasconda comunque un essere: è evi-dente che senza tali marche il segretonon esisterebbe. 3. Legata alla messa in discorso e al suosvolgimento sintagmatico, la sospensio-

ne può essere vista come una specificaprocedura d’intervento sui modi di esi-stenza* semiotica. Marca una sosta nelpercorso tensivo che conduce dalla vir-tualizzazione* alla realizzazione* e nerovescia l’orientamento*. Consiste dun-que nel passaggio da una forma attua-lizzata a uno stato di virtualità che im-plica la prevedibilità della sua ri-attua-lizzazione e crea quindi un effetto di at-tesa, cioè di “drammatizzazione”. Dalpunto di vista analitico questa procedu-ra non riguarda solo la messa in operadelle strutture a livello semio-narrativo,e in particolare la proiezione “a distan-za” delle categorie modali sull’asse sin-tagmatico, ma concerne, a livello di su-perficie, anche l’“elasticità” del discor-so. Così, l’espansione qualificativa diuna certa figura in posizione attanzia-le*, sospendendo momentaneamente ilproprio programma, può suscitare unadinamizzazione della lettura*. Infine, ilcampo di applicazione di questa proce-dura generale può essere esteso, al di làdei discorsi narrativi, a tutto l’insiemedelle produzioni discorsive. (D.B.)

→ Sincretismo, Neutralizzazione

Sostanza, n.f. Substance, Substance, Sustancia

1. Nella terminologia di L. Hjelmslev,si intende con sostanza la “materia” o il“senso” nella misura in cui viene assun-to dalla forma* semiotica in vista dellasignificazione*. In effetti, materia* esenso*, che sono sinonimi per il lingui-sta danese, vengono utilizzati in uno so-lo dei loro aspetti, in quanto “supporti”di significazione, per servire come so-stanza semiotica. 2. Il “senso” accede alla significazionegrazie alla sua articolazione* in due for-me distinte, che corrispondono ai duepiani* del linguaggio: il piano dell’e-spressione* comporta così una forma euna sostanza dell’espressione e il piano

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Sostituzione

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del contenuto*, una forma e una so-stanza del contenuto. 3. In rapporto alla forma semiotica,che è un’invariante*, la sostanza semio-tica va considerata come una variabile*:ciò vuol dire che una forma può esseremanifestata da diverse sostanze (fonicao grafica, per esempio), mentre l’inver-so non è vero. Per dissipare ogni malin-teso, diremo che una sola “materia” fo-nica, per esempio, può servire da so-stanza semiotica a molte forme (lin-guaggio verbale o musicale, per esem-pio), il che esclude la possibilità peruna sostanza di valersi di più forme nel-lo stesso tempo. 4. Una sola e stessa sostanza, in quantooggetto conoscibile, comporta numero-se istanze di apprensione e di analisi: lasostanza dell’espressione sarà colta sia alivello dell’articolazione fisiologica, sia alivello acustico, sia a livello dell’audizio-ne psicofisiologica. Lo stesso dicasi perla sostanza del contenuto, la quale, perla comodità di approccio, può essereconsiderato come situato a livello dell’e-nunciante* o a quello dell’enunciatario. 5. Se, per Hjelmslev, la forma è costi-tutiva dello schema* semiotico, la so-stanza, considerata come “l’insieme diabitudini di una società”, corrispondeal concetto d’uso* semiotico (o lingui-stico). Traendo le conseguenze estremedalla concezione hjelmsleviana dei lin-guaggi di connotazione*, si potrebbedire che le connotazioni sociali sonosoltanto articolazioni semiotiche di unasostanza data. In questa prospettiva sirenderebbe così conto delle interpreta-zioni della sostanza dell’espressionequando si parla del “simbolismo dellevocali” o della “testura” e della “fibra-tura” come categorie della pittura dettaconcreta. 6. Occorre tuttavia sottolineare –Hjelmslev stesso insiste su questo pun-to – che la distinzione fra la forma e lasostanza è del tutto relativa e dipende,in definitiva, dal livello di pertinenzascelto in vista dell’analisi. Questa oppo-

sizione, indiscutibilmente feconda, nonva ipostatizzata poiché porterebbe alladistinzione di due semantiche – forma-le e sostanziale – inconciliabili.

→ Forma, Senso, Materia, Istanza

Sostitutiva (prova –), agg. Substituée (épreuve –), Substituted(Test), Substitutiva (prueba –)

Per prova sostitutiva, si intenderà quel-la in cui un confronto violento, peresempio, è rimpiazzato, di comune ac-cordo, da un combattimento più ridot-to (la lotta di Davide e Golia al postodei loro rispettivi eserciti), o semplice-mente simbolico (una partita di scacchial posto di una vera battaglia nelMahâbhârata); o viceversa. Una voltaeffettuata la sostituzione, l’organizza-zione narrativa non cambia.

→ Sostituzione, Prova

Sostituzione, n.f. Substitution, Substitution, Substitución

1. Se la commutazione* si fonda sulprincipio secondo cui ad ogni muta-mento dell’espressione deve corrispon-dere un mutamento del contenuto e vi-ceversa, la sostituzione può definirsicome il suo contrario, in quanto loscambio fra i membri del paradigma diuno dei due piani di linguaggio noncomporta infatti uno scambio parallelosull’altro piano. La sostituzione per-mette allora di riconoscere le variabili*nel quadro di una struttura di invarian-ti. È grazie a essa, inoltre, che può esse-re correttamente posto, sul piano delcontenuto, il problema della sinoni-mia* e della parasinonimia*. 2. Il calcolo logico si può dire tautolo-gico, proprio perché si fonda sul princi-pio di sostituzione, così come lo usa peresempio N. Chomsky nella procedura

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Sovrapposizione

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di derivazione* per la descrizione strut-turale della frase. 3. In semiotica narrativa si incontranofenomeni sia di sostituzione dei sogget-ti (all’interno dell’attante collettivo*sintagmatico, in cui differenti soggettisi collegano nell’esecuzione di un pro-gramma* narrativo unico, o fra dueprogrammi narrativi correlati e inverti-ti, il che permette di render conto di un“rovesciamento di situazione”) sia disostituzione degli oggetti.

→ Commutazione, Sostitutiva (prova –)

Sovrapposizione, n.f. Chevauchement, Overlapping,Imbricación

A differenza dell’intercalazione, chedesigna, al livello discorsivo, l’inserzio-ne di un racconto* in un racconto piùampio, la sovrapposizione corrispondeall’intersecarsi di due sequenze* narra-tive: la prima si estende (sul piano deicontenuti investiti, per esempio) su unaparte della seconda (la cui articolazionesintattica, per esempio, non è per que-sto meno manifesta e relativamente au-tonoma).

→ Incassamento

Spazializzazione, n.f. Spatialisation, Spatialization,Espacialización

1. Malgrado il favore di cui gode at-tualmente la nozione di spazio*, il cam-po semantico che questo termine copreresta ambiguo e incerto. Semiotiche di-verse lo utilizzano strumentalmente,senza che ne emerga uno sforzo di ri-flessione comparativo e globale. 2. Nel percorso generativo* globale, laspazializzazione si presenta come unadelle componenti della discorsivizza-

zione*, cioè della messa in discorso del-le strutture semiotiche più profonde. Inprimo luogo, comporta delle proceduredi localizzazione spaziale, interpretabilicome operazioni di débrayage e di em-brayage* effettuate dall’enunciante* perproiettare fuori di sé ed applicare suldiscorso-enunciato, un’organizzazionespaziale più o meno autonoma, che ser-ve da cornice per l’inscrizione dei pro-grammi* narrativi e delle loro concate-nazioni. La spazializzazione include,inoltre, delle procedure di programma-zione* spaziale, grazie alle quali vienerealizzata una disposizione lineare deglispazi parziali (ottenuti con le localizza-zioni), conforme alla programmazionetemporale dei programmi narrativi. La spazializzazione si accompagna, co-me la temporalizzazione*, alla disloca-zione di strutture aspettuali* e tensive*,che trasformano le azioni realizzate daisoggetti dell’enunciato in movimenti*,esplorazioni, superamenti d’ostacolo,ecc. (F.B.)3. Lo spazio messo in forma dalle pro-cedure di localizzazione, di program-mazione e di aspettualizzazione spazia-le può essere continuo o discontinuo,ossia costituito di luoghi discreti. Lapresenza implicita o esplicita di un at-tante osservatore* antropomorfo simanifesta con un’articolazione figurati-va di luoghi, conforme alle capacitàumane; essendo il senso della vista ge-neralmente predominante, la divisionedello spazio in due luoghi distinti èspesso rappresentata dalla presenza diun ostacolo allo sguardo (linea dell’o-rizzonte, muri) che delimita un’opposi-zione tra interno e esterno. Questa op-posizione, a sua volta, genera una divi-sione degli oggetti e dei soggetti in pre-senti e assenti. La relazione di giunzio-ne* (del livello superficiale) si trovadunque modulata dalla conversionecompiuta a livello discorsivo: la con-giunzione, per esempio, diventa coinci-denza del soggetto e dell’oggetto nellostesso posto, ma l’oggetto può essere

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Spazio

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del tutto vicino, sotto mano, oppurepiù lontano, visibile ma inaccessibilesenza uno spostamento. L’aspettualiz-zazione spaziale descrive i modi delpassaggio da un luogo all’altro: l’uscitada un luogo è l’incoativo di un percorsocostituito dalla distanza che separa que-sto luogo da quello mirato come puntod’arrivo; il giungere nel luogo prefissa-tosi costituisce naturalmente il termina-tivo. La tensività, nell’ordine spaziale,può essere rappresentata, per esempio,con un viso dietro un vetro: attraversola vista l’attore è già congiunto con l’og-getto di valore situato esternamente,ma il vetro costituisce ancora un osta-colo all’uscita. Notiamo che un luogo èsuscettibile di un investimento semanti-co che è l’equivalente del ruolo temati-co* per un attore; un luogo può valoriz-zare o devalorizzare l’attore che vi sitrova e lo spostamento può modificarela competenza modale di un soggetto,sicché un luogo può occupare un ruoloattanziale*. (F.B.)4. La localizzazione spaziale, situatasulla dimensione pragmatica* del di-scorso, va distinta dalla spazializzazio-ne cognitiva, che consiste nell’investiredi proprietà spaziali (cfr. il “vedere”,l’“udire”, il “dire”, il “toccare” ecc.) lerelazioni cognitive tra attanti diversi(tra soggetti, ma anche tra soggetti e og-getti). Di qui l’analisi discorsiva, checerca di riconoscere e di ordinare talifatti di spazialità, si sente autorizzata adistituire una dimensione cognitiva*, so-vrapposta ma non omologabile alla di-mensione pragmatica. 5. La nozione di spazializzazione co-gnitiva introduce alla problematicadella prossemica*, disciplina che situail suo progetto al di fuori della semio-tica discorsiva. Cercando di analizzarele disposizioni dei soggetti e degli og-getti nello spazio in una prospettivache non è più quella della descrizionedella spazialità, ma dell’uso dello spa-zio a fini di significazione, la prossemi-ca pone il problema dei linguaggi spa-

ziali che utilizzano le categorie spazialiper parlare di cose che non sono lospazio.

→ Spazio, Discorsivizzazione,Débrayage, Localizzazione

spazio-temporale, Programmazionespazio-temporale, Cognitivo,

Prossemica

Spazio, n.m. Espace, Space, Espacio

1. Il termine spazio viene utilizzato insemiotica con diverse accezioni, il cuicomune denominatore potrebbe essereconsiderato un oggetto costruito (checomporta elementi discontinui) a parti-re dall’estensione, o distensione, consi-derata come una grandezza piena, ri-colma, senza soluzioni di continuità. Lacostruzione dell’oggetto-spazio può es-sere esaminata dal punto di vista geo-metrico (evacuando ogni altra pro-prietà), dal punto di vista psico-fisiolo-gico (come emergenza progressiva dellequalità spaziali a partire dalla confusio-ne originaria) o dal punto di vista socio-culturale (come organizzazione cultura-le della natura: per esempio, lo spaziocostruito). Se si aggiungono tutti i di-versi impieghi metaforici di questa pa-rola, si constata che l’utilizzazione deltermine spazio invita il semiotico a unagrande prudenza. 2. Nella misura in cui la semiotica in-troduce tra le sue preoccupazioni ilsoggetto considerato come produttoree consumatore di spazio, la definizionedello spazio implica la partecipazionedi tutti i sensi, e richiede che si prenda-no in considerazione tutte le qualitàsensibili (visive, tattili, termiche, acusti-che ecc.). L’oggetto-spazio si identificaallora in parte con quello della semioti-ca del mondo* naturale (che tratta nonsoltanto delle significazioni dell’uomo)e l’esplorazione dello spazio non è chela costruzione esplicita* di tale semioti-

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ca. La semiotica dello spazio se ne di-stingue tuttavia nel tentativo di renderconto delle trasformazioni subite dallasemiotica naturale grazie all’interventodell’uomo che, producendo nuovi rap-porti tra i soggetti e gli oggetti “fabbri-cati” (investiti di nuovi valori), sostitui-sce – almeno in parte – delle semioticheartificiali a quella naturale. 3. Nel senso più ristretto del termine,lo spazio è definito dalle sole proprietàvisive. Per questo la semiotica dell’ar-chitettura (e talora anche quella del-l’urbanistica) limita volontariamente ilproprio oggetto alla sola considerazio-ne delle forme, dei volumi e delle lororeciproche relazioni. Tuttavia, datoche bisogna tener conto dei soggettiumani che sono gli utilizzatori deglispazi, i loro comportamenti program-mati vengono esaminati e posti in rela-zione con l’uso che essi fanno dellospazio. Questa inscrizione dei pro-grammi* narrativi negli spazi segmen-tati costituisce la programmazione*spaziale, d’ordine funzionale, che sipresenta oggi come la componentedella semiotica dello spazio dotata diuna certa efficacia operativa*. Astra-zione fatta del suo carattere funziona-le, questa programmazione corrispon-de, grosso modo, ai modelli di distri-buzione spaziale impiegati nell’analisidei discorsi narrativi. 4. Con una restrizione supplementare,lo spazio viene definito dalla sola tridi-mensionalità, valorizzandone in parti-colare uno degli assi, la prospettività(cfr. la prospettiva in pittura), che cor-risponde, nel discorso narrativo, alla li-nearità* del testo che segue il percorsodel soggetto. Da parte sua, la semioticaplanare* (bidimensionale) viene a ren-der conto, a partire da una superficieche è soltanto un insieme di configura-zioni e di plaghe colorate, dell’impiantodi procedure che permettono di dare alsoggetto (situato di fronte alla superfi-cie) l’illusione d’uno spazio prospetti-co. Il fatto che le preoccupazioni relati-

ve alla costruzione della dimensioneprospettica hanno sinora focalizzatol’attenzione dei ricercatori spiega forsein parte un certo ritardo nella semioticaplanare. 5. Oltre ai concetti di spazializzazione*e di localizzazione* spaziale, la semioti-ca narrativa e discorsiva utilizza anchequello di spazio cognitivo*, che per-mette di render conto dell’inscrizionenello spazio delle relazioni cognitive trasoggetti (come: vedere, udire, toccare,avvicinarsi per ascoltare ecc.).

→ Mondo naturale, Spazializzazione,Localizzazione spazio-temporale,

Cognitivo, Débrayage

Spoliazione, n.f. Dépossession, Dispossession,Desposeimiento

Situata al livello figurativo*, la spolia-zione rappresenta la posizione del sog-getto* di un enunciato di stato* quan-do è privato dell’oggetto* di valore daun soggetto di fare* altro da lui; essacorrisponde dunque a una disgiunzio-ne* transitiva* dell’oggetto, effettuata aun momento qualsiasi del percorso nar-rativo*. Con la rinuncia*, la spoliazioneè una delle due forme possibili della pri-vazione. Entrambe possono essere con-siderate, a titolo di conseguenza*, comesottocomponenti della prova.

→ Privazione, Prova

Squalifica, n.f. Disqualification, Disqualification, Descalificación

La squalifica designa la conseguenza*negativa della prova* qualificante(esempio: la squalifica del re nel mitodella sovranità).

→ Qualificante (prova –)

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Stilistica

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Stato, n.m. Etat, State, Estado

1. Il termine stato può essere omolo-gato con il termine continuo*, poichéil discontinuo che la rottura vi intro-duce è il luogo della trasformazione*. 2. Per rendere conto delle trasforma-zioni diacroniche*, la linguistica utiliz-za il concetto di stato di lingua (o sta-to linguistico): le trasformazioni inter-venute possono essere descritte solopostulando l’esistenza di due stati dilingua successivi. Questi stati di linguasono definiti in modi diversi: – a) sia come due tagli sincronici*, ef-fettuati nel continuo storico e separatida una certa durata (si tratta allora diun approccio empirico e triviale); – b) sia come due strutture linguisticheacroniche* che rilevano di una tipolo-gia delle lingue (L. Hjelmslev); – c) sia, infine, come due stati di equi-librio* relativamente instabili: le ten-denze riconoscibili nel primo statograzie a questa comparazione si pre-sentano allora come soluzioni realizza-te nel secondo (E. Benveniste). È evidente che questi approcci lingui-stici possono essere applicati allo stu-dio delle trasformazioni dei sistemi se-miotici in generale. 3. Il discorso e, più in particolare, ildiscorso narrativo, può essere conside-rato come una sequenza di stati, pre-ceduti e/o seguiti da trasformazioni*.La rappresentazione logico-semanticadi questo discorso dovrà perciò intro-durre enunciati di stato, corrispon-denti a giunzioni* tra soggetti e ogget-ti, ed enunciati di fare che esprimonole trasformazioni.

→ Diacronia, Enunciato, Sintassinarrativa di superficie

Stile, n.m. Style, Style, Estilo

1. Il termine stile compete alla criticaletteraria ed è difficile, se non impossi-bile, darne una definizione semiotica.Se nel XVIII secolo esso era legato a unapproccio sociolettale* e corrisponde-va, nella tipologia dei discorsi, al con-cetto sociolinguistico di registro*, di-venta, nel XIX secolo, la caratteristicapersonale di uno scrittore, e si avvicinaalla concezione attuale dell’universoidiolettale. 2. Nei suoi primi scritti R. Barthes hacercato di definire lo stile opponendo-lo alla scrittura: per lui lo stile è l’uni-verso idiolettale, retto e organizzatodalla categoria timica* euforia/disforia(= un insieme di attrazioni e di repul-sioni) che gli è soggiacente. Mentre lanozione di scrittura ha avuto il succes-so che si sa, quella di stile da alloranon sembra essere stata sfruttata e ap-profondita.

→ Idioletto, Scrittura

Stilistica, n.f. Stylistique, Stylistics, Estilística

1. La stilistica è un campo di ricercheche si inserisce nella tradizione della re-torica*, ma è solo alla fine del XIX se-colo che si afferma in Francia. Fa riferi-mento a volte alla pertinenza linguisti-ca, altre alla sua appartenenza agli studiletterari e non è mai riuscita a organiz-zarsi come disciplina autonoma. La sti-listica tenta in genere di riconoscere edi classificare i procedimenti stilistici,fatti testuali comparabili alle figure re-toriche. Tuttavia è proprio l’interpreta-zione di queste procedure che non èagevole e suscita divergenze all’internostesso della stilistica. – a) I procedimenti stilistici possono es-sere studiati in sincronia e raccolti in«sistema dei mezzi di espressione di

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Stilistica

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una lingua data»: tale “sistema” si pre-senta allora come soggiacente alla ma-nifestazione linguistica dei fenomeni disensibilità, di affettività; si tratta, inquesto caso, della stilistica linguisticacome la concepisce Ch. Bally. – b) Partendo dalla concezione dellostile* come “stile dell’autore”, si puòconsiderare l’insieme dei procedimenti,repertoriati e analizzati all’interno diun’opera, come ciò che rende contodella “visione del mondo” del suo auto-re; una simile interpretazione dà giàun’idea di che cosa possa essere una sti-listica letteraria, rappresentata peresempio da L. Spitzer. 2. I due orientamenti incontrano co-munque una difficoltà metodologica difondo a livello del riconoscimento* –che non sarebbe più intuitivo – dei pro-cedimenti stilistici, e della loro valuta-zione (che permette di distinguere i piùsignificativi o i più “importanti”). Aquesto punto fa la sua comparsa unastilistica descrittiva, fondata sulla defi-nizione del procedimento come scarto*(in rapporto alla norma*). Lo scartopuò essere riconosciuto sia attraversometodi statistici applicati a più testi (e,principalmente, dal punto di vista delvocabolario*): è la stilistica statistica diP. Guiraud –, sia prestando fede al-l’informatore-lettore “normale” («il fran-cese medio intelligente», secondo laproposta di M. Riffaterre). Incapace, al-lo stato attuale delle ricerche, di defini-re la norma di un discorso letterario,deludente per i mediocri risultati cheha ottenuto, la stilistica degli scarti èstata abbandonata dai suoi stessi pro-motori, che tentano ora di elaborareuna stilistica strutturale (Riffaterre),più vicina alle preoccupazioni semioti-che. 3. In semiotica si chiameranno stilisti-ci i fatti strutturali che appartengonosia alla forma del contenuto sia a quel-la dell’espressione di un discorso, si-tuati al di là del livello di pertinenzascelto per la descrizione* (che, dun-

que, non li prende in considerazione).Data, infatti, la complessità dell’orga-nizzazione sintattica e semantica dei te-sti (soprattutto letterari), l’analista ècostretto, per ragioni strategiche, adadottare un solo punto di vista, met-tendo così un limite alla sua descrizio-ne, e lasciando almeno provvisoria-mente da parte una quantità di altri fat-ti testuali. La frontiera fra semantico estilistico è, quindi, di ordine operazio-nale* e non categoriale.

→ Stile, Procedimento stilistico,Estrazione

Storia, n.f. Histoire, History or Story, Historia

Il termine storia è ambiguo, e rivestecontenuti molto diversi fra loro. 1. Si intende anzitutto con storia ununiverso* semantico, considerato comeoggetto* di conoscenza, la cui intelligi-bilità, postulata a priori, riposa suun’articolazione* diacronica* dei suoielementi. In questo senso, la storia puòessere considerata una semiotica-ogget-to (o un insieme di semiotiche prese an-teriormente alla loro analisi*) il cui ap-proccio è determinato in anticipo dapostulati specifici. 2. La storia corrisponde, d’altro canto,al racconto o alla descrizione di azioni ilcui status veridittivo* non è fissato (es-se possono essere dichiarate come pas-sate e “reali”, come immaginarie o an-che come indecidibili). Da questo pun-to di vista, la storia va considerata comediscorso narrativo (come “racconto sto-rico”, secondo E. Benveniste, o sempli-cemente “racconto”). 3. Se si distinguono le strutture* se-mio-narrative (in quanto forme di orga-nizzazione profonde e generali) dallestrutture discorsive (caratteristiche delmodo in cui è raccontata la “storia”), ildiscorso storico appare, al livello di su-perficie, come un discorso temporaliz-

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Strategia

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zato* (in cui i predicati-trasformazionisono convertiti* in processo*). È inquesto senso che si può parlare di anco-raggio* storico, intendendo con ciòl’inscrizione dei programmi* narrativiall’interno di coordinate spazio-tempo-rali di carattere figurativo*. 4. Quando il discorso narrativo (cfr. 2)serve come modo di articolazione dellastoria (nel senso 1) esso viene detto sto-riografico (o, più spesso, storico). Da quel momento si pone il problemadella scientificità* di un discorso – equello del suo metalinguaggio* costrui-to. La linguistica storica l’ha risolto nelsenso del comparativismo*, interpre-tando la diacronia come la trasforma-zione* logica, riconoscibile fra due sta-ti* di lingua dati, al prezzo tuttavia del-l’evacuazione della storicità (o della di-mensione temporale) stessa. I tentativipiù recenti, provenienti dalla filosofialogica, di stabilire delle serie ordinate dienunciati corrispondenti alle successio-ni di eventi storici, sono ancora lungidall’essere coronati dal successo. 5. All’interno di una tipologia generaledei discorsi, a cui mira la semiotica, enel quadro dei modelli della narrati-vità* che essa propone, non è impossi-bile concepire ricerche il cui scopo èquello di determinare la specificità deldiscorso storico. Una prima distinzionetra la storia evenemenziale, situata al li-vello della sintassi* narrativa di superfi-cie, e la storia fondamentale, concepitacome l’insieme delle trasformazionidelle strutture profonde, di caratterelogico-semantico, appare allora comepreliminare a simili ricerche.

→ Diegesi, Evento

Storica (grammatica –), agg. Historique (grammaire –), Historical(Grammar), Historica (gramática –)

La denominazione di grammatica stori-ca serviva un tempo a designare, paral-

lelamente a quella di grammatica com-parata, la linguistica comparativa che siè venuta progressivamente elaborandonel corso del XIX secolo.

→ Comparativa (linguistica –)

Strategia, n.f. Stratégie, Strategy, Estrategia

1. Mutuato in parte dalla teoria deigiochi, il termine strategia sta progres-sivamente entrando in semiotica, in cuiricopre ancora un campo problematicodai contorni molto vaghi. Bisognerebbeinnanzitutto distinguere la strategia di-scorsiva, quella del soggetto dell’enun-ciazione* che procede alla messa in di-scorso (o discorsivizzazione*) dellestrutture narrative, dalla strategia nar-rativa, che mira a elaborare schemi nar-rativi* a partire dai quali esaminare lagenerazione dei discorsi. 2. La strategia narrativa sembra com-prendere, da una parte, la programma-zione in senso largo (cioè la costruzionedi programmi* narrativi complessi, cheverte sulla costruzione, la circolazione ela distruzione degli oggetti* di valore,nonché l’instaurazione dei soggetti dele-gati, incaricati dell’esecuzione dei pro-grammi narrativi annessi), e, dall’altra, lamanipolazione* propriamente detta(cioè l’esercizio del “far-fare” che con-duce gli anti-soggetti a costruire i pro-grammi narrativi voluti in realtà dai sog-getti). In queste due direzioni, la strate-gia sconfina nelle istanze della sintassi*narrativa, che trattano della messa inopera e del funzionamento dei percorsinarrativi*. Converrebbe forse riservarequesto termine all’istanza superiore e ul-tima dell’organizzazione narrativa, si-tuandovi l’esame dei modi di articolazio-ne che hanno fra loro quelle unità sintat-tiche di grande dimensione che sono ipercorsi narrativi*.

→ Narrativo (percorso –)

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Struttura

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Struttura, n.f. Structure, Structure, Estructura

A. SENSO GENERALE

1. Senza entrare nelle controversie filo-sofiche e ideologiche che continua aprovocare la nozione di struttura, con-viene precisare gli elementi costitutividella definizione di questo concetto, si-tuandolo nel quadro della linguistica*strutturale, che è riuscita a dargli un ca-rattere operativo*. Riprendendo a gran-di linee la formulazione che ne ha forni-to L. Hjelmslev, si considererà la struttu-ra come un’entità autonoma di relazio-ni* interne, disposte in gerarchie*. Peresplicitare questa definizione, riprendia-mone uno a uno tutti gli elementi. – a) Una simile concezione implica lapriorità accordata alle relazioni a spesedegli elementi*: una struttura è anzitut-to una rete relazionale le cui intersezio-ni costituiscono i termini. – b) La rete relazionale che costituisce lastruttura è una gerarchia, cioè una gran-dezza* scomponibile in parti che, puressendo legate fra loro, intrattengonorelazioni con il tutto che costituiscono. – c) La struttura è un’entità autonoma;ciò significa che, pur intrattenendo re-lazioni di dipendenza e di interdipen-denza con l’insieme più vasto di cui faparte, essa è dotata di un’organizzazio-ne interna che le è propria. – d) La struttura è un’entità, cioè unagrandezza il cui status ontologico nonha bisogno di essere interrogato e deve,al contrario, essere messo fra parentesial fine di rendere operativo il concetto. Così, la questione di sapere se le strut-ture sono immanenti* all’oggetto esa-minato o se si tratta di costruzioni* ri-sultanti dall’attività cognitiva del sog-getto conoscente, per quanto fonda-mentale dal punto di vista filosofico, èda escludere dalle preoccupazioni pro-priamente semiotiche. Allo stesso mo-do i presupposti filosofici che sottendo-no la concezione di struttura – e che simanifestano soprattutto nella maniera

di considerare le relazioni fra strutturae funzione* e di definire quest’ultima –dandole una colorazione leggermentemeccanicista (L. Bloomfield) o fenome-nologica (Hjelmslev), oppure un po’organicista (E. Benveniste), ne arricchi-scono piuttosto la strumentazione epi-stemo-metodologica senza nuocere alsuo carattere operativo. 2. Una tale concezione della strutturacostituisce uno sfondo per la teoria se-miotica*, un “atteggiamento” scientificoa partire dal quale si delineano le proce-dure del ricercatore. Considerata in sé,la struttura non è una proprietà specificadella semiotica, né dell’insieme dellescienze umane. Con qualche ritocco, sipotrebbe dire che essa è implicata inogni progetto e in ogni tentativo che ab-bia mire scientifiche. È soprattutto ladifficoltà che provano le scienze dell’uo-mo a passare dallo stadio di “opinioni” aquello di “discipline” che ha condotto lalinguistica, a un momento critico dellasua maturazione, a esplicitare i principisu cui si fonda il suo fare. Aggiungiamopoi che una simile definizione dellastruttura non è direttamente operativa*:di tipo troppo generale, si applica a ogniinsieme che si suppone organizzato oche si ha l’intenzione di organizzare. De-finita come rete relazionale, la strutturarinvia al concetto di relazione* e presup-pone, per essere efficace in semiotica,una tipologia delle relazioni. Considera-ta come rete, non ci informa né sulla suaampiezza, né sulla sua complessità: ilproblema di organizzazioni strutturaliminime, di strutture elementari*, si po-ne in modo del tutto naturale, poiché es-se sole possono permettere di compren-dere i modi di esistenza e di funziona-mento di insiemi più complessi.

→ Relazione, Gerarchia, Funzione

B. STRUTTURA ELEMENTARE DELLA SI-GNIFICAZIONE

1. Se si accetta di definire la strutturacome una “rete relazionale”, la riflessio-

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Struttura

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ne sulla struttura elementare deve verte-re anzitutto su una sola relazione, consi-derata come relazione semplice. Ponen-do, nello stesso quadro di definizione,che gli “oggetti del mondo” non sonoconoscibili in sé, ma solo mediante le lo-ro determinazioni (o le loro proprietà) eche, d’altra parte, queste possono esserericonosciute solo come valori* (cioè inmaniera relativa, le une in rapporto aglialtri), siamo condotti a postulare che è larelazione che sola istituisce le “pro-prietà”; queste ultime, a loro volta, ser-vono da determinazioni per gli oggetti eli rendono conoscibili. Una tale relazio-ne, detta elementare*, si presenta tutta-via sotto un duplice aspetto: fonda la“differenza” fra i valori, ma la differen-za, per avere senso, non può che fondar-si sulla “somiglianza” che situa i valorigli uni in rapporto agli altri. Così inter-pretata, la relazione che fonda la strut-tura elementare include le due definizio-ni dell’asse sintagmatico* (relazione “e ... e”) e dell’asse paradigmatico (rela-zione “o ... o”) del linguaggio. Definitacome la relazione che stabilisce almenodue termini-valori, la struttura elementa-re è da considerare da una parte come unconcetto che riunisce le condizioni mini-me del cogliere e/o del produrre la signi-ficazione*, e, dall’altra, come un model-lo* contenente la definizione minimaledi ogni linguaggio (o, più in generale, diogni semiotica*) e di ogni unità semioti-ca: essa si presenta così come un luogo diconvergenza della riflessione gnoseologi-ca e della postulazione epistemologica diun’assiomatica* ulteriore.2. Il concetto di struttura elementarenon può diventare operativo se questanon è sottomessa a un’interpretazione ea una formulazione logica. È la tipolo-gia delle relazioni elementari (contrad-dizione*, contrarietà*, complementa-rità*) che apre la strada a nuove genera-zioni di termini interdefiniti e permettedi dare una rappresentazione* dellastruttura sotto forma di quadrato* se-miotico.

3. Così formulata, la struttura elemen-tare può essere considerata come unmodello* costituzionale, e a doppio ti-tolo: come modello di organizzazionedella significazione (è il suo aspettomorfologico* o tassonomico) e comemodello di produzione* (è il suo aspet-to sintattico*). In quanto strutturaprofonda*, fonda così il livello dellasintassi* fondamentale. 4. La struttura elementare deve essereconsiderata, d’altra parte, come un luo-go d’investimento* e d’informazione (omessa in forma*) dei contenuti: i conte-nuti, sintattici o semantici (strictosensu), proiettati sul quadrato, sono su-scettibili di articolarsi in posizioni pre-vedibili e di costituirsi in categorie* se-mantiche. Così, per esempio, ogni at-tante* può “esplodere” e dar luogo auna categoria attanziale (attante, antiat-tante, negattante, negantiattante). 5. Una categoria semantica, così otte-nuta, potrà servire di base a un insiemedi sotto-articolazioni ipotattiche*, sem-pre più fini, e coprire perciò un mi-crouniverso* semantico generatore didiscorsi. Alcune categorie – astratte eassai generali – possono essere conside-rate – a titolo d’ipotesi* – come degliuniversali (primitivi/universali*) se-mantici, cioè come delle strutture as-siologiche elementari: si dirà che la ca-tegoria vita/morte articola gli universiindividuali* e la categoria natura/cultu-ra gli universi collettivi*. A queste duestrutture elementari aggiungeremo, acausa della sua grande generalità, lastruttura assiologica figurativa* che ar-ticola, in forma di quadrato, i quattro“elementi della natura” (fuoco, acqua,aria, terra). 6. La struttura elementare, in quantomodello di articolazione, trova la suaprincipale utilizzazione a livello dellestrutture profonde e astratte. Essa svolgeil ruolo di procedura di descrizione* (e,eventualmente, di scoperta*), permet-tendo di rappresentare i fatti semioticianteriormente alla manifestazione* (e,

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Struttura

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per le lingue naturali, alla lessicalizzazio-ne*). Così, l’applicazione quasi meccani-ca di questo modello ai fenomeni di su-perficie di solito costituisce solo una ca-ricatura delle procedure semiotiche.Questo non vuol dire tuttavia che le arti-colazioni elementari non appaiono in su-perficie*, a livello dei segni morfemi peresempio; ma le categorie lessicalizzanosolo raramente l’insieme dei termini pos-sibili: esse presentano, sul piano di mani-festazione, forme variate che potrannoessere colte come articolazioni binarie(maschile/femminile, per esempio), eternarie (amore/odio/indifferenza, peresempio) e così via.

→ Quadrato semiotico

C. FORME STRUTTURALI

1. Accanto al senso preciso che si rico-nosce al termine di struttura, l’uso quo-tidiano ha imposto un’accezione piùgenerale che corrisponde più o meno aquella che si attribuisce ad articolazio-ne, organizzazione, dispositivo, mecca-nismo ecc., e che insiste sul carattere re-lazionale – supposto o accertato – degliinsiemi o degli oggetti semiotici in que-stione. Così, per introdurre maggiorechiarezza nella disposizione dei mate-riali di questo dizionario, abbiamo rite-nuto opportuno riunire un insieme diespressioni piuttosto disparate, di usocorrente, dotandole ciascuna di qual-che spiegazione sommaria e di rinvii(che permettono di approfondire que-sta o quella questione). 2. Strutture attanziali e attorialiLa distinzione stabilita, a partire dallanozione intuitiva di personaggio (o didramatis persona di V. Propp), fra attan-te* e attore* non ha mancato di avere ri-percussioni sull’insieme della teoria se-miotica. L’attante, unità sintattica dellagrammatica narrativa di superficie, unavolta collocato sul percorso narrativo*,si scompone in un insieme di ruoli attan-ziali*; l’attore, unità discorsiva, è stato ri-definito come l’incarnazione, il luogo

d’investimento, nel discorso, di almenoun ruolo attanziale e un ruolo tematico*.Quindi, il dispositivo attanziale – insie-me di attanti assunti dalla grammaticanarrativa in vista della generazione deldiscorso – si è rivelato non isomorfo inrapporto all’organizzazione attorialequale essa si costituisce nel livello discor-sivo del testo stesso (la modalità del po-ter-fare, per esempio, può presentarsisotto forma di attore indipendente, co-me un oggetto magico o essere integrataal soggetto eroe come proprietà intrinse-ca). A partire da tali osservazioni si puòparlare di strutture attoriali caratteristi-che di questo o quel tipo di discorso: lastruttura attoriale sarà oggettivata (e so-cializzata) quando il dispositivo attorialeè caratterizzato dalla messa in scena diun numero elevato di attori indipenden-ti; essa sarà detta, al contrario, soggetti-vata (o psicologizzata) se il numero di at-tori presenti nel discorso è ridotto e siriassume, al limite, in un solo attore chesussume un gran numero di ruoli attan-ziali (che danno luogo a una drammatiz-zazione interiore intensa ben nota in psi-canalisi).

→ Attante, Attanziale (ruolo –),Attorializzazione, Attore

3. Strutture aspettuali e categorialiSituata a livello semiotico profondo, lagrammatica narrativa utilizza una logi-ca categoriale, fondata sul carattere di-screto* delle unità e su quello disconti-nuo degli stati* (un oggetto del mondoè “nero” o “non nero” senza transizio-ni). Le strutture narrative, così formu-late, si trovano, all’atto della discorsi-vizzazione*, temporalizzate e ricevonoperciò degli investimenti aspettualicomplementari: alle trasformazioni* lo-giche del livello profondo* corrispon-dono dunque, al livello discorsivo, dei“cambiamenti” diacronici di cui si puòrendere conto mediante categorie a-spettuali (che articolano i semi di pun-tualità*, duratività*, incoatività*, per-

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fettività* ecc.). Una tale concezionedelle strutture aspettuali permette, diconseguenza, di riconciliare la “storia”e la “struttura” e di concepire i mecca-nismi di conversione* delle strutturecategoriali in strutture aspettuali (tem-porali) e viceversa.

→ Temporalizzazione,Aspettualizzazione

4. Strutture modaliL’esame un po’ più approfondito dellecategorie modali (volere, dovere, pote-re, sapere) ha mostrato che il loro carat-tere di “termine reggente” non ne per-metteva la formulazione indipendente-mente dal “termine retto”, in altre pa-role, che non si poteva parlare di volereo di potere, ma solamente di voler-fare odi voler-essere, di poter-fare o di poter-essere ecc. La modalità* fa parte inte-grante dell’enunciato di fare* o dell’e-nunciato di stato*, che sovradetermina;conviene quindi parlare, in sintagmati-ca*, di strutture modali, mentre in pa-radigmatica le modalità possono essereconsiderate come categorie* modali.

→ Modalità

5. Strutture narrative e discorsiveQuesta distinzione corrisponde ai duelivelli di profondità che noi consideria-mo come le istanze fondamentali delpercorso generativo* globale, che con-duce alla produzione del discorso. L’e-spressione strutture narrative o megliostrutture semionarrative va allora com-presa nel senso di strutture semioticheprofonde* (che presiedono la genera-zione del senso e comportano le formegenerali dell’organizzazione del discor-so): esse si distinguono dalle strutturediscorsive (in senso stretto), situate aun livello più superficiale, che organiz-zano, a partire dall’istanza di enuncia-zione*, la messa in discorso (o discorsi-vizzazione*) delle strutture narrative.D’altra parte, con strutture narrative

(in senso stretto), si designa spesso lasola sintassi* narrativa di superficie:questa confusione deriva dal fatto chealcune “grammatiche” o “logiche” delracconto concepiscono il livello piùprofondo della narratività sotto unaforma più o meno comparabile.

→ Narratività, Sintassi narrativa disuperficie, Generativo (percorso –)

6. Strutture polemiche e contrattualiDifferenti analisi testuali sono giuntealla conclusione – generalizzabile – cheogni discorso comporta, almeno impli-citamente, una struttura di confronto*,che mette in gioco almeno due soggetti.Questo confronto prende spesso la for-ma di uno scontro somatico o cognitivoe si parlerà allora di strutture polemi-che*, o la forma di una transazione: lastruttura, che organizza il discorso, saràdetta allora contrattuale. Queste dueforme, che come si vede corrispondo-no, al livello delle teorie sociologiche, alconcetto di “lotta di classe” e di “con-tratto sociale”, figurano insieme nellestrutture della manipolazione*. D’altraparte, la struttura polemico-contrattua-le del discorso a un solo enunciante*permette di comprendere e di interpre-tare la comunicazione dialogata* comeun discorso a due voci.

→ Polemico, Contratto

7. Strutture profonde e superficialiLa distinzione fra strutture profonde*e strutture di superficie* è del tutto re-lativa, poiché la teoria semiotica puòprevedere, a seconda delle sue esigen-ze, sul percorso generativo* globale,tutti i livelli* di profondità che vuole.Così, per noi, le strutture discorsive ap-paiono come strutture di superficie inrapporto alle strutture semionarrativepiù profonde. Tuttavia, utilizziamo que-sta dicotomia soprattutto per stabilireuna distinzione all’interno delle struttu-re semiotiche (alle quali diamo la forma

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di una grammatica*), fra due livelli diprofondità: fra la grammatica fonda-mentale (profonda) e la grammaticanarrativa in senso stretto (superficiale),in quanto la prima è di natura logico-se-mantica, la seconda di natura antropo-morfa*.

→ Profonda (struttura –), Superficie (struttura di –), Grammatica, Generativo

(percorso –)

8. Strutture semionarrativeIl fatto che la teoria semiotica si svilup-pi in modo progressivo e talvolta sinuo-so non manca di creare confusioni ter-minologiche. È il caso del concetto dinarratività* che, applicato dapprima al-la sola classe dei discorsi figurativi*(racconti*) si è rivelato come un princi-pio organizzatore di ogni discorso. L’e-spressione “strutture narrative” ha vi-sto, perciò, trasformarsi il suo contenu-to per designare infine, in opposizionealle strutture discorsive, il tronco gene-rativo profondo, in linea di principiocomune a tutte le semiotiche, luogo diuna competenza semiotica generale. Siproduce in tal modo un lenta sostitu-zione terminologica: l’espressione strut-ture semionarrative rimpiazza a poco apoco quella di “strutture narrative” insenso lato.

→ Narratività, Grammatica,Generativo (percorso –)

9. Strutture sistematiche e morfemati-cheL’organizzazione semica dell’univer-so* semantico prende due forme a pri-ma vista diverse: da una parte quelladei sistemi semici, cioè di sotto-artico-lazioni iponimiche* di carattere para-digmatico che comportano soltanto se-mi omogenei, e dall’altra quella di mor-femi semici, che si presentano come or-ganizzazioni di oggetti significanti(comparabili a sememi*) che utilizzano

semi* eterogenei (rilevano di più siste-mi semici) che sono collegati fra loroda relazioni ipotattiche* di natura sin-tagmatica. Questa distinzione ci sem-bra abbastanza importante per esserequi menzionata, in quanto permetteprobabilmente di render conto delfunzionamento delle figure* metafora*e metonimia*, nonché della relazionedi contiguità.

Strutturalismo, n.m. Structuralisme, Structuralism,Estructuralismo

1. Lo strutturalismo designa sia, insenso americano, i risultati della Scuoladi L. Bloomfield, sia, in senso europeo,la prosecuzione dello sforzo teorico deilavori delle Scuole di Praga e di Co-penhagen, fondate su principi saussu-riani. L’incompatibilità fondamentalefra queste due prospettive consiste nelmodo di affrontare il problema della si-gnificazione*: mentre per Bloomfield lasintassi non è altro che il prolungamen-to della fonologia (i fonemi formanodei morfemi, i morfemi delle frasi) sen-za alcun intervento del senso*, lo strut-turalismo europeo distingue, seguendoF. de Saussure, i due piani del signifi-cante* e del significato* la cui congiun-zione (o semiosi) produce la manifesta-zione. Si capisce che gli attacchi di N.Chomsky, per esempio, contro il for-malismo* non si applicano alla conce-zione europea. 2. Lo strutturalismo si presenta so-prattutto (e magari a torto: cfr. lingua)come una tassonomia*, che Chomskysembra considerare come già compiu-ta in linguistica: è comunque eviden-te che i fondamenti tassonomici so-no insufficienti in grammatica gene-rativa*. 3. Sotto il nome di strutturalismo fran-cese, si classifica in generale tutto un in-sieme di ricerche di ispirazione lingui-stica, effettuate nel corso degli anni ses-

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Superficie (struttura di –)

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santa e che vertono su differenti campidelle scienze umane. A causa del suosuccesso, lo strumentalismo è purtrop-po diventato molto in fretta una speciedi filosofia alla moda: come tale, è statoattaccato, accusato di totalitarismo, diimmobilismo, di riduzionismo* ecc. 4. Inteso come atteggiamento scientifi-co, lo strutturalismo mantiene il suo va-lore. Caratterizzato sia dalla ricerca del-le strutture immanenti*, sia dalla co-struzione di modelli*, mantiene in am-bedue i casi il principio secondo il qua-le l’oggetto di conoscenza a cui si tendeè la relazione* (o la struttura*), non itermini* o le classi*. Il valore euristico*dello strutturalismo rimane intatto el’attitudine che lo specifica è del tuttocomparabile a quella che anima, peresempio, le scienze naturali. È a partiredal movimento strutturalista che la se-miotica* si è potuta sviluppare propriomentre trascendeva i confini troppo an-gusti della linguistica*.

→ Semiologia

Strutturazione, n.f. Structuration, Structuring,Estructuracìón

La strutturazione è una delle procedu-re di analisi semantica che comporta,da una parte, la riduzione degli occor-rimenti sememici parasinonimici inclassi e, dall’altra, l’omologazione del-le categorie semiche (o delle opposi-zioni sememiche) così riconosciute.Fondata sul postulato secondo cui l’u-niverso* semantico è strutturabile (opossiede una struttura immanente*soggiacente), la strutturazione esigeche si stabiliscano preventivamentedei livelli omogenei* di analisi e che sioperi l’interdefinizione degli elementistrutturati in termini di relazioni* logi-che.

→ Riduzione, Omologazione

Subcontrarietà, n.f. Subcontrariété, Subcontrariety,Subcontrariedad

La subcontrarietà designa la relazionedi contrarietà* che contraggono i ter-mini contraddittori* – S1

—e S2

—– dei due

termini contrari primitivi – S1 e S2 –,nel quadro del modello costituzionale*.Dal punto di vista dell’asse dei subcon-trari, così costituito, i termini contrad-dittori sono allora detti subcontrari l’u-no in rapporto all’altro.

→ Quadrato semiotico

Superficie (struttura di –), n.f. Surface (structure de –), Surface(Structure), Superficie (estructura de –)

1. Scelta intuitivamente in funzionedell’enunciato, il quale si presenta anzi-tutto come un dato che offre la sua sola“superficie” – sotto la quale possiamotrovare un’organizzazione soggiacentepiù profonda* (suscettibile di renderconto delle articolazioni superficiali ap-parenti) –, la nozione di superficie nonè un’invenzione molto felice, perché ladefinizione precisa che la grammaticagenerativa dà delle strutture di superfi-cie è assai lontana da questa prima in-tuizione. Si tratta dell’esempio per ec-cellenza di una denominazione* malmotivata*, che, malgrado il riconosci-mento del carattere arbitrario di ognidenominazione, non manca di intro-durre ancora un po’ di confusione so-prattutto negli ambienti paralinguisticiche ne fanno uso. 2. La struttura di superficie si definiscesoltanto in rapporto alla struttura pro-fonda, e una frase di superficie è la for-ma risultante di una trasformazione* –o di una successione di trasformazioni*operata sulla sua organizzazione pro-fonda. È chiaro che delle due frasi “lapolizia ha arrestato il bandito” e “ilbandito è stato arrestato dalla polizia” –

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Superficie (struttura di –)

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fra le quali si colloca una trasformazio-ne passiva – la prima partecipa dellestrutture profonde, la seconda di quelledi superficie, mentre nel senso (1), essesono entrambe “in superficie”. Dire,del resto, che queste frasi “partecipa-no” di questa o quella struttura, signifi-ca semplicemente che soltanto le loroorganizzazioni sintattiche – e non le fra-si realizzate* stesse – appartengono a ti-pi strutturali detti “profondo” e “su-perficiale”, e questo prima dell’inter-pretazione fonologica che renderà pos-sibile la semiosi. La superficie non devedunque essere confusa con la manife-stazione*. 3. Il concetto di superficie è correlato aquello di profondità: se, per esempio, lasemantica generativa* esclude il livello

delle strutture profonde postulando, alloro posto, l’esistenza di forme logico-semantiche generatrici di enunciati,contemporaneamente il concetto distruttura di superficie scompare. 4. In semiotica si utilizzano i termini su-perficie e profondità in senso relativo,per designare semplicemente il grado disvolgimento del percorso generativo*,che va dalle strutture* elementari dellasignificazione alla produzione dell’enun-ciato-discorso. Così, il livello della sin-tassi antropomorfa* è più superficiale diquello delle strutture logico-semantichesoggiacenti e il livello tematico è piùprofondo del livello figurativo*.

→ Livello, Profonda (struttura –),Generativo (percorso –)

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TTassonomia, n.f. Taxinomie, Taxonomy, Taxonomía

1. Concepita tradizionalmente comeuna “teoria delle classificazioni”, la tas-sonomia si applica attualmente allaclassificazione* stessa, cioè alle proce-dure di classificazione sistematica deidati osservati e descritti. 2. Identificando un po’ troppo rapida-mente il tentativo tassonomico con unacerta concezione – invecchiata – dellascienza (il cui scopo ultimo sarebbel’osservazione e la classificazione deifatti come nella botanica o nella zoolo-gia tradizionali), N. Chomsky è insortocontro la linguistica distribuzionale*,accusandola di essere unicamente tas-sonomica, e di tendere, con le sue pro-cedure, soltanto alla classificazione ge-rarchica delle unità linguistiche. Que-sta critica, che ha avuto a suo tempouna certa risonanza, pur non essendofalsa si basa su una concezione restritti-va, povera del fare tassonomico, e sullamancanza di respiro dello stesso pro-getto scientifico, dell’analisi distribu-zionale stessa, chiusa nelle sue certezzeformaliste. 3. L’analisi del discorso a vocazionescientifica (nelle scienze sociali) ha ri-velato che l’attività cognitiva che vi sidispiega consiste in larga parte in un fa-re tassonomico: si tratta di una costru-zione, con l’aiuto delle identità* e dellealterità* riscontrate, di oggetti semioti-ci (elementi*, unità*, gerarchie*), checostituisce un vero e proprio prelimi-nare all’elaborazione di un metalin-guaggio* scientifico: del resto l’esamedi questo tipo di discorso ha mostratoche il grado di avanzamento di questa oquella disciplina è funzione dei pro-

gressi tassonomici che vi sono realizza-ti. In tal modo, la critica si ritorce, epuò essere rivolta contro la grammaticagenerativa* alla quale si rimprovere-ranno le insufficienze tassonomiche, lamancanza di interesse per l’analisi se-mantica preventiva dei concetti che uti-lizza, come il suo scarso rigore in que-stioni di metalinguaggio: questa caren-za si ritrova del resto in semantica ge-nerativa come in logica filosofica. D’al-tra parte se le critiche generativiste ri-volte all’analisi distribuzionale sonopertinenti, hanno tuttavia torto a consi-derarla come una delle vette della rea-lizzazione linguistica: la costruzione dimodelli ipotetici di carattere esplicati-vo, sostituibile alle procedure tassono-miche, è stata largamente praticata, econ successo, dalla linguistica compa-rativa*. 4. Le procedure tassonomiche, qualisono state esaminate e criticate daChomsky, erano applicate infatti, nelquadro dell’analisi distribuzionale, es-senzialmente all’asse sintagmatico* dellinguaggio: la classificazione gerarchicariposava sulla distribuzione*, cioè sul-l’ordine posizionale delle unità lingui-stiche. Ora, la tassonomia è anzituttoun principio di organizzazione para-digmatica*, trascurato dai distribuzio-nalisti. Ciò spiega perché l’analisi semi-ca* – o, in America, l’analisi compo-nenziale* – o gli studi etnotassonomici,che hanno avuto un certo slancio in an-tropologia culturale, si sono sviluppatial di fuori di ogni contatto con la gram-matica generativa e trasformazionale.C’è qui tutto un insieme di campi – conle procedure che vi si utilizzano – checostituiscono il settore delle ricerchetassonomiche propriamente detto.

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Teatrale (semiotica –)

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5. In etnolinguistica, alcuni antropolo-gi americani (H.C. Conklin) impieganoil termine tassonomia in senso ristretto,per designare una gerarchia paradigma-tica in cui tutti i nodi* sono costituiti dalessemi* effettivamente realizzati nellalingua naturale sottoposta a descrizio-ne, e di cui le sole relazioni prese inconsiderazione sono le opposizioni*puramente discriminatorie fra lessemidi stesso livello e le inclusioni fra lesse-mi di livelli diversi. Una tassonomia si-mile è dunque una classificazione chemira a descrivere un corpus* di lessemie che accetta di utilizzare come etichet-te* dell’albero* (che serve a rappresen-tarla) solo i lessemi di tale corpus: sitratta in questo caso di una tassonomialessicale. 6. A differenza delle tassonomie lessi-cali, le tassonomie semiche sono ge-rarchie elaborate tenendo conto nondella categorizzazione* lessematica delmondo, ma di una rete di opposizionisemiche* (o di tratti distintivi*) soggia-cente alla manifestazione linguistica.Una tassonomia semica si presenta co-me una combinatoria* di cui solo certeespressioni* (o certi nodi nella rappre-sentazione ad albero) sono manifestatea livello dei segni linguistici, il che glidà il vantaggio – per noi prezioso – dipoter servire da modello* a uno studiocomparativo di numerose etnotasso-nomie*.

→ Classificazione, Etnosemiotica, Sema,

Semica (analisi –)

Teatrale (semiotica –), agg. Théâtrale (sémiotique –), Theatre (Semiotics of the –), Teatral (semiótica –)

1. In senso restrittivo il discorso teatra-le è anzitutto un testo*, inteso comepartitura offerta a varie esecuzioni; sitratta anche di un discorso a più voci,

una successione di dialoghi* elevata agenere letterario. In questa prospettiva,la semiotica teatrale fa parte della se-miotica letteraria*, di cui condivide lepreoccupazioni. L’organizzazione nar-rativa soggiacente alla forma dialogata,obbedisce agli stessi principi e solo lastruttura discorsiva di superficie costi-tuirebbe la specificità del testo teatrale. 2. All’opposto, c’è un’altra concezionealtrettanto esclusiva della teatralità, percui compete alla semiotica teatrale tuttociò che accade sulla scena durante lospettacolo, cioè tutti i linguaggi di ma-nifestazione che concorrono alla pro-duzione di senso, a eccezione del testoverbale stesso; questo approccio globa-le sembra più promettente: tuttavia,non si vede la ragione che giustifiche-rebbe la messa in disparte di uno deilinguaggi di manifestazione, quello del-la lingua naturale. 3. La difficoltà sollevata è insieme teo-rica e pratica: si tratta di conciliare lapresenza di significanti* multipli conquella di un significato* unico. In altreparole è preferibile, per esempio, ana-lizzare separatamente ognuno dei lin-guaggi di manifestazione: gestualitàorale (intonazione), visiva (mimiche, at-teggiamenti, gesticolazioni), prossemi-ca (messa in scena degli attori, degli og-getti e degli scenari), programmazionecromatica (giochi di luci ecc.) e, infine,il discorso verbale a più voci – e proce-dere allora alla riunione dei risultati ot-tenuti con queste analisi parziali oppu-re, al contrario, effettuare una segmen-tazione* in simultaneità del discorsoteatrale complesso? Ogni linguaggio dimanifestazione possiede un significatoautonomo o non fa che concorrere, conun contributo parziale, all’articolazionedi una significazione comune e globale?L’esempio della semiotica cinematogra-fica, che ipostatizza la manifestazionevisiva a scapito dei linguaggi che sicoarticolano parallelamente, indica laposta in gioco di queste scelte prelimi-nari. L’ipotesi di alcune ricerche attuali

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Tematico

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è quella della possibilità di una costru-zione dell’oggetto teatrale che, situato alivello delle strutture* semiotiche sog-giacenti, sarebbe suscettibile di renderconto e/o di generare lo spettacolo ma-nifestato da tutti i linguaggi. 4. Il termine spettacolo che impieghia-mo per designare il discorso teatrale ri-copre tuttavia un campo semioticomolto più vasto: accanto al teatro pro-priamente detto, comprende anche l’o-pera e il balletto, il circo, le corse, le ga-re, gli “spettacoli” di strada ecc. La de-finizione di spettacolo comprende allo-ra, da un punto di vista interno, caratte-ristiche come la presenza di uno spa-zio* tridimensionale chiuso, la distribu-zione prossemica* ecc., mentre dalpunto di vista esterno implica la pre-senza di un attante osservatore* (il cheesclude da questa definizione le ceri-monie, i rituali mitici, per esempio, incui la presenza di spettatori non è ne-cessaria). È chiaro che, nella riorganiz-zazione attuale del suo campo concet-tuale intrapresa dalla semiotica genera-le per liberarsi progressivamente daconvenzioni e vecchie abitudini, c’è unposto a disposizione per la semioticadello spettacolo.

→ Prossemica, Gestualità,Comunicazione

Tema, n.m. Thème, Theme, Tema

1. In semantica* discorsiva, si può de-finire il tema come la disseminazione,lungo i programmi e i percorsi narrati-vi, dei valori* già attualizzati (cioè ingiunzione* con i soggetti*) dalla se-mantica narrativa. 2. Dal punto di vista dell’analisi, il te-ma può essere riconosciuto sotto formadi un percorso tematico, che è una ri-partizione sintagmatica d’investimentitematici parziali, concernenti i diversiattanti e circostanti di questo percorso

(le cui dimensioni corrispondono aquelle dei programmi narrativi): la te-matizzazione operata può essere piùconcentrata sui soggetti, gli oggetti e lefunzioni, oppure più o meno equamen-te ripartita sugli elementi della strutturanarrativa. 3. Se si riesce a riunire il semantismo*disseminato lungo il percorso tematicoe lo si condensa, tramite una denomina-zione appropriata, come l’insieme delleproprietà del soggetto che effettua que-sto percorso (esempio: il percorso “pe-scare” riassunto in “pescatore”), si ot-tiene un ruolo tematico*. Esso non è al-tro che la tematizzazione del soggettodel fare, padrone del proprio program-ma narrativo.

→ Tematizzazione, Tematica

Tematico, agg. Thématique, Thematic, Temático

1. Chiamiamo tematico ogni investi-mento semantico astratto* della formasintattica a cui esso è isomorfo*. Si ot-tiene non solo per riduzione della den-sità semica figurativa, come accadequando per esempio, nei casi di genera-lizzazione, si considera solo il ricorreredi un classema figurativo come anima-to/inanimato, ma anche per ricorso auna formulazione unicamente concet-tuale, priva di ogni sema esterocettivo*(vedi, per esempio, i temi dell’/amore/,della /malvagità/, dell’/equità/ ecc.). Nel quadro della semantica* discorsi-va, il percorso tematico è la manifesta-zione isotopa* ma disseminata di un te-ma*, riducibile a un ruolo tematico. 2. Il ruolo tematico, che a un altro livel-lo di rappresentazione del percorso ge-nerativo* consente figurativizzazioni* va-riabili, è quello che sussume, dal puntodi vista dell’agente virtuale, un percorsotematico dato (per esempio l’/amoroso/,il /malvagio/, il /giusto/ ecc).3. Il concetto di ricategorizzazione te-

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Tematizzazione

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matica proposto da L. Panier (nelle suericerche di semiotica biblica) può servi-re a designare le trasformazioni del con-tenuto* che subiscono i ruoli tematici(a carattere socio-tassonomico) di un di-scorso narrativo nell’atto del suo svolgi-mento. Così, per esempio, contraria-mente a ciò che accade nel raccontoproppiano, in cui i percorsi tematici de-gli attori sono conformi fino in fondo ailoro ruoli (per cui sono spesso denomi-nati: “padre”, “figlio”, “re” ecc.), i testievangelici mettono in gioco, fin dall’ini-zio, dei ruoli sociali, religiosi o familia-ri. Questi sono chiamati a subire, neldivenire narrativo, una “ricategorizza-zione” tematica che manifesta il loro es-sere effettivo a scapito del loro apparireiniziale. 4. In opposizione al figurativo cui dàsenso, il tematico-narrativo rappresen-ta la congiunzione possibile – a unostesso livello del percorso generativo –di quelle due componenti isomorfe chesono il tematico – investimento seman-tico astratto di natura puramente con-cettuale – e il sintattico. Spetta al dispo-sitivo tematico narrativo di sottostareagli elementi figurativi per situarli quin-di sintagmaticamente gli uni rispettoagli altri. (J.C.)

→ Tema, Tematizzazione, Semanticadiscorsiva, Ruolo, Attore

Tematizzazione, n.f. Thématisation, Thematization,Tematisación

1. In semantica* discorsiva, la tematiz-zazione è una procedura – assai pocoesplorata – che, assumendosi i valori*della semantica* fondamentale già at-tualizzati (in giunzione* con i soggetti*)dalla semantica narrativa, in qualchemodo li dissemina, in maniera più omeno diffusa o concentrata, sotto for-ma di temi* nei programmi* e percorsi

narrativi*, aprendo così la strada allaloro eventuale figurativizzazione*. Latematizzazione può sia concentrarsi dipiù sui soggetti, gli oggetti* o le funzio-ni*, sia al contrario ripartirsi ugualmen-te sui diversi elementi della strutturanarrativa in oggetto. 2. Procedura di conversione* semanti-ca, la tematizzazione permette anche diformulare diversamente, in manierasempre astratta*, uno stesso valore. Co-sì, per esempio, il valore “libertà” puòessere tematizzato – con riguardo alleprocedure di spazializzazione* e di tem-poralizzazione* della sintassi discorsiva– sia come “evasione spaziale” (e figu-rativizzata, in uno stadio ulteriore, co-me imbarco per mari lontani), sia come“evasione temporale” (con figure* delpassato, dell’infanzia ecc.).

→ Tema, Tematico, Semantica discorsiva

Temporalizzazione, n.f. Temporalisation, Temporalization,Temporalización

1. Come la spazializzazione* e l’atto-rializzazione*, la temporalizzazione èuna delle sottocomponenti della discor-sivizzazione (o sintassi discorsiva), epartecipa, come loro, della messa inopera dei meccanismi di débrayage* edembrayage* (che rinviano all’istanzadell’enunciazione*). 2. La temporalizzazione consiste in uninsieme di procedure che possono esse-re raggruppate in più sottocomponenti.Distingueremo anzitutto la program-mazione temporale, la cui principalecaratteristica è la conversione* dell’assedelle presupposizioni* (ordine logicodella concatenazione dei programmi*narrativi) in asse delle consecuzioni (or-dine temporale e pseudo-causale degliavvenimenti). Del resto, la localizzazio-ne temporale (o temporalizzazione, insenso stretto) che utilizza le procedure

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Teoria

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di débrayage ed embrayage temporali,segmenta e organizza le successionitemporali stabilendo così il quadro al-l’interno del quale si inscrivono le strut-ture* narrative. Infine l’aspettualizza-zione trasforma le funzioni* narrative(di tipo logico) in processi* valutati dal-lo sguardo di un attante osservatore*installato nel discorso-enunciato. 3. La temporalizzazione consiste, co-me indica il nome, nel produrre l’effet-to di senso “temporalità”, e nel trasfor-mare così un’organizzazione narrativain “storia”.

→ Débrayage, Discorsivizzazione,Programmazione spazio-temporale,

Localizzazione spazio-temporale,Aspettualizzazione

Tensività, n.f. Tensivité, Tensiveness, Tensividad

La tensività è la relazione che il semadurativo* di un processo* contrae conil sema terminativo*, il che producel’effetto di senso “tensione”, “progres-sione” (esempio: l’avverbio “presso-ché”, o l’espressione aspettuale “sulpunto di”). Questa relazione aspettualesovradetermina la configurazione aspet-tuale e in qualche modo la dinamizza.Paradigmaticamente la tensività si op-pone alla distensività*.

→ Aspettualizzazione

Teoria, n.f. Théorie, Theory, Teoría

1. Si intende abitualmente per teoria uninsieme coerente d’ipotesi, suscettibilid’essere sottoposte a verifica: ipotesi*,coerenza* e verifica* sono i termini chia-ve per una definizione del concetto diteoria, e servono da criterio di riconosci-mento per distinguere ciò che è real-mente teoria da ciò che si proclama tale.

2. Una teoria è supposta render contodi un oggetto di conoscenza. Facciamonostro il punto di vista di C. Bernardche oppone la teoria al sistema*: men-tre quest’ultimo è sottomesso alla suasola coerenza logica, la teoria esige inol-tre di essere sottoposta a verifica (checorrisponde, per Bernard, alla esperi-mentazione). Certo, la nozione di veri-fica può variare da una teoria all’altra,le si possono sostituire per esempio del-le procedure di falsificazione* o le esi-genze di adeguazione*: in ogni modo ilconfronto tra il “formulato” e il “dato”è una condizione sine qua non di ogniteoria. 3. Il fatto che la teoria sia un insiemed’ipotesi non giustifica che queste sianosparpagliate in concettualizzazioni di-verse. Al contrario, essa cerca di somi-gliare a un corpo di ipotesi generali, ri-salendo il più in alto possibile (o di-scendendo il più in basso possibile),per presupposizioni* successive, in mo-do che i suoi postulati tengano contosia di considerazioni gnoseologiche (del-la teoria della conoscenza, nel senso fi-losofico del termine) – la teoria semioti-ca* si riferisce alla relazione fondamen-tale fra soggetto conoscente e oggettodi conoscenza, e cerca di precisare lecondizioni generali dell’apprensione edella produzione del senso – sia delleesigenze dell’epistemologia* scientifi-ca. Essa l’aiuta a formulare queste ipo-tesi ultime con un’assiomatica* sempli-ce (sotto forma di strutture* elementaridella significazione, per esempio, nelcaso della teoria semiotica).4. È fra questo insieme di ipotesi nondimostrabili e dichiarate dimostrate (o,che è pressoché equivalente, il corpodei concetti fondamentali non definibi-li), da una parte, e il luogo del confron-to della teoria con il dato (o della suaadeguazione al momento dell’applica-zione), dall’altra, che si situa il vastocantiere di costruzione di una teoria. Ilprimo tentativo, largamente intuitivo,consiste – a partire da un oggetto dato

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Teoria

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come conoscibile (il linguaggio oggettoin semiotica) – nell’elaborare dapprimaun linguaggio di descrizione*, e nel giu-stificarlo poi con l’aiuto di un linguag-gio metodologico* per trovare infine illivello epistemologico* in cui i concetti,indefinibili, e le ipotesi, indimostrabili,dovranno essere organizzati in un’as-siomatica. Tali operazioni esplicitano lateoria e le danno la forma di una gerar-chia di metalinguaggi*. È solo allorache inizierà la seconda fase dell’elabo-razione della teoria, quella di formaliz-zazione*, cioè di trascrizione in un lin-guaggio formale*: a partire dall’assio-matica già formulata, si effettuerà, perdeduzione, un percorso in senso inver-so, garantendo così la coerenza dellateoria e attestando la sua adeguazione.Questo secondo tentativo dà alla teoriail suo status ipotetico-deduttivo. 5. Se la formalizzazione di una teoriaappare un buon mezzo per saggiare lasua coerenza, essa interviene però, diregola, solo in un secondo tempo,quando la teoria è già concettualizzata.Occorre allora distinguere la prova dicoerenza dalla costruzione coerentedella teoria stessa, che si compie trami-te le procedure d’interdefinizione deiconcetti e per sovrapposizione dei livel-li metalinguistici che si interrogano, sianalizzano e si saggiano gli uni con glialtri. La costruzione di diverse logiche,in particolare, è caratterizzata dall’a-priorismo assiomatico che le rendespesso inadatte a un impiego in semio-tica. 6. Ne segue che una teoria è un lin-guaggio costruito di tipo particolare,suscettibile di costituire l’oggetto diun’analisi semiotica: si può immagina-re, per esempio, una tipologia delle teo-rie secondo la loro maniera di costru-zione. Se si considera la teoria comeuna gerarchia di concetti e di loro defi-nizioni, ci si accorgerà che questi assu-mono sia la forma di sistemi*, sia quelladi processi* semiotici: nel primo caso,la teoria avrà un andamento tassonomi-

co* (con i concetti interdefiniti per spe-cificazioni e inclusioni), nel secondouna forma sintattica (o sintagmatica), incui le relazioni interconcettuali fannoparte della presupposizione*. Si può in-traprendere il passaggio da una formu-lazione all’altra sotto certe condizioni:il recupero dell’analisi distribuzionale*da parte della grammatica generativa*ne costituisce un esempio. 7. Abbiamo presentato in (4), la co-struzione di una teoria come un tentati-vo in due tempi, in cui la costruzioneconcettuale e metalinguistica era pre-supposta dalla formalizzazione. In pra-tica – e più precisamente nel campo lin-guistico – le cose sono assai meno chia-re: numerosi sforzi di teorizzazione re-stano di solito allo stadio intuitivo* dipreconcettualizzazione; altre si arresta-no alla preformalizzazione, altre infine,mettendo il carro davanti ai buoi, siprecipitano a costruire una teoria for-malizzata, senza preoccuparsi dell’ela-borazione e dell’esplicitazione dei con-cetti. La costruzione di una teoria è unimpegno a lungo respiro: la linguisticacomparativa* ci ha messo un centinaiod’anni, da Bopp a F. de Saussure, percostituirsi come teoria coerente. 8. Come costruzione concettuale e me-talinguistica, come gerarchia di meta-linguaggi, la teoria di un oggetto di co-noscenza sviluppa il senso di oggettività(il senso noematico) del proprio ogget-to. Tale senso di oggettività, che defini-sce l’essenza oggettiva di un’ontologiaregionale, è determinato da categorie,nel senso filosofico del termine, chefunzionano come predicati ontologici.In altri termini, la teoria concettual-de-scrittiva riposa su una base categorialecomposta da concetti primitivi indefini-bili. La formalizzazione*, destinata afarla accedere allo stadio ipotetico-de-duttivo, non è riducibile quindi a unasemplice descrizione in un linguaggioformale. Quest’ultimo riguarda infattisolo la parte logico-sintattica della teo-ria e non il suo contenuto. Di conse-

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Termine

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guenza, il punto di vista assiomatico*-formalista deve essere completato dalpunto di vista semantico (l’opposizionesintassi/semantica nella teoria della co-noscenza è sovrapponibile all’opposi-zione tra logica formale e logica trascen-dentale), che comporta la schematizza-zione delle categorie e può essere svi-luppato in semiotica a partire dalla teo-ria della catastrofi*. (J.P.)

→ Assiomatica, Formalizzazione, Schematizzazione

Terminale, n.m. Terminal, Terminal, Terminal

1. Si chiamano simboli terminali quelliche denotano, in seguito ad analisi sin-tagmatiche, le classi* morfologiche (o“lessicali”, come nome, verbo, aggetti-vo ecc.) che appartengono all’ultimo li-vello di derivazione*. 2. Sono detti a volte terminali i lesse-mi* situati al livello più basso di una ge-rarchia* tassonomica* di ordine para-digmatico ed effettivamente realizzatinella lingua naturale studiata.

→ Simbolo, Termine

Terminatività, n.f. Terminativité, Terminativeness,Terminatividad

La terminatività è un sema aspettualeche segnala il compimento di un pro-cesso*: fa parte della configurazioneaspettuale incoatività/duratività/termi-natività, e il suo riconoscimento per-mette di presupporre l’esistenza dell’in-tera configurazione. A livello della sin-tassi semiotica di superficie*, il sematerminatività può segnalare la realizza-zione* di un fare*.

→ Aspettualizzazione

Termine, n.m. Terme, Term, Término

1. Se si considera che ogni semiotica èuna rete di relazioni* (o che una linguanaturale, per esempio, non è fatta chedi differenze), i termini si possono de-finire solo come punti d’intersezionedi diverse relazioni. Così l’esame dellastruttura elementare della significazio-ne evidenzia che ogni termine del qua-drato* semiotico è un punto d’interse-zione delle relazioni di contrarietà*, dicontraddizione* e di complementarità.D’altra parte la rappresentazione* diuna rete relazionale ad albero* rivelache i termini corrispondenti ai punti diramificazione sono allo stesso tempogli “sbocchi” delle relazioni e le rela-zioni stesse che, considerate a livel-lo gerarchicamente superiore, si pre-sentano come termini (le funzioni di L.Hjelmslev che giocano il ruolo di fun-tivi): soltanto i terminali d’una tasso-nomia non sono che termini in sensostretto. 2. I punti d’intersezione delle relazio-ni, cioè i termini, possono essere lessi-calizzati (cioè dotati di etichette* che lidenominano) o no: una lingua naturale,in quanto semiotica, e in quanto combi-natoria, offre immense possibilità dilessicalizzazione. Diventa allora possi-bile una seconda definizione di termi-ne: il termine è la denominazione* (l’e-tichetta) di un punto d’intersezione direlazioni (o di un incrocio all’interno diuna rete relazionale), denominazioneche si effettua attraverso la proceduradi lessicalizzazione*. 3. La lessicalizzazione dei termini saràdetta “naturale” (nel caso, per esem-pio, delle etnotassonomie) o “artificia-le”: in tal caso, i termini-etichette costi-tuiranno sia una terminologia* di ca-rattere metalinguistico*, sia una no-menclatura*.

→ Relazione, Quadrato semiotico,Albero, Lessicalizzazione

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Terminologia

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Terminologia, n.f. Terminologie, Terminology,Terminología

1. Si chiama terminologia un insieme ditermini, più o meno definiti, costitutivi inparte di un socioletto. Una terminologia icui termini sono interdefiniti e le regoledi costruzione esplicite* è suscettibile ditrasformarsi in metalinguaggio. 2. In antropologia, si utilizza l’espres-sione terminologia delle strutture diparentela per distinguere la tassono-mia* dei termini lessicali (= i lessemi*)che servono a designare l’insieme deiruoli di cui è costituita la struttura diparentela in una data comunità lingui-stica, da quella che può essere costruitaa partire dall’analisi dei discorsi socialitenuti a questo proposito (o dei com-portamenti somatici osservati). Le duetassonomie – quella dei ruoli esplicita-mente denominati e quella dei ruoli te-matici* impliciti – non sono necessaria-mente omologabili, dato che questi ul-timi hanno potuto subire una ricatego-rizzazione storica.

→ Termine, Nomenclatura,Metalinguaggio, Socioletto, Tassonomia

Testo, n.m. Texte, Text, Texto

1. Considerato in quanto enunciato*, iltesto si oppone al discorso*, in base al-la sostanza* dell’espressione* – graficao fonica – utilizzata per la manifestazio-ne del processo linguistico. Secondo al-cuni linguisti (R. Jakobson), l’espressio-ne orale – e, di conseguenza, il discorso– è il fatto primo: la scrittura* non sa-rebbe che un derivato, una traduzionedella manifestazione orale. Per altri (L.Hjelmslev), al contrario, il punto di vi-sta genetico non è pertinente, poichéuna forma semiotica è suscettibile di es-sere manifestata da diverse sostanze. 2. Il termine testo è spesso assunto co-

me sinonimo di discorso, soprattutto inseguito a interpenetrazioni terminolo-giche con le lingue naturali che nonpossiedono l’equivalente del vocabolodiscorso (francese e inglese). In questocaso la semiotica testuale non si distin-gue, in linea di principio, dalla semioti-ca discorsiva. I due termini – testo e di-scorso – possono essere applicati indif-ferentemente per designare l’asse* sin-tagmatico delle semiotiche non lingui-stiche*: un rituale, un balletto possonoessere considerati come testo o comediscorso. 3. Hjelmslev utilizza il termine testoper designare la totalità di una catenalinguistica, illimitata a causa della pro-duttività del sistema. È il riconoscimen-to e la scelta di unità* di massime di-mensioni, ricorrenti nel testo, che per-mette di intraprenderne l’analisi* e de-termina, per esempio, il tipo di lingui-stica (o di grammatica) che si potràcostruire: se l’unità ricorrente adotta-ta è la frase*, la linguistica, elaborataper renderne conto, sarà detta frasti-ca; la scelta del discorso* come unitàmassima ricorrente del testo darà luo-go alla costruzione di una linguisticadiscorsiva. 4. Il termine testo è talvolta adoperatoin senso restrittivo, quando la naturadell’oggetto scelto (opera di uno scrit-tore, insieme di documenti conosciuti odi testimonianze raccolte) gli impongo-no dei limiti: in questo senso, il testo di-venta sinonimo di corpus*. 5. Nei sensi (3) e (4), il testo designauna grandezza* considerata anterior-mente alla propria analisi*. Ora, si sache l’analisi presuppone sempre la scel-ta di un livello di pertinenza* o cerca diriconoscere solo un certo tipo di rela-zioni*, escludendone altre, ugualmentepossibili da determinare (sostanza* oforma*, sintassi* o semantica* ecc.). Nerisulta così una nuova definizione, se-condo cui il testo è costituito unica-mente dagli elementi semiotici confor-mi al progetto teorico della descrizio-

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Testualizzazione

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ne*. È in quest’accezione che si parlerà,per esempio, del testo enunciativo (ot-tenuto in seguito all’eliminazione* dellemarche* dell’enunciazione*). È in que-sto senso che è anche possibile inter-pretare il «testo come produttività» (J.Kristeva), concetto che sussume l’insie-me delle operazioni di produzione* e ditrasformazione, e che cerca di tenerconto, allo stesso tempo, delle proprie-tà semiotiche dell’enunciazione e del-l’enunciato. 6. Quando il percorso generativo* èinterrotto, dà luogo alla testualizzazio-ne* (linearizzazione* e giunzione con ilpiano dell’espressione*): il testo, otte-nuto tramite questa procedura, equiva-le alla rappresentazione* semantica deldiscorso e può – nella prospettiva dellagrammatica generativa* – servire da li-vello profondo* alle strutture linguisti-che generatrici di strutture linguistichedi superficie*.

→ Discorso, Unità (testuale),Testualizzazione

Testualizzazione, n.f. Textualisation, Textualization, Textualización

1. La testualizzazione è l’insieme delleprocedure – volte a costituirsi in sintas-si* testuale – che mirano a costituire uncontinuo discorsivo, anteriormente allamanifestazione del discorso in questa oquella semiotica (e, più precisamente,in questa o quella lingua naturale). Il te-sto* così ottenuto, se è manifestato co-me tale, prenderà la forma di una rap-presentazione* semantica del discorso. 2. In quanto rappresentazione seman-tica, questo testo è indifferente ai modisemiotici di manifestazione* che gli so-no logicamente ulteriori. Così, peresempio, il testo di un fumetto pren-derà la forma sia di “didascalia” sia di“vignetta”. Così pure, il testo di un cor-

pus etnoletterario sarà omogeneo mal-grado il carattere plurilingue della suamanifestazione, nella misura in cui, evi-dentemente, ricopre un’area culturalericonosciuta. Il testo teatrale, da partesua, sussume l’insieme dei linguaggi dimanifestazione (intonazione, gestualità,prossemica, giochi di luci ecc.) a cui hafatto ricorso. 3. Il testo si definisce così in rapportoalla manifestazione che precede, e uni-camente in rapporto a essa; non è ilpunto d’arrivo del percorso generati-vo* totale, considerato come passaggiodal semplice al complesso, dall’astrat-to* al figurativo*. La testualizzazionecostituisce, al contrario, un arresto diquesto percorso, a un momento qual-siasi del processo, e la sua deviazioneverso la manifestazione. Così, quandosi vuol dare una rappresentazione diuno o dell’altro dei livelli del percorsogenerativo (della grammatica profonda,della grammatica di superficie, dell’i-stanza figurativa ecc.) si procede neces-sariamente alla testualizzazione di que-sto livello (cioè dei dati d’analisi di que-sto piano). 4. Nel momento in cui si effettua, la te-stualizzazione incontra un certo nume-ro di costrizioni e beneficia dei vantag-gi che le conferiscono le proprietà ca-ratteristiche del testo stesso. La princi-pale costrizione sembra essere la linea-rità* del discorso, ma questa è, in qual-che modo, compensata dalla sua elasti-cità. La linearità del testo è determinatadalla natura del significante* che dovràincontrare al momento della manifesta-zione: essa sarà temporale (per le lingueorali, per esempio) o spaziale (scrittura,pittura ecc.). L’elasticità del testo, daparte sua, si definisce come attitudinedel discorso a mettere in piano le gerar-chie semiotiche, cioè a disporre in suc-cessione segmenti che partecipano di li-velli assai diversi di una semiotica data(un dibattito, per esempio, può inscri-versi nel discorso sotto forma del lesse-ma “discussione”, ma anche tramite

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Timica (categoria –)

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una frase complessa o una sequenzadialogata). Si tratta allora, quando sitraggono i maggiori vantaggi dalla li-nearità o si sfruttano le possibilità offer-te dall’elasticità del discorso, della te-stualizzazione nel senso stretto del ter-mine. 5. La linearizzazione del testo deve es-sere distinta dalla sua temporalizzazio-ne*. Si sa, per esempio, che il calcoloalgebrico, che non è di natura tempo-rale, chiede di essere linearizzato in vi-sta della sua rappresentazione manife-stata. Senza andare così lontano, si puòdunque distinguere una programma-zione testuale propriamente detta (ècosì che due programmi* narrativiconcomitanti saranno necessariamentedisposti in successione lineare) dallaprogrammazione* temporale (o messain ordine cronologico dei diversi pro-grammi): questi due tipi di program-mazione lasciano tuttavia un marginestrategico nell’organizzazione del di-scorso e fanno parte della competen-za* discorsiva dell’enunciatore*. Lostesso accade comunque, per lo sfrut-tamento dell’elasticità del discorso, cherinvia allo stesso tipo di competenza.Queste due forme d’intervento dell’e-nunciatore costituiscono dunque leprocedure di testualizzazione (nel sen-so lato del termine), procedure allequali si può collegare, per esempio, l’a-naforizzazione*, e che, sotto una certaprospettiva, sembrano più o meno coe-stensive alle preoccupazioni dell’anticaretorica*.

→ Generativo (percorso –), Linearità,Elasticità del discorso

Timica (categoria –), agg. Thymique (catégorie –), Thymic (Category), Tímica (categoría –)

1. Categoria* classematica* la cui de-nominazione è motivata dal senso delvocabolo timia – «umore, disposizione

affettiva di base» (Petit Robert) –, la ca-tegoria timica serve ad articolare il se-mantismo* direttamente legato allapercezione che l’uomo ha del propriocorpo. Entra come termine complesso*(o neutro*?), nell’articolazione dellacategoria che le è gerarchicamente su-periore, quella di esterocettività/intero-cettività impiegata per classificare l’in-sieme delle categorie semiche di un uni-verso semantico. 2. La categoria timica si articola a suavolta in euforia/disforia (con aforia co-me termine neutro) e gioca un ruolofondamentale nella trasformazione deimicrouniversi* semantici in assiologie:connotando come euforica una deissi*del quadrato* semiotico, e come disfo-rica la deissi opposta, provoca la valo-rizzazione positiva e/o negativa di cia-scuno dei termini della struttura* ele-mentare della significazione. 3. A seguito di una proiezione timica,i semi diventano, a livello profondo,valori* virtuali. La loro esistenza* se-miotica resta virtuale perché non si èancora verificata la giunzione con ilsoggetto. Chi è allora il soggetto dellaproiezione timica se la modalizzazionedell’oggetto in quanto desiderabile sisitua al livello dell’attualizzazione disuperficie? Se ne conclude che va fattauna distinzione tra la proiezione timi-ca in profondità e la modalizzazionedell’essere al livello superficiale. Grei-mas ha notato (“Modalizzazione del-l’essere”, Del senso II, p. 10) l’aspetto“naturale” o “sociale” della proiezionetimica. Dovremmo allora parlare diun’assiologia* talmente profonda daessere, prima ancora della costituzionedel soggetto, il risultato delle pulsionio del lavoro dell’inconscio collettivo(Jung)? Del resto il contenuto concre-to del termine “proiezione timica”, ilsenso e la motivazione del moto eufo-rico/disforico verso l’oggetto, richia-mano i diversi termini primitivi, al-quanto oscuri, utilizzati nell’assiologiada Brentano (l’amore o l’odio dell’og-

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Tipologia

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getto determinano il suo valore per ilsoggetto), da Scheler (è il valore, inve-ce, a causare l’amore per l’oggetto), daEhrenfels (il desiderio crea il valore),da Meinong (il valore fa nascere il de-siderio).Ci si può poi chiedere se la “proiezionetimica” sia davvero necessaria a costi-tuire il senso e il valore. Se l’oggetto divalore è una struttura modale in cui unsoggetto modalizza un termine di unacategoria semantica (Greimas, Ibidem),non è necessario che questo termine siagià connotato come euforico o disfori-co. Questa modalizzazione profonda èlogicamente implicata nella modalizza-zione di superficie: “desiderabile” im-plica euforico e “nocivo” implica di-sforico, ecc. L’uso del termine timicopuò inoltre generare confusione. Lo sipuò intendere in termini pulsionali efarlo funzionare solo al livello profon-do – e resta sempre assai oscuro; o lo sipuò cogliere come un atteggiamentogenerale di propensione verso un og-getto e lasciarlo intervenire a tutti i li-velli di produzione del senso – ma inquesto caso non è più caratterizzanteper la trasformazione in profonditàdella tassonomia in ideologia. Ci sem-bra che il termine non sia molto opera-tivo né in un caso né nell’altro. Da ulti-mo, non è sempre certo che si possaderivare il termine modalizzato in su-perficie dal termine corrispondente diuna categoria fondamentale – vita/mor-te ecc. – connotato come euforico o di-sforico. Proponiamo quindi di sostituire, al ter-mine timico, l’espressione “modi assio-logici” e di considerare le categorie del-la modalizzazione dell’essere come lacategorizzazione di uno di questi modi,la valutazione. (S.A.)

→ Propriocettività, Esterocettività, Assiologia,

Soggettivazione, Valore

Timore, n.m. Crainte, Fear, Temor

Opposto al desiderio, il timore non è,dal punto di vista semantico, un non-volere, ma un volere* contrario, che siinterpreta all’interno di una strutturasintattica postulante la reciprocità deisoggetti antagonisti (soggetto/anti-sog-getto).

→ Desiderio

Tipologia, n.f. Typologie, Typology, Tipología

1. Per tipologia si intende un insiemedi procedure che permettono di ricono-scere e di stabilire correlazioni* fra dueo più oggetti semiotici, o il loro risultato(che prende la forma di un sistema cor-relazionale costruito). Questo concettopuò essere accostato a quello di classifi-cazione* con una differenza, però: men-tre la classificazione tende a costruireuna gerarchia*, la tipologia cerca diconfrontare le gerarchie fra loro. 2. Le tipologie possono essere parziali,quando si basano sulla scelta di un pic-colo numero di criteri di comparazione(correlazioni fra un certo tipo di unitàsituate a un livello d’analisi dato) o ge-nerali, quando due o più oggetti semio-tici sono correlati fra loro, in seguito aduna analisi omogenea, tenendo conto ditutte le unità, di tutti i livelli o piani se-miotici. In quest’ultimo caso, il model-lo tipologico, che sussume tutti gli og-getti correlati, dà allo stesso tempo ladefinizione* completa di ciascuno diloro e permette di considerarli uno co-me la trasformazione* dell’altro, e vice-versa. 3. La linguistica si è preoccupata, apartire dal XIX secolo, di elaborare unatipologia delle lingue naturali. Diversitentativi sono stati fatti, fondati su cri-teri di comparabilità diversi. Il più notoè la tipologia fondata sulla diversità del-

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Topico (spazio –)

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le formulazioni dell’unità morfo-sintat-tica detta “vocabolo”: le lingue in cuil’unità “vocabolo”* si identifica con ilsolo radicale sono dette isolanti; quellein cui il “vocabolo” è costituito da unasemplice giustapposizione del radicalee da uno o più affissi, sono qualificateagglutinanti; quelle infine in cui il “vo-cabolo” va definito come la combina-zione del radicale e delle flessioni sonodette lingue flessive. La critica di tale ti-pologia è già stata fatta: la definizionedi vocabolo*, su cui poggia, è imprecisae incoerente: si possono trovare diversitipi di “vocaboli” nella stessa lingua na-turale. Questa tipologia è tuttavia co-moda ed è rimasta d’uso corrente finoai giorni nostri. 4. Tali tipologie possono essere dettestrutturali nella misura in cui si fonda-no solo su criteri intrinseci e formali enon tengono conto della chiusura degliinventari delle unità comparate: si di-stinguono dalle tipologie geneticheche, elaborate dalla linguistica compa-rativa*, comportano restrizioni partico-lari. 5. In semiotica, il problema di stabili-re tipologie si pone in particolare a li-vello delle culture*, e nei limiti in cuipuò essere preso in carico dalla socio-semiotica*, a quello dei discorsi* e deigeneri*, in cui le classificazioni attual-mente in uso riposano sul riconosci-mento delle connotazioni* sociali enon su criteri interni, d’ordine stretta-mente semiotico.

→ Classificazione, Sociosemiotica, Discorso

Topico (spazio –), agg. Topique (espace –), Topic (Space),Tópico (espacio –)

Tenuto conto di un programma* narra-tivo dato, definito come una trasforma-zione* situata fra due stati* narrativistabili, si può considerare come spazio

topico il luogo in cui si manifesta sintat-ticamente questa trasformazione, e co-me spazio eterotopico i luoghi che loinglobano, precedendolo e/o seguen-dolo. Una sotto-articolazione dello spa-zio topico distinguerà eventualmente lospazio utopico, in cui si effettuano leperformanze*, e lo spazio paratopico,riservato all’acquisizione delle compe-tenze*: al “qui” (spazio topico) e “là”(spazio paratopico) si oppone in talmodo l’“altrove” (spazio eterotopico).

→ Localizzazione spazio-temporale

Topologica (categoria –), agg.Topologique (catégorie –), Topologicalcategories –, Categoría topológica

Le categorie topologiche, di natura noncostituzionale* regolano la disposizio-ne delle configurazioni plastiche nellospazio bi- e tridimensionale. Si divido-no in molte sottoclassi, quali la posizio-ne e l’orientamento. In alcuni tipi di discorso poetico* laforma topologica propria agli schemistrofici viene utilizzata, secondo il mo-do semi-simbolico*, nell’investimentodei contenuti, il che facilita la retro-let-tura dei testi.D’altra parte, è noto che il discorso nar-rativo* tradizionale, come il raccontoproppiano, stabilisce, attraverso il di-scorso descrittivo, un sistema topologi-co forte, in cui lo schema delle tre pro-ve corrisponde a uno schema di artico-lazione topologica cha ha forma cano-nica. Nella teoria del racconto questaproblematica viene trattata sotto la spe-cie della spazializzazione*.

Toponimo, n.m. Toponyme, Toponym, Topónimo

I toponimi, come designazioni di spazi*tramite nomi propri, fanno parte dellasottocomponente onomastica della fi-

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Traduzione

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gurativizzazione. Aggiunti agli antropo-nimi* e ai crononimi*, permettono unancoraggio* storico tendente a costitui-re il simulacro di un referente esterno ea produrre l’effetto di senso “realtà”.

→ Onomastica, Figurativizzazione,Referente

Totalità, n.f. Totalité, Totality, Totalidad

1. In filosofia, la totalità è consideratacome uno dei concetti fondamentali delpensiero: è così che Kant la classifica,sotto la rubrica della quantità, fra le do-dici categorie dell’intelletto. 2. Considerata come parte dell’artico-lazione semantica generale della quan-tità*, la totalità può essere trattata siacome una categoria* che si articola, se-condo V. Brøndal, nei due termini con-trari che sono l’integrale (totus) e l’uni-versale (omnis), sia come una sotto-arti-colazione del primo di questi termini,che può essere formulata come il termi-ne complesso*, che permette di appren-dere la totalità sotto due aspetti nel me-desimo tempo: come grandezza discre-ta, distinta da tutto ciò che non è (unus)e come grandezza intera, colta nella suaindivisibilità (totus). Bisogna in ognimodo riconoscere che la riflessione se-mantica sugli universali quantitativi ri-chiede ancora di essere approfondita.

Traditore, n.m. Traitre, Villain, Traidor

L’indagine proppiana ha mostrato chela fiaba non è un tutto omogeneo, maun racconto* doppio, organizzato se-condo una struttura polemica*: paralle-lamente alle prove* realizzate dall’e-roe*, si configura un’altra storia, quelladell’anti-soggetto, del traditore. Da unpunto di vista propriamente sintattico,il racconto introduce in tal modo due

percorsi narrativi*, opposti e comple-mentari (come in un sistema chiuso divalori in cui ciò che è dato a uno va ascapito dell’altro, ciò che è tolto a uno èa profitto dell’altro). Sono quelli dell’e-roe e del traditore, i quali si distinguo-no in realtà solo per la loro connotazio-ne euforica* o disforica moralizzante:così, il traditore proppiano, negativa-mente sovradeterminato, è comparabi-le punto per punto con Pollicino, quali-ficato come eroe e che si serve di proved’inganno*.

→ Soggetto, Eroe, Narrativo (schema –), Moralizzazione

Traduzione, n.f. Traduction, Translation, Traducción

1. Si intende con traduzione l’attivitàcognitiva che opera il passaggio da unenunciato* dato in un altro enunciatoconsiderato equivalente. 2. La traducibilità appare come unadelle proprietà fondamentali dei siste-mi semiotici e come il fondamento stes-so del processo semantico: fra il giudi-zio esistenziale “c’è del senso” e la pos-sibilità di dirne qualcosa, si intercala ineffetti la traduzione; “parlare del sen-so” è insieme tradurre e produrre signi-ficazione*. 3. Si riconosce in genere alle lingue*naturali uno status privilegiato in rap-porto alle altre semiotiche, in quantosono le sole suscettibili di servire comelingue d’arrivo, durante il processo ditraduzione, per tutte le altre semioti-che, mentre il contrario è possibile solodi rado. Così, si dirà che le lingue natu-rali sono delle macrosemiotiche* in cuisi traducono quelle altre macrosemioti-che che sono i mondi* naturali, comeanche le semiotiche costruite a partiredai mondi naturali (come la pittura, lamusica ecc.). D’altra parte, se le linguenaturali si traducono le une nelle altre,esse forniscono anche il materiale ne-

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Transfrastico

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cessario per le costruzioni metalingui-stiche* che permettono loro di parlaredi sé (cfr. la parafrasi*). 4. Simili considerazioni, per valide chesiano in linea di principio, hanno co-munque condotto a ipostatizzare le lin-gue naturali e ad affermare a volte, inmodo più o meno esplicito, che se que-ste ultime fornivano significati, questierano di fatto i significati di altre semio-tiche le quali non erano altro che purisignificanti (il mondo, la pittura, peresempio, non significherebbero se nonin quanto verbalizzabili). Riconoscerelo status privilegiato delle lingue natu-rali non autorizza la loro reificazione inquanto luoghi di “senso costruito”: lasignificazione è anzitutto un’attività (oun’operazione di traduzione) prima diessere il suo risultato. 5. È in quanto attività semiotica che latraduzione può essere scomposta in unfare interpretativo* del testo ab quo, dauna parte, e in un fare produttivo del te-sto ad quem, dall’altra. La distinzione tradue fasi permette allora di comprenderecome l’interpretazione del testo ab quo(o l’analisi implicita o esplicita di questotesto) possa sfociare sia nella costruzionedi un metalinguaggio* che cerca di ren-derne conto, sia nella produzione (nelsenso forte del termine) del testo adquem, più o meno equivalente – per ilfatto della non-adeguazione dei due uni-versi figurativi* – al primo.

Transfrastico, agg. Transphrastique, Transphrastic,Transfrásico

Un enunciato* è detto transfrastico quan-do oltrepassa i limiti di una frase*.

Transitività, n.f. Transitivité, Transitivity, Transitividad

1. In grammatica tradizionale, un ver-bo è detto transitivo quando, nella

sua qualità di predicato, è suscettibiledi avere un oggetto (o un complemen-to oggetto), o meglio, quando il verboè solo il luogo di transizione che va dalsoggetto all’oggetto. Quale che sia ladifficoltà nell’interpretare e denomi-nare tale concetto di “processo” – chepuò essere proficuamente comparatoall’orientamento* in logica o all’inten-zionalità* in filosofia – l’esistenza diuna relazione “dinamica”, che com-porta uno stretto minimo d’investi-mento semantico, costitutivo di ognienunciato*, va necessariamente po-stulata, prima di ogni costruzione disintassi attanziale. Instaurando perprima cosa la relazione di transitivitàsi può, poi, per investimento comple-mentare, procedere alla distinzionedei predicati di trasformazione* e digiunzione*, come alla messa in operadi due forme canoniche di enunciatielementari: gli enunciati del fare* e glienunciati di stato*. 2. Sul piano discorsivo* dove appaio-no le strutture attoriali, il termine tran-sitivo, in opposizione al termine rifles-sivo*, serve a distinguere l’autonomiaattanziale degli attori* dai loro sincre-tismi attanziali. Così, nella frase “Pie-tro sposta una pietra”, abbiamo dueattanti*, soggetto e oggetto, investiti indue attori distinti: la relazione fra gliattanti sarà allora detta transitiva. Incompenso, nell’enunciato “lo sposta-mento di Pietro”, i due attanti – sog-getto e oggetto si trovano in sincreti-smo all’interno di un solo attore (Pie-tro sposta se stesso): la relazione saràin tal caso qualificata come riflessiva.Lo stesso accade per la relazione al sa-pere*, che sarà detta transitiva o rifles-siva a seconda che i soggetti fra i qualisi stabilisce la comunicazione siano ono attori distinti (si distinguerà cosìper esempio il sapere sugli altri dal sa-pere su di sé).

→ Orientamento, Intenzione

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Trasformazione

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Trascendenza, n.f. Transcendance, Transcendance,Trascendencia

Dal punto di vista del Destinatario*-soggetto, lo stato di trascendenza corri-sponde alla sua partecipazione all’esserestesso del Destinante. Nel quadro deiracconti popolari, infatti, si ritiene che ilDestinante si collochi in un universotrascendente (in cui si suppone che idoni non diminuiscono mai la quantitàdi beni disponibili, postulata come ine-sauribile), in opposizione al Destinata-rio-soggetto che appartiene all’universoimmanente. Al tempo stesso, data l’a-simmetria del rapporto destinante/de-stinatario, la trasmissione fra loro deglioggetti* di valore non obbedisce più alprincipio dei sistemi chiusi di valori (incui ciò che è acquisito da uno è a scapi-to di un altro), ma a quello della comu-nicazione* partecipativa.

→ Immanenza

Trascodifica, n.f. Transcodage, Transcoding,Transcodificación

Si può definire la trascodifica come l’o-perazione (o l’insieme di operazioni) at-traverso cui un elemento o un insieme*significante sono trasposti da un codice*in un altro, da un linguaggio* in un altrolinguaggio. Se la trascodifica obbediscea certe regole di costruzione determina-te, secondo un modello scientifico, potràequivalere allora a un metalinguaggio.

→ Traduzione, Metalinguaggio

Trasformazione, n.f. Transformation, Transformation,Transformación

1. Si può intendere per trasformazio-ne, in modo molto generale, la correla-

zione* (o il suo stabilirsi) fra due o piùoggetti semiotici: frasi, segmenti testua-li, discorsi, sistemi semiotici ecc. Findalle sue origini, il termine trasforma-zione rinvia nella tradizione europea alcomparativismo* linguistico, mentre,nel contesto americano, si riferisce alleprocedure elaborate in matematica: dacui, soprattutto in semiotica, confusio-ni e frequenti malintesi. 2. Dal punto di vista del campo del lo-ro esercizio, si distingueranno, indipen-dentemente dalla loro natura intrinse-ca, le trasformazioni intertestuali (sta-bilite fra due o più oggetti semiotici –paradigmatici o sintagmatici – autono-mi*) e le trasformazioni intratestuali.Queste ultime sono di due tipi: – a) le trasformazioni situate a livellodelle strutture* semiotiche profonde;– b) quelle che si stabiliscono o si ri-conoscono tra i livelli profondi* equelli di superficie* di un oggetto se-miotico. Per scrupolo di semplificazione e se-guendo l’esempio di T. Pavel, desi-gneremo le trasformazioni intertestua-li L-trasformazioni (formulate in pra-tica da C. Lévi-Strauss e i suoi disce-poli), le trasformazioni intratestualiorizzontali G-trasformazioni (chestiamo per definire: infra 5), e le tra-sformazioni intratestuali verticali C-trasformazioni (chomskyane e post-chomskyane). 3. Fra le trasformazioni intertestuali,occorre anzitutto considerare le tra-sformazioni proppiane. Dopo aver de-scritto la “morfologia” della fiaba rus-sa, V. Propp ha tentato di ricollocare ilsuo modello narrativo nella dimensio-ne storica, cercando di riconoscere letrasformazioni che la fiaba è suscetti-bile di subire nel corso della propriaevoluzione. Oltre al carattere assai di-scutibile dei parametri di evoluzionestorica che propone (il meraviglioso èanteriore al razionale, l’eroico all’umo-ristico, il coerente all’incoerente) e chene fanno delle trasformazioni orienta-

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Trasformazione

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te*, le trasformazioni descritte daPropp sono locali (interessano solouna classe di equivalenze corrispon-denti a un sotto-segmento della sua“funzione”), isolate (la trasformazioneche si produce in un punto del testonon coinvolge le altre posizioni sintag-matiche) e superficiali (si situano a li-vello delle varianti di superficie). Unesempio – la casa del donatore, rap-presentata in superficie come una ca-panna nella foresta, su zampe di polloe che gira, “si trasforma” in capannache, mentre tutto il resto rimane ugua-le, non gira più – basta per rendersiconto dell’imprecisione e dell’ineffica-cia di simili “trasformazioni”: anche inuna prospettiva atomista, non si pos-sono confrontare con i cambiamentistorici descritti, nel XIX secolo, sottoforma di “leggi fonetiche”.4. Il concetto di trasformazione, qualeè stato progressivamente elaborato eapplicato da Lévi-Strauss, possiede alcontrario un valore euristico* sicuro.Copre fenomeni linguistici molto com-plessi e diversi, e non pretende, secon-do il suo stesso autore, di dare una for-mulazione precisa e omogenea. Quindinon potremo darne che le principali ca-ratteristiche. La trasformazione lévi-straussiana s’inscrive nel quadro delcomparatismo* linguistico e ne trae leestreme conseguenze.– a) Così il mito, per esempio, non sidefinisce secondo lui né come una for-ma ideale né come un prototipo stori-camente o logicamente anteriore a tuttele sue varianti, ma come una strutturadi trasformazione (o di correlazioniformali) che intrattengono fra loro tut-te le varianti, conosciute e sconosciute,realizzate o no, di questo mito: l’inter-pretazione freudiana del mito di Edipoquindi è solo una delle varianti di que-sto mito, in relazione di trasformazionecon le altre varianti. – b) Così definiti, i miti intrattengonorelazioni di trasformazione – a livellosuperiore – con altri miti (i miti dell’o-

rigine del fuoco “si trasformano” inmiti dell’origine dell’acqua; quelli delfuoco di cucina in miti d’origine dellacarne commestibile ecc.) fino a costi-tuire infine dei “sistemi mitici” chiusie circolari (la lettura continua di tra-sformazione mitiche riconduce il letto-re al punto di partenza). – c) Le trasformazioni non sono né lo-cali né isolate – come in Propp – maconcomitanti: quella che investe unsegmento del testo (che appartiene auna classe paradigmatica di equivalen-ze*) comporta, in condizioni ancora daprecisare, la trasformazione concomi-tante di un altro segmento testuale (ap-partenente a un’altra classe di equiva-lenze); la concomitanza registrata per-mette, come si vede, di prendere inconsiderazione la possibilità di una de-finizione formale del sintagma* narra-tivo. 5. Le trasformazioni che riconoscia-mo, da parte nostra, nel quadro dellasemiotica narrativa, sono intratestualie sintagmatiche: completano, senzacontraddirle, le trasformazioni lévi-straussiane che sono intertestuali maparadigmatiche. Situate a livello dellestrutture* semiotiche profonde, sonoconsiderate operazioni* logiche. Sulpiano logico-semantico, si definisconocome il passaggio da un termine all’al-tro del quadrato* semiotico, come sieffettua grazie alle operazioni di nega-zione* e di asserzione*; sul piano nar-rativo, più superficiale, corrispondo-no a operazioni di congiunzione* e didisgiunzione* entro soggetti di stato*e oggetti* di valore: si tratta in tal casodi trasformazioni elementari. Se siconcepisce il discorso narrativo – eforse il discorso in generale – come“qualcosa che accade”, cioè come unpercorso che conduce da uno statoiniziale a uno stato finale, un algorit-mo* di trasformazione può renderconto di questo percorso: il discorsoapparirà allora come una successionedi trasformazioni. Per evitare ogni

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Triplicazione

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ambiguità, pur riservando il terminetrasformazione a queste operazioni lo-giche orizzontali, designamo con ilnome di conversioni* (vicine, ma sen-za identificarvisi, alle trasformazionidi tipo chomskyano) le riformulazioniverticali delle strutture, a cui dà luogoil passaggio da un livello all’altro diprofondità semiotica. 6. Nel quadro tipologico così costitui-to, si può tentare di situare le trasfor-mazioni della grammatica generativa*.Astrazion fatta per il loro carattere piùo meno formale* e considerandole dalsolo punto di vista della teoria* con-cettuale, se ne può dire: sono intrate-stuali, verticali, orientate (vanno dallestrutture profonde* alle strutture disuperficie*) e paradigmatiche (si situa-no, infatti, all’interno della classe para-digmatica della frase). In quanto con-versione di strutture profonde in strut-ture di superficie (o passaggio da unindicatore* sintagmatico a un altro in-dicatore derivato), le trasformazioni sipresentano qui sotto forma di regole*di riscrittura, che intervengono solodopo le regole sintagmatiche e si effet-tuano sulle sequenze da esse prodotte(nella misura in cui, evidentemente,secondo la loro analisi strutturale, am-mettono delle trasformazioni). Si di-stinguono tradizionalmente le trasfor-mazioni facoltative e obbligatorie e,d’altra parte, le trasformazioni unarie(singolari) e binarie (generalizzate, nelcaso di incassamento* e di coordina-zione), a seconda che riguardino una odue serie generate dalla base*. Le tra-sformazioni chomskyane hanno unostatus difficile da precisare, e questoper più di una ragione: – a) sono regole “supplementari” inrapporto alle regole sintagmatiche; – b) sono spesso di natura eterogenea(una regola sintagmatica in sé può di-ventare “trasformazione” per la sua po-sizione nella grammatica); – c) l’ordine stesso delle regole (o la lo-ro messa in algoritmo) a volte fa proble-

ma, come sottolinea J. Lyons, e ci si tro-va costretti a sconvolgere le struttureprofonde per salvaguardare il sistematrasformazionale.

→ Sintassi fondamentale, Asserzione,Negazione, Fare

Traslazione, n.f. Transfert, Transfer, Transferencia

Situate al livello figurativo*, le trasla-zioni d’oggetti corrispondono, sul pia-no della sintassi narrativa di superfi-cie, alle operazioni di congiunzione* edi disgiunzione*; dato che reclamanol’intervento di soggetti del fare* e dan-no luogo quindi ad acquisizioni* e,correlativamente, a privazioni (in unsistema chiuso di valori, infatti, ciò cheè dato a uno è a scapito di un altro, ciòche è preso ad uno è a vantaggio di unaltro), le traslazioni d’oggetti possonoessere interpretate come una sintassidella comunicazione fra soggetti.

→ Comunicazione

Triplicazione, n.f. Triplication, Triplication, Triplicación

La triplicazione, all’interno delloschema narrativo*, di uno stesso pro-gramma* narrativo, è una procedurafrequente in etnoletteratura. Il pro-gramma così triplicato è spesso sog-getto a variazioni* figurative*, macomporta, di regola, una graduazionedi difficoltà, che permette di inter-pretarlo come un’espressione enfaticadella globalità. La triplicazione inter-viene generalmente al momento del-l’acquisizione* della competenza* daparte del soggetto*: trattandosi solodi un procedimento meccanico, nonva confusa con la successione di treprogrammi narrativi che mirano alconseguimento di modalità distinte

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Tropo

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(quelle del voler-fare, del saper-fare edel poter-fare).

→ DuplicazioneTropo, n.m. Trope, Trope, Tropo

In retorica*, si intendono in genereper tropi le figure che si situano a li-

vello lessematico, come la metafora ola metonimia*: a queste “figure di pa-rola” si oppongono, fra l’altro, le “fi-gure di pensiero” (litote, antifrasi*ecc.), “di dizione” (dieresi, contrepè-terie ... ) o “di costruzione” (paratassi,ellissi ecc.)

→ Figura, Metafora

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UUditore, n.m. Auditeur, Listener, Oyente o Auditor

Come il lettore*, l’uditore designa l’i-stanza della ricezione del messaggio odel discorso: l’uno si differenzia dall’al-tro soltanto in funzione della sostanza*(grafica o fonica) del significante* im-piegato. In semiotica, sarà preferibileimpiegare il termine più generale dienunciatario.

→ Enunciatario

Unilaterale (presupposizione –), agg.Unilatéral (présupposition –),Unilateral (Presupposition), Unilateral (presuposición –)

La presupposizione è detta unilaterale(o semplice) se la presenza* di un ter-mine* è necessaria a quella dell’altro manon reciprocamente. Nella terminolo-gia di L. Hjelmslev è detta selezione*.

→ Presupposizione

Unità, n.f. Unité, Unit, Unidad

1. Si intende per unità semiotica (o lin-guistica) una classe* di grandezze*, si-tuata sull’asse* sintagmatico* del lin-guaggio, costruita con l’aiuto delle pro-cedure di segmentazione* e che carat-terizza ogni piano, livello o grado di de-rivazione di questo linguaggio. Legrandezze, riconosciute intuitivamentecome occorrimenti* di uno stesso te-sto, devono essere identificate tra lorotramite il test di sostituzione* per esse-

re dichiarate varianti* di una sola estessa classe. Le unità – in quanto classi – sono esse-ri semiotici costruiti* e non fanno piùparte della semiotica-oggetto (comenel caso degli occorrimenti), ma delmetalinguaggio descrittivo. Mentre glioccorrimenti di un testo sono in nume-ro teoricamente infinito le unità-classisono in numero finito e possono essereutilizzate come elementi* per nuoveoperazioni metalinguistiche. La proce-dura molto complessa che abbiamoappena sommariamente accennatopuò sembrare oziosa a quei ricercatoriin scienze sociali le cui discipline nonsi pongono la questione del metalin-guaggio* scientifico, o a quei linguistipratici che vivono confortevolmentefra le conquiste metodologiche dellegenerazioni che li hanno preceduti. Ineffetti, se esistono oggi più teoriegrammaticali e se il dibattito che conti-nua fra loro è possibile, è perché se an-che si fondano in parte su opzioni cheprivilegiano questo o quel tipo diunità, riconoscono tutte come perti-nente la questione della costruzionedelle unità stesse. 2. Le unità sono proprie a ciascuno deipiani del linguaggio: così i morfemi*,per esempio, sono unità del piano deisegni*, i fonemi, di quello dell’espres-sione*, i sememi, del piano del conte-nuto. I segni o “unità significanti” pos-sono essere allora distinti dai fonemi edai sememi che, come articolazioni diun solo piano del linguaggio, sono daconsiderare come “unità non signifi-canti” (o figure* nella terminologia diL. Hjelmslev). D’altra parte, le unità diogni piano possiedono un’organizza-zione gerarchica* e dimensioni dise-

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Unità

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guali: il morfema, segno minimo, faparte di segni più larghi come la frase oil discorso; il fonema entra nella com-posizione delle sillabe ecc. La dipen-denza gerarchica delle unità le une inrapporto alle altre fa parte, di conse-guenza, della definizione di unità. 3. Il carattere costruito delle unità se-miotiche ci autorizza a definirle comeunità discrete*, cioè distinte le une dal-le altre all’interno delle loro combina-zioni* sintagmatiche e opponibili leune alle altre sull’asse paradigmatico.Quest’ultima caratteristica permette al-lora il riconoscimento di “unità” para-digmatiche, più piccole e di natura di-versa, le categorie* (femiche e semi-che). In effetti, l’opposizione, in italia-no, tra “basso” e “passo” mostra che ledue grandezze non sono sostituibili enon appartengono, in quanto varianti*libere, a una sola e unica unità classe;ma questa opposizione, creatrice di unadifferenza di senso può interpretarsicome dovuta alla presenza della catego-ria femica. Sonoro/sordo: le unità b e p,in quanto fonemi, sono, di conseguen-za, scomponibili (ma non più sintagma-ticamente) in femi. Così, il carattere di-screto dell’unità semiotica non implicala sua integrità. Si vede, del resto, che lecategorie sono logicamente anteriori al-le unità e che il postulato di F. de Saus-sure, secondo cui la lingua non è fattache di differenze, si trova ancora unavolta verificato. 4. Tuttavia, se i dibattiti di scuola fan-no spesso apparire come inconciliabiligli approcci sintagmatico e paradigma-tico per quanto concerne la definizio-ne delle unità semiotiche, non è forseimpossibile mostrare la correlazioneesistente fra le correlazioni paradigma-tiche e le distribuzioni* complementa-ri che si incontrano sull’asse sintagma-tico. Per riprendere l’esempio già uti-lizzato, si vede che l’opposizione sor-do/sonoro che definisce quella dei fo-nemi b e p, è legata alla posizione con-testuale di tali fonemi (inizialmente

seguiti da una vocale ed, eventual-mente, dalla vocale a) e che una posi-zione contestuale differente (alla fine,in certe lingue naturali, per esempio)è suscettibile di “neutralizzare”, comesi dice, questa opposizione. In altritermini, una sotto-classe di occorri-menti varianti di un’unità, chiamatavariante* combinatoria, può esseredotata di una definizione paradigma-tica che la specifica o, che è poi lostesso, nella catena sintagmatica, ap-pare una categoria paradigmatica, indistribuzione complementare. Questaconstatazione può essere generalizza-ta ed estesa agli altri piani del linguag-gio: si comprende allora la preoccupa-zione di Hjelmslev di dotare la sua de-finizione di categoria di determinazio-ni sintagmatiche complementari. An-cora: un tale approccio convergente –paradigmatico e sintagmatico insieme– si rivela fecondo nelle ricerche com-parative* (non solo linguistiche, masoprattutto mitologiche e folkloriche,in cui stabilire unità narrative è parti-colarmente arduo): molto spesso unsegmento narrativo può essere ricono-sciuto come la trasformazione* di unaltro segmento solo se la loro sostitu-zione provoca la trasformazione pa-rallela di un altro segmento che gli ècontestualmente legato. 5. A partire dallo stesso principio dicomplementarità delle articolazioni pa-radigmatiche e sintagmatiche, si puòtentare di fornire una definizione piùrigorosa dell’unità poetica, riconoscen-do che si tratta di un’unità sintagmaticale cui relazioni ipotattiche* (che istitui-scono gerarchie all’interno della catenasintagmatica) sono messe fra parentesia profitto delle sole relazioni paradig-matiche (di tipo tassonomico), le uni-che che restano all’atto della lettura.L’unità poetica sarebbe dunque unasorta di enfasi* paradigmatica, che hal’effetto di occultare le relazioni sintag-matiche, cosa che renderebbe contodell’intuizione di R. Jakobson per cui la

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Unità

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poetica sta nella proiezione dell’asseparadigmatico sull’asse sintagmatico. 6. Il problema delle unità di base appa-re capitale al momento della costruzio-ne della componente sintattica dellagrammatica* (o della semiotica). Tregeneri d’unità-classi – le classi morfolo-giche, sintattiche (o funzioni*) e sintag-matiche (in senso stretto) – possono es-sere scelte come elementi in vista delladescrizione sintattica, e danno luogo atre tipi di grammatica distinti. Senzaprendere posizione qui a favore di alcu-na, basterà notare che il principio dianalisi distribuzionale* non è necessa-riamente legato alla forma sintagmatica(assumendo come unità le classi di di-stribuzione) della sintassi: le classimorfologiche (sostantivo, verbo ecc.) esintattiche (soggetto, predicato ecc.)comportano, anch’esse, le loro distri-buzioni, e sono da interpretare comevarianti combinatorie. 7. La semiotica discorsiva non può cheincontrare a un certo punto del suo svi-luppo il problema di costituire delleunità discorsive. Mentre la segmenta-zione del testo mira a stabilire sequen-ze*, cioè unità testuali provvisorie chepermettono di intraprendere l’analisi, ea cercare di riconoscervi i differentimodi e forme di organizzazione (chepossono rilevare tanto delle strutture*narrative che di quelle discorsive), leunità discorsive (i cui limiti, sul pianodella manifestazione, corrisponderan-no o no a quelli delle sequenze) vannoconsiderate come unità semiotiche, su-scettibili di essere dotate di una defini-zione formale e conforme alle articola-zioni del testo quali sono stabilite dalladiscorsivizzazione* (o dalla messa in di-scorso) delle strutture semiotiche (dicarattere narrativo). Da questo puntodi vista, le unità discorsive sono unitàenunciate, riconoscibili e definibili at-traverso modi particolari dell’enuncia-zione discorsiva. 8. La critica letteraria ha riconosciutoda tempo, intuitivamente, l’esistenza

di tali unità discorsive, distinguendo,per esempio, il dialogo*, la descrizio-ne*, il racconto*, il discorso indirettolibero ecc. Per quanto ne sappiamo,nessuno sforzo di teorizzazione è statoancora compiuto per dotare questeunità di definizioni appropriate e persituarle nel quadro generale di una de-scrizione dei discorsi. Ora, l’esame piùattento delle procedure di débrayage*e di embrayage* – uno dei meccanismiessenziali dell’enunciazione* e, di con-seguenza, della discorsivizzazione – hamesso in evidenza la possibilità di sta-bilire una tipologia rigorosa di unitàdiscorsive assumendo come criteri dauna parte i modi o le forme di dé-brayage e di embrayage, e dall’altra, iprincipali tipi di discorsi già ricono-sciuti. Così, le unità discorsive enun-ciate saranno distinte secondo il loromodo di produzione, se per débrayagesemplice o seguito da embrayage, oper débrayage enunciazionale o enun-ciativo, o infine per débrayage e/o em-brayage attanziale e/o temporale e/ospaziale. D’altra parte le unità sarannoriconosciute tenendo conto del fattoche differenti procedure possono por-tare sia sulla dimensione pragmatica*o cognitiva* del discorso, sia – nel ca-so della dimensione cognitiva – sul di-scorso persuasivo* o interpretativo*,sia infine, dal punto di vista degli inve-stimenti semantici, sul discorso figura-tivo* o non figurativo. 9. Questo breve inventario di criteri diclassificazione e di definizione di unitàdiscorsive non ha la pretesa di essereesaustivo: vorrebbe soltanto suggerirela possibilità di una nuova dimensioneper studi discorsivi (nel senso ristrettodel termine). Così ci accontentiamo didare, in questo dizionario, qualche de-finizione di unità ben conosciute, comeracconto, dialogo, commento (peresempi più numerosi, cfr. Maupassantdi A.J. Greimas). L’interesse delle ri-cerche in questo dominio non consistesolo nella possibilità di procedere a una

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Universo

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nuova scomposizione del discorso pre-so nel suo insieme: le unità discorsivenon costituiscono un dispositivo linea-re, prodotto in successione, ma posso-no essere considerate come trasforma-zioni le une delle altre (il “dialogo” di-venta “discussione narrata”, il “discor-so diretto” si trasforma in “indiretto li-bero” ecc.); in certi casi, si riconosceràloro una funzione di referenzializzazio-ne (il “racconto” che si sviluppa in“dialogo” costituisce il referente* inter-no di questo dialogo e, inversamente, il“dialogo”, a partire dal quale si svilup-pa il “racconto” appare come una situa-zione referenziale di comunicazione);non è forse impossibile allora cercare distabilire delle relazioni fra unità discor-sive e unità narrative (la “descrizione”con cui inizia La Ficelle di Maupassant,per esempio, corrisponde, a livello nar-rativo, alla costruzione dell’attante*collettivo) ecc. Infine, si vede che unatale tipologia, ben condotta, sbocca e-ventualmente in una tipologia dei di-scorsi.

→ Débrayage, Embrayage

Universo, n.m. Univers, Universe, Universo

1. In senso generale, universo designa“l’insieme di tutto ciò che esiste”. Inquesta accezione, il concetto di univer-so include quello di mondo, che com-porta un minimo di proprietà enuncia-te (cfr. il mondo* naturale): l’insiemedei mondi possibili costituisce l’uni-verso. 2. In semiotica, si chiamerà universosemantico la totalità* delle significazio-ni, postulata come tale anteriormentealla sua articolazione* (cfr. la «nebulo-sa» di F. de Saussure). Un tale universoè dotato di esistenza* semiotica, cosache esclude qualsiasi giudizio ontologi-co e implica, al contrario, la sua inscri-zione in quanto oggetto ambito, nella

struttura che collega il soggetto cono-scente all’oggetto di conoscenza. Daquesto punto di vista, si distinguerà l’u-niverso individuale e l’universo collet-tivo. 3. In un senso più ristretto, l’universosemantico può essere definito comel’insieme dei sistemi di valori*. Nonpotendo essere appreso come signifi-cante se non grazie ad articolazioni dif-ferenziatrici, l’universo semantico ciobbliga a postulare a titolo d’ipotesistrutture* assiologiche elementari che,nella loro qualità di universali (primiti-vi/universali*), permettono di intra-prenderne la descrizione*: si dirà chel’universo individuale è articolabile,nella sua istanza ab quo, secondo la ca-tegoria* vita/morte, mentre l’universocollettivo lo è secondo quella di natu-ra/cultura. A questo livello i due tipi diuniverso restano astratti*: sono suscet-tibili di essere figurativizzati* omolo-gando l’una o l’altra delle loro catego-rie fondamentali con la struttura figu-rativa elementare (che definiamo comela proiezione sul quadrato* semioticodei quattro “elementi della natura”:fuoco, aria, acqua, terra). 4. I due universi, individuale e colletti-vo, figurativizzati o no, sono suscettibi-li di essere assunti, interpretati e artico-lati in modo particolare, sia da un indi-viduo, sia da una società. Il risultato ditali produzioni selettive e restrittivesarà detto, nel primo caso, universoidiolettale* (e corrisponderà a ciò chesi intende generalmente per “persona-lità”) e, nel secondo, universo sociolet-tale* (corrispondente a questa o a quel-la “cultura”). Queste definizioni si si-tuano a livello semantico profondo epossono servire da punto di partenzaper analisi semantiche ulteriori che uti-lizzeranno, per esempio, il concettooperativo di episteme* (definita comeuna gerarchia assiologica chiusa). 5. L’analisi dell’universo semantico inquanto ricoperto da una lingua natura-le data (e, perciò coestensivo al concet-

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Uso

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to di cultura*) era impossibile da consi-derare nella sua totalità; il concetto dimicrouniverso* semantico, consideratocome inglobante o produttivo di unaclasse particolare di discorso, s’è sosti-tuito a quello di universo nella praticasemiotica. La nozione di microuniversoè comparabile a quella di universo didiscorso (di origine logica), senza tutta-via identificarsi con essa: il microuni-verso dovrebbe render conto dell’orga-nizzazione semantica del discorso,mentre l’universo di discorso rappre-senta la preoccupazione legittima di co-stituire la contestualità globale (tantoparadigmatica che sintagmatica) di unenunciato (le cui dimensioni sono quel-le della frase*). Il microuniverso è illuogo di esercizio della sola componen-te semantica, mentre l’universo di di-scorso contiene allo stesso tempo le im-plicazioni e le presupposizioni sintatti-che. Infine, l’universo di discorso com-porta i riferimenti al mondo “esterio-re”, mentre il microuniverso è autosuf-ficiente e non ammette che intertestua-lità* e sincretismi semiotici.

→ Totalità, Struttura (elementare –),Idioletto, Socioletto, Microuniverso,

Psicosemiotica

Univocità, n.f. Univocité, Unequivocalness,Univocidad

1. Opposta all’equivocità o all’ambi-guità*, l’univocità è, secondo un sensocorrente, la caratteristica di una deno-minazione* quando essa ha una sola ac-cezione, quale che sia il contesto* in cuifigura. In semiotica, tenuto conto delladicotomia significante/significato*, siparlerà così di biunivocità, propria deitermini monosememici*, che è una del-le condizioni indispensabili per la buo-na costruzione di un metalinguaggio* epiù in generale di ogni discorso scienti-fico.

2. Nella misura in cui, di fronte a un lin-guaggio dato, si riconosce che i suoi duepiani* (espressione e contenuto) hannola stessa struttura e presentano una rela-zione univoca (secondo cui, nel sensousuale del termine, un elemento com-porta sempre lo stesso correlativo) fra lefunzioni* e i termini di un piano e quellidell’altro piano, si può affermare allorache questi due piani sono conformi* eche ci si trova in presenza di una semio-tica monoplanare* (gioco degli scacchi,algebra); nel caso contrario, si tratta diuna semiotica biplanare* (esempio: lin-gua naturale) o pluriplanare*.

→ Monosememia, Semiotica

Uso, n.m. Usage, Use, Uso

1. Tentando di precisare la dicotomiasaussuriana lingua/parola, L. Hjelmslevha proposto di denominare schema lin-guistico la lingua e di designare con usilinguistici alcuni aspetti essenziali delconcetto di parola* (in cui gli eredi diF. de Saussure hanno visto ora l’assesintagmatico del linguaggio, ora le ma-nifestazioni stilistiche individuali). L’u-so linguistico, considerato come l’insie-me delle abitudini linguistiche di unasocietà data, si trova allora definito co-me la sostanza* (insieme dell’espressio-ne* e del contenuto*) che manifesta loschema linguistico (o la lingua). 2. Se un universo* semantico qualsiasiè articolabile con l’aiuto delle regole diuna combinatoria*, l’insieme delleespressioni* virtuali che essa è suscetti-bile di produrre può essere consideratocome lo schema di questo universo,mentre le espressioni effettivamenterealizzate e manifestate corrisponde-ranno al suo uso; lo schema sarà alloradetto aperto, in opposizione all’uso chene costituisce la chiusura.

→ Schema, Parola

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Utopico (spazio –)

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Utopico (spazio –), agg. Utopique (espace –), Utopic (Space), Utópico (espacio –)

Sottocomponente dello spazio topico eopposto allo spazio paratopico* (in cuisi acquisiscono le competenze*), lo spa-

zio utopico è quello in cui l’eroe* acce-de alla vittoria: è il luogo in cui si realiz-zano le performanze* (luogo che, neiracconti mitici, è spesso sotterraneo,celeste o subacqueo).

→ Topico (spazio –), Localizzazione spazio-temporale

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VValore, n.m. Valeur, Value, Valor

1. Il termine valore è impiegato conaccezioni molto diverse in varie disci-pline: in linguistica, logica, economiapolitica, assiologia, estetica ecc. La teo-ria semiotica vorrebbe riunire e conci-liare le diverse definizioni, attribuendoloro posizioni appropriate nella suaeconomia generale. 2. È F. de Saussure che ha il merito diaver introdotto il concetto di valorelinguistico: constatando che il sensorisiede nelle differenze colte fra le pa-role, egli pone il problema della signi-ficazione* in termini di valori relativiche si determinano gli uni in rapportoagli altri. Ciò ha permesso l’elabora-zione del concetto di forma* del con-tenuto* (L. Hjelmslev) e la sua inter-pretazione come insieme di articola-zioni* semiche. In linguistica il valorepuò essere quindi identificato con ilsema* preso all’interno di una catego-ria* semantica (e rappresentabile conl’aiuto del quadrato* semiotico). È inun senso relativamente vicino alla suaaccezione linguistica che il termine va-lore è impiegato in estetica (critica pit-torica). L’espressione valore di verità,utilizzata in logica per designare il ca-rattere che possiede un enunciato diessere vero o falso, è da interpretarenello stesso senso come un’organizza-zione di valori modali* sotto forma dicategoria semantica. Essa è comunquetroppo restrittiva, poiché si applicasolo alle modalità veridittive* e nontiene conto dello sviluppo delle logi-che modali; infatti ogni logica è deter-minata dalla scelta aprioristica di unacategoria modale (deontica*, aletica*

ecc.) che le serve da morfologia* dibase. 3. Una categoria semantica, rappresen-tata tramite il quadrato* semiotico, cor-risponde allo stato neutro, descrittivo,dei valori investiti: visto il loro modo diesistenza*, si dirà che si tratta, a questolivello, di valori virtuali*. La loro assio-logizzazione* appare solo con l’investi-mento complementare della categoriatimica*, che connota come euforica ladeissi* positiva, e come disforica la deis-si negativa. Questa categoria è di ordinepropriocettivo*, quindi l’investimentotimico è concepibile solo nella misura incui tale valore – articolato dal quadrato– è messo in relazione con il soggetto*.Ciò conferma che i valori non sono as-siologizzati – e da virtuali divengono va-lori attualizzati* – se non quando sonoversati nelle cornici previste per loro al-l’interno delle strutture narrative di su-perficie e, più precisamente, quando so-no investiti negli attanti*-oggetti deglienunciati di stato*. In questa istanza, ivalori restano attuali finché sono di-sgiunti dai soggetti che sono allora solosoggetti secondo il volere*: la congiun-zione* con l’oggetto di valore, effettuataa profitto del soggetto, trasforma il valo-re attuale in valore realizzato*. 4. Si possono anche distinguere duegrandi classi di valori: i valori descritti-vi (oggetti di consumo e di tesaurizza-zione, piaceri e “stati d’animo” ecc.) e ivalori modali* (volere, potere, dovere,saper-essere/fare): mentre i primi par-tecipano della terza funzione* di G.Dumézil, i secondi partecipano dellaproblematica delle due grandi funzionidi sovranità. I valori descrittivi possonoessere divisi, a loro volta, in valori sog-gettivi* (o “essenziali”, congiunti fre-

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Variabile

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quentemente al soggetto, nelle linguenaturali, mediante la copula “essere”) evalori oggettivi* (o “accidentali”, attri-buiti spesso al soggetto mediante il ver-bo “avere” o i suoi parasinonimi).5. Il riconoscimento di programmi*narrativi complessi ha condotto la se-miotica narrativa a distinguere i valorid’uso dai valori di base: la banana chela scimmia cerca di raggiungere è un va-lore di base, mentre il bastone che lascimmia andrà a cercare per eseguire ilprogramma sarà un valore d’uso. 6. Il discorso narrativo si presenta spessosotto la forma di una circolazione di og-getti di valore: la sua organizzazione puòallora essere descritta come una succes-sione di traslazioni* di valori. Un modoparticolare e complesso di traslazione èquello dello scambio* di valori: tale ope-razione implica, nel caso che i valoriscambiati non siano identici, la loro valu-tazione preventiva: un contratto fiducia-rio* si stabilisce così fra i soggetti che par-tecipano allo scambio, contratto che fissail valore di scambio dei valori in gioco.

Variabile, agg. Variable, Variable, Variable

Un termine* si dice variabile se la suapresenza* non è condizione necessariadella presenza di un altro termine concui è in relazione*, e che è detto inva-riante (o costante). In questo senso, sipuò riconoscere che il termine variabileè il termine presupponente, mentrel’invariante è il termine presupposto.

→ Invariante, Presupposizione

Variante, n.f. Variante, Variant, Variante

1. In modo generale, sono dette va-rianti le grandezze* che appaiono inuno stesso testo e che sono giudicateidentiche (dicendo intuitivamente che

si tratta allora di uno “stesso” vocaboloo di una “stessa” frase). L’identificazio-ne* delle varianti fa parte così dellaprocedura di riduzione che permette dicostruire, a partire dagli occorrimenti*,delle unità linguistiche (o, più general-mente, semiotiche) in quanto classi*. Di regola, le varianti sono riconoscibiliper il fatto che la loro sostituzione* suuno dei piani* del linguaggio non pro-voca cambiamenti sull’altro piano. 2. Si distinguono due generi di varianti:le varianti combinatorie (o “contestua-li” o “legate”) – che L. Hjelmslev pro-pone di chiamare varietà – sono gran-dezze che contraggono una relazione dipresupposizione* reciproca con quellesituate sulla stessa catena sintagmatica;le varianti libere (dette anche “stilisti-che”), denominate variazioni da Hjelm-siev, non sono né legate al contesto népresupponenti o presupposte. 3. Queste distinzioni – e le procedureche le fondano – sono state dapprimaelaborate in fonologia (dove hannoprovocato, fra l’altro, una discussionesulla neutralizzazione*); introdotte poiin grammatica (in cui le varianti combi-natorie sono dette in distribuzione*complementare), furono generalizzateda Hjelmslev che ha insistito sulla loroapplicabilità all’analisi delle figure* delcontenuto*: i sememi di un lessema,per esempio, potrebbero essere consi-derati come varianti combinatorie. In una prospettiva generativa, le unitàlinguistiche, che tendono verso la mani-festazione*, procederebbero anzituttoa una dispersione in varianti combina-torie per realizzarsi in varianti libere.

→ Classe, Unità

Vendetta, n.f. Vengeance, Vengeance, Venganza

Come la giustizia*, la vendetta è una for-ma della retribuzione* negativa (o puni-zione), esercitata sulla dimensione prag-

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Veridizione

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matica*, da un Destinante* dotato di unpoter-fare assoluto: esse si differenzianotuttavia per il fatto che fanno appello laprima a un Destinante sociale, la secon-da a un Destinante individuale.

→ Punizione, Sanzione

Verbale, agg. Verbal, Verbal, Verbal

1. Complementare e opposto al farepragmatico* che concerne i rapportidell’uomo con gli oggetti del mondo, ilfare* comunicativo concerne le relazioniintersoggettive e mette in gioco sia og-getti pragmatici sia cognitivi*. In que-st’ultimo caso, e secondo il canale utiliz-zato, prenderà forma verbale o somatica(gesti, mimica, atteggiamenti ecc.). A suavolta il fare comunicativo verbale si sud-divide, secondo il significante (fonico ografico) impiegato, in orale e scritto. 2. Nei discorsi narrativi il piano verba-le che si delinea per esempio nel dialo-go* potrà essere considerato come un’e-spressione figurativa* della dimensionecognitiva*.

→ Somatico, Fare

Veridittive (modalità –), agg. Véridictoires (modalités –), Veridictory(Modalities) (neol.), Veridictorias(modalidades –)

1. Quando un enunciato di stato* è su-scettibile di sovradeterminare e di modi-ficare un altro enunciato di stato, il pri-mo corrisponde a un enunciato modale:il suo predicato esistenziale non vertesullo “stato di cose” descritto dal secon-do enunciato, ma solo sulla validità delsuo predicato che è la relazione di giun-zione*. Sul piano attanziale, è necessariodistinguere, per ogni enunciato, due sog-getti indipendenti: un soggetto modale eun soggetto di stato (il soggetto produt-

tore dell’enunciato di stato lo sottoponealla sanzione di un altro soggetto). Sulpiano attoriale, un solo soggetto dell’e-nunciazione*, considerato come attore*che sincretizza e sussume gli attanti e-nunciante* ed enunciatario, compie a in-termittenza i due atti produttori. 2. Il predicato modale – l’essere del-l’essere – che può essere consideratocome la forma debraiata* del saper-es-sere, è suscettibile di essere trattato co-me una categoria* modale e proiettatosul quadrato* semiotico:

verità

essere apparire

non-apparire non-essere

falsità

La categoria della veridizione è costi-tuita, si vede, dalla messa in relazione didue schemi*: lo schema apparire/non-apparire è chiamato manifestazione*,quello di essere/non-essere immanen-za*. È fra queste due dimensioni dell’e-sistenza che si gioca il “gioco della ve-rità”: inferire, a partire dalla manifesta-zione, l’esistenza dell’immanenza, è de-liberare sull’essere dell’essere. 3. La categoria della veridizione si pre-senta così come il quadro all’interno delquale si esercita l’attività cognitiva dinatura epistemica* che, con l’aiuto didifferenti programmi modali, mira araggiungere una posizione veridittiva,suscettibile di essere sanzionata da ungiudizio epistemico definitivo.

→ Modalità, Veridizione

Veridizione, n.f. Véridiction, Veridiction, Veridicción

1. La teoria classica della comunicazio-ne* si è sempre interessata alla trasmis-

segr

eto

⎫ ⎬ ⎭←⎯⎯⎯→←⎯⎯⎯→

⎫⎬⎭

menzogna

⎫⎬⎭

⎫⎬⎭

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Veridizione

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sione “corretta” dei messaggi*, allaconformità del messaggio ricevuto inrapporto al messaggio emesso; il soloproblema della loro verità era alloraquello dell’adeguazione a quel che imessaggi non sono, cioè al referente*.Postulando l’autonomia, il carattereimmanente* di ogni linguaggio e, allostesso tempo, l’impossibilità di ricorre-re a un referente esterno, la teoria saus-suriana ha costretto la semiotica a in-scrivere fra le sue preoccupazioni non ilproblema della verità, ma quello del di-re-vero, della veridizione. 2. L’integrazione della problematicadella verità all’interno del discorsoenunciato può essere interpretata anzi-tutto come l’inscrizione (e la lettura)delle marche della veridizione, graziealle quali il discorso-enunciato si mani-festa come vero o falso, menzognero osegreto. Il dispositivo veridittivo, purassicurando su questo piano una certacoerenza discorsiva, non garantisce af-fatto la trasmissione della verità, che di-pende esclusivamente dai meccanismiepistemici* installati, ai due estremidella catena della comunicazione, nelleistanze dell’enunciante* e dell’enuncia-tario, o meglio dalla coordinazione con-veniente di questi meccanismi. Il cre-der-vero dell’enunciante non basta, te-miamo, alla trasmissione della verità:l’enunciante ha un bel dire, a propositodell’oggetto di sapere che comunica,che egli “sa”, che è “certo”, che è “evi-dente”; non è comunque sicuro di esse-re creduto dall’enunciatario: un creder-vero deve essere installato alle dueestremità del canale della comunicazio-ne, ed è questo equilibrio, più o menostabile, questa tacita intesa di due com-plici più o meno coscienti che noi chia-miamo contratto* di veridizione (ocontratto enunciativo). 3. Si vede comunque che il buon fun-zionamento di questo contratto dipen-de, in definitiva, dall’istanza dell’enun-ciatario, per cui ogni messaggio ricevu-to, quale che sia il suo modo veridittivo,

si presenta come una manifestazione* apartire dalla quale è chiamato ad accor-dargli questo o quello status a livello diimmanenza* (a deliberare sul suo essereo sul suo non-essere). È qui che appaio-no diversi atteggiamenti epistemici col-lettivi, culturalmente relativizzati, con-cernenti l’interpretazione veridittivadei discorsi-segni. È così che certe so-cietà sfruttano, per esempio, la materia-lità del significante* per segnalare il ca-rattere anagogico e vero del significato*(la recitazione recto tono dei testi sacri,la distorsione ritmica degli schemi diaccentuazione, per esempio, insinuanol’esistenza soggiacente di una voce altrae di un discorso “vero” che essa tiene).D’altra parte, la reificazione del signifi-cato (la costituzione, nel discorso giuri-dico, per esempio, del referente* inter-no implicito, che produce l’impressio-ne che le norme giuridiche siano fonda-te su una “realtà”) si presenta come unmezzo per valorizzare il dire-vero deldiscorso. Altre procedure discorsivecontribuiscono anch’esse a produrre lostesso effetto: così il dialogo*, inseritoin un dato discorso narrativo, lo refe-renzializza, mentre il racconto “fitti-zio”, debraiato* a partire da questo dia-logo, rende “reale” la situazione deldialogo. La creazione delle illusioni re-ferenziali, come si vede, serve semprealla produzione degli effetti* di senso“verità”. Ciò che è vero per il signifi-cante e il significato presi separatamen-te lo è anche quando si tratta dell’inter-pretazione metasemiotica della veritàdei segni* stessi. Così, l’approccio de-notativo (N. Chomsky) o connotativo(R. Barthes) del linguaggio si fondanosu due “mitologie” e due interpretazio-ni differenti della relazione riconosciu-ta fra il linguaggio come manifestazione(o, eventualmente, “rappresentazio-ne”) e l’immanenza (il referente “ve-ro”) che manifesta: nel primo caso illinguaggio è supposto aderire innocen-temente alle cose, nel secondo costitui-sce uno schermo menzognero, destina-

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Verifica

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to a nascondere una realtà e una veritàsoggiacenti. 4. Di fronte al relativismo culturale chegenera diversi sistemi di connotazioni*veridittive, si può abbozzare una rifor-mulazione della problematica della “ve-rità”: per il fatto che non è più conside-rato come la rappresentazione di unaverità esterna, il discorso non può piùaccontentarsi della semplice inscrizionedelle marche della veridizione. La “ve-rità”, per essere detta e assunta, devespostarsi verso le istanze dell’enuncian-te e dell’enunciatario. L’enunciantenon è più supposto produrre discorsiveri, ma discorsi che producono un ef-fetto di senso “verità”: da questo puntodi vista, la produzione della verità cor-risponde all’esercizio di un fare cogniti-vo particolare, di un far apparire veroche si può chiamare, senza alcuna sfu-matura peggiorativa, il fare persuasi-vo*. 5. Esercitato dall’enunciante, il farepersuasivo ha un solo scopo: la ricercadell’adesione dell’enunciatario, condi-zionata dal fare interpretativo* chequesto esercita a sua volta: allo stessotempo, la costruzione del simulacro diverità, compito essenziale dell’enun-ciante, è altrettanto legato al suo pro-prio universo assiologico quanto aquello dell’enunciatario, e soprattuttoalla rappresentazione che quest’ultimosi fa dell’universo dell’enunciante. Sicomprende allora che, in tali condizio-ni, al concetto di verità si trova semprepiù spesso sostituito – nella riflessioneepistemologica – quello di efficacia*. 6. Si avrebbe comunque torto a legare iproblemi della veridizione alla strutturadella comunicazione intersoggettiva.L’enunciatore e l’enunciatario sono pernoi degli attanti* sintattici che possonoessere – e spesso lo sono – sussunti sin-creticamente da un solo attore, il sogget-to dell’enunciazione (o il soggetto par-lante). La persuasione e l’interpretazio-ne, il far-credere e il credere-vero non so-no allora che procedure sintattiche, su-

scettibili di render conto di una “ricercainteriore della verità”, di una “riflessionedialettica” chiamata o no a essere mani-festata sotto forma di discorso a vocazio-ne scientifica, filosofica o poetica.

→ Veridittive (modalità –),Epistemiche (modalità –), Persuasivo

(fare –), Interpretativo (fare –),Comunicazione, Sociosemiotica

Verifica, n.f. Vérification, Verification, Verificación

1. Condizione sine qua non di ogni teo-ria* (di tipo ipotetico deduttivo), la ve-rifica è l’insieme delle procedure attra-verso le quali le ipotesi* di lavoro siconfrontano con i dati dell’esperienza:così, nel settore delle scienze della natu-ra, la sperimentazione, alla quale si ri-corre spesso per osservare la conformitào la non-conformità fra la teoria e il “da-to”, permette di confermare, d’infirma-re o di correggere i modelli* stabiliti. 2. Nelle scienze dette umane, la verifi-ca si mostra spesso problematica, tantopiù che certi modelli sono difficilmenteverificabili: di qui talvolta una sovrab-bondanza – nel discorso a intentoscientifico – delle modalizzazioni epi-stemiche*. Ben che vada ci si soddisferàdel principio di adeguazione* che go-verna il rapporto fra la teoria e la suaapplicazione; al peggio, ci si ridurrà aprocedure di falsificazione (cfr. i con-tro-esempi che infiorano i discorsi deigenerativisti). 3. In semiotica, e da un punto di vistaoperativo*, la verifica può realizzarsisia per saturazione del modello (mentreuna parte del corpus* è servita all’ela-borazione del modello, l’altra serve allasua conferma), sia per sondaggio (siprende in esame, della seconda partedel corpus, solo qualche parte giudica-ta intuitivamente* rappresentativa). 4. La verifica può vertere non solo sulrapporto dal “costruito” al “dato”, ma

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Verità

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anche sull’organizzazione interna diuna teoria già elaborata: è così che laverifica della coerenza potrà effettuarsia livello epistemologico*.

→ Adeguazione, Falsificazione,Convalida

Verità, n.f. Vérité, Truth, Verdad

La verità designa il termine complesso*che sussume i termini essere e appariresituati sull’asse dei contrari* all’internodel quadrato* semiotico delle modalitàveridittive. Non è inutile sottolineareche il “vero” è situato all’interno del di-scorso, poiché è il frutto di operazionidi veridizione: si esclude così ogni rela-zione (o ogni omologazione) con un re-ferente* esterno.

→ Veridittive (modalità –),Veridizione, Quadrato semiotico

Verosimile, n.m. Vraisemblable, Verisimilitude,Verosimilitud

1. Impiegata in semiotica letteraria*, lanozione di verosimile appartiene allaproblematica più generale della veridi-zione* (del dir vero) discorsiva, e fa par-te dell’apparato concettuale della teoriadella letteratura non scientifica, chiama-ta a render conto delle produzioni lette-rarie europee dell’età moderna. Da que-sto punto di vista il suo utilizzo per l’a-nalisi dei discorsi letterari, uscendo dalcontesto culturale così delimitato, è daescludere in quanto espressione di uneuro-centrismo inammissibile; il suo im-piego all’interno di questo contesto cul-turale è da prendere in esame solo dopouna ridefinizione che situerebbe il vero-simile come una variabile tipologica nelquadro del modello generale della veri-dizione discorsiva.

2. In quanto concetto intra-culturale,il verosimile è legato alla concezionedei discorso – e, in modo più generale,del linguaggio nel suo insieme – comerappresentazione più o meno confor-me alla “realtà” socioculturale. Si trat-ta dell’atteggiamento adottato da unacultura in rapporto ai suoi propri se-gni, atteggiamento metasemiotico diordine connotativo*, che alcuni consi-derano come uno dei principali para-metri che permettono la considerazio-ne dell’elaborazione di una tipologiadelle culture*. Il verosimile concerneallora più specialmente l’organizzazio-ne sintagmatica dei discorsi nella mi-sura in cui questa “rappresenta” ilconcatenarsi stereotipato – e attesodall’enunciatario* – degli eventi e del-le azioni, dei loro scopi e dei loro mez-zi. All’interno di una simile concezio-ne, il verosimile serve come criterio ve-ridittivo per valutare i discorsi narrati-vi di carattere figurativo (e non i solidiscorsi letterari), escludendo i discor-si normativi (giuridico, estetico ecc.), idiscorsi scientifici e, più in generale, idiscorsi a dominanza non figurativa eastratta* (discorso filosofico, econo-mico ecc.). Si vede, del resto, che inquesta prospettiva il discorso verosi-mile è non solo una rappresentazione“corretta” della realtà socioculturale,ma anche un simulacro costruito perfar apparire vero e che appartiene per-ciò alla classe dei discorsi persuasivi*.

→ Veridizione

Virtualizzazione, n.f. Virtualisation, Virtualization,Virtualización

1. Nel quadro dei modi di esistenza*semiotica, la categoria virtuale/attualepermette di caratterizzare il rapportodal sistema* al processo*, dalla lingua*alla parola*. All’opposto dell’esistenzaattuale, propria dell’asse sintagmatico

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Vocabolario

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del linguaggio, l’esistenza virtuale ca-ratterizza l’asse paradigmatico: si trattadi un’esistenza in absentia. 2. Dal punto di vista della semioticanarrativa – che è stata spinta a sosti-tuire alla coppia virtualizzazione/at-tualizzazione l’articolazione ternariavirtualizzazione/attualizzazione/realiz-zazione –, la virtualizzazione corri-sponde al fatto di porre soggetti* eoggetti* prima di qualsiasi giunzione*(o viceversa di sopprimere puramentee semplicemente questa relazione):toccherà alla funzione* – e nel quadrodei soli enunciati di stato* – operareper disgiunzione* la loro attualizza-zione e per congiunzione* la loro rea-lizzazione*.

→ Attualizzazione, Esistenza semiotica,Valore

Virtuema, n.m. Virtuème, Virtueme, Virtuema

Nella terminologia di B. Pottier, il se-mema* – equivalente al nostro lesse-ma* – comporta: – a) sul piano denotativo, dei semi*specifici (o semantemi*) e dei semi ge-nerici (o classemi*); – b) sul piano connotativo, il virtuemadefinito come l’insieme dei semi conno-tativi propri di un individuo, di ungruppo sociale o di una società. Una simile distribuzione ci sembra fa-re particolarmente difficoltà in quantopresuppone come già risolto il proble-ma della denotazione* e della conno-tazione*, e che, correlativamente, sia-no già messe in gioco le procedure d’a-nalisi per il riconoscimento* (non solointuitivo) di questi due livelli di lin-guaggio.

→ Sema, Semema, Denotazione, Connotazione

Vita, n.f. Vie, Life, Vida

1. Vita è il termine positivo* della cate-goria* semantica vita/morte che propo-niamo di considerare come ipotetico-universale, stimando che è suscettibiledi fornire una prima articolazione del-l’universo* semantico individuale, cor-rispondente alla categoria cultura/natu-ra (per l’universo semantico sociale). Inquesto senso, vita/morte, il cui asse* se-mantico può essere denominato “esi-stenza” è da considerare come unastruttura* elementare tematica. 2. La categoria vita/morte è suscettibi-le di essere connotata dalla categoria ti-mica*. La loro omologazione canonicaconsiste nell’accoppiamento dei termi-ni positivi vita + euforia e negativi mor-te + disforia, ma la presa in carico idio-lettale* di queste categorie permette diprendere in considerazione una combi-natoria di omologazioni possibili (vita+ disforia oppure vita + aforia, peresempio) che determinerà l’originalità*semantica.

→ Universo, Struttura,Primitivi/Universali, Timica

(categoria –), Originalità semantica

Vocabolario, n.m. Vocabulaire, Vocabulary, Vocabulario

Il vocabolario è la lista esaustiva dei vo-caboli* di un corpus* (o di un testo) inopposizione al lessico inteso come in-ventario di tutte le lessìe di uno stato dilingua naturale. Tuttavia il termine “vo-cabolo” – sostituito a volte da parola –resta ancora ambiguo, indipendente-mente dalle difficoltà sollevate della suadefinizione. È la ragione per cui il voca-bolario può essere sia la somma di tuttii vocaboli-occorrimenti di un testo, siala somma delle classi di occorrimenti*(che riunisce tutti gli occorrimentiidentificabili), sia infine l’insieme dei

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Vocabolo

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vocaboli-etichette, che sussume tutte leforme grammaticali (per esempio “an-dare”, “andrò”, “va”.

→ Lessico, Lessìa, Vocabolo

Vocabolo, n.m. Mot, Word, Palabra

1. Per il semiologo, il termine vocaboloè un rovello particolare della linguistica.Non riuscendolo a definire, i linguistihanno tentato innumerevoli volte diespungerlo dalla loro terminologia e dal-le loro preoccupazioni: ogni volta esso èriuscito a ritornarvi, sotto altre vesti, perporre di nuovo gli stessi problemi. 2. In linguistica comparata*, frutto deglistudi effettuati sulle lingue indoeuropee,il vocabolo si presentava come un datoevidente delle lingue naturali. A questotitolo, esso rappresentava l’oggetto diuna delle componenti della grammati-ca*, la morfologia*, che lo assumeva co-me parte di questa o quella classe*morfologica (o parte del discorso), comeportatore di marche delle categorie*grammaticali, come elemento di basedelle combinazioni sintattiche ecc. 3. Le difficoltà sono cominciate, percosì dire, nel momento in cui la lingui-stica è stata indotta a farsi carico di lin-gue molto diverse da quelle del tipo in-doeuropeo, in cui il vocabolo, preso co-me unità, trovava difficilmente dei cor-rispondenti pressoché equivalenti: così,nelle lingue cosiddette “agglutinanti”,non esistono frontiere fra il vocabolo el’enunciato, e vi si trovano quelle che sichiamano “parole-frasi”; al contrario,nelle lingue “isolanti” il vocabolo sipresenta come una radice. Il paradossoè che, per mostrare che il vocabolo nonè una unità linguistica pertinente e uni-versale, queste lingue sono state appun-to definite come dotate di “vocaboli” diun altro tipo. Ne discende comunqueche il vocabolo, essendo una unità sin-tagmatica, non può essere percepito co-

me tale se non all’interno di una linguao di un gruppo di lingue particolari. 4. Oggi alcuni linguisti cercano di sba-razzarsi del concetto di vocabolo pro-ponendo più o meno al suo posto unanuova unità sintagmatica, la lessìa*:questo nuovo concetto, operativo*,sembra accettabile, il che non impedi-sce che la definizione della lessìa pongacome condizione la sua sostitutività al-l’interno di una classe di lessemi* (equesto ci riporta, di nuovo, al vocabolocome classe morfologica). 5. Un altro modo di fare a meno delconcetto di “vocabolo” consiste nel co-struire la sintassi frastica non più a par-tire dalle classi morfologiche ma dalleclassi sintagmatiche, ottenute tramitel’analisi distribuzionale* (o con le divi-sioni successive del testo nelle sue parti,come in glossematica*). Una simile ana-lisi, che comincia con lo stabilire sintag-mi* (nominale, verbale), arriva, nellasua fase terminale, alla messa in operadelle “classi lessicali” (sostantivo, ver-bo, aggettivo ecc.), senza voler (o po-ter) rendere conto del modo in cui èstato condotto il passaggio dalle unitàdi un tipo a quelle di un altro (J.Lyons). In questo modo il concetto divocabolo riappare in grammatica gene-rativa* senza esservi stato invitato. 6. Lo iato che si ritrova fra i due tipi diorganizzazione frastica – “sintattica” e“morfologica” – che L. Hjelmslev hacercato di colmare fornendo una nuovadefinizione del concetto di categoria*, simanifesta in modo ancor più evidentetra le strutture semantiche e quelle lessi-cali (essendo quest’ultime ancora moltomal conosciute). Il passaggio dalle unealle altre, a cui abbiamo dato il nome dilessicalizzazione*, potrebbe offrire unluogo privilegiato per nuove proceduredi generazione e di trasformazione, ca-paci di portare delle soluzioni a questoenigma che è il “vocabolo”.

→ Morfologia, Occorrimento, Classe,Categoria, Lessicalizzazione, Tipologia

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Vs

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Volere, n.m. Vouloir, Wanting, Querer

1. Il volere è la denominazione sceltaper designare uno dei predicati dell’e-nunciato modale che regge un enuncia-to di fare* o un enunciato di stato*. Ladefinizione di questo investimento delpredicato è impossibile: allora il suostatus semantico può essere determina-to solo all’interno di una tassonomia dipredicati modali e in funzione delle or-ganizzazioni sintattiche nelle quali puòapparire. Il volere, proprio come il do-vere*, sembra costituire un preliminarevirtuale, che condiziona la produzionedi enunciati del fare o di stato. 2. Secondo il tipo di enunciato che reg-ge, l’enunciato modale volere è costitui-to da due strutture modali che si posso-no designare, per comodità, come il vo-ler-fare e il voler-essere. La categorizza-zione* di queste strutture, ottenuta conla proiezione sul quadrato* semiotico,permette di produrre due categorie mo-dali volitive, cioè:

voler fare voler non fare

non voler non fare non voler fare

oppure:

voler essere voler non essere

non voler non essere non voler essere

Tuttavia, mentre le logiche che mani-polano la modalità del dovere – la logi-ca deontica* e la logica aletica* – uti-lizzano le denominazioni già stabilitedall’uso e che corrispondono in semio-tica alle diverse posizioni occupatedalle strutture modali della stessa na-tura sul quadrato semiotico, mancauna logica volitiva (o bulestica), ben-ché sia prevedibile, in grado di fornirela propria terminologia alle denomina-zioni semiotiche. La psicanalisi del re-sto, le cui preoccupazioni corrispon-derebbero di più a questo progetto se-miotico, è ben nota per la sua resisten-za all’elaborazione di un metalinguag-gio* a vocazione scientifica. Sarebbeaugurabile che la teoria semiotica si fa-cesse carico dell’articolazione logico-semantica di questo campo problema-tico.

→ Modalità, Dovere, Desiderio

Vs

Abbreviazione del latino versus (= con-tro), vs è un simbolo* convenzionale,usato per designare la relazione di op-posizione* quando essa non è ancoradeterminata. Si utilizza anche, nellostesso senso e più frequentemente, labarra obliqua: /.

←⎯⎯⎯→←⎯⎯⎯→

←⎯⎯⎯→←⎯⎯⎯→

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ZZoo-semiotica, n.f. Zoo-sémiotique, Zoo-semiotics,Zoosemiótica

I linguaggi animali (che sono almenoseicento), caratterizzati – nelle loro for-me primitive – da una comunicazioneche fa ricorso a segnali*, ma che posso-no raggiungere una certa complessitànella loro articolazione tanto sintagma-tica (negli uccelli, per esempio) quanto

paradigmatica (nelle api), costituisconoil campo delle ricerche della zoo-se-miotica. Integrando gli studi che verto-no sull’organizzazione delle società ani-mali, ma anche sull’apprendimento delsimbolismo presso i primati, la zoo-se-miotica è chiamata a formare un verocampo semiotico, autonomo e promet-tente.

→ Linguaggio

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Accettabilità 1Acquisizione 1Acronia 2Adeguazione 2Adiuvante 2Affermazione 2Aforia 3Aggressore 3Agrammaticalità 3Albero o Grafo

arborescente 3Aletiche (modalità –) 4Alfabeto 5Algoritmo 5Alterità 6Ambiguità 6Anafora 6Analisi 6Analogia 7Ancoraggio 7Anteriorità 7Anti-destinante 8Anti-donatore 8Antifrasi 8Antitesi 8Antonimia 8Antropomorfa (sintassi –)

9Antroponimo 9Apertura 9Appropriazione 9Arbitrarietà 10Arcilessema 11Articolazione 11Asemanticità 11Aspettativa 12Aspettualizzazione 12Asse 15Assenza 15Asserzione 15Assiologia 16Assiomatica 16Astratto 16

Attante 17Attanziale (ruolo –,

status –) 18Atto 18 Atto di linguaggio 19Attore 20Attorializzazione 21Attribuzione 22Attualizzazione 23Ausiliante 23Automa 23Autonomia 24Avere 24Azione 24

Base 25Binarietà 25Biplanare (semiotica –) 26

Campo semantico 27Canale 27Cancellazione 27 Carica semantica 27 Catafora 28Catalisi 28Catalizzare 28 Categoria 28Categorizzazione 29 Catena 30Certezza 30 Chiusura 30 Classe 31Classema 31Classificazione 32Codice 32Codifica 33Coerenza 33Cognitivo 33Collettivo 36Combinatoria 36Combinazione 37Commento 37Commutazione 38

Comparata (mitologia –)38

Comparativa o Comparata(linguistica –) 39

Comparativismo 40Compatibilità 41Competenza 41Complementarità 43Complesso (termine –) 44 Completivo 44Componente 44Componenziale (analisi –)

45Comprensione 45Comunicazione 45Conativa (funzione –) 48Concetto 48Concomitanza 49Concreto 49Condensazione 49Condizione 49Configurazione 51Conformità 52Confronto 53 Congiunzione 53Connettore di isotopie 54 Connotazione 54Conseguenza 56 Contenuto 56 Contesto 57 Contingenza 57 Continuo 57 Contraddizione 58 Contrarietà 58 Contrasto 58Contratto 59 Convalida 60 Conversione 61 Co-occorrimento 62 Coreferenza 62 Corpus 62Correlazione 63 Cosmologico 64

Indice delle voci

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Indice delle voci

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Costante 64 Costituente 64 Costituzionale

(modello –) 65 Costrizione 65 Costruzione 66 Creatività 66 Credere 67 Crononimo 67 Cultura 68

Débrayage 69 Decisione 72Decisiva (prova –) 72Decodifica 72 Deduzione 72 Definizione 73 Deissi 74 Deittico 74 Delega 74 Denegazione 75 Denominazione 75 Denotazione 75 Densità semica 76 Deontiche (modalità –)

76 Deontologia 77 Derivazione 77 Descrittivo 77 Descrizione 78 Desemantizzazione 79 Desiderio 79 Designazione 80 Destinante/Destinatario

80 Diacronia 81 Dialogo 82 Dicotomia 83 Diegesi 83 Differenza 83 Dimensionalità 83 Dimensione 84 Disambiguazione 84 Discontinuo 85 Discorsivizzazione 85 Discorso 86 Discreto 89 Discriminatorio 90 Disequilibrio 90 Disforia 90

Disgiunzione 90 Distensività 91 Distintivo (tratto –) 91 Distinzione 91 Distribuzione 91 Divisione 92 Dizionario 92 Dominanza 92 Dominazione 93 Donatore 93 Dono 93 Dovere 93 Duplicazione 95 Duratività 95

Economia 96 Effetto di senso 96 Efficacia 96 Elasticità del discorso 97 Elementare 97 Elemento 98 Eliminazione 98 Ellissi 98 Embrayage 98 Emissivo (fare –) 101 Emittente 101 Empirismo 101 Enfasi 101 Entità linguistica 102 Enunciante/Enunciatario

102 Enunciato 102 Enunciazione 104 Episteme 107 Epistemiche (modalità –)

108 Epistemologia 109 Equilibrio 109 Equivalenza 110 Ermeneutica 110 Eroe 111 Esaustività 111 Esecuzione 112 Esistenza semiotica 112 Espansione 113 Esplicito 113 Espressione 114 Espressiva (funzione –)

114 Essere 114

Estensione 114 Esterocettività 115 Estrazione 115 Eterogeneità 115 Eterotopico (spazio –)

116 Etichetta 116 Etnosemiotica 116 Euforia 117 Euristico 117 Evento 118 Evidenza 118

Facoltatività 119 Falsificazione 119 Falsità 119 Fare 119 Fatica (attività –,

funzione –) 120 Fattitività 121 Fema 121 Fenomenico 122 Fiduciario (contratto –,

relazione –) 122 Figura 122 Figurativizzazione 124 Figurativo 126 Filologia 127 Finzione 127Focalizzazione 128 Fonema 129 Fonetica 130 Fonologia 130 Forma 131 Formale 132 Formalismo 133 Formalizzazione 133 Formante 134 Frase 134 Funzione 135

Generalizzazione 138 Generativa (grammatica

–) 138 Generativo (percorso –)

140 Generazione 143 Genere 144 Gerarchia 144 Gestualità 144

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Giunzione 146 Giustizia 146 Glorificante (prova –) 146 Glossematica 147 Grammatica 147 Grammaticalità 148 Grammema 148 Grandezza 148

Iconicità 149 Identità 150 Ideologia 150 Idioletto 151 Illocuzione 151 Immagine 152 Immanenza 152 Impalcatura 153 Imperfettività 153 Implicazione 153 Implicito 153 Impossibilità 155 Improbabilità 155 Incassamento 155 Incertezza 155 Inclusione 156 Incoatività 156 Incompatibilità 156 Indicatore (o

Demarcatore)sintagmatico 156

Indice 157 Individuale 157 Individuazione 157 Induzione 158 Informativo (fare –) 158 Informatore 159 Informazione 159 Ingannatore 160 Inganno 160 Ingiunzione 161 Insieme 161Intenzione 161 Intercalazione 161 Interdizione 162 Interlocutore/Interlocutario

162 Interocettività 162Interpretativo (fare –) 162 Interpretazione 163 Intertestualità 165

Intonazione 165 Intuizione 166 Invariante 166 Inventario 166 Investimento semantico

166 Iponimico/Iperonimico

167 Ipotattico/Ipertattico 167 Ipotesi 167 Ironia 168Isoglossa 170 Isomorfismo 171 Isotopia 171 Istanza 173 Iteratività 173

Lessema 175 Lessìa 175 Lessicalizzazione 176 Lessico 176 Lessicografia 177 Lessicologia 177 Letteraria (semiotica –)

177 Letterarietà 178 Lettore 179 Lettura 179 Linearità 180 Lingua 181 Linguaggio 182 Linguistica 184 Livello 184 Localizzazione spazio-

temporale 186 Locutore 189 Locuzione 189

Macrosemiotica 190 Mancanza 190 Manifestazione 190 Manipolazione 191 Marca 193 Marcatore 193 Materia 194 Matrice 194 Menzogna 194 Messaggio 194 Metafora 194 Metalinguaggio 196

Metasapere 198 Metasemema 198 Metasemiotica 198 Metatermine 199 Metodo 199 Metonimia 199 Microuniverso 200 Mitico (discorso –,

livello –) 200 Mitologia 202 Modalità 202 Modello 204 Mondo naturale 205 Monema 206 Monoplanare

(semiotica –) 206 Monosememia (o

Monosemia) 206 Moralizzazione 206 Morfema 207 Morfologia 207 Morte 208 Motivazione 208 Motivo 209 Movimento 210

Narratività 212 Narrativo (percorso –)

214 Narrativo (schema –) 215 Narratore/Narratario 218 Nascondimento 218 Natura 219 Naturale (semiotica –)

219 Necessità 219 Negativo (termine –,

deissi –) 219 Negazione 220 Neutralizzazione 220 Neutro (termine –) 221 Nodo 221 Nomenclatura 221 Non completivo 221 Non-conformità 221 Non linguistica

(semiotica –) 222 Non scientifica

(semiotica –) 222 Noologico 222

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Indice delle voci

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Norma 222 Notazione simbolica 223 Noumenico 223 Nucleo 223

Occorrimento 225 Occultamento 225 Oggettivo 226Oggetto 226Omogeneità 227 Omologazione 227 Omonimia 228Onomasiologia 228 Onomastica 228 Operativo (o

Operazionale) 228 Operazione 229 Opponente 229 Opposizione 229 Ordine 229 Orientamento 230 Originalità semantica 231 Osservatore 231 Ottimizzazione 232

Paradigma 233 Paradigmatico 233 Parafrasi 234 Paralessema 234 Paralinguistico 234 Parasinonimia 235 Paratopico 235 Parentesizzazione 235 Parola 235 Passione 236Percorso 237 Perfettività 237 Performanza 237 Performativo (verbo –)

239 Periodizzazione 239 Perlocuzione 239 Permissività 240 Permutazione 240 Personaggio 240 Personificazione 240 Persuasivo (fare –) 241 Pertinenza 241 Piano 242 Pivot narrativo 242

Planare (semiotica –) 243 Pluri-isotopia 243 Pluriplanare (semiotica –)

243 Poetica 244 Polemico 245 Polisememia (o

Polisemia) 245 Positivo (termine –,

deissi –) 245 Posizione 246 Possibilità 246 Posteriorità 246 Potere 246 Pragmatico(a) 248 Pratiche semiotiche 248 Pratico 249 Predicato 249 Prescrizione 250 Presenza 250 Presupposizione 250 Primitivi/Universali 251Privazione 253 Probabilità 253 Procedimento stilistico

253 Procedura 254 Processo 254 Produzione 255 Profonda (struttura –)

255 Programma narrativo 256 Programmazione spazio-

temporale 257 Proposizione 259 Propriocettività 259 Prosodia 259 Prospettiva 260 Prossemica 260 Protoattante 261 Prova 261 Psicosemiotica 262 Punizione 263 Punto di vista 263 Puntualità 264

Quadrato semiotico 265 Qualificante (prova –)

268 Qualificazione 268

Racconto 269 Raggiro 269 Rappresentatività 269 Rappresentazione 269 Reale 270Realizzazione 270 Reciproca

(presupposizione –) 271 Referente 271 Referenza 272 Registro 273 Regola 273 Reificazione 274 Relazione 274 Restrizione 274 Retorica 275 Retribuzione 275 Retrolettura 276 Ricerca 276 Ricettivo (fare –) 276 Ricevente 276 Ricompensa 277 Riconoscimento 277 Ricorsività 278 Ridondanza 278 Riduzione 278 Riduzionismo 279 Riflessività 279 Rima 279 Rinuncia 280 Rioccorrimento 280 Riscrittura (sistema di –)

280 Risemantizzazione 280 Ritmo 280 Rivalorizzazione 281 Rumore 281 Ruolo 281

Sanzione 282 Sapere 282 Scambio 283 Scarto 284 Schema 284 Scientifica (semiotica –)

285 Scientificità 285 Scomposizione 286 Scoperta (procedura di –)

286

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Indice delle voci

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Scrittura 287 Segmentazione 288 Segnale 288 Segno 289 Segreto 290 Selezione 290 Sema 290 Semantema 292 Semantica 292 Semantica discorsiva 294 Semantica fondamentale

296 Semantica generativa 297 Semantica narrativa 298 Semanticità 298 Semantico (inventario –,

livello –) 298 Semantismo 299 Semasiologia 299 Sembrare 299Semema 299 Semica (analisi –) 300 Semiologia 302 Semiologico (livello –) 304 Semiosi 304Semiotica 304 Semi-simbolico (sistema,

linguaggio, codice –) 311Semplicità 313 Senso 313 Sequenza 314 Shifter 314 Significante 315 Significato 314 Significazione 316 Simbolo 317 Simulata (prova –) 319 Sincretiche (semiotiche –)

319Sincretismo 320 Sincronia 321 Sinonimia 321 Sintagma 322 Sintagmatico 322 Sintassi 323 Sintassi discorsiva 325 Sintassi fondamentale 325 Sintassi narrativa di

superficie 326 Sintassi testuale 328 Sintesi 328 Sistema 328 Socioletto 329 Sociosemiotica 330 Soggettivo (valore –) 333 Soggetto 333 Solidarietà 335 Somatico 335 Somiglianza 335 Soprasegmentale 335 Sospensione 336 Sostanza 336 Sostitutiva (prova –) 337 Sostituzione 337 Sovrapposizione 338 Spazializzazione 338 Spazio 339 Spoliazione 340 Squalifica 340 Stato 341 Stile 341 Stilistica 341 Storia 342 Storica (grammatica –) 343 Strategia 343 Struttura 344 Strutturalismo 348 Strutturazione 349 Subcontrarietà 349 Superficie (struttura di –)

349

Tassonomia 351 Teatrale (semiotica –) 352 Tema 353 Tematico 353 Tematizzazione 354 Temporalizzazione 354 Tensività 355 Teoria 355 Terminale 357 Terminatività 357 Termine 357 Terminologia 358 Testo 358 Testualizzazione 359

Timica (categoria –) 360 Timore 361 Tipologia 361 Topico (spazio –) 362 Topologica (categoria –)

362Toponimo 362 Totalità 363 Traditore 363 Traduzione 363 Transfrastico 364 Transitività 364 Trascendenza 365 Trascodifica 365 Trasformazione 365 Traslazione 367 Triplicazione 367 Tropo 368

Uditore 369 Unilaterale

(presupposizione –)369

Unità 369 Universo 372 Univocità 373 Uso 373 Utopico (spazio –) 374

Valore 375 Variabile 376 Variante 376 Vendetta 376 Verbale 377 Veridittive (modalità –) 377 Veridizione 377 Verifica 379 Verità 380 Verosimile 380 Virtualizzazione 380 Virtuema 381 Vita 381 Vocabolario 381 Vocabolo 382 Volere 383 Vs 383

Zoo-semiotica 384

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391

Ajdukiewicz, Kasimierz29, 324

Ampère, André 64 Apresjan, Ju.D. 293 Aristotele 103, 134, 139,

224, 244, 275, 277, 327 Arrivé, Michel 173 Associazione internazionale

di Semiotica 302 Austin, John L. 20, 46,

151, 189, 239

Bachelard, Gaston 123, 295 Bachtin, Michail 165 Bally, Charles 342 Bar-Hillel, Yoshua 29, 324 Barthes, Roland 33, 55, 108,

157, 172, 176, 179, 209,242, 270, 272, 287, 302,304, 308, 331, 341, 378

Bastide, F. 227Baudelaire, Charles 100 Bédier, Joseph 51 Benveniste, Emile 10, 29,

42, 69, 70, 74, 87, 88,104, 109, 135, 136, 142,157, 185, 197, 212, 213,236, 239, 242, 272, 310,341, 342, 344

Bernanos, Georges 231 Bernard, Claude 355 Bertrand, D. 201Blanché, Robert 80, 267 Bloomfield, Leonard 65,

92, 96, 103, 131, 134,184, 246, 293, 344, 348

Boons, Jean-Paul 262 Bopp, Franz 39, 356 Bréal, Michel 124, 292 Brémond, Claude 52, 217,

281 Brentano, C.M. 360Brøndal, Viggo 44, 90, 93,

110, 221, 265, 267

Bühler, Karl 45, 46, 48,114, 135, 270, 271

Butor, Michel 100

Carnap, Rudolf 196 Chabrol, Claude 89, 332 Chomsky, Noam 41, 42,

66, 77, 87, 103, 134,138, 139, 140, 141, 142,143, 156, 168, 203, 204,221, 252, 259, 262, 287,310, 337, 348, 351, 378

Coquet, Jean-Claude 215Combet, G. 67 Conklin, Harold 352 Corneille, Pierre 284 Cournot, Antoine-

Augustin 64 Courtés, Joseph 311

Delacroix, Eugène 319 Derrida, Jacques 287 Détienne, Marcel 39, 200 Dilthey, 111Ducrot, Oswald 20, 106,

154, 294 Dumézil, Georges 36, 38,

39, 40, 77, 117, 120,136, 144, 202, 212, 248,302, 375

Dundes, Alan 215 Durkheim, Emile 65

Ehrenfels, Christian von361

Fillmore, Charles J. 17 Foucault, Michel 108, 331 Focillon, Henri 133 Fodor, Jerry A. 164, 293 Frazer, James G. 38,

202 Freud, Sigmund 163,

262

Genette, Gérard 83, 128,212, 218

Geninasca, Jacques 246, 280 Greimas, Algirdas J. 31,

107, 171, 293, 302, 311,360, 361, 371

Gruppo di Liegi 275 Guillaume, Gustave 96, 203 Guiraud, Pierre 209, 342

Harris, Zellig S. 87, 92,184, 196

Haudricourt, André 82 Hjelmslev, Louis 2, 6, 10,

11, 15, 18, 26, 27, 28,29, 33, 37, 38, 39, 42,48, 52, 54, 55, 56, 57,58, 60, 61, 63, 73, 74,76, 77, 78, 87, 92, 96,98, 101, 102, 103, 104,112, 114, 115, 122, 123,129, 132, 134, 136, 137,138, 144, 147, 152, 154,164, 165, 167, 168, 175,180, 181, 185, 186, 190,194, 196, 197, 198, 199,219, 222, 223, 226, 227,229, 230, 233, 235, 236,242, 243, 246, 251, 252,253, 254, 263, 267, 271,274, 275, 284, 285, 286,287, 288, 289, 289, 290,302, 303, 304, 305, 306,307, 308, 309, 310, 311,313, 314, 315, 316, 317,318, 320, 321, 323, 327,329, 335, 336, 337, 341,344, 357, 358, 369, 370,373, 375, 376, 382

Humboldt, Karl W. von 55 Husserl, Edmund 163 Hymes, Dell H. 43

Jakobson, Roman 25, 32,

Indice dei nomi

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392

45, 46, 48, 57, 58, 66,70, 80, 82, 101, 114,120, 122, 129, 135, 136,178, 194, 195, 196, 229,233, 244, 253, 265, 270,271, 274, 276, 287, 302,304, 312, 314, 358, 370

Jauss, Hans R. 12 Jung, Carl Gustav 360

Kant, Immanuel 122, 223,363

Katz, Jerrold J. 141, 164,293

Klein, Robert 267 Kristeva, Julia 359

Lacan, Jacques 263, 302 Lalande, André 157 Lévi-Strauss, Claude 30, 38,

39, 40, 46, 54, 111, 117,160, 165, 184, 199, 200,201, 202, 212, 214, 279,283, 286, 312, 365, 366

Leibniz, Gottfried W. 36,157

Lotman, Jurij 68, 88, 108,179, 209, 331

Lyons, John 14, 44, 63, 140,143, 271, 277, 367, 382

Malinowski, Bronislaw120

Mallarmé, Stéphane 172 Malraux, André 165 Markov, Andrej A. 204 Martinet, André 11, 46, 82,

96, 109, 129, 135, 136,171, 175, 206, 207, 241,244, 274, 289, 302

Matoré, Georges 292 Maupassant, Guy de 54,

99, 100, 170, 226, 231,274, 280, 371, 372

Mauss, Marcel 46, 60, 283Meinong, Alexius von 361Meletinsky, A. 215 Merleau-Ponty, Maurice

131, 231, 284, 302 Mill, John Stuart 54, 76

Morris, Charles 248 Mounin, Georges 302 Muller, Charles 284

Nef, Fréderic 60

Ogden, Charles K. 271,290, 317

Osgood, Charles E. 56

Panier, Louis 354 Panofsky, Erwin 51, 209 Paulme, Denise 215 Pavel, Thomas 365 Piaget, Jean 198, 262 Peirce, Charles S. 149,

157, 163, 272, 290,317

Postal, Paul M. 141 Pottier, Bernard 11, 31,

73, 76, 115, 121, 148,171, 175, 176, 234,291, 292, 293, 299,300, 301, 381

Prieto, Luis 157, 288,302

Propp, Vladimir 3, 17,59, 93, 103, 117, 136,162, 188, 190, 193,208, 212, 215, 216,217, 218, 269, 328,346, 365, 366

Proust, Marcel 100

Quintiliano 275

Rask, Rasmus K. 30 Rastier, François 98, 107,

172, 173, 195 Rengsdorf, Mihail 203 Reichenbach, Hans 103,

249, 327, 333 Richards, Jean-Pierre 271,

290, 317 Ricoeur, Paul 110 Riffaterre, Michel 342 Russell, Bertrand 230 Ruwet, Nicolas 70, 156,

314

Sapir, Edward 30, 55,272, 292

Saussure, Ferdinand de 2,10, 29, 39, 41, 42, 48,55, 56, 57, 81, 83, 87,114, 131, 132, 138, 142,152, 165, 180, 182, 184,195, 213, 233, 235, 236,237, 242, 262, 263, 267,284, 289, 302, 304, 305,307, 314, 315, 316, 317,318, 321, 329, 348, 356,370, 372, 373, 375

Searle, John 20, 46 Sebeok, Thomas A. 290 Schleicher, August 39 Schleiermachen, 111Scheler, Max 361Scuola di Bloomfield 246 Scuola di Copenhagen

129, 184, 348 Scuola di Praga 25, 38,

82, 129, 184, 290, 348 Scuola di Vienna 196 Scuola polacca 196 Spitzer, Leo 342

Tarski, Alfred 196 Tesnière, Lucien 4, 17,

103, 155, 221, 249, 259,324, 327, 333

Thom, R. 111, 123 Thompson, S. 209Todorov, Tzvetan 284 Togeby, Knut 129 Trier, Jost 27, 292 Trubetzkoy, Nikolaj S.

109, 129

Uldall, Hans J. 147 Ulmann, Stephan 209 Valéry, Paul 12, 123, 280

Weinrich, Harald 293 Wiener, Paul 32 Whorf, Benjamin L. 30,

55, 272, 292

Zilberberg, Claude 12,280

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Questa bibliografia è stata redatta a partire dagli «Eléments de biobibliographie» diJean-Claude Coquet compresi nel volume Exigences et perspectives de la sémiotique,raccolta in onore di A.J. Greimas a cura di H. Parret, H.G. Ruprecht, Benjamin, Am-sterdam-Philadelphia 1985.

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398

Sorin Alexandrescu (S.A.)Michel Arrivé (M.A.)Enrique Ballon Aguirre (E.B.A.)Françoise Bastide (F.B.)Denis Bertrand (D.B.)Jean-François Bordron (J.-F.B.)Per Aage Brandt (P.A.B.)Claude Calame (C.C.)Joseph Courtés (J.C.)Paolo Fabbri (P.F.)Jean-Marie Floch (J.-M.F.)Jacques Fontanille (J.F.)Algirdas Julien Greimas (A.J.G.)Manar Hammad (M.H.)

Philippe Hamon (P.H.)Marco Jacquemet (M.J.)Eric Landowski (E.L.)Gracia Latella (G.L.)Francesco Marsciani (F.M.)Louis Panier (L.P.)Daniel Patte (D.P.)Jean Petitot (J.P.)Jacques Pierre (J.Pi.)François Rastier (F.R.)Peter Stokinger (P.S.)Félix Thürlemann (F.T.)Claude Zilberberg (C.Z.)

I collaboratoridi Algirdas Julien Greimas

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CAEB????

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