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SOMMARIO

OPINIONI

LA RESPONSABILITA CIVILE DEGLI AMMINISTRATORI DI S.R.L. IN CONCORDATO PREVENTIVOConcordatopreventivo di Antonino Dimundo 1129

LEGISLAZIONE

CREDITI PREDEDUCIBILIConcordatopreventivo D.L. 24 giugno 2014, n. 91 1147

IN ITINERE

NOVITA GIURISPRUDENZIALI

a cura di Massimo Ferro 1148

GIURISPRUDENZA

Legittimita

IL TRUST LIQUIDATORIO NON E RICONOSCIBILE NELL’ORDINAMENTO ITALIANOFallimentoCassazione Civile, Sez. I, 9 maggio 2014, n.10105 1150commento di Francesco Fimmano 1156

MUTUALITA (E LUCRATIVITA) NEL FALLIMENTO DELLE SOCIETA COOPERATIVECassazione Civile, Sez. I, 24 marzo 2014, n. 6835 1173commento di Maurizio Cavanna 1176

LA LIQUIDAZIONE DEL COMPENSO AL CURATORE DEL FALLIMENTO REVOCATOCassazione Civile, Sez. I, 20 marzo 2014, n. 6553 1181osservazioni di Cristina Bellomi 1182

ALLE SEZIONI UNITE LA SORTE DELLE ‘‘FIDEIUSSIONI’’ DEL SOCIO ILLIMITATAMENTERESPONSABILE DOPO L’OMOLOGA DEL CONCORDATO PREVENTIVO

Concordatopreventivo

Cassazione Civile, Sez. I, 12 febbraio 2014, n. 3163 1186commento di Massimo Cataldo 1190commento di Francesco Tomasso 1198

Merito

SEGNALI DI UNIFORMITA NELL’INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE DELL’ART. 43 L.FALL.FallimentoTribunale di Milano, 27 marzo 2014, ord. 1205commento di Giannino Bettazzi 1206

(IL)LEGITTIMITA DEL PAGAMENTO NON AUTORIZZATO DI DEBITI ANTERIORI NEL CONCORDATOPREVENTIVO CON FINALITA LIQUIDATORIA

Concordatopreventivo

Corte d’Appello di Venezia, 30 gennaio 2014 1209commento di Federico Canazza 1211

IMPUGNABILITA DEL DINIEGO ALLA TRANSAZIONE FISCALECommissione Tributaria Provinciale di Milano, sez. XXV, 14 febbraio 2014, n. 1541 1222commento di Enrico Stasi 1224

Massimario di legittimita

Massime della giurisprudenza di legittimita pubblicate secondo l’ordine progressivo della materiaregolata dagli articoli del R.D. 16 marzo 1942, n. 267

1233

il Fallimento

Anno XXXVI

il Fallimento 11/2014 1127

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Massimario di merito

Massime della giurisprudenza di merito pubblicate secondo l’ordine progressivo della materiaregolata dagli articoli del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (definitivo)

1236

OSSERVATORI

OSSERVATORIO TRIBUTARIO

a cura di Enrico Stasi 1238

OSSERVATORIO SULL’UNIONE EUROPEA E SUGLI ALTRI STATI

a cura di Patrizia De Cesari e Galeazzo Montella 1242

INDICE

Indice analitico-alfabetico 1246

Per informazioni in meritoa contributi, articoli ed argomenti trattatiscrivere o telefonare a:

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REDAZIONEFrancesco Cantisani, Ines Attorresi, Tania Falcone

HANNO COLLABORATOLa selezione della giurisprudenza di legittimitae a cura dell’Avv. Dario Finardi

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COMITATO PER LA VALUTAZIONE

N. Abriani, S. Ambrosini, M. Arato, G. Cabras, G. Cavalli, P.F. Censoni, P. De Cesari, L. Del Federico, S. Fiore, E. Frascaroli Santi, A.Lanzi, F. Macario, F. Marelli, M. Montanari, I. Pagni, U. Patroni Griffi, M. Perrino, G. Presti, A. Rossi, R. Tiscini, G. Trisorio Liuzzi

il Fallimento

Anno XXXVI

1128 il Fallimento 11/2014

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Amministratori

La responsabilità civiledegli amministratori di s.r.l.in concordato preventivodi Antonino Dimundo

L’ordinanza, oggetto della nota, ha offerto l’occasione di ritornare sul tema delle azioni di responsabilitàper danni di cui possono disporre, a differenti titoli, il liquidatore giudiziale e il commissario giudizialecontro amministratori e sindaci di s.r.l., che abbia ottenuto l’omologazione di un concordato preventivocon cessione dei beni, nell’ipotesi in cui a carico degli organi sociali sussista il fumus di fatti di bancarottafraudolenta, previsti e puniti dall’art. 136, comma 2, l.fall. Nel caso concreto i ricorrenti organi della pro-cedura di concordato preventivo hanno agito ponendo a fondamento del loro ricorso per sequestro con-servativo fatti integranti al tempo stesso illecito civile ed illecito penale.

1. Il ricorso per sequestro conservativoe l’ordinanza del giudice cautelare

Per chiarezza espositiva, è opportuno illustrare pre-liminarmente i termini della controversia risolta insede cautelare con il provvedimento in rassegna.La S.r.l. Beta in liquidazione, in data 24 novembre2010, aveva ottenuto l’omologazione di un concor-dato preventivo con un decreto del Tribunale diNapoli, il quale, sintetizzando la proposta di con-cordato, specificava che ai creditori erano stati ce-duti: a) pro soluto tutti i crediti vantati nonché lerimanenze e le riserve; b) tutti gli immobili al valo-re rideterminato a seguito di consulenze tecniche;c) tutti i beni mobili, mobili registrati e impiantial valore stimato da consulenti; d) tutti i creditiscaturenti dalle riserve al valore indicato nellascheda allegata alla proposta di concordato; e) ilcontratto di cessione della partecipazione di costru-zioni GDL s.r.l. e relativo prezzo; f) il contratto diaffitto di azienda della GDL S.r.l. e relativi canoni.

Con ricorso ante causam - di cui non si conosce iltenore testuale - i due liquidatori giudiziali dellasocietà concordataria ed il commissario giudizialehanno chiesto al Tribunale di Napoli, ai sensi del-l’art. 671 c.p.c., l’autorizzazione al sequestro con-servativo dei beni mobili, immobili, quote, parteci-pazioni degli amministratori e dei sindaci fino aconcorrenza della somma di € 49.945.602,59 a tito-lo di risarcimento dei danni cagionati da condotteillecite di rilevanza penale.Il Giudice designato per la trattazione del procedi-mento, con ordinanza ha autorizzato il commissariogiudiziale a procedere al sequestro conservativo ditutti i beni di uno solo degli amministratori fino aconcorrenza di € 20.000.000,00 rinviando al meri-to le disposizioni sulle spese processuali. Ha rigetta-to il ricorso nei confronti degli altri resistenti.Il testo dell’ordinanza di sequestro non indica espli-citamente in funzione di quale causa di merito lamisura cautelare sia stata richiesta dai ricorrenti (1);

(1) Sulla necessità dell’indicazione della causa di meritocorrelata alla domanda di una misura cautelare è ancora disorprendente attualità quanto ha scritto un grande Maestro didiritto: i provvedimenti cautelari «non sono mai fine a sé stessi,ma sono immancabilmente preordinati alla emanazione di unulteriore provvedimento definitivo, di cui essi preventivamenteassicurano la fruttuosità pratica. Essi nascono, per così dire, alservizio di un provvedimento definitivo, coll’ufficio di predi-sporre il terreno e di approntare i mezzi meglio atti alla sua riu-scita. Questo rapporto di strumentalità o, come altri ha detto,di sussidiarietà, che lega immancabilmente ogni provvedimen-to cautelare al provvedimento definitivo in previsione del qualeesso è emanato, è il carattere che più nettamente distingue il

provvedimento cautelare». (P. Calamandrei, Introduzione allostudio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936,ora in P. Calamandrei, Opere giuridiche, a cura di M. Cappellet-ti, vol. IX, Napoli,1983, 175). È a tale fondamentale insegna-mento, che individua la nota tipica dei provvedimenti cautelarinella loro strumentalità al giudizio di merito sul diritto cautela-to, che si ispira ancora oggi l’orientamento predominante delladottrina e della giurisprudenza: il rapporto di strumentalità,che deve necessariamente intercorrere tra il provvedimentocautelare richiesto e la causa di merito, della quale il primo an-ticipa gli effetti onde prevenire il periculum in mora, importache uno degli elementi essenziali del contenuto del ricorso persequestro conservativo sia la prospettazione della causa di

OpinioniConcordato preventivo

il Fallimento 11/2014 1129

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ma consente di desumere (2) abbastanza agevolmen-te che le cause di merito, a servizio delle quali il ri-corso è stato proposto, sono state due, basate en-trambe sulle stesse condotte illecite penalmente ri-levanti di amministratori e sindaci anteriori all’am-missione alla procedura di concordato preventivo.La prima è stata quella prevista dall’art. 2476 c.c.,che - come è noto - dopo aver disposto nel primocomma che «gli amministratori sono solidalmenteresponsabili verso la società dei danni derivantidall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dallalegge e dall’atto costitutivo per l’amministrazionedella società», stabilisce nel terzo e quarto commache l’azione di responsabilità contro di essi «è pro-mossa da ciascun socio» salvo, in caso di accogli-mento della domanda, il diritto dell’attore di otte-nere dalla società il rimborso delle spese del giudi-zio e di quelle sostenute per l’accertamento dei fat-ti. Secondo l’ordinanza, all’azione di responsabilitàex art. 2476, c.c., per danni da depauperamento delpatrimonio sociale hanno fatto riferimento, infatti,i resistenti quando per contestare la fondatezza del-la domanda di sequestro hanno negato per varie ra-gioni che spetti al Commissario giudiziale ed ai li-quidatori giudiziali la legittimazione all’eserciziodell’azione sociale di responsabilità ex art. 2393c.c., o dell’azione di responsabilità dei creditori so-ciali ex art. 2394, c.c. Ed a quella stessa azione si èriferito il giudice della cautela laddove ha afferma-to che «l’azione di responsabilità contro gli ammi-nistratori ed i sindaci della Beta S.r.l. non sia stataoggetto di cessione nell’ambito del più ampio pia-no concordatario» proposto ai creditori dalla socie-tà ricorrente.

La seconda è stata l’azione risarcitoria ex art. 2043c.c., per la condanna dei responsabili al risarcimentodei danni, che amministratori e sindaci avrebberocagionato alla società concordataria con la commis-sione di fatti di bancarotta fraudolenta, previsti epuniti dall’art. 236, comma 2, n. 1, l.fall. Invero, an-cora dal testo dell’ordinanza si desume che la misuracautelare è stata richiesta - si suppone in via alter-nativa o subordinata - anche in funzione della causadi merito avente per oggetto il diritto dei creditoridi ottenere dagli amministratori e dai sindaci, me-diante l’azione ex art. 2043 c.c. e 185 c.p., spettanteal commissario giudiziale ai sensi dell’art. 240 l.fall.,il risarcimento dei danni subiti in conseguenza difatti di bancarotta fraudolenta che - secondo i ricor-renti - avrebbero travolto la società concordataria.Il Giudice designato, infatti, dopo avere affrontatola questione della legittimazione dei liquidatori dellacessio bonorum e del commissario giudiziale ad eser-citare l’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c., edaverla risolta negativamente, ha preso in esame le“condotte denunciate dai ricorrenti” a sostegno del-la sussistenza del fumus boni iuris dell’azione risarci-toria ex art. 2043 c.c., nonché “gli illeciti di rilievo,contestati dal Commissario giudiziale”; ha ravvisatoin essi i presupposti della richiesta misura cautelareed ha, di conseguenza, autorizzato il sequestro con-servativo, ritenendo evidentemente che i ricorrentiavessero prospettato per il merito non solo l’azioneex art. 2476 c.c., ma anche quella accordata dall’art.240 l.fall. al commissario giudiziale per il risarci-mento dei danni derivanti da reato. Tanto è veroche il sequestro conservativo è stato autorizzato neiconfronti di uno degli amministratori, cui sono stati

merito, in funzione della quale una misura cautelare ante cau-sam è richiesta, (N. Picardi, Manuale del processo civile, Mila-no, 2013, 661; C. Consolo, Sub artt. 669 bis-669 quaterdecies,c.c., in C. Consolo e F.P. Luiso (a cura di), Codice di proceduracivile commentato, Milano, 1997, 1902; L. Querzola, Sub artt.669 bis-705, c.c., in F. Carpi e M. Taruffo, Commentario breveal Codice di procedura civile, Padova, 2009, 2211; M.M. Gaeta,Rapporto di strumentalità tra revoca cautelare degli amministra-tori di s.r.l. e azione sociale di responsabilità, in Società, 2010,11, 1381; E. Dalmotto, Nota in tema di procedimento cautelare,in Giur. it., 2013, 4; M.A. Lupoi, Sub artt. 657-702, c.c., in F.Carpi e M. Taruffo, Commentario breve al Codice di proceduracivile - Complemento giurisprudenziale, Padova, 2009, 3020; G.Arieta, Trattato di diritto processuale civile, vol. XI, Le cautele, Ilprocesso cautelare, Padova, 2011, 870; sul rapporto tra la mi-sura cautelare e l’azione di responsabilità, v. A. Angelillis e G.Sandrelli, Commento all’art. 2476, c.c., in P. Marchetti, L.A.Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari (diretto da), Commentario alla ri-forma delle società, L.A. Bianchi (a cura di), Società a responsa-bilità limitata, Artt. 2462-2483, Milano, 2008, 757. Conforme èla giurisprudenza che, alla mancata indicazione nel ricorsocautelare ante causam della domanda che si proporre nell’in-staurando giudizio di merito, ricollega o l’inammissibilità del ri-

corso (Trib. Como 24 ottobre 2000, in G. mil., 2002, 24; Trib.Catania 12 giugno 2001,i n Giur. it., 2002, 1197; Trib. Roma 22maggio 1997, in Giur. rom., 1998, 56; Trib. Bari 25 settembre1996, in Corr. giur., 1997, 960) o, addirittura, la nullità per difet-to di un suo elemento essenziale (Trib. Ivrea 16 ottobre 2007,in Giur. merito, 2008, 131; Trib. Firenze 10 giugno 1999, in F.tosc., 2009, 286; in dottrina: C. Consolo e F.P. Luiso, Codice diprocedura civile commentato, cit., 1903; L. Querzola, Sub artt.669 bis-705 c.c., cit., 2212).

(2) È opinione generalmente condivisa che l’indicazionedella causa di merito correlata alla domanda cautelare non ri-chiede formulazioni specifiche del petitum e della causa peten-di del futuro giudizio di merito, gli effetti del quale si intendonoassicurare, ritenendosi sufficiente che i connotati della futuradomanda di merito possano - come nel caso di specie - esseredesunti, anche implicitamente, dalla valutazione complessivadei fatti prospettatigli indipendentemente dalla eventuale erro-nea qualificazione giuridica dei fatti medesimi ad opera del ri-corrente, alla sola condizione che la diversa qualificazione ef-fettuata dal giudice, anche d’ufficio, non sia incompatibile conil contenuto della misura cautelare richiesta (G. Arieta, Trattatodi diritto processuale civile, cit., 879).

OpinioniConcordato preventivo

1130 il Fallimento 11/2014

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addebitati “comportamenti illeciti anche di rilevan-za penale”, proprio in base agli specifici “illeciti dirilievo” “contestati dal commissario giudiziale”.Conclusivamente sul punto, le questioni dibattutenel corso del procedimento cautelare riguardano:la legittimazione al ricorso per sequestro conserva-tivo presentato dai liquidatori giudiziali e dal com-missario giudiziale in funzione dell’azione di re-sponsabilità ex art. 2476 c.c.; e la legittimazionedel commissario giudiziale a richiedere la stessa mi-sura cautelare in funzione dell’azione di risarcimen-to danni ex art. 240 l.fall., 185 c.p. e 2043 c.c. Ilgiudice designato ha escluso nella sua ordinanzache i ricorrenti fossero legittimati a richiedere lamisura cautelare in funzione dell’azione di respon-sabilità ex art. 2476 c.c. Ha, invece, accolto il ri-corso del commissario giudiziale, autorizzandolo aprocedere al sequestro conservativo in funzionedell’azione risarcitoria ex art. 240 l.fall. e 185 c.c.

2. Legittimazione del liquidatoregiudiziale ad esercitare le azioni diresponsabilità ex art. 2476, c.c.

La prima questione attiene, nell’ordine, alla sussi-stenza della legittimazione attiva dei liquidatorigiudiziari - nominati dal tribunale col decreto diomologazione di un concordato preventivo concessio bonorum - a proporre ricorso per sequestroconservativo dei beni di amministratori e sindacidi una società a responsabilità limitata in liquida-zione, in funzione dell’azione di responsabilità exart. 2476, c.c., nei confronti di amministratori esindaci.Al riguardo il Giudice della cautela, correttamente,ha negato la legittimazione ad causam sia dei liqui-

datori giudiziari che del commissario giudiziale, af-fermando di condividere quasi tutte le eccezionisollevate dai resistenti. I quali, dopo avere negatoin radice la stessa proponibilità di un’azione socialedi responsabilità contro amministratori e sindacidella s.r.l., hanno comunque escluso la legittima-zione di tutti i ricorrenti per le plurime ragioni chesaranno di seguito esaminate.

a) L’azione sociale di responsabilità delle s.r.l.I resistenti, prima di ogni altra, hanno posto laquestione se a seguito della riforma del diritto so-cietario esista ancora un’azione sociale di responsa-bilità ex art. 2476 c.c., e, quindi, l’ammissibilitàdell’azione cautelare ad essa correlata. E lo hannoescluso radicalmente, affermando che, ai sensi delvigente art. 2476, comma 3, c.c., legittimato all’e-sercizio dell’azione di responsabilità contro gli am-ministratori è “ciascun socio” e non più alla socie-tà.L’eccezione è stata ritenuta infondata dal giudice enon gli si può dare torto. Si tratta, infatti, di una tesiprospettata in dottrina nei primi anni successivi allariforma del diritto societario (3), con qualche seguitolocalmente circoscritto in giurisprudenza di meri-to (4), ma che poi è stata abbandonata, essendosi af-fermato, in modo nettissimo, nella di gran lungaprevalente dottrina l’opposto orientamento secondocui l’art. 2476 c.c., prevede, non solo che l’azione diresponsabilità contro gli amministratori della societàa responsabilità limitata sia una azione sociale, maanche che la legittimazione attiva all’esercizio di es-sa, oltre che direttamente ai singoli soci in nomeproprio, spetti pure alla società (5). Oggi pratica-mente tutti gli autori e la giurisprudenza prevalen-

(3) V. Santarsiere, Problematiche ricorrenti circa istituti deldiritto societario alla luce della riforma, in Giur. merito, 2007, 11,2914, secondo cui l’azione sociale di responsabilità pertiene aciascun socio (art. 2476 c.c.) indipendentemente dalla quotasociale posseduta e non alla società; F. Ciampi, Novità dellaNovella per le azioni di responsabilità nella s.r.l., in Società,2006, 286 ss.

(4) Trib. Milano 2 novembre 2006; Trib. Milano 26 ottobre2006, citate da M. Mozzarelli, La legittimazione ad agire, inA.A. Dolmetta e G. Presti (a cura di), s.r.l. - commentario, Mila-no, 2011, 640, secondo cui la legittimazione all’esercizio dell’a-zione di responsabilità per far valere il diritto leso della societàe i danni ad essa prodotti dal comportamento dei suoi ammini-stratori spetta esclusivamente ai singoli soci in via autonoma enon anche alla società danneggiata; conf. Trib. Milano 12 apri-le 2006, in Giur. it., 2006, 2096.

(5) M. Mozzarelli, La legittimazione ad agire, cit., 641; E.Bertacchini, Sub art. 2476 c.c., in G. Grippo (a cura di), Com-mentario delle società, II, artt. 2436-2548 e 2602-2642, Torino,2009, 2476; A. Bertolotti, L’amministrazione della società, in G.Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti (diretto da),Il nuovo diritto societario, Bologna, 2009, 988; G. Bartalini, La

responsabilità dei soci e degli amministratori, in M. Sarale (diret-ta da), Le nuove s.r.l., Bologna, 2008, 687; A. Angelillis e G.Sandrelli, Sub art. 2476 c.c., in P. Marchetti, L.A. Bianchi, F.Ghezzi, M. Notari (diretto da), Commentario alla riforma dellesocietà, in L.A. Bianchi (a cura di), Società a responsabilità limi-tata, Artt. 2462-2483, Milano, 2008, 719; E. Civerra, Esiste an-cora l’azione di responsabilità dei creditori sociali di una s.r.l.?, inSocietà, 2008, 8, 1031; D. Fico, L’azione di responsabilità controgli amministratori nella s.r.l., in Società, 2008, 11, 1400; M. Ma-lavasi, L’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. e litisconsorzionecessario della società, in Società, 2008, 11, 1433; F. Secon-dari, Azione di responsabilità contro amministratori di S.r.l. e ap-plicazione del giudicato esterno, in Società, 2008, 12, 1515; R.Teti, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in P. Abba-dessa e G.B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società- Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Controlli, Bilan-cio, Modificazioni dello statuto s.r.l., Gruppi di società, Torino,2007, 644 ss.; O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata,in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, V,2007, 256; F. Pasquariello, Sub art. 2476 c.c., in A. Maffei Al-berti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, III, Padova, 2005,1983; O. Cagnasso, Sub art. 2476 c.c., in G. Cottino, G. Bon-

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te (6) sono dell’avviso che, nonostante l’espressa at-tribuzione a “ciascun socio” (art. 2476, comma 3,c.c.) della legittimazione a promuovere “l’azione diresponsabilità contro gli amministratori”, questa siidentifica con l’azione sociale di responsabilità, nonspiegandosi, diversamente, l’attribuzione alla societàdi diritti che la titolarità di tale azione presuppongo-no necessariamente, quale il diritto: di ottenere il ri-sarcimento dei danni che derivino da fatti di malagestio compiuti dagli amministratori in violazione deidoveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto (art.2476, comma 1, c.c.); di far propri i risultati utilidell’azione anche nel caso in cui sia stato un socio apromuoverla (art. 2476, comma 4, c.c.); di rimborsa-re ai soci attori le spese del giudizio e di quelle soste-nute per l’accertamento dei fatti (art. 2476, comma4, c.c.); di rinunciare o transigere la causa (art.2476, comma 5, c.c.); di nominare un nuovo ammi-nistratore in sostituzione di quello revocato (7); dipromuovere autonomamente l’azione sociale di re-sponsabilità, previa delibera dell’assemblea dei soci amaggioranza qualificata; nonché di essere parte ne-cessaria nel giudizio iniziato da singoli soci.L’art. 2476, comma 3, c.c., in realtà, integra unadelle ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 81, c.p.c., unaespressa norma di legge attribuisce ad ognuno deisoci, espressamente, una legitimatio ad causam straor-dinaria (sostituzione processuale), ossia quella legit-timazione attiva che, per una scelta del legislatore,è attribuita ad un soggetto affinché, in sostituzionedella società, faccia valere in giudizio un diritto nonproprio, salva l’imputazione degli effetti di merito alsoggetto sostituito titolare della posizione giuridicasostanziale fatta valere (8). In altri termini se a nor-ma del primo comma dell’art. 2476, c.c., alla società

spetta il diritto sostanziale di ottenere dagli ammini-stratori il risarcimento del danno derivato dalla loromala gestio, si deve ritenere che a tale attribuzionenon può non conseguire il diritto processuale diesercitarlo in giudizio, nonostante la mancata previ-sione espressa della relativa azione (9). Si ritiene,anzi, che la società deve essere coinvolta come liti-sconsorte necessaria anche nel giudizio seguito all’a-zione di responsabilità promossa dal socio, con con-seguente necessità di integrazione del contradditto-rio nei suoi confronti, se non chiamata in causa conl’atto introduttivo (10).

b) L’azione di responsabilità dei creditorisociali delle s.r.l.Maggiori contrasti ha suscitato, invece, la questionesull’ammissibilità dell’azione di responsabilità deicreditori sociali per i danni cagionati da ammini-stratori e sindaci della s.r.l., stante il mancato inseri-mento nel vigente art. 2476 c.c. di una norma ana-loga a quella dettata per la società per azioni dal-l’art. 2394 c.c., che, com’è noto, ha previsto espres-samente la responsabilità degli amministratori versoi creditori sociali per l’inosservanza degli obblighiinerenti alla conservazione dell’integrità del patri-monio sociale. Specialmente nei primi anni succes-sivi alla riforma del diritto societario parte della giu-risprudenza di merito e parte della dottrina si erano,infatti, orientate nel senso di ritenere inammissibilel’azione de qua, argomentando: dall’inesistenza nel-l’art. 2476 c.c. di una esplicita previsione di essa;dall’abrogazione dell’art. 2487 c.c., che prima dellariforma estendeva agli amministratori della s.r.l. laresponsabilità verso i creditori sociali prevista dal-l’art. 2394 c.c. per gli amministratori di s.p.a.; dal-

fante, O. Cagnasso, P. Montalenti (diretto da), Il nuovo dirittosocietario, II, artt. 2409 bis- 2483 c.c., Bologna, 2004,1885; S.Di Amato, Sub art. 2476 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La ri-forma del diritto societario, Vol. VIII, Società a responsabilità li-mitata (artt. 2462-2483), Milano, 2003, 205 ss.; A. Domenighi-ni, L’azione di responsabilità verso l’organo amministrativo pro-mossa da socio di s.r.l., in Società, 2008, 5, 625; G. Dongiaco-mo, Le azioni di responsabilità nel piano di concordato preventi-vo, in il Fallimentarista, 16.11.2012, 1 ss.; A. Stabilini, Legitti-mazione della società a promuovere l’azione di responsabilità exart. 2476 c.c., in Società, 2013, 10, 1131. In giurisprudenza,Trib. Napoli 6 giugno 2007, in Società, 2008, 11, 1433; Trib.Treviso 16 gennaio 2006, in Giur. It., 2006, 1878; Trib. Roma 4aprile 2005, in Giur. mer., 2005, 1563; Trib. Milano 21 dicem-bre 2005, in Giur. it., in Società, 2005, 523.

(6) Trib. Padova 19 luglio 2012, in Il caso.it; Trib. Marsala 1aprile 2005, in Società, 2006, 733; Trib. Roma 17 dicembre2008, in Giur. mer., 2009, 6, 1585; Trib. Milano 30 novembre2004, in Giur. it., 2005, 1245.

(7) G.F. Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto dellesocietà, Torino, 2013, 593, secondo cui, intervenuta la revocagiudiziaria dell’amministratore, sarà la società stessa a dover

nominare il nuovo amministratore, non riconoscendo le leggetale potere al giudice.

(8) V. in particolare, M. Malavasi, L’azione di responsabilità,cit., 1344; O. Cagnasso, Società a responsabilità limitata, cit.,257; D. Fico, L’azione di responsabilità, cit., 1402; R. Teti, La re-sponsabilità degli amministratori di s.r.l., cit., 647; L. D’Orazio,L’azione di responsabilità del curatore fallimentare nelle s.p.a. enelle s.r.l.: profili sostanziali e processuali. Carattere unitario ed in-scindibile dell’azione ex art. 146, l.fall., in Giur. mer., 2010, 3, 707;A. Angelillis e G. Sandrelli, Commento all’art. 2476, c.c., in P.Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari (diretto da), Com-mentario alla riforma delle società, L.A. Bianchi (a cura di), Socie-tà a responsabilità limitata, Artt. 2462-2483, Milano, 2008, 719.

(9) In tal senso, I.L. Nocera, Azione sociale di responsabilitàda parte della s.r.l. e necessità di delibera assembleare, in Il Fal-limentarista, Quesiti operativi, 2014; L. D’Orazio, L’azione di re-sponsabilità del curatore fallimentare nelle s.p.a. e nelle s.r.l.,cit., 707; in giurisprudenza, Trib. Napoli 7 novembre 2013, inwww.Il caso.it, 2014; Trib. Napoli 6 ottobre 2004, in questa Ri-vista, 2006, 2, 195.

(10) A. Angelillis e G. Sandrelli, Commento all’art. 2476,c.c., cit., 737.

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l’assenza nella disciplina delle s.r.l. di una previsioneanaloga a quella dell’art. 2394 bis, c.c. (11).Ma quell’orientamento, già fin d’allora vivacemen-te combattuto sul rilievo che dall’“ermeticità deinuovi dati normativi” non poteva desumersi l’ine-quivocabile volontà del legislatore di eliminare l’a-zione di responsabilità dei creditori sociali nei con-fronti degli amministratori di s.r.l., è divenuto suc-cessivamente recessivo, essendo prevalso quello op-posto, secondo cui l’azione è, senza alcun dubbio,ammissibile anche a seguito della riforma del dirit-to societario.Vero è che tutti gli autori rilevano che il legislatore,a differenza di quanto ha fatto per gli amministrato-ri delle s.p.a., non ha previsto esplicitamente la re-sponsabilità degli amministratori di s.r.l. verso i cre-ditori sociali. Ma la maggior parte di essi, seppurecon motivazioni diverse, finiscono per riconoscernel’ammissibilità in via interpretativa, osservando chesarebbe irragionevole e di dubbia costituzionalitàammettere la tutela degli interessi dei creditori so-ciali contro la mala gestio degli amministratori delles.p.a. e negarla ai creditori delle s.r.l., ossia a societàcon regime di responsabilità limitata analogo aquello delle prime. La diversità delle motivazioniconsiste in ciò che una parte degli autori la ammet-tono sul rilievo che i creditori sociali potrebbero tu-telarsi in base ai principi generali, agendo in surro-gatoria dell’azione di responsabilità spettante allasocietà oppure con l’azione di danni per illecito ex-tracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c. I più, pe-rò, preferiscono fondare l’azione sulle norme, analo-gicamente o estensivamente interpretate, che quel-l’azione attribuiscono in maniera esplicita ai credi-tori delle s.p.a. Precisamente, sull’art. 2485, comma

2, c.c., che, sanzionando con la responsabilità perdanni gli amministratori delle società di capitali ingenerale per ritardi od omissione di certi adempi-menti, è applicabile, senza alcuna distinzione, siaagli amministratori delle s.p.a. che a quelli delles.r.l.; l’art. 2486, comma 2, c.c., che prevede a cari-co degli amministratori di ogni società di capitali,compresa la s.r.l., la responsabilità per i danni cagio-nati alla società, ai soci ed ai creditori per la viola-zione dell’obbligo di conservare l’integrità e del va-lore del patrimonio sociale; l’art. 2497 c.c., che at-tribuisce ai creditori sociali l’azione di responsabilitànei confronti delle società che esercitano attività didirezione e coordinamento (12).

c) La deliberazione della società danneggiataI resistenti hanno negato, comunque, che i liquida-tori giudiziali della società concordataria, in assen-za della deliberazione dell’assemblea, fossero legitti-mati a proporre la domanda di sequestro necessariaper l’esercizio della correlata azione di responsabili-tà contro gli amministratori, ai sensi dell’art. 2393,comma 1, c.c.Il giudice designato ha dichiarato, al riguardo, la sua“perplessità” sia perché l’art. 2476 c.c. non prevede“siffatto requisito”, sia perché, più in generale, la“indispensabilità” della delibera sarebbe dubbia nelcaso in cui la società versi in uno “stato patologico”.Non pare, però, che le due argomentazioni sianoconvincenti. La prima non lo è perché troppo de-bole; la lacunosità delle disposizioni contenute nel-l’art. 2476 c.c., infatti, non ha impedito che essefossero integrate da altri contenuti per via di inter-pretazione come, ad esempio, la legittimazione del-le s.r.l. ad esercitare l’azione sociale di responsabili-

(11) Trib. Napoli 6 ottobre 2004, cit., 196; Trib. S. Maria Ca-pua Vetere 18 marzo 2005, in questa Rivista, 2006, 2, 191;Trib. Milano 25 gennaio 2006, in Giur. mer., 2009, 2470; Trib.Milano 27 febbraio 2008, ivi, 2470; App. Napoli 28 giugno2008, ivi, 2470; in dottrina, C. Proto, L’azione di responsabilitàdei creditori sociali nelle s.r.l., in questa Rivista, 2005, 6, 692;Id., L’azione dei creditori sociali nella società a responsabilità li-mitata e la determinazione del danno, in questa Rivista, 2010,6, 730; S. Di Amato, Società a responsabilità limitata - Sub art,2476, in G. Lo Cascio (a cura), La riforma del diritto societario,Milano, 2003, 214; G. Lo Cascio, La riforma della società a re-sponsabilità limitata e le procedure concorsuali, in questa Rivi-sta, 2005, 237.

(12) Cass. 21 luglio 2010, n. 17121, in questa Rivista, 2011,6, 701; Trib. Napoli 4 dicembre 2013, in Il caso.it; Trib. Napoli11 gennaio 2011, in Società, 2011,5, 510; Trib. Padova 24 giu-gno 2009, in questa Rivista, 2010, 6, 729; Trib. Napoli 28 aprile2004, in questa Rivista, 2005, 6, 681; Trib. Napoli 16 aprile2004, ivi, 2005, 6, 686; Trib. Udine 11 febbraio 2005, in Dir.fall., 2005, II, 808; in dottrina: E. Civerra, Esiste ancora l’azionedi responsabilità dei creditori sociali di una s.r.l., in Società,2011, 5, 514; P. Porreca, Commento a Cass. 21 luglio 2010, n.

17121, in Società, 2011, 6, 703; L. D’Orazio, L’azione di respon-sabilità del curatore fallimentare nelle s.p.a. e nelle s.r.l.: profilisostanziali e processuali. Carattere unitario ed inscindibile dell’a-zione ex art. 146, l.fall., in Giur. mer., 2010,3,707; A. Maffei Al-berti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009,828; O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in G. Cot-tino (diretto da), Tratt. dir. comm., V, Padova, 2007, 265; M.Rescigno, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto socie-tario in tema di società a responsabilità limitata, in Atti del con-vegno del Centro Nazionale di Difesa e prevenzione sociale,Courmayeur 27-28 settembre 2002, 17; S. Ambrosini, Com-mento all’art. 2476 c.c., in G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres(a cura di), Società di capitali, III, Napoli, 2004, 1597; contra,con argomentazioni che non si condividono, A. Angelillis e G.Sandrelli, Commento all’art. 2476, c.c., in P. Marchetti, L.A.Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari (diretto da), Commentario alla ri-forma delle società, L.A. Bianchi (a cura di), Società a responsa-bilità limitata, Artt. 2462-2483, Milano, 2008, 771 ss., secondocui la tutela dei creditori è affidata unicamente ad azioni di di-ritto comune, quali l’azione surrogatoria per il caso di inerziadella società nell’esercizio dell’azione sociale di responsabilitàe nell’azione di risarcimento dei danni ex art. 2043, c.c.

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tà, benché la legittimazione al suo esercizio sia pre-visto in maniera espressa dal terzo comma dell’arti-colo soltanto a favore di “ciascun socio”. E neppurela seconda lo è, non essendo stato chiarito perchésulla “indispensabilità” della delibera assemblearedovrebbe influire - e come - il non meglio specifi-cato “stato patologico” della società.Gli è che nell’ipotesi di s.r.l. in bonis l’orientamentoprevalente in dottrina è, giustamente, nel senso chel’azione sociale di responsabilità può essere esercita-ta solo a condizione che sia stata deliberata dai socianche con modalità diverse dal metodo collegiale,l’organo amministrativo non avendo al riguardo al-cun autonomo potere deliberante. Nell’art. 2476,c.c., manca una disposizione come quella dell’art.2393, comma 1, c.c., che preveda espressamente,anche per le s.r.l., la previa deliberazione dell’assem-blea per l’esercizio dell’azione sociale di responsabi-lità. Nondimeno, ciò non esclude che un’implicitaprevisione in tal senso sia ricavabile dal sistema,ove si consideri che la s.r.l., al pari della s.p.a., ap-partiene alla categoria delle società di capitali e chein entrambi i tipi sociali è comune l’esigenza di at-tribuire all’assemblea la decisione di esercitare un’a-zione che, sanzionando la mala gestio degli ammini-stratori, difficilmente sarebbe promossa dagli ammi-nistratori nei loro stessi confronti. Senza considera-re, in applicazione del criterio logico di interpreta-zione, che in presenza della disposizione del quintocomma del citato art. 2476, che accorda alla societàil potere di rinunciare o transigere l’azione di re-sponsabilità già in corso soltanto a condizione chevi consenta la maggioranza dei soci, rappresentantialmeno i due terzi del capitale sociale, e che non visi oppongano tanti soci, che rappresentino almenoil decimo del capitale sociale, sarebbe veramente ir-ragionevole che la legge non richiedesse la previadeliberazione della stessa maggioranza dei soci sul sepromuovere quella azione. Occorre aggiungere, poi,che diversamente si correrebbe il rischio concreto

che due amministratori, per conto della società,propongano l’azione di responsabilità l’uno control’altro (13).Nella diversa ipotesi di s.r.l. “in stato di crisi” chesia ammessa alla procedura di concordato preventi-vo per cessione dei beni e che tra i beni ceduti siacompresa anche l’azione sociale di responsabilità,la soluzione del problema non è diversa. Chiunquesia, in tale ipotesi, il soggetto legittimato ad proces-sum, è necessario, a parere di chi scrive, che eglisia munito della deliberazione dell’assemblea deisoci, non essendo ammissibile che l’azione sia pro-mossa in assenza della decisione dei soci, che necostituisce la condizione di procedibilità (14).L’assunto trova valido conforto in quell’orientamen-to di taluni autori che, argomentando dalla normadell’art. 106, comma 1, l.fall., ai sensi della qualepossono essere cedute «le azioni revocatorie concor-suali, se i relativi giudizi sono già pendenti», nonesitano ad applicare la regola anche alle azioni revo-catorie che siano cedute nel concordato preventivoper cessione dei beni (15), e poi ad estenderla, sic-come anch’essa azione di massa, all’azione di re-sponsabilità contro amministratori e sindaci ex art.146 l.fall., avvertendo che la cedibilità di entrambele azioni è condizionata alla pendenza del relativogiudizio al tempo della presentazione della propostadi concordato, ossia, che sia stato già notificato alconvenuto almeno l’atto di citazione (16).Invero, se condizione per la cedibilità dell’azionedi responsabilità è, alla stregua di tale orientamen-to, la pendenza del relativo giudizio al momentodella presentazione della proposta di concordato, amaggior ragione deve presupporsi che la cessionesia stata preceduta dalla deliberazione dell’assem-blea dei soci che, dell’azione oggetto di quel giudi-zio, è condizione di procedibilità.Ma quand’anche si desse credito ad altra dottrina,contraria alla tesi dell’assimilabilità dell’azione diresponsabilità contro gli amministratori all’azione

(13) S. Ambrosini, Commento all’art. 2476 c.c., cit. 1598; O.Cagnasso, La società a responsabilità limitata, cit., 257; I.L. No-cera, Azione sociale di responsabilità da parte della s.r.l. e ne-cessità di delibera assembleare, in il Fallimentarista, 2014; con-tra, con argomenti poco convincenti, A. Angelillis e G. Sandrel-li, Commento all’art. 2476, c.c., cit., 735, secondo i quali il ri-chiamo alla previsione del quinto comma dell’art. 2476 non sa-rebbe decisivo, in quanto sarebbe ragionevole pensare che illegislatore abbia inteso affidare ai soci la decisione su un attodi disposizione, quale è la rinuncia o la transazione della cau-sa, e lasciare agli amministratori la decisione sull’esercizio del-l’azione, essendo questo in definitiva un atto di gestione di loronaturale competenza.

(14) M. Franzoni, Della società per azioni, III, Dell’ammini-strazione e del controllo, 1, Disposizioni generali. Degli ammini-stratori, Art. 2380-2396, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-

Roma, 2008, 502; S. Sanso, L’azione sociale di responsabilitànel concordato reventivo, in il Fallimentarista, 2012; F. Basile eG. Zanotti, Il liquidatore giudiziale nel concordato preventivocon cessione dei beni: poteri, legittimazione attiva e passiva, casipratici, ivi, 2014.

(15) M. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e neiconcordati mediante cessione, in Giur. comm., 2009, I, 693 ss.;D. Vattermoli, La “cessione” delle revocatorie, in Giur. comm.,2009, I, 457.

(16) E. Stasi, Commento all’art. 106 l.fall., in G. Lo Cascio (acura di), Codice commentato del fallimento, Milano, 2013,1356; M. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e neiconcordati mediante cessione, cit., 695, il quale ha chiarito; G.Minutoli, Commento sub art. 106 l.fall., in M. Ferro (a cura di),La legge fallimentare - Commentario teorico pratico, Padova,2011, 1241.

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revocatoria concorsuale (17), è certo, comunque,che la prima azione, al pari di qualsiasi altra azioneavente per obiettivo il recupero di un credito incontestazione, può fare parte dei beni oggetto dellacessione effettuata con la proposta di concordatopreventivo e che, pertanto, la previa deliberazionedei soci, in qualsiasi modo assunta, costituisce ilpresupposto indefettibile per la sua cedibilità, es-sendone la condizione della sua procedibilità.

d) L’effettiva cessione ai creditoriconcordatari dell’azione di responsabilitàAssodato per le ragioni sopra esposte che l’azionesociale di responsabilità contro amministratori e sin-daci può essere ceduta ai creditori concordatari soloa condizione che sia stata previamente deliberatadai soci, ogni ulteriore questione sulla individuazio-ne del soggetto legittimato ad esercitarla nella pro-cedura di concordato preventivo per cessione deibeni presuppone necessariamente che essa sia effet-tivamente compresa tra i beni oggetto della cessio-ne. Diversamente la questione non si pone neppure.i) Nel caso che ne occupa, il giudice della cautela,ipotizzando nella specie una proposta di concorda-to preventivo mediante cessione di una parte deibeni del debitore specificamente indicati, non paresi sia interrogato sull’ammissibilità, ai sensi delnuovo testo dell’art. 160 l.fall., di un tipo di con-cordato preventivo con cui si propone, non la ces-sione dell’intero patrimonio del proponente, bensìdi una parte soltanto di esso.L’originario testo dell’art. 160, comma 2, l.fall., vi-gente prima della riforma, prevedeva, infatti, chel’imprenditore insolvente potesse proporre un con-cordato preventivo mediante «la cessione di tutti ibeni esistenti nel suo patrimonio alla data dellaproposta di concordato, tranne quelli indicati al-l’art. 46». E non era controverso, quindi, che lacessione dovesse comprendere tutti i beni facenti

parte del patrimonio del debitore al momento delladomanda di concordato, eccettuati soltanto quellistrettamente personali. Di conseguenza, un concor-dato mediante cessione parziale dei beni era ritenu-to radicalmente inammissibile (18). In altri termi-ni, nell’ipotesi di concordato preventivo con ces-sione, la domanda doveva necessariamente propor-re la cessione di tutti i beni e diritti costituenti ilpatrimonio del debitore, sicché neppure si potevaseriamente la questione se l’azione sociale di re-sponsabilità vi fosse compresa e se, al pari degli al-tri beni, fosse oggetto, a seguito dell’omologazione,della gestione del liquidatore (19).Oggi, a seguito della riforma della legge fallimenta-re 2005-2007, la dottrina, facendo leva sull’estremaelasticità del disposto dell’art. 160 l.fall., che nonimpone vincoli al contenuto della proposta di con-cordato e del piano concordatario, è quasi unanimenel ritenere che, diversamente dal sistema prece-dente, la cessione dei beni può avere per oggettouna parte soltanto del patrimonio del debitore. Inaltri termini la proposta di cessione dei beni sareb-be solo uno dei vari modi di attuazione del concor-dato; essa sarebbe un contenitore che può essereriempito in tanti modi diversi e non è più impre-scindibile che sia integrale (20).Non mancano, però, voci dissonanti, diligentemen-te segnalate dalla dottrina, secondo cui la cessioneparziale dei beni del debitore si porrebbe in contra-sto con la regola di ordine pubblico prevista dall’art.2740 c.c., se inserita in una proposta di concordatopreventivo con finalità liquidatorie, essendo ammis-sibile solo nel concordato con continuità (21).ii) Posto che un piano concordatario in cui, tral’altro, sia prevista una cessione parziale dei benidel debitore, non è più di ostacolo, per le ragionitesté esposte, all’ammissibilità della relativa propo-sta di concordato preventivo, occorre, secondo levigenti disposizioni, che il giudice competente a

(17) A. Angelillis e G. Sandrelli, Commento all’art. 2476,c.c., cit.,774, che critica severamente, punto per punto, la tesidegli autori citati nella nota precedente.

(18) A. Bonsignori, Del concordato preventivo. Art. 160-186,Bologna Roma, 1979, 70, il quale la giustificava con “la pecu-liarità dell’efficacia pienamente liberatoria del concordato pre-ventivo”, incompatibile con una cessione che non compren-desse l’intero patrimonio del debitore; Trib. Forlì 15 agosto1988, Giur. comm., 1988, II, 766; Trib. Bari 4 luglio 1975, Giur.it., 1976, I, 435; C. Trentini, I concordati preventivi, Milano,2014, 152.

(19) G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità nel piano diconcordato preventivo, in il Fallimentarista, 2012, 6.

(20) G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità nel piano diconcordato preventivo, cit., 6.

(21) F.S. Filocamo, Sub art. 182 l. fall., cit., 2087; M. Fabia-ni, Concordato preventivo per cessione dei beni e predetermina-

zione delle modalità della liquidazione, in questa Rivista,2010,595; Id., Diritto fallimentare - Un profilo organico, Bolo-gna, 2011, 610; F. Dimundo, Sub art. 160 l.fall., in G. Lo Cascio(diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2013,1859; G. Lo Cascio, Concordati, classi di creditori ed incertezzeinterpretative, in questa Rivista, 2009, 236; C. Cavallini-B. Ar-meli, Sub art. 182 l.fall., cit., 741; A. Maffei Alberti, Commenta-rio breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 1041; P. Pajar-di-A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, 2008, 890;M. Vitiello, Sub art. 182 l.fall., in G. Lo Cascio (diretto da), Codi-ce commentato del fallimento, Milano, 2013, 2126; Trib. Forlì15 agosto 1988, in Giur. comm., 1988, II, 766; Trib. Bari 4 lu-glio 1975, in Giur. it., 1976, I, 435.Trib. Roma 29 luglio 2010, inquesta Rivista, 2011, 225; Trib. Roma 25 luglio 2012, inwww.ilcaso.it; M. Vitiello, Commento all’art. 182, l.fall., in G. LoCascio (a cura di), Codice commentato del fallimento, Milano,2013, 2125 ss.

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decidere sulla legittimazione all’esercizio dell’azio-ne di responsabilità accerti, caso per caso, se l’azio-ne sia o no compresa nel compendio dei beni cedu-ti, diversa essendo, ovviamente, la decisione a se-conda che l’accertamento abbia al riguardo esitopositivo o negativo (22).Quando, come nel caso concreto, è ragionevole ri-tenere, sulla base di un’attenta analisi della propostadi concordato preventivo e dei documenti prodotti,che la cessione dei beni sia stata parziale e che l’a-zione di responsabilità contro gli amministratori,prevista dall’art. 2476 c.c., non sia stata ricompresatra i beni oggetto della cessio bonorum concordataria,non è seriamente contestabile che i liquidatori giu-diziali - in conformità alla ineccepibile pronunciache si annota - non possono essere legittimati né aproporre l’azione di responsabilità per la tutela di uncredito risarcitorio, la titolarità del quale sia rimastanel patrimonio della società debitrice, in quantoquest’ultima è, ormai, l’unico soggetto legittimato aproporla contro i responsabili amministratori e sin-daci; né, di conseguenza, a richiedere il sequestroconservativo ad essa correlato in funzione strumen-tale. E ciò specialmente in un momento in cui, in-tervenuta l’omologazione del concordato preventi-vo, la società concordataria ha riacquistato la pienadisponibilità dei propri diritti. L’azione rimane nellapiena disponibilità della società debitrice per essereesercitata durante e fuori della procedura secondo leregole del diritto comune.iii) Naturalmente, diversa, probabilmente, sarebbestata la decisione del giudice della cautela se avesseritenuto che l’azione di responsabilità fosse com-presa tra le attività cedute ai creditori concordata-ri. In tal caso, infatti, la legittimazione a gestire lalite, secondo l’opinione pressoché unanime delladottrina e della giurisprudenza, sarebbe stata certa-mente riconosciuta ai liquidatori della cessio hono-rum, siccome affidatari dell’attività di alienazionedel patrimonio del debitore e di pagamento deicreditori (23).Più in particolare, nella fase della procedura diconcordato che termina con l’emissione del decre-

to di omologazione, la legittimazione all’eserciziodell’azione spetta, all’imprenditore cedente, che lagestisce secondo le regole del diritto comune, salvele deroghe conseguenti all’applicazione dell’art.167 l.fall. Emesso il decreto di omologazione delconcordato, la legittimazione ad agire passa al li-quidatore giudiziale, agente nell’esercizio delle suefunzioni di ausiliario del giudice nell’interesse deicreditori destinatari finali delle somme ricavatedalla liquidazione dei beni con le modalità indicatedal tribunale indicate nel decreto medesimo. L’im-presa concordataria conserva una legittimazione at-tiva concorrente con quella del liquidatore (24).Nella diversa ipotesi di cessione traslativa dell’azio-ne di responsabilità (a favore o di un assuntore odella società risultante da operazioni di fusione e discissione o di gruppi di creditori), questa, divenutodefinitivo il decreto di omologazione del concorda-to, si trasferisce ipso iure al terzo cessionario, il qua-le ne potrà disporre in conformità al suo interesse,sia proseguendola fino alla sua definizione comesuccessore del cedente a titolo particolare nel dirit-to controverso, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., sia ri-nunciandovi, sia infine transigendola. Non essendol’azione compresa tra i beni da liquidare in conse-guenza del trasferimento diretto della sua titolaritàdal cedente al cessionario, il liquidatore giudizialerimane, infatti, estraneo alla sua gestione, analoga-mente alla situazione in cui egli viene a trovarsinell’ipotesi di cessione parziale del patrimonio del-l’imprenditore concordatario rispetto ai beni noncompresi tra quelli ceduti.

3. Sulla legittimazione del commissariogiudiziale ad esercitare l’azione diresponsabilità ex art. 2476 c.c.

Come già ricordato, il ricorso per sequestro conser-vativo in funzione dell’azione di responsabilità pre-vista dall’art. 2476 c.c. è stato proposto, non solodai due liquidatori giudiziali nominati dal tribunalecol decreto di omologazione del concordato pre-ventivo, ai sensi dell’art. 182 l.fall., ma anche dalcommissario giudiziale della stessa procedura con-

(22) G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità nel piano diconcordato preventivo, cit., 6.

(23) Cass. 14 marzo 2006, n. 5515, in Juris data, Milano,2013. In dottrina, A. Maffei Alberti, Commentario breve allalegge fallimentare, Sub art. 182, Padova, 2009, 1052; G. Bozza,La fase esecutiva del concordato preventive con cessione deibeni, in questa Rivista, 2012, 7, 779; G. Dongiacomo, Le azionidi responsabilità nel piano di concordato preventivo, cit., 9; S.Scarafoni, La legittimazione al processo del liquidatore e del de-bitore nella fase esecutiva del concordato preventivo con cessio-ne dei beni, in Giur. mer., 2009, 7-8, 1907.

(24) In generale, per i poteri, le funzioni ed il fondamentodella legittimazione processuale dei liquidatori della cessio bo-norum, v. G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011,655 ss., cui si rinvia per le ulteriori considerazioni al riguardo;G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità nel piano di concor-dato preventivo, cit., 9; G. Bozza, La fase esecutiva del concor-dato preventivo con cessione dei beni, in questa Rivista, 2012,7,778; M. Vitiello, Commento all’art. 182 l.fall., in G. Lo Cascio (acura di ), in Codice commentato del fallimento, Milano, 2013,2131; F.S. Filocamo, Sub art. 182 l. fall., cit., 2095.

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corsuale. Ed anche di questo ricorrente i resistentiamministratori e sindaci hanno contestato la legit-timazione ad causam, negando che tra i poteri con-feriti dalla legge al commissario giudiziale vi sia an-che quello di esercitare l’azione di responsabilità exart. 2476 c.c. Il giudice della cautela ha accolto leeccezioni dei resistenti e, correttamente, ha esclusoche il commissario giudiziale sia legittimato a pro-porre azioni di responsabilità in applicazione del-l’articolo da ultimo citato.Dal testo dell’ordinanza si desume che i resistenti,con specifico riferimento al commissario giudiziale,hanno contestato che egli sia legittimato ad eserci-tare l’azione sociale di responsabilità contro ammi-nistratori e sindaci o l’azione di responsabilità deicreditori sociali, osservando che: a) non sarebbeconfigurabile un esercizio dell’azione di responsabi-lità in surroga della società inerte, sia perché i cre-ditori non possono sostituirsi agli organi deliberan-ti della società, sia perché, in ogni caso, possonoreagire ai comportamenti lesivi dei loro interessipromuovendo l’azione di responsabilità ex art.2394 c.c.; b) che, comunque, l’esercizio dell’azionesurrogatoria richiederebbe la citazione in giudiziodella società alla quale ci si surroga; c) manchereb-be una norma che gli attribuisca il potere di agirein luogo e in rappresentanza della massa dei credi-tori; d) nel caso concreto l’azione di responsabilitànon è stata oggetto di cessione, sicché sono carentidi legittimazione ad causam sia il commissario giu-diziale sia i liquidatori.Sulle conseguenze che derivano dalla circostanzache l’azione di responsabilità sia stata, o no, oggettodella cessione dei beni, la risposta al quesito è age-vole ove si ipotizzi che l’azione non sia stata ceduta.In tal caso, infatti, è ovvio che sono privi di legitti-mazione ad agire sia i liquidatori della cessio bonorumche il commissario giudiziale, trattandosi di beneche rimasto nella sfera giuridica del debitore concor-datario e nella sua piena ed esclusiva disponibilità.Nella diversa ipotesi in cui l’azione di responsabili-tà, invece, sia stata ceduta ai creditori concordata-ri, per stabilire se il commissario giudiziale sia legit-

timato o no ad esercitarla, occorre risolvere le que-stioni sollevate dai resistenti per negarne la legitti-mazione e, ancor prima, accennare brevemente allefunzioni che l’organo, secondo le disposizioni vi-genti, svolge nella procedura di concordato pre-ventivo con cessione.Secondo la prevalente dottrina, nella fase che pre-cede il decreto di omologazione del concordato, ilcommissario giudiziale esercita nella procedura fun-zioni di vario genere: ancillari rispetto a quelle delgiudice delegato; autonome e variamente correlatea quelle di altri organi della procedura; di vigilanzasulla gestione ed amministrazione dei beni del de-bitore, svolte mediante istruzioni di carattere siagenerale che di dettaglio; di controllo sulle attivitàprocedurali concernenti la verifica della propostadi concordato, sul piano concordatario e sulla si-tuazione contabile dell’imprenditore concordata-rio (25). Nessuna delle disposizioni che regolano lamateria prevede, invece, espressamente o implici-tamente, l’attribuzione al commissario di poteri ge-stori sui beni dell’impresa in concordato. E si capi-sce agevolmente il perché ove si consideri che, di-fettando nella procedura di concordato preventivolo spossessamento del debitore, non può che spet-tare a quest’ultimo, in maniera esclusiva, ai sensidell’art. 167 l.fall., l’amministrazione del propriopatrimonio, sia ordinaria che straordinaria, tra cuievidentemente anche l’esercizio delle azioni giudi-ziarie che ne fanno parte, sia pure sotto la vigilanzadel giudice delegato e del tribunale.Tale essendo lo status del commissario giudiziale nel-la procedura di concordato preventivo, è chiaro chel’indubbia legittimazione dell’imprenditore in con-cordato ad esercitare le azioni giudiziarie compresenel suo patrimonio, tra cui l’azione sociale di respon-sabilità, esclude che analoga legittimazione possaspettare anche al commissario giudiziale. E ciò per lanetta separazione che deve esserci tra l’attività diamministrazione e gestione dell’impresa, conservatadall’imprenditore in concordato, ed il potere doveredel commissario di vigilare su di essa e di autorizzar-ne gli atti se di straordinaria amministrazione.

(25) M. Gaboardi, Sub art. 165 l. fall., in C. Cavallini (direttoda), Commentario alla legge fallimentare, Artt. 124-215 e Dispo-sizioni transitorie, Milano, 210, 495 ss., che ricomprende tra ic.d. poteri ancillari rispetto al giudice: la verifica dell’elenco deicreditori e debitori, la comunicazione ai creditori della data diconvocazione e del contenuto della proposta di concordato(art. 171 l.fall.), la redazione dell’inventario del patrimonio deldebitore e della relazione sulle cause del dissesto e sulla con-dotta dell’imprenditore (art. 172 l.fall.), la sottoscrizione delprocesso verbale dell’adunanza (art. 178 l.fall.); tra i poteri divigilanza sulle gestione del debitore la comunicazione di diret-

tive mediante istruzioni di carattere generale e particolare; tra ipoteri di controllo l’illustrazione nell’adunanza dei creditori del-la sua relazione e della proposta di concordato (art. 175 l.fall.),la comunicazione ai creditori delle mutate condizioni di fattibili-tà del piano concordatario successivamente all’approvazionedel concordato (art. 179, comma 2, l.fall.); M. Fabiani, Dirittofallimentare, Bologna, 2011, 637; F.S. Filocamo, Sub art.165l.fall., in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare - Commenta-rio teorico-pratico, Padova, 2011, 1887, che distingue tra lefunzioni del commissario giudiziale quelle di vigilanza, di con-trollo, di consulenza, di informazione e di impulso processuale.

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La stessa conclusione vale per la fase di esecuzionedel concordato preventivo successiva all’omologa-zione del concordato con cessione, durante la qua-le, chiusa la procedura concorsuale, la liquidazionedei beni ceduti e la ripartizione del ricavato tra icreditori concorrenti è governata dal proponente edal liquidatore della cessio bonorum. Il commissariogiudiziale, invece, in questa fase, si limita a svolge-re unicamente funzioni di sorveglianza sull’adempi-mento del concordato (art. 185 l.fall.) e di segnala-zione al giudice di ogni fatto che possa pregiudicarei creditori della liquidazione, esclusa, invece, qual-siasi attività di iniziativa, persino quella per la riso-luzione e annullamento del concordato che è riser-vata ai creditori. Sicché ogni tentativo di accredi-tare al commissario niente di meno che la legitti-mazione a promuovere azioni di responsabilità con-tro amministratori e sindaci della società concorda-taria successivamente al decreto di omologazioneè, a dir poco, veramente ardita.Una legittimazione del commissario giudiziale adesercitare un’azione di responsabilità contro gli am-ministratori è da escludere anche sotto il profilo diuna sua surrogazione nell’azione di responsabilitàdei creditori, sia come singoli che come massa,non essendo né il portatore né il rappresentantedei relativi interessi. Come si è visto, l’azione di re-sponsabilità dei creditori sociali, ex art. 2394 c.c., èproponibile anche contro gli amministratori e sin-daci della s.r.l. Ma essa spetta unicamente ai credi-tori medesimi, anche in fase di esecuzione del con-cordato, esclusa ogni tipo di mediazione del com-missario giudiziale. Quando la legge ha voluto at-tribuire al commissario giudiziale il potere di tute-lare diritti patrimoniali dei creditori concorrentinella procedura di concordato preventivo, lo hafatto con espresse norme di legge, come nell’ipotesicontemplata dall’art. 240 l.fall., secondo cui ilcommissario giudiziale può costituirsi parte civilenel procedimento penale contro imputati di reatifallimentari. È questo l’argomento oggetto dei pa-ragrafi che seguono.

4. Sulla legittimazione del commissariogiudiziale ad esercitare in sede civilel’azione di risarcimento dei dannicagionati da fatti di bancarotta impropria

Esclusa per le ragioni esposte che il commissariogiudiziale sia legittimato, ex art. 2476 c.c., a propor-re contro gli amministratori ed i sindaci sia l’azionesociale di responsabilità che l’azione di responsabili-tà dei creditori sociali, occorre a questo punto veri-

ficare se sia legittimato a proporre, sulla base deglistessi fatti materiali, l’azione civile per il risarcimen-to dei danni ex delicto considerato: a) che gli artt.236 e 240 l.fall., attribuiscono, in via principale, alcommissario giudiziale della procedura di concorda-to preventivo il potere di chiedere il risarcimentodei danni, costituendosi, ai sensi dell’art. 240 l.fall.,parte civile nel processo penale a carico degli ammi-nistratori imputati dei reati previsti e puniti dai ci-tati articoli; b) che il potere di costituirsi parte civi-le nel processo penale per bancarotta spetta ancheai singoli creditori «quando manca la costituzionedel commissario giudiziale» o «quando intendonofar valere un titolo di azione propria personale»; c)che l’esistenza del potere-dovere del commissariogiudiziale di costituirsi parte civile per chiedere, inluogo ed in rappresentanza dei creditori, il risarci-mento dei danni cagionati da reati di bancarottaconcordataria, importa evidentemente che egli pos-sa proporre la stessa domanda risarcitoria anche insede civile; e d) che l’azione civile risarcitoria, eser-citabile nel processo penale o in sede civile, ricadesotto l’art. 185 c.p., secondo cui ogni reato, che ab-bia cagionato un danno patrimoniale o non patri-moniale, accorda al danneggiato un’azione civile ri-sarcitoria contro il colpevole.Il giudice della cautela, in applicazione di tali prin-cipi, con un’ordinanza assolutamente ineccepibile,ha ritenuto, ex art. 2043 c.c., che il commissariogiudiziale è attivamente legittimato a proporre ladomanda di sequestro conservativo a cautela di uncredito risarcitorio da illecito penale e, di conse-guenza, avendo ravvisato a carico di uno degli am-ministratori, sia pure con tutti i limiti propri dellacognizione sommaria cautelare, il fumus della suacolpevolezza in ordine a taluni fatti di bancarottafraudolenta, integranti l’ipotesi delittuosa di cui al-l’art. 236 l.fall., e, quindi, dell’obbligo dello stesso dirisarcire i danni patrimoniali che ne sono derivati,ha autorizzato il commissario giudiziale ricorrente aprocedere al richiesto sequestro conservativo fino aconcorrenza della somma di € 20.000.000,00.

4.1. L’autorizzazione al sequestroconservativoLa decisione del giudice cautelare su questa ulterio-re domanda del commissario giudiziale è di grandeinteresse perché offre l’occasione di ritornare su va-rie questioni di natura sostanziale e processuale, at-tinenti alla portata della disposizione dell’art. 240l.fall., che si sono poste all’attenzione della dottri-na e della giurisprudenza fin dalla seconda metà

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dell’Ottocento e che solo da pochi anni hanno tro-vato una certa appagante soluzione.Si tratta di una misura cautelare concessa per assi-curare la conservazione del diritto al risarcimentodei danni subiti da una società a causa di un delit-to di bancarotta fraudolenta c.d. concordataria,previsto e punito dall’art. 236, comma 2, n. 1,l.fall., integrante un’ipotesi di responsabilità civileextracontrattuale del colpevole per i danni derivatida un fatto commesso in violazione di regole civilie penali e, quindi, al tempo stesso, illecito penale ecivile (26). Sotto il profilo sostanziale, alla tuteladegli interessi della società danneggiata provvedel’art. 185 c.p., secondo cui «ogni reato, che abbiacagionato un danno patrimoniale o non patrimo-niale, obbliga al risarcimento il colpevole e le per-sone che, a norma delle leggi civili, debbono ri-spondere per il fatto di lui».Sotto il profilo processuale, la tutela della danneg-giata è assicurata dall’art. 240 l.fall., il comma 1del quale, com’è noto, consente al curatore del fal-limento, al commissario giudiziale della proceduradi concordato preventivo ed al commissario liqui-datore della procedura di liquidazione coatta am-ministrativa di «costituirsi parte civile nel procedi-mento penale per i reati preveduti nel presente ti-tolo (Titolo VI - Disposizioni penali, n.d.r.), anchecontro il fallito». Il secondo comma dello stesso ar-ticolo consente, poi, che anche «i creditori posso-no costituirsi parte civile», a condizione, però, chesi tratti di processo penale per bancarotta fraudo-lenta - e non di altri reati fallimentari - «quandomanca la costituzione del curatore, del commissa-rio giudiziale o del commissario liquidatore o quan-do intendono far valere un titolo di azione propriapersonale».Come non manca di osservare il giudice della cau-tela, la sussistenza del potere dovere del commissa-rio giudiziale di esercitare in luogo dei creditori l’a-zione risarcitoria attraverso la costituzione di partecivile nel processo penale instaurato per i medesi-mi fatti materiali integranti ipotesi di reato falli-mentare, su cui è fondata la pretesa civile, implicache la stessa azione civile può essere esercitata dalcommissario in sede civile davanti al competentegiudice.Ed è stato in applicazione di tali regole, e special-mente in esito alla diligente indagine mirata allaricerca delle radici storiche dell’art. 240 l.fall., del-la sua ratio e dell’interpretazione che ne ha dato la

dottrina recente e meno recente, nonché la giuri-sprudenza di merito e di legittimità, che - si ripete- il giudice della cautela ha autorizzato il sequestroconservativo, avendo ritenuto sussistente il fumusdel diritto del commissario giudiziale di ottenere,in sede civile, la condanna di uno degli ammini-stratori della società concordataria al risarcimentodei danni da questo cagionati alla società concor-dataria con fatti di bancarotta fraudolenta, inte-granti l’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 236l.fall.È, al riguardo, incontrovertibile che, secondo leleggi attualmente vigenti, per il risarcimento deidanni derivanti da reato, anche fallimentare, ildanneggiato ha il diritto di agire in giudizio per ot-tenerne il soddisfacimento sia mediante la costitu-zione di parte civile nel procedimento penale in es-sere a carico del colpevole, ai sensi dell’art. 240l.fall., sia in sede civile, proponendo la stessa do-manda davanti al competente giudice civile.Ma non è stato sempre così, tanto è vero che l’art.240 l.fall., è stato introdotto nell’ordinamento giu-ridico dal legislatore del 1942 proprio per sopire vi-vaci contrasti risalenti molto indietro nel tempo.

4.2. I precedenti legislativi dell’art. 240 l.fall.Per comprendere meglio la scelta del legislatoredel 1942 di adottare le norme dell’art. 240 l.fall., èutile rivolgere uno sguardo all’indietro nel tempoper cogliere nel passato le radici del presente. Aparte qualche voce contraria, la configurabilità didanni patrimoniali derivanti dai reati c.d. fallimen-tari ed il diritto del danneggiato di ottenerne il ri-sarcimento non sono stati mai contestati. Contro-verse sono state, invece e per lungo tempo, le mo-dalità processuali di esercizio di tale diritto. E dal-l’indagine su questo tema è opportuno cominciare.La questione, relativa alla possibilità o meno deldanneggiato di costituirsi parte civile nel processopenale per reati di bancarotta, è stata oggetto diuna disputa vivacissima con la conseguente forma-zione di due correnti di pensiero, insorta già sottoil vigore del codice di commercio del 1865, benchél’art. 713 di quel codice, disponendo che «nei casidi procedimento o di condanna per bancarotta, leazioni civili rimangono separate», fosse chiaro nelsenso che il giudice penale non potesse conosceredelle azioni civili e delle disposizioni relative ai be-ni. Tra i due schieramenti contrapposti che, nono-stante ciò, si sono formati, è prevalso nettamente e

(26) P. Trimarchi, Illecito (Diritto privato), in Enc. Dir., XX, Mi-lano, 1970, 90.

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giustamente quello che, in aderenza al chiaro testodella legge, negava l’ammissibilità della costituzio-ne di parte civile nel processo penale, affermandoche l’azione civile dovesse essere esercitata separa-tamente dal processo penale. Ma ciò non era statosufficiente a dissipare del tutto il dubbio sulla cor-rettezza dell’interpretazione prevalente, persistendoirriducibile l’opinione contraria, secondo cui, inve-ce, l’esercizio dell’azione civile in sede penale sa-rebbe stato possibile (27).Il codice di commercio del 1882, contro ogniaspettativa, si limitò a sopprimere la disposizionedel codice precedente e non si preoccupò invece disostituirla con altra in modo tale da porre fine aquella disputa. Accadde, così, che la giurispruden-za, al fine di riempire il vuoto legislativo, valoriz-zando una dichiarazione del ministro Guardasigilliin sede di presentazione del nuovo codice all’ap-provazione del Parlamento, secondo la quale la co-stituzione di parte civile era ormai consentita, sipronunciò in maniera conforme sul rilievo che, inassenza di una norma speciale che la vietasse per ireati fallimentari, essa dovesse ritenersi ammissibilein applicazione della legge processuale comune, se-condo cui «ogni persona offesa o danneggiata daun reato può costituirsi parte civile nel giudizio pe-nale» (28).La dottrina, tenuto conto dello stato della legisla-zione, ritenne la soluzione giurisprudenziale formal-mente corretta e preferibile ad ogni altra; tuttavianon mancò di osservare criticamente che l’azioneesercitata con la costituzione di parte civile nelprocesso penale mal si conciliava con i principifondamentali della procedura fallimentare e fossenella pratica del tutto inutile. Si ricordava - conun’argomentazione che sarebbe stata ripresa in fu-turo - che la dichiarazione di fallimento, determi-nando ipso iure lo spossessamento del debitore falli-to, vincolava l’intero suo patrimonio al pagamento

dei creditori concorrenti, con la conseguenza che ildiritto al risarcimento dei danni, che fosse ricono-sciuto in sede penale al danneggiato costituito par-te civile, non aveva alcuna possibilità di essere fat-to valere sui beni compresi nel fallimento (29).Non mancava, poi, chi, meno drasticamente, nonparlava di inutilità dell’accertamento del diritto alrisarcimento dei danni in sede penale, ma di esi-genza di conciliare tale risultato con le regole delfallimento, suggerendo il rinvio della riscossionecoattiva del credito risarcitorio ad un momentosuccessivo alla chiusura del fallimento sugli even-tuali beni residui o sopravvenuti (30).Altri, più radicalmente, escludevano che il dannoai creditori derivasse dai singoli fatti di bancarotta,imputandolo piuttosto al fatto del fallimento econcludendo che la costituzione di parte civile deicreditori nel processo penale di bancarotta era deltutto inutile ed inammissibile, quando fosse direttacontro il fallito. Ammettevano, però, che tale con-clusione non valeva nell’ipotesi di processo penalecontro persone diverse dal fallito, e cioè controamministratori e sindaci in caso di fallimento disocietà, nulla allora ostando all’applicazione dellanorma generale di procedura penale, secondo cui ildanneggiato era libero di proporre nel processo pe-nale l’azione di danni contro l’autore del danno.Ritenevano legittimati all’esercizio dell’azione o ilcuratore, se danneggiata era stata la massa indistin-ta dei creditori della fallita, oppure il singolo credi-tore che fosse direttamente danneggiato (31).A sciogliere ogni dubbio al riguardo ed a porre finealla lunga disputa tra l’ammissione e la non ammis-sione della costituzione di parte civile ed ai moltidistinguo all’interno di ciascuno dei due schiera-menti è intervenuta, poi, la L. 10 luglio 1930, n.995, la quale lo ha sciolto in senso affermativo, di-sponendo con la norma dell’art. 19, ult. comma,che «il curatore può costituirsi parte civile anche

(27) E. Vidari, I fallimenti - Trattazione sistematica secondo ilnuovo codice di commercio italiano, Parte II, Milano, 1886,852; R. Calamandrei, Del fallimento - Commento al libro III e alcapo III Titolo I Libro IV del nuovo codice di commercio italiano,II, Torino, 1883, 275, il quale dava per scontato che il codice dicommercio del 1865, in deroga alla legge processuale comu-ne, non consentiva la costituzione di parte civile, diversamentedal codice del 1882 che, non contenendo una norma analogaa quella dell’art. 713 vecchio codice, la ammetteva in applica-zione della regola generale; R. Conte, Il danno nei reati di ban-carotta e la legittimazione alla costituzione di parte civile nel pro-cedimento penale per reati fallimentari, in Gius. civ., 2002, 5,231.

(28) E. Vidari, I fallimenti - Trattazione sistematica secondo ilnuovo codice di commercio italiano, cit., 852.

(29) V. ancora E. Vidari, I fallimenti - Trattazione sistematicasecondo il nuovo codice di commercio italiano, cit., 853, il qua-

le, insistendo sulla pretesa inconciliabilità della costituzione diparte civile con i principi della legge fallimentare, ne denuncia-va anche l’infruttuosità sul rilievo che, non potendo il creditoreo il curatore, costituito parte civile, compiere atti esecutivi suibeni del fallimento, siccome costituenti la garanzia comune ditutti i creditori, la loro azione si sarebbe risolta in nulla.

(30) A. Ramella, Trattato del fallimento, II, Milano, 1915,566.

(31) G. Bonelli, Del fallimento. Commento al codice di com-mercio, III, Milano, 1939, 304 ss.; U. Navarrini, Trattato di dirit-to fallimentare secondo la nuova legislazione, II, Bologna, 1935,274, il quale osservava che per l’addietro la costituzione di par-te civile era «assai disputata, pensandosi da molti che essa sa-rebbe resa inutile dal procedimento normale fallimentare, al-meno quando essa dovesse essere diretta appunto contro ilfallito»; V. Pipia, Del fallimento, Torino, 1932, 798.

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nel procedimento penale per i reati commessi dalfallito sempre con l’autorizzazione del giudice dele-gato». Nulla si disponeva, però, in merito alla pos-sibilità dell’esercizio di tale azione da parte di cre-ditori singoli.L’annosa e tormentata questione, almeno sul pianolegislativo, ha avuto termine con l’introduzionedell’art. 240 l.fall., che, tenendo conto dei nuoviistituti del concordato preventivo, dell’amministra-zione controllata e della liquidazione coatta ammi-nistrativa, nonché del dibattito che si era apertocirca i diritti dei creditori concorsuali, ha stabilito,com’è noto, che gli organi esterni delle procedureconcorsuali (curatore, commissario giudiziale ecommissario liquidatore), vecchie e nuove, posso-no costituirsi parte civile nel procedimento penaleper i reati fallimentari, anche contro il fallito, eche lo stesso diritto possono esercitare pure i credi-tori seppure limitatamente al processo per banca-rotta fraudolenta e quando manchi la costituzionedell’organo della procedura o quando intendano farvalere “un titolo di azione propria personale”. Ciòin sintonia con quella dottrina secondo cui la fun-zione del primo comma del nuovo art. 240 sarebbequella di eliminare il persistente dubbio, mai deltutto dissipato sotto il previgente codice, di coloroche dichiaravano di non comprendere l’esercizionel processo penale di un’azione civile risarcitoriacontro un soggetto che, per effetto della dichiara-zione di fallimento(art. 42 l.fall.), era già espropria-to di ogni suo bene, proprio a favore di chi agi-sce (32).Non a caso, infatti, la norma è stata fatta oggettodi critiche ancora più aspre di quelle rivolte allalegge del 1930, al punto che autorevole dottrinanon esitò ad esortare “il legislatore di domani” adabrogare l’art. 240 ed i giudici “ad accelerarne ildecesso”, sottoponendolo alla verifica di legittimitàcostituzionale (33). L’appello, però, cadde nel vuo-to, tanto che l’istituto è stato conservato in vita,prima, dal legislatore del 1989, che con la disposi-zione del secondo comma dell’art. 212, D.Lgs. 18luglio 1989, n. 271, recante “Le norme di attuazio-ne, di coordinamento e transitorie del codice diprocedura penale”, l’ha lasciato in vigore, e, poi -quasi ieri - dal legislatore del 2012 che l’ha rinvi-gorito con l’art. 33, comma 1, lett. l, D.L. 22 giu-gno 2012, n. 83, convertito nella L. 7 agosto 2012,

n. 134, col quale, dopo l’art. 236 l.fall., è stato in-serito l’art. 236 bis, introduttivo del nuovo reato di“Falso in attestazioni e relazioni”.

4.3 La ratio della regola contenuta nell’art.240 l.fall.La ratio della disposizione dell’art. 240 l.fall., si de-sume dalle parole del Guardasigilli che nella Rela-zione ministeriale alla legge fallimentare del 1942dichiara con soddisfazione di aver «regolato in mo-do definitivo l’istituto della costituzione di partecivile in senso rigorosamente conforme alla funzio-ne del curatore (ed analogamente del commissariogiudiziale), come organo che nel fallimento riassu-me e rappresenta così gli interessi dell’imprenditorecome quelli dei creditori», e di aver «così preclusola possibilità di una costituzione di parte civile,che sarebbe del tutto pleonastica, di qualche credi-tore in aggiunta a quella del curatore, permettendola prima solo in via suppletiva, quando manchi laseconda, o quando possa essere fondata su un titolodi azione personale del creditore: come nel caso diappropriazione indebita commessa dall’imprendito-re o dall’amministratore di una società su titoli datiin deposito per garanzia».La dottrina, però, non ha condiviso affatto l’otti-mismo del Guardasigilli, anche se, in presenza diun testo di legge dal significato letterale inequivo-cabile, non ha potuto fare a meno di prendere attoche la possibilità degli organi esterni delle procedu-re concorsuali di inserire l’azione civile di danninel processo penale, per quanto difettosa e critica-bile fosse la nuova disposizione e per quanto inop-portuna fosse ritenuta, era ormai una realtà indi-scutibile. Ha dovuto riconoscere anche che la nuo-va norma aveva segnato un notevole progresso ri-spetto a quella dell’art. 19, L. n. 995/1930 non soloper aver previsto positivamente il diritto dei credi-tori a costituirsi parte civile, ma anche per avernedefinito il rapporto con l’analogo diritto attribuitoal curatore, al commissario giudiziale ed al commis-sario liquidatore. A differenza del citato art. 19,che nulla aveva detto circa il diritto dei creditoridi costituirsi parte civile, il secondo comma del-l’art. 240 l.fall., infatti, da una parte, lo ha ricono-sciuto espressamente e, dall’altra, lo ha coordinatocon quello spettante agli organi esterni delle proce-dure concorsuali, permettendone l’esercizio solo

(32) P. Pajardi e A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimen-tare, Milano, 2008, 1049; U. Azzolina, Il fallimento e le altre pro-cedure concorsuali, III, Torino, 1961, 1514; R. Provinciali, Ma-nuale di diritto fallimentare, III, Milano, 1970, 2506; G. De Se-

mo, Diritto fallimentare, Padova, 1961, 615.(33) I. Scalera, Costituzione di parte civile e risarcibilità del

danno morale nel processo di bancarotta, in Dir. fall., 1971, II,516.

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il Fallimento 11/2014 1141

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“in via suppletiva” per il caso di mancata costitu-zione degli organi delle procedure concorsuali o diesercizio di azione personale del creditore (34).Conclusivamente sul punto, il motivo ispiratoredella nuova disciplina, introdotta dal legislatoredel 1942, non è stato solo quello, suggerito dallarubrica dell’art. 240, di investire della titolaritàdella costituzione di parte civile in via principalegli organi delle procedure concorsuali e in via sup-pletiva i creditori concorsuali; ma anche, e soprat-tutto, quello di dissipare qualsiasi dubbio: a) suglielementi costitutivi dell’azione di risarcimentodanni cagionati da reati fallimentari; b) sulla tito-larità sostanziale dell’azione; c) e, infine, sulla pos-sibilità e sulle modalità del suo esercizio sia in sedepenale, sia in sede civile (35).Trattandosi nella specie di commento ad un prov-vedimento cautelare adottato nei confronti di unamministratore di società ammessa alla proceduradi concordato preventivo con cessione dei beni,accusato del reato di fatti di bancarotta fraudolentae ritenuto responsabile dei conseguenti danni pa-trimoniali, d’ora in avanti la trattazione si restrin-gerà all’ipotesi di domanda di risarcimento dei dan-ni cagionati dal reato previsto dall’art. 236, comma2, n. 1, l.fall.

4.4 L’azione di risarcimento dei danniderivanti da reati commessi per ottenerel’ammissione alla proceduraLa fattispecie concreta dedotta in giudizio dal com-missario giudiziale è il diritto del ricorrente di otte-nere il risarcimento dei danni patrimoniali cagionatidal reato di bancarotta fraudolenta impropria, di cuiall’art. 236, comma 2, n. 1, l.fall., commesso dall’am-ministratore di una società ammessa alla proceduradi concordato preventivo con cessione dei beni.Essa integra indubbiamente l’ipotesi di responsabi-lità civile ex delicto, regolata dall’art. 185, cpv.,c.p., secondo cui ogni reato, che abbia cagionatoun danno patrimoniale o non patrimoniale, obbli-ga al risarcimento il colpevole, ed appartiene all’a-rea della responsabilità per fatto illecito, previstadall’art. 2043 c.c., rispetto alla quale si pone inrapporto di species ad genus. Rapporto di specialitàche segna, peraltro, la sua notevole diversità rispet-to alla responsabilità ex art. 2043 c.c., per due notedistintive: la prima, costituita dal fatto che in caso

di illecito penale sono risarcibili non solo i dannipatrimoniali, come nell’illecito civile extracontrat-tuale, ma anche i danni non patrimoniali; e la se-conda, costituita dal fatto che dal reato di cui siparla nell’art. 185 c.p., oltre il danno di natura ci-vile, deriva anche un danno criminale. Ma, soprat-tutto, per una caratteristica strutturale, consistentein ciò che, a differenza del fatto atipico, genericoed amorfo, indicato dall’art. 2043, c.c., (qualunquefatto doloso o colposo purché cagioni ad altri undanno ingiusto), quello indicato dall’art. 185 c.p.,è connotato dalla sua tipizzazione e dalla sua neces-saria conformazione ad una norma penale che, inossequio al principio di tassatività delle incrimina-zioni, deve essere formulata con quel grado di de-terminatezza necessaria a consentire al giudice diindividuare il tipo di fatto dalla norma medesimaprevisto. Molto acutamente si è osservato, al ri-guardo, che il fatto illecito ex art. 2043 c.c., è quel-lo che viola un obbligo giuridico, qualunque sia lamodalità della lesione; l’illecito penale, ipotizzatodall’art. 185 c.p., è invece un “illecito di modalitàdi lesione”, dando rilevanza alle modalità che han-no accompagnato il suo verificarsi (36).Ciò posto, è sulla scorta dell’art. 185 c.p., che, sot-to il profilo sostanziale, occorre brevemente analiz-zare, in ogni suo elemento, la fattispecie di respon-sabilità per danni da fatti di bancarotta impropriac.d. concordataria, commessi dall’amministratoredi una società ammessa al concordato preventivocon cessione dei beni. La quale, come molte altrefigure di reato è composta: a) dall’elemento mate-riale del fatto reato ipotizzato dal secondo commadell’art. 236, n. 1, l.fall.; b) dall’elemento psicolo-gico; c) dall’evento di danno patrimoniale o nonpatrimoniale; d) dal nesso di causalità tra il fatto el’evento; e) dai soggetti attivi del reato obbligati alrisarcimento dei danni civili; f) dai soggetti passivititolari del diritto al risarcimento dei danni.

a) L’elemento materiale: condotta ed eventoGli specifici fatti di bancarotta fraudolenta c.d.concordataria, indicati dal giudice della cautelanella sua ordinanza, integrano, senza dubbio, alcu-ne delle condotte tipiche indicate nella norma dicui al n. 1 dell’art. 216, comma 1, l.fall., richiama-ta per successivi rinvii dall’art. 236, comma 2, n. 1,l.fall. In estrema sintesi - non essendo possibile en-

(34) F. Antolisei, Manuale di diritto penale - Leggi comple-mentari - I reati fallimentari e societari, Milano, 1959, 239 e242.

(35) R. Conte, Il danno nei reati di bancarotta e la legittima-zione alla costituzione di parte civile, cit., 231.

(36) R. Rampioni, Il reato quale illecito di modalità e di lesio-ne tipiche: l’impraticabilità di un “equivalente funzionale” al prin-cipio di riserva di legge, in Riv. it. di dir. e proc. penale, 2013, 2,573.

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trare in maggiori dettagli - si tratta di condotte di-strattive tipizzate dal primo comma dell’art. 216,prima parte del n. 1, l.fall., aventi per oggetto i be-ni della società debitrice fallita. Si tratta di fattiche inducono diminuzione fittizia del patrimoniodella società, effettuata mediante storno di attivitào simulazione di passività, nonché di diminuzioneeffettiva mediante distruzione o dissipazione di be-ni, causa di danni patrimoniali e non patrimonialidei creditori sociali per la loro incidenza negativasull’integrità del patrimonio del loro debitore (37).Il n. 2 dello stesso secondo comma dell’art. art.216 l.fall., anch’esso richiamato dall’art. 236 l.fall.,prevede ulteriori condotte criminose, integranti lac.d. bancarotta documentale.Pur non essendo possibile andare oltre in questa se-de, non si può fare a meno di ricordare alcune que-stioni di grande interesse su questa figura di reato.In primis, le giuste perplessità della dottrina sulla ra-zionalità dell’applicazione agli amministratori di so-cietà concordatarie di ipotesi di bancarotta fraudo-lenta concepite per gli amministratori di società fal-lite, avuto riguardo al diverso presupposto oggettivodelle due procedure concorsuali, che per il fallimen-to è lo stato di irreversibile insolvenza, mentre peril concordato preventivo è ora lo stato di crisi, con-sistente in una difficoltà non irreversibile di adem-piere, non necessariamente pareggiabile all’insol-venza irreversibile (38). Tuttavia le segnalate per-plessità non sono state sufficienti per una declarato-ria di illegittimità costituzionale della norma, postoche il Giudice delle leggi non ha esitato a dichiara-re la manifesta infondatezza della relativa questione,in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 236, comma2, n. 1, R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (39).Maggiore fortuna ha avuto il dibattito sulla configu-razione del reato previsto dall’art. 236 l.fall., conclu-

sosi con l’affermazione della tesi secondo cui per lasua configurazione è necessario e sufficiente che siastato emesso il decreto di ammissione della societàalla procedura di concordato preventivo, senza cheoccorra aspettare il definitivo decreto di omologa-zione, essendovi equiparazione tra la sentenza di-chiarativa di fallimento ed il predetto decreto (40).Quanto all’estensione dell’oggetto del reato, dopoalcune certezze iniziali, non è più controverso chela norma incriminatrice sanziona, oltre che le con-dotte delittuose successive all’ammissione alla pro-cedura, anche quelle, come nella specie, anteriori,posto che il rinvio agli artt. 223 e 224 l.fall., relati-vi a fatti di bancarotta fallimentare, presupponenecessariamente condotte anteriori all’avvio allaprocedura concorsuale (41).

b) L’elemento psicologico del reato

Per effetto del rinvio agli artt. 216 e 217 l.fall., l’e-lemento psicologico è quello stesso che le normerichiamate prevedono per i reati di bancarotta fal-limentare nel significato loro attribuito dalla dot-trina e dalla giurisprudenza (42). Si tratta di reatocommesso allo scopo di sottrarre proprie attività al-l’esecuzione concorsuale ed alle ragioni dei credito-ri concorrenti e, quindi, con dolo specifico. Occor-re, pertanto, non solo che il fatto materiale sia ilrisultato dell’esatta rappresentazione dell’oggettomateriale del reato e della risoluzione dell’agentedi realizzarlo, ma anche che il reato sia commessoallo scopo di pregiudicare le ragioni dei creditoriconcorrenti. Vale a dire che la legge richiede lasussistenza di un dolo specifico.

c) Soggetti attivi

Soggetti attivi del reato, ai sensi dell’art. 236, com-ma 2, n. 1, l.fall., sono gli amministratori, i diretto-

(37) Cass. pen. 26 gennaio 2000, n. 3736, in Dir. e prat.Soc., 2000, 11, 95; Cass. pen. 6 ottobre 1999, n. 12897, in Riv.pen., 2000, 153.

(38) E. Corucci, La bancarotta, 350; A. Rossi, Liquidatore delconcordato nominato ai sensi dell’art. 182 legge fall. e fatti dibancarotta: quali rapporti?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, 1,348; Cass. pen. 18 maggio 2012, n. 33230, in Foro it., 2013, 1,19; Cass pen., sez. un., 30 settembre 2010, n. 43428, ivi, 348.

(39) Corte cost. 18 maggio 1989, n. 268, in questa Rivista,1989, 1091; A. Barazzetta, Sub art. 236 l.fall., in G.U. Tedeschi(a cura di), Le procedure concorsuali, II, Le procedure concor-suali minori, Disciplina penale, Profili fiscali, Torino, 1996, 624.

(40) Cass. pen. 7 aprile 1993, n. 3330, secondo cui «per laconfigurazione del reato di bancarotta impropria ex art. 236cpv. n. 1, l.fall., è sufficiente il decreto di ammissione alla pro-cedura di concordato preventivo, senza che sia necessaria lasentenza di omologazione passata in giudicato, essendoviequiparazione tra la sentenza dichiarativa di fallimento e il det-to decreto, il quale presuppone pur sempre un accertamento

giudiziale dello stato di insolvenza, intervenuto il quale, si per-fezionano i fatti di bancarotta»; Cass. pen. 5 febbraio 1993, inRiv. pen. Economia, 1995, 104; Cass. pen. 7 luglio 1993, in Di-fesa pen., 1993, 40, 59; A. Barazzetta, Sub. Art. 236 l.fall., cit.,624.

(41) Cass. pen. 28 aprile 2010, n. 16504, secondo cui «in te-ma di reati fallimentari, le condotte distruttive poste in essereprima dell’ammissione al concordato preventivo rientrano nel-l’ambito previsionale dell’art. 236, comma 2, n. 1, l.fall., il qua-le, in virtù dell’espresso richiamo dell’art. 223 l.fall., punisce ifatti di bancarotta previsti dall’art. 216 l.fall., commessi da am-ministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di societàfallite»; Cass. pen. 12 gennaio 2010, n. 16504; Cass. pen. 29settembre 1983, in Cass. pen., 1985, 758; Cass. pen. 7 giugno1984, in Giust pen., 1985, II, 218. In dottrina v. M. La Monica,Manuale di diritto penale commerciale - Reati fallimentari, socie-tari e bancari, Milano, 1993, 575, e dottrina ivi citata; A. Baraz-zetta, Sub. Art. 236 l.fall., cit., 625.

(42) A. Barazzetta, Sub. art. 236 l.fall., cit., 626.

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ri generali, i sindaci e i liquidatori di società. Nonha dato luogo ad incertezze interpretative stabilirechi siano i soggetti attivi identificati con le deno-minazioni: amministratori, direttori generali e sin-daci, trattandosi di figure ben delineate nella disci-plina delle società commerciali. Contrasti, invece,vi sono stati sul significato dell’espressione “liqui-datori di società”, ritenendosi da una parte delladottrina e della giurisprudenza, che soggetti attividel reato sono, non solo i liquidatori che, ai sensidell’art. 2487 c.c., devono essere nominati quandogli amministratori di una società di capitali accer-tano il verificarsi di una causa di scioglimento dellasocietà medesima (c.d. liquidatori volontari), maanche i liquidatori della cessio honorum, che il tri-bunale, ai sensi dell’art. 182 l.fall., nomina col de-creto di omologazione del concordato preventivocon cessione dei beni (43). Successivamente, a se-guito di un puntuale intervento delle Sezioni Uni-te della Cassazione, è prevalsa la contraria condivi-sibile opinione secondo cui “i liquidatori di socie-tà” cui si riferisce il comma 2, n. 1, dell’art. 236l.fall., sono i liquidatori nominati ai sensi dell’art.2487 c.c., essendosi ritenuto, giustamente, che i li-quidatori giudiziali nominati ai sensi dell’art. 182l.fall., non sono in alcun modo assimilabili ai liqui-datori volontari, in quanto questi, al contrario deiprimi, nominati dal tribunale ed estranei all’orga-nizzazione della società, sono invece legati a questada un rapporto organico di rappresentanza (44).

d) La responsabilità per il danno dabancarotta fraudolenta concordataria

La commissione del reato di bancarotta fraudolen-ta, oltre che fondare - come qualsiasi altro reato -la responsabilità dell’autore per il danno criminale,è anche fonte della responsabilità dello stesso auto-re per i danni civili che al reato siano eziologica-mente riconducibili. Il c.d. danno criminale, intesoper tale quello che subisce lo Stato collettività eche viene sanzionato con la pena da infliggere alcolpevole attraverso l’avvio ufficioso di un giusto

processo penale, esorbita dai limiti di questo lavo-ro (45). Interessa, invece, soffermarsi brevementesul danno civile che è quello cagionato dal colpe-vole del reato e che, ai sensi dell’art. 185 c.p., è ri-sarcibile sia che consista in un depauperamentodel patrimonio del danneggiato per lucro cessanteo danno emergente, sia che consista invece in undanno non patrimoniale, ossia in un danno moralesoggettivo avvertito come perturbamento dello sta-to d’animo del danneggiato non valutabile in ter-mini pecuniari (46).Giova ricordare in proposito che, vigente il codicedi commercio del 1882, si è perfino dubitato dellastessa configurabilità di un danno risarcibile conse-guente ad un reato fallimentare, essendosi sostenu-to da autorevole dottrina del tempo, in cui vigevail codice di commercio del 1882, che non sarebbestato possibile esercitare l’azione civile nel processopenale per reati fallimentari a causa dell’asseritainidoneità di questi illeciti a generare un danno ri-sarcibile, quest’ultimo essendo, invece, riconduci-bile non ai fatti di bancarotta, bensì all’insolvenza,dolosa o colposa, che conduce alla dichiarazione difallimento (47).Ma, ormai, la questione è divenuta solo un ricordostorico, essendo oggi pacifico, per espresse normedi legge, che fonte dell’obbligo di risarcire i danniex delicto è anche il reato fallimentare, secondo ilprincipio di cui all’art. 185 c.p., e che, ai sensi del-l’art. 240 l.fall., il correlativo diritto al risarcimentopuò essere esercitato dal danneggiato anche nelprocesso penale mediante la costituzione di partecivile (48). Occorre solo precisare, come è stato os-servato, che il danno conseguente al reato falli-mentare “è insieme distinto e collegato” con ildanno derivante dall’inadempimento del creditoconcorsuale da insinuare al passivo; distinto perchési sostanzia in pregiudizio di fonte extracontrattua-le, ulteriore rispetto a quello derivante dall’ina-dempimento dell’obbligazione civile fonte del cre-dito da far valere con l’insinuazione al passivo delfallimento e per questo denominato anche “danno

(43) Cass. 26 maggio 2003, n. 22956, secondo cui l’esten-sione della norma incriminatrice ai liquidatori della cessio bo-norum era giustificata dalla lettera della disposizione, che nondistingue, sia dall’esigenza di assicurare la massima tutela del-l’integrità del patrimonio sociale.

(44) Cass. pen., sez. un., 7 dicembre 2010, n. 43428, inGiur. comm., 2012, II, 74, secondo cui, «il liquidatore dei benidel concordato preventivo con cessio bonorum, di cui all’art.182 l.fall., non può essere soggetto attivo dei reati di bancarot-ta di cui agli artt. 223 e 224, richiamati nell’art. 236, comma 2,n. 1, stessa legge, in quanto non espressamente menzionatotra gli autori propri dei suddetti reati, per come indicati dalla

disposizione da ultimo citata, né può essere ricompreso nellacategoria dei “liquidatori di società” menzionata dalla stessadisposizione»; conf. E. Corucci, La bancarotta e i reati fallimen-tari, Milano, 2013, 351; A. Rossi, Liquidatore del concordatonominato ai sensi dell’art. 182, cit.

(45) E. Amodio e O. Dominioni, Commentario del nuovo co-dice di procedura penale, I, Artt. 1-108, Milano, 1989, 440.

(46) G. Visintini, Trattato breve delle responsabilità civile,1999, 561.

(47) M. La Monica, Manuale di diritto penale commerciale,cit., 615; A. Barazzetta, Sub. Art. 236 l.fall., cit., 649.

(48) A. Barazzetta, Sub. Art. 236, l.fall., cit., 649.

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1144 il Fallimento 11/2014

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patrimoniale supplementare” (49); collegato, per-ché l’insoddisfazione del credito concorsuale perl’insolvenza del debitore costituisce il necessariopresupposto del danno cagionato dal reato (50).Proprio il fatto che l’obbligazione, nascente dalreato fallimentare, sia di natura delittuosa, e nonabbia la sua causa in un rapporto nascente da unadelle fonti delle obbligazioni regolate dal codice ci-vile, spiega come il commissario giudiziale possacostituirsi parte civile nel processo penale per l’e-sercizio del diritto al risarcimento dei danni anchecontro il fallito (51).Le considerazioni che precedono e, in particolare,il collegamento dei danni derivanti dal reato falli-mentare con l’inadempimento dei crediti concor-suali, spiegano perché i soggetti danneggiati dalreato di cui all’art. 236, comma 2, n. 1, l.fall., sonogli stessi creditori concorsuali della società concor-dataria, i quali, però, ai sensi dell’art. 240 l.fall.,agiscono per un danno ulteriore - c.d. “danno pa-trimoniale supplementare” - rispetto a quello costi-tuito dall’inadempimento dell’obbligazione aziona-ta con l’insinuazione al passivo. Spiegano ancheperché la legitimatio ad causam per l’esercizio dell’a-zione risarcitoria, limitatamente ai danni subiti daicreditori concorrenti nel passivo della società con-cordataria, sia ripartita, ai sensi dell’art. 240, tra ilcommissario giudiziale ed i creditori concorsualiche dal reato siano stati danneggiati (52).

4.5 Gli interessi rappresentati dalcommissario giudizialeGli interessi civili per la tutela dei quali il commis-sario promuove l’azione di risarcimento dei danniderivati da reati fallimentari sono quelli della massadei creditori indistintamente considerata, della qua-le non possono fare parte, ovviamente, quelli chenon hanno subito alcun danno e, ancor più, quelliche ne hanno tratto un vantaggio. La sua legittima-zione ad causam è stata qualificata come una sortadi sostituzione processuale sui generis nella misura incui si costituisce iure proprio, ma per fare valere inte-

ressi e diritti, purché si tratti di risarcimento deidanni patrimoniali derivanti dai reati previsti dal ti-tolo VI della legge fallimentare. Essa deriva diretta-mente dalla legge siccome legata alla sua qualità diorgano della procedura concordataria e ciò spiegaperché egli, per un verso, esercita la sua funzionesenza alcun bisogno di deleghe da parte dei creditorinell’interesse dei quali agisce, e, per altro verso, chenon agisce per loro uti singuli (53). Con qualche opi-nione dissenziente, fondata su un’interpretazioneletterale dell’art. 240 l.fall. (54), non si esclude, tut-tavia, che al commissario giudiziale spetti la legitti-mazione ad agire per reati non fallimentari se daquesti sia derivato alla società concordataria unqualche danno (55). Il quantum dei danni patrimo-niali risarcibili è pari, secondo l’opinione dei più, al-la differenza tra l’attivo in concreto realizzato equello che presumibilmente si sarebbe potuto realiz-zare se non fossero stati commessi i fatti di reato ivicompresi gli interessi (56).La legittimazione ad agire per il risarcimento deidanni non patrimoniali spetta, invece, in esclusiva,ai creditori concorsuali, trattandosi di un’ipotesi incui essi fanno valere, ai sensi dell’art. 240, cpv.,l.fall., “un titolo di azione propria personale”. I cre-ditori, singolarmente considerati, hanno pure legit-timazione ad agire per il risarcimento di danni pa-trimoniali, ma in tal caso a due condizioni: a) chesi tratti di danni derivanti dal reato di bancarotta -e non anche da altri reati fallimentari - b) e chemanchi la costituzione in giudizio del commissariogiudiziale. Ovviamente, quando agiscono per la tu-tela di propri diritti non patrimoniali, essi possonocostituirsi in giudizio, in aggiunta al commissario,dato che quest’ultimo agisce soltanto per il risarci-mento di danni patrimoniali.

5. Gli aspetti processuali dell’azione dirisarcimento

Illustrati gli aspetti sostanziali dell’azione di risarci-mento danni ex delicto attribuita al commissario

(49) R. Cantone, Il danno nei reati di bancarotta e la legitti-mazione alla costituzione di parte civile nel procedimento penaleper reati fallimentari, in Giust. civ., 2002, 5, 231.

(50) M. La Monica, Manuale di diritto penale commerciale,cit., 615-616; A. Barazzetta, Sub. Art. 236 l.fall., cit., 649.

(51) M. Robles, Abusivo finanziamento bancario e poteri diintervento del curatore fallimentare, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,2005, 3, 949.

(52) R. Cantone, Il danno nei reati di bancarotta e la legitti-mazione alla costituzione di parte civile nel procedimento penaleper reati fallimentari, cit., 231.

(53) M. La Monica, Manuale di diritto penale commerciale,cit., 616, che riconduce la legittimazione del commissario giu-

diziale allo schema della rappresentanza ex lege, soprattuttose si consideri che l’art. 240 ha voluto evitare le interferenzetra l’azione civile del curatore e del commissario e quella deisingoli creditori.

(54) R. Cantone, Il danno nei reati di bancarotta e la legitti-mazione alla costituzione di parte civile nel procedimento penaleper reati fallimentari, cit., 231.

(55) Cass. pen. 4 novembre 2009, n. 5447, in Guida al dirit-to, 2010, 15, 85.

(56) A. Barazzetta, Sub. art. 240 l.fall., cit., 650; F. Antolisei,Manuale di diritto penale - Leggi complementari - I reati falli-mentari e societari, Milano, 1959, 242.

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il Fallimento 11/2014 1145

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giudiziale ed ai creditori, resta da considerarne gliaspetti processuali alla luce dell’art. 240 l.fall.Occorre avvertire da subito che le norme proces-suali regolatrici della materia, attualmente vigenti,non danno luogo a difficoltà interpretative parago-nabili a quelle cui si è trovato di fronte il legislato-re del 1942. Questo, come si è detto, ha dettato ledisposizioni dell’art. 240 l.fall., «per dirimere i dub-bi che erano sorti nel periodo precedente sulla ipo-tizzabilità e ammissibilità dell’azione civile nei pro-cedimenti penali per reati fallimentari» (57), stabi-lendo senza possibilità di equivoci che dai reati fal-limentari derivavano danni patrimoniali e non pa-trimoniali e che il risarcimento di questi poteva es-sere richiesto dai danneggiati nel procedimento pe-nale, inserendo in esso la relativa azione civile me-diante costituzione di parte civile. Ha stabilito,inoltre, che quest’ultima spettava, nella misura enei limiti indicati, sia al commissario giudiziale cheai creditori concorsuali, come si addiceva al risarci-mento di un danno che, in misura maggiore, pre-giudicava indistintamente la comunità dei creditoriconcorrenti, senza sacrificare la possibilità di con-sentire a ciascuno di essi, uti singuli, di tutelare di-ritti loro personali. Non è neppure revocabile indubbio che i danneggiati potessero preferire eserci-tare la loro azione civile risarcitoria nella sua sedenaturale davanti al competente giudice civile, anzi-ché nel processo penale; ma in tal caso, vigendonel 1942 un sistema processuale notoriamente ca-ratterizzato dalla c.d. pregiudizialità penale e dallasospensione necessaria del processo civile ad essalogicamente correlata, si correva il rischio che ilprocesso civile, già pendente in sede civile, dovesseessere sospeso in caso di successivo inizio del pro-cesso penale. La decisione del giudice penale espli-cava sempre l’efficacia di cosa giudicata nel proce-dimento civile per il risarcimento pendente nellasua sede propria (58).Con la riforma del processo penale del 1988 e civi-le del 1990 il quadro normativo è mutato sensibil-mente con l’abbandono del principio sancito dal-l’art. 3, c.p.p. del 1930. Attualmente il processopenale ed il processo civile, ancorché vertenti suimedesimi fatti materiali, sono perfettamente auto-nomi ed autosufficienti, nel senso che si possono

svolgere separatamente senza alcuna interferenza tradi loro. Ai sensi del vigente art. 74 c.p.p., il com-missario giudiziale può, infatti, esercitare l’azionedi risarcimento dei danni civili nel processo penaleiniziato a carico dell’autore del reato, mediante lacostituzione di parte civile, in modo che il giudicepenale decida con unica sentenza sia sull’azione pe-nale che su quella civile. Ma egli ha pure la facoltàdi esercitarla separatamente nella sua sede propriadavanti al giudice civile, il quale potrà qualificareil fatto anche sotto il profilo penale e decidereautonomamente, senza che sia tenuto, in caso diinizio successivo del processo penale, a trasmetteregli atti al giudice procedente in quella sede, comeaccadeva prima. Ed è stato in base a questa facoltàche il commissario, nel caso concreto, ha potutoesercitare l’azione risarcitoria in un giudizio civile,senza il timore che questo dovesse essere sospesoper l’eventuale successiva instaurazione del proces-so penale. Ciò non esclude, però, che, ai sensi del-l’art. 75, comma 2, c.p.p., l’azione civile propostadavanti al giudice civile possa essere trasferita nelprocesso penale fino a quando in sede civile nonsia stata pronunciata sentenza di merito anche nonpassata in giudicato.Con le stesse modalità, ma nei limiti loro consenti-ti, possono agire per la tutela dei rispettivi diritti icreditori concorsuali. Ciascuno di essi può esercitareautonomamente l’azione civile per il risarcimentodei danni non patrimoniali cagionati da qualunquereato fallimentare mediante la costituzione di partecivile, ai sensi dell’art. 240 l.fall., anche nello stessoprocesso penale nel quale si sia costituito pure ilcommissario giudiziale per il risarcimento di dannipatrimoniali, trattandosi di diritti oggetto di “azionepropria personale” (art. 240, comma 2, l.fall.), la tu-tela dei quali è affidata per legge esclusivamente allaloro cura. Possono costituirsi parte civile anche perla tutela dei loro diritti patrimoniali, ma in tal casosoltanto per i danni derivanti dal reato di bancarot-ta e sempre che per il risarcimento degli stessi danninon si sia già costituito il commissario giudiziale.Ovviamente, anche i creditori, ove lo preferiscano,hanno facoltà di esercitare le loro azioni davanti algiudice civile, anziché mediante la costituzione diparte civile nel processo penale.

(57) R. Cantone, Il danno nei reati di bancarotta e la legitti-mazione alla costituzione di parte civile nel procedimento penaleper reati fallimentari, cit., 231.

(58) Cass. 17 febbraio 2010, n. 3820, in questa Rivista,2010, 5, 551, con Osservazioni, di R. Lottini, ivi, 552.

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1146 il Fallimento 11/2014

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Crisi d’impresa

Crediti prededucibiliDecreto legge 24 giugno 2014, n. 91 - conv. in Legge con modif., dall’art. 1, comma 1, L. 11agosto 2014, n. 116.

Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’ediliziascolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffeelettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea - G.U. n.144, 24 giugno 2014, Serie Generale

(Omissis).

Art. 22Misure a favore del credito alle imprese

(Omissis).7. L’articolo 11, comma 3-quater, del decreto-legge 23dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni,dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, è abrogato.(Omissis).Pur con ritardo rispetto alla conversione del D.L. so-pracitato, riteniamo opportuno riportare gli estremi

della disposizione menzionata e ricordare le aspre criti-che che erano state sollevate in occasione della prece-dente normativa sancita sulla necessità che si conclu-desse il procedimento concorsuale per potere benefi-ciare della prededucibilità dei crediti (cfr. lo scritto diG.B. Nardecchia, Le correzioni alla disciplina del con-cordato preventivo, in questa Rivista 2014, 389), nonsenza sottolineare il modo improprio in cui il nostrolegislatore esegue le riforme.

LegislazioneConcordato preventivo

il Fallimento 11/2014 1147

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In itinerenovità giurisprudenzialia cura di Massimo Ferro

FALLIMENTO

SOCIETÀ TRASFERITA ALL’ESTERO E TERMINE ANNUALE DI

CUI ALL’ART.10 L.FALL.

Cassazione, Sez. I, 9 luglio 2014, n. 15596 - Pres. Cec-cherini - Est. Di Virgilio - Sipe s.r.l. Nigeria Limited (Avv.Lagonegro, Cazzetta) c. P. ed al. (Avv. Baliva, Zamponi)(legge fallimentare artt. 10, 18; cod. civ. artt. 2437,2473)

Il trasferimento della sede all’estero di società costituitain Italia non determina l’estinzione del soggetto giuridicodi diritto italiano se, a seguito di tale evento (realizzato nellaspecie in Nigeria), vengano meno solo lo statuto personalee la nazionalità italiana della società che così assuma, per ilprincipio della sede, la nazionalità dello Stato verso cui vie-ne deliberato il trasferimento stesso e peraltro si mantengala continuità giuridica della società trasferita. Se tale feno-meno non comporta nemmeno la cessazione dell’attività,non v’è ragione di applicare il criterio delimitativo della fal-libilità proprio dell’art. 10 l.fall., che presupporrebbe, sem-mai, una cancellazione dal registro delle imprese (italiano)per le diverse ragioni del compimento del procedimento diliquidazione dell’ente o altra situazione equipollente allacessazione dell’attività d’impresa.

OPPOSIZIONE ALLO STATO PASSIVO ED OMESSA NOTIFICA

DEL RICORSO-DECRETO NEL TERMINE ASSEGNATO

Cassazione, Sez. I, 10 settembre 2014, n. 19018 - Pres.Vitrone - Est. Cristiano - L. (Avv. Lepera) c. Fall. IstitutoFondazione Papa giovanni XXIII(legge fallimentare artt. 98, 99; cod. proc. civ. artt. 154,156, 164, 291)

L’assegnazione del termine al ricorrente per la notificazio-ne dell’opposizione allo stato passivo e del decreto delgiudice di fissazione dell’udienza non involge il necessariorispetto di un adempimento di natura perentoria, quantoalla data, che l’art.99 l.fall. per questa fase non prevede.Ostano al riconoscimento della conseguente decadenzaper omesso rispetto del termine assegnato sia la mancataprevisione di siffatta sanzione, sia la centralità, in tale pro-cedimento, della data di deposito del ricorso, atto con cuisi instaura il rapporto con il giudice ed il processo, mentrela successiva notifica ha solo la funzione di innestare ilcontraddittorio. Difettando l’effetto preclusivo, invece affer-mato dal Tribunale di Paola, occorre in tali casi assegnareun nuovo termine che, in applicazione analogica dell’art.291 c.p.c., assumerà questa volta natura perentoria, sem-pre che il curatore (o altro controinteressato creditore) nonsi sia costituito, così sanando e con effetti ex tunc il viziodella notificazione. La Corte, infine, nega di poter accedere

ad un’interpretazione orientata al rispetto della giusta dura-ta del processo, preferendo dare rilievo al diritto all’accessoalla tutela giurisdizionale senza limitazioni formalistiche.

REVOCATORIA DI BENE ESPROPRIATO DALL’ISTITUTO DI

CREDITO FONDIARIO E AGGIUDICATO

Cassazione, Sez. I, 9 luglio 2014, n. 15606 - Pres. Cec-cherini - Est. Nazzicone - G. (Avv. Arcella) c. Fall. G.B.Futura s.c. a r.l. (Avv. Chianese)(legge fallimentare artt. 52,67; d.lgs. 1 settembre 1993,n. 385, art. 41; cod. proc. civ. artt. 100 e 115)

In caso di immobile oggetto di garanzia ipotecaria pre-stata secondo il regime del credito fondiario, il successivofallimento del debitore così finanziato (nella specie, unacooperativa) interferisce con i presupposti dell’azione re-vocatoria che il curatore intenda poi promuovere nel sensoche, laddove si sia dato previo (rispetto all’azione) corso al-tresì alla procedura espropriativa individuale, con ‘assegna-zione’ forzata del bene al creditore aggiudicatario, va ap-prezzato il diritto processuale del creditore privilegiatoad esperire comunque l’azione esecutiva, mentre se - co-me nella specie - non risulti residuo attivo dalla alienazio-ne forzata, l’organo concorsuale nemmeno potrebbe, aisensi dell’art. 41 t.u.l.b., partecipare alla distribuzione del ri-cavato, perdendo perciò interesse all’azione stessa. Ri-corre dunque una causa preclusiva all’assoggettamento di-retto del bene all’esecuzione concorsuale, essendole alter-nativa la vendita in sede esecutiva fondiaria e potendo ilcuratore solo chiedere il versamento all’istituto bancariodella somma assegnata, se vi sia stata omessa insinuazio-ne al passivo o incapienza del credito fondiario. Né è possi-bile chiedere al terzo acquirente la differenza tra il valoredel bene e l’importo eventualmente inferiore ricavato dal-l’esitazione forzata: se ciò avvenisse, il proprietario, comenella specie, sarebbe sottoposto ad un’inammissibile dop-pia esecuzione, dapprima in natura e poi per equivalente.

FALLIMENTO IN ESTENSIONE VERSO SOCI GIÀ CEDENTI LA

QUOTA CON ATTO OGGETTO DI RISOLUZIONE

PRONUNCIATA GIUDIZIALMENTE

Cassazione, Sez. I, 15 luglio 2014, n. 16169 - Pres. Ror-dorf - Est. Scaldaferri - P. e M. (Avv. Corvaglia) c. Fall.SMAV di Seino e Dima e al. (Avv. Valente)(legge fallimentare artt. 10, 147)

La pronuncia di risoluzione (con effetto retroattivo) dell’at-to di cessione delle quote sociali ad un terzo, resa dal tri-bunale e passata in giudicato, non è sufficiente di per sé afondare l’estensione nei confronti dei supposti cedenti delfallimento della società in nome collettivo già oggetto disiffatta partecipazione, allorché la sentenza ex art.147 l.fall.sia pronunciata una volta trascorso l’anno dall’atto con cui

Giurisprudenza

1148 il Fallimento 11/2014

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i soci hanno cessato di rivestire tale qualità. La risoluzionedella cessione delle quote sociali in sé non può far conside-rare i cedenti a tutti gli effetti soci anche nel periodo in cuile quote erano di fatto nella sola disponibilità del cessio-nario, con possibile esercizio da parte di questi dei dirittisociali. Né appare invocabile la tutela dei terzi, cui non sipuò attribuire di aver confidato, dall’iscrizione della cessio-ne nel registro delle imprese, altro che sulla responsabilitàdel cessionario, in fatto dichiarato fallito. Sembrando infineparadossale, come invece ritenuto dalla Corte d’appello diLecce, una coesistenza del fallimento sia del cessionarioche dei cedenti le quote, in difetto della persistenza di unaqualità di compartecipe occulta o in via di fatto, non deter-minando la responsabilità predetta il solo effetto retroattivodella sentenza di risoluzione.

MANCATO RISPETTO DEL TERMINE DILATORIO NEL

PROCEDIMENTO PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO E

LIMITI ALLA NULLITÀ

Cassazione, Sez. I, 3 settembre 2014, n. 18595 - Pres.Vitrone - Est. Nazzicone - P. (Avv. Cafasso) c. Mediofac-toring s.p.a. e al. (Avv. Galgano)(legge fallimentare art. 15; cod. proc. civ. art. 156)

L’omesso rispetto del termine dilatorio di 15 giorni, chedeve intercorrere tra la data di notificazione del decreto diconvocazione del debitore e la data dell’udienza, pur costi-tuendo in astratto causa di nullità per violazione del dirit-to di difesa, non integra tale fattispecie ove, facendosi ap-plicazione del principio generale di cui all’art.156 c.p.c.,l’atto, per come confezionato e notificato, abbia raggiun-to lo scopo. Compete invero al debitore evidenziare queglielementi rilevanti, sul piano probatorio, che avrebbe potutorichiamare o produrre se fossero stati rispettati i termini dicui all’art.15 l.fall. Se invero non viene prospettato un diver-so esito del procedimento, non è sufficiente causa di nullitàla mera denuncia in sé della violazione sui termini di convo-cazione e notificazione, quando manchi la specifica indica-zione del pregiudizio connesso al minor tempo di difesa.

INEFFICACIA DI ATTI DEPAUPERATIVI DEL PATRIMONIO E

CONDANNA ALLA RESTITUZIONE O AL CONTROVALORE DEI

BENI

Cassazione, Sez. I, 29 luglio 2014, n. 17196 - Pres. Cec-cherini - Est. Di Virgilio - International Tele radio s.r.l.(Avv. Manfellotto) c. C. Fall. Spazio TV s.a.s. di Tacconie al.(legge fallimentare artt. 44, 67; cod. civ. art. 2901)

Le azioni dirette a far pronunciare la inefficacia di atti de-pauperativi del patrimonio dell’impresa fallita (nella spe-cie, ai sensi dell’art. 44 l.fall.) non producono di per sé laconseguenza di far rientrare i beni nel patrimonio da cui so-no fuoriusciti, ma solo quello di rendere detti atti inefficacinei confronti dei creditori, come se appartenessero ancoraal patrimonio, così che ne possa disporre il curatore: la re-stituzione dei beni è un risultato implicito nella pronunciad’inefficacia nella misura in cui la materiale disponibilità sianecessaria per assicurare la liquidazione. Non vi è peraltronecessità che la domanda di restituzione sia prospettata inmodo esplicito a corredo di quella di inefficacia e perciò

anche la restituzione per equivalente è da considerarsi –senza necessità di mutamento della domanda - implicita-mente compresa in quella di inefficacia stessa, per il casosia materialmente impossibile la restituzione. Così, e vice-versa, nella specie il principio è stato ribadito allorché lacuratela aveva chiesto la restituzione per equivalente, sulpresupposto dell’impossibilità materiale della restituzione ela domanda non sia stata accolta per impossibilità di deter-minare il valore complessivo dei beni, ma ne sia stata inve-ce (correttamente) affermata la parziale restituzione, comeeffetto della inefficacia della cessione.

CONCORDATO PREVENTIVO

REVOCA DELL’AMMISSIONE AL CONCORDATO PER ATTI DI

FRODE E AMMISSIBILITÀ IMMEDIATA DELL’ISTANZA DI

FALLIMENTO

Cassazione, Sez. I, 29 luglio 2014, n. 17191- Pres. Ror-dorf - Est. Di Virgilio - Fall. Cesit s.r.l. (Avv. Mirone) c.Min. Sv. Ec. ed al.(artt. 18, 173, 179 legge fallimentare)

Ribadita la possibilità che, ad integrare i presupposti dellarevoca dell’ammissione al concordato, concorra la dolosaomissione della denuncia di uno o più crediti da parte deldebitore, alla stregua di condotta volta ad occultare situa-zioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori,la S.C. chiarisce che, sul piano soggettivo, oltre al dolo, ba-sta la volontarietà del fatto, non richiedendo la descrittafraudolenza sempre anche la preordinazione dolosa del fat-to decettivo, ma essendo sufficiente la mera potenzialitàsviativa del consenso informato. L’impulso alla predetta re-voca può condurre altresì al fallimento quando, provenen-do da un creditore la relativa istanza, essa sia avanzata onel subprocedimento di cui all’art.173 l.fall. od anche nelgiudizio di omologazione: ciò che rileva è l’evidenziazionedell’interesse del creditore, senza che i due citati procedi-menti debbano essere assunti in una rispettiva assolutaautonomia e separatezza, posto che, venuta meno l’am-missione al concordato, nemmeno è possibile trascorrereall’omologazione stessa. Ne consegue che ben è compati-bile con l’istituto la celebrazione di un’unica fase camera-le, per la trattazione delle due diverse vicende, revoca eomologazione, la prima essendo pregiudiziale e potendo ilprocedimento di omologazione semplicemente definirsicon la sentenza di revoca e la dichiarazione di fallimento.Se poi, come nel caso, la corte d’appello abbia erratamen-te revocato il fallimento, sul presupposto di una rigida rile-vazione della mancata proposizione (o reiterazione) dell’i-stanza di fallimento, non fatta valere nel procedimento exart.173 l.fall. bensì nel giudizio di omologazione ex art.179l.fall., il giudice di legittimità, anziché disporre il rinvio (cherimetterebbe alla corte d’appello la decisione sull’istanza difallimento), se non vi sono altri accertamenti decide nelmerito ex art. 384, comma 2, c.p.c. e, cassando, stabilizzala dichiarazione di fallimento, che resta quella già resa, an-che tenuto conto che sarebbe privata di effetti solo col pas-saggio in giudicato della sentenza di accoglimento del re-clamo.

Giurisprudenza

il Fallimento 11/2014 1149

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Il trust liquidatorionon è riconoscibilenell’ordinamento italianoCassazione Civile, Sez. I, 9 maggio 2014, n. 10105 - Pres. Vitrone - Est. Nazzicone - P.M. DelCore -S.F. (Avv. Carloni) c. Equitalia sud S.p.A. (Avv. Francesco) e Fallimento n. 590/2011 dellaAssioma s.r.l. in liquidazione (Avv. Leozappa).

Fallimento - Dichiarazione - Imprenditore cessato - Impresa svolta in forma societaria - Termine dell’anno - Decorrenza- Dalla data di effettiva cancellazione - Configurabilità

(legge fallimentare art. 10; cod. civ. art. 2495; d.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, art. 11)

Ai sensi dell’art. 10 l.fall., ai fini della decorrenza del termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fal-limento di un’impresa svolta in forma societaria, occorre fare riferimento alla data della sua effettiva cancella-zione dal registro delle imprese, a nulla rilevando nei confronti dei terzi il diverso momento in cui la relativadomanda sia stata presentata presso il registro delle imprese.

Fallimento - Dichiarazione - Audizione del debitore - Diritto di difesa - Conferimento dell’azienda della società debitricein un “trust” liquidatorio - Integrazione del contraddittorio nei confronti del “trust” - Necessità - Esclusione - Fondamen-to

(legge fallimentare art. 15; cod. proc. civ. artt. 101 e 102; l. 16 ottobre 1989 n. 364)

Il “trust” non è un ente dotato di personalità giuridica, ma un insieme di beni e rapporti destinati ad un finedeterminato e formalmente intestati al “trustee”, che è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzinon quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto. Ne consegue che esso non è litiscon-sorte necessario nel procedimento per la dichiarazione di fallimento della società che vi ha conferito l’interasua azienda, comprensiva di crediti e di debiti, provvedendo successivamente alla sua cancellazione dal regi-stro delle imprese, in quanto l’effetto proprio del “trust” non è quello di dare vita ad un nuovo soggetto di di-ritto, ma quello di istituire un patrimonio destinato ad un fine prestabilito.

Fallimento - Effetti sui rapporti giuridici preesistenti - Trust - Contenuto liquidatorio - Nullità - Estensione agli atti segre-tativi

(Convenzione dell’Aja art. 15, lett. e)

Il conflitto del trust con la disciplina inderogabile concorsuale ne determina una sorta di inesistenza giuridicanel diritto interno con conseguente disconoscimento da parte del giudice del merito, ogni qualvolta deve es-sere accertata l’insolvenza o dichiarato il fallimento. In particolare, il c.d. trust liquidatorio costituito da unasegregazione patrimoniale di tutto il patrimonio aziendale per provvedere, in forme privatistiche, alla liquida-zione dell’azienda sociale - è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., allorché abbia l’effetto di sottrarre agli organidella procedura fallimentare la liquidazione dei beni in contrasto con le norme imperative concorsuali, secon-do le espresse regole di esclusione previste dall’art. 13, e art. 15, lett. e), della convenzione dell’Aja del 1 luglio1985 (massima non ufficiale).

La Corte (omissis).

1.- I motivi. La società fallita deduce:1) la violazione della l.fall., artt. 10 e 15, art. 2495 c.c.,e art. 75 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto le-gittimato a partecipare al procedimento per la dichiara-

zione di fallimento, per conto della società, l’ultimo li-quidatore, sebbene la società sia ormai cancellata dal re-gistro delle imprese e dunque estinta, onde l’istanza perla dichiarazione di fallimento avrebbe dovuto essere no-tificata a tutti i soci;

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2) la violazione degli artt. 156, 257 e 160 c.p.c., peravere la corte d’appello reputato valida la notificazionedell’istanza al liquidatore, privo ormai di ogni collega-mento con la società estinta, trattandosi di notificazio-ne inesistente;3) l’omessa o insufficiente motivazione circa la decor-renza del termine annuale di cui alla l.fall., art. 10, dallaCorte territoriale individuata nel momento dell’avvenu-ta iscrizione della cancellazione nel registro delle impre-se, in luogo che dalla domanda, risalente al giorno 11novembre 2010, senza considerare che, invece, l’effettodella cancellazione deve retroagire a tale data;4) la violazione della l.fall., art. 10, e art. 2495 c.c., peravere la corte d’appello ancorato la decorrenza del ter-mine in questione all’effettiva iscrizione nel registrodelle imprese della cancellazione della società, contro ilprincipio generale, espresso in tema di notificazioni, se-condo cui i tempi tecnici degli uffici pubblici non pos-sono gravare sulla parte che presenta l’istanza; e tenutoconto del fatto che il termine annuale per l’imprendito-re persona fisica decorre dal suo venir meno, non dalladata di registrazione dell’evento, mentre anche l’ipotecaha effetto costitutivo sin dalla domanda;5) la contraddittoria motivazione in ordine all’esistenzadello stato di decozione, nonostante la costituzione deltrust proprio al fine di liquidare l’ingente patrimonioaziendale, senza tenere conto del fatto che, pur reputan-do inopponibile od invalido il trust, la conseguenza sa-rebbe l’attribuzione alla società del patrimonio conferitoe l’inesistenza dell’insolvenza;6) la violazione degli artt. 101 e 102 c.p.c., per non es-sere stato convocato nel procedimento anche il trust,dal momento che la corte del merito si è pronunciatacirca la validità del medesimo, sia pure incidentalmen-te;7) la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la corted’appello affermato l’invalidità del trust, sebbene nondomandata dalla creditrice istante Equitalia Sud s.p.a.;8) l’omessa o insufficiente motivazione sui fatti compro-vanti la liceità del trust, sebbene documentati dalla so-cietà, quali la segregazione dei beni conferiti rispetto alpatrimonio personale del trustee, la disponibilità dei be-ni a favore dei creditori, che di esso sono i beneficiari,la condizione risolutiva apposta al trust per l’ipotesi difallimento della società preponente, il compimento diuna serie di attività in favore della liquidazione e lamessa a disposizione del curatore di tutto quanto in pos-sesso del trust.2. - Società cancellata e fallimento. Il primo ed il se-condo motivo, da trattare congiuntamente, in quantofra di loro connessi, sono infondati.Come ormai chiarito dalle Sezioni Unite nel 2013 (sez.un., 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072), il legisla-tore ha operato una fictio limitata alla procedura falli-mentare.Hanno precisato le Sezioni unite che alla situazioneprocessuale della società cancellata dal registro delle im-prese in seguito a liquidazione la legge pone un’eccezio-ne con la l.fall., art. 10: ove il fallimento venga dichia-rato entro un anno dalla cancellazione, la società (in

persona del legale rappresentante) continua ad esseredestinataria della sentenza dichiarativa e delle successi-ve vicende impugnatorie: è una fictio iuris che postula lasocietà esistente, ma ai soli fini del fallimento, nel qualedunque il contradditorio si instaura con l’ultimo rappre-sentante legale, ossia l’amministratore o il liquidatore.Il principio, che in precedenza era stato già affermato(Cass. 5 novembre 2010, n. 22547) ed in seguito è statoribadito in fattispecie del tutto simili alla presente(Cass., sez. I, 30 maggio 2013, n. 13659; 11 luglio 2013,n. 17208; 26 luglio 2013, n. 18138; 13 settembre 2013,n. 21026; 6 novembre 2013, n. 24968), implica una fic-tio di esistenza del soggetto collettivo, ai soli fini dell’i-struttoria prefallimentare e delle successive impugnazio-ni.Né è fondata la tesi della ricorrente, secondo cui lal.fall., art. 10, postulerebbe la notificazione ai soci, enon alla società, in parallelismo all’ipotesi dell’impren-ditore individuale, dal momento che in quest’ultimo ca-so i successori universali sono gli unici soggetti con inquali è ipotizzabile l’instaurazione del contraddittorio,ma la loro posizione non è assimilabile in toto a quelladel fallito, tanto che non ne occorre l’audizione se nonabbiano compiuto atti di prosecuzione dell’impresa; lad-dove, per le società, l’instaurazione del contraddittoriocon gli organi sociali è funzionale, al tempo stesso, alleesigenze dell’istruttoria prefallimentare e alla difesa del-l’impresa (in termini, la citata Cass., sez. I, 26 luglio2013, n. 18138).3. - Il dies a quo l.fall., ex art. 10. Il terzo ed il quartomotivo possono essere esaminati congiuntamente, inquanto entrambi vertenti sul dies a quo della decorrenzatermine annuale di cui alla l.fall., art. 10, e sono infon-dati.Il testo originario della l.fall., art. 10, prevedeva chel’imprenditore, che pure avesse “cessato l’esercizio del-l’impresa”, potesse essere dichiarato fallito entro un an-no (sempre che l’insolvenza si fosse manifestata ante-riormente o nell’anno successivo), con espressione tut-tavia non univoca, potendo riferirsi sia alla cancellazio-ne della società e sia alla mera disgregazione dell’azien-da come iniziativa imprenditoriale.L’orientamento dominante in giurisprudenza reputavanon cessata l’impresa collettiva sino a quando esistesse-ro rapporti pendenti, con conseguente ammissibilitàdella liquidazione concorsuale; la sentenza della Cortecostituzionale del 21 luglio 2000, n. 319 dichiarò lanorma incostituzionale, nella parte in cui non prevede-va che il termine annuale per la dichiarazione di falli-mento dell’impresa collettiva decorresse, per le società,dalla cancellazione dal registro delle imprese.Il nuovo testo della l.fall., art. 10, risultante dal D.Lgs.9 gennaio 2006, n. 5, art. 9, con l’espressione “cancella-zione” ha recepito il portato del giudice delle leggi dive-nendo l’iscrizione della cancellazione il dies a quo deltermine annuale per la fallibilità delle società cancella-te.Nessun elemento autorizza ad interpretare la disposizio-ne con riferimento alla diversa data di presentazionedella domanda di iscrizione. Il registro delle imprese,

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per la sua funzione pubblicitaria, dichiarativa o costitu-tiva degli effetti, impone l’iscrizione dell’evento; e lalegge prevede il prodursi degli effetti proprio dal mo-mento in cui l’iscrizione è avvenuta (cfr. già gli artt.2193 e 2448 c.c.), a tutela dei terzi; mentre l’esigenza diseguire un procedimento amministrativo per giungereall’iscrizione stessa resta irrilevante i fini predetti, chepossono dirsi raggiunti soltanto con il suo perfeziona-mento.Del resto, laddove l’ordinamento ha voluto ammettereeffetti retroattivi dell’iscrizione rispetto a tale momento,lo ha espressamente previsto (art. 2504 bis c.c., che po-ne il criterio generale ex lege di decorrenza degli effettidalla data dell’ultima iscrizione dell’atto di fusione, de-rogabile, nel rispetto di determinati presupposti, conpattuizione di una data antecedente o posteriore e soloriguardo a specifici profili; art. 2504 decies c.c.).Né, come assume invece la ricorrente, può operarsi al-cuna analogia, attese le rationes affatto distinte, con glieffetti della notificazione di un atto del processo, ovevige il principio della scissione del momento perfeziona-tivo della notificazione per il richiedente e per il desti-natario, o con l’ipotesi dell’imprenditore persona fisica,ove non è certo l’evento formale della iscrizione - a dif-ferenza che per le società di capitali - a produrre l’effet-to estintivo.In modo speculare, questa Corte ha già statuito che lafallibilità dell’imprenditore purché la dichiarazione per-venga entro il termine di un anno dalla cancellazionedal registro delle imprese, pur ponendo a carico del cre-ditore che ha tempestivamente presentato istanza di fal-limento il rischio della durata del relativo procedimen-to, non è in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.: ed haosservato in particolare come, con riferimento al dirittodi difesa, la previsione di un termine annuale rappresen-ta il punto di mediazione nella tutela di interessi con-trapposti, quali, da un lato, quelli dei creditori, e, dal-l’altro, quello generale alla certezza dei rapporti giuridici(Cass., sez. I, 12 aprile 2013, n. 8932).La stessa esigenza di certezza si pone con riguardo allaquestione all’esame, in ordine alla quale deve, in con-clusione, affermarsi il principio che, ai sensi della l.fall.,art. 10, ai fini della decorrenza del termine annuale en-tro il quale può essere dichiarato il fallimento di un’im-presa svolta in forma societaria, occorre fare riferimentoalla data della sua effettiva cancellazione dal registrodelle imprese, a nulla rilevando nei confronti dei terzi ildiverso momento in cui la relativa domanda sia statapresentata presso il registro delle imprese.4. - Il trust. I rimanenti motivi, dal quinto all’ottavo,vertono sull’avvenuta istituzione del c.d. trust liquidato-rio e sulla rilevanza del medesimo, al fine di reputare in-tegro il contraddittorio nel procedimento per la dichia-razione di fallimento e raggiunti gli effetti che con que-sto istituto la società ha voluto perseguire.5. - Insussistenza della soggettività del trust. In ordine alsesto motivo, da trattare con priorità per ragioni d’ordi-ne logico-giuridico, nessuna violazione degli artt. 101 e102 c.p.c., sussiste, per non essere stato convocato nelprocedimento il trust, dal momento che, a tacer d’altro,

questo non costituisce un soggetto a sé stante, ma uninsieme di beni e rapporti con effetto di segregazionepatrimoniale.Secondo l’art. 2 della Convenzione dell’Aja del 1 luglio1985, relativa alla legge applicabile ai trust ed al loro ri-conoscimento, resa esecutiva in Italia con L. 16 ottobre1989, n. 364, per trust s’intendono “i rapporti giuridiciistituiti da una persona, il disponente - con atto tra vivio mortis causa - qualora dei beni siano stati posti sotto ilcontrollo di un trustee nell’interesse di un beneficiario oper un fine determinato”, caratterizzato dal fatto che “ibeni in trust costituiscono una massa distinta e non so-no parte del patrimonio del trustee” venendo essi “inte-stati al trustee o ad un altro soggetto per conto del tru-stee”, che ha il potere e l’obbligo, “di cui deve rendereconto, di amministrare, gestire o disporre dei beni inconformità alle disposizioni del trust e secondo le nor-me imposte dalla legge al trustee”.Come questa Corte ha già ritenuto (Cass., sez. II, 22 di-cembre 2011, n. 28363, in tema di sanzioni amministra-tive relative alla circolazione stradale), il trust non è unsoggetto giuridico dotato di una propria personalità edil trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporticon i terzi, non quale “legale rappresentante” di un sog-getto (che non esiste), ma come soggetto che disponedel diritto.L’effetto proprio del trust validamente costituito è dun-que quello non di dar vita ad un nuovo soggetto, maunicamente di istituire un patrimonio destinato al fineprestabilito.6. - Rilevabilità d’ufficio dell’illiceità. È infondato il set-timo motivo del ricorso, perché la rilevabilità d’ufficiodell’inefficacia o nullità dell’atto istitutivo del trust, sucui la società fallita pretende fondare l’insussistenza deirequisiti del fallimento, escluderebbe già la violazionedell’art. 112 c.p.c., da parte della sentenza impugnata (esi ricorda qui l’ampiezza della rilevabilità d’ufficio di ta-le vizio, secondo Cass., sez. un., 4 settembre 2012, n.14828); mentre, più precisamente, di non riconoscibili-tà si tratta (v. infra).7. - Trust liquidatorio e insolvenza. Il quinto e l’ottavomotivo possono essere trattati congiuntamente, ponen-do entrambi, sotto il profilo del vizio di motivazione dicui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la questione dellaliceità ed efficacia del trust in esame e degli eventualieffetti della sua illiceità, ravvisata dalla corte d’appello,con riguardo al requisito dell’insolvenza della società alfine di fondare la dichiarazione di fallimento.7.1. - La Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, resaesecutiva in Italia con la citata L. n. 364/1989, qualeconvenzione di diritto internazionale privato, regola lapossibilità del riconoscimento degli effetti in Italia adun particolare strumento di autonomia negoziale pro-prio dei sistemi di common law, il trust. L’eventuale ri-conoscimento comporta che il trust sia regolato dallalegge scelta dalle parti o da quella individuata secondole regole della stessa convenzione (artt. 6-10); l’atto ditrasferimento dei beni in trust resta, invece, regolatodalla lex fori (art. 4).

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Peraltro, in ragione della estraneità dello strumento agliistituti giuridici di molti ordinamenti, la Convenzionedell’Aja contiene plurimi limiti di efficacia per il trustnell’art. 13, art. 15, comma 1, lett. e), artt. 16 e 18.La prima norma, nell’ambito di quelle deputate proprioa regolare le condizioni del riconoscimento, prevede:“Nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui ele-menti significativi, ad eccezione della scelta della leggeapplicabile, del luogo di amministrazione o della resi-denza abituale del trustee, siano collegati più stretta-mente alla legge di Stati che non riconoscono l’istitutodel trust o la categoria del trust in questione”. Essa èdunque rivolta agli Stati e costituisce una norma di pre-ventiva chiusura.Le altre, collocate fra le disposizioni generali, a loro vol-ta prevedono alcune condizioni, e su di esse si torneràoltre.7.2. - Ciò che caratterizza in generale il trust, secondola definizione dell’art. 2 della Convenzione, è lo scopodi costituire una separazione patrimoniale in vista delsoddisfacimento di un interesse del beneficiario o delperseguimento di un fine dato. I beni vengono separatidal restante patrimonio ed intestati ad altro soggetto,parimenti in modo separato dal patrimonio di quest’ul-timo.Quello enunciato costituisce, tuttavia, lo schema gene-rale (se si vuole, la causa astratta) di segregazione patri-moniale propria dello strumento in esame, che si inseri-sce nell’ambito della più vasta categoria dei negozi fidu-ciari, e nel quale quindi un soggetto viene incaricato disvolgere una data attività per conto e nell’interesse diun altro, secondo un prestabilito programma ed in misu-ra più continuativa e complessa rispetto al mandato; diconseguenza, ne sono sovente oggetto non solo singolibeni, ma anche un complesso di situazioni soggettiveunitariamente considerato, come l’azienda, che vieneintestata ad altri.Tuttavia, il “programma di segregazione” corrispondesolo allo schema astrattamente previsto dalla Conven-zione, laddove il programma concreto non può che ri-sultare sulla base del singolo regolamento d’interessi at-tuato, la causa concreta del negozio, secondo la nozioneda tempo recepita da questa Corte (tanto da esimere dacitazioni). Quale strumento negoziale “astratto”, il trustpuò essere piegato invero al raggiungimento dei più variscopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valu-tarne la liceità, le circostanze del caso di specie, da cuidesumere la causa concreta dell’operazione: particolar-mente rilevante in uno strumento estraneo alla nostratradizione di diritto civile e che si affianca, in modoparticolarmente efficace, ad altri esempi di intestazionefiduciaria volti all’elusione di norme imperative.7.3. - Questa Corte ha avuto occasione di pronunciarsisu taluni profili dell’istituto: così Cass., sez. I, 13 giugno2008, n. 16022, sul trust familiare, qualificato munus didiritto privato, che si sostanzia non nel compimento diun singolo atto giuridico, bensì in un’attività multifor-me e continua, peraltro arrestandosi la sentenza su pro-fili di inammissibilità e riguardando un trust internazio-nale e non interno; Cass., sez. II, 8 ottobre 2008, n.

24813, che, nell’escludere ricorresse un patto successo-rio vietato ex artt. 458 e 589 c.c., in ordine alle disposi-zioni testamentarie poste in essere da due soggetti e di-rette a costituire un’unica fondazione nominandola ere-de universale, ha riflettuto sulla tendenza alla progressi-va erosione della portata del divieto dei patti successori,evidenziata, salvi i diritti dei legittimari, dal recepimen-to nella normativa nazionale dell’istituto di common lawdel trust; la già menzionata sentenza Cass., sez. II, 22 di-cembre 2011, n. 28363, che ne ha negato la soggettivi-tà; Cass., sez. VI, ord. 19 novembre 2012, n. 20254, laquale ha ritenuto necessario accertare se, in caso d’inte-stazione di beni immobili al trust, esso risponda anche aragioni economico-sociali, o se invece non abbia l’e-sclusiva funzione di consentire un risparmio fiscale; sot-to il profilo penale, Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2011,n. 13276 si è occupata della confisca dei beni in trust,qualora esso risulti una mera apparenza (il c.d. shamtrust).Non si è ancora pronunciata, invece, questa Corte sultrust liquidatorio.È peraltro diffuso, presso i giudici di merito, l’orienta-mento secondo cui il c.d. trust liquidatorio segregazionepatrimoniale di tutto il patrimonio aziendale istituitaper provvedere, in forme privatistiche, alla liquidazionedell’azienda sociale - è nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c.,allorché abbia l’effetto di sottrarre agli organi della pro-cedura fallimentare la liquidazione dei beni in contrastocon le norme imperative concorsuali, secondo le espres-se regole di esclusione previste dall’art. 13, e art. 15,lett. e), della convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985.A questa tesi aderisce anche la sentenza impugnata.Reputa la Corte che l’orientamento vada condiviso,con le precisazioni che seguono.7.4. - Ove il trust intervenga con finalità di liquidazionedel patrimonio sociale segregato, in astratto tre le situa-zioni che possono configurarsi: a) il trust viene conclusoper sostituire in toto la procedura liquidatoria, al fine direalizzare con altri mezzi il risultato equivalente di recu-perare l’attivo, pagare il passivo, ripartire il residuo ecancellare la società; b) il trust è concluso quale alterna-tiva alle misure concordate di risoluzione della crisid’impresa (c.d. trust endo-concorsuale); c) il trust vienea sostituirsi alla procedura fallimentare ed impedisce lospossessamento dell’imprenditore insolvente (c.d. trustanticoncorsuale).Nel primo caso, potrebbe dirsi lo strumento vietato,qualora si esiga che esso, per essere riconosciuto nel no-stro ordinamento, assicuri un quid pluris rispetto a quelligià a disposizione dell’autonomia privata nel diritto in-terno. Non sembra però che l’ordinamento impongaquesto limite, alla luce del sistema rinnovato dalle rifor-me attuate negli ultimi anni, che ammettono la gestio-ne concordata delle stesse crisi d’ impresa.Nelle altre due fattispecie, poi, la causa concreta va sot-toposta ad un vaglio particolarmente attento e, in casodi esito negativo, il trust sarà non riconoscibile, non po-tendo l’ordinamento fornire tutela ad un regolamentodi interessi che, pur veicolato da negozio in astratto ri-conoscibile in forza di convenzione internazionale, in

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concreto contrasti con i fini di cui siano espressionenorme imperative interne.La ricerca di soluzioni alternative, che riescano a scon-giurare il fallimento, è vista con favore dal legislatoredegli ultimi due lustri, svolgendosi peraltro pur sempretali iniziative negoziate sotto il controllo del ceto credi-torio o del giudice; e qui potrebbe inquadrarsi il feno-meno sub b), nella logica di una valorizzazione negozia-le, che non contraddice comunque la natura officiosadella procedura e la sua funzione di tutelare l’ordineeconomico, anche perché la soluzione concordata noninvestirebbe tutte le fasi dell’accertamento dei crediti,dell’acquisizione dell’attivo, del riparto, ma solo talunimomenti specifici e tenuto, altresì, conto che le novellefallimentari hanno ampliato l’ambito dell’autonomianegoziale (escludendo alcuni pagamenti dall’area diquelli revocabili, mediante i piani di risanamento atte-stati di cui alla l.fall., art. 67, comma 3, lett. d), il con-cordato e gli accordi di ristrutturazione l.fall., ex art. 67,comma 3, lett. e), e potendosi prevedere trattamentidifferenziati fra creditori appartenenti a classi diversenell’ambito delle proposte di concordato fallimentare epreventivo l.fall., ex art. 124, comma 2, lett. b), e art.160, comma 1, lett. d)).Al contrario, l’alternatività degli strumenti lecitamenteutilizzabili va esclusa, qualora - come nel caso sub c) -non due istituti privatistici si comparino, ma strumentidi cui l’uno, quale il trust, ancorato a regole ed interessicomunque privati del disponente, e l’altro di naturaschiettamente pubblicistica, qual è la procedura concor-suale, destinata a sopravvenire nel caso di insolvenza atutela della par condicio creditorum e che non è surroga-bile da strumenti che (ove pure siano trasferiti al trusteeanche i rapporti passivi) né garantiscono tale parità, néescludono procedure individuali, né prevedono trattati-ve vigilate con i creditori al fine della soluzione concor-data della crisi, né contemplano alcun potere di ammi-nistrazione o controllo da parte del ceto creditorio o diun organo pubblico neutrale.Del pari, altro è rispetto alle soluzioni negoziali dellecrisi d’impresa il realizzare un’operazione - come il tra-sferimento in trust dell’azienda sociale - elusiva del pro-cedimento concorsuale e degli interessi più generali allacui soddisfazione esso è preposto: operazione che, sottole vesti di attribuire ai creditori la posizione di benefi-ciari, non permetta loro la condivisione del governo delpatrimonio insolvente, in una situazione per essi privadi utilità in ragione dell’insindacabile amministrazionedel fondo in trust.Ove, pertanto, la causa concreta del regolamento intrust sia quella di segregare tutti i beni dell’impresa, ascapito di forme pubblicistiche quale il fallimento, chedetta dettagliate procedure e requisiti a tutela dei credi-tori del disponente, l’ordinamento non può accordarvitutela. Il trust, sottraendo il patrimonio o l’azienda alsuo titolare ed impedendo una liquidazione vigilata - inquanto rimette per intero la liquidazione dell’attivo alladiscrezionalità del trustee - determina l’effetto, non ac-cettabile per il nostro ordinamento, di sottrarre il patri-monio del debitore ai procedimenti pubblicistici di ge-

stione delle crisi d’impresa ed all’attivo fallimentare del-la società settlor il patrimonio stesso.7.5. - Ciò posto, occorre determinare le conseguenze ditale contrasto con i richiamati principi e discipline del-l’ordinamento.Come sopra accennato, secondo la Convenzione dell’A-ja il trust è regolato dalla legge scelta dal disponente(art. 6) o, ma solo in mancanza di scelta, dalla leggecon la quale ha collegamenti più stretti in dipendenzadel luogo di amministrazione del trust, dell’ubicazionedei beni, della residenza o domicilio del trustee e delluogo in cui lo scopo va realizzato (art. 7), disciplinandola legge così determinata la validità, l’interpretazione,gli effetti e l’amministrazione del trust (art. 8).Ove pertanto, come si desume nella specie dal ricorso,il trust sia regolato dalla legge di Jersey (ChannelIslands), la validità del medesimo, se lo si vuole riguar-dare quale atto istitutivo, andrebbe vagliata alla streguadi quella disciplina (nata per permettere con una certaampiezza il ricorso allo strumento fiduciario).Ma al vaglio di validità secondo il diritto straniero pre-scelto è preliminare la formulazione di un giudizio di ri-conoscibilità del trust nel nostro ordinamento, nel raf-fronto con le norme inderogabili e di ordine pubblicoin materia di procedure concorsuali. E poiché il trust -secondo gli accertamenti di merito della sentenza impu-gnata, che ha ravvisato come esso fu costituito in unasituazione di insolvenza - si palesa oggettivamente in-compatibile con queste, lo strumento, ponendosi in de-roga alle medesime, sarà “non riconoscibile” ai sensidell’art. 15 della Convenzione.Tale norma, invero, espressamente prevede che la Con-venzione non possa costituire “ostacolo all’applicazionedelle disposizioni della legge designata dalle norme delforo sul conflitto di leggi” in tema di “protezione deicreditori in caso di insolvenza” (ed applicandosi a socie-tà italiana disponente le disposizioni della legge falli-mentare interna), e l’ultimo comma aggiunge che “qua-lora le disposizioni del precedente paragrafo siano diostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercheràdi attuare gli scopi del trust in altro modo”, così dunquepalesando che proprio al giudice compete, e proprio peri motivi elencati nel primo comma, denegare il discono-scimento (e che dar corso alla procedura fallimentarecostituisce appunto un modo compatibile con l’ordina-mento di realizzare il fine liquidatorio).Non sembra invece potersi fare riferimento all’art. 13,che si rivolge allo Stato; né all’art. 16, il quale richiamale norme di “applicazione necessaria”, ossia di norme del-la lex fori operanti come limite all’applicazione del dirittostraniero eventualmente richiamato da una norma diconflitto, e che dunque presuppongono il trust già rico-nosciuto nell’ordinamento, sebbene in parte regolato co-munque da tali norme (“onde, in presenza di simili fatti-specie, il giudice deve porre in disparte la regola di con-flitto competente e fare spazio alla norma di applicazionenecessaria nei limiti che essa stabilisce”: Cass., sez. I, 28dicembre 2006, n. 27592; Cass., sez. un., ord. 20 febbraio2007, n. 3841); lo stesso quanto all’art. 18, che riguardaspecifiche disposizioni della stessa Convenzione.

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La conseguenza è che il giudice che pronuncia la sen-tenza dichiarativa del fallimento provvede incidentertantum al disconoscimento del trust liquidatorio, il qualefinisce per eludere artificiosamente le disposizioni con-corsuali sottraendo al curatore la disponibilità dell’atti-vo societario; una volta accertata la non riconoscibilità,lo strumento non produce alcun effetto giuridico nelnostro ordinamento, in particolare non quello di creareun patrimonio separato, restando tamquam non esset; intal caso, posto che la Convenzione ex art. 15 cit. nonpuò costituire “ostacolo” all’applicazione della disciplinadell’insolvenza, è quest’ultima a porsi, all’inverso, comeostacolo al riconoscimento del trust.La sanzione della nullità (ex artt. 1343, 1344, 1345 e1418 c.c.) presuppone che l’atto sia stato riconosciutodal nostro ordinamento; il conflitto con la disciplina in-derogabile concorsuale determina invece la stessa inesi-stenza giuridica del trust nel diritto interno.Il trust deve essere disconosciuto dal giudice del merito,ogni volta che sia dichiarato il fallimento per essere ac-certata l’insolvenza del soggetto, ove l’insolvenza preesi-stesse all’atto istitutivo.Dalla dichiarazione di fallimento deriva, quindi, l’inte-grale non riconoscimento del trust, ai sensi dell’art. 15,comma 1, lett. e) della Convenzione, ponendosi essooggettivamente in contrasto con il principio di tuteladel ceto creditorio e per il fatto stesso che non consenteil normale svolgimento della procedura a causa dell’ef-fetto segregativo, il quale impedirebbe al curatore diamministrare e liquidare l’azienda ed, in generale, i beniconferiti in trust.La non riconoscibilità permane, sebbene il trust indichifra i suoi scopi proprio quello di tutelare i creditori del-l’impresa ricorrendo alla segregazione patrimoniale edalla liquidazione, per la denegata equivalenza delle dueprocedure.Invero, l’insolvenza, come non è nelle fattispecie gene-rali esclusa dalla mera capienza del patrimonio del debi-tore, così non è nella specie scongiurata dalla destina-zione di quel patrimonio al soddisfacimento dei credito-ri. Ed infatti, ciò che può evitare la situazione d’insol-venza non è in sé l’istituzione del trust, ma, semmai,l’attuazione del programma, con l’avvenuto pagamentodei creditori e la soddisfazione delle obbligazioni origi-nariamente in capo al debitore.Nelle ipotesi in cui, come nel caso in esame, l’atto isti-tutivo contenga la clausola (riportata dalle parti) di ri-soluzione allorché sopravvenga una vicenda concorsualenei confronti della disponente (c.d. clausola di salva-guardia), essa resta inoperante, come tutto il negozio,privo in via assoluta di effetti in quanto non riconosciu-to ab origine.Ove, inoltre, la società sia stata cancellata dal registrodelle imprese dopo l’istituzione del trust, essa è estintama, per quanto sopra esposto, ai sensi della l.fall., art.10, opera la fictio iuris dell’esistenza dell’ente: rispetto aquesta va, pertanto, valutato il requisito dell’insolvenza.In conclusione, il trust liquidatorio in presenza di unostato preesistente di insolvenza non è riconoscibile nel-l’ordinamento italiano, onde il negozio non ha l’effetto

di segregazione desiderato; l’inefficacia non è esclusa nédal fine dichiarato di provvedere alla liquidazione armo-nica della società nell’esclusivo interesse del ceto credi-torio (od equivalenti), né dalla clausola che, in caso diprocedura concorsuale sopravvenuta, preveda la conse-gna dei beni al curatore.7.6. - Se l’atto istitutivo del trust è tamquam non esset,occorre poi considerare quale sorte abbia il trasferimen-to dei beni o dell’azienda operato in favore del trustee.Secondo l’art. 4 della Convenzione, questa non si applicaalle questioni preliminari relative alla validità degli “attigiuridici in virtù dei quali dei beni sono trasferiti al tru-stee”. Alla stregua, dunque, della legge interna, dal mo-mento che il negozio istitutivo del trust si pone come an-tecedente causale (almeno dal punto di vista logico-giuri-dico, anche qualora contestuale) dell’attribuzione patri-moniale operata con l’atto di trasferimento dei beni, ovenon riconoscibile il primo diviene privo di causa il secon-do (nullo ex art. 1418 c.c., comma 2, prima parte, perchéoperato in esecuzione di negozio non riconoscibile).In tal modo, il curatore, per effetto dello spossessamen-to fallimentare che priva il fallito della disponibilità disuoi beni, tra i quali sono da ricomprendere tutti i dirit-ti patrimoniali inefficacemente trasferiti, può material-mente procedere all’apprensione di essi.7.7. - La Corte d’appello ha accertato, in punto di fatto,che il trust è stato costituito dalla società insolvente, af-fidando il ruolo di trustee allo stesso liquidatore socialee che è mancato il compimento di qualsiasi concreta at-tività di liquidazione, non essendo indicate nel c.d. li-bro degli eventi quali di tali attività siano state avviatein favore dei creditori sociali.Sulla base di tali elementi e degli altri rilevati - l’entitàdel debito nei confronti di Equitalia Sud s.p.a., gli in-fruttuosi tentativi di pignoramento, il ridotto attivo in-dicato dalla società per contestare il suo stato di insol-venza, l’immediata cancellazione della società dal regi-stro delle imprese - la Corte d’appello ha ravvisato ilconcreto pericolo che il trust sia stato utilizzato al solofine di eludere la disciplina imperativa concorsuale.La ricorrente contrappone (sotto il profilo del vizio mo-tivazionale) la considerazione secondo cui, al contrario,una serie di indizi, che assume provati innanzi ai giudicidi merito, rendevano palese la piena liceità del trust,ovvero: la segregazione dei beni conferiti rispetto al pa-trimonio personale del trustee e la costituzione del trustproprio a beneficio dei creditori; la condizione risolutivaapposta al trust per il caso di declaratoria di fallimentodella società preponente; il compimento di varie attivi-tà liquidatorie; l’avere il trust posto a disposizione delcuratore tutto quanto in suo possesso. Ne deriva, nel-l’assunto, che non sussiste lo stato di decozione, anchetenuto conto della circostanza che, ove sia invalido eprivo di effetti il trust, la conseguenza sarebbe l’attribu-zione alla società del patrimonio conferito.Le censure in esame sono in parte inammissibili, laddo-ve, sotto la veste del vizio motivazionale, mirano a ri-proporre un giudizio sul fatto: come è reso evidente dal-la stessa riproduzione, nel corpo del ricorso, di alcunidocumenti, da cui dovrebbe trarsi la prova della liceità

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del trust. L’inammissibilità del sindacato di merito sulladecisione impugnata impedisce, tuttavia, alla Corte laconoscenza diretta dei documenti depositati dalle partinei precedenti gradi, anche qualora essi vengano ripro-dotti mediante fotocopia all’interno del ricorso stesso;mentre il giudice del merito ha asserito essere rimasteindimostrate le predette circostanze.Per il resto, alla stregua dei princìpi esposti, la sentenzaimpugnata non si presta a nessuna delle censure formu-

late; quanto alla coincidenza della persona del trusteecon quella del liquidatore, se da un punto di vista for-male non qualifica il trust come “autodichiarato” in ra-gione della alterità soggettiva, la circostanza è stata peròcorrettamente assunta dalla corte del merito come indi-zio significativo della illiceità dell’atto, mancando nellasostanza un vero affidamento intersoggettivo dei beni.8. In conclusione, il ricorso va respinto sotto ogni profilo.(omissis).

La Cassazione “ripudia” il trust concorsualedi Francesco Fimmanò (*)

Nel commento si analizza la sentenza che ripercorre l’orientamento secondo cui il c.d. trust liquidatoriosarebbe nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., allorché abbia l’effetto di sottrarre agli organi della procedurafallimentare la liquidazione dei beni in contrasto con le norme imperative concorsuali, secondo le espres-se regole di esclusione previste dall’art. 13, e art. 15, lett. e), della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985.Al vaglio di validità secondo il diritto straniero prescelto è preliminare - secondo i giudici - la formulazionedi un giudizio di riconoscibilità del trust nel nostro ordinamento, nel raffronto con le norme inderogabili edi ordine pubblico e perciò la sentenza conclude per la non riconoscibilità del trust esaminato. L’autoreevidenzia che questa impostazione della Suprema Corte colpisce nel segno e lascia aperto un ampio var-co alla questione più generale dell’ammissibilità del c.d. trust interno o domestico, anche alla luce delpronunciamento ancora più recente delle Sezioni Unite sulla giurisdizione in tema di trust.

1. La fattispecie

La Corte di cassazione per la prima volta af-fronta il tema del trust liquidatorio e della sua ef-ficacia a seguito della dichiarazione di fallimentodell’imprenditore disponente (c.d. settlor), nono-stante se ne sia registrato negli ultimi anni unuso massiccio, se non un abuso (1). I giudici di le-gittimità si erano pronunciati sul trust in materiafiscale (2), familiare (3), in ordine alla mancanza

di alterità soggettiva (4) ed anche in sede penalein relazione alla confisca dei beni in trust, qualorarisulti una mera apparenza (il c.d. sham trust) (5).Recentemente le Sezioni unite si sono pronuncia-te invece sul tema della giurisdizione in materiadi trust sancendo che essa, a prescindere dalleprevisioni convenzionali, appartiene al giudiceitaliano quando ad agire è un terzo del tuttoestraneo (6).

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, allavalutazione di un referee.

(1) Al riguardo mi permetto di fare riferimento per una piùampia trattazione a Fimmanò, Il trust concorsuale, in Gazz. Fo-rense, 2014, 2, 355 s.

(2) Cass. 19 novembre 2012, n. 20254, ord. in Diritto e Giu-stizia online, 2012, 22 novembre, con nota Corrado, che ha ri-tenuto necessario accertare se, in caso di intestazione di beniimmobili al trust, esso risponda anche a ragioni economico-so-ciali, o se invece non abbia l’esclusiva funzione di consentireun risparmio fiscale.

(3) Cass. 13 giugno 2008, n. 16022, in Nuova giur. civ.comm., 2009, I, 78, che - nel risolvere una controversia tra ge-nitori trustees in tema di trust familiare - afferma la piena legit-timità dell’incarico al trustee; quale incarico che non si sostan-zia e si esaurisce nel compimento di un singolo atto giuridicocome nel mandato, bensì in un’attività multiforme e continuache deve essere sempre improntata a principi di correttezza ediligenza.

(4) Cass. 22 dicembre 2011, n. 28363, in Giust. civ. Mass.,2011, 12, 1834.

(5) Cass. pen. 24 gennaio 2011, n. 13276, in Guida al diritto,2011, dossier 7, 53.

(6) Cass., sez. un., 20 giugno 2014, n. 14041, in www.per-sonaedanno.it/interessi-protetti/successioni-donazioni, secondocui la clausola di proroga della giurisdizione inserita nell’attocostitutivo di un trust è legittima ai sensi dell’art. 23, comma 5,del regolamento europeo n. 44/2001 e della corrispondente di-sposizione della Convenzione di Lugano in vigore tra l’UnioneEuropea e la Confederazione elvetica. La clausola di prorogadella giurisdizione inserita nell’atto costitutivo di un trust vinco-la, oltre al costituente anche i gestori ed i beneficiari del trust,quantunque non personalmente firmatari della clausola, ogniqual volta vengano in discussione diritti ed obblighi inerenti altrust ed al suo funzionamento, ma deve escludersi che essapossa vincolare anche soggetti che rispetto al trust si ponganoin posizione di terzietà ed ai quali la paternità della clausolanon sia in alcun modo riconducibile. In tal caso, secondo i giu-dici, si applica il criterio generale stabilito dall’art. 2 del regola-mento che attribuisce competenza giurisdizionale ai giudicidello Stato membro in cui è domiciliato il convenuto. Se vi so-no convenuti domiciliati in altri Stati membri è possibile conve-nire tutti davanti al giudice del luogo in cui uno qualsiasi di es-si è domiciliato se tra le domande esiste un nesso così strettoda rendere opportuna una trattazione unica ed una decisioneunica.

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La fattispecie in epigrafe è un caso abbastanza“tipico” (poco commendevole), trattato spesso ne-gli ultimi anni dai giudici di merito. La società di-chiarata fallita presentava ricorso per Cassazioneavverso la sentenza della Corte di appello che ave-va confermato - in sede di reclamo - la sentenza di-chiarativa di fallimento. In particolare, i giudici dimerito, dei due gradi, avevano ravvisato la sussi-stenza dello stato di insolvenza della società che -successivamente al conferimento di beni in trust -era stata posta in liquidazione e, poi, cancellata.Nel caso di specie la società aveva attribuito i pro-pri beni ad un trust poco dopo essere stata posta instato di liquidazione, mentre la dichiarazione difallimento era intervenuta quasi due anni dopo lacostituzione del trust e, successivamente alla can-cellazione “strumentale” della società disponente.Questa composita e diffusa tecnica, talora fraudo-lenta, diretta a segregare le attività da un lato e adabbandonare le passività dall’altro, ha determinatoche, nel noto intervento del 2013 delle sezioniunite sulla cancellazione delle società dal registrodelle imprese, i giudici abbiano, tra l’altro, attribui-to valenza quasi costitutiva al bilancio finale di li-quidazione rispetto alle attività (o meglio alle pre-tese), proprio al fine di evitare questo contegnostrumentalmente “strabico” (7).La Cassazione premette di aderire «(al)l’orienta-

mento secondo cui il c.d. trust liquidatorio (…) ènullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., allorché abbial’effetto di sottrarre agli organi della procedura fal-limentare la liquidazione dei beni in contrasto conle norme imperative concorsuali, secondo leespresse regole di esclusione previste dall’art. 13, eart. 15, lett. e), della Convenzione dell’Aja del 1luglio 1985», poi concludendo per la non ricono-scibilità del trust esaminato.La Corte - nella sentenza in commento - rileva

che quando «il trust intervenga con finalità di li-quidazione del patrimonio segregato» si possano

configurare tre situazioni differenti: «a) il trust vie-ne concluso per sostituire in toto la procedura liqui-datoria, al fine di realizzare con altri mezzi il risul-tato equivalente di recuperare l’attivo, pagare ilpassivo, ripartire il residuo e cancellare la società;b) il trust è concluso quale alternativa alle misureconcordate di risoluzione della crisi d’impresa (c.d.trust endo-concorsuale); c) il trust viene a sostituir-si alla procedura fallimentare ed impedisce lo spos-sessamento dell’imprenditore insolvente (c.d. trustanticoncorsuale)».La prima ipotesi prospettata dalla Corte sembra

far riferimento alla liquidazione volontaria “fisiolo-gica” della società e, dunque, trattandosi di una ge-stione pienamente privatistica, non sembra porreparticolari questioni. Anche se la tecnica per le so-cietà in liquidazione (per le quali la nozione di in-solvenza è diversa dal momento che non si propon-gono di tornare sul mercato, ma solo di definire irapporti pendenti) ha ben poco senso in quanto ilsuo scopo si andrebbe interamente a sovrapporre aquello della società istituente ed al cui raggiungi-mento sono obbligati istituzionalmente i liquidato-ri.Più problematiche sono le altre due ipotesi rap-

presentate.La dottrina ha definito trust “endo-fallimentare”

o “endo-concorsuale” (8) o anche “risanatore”, di“ristrutturazione”, di “salvataggio” (9), il trust liqui-datorio utilizzato nell’ambito delle procedure con-corsuali come strumento di accelerazione delleoperazioni di chiusura del fallimento o di liquida-zione dell’attivo ovvero quale forma di garanziadella massa dei creditori nei concordati e negli ac-cordi di ristrutturazione. Le più risalenti applicazio-ni dell’istituto riguardano il conferimento in trust,nell’ambito del fallimento, di crediti di natura fi-scale (10) maturati nel corso della procedura (11) oanche di crediti commerciali di difficile realizzo edesigibili solo dopo la chiusura della procedura.

(7) Fimmanò, Estinzione fraudolenta della società e ricorso difallimento «sintomatico» del pubblico ministero, in Dir. Fall., I,2013, 736 s.; Id., Le Sezioni Unite pongono la “pietra tombale”sugli “effetti tombali” della cancellazione delle società di capitali,in Società, 2013, 536 s.

(8) Galluzzo, Validità di un trust liquidatorio istituito da unasocietà in stato di decozione, in Corr. giur., 2010, 531.

(9) Greco, Il trust ordinato dal tribunale per conservare l’im-presa e/o i suoi valori, in Dir. fall., 2010, 555.

(10) Si tratta, in particolare di crediti per ritenute sugli inte-ressi e Iva maturati nel corso della procedura ma esigibili solodopo la chiusura del fallimento. Il conferimento in trust di talicrediti dovrebbe evitare che l’amministrazione finanziaria pos-sa eccepire la compensazione per i propri crediti rimasti insod-disfatti in sede di riparto, atteso che l’orientamento espresso

dalla Cassazione (Cass. 16 novembre 1999, n. 775, in Foro it.,2000, I, 411) è nel senso di ritenere rilevante non il momentoin cui il credito diviene liquido ed esigibile ma il momento incui si è verificato il fatto genetico dell’obbligazione anterior-mente alla dichiarazione di fallimento. Sul tema v. anche Semi-na, Trust e segregazione dei crediti (fiscali) del fallimento esigibilidopo la chiusura della procedura, in Trusts, 2004, 343 s.

(11) Trib. Roma 4 aprile 2003, in Trusts, 2004, 406; Trib. Ro-ma 3 aprile 2003, ivi, 2003, 411 e in questa Rivista, 2004, 101,con nota di Fauceglia, La funzione del Trust nelle procedureconcorsuali; cfr. Greco, La funzione del trust nel fallimento, inGiur. comm., 2005, 708; Id., Il trust quale strumento di soluzio-ne e prevenzione della crisi di impresa nella riforma delle proce-dure concorsuali, in Trusts, 2007, 212 s.

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Secondo una certa giurisprudenza di merito, in-fatti, il conferimento di attività fallimentari in trustsarebbe più vantaggioso rispetto ad una cessio-ne (12). Un simile utilizzo del trust, seppur astratta-mente ammissibile, porta con sé alcune profondeincongruenze. La procedura fallimentare e, dunque,la liquidazione e la distribuzione non avverrebbesecondo la legge ma secondo il regolamento deltrust (13). Inoltre, non si comprende come dovreb-bero essere risolte le eventuali controversie chesorgano nel corso della liquidazione e del riparto.Infatti, l’attribuzione al trust dei beni fallimentaridetermina la chiusura del fallimento con conse-guente decadenza di tutti gli organi della procedu-ra. Conseguentemente, competente a conosceredelle controversie nascenti ovvero autorizzare azio-ni e transazioni dovrebbe essere il trustee (14): laconclusione sembra quantomeno azzardata. A ciòsi aggiunga che la cessazione degli effetti del falli-mento consente ai creditori insoddisfatti di ripren-dere o intraprendere azioni individuali e va esclusoche le somme in questo modo incassate possano es-sere legittimamente sottratte alla garanzia dei cre-ditori che non abbiano partecipato alla proceduraconcorsuale.A fortiori depone il dato normativo. Infatti, ai

sensi dell’art. 118, comma 1, n. 3, l.fall., il falli-mento «si può chiudere quando è compiuta la ri-partizione finale dell’attivo». Quindi, l’esistenza dicrediti e attività ancora da liquidare e da conferireal trust è ostativa alla chiusura del fallimento.Inoltre, come osservato dalla dottrina (15), la ri-

partizione finale dell’attivo non è la mera redazio-

ne del progetto, ma l’effettivo pagamento dei cre-ditori; l’affermazione è confermata sia dall’art. 115l.fall. che parla di pagamento delle somme assegna-te ai creditori, sia dall’art. 116 l.fall. che stabilisceche il curatore presenti il rendiconto dopo avercompiuto la liquidazione dell’attivo. L’art. 115l.fall. attribuisce al curatore il compito di pagare lesomme assegnate secondo il piano di ripartizione.Nello stesso senso depone anche l’art. 117, comma3, l.fall. che prevede «che il giudice delegato, nelrispetto delle cause di prelazione, può disporre chea singoli creditori che vi consentono siano assegna-ti, in luogo delle somme agli stessi spettanti, creditidi imposta del fallito non ancora rimborsati». Inaltri termini, emerge come il legislatore abbia asse-gnato agli organi fallimentari il potere/dovere diprocedere alla liquidazione e all’assegnazione deibeni del fallito. La delega ad un trust della liquida-zione fallimentare non è prevista in alcun mododal legislatore che, se avesse voluto prevedere solu-zioni quali il trust o la cartolarizzazione (16) per lachiusura anticipata o la liquidazione alternativa delfallimento, l’avrebbe previsto espressamente comeha fatto con la cessione dei crediti futuri anche dinatura fiscale (art. 106, comma 1, l.fall.), la stipu-lazione di contratti di mandato per la relativa ri-scossione (art. 106, comma 3, l.fall.), la cessioneaggregata di attività e passività aziendali (art. 105,comma 5, l.fall.) e la liquidazione mediante confe-rimento in società (art. 105, comma 8, l.fall.) (17).In caso di dichiarazione di fallimento, il trust si

configura non come endo-concorsuale ma addirit-tura anti-concorsuale, in quanto il trust (rectius la

(12) Ciò in quanto nessuna garanzia dell’esistenza dei credi-ti conferiti risulterebbe dovuta dal fallimento cedente e poichéla cessione comporterebbe sempre una decurtazione del credi-to, in ragione dell’attesa e del rischio che si assume il cessio-nario. Inoltre, i creditori insinuati non risentirebbero di alcundanno in quanto designati quali beneficiari nell’atto costitutivodel trust. Questi, dunque, acquisterebbero un diritto, azionabilein giudizio, di essere pagati con i beni segregati secondo l’ordi-ne stabilito nello stato passivo. La segregazione determinatadal trust eliminerebbe, poi, qualsiasi rischio di distrazione per ilsoddisfacimento delle ragioni di eventuali creditori del trustee,v. Trib. Saluzzo 9 novembre 2006, in Giur. mer., 2008, 739, connota di Demarchi, Il trust postfallimentare e l’apparente chiusu-ra del fallimento e in Giur. comm., 2008, II, 207, con nota di Ioz-zo, Note in tema di trust e fallimento.

(13) Censoni, Chiusura del fallimento e attività residue degliorgani fallimentari: la sorte postfallimentare dei crediti d’impo-sta, in questa Rivista, 2004, 301.

(14) Fimmanò, Trust e procedure concorsuali, in questa Rivi-sta, 2010, Spec. 30, 23.

(15) Stasi, Sui crediti tributari formati nella procedura falli-mentare, in questa Rivista, 2005, 473.

(16) In tema Terrusi, Il recupero dei crediti concorsuali: car-tolarizzazione e proroga funzioni del curatore fallimentare, in Dir.fall., 2005, I, 414.

(17) Il curatore, infatti, può costituire una newco in cui con-ferire l’azienda o rami di essa o beni e rapporti aggregati, chepuò rimanere statica sino alla vendita o essere vettore dinami-co per l’esercizio dell’attività economica, con la nomina di am-ministratori che siano diretta promanazione della procedura. Inalternativa alla vendita, il curatore, addirittura, potrebbe soddi-sfare i creditori concorsuali mediante l’assegnazione delle par-tecipazioni della società veicolo avendosi, quindi, una liquida-zione mediante conferimento in senso stretto, irrealizzabilecon lo strumento del trust. In altre parole, il trust non è un isti-tuto che il legislatore ha ritenuto possa essere utilizzato nellafase di liquidazione della massa fallimentare (ubi lex voluit dixit)e ciò nonostante la tendenza del legislatore a privatizzare leprocedure concorsuali (Fimmanò, L’allocazione efficiente del-l’impresa in crisi mediante la conversione dei crediti in azioni, inRiv. soc., 2010, 150 s.; Id., La vendita fallimentare dell’azienda,in Contr. impr., 2007, 537; v. anche Maggi, La liquidazione me-diante conferimento: commento all’art. 105, ottavo comma,l.fall., in questa Rivista, 2008, 1371; Guglielmucci, Liquidazionedell’attivo fallimentare che preveda il conferimento dell’aziendain una newco e la successiva vendita dell’intero pacchetto azio-nario, in Contr. impr., 2008, 551 ss.; Ferri, Liquidazione median-te conferimento in società dell’azienda, di rami di essa ovvero dibeni o crediti, in questa Rivista, 2009, all. n. 1, 59).

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persona del trustee) si sostituisce alla procedurastessa impedendo, in ultima analisi, lo spossessa-mento dell’imprenditore insolvente (ossia la terzaipotesi rappresentata dalla Cassazione nella senten-za in commento). Infatti, quand’anche il trust nonsia stato costituito con intenti fraudolenti, di fatto,la sostituzione degli organi fallimentari con la per-sona del trustee (che diviene l’unico soggetto legit-timato a liquidare l’impresa) e l’impossibilità diprocedere allo spossessamento dei beni in dannodell’imprenditore (il quale ha, appunto, conferito ibeni in trust) rendono impossibile lo svolgimentodella procedura concorsuale.

2. Il trust nelle procedure diverse dalfallimento

L’analisi della Corte si limita alle sorti deltrust successivamente alla dichiarazione di falli-mento. D’altro canto, come riconosciuto dalla stes-sa sentenza in esame, «quale strumento negoziale“astratto” il trust può essere piegato invero al rag-giungimento dei più vari scopi pratici». Infatti, iltrust è utilizzato anche nelle procedure concorsualialternative al fallimento. Anzi, negli ultimi anni siè registrato l’uso, e talora l’abuso, dell’istituto deltrust nelle liquidazioni volontarie in funzione diuna sorta di “concorsualizzazione atipica” dellestesse. Ci si deve, pertanto, chiedere innanzitutto -come anche fatto implicitamente dalla sentenza incommento - se un imprenditore illiquido possa pre-venire un’istanza di fallimento, o resistere alla stes-sa, destinando tutti i suoi beni (o comunque unaparte di essi di valore superiore ai debiti) al paga-mento dei creditori mediante l’istituzione di untrust.

In realtà l’istituto del trust non ha effetti soluto-ri, ma tutt’al più uno scopo solutorio o liberatorio,che, tuttavia, potrà dirsi realizzato solo in un se-condo momento, mediante l’azione del trustee. Pe-raltro, se pure si volesse assegnare “valenza sostan-zialmente solutoria all’istituzione del trust, non sipotrebbe comunque sfuggire alla constatazione chequesto non è un mezzo normale o regolare diadempimento” (18).L’istituto poteva servire, prima della introduzio-

ne del c.d. preconcordato, in particolare a “copri-re” quella fase delicata delle trattative funzionalialla conclusione di un accordo di ristrutturazionedei debiti, visto che fino alla sua pubblicazionenon si produceva alcuno degli effetti protettivi pre-visti dalla legge (19). Il trust diveniva così una via,su base privatistica, per garantire una protezioneimmediata già nella fase delle trattative (20). Inol-tre la tecnica era funzionale a segregare una partedel patrimonio del debitore proponente, destinan-dolo in via esclusiva al soddisfacimento dei credi-tori aderenti (21) e sottraendolo all’aggressione diquelli estranei (free riders) in modo duraturo.Ma anche in questo caso il problema rimaneva

l’emersione di una modifica di fatto della disciplinalegislativa, poiché le regole pubblicistiche che pre-siedono alle procedure concorsuali sono derogabiliin via privatistica solo in forza di accordi con i cre-ditori che rappresentino la maggioranza qualificatadei crediti ex art. 182 bis l.fall., ma non attraversoun atto di disposizione che renda il patrimonio del-l’impresa del tutto insensibile alle esigenze dell’ese-cuzione concorsuale e del suo controllo da partedei creditori (22). Si corre, infatti, il concreto ri-schio che operazioni di questo tipo, formalmentefinalizzate a tutelare i creditori, rappresentino, alcontrario, una forma di liquidazione atipica diretta

(18) Così D’Arrigo, L’impiego del trust nella gestione nego-ziale della crisi d’impresa, in Aa. Vv., La crisi d’impresa. Questio-ni controverse del nuovo diritto fallimentare, a cura di Di Marzio,Padova, 2010, 456. V’è chi invece afferma che la presenza diun trust che assicuri il risanamento dell’impresa esclude, diper sé, lo stato di insolvenza (Greco, Il trust quale strumento disoluzione e prevenzione della crisi d’impresa nella riforma delleprocedure concorsuali, in Trusts, 2007, 219).

(19) Sciuto, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristruttu-razione dei debiti, in Riv. dir. civ., 2009, 339; in tema cfr. purePresti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa,tit. cred., 2006, I, 21 s.; Gallarati, La crisi del debitore “civile” e“commerciale” tra accordi di ristrutturazione e trust, in Contr. eimpr., 2013, 204 ss.

(20) Al riguardo cfr. Fabiani, Accordi di ristrutturazione deidebiti: l’incerta via italiana alla “reorganization”, in Foro it.,2006, I, 263; Dimundo, Accordi di ristrutturazione dei debiti: la“meno incerta” via italiana alla “reorganization”?, in Foro it.,2006, I, 703; Sciuto, Effetti legali e negoziali degli accordi di ri-strutturazione dei debiti, in Riv. dir. civ., 2009, 337.

(21) Secondo Trib. Reggio Emilia 27 agosto 2011, inTrusts, 2012, 61 ss. prima della presentazione dell’accordo, iltrust può essere finalizzato a proteggere i beni di terzi garanti;contra Ginevra, Crisi d’impresa e trust, relazione presentata alConvegno “Il diritto dell’impresa in crisi fra contratto, società eprocedure concorsuali”, Pisa, 12-13 ottobre 2012, Atti delConvegno richiamato da Spoalore, Trust con funzione liquida-toria e valutazione di meritevolezza, in Banca, borsa, tit.cred., 2013, nt. 45; In tema cfr. anche Rovelli, Il ruolo del trustnella composizione negoziale dell’insolvenza di cui all’art.182 bis l.fall., in Trusts, 2007, 402.

(22) La giurisprudenza ha affermato che deve essere dichia-rato nullo ai sensi degli artt. 1418 c.c. e 15 lett. e) della Con-venzione dell’Aja del 16 ottobre 1989, n. 364, il trust liquidato-rio nel quale l’impresa disponente, già in stato di insolvenza exart. 5 l.fall., abbia segregato con queste finalità l’intero patri-monio aziendale (Trib. Milano 22 ottobre 2009, in www.ilca-so.it). Rovelli, I nuovi assetti privatistici nel diritto societario econcorsuale e la tutela creditoria, in questa Rivista, 2009, 1038,rileva che il conferimento in trust di beni di terzi non si pone in

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in realtà alla sottrazione dei beni sociali rispetto alloro impiego e finalità di regolazione dei debi-ti (23). E ciò avviene anche se si utilizzano stru-menti negoziali “domestici”, come la destinazioneomnibus ex art. 2645 ter c.c., in modo da ottenererisultati che il legislatore riconnette solo all’avviodi procedure tipiche (24).L’atipicità della costruzione potrebbe, in questa

logica, configurare un contegno indiretto in frodealla legge, oltre che ai creditori, e comunque nonmeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma2, c.c. (25). A tal fine, anche quella giurisprudenzache riconosce l’ammissibilità del trust liquidatorio,

rileva che per armonizzarsi con l’art. 15 della Con-venzione dell’Aja, l’atto istitutivo deve comunqueapparire meritevole di tutela (26) e contenere clau-sole che ne limitino l’operatività in caso di insol-venza, ed in particolare che prevedano la restitu-zione dei beni segregati al curatore (27). La con-venzione dell’Aja non ostacola l’applicazione delledisposizioni di legge previste dalle regole di conflit-to del foro, allorché non si possa derogare a dettedisposizioni mediante una manifestazione della vo-lontà, in particolare in materia di “protezione deicreditori in casi di insolvibilità” (28). È chiaro chesarà da considerarsi comunque ripugnante il trust

conflitto con il limite che la legge pone alla autonomia nego-ziale, ovvero di non poter disporre dell’azione esecutiva deicreditori estranei sui beni del debitore, rimanendo esposto al-l’eventuale azione revocatoria ad opera dei creditori dei terziconferenti.

(23) Al riguardo una certa giurisprudenza ha correttamenteaffermato che «non vale ad escludere lo stato di insolvenzadella società disponente l’aver, prima dell’apertura del concor-so, costituito un trust avente ad oggetto l’intero patrimonio so-cietario, quando tale operazione si sia rivelata solo formalmen-te finalizzata a tutelare i creditori, ed abbia piuttosto dato luo-go ad una liquidazione atipica diretta in realtà alla sottrazione-distrazione dei beni sociali rispetto al loro impiego e finalità diregolazione dei debiti». Nella specie, il trustee, fallito in proprioe coincidente con il legale rappresentante della società dispo-nente pure dichiarata fallita, a due anni di distanza dall’istitu-zione del trust non aveva presentato alcun serio programma diliquidazione, né aveva effettuato alcun pagamento a favore deicreditori sociali, verso i quali erano mancate adeguate formedi comunicazione e di fattivo coinvolgimento (App. Milano, 29ottobre 2009, in www.ilcaso.it); v. Fimmanò, Trust e procedureconcorsuali, cit., 30; conf. Ranucci, I difficili rapporti tra il trustliquidatorio e le procedure concorsuali, in questa Rivista, 2014,582, il quale evidenzia come l’utilizzo del trust per l’esecuzionedi un piano di ristrutturazione configuri una liquidazione atipicadiretta alla sottrazione dei beni sociali rispetto al loro impiegoe alla finalità di regolazione dei debiti.

(24) Si è infatti affermato che «il vincolo di cui all’art. 2645ter c.c., norma da interpretare restrittivamente per non svuota-re di significato il principio della responsabilità patrimonialedel debitore ex art. 2740 c.c., non può essere unilateralmenteautodestinato su di un bene già in proprietà con un negoziodestinatorio puro, ma può unicamente collegarsi ad altra fatti-specie negoziale tipica od atipica dotata di autonoma causa.In ogni caso, anche ipotizzando l’ammissibilità di un negoziodestinatorio puro, gli interessi meritevoli di tutela che legitti-mano il vincolo devono essere esplicitati nell’atto di costituzio-ne, devono essere valutati in modo stringente e devono essereprevalenti rispetto agli interessi sacrificati dei creditori del di-sponente estranei al vincolo» (Trib. Reggio Emilia 12 maggio2014, in www.ilcaso.it).

(25) Nel nostro stesso senso Trib. Milano 16 giugno 2009,in Trusts, 2009, 533 e in Dir. fall., 2009, II, 498 ss. con nota diDi Maio, Il trust e la disciplina fallimentare: eccessi di consenso,confermato in sede di reclamo da Trib. Milano 30 luglio 2009,in www.ilcaso.it. Conforme Trib. Milano 17 luglio 2009, inTrusts, 2009, 628 e in Dir. fall., 2009, II, 523 ss. (secondo cuil’impostazione sarebbe avallata dalla modifica dell’art. 78l.fall., che non prevede più lo scioglimento del contratto dimandato in caso di fallimento del mandante, consentendo cheil programma negoziale avviato prima della dichiarazione difallimento sia perseguito dal mandatario per conto del curato-

re del fallimento del mandante). Sulle diverse ordinanze del tri-bunale di Milano cfr. Dimundo, «Trust interno» istituito da so-cietà insolvente in alternativa alla liquidazione fallimentare, inquesta Rivista, 2010, spec. 30, 3 s.; Panzani, Il trust nell’espe-rienza giuridica italiana: il punto di vista della giurisprudenza edegli operatori, in Nuovo dir. soc., n. 20, 2010, 22 s.

(26) In particolare si è statuito che non appare meritevole ditutela il trust costituito dal liquidatore mediante conferimentodell’intero patrimonio societario attivo e passivo con lo scopodichiarato di agevolare “l’eventuale commercializzazione delpatrimonio, prevenendo eventuali azioni revocatorie concor-suali” ed altresì di provvedere al pagamento dei creditori so-ciali nel rispetto della par condicio qualora, dall’analisi com-plessiva dell’atto istitutivo, si possa affermare che il trust inesame non fornisca alcuna utilità aggiuntiva alla liquidazionedella società se non quella di sgravare il liquidatore dei compitiad esso imposti dalla legge e di assegnargli la posizione di tru-stee; ulteriori elementi che inducono a dubitare della meritevo-lezza di tale tipo di trust possono essere indicati nel fatto chelo stesso sia stato costituito subito dopo l’inizio della messa inliquidazione della società ed induca a ritenere fondato il timoreche la sua istituzione sia in realtà finalizzata ad ostacolare lepretese creditorie nei confronti delle società nonché a dilazio-nare eventuali istanze di fallimento allo scopo di far decorrereil termine annuale cui all’articolo 10, l.fall. (così Trib. ReggioEmilia 14 marzo 2011, in www.ilcaso.it).

(27) In tal senso Trib. Milano 29 ottobre 2010, in www.ilca-so.it (secondo cui nel caso in cui non sia prevista la restituzio-ne al curatore deve essere dichiarato affetto da nullità totale aisensi degli artt. 1418 c.c. e 15 lett. e, della Convenzione dell’A-ja del 16 ottobre 1989, n. 364, il trust liquidatorio nel qualel’impresa disponente, già in stato di insolvenza ex art. 5 l.fall.,abbia segregato l’intero patrimonio aziendale, poiché detto art.15 esclude che la separazione patrimoniale ed il vincolo di de-stinazione dei beni possa sopravvivere al fallimento del confe-rente o del trustee, sicché i beni di costoro, anche se oggettodel trust, devono essere assoggettati alla disciplina, di caratte-re inderogabile e pubblicistico, del fallimento).

(28) La materia fallimentare, assistita anche da norme dicarattere penale, è improntata prioritariamente alla tutela di in-teressi pubblici, nei quali la protezione degli interessi dellamassa creditoria è in realtà finalizzata alla tutela dei trafficicommerciali e ciò non solo nell’ordinamento italiano. Si spiegaperciò il limite posto dall’art. 15 della Convenzione all’operati-vità del trust nel caso di sovrapposizione fra la disciplina diquesto e la gestione legale della insolvenza, cioè in materia fal-limentare. La norma nella sostanza esclude che la disciplinadella separazione patrimoniale e del vincolo di destinazionedei beni possa sopravvivere al fallimento del conferente o deltrustee, per cui i beni di costoro, anche se oggetto del trust sa-ranno assoggettati alla disciplina del fallimento (Trib. Milano29 ottobre 2010, cit.).

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diretto in realtà ad ostacolare le pretese creditoriee a dribblare le istanze di fallimento, per dirla se-condo la giurisprudenza anglosassone “to set up ascreen to shield his resources from other claims” (29).L’uso del trust è stato anche proposto nei piani

di risanamento e negli accordi di ristrutturazionedei debiti come strumento funzionale al controllodei modi e dei tempi di preparazione ed esecuzionedelle operazioni oltre che per aumentarne il livellodi trasparenza, così da ridurre il rischio che i credi-tori meglio organizzati entrino in conflitto con ildebitore al fine di indirizzare la liquidazione, il risa-namento o la ristrutturazione verso un risultatoespropriativo delle ragioni di quelli estranei alla“direzione” dell’operazione (30).Si è evidenziato in particolare che il trust potreb-

be divenire uno strumento efficiente al fine di fa-vorire il coordinamento dell’agire dei creditori,consentendo «a coloro che pianificano il supera-mento dell’insolvenza, anche tramite una liquida-zione “controllata” degli assets del debitore, di per-seguire quell’obiettivo con utilità, vanificando leiniziative esecutive e disgregative dei singoli, nonimpegnati nello stesso tentativo e nello stesso mo-do» (31). D’altra parte le procedure concorsuali so-no dirette, sul piano economico, a risolvere i pro-blemi connessi all’azione collettiva (32), in quantoimpediscono le azioni espropriative e cautelari deisingoli creditori che produrrebbero altrimenti effet-ti distruttivi per l’impresa in default (33).Il debitore durante la fase delle trattative funzio-

nali al raggiungimento dell’accordo ristrutturativoha comunque piena capacità negoziale e può, dun-que, vincolare il patrimonio a favore di taluni cre-ditori, con la conseguenza che queste operazionisaranno poi poste al vaglio dei creditori estranei edei creditori aderenti ma più “critici”.Resta di conseguenza aperto il problema dell’uso

del trust finalizzato ad una duratura protezione deibeni durante tutta l’esecuzione dell’accordo di ri-

strutturazione. L’istituzione, in questa logica, sareb-be esente da revocatoria, stante l’ampia e genericaformula impiegata dall’art. 67, comma 3, lett. e),l.fall., che parla di pagamenti, di garanzie e, più ingenerale, anche di «atti». In realtà anche questoutilizzo finirebbe con l’introdurre nell’ordinamentouna disciplina convenzionale che il legislatore havoluto collegare alla sola ammissione alla procedu-ra concorsuale. D’altra parte dalla liquidazione deibeni residui, prevista nell’accordo di ristrutturazio-ne, potrebbe ricavarsi meno del previsto ed i credi-tori estranei all’accordo potrebbero restare almenoin parte insoddisfatti. I dati rappresentati potrebbe-ro non essere veritieri (o non esserlo più per ragio-ni sopravvenute) ed il proponente potrebbe averdissimulato parte del passivo o sovrastimato l’atti-vo. Neppure la relazione attestata garantisce inmodo effettivo da questi possibili eventi, salva l’a-zione di responsabilità da parte dei creditori pregiu-dicati nei confronti del professionista. Ed in ognicaso laddove fosse accertato successivamente chel’accordo non si sarebbe dovuto omologare perchédifettavano le risorse per assicurare il regolare pa-gamento dei creditori estranei, non sarebbe conce-pibile un effetto esonerativo ex art. 67, comma 3,l.fall. e l’atto istitutivo del trust andrebbe comun-que revocato o annullato in quanto in frode ai cre-ditori o, peggio ancora, alla legge (34).

3. La nullità sopravvenuta deltrust liquidatorio

Nonostante le criticità delineate l’utilizzo deltrust è ampiamente diffuso nella fase c.d. di pre-in-solvency Prima dell’intervento della Corte di Cas-sazione, parte della giurisprudenza di merito ritene-va che questo tipo di trust fosse nullo ab origine -poiché incompatibile con la clausola di salvaguar-dia di cui all’art. 15 lett. e) della Convenzione -quando l’imprenditore disponente fosse già in stato

(29) Si tratta della nota statuizione del giudice J Singer nellasentenza del 3 dicembre 2004 della High Court of Justice ofEngland and Wales, Family Division (Minwalla v. Minwalla, inTrusts, 2006, 273).

(30) Rovelli, Il ruolo del trust nella composizione negozialedell’insolvenza di cui all’art. 182 bis l.fall., in questa Rivista,2007, 595 s.; sull’uso del trust quale strumento di esecuzionedi un accordo di ristrutturazione omologato cfr. anche Greco,La nuova finanza, credito di scopo per il salvataggio dell’impre-sa, in Trusts, 2012, 57 s.; Id., Trust di attuazione di un piano at-testato, in Trusts, 2014, 24 ss.; Cavallini, Trust e procedure con-corsuali, in Riv. soc., 2011, 1102; Ranucci, I difficili rapporti trail trust liquidatorio e le procedure concorsuali, cit., 571.

(31) Galletti, Sull’utilizzo del trust nelle procedure concorsua-li, in www.assotrusts.it/trust.piacenza2009.pdf, 3 s., il quale ri-corda che uno dei problemi più evidenti dell’art. 182 bis l.fall.,

anche dopo l’intervento correttivo, è infatti la mancanza nel-l’ordinamento di strumenti protettivi degli assets mentre il de-bitore sta ancora negoziando l’accordo, ossia prima di averraggiunto la percentuale minima dei consensi; anche dopo ildeposito del ricorso, l’effetto “protettivo” ha durata limitata, epuò non essere sufficiente a conseguire tutti gli obiettivi spera-ti.

(32) Aghion, Bankruptcy and its reform, in The New PalgraveDictionary of Economics and the Law, London, vol. 1, 145 s.

(33) Jackson, The Logic and Limits of Bankruptcy law, Cam-bridge, Londra, 1986, secondo cui obiettivo primario del dirittodelle imprese in crisi è quello di impedire una corsa distruttivaai beni del debitore.

(34) Al riguardo cfr. pure Fimmanò, Il trust a garanzia delconcordato preventivo, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, II, 90.

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di insolvenza (ovviamente non ancora accertatagiudizialmente), in quanto l’imprenditore sarebbeobbligato a richiedere il proprio fallimento, affin-ché si proceda alla liquidazione concorsuale, stantel’intervenuta perdita dei mezzi propri. La costitu-zione del trust rappresenterebbe «un atto privatisti-co che mira dissimulatamente a sottrarre agli orga-ni della procedura di liquidazione dei beni in as-senza del presupposto sul quale poggia il potere del-l’imprenditore di gestire il proprio patrimonio, os-sia che l’impresa sia dotata dei mezzi propri» (35).Pertanto, l’atto istitutivo del trust sarebbe un nego-zio in frode alla legge ex art. 1344 c.c. in quantodiretto al perseguimento di interessi non meritevolidi tutela, ossia la sottrazione del patrimonio del-l’imprenditore ai creditori. La causa in concretoperseguita, dunque, sarebbe illecita in quanto elusi-va delle norme imperative sulla liquidazione con-corsuale e, quindi, in ultimo, in violazione degliartt. 13 e 15 lett. e) della Convenzione (36). Per-

tanto, il trust non sarebbe stato nullo ipso iure conla dichiarazione di fallimento dell’imprenditore di-sponente, piuttosto si sarebbe dovuta individuarela causa in concreto del negozio, ossia non la fun-zione economica sociale (37) ma la funzione eco-nomica individuale (38).Altra giurisprudenza ha affermato, invece, che il

trust costituito da impresa in bonis è lecito e rispon-dente ad interessi meritevoli di tutela (39). Tutta-via, secondo alcuni la successiva dichiarazione difallimento dell’imprenditore si configurerebbe co-me causa sopravvenuta di scioglimento dell’attoistitutivo, analogamente a quelle ipotesi negozialila cui prosecuzione è incompatibile con la dichia-razione di fallimento (40), mentre secondo altri co-stituirebbe causa sopravvenuta di scioglimento percontrasto con l’art. 15 lett. e) della Convenzionein quanto il trust sostituirebbe ovvero precludereb-be la liquidazione fallimentare (41). Per ovviare atale ultimo contrasto, la giurisprudenza di meri-

(35) Così, Trib. Napoli 28 novembre 2013, n. 13443, in que-sta Rivista, 2014, 567 ss., con commento di Ranucci, I difficilirapporti tra il trust liquidatorio e le procedure concorsuali; neglistessi termini, Trib. Milano 16 giugno 2009, in Trusts, 2009,533 e in Dir. fall., 2009, II, 498 ss. con nota di Di Maio, Il truste la disciplina fallimentare: eccessi di consenso; Trib. Milano 17luglio 2009, ivi, 628; Trib. Milano 30 luglio 2009, in Trusts,2010, 80 e in www.ilcaso.it; Trib. Milano 22 ottobre 2009, inCorr. mer., 2010, 388; App. Milano 29 ottobre 2009, in Trusts,2011, 146 e in www.ilcaso.it.

(36) Taluna giurisprudenza (Trib. Mantova 25 marzo/18aprile 2011, in Trusts, 2011, 529) ha richiamato anche l’art. 18della Convenzione, il quale esclude l’osservanza delle disposi-zioni in essa contenute, qualora la loro applicazione sia mani-festatamente incompatibile con l’ordine pubblico.

(37) Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato didiritto civile, diretto da A. Vassalli, Torino, 1960, 172.

(38) Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Stu-di di diritto civile, Milano, 1966, 335; in giurisprudenza v. Cass.8 maggio 2006, n. 10490, in Foro it., Rep. 2006, voce Contrattoin genere, n. 438; Cass. 24 luglio 2008, n. 16135, in Contratti,2008, 241; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26958, in Giust. civ.Mass., 2007, 12; pertanto secondo Raganella - Regni, Il trust li-quidatorio nella disciplina concorsuale, in Trusts, 2009, 608, nel-l’analisi della validità del trust «l’indagine si dovrà spostare ne-cessariamente da un piano dogmatico-teorico ad un pianoconcreto attraverso il giudizio complessivo di liceità della cau-sa concreta del programma negoziale del trust e di meritevo-lezza degli interessi sottesi al medesimo, in ossequio ai principigenerali che presidiano il giudizio di liceità di qualsiasi fattispe-cie negoziale»; sul punto v. anche Cavallini, Trust e procedureconcorsuali, cit., 2011, 1100.

(39) Secondo lo Studio 161-2011/1 del Consiglio Nazionaledel Notariato approvato dalla Commissione studi d’impresa il1 marzo 2012 “Note sul Trust istituito da imprese in crisi (infunzione liquidatoria)”, il trust è valido se istituito da imprendi-tore in bonis e invalido se istituito da imprenditore insolvente.

(40) In tal senso da ultimo Trib. Milano 16 giugno 2009,cit., 499; conforme Trib. Napoli 28 novembre 2013, n. 13443,cit.; Dimundo, «Trust interno» istituito da società insolvente inalternativa alla liquidazione fallimentare, cit., 14 s., pur non con-dividendo l’affermazione ipotizza che il fallimento possa rap-presentare causa di nullità sopravvenuta del trust; sulla nullità

sopravvenuta cfr. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto priva-to, a cura di Iudica - Zatti, Milano, 2001, 749; Scognamiglio,Sull’invalidità successiva dei negozi giuridici, in Scritti giuridici, I,208; in giurisprudenza v. Cass. 5 aprile 2001, n. 5052, in Foroit., 2001, I, 2185 «in ipotesi di nullità derivante da ius superve-niens, a rapporto validamente instaurato, la norma sopravve-nuta, in luogo di incidere sulla validità del contratto, priva ilrapporto della capacità di produrre effetti ulteriori; pertanto,l’invalidità successiva può incidere su negozi che ancora nonhanno iniziato a produrre effetti, mentre per gli altri resta privadi rilievo (se tutti gli effetti si sono esauriti) ovvero si traduce inuna perdita di ulteriore efficacia e cioè in un arresto della fun-zione negoziale dell’atto»; contra Manferoce, Trust e procedureconcorsuali, Relazione tenuta presso il CSM all’incontro di stu-dio sul tema “I c.d. patrimoni di scopo: fondo patrimoniale, pa-trimonio destinato ad uno specifico affare e “trust” tra dirittointerno e modelli stranieri”, Roma 11-13 ottobre 2010; Trib.Reggio Emilia 2 maggio 2012, in www.ilcaso.it, secondo cui«nei rapporti tra trust e fallimento, occorre considerare che ilfallimento del disponente (originariamente in bonis al momen-to dell’istituzione) non può incidere sull’atto di trust che ha giàdefinitivamente spiegato ed esaurito i suoi effetti. Nel dirittodei trust, invece, il disponente “esce di scena” e una vicendasuccessiva, attinente al settlor, non può determinare effetti sul-la “vita” del trust, tantomeno assurgendo a causa sopravvenu-ta di invalidità dell’atto costitutivo».

(41) Trib. Milano 16 giugno 2009, cit., confermato in sededi reclamo da Trib. Milano 30 luglio 2009, cit., secondo cui nelcaso di disposizione ad opera di un imprenditore non insolven-te questa sarebbe comunque incompatibile con la liquidazioneconcorsuale. Con la dichiarazione di fallimento la gestione e laliquidazione degli assets del fallito non può più essere prose-guita sulla base di un regolamento negoziale del disponente,ma invito domino secondo le regole della liquidazione concor-suale (spossessamento, norme speciali di regolazione dei con-tratti pendenti, rispetto della par condicio in sede di riparto,vendita forzata con effetti purgativi, ecc.). L’effetto proprio delfallimento di spossessamento del debitore a tutela dei creditorie l’emersione del curatore, quale figura che, invito domino eper conto della massa dei creditori, amministra e liquida il pa-trimonio del fallito, renderebbe incompatibile con l’ordinamen-to italiano un trust che, seppure originariamente lecito, conferi-sce a un trustee l’intero patrimonio del disponente fallito. Se-

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to (42) è giunta a ritenere valido il trust purchéprevedesse, a pena di nullità, un “clausola di salva-guardia”, in virtù della quale, in caso di dichiara-zione di fallimento, i beni vengano trasferiti al cu-ratore (43).

4. La revocatoria degli atti di destinazione

All’ipotesi del fallimento quale causa di nullitàdel trust ovvero - come affermato dalla sentenza incommento - di non riconoscibilità nell’ordinamen-to, si affianca un’altra impostazione secondo cui,invece, il fallimento del disponente non determinila nullità del trust (44) (salvo l’ipotesi dello shametrust o trust simulato). Tale orientamento ravvisa,quale rimedio alternativo alla dichiarazione di nul-lità, l’esperimento dell’azione revocatoria (45).Va preliminarmente specificato che l’azione re-

vocatoria non riguarda il riconoscimento degli ef-fetti del trust nel diritto interno, né tanto meno lavalidità degli atti di disposizione, ma solo la possi-bilità di ottenere una dichiarazione di inefficaciadei singoli atti di disposizione del patrimonio che,anche se validi, arrechino pregiudizio alla garanziapatrimoniale (46).Da questo punto di vista va ricordata la natura

costitutiva della dichiarazione di inefficacia, pro-

prio perché tale dichiarazione non considera l’attodi disposizione in sé, ma gli effetti che lo stessoproduce sul patrimonio del debitore.Oggetto della revocatoria non può essere l’atto

istitutivo del trust che non produce effetti dispo-sitivi ma l’atto di trasferimento al fiduciario ov-vero l’atto col quale i beni sono posti sotto ilcontrollo dello stesso o ancora l’atto di segrega-zione nel patrimonio del disponente, nell’interes-se del beneficiario o per uno scopo specifico (47).A questo sistema fa eccezione il trust “autodichia-rato” di diritto anglosassone (col quale si dàun’articolazione di funzioni e di patrimoni in as-senza totale di alterità soggettiva fra gerito e ge-store) che non determina il trasferimento del di-ritto ed in cui il settlor si autodichiara trustee didetto diritto apponendo sul medesimo il vincolodi destinazione. Nella sentenza in epigrafe la Cor-te evidenzia che “quanto alla coincidenza dellapersona del trustee con quella del liquidatore, seda un punto di vista formale non qualifica il trustcome “autodichiarato” in ragione della alteritàsoggettiva, la circostanza è stata però corretta-mente assunta dalla corte del merito come indiziosignificativo della illiceità dell’atto, mancandonella sostanza un vero affidamento intersoggetti-vo dei beni” (48).

condo tale giurisprudenza, pur non essendovi una espressanorma di regolazione del conflitto nella legge fallimentare (co-me nella Convenzione dell’Aja), potrebbero applicarsi in viaanalogica quelle disposizioni che prevedono lo scioglimento exlege di fattispecie negoziali stipulate dall’impresa in bonis lacui prosecuzione non è compatibile con la liquidazione falli-mentare (artt. 76, 77 e soprattutto 78 l.fall.). Al contrario po-trebbe porsi un problema di sopravvivenza degli effetti del trustverificatosi medio tempore, come nel caso in cui il curatore in-tenda avvalersi dell’effetto segregativo dell’atto istitutivo perfar valere titoli di prelazione costituiti sui beni in trust dopo l’i-stituzione dello stesso e prima della dichiarazione di fallimentodel disponente. Conforme Trib. Milano 17 luglio 2009, in Dir.fall., 2009, II, 523 ss., secondo cui l’impostazione sarebbe aval-lata dalla modifica dell’art. 78 l.fall., che non prevede più loscioglimento del contratto di mandato in caso di fallimento delmandante, consentendo che il programma negoziale avviatoprima della dichiarazione di fallimento sia perseguito dal man-datario per conto del curatore del fallimento del mandante.

(42) App. Milano 29 ottobre 2009, cit.(43) In maniera critica Fanticini, Il trust liquidatorio ed il con-

flitto con il fallimento: confronto sui pro e i contro, Relazione alV Congresso Nazionale organizzato dall’Associazione “Il Trustin Italia”, Sestri Levante 12-14 maggio 2011, secondo cui «unqualsivoglia trust liquidatorio privo di tale clausola (di salva-guardia, ndr.) potrebbe essere caducato indipendentementeda una sopraggiunta procedura concorsuale: infatti, trattando-si di vizio originario del negozio, qualunque interessato (e,quindi, non soltanto il curatore fallimentare) potrebbe farne va-lere l’invalidità genetica (peraltro, rilevabile ex officio) e deter-minare così un travolgimento integrale in tutti i suoi effetti».

(44) V. Trib. Cremona 8 ottobre 2013, in questa Rivi-sta, 2014, 567 ss., con commento di Ranucci, I difficili rapporti

tra il trust liquidatorio e le procedure concorsuali; in tal sensoTrib. Reggio Emilia 2 maggio 2012, in www.ilcaso.it, peraltro,anche i sostenitori di tale tesi rilevano come il trust liquidatorionon possa sopravvivere alla dichiarazione di fallimento inquanto si andrebbero a sovrapporre due procedure liquidato-rie: una privata compiuta dal trustee ed una pubblica compiutadal curatore fallimentare. Inoltre, è escluso che possa farsi ri-corso agli artt. 78 e 72 l.fall. al fine di far rientrare nella massafallimentare i beni traslati nel trust in quanto come affermatodal Trib. Cremona 8 ottobre 2013, cit. «tutte tali norme si riferi-scono infatti ai rapporti di cui è titolare il fallito, di durata onon esauriti, disciplinando l’eventuale subentro del curatore,ovvero la loro cessazione e i relativi effetti».

(45) Cfr. al riguardo Fimmanò, Le destinazioni industriali deipatrimoni sociali, in Riv. dir. priv., 829 s; Id., Patrimoni destinatie tutala dei creditori, Milano 2008.

(46) Cfr. in tema Schiano di Pepe, Trust di protezione patri-moniale e fallimento, in Trusts, 2004, 215 s.

(47) Cfr. art. 2, comma 2, della Convenzione de L’Aja (inquesto senso Tucci, Trust, concorso dei creditori e azione revo-catoria, in Trusts, 2003, 33; De Nova, Trust: negozio istitutivo enegozi dispositivi, ibidem, 2000, 162).

(48) La giurisprudenza di merito ha recentemente affermatoche «in tema di trust, fatta salva la condizione di liceità e com-patibilità prevista dall’ultima parte dell’articolo 12 della Con-venzione dell’Aja, non vi sono disposizioni espresse nei princi-pi del nostro ordinamento che, ponendosi come limiti interniall’applicabilità dell’articolo 12 stesso, configurino un divieto ditrascrizione del trust, anche nella forma del trust interno auto-dichiarato, che non comporti effetti traslativi dei beni e per lacui ammissibilità, ad eccezione del divieto dell’illiceità, deveconsiderarsi richiesto il solo rispetto delle condizioni stabilitedalla Convenzione, e cioè: l’esistenza di un atto tra vivi o mor-

GiurisprudenzaFallimento

il Fallimento 11/2014 1163

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D’altra parte, l’istituto del trust si può manifesta-re in diverse articolazioni con una sorprendentevarietà di strutture e funzioni in cui va identificato,ai fini della revocatoria, il soggetto terzo, che nonè il fiduciario, ma chi riceve i benefici e subiscecorrelativamente gli effetti negativi dell’azione. Aquest’ultimo si deve fare riferimento per individua-re “la consapevolezza o la partecipazione alla dolo-sa preordinazione” di cui all’art. 2901, comma 1, n.2, c.c., o la scientia decoctionis richiesta o meno ri-spettivamente nei due commi dell’art. 67 l.fall.Dunque ai fini della revocabilità, le singole fatti-

specie di trust devono essere analizzate caso per ca-so, valutando la gratuità o l’onerosità dei singoliatti dispositivi in relazione all’intero, e spesso com-plesso, assetto degli interessi in gioco, quale risultadal collegamento tra il momento istitutivo e dispo-sitivo e dal coinvolgimento sia del disponente, siadel fiduciario, sia del beneficiario (o dei beneficia-rii), che, nella logica del trust, come risulta dall’art.2, comma 1 della Convenzione dell’Aja, risultanotitolari di pretese e di situazioni giuridiche protet-te. Al fine, quindi, di una corretta configurazionedell’atto revocabile come gratuito oppure onerosooccorrerà nel trust sempre verificare l’assetto deirapporti sottostanti tra disponente e beneficia-rio (49), a prescindere dalla qualificazione formaledei rapporti tra il settlor ed il fiduciario (50) cheesegue il compito di realizzarne le finalità attraver-so la gestione.La Suprema Corte evidenzia nella sentenza in

esame che il “programma di segregazione” corri-

sponde solo allo schema astrattamente previstodalla Convenzione dell’Aja, laddove il programmaconcreto non può che risultare sulla base del singo-lo regolamento d’interessi attuato, la causa concre-ta del negozio, secondo la nozione da tempo rece-pita.L’istituzione del trust è di per sé un atto pianifi-

catorio neutro, che infatti nella common law si po-ne ai margini dell’area del contract, collocandosinell’ambito del law of property in quanto fonte diuna trust property, visto che gli effetti traslativi nonsi fanno rientrare nell’ambito del contract ed il tra-sferimento della proprietà non costituisce di per séconseguenza del contratto ma esige uno specificoatto tra le parti (51).Mentre ad esempio l’atto di costituzione del fon-

do patrimoniale (52) secondo l’orientamento con-solidato è inquadrabile tra gli atti a titolo gratuitoe, come tale, soggetto all’azione revocatoria (53),tale principio è applicabile al trust, soltanto là doveil disponente non era in grado di adempiere alleproprie obbligazioni assunte prima del trasferimen-to dei beni in trust o anche a quelle assunte do-po (54), se l’atto dispositivo era dolosamente preor-dinato. In tale prospettiva, per valutare l’eventualeconsapevolezza o la partecipazione alla dolosapreordinazione da parte del terzo, presupposti ri-chiesti per la revocabilità in via ordinaria degli attionerosi (art. 2901, comma 1, n. 2, c.c.), ovvero ilrequisito soggettivo della revocatoria fallimentare(art. 67 l.fall.), bisogna fare riferimento al benefi-ciario del trust (55).

tis causa (articolo 2, comma 1), che attui il trasferimento, o ladisponibilità e controllo, dei beni al trustee nell’interesse delbeneficiario o per un fine specifico (articolo 2, comma 1); la se-gregazione dei beni rispetto al patrimonio del trustee (art. 2) ela loro intestazione ad esso (articolo 2, lett. b); l’indicazione deipoteri di amministrazione, gestione disposizione in capo a que-st’ultimo (articolo 2, lett. c); la risultanza del trust da atto scrit-to ed il carattere volontario della sua costituzione (articolo 3);la sottoposizione della regolamentazione del trust ad una leg-ge che ne contempli l’istituzione (App. Venezia 10 luglio 2014,in www.ilcaso.it).

(49) Nel fondo patrimoniale non esistono beneficiari in sen-so tecnico: i soggetti a cui favore è stato istituito il fondo (nor-malmente i figli), non sono legittimati ad agire nei confrontidei genitori che destinino i frutti dei beni costituiti a finalitànon coincidenti con i bisogni della famiglia.

(50) I coniugi nel fondo patrimoniale non sono consideratiquali fiduciari, per cui negli stessi può essere confusa la posi-zione gestoria con quella di proprietà. Nel fondo poi non è pre-visto che quando esso verrà a cessare i beni debbano esseredevoluti ad alcuno dei componenti la famiglia, in particolare aifigli, per cui la tutela della famiglia non appare così perseguitacol massimo risultato.

(51) Cfr. Roppo, Il contratto, in Trattato Iudica - Zatti, Milano,2001, 689; Rudden, La Teoria economica contro la «Propertylaw»: il problema del «numerus clausus», in Riv. crit. dir. priv.,2000, 451.

(52) Per i rapporti tra fondo patrimoniale ed insolvenza cfr.Fimmanò, L’insensibilità delle destinazioni patrimoniali al falli-mento, in www.il caso.it.

(53) Cass. 7 marzo 2005, n. 4933, in Mass. giust. civ., 2005,f. 3; Cass. 2 agosto 2002, n. 11537, in Riv. not., 2003, 444;Cass. 17 giugno 1999, n. 6017, in Mass. Giur. it., 1999; Cass.22 gennaio 1999, n. 591, in Foro it., 1999, I, 1469 e in Giur. It.,2000, 516; Cass. 18 marzo 1994, n. 2604, in Nuova giur. civ.comm., 1995, I, 264; Cass. 28 novembre 1990, n. 11449, inquesta Rivista, 1991, 365; Cass. 25 luglio 1997, n. 6954, ivi,1998, 679; Cass. 2 dicembre 1996, n. 10725, in Fam. dir.,1997, 169. È stato peraltro correttamente precisato da Cass.18 settembre 1997, n. 9292, in Foro It., 1997, I, 3148, con rife-rimento però alla revocatoria ordinaria esperita dal curatore exart. 66, l.fall., che il beneficiario non può addurre come esi-mente l’eventuale proporzione fra l’atto compiuto in adempi-mento di un dovere morale e il patrimonio del disponente co-me invece è previsto per l’azione di inefficacia svolta ai sensidell’art. 64 l.fall.

(54) Trib. Cassino 8 gennaio 2009, in www.ilcaso.it (secon-do cui posto che la mancata previsione di un corrispettivo è in-dice di gratuità dell’atto di trasferimento di beni in trust, puòessere accolta l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. ditale atto ove risulti provata, anche per presunzioni, la consape-volezza in capo al debitore disponente del pregiudizio arrecatoagli interessi del creditore).

(55) Morace Pinelli, Struttura dell’atto negoziale di destina-

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Le stesse considerazioni, in ordine alla valutazio-ne caso per caso della fattispecie concreta, valgonoper i c.d. trust solutori e che possono riguardare sial’adempimento di obbligazioni legali che contrat-tuali, e per i c.d. trusts con funzioni di garanzia. Inparticolare questi ultimi possono presentarsi in for-me particolarmente variegate sia per struttura cheper contenuto e pur svolgendo una funzione analo-ga alle tradizionali cause di prelazione prevedonoun assetto di interessi del tutto diverso, anche ri-spetto alle c.d. garanzie atipiche. Si è osservato chea causa di tali diversità «molto spesso manca neltrust ogni possibile configurazione del pregiudiziopatrimoniale del debitore disponente, mentre il piùdelle volte non è possibile nemmeno configurareuna sua legittimazione passiva, non essendo il pre-stito mai entrato nel suo patrimonio, poiché è af-fluito, con i relativi vincoli di segregazione, nel pa-trimonio del fiduciario» (56).Quanto ai trusts utilizzati nell’ambito di un ac-

cordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis l.fall. (57) oppure di un piano di risanamento“attestato” ex art. 67, comma 3, lett. d), l.fall. (58),

l’esenzione da revocatoria, dovrebbe coprire in li-nea di principio anche l’atto di disposizione dei be-ni in favore del trustee.

5. La soluzione scelta dalla Corte diCassazione

La sentenza in epigrafe conferma l’impressioneche pur volendo ritenere “in astratto” compatibileil trust con la liquidazione fallimentare, diviene inconcreto impossibile conciliare il trust con lo svolgi-mento della procedura (59). Solo in casi sporadici igiudici di merito hanno ritenuto compatibili iltrust e la procedura concorsuale del fallimento. Co-me nel caso in cui il trust liquidatorio sia istituitoda imprenditore in bonis che vi conferisca solo al-cuni beni: in tale ipotesi, l’istituto non sarebbe tra-volto dal fallimento, in analogia al fondo patrimo-niale ex art. 46 l.fall., salvo l’esperimento dell’azio-ne revocatoria (60). Invero, secondo altri la distin-zione tra trust istituito da imprenditore in bonis ov-vero insolvente, non rileva, in quanto, una voltadichiarato il fallimento, l’effetto segretativo pro-

zione e del trust, anche alla luce della legislazione fiscale, edazione revocatoria, in Contr. impr., 2009, 487; Tucci, Trust, con-corso dei creditori e azione revocatoria, cit., 34 ss., (secondocui nel momento in cui si procede ad una valutazione dellacomplessa fattispecie nell’ambito del giudizio revocatorio sarànecessario considerare l’intero assetto di interessi, quale risul-ta dal collegamento tra il momento di organizzazione del sin-golo trust ed il momento dispositivo e dal coinvolgimento siadel disponente (settlor) sia del fiduciario (trustee) sia del benefi-ciario o dei beneficiari, che, nella logica del trust, come risultadall’art. 2, comma 1, della Convenzione, risultano titolari dipretese e di situazioni giuridiche protette).

(56) Tucci, Trust, concorso dei creditori e azione revocatoria,cit., 37.

(57) Trib. Reggio Emilia 14 maggio 2007 ha omologato unaccordo di ristrutturazione in cui l’accomandatario di unas.a.s. in liquidazione, dopo aver istituito un trust autodichiaratodel quale si nominava trustee, su suoi beni personali, aveva ot-tenuto il consenso dei necessari creditori. Il trust prevedevache laddove entro un termine preciso il patrimonio sociale nonfosse riuscito a soddisfare i creditori, il trustee avrebbe dovutoessere cambiato ed il nuovo trustee avrebbe dovuto comincia-re a vendere i beni personali dell’accomandatario, per assicu-rare il pagamento dei debiti (inedito citato in Tonelli, Forme diutilizzazione del trust nelle procedure concorsuali, in Nds, 2009,n. 29, 19 s.).

(58) Un certa giurisprudenza ha ritenuto che abbia naturasolutoria l’atto istitutivo di un trust finalizzato al superamentodella crisi dell’impresa mediante la predisposizione di un pianoai sensi dell’art. 67, lett d) l.fall. (Trib. Alessandria 24 novembre2009, in www.ilcaso.it). Secondo il Tribunale al fine di determi-nare la natura gratuita od onerosa di tale atto, occorre fare ri-ferimento al rapporto tra disponente e destinatari, con la con-seguenza che avrà natura liberale l’atto con il quale il dispo-nente assoggetta determinati beni al trust con finalità liberalinei confronti dei beneficiari, mentre avrà natura onerosa l’attocon il quale i beni siano destinati all’adempimento di una ob-bligazione. Il giudice ha affrontato infatti esplicitamente la que-stione dell’assoggettabilità ad azione revocatoria ordinaria del

negozio di trasferimento di beni al trustee e l’ha risolta affer-mativamente, invocando l’art. 15, comma 1, lett.e), della Con-venzione dell’Aja, relativa alla legge applicabile ai trust ed al lo-ro riconoscimento, secondo cui la Convenzione non è di osta-colo all’applicazione delle disposizioni inderogabili della lex fo-ri, tra cui quelle in materia di protezione dei creditori in caso diinsolvenza, sempre che non si tratti di trust nullo. È stato rile-vato tuttavia che non era quella la norma applicabile nel casoconcreto. Trattandosi, infatti, di domanda di revoca ex art.2901 ss c.c. dell’atto di trasferimento al trustee, compiuto daldisponente, ricorreva l’applicabilità dell’art. 4 della Convenzio-ne, secondo cui quest’ultima non si applica alle questioni preli-minari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridiciattraverso i quali i beni sono trasferiti al trustee. Con la conse-guenza che la revocabilità dell’atto in questione era da valuta-re, non in base all’art. 2901 c.c., mediato dall’art. 15 della Con-venzione, bensì in base allo stesso art. 2901 c.c., per la sogge-zione dell’atto alle norme di conflitto della lex fori in conse-guenza dell’inapplicabilità ad esso della Convenzione ai sensidell’art. 4 (Dimundo, Sequestro conservativo e azione revocato-ria ordinaria del conferimento di beni in trust interno, in questaRivista, (supplemento al n. 6), Profili del trust nelle procedureconcorsuali, 2010, 21).

(59) Secondo Greco, Trust di attuazione di un piano attesta-to, in Trust, 2014, 24 ss., «il trust può sopravvivere al fallimentose nel suo atto istitutivo è previsto che il curatore possa utiliz-zarlo come trust nudo, per la continuazione dell’attività, in al-ternativa all’esercizio provvisorio, all’affitto di azienda o alla co-stituzione di una new company. In tal caso la segregazione ècompatibile con la liquidazione fallimentare, in quanto ad essastrumentale»; v. anche Lupoi, Due parole tecniche sull’atto isti-tutivo di un trust liquidatorio e sui trust nudi, in Trust, 2011,211; Id., Trusts, Milano, 2001, 261; Id., Istituzioni del dirittodei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2011, 127.

(60) Trib. Milano 29 ottobre 2010, cit.; in senso parzialmen-te differente Trib. Alessandria 24 novembre 2009, in www.ilca-so.it, secondo i quali il trust istituito da impresa in bonis che viconferisca l’intero patrimonio sopravvive alla dichiarazione difallimento, salvo l’esperimento dell’azione revocatoria.

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prio del trust, non rendendo possibile la liquidazio-ne fallimentare, si porrebbe in contrasto con ilprincipio di protezione dei creditori in caso di in-solvenza e, dunque, non sarebbe riconoscibile aisensi dell’art. 15, lett. e) della Convenzione, a nul-la rilevando l’intento simulatorio o fraudolento deldisponente (61).La Corte di Cassazione anche se preliminarmen-

te afferma di condividere l’orientamento secondocui il trust costituito da imprenditore insolvente sianullo, nella parte espositiva, non affronta la que-stione dell’inefficacia del trust sul piano della pato-logia negoziale ma su un piano ancora precedente,ossia della riconoscibilità del trust nell’ordinamen-to nazionale. In realtà, la Cassazione “facendo unpasso indietro” supera ogni questione relativa allapatologia negoziale, ivi inclusa quella per cui lanullità dovrebbe essere valutata sulla base dellenorme (straniere) regolatrici del trust (62). Infatti,il trust costituito da imprenditore insolvente nonsarebbe nullo, piuttosto non sarebbe riconoscibilenell’ordinamento nazionale, come tale inesistentee, dunque, improduttivo di effetti giuridici.I giudici ritengono che, ai fini dell’ammissione

nell’ordinamento del trust, debba essere valutata lacausa concreta del regolamento, al fine di valutar-ne la liceità, particolarmente rilevante in uno stru-mento estraneo alla nostra tradizione di diritto ci-vile e che si affianca, in modo particolarmente effi-cace, ad altri esempi di intestazione fiduciaria voltiall’elusione di norme imperative. Qualora la causaconcreta «sia quella di segregare tutti i beni del-l’impresa a scapito di forme pubblicistiche quale ilfallimento, che detta dettagliate procedure e requi-siti a tutela dei creditori del disponente, l’ordina-mento non può accordarvi tutela. Il trust, sottraen-do il patrimonio o l’azienda al suo titolare ed impe-dendo una liquidazione vigilata - in quanto rimetteper intero la liquidazione dell’attivo alla discrezio-nalità del trustee - determina l’effetto, non accetta-bile per il nostro ordinamento, di sottrarre il patri-monio del debitore ai procedimenti pubblicistici digestione delle crisi d’impresa ed all’attivo fallimen-tare della società settlor il patrimonio stesso». Atte-sa la non meritevolezza di tutela di un simile trust,vengono analizzate quali siano le conseguenze.Invero, la Corte riconosce come la valutazione

sulla validità negoziale del trust debba essere com-

piuta alla stregua dell’atto istitutivo del trust e dellalegge che lo regola, ma dall’altra parte affermanocome la valutazione dell’ammissibilità precedaquella della validità negoziale. Infatti, «al vaglio divalidità secondo il diritto straniero prescelto è pre-liminare la formulazione di un giudizio di ricono-scibilità del trust nel nostro ordinamento».Pertanto, secondo la Corte, ai sensi dell’art. 15

della Convenzione dell’Aja non sarà riconoscibileil trust che possa costituire «ostacolo all’applicazio-ne delle disposizioni della legge designata dallenorme del foro sul conflitto di leggi» in tema di«protezione dei creditori in caso di insolvenza».Tale incompatibilità comporta «che il giudice chepronuncia la sentenza dichiarativa del fallimentoprovvede incidenter tantum al disconoscimento deltrust liquidatorio, il quale finisce per eludere artifi-ciosamente le disposizioni concorsuali sottraendoal curatore la disponibilità dell’attivo societario».Il trust istituito dall’imprenditore insolvente deveessere disconosciuto dal giudice del merito che di-chiara il fallimento, ossia «dalla dichiarazione difallimento deriva, quindi, l’integrale non riconosci-mento del trust, ai sensi dell’art. 15, primo comma,lett. e) della Convenzione».Il trust così disconosciuto, dunque, è tamquam

non esset e non produce l’effetto di segregazione. Lasanzione della nullità - continua la Corte - «pre-suppone che l’atto sia stato riconosciuto dal nostroordinamento; il conflitto con la disciplina indero-gabile concorsuale determina invece la stessa inesi-stenza giuridica del trust nel diritto interno». Nelleipotesi in cui, poi, l’atto istitutivo contenga laclausola di risoluzione allorché sopravvenga una vi-cenda concorsuale nei confronti della disponente(c.d. clausola di salvaguardia), essa resta inoperan-te, come tutto il negozio, privo in via assoluta dieffetti in quanto non riconosciuto ab origine.Passaggio successivo analizzato puntualmente

nella sentenza in commento è la sorte dei beniconferiti in trust. Infatti, come visto, l’istituzionedel trust è di per sé un atto pianificatorio neutro.In altri termini, il trust è una “scatola”, dunque,quello che rileva è la sorte dei beni posti al suo in-terno in quanto rappresentano i cespiti su cui i cre-ditori possono soddisfare le loro pretese. Ebbene,alla stregua della legge interna dal momento che ilnegozio istitutivo del trust si pone come anteceden-

(61) Pirruccio, La segregazione dell’intero patrimonio azien-dale nel trust non consente il normale svolgimento della proce-dura concorsuale, in Giur. merito, 2010, 1596.

(62) Configurare il fallimento quale causa sopravvenuta dinullità imporrebbe di accertare se la legge regolatrice preveda

e disciplini i presupposti dell’istituto così come la liceità origi-naria del trust implica l’applicazione della legge regolatrice pre-scelta ai sensi dell’art. 6 della Convenzione, cfr. Dimundo,«Trust interno» istituito da società insolvente in alternativa alla li-quidazione fallimentare, cit., 15.

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te causale (almeno dal punto di vista logico-giuri-dico, anche qualora contestuale) dell’attribuzionepatrimoniale operata con l’atto di trasferimento deibeni, ove non riconoscibile il primo diviene privodi causa il secondo (nullo ex art. 1418 c.c., comma2, prima parte, perché operato in esecuzione di ne-gozio non riconoscibile). Pertanto, i beni conferitiin trust «per effetto dello spossessamento fallimen-tare che priva il fallito della disponibilità di suoibeni, tra i quali sono da ricomprendere tutti i dirit-ti patrimoniali inefficacemente trasferiti» possonoessere appresi dal curatore.In definitiva, secondo la Corte il trust non può

essere riconosciuto dall’ordinamento italiano qua-lora il settlor sia un imprenditore che versava instato di insolvente al momento del conferimentodei beni in trust per violazione dell’art. 15 lett. e)della Convenzione dell’Aja. Il conflitto con la di-sciplina inderogabile concorsuale determina la stes-sa inesistenza giuridica del trust nel diritto internoche deve essere disconosciuto dal giudice del meri-to, ogni volta che sia dichiarato il fallimento peressere accertata l’insolvenza del soggetto, ove l’in-solvenza preesistesse all’atto istitutivo.

6. Il trust nel diritto interno

La Cassazione sottolinea nella sentenza in epi-grafe che in ragione della estraneità dello strumen-to agli istituti giuridici di molti ordinamenti, laConvenzione dell’Aja contiene plurimi limiti di ef-ficacia per il trust nell’art. 13, art. 15, comma 1,lett. e), artt. 16 e 18. La prima norma, nell’ambitodi quelle deputate proprio a regolare le condizionidel riconoscimento, prevede: «nessuno Stato è te-nuto a riconoscere un trust i cui elementi significa-tivi, ad eccezione della scelta della legge applicabi-le, del luogo di amministrazione o della residenzaabituale del trustee, siano collegati più strettamentealla legge di Stati che non riconoscono l’istitutodel trust o la categoria del trust in questione». Essaè dunque rivolta agli Stati e costituisce una normadi preventiva chiusura. Al vaglio di validità secon-do il diritto straniero prescelto è preliminare - se-condo i giudici - la formulazione di un giudizio diriconoscibilità del trust nel nostro ordinamento,

nel raffronto con le norme inderogabili e di ordinepubblico.Orbene questa impostazione della Suprema Cor-

te colpisce nel segno e lascia aperta la porta al te-ma più generale dell’ammissibilità del c.d. trust in-terno o domestico.Il trust costituisce uno straordinario strumento di

autonomia privata per istituire patrimoni destinatia scopi predeterminati, consentendo di derogare inquesto modo al principio di responsabilità patrimo-niale universale, per cui il debitore risponde delleobbligazioni con tutti i propri beni presenti e futu-ri. Ciò ha consentito nei paesi di matrice anglosas-sone la disciplina delle diverse pretese intorno apatrimoni separati, situazione risolta spesso negliordinamenti di civil law mediante soluzioni di se-condo grado, quale è la costituzione di soggetti giu-ridici, distinti dalle persone fisiche, che traduconoin atti giuridici l’esigenza di dare rilevanza autono-ma a tali patrimoni. In buona sostanza si dà luogoinvece che all’attribuzione ad uno scopo, all’attri-buzione ad una persona che non esiste in natura eche somiglia più ad un interesse precostituito e chead un soggetto naturalistico (63). Si tratta del frut-to della nota contrapposizione, nell’ambito degliordinamenti giuridici di stampo anglosassone, fra idue sistemi normativi del common law e dell’equity,entrambi di creazione giudiziale (64), privo di equi-valenze concettuali nella civil law.Il trust non ha, infatti, natura contrattuale, coin-

volge il settlor, che compie l’atto di disposizione (eche può riservarsi determinati diritti di ingerenzasul patrimonio), il trustee che ha l’amministrazionedei beni di cui acquista la proprietà vincolata alloscopo, i beneficiari che acquistano il diritto all’in-testazione dei beni al momento dello scioglimentodel trust e possono vantare diritti agli utili o ad at-tribuzioni di denaro in pendenza del rapporto, sel’atto di costituzione lo prevede. L’istituto è unasorta di figura esponenziale delle tecniche di segre-gazione: i beni che ne costituiscono l’oggetto ven-gono messi al riparo sia dai creditori personali deltrustee, sia dai creditori del disponente salvo chenon sia istituito in loro frode ed essi possano ricor-rere ai rimedi posti dall’ordinamento per reintegra-

(63) Così Salamone, Sui patrimoni destinati a specifici affari,in Aa.Vv., Profili patrimoniali e finanziari della riforma, Atti delConvegno di Cassino, 9 ottobre 2003, a cura di Montagnani,Milano 2004, 99. Cfr. inoltre nell’ampissima letteratura tra glialtri Stella Richter, Il "trust" nel diritto italiano delle società, inquesta Rivista, 1998, I, 477 ss.; Lupoi, Trusts, Milano 2001; Id.,Aspetti gestori e dominicali, segregazione: "trust" e istituti civili-stici, 1998, I, 3391; Gambaro, Trust, voce in Digesto IV, sez.

civ. XIX, Torino, 1999, 449.(64) Franceschelli, Il «trust» nel diritto inglese, Padova,

1935, 138; Cheshire, Il concetto di trust secondo la CommonLaw inglese, Milano, 1993; Busato, La figura del trust negli or-dinamenti di Common Law e di diritto continentale, in Riv. dir.civ., 1992, II, 309; Gambaro, Il diritto di proprietà, in Trattato Ci-cu-Messineo, Milano 1995, 647 ss.

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re la garanzia patrimoniale, sia dai creditori del be-neficiario tranne che questi possano pignorare ilcredito del loro debitore nei confronti del trustee etale posizione soggettiva implichi il diritto di otte-nere il capitale del trust.La ratifica italiana alla Convenzione de L’Aja,

come visto nella sentenza, ha posto come limiti al-l’operatività dell’istituto soltanto le regole di dirit-to interno ritenute di applicazione necessaria, e traqueste la riserva contenuta nell’art. 15, lettera e),riguardante la protezione dei creditori in caso diinsolvenza (65) e, di conseguenza, vada escluso cheattraverso il riconoscimento degli effetti del trust,si possa derogare alle norme ed ai principi di ordi-ne pubblico della legge richiamata dalle norme diconflitto del foro. Diversa è la condizione di sog-getti e beni che si trovino al di fuori della sfera delnostro diritto interno e che possono beneficiare diparticolari trust, che proteggono i beni da un attac-co indiretto da parte dei creditori del beneficiario.È pacifico in ogni caso che la Convenzione non

abbia introdotto un trust di diritto interno né abbiadettato una disciplina nazionale per l’istituto (66),ma si continua a discutere, anche dopo la ratificaitaliana (67), sull’ammissibilità del trust c.d. inter-no che non presenti cioè elementi importanti diestraneità rispetto all’ordinamento, ed in cui leparti siano cittadini italiani ed i beni da trasferiresiano ubicati all’interno del territorio italiano, conla mera peculiarità della legge straniera scelta daldisponente per regolamentare il negozio istitutivo.In realtà obiettivo della Convenzione è quello di

garantire lo sviluppo dell’istituto, mediante la fissa-zione di norme internazionali di diritto privato,che introducano, negli ordinamenti dei diversi Sta-ti, criteri univoci per il riconoscimento dei trusts didiritto estero e che consentano, per quanto possibi-

le, di uniformare tra loro anche le norme internedi conflitto. La finalità di diffondere l’istituto è sta-ta perseguita prevedendo la libertà di sceglierne lalegge regolatrice per cui il concreto utilizzo divienepossibile anche ai cittadini di “non Trust Country”(artt. 6 e 7) e sancendo l’obbligatorietà per tuttigli Stati aderenti di riconoscerlo quando corrispon-da al modello convenzionalmente tipizzato (art.11).La Convenzione dell’Aja rimane però una con-

venzione in tema di conflitti di leggi e, non assu-mendo il carattere di convenzione di diritto sostan-ziale uniforme, non produce l’effetto di introdurrenel nostro ordinamento un trust di diritto inter-no (68) ma di individuare la legge regolatrice diquelle fattispecie che presentano elementi di estra-neità. D’altra parte l’art 13 sancisce che «nessunoStato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementiimportanti, ad eccezione della legge da applicare,del luogo di amministrazione e della residenza abi-tuale del trustee, sono più strettamente connessi aStati che non prevedono l’istituto del trust o la ca-tegoria del trust in questione».L’interpretazione letterale della norma sembra

escludere la legittimità del trust domestico nonavendo lo Stato italiano previsto e disciplinato talefigura e mancando elementi obiettivi di internazio-nalità della fattispecie (69). Il citato articolo attri-buisce ad ogni Stato sottoscrittore, che non preve-da il trust, ma anche ad uno Stato che lo preveda(Trust Country), il potere di rifiutarne il riconosci-mento. L’ambito individuato dall’art. 13 è quellodel trust interno di uno Stato che non lo prevede,nel quale i soggetti e l’oggetto, cioè gli elementiimportanti, sono localizzati nel territorio dello Sta-to medesimo. Così, un trust interno allo Stato ita-liano sarebbe quello costituito (in base a legge stra-

(65) L’Italia ha, come noto, ratificato la Convenzione sulladisciplina e sul riconoscimento dei Trusts, (sottoscritta all’Aja il1 luglio 1985 ma entrata in vigore, a termini del suo art. 30,soltanto il 1 gennaio 1992) con la L. 16 ottobre 1989 n. 364.La convenzione all’art. 15 fa salva, in particolare, la protezionedei creditori in caso di insolvenza necessariamente in riferi-mento al settlor (sul tema cfr. L. Panzani, Trust e fallimento, inAtti del Convegno, Il trust interno: struttura, applicazioni e aspet-ti fiscali, Bologna 30 marzo 2001).

(66) Al riguardo Castronovo, Trust e diritto civile italiano, inVita not., 1998, 1323; Id., Il trust e «sostiene Lupoi», in Europae dir. priv., 1998, 451; Gambaro, Il diritto di proprietà, cit., 638.V’è chi sostiene che la Convenzione avrebbe introdotto untrust “amorfo”, dettandone caratteristiche diverse da quelledel trust anglosassone (Lupoi, The shapeless Trust - Il Trustamorfo, in Vita not., 1995, 51).

(67) Prima dell’entrata in vigore della legge di ratifica, neavevano affermato, in giurisprudenza la incompatibilità con iprincipi del nostro ordinamento: Trib. Oristano 15 marzo 1956,

in Foro it., 1956, I, 1020; Trib. Casale Monferrato 13 aprile1984, in Giur. it., 1985, I, 2, 760, con nota di Cassoni, Il «trust»anglosassone quale istituzione sconosciuta nel nostro ordina-mento.

(68) In tal senso Rescigno, Notazioni a chiusura di un semi-nario sul trust, in Eur. e dir. priv., 1998, 457; Gazzoni, Tentativodell’impossibile (osservazioni di un giurista «non vivente» su truste trascrizione, in Riv. not., 2001, 18 ss.; Id., In Italia tutto è per-messo, anche quel che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoisul trust e su altre bagattelle), in Riv. not., 2001, 1251; Di Majo,Responsabilità e patrimonio, Torino, 2005, 95 ss.

(69) Si è rilevato che i vari comitati che si sono occupati deltesto della convenzione hanno inteso evitare che in conse-guenza della adesione alla convenzione il trust divenisse stru-mento operativo a disposizione della pratica degli affari in unpaese non trust. (Malaguti, Il futuro del trust in Italia, in Contr. eimpr., 1990, 997; Busato, La figura del trust negli ordinamentidi commow law e di diritto internazionale, in Riv. dir. civ., 1992,309).

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niera) da un cittadino a favore di un altro cittadi-no, entrambi residenti, mediante conferimento dibeni situati in Italia. Nessuno degli Stati sottoscrit-tori, compresa l’Italia, è quindi tenuto a riconosce-re un trust di questo tipo (70).Comunque non ha alcun senso chiedersi se, per

effetto della Convenzione, gli schemi formali deltrust, come istituto di common law, «siano penetratinel nostro ordinamento, acquistando cittadinanzaitaliana, per via del riconoscimento accordato ainegozi, posti in essere nell’ambito di ordinamentistranieri mediante il ricorso a tali schemi» inimita-bili. Ha molto più senso ammettere per le specifi-che esigenze della fattispecie l’uso degli istituti edelle soluzioni, anche di secondo grado (come lesocietà), dotati di cittadinanza. D’altra parte «adogni acquisto di cittadinanza corrisponde ... unnuovo status, che è quello definito dalle leggi delpaese di mutata appartenenza»; né si può esserecittadini di un nuovo paese in base alle regole che,in quello di origine, regolano la cittadinanza. Ostaad una siffatta aporia, «il principio di relatività del-le valutazioni e delle formalizzazioni giuridiche,che, sebbene oggi poco in auge, per via della cre-scente globalizzazione, qualche significato continuapur sempre a rivestire» (71).La verità è che l’istituto è inimitabile nel nostro

ordinamento. Il trust in funzione protettiva realizza,mediante un rapporto di natura fiduciaria, un tra-sferimento o una destinazione di proprietà di beni,a cui è connesso l’obbligo del trustee (che ne di-venta titolare legale a tutti gli effetti anche se ri-mangono segregati nel suo patrimonio) di eseguirele disposizioni del settlor a vantaggio del beneficiary,

talora sotto la supervisione di uno o più protectors,ed a cui è collegato il diritto del beneficiario di esi-gere tale prestazione.Orbene, in primo luogo il nostro diritto di pro-

prietà è concepito nel senso che, in capo al mede-simo soggetto titolare, siano ricomprese tutte le fa-coltà di godimento, di gestione e di disposizionedei beni e quindi il trust, generando uno sdoppia-mento del diritto (dual ownership) (72), o megliouna dissociazione tra proprietà e controllo (73), an-drebbe considerato una sorta di diritto reale atipi-co (74). Essendo i diritti reali preordinati e ricono-sciuti dal codice civile (numerus clausus), non èammessa la libera formazione di nuove fattispecieconvenzionali (come invece consentito per i rap-porti obbligatori dall’art. 1322 c.c.). Nel nostro or-dinamento la proprietà si trasferisce tra vivi soltan-to mediante atti giuridici determinati, compraven-dita e donazione, dei quali non vi è traccia neltrust anglosassone, ove mancano l’elemento delprezzo e l’intento di liberalità.In secondo luogo, la costituzione di patrimoni se-

parati violerebbe, in assenza di una norma espressa,il principio della responsabilità patrimoniale genera-le del debitore di cui all’art. 2740 c.c. (75). Tale im-postazione nasce, come noto, dalla concezione diorigine francese del patrimonio come emanazionedella personalità, con i relativi corollari dell’unicitàe della indivisibilità, da un lato, e dell’impossibilitàdi individuare l’appartenenza di più patrimoni in ca-po al medesimo individuo dall’altro (oltre che, ov-viamente, nelle teorie patrimoniali dell’obbligazionedi matrice tedesca) (76). Tale sistema presidia dal-l’esterno il buon funzionamento del rapporto obbli-

(70) Si è osservato che la legittimità dei trust interni sarebbefondata sulle disposizioni della Convenzione sul riconoscimen-to e che esse non pongono alcuna limitazione soggettiva o og-gettiva, né essa è desumibile dal complesso della Convenzionestessa, nonostante la sua natura di convenzione essenzialmen-te internazional-privatistica. Secondo questa impostazione laConvenzione aderirebbe a quel criterio della libertà della sceltadella legge regolatrice che costituisce l’attuale tendenza del di-ritto internazionale privato e che qualsiasi obiezione di dirittocivile riguardo specifiche istanze o specifici profili dei trust o sirivolge contro i trust da chiunque istituiti (ma questo non sa-rebbe possibile dopo l’entrata in vigore della Convenzione) ocade nei confronti di tutti (sul tema cfr. anche Rovelli, Libertàdi scelta della legge regolatrice, in Trusts, 2001, 506).

(71) Così in modo ineccepibile Palermo, Contributo allo stu-dio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal dirittoitaliano, in Riv. dir. comm., 2002, 394.

(72) Dallo sdoppiamento del diritto di proprietà deriva che ilbeneficiary potrà avvalersi dei rimedi posti a sua tutela dalleCorti di equity per rivendicare i beni che siano in mano di qua-lunque terzo il quale non li abbia acquistati in buona fede e atitolo oneroso o costringere il trustee a riversare nel trust i beniche abbia acquistato per sé, cioè in nome e per conto proprio,con i proventi di alienazioni dei beni segregati.

(73) Invero si discute dell’esistenza di una doppia proprietà,nella quale il beneficiary sia titolare di una “equitable owners-hip” e il trustee di una “legal ownership” con riferimento allaposizione del primo, la quale non avrebbe i caratteri della reali-tà.

(74) Così Franceschelli, Il «trust» nel diritto inglese, cit., 22;Gambaro, Problemi in materia di riconoscimento degli effetti deltrust nei paesi di civil law, in Riv. dir. civ., 1984, I, 93.

(75) La norma dell’art. 2740 c.c. è considerata di ordinepubblico dalla prevalente dottrina (Barbero, Sistema istituziona-le di diritto privato italiano, V ed., Torino, 1958, II, 154; Tucci,voce Privilegi,1, Diritto civile, in Enc. giur., XXIV, Roma 1991,39). Si è ritenuto che in generale i negozi tesi ad aggirare ildettato dell’art. 2740 non potrebbero considerarsi illeciti masemplicemente revocabili e dunque inefficaci (al riguardo Ma-si, Destinazione di beni e autonomia privata, in Aa.Vv., Destina-zione di beni allo scopo, Milano, 2003, 44) mentre una certagiurisprudenza ha ritenuto che la violazione della disposizionecomporti la nullità (Trib. Genova 27 gennaio 1983, in Dir. fall.,1984, II, 836).

(76) Sul tema dell’unità del patrimonio intesa come princi-pio generale dell’ordinamento, crf. Alpa, I principi generali, inLe fonti non scritte e l’interpretazione, a cura di Alpa ed altri, inTrattato Sacco, Torino, 1999, 395.

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gatorio e ne assicura comunque il risultato utile an-che contro l’inerzia o la cattiva volontà del debito-re, esponendo tutti i beni di quest’ultimo all’azioneesecutiva. Perciò nel nostro ordinamento l’effettosegregativo discende solo da specifiche disposizionidi legge che hanno, in via eccezionale e di volta involta, previsto una separazione fra godimento, ge-stione e disponibilità dei beni. La separazione deibeni oggetto di trust rispetto al patrimonio del tru-stee deriva da un atto di autonomia privata, mentrei possibili analoghi effetti rinvenibili nel nostro or-dinamento non sono ricollegabili semplicemente adun atto di volontà proveniente dai privati. Essi sonoespressamente previsti dalle leggi che li hanno in-trodotti (77) e disciplinati e possono farsi rientrarein quelle “limitazioni della responsabilità” previstedall’art. 2740, comma 2, c.c. ed ammesse solo nei“casi stabiliti dalla legge”.Il divieto, espresso dall’art. 2740 c.c., di limitare

convenzionalmente la responsabilità patrimonialedel creditore, e la conseguente riserva di compe-tenza legislativa in materia, permane e rende itrusts della convenzione, ossia “costituiti volonta-riamente”, astrattamente ad esso contrari (78).Non è possibile parcellizzare, a mero arbitrio deldisponente, alcuni elementi del patrimonio, sia purper dare loro una specifica destinazione, sottraen-doli alla responsabilità universale in contrasto conil principio dell’unicità del patrimonio, con van-taggio di taluni creditori e danno per gli altri (79).Secondo una certa impostazione tuttavia l’appli-

cabilità della disciplina specifica del trust derive-rebbe dalla presenza nell’ambito dell’ordinamentoitaliano di istituti in cui si attua la disciplina della

segregazione (80). Peraltro gli istituti “assimilabili”sono diretti a realizzare soltanto lo scopo assegnatoa ciascuno dalla legge, mentre gli scopi perseguibilicon il trust sono illimitati per numero e varietà.Altro percorso tentato dalla dottrina per ricon-

durre il trust nell’alveo dell’ordinamento italiano, èquello che muove dal rilievo secondo cui questo fe-nomeno consisterebbe in dichiarazioni di volontàdirette ad uno scopo determinato. Il trust potrebbe,anche per questa via, essere considerato un negoziogiuridico atipico, purché diretto a realizzare inte-ressi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento,nel rispetto dei limiti imposti dalla legge, comequelli che ad esempio le procedure concorsuali perloro natura sottendono.Questa impostazione si scontra innanzitutto con

il fatto che l’art. 1322 c.c. riguarda negozi tra vivi(artt. 1323 e 1324 c.c.) per cui rimarrebbero fuoridalla previsione i trusts costituiti mortis causa (né èconfigurabile un testamento atipico). Inoltre, conriguardo allo sdoppiamento del diritto di proprietà,si ripropone la questione del numerus clausus deidiritti reali, per cui il trust rimarrebbe comunqueinammissibile, ex art. 1322, comma 2, ult. parte,anche come negozio giuridico atipico, in quantodiretto ad interessi non conformi all’ordinamentoitaliano ed anzi con esso contrastanti.In terzo luogo, resta il nodo della integrazione

della volontà delle parti che, nella loro autonomia,possono omettere uno o più elementi essenziali al-l’efficacia del negozio. Si pone in questo caso unproblema di integrazione del negozio atipico, nonriconducibile in alcuno degli schemi disciplinatiespressamente dalla legge (81). Orbene, per il trust

(77) La dottrina ha evidenziato l’insufficienza dei tentatividiretti ad accostare il trust ad istituti di diritto interno (Castro-novo, Trust e diritto civile italiano, cit., 1325).

(78) Peraltro, l’art. 3 della Convenzione esclude i constructi-ve trusts, cioè quei trusts costituiti da una decisione del giudicecontro la volontà delle parti. È controverso se siano ricompresii resulting trusts costituiti sempre giudizialmente, ma, in questocaso, prendendo atto della volontà implicita delle parti.

(79) In questo senso Pugliatti, Gli istituti del diritto civile, Mi-lano, 1943, 303; Dimundo, Spendthrift clause e fallimento delbeneficiario:riflessioni di un giurista italiano, cit., 501.

(80) L’orientamento secondo cui il trust violerebbe il c.d.principio della responsabilità patrimoniale, di cui all’art. 2740,c.c., fa leva sul dato positivo della norme convenzionali per de-durre la improponibilità della tesi della violazione (cfr. Gamba-ro, Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliaridel trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, in Riv. dir.civ., 2002, II, 257). Secondo l’impostazione contraria tuttavianon si tratterebbe di ricondurre i trusts al secondo comma del-l’art. 2740 c.c., il quale dispone che le limitazioni della respon-sabilità patrimoniale sono ammesse nei soli casi previsti dallalegge ma più semplicemente di dare atto dell’effetto segregati-vo, talmente privilegiato dalla medesima Convenzione nell’art.11 (Lupoi, Strutturazione dei trust di protezione patrimoniale, in

atti del Convegno“Il trust quale legittimo strumento di tutela delpatrimonio”, Torino, 13 marzo 2003; Lupoi, Lettera a un notaioconoscitore dei trust, in Riv. not., 2001, 1159 e in Trusts, 2002,169). La dottrina internazional-privatistica ha richiesto, fin daiprimi interventi sul tema, una ragionevole e legittima giustifica-zione del ricorso all’istituto (Luzzatto, "Legge applicabile" e "ri-conoscimento" di trusts secondo la Convenzione dell’Aja, inTrusts, 2000, 7 ss.) ovvero ha rilevato che un intento abusivonella scelta della legge applicabile precluderebbe il riconosci-mento del trust (Carbone, Autonomia privata, scelta della leggeregolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti nella Con-venzione dell’Aja del 1985, in Trusts, 2000, 145) e la dottrina ci-vilistica da un lato ha auspicato che il dibattito muova dall’ana-lisi delle funzioni e degli effetti (Costantino, Titolarità giuridica eappartenenza economica: nozioni astratte e destinazioni specifi-che per il trustee, in Trusts, 2003) e dall’altro ha tentato di ri-condurre l’istituto direttamente al nostro sistema, avvalendosidel principio dell’autonomia privata (Palermo, Autonomia ne-goziale e fiducia (breve saggio sulla libertà dalle forme), in Studiin onore di Pietro Rescigno, V, Milano, 1998, 339).

(81) La previsione contenuta nell’art. 1323 c.c., di una partegenerale relativa alla figura del contratto, è insufficiente perl’integrazione di una compiuta disciplina delle singole ipotesicontrattuali atipiche e ciò in quanto le norme generali nulla di-

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1170 il Fallimento 11/2014

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tale integrazione dovrebbe essere realizzata appli-cando la disciplina di un contratto tipico ad essoassimilabile, là dove nessuno dei contratti tipici è,come visto, idoneo all’uopo, anche in considerazio-ne che l’istituto è per sua natura multiforme e va-riabile costituendo una forma a rilievo reale aper-ta (82).Quello descritto è un percorso argomentativo

che sposta il problema sulla valutazione della meri-tevolezza degli interessi per l’ordinamento giuridicosenza limitarsi alla semplice definizione dello sco-po, ma estendendo l’analisi al “programma” che siè prefissato il disponente nel momento in cui hadeciso di dar vita al trust.Per il trust domestico restano pertanto insupera-

bili i principi che si oppongono allo sdoppiamentodel diritto di proprietà, a prescindere dal fatto chevenga perseguito uno scopo lecito o meno (83).Nessun problema osta invece alla riconoscibilità diun trust in cui i soggetti abbiano nazionalità stra-niera e i beni siano situati in Italia oppure in cui isoggetti abbiano nazionalità italiana e i beni sianosituati all’estero. Qui, il dovere di riconoscimentoderiva dall’adesione dell’Italia alla Convenzione, ilcui ordine pubblico non fa alcuna questione sullosdoppiamento.L’ordine pubblico convenzionale opera su un

piano diverso da quello dell’ordine pubblico inter-no rispetto al quale è autonomo, come pure rico-nosce e certifica la Convenzione (artt. 16 e 18).Pertanto l’adesione dell’Italia alla Convenzionecomporta il suo dovere di riconoscere un trust“esterno” ma non anche il trust “interno” con ilconseguente rischio che possa essere dichiaratoinammissibile (84).In realtà, v’è chi afferma che il principio del nu-

merus clausus, riferito ai diritti reali, non sia effetti-vamente di ordine pubblico e non sottenda una

istituzionale intutelabilità di quegli interessi al go-dimento od alla proprietà dei beni, che il legislato-re italiano non abbia espressamente e nominativa-mente previsto e riconosciuto (85).Ma anche volendo seguire questa impostazione,

resterebbe da chiedersi per quale motivo debba es-sere imitato un modello che, per i particolari e so-prattutto irriproducibili rapporti che nei paesi dicommon law vengono a porsi «fra legal estate edequitable interests, necessariamente inducono alladefinitiva perdita del bene fin dal momento delsuo affidamento al trustee, all’azionabilità in perso-nam delle limitazioni, aventi carattere per lo piùobbligatorio, del diritto formalmente riconosciutoin capo a quest’ultimo, nonché ad una tutela» mol-to attenuata del beneficiario privo di ownership insenso proprio. In buona sostanza non si può nonprendere atto della mancanza di quell’apparato “ri-mediale” dell’equity che nella sostanza attribuisceeffettività al trust (86). E questa opinabile emula-zione, eventualmente in contrasto con principi diordine pubblico avverrebbe là dove il nostro ordi-namento è perfettamente in grado di attuare, me-diante duttili schemi autoctoni, «(quelli in partico-lare, afferenti l’efficacia potenzialmente attributivadel negozio; la conferibilità al gestore di poteri so-stanziali sul bene, estesi all’esercizio dell’attività di-spositiva; il carattere reale dell’aspettativa ricono-scibile in capo al beneficiario o ai beneficiari) tuttele finalità perseguite dal disponente» (87).Il ragionamento complessivo è rafforzato dal ci-

tato pronunciamento delle Sezioni Unite in temadi giurisdizione (88). È abbastanza singolare che untrust istituito da italiani, o comunque da soggettiresidenti in Italia, e che contempli l’attribuzione dibeni situati in Italia, possa essere assoggettato allagiurisdizione straniera sulla base di una mera clau-sola convenzionale. Tant’è che lo stesso Supremo

cono in ordine alla disciplina speciale degli effetti contrattualiparticolari. Il problema normativo dei negozi atipici viene risol-to ricorrendo alla disciplina dei negozi tipici, individuando,cioè, tra le norme che ne disciplinano i relativi effetti, quelleche più si adattano al rapporto atipico. In tal senso, ai contrattiatipici sarebbero applicabili in via analogica le disposizioni con-template per altri negozi ad essi assimilabili per natura e fun-zione economico-sociale.

(82) Rojas Elgueta, Il rapporto tra l’art. 2645 ter e l’art. 2740c.c.: un’analisi economica della nuova disciplina, in questa Rivi-sta, 2007, I, 195.

(83) Per una critica al concetto di “sdoppiamento della pro-prietà” cfr. Bianca, La fiducia attributiva, Torino, 2001.

(84) D’altra parte il fulcro della problematica è connessoproprio alle speciali caratteristiche della Convenzione - che so-no del tutto peculiari rispetto a quelle proprie delle Convenzio-ni di diritto internazionale privato (cfr. Rovelli, Diretta applicabi-lità della convenzione dell’Aja e l’ammissibilità nell’ordinamento

italiano dei “trust interni”, in Nds, 2009, n. 12, 3 s.; Peroni, Lanorma di cui all’art. 2645 ter: nuovi spunti di riflessione in temadi trust, in Dir. comm. int., 2006, 575). Nel nostro stesso sensoda ultimo Dimundo, «Trust interno» istituito da società insolven-te in alternativa alla liquidazione fallimentare, cit., 13.

(85) Sminuisce le ripercussioni del dogma del numerusclausus dei diritti reali sulla problematica della destinazione pa-trimoniale La Porta, Destinazione dei beni allo scopo e causanegoziale, Napoli, 1984, 81.

(86) Bianca, Trustee e figure affini nel diritto italiano, in Riv.not., 2009, I, 575, che evidenzia la mancanza nel nostro siste-ma, a differenza del sistema di common law, di rimedi di carat-tere reale e recuperatorio che consentano di dare rilevanzaesterna al rapporto di destinazione e in generale al rapporto fi-duciario, rimedi che si rivelano determinanti nel caso di abusodi gestione.

(87) Palermo, Contributo allo studio del trust cit., 401.(88) Cass., sez. un., 20 giugno 2014, n. 14041, cit.

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il Fallimento 11/2014 1171

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consesso corregge la evidente asimmetria, sancen-do la giurisdizione del giudice italiano quando adagire sono terzi estranei al trust, come accade peresempio, aggiungiamo noi, per la curatela fallimen-tare che chieda la nullità del trust o la revocatoriadei relativi atti di attribuzione (89).La clausola di proroga della giurisdizione inserita

nell’atto costitutivo di un trust vincola, secondo laCassazione, oltre al costituente anche i gestori ed ibeneficiari del trust, quantunque non personalmen-te firmatari della clausola, ogni qual volta venganoin discussione diritti ed obblighi inerenti al trust edal suo funzionamento, ma deve escludersi che essa

possa vincolare anche soggetti che rispetto al trustsi pongano in posizione di terzietà ed ai quali la pa-ternità della clausola non sia in alcun modo ricon-ducibile.In tal caso si applica il criterio generale stabilito

dall’art. 2 del regolamento che attribuisce compe-tenza giurisdizionale ai giudici dello Stato membroin cui è domiciliato il convenuto. Se vi sono con-venuti domiciliati in altri Stati membri è possibileconvenire tutti davanti al giudice del luogo in cuiuno qualsiasi di essi è domiciliato se tra le doman-de esiste un nesso così stretto da rendere opportunauna trattazione unica ed una decisione unica.

(89) In senso contrario invece Trib. Napoli 2 luglio 2014, inhttp://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/10785.pdf. In par-ticolare i giudici partenopei, in una fattispecie riguardante pro-prio la revocatoria di un trust, esercitata da una curatela falli-mentare, hanno statuito che sono applicabili gli artt. 3 della L.n. 218/1995 e 6 della Convenzione del l’Aja del 1 luglio 1985,in rapporto a quanto stabilito negli strumenti istitutivi dei trusts(in quanto l’art. 6 prevede la soggezione del trust alla leggescelta dal costituente, e quindi alle diverse normative indicatenegli atti costitutivi, tra cui non vi è la legge italiana), ma an-che, e soprattutto, l’art. 2 del regolamento CE n. 44/2001, cheprevede il foro del domicilio del convenuto «salve le disposizio-ni del presente regolamento, le persone domiciliate nel territo-

rio di un determinato Stato membro sono convenute, a pre-scindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale statomembro» ed in particolare con riferimento al trust, ai sensi del-l’art. 5, comma 6, regolamento CE n. 44/2001 (che trova corri-spondenza nella omologa disposizione della Convenzione diLugano del 30 ottobre 2007, in vigore tra l’Unione europea ela Confederazione elvetica), per il quale la persona domiciliatanel territorio di uno stato membro può essere convenuta in unaltro stato membro «nella sua qualità di fondatore, trustee obeneficiario di un trust costituito in applicazione di una legge oper iscritto o con clausola orale confermata per iscritto, davan-ti ai giudici della Stato membro nel cui territorio il trust ha do-micilio».

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1172 il Fallimento 11/2014

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Cooperative e procedure concorsuali

Mutualità (e lucratività)nel fallimento delle societàcooperativeCassazione Civile, Sez. I, 24 marzo 2014, n. 6835 - Pres. Vitrone - Est. Nazzicone - P.M. Del Co-re - ASSO.P.O.A. Società cooperativa per azioni (Avv. D’Isidoro) c. Fondazione E.N.P.A.I.A. En-te Nazionale di Previdenza per gli Addetti e gli Impiegati in Agricoltura (Avv. Marino)

Fallimento - Dichiarazione - Sentenza - Reclamo - Effetto devolutivo - Configurabilità - Conseguenze

(legge fallimentare art. 18; cod. proc. civ. artt. 342 e 345; D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169)

Il “reclamo” avverso la sentenza dichiarativa di fallimento ex art. 18 l.fall., come modificato dal d.lgs. 12 set-tembre 2007, n. 169, che ha ridenominato il precedente istituto dell’“appello”, l’istituto, adeguandolo alla na-tura camerale dell’intero procedimento, è caratterizzato, per la sua specialità, da un effetto devolutivo pieno.Ne consegue l’inapplicabilità dei limiti previsti dagli artt. 342 e 345 cod. proc. civ. in tema di nuove allegazionie nuovi mezzi di prova, restando priva di conseguenze processuali la circostanza che la società fallita abbiadedotto solo in tale sede l’insussistenza della propria qualità di imprenditore commerciale.

Fallimento - Dichiarazione - Soggetti - Società cooperativa - Lucro oggettivo - Compatibilità

(legge fallimentare art. 1 e 196; cod. civ. artt. 2221 e 2545 terdecies; D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6)

Lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di im-prenditore commerciale, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettivaeconomicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisi-to quest’ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben può essere presente anche in unasocietà cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci. Ne consegue che anche tale so-cietà ove svolga attività commerciale può, in caso di insolvenza, può essere assoggettata a fallimento in ap-plicazione dell’art. 2545 terdecies cod. civ.

La Corte (omissis).

1. - Con il primo motivo, la ricorrente deduce la viola-zione della l.fall., art. 1, negando la propria qualità diimprenditore commerciale, in quanto nei paesi UE, inforza del Regolamento CE n. 2201 del 1996 e successi-vi, la commercializzazione del pomodoro avviene me-diante obbligatorio “conferimento” del prodotto, da par-te dei singoli produttori, alle industrie di trasformazioneattraverso cooperative o associazioni di produttori. Talicooperative operano in nome e per conto dei soci colti-vatori diretti, agiscono con mutualità e senza scopo dilucro, e ad esse è affidata la funzione di controllare il ri-spetto dell’obbligo di pagamento del prezzo minimo,prezzo che viene pagato dal trasformatore tramite boni-fico bancario (Reg. CE n. 504 del 1997, Reg. CE n. 449del 2001, e successivi), quali condizioni dei contributicomunitari. Lo statuto della ricorrente prevede lo scopodi promuovere la concentrazione dell’offerta, ed a tal fi-ne essa vende per conto dei soci e riscuote per loro con-to il prezzo; il patrimonio è costituito solo dal capitale;

non distribuisce utili. Gli importi delle fatture di acqui-sto dai soci e l’importo di vendita emesse dalla società,pertanto, coincidono.Con il secondo motivo, lamenta la violazione dellal.fall., art. 15 e art. 18, comma 10, essendo l’esposizionedebitoria inferiore ad Euro 30.000, posto che il creditovantato ammonta solo ad Euro 29.219,76.Con il terzo motivo, censura la motivazione omessa, in-sufficiente o contraddittoria, avendo il Tribunale diFoggia dichiarato il fallimento della società, sebbenel’ente previdenziale in forza del medesimo credito aves-se già chiesto, con ricorso dell’aprile 2009, la dichiara-zione dello stato di insolvenza e, solo in subordine, ilfallimento della società, e tale ricorso fosse stato respin-to.Con il quarto motivo, deduce la violazione della l.fall.,art. 5, per avere la sentenza impugnata ravvisato l’insol-venza della società, nonostante la situazione patrimo-niale e la solida reputazione, non essendo a ciò suffi-ciente il semplice sbilancio negativo.

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il Fallimento 11/2014 1173

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2. - Il primo motivo è infondato.La Corte d’Appello ha rilevato come, da un lato, per laprima volta nel giudizio di reclamo sia stata svolta ladeduzione circa l’insussistenza della qualità di imprendi-tore commerciale in capo alla cooperativa; e, dall’altro,che non è stata comunque, neppure in sede di reclamo,fornita la prova dell’attività puramente mutualistica enon imprenditoriale della società.2.1. - Sotto il primo profilo, questa Corte ha già chiari-to che l’impugnazione della sentenza dichiarativa di fal-limento, nei procedimenti in cui trova applicazione lariforma di cui al D.Lgs. n. 169/2007, che ha modificatola l.fall., art. 18, ridenominando tale mezzo come “recla-mo” in luogo del precedente “appello” in coerenza conla natura camerale dell’intero procedimento, è caratte-rizzata, per la sua specialità, dalla possibilità di riesami-nare le questione, onde non si applicano i limiti previ-sti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c. è sta-to, infatti, affermato che il fallito, addirittura allorchénon costituito avanti al tribunale, può indicare per laprima volta in sede di reclamo i mezzi di prova di cuiintende avvalersi, al fine di dimostrare la sussistenza deilimiti dimensionali di cui alla l.fall., art. 1, comma 2,(Cass., sez. VI, ord. 6 giugno 2012, n. 9174; Cass., sez.I, 5 novembre 2010, n. 22546).Il principio, così enunciato con riguardo alle nuove pro-ve, va esteso anche alle allegazioni delle parti, che logi-camente precedono la deduzione di quelle.Ne discende che resta privo di conseguenze processualil’avere la società fallita rilevato l’insussistenza della qua-lità di imprenditore commerciale solo in sede di recla-mo.2.2. - Sotto il secondo profilo evidenziato dalla sentenzadi appello, concernente la concreta sussistenza dei re-quisiti di fallibilità, va, in primo luogo, ricordato che,nel procedimento per la dichiarazione di fallimento,grava sull’istante l’onere di provare gli elementi inte-granti il fatto costitutivo, ovvero la qualità di imprendi-tore commerciale del soggetto da dichiararsi fallito e lostato di insolvenza; mentre grava sul fallendo la provadegli elementi impeditivi, estintivi e modificativi, qualila sussistenza delle esclusioni legate al limite dimensio-nale di fallibilità.Per la l.fall., art. 1, sono soggetti alle disposizioni sul fal-limento gli imprenditori che esercitano un’attività com-merciale, come parimenti prevede l’art. 2221 c.c., chefa salve le disposizioni delle leggi speciali; mentre l’art.2545 terdecies, comma 1, seconda parte (come già l’art.2540, nel testo anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. n.6/2003) ammette il fallimento delle cooperative chesvolgano attività di imprenditore commerciale, stabilen-do che esse sono sottoposte “anche” a fallimento, oltreche a liquidazione coatta amministrativa, secondo il cri-terio discretivo della prevenzione (criterio richiamatopure dalla l.fall., art. 196).Se l’impresa cooperativa, per le disposizioni sopra ri-chiamate, può essere soggetta a fallimento in caso d’in-solvenza, al fine di giungere all’esclusione di quel regi-me potrebbe rilevare o la natura agricola dell’impresa, o

la mutualità della stessa, tale da escludere la natura diimpresa commerciale.Sotto il primo profilo, le cooperative agricole sono indi-viduate secondo i criteri di cui agli artt. 2195 e 2135c.c., atteso il richiamo ad essi implicitamente operatodagli artt. 2221 e 2545 terdecies c.c. e l.fall., art. 1; manon è questa l’allegazione della ricorrente.2.3. - La società ricorrente, invero, ha negato la qualitàdi imprenditore fallibile, per avere essa finalità mutuali-stiche.Tuttavia, osserva il collegio come, (a) da un lato, l’im-presa commerciale non postula il perseguimento di unlucro soggettivo e, (b) dall’altro lato, la cooperativa cheabbia fini mutualistici (anche a mutualità prevalente se-condo la nozione introdotta dal D.Lgs. n. 6/2003) nonè per ciò solo sottratta a fallimento.a) Per la qualificazione di un’impresa come commercia-le, ciò che rileva, accanto all’autonomia gestionale, fi-nanziaria e contabile, è invero il perseguimento di unc.d. lucro oggettivo, ossia il rispetto del criterio di eco-nomicità della gestione, quale tendenziale proporziona-lità di costi e ricavi, in quanto questi ultimi tendano acoprire i primi (almeno nel medio-lungo periodo). Lanozione di imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c. vaintesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il ca-rattere imprenditoriale all’attività economica organizza-ta che sia ricollegabile a un dato obiettivo inerente al-l’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattoriproduttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo sco-po di lucro, il quale riguarda il movente soggettivo cheinduce l’imprenditore ad esercitare la sua attività (cfr.,ad esempio, Cass. 5 giugno 1987, n. 4912, con riguardoa società esercente in regime di concessione un’attivitàdi trasporto, sebbene assoggettata ad un peculiare regi-me di prezzi e costi).Persino il fine altruistico, infatti, non pregiudica il ca-rattere dell’imprenditorialità dei servizi resi, qualoraquest’ultimi vengano organizzati in modo che i compen-si per essi percepiti siano adeguati ai relativi costi, ondequesta Corte ha affermato la natura commerciale diun’attività, anche se svolta in modo che i compensinon eccedano i costi, dato che ai fini della valutazionedel carattere imprenditoriale di un’attività economicaorganizzata per la produzione e lo scambio di beni o ser-vizi rimangono giuridicamente irrilevanti sia il persegui-mento o no di uno scopo di lucro, sia il fatto che i pro-venti siano destinati ad iniziative connesse con gli scopiistituzionali dell’ente (Cass., sez. lav., 19 agosto 2011,n. 17399, sull’attività di gestione di una struttura alber-ghiera da parte di un ente religioso; Cass., sez. III, 19giugno 2008, n. 16612).(b) Pertanto, anche la natura commerciale dell’attivitàsvolta da una società cooperativa deriva esclusivamentedalla circostanza obiettiva che essa eserciti (o abbiaesercitato) questo tipo di attività; l’indagine sull’accer-tamento del predetto scopo, quindi, non può ritenersiformalmente preclusa dal fine mutualistico della coope-rativa, posto che l’attività commerciale non è incompa-tibile con la finalità mutualistica.

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1174 il Fallimento 11/2014

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Non è, invero, il fine mutualistico che esclude in sé lanatura di imprenditore commerciale di una cooperativa,dato che l’art. 2545 terdecies, come prima l’art. 2540c.c., ne prevede espressamente la dichiarazione di falli-mento, così riconoscendo che queste possono svolgereanche un’attività commerciale (cfr. Cass., sez. I, 28 lu-glio 1994, n. 7061).Questa Corte ha precisato da tempo (Cass., sez. I, 8 set-tembre 1999, n. 9513) come “lo scopo mutualistico pro-prio delle cooperative può avere gradazioni diverse, chevanno dalla cosiddetta mutualità pura, caratterizzatadall’assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddettamutualità spuria che, con l’attenuazione del fine mutua-listico, consente una maggiore dinamicità operativa an-che nei confronti di terzi non soci, conciliando così ilfine mutualistico con un’attività commerciale e con laconseguente possibilità per la cooperativa di cedere benio servizi a terzi a fini di lucro”.Dunque, l’esercizio di un’impresa commerciale ed il rela-tivo intento di lucro non sono inconciliabili con lo sco-po mutualistico proprio della cooperativa, essendosi or-mai “superata l’immedesimazione tra società e scopo dilucro da un lato e cooperativa ed interesse mutualisticodall’altro. Dopo aver ammesso che vi sono società senzascopo di lucro e consorzi in forma societaria (art. 2615ter come modificato dalla L. 10 maggio 1976, n. 377),occorre rilevare come la società cooperativa può benavere anche uno scopo di lucro” (Cass., sez. I, 16 maggio1992, n. 5839; v. pure sez. V, 9 ottobre 2000, n. 13423).In coerenza con tali principi, questa Corte ha, pertanto,qualificato come imprenditore commerciale la coopera-tiva edilizia che venda a terzi gli alloggi realizzati, po-tendo la natura commerciale dedursi dalla presenza dielementi anche presuntivi che evidenzino lo svolgimen-to da parte della cooperativa di “attività speculativaesorbitante dal suddetto scopo” (così proprio una dellesentenze citate dalla ricorrente: Cass., sez. I, 16 maggio1992, n. 5839), o che ceda gli alloggi sul mercato(Cass., sez. I, 28 luglio 1994, n. 7061) o che producaspettacoli teatrali con utilizzazione delle prestazioni arti-stiche dei soci, destinando gli utili ai medesimi quale ri-serva disponibile e a fondi di assistenza e beneficenzaper i soci (Cass., sez. I, 18 giugno 1980, n. 3856; v. pureCass., sez. un., 23 gennaio 1970, n. 144 e 10 marzo1969, n. 766).Dal suo canto, la giurisprudenza della Corte di giustiziadell’Unione Europea (cfr. le sentenze 3 marzo 2011, C-437/09, Ag2R; 29 settembre 2011, C-521/09, Elf Aqui-taine; 29 marzo 2011, C-201/09, 216/09, ArcelorMittal)ha affermato, nell’ambito del diritto dell’Unione in ma-teria di concorrenza, come la nozione di “impresa” com-prenda qualsiasi entità che eserciti un’attività economi-ca, indipendentemente dal suo status giuridico e dallesue modalità di finanziamento, ed intesa tale attivitàcome quella “consistente nell’offrire beni o servizi in undeterminato mercato”.Come si è ritenuto per il consorzio, il quale deve consi-derarsi imprenditore perché esercita una fase dell’attivi-tà delle imprese consorziate o un’impresa ausiliaria, purcostituendosi fra le singole imprese rapporti associativi

di tipo mutualistico, da cui derivano vantaggi realizzatigrazie all’organizzazione comune (in tema di fallimentodel consorzio, cfr. Cass., sez. I, 3 giugno 2010, n. 13465;Cass., sez. lav., 20 ottobre 2011, n. 21818), e come perle associazioni e le fondazioni, che possono esercitareattività d’impresa, pur mantenendo come fine il perse-guimento di uno scopo altruistico (in tema, Cass., sez. I,24 marzo 2011, n. 6853; Cass., sez. I, 16 marzo 2004, n.5305), così anche con riguardo alla società cooperativapuò dirsi che lo scopo di lucro non è elemento essenzia-le per il riconoscimento della qualità di imprenditore,essendo individuabile l’attività di impresa, tutte le volteche sussista una obiettiva economicità dell’attività eser-citata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi. Ta-le requisito può ben essere presente anche in una socie-tà cooperativa, che pure operi solo nei confronti deipropri soci; ed, in tal caso, essa si assoggetta allo statutodell’impresa, che comprende il fallimento, quale stru-mento di soluzione e superamento dell’insolvenza cheabbia origine in un’iniziativa imprenditoriale.In conclusione, lo scopo mutualistico di una societàcooperativa non è inconciliabile con quello di lucro,quale obiettiva economicità della gestione, potendo idue fini coesistere ed essere rivolti al conseguimento diuno stesso risultato: pertanto, ai fini dell’applicabilitàdell’art. 2545 terdecies c.c., che prevede la possibilità delfallimento delle cooperative, per l’accertamento dellasussistenza del fine predetto occorre avere riguardo allastruttura ed agli scopi di essa.2.4. - La cooperativa in esame si inquadra nell’ambitodella disciplina comunitaria (Regolamenti reg. CE n.2200/1996, ed in seguito n. 1182/2007) volta a favorire,mediante rapporti di tipo associativo, la concentrazionedell’offerta di prodotti agricoli, al fine di controbilancia-re l’insufficiente dimensione delle imprese agricole ri-spetto alla controparte industriale. Di qui, le disposizio-ni volte a promuovere le c.d. OPA, organizzazioni diproduttori in agricoltura.Sebbene tali organizzazioni di produttori, come eviden-ziato dalla ricorrente, siano dunque costituite anche nelperseguimento di fini strategici comunitari, esse opera-no mediante l’immissione dei prodotti sul mercato.Al riguardo, sia pure con riferimento al profilo del cre-dito del socio coltivatore diretto verso la cooperativache commercializza il prodotto agricolo finito conferitodai soci, questa Corte (Cass., sez. I, 14 gennaio 2008, n.598), nell’escludere che esso goda del privilegio di cuiall’art. 2751 bis c.c., n. 4, ha avuto occasione di sottoli-neare la natura di questo rapporto, in cui il socio confe-risce prodotti alla cooperativa (in quel caso, una coope-rativa vitivinicola a r.l.) mediante un peculiare negozio,in cui la compravendita viene a innestarsi su di unautonomo contratto associativo che, da un lato, obbligail coltivatore diretto al conferimento dei prodotti per ilperseguimento dello scopo sociale e, dall’altro, lo rendepartecipe dello scopo dell’impresa collettiva facendogliassumere una quota del rischio di impresa e attribuen-dogli correlativamente una serie di poteri e diritti (diconcorrere alla formazione della volontà della società,di controllo sulla gestione sociale, il diritto ad una quo-

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il Fallimento 11/2014 1175

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ta degli utili) e specifici vantaggi, fra cui in particolarequello di poter collocare la propria merce sul mercatoin condizioni più favorevoli; da cui la decisione dellaCorte di negare un inammissibile soddisfacimento pre-ferenziale sul patrimonio della società. La sentenza, per-tanto, presuppone la natura imprenditoriale della coo-perativa.2.5. - Nella specie, la corte d’appello ha verificato lasussistenza di positivi indici della natura commercialedell’attività svolta, consistenti nella forma legale dis.p.a., nell’esistenza di una partita i.v.a., nell’oggetto so-ciale volto alla commercializzazione verso terzi di pro-dotti agricoli conferiti dai soci, dei quali la società in-cassa prezzo, nell’esistenza di un rapporto di lavoro conun dipendente.Di fronte a tali elementi, la decisione impugnata osservache non è stata fornita alcuna prova circa la mancanzadei requisiti soggettivi di fallibilità previsti dalla legge, inquanto le due sentenze delle commissioni tributarie localidel 2010 e del 2011, le quali sono giunte alla conclusionedel versamento integrale ai soci del prezzo ricavato dallavendita dei prodotti, non sono a tal fine sufficienti, per-ché non provano che tutte le operazioni di vendita edincasso, eseguite dalla società, siano sempre state seguitedal completo versamento del denaro ai soci.Dunque, nessun vizio di violazione di legge sussiste; néla ricorrente denuncia il vizio di motivazione derivantedal mancato esame della contabilità prodotta in atti.In ogni modo, non è permesso alla Corte di Cassazionedi ripetere gli accertamenti in fatto già operati, in quan-to, di fronte ad operazioni a natura oggettivamente im-prenditoriale congruamente motivate, mediante un ra-gionamento immune da errori o da vizi logico-giuridici,non è possibile, in questa sede, riesaminare il merito deisingoli elementi presuntivi. L’accertamento dei requisitinecessari per poter qualificare un determinato soggettoimprenditore commerciale, ai fini della sua assoggettabi-lità al fallimento, rientra nei compiti istituzionali delgiudice di merito, con la conseguenza che il risultato

della indagine sfugge al sindacato di legittimità, mentreè censurabile in cassazione soltanto la motivazione ad-dotta per giustificare la conclusione adottata, sia sotto ilprofilo dell’adeguatezza e della coerenza logica, sia sottoil profilo della conformità ai principi di diritto (Cass.,sez. I, 24 febbraio 1995, n. 2107; e cfr. sez. I, 4 marzo2005, n. 4784, sul piccolo imprenditore; 28 marzo 2001,n. 4455, sulla cessazione dell’attività).3. - Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare con-giuntamente in quanto pongono la medesima questione- ora sotto il profilo della violazione della l.fall., art. 15e art. 18, comma 10, ed ora del vizio di motivazione -sono infondati.La sentenza impugnata ha accertato, senza che nessunacontestazione o confutazione contenga il ricorso al ri-guardo, che l’esposizione debitoria era pari ad Euro29.219,76 per sola sorte capitale, ascesa a ben oltre lasoglia limite di Euro 30.000,00 con gli accessori.Quanto alla sussistenza di una precedente istanza di fal-limento per il medesimo credito previdenziale, in prece-denza disattesa, basti ricordare che costituisce orienta-mento costante della Corte quello secondo cui il decre-to di rigetto del ricorso per fallimento non è idoneo apassare in giudicato trattandosi di provvedimento nondefinitivo che non decide su diritti (Cass., sez. I, 8 feb-braio 2012, n. 1776; 21 dicembre 2010, n. 25818; 14 ot-tobre 2009, n. 21834; 7 dicembre 2006, n. 26181).4. - Il quarto motivo, che sotto la prospettazione di vio-lazione della l.fall., art. 5, censura, nella sostanza, la mo-tivazione della sentenza impugnata, per avere ravvisatol’insolvenza della società nonostante la situazione patri-moniale e la solida reputazione, non coglie nel segno.La Corte d’Appello ha accertato l’esistenza di una plu-ralità di debiti scaduti e non pagati; al riguardo, nessunaviolazione di legge dunque sussiste, mentre esula dallapresente sede ogni indagine sulla sussistenza del presup-posto, trattandosi di questione di fatto sottratta alla co-gnizione del giudice di legittimità.(omissis).

Note sul fallimento dell’impresa cooperativa, con qualche spuntoin tema di attività agricola per connessione

di Maurizio Cavanna (*)

La Suprema Corte, nell’affermare il principio di diritto espresso nella massima, coglie l’occasione per ri-badire che il carattere della lucratività, quand’anche lo si postulasse come immanente alla nozione gene-rale di imprenditore, non risulta incompatibile con la finalizzazione mutualistica dell’impresa cooperativa.

1. Mutualità e scopo di lucro

La decisione in commento correttamente ribadi-sce il principio di diritto, a dire il vero ormai con-

solidato in dottrina e in giurisprudenza, secondo ilquale la causa mutualistica dell’impresa non vale anegarne la natura commerciale: come del resto te-stualmente dimostra l’espressa previsione dell’as-

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, allavalutazione di un referee.

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1176 il Fallimento 11/2014

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soggettabilità a fallimento della cooperativa chesvolga attività commerciale, alternativamente allaprocedura della liquidazione coatta amministrativain base alla regola di prevenzione (art. 2545 terde-cies c.c.) (1). L’attuale sistema normativo, quindi,non esclude l’accesso alla procedura fallimentaredella cooperativa “commerciale”, ove non sia giàstata precedentemente attivata quella governativa(e sempre fatta salva la scelta a favore di quest’ulti-ma, specificamente sancita dalle previsioni di leggispeciali (2)).La principale argomentazione svolta dalla coope-

rativa, che ricorre per cassazione contro la sentenzadichiarativa del proprio fallimento, è costruita sulrilievo che la mutualità caratterizzante l’impresacooperativa possa per sé escluderne la natura com-merciale. L’attuazione del suddetto scopo mutuali-stico, traducendosi tra l’altro nel mancato persegui-mento del lucro c.d. soggettivo, cioè nel divieto (onella forte limitazione) di distribuire utili ai soci, èaddotta dalla società quale immediato riscontrodella natura non commerciale dell’impresa: quasi asancire il sillogismo che, se manca la redistribuzio-ne ai soci dell’avanzo di gestione percepito per ef-fetto dell’attività d’impresa, quella stessa attività,automaticamente, non potrebbe mai essere qualifi-cata come commerciale.Il tema è classico, e, se vogliamo, si colloca alla

radice della nozione di imprenditore: più precisa-

mente, il riferimento va all’attributo di “economi-cità” dell’attività di impresa, come definita dall’art.2082 c.c., e al connesso, centrale interrogativo seil lucro costituisca oppure no caratteristica essen-ziale di quella stessa definizione. Alla tesi (3), tra-dizionale, di chi dà risposta affermativa all’interro-gativo, si contrappone quella, più recente, sostenu-ta da chi tende invece a escludere che il lucro siaelemento caratterizzante la figura dell’imprendito-re: e a conferma dell’assunto tra l’altro osserva co-me lo scopo di lucro sarebbe assente dalle coopera-tive, la cui struttura mutualistica varrebbe ad esclu-dere in partenza il lucro normalmente ascrivibileall’imprenditore, da cui anche la nota espressioneche, in tale forma di impresa, i soci “si fanno im-prenditori di se stessi” (4). Il lucro, inteso sia insenso oggettivo come profitto dell’attività in quan-to tale, sia in senso soggettivo, non sarebbe unacomponente imprescindibile della nozione in esa-me: giacché in essa l’elemento per così dire “teleo-logico” non verrebbe neppure in evidenza.Si segnala la posizione intermedia di quanti,

con specifico riguardo alle cooperative, osservanocome la frontale contrapposizione tra lucratività emutualità sia solo una delle possibili letture inter-pretative (5). Più puntuale e coerente con la disci-plina riformata della mutualità appare l’assuntoche le cooperative, come le società lucrative, per-seguono il lucro oggettivo come imprenditori col-

(1) Come noto, in caso di insolvenza la società cooperativava soggetta a liquidazione coatta amministrativa (sul puntoBavetta, La liquidazione coatta amministrativa, Milano, 1974;Bonsignori, voce “Liquidazione coatta amministrativa”, in Dige-sto Comm., vol. IX, Torino, 1993, 114 ss.; Lazzareschi, Murer,Ruffini, La liquidazione coatta amministrativa delle società coo-perative, Milano, 1996; Del Vecchio, Le peculiarità della liquida-zione coatta amministrativa nelle società cooperative, in Dir. fall.,1999, I, 324; Latella, Commento sub art. 194, in Jorio (a curadi), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006-2007, 2616 ss.).Tale procedura è disposta dall’autorità governativa, alla qualespetta il controllo sulla stessa società: ma, aggiunge l’art.2545 terdecies c.c., la cooperativa che svolga attività commer-ciale è sottoposta anche a fallimento. L’ammissione all’una oall’altra procedura è regolata dall’art. 196 l.fall. secondo la cita-ta regola di prevenzione, nel senso che la anteriore dichiarazio-ne di fallimento preclude il successivo accesso alla liquidazionecoatta, e viceversa: sul tema v. De Mari, Le procedure concor-suali, in Marasà (a cura di), Le cooperative prima e dopo la rifor-ma del diritto societario, Padova, 2004, 745 ss.; Paolucci, Com-mento sub art. 2545 terdecies, in Id., (a cura di), Codice dellecooperative, Torino, 2005, 150; Di Rienzo, La crisi nelle societàcooperative e le procedure concorsuali: presupposto soggettivoe presupposto oggettivo, in Riv. coop., 2004, 4, 34 ss.; Fauce-glia, Luci ed ombre nella nuova disciplina delle società coopera-tive, in Corr. giur., 2003, 1394 ss.; Castiello D’Antonio, La nuo-va disciplina concorsuale delle società cooperative, in Dir. fall.,2003, 1443.

(2) Sono esclusivamente assoggettabili a liquidazione coat-ta amministrativa le cooperative di credito e di assicurazione:v. Morara, Commento sub art. 2545 terdecies, in Bonfante, Co-

rapi, Marziale, Rordorf, Salafia (a cura di), Codice commentatodelle nuove società, Milano, 2010, 2310, ove ulteriori conside-razioni sulla fallibilità delle cooperative edilizie di abitazione,quelle artigiane e i consorzi cooperativi; De Mari, Le procedureconcorsuali, in Marasà, (a cura di), Le cooperative prima e dopola riforma, Padova, 2004, 747; come pure, lo si vedrà più am-piamente al successivo paragrafo, quelle agricole.

(3) Sostengono la coessenzialità del lucro alla nozione diimprenditore Cottino, Bonfante, L’imprenditore, in Cottino, (di-retto da), Tratt. dir. comm., I, Padova, 2001, 435; Buonocore,L’impresa, in Id. (diretto da), Tratt. dir. comm., I, 2.1, Torino,2002, 71; Ferrara-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano,2006, 2011, 26 ss.; Bracco, L’impresa nel sistema del dirittocommerciale, Padova, 1960, 193 ss.; Ascarelli, Corso di dirittocommerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano, 1962,189 ss. (che pur prospetta soluzioni diverse a seconda del tipodi impresa); De Martini, Corso di diritto commerciale, Milano,1983, 103; Gliozzi, L’imprenditore commerciale, Bologna, 1998,129; Ferri, Manuale di diritto commerciale, VIII, a cura di Ange-lici e G.B. Ferri, Torino, 1991, 55 ss.

(4) In questo senso v. Oppo, Realtà giuridica globale dell’im-presa nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 1976, I, 591;Spada, voce “Impresa”, in Dig. Comm., VII, Torino, 1992, 50;Campobasso, Diritto commerciale, I, Diritto dell’impresa (ed. acura di M. Campobasso), Torino, 2013, 34 ss.; Asquini, Profilidell’impresa, in Riv. dir. comm., 1943, I, 9 (che svaluta il mo-mento teleologico della nozione). Allo stesso modo il lucro sa-rebbe bandito dalle imprese pubbliche esercenti attività econo-mica, rette da criteri di obiettiva economicità.

(5) E neppure la prevalente: Cottino, Bonfante, L’imprendi-tore, cit., 438.

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il Fallimento 11/2014 1177

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lettivi (6), salvo il fatto che i relativi criteri di ri-parto tra i membri della compagine (lucro sogget-tivo) seguono la disciplina dei ristorni e dei limitidi distribuzione degli utili propri della mutualità,agevolata oppure no, concretamente perseguitadalla società (7).Quale che sia l’orientamento che sul punto si ri-

tenga di preferire, pare sicuro che la “assenza relati-va” di lucratività, o meglio il suo peculiare regime,non fa collocare la figura della cooperativa al difuori della nozione generale dell’art. 2082 c.c. An-zi, la Corte si spinge oltre e, nel motivare la pro-pria decisione, non solo afferma la necessità di rivi-sitare il concetto di lucro in termini di oggettivaeconomicità, ma precisa altresì che tale carattere èravvisabile anche nel caso della cooperativa cheopera solo con i soci: la quale può quindi esseresoggetta allo statuto dell’imprenditore commercia-le, e fallire in caso di insolvenza. Si tratta di unapuntualizzazione di indubbia rilevanza, perché conessa il Supremo Collegio mostra di avallare, in viaforse indiretta ma esplicita, la tesi che il socio èterzo rispetto alla cooperativa, facendo assumereuna decisiva valenza strutturale all’attuazione delloscambio mutualistico. Non senza rilevanti conse-guenze applicative: come ad esempio l’assoggettabi-lità a fallimento delle cooperative edilizie che puroperino solo con i propri soci (8).In tale prospettiva pare quindi inevitabile la

conclusione che l’esercizio di una impresa commer-ciale, e il relativo intento di lucro, siano compati-bili con la causa mutualistica della cooperativa. Eun importante riscontro, sistematico e testuale, ditale rilettura della fattispecie può venire dalla di-sciplina inerente l’impresa sociale (D.Lgs. 24 marzo2006, n. 155): che, pur espressamente bandendo illucro soggettivo, cioè qualsiasi forma, anche indi-

retta, di riparto degli avanzi di gestione a favore dichi promuove, dirige o finanzia l’attività, non neesclude la natura imprenditoriale, per quanto ca-ratterizzata dal connotato della pubblica utilità (9).Ineccepibile appare sotto questo profilo la con-

clusione generale che si legge in motivazione, al-lorché la Suprema Corte afferma la compatibilitàdel fine altruistico dell’attività con il carattere del-la imprenditorialità: che si “accontenta” del lucrooggettivo, caratterizzante una gestione secondo cri-teri di economicità “quale tendenziale proporziona-lità tra costi e guadagni”. Va detto, poi, che il temain oggetto riguarda l’essenzialità del carattere dellalucratività, rispetto alla nozione di impresa: e nongià la natura commerciale oppure no, della stessaimpresa, che passa per altre considerazioni (comesi avrà modo di osservare tra breve).Sotto più aspetti insostenibile appare dunque il

trinomio: mutualità - carenza di lucro - non com-mercialità dell’impresa, e a fortiori la postulataesenzione da fallimento della cooperativa.

2. Le società cooperative imprese agricoleper connessione

Pacificamente escluso quindi che la natura mu-tualistica dell’attività possa in qualche modo giusti-ficare una aprioristica esenzione dal fallimento, re-sta piuttosto da approfondire un importante profilodella vicenda, lasciato un po’ in ombra nella moti-vazione della sentenza in quanto, a dire della Cortedi Cassazione, non adeguatamente argomentatodalla ricorrente, che come detto concentra princi-palmente la propria attenzione sul tema della lu-cratività dell’impresa fallibile.In realtà merita ricordare come, dapprima in via

interpretativa (10) e oggi addirittura a seguito di

(6) Per l’icastica affermazione che l’impresa mutualistica,prima che mutualistica, è impresa, v. Buonocore, L’impresa,cit., 79; Id., Diritto della cooperazione, Bologna, 1997, 16.

(7) Quando poi non è comunque agevole negare la naturain senso lato lucrativa del vantaggio mutualistico, soprattuttoalla luce della disciplina codicistica, e segnatamente dei suoiprofili finanziari, quale emerge dalla riforma del D.Lgs. n.6/2003: sul punto v. specificamente Bonfante, La nuova societàcooperativa, Bologna, 2010, 84 ss.

(8) Sull’argomento, in generale, v. Morara, Commento subart. 2545 terdecies, cit., 2310; Pavone, La condizione di fallibili-tà delle cooperative edilizie, in questa Rivista, 1989, 1943; Cec-cherini, Mutualità e attività commerciale delle cooperative edili-zie, in questa Rivista, 1987, 867.

(9) Sul tema dell’impresa sociale, e dell’economia civile, v.Bonfante, Un nuovo modello di impresa: l’impresa sociale, inSocietà, 2006, 929; Alleva, L’impresa sociale italiana, Milano,2007; De Giorgi (a cura di), Commentario al D.Lgs. 155/2006,in Nuove leggi civ. comm., 2007, I, 285 ss.; Cavanna, L’impresasociale, in Cavanna, Poletto, L’economia civile, Normativa civili-

stica, tributaria e locale, Torino, 2008, 123 ss.(10) Rook Basile, Sulla cooperativa di trasformazione e vendita

di prodotti agricoli, in Riv. dir. agr., 1982, I, 136; Cigarini, La figuragiuridica dell’imprenditore agricolo nella legislazione sul creditoagrario, Milano, 1971, 94; Romagnoli, L’impresa agricola, inTratt. dir. priv., diretto da Rescigno, XV/I,Torino, 1986, 1058; ingiurisprudenza, per la qualificazione come agricola dell’attivitàdella cooperativa che operi prevalentemente con prodotti confe-riti dai propri soci, sul presupposto che tale attività di alienazio-ne e trasformazione rimanesse complementare e accessoria:Cass. 20 febbraio 1995, n. 1843, in Dir. giur. agr., 1995, 213;Cass. 7 novembre 1986, n. 6537, in Giust. civ., 1987, I, 338;Cass. 3 novembre 1986, n. 6424, in Giur. agr. it., 1988, 165;Cass. 8 agosto 1983, n. 5300, in Dir. fall., 1983, II, 1124; Cass.24 marzo 1980, n. 1974, in Giur. agr. it., 1983, 29; Cass. 23 feb-braio 1977, n. 819, in Giust. civ., 1977, I, 557; Cass. 9 luglio1976, n. 2641, in Giur. it., 1977, I, 1, 449; Cass. 26 ottobre 1974,n. 3242, in Giur. comm., 1975, II, 166, in Giur. agr. it., 1976, II,158, con nota di Danza, È impresa agricola la cantina sociale?;Trib. Alessandria 6 novembre 1974, in Foro it., 1974, I, 2958.

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1178 il Fallimento 11/2014

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esplicita previsione normativa (11), si sia riferita laqualificazione di impresa agricola per connessionealle cooperative che - come quella in esame - eser-citino esclusivamente attività di trasformazione evendita dei prodotti agricoli, ma non anche quellaagricola principale di coltivazione del fondo, svoltainvece, in prima persona, dai propri soci, questi ul-timi imprenditori agricoli individuali.Quella evocata è, ancora, una questione di note-

vole portata teorica, prima ancora che applicativa: sitratta, più precisamente, della particolare connota-zione, “strumentale” o anche “trasparente”, che ver-rebbe ad assumere il concetto di personalità giuridi-ca per le società cooperative, “intendendo con ciòche la terzietà della società rispetto ai soci, essenzialeper l’affermazione degli interessi di categoria, nonpuò essere pregiudizievole nei confronti delle finalitàmutualistiche dei singoli cooperatori” (12).La particolarità della fattispecie, come appare

evidente, consiste nella circostanza che, sul pianoformale, il soggetto che svolge attività agricola pro-priamente detta, di coltivazione del fondo, alleva-mento di animali e selvicoltura, vale a dire il socio,non coincide con quello destinato a esercitare l’at-tività connessa, cioè la cooperativa.Questa “scollatura soggettiva”, in linea generale

mal si concilierebbe con la definizione di attivitàagricola per connessione quale emerge dall’art.2135 c.c., ove anzi la coincidenza tra chi esercital’attività principale e chi quella connessa sembrapresupposto essenziale della stessa definizione diconnessione. Sotto questo aspetto non sono man-cate autorevoli critiche (13) alla tesi della persona-lità giuridica “trasparente” delle cooperative, qualeanomala lettura riduttivistica di un concetto -quello di persona giuridica - indefettibile sul pianodei principi generali.

Proprio muovendo da tali rilievi, v’è chi ha ten-tato di giustificare la qualifica di impresa agricolaper connessione della cooperativa dedita esclusiva-mente ad attività di trasformazione e/o commercia-lizzazione di prodotti agricoli, attraverso rivisitazio-ni “oggettivistiche” dello stesso concetto di con-nessione quale enunciato dall’art. 2135 c.c. (14).Sembra invero preferibile un diverso approc-cio (15), tendente a svalutare elementi di disconti-nuità rispetto a principi generali nella definizionedi “personalità giuridica”, che piuttosto valorizza laprestazione mutualistica del socio conferente pro-dotti agricoli alla cooperativa come tale destinataad alimentare il rapporto di scambio mutualistico,ulteriore e aggiuntivo rispetto a quello societa-rio (16). Proprio questo ambito negoziale “paralle-lo” vuole garantire al socio condizioni di operativi-tà almeno parificate a quelle di un ordinario lavora-tore agricolo (17).Secondo questo angolo visuale, piuttosto che

disarticolare sul piano soggettivo l’attività agricolaper connessione, si tratta piuttosto di valorizzarnei contenuti in funzione dello scambio mutualisti-co: che anche sul piano formale potrebbe consen-tire una lettura non riduttiva del concetto di per-sonalità giuridica, laddove, proprio in attuazionedel suddetto scambio, si volesse ravvisare nell’atti-vità dell’ente collettivo l’esecuzione di un manda-to con rappresentanza “implicita” dei soci. Che èpoi quanto avviene, in altro contesto normativo,in materia di privilegio generale sui beni mobilidel debitore concesso ai crediti dell’impresa arti-giana e delle società o enti cooperativi di produ-zione e lavoro, per i corrispettivi dei servizi pre-stati e della vendita dei manufatti (art. 2751 bis,n. 5 c.c.) (18), ovvero ai crediti della società coo-perativa agricola e dei loro consorzi per i corri-

(11) Il tema ha trovato una sua composizione nel D.Lgs. 18maggio 2001, n. 228, che, all’art. 1, comma 2, dà una nozionedella cooperativa di lavorazione, trasformazione e commercia-lizzazione di prodotti agricoli proprio ai fini dell’acquisto dellostatus di imprenditore agricolo, precisando che tale qualificaspetta alle società mutualistiche che utilizzano per lo svolgi-mento dell’attività di cui all’art. 2135 c.c. prevalentemente pro-dotti dei soci, ovvero forniscono in prevalenza ai soci beni eservizi volti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico. Sul te-ma v. Petrelli, Cooperative e legislazione speciale, in AA.VV.,Studi e materiali in tema di riforma delle società cooperative, Mi-lano, 2004, 399 ss.; sia infine consentito il rinvio a Cavanna, Lecooperative agricole, in Cottino (diretto da), Trattato di DirittoCommerciale, diretto da Cottino, Società cooperative a cura diBonfante, Padova, 2014, 644.

(12) Bonfante, Delle imprese cooperative, in CommentarioC.C. Scialoja e Branca diretto da Galgano, Bologna-Roma,1999, 371, sulla scia di Verrucoli, La società cooperativa, Mila-no, 1958, 157 ss.

(13) Masi, Attività agricole ed attività connesse, in Riv. dir.

civ., 1973, II, 560; Oppo, Materia agricola e “forma” commer-ciale, in Scritti in onore di F. Carnelutti, III, Padova, 1950, 87ss., 105; Bione, L’impresa ausiliaria, Padova, 1972, 145.

(14) Buonocore, Attività agricola per connessione e forma as-sociata, in Giur. comm., 1977, I, 66.

(15) Bonfante, Delle imprese cooperative, cit., 375.(16) Sul tema del rapporto di scambio mutualistico, paralle-

lo e connesso a quello societario, v. Bonfante, La nuova societàcooperativa, cit., 49 ss.; Casale, Scambio e mutualità nella so-cietà cooperativa, Milano, 2005, 59 ss.; Cavanna, Fusione escissione delle società cooperative, Milano, 2010, 169 ss. ove ri-ferimenti.

(17) Bonfante, Delle imprese cooperative, cit., 375.(18) Calandra Buonaura, Crediti di società cooperativa e pri-

vilegio generale sui mobili, in Giur. comm., 1981, II, 351; Imber-ti, Il trattamento economico del socio lavoratore di cooperativa,in Gragnoli, Palladini (a cura di), La retribuzione, compreso nel-la Nuova giur. sist. dir. civ. comm. fondata da W. Bigiavi, Tori-no, 2012, 660 ss.; Cannavò, Liquidazione coatta amministrativae concordato nelle società cooperative, Milano, 2010, 210.

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il Fallimento 11/2014 1179

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spettivi della vendita dei prodotti (art. 2751 bis n.5 bis c.c., introdotto dall’art. 18, L. 31 gennaio1992, n. 59) (19).Resta da dire che, nel vigente quadro normativo,

la qualità agricola per connessione dell’impresamutualistica non apparrebbe universamente predi-cabile: essa infatti sarebbe irrilevante, anche sulpiano concorsuale (20), laddove per l’esercizio del-le attività connesse non si utilizzano in prevalenza

prodotti dei soci (21) (v. art. 1, comma 2, D.Lgs.18 maggio 2001, n. 228) (22).Dalla motivazione della sentenza in commento,

peraltro, non è dato sapere se, seguendo questa di-stinta chiave di lettura (anche in funzione dell’at-tributo di “prevalenza”), si sarebbe potuto diversa-mente, e magari più agevolmente, argomentare l’e-senzione dal fallimento della cooperativa quale im-presa agricola per connessione.

(19) Dabormida, La riforma (parziale) della disciplina dellesocietà cooperative: la legge 31 gennaio 1992, n. 59, in Giur. it.,1992, IV, 250.

(20) Morara, Commento sub art. 2545 terdecies, cit., 2310.(21) Valorizzando così lo scambio mutualitico: v. Bonfante,

Delle imprese cooperative, cit., 682; Bassi, Il fallimento delle so-cietà cooperative, in Ragusa Maggiore (a cura di), Le procedureconcorsuali, III, Torino, 1997, 821.

(22) L’assunto forse non appare in linea con l’orientamento

giurisprudenziale più rigido, che invece individuerebbe il discri-men in ragione della prevalenza dell’attività agricola principalerispetto a quella di trasformazione (Cass. 24 febbraio 1986,n.1104, in Dir. fall., 1986, II, 501; Trib. Trani 6 febbraio 2002, inSocietà, 2003, 87, con nota di Lolli); o che dichiara il fallimentoanche allorché non emerga con chiarezza il vincolo funzionaleche connette l’attività dei soci a quella della cooperativa: pato-logia questa inerente la qualificazione della fattispecie (v. Trib.Bologna 2 luglio 1993, in questa Rivista, 1993, 1287).

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1180 il Fallimento 11/2014

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Compenso al curatore

La liquidazione del compenso alcuratore del fallimento revocatoCassazione Civile, Sez. I, 20 marzo 2014, n. 6553 - Pres. Salmè - Rel. Di Virgilio - P.M. Capasso- C.A. (Avv. Arciprete) c. S.M. (Avv. Sandulli)

Fallimento - Organi - Curatore - Compenso - Revoca del procedimento - Liquidazione - In sede di rendiconto - Esclusio-ne

(legge fallimentare artt. 18, 21 comma 2, 39 e 116; d.P.R. 30 maggio , n. 115, art. 147)

La diversità temporale e funzionale esistente tra il procedimento di approvazione del conto, che ha per ogget-to specifico il controllo della gestione del patrimonio effettuata dal curatore, e quello di liquidazione del com-penso al curatore, che segue al primo e presuppone che l’operato del curatore sia stato esaminato ed appro-vato, esclude che nel procedimento di rendiconto possa introdursi la questione relativa all’individuazione delsoggetto sul quale devono gravare le spese ed il compenso spettante al curatore, e ciò anche nel caso di revo-ca del fallimento, laddove tali oneri gravano su chi abbia colpevolmente dato causa alla sua apertura.

Fallimento - Organi - Curatore - Compenso - Revoca del fallimento - Elargizione di acconti - Diritto del fallito “in bonis”di ripetere le somme liquidate - Esclusione - Azione nei confronti di chi ha colpevolmente dato causa al fallimento

(legge fallimentare artt. 18, 22, e 39)

In caso di revoca del fallimento, l’imprenditore tornato “in bonis” non ha diritto di ripetere dal curatore lesomme liquidate per acconti sul compenso nel corso della procedura, ma solo di agire, per ottenere il rimbor-so di quanto detratto dall’attivo, nei confronti del soggetto sul quale tali oneri devono gravare per avere col-pevolmente dato causa al fallimento.

La Corte (omissis).

1.1. – Col primo mezzo, la ricorrente denuncia nullitàdella sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c., per manca-ta pronuncia sul capo di domanda, con cui la parte hachiesto dichiararsi che le spese della procedura falli-mentare non possono essere poste a carico della stessa.1.2. – Col secondo motivo, la ricorrente denuncia viziodi nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c.;vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria, peravere la Corte d’Appello omesso di pronunciarsi anchesul capo di domanda, relativo alla correzione del rendi-conto, in relazione alle uscite in detrazione dell’attivoda restituirsi alla C., alla quale non interessa nel restosapere su chi debbano gravare le spese della Procedura,di cui la Corte, contraddittoriamente, ha dichiarato es-sere ormai certa la spettanza all’Amministrazione finan-ziaria.1.3. – Col terzo motivo, la ricorrente denuncia vizio dinullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., violazione falsaapplicazione degli artt. 147 e 8 T.U. spese di giustizia,degli artt. 21, 39 l.fall., 263 ss., 91 e ss. c.p.c.; insuffi-ciente e contraddittoria motivazione in relazione allaposizione dell’ex fallito e dei suoi diritti.

La ricorrente ribadisce che anche se la controversia èinsorta in sede di rendiconto, una volta passati alla fasecontenziosa, si instaura un regolare giudizio di cognizio-ne, nel quale ben può essere decisa la domanda di con-danna del Curatore al pagamento di una somma pari aquella indicata nel rendiconto come spese della Proce-dura e compenso al Curatore.Sostiene la ricorrente che la procedura ex art. 21 l.fall.può essere proposta solo dal curatore; gli artt. 39 e 117l.fall. si applicano solo al fallimento non revocato; nelcaso di revoca, il rendiconto acquista una diversa fun-zione, e principalmente si andranno ad analizzare le en-trate e le uscite, gli eventuali abusi, il curatore perde lasua qualifica, diviene amministratore che, esaurito ilmandato (pubblico), procede alla restituzione dandoconto del suo operato, secondo la procedura generale dicui all’art. 263 c.p.c., e l’ex fallito non può accettare unconto nel quale gli siano addebitate spese che non devesopportare per legge.La revoca ha effetto retroattivo, e l’art. 21 l.fall. intro-duce una deroga, limitatamente agli effetti degli atti enon agli atti, per cui si devono salvare solo gli atti defi-nitivi e non quelli provvisori, come i decreti del giudicedelegato di autorizzazione ai prelievi provvisori.

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il Fallimento 11/2014 1181

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3.1. – I tre motivi del ricorso, da valutarsi congiunta-mente in quanto strettamente collegati, sono da ritener-si infondati.È corretta infatti la statuizione di base resa dalla Cortedel merito, ovvero che nel procedimento di rendicontonon può introdursi la questione dell’individuazione delsoggetto sul quale devono gravare le spese ed il com-penso al curatore, stante la diversità temporale e funzio-nale tra il procedimento di approvazione del conto equello di liquidazione del compenso al curatore, che se-gue al primo, presupponendo che l’operato del curatoresia stato esaminato e ritenuto esente da critiche, ai sensidegli artt. 21, comma 2, 39, comma 2 e 117, comma 1,l.fall., che stabilisce altresì che il riparto finale segue al-l’approvazione del conto ed alla liquidazione del com-penso (ed in caso di revoca, come nella specie, a dettoriparto è equiparabile il provvedimento del Tribunale,che dispone la restituzione all’imprenditore tornato inbonis del saldo attivo della Procedura e dei beni acquisi-ti e non ancora liquidati).Ed il giudizio di rendiconto ha come specifico oggetto ilcontrollo, da parte del giudice delegato, dei creditoriammessi al passivo e del fallito, della gestione, fonte dieventuale responsabilità personale, art. 38 l.fall. del pa-trimonio effettuata dal curatore (così la pronuncia n.3696/2000).Sulla specifica questione, si è pronunciata questa Corte,nella risalente pronuncia n. 99/1966, affermando che ladecisione del compenso dovuto al curatore compete, aisensi dell’art. 39 l.fall., al Tribunale, quale organo delFallimento, dopo l’approvazione del rendiconto, ondeessa esula dal giudizio di rendiconto, cui essa è estranea,oltre che successiva nel tempo.E che non possa farsi questione della individuazione delsoggetto tenuto alle spese ed a sopportare il compensoal curatore nel procedimento di approvazione del rendi-conto, è reso ancora più palese dalla statuizione di que-sta Corte, in relazione all’onere per il curatore, che ri-chieda la liquidazione del compenso, di individuare, sindall’atto introduttivo del procedimenti, il soggetto cheritiene onerato del pagamento delle spese e del com-penso.Ed infatti, la pronuncia n. 18541/2012, richiamandoquanto già espresso nelle sentenze nn. 12349/1999,18421/2005, 12411/2006, 10099/2008, ha affermato cheil Tribunale è tenuto a verificare e quindi ad illustrarequale sia stato il contributo causale dei soggetti inciden-te sulla sua apertura, attesa la normativa applicabile ra-

tione temporis, risultante dalla dichiarazione d’illegittimi-tà costituzionale (Corte cost. 6 marzo 1975, n. 46) delladisposizione dell’art. 21, comma 3, l.fall., nella parte incui, nel caso di revoca della dichiarazione di fallimento,essa poneva a carico di chi l’aveva subita pur senza chene ricorressero i presupposti e senza avervi dato causa lespese di procedura e il compenso del curatore, abrogatacon decorrenza dal 1 luglio 2002 dal d.P.R. 30 maggio2002, n. 115, art. 147 (che ne ha ripreso il contenutodispositivo), alla stregua della quale spetta alla parteistante individuare, sin dall’atto introduttivo del proce-dimento, il soggetto cui addossare l’onere delle spese edel compenso della procedura. Questo quadro di riferi-mento, sostanzialmente immutato pur dopo l’abrogazio-ne dell’art. 21, comma 2, l.fall., disposta dal D.Lgs. n.5/2006 che ha nel contempo modificato il testo dellal.fall., art. 18, prevedendo all’u.c. che “le spese di proce-dura ed il compenso di curatore sono liquidati dal Tri-bunale su relazione del giudice delegato con decreto re-clamabile ai sensi dell’art. 26”, alla luce del citato inter-vento del giudice delle leggi, così come del d.P.R. n.115/2002, art. 147, esclude in conclusione che possa ad-dossarsi il costo della procedura senza previa indicazionedella parte che si ritenga onerata ed in assenza di un ac-certamento di un suo contegno colpevole.Né può infine accedersi alla prospettazione della ricor-rente, secondo la quale, intervenuta la revoca del falli-mento, dalla salvezza dei soli effetti e non degli atti, exart. 21, comma 1, l.fall., conseguirebbe la caducazionedei provvedimento di concessione degli acconti sulcompenso quali atti provvisori che diventano definitivisolo con l’approvazione del rendiconto; di contro a det-ta tesi, deve ritenersi che la legittimità degli atti com-piuti, i cui effetti sono resi salvi dalla norma cit., va va-lutata alla stregua della sottoposizione, in allora, allaprocedura, né la successiva revoca rende tali atti illegit-timi, salva la possibilità per l’imprenditore in bonis diagire per ottenere dal soggetto, sul quale devono gravarele spese ed il compenso, il rimborso di quanto detrattodall’attivo nel corso della procedura.Dal principio affermato, consegue che la Corte del me-rito non è incorsa in alcuna omissione di pronuncia,che, per quanto sopra rilevati, non era ammissibile nelprocedimento di rendimento del conto.Conclusivamente, va respinto il ricorso.Non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costitui-to l’intimato.(omissis).

Osservazioni

1. La fattispecie controversa e la decisionedella Cassazione

Revocato il fallimento della sig.ra C.A., il cura-tore, nel corso del procedimento di rendiconto,presenta il conto della gestione. La fallita tornata

in bonis contesta di essere tenuta al pagamento del-le spese e del compenso al curatore e il Tribunale,con decisione confermata in appello, dichiarainammissibile l’opposizione affermando che: a) laquestione dell’individuazione del soggetto tenuto a

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1182 il Fallimento 11/2014

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pagare il compenso al curatore va fatta valere nel-l’ambito del procedimento di liquidazione del com-penso ex art. 21, l.fall., il quale, come dispongonogli artt. 39, comma 2, e 117, l.fall., è successivo al-l’approvazione del conto e precede il provvedimen-to di riparto finale, al quale equivale, in sede di re-voca del fallimento, quello che dispone la restitu-zione all’imprenditore tornato in bonis del saldo at-tivo della procedura e dei beni acquisiti e non li-quidati; b) la situazione non muta nell’ipotesi diavvenuta liquidazione di acconti sul compenso nelcorso della procedura, posto che, in sede di esamedel rendiconto, compito del Tribunale è solo quel-lo di valutare se ogni singolo esborso è legittimo egiustificato e non già affrontare la questione del-l’imputazione del conto, da risolversi in sede di li-quidazione finale del compenso; c) la revoca delfallimento non priva di giustificazione le spese digestione e gli acconti sul compenso e neppure nedetermina l’esclusione dal conto, considerato che,ai sensi dell’art. 21, l.fall., rimangono salvi gli effet-ti degli atti legittimamente compiuti dalla procedu-ra.La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul

ricorso proposto avverso la decisione della Corted’Appello, prende posizione sulla possibilità per ilfallito tornato in bonis di avanzare, in sede di rendi-conto, contestazioni circa l’individuazione del sog-getto tenuto al pagamento del compenso del cura-tore e, data risposta negativa al quesito, concludeaffermando che la questione de qua deve essere af-frontata nel successivo procedimento di liquidazio-ne del compenso. La decisione è certamente dacondividere.

2. La liquidazione del compenso al curatore

2.1. La disciplinaCome è opportuno premettere, anche se si tratta

di nozioni ben note agli studiosi delle procedureconcorsuali ed agli operatori, ai sensi dell’art. 39,l.fall., cui la recente riforma delle procedure con-corsuali non ha aggiunto alcuna sostanziale novità(fatta eccezione per la specifica normativa dedicataalla successione di più curatori nell’ambito del me-desimo incarico, ipotesi che, peraltro, nella specie,non assume rilievo), l’incarico di curatore dà dirit-to ad un compenso ed al rimborso delle spese soste-nute. A tal fine l’organo della procedura concor-suale è tenuto a depositare presso la cancelleria delgiudice delegato apposita istanza indirizzata al Tri-bunale fallimentare. Ricevuta la richiesta, il Tribu-nale deve acquisire la relazione del giudice delega-

to che esprime, anche oralmente, il suo parere cir-ca l’impegno del curatore ed i risultati ottenuti, alfine di fornire tutti gli elementi utili per la deter-minazione della misura del compenso da liquidare.La liquidazione delle spese e del compenso è resaquindi dal Tribunale (anche se il fallimento sichiude con concordato) con decreto adeguatamen-te motivato a pena di nullità, ovvero, secondoquanto afferma la migliore giurisprudenza, conno-tato dalla specifica indicazione dei criteri seguiti inriferimento al caso concreto. Non sono consentiteespressioni generiche o di mero stile o motivazionicosiddette apparenti (v., in tal senso, Cass., sez.un., 15 marzo 2010, n. 6202; Cass. 17 maggio2005, n. 10353; Cass. 6 giugno 2002, n. 8189). Ilprovvedimento del Tribunale fallimentare di cui sitratta non è soggetto a reclamo alla Corte d’Appel-lo ma è impugnabile con ricorso straordinario perCassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., rivestendo icaratteri della decisorietà e della definitività. Il ri-corso può essere proposto sia dal curatore istanteche dal fallito, al fine di dedurre le violazioni incui il Tribunale sia incorso (v., in tal senso, Cass.17 novembre 1979, n. 5976): il termine per impu-gnare è di sessanta giorni, ai sensi dell’art. 325,comma 2, c.p.c., e decorre dalla data di comunica-zione del provvedimento fatta dalla cancelleria allaparte ricorrente (così si è espressa, da ultimo, lasentenza Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n.2673, così aderendo all’orientamento fatto proprioda alcune decisioni della Suprema Corte, tra le al-tre, Cass. 10 giugno 2004, n. 10987, e Cass. 12aprile 1994, n. 3405). Secondo la giurisprudenzaormai costante, infine, tale termine è soggetto a so-spensione durante il periodo feriale (si ricorda, alriguardo, la non più recente, ma sempre significati-va sentenza Cass. 21 gennaio 1988, n. 423).

2.2. Il momento della richiestaLa liquidazione del compenso, secondo quanto

recita testualmente il comma 2 dell’art. 39, l.fall.,“è fatta dopo l’approvazione del rendiconto”. Lanorma è dunque chiara nell’affermare che la liqui-dazione del compenso deve avvenire al momentodella chiusura del fallimento, dopo l’approvazionedel rendiconto, posto che, evidentemente, è soloin questa fase temporale che è possibile valutareadeguatamente l’importanza e l’efficacia di tuttal’attività svolta dall’organo della procedura. Del re-sto, è soltanto dopo l’approvazione del conto che èpossibile conoscere esattamente l’attivo disponibi-le, parametro di riferimento utile non solo ai finidel riparto finale ma anche, o ancor prima, della

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il Fallimento 11/2014 1183

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determinazione del compenso al curatore: si consi-deri infatti che la misura del compenso, nel senso“della previsione di griglie numeriche” (così M. Fa-biani, Diritto Fallimentare Un profilo organico, Bolo-gna, 2011, 232), stabilita con decreto ministeriale,fa riferimento a percentuali minime e massime sul-l’attivo realizzato e sul passivo verificato ed ammes-so. Inoltre, sono criteri di valutazione dell’attivitàdel curatore, che possono essere individuati solonell’ambito e a conclusione del procedimento diapprovazione del conto di gestione, l’opera presta-ta, i risultati ottenuti, l’importanza del fallimento,la sollecitudine con cui sono state condotte le ope-razioni. Il compenso da riconoscersi al curatore de-ve essere determinato anche in relazione alla effi-cienza ed effettività della attività svolta, e pertantoai tempi e alla economicità della gestione, nonchéalla relativa efficacia in ordine al conseguimentodegli obiettivi della procedura concorsuale, primofra i quali la più vantaggiosa liquidazione dell’atti-vo. Ciò non esclude la possibilità che, nel corsodella procedura, siano concessi degli acconti al cu-ratore per “giustificati motivi” (v. ancora l’art. 39,comma 2, l.fall.), che normalmente vengono indi-viduati nell’esecuzione di riparti parziali o nellavendita di cespiti immobiliari, tenuto conto siadell’attività prestata che dei risultati ottenuti.

2.3. Il compenso al curatore in caso di revoca delfallimentoQuanto poi alla specifica fattispecie di revoca

del fallimento, l’art. 147, d.P.R. 30 maggio 2002,n. 115, recante testo unico delle disposizioni legi-slative e regolamentari in materia di spese di giusti-zia, dispone che le spese della procedura fallimen-tare ed il compenso al curatore sono a carico delcreditore istante, se condannato ai danni per averechiesto la dichiarazione di fallimento con colpa e acarico del fallito persona fisica, se con il suo com-portamento ha dato causa alla dichiarazione di fal-limento. Deve peraltro al riguardo precisarsi che,secondo quanto afferma la ormai costante giuri-sprudenza (v., tra le altre, da ultimo, Cass. 26 otto-bre 2012, n. 18541), è il curatore che chiede la li-quidazione del compenso che ha l’onere di indivi-duare, sin dall’atto introduttivo del procedimento,il soggetto che ritiene onerato del pagamento dellespese e del compenso della procedura, salvo poi lasuccessiva verifica da parte del Tribunale del con-tributo causale dei diversi soggetti incidente sullasua apertura.Nella diversa ipotesi di revoca del fallimento di-

chiarato senza responsabilità del creditore istante e

del fallito (e sempre che si tratti di fattispecie incui il debitore fallito poi tornato in bonis sia perso-na fisica - vero è infatti che la situazione in cui ildebitore fallito sia una società commerciale con osenza personalità giuridica ovvero in cui il falli-mento sia stato richiesto dal pubblico ministeronon è stata presa in considerazione dalla disposizio-ne di cui all’art. 147, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115), la più recente giurisprudenza di merito (v.,da ultimo, Trib. Milano 19 luglio 2012, n. 8835, inquesta Rivista, n. 2/2013, con nota di C. Bellomi, Ilpagamento del compenso al curatore del fallimento re-vocato) è orientata nel senso di ritenere che sogget-to passivo della richiesta di pagamento del com-penso sia il Ministero della Giustizia e ciò per unduplice ordine di motivi: a) considerato il caratteredi ufficiosità della procedura fallimentare, in assen-za di estremi di responsabilità del creditore istanteo del debitore dichiarato fallito, l’obbligo giuridicoalla corresponsione del compenso dovuto per leggedeve essere posto a carico dell’amministrazione del-lo Stato; b) dall’analisi delle norme che il d.P.R.30 maggio 2002, n. 115, dedica al pagamento dellespettanze agli ausiliari del magistrato (art. 168) edi quelle per conto dell’erario (artt. 173-190), sievince che parte necessaria delle cause aventi adoggetto la corresponsione dei compensi relativi aigiudici civili suscettibili di restare a carico dell’era-rio è, appunto, il Ministero della Giustizia.

3. La decisione della Suprema Corte

Sulla base dell’analisi delle disposizioni di leggerichiamate non si può non condividere la decisionedella Suprema Corte qui annotata: altro è il proce-dimento di rendiconto (di cui, per evidenti ragionidi opportunità, non si è ritenuto di trattare com-piutamente) finalizzato alla verifica da parte delTribunale della legittimità delle singole operazionie della congruità degli esborsi, altro è quello di li-quidazione del compenso del curatore, direttoesclusivamente alla quantificazione del dovuto al-l’organo della procedura per l’attività svolta. Sedunque questa è la ratio sottesa agli istituti di cui sitratta risulta evidente che gli stessi non possononon collocarsi in un diverso ambito temporale, po-sto che la liquidazione del compenso al curatorepresuppone necessariamente che l’operato del cura-tore sia stato esaminato, approvato e ritenuto esen-te da critiche in sede di procedimento di rendicon-to.Questa disciplina non subisce deroghe nella ipo-

tesi in cui il curatore abbia chiesto ed ottenuto la

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liquidazione di acconti e neppure, in particolare,in caso di revoca del fallimento, essendo stati bendefiniti e delineati dal legislatore e dalla giurispru-denza i criteri per l’individuazione del soggetto te-nuto alla corresponsione del compenso e delle spe-

se al curatore, anche nella ipotesi di revoca del fal-limento (v. supra sub 2.3.) senza colpa del creditoreistante o del debitore tornato in bonis.

Cristina Bellomi

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Concordato preventivo

Alle Sezioni Unite la sortedelle “fideiussioni” del socioillimitatamente responsabiledopo l’omologa del concordatopreventivoCassazione Civile, Sez. I, 12 febbraio 2014, n. 3163, ord. - Pres. Salmé - Est. Didone - P.M. Ze-no - G.G. (Avv.ti Valenza e Giovanini) c. Banca Popolare di Sondrio Soc. Copp. P.A. (Avv.ti Paci-fico e Bonomo)

Concordato preventivo - Effetti per i creditori - Soci illimitatamente responsabili - Fideiussioni - Effetti remissori - Esten-sione ai soci

(legge fallimentare art. 184; c.c. art. 1301, comma 1)

Gli atti del procedimento vanno rimessi al Primo Presidente per dirimere il contrasto insorto tra le precedentidecisioni relativamente alla seguente questione: se gli effetti parzialmente remissori dell’omologazione delconcordato, nel caso del concordato preventivo di società di persone, determinino la liberazione del socio illi-mitatamente responsabile anche dalle garanzie personali e reali volontariamente prestate a favore di uno deicreditori relativamente ai debiti della società (massima non ufficiale).

Concordato preventivo - Effetti per i creditori - Soci illimitatamente responsabili - Garanzie reale sui propri beni - Effettiremissori

(legge fallimentare art. 184; c.c. art. 1301, comma 1)

Gli atti del procedimento vanno rimessi al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite,per l’esame della questione, oggetto di contrasto e ritenuta di particolare importanza, se l’effetto esdebitato-rio del concordato preventivo si estenda alla garanzia ipotecaria, prestata su propri beni dai soci illimitata-mente responsabili di società personale per i debiti di quest’ultima, e se il creditore ipotecario conservi la ga-ranzia per la parte di credito non coperta dalla percentuale concordataria (massima non ufficiale).

La Corte (omissis).

1.- G.G. - quale socio illimitatamente responsabile dellas.n.c. Giugni Costruzioni di Giugni geom. Fulvio e C. -si è costituito terzo datore di ipoteca a garanzia di un fi-nanziamento di L. 250.000.000 concesso dalla BancaPopolare di Sondrio alla predetta società la quale, suc-cessivamente, è stata ammessa alla procedura di concor-dato preventivo. Il concordato - cui la predetta bancaaveva espresso adesione - è stato omologato con senten-za del Tribunale di Sondrio del 29 agosto 1996 e com-pletamente eseguito, come accertato con decreto delmedesimo tribunale del 16 ottobre 2002.Su tali premesse, stante l’esito negativo di richieste ri-volte alla banca, G.G. ha convenuto in giudizio dinanzial Tribunale di Sondrio la Banca Popolare di Sondrio

al fine di ottenere l’accertamento dell’effetto remissoriodel concordato della società a favore del socio illimita-tamente responsabile che in tale qualità aveva conces-so ipoteca volontaria in favore della convenuta a ga-ranzia dei debiti sociali. Il G. ha chiesto, altresì, l’ac-certamento dell’estinzione dell’ipoteca per effetto delvenir meno dell’obbligazione garantita con le conse-guenti pronunce utili alla cancellazione nonché la con-danna della banca al risarcimento dei danni per l’ina-dempimento all’obbligo di prestare l’assenso alla can-cellazione.La banca si è costituita deducendo che il proprio credi-to era da considerare privilegiato perché garantito dall’i-poteca e, dunque, non soggetta alla falcidia concordata-ria.

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1186 il Fallimento 11/2014

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Con sentenza del 27 maggio 2004 il tribunale ha riget-tato la domanda e la Corte di appello di Milano, con lasentenza impugnata (depositata il 9 novembre 2006) haconfermato la decisione di primo grado.La Corte di merito, in sintesi, ha condiviso l’opinionedel primo giudice secondo cui l’efficacia remissoria delconcordato preventivo interessava la posizione debitoriadell’attore quale socio illimitatamente responsabile perle obbligazioni della società e non poteva estendersi fi-no a ricomprendere totalmente anche la garanzia ipote-caria concessa dall’attore a titolo personale e con beninon ricompresi nella procedura di concordato preventi-vo. Di conseguenza, per la parte del credito non copertadalla percentuale concordataria, la banca conservava lagaranzia ipotecaria concessa dall’attore sui propri beniimmobili e legittimamente opponeva il rifiuto a prestareil consenso per la cancellazione della trascrizione dell’i-poteca in esame.Ha aggiunto, poi, la falcidia concordataria, che nel-l’ambito della società colpisce anche il credito in que-stione, in quanto chirografario, non si estende all’ap-pellato, perché nei suoi confronti il credito è privile-giato.1.1.- Contro la sentenza di appello G.G. ha proposto ri-corso per cassazione affidato a cinque motivi, conclusida quesiti ex art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione tempo-ris (con eccezione del quinto motivo, relativo al vizio dimotivazione).Resiste con controricorso la banca intimata.Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. le parti hanno de-positato memoria.2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia viola-zione della l.fall., art. 184. Deduce che la regola postada tale ultima norma è quella della esdebitazione gene-ralizzata e incondizionata del debitore e, ove questo siauna società di persone, anche dei soci illimitatamenteresponsabili. Tale effetto opera anche nel caso di garan-zia ipotecaria concessa dal socio su propri beni, noncompresi nella procedura di concordato, a garanzia deidebiti della società.2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia laviolazione dell’art. 2878 c.c., n. 3. Deduce che l’ipotecaè diritto reale accessorio dell’obbligazione che garanti-sce e si estingue con l’estinguersi dell’obbligazione ga-rantita a cui accede, non essendo un’obbligazione auto-noma indipendente dal rapporto obbligatorio cui ineri-sce.2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la vio-lazione degli artt. 2291, 2331, 2464, 2475, 2498 c.c. eart. 2519 c.c., comma 2 (nel testo ante riforma). Lacensura si appunta contro la parte della motivazionedella sentenza impugnata nella quale si afferma chechiunque fosse il datore dell’ipoteca (e quindi anchel’appellante e socio illimitatamente responsabile), siponeva in ogni caso in rapporto di terzietà nei con-fronti della società, in ragione della autonoma perso-nalità giuridica di quest’ultima e della sua autonomiapatrimoniale e ne denuncia l’erroneità là dove presup-pone la personalità giuridica di una società di perso-ne.

2.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la vio-lazione dell’art. 2291 c.c.La censura si appunta contro la parte della motivazionedella sentenza impugnata nella quale si afferma erronea-mente che il ricorrente avrebbe concesso l’ipoteca a ga-ranzia di un debito proprio mentre in virtù dell’art.2291 c.c. il socio è solo “responsabile” solidalmente e il-limitatamente per le obbligazioni sociali. Si tratta di ob-bligazione sussidiaria.2.5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia man-canza, o comunque insufficienza e contraddittorietà del-la motivazione della sentenza impugnata in ordine alpresunto accertamento che l’ipoteca oggetto di causa sa-rebbe stata concessa per un debito personale del socioanziché per un debito sociale.3.- La banca resistente sostiene che la falcidia concor-dataria, che nell’ambito del concordato sociale colpisceanche il credito da essa vantato nei confronti della so-cietà in quanto chirografario, non si estende al socio il-limitatamente responsabile G. perché nei suoi confrontiil credito è ipotecariamente privilegiato e sarebbe pro-prio l’estensione al ricorrente degli effetti del concorda-to sociale che comporta il pagamento integrale del de-bito garantito da ipoteca o quanto meno al diritto diescutere l’ipoteca. Il ricorrente, concedendo ipoteca, hanecessariamente garantito, non soltanto il debito socia-le, ma anche il debito proprio, come socio che, sia puresussidiariamente risponde senza limiti ed in proprio deidebiti sociali. Richiama la pronuncia di questa Corte n.23669/2006.4.- I motivi di ricorso, in quanto connessi, possono esse-re esaminati unitariamente.4.1.- Osserva preliminarmente la Corte che la giurispru-denza richiamata dalla banca resistente attiene a fatti-specie diversa da quella oggetto del ricorso. In particola-re, attiene alla diversa ipotesi nella quale il socio illimi-tatamente responsabile che abbia concesso una garanziareale su un proprio bene per garantire un debito dellasocietà, sia dichiarato fallito come conseguenza del falli-mento della società stessa.Il principio applicabile nella concreta fattispecie, inve-ce, è quello ricavabile dalla pronuncia delle Sezioni uni-te n. 3749/1989, resa proprio in tema di interpretazionedella l.fall., art. 184, (unica norma che viene in consi-derazione nel caso concreto).Principio - recentemente ribadito dalla Corte, sebbenein fattispecie nella quale si è ritenuto che non operasseper l’avvenuto recesso del socio (sez. I, n. 29863/2011)- al quale il Collegio intende dare continuità, secondoil quale la l.fall., art. 184, comma 2, ai sensi del quale ilconcordato della società, salvo patto contrario (da sti-pularsi con tutti i creditori e coevamente al concordatostesso), ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamen-te responsabili, relativamente ai debiti sociali, opera an-che quando, per tali debiti, i soci abbiano prestato fi-deiussione, considerato che il comma 1 di detto artico-lo, nello stabilire che i creditori, soggetti alla obbligato-rietà del concordato, conservano impregiudicati i diritticontro i fideiussori (nonché i coobbligati e gli obbligatiin via di regresso), si riferisce ai terzi diversi dai soci,

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trovando titolo la responsabilità di questi ultimi, nelconcordato come nel fallimento, proprio nella loro qua-lità di soci, in via assorbente rispetto ad eventuali diver-se fonti di responsabilità per i medesimi debiti sociali.Va ulteriormente precisato che, secondo la più recentegiurisprudenza di legittimità, è valida la fidejussioneprestata dal socio illimitatamente responsabile in favoredella società di persone che, pur se sprovvista di perso-nalità giuridica, costituisce un distinto centro di interes-si e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali,dotato di una propria autonomia e capacità rispetto aisoci stessi; ne consegue che la predetta garanzia rientratra quelle prestate per le obbligazioni altrui secondol’art. 1936 c.c., non sovrapponendosi alla garanzia fissa-ta “ex lege” dalle disposizioni sulla responsabilità illimi-tata e solidale, potendo invero sussistere altri interessiche ne giustificano l’ottenimento - alla stregua di garan-zia ulteriore - in capo al creditore sociale ed essendo lostesso “beneficium excussionis”, di cui all’art. 2304 c.c.,posto a tutela dei soci ma disponibile, senza alterazionidel tipo legale di società (sez. I, n. 26012/2007); fermorestando, però, che la norma di cui alla l.fall., art. 184,comma 1, il quale, nello stabilire che i creditori, sogget-ti alla obbligatorietà del concordato, conservano impre-giudicati i diritti contro i fideiussori, si riferisce ai terzidiversi dai soci, trovando titolo la responsabilità di que-sti ultimi, nel concordato come nel fallimento, proprionella loro qualità di soci, in via assorbente rispetto adeventuali diverse fonti di responsabilità per i medesimidebiti sociali (così come affermato da Cass., sez. un., 24agosto 1989, n. 3749; Cass. 1 marzo 1999, n. 1688 e ri-badito espressamente da sez. I, n. 26012/2007).Invero, quella diversificazione tra la posizione del sociocome tale e dello stesso quale fideiussore della società,che opera con riferimento al sorgere dell’obbligazionefideiussoria, quando i rapporti tra le parti vivono il loromomento fisiologico, risulta negata dalle norme che di-sciplinano le procedure concorsuali, sistematicamenteintese secondo la logica propria di esse ispirata a supe-riori esigenze pubblicistiche, con l’obbligo per tutti (cre-ditori e debitori) di rispettare la par condicio creditorum,di sottostare a concorso nonché agli effetti del concor-dato preventivo, con la conseguenza che l’autonomiapatrimoniale rileva ai soli fini della collocazione delcredito al passivo del socio e non a quello della società,quando si tratti di suoi debiti personali (sez. un. 24 ago-sto 1989, n. 3749).5.- I principi innanzi ricordati sono indubbiamente ap-plicabili anche all’ipotesi di garanzia ipotecaria concessadal socio illimitatamente responsabile a garanzia di undebito sociale e, trattandosi, come innanzi precisato, didebito altrui, occorre fare riferimento alla disciplina del-l’ipoteca concessa dal terzo.Secondo le Sezioni unite, il secondo comma dell’art.184 (che costituisce la regola, quanto alla posizione deidebitori - società e soci -, della efficacia del concordato,laddove il primo comma indica la regola circa la posi-zione dei creditori rispetto al concordato), nella suaportata totalizzante, riduce lo spazio riservato alla se-conda parte del comma 1 ai coobbligati, al fideiussore

del debitore (cioè della società e dei soci illimitatamen-te responsabili) e agli obbligati in via di regresso, chesiano estranei alla compagine sociale, e induce a consi-derare, essi soltanto, terzi rispetto alla società, in quan-to, non potendo ovviamente il loro fallimento essereprodotto dal fallimento della società, non possono nep-pure giovarsi della estensione dei benefici del concorda-to. In altri termini, perché possa trovare applicazionel’art. 184, comma 1 occorre che colui nei cui confrontiil creditore conserva i suoi diritti sia un soggetto al qua-le il fallimento della società non potrebbe estendersi,poiché il socio, che fallisce per effetto del fallimentodella società sarebbe tenuto a rispondere dei debiti so-ciali in quanto fallito; e, in quanto potenziale fallito,beneficia del concordato volto a sostituire una procedu-ra concorsuale all’altra (sez. un. 24 agosto 1989, n.3749).Pertanto dopo l’omologazione e l’esecuzione del concor-dato, obbligatorio ai sensi della l.fall., art. 184, per tuttii creditori anteriori alla procedura, il relativo effettoesdebitatorio, cioè di riduzione del credito alla sola per-centuale offerta, si applica anche nei confronti del pre-detto socio illimitatamente responsabile, tenuto nei solilimiti della citata percentuale in forza della norma dicui all’art. 184, comma 2.L’assunto della banca resistente, secondo cui il propriocredito sarebbe chirografario nei confronti della societàe privilegiato (ipotecario) nei confronti del socio e, co-me tale, nei confronti di quest’ultimo non soggetto allafalcidia concordataria, non tiene conto di quanto in-nanzi evidenziato, ossia che il socio, il quale fallisce pereffetto del fallimento della società sarebbe tenuto a ri-spondere dei debiti sociali in quanto fallito; e, in quan-to potenziale fallito, beneficia del concordato volto asostituire una procedura concorsuale all’altra (sez. un.24 agosto 1989, n. 3749).Sostituita la procedura concordataria al fallimento, ilcredito che la banca può far valere nei confronti del so-cio è solo quello di cui alla l.fall., art. 184, comma 2,perché la garanzia ipotecaria concessa concerne il debi-to (chirografario) della società e l’eventuale estinzionedi quest’ultimo comporta l’estinzione dell’ipoteca ex art.2878 c.c., n. 3.6.- Sennonché, nella più recente giurisprudenza di que-sta Corte, peraltro, il principio enunciato da sez. un. 24agosto 1989, n. 3749 non è apparso convincente (cfr.sez. I, sent. n. 21730/2010, in motivazione, 4.1: pur senon si voglia mettere in discussione l’orientamento giu-risprudenziale che estende gli effetti parzialmente esde-bitatori del concordato ai soci illimitatamente responsa-bili che abbiano prestato fideiussione (cfr. Cass. n.3749/1989 e Cass. n. 1688/1999).D’altra parte, il precedente innanzi richiamato, che ri-tiene valida la fideiussione prestata dal socio (Sez. I, n.26012/2007) è coevo (ed è stato preceduto) da altrepronunce che, direttamente pronunciando nell’ipotesidi ipoteca concessa dal socio illimitatamente responsa-bile a garanzia di debiti della società, hanno enunciato iseguenti principi:

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La illimitata responsabilità del socio accomandatarioper le obbligazioni sociali, ai sensi dell’art. 2313 c.c.,trae origine dalla sua qualità di socio e si configura per-tanto come personale e diretta, anche se con caratteredi sussidiarietà in relazione al preventivo obbligo diescussione del patrimonio sociale, in sede di esecuzioneindividuale, di cui all’art. 2304 c.c., richiamato dal suc-cessivo art. 2318. Il socio illimitatamente responsabilenon può, quindi, essere considerato terzo rispetto all’ob-bligazione sociale, ma debitore al pari della società peril solo fatto di essere socio tenuto a rispondere senza li-mitazioni. Tale situazione di identità debitoria emergecon evidenza in sede fallimentare, ove il fallimento del-la società di persone produce con effetto automatico, aisensi della l.fall., art. 147, il fallimento dei soci illimita-tamente responsabili e il credito dichiarato dai creditorisociali nel fallimento della società si intende dichiaratoper l’intero anche nel fallimento dei singoli soci (l.fall.,art. 148, comma 3). Alla stregua di tali postulati, l’attocon cui il socio accomandatario rilascia garanzia ipote-caria per un debito della società non può essere consi-derato costitutivo di garanzia per un’obbligazione altrui,ma va qualificato quale atto di costituzione di garanziaper una obbligazione propria con la conseguenza che ilcreditore che, in relazione a un credito verso la società,in seguito fallita, sia titolare di garanzia ipotecaria pre-stata dal socio accomandatario, ha diritto di insinuarsiin via ipotecaria nel passivo del fallimento di quest’ulti-mo, assumendo egli la veste di creditore ipotecario delfallito, non già di mero titolare d’ipoteca rilasciata dalfallito quale terzo garante di un debito altrui (sez. I,sent. 6 novembre 2011, n. 23669): più in generale, si èrilevato in giurisprudenza che la posizione del socio illi-mitatamente responsabile di una società personale nonpuò essere assimilata a quella di un fideiussore, sia pureex lege. Quest’ultimo, infatti, garantisce un debito altrui,e appunto per questo la legge prevede che, una volta ef-fettuato il pagamento, egli abbia azione di regresso perl’intero nei confronti del debitore principale e sia inol-tre surrogato nei diritti del creditore (artt. 1949 e 1950c.c.). Invece, il socio illimitatamente responsabile ri-sponde con il proprio patrimonio di debiti che non pos-sono dirsi a lui estranei - poiché derivano dall’eserciziodell’attività comune, al cui svolgimento, data l’assenzadi un’organizzazione corporativa, i soci partecipano di-rettamente (artt. 2257 e 2258 c.c.) - ed è tenuto a prov-vedere al loro soddisfacimento, se i fondi sociali risulta-no insufficienti, anche mediante contribuzioni aggiunti-ve rispetto a quelle effettuate in esecuzione dei conferi-menti (art. 2280 c.c., comma 2). Me conseguono l’i-nammissibilità, sulla scorta di quanto stabilito dall’art.1950 c.c., di un’azione di regresso nei confronti della so-cietà da parte del socio che abbia provveduto al paga-mento di un debito sociale e l’inapplicabilità, del restoconcordemente riconosciuta, degli artt. 1953, 1955 e

1957 c.c. che trovano il loro presupposto proprio nell’e-sigenza di salvaguardare le possibilità di regresso del fi-deiussore. Tali conclusioni non trovano ostacolo nelfatto che anche le società personali costituiscono centridi imputazione di situazioni giuridiche, distinti dallepersone dei soci; la soggettività dei gruppi organizzatiha, infatti, carattere transitorio e strumentale, essendo idiritti e gli obblighi ad essi imputati destinati a tradursi(e questa volta definitivamente) in situazioni giuridicheindividuali in capo ai singoli membri (cfr. Cass. nn.12310/1999, 7228/1996, 12733/1995, 11151/1995,3773/1994).La responsabilità del socio accomandatario per le obbli-gazioni sociali, prevista dall’art. 2313 c.c., è personale ediretta, anche se con carattere di sussidiarietà in relazio-ne al preventivo obbligo del creditore di escutere il pa-trimonio sociale (artt. 2304 e 2318 c.c.). Pertanto l’attocon cui il socio accomandatario di una s.a.s. rilascia ga-ranzia ipotecaria per un debito della società non puòconsiderarsi costitutivo di garanzia per un’obbligazionealtrui, ma per un’obbligazione propria, con la conse-guenza che il creditore il quale, in relazione ad un credi-to verso la società, sia titolare di garanzia ipotecaria pre-stata dal socio accomandatario, ha diritto di insinuarsiin via ipotecaria nel passivo del fallimento di quest’ulti-mo, assumendo egli la veste di creditore ipotecario delfallito, non già mero titolare d’ipoteca rilasciata dal fal-lito quale terzo garante di un debito (sez. I, sent. 30agosto 2007, n. 18312).L’atto con cui il socio accomandatario di una s.a.s. ri-lascia garanzia ipotecaria per un debito della societànon può considerarsi costitutivo di garanzia per un’ob-bligazione altrui, ma va qualificato quale atto di costi-tuzione di garanzia per un’obbligazione propria, inquanto la responsabilità illimitata per le obbligazionisociali è collegata alla qualità di socio accomandatarioed è, pertanto, personale e diretta (pur se sussidiaria,sussistendo, in sede di esecuzione individuale, il “bene-ficium excussionis” di cui all’art. 2304 c.c., richiamatodal successivo art. 2318); con la conseguenza che ilcreditore che, in relazione ad un credito verso la socie-tà, sia titolare di garanzia ipotecaria prestata dal socioaccomandatario, ha diritto di insinuarsi in via ipoteca-ria nel passivo del fallimento di quest’ultimo, assumen-do egli la veste di creditore ipotecario del fallito, nongià mero titolare d’ipoteca rilasciata dal fallito qualeterzo garante di un debito (sez. I, sent. 6 dicembre1994, n. 10461).7.- Il contrasto innanzi segnalato e la particolare impor-tanza della questione ad esso sottesa impone, ai sensidell’art. 374 c.p.c., la rimessione degli atti al Primo Pre-sidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Se-zioni unite.(omissis).

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Effetti dell’omologazione del concordato preventivo di societàsulle garanzie prestate dal socio illimitatamente responsabile

di Massimo Cataldo (*)

Il commento, esaminando la decisione della Suprema Corte, illustra i termini della questione ora nuova-mente sottoposta alle Sezioni Unite, e i contrasti sviluppatisi in precedenza in dottrina e giurisprudenza,giustapponendo l’auspicio di una soluzione de jure condendo e la proposta di un percorso interpretativoche conduca a risultati equivalenti in virtù di una indagine sulla natura ed estensione dei c.d. effetti re-missori del concordato preventivo di società di persone.

1. Il caso

Un socio illimitatamente responsabile di societàdi persone aveva concesso un’ipoteca volontaria,su bene immobile di sua proprietà, a garanzia delcredito di una banca verso la società.In seguito, la società era stata ammessa al con-

cordato preventivo, e, dopo il voto favorevole deicreditori, il concordato era stato omologato, e ave-va poi avuto intera e regolare esecuzione (1).Il socio aveva quindi richiesto alla banca di pre-

stare l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca iscrit-ta sul bene immobile.Rimasta insoddisfatta la propria richiesta, il so-

cio aveva convenuto la banca in giudizio per con-seguire una pronuncia che accertasse l’estinzionedell’ipoteca, in conseguenza dell’estinzione del de-bito garantito determinata dall’effetto remissoriodel concordato preventivo per la quota del valoredei crediti eccedente la percentuale concordataria(art. 184, comma 1, l.fall.).La sentenza annotata riferisce che la banca, nel

costituirsi nel giudizio di primo grado, aveva ecce-pito che il proprio credito, in quanto assistito dagaranzia ipotecaria, sia pure su beni del socio, ave-va natura privilegiata, e doveva quindi essere inte-gralmente soddisfatto. Sembra di comprendere, pe-raltro, che il procedimento di concordato preventi-vo fosse a qual tempo ormai esaurito, e che il cre-dito della banca fosse stato assoggettato alla falci-dia concordataria come ogni altro credito non assi-

stito da causa di prelazione relativamente ai benicompresi nel patrimonio della società.L’eccezione della banca, in ogni modo, era fon-

data sul rilievo che gli effetti remissori del concor-dato preventivo non possono interessare i creditiprivilegiati, essendone prescritta la soddisfazioneintegrale anche nel concordato preventivo, indi-pendentemente dalla circostanza che la liquidazio-ne dei beni, in relazione ai quali la prelazione è ac-cordata, risultino effettivamente reperibili, e ca-pienti per l’intero ammontare del credito privile-giato (2).Il Tribunale di Sondrio aveva rigettato la do-

manda proposta contro la banca dal socio illimita-tamente responsabile della società di persone am-messa al concordato preventivo, individuando nel-l’ipoteca iscritta sul bene immobile di sua proprietàuna obbligazione propria del socio, insuscettibile diestinguersi per effetto dell’estinzione dei debiti del-la società verso i creditori chirografari solo parzial-mente soddisfatti nell’ambito del concordato pre-ventivo.La sentenza di primo grado era stata impugnata

dal socio, ma la Corte d’Appello di Milano avevarigettato l’impugnazione, condividendo l’orienta-mento seguito dal Tribunale di Sondrio, salvo ag-giungere, secondo quanto si legge nella sentenzaannotata, che il credito della banca verso il socioillimitatamente responsabile doveva qualificarsi co-me credito privilegiato, in quanto garantito dall’i-poteca volontaria concessa dal socio a favore dellabanca.

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, allavalutazione di un referee.

(1) Nella sentenza si legge che la banca «aveva espressoadesione» alla proposta di concordato, senza che possa peròcomprendersi se la banca avesse manifestato altrimenti il pro-prio convincimento riguardo alla convenienza della proposta,ovvero avesse addirittura espresso voto favorevole, dopo esse-re stata appunto ammessa al voto, sul presupposto della quali-ficazione del suo credito, nell’ambito del concordato preventi-vo della società, quale credito chirografario (in relazione allacircostanza che la garanzia costituita a favore della banca gra-

vava sul patrimonio personale del socio, non su bene compre-so nell’attivo concordatario). Sulle questioni relative alla posi-zione nel concordato preventivo dei creditore assistiti da ga-ranzia gravante su beni di terzi, v. infra.

(2) Nel giudizio, relativo a un procedimento di concordatopreventivo conclusosi nel 2002, non poteva avere influenza lacircostanza che l’art. 160, comma 2, l.fall è stato poi novellatoda una disposizione del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, laquale ha reso ammissibile, nel concordato preventivo, unaproposta di pagamento parziale agli stessi creditori privilegiati,ricorrendone i presupposti stabiliti dalla legge

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Ne conseguiva, secondo la Corte d’Appello, cheil credito della banca dovesse giudicarsi sottrattoagli effetti remissori del concordato preventivo, oin ogni caso che alla banca spettasse (è la sentenzadella Cassazione qui annotata a riferirne le parole)«quanto meno il diritto di escutere l’ipoteca».Il socio aveva proposto allora ricorso per cassa-

zione, per un complesso di motivi tra loro connessi,sostanzialmente convergenti nel suggerire alla Cor-te di cassazione una diversa soluzione della questio-ne giuridica essenziale ai fini della decisione dellacontroversia, anzitutto mediante la qualificazionedell’ipoteca volontaria costituita a favore dellabanca quale garanzia della stessa obbligazione giàgravante sul proprietario del bene in virtù della suaposizione di socio illimitatamente responsabile del-la società di persone, anziché come “fideiussione”.La Suprema Corte, con la decisione annotata, os-

serva che risultano tuttora controversi la validità egli effetti di una “fideiussione” prestata da un socioillimitatamente responsabile a garanzia dei debitidella società, e che non sembra dunque univoca-mente condivisa, nella giurisprudenza della Corte,la risalente pronuncia a sezioni unite relativa alle ri-percussioni, sulla “fideiussione” prestata dal socio,dell’omologazione del concordato preventivo dellasocietà (Cass., sez. un., 24 agosto 1989, n. 3749).

Esaminati i precedenti susseguitisi negli ultimianni, e riportate espressamente, nel testo della de-cisione, le massime di numerose sentenze, così darenderne evidente il contrasto, la Corte ha quindistabilito di rimettere la causa al Primo Presidenteper l’assegnazione alle Sezioni Unite.

2. La questione nuovamente sottopostaalle Sezioni Unite

La Cassazione aveva avuto modo di affrontare laquestione già prima della pronuncia a sezioni unitedel 1989 (3).Fu però a seguito della sentenza del 1989 che si

stabilì un orientamento all’apparenza destinato amantenere stabilità (4).La dottrina apparve in parte persuasa, con qual-

che distinguo e qualche osservazione critica (5).Dopo la sentenza a sezioni unite del 1989, si sono

susseguite numerose pronunce delle sezioni semplici,come ricorda la sentenza annotata, alcune dellequali non hanno mostrato di condividere piena-mente la soluzione in precedenza affermatasi (6).Voci di dissenso si sono levate, d’altronde, an-

che in recenti contributi di dottrina (7).Conviene premettere che la questione è circo-

scritta all’interpretazione dell’art. 184 l.fall. (è la

(3) In particolare, Cass. 8 novembre 1984, n. 5642, in que-sta Rivista, 1985, 404; tra le pronunce di merito, App. Milano28 ottobre 1986, in Banca borsa tit. credito, 1988, II, 233; App.Milano 20 dicembre1985, in Giust. civ., 1986, I, 1475; Trib. Fer-rara 6 novembre 1980, in Giur. comm., 1981, II, 470.

(4) Cass., sez. un., 24 agosto 1989, n. 3749, in questa Rivi-sta, 1990, 38, con nota della Direzione, e nuovamente in que-sta Rivista, 1990, 367, con commento di G. Staiano, Ancorasulla esdebitazione del fideiussore socio illimitatamente respon-sabile in forza dell’omologazione di concordato preventivo di so-cietà di persone.

(5) V. gli scritti cit. in nota da G. Lo Cascio, Il fallimento e lealtre procedure concorsuali, 2007, 1022-1023, e, in particolare,dello stesso Autore, Concordato preventivo della società di per-sone ed effetti nei confronti dei soci fideiussori delle obbligazionisociali, in Giust. civ., 1990, I, 392; G. Ragusa Maggiore, I soci il-limitatamente responsabili non possono essere fideiussori nelconcordato preventivo, in Dir. fall., 1990, II, 19; G. Canale, Con-cordato preventivo di società di persone e socio fideiussore: sipronunciano le Sezioni Unite, in Giur. comm., 1990, II, 932; M.De Acutis, Commento a Cass. civ. sez. un. 24 agosto 1989 n.3749, in Giur. civ. comm., 1990, I, 26.

(6) Nella motivazione della sentenza sono espressamenterichiamate, nell’ordine: Cass. 1 marzo 1999, n. 1688, in questaRivista, 2000, 158; Cass. 24 agosto 1989, n. 3749 (salvo errore,non massimata né pubblicata); Cass. 12 dicembre 2007, n.26012, in Banca borsa e tit. credito, 2008, II, 409, con nota diG. Barillà, Fideiussione prestata dal socio di società in nome col-lettivo per obbligazioni contratte dalla società: autonomia patri-moniale e rafforzamento delle garanzie ai creditori; Cass. 6 no-vembre 2006, n. 23669, in Rep. Foro it., 2006, v. Società, 643;Cass. 5 novembre 1999, n. 12310, Rep. Foro it., 2000, v. Socie-tà, 574; Cass. 7 agosto 1996, n. 7228, in Rep. Foro it., 1996, v.

Società, 485; Cass. 12 dicembre 1995, n. 12733 (di cui non siè riusciti a reperire il testo: è stata massimata con esclusivo ri-guardo a questioni in tema di operazioni bancarie); Cass. 26ottobre 1995, n. 11151 (di cui non si è riusciti a reperire il te-sto: é stata massimata con esclusivo riguardo a questioni intema di società); Cass. 20 aprile 1994, n. 3773, in Rep. Foro it.,1994, v. Società, 419 (solo parzialmente pertinente al tema,vertendo sull’identificazione della rispettiva posizione del socioillimitatamente responsabile e della società di persone nell’am-bito di controversia relativa alla liquidazione sociale); Cass. 30agosto 2007, n. 18312, in Rep. Foro it., 2007, v. Fallimento,719; Cass. 6 dicembre 1994, n. 10461, in questa Rivista, 1995,412 (solo parzialmente pertinente al tema, vertendo sull’am-missione del creditore beneficiario della garanzia ipotecaria al-lo stato passivo del fallimento del socio garante).

(7) In dottrina, più di recente, nel senso di ritenere ammissi-bile la prestazione di una ‘fideiussione’ da parte del socio illimi-tatamente responsabile, con conseguente sottrazione del suorapporto con la banca garantita all’effetto remissorio del con-cordato preventivo, con argomentazioni diverse da quelle quiesposte più avanti, tra gli altri: S. Ambrosini, Il concordato pre-ventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Tratt. dir.Commerciale, diretto da G. Cottino, vol. XI, Padova, 2008, 147;F. Funari, in nota a Cass. 12 dicembre 2007, n. 26012, in So-cietà, 2009, 38. Aderiscono tra gli altri alla tesi accolta dallesez. un. nel 1989, invece, G. Lo Cascio, Il concordato preventi-vo, Milano, 2002, 662, e, seppure talvolta non senza manife-stare perplessità, L. Forni, in Fallimento e altre procedure con-corsuali diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, 2009, vol. III,1790; A. Barbieri, Effetto esdebitatorio del concordato preventi-vo in favore dei soci ed ex soci illimitatamente responsabili,commento a Cass. 29 dicembre 2011, n. 29863, in questa Rivi-sta, 2012, 569.

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stessa sentenza annotata a sottolinearlo, giudican-do non pertinenti i richiami del ricorrente a prece-denti in tema di concordato fallimentare).Con riguardo al concordato preventivo delle so-

cietà (di persone), il terzo comma dell’art. 184 sta-bilisce espressamente che il concordato ha effica-cia, salvo patto contrario, «nei confronti dei sociillimitatamente responsabili», circoscrivendosi cosìl’ambito di applicazione della norma, contenutanel precedente comma, secondo la quale i creditori«conservano impregiudicati i diritti contro i coob-bligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati invia di regresso».I soci illimitatamente responsabili di società di

persone non possono dunque considerarsi, ai finidegli effetti remissori del concordato preventivo,quali «coobbligati», o, seppure lo fossero (come ri-tiene l’opinione prevalente, sia pure sottolineandol’aspetto della sussidiarietà dell’obbligazione), di-verso dovrebbe giudicarsi il regime degli effetti delconcordato preventivo nei loro riguardi.Tuttavia, da molti anni accade che le banche

propongano ai soci illimitatamente responsabili disocietà di persone di sottoscrivere una “fideiussio-ne” a garanzia dei debiti della società per la restitu-zione dei finanziamenti accordati dalla banca, disolito nell’occasione della richiesta al socio illimi-tatamente responsabile di costituire a garanzia del-la banca un pegno o ipoteca su bene appartenenteal patrimonio del socio, non disponendo la societàdi risorse patrimoniali sufficienti.Dal momento che il socio è già illimitatamente

responsabile per l’adempimento dei debiti della so-cietà, seppure solo in via sussidiaria, la prestazionedella “fideiussione” non sembra potere comportareil sorgere di una nuova obbligazione (semmai, il te-sto della fideiussione può modificare convenzional-mente il regime della sussidiarietà della preesisten-te responsabilità ex lege del socio illimitatamenteresponsabile).In ogni modo, l’intento perseguito dalle banche

è quello di porre in essere un regolamento conven-zionale del rapporto con il socio in virtù del quale,nel caso di crisi dell’impresa sociale e di sopravve-nienza di un concordato preventivo (omologato),

trovi applicazione nei confronti del socio l’art.184, comma 2, l.fall., in virtù del quale l’effetto re-missorio del concordato preventivo non si estendeai «fideiussori», anziché l’art. 184, comma 3, l.fall.che stabilisce la liberazione, invece, dei soci illimi-tatamente responsabili.Lo scopo pratico, in definitiva, è impedire che

rimangano privi di utilità per la banca, nel caso diomologazione del concordato preventivo della so-cietà, e conseguente liberazione dei soci illimitata-mente responsabili, i pegni e le ipoteche volonta-riamente costituiti dal socio su propri beni perso-nali.Infatti, l’effetto remissorio del concordato, deter-

minando la liberazione del socio dalla responsabili-tà sussidiaria per il pagamento dei debiti sociali,può giudicarsi realizzare la ‘estinzione’ del debitogarantito, e di conseguenza anche l’estinzione dellegaranzie che l’assistono.In parole semplici: risulta in questo caso inin-

fluente che la banca si sia procurata garanzie talida assicurarle il pagamento dell’intero credito; pereffetto dell’omologazione del concordato, che è«obbligatorio per tutti i creditori anteriori» (art.184, comma 1, l.fall.), non vi sarebbe più il creditonella sua interezza, cosicché la maggiore capienzadella garanzia, rispetto alla percentuale offerta aicreditori, non assicurerebbe comunque il pagamen-to dell’intero credito della banca.Si osservi che la questione è strettamente colle-

gata alle caratteristiche del regime positivo delconcordato preventivo delle società nel nostro or-dinamento, che si esaurisce in un procedimentoconcorsuale limitato al patrimonio della società, eal quale rimane quindi estraneo il patrimonio per-sonale dei soci illimitatamente responsabili (8).Nel caso di fallimento della società di persone,

così come nel caso di concordato fallimentare,l’ambito del concorso dei creditori si estende inve-ce allo stesso patrimonio dei soci illimitatamenteresponsabili. Ne consegue che nel fallimento delsocio illimitatamente responsabile i crediti assistitida pegno o ipoteca su beni del socio si qualificanocome crediti privilegiati, e possono trovare, inprincipio, soddisfazione integrale.

(8) V. in particolare a questo riguardo S. Pacchi, Il nuovoconcordato preventivo, s.l., 2005, 177 ss., e, dello stesso Auto-re, sub art. 184 l.fall., in Il nuovo diritto fallimentare, Bologna,2007, t. 2, 2594 ss., ove, muovendosi da premesse analoghe,sembra però pervenirsi a conclusioni difformi da quelle quipresentate nei successivi paragrafi; M. Ferro, Il concordatopreventivo, l’omologazione e le fasi successive, in Il nuovo dirittofallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla

riforma, Bologna, 2010, 1102 ss.; G. Lo Cascio, Il concordatopreventivo, 2002, 660 ss.; V. Zanichelli, I concordati giudiziali,2010, 306 ss. Rilievi critici nei confronti della mancata esten-sione del concordato preventivo al patrimonio personale deisoci illimitatamente responsabili in L. Panzani, Ammissibilitàdel concordato preventivo dei soci illimitatamente responsabili,commento a Cass. 30 agosto 2001, n. 11343, in questa Rivista,2002, 621.

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Nel caso del concordato preventivo, al contra-rio, rimanendo il concorso dei creditori circoscrittoal patrimonio della società, ne sono esclusi i benidi proprietà del socio illimitatamente responsabilesui quali siano stati costituiti il pegno o l’ipoteca,cosicché non è nell’ambito della liquidazione con-cordataria che possono realizzarsi le garanzie realiprestate dal socio.La banca beneficiaria della garanzia prestata dal

socio, di conseguenza, non può trovare soddisfazio-ne integrale nella liquidazione concordataria, per-ché non può vantare alcuna causa di prelazione suibeni compresi nel patrimonio della società ammes-sa al concordato preventivo; nondimeno, l’utilitàdella garanzia si conserverebbe, evidentemente, sela banca potesse realizzare la garanzia, al di fuoridel procedimento concorsuale, in danno del sociodatore di pegno o ipoteca, anziché esserne ostaco-lata dall’effetto remissorio del concordato preventi-vo (9).Allo stesso tempo, in assenza dell’estensione del

concordato preventivo al patrimonio dei singoli so-ci illimitatamente responsabili, è evidentementeinconcepibile che il creditore garantito possa ‘tra-sferire’ analoga pretesa nell’ambito di altro procedi-mento concorsuale. Egli si prospetta dunque curio-samente, nel concordato preventivo della società,come sprovvisto di titoli di prelazione sui beni og-getto di concorso, ed è ammesso al voto come ognialtro creditore chirografario, ma al tempo stessonon potrebbe fare valere altrimenti la maggiore ga-ranzia che si era precostituito (10).Di qui, appunto, la diffusione nella pratica di “fi-

deiussioni” richieste ai soci illimitatamente respon-sabili di società di persone (generalmente prive disignificative risorse patrimoniali proprie) nell’occa-sione della costituzione di un pegno o di un’ipotecavolontaria su propri beni a favore della banca, per

cercare di garantire il rimborso integrale dei finan-ziamenti accordati alla società nello stesso caso incui fosse successivamente presentata dalla societàdomanda di ammissione al concordato preventivoe, dopo il voto favorevole dei creditori, il concor-dato fosse omologato.

3. Una riflessione sul metodo e unavalutazione de jure condendo

La riflessione sulle questioni prospettate in giuri-sprudenza e dottrina sembra potere trarre beneficioda un rovesciamento di prospettiva, in virtù delquale fosse preliminarmente chiarita la ratio dellenorme positive, e solo successivamente se ne ope-rasse una ricostruzione di carattere sistematico, in-tesa a verificarne la compatibilità ovvero la con-trapposizione con i principi propri, nel diritto civi-le, del regime dell’obbligazione solidale e dell’ac-cessorietà della garanzia.A questo proposito, merita attenzione il rilievo

che l’omologazione del concordato preventivo nonha effetto remissorio nei rapporti dei creditori coni fideiussori e con i coobbligati perché, diversa-mente, potrebbe essere espresso un voto sfavorevo-le alla proposta di concordato, nel disinteresse perla sua effettiva convenienza per la collettività deicreditori, da parte di quanti tra loro perdessero lapossibilità di esigere il proprio credito nel rapportocon fideiussori e coobbligati in conseguenza dell’o-mologazione del concordato preventivo (11).Vi è indubbiamente un elemento di verità in

questa considerazione, la quale ha però l’inconve-niente di rischiare di distogliere l’attenzione del-l’interprete dalla più concludente constatazioneche il credito verso il fideiussore o il coobbligato èestraneo al concorso dei creditori sul patrimoniodel debitore.

(9) Si menzionano qui e passim senza riserve gli “effetti re-missori” del concordato preventivo, in considerazione della dif-fusione di questa locuzione nel linguaggio di giudici e giuristi,sebbene, per le ragioni riassunte più avanti nel testo del com-mento, ne possano derivare fraintendimenti e distorsioni, cheappaiono accentuarsi allorché l’impiego della locuzione si co-niuga con l’eccesso insito nella sopravvalutazione del carattere“negoziale” del concordato preventivo dopo la riforma (qualeespressione di un presunto “dominio” della volontà della mag-gioranza dei creditori), ma anche quando riemerge, all’eccessoopposto, la risalente quanto fuorviante lettura “pubblicistica”del fondamento degli istituti fallimentari, ad esempio allorchégli “effetti remissori” del concordato preventivo sono fatti deri-vare da un presunto, aprioristico interesse pubblico alla preva-lenza dello strumento del concordato preventivo per la soluzio-ne delle crisi d’impresa in contrapposizione alla tutela delle ra-gioni individuali dei creditori, anziché dalla realistica constata-zione della incapienza del patrimonio disponibile, e dalla con-

trarietà all’interesse (privato) degli stessi creditori di una liqui-dazione ritardata e inefficiente, rispetto alle opportunità offerteda una più sollecita e duttile procedura di distribuzione del re-siduo effettivamente conseguibile.

(10) Vi è però da domandarsi se l’ammissione al voto qualechirografario del creditore, destinato a vedere concretamentedissolta la propria garanzia (in quanto costituita su beni del pa-trimonio personale del socio illimitatamente responsabile), siarimedio sufficiente a riequilibrare la sua posizione, e la rispostasembra non possa se non essere negativa, dal momento chenon appare ragionevole che il suo voto abbia lo stesso “peso”del voto di creditori chirografari privi di ogni garanzia, e dun-que affatto insensibili alle sorti del patrimonio personale deisoci illimitatamente responsabili beneficiari degli “effetti remis-sori” del concordato preventivo (se non vi figurino altri beni ol-tre a quelli costituiti in garanzia a favore di singoli creditori).

(11) V. per tutti M. Fabiani, Diritto fallimentare, Bologna.2011, 675.

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Non è nel potere della maggioranza dei creditori,perciò, disporre dei diritti di un singolo creditoreverso un fideiussore o coobbligato, perché l’ambitodegli effetti del voto espresso dai creditori sulla pro-posta di concordato non può estendersi oltre la sferadelle decisioni relative alla scelta delle modalità del-l’esecuzione concorsuale a carico del debitore.La norma che fa salvi i diritti dei creditori verso

i fideiussori e coobbligati dopo l’omologazione delconcordato preventivo, in effetti, sembra piuttostodettata dalla necessità di adattare alle caratteristi-che del procedimento concorsuale il principio sta-bilito nell’art. 1301, comma 1, c.c., in virtù delquale l’estensione degli effetti della remissione deldebito verso un coobbligato non può prodursi se viè la contraria volontà del creditore.L’espressione di un voto a maggioranza sulla pro-

posta di concordato, da parte dei creditori, nonavrebbe potuto comunque comportare che ne fossedesunta una volontà di remissione altresì del credi-to che alcuno di loro potesse vantare verso fideius-sori o coobbligati (12).Prima ancora, la parziale “remissione” del debito

conseguente l’omologazione del concordato pre-ventivo non costituisce propriamente l’oggetto diuna manifestazione di volontà negoziale diretta adeterminare la parziale estinzione del credito inuna situazione in cui il credito sia, in astratto al-meno, ancora suscettibile di essere riscosso (che èla fattispecie in rapporto alla quale è modulata laformulazione dell’art. 1301, comma 1, c.c.), bensìcostituisce il riflesso di una scelta dei creditori rela-tivamente alle modalità di riscossione dei propricrediti nell’ambito dell’esecuzione concorsuale, ein una situazione in cui è conclamata l’impossibili-tà di riscossione dell’intero credito da parte dei cre-ditori chirografari (13).

Se si considera quanto precede, sembra potersimeglio intendere la ratio della norma che estendeinvece gli effetti remissori del concordato preventi-vo ai soci illimitatamente responsabili di società dipersone, salvo patto contrario.La estensione del fallimento ai soci illimitata-

mente responsabili di società di persone determina,in confronto a coobbligati e fideiussori, una diffe-renza essenziale: il credito sussidiario verso i soci il-limitatamente responsabili, infatti, è soggetto alconcorso dei creditori, sia pure soltanto nel caso incui la maggioranza dei creditori esprima voto con-trario alla proposta di concordato preventivo (14).È dunque nel potere della maggioranza dei credi-

tori disporre delle modalità di riscossione (parziale)dei propri crediti, rinunciando a estendere l’esecu-zione concorsuale al patrimonio personale dei sociillimitatamente responsabili, mediante l’approva-zione della proposta di concordato preventivo lorosottoposta dalla società di persone (si osservi: nellostesso caso in cui vi fosse il patto contrario all’e-stensione degli effetti remissori del concordato aisoci illimitatamente responsabili, nei confronti deiquali i creditori manterrebbero la possibilità di agi-re solo singolarmente).In tal modo, si determinano obiettivamente le

condizioni più favorevoli affinché la società di per-sone, in una situazione di difficoltà finanziaria, siasollecitata a presentare tempestivamente domandadi ammissione al concordato preventivo, a ragionedei benefici che ne possono conseguire per i soci il-limitatamente responsabili (che hanno di regolaruolo preponderante nella conduzione dell’impresasociale).Non è questa forse una ragione sufficiente, però,

per considerare giustificato che ne discenda altresì,in virtù degli effetti remissori del concordato pre-

(12) Parzialmente diff., tra gli altri, A. Bonsignori. Processiconcorsuali minori, in Tratt. dir. commerciale e dir. pubblico eco-nomia, Padova, 1997, 324 ss., e, più di recente, V. Zanichelli, Iconcordati giudiziali, cit., 306 ss.

(13) Rilievi che non sembrano perdere valore per effetto del-le modifiche apportate alla disciplina del concordato preventi-vo, in particolare in conseguenza dell’introduzione del c.d.concordato con continuità. La “esdebitazione” della società èpur sempre conseguenza della destinazione delle proprie risor-se patrimoniali alla soddisfazione dei creditori nei limiti delleproprie effettive possibilità; semmai, è caratteristico del con-cordato preventivo con continuità che alle (limitate) risorse esi-stenti possano sommarsi ulteriori risorse, appunto in virtù dellacontinuità della società, accrescendosi così la possibilità disoddisfazione dei creditori, ma fermo comunque il “sacrificio”dei creditori corrispondente al divario tra la effettiva possibilitàdi riscossione integrale e tempestiva dei loro crediti e la situa-zione conseguente la crisi dell’impresa.

(14) È rappresentativa di una diversa lettura, diffusa tra gli

interpreti, Cass. 17 luglio 2003, n. 11200, in Rep. Foro it.,2003, v. Fideiussione e mandato di credito, 19, nella quale, di-chiarandosi infondata la questione di legittimità costituzionaledell’art. 184, comma 2, l.fall. prospettata dalla difesa del socio-fideiussore in relazione agli artt. 3 e 42 Cost., si sottolinea che,nel caso dei soci illimitatamente responsabili, socio e socio-fi-deiussore verserebbero in «situazioni debitorie diverse sia co-me soggetti che come causa dell’obbligazione». È rivolta inve-ce l’attenzione ai tratti caratteristici del regime concorsuale,nell’ambito dell’analisi della differente posizione di fideiussori eterzi datori di pegno o ipoteca nel concorso, la più recenteCass. 7 aprile 2011, n. 7978, in Rep. Foro it., 2011, v. Concor-dato preventivo, 180, la quale affronta però la diversa questio-ne relativa all’attribuzione al coobbligato-garante che abbiaparzialmente adempiuto, anziché di un‘azione di regresso (pre-clusa dall’art. 61 l.fall.), della surrogazione ex art. 1299 c.c., ne-gando che possa invece avvantaggiarsene il terzo datore dipegno o ipoteca.

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ventivo, la liberazione dei soci illimitatamente re-sponsabili dalle obbligazioni che avessero contrattonei confronti di un singolo creditore, costituendo asuo favore un pegno o un ipoteca su propri beni.Se non si ammettesse la possibilità di realizzazio-

ne delle garanzie prestate a favore di un singolocreditore della società dal socio illimitatamente re-sponsabile, dopo l’omologazione del concordatopreventivo proposto dalla società, ne deriverebbe,d’altronde, che il singolo creditore beneficiario del-la garanzia avrebbe sempre interesse ad opporsi al-l’approvazione del concordato preventivo.Così impostata la questione, si ravviserebbe l’op-

portunità, de jure condendo, dell’introduzione diuna norma che facesse salva la possibilità per i cre-ditori, dopo l’omologazione del concordato preven-tivo di una società, di realizzare i pegni e le ipote-che costituiti a loro esclusivo vantaggio dai soci il-limitatamente responsabili, su beni di loro proprie-tà, a garanzia di debiti della società.Non sembra giustificato, infatti, che la maggio-

ranza dei creditori, attraverso l’approvazione dellaproposta di concordato preventivo della società dipersone debitrice, e rinunciando dunque a estende-re il proprio concorso sul patrimonio personale deisoci illimitatamente responsabili, possa determina-re altresì la caducazione, di fatto, di garanzie vo-lontariamente costituite a favore di un singolo cre-ditore da parte di un socio illimitatamente respon-sabile, su beni di sua proprietà, e nell’ambito dell’e-sercizio della propria autonomia negoziale.Deve però subito aggiungersi che la questione

non può considerarsi, sul piano dell’eventuale mo-difica normativa come su quello della mera inter-pretazione, separatamente dalla collegata questionerelativa allo sorte, dopo l’omologazione del concor-dato preventivo, di pegni e ipoteche costituiti avantaggio di un singolo creditore della società daun terzo, anziché da un socio illimitatamente re-sponsabile.Sembra chiaro, infatti, che se il terzo datore di

pegno o ipoteca non potesse beneficiare degli effet-ti remissori del concordato preventivo, la posizionedei terzi e dei soci illimitatamente responsabili cheavessero costituito garanzia a favore dei creditoridella società risulterebbe analoga (godrebbero en-trambi della liberazione della società dal debito ec-cedente la percentuale concordataria).Nel caso in cui si ritenesse, invece, che fosse li-

berato soltanto il soggetto che si trovi nella posi-zione di terzo datore di pegno o ipoteca, ma non ilprestatore di pegno o ipoteca che sia contempora-neamente fideiussore verso la società assoggettata a

concordato preventivo, si realizzerebbe un’irragio-nevole disparità. Da un lato, il socio illimitatamen-te responsabile, in quanto già obbligato ex lege,non potrebbe acquisire la posizione di «fideiussore»in senso proprio, e le garanzie reali da lui prestateperderebbero efficacia per effetto dell’omologazionedel concordato preventivo; dall’altro, i non soci, ei soci a responsabilità limitata, che prestassero ga-ranzia per i debiti della società, sarebbero invece li-berati soltanto nel caso in cui non si fossero con-temporaneamente costituiti fideiussori nei confron-ti del creditore garantito.Queste osservazioni consentono di cogliere un

possibile effetto distorsivo della tesi accolta dallasentenza della Cassazione a sezioni unite del 1989.Basti considerare il caso in cui una banca avesse

conseguito sia dai soci accomandanti sia dai sociaccomandatari di una società in accomandita lasottoscrizione di una ‘fideiussione’ a proprio favoree, insieme, la costituzione di una garanzia ipoteca-ria sull’abitazione di ciascuno dei soci.A seguito dell’omologazione del concordato pre-

ventivo, gli effetti remissori si produrrebbero pie-namente nei rapporti tra i creditori e i soci illimi-tatamente responsabili (per effetto della qualifica-zione della “fideiussione” prestata come semplicenegozio ricognitivo della responsabilità sussidiariagravante ex lege sul socio). Al contrario, gli acco-mandanti non potrebbero beneficiarne, perché lagaranzia da loro prestata alla banca ne determine-rebbe la qualificazione quali “fideiussori”, soggettialla disposizione dell’art. 184, comma 2, l.fall., chepreclude l’estensione degli effetti remissori del con-cordato preventivo a coobbligati e fideiussori.

4. Una proposta interpretativa de jurecondito

In assenza di una norma che stabilisca espressa-mente la sopravvivenza al concordato preventivodelle garanzie prestate dai soci illimitatamente re-sponsabili mediante costituzione di pegno o ipote-ca su beni di loro proprietà, occorre verificare sedavvero non sia possibile giungere a un conformerisultato in virtù dell’interpretazione delle normevigenti.Secondo il risalente orientamento delle Sezioni

Unite, come si è più volte ricordato, vi sarebbed’ostacolo la constatazione che il socio illimitata-mente responsabile di società di persone è già ob-bligato ex lege, sia pure in via sussidiaria, per i debi-ti della società, cosicché l’efficacia della “fideius-sione” da lui prestata, e delle garanzie da lui costi-

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tuite, non potrebbero se non seguire la sorte deldebito della società, con la conseguenza che l’omo-logazione del concordato preventivo determinereb-be l’impossibilità, per il creditore beneficiario, difare valere la garanzia costituita a suo favore perconseguire il pagamento della percentuale del pro-prio credito rimasta insoddisfatta nell’ambito deiriparti concordatari.In effetti, per individuare in tal caso nel socio il-

limitatamente responsabile un “coobbligato” do-vrebbe ammettersi che sia possibile convenzional-mente dare vita a un vincolo di coobbligazione odi garanzia nella forma di una obbligazione “indi-pendente”, munita di causa astratta o comunquenon compiutamente riconducibile al paradigmadella garanzia accessoria, sul modello di elaborazio-ni sviluppatesi, in senso diverso, negli ordinamentianglosassoni e nell’ordinamento tedesco, e chehanno trovato vasta eco nell’esperienza giurispru-denziale relativa al c.d. contratto autonomo di ga-ranzia (15).L’accessorietà caratteristica del regime della fi-

deiussione sembra invece escludere in radice lapossibilità di ammettere che il socio illimitatamen-te responsabile di società di persone possa conven-zionalmente obbligarsi verso un creditore della so-cietà a garantirne il credito nella stessa eventualitàin cui l’omologazione del concordato preventivodella società rendesse il contenuto della proposta«obbligatorio per tutti i creditori» (art. 184, com-ma 1, l.fall.).In definitiva, l’espediente di qualificare come “fi-

deiussione” un atto negoziale sostanzialmente rico-gnitivo di una preesistente responsabilità ex lege dieguale estensione (salvo variazioni marginali nelregime di sussidiarietà dell’obbligazione del socioillimitatamente responsabile), continua a non per-suadere, per le ragioni appunto illustrate nella risa-lente pronuncia della Suprema Corte a sezioni uni-te.Piuttosto, sembra doversi riesaminare l’altro ele-

mento della ricostruzione a suo tempo operata dal-la Cassazione (e non sempre seguita nelle successi-

ve pronunce della prima sezione), quello che attie-ne alla inefficacia delle garanzie costituite dal socioillimitatamente responsabile in conseguenza della“obbligatorietà” del concordato preventivo per tut-ti i creditori anteriori all’adempimento delle forma-lità relative alla pubblicità della domanda di con-cordato.La delimitazione del pagamento ai creditori alla

percentuale concordataria, infatti, non realizza,propriamente, una parziale estinzione del loro cre-dito. Come è stato posto in luce da tempo, è piut-tosto l’espressione, da un lato, di un limite all’azio-ne esecutiva concorsuale, e, dall’altro, di una pre-clusione per i creditori all’esercizio successivo diazioni esecutive contro il debitore (o, nel caso del-le società di persone, contro i soci illimitatamenteresponsabili).Come dimostra la sopravvivenza dei diritti del

creditore nei confronti di fideiussori e coobbligati,il debito certamente continua a sussistere, nono-stante l’omologazione del concordato preventivo.Il caratteristico effetto preclusivo e “remissorio”

del concordato preventivo non sembra possa ade-guatamente spiegarsi, in effetti, se non mediantenozioni esclusivamente proprie della disciplina fal-limentare, e, in particolare, ponendo a base dellariflessione il rilievo che lo spossessamento del debi-tore-società, nello stesso caso in cui il fenomeno simanifesti nella sua forma più attenuata, come è nelconcordato preventivo, istituisce un concorso ditutti i creditori su tutti i beni del debitore. Poichéle risorse patrimoniali del debitore suscettibili divenire rivolte alla soddisfazione dei creditori sonocosì irreversibilmente destinate a esaurirsi nella li-quidazione concorsuale per assicurare la par condi-cio creditorum, è indispensabile che, in principio,nessuno dei creditori possa pretendere di intralcia-re la liquidazione concordataria manifestando unapretesa esecutiva sui beni della società.Vi è dunque da dubitare che sia davvero appro-

priato individuare in questo fenomeno l’espressionedi una parziale remissione delle obbligazioni dellasocietà nei rapporti con i propri creditori, laddove

(15) Se ne può avere indiretta conferma nella risalente se-gnalazione, in dottrina e in alcune pronunce di merito, dellapeculiarità della posizione del socio illimitatamente responsa-bile che abbia assunto nei rapporti con un creditore della so-cietà una obbligazione cambiaria (v. per tutti A. Bonsignori, Pro-cessi concorsuali minori, in Tratt. dir. comm. diretto da F. Galga-no, vol. XXIII, 329, ove è fatto espresso riferimento alla nozio-ne di «astrazione della causa dell’obbligazione cambiaria», e v.ivi in nota anche l’indicazione delle pronunce di merito). Tutta-via, a parte la solo sommaria affinità tra l’obbligazione cambia-ria e le situazioni giuridiche passive discendenti dalla sottoscri-

zione di un Garantievertrag o dalla stipulazione di una indepen-dent obligation, non sembra possibile che l’astrazione causalepossa “reggere l’impatto” con il sistema delle norme della di-sciplina del concordato preventivo: il riconoscimento degli ef-fetti dell’atto negoziale concluso dal socio con il creditore dellasocietà non potrebbe prescindere, infatti, dalla verifica del ri-spetto del regime (inderogabile) che delimita, nel procedimen-to concorsuale, il diritto dei creditori di soddisfarsi su risorsepatrimoniali appartenenti, rispettivamente, al debitore-societàe ai soci illimitatamente responsabili.

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l’impossibilità di soddisfazione della quota del cre-dito eccedente la percentuale concordataria nondiscende direttamente da una manifestazione divolontà del creditore, bensì da un mero fatto (l’e-saurimento del patrimonio del debitore in virtùdella liquidazione concordataria e, in precedenza,dall’esonero del patrimonio del debitore dall’eserci-zio di azioni esecutive individuali), mentre il votoespresso dai creditori nell’adunanza non ha altroeffetto se non quello di prescegliere le modalitàdella integrale liquidazione (concordataria o falli-mentare) del patrimonio del debitore.Così ricostruito il fenomeno, risulta conseguente

l’affermazione secondo cui gli effetti “remissori” delconcordato preventivo non possono se non esserecircoscritti all’ambito del concorso dei creditori, ossiaal patrimonio del debitore-società, rimanendovi estra-neo, in principio, il patrimonio di ogni altro obbli-gato (in particolare fideiussori e altri coobbligati).La circostanza che i soci illimitatamente respon-

sabili beneficino anch’essi (salvo patto contrario)degli effetti “remissori” del concordato preventivorisulta invece conseguenza della scelta dei creditori(qui sì vi è una manifestazione di volontà) di cir-coscrivere l’esecuzione concorsuale al solo patrimo-nio della società, rinunciando a estenderla al patri-monio personale dei soci illimitatamente responsa-bili, come avverrebbe invece se i creditori espri-messero voto contrario alla proposta di concordato,e ne seguisse il fallimento della società come deisoci illimitatamente responsabili.Ma anche a questo riguardo deve ripetersi che og-

getto della manifestazione di volontà dei creditori èuna scelta che attiene soltanto alle modalità dell’e-secuzione concorsuale, che è l’unico ambito in rela-zione al quale spetta loro un potere di disposizione.I creditori possono quindi, a maggioranza, esclu-

dere dal proprio concorso l’intero patrimonio deisoci illimitatamente responsabili; non hanno inve-ce alcuna legittimazione a disporre dei diritti del-l’uno o dell’altro dei singoli creditori verso un so-cio che si sia costituito garante del pagamento delloro credito.Non solo: una volta chiarito che per effetto del

concordato preventivo della società di persone ilpatrimonio dei singoli soci illimitatamente respon-sabili è escluso dal concorso, risulterebbe arduogiustificare perché - nell’ambito di una separataazione esecutiva singolare, libera dalle restrizionialle quali l’azione esecutiva dei creditori è stata as-soggettata nell’ambito del procedimento di concor-dato preventivo, e all’esito della quale la massa deicreditori è indifferente - il creditore del singolo so-

cio illimitatamente responsabile non dovrebbe po-tere realizzare la garanzia pignoratizia o ipotecariacostituita a suo favore.Non sembra essere d’ostacolo a questa ricostru-

zione l’espresso monito della legge a tutti i credito-ri a reputarsi vincolati alle condizioni del concor-dato preventivo omologato. Come si è osservato,le disposizioni della legge fallimentare si rivolgonoai creditori del debitore-società, non a chi sia cre-ditore anche verso altri soggetti (fideiussori e coo-bligati), e l’ambito nel quale sono destinate a tro-vare applicazione è quello del concorso sul patri-monio del debitore-società, a esclusione di ogni al-tro patrimonio.In conclusione, potrebbe riassumersi l’argomenta-

zione che precede indicandosi che quando la leggeindica che «il concordato [preventivo] della societàha efficacia nei confronti dei soci illimitatamenteresponsabili» intende dire che, a dispetto della re-sponsabilità sussidiaria ex lege alla quale sono assog-gettati, anche il loro patrimonio personale, comequello della società, diviene insuscettibile di costi-tuire oggetto di azioni esecutive per la soddisfazionedei crediti vantati dai creditori verso la società.L’accordo in virtù del quale il socio illimitata-

mente responsabile ha costituito un proprio benein garanzia a favore di un singolo creditore, in que-sta prospettiva, si presenta come un atto di disposi-zione individuale, in virtù del quale, una volta cheil socio illimitatamente responsabile abbia conse-guito l’esonero del proprio patrimonio personaledall’esecuzione concorsuale dei creditori della so-cietà, grazie all’omologazione del concordato pre-ventivo, la garanzia prestata si atteggia come pegnoo ipoteca prestata dal terzo, la cui realizzazione nul-la toglie al concorso dei creditori sui beni del debi-tore-società, e non comporta alcuna violazione del-la par condicio dei creditori.D’altronde, se non si condividesse questa rico-

struzione, essenzialmente fondata sulla negazioneche il concordato preventivo di società davverorealizzi effetti dispositivi di posizioni di natura so-stanziale, anziché di carattere meramente proces-suale-fallimentare (latu sensu riconducibili alla fi-gura dei c.d. accordi processuali, salva la loro quali-ficazione come atti “collettivi”), nondimeno nonpotrebbe prescindersi dal rilievo che il concordatopreventivo, per certo, non estingue il diritto di cuii vari creditori sono titolari, neppure parzialmente.Lo dimostra, anzitutto, la sopravvivenza dei diritti

del creditore nei rapporti con fideiussori e obbligati.La vicenda che si realizza a seguito del concorda-

to preventivo è perciò, semmai, una parziale libera-

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zione di uno dei debitori dal debito, ossia una meramodificazione soggettiva del rapporto obbligatorio,a somiglianza di quanto accade nel caso di libera-zione di uno tra più coobbligati solidali.Ma se potesse davvero ammettersi che l’obbliga-

zione personale di garanzia sopravviva al venir me-no dell’obbligo garantito (come, di nuovo, dimo-stra il richiamo alla sopravvivenza dell’efficaciadella fideiussione, per l’intero ammontare del cre-dito del beneficiario, al supposto effetto remissoriodel concordato preventivo), potrebbe ammettersialtresì che sopravvivano le garanzie reali volonta-riamente costituite dal socio illimitatamente re-sponsabile a dispetto della cessazione del regime le-gale di responsabilità sussidiaria ex lege per i debitisociali determinato dall’omologazione del concor-dato preventivo.La liberazione del socio illimitatamente respon-

sabile, in definitiva, dovrebbe circoscriversi appun-to alle obbligazioni sorte ex lege a suo carico, senzaestendersene gli effetti alle obbligazioni che hannofonte, invece, in un atto negoziale.

Anche questa diversa ricostruzione può condurre,quindi, ad analogo risultato interpretativo. Ma la ri-costruzione fondata sull’analisi delle caratteristichedel concorso dei creditori, e sugli effetti dell’omolo-gazione del concordato sul regime del concorso, nelsenso prima indicato, conduce univocamente a giu-dicare efficaci le garanzie prestate a favore del singo-lo creditore dal socio illimitatamente responsabile,benché “liberato” dalla propria responsabilità ex legeper effetto dell’omologazione del concordato preven-tivo. Una ricostruzione fondata sull’assunto che ilconcordato preventivo determini effetti propriamen-te “remissori”, invece, imporrebbe una delicata ana-lisi del negozio costitutivo della garanzia prestata dalsocio illimitatamente responsabile rivolta ad accerta-re se i socio abbia semplicemente inteso concedereuna garanzia relativamente all’adempimento delleresponsabilità, su di sé sussidiariamente gravanti exlege, ovvero abbia inteso propriamente divenirecoobbligato nei confronti del creditore, aggiungendoun titolo negoziale alla preesistente fonte legale dellapropria responsabilità solo sussidiaria (16).

L’esdebitazione del terzo datore di ipoteca socioillimitatamente responsabile di società di persone

di Francesco Tomasso (*)

L’Autore analizza la posizione del terzo datore d’ipoteca, anche nel caso in cui sia socio illimitatamenteresponsabile di società personale, rispetto agli effetti dell’omologa del concordato sia fallimentare chepreventivo, concludendo per la sua assimilazione alla figura del coobbligato, del fideiussore e dell’obbli-gato in via di regresso, quindi escludendo per lui il beneficio dell’esdebitazione, pur nel silenzio su questafigura da parte degli artt. 135 e 184 l.fall.

1. L’ordinanza di rimessione e la vicendaprocessuale

Con l’ordinanza qui annotata la Prima SezioneCivile della Corte di Cassazione ha rimesso al Pri-

mo Presidente, per l’eventuale assegnazione alleSezioni Unite, la questione, oggetto di contrasto eritenuta di particolare importanza, se l’effetto esde-bitatorio del concordato preventivo si estenda alla

(16) Se ne ha indiretta conferma nell’esito della riflessioneche ha sviluppato E. Frascaroli Santi, I problemi dell’efficaciaesdebitatoria del concordato preventivo per i soci illimitatamenteresponsabili, commento a Trib. Venezia (decr.) 31 maggio2010, in questa Rivista, 2011, 235, 238, muovendo dalla condi-visibile premessa che debbano rigettarsi le molteplici argo-mentazioni sviluppate a questo proposito che sembrano «pro-spettare l’inconveniente piuttosto che risolvere la questione in-terpretativa». Assunto come dato incontrovertibile che la disci-plina vigente sottrae il patrimonio personale del socio illimita-tamente responsabile, nel concordato preventivo, alla sogge-zione al concorso, l’Autrice individua lo strumento di composi-zione dei divergenti interessi dei soci e dei creditori nelle am-pliate possibilità di modulazione del contenuto della propostaai creditori, nell’ambito della quale potrebbero realizzarsi «stra-

tegie di coinvolgimento dei soci illimitatamente responsabili».Suggerimento, questo, certamente puntuale e lungimirante,che in tanto potrà però trovare seguito, presumibilmente, inquanto si assuma che, in difetto, i soci rimangano esposti allarealizzazione della garanzia reale da loro costituita sui propribeni a vantaggio di un singolo creditore, e che sia appunto lavolontaria offerta ai creditori, da parte dei soci illimitatamenteresponsabili, anche di risorse appartenenti alloro patrimoniopersonale, a consentire che la maggioranza dei creditori possadisporre relativamente al loro impiego nella liquidazione con-cordataria a vantaggio della massa, osservati, nella formazionedelle classi, criteri di omogeneità, così da non violare i dirittidei creditori beneficiari di garanzie reali.

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, allavalutazione di un referee.

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garanzia ipotecaria, prestata su propri beni dal so-cio illimitatamente responsabile di società persona-le per i debiti di quest’ultima, e se, in caso di rispo-sta negativa, il creditore ipotecario conservi la ga-ranzia per la parte di credito non coperta dalla per-centuale concordataria. La vicenda riguarda ap-punto un socio di s.n.c., quindi socio illimitata-mente responsabile, che “era” - anche - terzo dato-re d’ipoteca a favore della sua società. L’insolvenzadella società è stata risolta con un concordato pre-ventivo cui ha votato favorevolmente il creditoreipotecario (il concordato è stato proposto nel 2006e, dunque, prima della riforma dell’art. 178, comma4, l.fall. ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83che ha introdotto per la votazione dei creditori ilprincipio del silenzio assenso, analogamente aquanto previsto per il concordato fallimentare dal-la riforma organica del 2005/2006). Quindi, omo-logato e compiutamente eseguito il proposto con-cordato preventivo, il socio illimitatamente re-sponsabile ha chiesto al creditore ipotecario l’as-senso alla cancellazione ipotecaria ritenendo estin-ta la garanzia per l’effetto remissorio ottenuto pro-prio con l’omologa. L’istituto di credito ha inveceopposto rifiuto asserendo che il credito verso il so-cio, in quanto assistito da garanzia ipotecaria, nonè stato oggetto della falcidia concordataria, limita-ta questa ai crediti chirografari. Tanto il Tribunalequanto la Corte d’Appello hanno accolto le difesedella banca sostenendo che l’effetto esdebitatoriodel concordato preventivo non poteva ricompren-dere la garanzia ipotecaria giacché questa era stataconcessa dal socio illimitatamente responsabile abeneficio della società a titolo personale e dettobene non era stato ricompreso nella procedura diconcordato. Cioè, almeno a quanto si deduce dal-l’ordinanza, nel concordato non era stato proposto,quale esplicito patto, il mantenimento del debitoipotecario in capo al socio.

2. Il contrasto giurisprudenziale

Il contrasto rilevato dall’ordinanza tra pronuncedel Supremo Collegio riguarda la sentenza n. 3749emessa dalle Sezioni Unite in data 24 agosto1989 (1) e la n. 23669 emessa dalla Prima Sezioneil 6 novembre 2007 (2).La pronuncia delle Sezioni Unite ha statuito co-

me «ai sensi del comma 2 dell’art. 184 l. fall., il

concordato preventivo della società - salvo pattocontrario che deve essere stipulato in sede concor-dataria tra tutti i creditori ed il socio od i singolisoci - ha efficacia nei confronti dei soci illimitata-mente responsabili, ancorché per i debiti socialiavessero precedentemente prestato fideiussione afavore di taluno dei creditori sociali» giacché laprevisione per la quale «i creditori anteriori al de-creto di apertura del concordato preventivo […]conservano impregiudicati i diritti contro i coob-bligati, i fideiussori dei debiti e gli obbligati in viadi regresso, si riferisce ai terzi garanti che non sia-no al tempo stesso soci».Diversamente quella della Prima Sezione per la

quale «la illimitata responsabilità del socio acco-mandatario per le obbligazioni sociali, ai sensi del-l’art. 2313 c.c., trae origine dalla sua qualità di so-cio e si configura pertanto come personale e diret-ta, anche se con carattere di sussidiarietà in rela-zione al preventivo obbligo di escussione del patri-monio sociale, in sede di esecuzione individuale, dicui all’art. 2304 c.c., richiamato dal successivo art.2318», ne consegue che «il socio illimitatamenteresponsabile non può, quindi, essere consideratoterzo rispetto all’obbligazione sociale, ma debitoreal pari della società per il solo fatto di essere sociotenuto a rispondere senza limitazioni» e pertanto«l’atto con cui il socio accomandatario rilascia ga-ranzia ipotecaria per un debito della società nonpuò essere considerato costitutivo di garanzia perun’obbligazione altrui, ma va qualificato quale attodi costituzione di garanzia per una obbligazionepropria con la conseguenza che il creditore che, inrelazione a un credito verso la società, in seguitofallita, sia titolare di garanzia ipotecaria prestatadal socio accomandatario, ha diritto di insinuarsiin via ipotecaria nel passivo del fallimento di que-st’ultimo, assumendo egli la veste di creditore ipo-tecario del fallito, non già di mero titolare d’ipote-ca rilasciata dal fallito quale terzo garante di un de-bito altrui».Il caso in cui un socio illimitatamente responsa-

bile sia anche garante negoziale a favore della suasocietà ha visto una contrapposizione interpretati-va tra chi ritiene distinguibili le due posizioni, conla conseguenza che nel primo caso egli beneficiadegli effetti del concordato e nel secondo rimane,per l’obbligazione di garanzia, vincolato nei con-fronti del creditore garantito (3).

(1) In questa Rivista, 1990, 367 con nota di G. Stajano, An-cora sull’esdebitazione del fideiussore socio illimitatamente re-sponsabile in forza dell’omologazione di concordato preventivo

di società di persone.(2) In questa Rivista, 2007, 651 ss.(3) Per una esauriente ricostruzione delle diverse tesi si rin-

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3. Concordato fallimentare

Filtrando il contrasto alla luce delle due vicendesottese alle pronunce, emerge la non perfetta so-vrapponibilità dei fatti posti a fondamento dellestesse: per la n. 3749/1989 il caso è relativo ad unasocietà personale che ha proposto un concordatopreventivo, mentre la n. 23669/2007 ha deciso inordine ad un’azione revocatoria promossa, ovvia-mente dal curatore, per la dichiarazione d’ineffica-cia dell’iscrizione ipotecaria rilasciata dal socio illi-mitatamente responsabile a garanzia, nella sostan-za, di finanziamenti chirografari precedentementeconcessi.Atteso dunque che le due vicende che hanno

originato i giudizi sono diverse in quanto una ri-guarda un concordato preventivo e l’altra un falli-mento, per inquadrare l’effettivo contrasto occorreallora, prendendo a paradigma il caso affrontatodalla Sezioni Unite, analizzare prima la portata del-l’art. 135 l.fall. e cioè del regolamento degli effettiesdebitatori nel concordato fallimentare.In questo caso qualora i soci non siano stati di-

chiarati falliti per estensione, il concordato falli-mentare della società di persone comporta la libe-razione dei soci illimitatamente responsabili (4) eciò anche qualora essi abbiano contribuito conmezzi propri al concordato (5), ma nel caso di falli-mento anche del socio illimitatamente responsabi-le necessita verificare se l’esdebitazione concorda-taria possa essere conseguita unicamente attraversouno specifico concordato proposto dal socio fallitooppure anche solo per “riflesso” di quello della so-cietà. In altri termini, nel caso di fallimento dellasocietà e del socio, qualora nei corrispondenti statipassivi un creditore sia ammesso in via chirografa-ria in quello della società e in via privilegiata ipo-tecaria in quello del socio in virtù del fatto cheegli si era costituito terzo datore d’ipoteca, l’inter-rogativo è se la liberazione concordataria del sociogarante ipotecario possa essere conseguita attraver-so un suo specifico concordato ovvero anche me-diante il solo concordato della società.Il raffronto tra le fattispecie di concordato pre-

ventivo e fallimentare evidenzia la loro completaidentità circa a) l’effetto obbligatorio per tutti icreditori, b) l’inestensibilità degli effetti esdebita-tori ai coobbligati, ai fideiussori del fallito e agliobbligati in via di regresso e invece c), integrandol’art. 135 l.fall. con il disposto di cui all’art. 153,

comma 1, l.fall., l’estensione nei confronti dei sociillimitatamente responsabili.Assodata l’identità di disciplina con riferimento

agli effetti tra le due tipologie di concordato, emer-ge però anche una significativa distinzione: con ilfallimento della società personale si apre, ai sensidell’art. 147, comma 1, l.fall., anche il fallimentodei soci illimitatamente responsabili (con procedu-re necessariamente distinte), mentre nel concorda-to preventivo il socio, proprio in quanto non è essostesso un imprenditore commerciale per il solo fat-to di aver assunto una responsabilità illimitata perle obbligazioni della società cui partecipa, non puòproporre un suo concordato preventivo. Nel falli-mento della società personale il socio illimitata-mente responsabile fallisce e viene assoggettatoegli stesso ed autonomamente alla procedura con-corsuale, nel caso invece del “tentativo” di risolu-zione dell’insolvenza attraverso la procedura delconcordato preventivo egli non può farvi ricorsoin via diretta, ma deve prevenire il suo personalefallimento unicamente attraverso la composizionedell’insolvenza della società.Tuttavia, a fronte di questa significativa diversi-

tà si registra, come già evidenziato, l’identità del-l’effetto del concordato in ambedue i casi: ex art.153, comma 1, l.fall. il concordato proposto da unasocietà con soci a responsabilità illimitata, se omo-logato, ha efficacia diretta anche nei confronti deisoci e fa cessare il loro autonomo fallimento; ana-logamente, ai sensi dell’art. 184, comma 2, l.fall.,l’omologazione del concordato preventivo della so-cietà ha efficacia nei confronti dei soci illimitata-mente responsabili. Rimane comunque possibile inentrambi i casi che i soci possano proporre ai credi-tori un patto contrario, cioè un concordato chenon preveda all’omologa la loro liberazione.In definitiva, venendo alla risposta all’interroga-

tivo sopra posto, sembra potersi affermare come, afronte di questo sistema, si abbia che anche nelconcordato fallimentare, esattamente come inquello preventivo, il socio illimitatamente respon-sabile possa esdebitarsi (limitatamente ai debiti so-ciali e non per quelli personali) con l’omologa delsolo concordato della società.Ora, finché si è nella piana applicazione del di-

sposto di cui all’art. 148, comma 3, l.fall. per cui ilcredito dichiarato dai creditori sociali nel fallimen-to della società s’intende dichiarato per l’intero e

via a G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011, VIII,633 ss.

(4) Cfr. art. 153, comma 1, l.fall.

(5) Così Trib. Chiavari, 20 febbraio 1992, in Giur. merito,1994, 55 ss.

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1200 il Fallimento 11/2014

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con il medesimo eventuale privilegio generale an-che nel fallimento dei singoli soci, tale identità dieffetti non desta dubbi interpretativi, ma non cosìinvece nel caso affrontato dall’ordinanza in com-mento dove il socio è terzo datore d’ipoteca a favo-re della società.Appare pacifico che il creditore a vantaggio del

quale l’ipoteca è stata costituita ha diritto d’insi-nuarsi in via privilegiata ipotecaria nel fallimentodel socio illimitatamente responsabile che l’ha rila-sciata ed ovviamente solo in via chirografaria nelfallimento della società (6).Parimenti pacifico è che il socio illimitatamente

responsabile fallito, conseguentemente a quellodella sua società, possa sia escludere pattiziamentela sua esdebitazione a seguito del concordato falli-mentare della società (art. 153, comma 1, l.fall.) esia proporre un autonomo concordato relativo alsuo solo fallimento personale (art. 154 l.fall.), sen-za cioè dover necessariamente proporre anchequello della società (qui si rimarca ancor di più ladifferenza con il concordato preventivo).Tuttavia a fronte dell’apertura del fallimento

della società e di quello del socio illimitatamenteresponsabile, nonché dell’ammissione di un credi-tore in via chirografaria nel passivo della società ein via privilegiata ipotecaria in quello del socio,nel caso di omologazione del concordato della so-cietà senza patto espresso dell’esclusione dell’esde-bitazione del socio, dalla lettera dell’art. 153, com-ma 1, l.fall. si deve desumere che, qualora sia omo-logato il concordato della società, si ripete, senzapatti contrari all’esdebitazione personale e senzaautonomo e diverso concordato personale, il sociopossa liberarsi alla percentuale prevista dei suoi de-biti sociali anche se questi, nel suo stato passivo,sono stati ammessi in via privilegiata speciale.È evidente come sia ben possibile che la maggio-

ranza dei creditori chirografari approvi il concorda-to fallimentare della società senza che il voto con-trario del creditore, chirografario nel passivo dellasocietà, ma ipotecario nel fallimento personale delsocio, possa impedirlo.

A fronte di questa (almeno in astratto) ipotizza-bile penalizzazione del creditore garantito solo nelfallimento personale del socio soccorre unicamentel’espressa previsione dell’art. 153, comma 2, l.fall.che prevede come contro il decreto di chiusura delfallimento del socio sia ammesso reclamo. Peròquesto rimedio sembra più che altro strumento de-stinato ai creditori particolari del socio in quantoil creditore che assume di essere ingiustamentedanneggiato dalla soluzione concordataria approva-ta dalla maggioranza dei creditori legittimati al vo-to ha il rimedio tipico dell’opposizione (e poi delgravame) previsto dall’art. 129 l.fall. (7). Infatti ilcreditore ipotecario del socio fallito che si trovassead essere pregiudicato dall’approvazione del con-cordato della società deve opporsi a questo concor-dato più che alla chiusura del fallimento del socio.

4. Concordato preventivo

Trasferendo il caso affrontato dal concordato fal-limentare a quello preventivo, come già messo inluce, si deve segnalare il diverso assetto dato dalfatto che non vi può essere un concordato preven-tivo particolare del socio illimitatamente responsa-bile; nonostante ciò le conclusioni sono le medesi-me.Pur se il fallimento del socio illimitatamente re-

sponsabile non c’è, comunque l’omologazione delconcordato preventivo della società produce pari-menti l’esdebitazione del socio illimitatamente re-sponsabile. Qualora però un creditore sia munitodi garanzia negoziale rilasciata dal socio illimitata-mente responsabile, lo stesso potrà trovarsi destina-tario di una proposta di concordato preventivo del-la sola società, senza che il socio abbia offerto lasua irrevocabile disponibilità a conservare la validi-tà della garanzia ipotecaria (8). Dinanzi a questoscenario il creditore, chirografario nel piano diconcordato preventivo della società, potrebbe “su-bire”, se la maggioranza approvasse il concordato,l’omologazione della proposta. In questo caso, se-guendo la lettera della legge ed aderendo alla tesi

(6) Cfr. A. Di Majo, Sub art. 148 l.fall., in Codice commentatodel fallimento, diretto da G. Lo Cascio, Milano, II, 2013, 1799,nonché, oltre a Cass. n. 23669/2007 cit., anche Cass. 6 dicem-bre 1994, n. 10461, in questa Rivista, 1995, 412 con osserva-zioni di S. Marchetti, Prestazione di garanzia ipotecaria del socioaccomandatario per la quale il creditore assume la veste di cre-ditore ipotecario del fallito, come è appunto il socio illimitata-mente responsabile per effetto dell’art. 147, comma 1, l.fall.,non invece un mero titolare d'ipoteca rilasciata dal fallito qualeterzo garante di un debito; similmente Trib. Monza 3 dicembre1992, in Dir. fall., 1993, II, 429 ss.

(7) Cfr. Trib. Torino 31 marzo 1988, in questa Rivista, 1989,531 ss. secondo cui il principio normativo sancito dall’art. 153,comma 2, l.fall. in ordine all’opposizione dei creditori particola-ri alla chiusura del fallimento del socio loro debitore costituisceespressione di un principio generale e non norma specificata-mente dettata per il concordato fallimentare.

(8) Cfr. E. Frascaroli Santi, Gli effetti del concordato preventi-vo per i creditori (art. 184 l.fall.), in questa Rivista, 2006, 1049che rimarca anche in quest’ambito l’accresciuta libertà nego-ziale delle parti ad opera della riforma.

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il Fallimento 11/2014 1201

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della prevalenza della qualità di socio su quella diterzo datore d’ipoteca, egli si troverebbe a subireun esproprio senza alcun indennizzo della sua ga-ranzia da parte della maggioranza del ceto credito-rio, questo presumibilmente privo di garanzia spe-ciale verso il socio illimitatamente responsabile (icreditori chirografari sarebbero infatti indotti a vo-tare favorevolmente sulla proposta proprio perché,nel caso di fallimento della società, il conseguentefallimento del socio non arrecherebbe loro vantag-gi giacché il ricavato dell’alienazione coattiva delbene reale sarebbe distribuito presumibilmente soloal creditore ipotecario).Questa proposta si potrebbe forse configurare

come un abuso dello strumento concordatario adanno del creditore garantito dal socio illimitata-mente responsabile (e corrispondentemente avantaggio del socio) e ciò potrebbe aprire al credi-tore la possibilità di formulare opposizione all’o-mologazione.Tuttavia, a prescindere dall’effettiva valenza del-

lo strumento dell’abuso del diritto nelle soluzioniconcordatarie (9), desta perplessità una tesi, qualeappunto quella dell’esdebitazione del socio garantenegoziale grazie all’omologa del solo concordatodella sua società, che relega la salvaguardia dei di-ritti del creditore garantito solo allo strumento del-l’opposizione all’omologa.

5. La prevalenza della garanzia anche serilasciata dal socio

In ogni modo, nella doppia prospettiva del con-cordato fallimentare e preventivo sopra delineatasembra potersi sostanzialmente ricavare una sim-metria circa le conseguenze che può patire il cre-ditore garantito convenzionalmente dal socio illi-mitatamente responsabile in ambedue le soluzio-ni.Il contrasto giurisprudenziale rilevato dall’ordi-

nanza in commento sembra però più apparente che

reale: la sentenza n. 3749/1989 afferma che il socioillimitatamente responsabile, ancorché garante del-la società, è – prevalentemente – debitore sociale,ma ciò analogamente anche la n. 23669/2007 lad-dove sostiene che il fallimento personale del socioillimitatamente responsabile è sempre un fallimen-to “diretto” di un debitore. Più nello specifico, co-me sopra esposto l’affermazione ad opera della sen-tenza n. 23669/2007 che il titolare di garanzia ipo-tecaria prestata dal socio accomandatario ha dirittod’insinuarsi in via ipotecaria nel passivo del falli-mento di quest’ultimo, assumendo egli la veste dicreditore ipotecario del fallito e non già di mero ti-tolare d’ipoteca rilasciata dal fallito, quale terzo ga-rante di un debito altrui, non “salva” di per sé que-sto creditore dal subire gli effetti di un concordatodella società espropriativo in suo danno e a favoredel socio.Pertanto l’unica impostazione che tuteli questo

diritto del creditore è l’esplicito riconoscimentoche il socio che sia nel contempo garante della suastessa società non ottenga, analogamente ai garantinon soci, la liberazione della sua obbligazione pereffetto dell’omologa del concordato della società.L’affermata prevalenza della qualità di socio su

quella di garante quando le due posizioni coincido-no appare invece affermata emblematicamente daCass. 12 dicembre 2007, n. 26012 (10).Tale impostazione non appare condivisibile in

quanto, almeno sul piano pratico appena descrittocon riferimento ai concordati fallimentare e pre-ventivo, porta ad una eccessiva compressione deidiritti del creditore garantito, mentre sul piano si-stematico determina una disparità tra garante socioe non socio, a tacer poi del fatto che una tale im-postazione potrebbe prestarsi alla pianificazione diproposte di concordato addirittura a danno di queicreditori che avevano inteso divenire tali proprioin ragione della possibilità prevista dalla legge ditutelarsi maggiormente dall’insolvenza del debitore

(9) Ridimensiona condivisibilmente il rimedio M. Fabiani, Ilconcordato fallimentare, in Trattato di diritto fallimentare e dellealtre procedure concorsuali diretto da F. Vassalli, F.P. Luiso e E.Gabrielli, Torino, 2014, 900 ss.; v. anche G. D’Attorre, I concor-dati “ostili”, Milano, 2012, 205 ss.; in giurisprudenza v. Cass.10 febbraio 2011, n. 3274, in questa Rivista, 2011, 403 ss., connota di N. Nisivoccia, Alcuni principi in tema di concordato falli-mentare.

(10) In Società, 2009, 38 ss. con nota di F. Funari, Fideiussio-ne rilasciata da socio illimitatamente responsabile di società dipersone, che prima asserisce come «la garanzia fideiussoria,prestata dal socio a favore della società di persone, rientra apieno titolo tra le garanzie prestate per le c.d. "obbligazioni al-trui" secondo lo schema delineato dall’art. 1936 c.c. in quanto

una società di persone, anche se sprovvista di personalità giu-ridica, rappresenta un distinto centro di interessi e di imputa-zioni di situazioni sostanziali e processuali il quale è comunquedotato di una propria autonomia in virtù della quale è certa-mente possibile l’instaurazione di rapporti giuridici distinti trala società e i soci», ma poi esclude che possa assumere rilievola norma di cui all’art. 184, comma 1, l.fall. in quanto questa,nello stabilire che i creditori, soggetti alla obbligatorietà delconcordato, conservano impregiudicati i diritti contro i fideius-sori, si riferisce ai terzi diversi dai soci, trovando titolo la re-sponsabilità di questi ultimi, nel concordato come nel fallimen-to, proprio nella loro qualità di soci, in via assorbente rispettoad eventuali diverse fonti di responsabilità per i medesimi de-biti sociali.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

1202 il Fallimento 11/2014

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societario con una garanzia ulteriore rispetto aquella generica ex art. 2740 c.c. (11).La prevalenza della qualità di socio su quella di

garante causa, per così dire, tanto l’alterazione del-la par condicio debitorum quanto della par condiciocreditorum. Sotto il primo profilo si registra, a fron-te della medesima obbligazione di garanzia, una pe-nalizzazione del non socio rispetto al socio (12) eciò, per di più, a favore di colui che, per il princi-pio che lega la responsabilità illimitata del socio alpotere gestorio nella società, ha – prescindendo dauna valutazione di colpa – comunque determinatol’insolvenza. Poi, dato che la par condicio creditorumsi declina correttamente con l’estensione del ri-spetto delle clausole legittime di prelazione, siavrebbe un’alterazione dell’assetto negoziale con-cluso tra creditore e garante/socio e ciò solo in ra-gione di una definizione concordataria dell’insol-venza.Inoltre si deve anche registrare un’irragionevole

trattamento della responsabilità illimitata in casodi fallimento se a questo soggiace un imprenditoreindividuale rispetto a un socio, appunto illimita-tamente responsabile. L’imprenditore individualeche fallisce coinvolge nella procedura tutto il suopatrimonio e ciò analogamente il socio fallito, maquest’ultimo può profittare per la sua liberazionedella forza espansiva, a maggioranza dei creditori,del concordato della società. Il credito verso unasocietà con soci illimitatamente responsabili si ba-sa evidentemente sul sistema della responsabilità,cioè il creditore confida nel patrimonio sociale ein quello dei soci che può, sussidiariamente, ag-gredire. Questo creditore, al fine di concedere oconcedere in misura maggiore credito, può ancheottenere un rafforzamento di questa garanzia ge-nerica attraverso fideiussioni, soprattutto con laclausola a prima richiesta, dei soci e, massima ga-ranzia ottenibile, con il rilascio di pegni o ipote-che. Con questo assetto il creditore otterrà di sod-disfarsi prima degli altri creditori nel caso di fi-deiussione a prima richiesta o in via preferenzialein caso di ipoteca, in quest’ultimo caso anche nel-l’esecuzione collettiva fallimentare. Ma egli po-trebbe perdere questa posizione che si è procurato

negozialmente, e che lo ha ragionevolmente in-dotto a concedere o ampliare il credito all’impre-sa, in caso di concordato.

6. Fideiussore e terzo datore d’ipoteca

Infine occorre indagare ancora circa l’uniforma-zione che opera l’ordinanza tra fideiussore e terzodatore d’ipoteca. La lettera dell’art. 184 l.fall., co-me parimenti quella dell’art. 135 l.fall., parla esclu-sivamente dei coobbligati, dei fideiussori e degliobbligati in via di regresso, tace del terzo datored’ipoteca.In passato, in ordine al concordato fallimentare,

si sono registrate due pronunce su un medesimo ca-so (13), le quali hanno statuito che il terzo datored’ipoteca, in questo caso non anche socio illimita-tamente responsabile, con l’omologazione del con-cordato viene esdebitato in quanto egli, diversa-mente dai coobbligati, dai fideiussori del fallito edagli obbligati in via di regresso, è estraneo al rap-porto di obbligazione e non ha assunto obbligazionipersonali. Applicando tale principio al caso sotto-stante l’ordinanza in commento si sarebbe potutoconcludere che il socio illimitatamente responsabi-le e “terzo” datore d’ipoteca a favore della societàavrebbe conseguito la liberazione anche senza do-ver ricorrere alla prevalenza della qualità di socio.Tuttavia, pur con questa distinzione la tesi per

la quale il terzo datore d’ipoteca non vada ricom-preso fra quei soggetti (appunto i coobbligati, i fi-deiussori del fallito e gli obbligati in via di regres-so) nei confronti dei quali, ai sensi degli artt. 135 e184 l.fall., il creditore conserva la sua azione perl’intero credito, pur dopo l’esecuzione del concor-dato non appare condivisibile (14).È vero che il terzo datore d’ipoteca ha una posi-

zione peculiare rispetto ai coobbligati, ai fideiussoridel fallito e agli obbligati in via di regresso, ma so-lo ai fini dell’operatività del principio sancito dal-l’art. 61, comma 2, l.fall. a tenor del quale il regres-so tra i coobbligati falliti può essere esercitato solodopo che il creditore sia stato soddisfatto per l’inte-ro credito. Il terzo datore d’ipoteca che non sia an-che fideiussore risponde solo di un debito altrui,cioè al contrario del fideiussore non assume l’intero

(11) Cfr. S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordidi ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto commerciale,diretto da G. Cottino, Padova, 2008, 147.

(12) Cfr. G.E. Agosti, La sorte del fideiussore nella proceduradi concordato preventivo, in Dir. fall., 2012, I, 349.

(13) Trib. Velletri 4 novembre 1983, in Dir. fall., 1984, II,1094 ss. e App. Roma 7 ottobre 1986, in Foro it., I, c. 1972:medesimo caso perché l’Appello ha interessato il gravame del-

la pronuncia del Trib. di Velletri.(14) Analogamente G. Presti, Ipoteca per debito altrui e falli-

mento, Milano, 1992, 227 ss., ma v. già G. Bonelli, Del falli-mento, Milano, 1938, III, a cura di V. Andrioli, 496, dove affer-ma che a seguito di concordato resta integra l’azione ipoteca-ria contro il fideiussore reale sebbene non personalmente ob-bligato.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

il Fallimento 11/2014 1203

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debito del debitore principale. Il terzo datore vin-cola per la garanzia un suo bene immobile, espro-priato il quale, tanto in via individuale che collet-tiva, non risponde dell’eventuale debito eccedentecon il suo residuo patrimonio. Ne consegue cheegli potrà insinuarsi in via di regresso nel passivodel fallimento del garantito per la somma ricavatadalla vendita senza che a ciò osti il fatto che il cre-ditore non sia stato soddisfatto per l’intero credito.Tuttavia la distinzione tra terzo datore d’ipoteca

e fideiussore basata correttamente sull’estraneitàdel primo al rapporto obbligatorio non può com-portare anche la sua esclusione dal novero dei sog-getti insensibili alla soluzione concordataria. Infat-ti, il terzo datore d’ipoteca analogamente al fideius-sore rafforza l’obbligazione del debitore principalefacendogli ottenere o aumentare il credito che al-trimenti gli difetterebbe. A fronte quindi di unamedesima funzione non si vede il motivo per cui ilterzo datore dovrebbe ottenere, peraltro solo in ca-so di concordato preventivo o fallimentare, untrattamento privilegiato con violazione del princi-pio di pari trattamento di posizioni omogenee, cioèquella del fideiussore (15), con la corrispondentesimmetrica penalizzazione del creditore ipotecario.Quindi l’affermazione della diversità di posizionetra fideiussore e terzo datore d’ipoteca, basata es-senzialmente sul silenzio degli artt. 135 e 184 l.fall.su quest’ultima figura, determinerebbe un ingiusti-ficato disallineamento tanto tra omogenee obbliga-zioni di garanzia, quanto tra soluzioni dell’insol-venza laddove in caso di chiusura del concordatoper riparto piuttosto che per concordato il credito-

re garantito dall’ipoteca del terzo non subirebbel’espropriazione della sua garanzia.In più deve anche essere rimarcato come la solu-

zione contraria a quella qui sostenuta si potrebbeteoricamente prestare ad utilizzi distorti basati sulfatto che il creditore garantito con ipoteca del ter-zo è generalmente creditore chirografario nell’in-solvenza del debitore a favore del quale la garanziareale è stata rilasciata e come creditore chirografa-rio vota nel concordato e soggiace al volere dellamaggioranza. Pertanto non può escludersi che ilterzo datore d’ipoteca “organizzi” più o meno indi-rettamente il concordato del debitore principale alfine di ottenere anche la sua parziale esdebitazionecontro la volontà del – anche e soprattutto suo –

creditore. Analogo schema è invece precluso al fi-deiussore per il chiaro dettato normativo.

7. Conclusioni

La distinzione del socio dal garante e l’equipara-zione del terzo datore d’ipoteca al fideiussore equindi una lettura degli artt. 135 e 184 l.fall. se-condo la quale il creditore, nonostante l’omologadel concordato, mantiene l’azione nei confrontitanto del fideiussore quanto del terzo datore d’ipo-teca anche se questi siano soci illimitatamente re-sponsabili è l’unica che mostra coerenza con i prin-cipi generali della parità di trattamento delle situa-zioni omogenee e soprattutto, sulla base della nor-mativa vigente, non si presta ad un utilizzo quanto-meno disinvolto ai danni del creditore che si eraprocurato la garanzia negoziale del principio mag-gioritario che regola la soluzione concordataria.

(15) Cfr. G. Presti, op. ult. cit., 235.

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1204 il Fallimento 11/2014

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Effetti del fallimento per il fallito

Segnali di uniformitànell’interpretazionegiurisprudenziale dell’art. 43l.fall.Tribunale di Milano 27 marzo 2014, ord. - Giud. Crugnola - D.R. c. Socrate Medical S.r.l. oggiFallimento Essemmedi S.r.l. in liquidazione

Fallimento - Effetti per il debitore - Interruzione - Riassunzione - Termine

(legge fallimentare art. 43; cod. proc. civ. art. 305)

Il termine di riassunzione del processo interrotto a seguito del fallimento di una parte decorre non dalla datadella sentenza dichiarativa, ma dal momento in cui la parte interessata ne abbia conoscenza legale.

Fallimento - Effetti per il debitore - Fatti iscritti nel registro delle imprese - Presunzione di conoscenza legale - Ambitoprocessuale - Esclusione

(legge fallimentare art. 43; cod. civ. art. 2193; cod. proc. civ. art. 305)

La presunzione di conoscenza, ex art. 2193 c.c., dei fatti iscritti nel registro delle imprese, non opera in ambitoprocessuale.

Fallimento - Effetti per il debitore - Interruzione del processo - Conoscenza legale della parte interessata - Natura pro-cessuale - Dichiarazione in udienza o notificazione

(legge fallimentare art. 43; cod. proc. civ. art. 305)

La conoscenza legale dell’evento interruttivo in capo alla parte interessata alla riassunzione deve intendersiin senso processuale e si acquisisce mediante dichiarazione in udienza ovvero la notificazione.

Il Tribunale (omissis).

All’esito dello specifico contraddittorio svoltosi sulla ec-cezione preliminare reputa il Tribunale che la stessa siainfondataAl riguardo va infatti considerato che:- l’art. 43, comma 3, l.fall., nel testo vigente (“L’apertu-ra del fallimento determina l’interruzione del processo”)configura l’interruzione del processo quale conseguenza“automatica” della dichiarazione di fallimento di unadelle parti, così elidendo, per lo specifico caso di inter-ruzione rappresentato dal fallimento, la disciplina gene-rale disegnata dall’art.300 c.p.c. quanto alla rilevanzaendoprocessuale dell’evento interruttivo solo a seguitodi dichiarazione in udienza ovvero di notifica alle altreparti ad opera del difensore costituito;- la necessità di una lettura costituzionalmente orientatadella disciplina ricavabile dal combinato disposto degli

artt. 43 l.fall. e 305 c.p.c. è stata affermata da un condi-visibile orientamento di legittimità, ispirato da variepronunce della Corte costituzionale, orientamento se-condo il quale:“In riferimento all’effetto interruttivoautomatico conseguente all’apertura del fallimento aisensi della l.fall., art. 43, comma 3, come novellato dalD.Lgs. n. 5/2006, art. 41 il termine per la riassunzionedel processo decorre, secondo l’interpretazione costitu-zionalmente orientata dell’art. 305 c.p.c., dalla data del-la legale conoscenza che dell’evento interruttivo haavuto la parte interessata alla prosecuzione; la parte cheeccepisce l’estinzione per tardiva riassunzione, può co-munque dimostrare che la conoscenza in forma legaledell’evento (la quale per la curatela fallimentare siestende anche alla conoscenza della pendenza del pro-cesso) si è verificata antecedentemente alla dichiarazio-ne in giudizio dell’evento medesimo” (così, da ultimo,Cass. n. 5650/2013, la cui motivazione si rifà ai nume-

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il Fallimento 11/2014 1205

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rosi precedenti di legittimità e alle pronunce della Cor-te Costituzionale, citando in particolare la sentenza del-la Corte Costituzionale n. 17/2010);- secondo la prospettazione del fallimento opposto, ladata di legale conoscenza dell’apertura del fallimentoandrebbe peraltro individuata, anche per la parte diver-sa da quella fallita, nella data di iscrizione della senten-za dichiarativa del fallimento nel Registro delle imprese,posto che, ai sensi del terzo comma dell’art.16 l.fall.,“gli effetti” di tale sentenza “nei riguardi dei terzi si pro-ducono dalla data di iscrizione della sentenza nel regi-stro delle imprese” (registro al quale il cancelliere, ilgiorno successivo al deposito, deve trasmettere estrattodella sentenza);- tale conclusione dell’opposto (conforme all’orienta-mento di merito citato dal fallimento, cfr. la sentenza 4novembre 2010 del Tribunale di Roma nel proc. n. rg.64099/2007) non pare condivisibile al Tribunale.riguardo va infatti osservato:- che di per sé la norma ex art. 16 l.fall. può essere rife-rita ai soli effetti per così dire concorsuali della sentenzadichiarativa di fallimento, senza che dal tenore e dallacollocazione di tale norma debba necessariamente trarsianche la rilevanza endoprocessuale della iscrizione nelRegistro delle imprese ricostruita dall’opposto;- che tale interpretazione della disciplina fallimentaretrova conferma nell’analogo orientamento della Cortedi Cassazione in tema di irrilevanza endoprocessualedella presunzione ex art. 2193 c.c. di conoscenza in capoai terzi dei fatti iscritti nel Registro delle imprese, orien-tamento espresso, a composizione di un precedente con-trasto, in particolare nella sentenza delle sezioni uniten. 19509/2010,- la cui massima recita: “In tema di fusione per incorpo-razione, realizzata prima dell’entrata in vigore del novel-lato art. 2504 bis c.c., l’impugnazione è validamente no-tificata al procuratore costituito di una società che, suc-cessivamente alla chiusura della discussione (o alla sca-denza del termine di deposito delle memorie di replica)si sia estinta per incorporazione, se l’impugnante nonabbia avuto notizia dell’evento modificatore della capa-cità della giuridica mediante la notificazione di esso”,- precisandosi poi in motivazione: “si impone un atten-to bilanciamento tra le esigenze del soggetto che inten-da impugnare la decisione sfavorevole e quelle del sog-getto protagonista di una vicenda modificatrice dellacapacità di stare in giudizio, dallo stesso voluta e nonimmediatamente percepibile sulla base degli atti delprocesso. Non appare da questo punto di vista ragione-

vole gravare la parte interessata all’impugnazione dell’o-nere di una permanente consultazione del registro delleimprese al solo fine di consentirle la semplice gestionedel processo”,orientamento poi seguito anche dalle conformi pronun-ce della Cassazione n. 266/2011 e n. 22056/2013;- che, in particolare, le considerazioni delle SezioniUnite quanto alla necessità di un bilanciamento degliinteressi delle contrapposte parti processuali sono appli-cabili anche al caso in esame, nel quale la interpretazio-ne proposta dal fallimento opposto comporterebbe, oveseguita, in sostanza un permanente onere di consultazio-ne del Registro delle imprese in capo ad ogni parte pro-cessuale onde verificare il sopraggiungere o meno dipronunce dichiarative del fallimento della controparte,e ciò a prescindere dal comportamento del difensoredella stessa controparte, il tutto a pena del maturare didecadenza dalla facoltà di tempestiva riassunzione delprocesso: onere che, ad avviso del Tribunale, verrebbe acontrastare con il precetto costituzionale in tema di“giusto processo” e con l’esigenza di effettività e pienez-za del contraddittorio da tale precetto presupposto;- che, dunque, partendo dall’orientamento di legittimitàpiù sopra citato e riassunto nella motivazione della sen-tenza di legittimità n. 5650/2013, nell’ambito di taleorientamento la conoscenza legale dell’evento interrut-tivo in capo alla parte interessata alla riassunzione deb-ba intendersi in senso processualcivilistico con riferi-mento (non alla data di iscrizione della sentenza di fal-limento nel registro delle imprese ma) alla data nellaquale l’intervenuto fallimento sia stato portato a cono-scenza di tale parte ad opera della controparte a mezzodi dichiarazione in udienza ovvero di atto notificato.Per quanto fin qui detto l’eccezione di estinzione delprocesso svolta dal fallimento opposto va quindi rigetta-ta, posto che la riassunzione è avvenuta il 9 luglio 2013con il deposito del relativo ricorso (cfr. quanto alla suf-ficienza del deposito del ricorso, da ultimo ad es. Cass.n. 21869/2013) e, dunque, entro il termine di tre mesidalla data dell’udienza del 17 aprile 2013, nella qualel’opponente ha preso contezza del deposito nel procedi-mento dell’atto dei difensori della fase monitoria conte-nente notizia dell’intervenuto fallimento, così indiscuti-bilmente prendendo conoscenza dell’evento interrutti-vo. Al rigetto della eccezione preliminare consegue laprosecuzione del giudizio, per la quale si provvede conseparata ordinanza.(omissis).

Osservazioni

Dopo non poche incertezze iniziali, scaturitedall’impatto della norma (introdotta dal D.Lgs.n. 5/2006) sulla disciplina processuale, l’interpre-tazione giurisprudenziale dell’ultimo capoversodell’art. 43 l.fall. sembra finalmente trovare uni-

formità e stabilità, anche grazie all’interventodella Consulta (Corte cost. 21 gennaio 2010, n.17, in questa Rivista, 2010, 532, con nota di L.Groppoli, Interruzione, riassunzione e diritto di di-fesa del curatore), non a caso puntualmente citata

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1206 il Fallimento 11/2014

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nell’ordinanza del Tribunale di Milano qui anno-tata.Fissando un punto fermo in ordine al momento

di interruzione dei procedimenti nei quali sia parteil fallito all’atto della sentenza dichiarativa, in con-seguenza della perdita della capacità processuale(secondo quanto previsto dal primo e secondocomma), tale disposizione ha consentito il supera-mento del principio, affermatosi sull’originarioquadro normativo, ed unanimemente applicato, inforza del quale l’evento interruttivo poteva acquisi-re rilevanza solo nelle forme di cui all’art. 300c.p.c., e dunque (e soltanto) mediante dichiarazio-ne in udienza, ovvero notifica alle controparti, acura del procuratore del fallito stesso.In altri termini, con il terzo comma dell’art. 43

l.fall. è stata introdotta la regola dell’interruzioneautomatica del processo, ovviando così agli effetticontroproducenti (a cominciare dal rischio che ilprocesso potesse proseguire indefinitamente, dandoluogo ad una sentenza non opponibile alla curate-la, ovverosia inutile) derivanti dal predetto princi-pio di matrice pretoria.La perdita della capacità processuale in dipen-

denza della dichiarazione di fallimento, come pure(si noti bene) quella del curatore a seguito dellachiusura della procedura, possono ora essere rileva-te d’ufficio (Cass., sez. un., 20 marzo 2008, n.7443, in Corr. giur., 2008, 603, con nota di V.Carbone, Riassunzione del processo interrotto; App.Firenze 1 ottobre 2010, in questa Rivista, 2011,376).Acquisita e condivisa (tra gli altri, si vedano F.

Marelli, Sub art. 43, in Il nuovo diritto fallimentare,diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bo-logna, 2006, 713-717; M. Marobbio, Effetti patrimo-niali del fallimento per il debitore”, in Le procedureconcorsuali di A. Caiafa, Padova, 2011, 332; F. DeSantis, Il processo per la dichiarazione di fallimento,in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico del-l’economia, diretto da F. Galgano, Padova, 2012,278) la regola dell’automaticità dell’effetto inter-ruttivo, l’attenzione si è naturalmente spostata sul-la decorrenza del termine per la riassunzione, dan-do luogo ai contrasti di cui s’è detto.In particolare, con motivazione specularmente

opposta a quella della decisione annotata, e sulpresupposto che il regime pubblicitario della sen-tenza dichiarativa introdotto dall’art. 17 l.fall. con-senta alle parti di avere contezza dell’intervenutofallimento, si è ritenuto (Trib. Roma 30 giugno2009, in questa Rivista, 2010, 536, con nota di L.Groppoli, cit.) che il termine di decorrenza per la

riassunzione coincidesse con l’evento interruttivo.Inoltre, benché debba ritenersi ormai pacifica, co-me ribadito anche dal Tribunale di Milano, l’irrile-vanza endoprocessuale della presunzione di cono-scenza ex art. 2193 c.c. dei fatti iscritti al registrodelle imprese (Cass. 26 settembre 2013, n. 22056;Cass. 7 gennaio 2011, n. 266), anche parte delladottrina (R. Caiazzo, Gli effetti del fallimento per ilfallito, in Fallimento e concordati, diretto da A. Jorioe coordinato da M. Fabiani, Napoli, 2008, 416; S.Bonfatti-P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimenta-re, Padova, 2007, 11), per quanto minoritaria, hasostenuto la coincidenza del momento interruttivocon il dies a quo del termine di riassunzione.In siffatto contesto, altra giurisprudenza di meri-

to (Trib. Biella 5 marzo 2009, in questa Rivista2009, 955, con nota di C. Consolo e R. Muroni,Amministrazione straordinaria e termine a quo dell’in-terruzione del processo e per la sua riassunzione, e connota di F. Cossignani, Il termine per la riassunzionedel processo interrotto dalla dichiarazione di fallimento)ha sollevato questione di legittimità costituzionaledell’art. 305 c.p.c., per sospetta violazione degliartt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui fa decor-rere dalla data di interruzione del processo ex art.43 l.fall., e non dalla data della conoscenza effetti-va del relativo evento, il termine per la riassunzio-ne ad opera della controparte del fallito.La Corte cost. (Corte cost. 21 gennaio 2010, n.

17, in questa Rivista 2010, 532, cit.; in Foro it.2010, I, 1122, con nota di M. Fabiani; in Giur. it.2010, 1863, con nota di F. Cossignani, Corte costi-tuzionale e dies a quo del termine per la riassunzionedel processo interrotto dal sopravvenuto fallimento dellaparte) ha rigettato tale questione giacché, secondoun’interpretazione costituzionalmente orientatadella norma, il termine per la riassunzione del pro-cesso interrotto decorre non già dal momento del-l’evento interruttivo, ma da quello in cui sia venu-to, in forma legale, a conoscenza della parte inte-ressata.In buona sostanza, e con motivazione del tutto

lineare, il giudice delle leggi ha riaffermato i prin-cipi che l’avevano condotto a dichiarare parzial-mente incostituzionale l’art. 305 c.p.c. (si vedanoCorte cost. 12 dicembre 1967, n. 139, in Giur.cost. 1967, 1653, e Corte cost. 26 febbraio 1971,n. 159, in Foro it., 1971, I, 2117).Tuttavia, anche in conseguenza del tenore del

provvedimento con il quale era stato denunciato ilsospetto di incostituzionalità, facente esplicito rife-rimento alla (sola) controparte del fallito, si è rite-nuto che il principio affermato dalla Consulta non

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il Fallimento 11/2014 1207

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riguardasse il curatore e che pertanto, nei suoi con-fronti, il termine per la riassunzione decorresse dal-l’evento interruttivo.Non poche decisioni, pronunciate successiva-

mente all’intervento della Corte cost., hanno affer-mato che, per il curatore, il dies a quo del terminedi riassunzione coinciderebbe con la data della sen-tenza dichiarativa (tra le altre, Trib. Mantova 2 ot-tobre 2012 e Trib. Roma 8 marzo 2011, entrambein Giur. it. 2013, 1368, con nota critica di F. Cos-signani, I termini di riassunzione del processo interrot-to ex art. 43 l.fall. per il curatore).Naturalmente, alla dottrina più attenta (C.

Consolo e R. Muroni, op. cit., 967) non era sfuggi-ta la disparità di trattamento tra la posizione delcuratore e quella della controparte del fallito, tantopiù a fronte del rischio, niente affatto remoto, cheil primo non sia (e comunque non venga) a cono-scenza della pendenza di eventuali procedimentinel termine, peraltro dimezzato, di riassunzione.In proposito, è quasi superfluo rammentare le

conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla estin-zione (per omissione di tempestiva riassunzione)dei giudizi pendenti alla data di fallimento: ci si ri-ferisce, anzitutto, alle azioni promosse dal fallito,ma anche alle interferenze con il procedimento diverifica dello stato passivo, laddove vi sia interessead evitare che si formi il giudicato su sentenze dicondanna.Più che sottoporre a critica la predetta opzione

interpretativa, si è così ritenuto di individuare,quale rimedio per i casi di mancata conoscenza deiprocessi in corso, l’istituto della rimessione in ter-mini, alla stregua del novellato testo dell’art. 153c.p.c.La soluzione non appare però pienamente con-

vincente giacché, oltre a legittimare la disparità ditrattamento tra le parti, espone al rischio di rende-re inutili le attività processuali svolte nell’arcotemporale compreso tra l’evento interruttivo e l’e-ventuale rimessione in termini.Si consideri altresì che il rimedio proposto fini-

sce per perpetuare la disparità di trattamento an-che sotto altro profilo: come è stato giustamente

osservato (F. Cossignani, I termini di riassunzionedel processo interrotto ex art. 43 l.fall. per il curatore,cit., 1370), infatti, per ottenere la rimessione intermini il curatore sarebbe onerato della prova(per niente agevole) della causa non imputabilementre, nelle ipotesi di conoscenza legale, è la par-te che solleva l’eccezione di estinzione a doverladimostrare.A parere di chi scrive, pertanto, va accolta favo-

revolmente la recente pronuncia della corte regola-trice (Cass. 7 marzo 2013, n. 5650, in questa Rivi-sta, 2014, 170, con nota di F. Tomasso, Riassunzio-ne del processo interrotto per fallimento e legale cono-scenza del fatto interruttivo per il curatore), secondocui «in caso di interruzione di diritto del processo,determinata dall’apertura del fallimento, ai sensidell’art. 43, comma 3, del R.D. 16 marzo 1942, n.267, aggiunto dall’art. 41 del D.Lgs. 9 gennaio2006, n. 5, al fine del decorso del termine per lariassunzione non è sufficiente la sola conoscenzada parte del curatore fallimentare dell’evento inter-ruttivo rappresentato dalla dichiarazione di falli-mento, ma è necessaria anche la conoscenza dellospecifico giudizio sul quale detto effetto interrutti-vo è in concreto destinato ad operare».Tale arresto, che ha trovato immediato riscontro

nella giurisprudenza di merito (Trib. Roma 1 aprile2014, in www.ilcaso.it), ha il pregio di ricondurreall’interno della sede processuale tutte le vicendedestinate ad interferire con lo svolgimento e laconclusione del procedimento stesso, restituendoalle parti, nel rispetto del principio del contraddit-torio, piena parità di condizione.A ben vedere, trattasi delle medesime esigenze e

finalità, ispirate all’idea interpretativa di fondo perla quale la conoscenza legale non può prescinderedagli atti processuali (così F. Savino, Sulla cono-scenza legale dell’evento interruttivo e sul momento dalquale inizia a decorrere il termine per la riassunzionedel processo, in Giur. it., 2013, 1870), che la giuri-sprudenza costituzionale ha perseguito attraverso laprogressiva riscrittura dell’art. 305 c.p.c.

Giannino Bettazzi

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1208 il Fallimento 11/2014

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Concordato preventivo

(Il)legittimità del pagamentonon autorizzato di debitianteriori nel concordatopreventivo con finalitàliquidatoriaCorte d’Appello di Venezia 30 gennaio 2014 - Pres. Rossi - Rel. ed Est. Di Francesco - FerraroCostruzioni s.r.l. c. Fallimento Ferraro Costruzioni e altre

Concordato preventivo - Ammissione - Procedimento - Attestazione del professionista - “Migliore soddisfacimento deicreditori” - Applicabilità ad ogni tipologia di procedimento

(legge fallimentare artt. 45, 74, 161, 167, 168, 169, 169 bis, 173, 182 quinquies, 184 e 186 bis; c.c. art. 2751 bis n. 1)

Il criterio del “miglior soddisfacimento dei creditori”, che individua una sorta di clausola generale, introdottanel concordato preventivo con continuità aziendale dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (artt. 182 quinquies, primo equarto comma, e art. 186 bis l.fall.), è applicabile a tutte le tipologie di concordato, quale criterio di scrutinio(anche) della legittimità degli atti del debitore in pendenza della decisione del Tribunale sull’ammissibilità del-la proposta.

La Corte (omissis).

Il fallimento della Ferraro Costruzioni s.r.l. è stato pro-nunciato dal tribunale di Padova con sentenza n. 258depositata il 28 ottobre 2013, previa declaratoria diinammissibilità della domanda di concordato preventi-vo c.d. prenotativo, formulata dalla società reclamantecon ricorso depositato il 21 gennaio 2013, avendo il tri-bunale rilevato la violazione del divieto di pagamentodi debiti anteriori alla proposizione della domanda exart. 161, comma 6, l.fall.La Ferraro Costruzioni s.r.l. aveva infatti affermato, nel-la nota integrativa del 21 giugno 2013 (successiva al de-posito della proposta del piano concordatario, effettuatoil 24 maggio 2013), di avere eseguito nell’arco di tempodal 21 gennaio al 30 aprile 2013 pagamenti di debitiverso dipendenti, in esecuzione dell’accordo sottoscrittoex art. 411 c.p.c. a seguito dell’affitto di un ramo d’a-zienda, nonché di debiti relativi a contratti di sommini-strazione (con Enel s.p.a. e con Telecom s.p.a.), funzio-nali a consentire il mantenimento di una minima ope-ratività gestionale, e di alcuni professionisti per attivitàda costoro poste in essere dopo il 21 gennaio 2013 (ela-borazione delle buste paga, attività di recupero di creditidella società e corresponsione di un acconto al profes-sionista incaricato dell’attestazione di cui all’art. 161

l.fall., per importi rispondenti a quelli previsti nel pia-no).Il tribunale di Padova, rimarcata la natura eccezionaledella disposizione di cui all’art. 182 quinquies, quartocomma, l.fall., ha rilevato nel decreto 9 agosto 2013che “[…] il pagamento delle bollette relative al periodoanteriore alla proposizione della domanda di concordatoconfigura pacificamente il pagamento di un debito con-corsuale: cosicché il pagamento integrale effettuato dal-l’imprenditore configura un pagamento in violazionedella par condicio creditorum, giacché viene pagato al100% un credito chirografario, che andava pertanto pa-gato nella sola percentuale di soddisfazione che saràconsentita dal concordato all’esito della liquidazione[…]”. Si assume poi nel provvedimento sopra indicatoche, se la Ferraro Costruzioni s.r.l. fosse stata già am-messa alla procedura di concordato preventivo, ciòavrebbe determinato la revoca, ai sensi dell’art. 173l.fall.Con ricorso depositato il 27 novembre 2011 la societàin questione ha impugnato il decreto di inammissibilitàdel concordato preventivo, chiedendone l’annullamen-to, con la conseguente revoca del fallimento.…omissis…Il primo motivo di reclamo è intitolato “Errata applica-zione dell’art. 182 quinquies l.fall. all’ipotesi del concor-dato liquidatorio ed errata interpretazione della medesi-

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ma norma secondo cui dalla possibilità dell’esecuzionedi pagamenti di crediti anteriori dietro autorizzazionedel Tribunale nel concordato in continuità, fa derivarel’automatico divieto dell’esecuzione di tali pagamenti inipotesi di concordato liquidatorio”.Sul presupposto che i requisiti previsti dall’art. 182quinquies l.fall. non coincidono con la regola generaledi cui all’art. 167 l.fall., viene criticata la applicazioneestensiva della norma in questione a fattispecie diverseda quelle da essa disciplinate, sì che si determinerebbela ingiustificata sanzione della inammissibilità del con-cordato preventivo, enucleando una nuova categoria diatti (quella dei “non autorizzati”), non riconducibili alledue tradizionali categorie “atti di ordinaria/straordinariaamministrazione”.Il secondo motivo concerne la erronea applicazione del-l’art. 173 l.fall. e la omessa verifica del vulnus alla regoladella parità di trattamento del ceto creditorio, quale esi-to della esecuzione dei pagamenti di cui si discorre.…omissis…il quarto motivo di reclamo investe il profilodella insussistenza della violazione della par condicio, peril fatto che il pagamento di € 605,50 a Telecom (rispet-to a un debito complessivo di € 7.038,00) e di € 530,15a Enel (a fronte di un debito complessivo di € 5.064,00al netto dei depositi cauzionali) realizzano il soddisfaci-mento del credito della prima nella misura percentualedel 13,2% e della pretesa della seconda nella misurapercentuale del 10%. Si sarebbe dunque - a dire dellareclamante - all’interno della percentuale di soddisfaci-mento dei crediti chirografari, prevista nel piano con-cordatario tra il 14,87% e il 10,66%.La circostanza non è stata contestata dalla curatela falli-mentare.I motivi possono essere congiuntamente esaminati, per-ché danno ingresso alla disamina di un unico tema: la(il)legittimità del pagamento non autorizzato di debitianteriori nel concordato preventivo con finalità liqui-datoria.Va premesso che il credito del somministrante per ilcorrispettivo delle somministrazioni eseguite prima del-l’ammissione del debitore al concordato preventivo èsoggetto al concorso, ai sensi dell’art. 184 l.fall., non es-sendo estensibile al concordato il disposto del comma 2dell’art. 74 l.fall., dettato in ragione delle specifiche fi-nalità del fallimento e non richiamato dall’art. 169l.fall. (per tutte, Cass. n. 10429/2005).Per inquadrare le coordinate teoriche del problema, èopportuno prendere le mosse dalla sentenza n.578/2007, in cui la corte di cassazione ha affermato che“[...] dopo l’ammissione alla procedura del concordatopreventivo non sono consentiti pagamenti lesivi dellapar condicio creditorum, nemmeno se realizzati attraversocompensazione di debiti sorti anteriormente con creditirealizzati in pendenza della procedura concordataria, co-me si desume dal sistema normativo previsto per la re-golamentazione degli effetti del concordato, in cui: l’art.167 l.fall., con la sua disciplina di atti di straordinariaamministrazione, comporta che il patrimonio dell’im-prenditore in pendenza di concordato sia oggetto diun’oculata amministrazione perché destinato a garantire

il soddisfacimento di tutti i creditori secondo la par con-dicio […] ”.Si sostiene generalmente che il divieto di cui si discor-re, ancorché non espressamente sancito dal legislatore,è implicitamente desumibile, oltre che dall’art. 167l.fall., anzitutto dalla norma successiva, che presidia ilprincipio della concorsualità nel concordato preventivo,dal momento che l’art. 168 l.fall.“[…] nel porre il divie-to di azioni esecutive da parte dei creditori, comportaimplicitamente il divieto di pagamento di debiti ante-riori perché sarebbe incongruo che ciò che il creditorenon può ottenere in via di esecuzione forzata, possaconseguire in virtù di spontaneo adempimento, essendoin entrambi i casi violato proprio il principio di paritàdi trattamento dei creditori […]” (v. sentenza citata). Ilgiudice a quo ha seguito tale orientamento interpretati-vo, condiviso dalla gran parte dei giudici di merito.E ancora, si afferma che la ratio della ineludibilità di ta-le previsione si rinviene anche nell’art. 184 l.fall., chesancisce la obbligatorietà per tutti i creditori (anchedissenzienti) anteriori alla pubblicazione della domandadi concordato nel registro delle imprese della soluzionepattizia della crisi proposta dal debitore e omologata daltribunale (per una esaustiva disamina delle argomenta-zioni a sostegno della inderogabilità della regola del di-vieto di pagamento di debiti anteriori, v. Trib. Udine,decreto 16 aprile 2013).Prima della citata pronuncia del 2007, la Suprema Cor-te si era espressa in questi termini: “[…] il pagamento diun debito preconcordatario è in sé legittimo, in quantoatto di ordinaria amministrazione, purché non integril’ipotesi di un atto «diretto a frodare le ragioni dei cre-ditori», e, quindi, sanzionabile con la dichiarazione difallimento ai sensi dell’art. 173, 2° comma, e revocabilein forza dell’art. 167, comma 2.” (Cass. n. 26036/2005).Aveva inoltre affermato che la necessità di autorizzazio-ne dei pagamenti di debiti anteriori, ai sensi dell’art.167 l.fall., deriva proprio dalla considerazione della loropotenzialità di diminuzione della garanzia patrimonialeofferta dal debitore (“[…] l'eccedenza in concreto dallaordinaria amministrazione viene a dipendere dalla og-gettiva idoneità dell'atto ad incidere negativamente sulpatrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenzao compromettendone comunque la capacità di soddisfa-re le ragioni dei creditori, alla cui tutela la misura dellapreventiva autorizzazione è predisposta”: Cass. n.20291/2005).Tanto premesso, ritiene il collegio che sia in astrattodoverosa una riflessione sull’attuale indirizzo interpreta-tivo preclusivo tout court di qualsiasi pagamento di debi-to anteriore al concordato, alla luce del criterio del “mi-glior soddisfacimento dei creditori”, che individua - co-me suggerisce la dottrina - una sorta di clausola genera-le, introdotta nel concordato preventivo con continuitàaziendale dalla l. 7 agosto 2012 n. 134 (artt. 182 quin-quies, primo e quarto comma, e art. 186 bis l.fall.), maapplicabile a tutte le tipologie di concordato, quale cri-terio di scrutinio (anche) della legittimità degli atti deldebitore in pendenza della decisione del tribunale sullaammissibilità della proposta. Ciò potrebbe orientare

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l’interprete verso una maggiore flessibilità delle opzioniinterpretative, in direzione del favor che il legislatoreha indubbiamente espresso negli ultimi anni verso la so-luzione della crisi d’impresa attuabile mediante il ricor-so allo strumento concordatario.E invero, una volta circoscritta la nozione di “migliorsoddisfacimento dei creditori” alla sola ipotesi di incre-mento della garanzia patrimoniale offerta dal debitore -il cui patrimonio, benché oggetto della segregazionesancita dall’art. 45 l.fall., continua ad essere da lui gesti-to -, ben si potrebbe ritenere che i pagamenti di debitianteriori effettuati dopo il deposito della proposta, secoerenti alla percentuale prevista nel piano concordata-rio e produttivi di maggiori utilità economiche per tuttii creditori (anche rispetto alle soluzioni alternative alconcordato), non necessitano di autorizzazione (inquanto atti di ordinaria amministrazione non suscettibi-li di diminuire la garanzia patrimoniale, ma anzi di ac-crescerla, secondo un giudizio necessariamente ex ante),e neppure potrebbero integrare ipotesi di atti diretti afrodare le ragioni dei creditori, ai sensi dell’art. 173,comma 4, l.fall.D’altronde, il tribunale di Padova, pur in presenza delsoddisfacimento di crediti prededucibili e di crediti an-teriori assistiti dal privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 1c.c., oltre a quelli chirografari vantati da Enel e da Tim,nonostante la implicita adesione all’indirizzo interpreta-tivo espresso dalla Suprema Corte in Cass. n. 578/2007,ha incentrato la motivazione del decreto impugnatoesclusivamente sull’illegittimo pagamento dei due credi-

ti chirografari (soddisfatti non integralmente, bensì nel-la percentuale prevista nel piano), incorrendo in unaapparente incompletezza del ragionamento, laddove af-ferma che la regola del divieto di lesione della par con-dicio afferisce anche ai tempi dei pagamenti, ma omettedi considerare la ritenuta inderogabilità di tale precettocon riferimento alla anticipata estinzione dei crediti pri-vilegiati dei lavoratori subordinati.In tale percorso motivazionale non si fa cenno all’incre-mento delle utilità economiche destinate ai creditoriconcordatari per effetto dei pagamenti dei crediti assisti-ti da privilegio ex art. 2751 bis n. 1 c.c. (si consideri ilvantaggio costituito dal blocco del decorso degli interes-si e della rivalutazione monetaria per i crediti in que-stione, rispetto agli ordinari tempi di pagamento, nor-malmente successivi alla omologazione), ma pare evi-dente che la vera ragione della rilevata incompletezzadella motivazione si annidi proprio nell’inespresso rilie-vo attribuito a tale circostanza.Peraltro, è indubbio che il pagamento dei crediti diEnel e di Telecom non ha apportato alcun vantaggio aicreditori della Ferraro Costruzioni s.r.l., nei termini inprecedenza prospettati, posto che dal mantenimentodella utenza di erogazione di energia elettrica è deriva-to, al più, un vantaggio lato sensu conservativo del pa-trimonio della società poi dichiarata fallita.Ed è questa la ragione che, ad avviso della corte, rendeil reclamo non meritevole di accoglimento.(omissis).

Limiti del divieto di pagamento dei crediti pregressinel concordato preventivo (di natura liquidatoria)

di Federico Canazza (*)

La Corte d’Appello di Venezia prende in esame la delicata questione attinente i limiti del divieto di paga-mento dei crediti pregressi posto a carico dell’imprenditore in concordato preventivo (di natura liquidato-ria), da un lato, “superando”, per certi versi, l’interpretazione che fonda il predetto veto sull’applicazionedelle regole poste - congiuntamente o singolarmente - dagli artt. 167, 168 e 184 l.fall., e, dall’altro, po-nendo l’accento sul criterio fondato sull’analisi dell’idoneità, o meno, della disposizione di pagamento adincidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendo-ne la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, in quanto ne determina la riduzione, ovvero lo gravadi vincoli e/o di pesi cui non corrisponde l’acquisizione di utilità reali prevalenti su questi ultimi.

1. Cenni introduttivi: sui pagamenti didebiti pregressi

Il tema affrontato dalla pronuncia in commentofonda le proprie radici in una delle differenze ope-rative di maggior rilievo sussistenti tra fallimento e

concordato preventivo, che, a sua volta, trova lapropria collocazione sistematica nell’art. 167, R.D.27 marzo 1942, n. 267, il quale ammette che il de-bitore, ancorché sotto la vigilanza del CommissarioGiudiziale (1), conservi l’amministrazione dei suoibeni e l’esercizio dell’impresa.

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, allavalutazione di un referee.

(1) Come ricordano M. Cattano - M. Palladino, La riforma

del diritto fallimentare, Milano, 2006, 197, è, invero, venutomeno, con la riforma portata dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5,il ruolo di direzione del Giudice Delegato.

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La medesima previsione di legge, dato l’assuntoche precede, pone però dei limiti all’autonomiadell’imprenditore, dai quali discende - come ha po-sto in evidenza parte della dottrina (2) - una capitisdeminutio (strumentale al fatto che il patrimoniodev’essere vincolato alla soluzione della crisi e,quindi, alla soddisfazione dei creditori), decretandol’inefficacia, rispetto ai creditori anteriori al con-cordato, di mutui, transazioni, compromessi, alie-nazioni di beni immobili, concessioni di ipoteche odi pegno, fideiussioni, rinunzie alle liti, ricognizionidi diritti di terzi, cancellazioni di ipoteche, restitu-zioni di pegni, accettazioni di eredità e di donazio-ni e, in genere, degli atti eccedenti la ordinariaamministrazione, qualora siano compiuti in difettodi previa autorizzazione scritta del giudice delega-to (3).Il compimento di un atto senza la prescritta

autorizzazione del Tribunale implica, ai sensi e pergli effetti dell’art. 173, comma 2, l.fall., la più gravedelle sanzioni, ossia la dichiarazione di fallimentodel debitore originariamente ammesso alla proce-dura di concordato preventivo (4).In tale contesto normativo, si inserisce, eviden-

temente, la questione concernente il limite del di-vieto di pagamento di crediti pregressi posto a cari-co dell’imprenditore in concordato preventivo, cheviene inteso e, quindi, posizionato - in maniera on-divaga - tra due estremi opposti: alcuni, invero, in-tendono tale restrizione in senso estremamente ri-goroso, sino a ritenere i pagamenti de quibus vietatianche nel periodo tra domanda ed ammissione (5),altri, pur riconoscendola, la escludono nel caso incui dal pagamento consegua un vantaggio per l’im-presa concordataria (6).

2. Cenni introduttivi (continua): sullaprosecuzione del rapporto disomministrazione

Nell’ambito della discussione sulla legittimità,o meno, dei pagamenti dei debiti pregressi all’am-missione alla procedura di concordato preventi-

vo, un capitolo a parte pare spettare alla questio-ne se la prosecuzione dei contratti di sommini-strazione comporti il pagamento (anche) delleprestazioni antecedenti all’apertura del concorda-to.Invero, nella realtà, è noto che le imprese si

trovano in una situazione di “dipendenza econo-mica” e di fatto rispetto ad alcuni fornitori, i qua-li, di fronte all’inadempimento del cliente, posso-no reagire minacciando l’interruzione del servizio:l’esempio di una tale situazione può essere agevol-mente rinvenuto in quelle ipotesi nelle quali unodei soggetti coinvolti è un operatore che fornisceservizi essenziali quali energia, gas, luce, telefo-nia. In tali casi, l’escamotage di sostituire il sog-getto somministrante non è sempre percorribile e,comunque, richiede del tempo, con il rischio,nelle more, di subire l’interruzione della fornitu-ra.In un primo momento, la Suprema Corte, rife-

rendosi alla procedura di amministrazione con-trollata, ha affermato che «[I]l contratto di som-ministrazione, disciplinato dagli artt. 1559 ss. c.c.,come contratto di durata, dando luogo ad un rap-porto unitario con riguardo al sinallagma sia gene-rico che funzionale, implica la continuazione diquesto anche nel corso della procedura di ammi-nistrazione controllata, alla quale il somministratosia ammesso, posto che difetta, per essa, la previ-sione di automatico scioglimento dei rapporti inatto, propria del fallimento; pertanto, qualora adetta procedura segua quella liquidatoria, atteso ilnesso di consecutività e di interdipendenza chelega la seconda alla prima, trova applicazione ilcomma 2 dell’art. 74 l.fall., con la conseguenzache il debito contratto dall’impresa, sia anterior-mente all’ammissione all’amministrazione con-trollata che nel corso di essa, per le forniture som-ministrate, deve essere soddisfatto in prededuzio-ne» (7).Parimenti, i Giudici di legittimità hanno - di fat-

to - ripreso tale tesi interpretativa, ritenendo che,

(2) P. Pajardi - A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimenta-re, Milano, 2008, 853.

(3) G. Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali,Milano, 2007, 989, e AA.VV., Diritto fallimentare [Manuale bre-ve], Milano, 2008, 148 e 149.

(4) P.F. Censoni, Articolo 167. Amministrazione dei beni du-rante la procedura, in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare, II, di-retto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2007,2404, e S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi diristrutturazione dei debiti, Padova, 2008, 94, il quale precisache «proprio l’opportunità di scongiurare conseguenze tantoafflittive, unitamente a ragioni di maggiore efficienza nella ge-

stione dell’impresa in concordato, ha indotto il legislatore dellariforma ad aggiungere all’art. 167 un terzo comma, preveden-do che il tribunale, con il decreto di ammissione alla procedurao con successivo provvedimento, possa fissare un limite di va-lore al di sotto del quale non si renda necessaria l’autorizzazio-ne del giudice delegato».

(5) Cass. 24 luglio 1980, n. 4798, in Foro It., 1981, I, 117.(6) Cass. 5 novembre 1990, n. 10620, in questa Rivista,

1991, 361.(7) Cass., sez. I, 12 luglio 1994, n. 6556, in questa Rivista,

1995, 164.

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qualora il rapporto di somministrazione proseguasuccessivamente all’ammissione del somministratoal concordato preventivo, la sua natura e strutturaunitaria impediscano la scissione delle prestazionianteriori e posteriori al procedimento, con la con-seguenza che andrebbe applicata la disciplina ordi-naria dettata dal c.c., senza potere operare la falci-dia concordataria per le situazioni giuridiche matu-rate prima del concordato, salva l’eventuale inci-denza del regime autorizzativo contemplato dal-l’art. 167 l.fall. (8).Successivamente, con riferimento alla procedura

di amministrazione controllata, la Suprema Corteha operato un revirement interpretativo, afferman-do che i crediti relativi alla somministrazione diprestazioni di erogazione di servizi pubblici svoltiin regime di monopolio maturati prima dell’ammis-sione dell’impresa somministrata alla proceduranon godrebbero del trattamento prededucibile, inquanto, pur nell’ambito dell’unitario rapporto ge-netico, la pluralità e la distinzione delle singoleprestazioni individuabili consentirebbero di ritene-re che, in assenza della disciplina speciale di cui al-l’art. 74 l.fall., i crediti maturati precedentementesiano soggetti alle regole del concorso e quindinon possano e non debbano essere pagati (9).Tale posizione è stata ribadita in un recente pas-

sato dalla stessa Corte di Cassazione, la quale, nelsottolineare come non possa dirsi estensibile alconcordato il disposto del secondo comma dell’art.74 l.fall., dettato in ragione delle specifiche finalitàdel fallimento e non richiamato dall’art. 169 l.fall.,ha statuito che «il credito del somministrante peril corrispettivo delle somministrazioni eseguite pri-ma dell’ammissione del debitore al concordato pre-ventivo è soggetto al concorso, ai sensi dell’art.184 l.fall.» (10).In tale contesto, dottrina e giurisprudenza hanno

affermato il c.d. “criterio della scindibilità” che go-verna le regole attinenti la possibilità di procedere,o meno, ai pagamenti dei crediti derivanti da con-tratti di durata (11).In linea generale, il divieto di pagamento sussi-

ste in tutte quelle situazioni giuridiche definitiva-mente cristallizzate in un semplice rapporto di cre-

dito/debito e che sono ormai avulse da qualsiasirapporto giuridico (previamente estinto/esaurito);ricorrendo tale ipotesi - si pensi ad una fornitura dimerce effettuata anteriormente all’iscrizione del ri-corso - risulterebbe sicuramente vietato all’impren-ditore procedere a pagamento.Diversamente per quanto attiene i rapporti giu-

ridici pendenti nei quali le prestazioni delle partinon sono ancora eseguite o compiutamente ese-guite: riguardo a questi ultimi, laddove il rapportoprosegua e laddove la proposta concordataria nonpreveda la risoluzione del (relativo) contratto,non vi sarebbe - di regola - divieto di pagamentodei crediti pregressi; “di regola”, in quanto, qualo-ra il rapporto sinallagmatico sia caratterizzato daun contratto di durata dal quale sorgano coppie diprestazioni di per sé isolabili sotto il profilo fun-zionale ed economico - fattispecie questa che ri-correrebbe (proprio) nei contratti somministrazio-ne, dove, ad ogni singola erogazione, corrispondeun prezzo da pagare ragguagliato alla prestazionestessa ed indipendente, funzionalmente ed econo-micamente, dalle prestazioni pregresse e future -,il divieto de quo tornerebbe a trovare piena appli-cazione (12).

3. Effetti della domanda di concordatopreventivo per il debitore: differenziazionetra atti di ordinaria e di straordinariaamministrazione

La pubblicazione della domanda - proposta an-che “in bianco” ai sensi dell’art. 161, comma 6,l.fall. - implica l’apertura di una procedura colletti-va, che produce alcuni effetti tipici della proceduradi concordato preventivo: la “concorsualità” si ca-ratterizza, infatti, da un lato, per un momento con-servativo del patrimonio del debitore - mediante ilblocco delle azioni esecutive e cautelari ex art. 168l.fall. (13) - e, dall’altro lato, per uno dinamico,consistente nella gestione provvisoria, prudente evigilata dell’impresa, finalizzata al soddisfacimentodelle ragioni creditorie in forza del piano proposto- mediante la regolamentazione degli atti di straor-dinaria amministrazione ex artt. 161, comma 7, e167 l.fall. (14).

(8) Cass., sez. I, 23 marzo 1992, n. 3581, in questa Rivista,1992, 700.

(9) Cass., sez. un., 22 maggio 1996, n. 4715, in Giust. civ.,1996, I, 2925.

(10) Cass., sez. I, 18 maggio 2005, n. 10429, in questa Rivi-sta, 2006, 37, e, più di recente, Trib. Udine (decr.) 16 aprile2013, in www.unijuris.it.

(11) S. Ambrosini - P.G. Demarchi - M. Vitiello, Il concordato

preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 221.(12) Trib. Reggio Emilia (decr.) 6 marzo 2013, in www.ilca-

so.it.(13) Cfr. S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi

di ristrutturazione dei debiti, Padova, 2008, 95.(14) Cfr. Trib. Locri (decr.) 18 dicembre 2013, in www.ilca-

so.it, e Trib. Reggio Emilia (decr.) 6 marzo 2013, in www.ilca-so.it.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

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Nello specifico, il settimo comma dell’art. 161l.fall., nel riprendere il regime di “spossessamentoattenuato” (15) previsto dall’art. 167 l.fall. (16), ilquale comporta una “compressione della libertàd’azione economica” dell’imprenditore (17), nerealizza un’anticipazione alla fase pre-concordata-ria (18), disponendo che, successivamente al depo-sito del ricorso e fino al decreto di cui all'art. 163l.fall., «il debitore può compiere gli atti urgenti distraordinaria amministrazione previa autorizzazionedel tribunale, il quale può assumere sommarie in-formazioni e deve acquisire il parere del commissa-rio giudiziale, se nominato. Nello stesso periodo ea decorrere dallo stesso termine il debitore può al-tresì compiere gli atti di ordinaria amministrazio-ne».In tale contesto, il concetto di “straordinaria

amministrazione” deve essere estrapolato da unalettura congiunta con il successivo art. 167 l.fall.,il quale, al comma 2, contiene l’elencazione - me-ramente esemplificativa (19) - di atti “eccedentil’ordinaria amministrazione”, ossia «[I] mutui, an-che sotto forma cambiaria, le transazioni, i com-promessi, le alienazioni di beni immobili, le con-cessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, lerinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, lecancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni,le accettazioni di eredità e di donazioni».Peraltro, nell’art. 161, comma 7, l.fall., a diffe-

renza di quanto previsto dall’art. 167 l.fall., l’attodi straordinaria amministrazione dev’essere urgentee il tribunale può assumere sommarie informazio-ni (20).Il compimento di un atto di straordinaria ammi-

nistrazione non autorizzato costituisce - ex art. 173l.fall. - causa di improcedibilità della domanda di

concordato preventivo, con conseguente aperturadel fallimento su istanza del creditore o su richiestadel pubblico ministero.In termini generali, la valutazione in ordine al

carattere di ordinaria o straordinaria amministra-zione dell’atto posto in essere dal debitore deve es-sere compiuta con riferimento all’interesse dellamassa dei creditori e non già dell’imprenditore in-solvente, essendo possibile che atti astrattamentequalificabili di ordinaria amministrazione, se com-piuti nel normale esercizio di un’impresa in bonis,possano, invece, assumere un diverso connotato secompiuti nell’ambito di una procedura concordata-ria laddove gli stessi dovessero investire interessidel ceto creditorio o incidere negativamente sullaprocedura concorsuale (21).Avendo poi a mente che quella imprenditoriale

è attività che presuppone necessariamente il com-pimento di atti di disposizione di beni, il criterioper distinguere gli atti di ordinaria e straordinariaamministrazione non può essere quello del caratte-re conservativo o meno dell’atto posto in essere -criterio valido, invece, di regola, per l’amministra-zione del patrimonio degli incapaci -, con la conse-guenza che la distinzione in parole deve fondarsisulla relazione con cui l’atto si pone con la gestio-ne ordinaria - cioè, normale - del tipo di impresadi cui si tratta e alle dimensioni in cui essa vieneesercitata, derivandone che gli atti che modificanole strutture economico-organizzative dell’impresasono da considerarsi di straordinaria amministrazio-ne (22).In linea con il principio testé riferito, alcuni

Giudici di merito hanno statuito che devono rite-nersi di ordinaria amministrazione gli atti di comu-ne gestione dell’azienda, strettamente aderenti alle

(15) D. Spagnuolo, Articolo 167. Amministrazione dei benidurante la procedura, in AA.VV., Il concordato preventivo e gliaccordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di A. Nigro - M.Sandulli - V. Santoro, Torino, 2014, 160; S. Ambrosioni - P.G.Demarchi - M. Vitiello, Il concordato preventivo e la transazionefiscale, Bologna, 2009, 87, e F. Salvatore, Articolo 167. Ammi-nistrazione dei beni durante la procedura, in AA.VV., La riformadella legge fallimentare, II, a cura di A. Nigro - M. Sandulli, Tori-no, 2006, 1019.

(16) C. Rivolta - P. Pajardi, Art. 161. Domanda di concorda-to, in AA.VV., Codice del fallimento, a cura di M. Bocchiola - A.Paluchowski, Milano, 2013, 1909.

(17) F. Guerrera, Le soluzioni concordatarie, in AA.VV., Dirittofallimentare [Manuale breve], Milano, 2008, 148.

(18) F. Dimundo, Art. 161. Domanda di concordato, inAA.VV., Codice commentato del fallimento. Disciplina UE e tran-sfrontaliera. Disciplina tributaria, diretto da G. Lo Cascio, Mila-no, 2013, 1906. Si noti come, peraltro, anteriormente all’entra-ta in vigore delle modifiche apportate dal d.l. 22 giugno 2012,n. 83, con l’introduzione del comma 7 dell’art. 161 l.fall., S.Ambrosioni - P.G. Demarchi - M. Vitiello, Il concordato preven-

tivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 90, sottolineasserocome, una delle letture dell’art. 167 l.fall. implicasse l’operativi-tà delle relativa disciplina dal momento delle presentazionedella domanda di ammissione.

(19) C. Rivolta - P. Pajardi, Art. 167. Amministrazione dei be-ni durante la procedura, in AA.VV., Codice del fallimento, a curadi M. Bocchiola - A. Paluchowski, Milano, 2013, 1939.

(20) P. Liccardo, Articolo 161. Domanda di concordato, inAA.VV., Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazionedei debiti, a cura di A. Nigro - M. Sandulli - V. Santoro, Torino,2014, 70.

(21) Cfr. Cass., sez. I, 11 agosto 2004, n. 15484, in Mass.Foro it., 2004.

(22) Cfr. Cass., sez. I, 4 maggio 1995, n. 4856, in Società,1995, 1432, nonché Trib. Modena, 14 settembre 2012, inwww.ilcaso.it, per il quale devono intendersi come «atti di ordi-naria amministrazione, non necessitanti di autorizzazione,quelli attinenti alla ordinaria gestione caratteristica aziendale».Cfr., in dottrina, S. Ambrosioni - P.G. Demarchi - M. Vitiello, Ilconcordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009,94.

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finalità e dimensioni del suo patrimonio così comequelli che - ancorché comportanti una spesa eleva-ta - lo migliorino o anche solo lo conservino, men-tre ricadono nell'area della straordinaria ammini-strazione gli atti suscettibili di ridurlo o gravarlo dipesi o vincoli cui non corrispondano acquisizionidi utilità reali su di essi prevalenti (23).Consegue da quanto testé indicato che, al fine

di determinare la natura ordinaria, ovvero straordi-naria, del singolo atto, si rende necessario valutarela capacità del medesimo di «modificare in terminiquantitativi e qualitativi il patrimonio dell’impre-sa» (24).Ciò detto, e considerato quindi come, sotto il

profilo esegetico, la questione sottesa all’interpre-tazione e all’applicazione del comma 7 dell’art.161 l.fall. sia incentrata sul tema della demarca-zione tra ciò che può ritenersi “ordinario” e ciòche, invece, è da ricondurre alla straordinaria am-ministrazione, non ci si può esimere dal rilevarecome l’indagine che, di volta in volta, l’interpretedeve condurre non sia affatto semplice se sol siconsidera come, a ben vedere, essa dovrebbe esse-re condotta considerando altresì i termini e lecondizioni alle quali il piano di concordato do-vrebbe avere effettiva realizzazione una volta ap-provato dai creditori: la condotta dell’imprendito-re non potrà, invero, che essere strettamente con-dizionata da quanto riportato nel piano e, quanto-meno in una certa misura, l’ordinarietà dei singoliatti dovrebbe essere valutata, oltre che in funzio-ne dell’obiettivo finale che il piano si prefigge, al-la luce delle modalità operative del medesi-mo (25).Ebbene, in considerazione del fatto che la do-

manda, conformemente al disposto dell’art. 161,comma 6, l.fall. potrebbe essere stata proposta “inbianco”, con assenza, quindi, di specifiche, seppurpreliminari, indicazioni in merito ai contenuti delpiano, il potere del tribunale di assumere sommarieinformazioni appare come elemento essenziale di

indagine per determinare la natura ordinaria, omeno, degli atti gestori del debitore.In un tale contesto, caratterizzato, da un lato,

dalla variabilità dei singoli casi concreti e, dall’al-tro, dalla circostanza che, tendenzialmente, gli attigestori sono di per sé idonei a dare luogo ad un ef-fetto depauperatorio del patrimonio del debitore,così traducendosi in un pregiudizio per i creditori,le incertezze nel tracciare una linea di demarcazio-ne tra ciò che rientra nell’ordinaria amministrazio-ne e ciò che esula dalla stessa non mancano (26).Un esempio tra i più illuminanti delle incertezze

interpretative che possono caratterizzare la distin-zione ordinario/straordinario di un atto si rinvienenel trattamento che i tribunali riservano agli inca-richi professionali: al riguardo, si passa dall’afferma-re che «[I]l conferimento di mandato di assistenzaad un legale da parte dell’impresa in concordatocostituisce atto di straordinaria amministrazione,che, in difetto di autorizzazione ex art. 167 l.fall.,va dichiarato inefficace nel successivo fallimen-to” (27), al considerare che “[L]e prestazioni profes-sionali rese a favore dell’imprenditore nel periodocompreso tra il decreto di ammissione al concorda-to preventivo e la sua omologazione devono essereautorizzate ex art. 167 l.fall. solo se ricomprese tragli atti di straordinaria amministrazione, non es-sendo giuridicamente fondato l’assunto che tutte leprestazioni professionali richieste dall’imprenditorenel corso del concordato siano da ricomprendersiin quest’ultima categoria” (28), sino a giungere aritenere che “[I]n tema di domanda di concordatopreventivo “con riserva”, il conferimento dell'inca-rico per la redazione del piano e della proposta, acosti non eccessivi, è da considerare atto di ordina-ria amministrazione, addirittura necessario per losvolgimento della procedura, e pertanto non neces-sita di autorizzazione ex art. 161, comma 7, R.D. n.267/1942» (29).Allo stesso modo, il pagamento ai dipendenti di

emolumenti riguardanti il periodo anteriore alla

(23) Trib. Terni 12 ottobre 2012, in questa Rivista, 2013, 1,99, nonché Trib. Milano 23 novembre 2012, in www.ilcaso.it,per il quale «[G]li atti urgenti di straordinaria amministrazioneche, ai sensi del sett imo comma dell’art. 161, R.D. n.267/1942 (l.fall.), l’imprenditore che abbia presentato doman-da di concordato preventivo con riserva può compiere previaautorizzazione del tribunale, sono quelli che incidono sul patri-monio dell’impresa in concordato, mentre sono di ordinariaamministrazione quelli che hanno su detto patrimonio un im-patto neutro». Si veda altresì, in dottrina, M. Caffi, Il concorda-to preventivo, in AA.VV., Il diritto fallimentare riformato, a curadi G. Schiano di Pepe, Padova, 2007, 630.

(24) P. Liccardo, Articolo 161. Domanda di concordato, inAA.VV., Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione

dei debiti, a cura di A. Nigro - M. Sandulli - V. Santoro, Torino,2014, 70.

(25) S. Bonfatti - P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimenta-re, Padova, 2009, 515.

(26) Cfr. M. Gaboardi, Art. 167. Amministrazione dei benidurante la procedura, in AA.VV., Commentario alla legge falli-mentare. Artt. 124-215 e disposizioni transitorie, diretto da C.Cavallini, Milano, 2010, 560.

(27) Trib. Modena 3 aprile 2009, in questa Rivista, 2010,225.

(28) Cass., sez. I, 4 settembre 2009, n. 19235, in questa Ri-vista, 2010, 576.

(29) Trib. Terni 28 dicembre 2012, in www.ilcaso.it.

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il Fallimento 11/2014 1215

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presentazione della domanda di concordato pre-ventivo con riserva è stato ritenuto - da alcuni -come un atto «non … di straordinaria amministra-zione, e [per il quale] quindi non … necess[ita] al-cuna autorizzazione ai sensi dell'art.161, comma 7,R.D. n. 267/1942” (30) e - da altri - esattamente insenso contrario, tanto da giungere a negare l'auto-rizzazione al pagamento (31).Le diverse - e spesso (meramente) soggettive -

possibilità di interpretazione delle singole azioniconducono, nella realtà di tutti i giorni, il debitore,che cerca la conferma di poter liberamente opera-re, ad affrontare i dubbi riguardanti l’ordinarietà, omeno, di un atto attraverso la proposizione di ri-chieste di autorizzazione anche per atti che il tribu-nale ritiene poi di ordinaria amministrazione (32).

4. Le distinzioni operate in giurisprudenzatra atti di ordinaria amministrazione ed attidi straordinaria amministrazione

La recente introduzione del comma 7 dell’art.161 l.fall. - risalente al 2012 - porta con sé una so-stanziale carenza di precedenti attinenti all’identi-ficazione della natura ordinaria, o meno, di moltiatti: per colmare codesta lacuna, pare possibile farriferimento alle decisioni riguardanti l’art. 167l.fall.Al fine di fornire un’idea al lettore di quali siano

le posizioni assunte dalla giurisprudenza in tema diqualificazione come ordinari, o meno, dei singoliatti, si rammenta che sono stati ritenuti rientrantinell’ambito dell’ordinaria amministrazione:- la vendita di prodotti e scorte (33);- l’attivazione della procedura di mobilità dei di-

pendenti (34);- il licenziamento collettivo attuato allo scopo di

ridurre il personale in misura compatibile con l’e-quilibrio dell’azienda la cui attività sia destinata a

proseguire nell’ambito di un concordato con conti-nuità aziendale (35);- la stipula di atti di cessione di immobili, qualo-

ra costituisca l’attività caratteristica dell’impre-sa (36);- l’opposizione a decreto ingiuntivo (37);- ogni azione giudiziaria finalizzata alla conserva-

zione del patrimonio del debitore ed alla tutela del-la pari condizione dei creditori (38);- le operazioni di anticipo o sconto fatture/rice-

vute bancarie - con sottostante eventuale cessionedei crediti anticipati - effettuate ai sensi e nei limi-ti dei contratti vigenti (39);- l’attività di consulenza aziendale svolta dal pro-

fessionista nel periodo successivo alla presentazionedella domanda di concordato preventivo, finalizza-ta alla conservazione ed al miglioramento del patri-monio dell’impresa per il mantenimento dei pre-supposti della procedura (40);- la delibera di scioglimento della società (41).Al contrario, oltre agli atti di liquidazione di ce-

spiti dell’attivo (42), i tribunali hanno consideratocome atti di straordinaria amministrazione:- la conclusione di un contratto di vendita im-

mobiliare, anche quando si tratti di vendita prece-duta da contratto preliminare conclusa da impresaedilizia nello svolgimento dell’ordinaria gestionedella propria attività e il compratore abbia versatointeramente il prezzo prima dell’ammissione del-l’impresa venditrice alla procedura concorsua-le (43);- la stipula del contratto di locazione commer-

ciale (44);- il perfezionamento di una transazione che pre-

veda l’esborso di una somma che, in quanto noninserita nell’attivo, non incide sulla vicenda con-cordataria (45);- il finanziamento soci che si prospetti come ur-

gente e necessario a garantire la continuità azien-

(30) Trib. Novara 17 aprile 2013, in questa Rivista, 2013,902.

(31) Trib. Modena 15 dicembre 2012, in www.ilcaso.it.(32)M. Caffi, Il concordato preventivo, in AA.VV., Il diritto fal-

limentare riformato, a cura di G. Schiano di Pepe, Padova,2007, 631.

(33) Cass. 15 gennaio 1985, n. 64, in questa Rivista, 1985,638.

(34) Trib. Milano 23 novembre 2012, in www.ilcaso.it, per ilquale «detta scelta non comporta, infatti, ulteriori costi prede-ducibili (se non quelli professionali necessari per l’attivazionedella procedura), e consente di ottenere un alleggerimento deicosti fissi».

(35) Trib. Cosenza 6 marzo 2013, in www.ilcaso.it.(36) Trib. Modena 15 novembre 2012, in www.ilcaso.it.(37) Trib. Livorno 20 dicembre 1960, in Gtos, 1961, 430.(38) Trib. Lucca 21 maggio 2013, in www.ilcaso.it.

(39) Trib. Milano 19 marzo 2013, in Riv. dott. commercialisti,2013, 679, e Trib. Terni 12 ottobre 2012, in questa Rivista,2013, 99.

(40) Trib. Piacenza 26 aprile 2013, in questa Rivista, 2013,1002.

(41) App. Milano 10 novembre 1987, in Dir. Fall., 1987, II,38.

(42) S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ri-strutturazione dei debiti, Padova, 2008, 95, e L. Guglielmucci,Lezioni di diritto fallimentare, Torino, 2006, 405.

(43) Cass., sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1357, in questa Rivi-sta, 1999, 1018, la quale ha motivato la decisione de qua ri-chiamandosi ad una «valuta[zione del]l’attitudine [dell’atto] adalterare la situazione patrimoniale oggetto della proposta diconcordato».

(44) Trib. Padova 26 febbraio 2014, in www.ilcaso.it.(45) Trib. Novara 29 marzo 2013, in www.ilcaso.it.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

1216 il Fallimento 11/2014

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dale e che sia astrattamente idoneo ad incidere sulpatrimonio del debitore (46);- la cessione dei crediti (47);- la conclusione di contratti inerenti alla utiliz-

zazione degli immobili e degli impianti dell’azien-da, che non ne sottraggano la titolarità al debitore,ma siano rivolti ad assicurare la continuazione del-l’attività produttiva (48).

5. La natura ordinaria, ovvero straordinaria,dei pagamenti dei debiti pregressi

Storicamente, dottrina e giurisprudenza hannorichiamato - in ripetute occasioni - il disposto degliartt. 167 e 168 l.fall. per limitare, se non addirittu-ra per escludere tout court (ritenendoli “mai esegui-bili al di fuori del concorso” (49)), eventualmenterichiamando altresì e, quindi, ritenendo applicabilein via estensiva il disposto dell’art. 44 l.fall. (50)(in virtù del quale i pagamenti eseguiti dal debitoresuccessivamente alla dichiarazione di fallimentosono inefficaci rispetto ai creditori), i pagamenti didebiti sorti in un momento precedente all’aperturadella procedura di concordato preventivo (51).Si afferma, invero, che i pagamenti dei crediti

sorti anteriormente alla proposizione della doman-da di concordato sarebbero lesivi della par condiciocreditorum (52) e che il divieto di procedere al pa-gamento di crediti anteriori all’apertura della pro-cedura concordataria si desumerebbe (i) dal combi-nato disposto dell’art. 161, comma 7, l.fall., chevieta al debitore - dopo il deposito del ricorso e fi-no al decreto di cui all’art. 163 l.fall. - il compi-mento di atti di straordinaria amministrazione in

assenza di autorizzazione del Tribunale, e dell’art.167 l.fall., che subordina il compimento di atti distraordinaria amministrazione all’autorizzazione delTribunale e del Giudice Delegato così come (ii)dal tenore dell’art. 168, l.fall., che pone il divietodi azioni esecutive da parte dei creditori dal mo-mento della pubblicazione del ricorso nel Registrodelle Imprese, in quanto - si sostiene - risulterebbeincongruo che ciò che il creditore non può ottene-re in via di esecuzione forzata possa essere dallostesso conseguito in virtù dello spontaneo adempi-mento del debitore (53).Alla luce della tesi testé esposta, il pagamento di

crediti anteriori alla presentazione della domandacostituirebbe un atto idoneo a frodare le ragionidella massa soddisfacendo alcuni creditori a disca-pito di altri, con conseguente uso abusivo e distor-to degli effetti protettivi del deposito della doman-da, in quanto in sostanza il divieto di azioni esecu-tive e cautelari, che serve ad assicurare all’impren-ditore il tempo necessario per allestire un piano ra-gionevole e fattibile di gestione della crisi verrebbeasservito ad uno scopo diverso, ossia quello di con-sentire al debitore di scegliere a suo piacimento disoddisfare solo alcuni creditori: ne conseguirebbeche, qualora si verificasse l’ipotesi in parola, il Tri-bunale conformemente all’art. 161, sesto comma,l.fall. - non potrebbe che procedere dichiarando ilfallimento del soggetto originariamente ammessoalla procedura di concordato preventivo.Nonostante la “linearità” della tesi che vede nel

pagamento di debiti pregressi all’apertura della pro-cedura di concordato, in assenza di autorizzazionedel Tribunale o del Giudice Delegato, l’illegittimo

(46) Trib. Como 11 dicembre 2012, in www.ilcaso.it.(47) Trib. Modena 18 ottobre 2005, cit. in C. Rivolta - P. Pa-

jardi, Art. 167. Amministrazione dei beni durante la procedura,in AA.VV., Codice del fallimento, a cura di M. Bocchiola - A. Pa-luchowski, Milano, 2013, 1942. Si veda altresì Cass., sez. III, 3dicembre 2002, n. 17162, in Mass. Foro it., 2002, per la quale«proposta domanda di concordato preventivo, è vietatala ces-sione dei crediti se stipulata per estinguere debiti anteriori (po-tendo in caso di violazione di tale divieto farsi luogo a dichiara-zione di fallimento ai sensi dell’art. 173, comma 2, l.fall.), men-tre essa è consentita se stipulata per estinguere debiti sorti du-rante la procedura di concordato, sempre che sia autorizzatadagli organi competenti di cui all’art. 167 l.fall.».

(48) Cass. 15 gennaio 1985, n. 64, in questa Rivista, 1985,638.

(49) Cass. civ., sez. trib., 24 febbraio 2006, n. 4234, in que-sta Rivista, 2006, 895.

(50) E. Stasi, Art. 167. Amministrazione dei beni durante laprocedura, in AA.VV., Codice commentato del fallimento. Disci-plina UE e transfrontaliera. Disciplina tributaria, diretto da G. LoCascio, Milano, 2013, 1984.

(51) P.F. Censoni, Articolo 167. Amministrazione dei beni du-rante la procedura, in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare, o II,diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2007,

2411; D. Spagnuolo, Articolo 167. Amministrazione dei beni du-rante la procedura, in AA.VV., Il concordato preventivo e gli ac-cordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di A. Nigro - M. San-dulli - V. Santoro, Torino, 2014, 168; C. Rivolta - P. Pajardi, Art.167. Amministrazione dei beni durante la procedura, in AA.VV.,Codice del fallimento, a cura di M. Bocchiola - A. Paluchowski,Milano, 2013, 1942; F. Salvatore, Articolo 167. Amministrazio-ne dei beni durante la procedura, in AA.VV., La riforma dellalegge fallimentare, II, a cura di A. Nigro - M. Sandulli, Torino,2006, 1020.

(52) Cass., sez. I, 28 agosto 1995, n. 9030, in questa Rivista,1996, 69, per la quale «[D]opo l’ammissione alla procedura delconcordato preventivo non sono consentiti pagamenti lesividella par condicio creditorum, nemmeno se realizzati attraversocompensazione di debiti sorti anteriormente con crediti realiz-zati in pendenza della procedura concordataria», e, più di re-cente, App. Milano 2 marzo 2001, in Banca borsa tit. cred.,2002, II, 552, e Trib. Siracusa 18 dicembre 2012, in www.ilca-so.it. Cfr., in dottrina, M. Caffi, Il concordato preventivo, inAA.VV., Il diritto fallimentare riformato, a cura di G. Schiano diPepe, Padova, 2007, 631.

(53) Trib. Milano (decr.) 21 febbraio 2013, in www.ilcaso.it, eTrib. Pesaro (decr.) 23 luglio 2013, in www.ilcaso.it.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

il Fallimento 11/2014 1217

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compimento di atti di straordinaria amministrazio-ne, con conseguente “conversione” del concordatoin fallimento, v’è da sottolineare come, tutt’oggi,sia controverso se il pagamento di crediti anteriorial concordato costituisca (effettivamente) atto distraordinaria amministrazione, ovvero se esso possaessere ricondotto nell’ambito dell’ordinaria ammi-nistrazione (54), così - di fatto - alterando l’otticadell’interprete giungendo a “ribaltare” le conclusio-ni sopra richiamate.V’è chi ritiene, invero, che quantomeno taluni

creditori con diritto di prelazione, come, ad esem-pio, i lavoratori dipendenti o i creditori ipotecari/-pignoratizi, potrebbero essere soddisfatti “anticipa-tamente” nell’ambito della procedura concordata-ria in quanto, così operando, si potrebbe ridurre ilmontante del passivo, sgravando la procedura me-desima degli interessi che i crediti di tali soggetticontinuano a maturare per il tempo di esecuzionedel piano (55).La stessa Suprema Corte non è stata aliena dal

considerare come la valutazione in ordine al carat-tere di ordinaria o straordinaria amministrazionedell’atto posto in essere dal debitore senza autorizza-zione del Giudice Delegato possa ritenersi preordi-nata all’eventuale dichiarazione di inefficacia del-l’atto stesso ai sensi dell’art. 167 l.fall., affermandoche il Giudice di merito deve procedere tenendoconto che il carattere di atto di straordinaria ammi-nistrazione dipende dalla sua idoneità ad inciderenegativamente sul patrimonio del debitore, pregiu-dicandone la consistenza o compromettendone lacapacità di soddisfare le ragioni dei creditori, inquanto ne determini la riduzione, ovvero lo gravi divincoli e di pesi cui non corrisponde l’acquisizionedi utilità reali prevalenti su questi ultimi (56).

6. La disciplina contenuta nell’art. 182quinquies l.fall.: la miglior soddisfazione deicreditori

Il principio del divieto di pagamento dei creditianteriori all’apertura della procedura avrebbe tro-

vato - secondo alcuni Giudici (57) - ulteriore con-ferma nella recente introduzione dell’art. 182 quin-quies l.fall.La necessità di evitare l’interruzione dei servizi

essenziali a fronte dell’assunta impossibilità del de-bitore ammesso alla (sola) procedura di concordatopreventivo “in continuità” avrebbe, infatti, con-dotto il Legislatore della “riforma” ad introdurre -con l’art. 33, D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (converti-to in legge con modificazioni dalla L. 7 agosto2012, n. 134) - l’art. 182 quinquies l.fall., il quale,al comma 4, prevede che «[I]l debitore che presen-ta domanda di ammissione al concordato preventi-vo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’art.161, comma 6, può chiedere al tribunale di essereautorizzato, assunte se del caso sommarie informa-zioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni dibeni o servizi, se un professionista in possesso deirequisiti di cui all’art. 67, comma 3, lettera d), at-testa che tali prestazioni sono essenziali per la pro-secuzione della attività di impresa e funzionali adassicurare la migliore soddisfazione dei creditori».Sotto il profilo operativo, la norma de qua può

comportare vantaggi di carattere meramente tem-porale - è questo il caso dei pagamenti anticipatied integrali di debiti pregressi a favore di fornitoriprivilegiati “strategici” ovvero in favore di fornitorichirografari “strategici” qualora il pagamento inter-venga in misura pari alla percentuale prevista nelpiano a favore del ceto creditorio chirografario -,ovvero, oltre che temporale, anche quantitativo -si pensi alle ipotesi di pagamento anticipato parzia-le e/o integrale in percentuale differente a quellaprevista nel piano per gli altri crediti chirografaridi un debito pregresso a favore di un fornitore chi-rografario “strategico” (58).A ben vedere, però, l’intervento normativo in

esame, che si pone come deroga alla par condiciocreditorum, nella realtà, non può che incontrarenotevoli limitazioni applicative, in quanto i confi-ni posti al rilascio dell’autorizzazione da parte delTribunale hanno natura tale da lasciar supporre

(54) Trib. Catania 18 marzo 2013, in www.ilcaso.it.(55) Cfr. P.F. Censoni, Articolo 167. Amministrazione dei beni

durante la procedura, in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare, II,diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2007,2411.

(56) Cass., sez. I, 20 ottobre 2005, n. 20291, in Mass. Foroit., 2005, 1453, e, anni prima, nella giurisprudenza di merito,Trib. Reggio Emilia 12 giugno 1995, in questa Rivista, 1995,1250, che, sempre nell’ambito della distinzione atto ordinario/-straordinario e, quindi, legittimo/illegittimo, aveva fatto riferi-mento al “particolare vantaggio per la procedura”; per altroverso, Cass., sez. III, 29 novembre 2005, n. 26036, in Mass.

Foro it., 2005, 1988, aveva ritenuto che «il pagamento di undebito preconcordatario è in sé legittimo, in quanto atto di or-dinaria amministrazione, purché non integri l’ipotesi di un atto“diretto a frodare le ragioni dei creditori”, e, quindi, sanziona-bile con la dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 173,comma 2, e revocabile in forza dell’art. 167, comma 2».

(57) Trib. Torino (decr.) 21 marzo 2014, inedito.(58) In tal caso, sotto il profilo temporale, il creditore chiro-

grafario viene favorito rispetto alla totalità degli altri creditori -anche privilegiati -, mentre, in termini quantitativi, il favor puòrilevare solo rispetto alle altre classi di creditori chirografari.

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1218 il Fallimento 11/2014

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non solo un atteggiamento quanto mai prudenteda parte dei Giudici, ma anche difficoltà non indif-ferenti per i professionisti.Costoro, infatti, a fronte della necessità che deb-

ba trattarsi di prestazioni essenziali alla prosecuzio-ne dell’attività imprenditoriale e funzionali alla mi-glior soddisfazione dei creditori, dovranno attesta-re, da un lato, l’assoluta indisponibilità del sommi-nistrante a proseguire il servizio se non a fronte delpagamento dei debiti pregressi e, dall’altro, l’impos-sibilità - o, comunque, forte difficoltà - per l’im-prenditore di trovare (in tempi limitati e compati-bili con le esigenze dell’impresa) un sostituto di-sponibile a fornire al debitore ammesso alla proce-dura concordataria le medesime prestazioni ai me-desimi costi (59).Ammesso, poi, che i professionisti siano in grado

di fornire le attestazioni ex lege richieste, la condi-zione - richiesta dall’art. 182 quinquies l.fall. - atti-nente la miglior soddisfazione dei creditori apparedi assai difficile determinazione e verificazione.Sotto il primo profilo, occorrerà comprendere

cosa si intenda per “soddisfazione dei creditori”,considerando come a quest’ultima categoria appar-tengano soggetti diversi, per i quali la “soddisfazio-ne” può dipendere da elementi differenti, che van-no dalla tempestività del pagamento, anche a fron-te di un importo falcidiato in maniera consistente,alla valorizzazione del quantum, ovvero alla possibi-lità di ottenere altre utilità.Sotto il secondo profilo, bisognerà considerare

come il pagamento di crediti pregressi in violazionedell’ordine delle cause legittime di prelazione de-

termini di per sé una diminuzione della garanziapatrimoniale dei creditori concordatari e, pertanto,in linea generale, l’effetto positivo sulla proceduradei pagamenti de quibus non potrà che limitarsi alriconoscimento che tali operazioni risultano fun-zionali alla prosecuzione e al completamento dellaprocedura (anche nel senso di affermare che i risul-tati attesi dai creditori a seguito dell’atto autorizza-to saranno migliori di quanto si possa realizzare insua assenza), col che, peraltro, - per affermare ciò -i professionisti non potranno che muoversi su un“campo minato” fatto di congetture e supposizio-ni (60).Ciò detto, secondo alcuni Giudici di meri-

to (61), sarebbe del tutto distonico rispetto al siste-ma elaborato dal Legislatore per il concordato incontinuità aziendale, che introduce norme incenti-vanti di particolare favore e di contro circonda talinorme di cautele e limitazioni, consentire al debi-tore nell’ambito di un concordato non riconducibi-le alla fattispecie di cui all’art. 182 quinquies, quar-to comma, l.fall. di effettuare pagamenti di debitianteriori senza alcun vaglio da parte del Tribunalein violazione della par condicio creditorum.È proprio con riferimento a tale posizione che ri-

leva la pronuncia della Corte d’Appello di Vene-zia, in quanto, non difformemente da quella giuri-sprudenza di legittimità che in passato aveva am-messo non debba ritenersi a priori precluso il paga-mento dei debiti pregressi, previa autorizzazionedel giudice delegato, in quanto sia indirizzato al ri-sanamento dell’impresa nell’interesse della mas-sa (62), il Collegio veneziano ha ritenuto che il

(59) C. Rivolta - P. Pajardi, Art. 182 quinquies. Disposizioni intema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordatopreventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, inAA.VV., Codice del fallimento, a cura di M. Bocchiola - A. Palu-chowski, Milano, 2013, 2088, e, in giurisprudenza, Trib. Roma7 novembre 2012, inedito.

(60) F. Venegoni, Concordato in continuità: alcune riflessionioperative (dalla parte dell’advisor), in www.ilfallimentarista.it.

(61) Trib. Milano (decr.) 21 febbraio 2013, in www.ilcaso.it;Trib. Pesaro (decr.) 23 luglio 2013, in www.ilcaso.it, e Trib. Mo-dena 15 dicembre 2012, in www.ilcaso.it.

(62) Cass. 5 novembre 1990, n. 10620, in questa Rivista,1991, 361, per la quale «[C]on riguardo al contratto di sommini-strazione (nella specie, di energia elettrica), la facoltà del sommi-nistrante di sospendere le proprie prestazioni, in caso di manca-to pagamento dei corrispettivi alle previste scadenze, ai sensidegli artt. 1460 e 1565 c.c., deve essere riconosciuta anche se ilsomministrato abbia chiesto ed ottenuto l’ammissione all’ammi-nistrazione controllata, e pure dopo il decreto che disponga que-sta ammissione, considerato che tale procedura, i cui effetti siproducono a partire da detto decreto, priva il creditore dellapossibilità di esperire azioni esecutive individuali, ma non gli to-glie il menzionato strumento di autotutela, a preservazione del-l’equilibrio sinallagmatico del rapporto, e che al somministratoperaltro, anche dopo quel decreto, non è precluso il pagamento

dei pregressi debiti, previa autorizzazione del giudice delegato,in quanto sia indirizzato al risanamento dell’impresa nell’interes-se della massa», e, successivamente, Cass., sez. I, 12 gennaio2007, n. 578, in Foro it., 2007, I, 2466, per la quale «[I] paga-menti effettuati dall’imprenditore ammesso alla procedura diconcordato preventivo in esecuzione di contratti in corso non sisottraggono alla regola dell’inefficacia - soprattutto se relativi adebiti sorti anteriormente all’inizio della procedura - a meno chesiano stati autorizzati dal giudice delegato ai sensi dell’art. 167l.fall.», e Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13759, in Mass. Foroit., 2007, 1932, per la quale «[I] pagamenti di crediti sorti ante-riormente all’ammissione a concordato preventivo devono rite-nersi inefficaci quando eccedano l’ordinaria amministrazione, inmancanza dell’espressa autorizzazione del giudice delegato, an-che se relativi ad un contratto di appalto, la cui prosecuzionevenga autorizzata dagli organi della procedura», e Trib. Parma28 febbraio 2004, in questa Rivista, 2005, 78, che, nell’ambitodella procedura di amministrazione straordinaria, precisa che «ilpagamento di debiti concorsuali può essere autorizzato dal giu-dice delegato, ove esso sia eseguito nell’interesse dei creditoried in funzione del risanamento dell’impresa conformemente allaratio della procedura che ha per scopo il ristabilimento dell’im-presa ed il riacquisto della sua capacità di adempiere». Cfr., indottrina, AA.VV., Il concordato preventivo, a cura di G. Villanacci,Padova, 2010, 120.

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il Fallimento 11/2014 1219

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criterio del “miglior soddisfacimento dei creditori”possa individuare una sorta di clausola generale,introdotta nel concordato preventivo con conti-nuità aziendale, ma applicabile analogicamente atutte le tipologie di concordato, quale criterio discrutinio (anche) della legittimità degli atti del de-bitore in pendenza della decisione del tribunalesulla ammissibilità della proposta.Una volta ammesso il ricorso al criterio del “mi-

glior soddisfacimento dei creditori” - e circoscrittala relativa nozione alla sola ipotesi di incrementodella garanzia patrimoniale offerta dal debitore -, iGiudici veneziani hanno affermato che ben si po-trebbe ritenere che i pagamenti di debiti anteriorieffettuati dopo il deposito della proposta, se coe-renti alla percentuale prevista nel piano concorda-tario e produttivi di maggiori utilità economicheper tutti i creditori (anche rispetto alle soluzionialternative al concordato), non necessiterebbero diautorizzazione - in quanto atti di ordinaria ammini-strazione non suscettibili di diminuire la garanziapatrimoniale (63), ma anzi di accrescerla, secondoun giudizio necessariamente ex ante - e neppure po-trebbero integrare ipotesi di atti diretti a frodare leragioni dei creditori, ai sensi dell’art. 173, comma4, l.fall.Tale, ultimo, “passaggio” logico-giuridico, che

condurrebbe ad ammettere la natura ordinariadei pagamenti dei debiti pregressi a fronte di al-cune specifiche circostanze (che, a ben vedere,potrebbero essere anche rinvenute nell’implicitae/o consequenziale permanenza di un flusso diredditi da destinare al pagamento dei creditoripreesistenti (64)), non pare cogliere nel segno, inquanto, da un lato, la coerenza dei pagamenti dequibus alla percentuale prevista nel piano concor-datario non potrebbe che essere oggetto di ri-scontro solo al termine della procedura concorda-taria o, tutt’al più al momento dell’omologa delpiano, e, dall’altro, la “maggiore utilità economi-ca”, a sua volta, non potrebbe in nessun modoconsiderarsi in re ipsa e, pertanto, allo stato, vo-lendo applicare il disposto del comma 4 dell’art.182 quinquies l.fall., dovrebbe essere oggetto dispecifica, preventiva, attestazione da parte di unprofessionista e di successivo esame da parte delTribunale.

7. Alcune riflessioni conclusive

La soluzione prospettata dai Giudici della Corted’Appello di Venezia di estensione in via analogicadel criterio del “miglior soddisfacimento dei credi-tori” al concordato preventivo non in continuitàpare condivisibile per (almeno) due ordini di ragio-ni.Se - sic et simpliciter - si considerassero i paga-

menti di debiti pregressi come atti di straordinariaamministrazione sempre lesivi della par condiciocreditorum, con la conseguenza che il Giudice De-legato dovrebbe sempre negare l’autorizzazione, ciòrappresenterebbe un modo per il debitore per sot-trarsi insindacabilmente all’obbligo di corrisponde-re in sostanziale prededuzione anche i crediti pre-gressi maturati in rapporti che proseguono.La situazione - in maniera del tutto ingiustificata

ed eccessivamente afflittiva - potrebbe essere piùgrave di quanto non appaia per i creditori: nellamigliore delle ipotesi, invero, ove questi non accet-tino di proseguire nel rapporto senza che venganosanate le sofferenze pregresse, ciò implicherebbel’interruzione della relazione contrattuale che li le-ga al debitore, ma alcuni Giudici, nel respingerel’istanza di pagamento di crediti pregressi, hannoaffermato «l’impossibilità di imputare il pagamentodei debiti anteriori - e concorsuali - all’inadempi-mento dell’impresa in concordato e quindi la nonesperibilità dell’eccezione di inadempimento ex art.1460 c.c., con conseguente responsabilità dei cre-ditori per i danni eventualmente arrecati dall’inter-ruzione delle utenze» (65).Sotto il profilo operativo, poi, il Legislatore del-

la riforma, nel limitare la previsione di cui all’art.182 quinquies, comma 4, l.fall. all’ipotesi di con-cordato in continuità, pare aver omesso di consi-derare come - di fatto - il concordato di per sé,anche qualora di natura liquidatoria, implichi ne-cessariamente un “esercizio provvisorio” dell’a-zienda (66).Ciò che lascia perplesso l’interprete rispetto alle

conclusioni cui è - in via definitiva - giunta laCorte d’Appello di Venezia è il fatto che si sia cir-coscritta la nozione di “miglior soddisfacimento deicreditori” alla sola ipotesi di incremento della ga-ranzia patrimoniale offerta dal debitore, sottoli-

(63) Il che implicherebbe - nella maggior parte delle ipotesiconcordatarie - la “prova” che, sulla base dei flussi di cassa at-tesi, il pagamento integrale delle spettanze di tutti i creditoriprivilegiati non verrà meno.

(64) A. Irace, Articolo 182 quinquies. Disposizioni in tema difinanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventi-

vo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in AA.VV., Il con-cordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, acura di A. Nigro - M. Sandulli - V. Santoro, Torino, 2014, 471.

(65) Trib. Cuneo (decr.) 7 febbraio 2014, inedito.(66) P. Pajardi - A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimen-

tare, Milano, 2008, 855.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

1220 il Fallimento 11/2014

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neando come il mantenimento di alcune utenzecomporti, al più, un vantaggio lato sensu conserva-tivo del patrimonio della società.Ebbene, contrariamente a quanto ritengono i

Giudici veneziani, è proprio tale “generica” conve-nienza ad assumere reale rilievo nell’ambito dellaprocedura, in quanto, pur non producendo unamaggiore utilità patrimoniale, ma comportando, alcontrario, una (lieve) diminuzione della stessa ga-ranzia patrimoniale, appare compatibile con le esi-genze immediate del debitore stesso, che, normal-mente, si trova occupato ad approntare il piano

concordatario e/o, comunque, a procedere all’ordi-naria liquidazione dei beni.Recentemente, a conferma di tale assunto, altri

Giudici di merito, a fronte della richiesta da partedel debitore di procedere al pagamento di alcuneutenze “basilari”, hanno - di fatto - riconosciutol’“effetto utile” (67) dei relativi atti dispositivi, ri-tenendo che gli stessi non potessero considerarsiingiustificatamente depauperativi e dannosi per lamassa in quanto intesi “all’esclusivo fine di evitarel’immediata chiusura della fornitura di energia elet-trica alla società” (68).

(67) G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011,333.

(68) Trib. Torino (decr.) 12 dicembre 2013, inedito.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

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Transazione fiscale

Impugnabilità del diniegoalla transazione fiscaleCommissione Tributaria Provinciale di Milano, sez. XXV, 14 febbraio 2014, n. 1541

Concordato preventivo - Ammissione - Proposta - Transazione fiscale - Impugnazione - Ammissibilità

(legge fallimentare art. 182 ter; D.Lgs. n. 5467/1992 artt. 2 e 19, comma 1)

Deve ritenersi ammissibile l’impugnazione avanti al giudice tributario del diniego opposto dall’amministrazio-ne alla domanda di transazione fiscale.

Concordato preventivo - Ammissione - Proposta - Transazione fiscale - Compensazione - Ammissibilità

(legge fallimentare art. 182 ter; L. n. 212/2000 artt. 7 e 8)

In considerazione del principio generale dell’ordinamento tributario, secondo il quale l’obbligazione tributariapuò essere estinta anche per compensazione - seppure nei limiti previsti dalla legislazione tributaria - deve ri-tenersi ammissibile la compensazione tra crediti e debiti tributari nell’ambito della transazione fiscale previ-sta dall’art. 182 ter l.fall.

La Commissione (omissis).

L’istituto della transazione fiscale, disciplinato dall’art.182 ter della l.fall., rappresenta una particolare procedu-ra “transattiva tra erario e contribuente, inserita nelcorpo della legge fallimentare, nell’ambito del concor-dato preventivo e degli accordi di ristrutturazione,avente ad oggetto la possibilità di pagamento in misuraridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato,oltre che c.c., è da considerare un’innovazione introdot-ta nell’ordinamento tributario, nel quale è storicamenteapplicabile il principio di indisponibilità del credito tri-butario.Di conseguenza, la relativa disciplina normativa, sulpresupposto che deroga alle regole generali, non può es-sere interpretata in via analogica o estensiva, costrin-gendo l’interprete ad una stringente analisi letterale delcontenuto (art. 14 disp. sulla legge in generale). Pertan-to, per effetto del suddetto principio di indisponibilitàdel credito tributario, non è possibile pervenire ad unasoddisfazione parziale dello stesso, al di fuori della speci-fica disciplina di cui all’art. 182 ter.Ciò comporta che l’eliminazione, la decurtazione o larateizzazione del credito tributario è ammissibile soltan-to qualora il debitore si attenga con puntualità alle di-sposizioni relative alla transazione fiscale di cui all’art.182 ter; mentre, va esclusa laddove, con il piano di cuiall’art. 160 della l.fall. ai fini del concordato preventivo,ovvero nell’ambito delle trattative che precedono la sti-pula dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182bis della l.fall., la proposta di transazione fiscale non siaformulata in conformità delle citate disposizioni.

Tale conclusione vale in ogni caso, pur considerandoche, ai sensi del nuovo comma 2 dell’art. 160 l.fall., laproposta di concordato “può prevedere che i creditorimuniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano sod-disfatti integralmente”. Detta disposizione può riferirsi,infatti, ai crediti di natura tributaria a condizione chesiano rispettate le disposizioni di cui al predetto art. 182ter, per cui, in assenza della proposta di transazione fi-scale, i crediti tributari devono essere soddisfatti in ma-niera integrale ed alle scadenze prescritte dalla legge.Si osserva inoltre che, attualmente, l’inserimento dellatransazione fiscale nell’ambito delle procedure di con-cordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione fasì che la stessa risulti assistita da garanzie di controlloda parte di organi giudiziali, all’interno di una procedu-ra che vede la partecipazione dei creditori. La riformadel diritto fallimentare ha comportato l’abrogazione del-la transazione sui ruoli e la sua sostituzione con un isti-tuto molto più avanzato, qualificato come transazionefiscale, disciplinato dall’art. 182 ter l.fall., ed inserito inconcreto come procedimento endo-concorsuale.Dall’esame della documentazione in atti, si rileva che lafattispecie di cui è controversia rientra nel quadro nor-mativo prima descritto, ragion per cui la valutazione del-le doglianze avanzate dalla contribuente vanno affrontatee risolte nell’ambito della specialità della disciplina dellaprocedura concorsuale. Sul punto, si ritiene, quindi, chesotto il profilo formale sussistano tutti i presupposti chelegittimano la proposizione dell’impugnazione. Infatti, ladisciplina dell’art. 182 ter della l.fall., offre una program-mazione del rapporto con il Fisco diretta a favorire i con-notati consensuali nella soddisfazione della pretesa, con

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1222 il Fallimento 11/2014

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specifica attenuazione della storica indisponibilità del-l’obbligazione tributaria e i rigorosi vincoli formali riferi-bili al regime pubblicistico del rapporto.Tutto ciò consente alla Commissione di esprimere valu-tazioni di merito in relazione alle determinazioni del Fi-sco intraprese in ordine al diniego alla proposta di tran-sazione fiscale avanzata dalla contribuente.Come si desume chiaramente dall’art. 182 ter, comma 1,l’istituto può trovare applicazione soltanto nell’ambitodel concordata preventivo, sia esso con ristrutturazionedei debiti (art. 160, comma 1, lett. a), a con cessione deibeni (art. 160, comma 1, lett. b), ed ora, sulla base deldecreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169, anche nel-la procedura di ristrutturazione del debiti (art. 182 bis).In tal senso, dispone il contenuto letterale dell’art. 183ter, (nel testo modificato ed integrato dall’art. 32, D.L.n. 185/2008 - L. di conv. n. 2/2009), e comunque, difronte ad un qualsiasi dubbio interpretativo e/a applica-tivo va seguita la logica dell’interpretazione, in ossequioalla ratio della norma, che ha prospettato, in tal modol’eliminazione di disparità di trattamento tra le obbliga-zioni pubbliche e il concorso dei privati.In tale ottica, contrariamente, a quanto eccepito dal-l’Ufficio a supporto del diniego, è da considerare irrile-vante l’assenza del decreto ministeriale attinente allemodalità di applicazione, ai criteri ed alle condizioni divalutazione della transazione fiscale da parte degli entiimpositori, in quanto, in ogni caso, il decreto non puòavere la forza normativa di stravolgere l’assetto legislati-vo prima evidenziato; in tal caso, infatti, si realizzerebbeun’eventuale invadenza produttiva di regolamenti ecreazioni di prassi che, in ogni caso, non sono vincolan-ti in sede giurisdizionale.Sotto questa profilo, quindi, ritiene il Collegio che l’ec-cezione, ribadita dall’Ufficio nelle proprie contro dedu-zioni, a giustificazione del diniego opposto, non abbiafondamento e, quindi, va censurata.A questo punto, non è sfuggito al Collegio che il dis-senso dell’Ufficio, sostanzialmente, si fonda sulla pretesaimpraticabilità dell’estinzione dell’obbligazione tributa-ria per compensazione del credito IVA, che viene ri-condotta a mera e semplice applicazione della normatributaria che disciplina la materia. Nello stesso ambito,quindi, vanno circoscritti i termini della controversia,per cui la stessa può essere affrontata e risolta con l’ac-certamento del diritto alla compensazione del credito;tale accertamento, pertanto, e assorbente di qualsiasi al-tra eccezione e deduzione ed in grado da solo di decide-re le sorti del presente giudizio.Si sottolinea, comunque, che i complessi e dettagliationeri procedurali posti a carico degli uffici e dell’esatto-re sono funzionali alla esatta quantificazione ed al con-solidamento del debito fiscale, unitariamente inteso econtestualizzato alla fase introduttiva della domanda diconcordato preventivo.Per cui, l’eventuale diniego deve conseguire ad una ap-profondita ed immediata verifica della posizione debitoriadel contribuente, attività che dovrebbe concludersi pri-ma di opporre il diniego in merito alla liquidità e certezzadel credito IVA offerto in compensazione; mentre, nella

fattispecie in esame, l’Ufficio, ha opposto il diniego senzaavere prontamente, a seguito dell’istanza di rimborso edella presentazione della transazione, esercitato i poteriaccertativi e di controllo (in questa sede, comunque, nonconosciuti e non e data sapere se attuati) che avrebberopermesso di stabilire l’esistenza e il quantum del creditoIVA offerto in compensazione, ciò in palese violazionedel principi costituzionali di “buona fede” e “buon anda-mento” della Pubblica Amministrazione.Violando, altresì, il nucleo qualificante ed innovativodella transazione fiscale che, si ribadisce, non consistenella decurtazione dei crediti tributari (già esistente pri-ma della riforma come diretta conseguenza del concor-dato di cui all’art. 184 l.fall.), ma che consiste nel con-solidamento del rapporto con il Fisco, sui presuppostoche la transazione fiscale postula una rigorosa fase diquantificazione del debito fiscale, sullo quale si innestala definizione transattiva”; mentre, nel caso in esame(almeno da ciò che si desume dalle risultanze documen-tali) si rilevano ritardi ed imprecisioni da parte dell’Uf-ficio nel condurre e determinare gli inevitabili accerta-menti sui quali eventualmente fondare il diniego. Percui l’esigenza di ricondurre il Fisco sullo stesso piano de-gli altri creditori, ovvero di far prevalere l’interesse dellaprocedura sull’interesse fiscale, sono state per lo più di-sattese, determinando un comportamento illegittimo.Tornando alla specificità della questione, come primaevidenziato, rileva il Collegio che l’art. 160, comma 1,lett. a), della l.fall. sancisce che nella procedura di con-cordato preventivo i crediti concorsuali possono esseresoddisfatti “attraverso qualsiasi forma, anche mediantecessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordina-rie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori nonché a so-cietà da queste partecipate, di azioni, quote, ovvero ob-bligazioni anche convertibili in azioni o altri strumentifinanziari o titoli di debito.Molto più rigoroso appare, invece, il testo dell’art. 182 terl.fall., il quale prevede unicamente il “pagamento parzialeo dilazionato”. Ritiene la Commissione che tale assuntoricomprende comunque la possibilità di compensare ilcredito tributario, trattandosi pur sempre di una forma dipagamento; in tal senso, l’orientamento della Cassazione(n. 6932/84), secondo la quale “la compensazione non èammessa nella legislazione tributaria, se non nei limiti neiquali è esplicitamente regolata” (come eccepito dall’Uffi-cio nelle proprie contro deduzioni); tale assunto va armo-nizzato, in via interpretativa, con il disposto di cui all’art.8, L. n. 212/2000 (c.d. “Statuto del contribuente”).Tale norma, pur non avendo rango costituzionale, costi-tuisce principio generale dell’ordinamento tributario, ela stessa prevede espressamente che “l’obbligazione tri-butaria può essere estinta anche per compensazione” el’art. 169 l.fall. (norma speciale in quanto applicabilesolo al concordato preventivo), richiamando l’art. 56l.fall., esplicitamente disciplina i casi in cui è possibileestinguere un debito per compensazione.Deve concludersi, quindi, che anche in caso di avvio diuna procedura di transazione fiscale sia possibile com-pensare crediti e debiti tributari nei limiti imposti dal-l’art. 56 l.fall. trattandosi di norma speciale.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

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Pertanto, i ricorsi riuniti sono fondati e vanno accolti,con consequenziale annullamento degli atti impugnati;mentre le spese, in considerazione delle particolari diffi-coltà interpretative della fattispecie, dell’assenza di giu-risprudenza consolidato in merito alla determinazione

della giurisdizione tributaria in tema di transazione fi-scale nell’ambito della disciplina del concordato pre-ventivo, si ritiene sussistano giustificati motivi per pro-cedere alla loro integrale compensazione.(omissis.)

La transazione fiscale dal punto di vista del giudice tributariodi Enrico Stasi (*)

La Commissione tributaria provinciale di Milano ha annullato la dichiarazione di voto contrario ad unaproposta di concordato con transazione fiscale che prevedeva la compensazione del credito erariale conun controcredito IVA vantato dalla società ricorrente asseritamente privo del carattere della certezza.L’Autore analizza le statuizioni contenute nella pronuncia dei giudici milanesi alla luce delle opinioniespresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza, pervenendo a conclusioni sostanzialmente conformi, macriticando l’obiter dictum relativo alla obbligatorietà della transazione fiscale nel concordato preventivo.

1. Premessa

La decisione che si commenta è di grande inte-resse, perché rappresenta una delle pochissime pro-nunce rese da un giudice tributario in tema di tran-sazione fiscale.Nella fattispecie affrontata dai giudici milanesi i

punti controversi concernevano l’impugnabilità deldiniego opposto dall’amministrazione finanziaria allaproposta transazione fiscale di cui all’art. 182 terl.fall., la competenza del giudice tributario a decide-re su tale vertenza, la possibilità di compensare lereciproche posizioni creditorie e debitorie allorché ilcredito della società ricorrente sia privo del requisi-to della certezza che, secondo un consolidato orien-tamento giurisprudenziale, deve ritenersi consustan-ziale all’istituto della compensazione legale (1).

2. Impugnabilità della transazione fiscale

Iniziando dalla prima questione, la Commissionetributaria provinciale di Milano ha perentoriamen-

te affermato al riguardo che «in tema di diniego al-la transazione fiscale nessuna opposizione può esse-re sollevata circa il diritto del contribuente ad im-pugnare tale provvedimento, specialmente se que-sto ha impedito il concordato preventivo o l’accor-do di ristrutturazione del debito facendo conse-guentemente aprire la procedura fallimentare, coni relativi pesanti risvolti economici e morali per ilfallito».Così statuendo, i giudici milanesi mostrano di

aderire all’opinione espressa da quella parte delladottrina la quale ritiene che l’atto di diniego del-l’amministrazione finanziaria, cui fa seguito nelconcordato preventivo la dichiarazione di votocontrario in sede di adunanza dei creditori (2), pos-sa essere sindacato secondo il regime proprio degliatti discrezionali (3).Muovendo dal presupposto che l’attività degli

uffici finanziari deve ispirarsi, anche in subiecta ma-teria, ai fondamentali principi di legalità, imparzia-lità e buon andamento dell’amministrazione sanciti

(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, allavalutazione di un referee.

(1) Cfr., ex multis, Cass. 17 settembre 2013, n. 23573, inBig Suite; Cass. 31 maggio 2010, n. 13208, in Mass. Foro it.,2010, 599; Cass. 18 ottobre 2002, n. 14818, in Giust. civ.mass., 2002, 1822; Cass. 22 aprile 1998, n. 4073, in Rep. Foroit., 1998, Obbligazioni in genere, n. 51.

(2) Merita ricordare che l’art. 33 del D.L. n. 83/2012 (c.d.Decreto sviluppo) ha sancito la regola in base alla quale i cre-ditori hanno l’onere di manifestare espressamente il propriodissenso ove non intendano essere considerati implicitamenteassenzienti rispetto alla proposta concordataria (così S. Am-brosini, Il concordato preventivo, in F. Vassalli - F.P. Luiso -E.Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altreprocedure concorsuali, IV, Torino, 2014, 331).

(3) M. Allena, La transazione fiscale, in F. Vassalli - F.P. Lui-

so - E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e del-le altre procedure concorsuali, IV, Torino, 2014, 604 ss.; G. Ma-rini, La transazione fiscale: profili procedimentali e processuali,in F. Papparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedureconcorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, 677; V. DeBonis, Tutela giurisdizionale del contribuente avverso i provvedi-menti della transazione fiscale in ambito fallimentare, in Boll.trib., 2013, 1548 ss.; L. Del Federico, La nuova transazione fi-scale nel sistema delle procedure concorsuali, in Riv. dir. trib.,2008, I, 215 ss; Id., Profili evolutivi della transazione fiscale, inA. Jorio - M. Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bo-logna - Torino, 2010, 1224 ss.; E.A. Apicella, Diniego di transa-zione fiscale e giurisdizione amministrativa, in www.judicium.it;M. Pollio, La transazione fiscale, in G. Fauceglia e L. Panzani(diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino,2009, 1860; G. Verna, I nuovi accordi di ristrutturazione, in S.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

1224 il Fallimento 11/2014

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dall’art. 97 della Cost., adottando provvedimentifunzionali alla miglior realizzazione possibile del-l’interesse pubblico alla riscossione dei tributi, que-sti autori ritengono che il provvedimento di dinie-go debba specificare, ai sensi del combinato dispo-sto degli artt. 3 della L. n. 241/1990 e 7 della L. n.212/2000, i presupposti di fatto e le ragioni giuridi-che che hanno determinato la decisione dell’am-ministrazione, in relazione alle risultanze dell’i-struttoria, con la conseguente possibilità, da partedel debitore-contribuente, di impugnare giudizial-mente l’atto amministrativo prodromico all’espres-sione del voto negativo alla proposta di concorda-to (4).Va tuttavia avvertito che questa opinione, per

quanto largamente accreditata, non è condivisa daun’altra parte della dottrina (5) sulla scorta del ri-lievo che «l’espressione di voto contrario (…)(che è l’unica manifestazione esterna del diniego)non è rivolta al debitore, ma si inserisce (…) nellaprocedura concorsuale, quale elemento partecipati-vo del volere dei creditori in ordine all’approvazio-ne della proposta. L’effetto del voto si dissolve,perciò, all’interno del procedimento concorsuale,creando nel debitore una di quelle classiche situa-zioni di interesse di mero fatto, non tutelabili di-rettamente».Secondo un’altra tesi ancora, l’impugnazione del

diniego di transazione fiscale espresso dall’ammini-strazione finanziaria «può essere proiettata solo suun’eventuale azione risarcitoria, alla luce della giu-risprudenza che si va consolidando e che ammetteil risarcimento del danno quando l’azione impositi-va si esprime in forme vessatorie e lesive del dirittodel contribuente» (6).

3. Individuazione del giudice investito dellagiurisdizione

Una volta superata la questione pregiudizialedella impugnabilità del rifiuto opposto dall’Ammi-nistrazione finanziaria, occorre risolvere un altro

non meno dibattuto problema, vale a dire quellorelativo all’individuazione del giudice competentea decidere della lite.A tal proposito merita ricordare, anzitutto, che,

ai sensi del novellato art. 2, comma 1, D.Lgs. n.546/1992, appartengono alla giurisdizione delleCommissioni tributarie «tutte le controversieaventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie,comunque denominati compresi quelli regionali,provinciali e comunali e il contributo per il Servi-zio sanitario regionale, nonché le sovrimposte e leaddizionali, le sanzioni amministrative, comunqueirrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altroaccessorio».Restano pertanto escluse dalla giurisdizione delle

Commissioni tributarie soltanto le liti riguardantigli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifi-ca della cartella di pagamento o alla notifica del-l’avviso contenente l’ulteriore intimazione a paga-re, le quali sono demandate alla cognizione del giu-dice ordinario (art. 2, comma 1, ultima parte,D.Lgs. n. 546/1992). E sono parimenti escluse dallapotestas decidendi delle commissioni tributarie, se-condo un orientamento interpretativo ormai dalungo tempo consolidato presso i nostri giudici (7),le controversie relative alla restituzione di tributidi cui l’amministrazione finanziaria abbia pacifica-mente riconosciuto la spettanza in capo al contri-buente, senza però effettuare il relativo rimborso,giacché in tal caso non sarebbe ravvisabile unavertenza su una questione tributaria (essendo in-contestata la spettanza del diritto alla restituzionedel tributo), bensì una mera situazione di indebitooggettivo, come tale devoluta alla cognizione delgiudice ordinario. A seguito di plurimi interventidella Corte costituzionale, sono inoltre escluse dal-la giurisdizione tributaria le controversie relative alcanone per l’occupazione di spazi ed aree pubblichedi cui all’art. 63, D.Lgs. n. 446/1997 (COSAP),nonché le vertenze in tema di tariffa per lo scaricoe la depurazione delle acque reflue di cui agli artt.13 e 14, L. n. 36/1994, e artt. 154 e 155, D.Lgs. n.

Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali. Dalla ri-forma “organica” al decreto“ correttivo”, Bologna - Torino,2008, 593; V. Ficari, Riflessioni su “transazione” fiscale e “ri-strutturazione” dei debiti tributari, in Rass. trib., 2009, 68; L.Magnani, La transazione fiscale, in Schiano Di Pepe (a cura di),Il diritto fallimentare riformato, Padova, 2007, 689.

(4) Cfr., in particolare, L. Del Federico, Profili evolutivi dellatransazione fiscale, cit., 1226, anche con riferimento al diniegoespresso dagli uffici finanziari nell’ambito degli accordi di ri-strutturazione di cui all’art. 182 bis l.fall. Sulla applicabilità del-le norme sul procedimento amministrativo al settore tributario,cfr., fra gli altri, F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, I, Tori-no, 2011, 165.

(5) F. Randazzo, Il “consolidamento” del debito tributarionella transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, 831; D. Steva-nato, Transazione fiscale, in C. Cavallini (diretto da), Commenta-rio alla legge fallimentare, III, Milano, 2010, 848.

(6) M. Basilavecchia, L’azione impositiva nelle procedureconcorsuali: il caso della transazione fiscale, dagli Atti del Con-vegno Transazione fiscale a cura dell’A.C.F. (Associazione Cu-ratori Fallimentari), Roma 21 gennaio 2010; in precedenza, nel-lo stesso senso L. Magnani, La transazione fiscale, cit., 689.

(7) Ex multis, Cass., sez. un., 10 agosto 2005, n. 16776 inBig Suite; Cass., sez. un., 22 luglio 2002, n. 10725, in Big Sui-te.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

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152/2006: e ciò in base alla considerazione che am-bedue le entrate di cui trattasi hanno natura dicorrispettivo privatistico.Ai sensi dell ’art. 19, comma 1, D.Lgs. n.

546/1992, sono impugnabili davanti alle commis-sioni tributarie l’avviso di accertamento, l’avvisodi liquidazione, il provvedimento che irroga lesanzioni, il ruolo e la cartella di pagamento, l’av-viso di mora, gli atti relativi all’accatastamentodei terreni e degli immobili urbani, il rifiutoespresso o tacito di restituzione di tributi, sanzionipecuniarie, interessi e altri accessori non dovuti,il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigettodi domande di definizione agevolata di rapportitributari, ogni «altro atto per il quale la legge nepreveda l’autonoma impugnabilità davanti allecommissioni».Come non ha mancato di osservare la dottrina

più recente, si tratta di un’elencazione tassativa,ma ciascuno di questi atti può essere interpretatoestensivamente o analogicamente (8). È, infatti,affermazione costante nelle più recenti pronuncedei giudici di legittimità (9) quella secondo cui«In tema di impugnazione di atti dell’amministra-zione tributaria, nonostante l’elencazione degliatti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.Lgs.n. 546/1992, i principi costituzionali di buon an-damento della P.A. (art. 97 Cost.) e di tutela delcontribuente (art. 24 e 53 Cost.) impongono diriconoscere l’impugnabilità di tutti gli atti adotta-ti dall’ente impositore che portino, comunque, aconoscenza del contribuente una ben individuatapretesa tributaria, con l’esplicitazione delle con-crete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreg-gono, senza necessità di attendere che la stessa sivesta della forma autoritativa di uno degli atti di-

chiarati espressamente impugnabili dalla normasu richiamata, e tale impugnazione va propostadavanti al giudice tributario, in quanto munito digiurisdizione a carattere generale e competenteogni qualvolta si controverta di uno specifico rap-porto tributario». In questa chiave, sono stati, fragli altri, ritenuti impugnabili: l’avviso di paga-mento; la comunicazione di irregolarità; il diniegodi rimborso, espresso o tacito; il diniego di auto-tutela; l’ingiunzione emessa in materia di tassaper l’occupazione di spazi ed aree pubbliche aisensi del R.D. 14 aprile 1910, n. 639; l’invito “bo-nario” a versare quanto dovuto; il rifiuto di rateiz-zazione dei tributi da parte dell’Agente della ri-scossione; la richiesta di pagamento del gestoredel servizio di smaltimento, anche se mediantefattura (10).Proprio muovendo da questa premessa ermeneu-

tica, parte della dottrina (11) ha espresso l’avvisoche il rifiuto alla proposta di transazione fiscale siaequiparabile al rigetto della domanda di definizioneagevolata del rapporto tributario di cui al comma1, lett. h), dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, e che,di conseguenza, il potere di sindacare la legittimitàdel provvedimento di diniego alla transazione fi-scale spetti in via esclusiva al giudice tributario.Sulla stessa “lunghezza d’onda” la sentenza in

commento fa discendere la propria competenza ascrutinare la legittimità del rifiuto opposto dal-l’Amministrazione finanziaria dalla assimilazionedella transazione fiscale alla domanda di definizio-ne agevolata dei rapporti tributari e alla domandadi autotutela.Va tuttavia segnalato che altra dottrina (12) e

altra giurisprudenza (13) sono dell’avviso che talescrutinio rientri nelle prerogative del giudice am-

(8) G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale,Padova, 2012, 573.

(9) Cfr., fra le moltissime, Cass. 8 aprile 2014, n. 8214;Cass. 22 febbraio 2013, n. 4490; Cass. 5 ottobre 2010, n.17010; Cass. 11 maggio 2012, n. 7344; Cass., sez. un., 7 mag-gio 2010, n. 11087; Cass., sez. un., 23 aprile 2009, n. 9669, inG.T., 2009, 585 ss.; Cass. 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass. 9agosto 2007, n. 17526, in Mass. giur. it., 2007; Cass. 8 ottobre2007, n. 21045; Cass., sez. un., 26 luglio 2007, n. 16429;Cass., sez. un., 24 luglio 2007, n. 16293; Cass. 9 agosto 2006,n. 18008; Cass., sez. un., 25 maggio 2005, n. 10958.

(10) Come è stato condivisibilmente osservato in dottrina,G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 574, l’impugnazio-ne di tali atti dovrebbe ritenersi facoltativa «contrariamente,cioè, al principio per cui il mancato ricorso contro un atto im-pugnabile comporta il consolidamento di esso, e quindi la noncontestabilità del suo contenuto in sede di giudizio avverso unulteriore provvedimento che lo presupponga; rimarrebbe inve-ce possibile, ricorrendo avverso un atto “tipico” (in quanto pre-visto espressamente dall’art. 19), dedurre motivi di ricorso chesi sarebbero potuti far valere anche contro il precedente atto

“atipico”, giacché l’impugnabilità di esso risulta solo in via in-terpretativa».

(11) L. Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale,cit., 1224 ss.; V. De Bonis, Tutela giurisdizionale del contribuen-te avverso i provvedimenti della transazione fiscale in ambito fal-limentare, cit., 1541 ss. Nel vigore della vecchia transazionesui ruoli di cui all’art. 3, comma 3, del D.L. n. 138/2002, lacompetenza delle Commissioni tributarie a sindacare la legitti-mità della risposta negativa dell’Agenzia delle Entrate era stataaffermata da Cons. St., sez. IV, 10 settembre 2008, n. 4341, inForo amm. - C.d.S., 2008, 2383; T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 11giugno 2008, n. 717, in Foro amm.-T.A.R., 2008, 1775; T.A.R.Lombardia, Milano, sez. I, 7 febbraio 2007, n. 191, in Foroamm.-T.A.R., 2007, 400.

(12) L. Magnani, La transazione fiscale, cit., 689.(13) T.A.R. Calabria, Catanzaro, ord. 27 luglio 2012, n. 424,

in www.giustamm.it; Comm. trib. reg. di Roma, 27 aprile 2010,n. 138, in Giur. merito, 2010, 2317. Nel vigore dell’abrogatatransazione dei ruoli la giurisdizione del giudice amministrativoera stata affermata da Comm. trib. prov. di Roma, 8 marzo2007, n. 45, in Giust. trib., 2007, II, 773.

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ministrativo in quanto il debitore sarebbe titolaredi un interesse legittimo all’accoglimento della ri-chiesta. Mentre altri reputano, sulla base di una di-versificata serie di argomentazioni, che la giurisdi-zione spetti al giudice ordinario (14).Non mancano, infine, proposte interpretative

di segno ancora diverso, come quella di chi ritieneche contro il provvedimento di diniego dell’Am-ministrazione finanziaria non sia proponibile alcu-na azione giudiziaria, vuoi per la mancanza di uninteresse legittimo in capo al debitore, vuoi perl’impossibilità di assimilare il provvedimento dicui trattasi ad una domanda di definizione agevo-lata del rapporto tributario, «posto che questa lo-cuzione pare riferibile agli atti che ineriscono alladeterminazione della pretesa fiscale e del conse-guente debito tributario che invece nell’otticadella transazione fiscale è già compitamente de-terminato, discutendosi esclusivamente in ordineall’eventuale abbandono di una porzione del cre-dito tributario, alla luce delle sue concrete pro-spettive di esazione e degli altri interessi pubbli-ci», quali «l’interesse del sistema economico e so-ciale alla conservazione dell’impresa, nella sua di-mensione “istituzionale”, e dei posti di lavoro chequesta garantisce» (15).Tanto premesso, a me sembra che un corretto

approccio interpretativo debba tener conto delleragioni sottese al rifiuto opposto dagli enti gestoridel tributo alla proposta di transazione fiscale pre-sentata dal debitore. In quest’ottica, laddove la ri-chiesta sia respinta per motivi attinenti alle singolepretese fiscali e/o alle modalità del loro soddisfaci-mento (come è, appunto, avvenuto nel caso esami-nato dalla pronuncia milanese) la competenza nonpotrà che appartenere alle Commissioni tributa-rie (16), non potendosi lasciare privi di tutela giu-

risdizionale gli atti illegittimi dell’Erario (17), men-tre nel caso in cui il rifiuto sia fondato su valuta-zioni di ordine diverso (quali, ad esempio l’infatti-bilità del concordato o la mancanza di convenienzadello stesso), l’atto con cui detta volontà vienemanifestata non potrà formare oggetto di impugna-zione non potendosi predicare in capo al debitorel’esistenza di un interesse legittimo necessario perl’accesso alla giurisdizione nei confronti degli attidiscrezionali essendo egli titolare di un mero inte-resse di fatto afferente il merito dell’attività ammi-nistrativa. Opinare diversamente significherebbeattribuire al debitore il potere di impugnare il di-niego dell’amministrazione finanziaria alla propostadi concordato o di accordo con falcidia dei creditierariali anche quando, in conformità all’ormai pa-cificamente acquisito principio della non obbliga-torietà della transazione fiscale, egli non avesse ri-tenuto conveniente attivare il procedimento deli-neato dall’art. 182 ter l.fall., giacché pure in questasituazione l’amministrazione tributaria (come delresto ogni altra pubblica amministrazione) è tenutaad assumere le proprie determinazioni ponderandogli interessi pubblici di cui essa è portatrice, ma sa-rebbe una tesi destinata all’insuccesso implicandoun sindacato sul merito della scelta operata dagliuffici finanziari non previsto da alcuna norma dilegge.La soccombenza dell’Erario nel giudizio promos-

so innanzi al giudice tributario, oltre a comportarel’eventuale applicazione dell’art. 96, comma 3, c.c.ad opera della stessa commissione tributaria, potràcostituire il presupposto per un’azione ex art. 2043c.c. davanti al giudice ordinario (18) nei confrontidella stessa Amministrazione finanziaria per gli ul-teriori danni (ivi compresi quelli eventualmentederivanti dalla mancata omologazione del concor-

(14) E.A. Apicella, Diniego di transazione fiscale e giurisdi-zione amministrativa, cit.

(15) Così D. Stevanato, Transazione fiscale, cit., 848. In sen-so analogo, v., anche, F. Randazzo, Il “consolidamento” del de-bito tributario nella transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I,836 ss. In giurisprudenza, cfr. Comm. trib. prov. di La Spezia, 9novembre 2011, n. 202, in Mass. Comm. Trib. Liguri, 2011,324, sulla base del rilievo che il diniego espresso dall’Agenzianei confronti di una proposta di transazione fiscale non rientratra gli atti previsti dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 né nellanozione di cui all’art. 2 del medesimo decreto. Per analoghi ri-lievi v., in dottrina, L. Tosi, La transazione fiscale, in Rass.trib., 2006, 1090.

(16) Sulla impugnabilità innanzi ai giudici tributari degli attiprodromici alla definizione della procedimento di transazionefiscale, cfr. L. Magnani, La transazione fiscale, cit., 687; V. DeBonis, Tutela giurisdizionale del contribuente avverso i provvedi-menti della transazione fiscale in ambito fallimentare, cit., 1551ss.

(17) Quanto all’utilità pratica di tale azione, osserva giusta-mente L. Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale,che «risulterà ben difficile ottenere una pronuncia giurisdizio-nale utile nella serrata fase di formazione delle maggioranzeconcordatarie (e di adesione agli accordi: n.d.r.), ma questo èun inconveniente pratico (rispetto al quale giocheranno unruolo decisivo la meticolosa ponderazione degli interessi, lacongruità della motivazione dell’atto, la tempistica ed il conte-nuto dei provvedimenti cautelari, il rischio di risarcimento deidanni, ecc.)».

(18) Diversamente da quanto da altri predicato, nutro, infat-ti, forti dubbi sul fatto che la sentenza delle Cass., sez. un., 16marzo 2009, n. 6315, possa essere letta nel senso di un’esten-sione della giurisdizione tributaria alla liquidazione degli ulte-riori danni subiti dal contribuente. Sulla competenza del giudi-ce civile a giudicare della domanda di risarcimento danni neiconfronti dell’Erario, cfr., in luogo di altri e per ulteriori riferi-menti, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 563.

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dato o dell’accordo di ristrutturazione laddove il di-niego espresso dall’Erario si sia rivelato determi-nante ai fini del raggiungimento delle maggioran-ze) cagionati al contribuente dalla violazione deiprincipi di imparzialità, correttezza e di buona fede,sempreché, naturalmente, il comportamento del-l’Ente impositore sia connotato da dolo o colpagrave (19).In sede concordataria, la parte del credito chiro-

grafario dell’Erario corrispondente al controcreditodel ricorrente di cui è stata rifiutata la compensa-zione potrà non essere ammessa al voto dal giudicedelegato ai sensi dell’art. 176 l.fall., tanto piùquando prima dell’adunanza dei creditori sia inter-venuto un provvedimento cautelare di sospensionedel presidente della Commissione tributaria in baseall’art. 47 D.Lgs. n. 546/1992.In tale caso, l’opposizione al provvedimento di

esclusione del giudice delegato dovrà essere propo-sta, laddove la prova di resistenza di cui comma 2dell’art. 176 l.fall. risulti superata, nelle forme del-l’opposizione all’omologazione del concordato aisensi dell’art. 180 l.fall.Nel caso opposto di ammissione al voto del cre-

dito dell’Amministrazione finanziaria per il suointero ammontare e questo sia risultato determi-nante per il mancato raggiungimento delle mag-gioranze, si verserà nella situazione prevista dalprimo comma dell’art. 179, con conseguente pos-sibilità di esperire i rimedi impugnatori consentitidalla legge, vale a dire - secondo l’opinione che siritiene di condividere (20) - il reclamo ex art. 26l.fall. contro il decreto con il quale il giudice rife-risce al tribunale l’esito della votazione e, laddoveil gravame non venga proposto o non venga ac-colto, troveranno applicazione le norme dettatedall’art. 162 l.fall., il quale - come è noto - sem-brerebbe escludere l’impugnabilità del decretocon cui il tribunale dichiara chiusa la procedu-ra (21).

4. La compensazione nella transazionefiscale

Come è noto, le leggi tributarie prevedono nu-merose fattispecie di compensazione dei crediti fi-

scali. Ed infatti, una prima ipotesi di compensazio-ne è quella introdotta dagli artt. 17 e 30 del d.P.R.n. 633/1972 per i crediti e debiti relativi alla mede-sima imposta (c.d. compensazione verticale); unaseconda fattispecie di compensazione è quella di-sciplinata dall’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n.472/1997; una terza ipotesi di compensazione èquella, volontaria, regolata dall’art. 28 ter deld.P.R. n. 602/1973; una quarta ipotesi di compen-sazione è quella consentita tra crediti e debiti ine-renti a imposte differenti (22) ma accomunate nonsolo dall’identità dei soggetti fra i quali si instaura-no i singoli rapporti obbligatori, ma anche dall’ap-partenenza al medesimo tipo di tributo, dalla ten-denziale omogeneità di determinazione della baseimponibile e dalla unicità degli obblighi di dichia-razione (art. 2 D.L. n. 417/1991 e artt. 11, comma3, e 80 del T.U.I.R.); una quinta figura di compen-sazione è quella disciplinata dall’art. 17 del D.Lgs.n. 241/1997 (c.d. compensazione orizzontale); unasesta ipotesi di compensazione è quella previstadall’art. 28 quinquies del d.P.R. n. 602/1973 tra icrediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili ma-turati nei confronti dello Stato, degli enti pubblicinazionali, delle regioni, degli enti locali, degli entidel Servizio sanitario nazionale per somministrazio-ne, forniture e appalti, e le somme dovute a seguitodi iscrizione a ruolo. Ulteriori fattispecie di com-pensazione disciplinate dalle singole leggi d’impo-sta sono quelle previste in tema di accise, di Irap edi liquidazione dell’Iva di gruppo, di ritenute diret-te a titolo di imposta di cui agli artt. 29 e 30d.P.R. n. 600/1973.La compensazione, come modalità estintiva del-

l’obbligazione tributaria, è poi prevista, in via ge-nerale, dall’art. 8, comma 1, della L. 27 luglio2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contri-buente). Il comma 6 della disposizione in commen-to prevede l’emanazione di regolamenti di attuazio-ne dell’istituto compensativo.In dottrina è stato condivisibilmente rilevato

che tra la compensazione prevista dallo Statuto deidiritti del contribuente (c.d. compensazione “tribu-taria”) e le fattispecie di compensazione tipizzatedalle singole leggi d’imposta (c.d. compensazione

(19) Sul tema della responsabilità civile dell’Amministrazio-ne, cfr., tra le altre, Cass., sez. un., 3 giugno 2013, n. 13899;Cass. 20 aprile 2012, n. 6283; Cass. 24 ottobre 2011, n.21693; Cass. 3 marzo 2011, n. 5120; Cass., sez. un., 22 luglio1999, n. 500. Per la dottrina, cfr., fra gli altri, R. Miceli, Il siste-ma sanzionatorio tributario, in A. Fantozzi (a cura di), Diritto tri-butario, Torino, 2012, 975.

(20) T. Manferoce, Commento sub art. 179, in G. Lo Cascio

(diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2008,1569; G. D’Attorre, Commento sub art. 176, in A. Nigro - M.Sandulli - V. Santoro (a cura di), Il concordato preventivo e gliaccordi di ristrutturazione, Torino, 2014.

(21) Sul punto cfr., in luogo di altri, G. Lo Cascio, Il concor-dato preventivo, Milano 2011, 295.

(22) Cfr., sul punto, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario,cit., 288.

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“fiscale”) intercorre un rapporto di genus a species,nel senso che la prima mutua la propria disciplinadalle regole dettate per l’omonimo istituto civilisti-co ed è destinata ad operare in tutte le ipotesi didebito/credito del contribuente che non siano giàaltrove regolamentate (23).La maggioranza degli autori reputa che la com-

pensazione “tributaria” prevista dallo Statuto delcontribuente sia operante anche senza regolamentidi attuazione, non potendo la facoltà attribuita alcontribuente essere preclusa «dall’inerzia dell’am-ministrazione che ometta di adottare la normativasecondaria la quale riveste natura meramente at-tuativa, non integrativa della disposizione di rangoprimario» (24).La Cassazione sul punto non ha ancora espresso

un indirizzo univoco. Ed invero, in un primo mo-mento essa ha escluso l’immediata applicabilitàdella compensazione tributaria in assenza del rego-lamento attuativo previsto dall’art. 8 dello Statutodei diritti del contribuente, ritenendo l’istitutooperante soltanto ove espressamente consenti-to (25). In una successiva pronuncia (26), i giudicidi legittimità hanno invece affermato che, non po-tendosi considerare l’esercizio del potere regola-mentare in materia di compensazione tributariaquale condizione necessaria per l’operatività dell’i-stituto, in assenza di una specifica normativa lacompensazione in argomento deve operare secondoi principi dettati dal codice civile (art. 1241 c.c.).Successivamente, ancora, la Corte ha negato l’ope-ratività della compensazione in ambito tributario,al di fuori dei casi espressamente previsti (27). Piùdi recente, il Supremo Collegio ha nuovamentemutato opinione, osservando che «la compensazio-ne tra crediti e debiti verso lo Stato è un principioimmanente nel nostro ordinamento anche primadella codificazione di cui all’art. 8 dello Statu-to» (28).Le stesse incertezze interpretative si registrano

anche nelle pronunce delle corti di merito: ed in-fatti, mentre la possibilità di compensare i reci-

proci rapporti di debito-credito secondo i principidel codice civile è stata esclusa da Comm. trib.prov di Verona 22 marzo 2006, n. 62, (29) in sen-so opposto si sono pronunciati il Trib. Trieste 3dicembre 2007, n. 1443, (30) la Comm. trib. reg.del Friuli-Venezia Giulia 15 gennaio 2008, n. 2, ela Comm. trib. prov. di Napoli 10 ottobre 2006,n. 338.Anche la sentenza in commento ha optato per

quest’ultima, invero preferibile, soluzione inter-pretativa, affermando che la previsione del primocomma dell’art. 8 dello Statuto dei diritti delcontribuente (in base alla quale “L’obbligazionetributaria può essere estinta anche per compensa-zione”), “pur non avendo rango costituzionale,costituisce principio generale dell’ordinamentotributario”, dal quale non è consentito prescinde-re. In ambito concorsuale poi - rilevano ulterior-mente i giudici ambrosiani - la compensazione tracrediti e debiti precedenti all’apertura della pro-cedura, anche se non ancora scaduti, è espressa-mente sancita dal disposto dell’art. 56 l.fall., cuirimanda l’art. 169 l.fall. per il concordato preven-tivo. Anche l’art. 160 l.fall., comma 1, stabilendoche «il piano di concordato può prevedere la ri-strutturazione dei debiti e la soddisfazione deicrediti attraverso qualsiasi forma» (il che rende lasuccessiva elencazione normativa inequivocabil-mente non tassativa), ammette, in linea generale,tale modalità di soddisfacimento delle obbligazio-ni pregresse. Né, per quanto specificamente attie-ne all’estinzione dei debiti tributari, essa pare es-sere preclusa dal tenore letterale dell’art. 182 ter,comma 1, che parla soltanto di “pagamento par-ziale o anche dilazionato”, atteso che la compen-sazione costituisce, nel linguaggio del legislatoretributario (si vedano, ad esempio, gli artt. 28 ter e28 quater del d.P.R. n. 602/1973, recanti disposi-zioni sulla riscossione delle imposte sul reddito),una forma di pagamento. Del resto, ragionandodiversamente riuscirebbe difficile comprende laragione per quale la compensazione ex art. 56

(23) G. Girelli, La compensazione tributaria, Milano, 2010,199 ss.

(24) Cfr., in luogo di altri, G. Girelli, La compensazione tribu-taria, cit., 209; M. Mauro, Imposizione fiscale e fallimento, Tori-no, 2011, 124; A. Fedele, L’art. 8 dello Statuto dei diritti delcontribuente, in Riv. dir. trib., 2001, 884; M.S. Messina, La com-pensazione nel diritto tributario, Milano, 2006, 134; M. Basila-vecchia, Applicabilità immediata della compensazione tributaria,in Corr. trib., 2007, 40; R. Cordeiro Guerra, La compensazione,in G. Marongiu (a cura di), Lo Statuto dei diritti del contribuen-te, Torino, 2004, 27 ss.

(25) Cass. 20 aprile 2001, n. 14579, in Riv. giur. trib., 2002,1140.

(26) Cass. 25 ottobre 2006, n. 22872, in Corr. trib., 2007,35.

(27) Cass. 30 giugno 2006, n. 15123, in Bigunico; Cass. 25maggio 2007, n. 12262, Big unico.

(28) Cass. 24 novembre 2010, n. 23787, in Corr. trib., 2011,460.

(29) Pubblicata in Giust. trib., 2007, 91, con commento di S.M. Messina, Orientamenti e disorientamenti sull’applicabilitàdella compensazione nel diritto tributario.

(30) Pubblicata in Riv. giur. trib., 2008, 443, con nota di L.Zanardo, La giurisprudenza sopperisce alla mancata emanazio-ne del regolamento attuativo dell’art. 8 dello Statuto del contri-buente.

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l.fall. possa essere invocata dall’Amministrazionefinanziaria a tutela delle proprie ragioni di credi-to (31), mentre la stessa facoltà resterebbe preclu-sa al debitore (32).Questi rilievi mi sembrano senz’altro condivisi-

bili, al pari dell’ulteriore assunto secondo cui «l’e-ventuale diniego (dell’Amministrazione finanzia-ria: n.d.r.) deve conseguire ad una approfondita edimmediata verifica della posizione debitoria delcontribuente, attività che dovrebbe concludersiprima di opporre il diniego in merito alla liquiditàe certezza del credito IVA offerto in compensazio-ne; mentre nella fattispecie in esame, l’Ufficio, haopposto il diniego senza avere prontamente, a se-guito dell’istanza di rimborso e della presentazionedella transazione, esercitato i poteri accertativi e dicontrollo (…) che avrebbero permesso di stabilirel’esistenza e il quantum del credito IVA offerto incompensazione, ciò in palese violazione dei princi-pi costituzionali di “buona Fede” e “buon Anda-mento” della Pubblica Amministrazione».Come la giurisprudenza ha già avuto modo di

sottolineare (33), il principio della “collaborazione”e della “buona fede”, sancito dal primo comma del-l’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente(quale espressione dei principi costituzionali di“buon andamento” e di “imparzialità” dell’ammini-strazione), deve sempre informare lo svolgimentodelle attività di Amministrazione finanziaria e con-tribuente nei loro reciproci rapporti. E, in tale lu-ce, non v’è dubbio che tutte le volte in cui vieneattivata una domanda di transazione fiscale con ri-chiesta di compensazione del credito vantato dalcontribuente e certificato dal professionista attesta-tore ai sensi dell’art. 161, comma 3, l.fall., l’Ufficiofinanziario è tenuto a svolgere la propria attivitàistruttoria secondo il canone della lealtà, verifican-do, inter alia, l’effettiva sussistenza del credito ad-dotto in compensazione attraverso indagini serie eapprofondite e senza apriorismi “ideologici”, comela carenza del requisito dell’irrevocabile certezza

perché non sono ancora spirati i termini di deca-denza e/o di prescrizione dell’azione accertatrice operché il credito in parola non risulta da sentenzapassata in giudicato. E ciò è tanto più vero per chicome me (34) ritiene che l’Amministrazione finan-ziaria, in base ai principi suindicati, sia obbligata asvolgere controlli anche sostanziali sui rapporti tri-butari oggetto della proposta di transazione e chela conclusione dell’accordo transattivo e la succes-siva omologa del concordato comportino la consu-mazione dei poteri di accertamento dell’Erario inrelazione a quei medesimi rapporti, fatta salva lapossibilità di accertamenti integrativi in base allasopravvenuta conoscenza di nuovi elementi neitermini sanciti dalla legge per l’esercizio della pote-stà impositiva (35).In questa prospettiva, la domanda a cui occorre

pertanto rispondere è se, una volta perfezionata latransazione con l’omologazione del concordato, siao meno possibile per l’Ufficio transigente attivaregli strumenti amministrativi per il recupero dellasomma dovuta qualora risulti, in base a fatti nuovi,che il credito compensato era in tutto o in parteinesistente.Premesso che a tale riguardo non constano pre-

cedenti giurisprudenziali, né contributi dottrinali,nei casi meno gravi di assenza di fraudolenza nelcomportamento del contribuente si potrebbe pen-sare ad una soluzione analoga a quella prefiguratadalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 10/Edel 19 maggio 2000 per la compensazione di cui al-l’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, con il conseguenteobbligo del debitore di ricostituire il credito inde-bitamente utilizzato mediante versamento di unpari importo con l’aggiunta delle sanzioni e con lapossibilità di fare ricorso all’istituto del ravvedi-mento operoso (36).Nei casi di frode da parte del contribuente - il

che si verificherà tutte le volte in cui egli abbiapresentato denunce fiscali non veritiere e le passi-vità fiscali pregresse, derivanti da fatti di evasione

(31) V., infatti, la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, 12agosto 2002, n. 279, cui ha fatto seguito la Circolare 23 marzo2011 n. 13/E. Per approfondimenti sul punto, mi sia consentitorinviare al mio Opponibilità della compensazione tra crediti e de-biti tributari al cessionario del credito Iva, in Fall., 2014, 551 ss.

(32) Per un analogo rilievo, cfr. M. Mauro, Imposizione fisca-le e fallimento, 126.

(33) Cfr., tra le tante, Cass. 10 dicembre 2002, n. 17576.(34) E. Stasi, Commento sub art. 182 ter, in G. Lo Cascio,

(diretto da ), Codice commentato del fallimento, Milano, 2008,1636; G. Andreani, La transazione fiscale, in S. Ambrosini, G.Andreani, A. Tron, Crisi d’impresa e restrutturing, Milano,2013, 307 ss.; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino,2010, 270 ss.; L. Tosi, Il delicato rapporto tra attività e consenso

in ambito tributario: il caso della transazione fiscale, in Giust.trib., 2008, 31.

(35) Sui presupposti per l’emissione di atti di accertamentointegrativo ex art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, v., per tut-ti, G. Falsitta, Manuale di diritti tributario. Parte generale, Pado-va, 2012, 403 ss. Vale la pena segnalare che anche l’art. 14terdecies, comma 3, lett. c), della L. n. 3/2012 esclude dallaesdebitazione i debiti fiscali che, pur avendo causa anteriore alprovvedimento di apertura delle procedure di composizionedella crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimo-nio siano stati successivamente accertati in ragione della so-pravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

(36) in argomento, v. G. Girelli, La compensazione tributaria,cit., 168 ss.

GiurisprudenzaConcordato preventivo

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compiuti nei precedenti periodi d’imposta, non sia-no state oggetto di disclosure nel ricorso e nell’ag-giornata situazione patrimoniale, economica e fi-nanziaria di cui all’art. 161 l.fall. (37) -, l’Ammini-strazione finanziaria potrebbe richiedere l’annulla-mento della transazione ai sensi degli artt. 1973 e1975 c.c., con tutti i conseguenti effetti sulla tenu-ta del concordato.

5. Obbligatorietà della transazione fiscale

La pronuncia in commento, là dove afferma - siapure a livello di obiter dictum - che «l’eliminazione,la decurtazione o la rateizzazione del credito tribu-tario è ammissibile soltanto qualora il debitore siattenga con puntualità alle disposizioni relative al-la transazione fiscale» e che la disposizione di cuial secondo comma dell’art. 160 può riferirsi «aicrediti di natura tributaria a condizione che sianorispettate le disposizioni di cui al predetto art. 182ter, per cui, in assenza della proposta di transazionefiscale, i crediti tributari devono essere soddisfattiin maniera integrale e alle scadenze prescritte dallalegge», si pone in rotta di collisione con un orien-tamento giurisprudenziale ormai consolidato dopoil leading case di Cass. 4 novembre 2011, nn. 22931e 22932.Come messo recentemente in luce da un autore-

vole commentatore (38), nelle citate sentenze del2011, la Corte di cassazione, in sintonia con l’opi-nione di gran lunga prevalente (39), ha smentito latesi propugnata dall’Agenzia delle Entrate (circola-ri n. 40/E del 2008 e n.14/E del 2009) - ed accoltada una parte della giurisprudenza - basata sull’ob-bligatorietà della transazione fiscale in ragione del-

la ritenuta indisponibilità della pretesa erariale, op-tando per la soluzione opposta della facoltativitàdella domanda per il debitore che chieda di acce-dere al concordato preventivo o che insti per l’o-mologazione di un accordo di ristrutturazione,quand’anche egli prospetti la falcidia dei creditierariali.Sul punto la Cassazione ha definitivamente

chiarito che l’imprenditore che si appresti a deposi-tare la domanda di concordato può liberamentescegliere di trattare il debito erariale non esentatodalla falcidia ai sensi del primo comma dell’art.182 ter secondo le regole del concorso nell’ambitodi un ordinario concordato preventivo, ovverotrattare tale tipologia di debito avvalendosi dell’i-stituto della transazione fiscale.Come la Corte non ha mancato di precisare, lo

strumento di cui all’art. 182 ter l.fall. mira a unobiettivo diverso dalla pura individuazione del trat-tamento da riservare al fisco nell’ambito del con-cordato, rappresentato «dal vantaggio della apprez-zabile o assoluta certezza sull’ammontare del debito(a seconda del significato che su vuole attribuire alconsolidamento) e quindi una maggiore trasparen-za e leggibilità della proposta con conseguentemaggiore probabilità di ottenere, oltre all’assensodel fisco, anche quello degli altri creditori. Tuttociò ha però un costo che è dato dalla sostanzialenecessità di accogliere tutte le pretese dell’Ammi-nistrazione, non essendo plausibile che la stessa,dopo aver indicato il proprio credito, accetti inquesta sede di discuterlo e ridurlo. Escludendo il ri-corso alla transazione fiscale il debitore non ottie-ne i richiamati benefici ma può optare per la con-

(37) A mio modo di vedere, coloro i quali circoscrivono glieffetti del consolidamento del debito tributario derivante dalperfezionamento dalla transazione fiscale al solo profilo liqui-datorio dei crediti erariali, facendo perlopiù leva sull’argomen-tum ab inconvenienti della difficoltà di una compiuta istruttorianel termine temporale di trenta giorni previsto dalla legge (cfr.L. Del Federico, La transazione fiscale nel concordato preventivoe negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in A. Didone (a curadi), Le riforme della legge fallimentare, Torino, 2009, 2072; D.Stevanato, Transazione fiscale, in C. Cavallini (diretto da), Com-mentario alla legge fallimentare, Milano, 2010, 843; F. Randaz-zo, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fi-scale, Riv. dir. trib., 2008, I, 838 ss.), non tengono adeguata-mente conto dell’obbligo del debitore di fornire, al tribunale eai creditori, un’informazione veritiera e corretta sulla sua situa-zione reddituale e debitoria (vale la pena ricordare che la viola-zione dell’obbligo di disclosure è, ora, penalmente sanzionatadal novellato art. 11, comma 2, D.Lgs. n.74/2000), denuncian-do nella domanda di ammissione alla procedura di concordatopreventivo (la quale potrà essere preceduta dalla presentazio-ne di una o più dichiarazioni integrative a norma dell’art. 2,comma 8, del d.P.R. n. 322) tutte le passività e, dunque, anchequelle riconducibili a pregressi fatti di evasione fiscale e/o con-

tributiva (cfr. Trib. Torino 29 giugno 2010, ined.; Tribunale Mila-no 24 aprile 2007, in Fall., 2008, 102; Trib. Modena 20 ottobre2006, in Fall., 2007, 220; in dottrina cfr. D. Galletti, La revocadell’ammissione al concordato preventivo, in Giur. comm.,2009, I, 730 ss.), stante la loro pacifica natura di debiti concor-suali.

(38) S. Ambrosini, Il concordato preventivo, cit., 190 ss.(39) Cfr., fra gli altri, L. Panzani, Creditori privilegiati, credito-

ri chirografari e classi nel concordato preventivo, in F. Di Marzio(a cura di), Crisi d’impresa, Milano, 2010, 375, nota 68; G. LaCroce, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà dellatransazione fiscale nel concordato preventivo, in Fall., 2010, 142ss.; G. Fauceglia, La transazione fiscale e la domanda di concor-dato preventivo, in Dir. fall., 2009, 487 ss.; M. Pollio, La transa-zione fiscale, cit., 1843; L. Del Federico, La transazione fiscalenel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione deidebiti, cit., 2074; A. La Malfa, Rapporti tra la transazione fiscaleed il concordato preventivo, cit., 710, cui ci sia consentito ag-giungere E. Stasi, Obbligatorietà o facoltatività della transazionefiscale?, in Fall., 2011, 85 ss.; App. Torino 6 maggio 2010, cit.;App. Firenze 13 aprile 2010, cit.; App. Genova 19 dicembre2009, cit.; Trib. Asti 3 febbraio 2010, cit.; Trib. Bologna 17 set-tembre 2009, cit.; Trib. La Spezia 2 luglio 2009, cit.

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il Fallimento 11/2014 1231

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testazione della pretesa erariale in vista di un mi-nore esborso se gli importi in contestazione non in-cidono in modo rilevante e se quindi il consensodel fisco non è decisivo ai fini del raggiungimentodella maggioranza».Con le ridette pronunce “gemelle” la Cassazione

ha sancito un ulteriore principio secondo il qualeL’IVA (ma la stessa regola vale anche per ritenuteoperate e non versate e per i tributi costituenti ri-sorse proprie dell’Unione Europea) deve esseresempre pagata per il suo intero ammontare anchese il debitore non fa ricorso alla transazione fiscale,pena l’inammissibilità della proposta di concorda-to: e ciò in ragione del fatto che «la disposizioneche sostanzialmente esclude il credito Iva da quelliche possono formare oggetto di transazione, quantomeno in ordine all’ammontare del pagamento, èuna disposizione eccezionale che (…) attribuisce al

credito in questione un trattamento particolare einderogabile».Orbene, mentre questo secondo assunto è stato

fortemente criticato dalla dottrina prevalente (40) edisatteso da un parte non irrilevante dei giudici dimerito (41), formando tuttora oggetto di un accesodibattito, il principio della facoltatività della transa-zione fiscale, oltre ad essere confermato da successi-ve sentenze dei giudici di legittimità (42), ha trova-to unanime applicazione da parte dei giudici falli-mentari (43), tanto da poter essere ormai considera-to come un vero e proprio ius receptum (44).In tale luce, dal momento che pare davvero dif-

ficile immaginare un revirement della Cassazionesul punto, l’opinione espressa dai giudici ambrosia-ni nella decisione in commento sembra destinata arimanere un caso isolato nel contesto dell’attuale edel futuro panorama giurisprudenziale (45).

(40) Cfr., tra i contributi più recenti, E. STASI, Falcidiabilitàdell’Iva e delle ritenute nell’ambito del concordato preventivo, inwww.ilfallmentarista.it; M. Fabiani, Dai principi generali alla fal-cidiabilità di tutti i crediti tributari, in www.ilcaso.it; S. Ambrosini- M.A. Aiello, La transazione fiscale ex art. 182 ter l.fall. nellasentenza della Cassazione: contribuenti allegri ma non troppo, inwww.ilfallimentarista.it; G. Andreani, La cassazione ribadiscel’intangibilità dell’Iva, in www.ilfallimentarista.it.

(41) Trib. Benevento 23 aprile 2014, in www.ilcaso.it; Trib.Ascoli Piceno 14 marzo 2014, in www.ilcaso.it; App. Genova27 luglio 2013, in www.ilcaso.it; App. Venezia 23 dicembre2013, in www.ilcaso.it; Trib. Busto Arsizio 7 ottobre 2013, inwww.ilcaso.it; Trib. Campobasso 31 luglio 2013, in www.ilca-so.it; Trib. Cosenza 20 maggio 2013, in www.ilcaso.it; Trib. Co-mo 25 febbraio 2013, in www.ilcaso.it.

(42) Cass. 30 aprile 2014, n. 9541, in www.ilcaso.it; Cass.

16 maggio 2012, n. 7667, in www.ilcaso.it.(43)Ex aliis, Trib. Benevento 23 aprile 2014, cit.; Trib. Ascoli

Piceno 14 marzo 2014, cit.; App. Venezia 23 dicembre 2013,cit.; Trib. Padova 30 maggio 2013, in www.ilcaso.it; App. Bre-scia 13 settembre 2013, in www.ilcaso.it; Trib. Busto Arsizio 7ottobre 2013, cit.; Trib. Campobasso 31 luglio 2013, cit.; Trib.Brescia 11 giugno 2013, in www.ilcaso.it; Trib. Cosenza 20maggio 2013, cit.; Trib. Como 25 febbraio 2013, cit.; Trib. Vi-cenza 27 dicembre 2013, cit.

(44) In argomento, cfr. M. Fabiani, Dai principi generali allafalcidiabilità di tutti i crediti tributari, in www.ilcaso.it.

(45) In dottrina l’impostazione della Commissione tributariaprovinciale di Milano è condivisa da M. Allena, La transazionefiscale, cit., 604; C. Attardi, Inammissibilità del concordato pre-ventivo in assenza di transazione fiscale, in Il Fisco, 1, 2009,6435.

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Massimario di legittimitàLEGGE FALLIMENTARE

Art. 1

Cass. Civ., Sez. I, 16 dicembre 2013, n. 28015 - Pres. Vi-trone - Est. Didone - P.M. Carestia - S.C. (Avv. Funari) c.Curatela Fallimento Syntesi s.r.l.

Vedi Cass. 3 giugno 2010, n. 13465

1. I consorzi con attività esterna, svolgendo attività au-siliaria per conto delle imprese consorziate, costituisco-no, nei confronti dei terzi, autonomi centri di imputazio-ne di rapporti giuridici e di responsabilità e, pertanto,attesa la disciplina specificamente dettata dal codice ci-vile, che attiene al sistema di pubblicità legale relativoalla struttura organizzativa (art. 2612), alla rappresen-tanza in giudizio (art. 2613), al fondo comune (art. 2614)e, soprattutto, alla responsabilità nei confronti dei terzi(art. 2615), nonché il processo di assimilazione alle so-cietà per azioni, evincibile dalla parziale estensione del-la disciplina di dette società (art. 2615 bis, aggiunto dal-l'art. 4 della legge 10 maggio 1976, n. 377), partecipanodella stessa natura degli imprenditori commerciali con-sorziati e sono assoggettabili a fallimento ai sensi del-l'art. 1 l. fall.

Cass. Civ., sez. I, 16 dicembre 2013, n. 28015 - Pres. Vi-trone - Est. Didone - P.M. Carestia - S.C. (Avv. Funari) c.Curatela Fallimento Syntesi s.r.l.

Vedi Cass. 6 dicembre 2012, n. 21991; Cass. 28 aprile2005, n. 8849

2. Le società costituite nelle forme previste dal codicecivile ed aventi ad oggetto un'attività commerciale so-no assoggettabili a fallimento, indipendentemente dal-l'effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto es-se acquistano la qualità di imprenditore commercialedal momento della loro costituzione, non dall'inizio delconcreto esercizio dell'attività d'impresa, al contrario diquanto avviene per l'imprenditore commerciale indivi-duale. Sicché, mentre quest'ultimo è identificato dall'e-sercizio effettivo dell'attività, relativamente alle societàcommerciali è lo statuto a compiere tale identificazione,realizzandosi l'assunzione della qualità in un momentoanteriore a quello in cui è possibile, per l'impresa noncollettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, trai molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quelloconnesso alla dimensione imprenditoriale. (Nella spe-cie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che ave-va attribuito la qualità di imprenditore commerciale adun consorzio con attività esterna, costituito in forma disocietà, il cui statuto prevedeva l'esecuzione, con auto-noma organizzazione di mezzi e per conto delle impre-se consorziate, di attività di lavori edili, di trasporto,nonché di servizi amministrativi e contabili, con divisio-ne degli utili tra i soci; e ciò senza compiere alcuna veri-fica sull'effettivo svolgimento delle attività statutaria-mente previste).

Cass. Civ., Sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28667 - Pres.Rordorf - Est. Di Virgilio - P.M. Del Core - F.D. (Avv. Mel-loni) c. Credito Emiliano S.p.A.

Vedi Cass. 3 dicembre 2010, n. 24630

3. In tema di requisiti dimensionali di esonero dalla falli-bilità di cui all’art. 1, secondo comma, lett. b, l.fall. (neltesto risultante dalla riforma di cui al D.Lgs. 12 settem-bre 2007, n. 169), per l’individuazione dei “ricavi lordi”,che vanno considerati ricavi in senso tecnico, occorrefare riferimento alle voci n. 1 (“ricavi delle vendite e del-le prestazioni”) e n. 5 (“altri ricavi e proventi”) delloschema obbligatorio di conto economico previsto dal-l’art. 2425, lett. A, cod. civ. Non rientrano, invece, in talenozione le voci dalla n. 2 alla n. 4 del menzionato sche-ma e, in particolare, le variazioni delle rimanenze, lequali rappresentano dei costi comuni a più esercizi, chevengono sospesi, in conformità del principio di compe-tenza economica di cui all’art. 2423 bis cod. civ., per es-sere rinviati ai successivi esercizi, in cui si conseguiran-no i relativi ricavi.

Art. 44

Cass. Civ., Sez. I, 27 novembre 2013, n. 26501 - Pres.Rordorf - Est. Ceccherini - P.M. Fimiani - Fallimento del-la Mediterranea s.n.c. di L. M. e M. A. (Avv. Mirigliani)c. Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.A. (Avv. Manzie Trabucchi)

Vedi Cass. 22 settembre 1995, n. 10056; Cass. 7 giugno2002, n. 8274; Cass. 24 gennaio 2008, n. 1600; Cass. 10dicembre 1993, n. 12159

1. I prelievi dal conto corrente bancario fatti dal corren-tista fallito e i pagamenti eseguiti dalla banca a terzisullo stesso conto sono, a norma dell’art. 44 l.fall., inef-ficaci verso i creditori, per cui la banca, nei confronti de-gli organi della procedura, non può sottrarsi alla restitu-zione invocando l’uso fatto delle somme versate nelconto ed è tenuta a restituire quanto ricevuto dal fallitoa qualsiasi titolo, senza poter dedurre dall’obbligo di re-stituzione - nei limiti delle somme ricevute - i prelievi ei pagamenti eseguiti per conto del fallito, in ciò differen-ziandosi dall’ipotesi regolata dall’art. 42 l.fall. che, ovele rimesse costituiscano proventi di un’attività d’impre-sa (autorizzata), legittima la curatela a reclamare dallabanca la restituzione del solo saldo attivo del conto,corrispondente all’utile di impresa.

Cass. Civ., Sez. I, 27 novembre 2013, n. 26501 - Pres.Rordorf - Est. Ceccherini - P.M. Fimiani - Fallimento del-la Mediterranea s.n.c. di L. M. e M. A. (Avv. Mirigliani)c. Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.A. (Avv. Manzie Trabucchi)

2. A seguito dell’azione proposta dal curatore fallimen-tare contro il terzo per la restituzione dei pagamentieseguiti a suo favore dal fallito dopo la dichiarazione difallimento - azione che ha natura di accertamento dell’i-nefficacia dei pagamenti medesimi - sugli importi in re-

Giurisprudenza

il Fallimento 11/2014 1233

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stituzione sono dovuti gli interessi legali dalle date deisingoli pagamenti.

Art. 72

Cass. Civ., Sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28668 - Pres.Salmè - Est. Nazzicone - P.M. Capasso - D.F.P. (Avv.Musacchio) c. Fallimento della Ci - Tre di L. G. M. & C.s.n.c. (Avv. Olivieri)

Vedi Cass. 5 luglio 2000, n. 8964; Cass. 18 settembre2009, n. 20144; 23 giugno2010, n. 15218; 8 luglio 2010,n. 16160

1. L’opponibilità al fallimento della domanda giudizialedi esecuzione in forma specifica di un contratto prelimi-nare presuppone la trascrizione della domanda medesi-ma in data antecedente alla dichiarazione di fallimento,la cui prova può essere fornita esclusivamente a mezzodella produzione in giudizio - in originale o in copia con-forme - della nota di trascrizione, in quanto solo le indi-cazioni in essa riportate consentono di individuare, sen-za possibilità di equivoci ed incertezze, gli elementi es-senziali del negozio, i beni ai quali esso si riferisce ed ilsoggetto al quale la domanda sia rivolta, senza potersiattingere elementi dai titoli presentati e depositati conla nota stessa; né tale produzione, tenuto conto deicontenuti specifici che la nota è destinata a provare, èsurrogabile mediante la confessione della controparte.

Cass. Civ., Sez. VI, 5 dicembre 2013, n. 27304 - Pres. Fi-nocchiaro - Est. Frasca R.- Fallimento Bulloneria meri-dionale S.p.A. (Avv. Pisani Luca) c. Biella LeasingS.p.A. (Avv. Neri, Boggi e Recami)

Vedi Cass. 21 novembre 2006, n. 24686; Cass. 2 novem-bre 1999, n. 755

2. Spetta alla competenza del tribunale fallimentare, l’a-zione restitutoria promossa dal curatore fallimentare, aseguito di dichiarazione di scioglimento dal contratto aisensi dell’art. 72 della l.fall., in ordine alle somme corri-sposte dal fallito “in bonis” in esecuzione di un contrat-to di leasing finanziario, che si prospetti riconducibilealla disciplina dell’art. 1526 cod. civ., trattandosi di azio-ne derivante dal fallimento agli effetti dell’art. 24 dellal.fall., senza che, in contrario, assuma rilievo la circo-stanza che, sul piano sostanziale, il credito restitutorio,operando lo scioglimento con effetti “ex tunc”, abbiaquale fatto costitutivo il venir meno del contratto “aborigine” e, dunque, debba essere considerato anterioreal fallimento. (Regola competenza)

Art. 95

Cass. Civ., sez. I, 27 novembre 2013, n. 26504 - Pres.Rordorf - Est. Di Virgilio - P.M. Fimiani - Banca Popolaredi Bergamo S.p.A. (Avv. Pecora, Garrone) c. FallimentoUbbicos S.r.l. (Avv. Ribaudo, Conti)

Vedi Cass. 23 gennaio 2013, n. 1533; Cass. 4 aprile2013, n. 8246; Cass. 27 febbraio 2013, n. 4959

1. Nel giudizio di verifica dei crediti, il curatore, a normadell’art. 95, primo comma, l.fall., nel testo introdottodal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, può eccepire l’inefficaciadel titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione,anche se è prescritta la relativa azione, senza essere te-nuto, per escludere il credito o la garanzia, a proporre

l’azione revocatoria fallimentare, né ad agire in via ri-convenzionale nel giudizio di opposizione allo statopassivo promosso dal creditore ai sensi dell’art. 98 l.fall.Qualora, tuttavia, non sia stata proposta azione revoca-toria in senso formale, ma sia stata solo sollevata ecce-zione, finalizzata a paralizzare la pretesa creditoria, ilgiudice delegato non dichiara l’inefficacia del titolo delcredito o della garanzia, né dispone la restituzione, masi limita ad escludere il credito o la prelazione, a ragio-ne della revocabilità del relativo titolo, con effetti limi-tati all’ambito della verifica dello stato passivo al qualela richiesta del curatore è strettamente funzionale.

Art. 98

Cass. Civ., sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28666 - Pres.Rordorf - Est. Di Virgilio - P.M. Del Core - R.G. (De Ca-melis, Morlotti, Greco) c. Fallimento Calcestruzzi PaviaS.r.l.

Vedi Cass. 17 aprile 2013, n. 9318

1. Il ricorso per revocazione contro crediti ammessi (art.98, quarto comma, l.fall., come modificato dal D.Lgs. 9gennaio 2006, n. 5) ha carattere di impugnazione straor-dinaria, volta a conseguire il risultato che l’esecuzionecollettiva vada a favore degli effettivi creditori. Ne conse-gue che legittimati alla sua proposizione sono - oltre cheil curatore e i titolari di diritti su beni mobili e immobilidel fallito - i soli creditori ammessi al passivo, i quali pos-sono ricevere pregiudizio dal fatto che con essi concorraun soggetto privo della qualità di creditore o di creditoreprivilegiato. (Nella specie, la S.C. ha confermato il decre-to del giudice di merito, il quale aveva respinto l’impu-gnazione per revocazione dell’ammissione al passivo fal-limentare con riguardo al credito per la liquidazione diquota della società fallita, proposta da soggetti che, purvantando una pretesa diretta sulla stessa, non erano sta-ti ammessi al passivo fallimentare).

Art. 146

Cass. Civ., sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28669 - Pres.Salmè - Est. Nazzicone - P.M. Capasso - T.S., O.F. (Avv.Stella Richter) c. Fallimento della Sincies ChiementinS.p.A. (Avv. Marchio)

Vedi Cass. 27ottobre 2006, n. 23180; Cass. 28 gennaio2013, n. 1802; Cass. 15 maggio 2013, n. 1175

1. In tema di azioni di responsabilità nei confronti degliorgani sociali, l'atto di citazione deve essere caratteriz-zato da adeguata determinazione dell'oggetto del giudi-zio, dovendo esso indicare espressamente tutti gli ele-menti costitutivi della responsabilità, con espresso rife-rimento alla violazione dei doveri legali e statutari, nelrispetto del disposto dell'art. 163, terzo comma, nn. 3 e4, cod. proc. civ. Tuttavia, perché sussista la nullità del-l'atto di citazione ex art. 164, quarto comma, cod. proc.civ. è necessario che tali elementi risultino incerti edinadeguati a tratteggiare l'azione, in quanto l'incertezzanon sia marginale o superabile, ma investa l'intero con-tenuto dell'atto. (Nella specie, la S.C. ha confermato lasentenza di merito, che aveva ritenuto chiari e nonequivoci i fatti allegati dalla curatela fallimentare, seb-bene ipotizzati indistintamente in capo a tutti i conve-nuti, essendo stati specificamente individuati nell'attodi citazione sia i periodi in cui ciascuno aveva ricoperto

Giurisprudenza

1234 il Fallimento 11/2014

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la carica, sia le condotte, individuali o in concorso, adessi imputate).

Cass. Civ., sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28669 - Pres.Salmè - Est. Nazzicone - P.M. Capasso - T.S., O.F. (Avv.Stella Richter) c. Fallimento della Sincies ChiementinS.p.A. (Avv. Marchio)

Vedi Cass. 6 settembre 2007 n. 18728; Cass. 23 feb-braio 2012, n. 2758

Cass. Civ., sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28669 - Pres.Salmè - Est. Nazzicone - P.M. Capasso - T.S., O.F. (Avv.Stella Richter) c. Fallimento della Sincies ChiementinS.p.A. (Avv. Marchio)

Vedi Cass. 8 febbraio 2011, n. 3130; 26 febbraio 2013, n.4792

3. In tema di azioni di responsabilità nei confronti degliorgani sociali, quando l'accertamento di determinate si-tuazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l'ausiliodi speciali cognizioni tecniche, può essere disposta unaconsulenza tecnica d'ufficio allo scopo di acquisire ognielemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene ri-sultante da documenti non prodotti dalle parti, sempreche si tratti di fatti accessori e rientranti nell'ambitostrettamente tecnico della consulenza e non di fatti e si-tuazioni che, essendo posti direttamente a fondamentodella domanda o delle eccezioni delle parti, debbanonecessariamente essere provati dalle stesse.

Giurisprudenza

il Fallimento 11/2014 1235

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Massimario di meritoa cura di Federica Commisso e Edoardo Staunovo-Polacco

LEGGE FALLIMENTARE

Art. 42

Consiglio di Stato 30 giugno 2014 - Pres. Saltelli - Est.Gaviano - Fall. Società Marconi di G.C. s.a.s. (avv.ti M.Marpillero, B. Caravita Di Toritto) c. Comune di Pavia diUdine (avv. R. Paviotti)

1. Il curatore, sebbene abbia l’amministrazione del pa-trimonio dell’impresa fallita, non subentra negli obbli-ghi strettamente correlati alla responsabilità della stes-sa; pertanto, nell’ipotesi in cui il curatore non sia statoautorizzato a subentrare nell’attività precedentementesvolta dalla fallita, lo stesso non può essere destinata-rio di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti in-quinati per effetto di precedenti comportamenti omissi-vi o commissivi della fallita.

Art. 45

Trib. Torino 10 aprile 2014 (data decisione), decr. - Pres.Dominici - Est. Astuni - Ore di S.O. & C. s.a.s. (avv. S.Fornerone) c. Fall. Fasmap (avv. M. Vagnozzi)

1. Le disposizioni dell’art. 45 l.fall. e l’inopponibilità iviprevista riguardano solo gli atti di disposizione suscetti-bili di arrecare pregiudizio al fallimento e quindi non siapplicano ai casi in cui il fallito sia debitore ceduto; tan-t’è che la legge fallimentare ammette espressamente lapossibilità di rendersi cessionari di credito del fallito do-po la dichiarazione di fallimento.

Art. 52

Trib. Santa Maria Capua Vetere 9 maggio 2014 - Pres.ed Est. Rabuano - Fall. Ni.Dan Costruzioni (avv. Motta)c. Fall. TE.LA.CO s.r.l. (avv. Caravella)

1. Nel caso in cui, nel corso di un processo avente ad og-getto la nullità, l’annullabilità, la risoluzione o la rescis-sione del contratto e la domanda accessoria di ripetizio-ne dell’indebito, venga pronunciata la dichiarazione difallimento del convenuto, tutte le istanze, concernenti ifatti costitutivi del diritto di credito da far valere nei con-fronti della massa dei creditori (ivi compresa, in caso dirisoluzione, la relativa domanda, stante il disposto del-l’art. 72, quinto comma, l.fall.), devono essere sottopostesecondo le regole dettate dagli artt. 93 e ss. l.fall. alla co-gnizione del giudice delegato nell’ambito del giudizio diverifica.

Art. 67

Trib. Monza 17 luglio 2014 (data della decisione) - Pres.Paluchiowski - Est. Nardecchia - Banca Ifis (avv. Cam-parada) c. fall. società Gruppo Edile Caronno S.p.A. inliquidazione

1. Nella disciplina anteriore all’introduzione dell’art.69bis, secondo comma, l.fall., in caso di consecuzione

tra fallimento e concordato preventivo il dies a quo deltermine del periodo sospetto per le azioni revocatoriefallimentari va fatto retroagire alla data del depositodel decreto di ammissione alla procedura concorsualeminore.

Art. 72

Trib. Torino 17 maggio 2014 (data della decisione) - Est.Astuni in funzione di Giudice unico - Vesco (avv.ti Sal-vatore e Alessandro Vincenti) c. Fall. Ruspa Auto s.r.l.

1. Ai sensi dell’art. 72, quinto comma, l.fall., se il con-traente che ha iniziato l’azione di risoluzione contrat-tuale prima della dichiarazione di fallimento intendeottenere la restituzione di una somma o di un bene,ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la do-manda secondo le disposizioni del capo V; di conse-guenza l’azione risolutoria può proseguire nelle sediordinarie solo qualora sia fatta valere in funzione dellapura e semplice liberazione dagli obblighi contrattuali,mentre in tutti gli altri casi va riproposta nella verificadei crediti.

Art. 111

Trib. Firenze 1 luglio 2014, decr. - Pres. ed est. Mariani -B.G. (avv. T. Bua) c. Fall. Caroti e Piccardi S.r.l. (avv. F.Gaviraghi)

1. Devono considerarsi prededucibili i crediti dei profes-sionisti che assistono la società nella presentazione del-l’istanza di fallimento; essi, infatti, svolgono attivitàfunzionale alla procedura poiché è interesse del cetocreditorio che non si aggravi lo stato di dissesto.

Art. 147

App. Venezia 3 luglio 2014 (data della decisione), decr.- Pres. Rossi - Est. Di Francesco - Pieretto (avv. Filosa)c. fall. Pieretto (avv. Piovan)

1. In tema di società in accomandita semplice, la qualitàdi socio accomandante occulto è inidonea a fare presu-mere la violazione del divieto di immistione sancito dal-l’art. 2320 c.c., essendo invece all’uopo necessario ac-certare, di volta in volta, la posizione in concreto assun-ta dal socio, il quale, pertanto, assume responsabilità il-limitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell’art. 2320c.c., solo ove contravvenga al divieto di compiere atti diamministrazione o di trattare o concludere affari in no-me della società.

Art. 152

Trib. Milano 17 giugno 2014, decr. - Pres. Macchi - Est.Mammone - Derk S.r.l. in liq. (avv. F. Vismara) c. EuroInox S.r.l. ed altri (avv.ti S. Volonterio, A. Marcinkie-wicz, M. Franzini)

1. È inammissibile la domanda di concordato sottoscrit-ta dal liquidatore della società prima che la sua nomina

Giurisprudenza

1236 il Fallimento 11/2014

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sia stata iscritta nel registro delle imprese, in ragionedella nullità della procura alle liti conferita da soggettoprivo di potere.

Art. 160

Trib. Ravenna 22 maggio 2014 (data decisione), decr. -Pres. Lacentra - Est. Farolfi - Gruppo T. S.p.A.

1. Il vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. è merite-vole di tutela ove preveda un mandato irrevocabile avendere gli immobili a favore del liquidatore giudizialecondizionato alla sola omologa del concordato.

Art. 161

Trib. Brescia 9 luglio 2014, decr. - Pres. Rosa - Est. DelPorto - Sanagens s.r.l.

1. La domanda di concordato preventivo con riservapresentata senza il bilancio dell’ultimo esercizio, anchese non ancora approvato (nella specie, per mancatoraggiungimento del quorum), è inammissibile, attesoche la locuzione “unitamente ai bilanci relativi agli ulti-mi tre esercizi” di cui all’art. 161, sesto comma, l.fall.,deve essere interpretata, quanto alle società di capitali,nel senso della necessaria produzione dei bilanci redat-ti, approvati e depositati nel rispetto delle norme codi-cistiche.

Art. 177

Trib. Padova 7 luglio 2014, decr. - Pres. ed est. Santinel-lo - R. S.r.l. in liq. (avv. F. Lo Presti)

1. I fideiussori della debitrice principale proponente ilconcordato, che non abbiano adempiuto parzialmenteo integralmente la loro obbligazione prima del depositodella domanda, non sono creditori e quindi sono esclusidal diritto di voto e non partecipano alla formazionedelle maggioranze ex art. 177 l.fall.

Art. 180

Trib. Monza 11 luglio 2014, decr. - Pres. Paluchowski -Est. Nardecchia - Campisa S.r.l. (avv.ti F. Boffi, A. Picco-lini)

1. In sede di omologa del concordato il Tribunale puòaccertare incidentalmente la natura privilegiata o chiro-grafaria di un credito allo scopo di consentire il correttocalcolo delle maggioranze o di valutare la fattibilità eco-nomica del concordato

Art. 182 bis

Trib. Asti 25 giugno 2014 (data della decisione), decr. -Pres. Donato - Est. Francioso - Conbipel S.p.A.

1. In sede di omologa degli accordi di ristrutturazione alTribunale è demandata, oltre la verifica della regolaritàformale degli stessi, la verifica della legalità sostanzialeed in particolare dell’attuabilità dell’accordo con riferi-mento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale paga-mento dei creditori estranei all’accordo.

Art. 186

Trib. Modena 11 giugno 2014 - Pres. Zanichelli - Est.Mirabelli - Della Casa Francesco S.p.A. in liquidazionec. Massa dei creditori

1. Il concordato preventivo con cessione dei beni aicreditori deve essere risolto per inadempimento aisensi dell’art. 186 l.fall. quando, anche prima della li-quidazione di tutti i beni, emerge che esso è venutomeno alla sua funzione, poiché, secondo il prudenteapprezzamento del giudice del merito, le obbligazioniassunte dal debitore nella proposta concordataria nonpossono essere soddisfatte. A tal fine rileva non solo ilquantum ragionevolmente ricavabile dalla liquidazio-ne in rapporto alle passività da soddisfare, ma anchela componente temporale dell’adempimento, la qualeconcorre anch’essa a costituire la causa concreta delconcordato e deve avvenire in tempi ragionevolmentecontenuti che non possono complessivamente supera-re la ragionevole durata prevista per le procedure li-quidatorie (massimo tre anni, secondo l’orientamentodel Tribunale di Modena), e, in fase attuativa, costitui-scono uno dei parametri su cui misurare l’inadempi-mento.

Giurisprudenza

il Fallimento 11/2014 1237

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Osservatorio tributarioa cura di Enrico Stasi

LEGISLAZIONE

NOVITÀ NORMATIVE IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE E

TRASPARENZA AMMINISTRATIVA E PER L’EFFICIENZA DEGLI

UFFICI GIUDIZIARI

Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, conv. con modif.dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 - Misure urgenti perla semplificazione e la trasparenza amministrativa e perl’efficienza degli uffici giudiziari

In data 18 agosto 2014 è stata pubblicata sulla GazzettaUfficiale n. 190 la legge di conversione del D.L. 24 giugno2014, n. 90, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 144 del24 giugno 2014.In sintesi, il testo legislativo in commento prevede, tra l’al-tro, che, nelle more del riordino del sistema delle camere dicommercio, industria, artigianato e agricoltura, l’importodel diritto annuale di cui all’art. 18, l. 29 dicembre 1993, n.580, e successive modificazioni, come determinato perl’anno 2014, venga ridotto, per l’anno 2015, del 35%, perl’anno 2016, del 40% e, a decorrere dall’anno 2017, del50% (art. 28).Con l’art. 49 vengono dettate disposizioni in materia di in-formatizzazione del processo tributario e di notificazionedell’invito al pagamento del contributo unificato. In partico-lare, attraverso la modifica all’art. 16, comma 1bis, D.Lgs.31 dicembre 1992, n. 546, è previsto che nei procedimentinei quali la parte sta in giudizio personalmente e il relativoindirizzo di posta elettronica certificata non risulti dai pub-blici elenchi, la stessa possa indicare l’indirizzo di posta alquale vuol ricevere le comunicazioni. Nel testo dell’art. 17del menzionato decreto legislativo viene inoltre inserito unnuovo comma 3bis, il quale stabilisce che «In caso di man-cata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificataovvero di mancata consegna del messaggio di posta elet-tronica certificata per cause imputabili al destinatario, lecomunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante de-posito in segreteria della Commissione tributaria». Il com-ma 2 dell’art. 49 cit., modifica il comma 367 dell’art. 1 dellalegge n. 244/2007, disponendo che la notifica dell’invito alpagamento del contributo unificato sia eseguita a cura del-l’ufficio anche tramite posta elettronica certificata nel do-micilio eletto o, nel caso di mancata elezione di domicilio,sia depositato presso l’ufficio.

Riferimenti e segnalazioniLegislazione - D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in La leggePlus; l. 29 dicembre 1993, n. 580, ibidem.

DECRETO COMPETITIVITÀ

Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 91, conv. con modif.dalla legge 11 agosto 2014, n. 116 - Disposizioni urgen-ti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficien-tamento energetico dell’edilizia scolastica e universita-ria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimen-

to dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché perla definizione immediata di adempimenti derivanti dallanormativa europea

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 18 agosto 2014 è statapubblicata la legge di conversione del D.L. 24 giugno2014, n. 91, recante disposizioni volte ad aumentare lacompetitività del sistema produttivo nazionale.Tra le numerose e rilevanti misure introdotte dal c.d. decre-to Competitività possono essere qui segnalate quelle relati-ve (art. 18) alla concessione, in favore dei soggetti titolaridi reddito d’impresa, a partire dal 25 giugno 2014 e fino al30 giugno 2015, di un credito d’imposta Irpef/Ires, pari al15% delle spese sostenute per investimenti in nuovi mac-chinari ed attrezzature, superiori ad un importo unitario di10.000 euro, indicati nella divisione 28 della tabella ATECO2007, di cui al provvedimento del Direttore dell’Agenziadelle entrate 16 novembre 2007, pubblicato sulla GazzettaUfficiale n. 296 del 21 dicembre 2007. La condizione perusufruire del benefit fiscale è che i nuovi investimenti sianoincrementativi rispetto alla media delle spese per macchi-nari ed attrezzature sostenute nel quinquennio precedente,ossia che tali spese siano in eccedenza rispetto alla mediadegli investimenti realizzati nei cinque periodi d’impostaprecedenti.L’art. 19 apporta modifiche alla disciplina dell’ACE (aiutocrescita economica), di cui all’art. 1 del D.L. 6 dicembre2011, n. 201,introducendo un comma 2bis, ai sensi delquale «Per le società le cui azioni sono quotate in mercatiregolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazioni diStati membri della UE o aderenti allo Spazio economicoeuropeo, per il periodo di imposta di ammissione ai predet-ti mercati e per i due successivi, le variazioni in aumentodel capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusuradi ciascun esercizio precedente a quelli in corso nei suddet-ti periodi d’imposta è incrementata del 40 per cento. Per iperiodi d’imposta successivi la variazione in aumento delcapitale proprio è determinata senza tenere conto del sud-detto incremento». Le ulteriori modifiche al dettato dell’art.1 del decreto n. 201/2011 riguardano la facoltà per i titolaridi reddito d’impresa di convertire le eccedenze in creditod’imposta per il pagamento dell’Irap. In particolare vieneintrodotta, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31dicembre 2014, la facoltà, sia per i soggetti Irpef che perquelli Ires, di beneficiare, qualora il reddito complessivonetto sia incapiente, di un credito d’imposta pari all’ecce-denza del rendimento nozionale, da utilizzare per il paga-mento dell’Irap.

PRASSI

TRASFORMAZIONE IN CREDITO D’IMPOSTA DI ATTIVITÀ PER

IMPOSTE ANTICIPATE IRAP

Agenzia delle Entrate - Circolare n. 17/E del 16 giugno2014

Fisco e fallimentoRassegna

1238 il Fallimento 11/2014

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A seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, commi da167 a 171, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (“legge distabilità 2014”) all’ambito applicativo della disciplina dellatrasformazione in credito di imposta delle imposte differiteattive (DTA) iscritte in bilancio, con la circolare n. 17/E del16 giugno 2014 l’Agenzia delle Entrate fornisce alcuni chia-rimenti, con particolare riferimento a quelle afferenti all’Irap(DTA IRAP).Il documento di prassi in esame precisa, anzitutto, che, pereffetto dell’intervenuta modifica normativa, sono attual-mente trasformali in credito d’imposta anche le DTA IRAPafferenti a: (i) rettifiche di valore nette per deterioramentodei crediti non ancora dedotte dalla base imponibile IRAPper i soggetti che applicano l’art. 106, comma 3, del Tuir(banche, altri enti e società finanziari e imprese assicurati-ve); (ii) componenti negativi relativi al valore di avviamentoe delle atre attività immateriali, la cui deducibilità sia rinvia-ta in più esercizi, tra cui sono ricompresi, per i soggetti IASadopter, oltre ai marchi e alle attività a vita utile definita,anche le attività a vita utile indefinita deducibili secondo lemedesime regole previste per marchi/avviamento ai sensidell’art. 10 del decreto 8 giugno 2011 del Ministero dell’E-conomia e delle Finanze.Dopo aver rammentato che ai fini della quantificazione del-le DTA IRAP trasformabili restano fermi i chiarimenti fornitidalla circolare n. 37/E del 2012 in relazione alle modalitàapplicative, in ambito IRES, dell’art. 2, comma 56, D.L. n.225/2010, l’amministrazione finanziaria precisa che, in rela-zione alla “neutralizzazione” delle variazioni in diminuzione,sia ai fini IRES che ai fini IRAP, ai sensi del comma 56, de-vono essere annullate prima le variazioni in diminuzione ascadenza più prossima per un ammontare corrispondentealle DTA trasformate, indipendentemente dall’asset cui af-feriscono, secondo un criterio di tipo proporzionale chetenga conto della composizione IRES/IRAP delle DTA iscrit-te in bilancio.Il documento in esame passa quindi ad occuparsi dellanuova ipotesi di trasformazione in credito di imposta delleDTA IRAP, afferenti i componenti negativi di cui all’art. 2,comma 55, D.L. n. 225/2010, per la quota riferita ai reversalche trovano capienza nel valore della produzione netta ne-gativo, chiarendo che anche in ipotesi di conversione diDTA IRAP il valore della produzione netta negativo deve es-sere prioritariamente riferito alle variazioni in diminuzioneconnesse ai componenti che hanno dato luogo all’iscrizio-ne di imposte anticipate (a titolo di esempio vengono citatiammortamenti/svalutazioni dell’avviamento e delle altre at-tività immateriali).In relazione alle rettifiche di valore nette per deterioramen-to crediti di cui agli artt. 6, comma 1, lett. c-bis) e 7, com-ma 1, lett. b-bis) del decreto IRAP, l’Agenzia evidenzia cheai sensi del comma 55 sono convertibili le DTA connessealle svalutazioni operate a partire dal periodo di imposta incorso al 31 dicembre 2013, manifestando il parere che nondiano invece luogo a DTA convertibili le rettifiche su creditioperate in periodi d’imposta antecedenti a quello in corsoal 31 dicembre 2013.Per quanto riguarda le modalità di utilizzo del credito di im-posta, la circolare in esame evidenzia che lo stesso può es-sere utilizzato dal soggetto in capo al quale si è originatosenza limiti d’importo, ovvero, in alternativa, essere cedutoda quest’ultimo ad altre società del gruppo ai sensi dell’art.43ter, d.P.R. n. 602/1973 (entro i limiti di euro 700.000).

Per concludere, la circolare in esame rammenta che lanuova norma si applica a partire dalla dichiarazione Irap2014, relativa al periodo d’imposta 2013.

Riferimenti e segnalazioniLegislazione - D.L. 29 dicembre 2010, n. 55, in La leggePlus; L. 27 dicembre 2013, n. 147, ibidem.Prassi - Agenzia delle Entrate, Circ. 28 settembre 2012, n.37/E, in La legge Plus.

TASSAZIONE DEI REDDITI DI NATURA FINANZIARIA: I

CHIARIMENTI DELLE ENTRATE

Agenzia Entrate - Circolare n. 19/E del 27 giugno 2014

Con la circolare n. 19/E del 27 giugno 2014, l’Agenzia delleEntrate analizza la nuova disciplina relativa all’aliquota ditassazione dei redditi di natura finanziaria, di cui agli artt. 3e 4 del D.L. n. 66/2014, fornendo chiarimenti, istruzioni edesempi.L’aliquota di tassazione aumenta dal 20% al 26% sugli in-teressi e sugli altri proventi di conti correnti, depositi ban-cari e postali, maturati a far data dal 1 luglio 2014. La nuo-va misura si applica anche ai redditi di capitale derivanti daobbligazioni, titoli simili e cambiali finanziarie previste dal-l’art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 e sugli interessi, premi e al-tri proventi derivanti dalle obbligazioni, indicate nell’art. 2,comma 1, D.Lgs. n. 239/1996, maturati, indipendentemen-te dalla data di emissione dei titoli, a partire dal 1 luglio2014.Sempre da tale data, anche per i redditi diversi di natura fi-nanziaria l’aliquota di tassazione passa al 26%, con esclu-sione delle plusvalenze relative a partecipazioni qualificateindicate dalla lettera c) dell’art. 67 del Tuir. L’amministra-zione finanziaria precisa che al fine di evitare che l’aumentodell’aliquota incida sui redditi maturati antecedentementeal 1° luglio 2014, la norma prevede la possibilità di affran-care il costo o il valore di acquisto delle attività finanziariepossedute al 30 giugno 2014, con il versamento di un’im-posta sostitutiva del 20% sulle plusvalenze latenti.Per i titoli pubblici italiani e titoli equiparati emessi da orga-nismi internazionali, nonché per le obbligazioni emesse daStati esteri white list e da loro enti, viene confermata l’ali-quota del 12,5%.Il documento di prassi in commento si sofferma anche sul-l’abrogazione della ritenuta del 20%, prevista dal D.L. n.66/2014, da cui consegue l’esonero dall’obbligo di compi-lazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi daparte dei contribuenti e di segnalazione da parte degli inter-mediari.

GIURISPRUDENZA

LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE DEL CURATORE PER LE

OBBLIGAZIONI TRIBUTARIE

Cassazione civile 17 luglio 2014, n. 16373

Con la sentenza che si annota la Cassazione si è pronun-ciata in tema di responsabilità del curatore fallimentare checon il ricavato della liquidazione dell’attivo omette di soddi-sfare le pretese creditorie del Fisco.La vicenda giudiziaria trae origine dalla notifica di una car-tella di pagamento al curatore del fallimento di una società

Fisco e fallimentoRassegna

il Fallimento 11/2014 1239

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a responsabilità limitata (di cui in precedenza era stato an-che amministratore giudiziale), quale coobbligato in solido,per l’omesso versamento di imposte dovute dalla societàstessa.I giudici di prime cure avevano respinto il ricorso, postulan-do la responsabilità del professionista.L’adita Commissione tributaria regionale aveva invece ac-colto l’appello del curatore, vuoi per difetto di motivazionedella cartella, vuoi perché «ogni contestazione rivolta al-l’amministratore giudiziario ovvero al curatore fallimentareavrebbe dovuto comunque essere diretta agli organi previ-sti dalle speciali norme (Tribunale Penale o fallimentare);ed ancora (punto e) il travisamento dei fatti; dal momentoche tutta la attività svolta dal ricorrente quale curatore èstata (o dovrebbe essere stata) soggetta ad un costantecontrollo da parte delle autorità giudiziarie competenti (Giu-dici delegati di entrambe le procedure, penale e fallimenta-re, ma anche la Procura della Repubblica di Latina e il Co-mitato dei Creditori), tant’è che egli ha potuto affermare diaver sempre regolarmente adempiuto a tutti gli obblighi ealle scadenze previste dal d.P.R. n. 633 del 1972, art. 74bis, e d.P.R. n. 332 del 1998, art. 8, comma 4».L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per cassazio-ne avverso detta sentenza.La Corte di Cassazione, pur mantenendo fermo il dispositi-vo della pronuncia di seconde cure, ha corretto e integratogli assunti dei giudici di appello.In particolare, la Corte ha ritenuto applicabile, nella fatti-specie, il disposto dell’art. 36 del d.P.R. n. 602/1973, se-condo il quale «I liquidatori dei soggetti all’imposta sul red-dito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbli-go di pagare, con le attività della liquidazione, le impostedovute per il periodo della liquidazione medesima e perquelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delleimposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tri-butari o assegnano beni ai soci o associati senza avere pri-ma soddisfatto i crediti tributari. Tale responsabilità è com-misurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebberotrovato capienza in sede di graduazione dei crediti. La di-sposizione contenuta nel precedente comma si applica agliamministratori in carica all’atto dello scioglimento della so-cietà o dell’ente se non si sia provveduto alla nomina dei li-quidatori». Ad avviso della Cassazione detta disposizione,pur presentando dei caratteri di specificità, sarebbe espres-sione di un principio generale in base al quale «ciascuno ri-sponde di un evento nella misura in cui ha concorso a ca-gionarlo». Perché si possa parlare di un concorso a deter-minare il mancato pagamento di un’imposta - precisa lapronuncia in discorso - è tuttavia necessario che “talemancato pagamento sia effetto di un comportamento con-tra legem del curatore e non della mera incapienza dell’atti-vo”. Di qui l’esigenza, sul piano tributario, che nell’atto im-positivo siano enunciate le circostanze che determinano ilcattivo utilizzo dell’attivo fallimentare (quali il “soddisfaci-mento di crediti di ordine inferiore a quelli tributari”) e chetali circostanze siano provate nel giudizio.Personalmente nutro grosse perplessità sulla correttezzadella soluzione adottata dai giudici di legittimità di far rien-trare nell’alveo di applicazione del testé citato art. 36 anchela figura del curatore fallimentare, per le stesse ragioni percui, prima della modifica del primo comma dell’art. 25 deld.P.R. n. 600/1973 ad opera del D.L. n. 223/2006, la giuri-sprudenza, pressoché unanime, aveva escluso l’assogget-tamento del curatore fallimentare agli obblighi sanciti a ca-rico dei sostituti d’imposta dagli artt. 23 e ss. del d.P.R. n.

600/1973 vigenti ratione temporis, ritenendo una simile so-luzione interpretativa in contrasto con il principio di tassati-vità degli obblighi tributari e delle correlative sanzioni, cuiinerisce il carattere personale dell’obbligazione tributaria ela necessità della specifica indicazione dei soggetti tenutiall’assolvimento degli adempimenti fiscali (Cass. 14 set-tembre 1991, n. 9606). Ritengo, pertanto, che l’eventualeresponsabilità del curatore per il mancato pagamento, conle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo, delle impo-ste dovute dal fallimento e di quelle anteriori, che avrebbe-ro trovato capienza in sede di riparto qualora fosse stato ri-spettato l’ordine dei privilegi, debba essere fatta valere nongià dinanzi al giudice tributario, bensì davanti al giudice ci-vile mediante l’attivazione degli strumenti previsti dalla leg-ge fallimentare, vale a dire attraverso il reclamo ex art. 36l.fall. contro il progetto di riparto ovvero, nei limiti in cuinon si siano verificate preclusioni,con l’impugnazione delrendiconto ai sensi dell’art. 116 l.fall. o con la proposizionedi un’azione di responsabilità dopo l’approvazione del ren-diconto.

Riferimenti e segnalazioniGiurisprudenza - Cass. 8 gennaio 2014, n. 179, in La leggePlus; Cass. 23 aprile 2008, n. 10508, ibidem; Cass. 11 ago-sto 1993, n. 8549, ibidem; Cass.28 ottobre 1980, n. 5777,ibidem; Cass.14 settembre 1991, n. 9606, ibidem; Cass. 22dicembre 1994, n. 11047, ibidem Dottrina: G. Ragucci, Laresponsabilità tributaria dei liquidatori di società di capitali,Torino, 2013, 58.

LA CONSULTA NON SI È ESPRESSA IN TEMA DI

INFALCIDIABILITÀ DELL’IVA NELL’AMBITO DEL

CONCORDATO PREVENTIVO SENZA TRANSAZIONE FISCALE

Corte Costituzionale 25 luglio 2014, n. 225

Con sentenza depositata il 15 luglio 2014, n. 225, la CorteCostituzionale ha dichiarato non fondata l’eccezione di in-costituzionalità dell’art.182ter l.fall., nella parte in cui esclu-de dall’area dei tributi falcidiabili l’imposta sul valore ag-giunto.Come è noto, la questione di incostituzionalità del combi-nato disposto degli artt. 160 e 182ter l.fall. era stata solle-vata dal Tribunale di Verona con ordinanza del 10 aprile2013 «con riferimento all’art. 97 della Costituzione nellaparte in cui rendendo necessariamente inammissibile laproposta (senza transazione fiscale, n.d.r.) che non prevedal’integrale pagamento dell’Iva (ancorché risorsa propriadell’Unione Europea) non consente alla Pubblica Ammini-strazione di valutare in concreto, e nel singolo caso propo-sto e quindi senza generalizzazione, la convenienza dellaproposta e del piano dell’imprenditore che prospettino ungrado di soddisfazione del credito iva in misura pari al valo-re delle attività del proponente ed in misura superiore aquella ricavabile dalla procedura fallimentare ed anche inrelazione all’art. 3 della Costituzione nella parte in cui nonconsente alla Pubblica Amministrazione, contrariamente aquanto accade per tutti i creditori privilegiati, di accettare,in relazione a crediti Iva un pagamento inferiore al creditoma superiore a quello ricavabile dalla liquidazione del patri-monio del debitore».I giudici della Consulta non hanno ravvisato «profili di in-trinseca irragionevolezza nella disciplina dettata dal dispo-sto degli artt. 160 e 182 ter della legge fallimentare, la qua-le, ai fini dell’ammissibilità del piano di concordato conte-

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nente una proposta di transazione fiscale, regolamenta di-versamente il credito erariale IVA, riservando ad esso untrattamento necessariamente differenziato, non solo rispet-to ai crediti privilegiati in generale, ma anche nei confrontidegli altri crediti tributari assistiti da privilegio. Oltre chesull’inammissibile raffronto tra fattispecie normative etero-genee - che riflette, come si è detto un’opzione del legisla-tore interno necessitata dalla peculiare disciplina dell’IVAderivante dalle regole comunitarie - la non fondatezza dellaquestione riposa, altresì, sul rilievo che la norma interna, inmateria di transigibilità del credito IVA è, di per sé, discipli-na eccezionale rispetto al principio dell’indisponibilità dellapretesa erariale. Come affermato da questa Corte «non co-stituisce fonte di discriminazione costituzionalmente rile-vante il fatto che il legislatore abbia delimitato l’ambito diapplicazione della norma, in quanto […] non è fonte di ille-gittimità costituzionale il limite all’estensione di norme che,come quelle in esame, costituiscono deroghe a principi ge-nerali» (sentenza n. 112 del 2013, e, nello stesso senso, or-dinanza n. 49 del 2013).Come risulta evidente, la pronuncia della Corte Costituzio-nale fa espresso riferimento ad un’ipotesi di proposta diconcordato preventivo con transazione fiscale, nel cui am-bito - a quanto mi consta - il precetto che richiede il paga-mento integrale dell’Iva (e delle ritenute operate e non ver-sate) non ha mai sollevato dubbi di costituzionalità da partedi alcuno essendo esso coerente con la logica compromis-soria che ispira l’intero istituto; mentre la questione pro-spettata dal Tribunale di Verona verteva sulla conformità aCostituzione della norma ricavata dalla Cassazione attraver-so la lettura congiunta degli artt. 160 e 182ter l.fall. sullainammissibilità di una proposta di concordato senza tran-sazione fiscale che contempli il pagamento parziale dell’I-va. Ed infatti, la proposta di concordato presentata davantial giudice remittente prevedeva, alla luce delle risultanzedella relazione giurata di cui al comma 2 dell’art. 160 l.fall.,il declassamento al chirografo di una parte del credito del-l’erario per Iva ed il suo pagamento in misura percentualemediante apporti ab esterno di uno dei soci della societàdebitrice non conferiti alla procedura.

Mi sembra, pertanto, che la questione relativa alla falcidia-bilità dell’Iva all’interno di un concordato senza transazionefiscale sia tutt’altro che chiusa.In tale prospettiva, a confutazione dell’assunto (anche) deiGiudici costituzionali che fa leva sulle sentenze della Cortedi Giustizia UE che sanciscono l’illegittimità, in base allenorme dell’ordinamento comunitario, di una disposizioneche preveda la rinunzia da parte di uno Stato membro al-l’accertamento, controllo e riscossione dell’Iva, in quantociò pregiudicherebbe la riscossione di una risorsa propriadelle Comunità europee, può essere sufficiente osservarenella presente sede (a) che, alla luce del disposto del com-ma 2 dell’art. 160 l.fall., il pagamento parziale di un creditoprivilegiato (come appunto è il credito Iva e come sono icrediti erariali in generale) è possibile soltanto nell’ipotesidi incapienza del patrimonio del debitore risultante da peri-zia giurata redatta da un esperto indipendente; (b) che, intale situazione, il voto favorevole dell’Amministrazione fi-nanziaria ad una proposta concordataria che preveda unpagamento ancorché non integrale del debito Iva, nella mi-sura in cui consenta la riscossione sia pur parziale di uncredito altrimenti destinato a restare totalmente insoluto,non implica alcuna rinunzia del legislatore al proprio potereimpositivo (come è stato esattamente rilevato in dottrina,rinunciare a ciò che mai si incasserà non è, infatti, una verarinuncia) ma, tutt’al contrario, assume i connotati di un at-to di massimizzazione del gettito, pienamente rispettosodella disciplina comunitaria dell’Iva, così come interpretatadalla Corte di Lussemburgo, e ciò tanto più ove si ritenga -come a me sembra preferibile - che l’eventuale surplus (ri-spetto al valore di stima dell’esperto) derivante dalla liqui-dazione del patrimonio del debitore debba andare, anzitut-to, a beneficio dei creditori privilegiati.

Riferimenti e segnalazioniGiurisprudenza - Cass. 4 novembre 2011, nn. 22931 e22932, in La legge Plus; Cass., sez. un., 17 febbraio 2010,n. 3676, ibidem; Cass. 30 aprile 2014, n. 9541, ibidem; Cor-te di Giustizia Comunità Europee, 17 luglio 2008, n.132/06, ibidem; Corte di Giustizia Comunità Europee, 11 di-cembre 2008, n. 174/07, ibidem; Corte di Giustizia Comuni-tà Europee 29 marzo 2012, nella causa C-500/10, ibidem.

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Osservatorio sull’UnioneEuropea e sugli altri Statia cura di Patrizia De Cesari e Galeazzo Montella

LEGISLAZIONE

IL CILE HA ADOTTATO IL MODEL LAW DELL’UNCITRAL

SULL’INSOLVENZA TRANSFRONTALIERA

Abbiamo già riferito (in questa Rivista, 2014, 366) dell’attivi-tà dell’Uncitral nel campo del diritto commerciale interna-zionale, attività della quale uno dei risultati più importanti èstata l’elaborazione di una legge modello (“Model Law”)sull’insolvenza transfrontaliera.Ultimamente anche il Cile ha adottato tale legge modello:ora sono quindi venti i Paesi che hanno introdotto nel loroordinamento o direttamente la legge modello, o una legi-slazione che a questa si rifà ampiamente ed esplicitamen-te. Ecco l’elenco con le relative date: Australia (2008), Ca-nada (2005), Cile (2014), Colombia (2006), Giappone(2000), Grecia (2010), Isole Vergini Britanniche (2003),Mauritius (2009), Messico (2000), Montenegro (2002),Nuova Zelanda (2006), Polonia (2003), Regno Unito (2006),Repubblica di Corea (2006), Romania (2002), Serbia (2004),Slovenia (2007), Sud Africa (2000), Uganda (2011), e USA(2005).

IN KAZAKISTAN: LA NUOVA LEGGE SUL RECUPERO E

L’INSOLVENZA

Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la legislazioneconcorsuale (se così la si poteva chiamare) era in Kazaki-stan del tutto embrionale, di fatto confusa con le esecuzio-ni individuali: e in effetti le statistiche del 2009 riferisconoche in quell’anno si sono avuti in tutto il Paese solo 43 falli-menti di società (in un Paese, ricordiamolo, con 17 milionidi abitanti), le altre essendo procedure a carico di privati.Quanto alle procedure di ristrutturazione, nello stesso annoqueste sono state solo 14. Commenti diffusi, del resto, rife-riscono trattarsi di procedure che di concorsuale avevanopoco o nulla, essendo esse gestite di solito su impulso enel pratico interesse dei soli creditori più attivi, o addiritturadi terzi particolarmente potenti e desiderosi di appropriarsia prezzi di saldo di quelli tra gli asset del debitore più appe-tibili sotto il profilo economico.È evidente che una situazione del genere non poteva pro-seguire a lungo, tanto più se il Paese voleva presentarsisulla scena dell’economia globale con caratteristiche allet-tanti per gli investitori esteri. Però l’impulso ad una riformaè venuto non dall’interno, bensì dall’esterno, ossia dallaBanca Mondiale, la quale ha suggerito (imposto) un ener-gico intervento legislativo che ha prodotto la nuova Leggesul Recupero e l’Insolvenza, introdotta nel marzo scorso,e i cui punti qualificanti sono una maggiore protezione insenso concorsuale di tutti i creditori, garanzie sulla regolari-tà della liquidazione del patrimonio del debitore, ma soprat-tutto il sostegno alle procedure di ristrutturazione delleimprese debitrici, con anche agevolazioni creditizie, spe-

cialmente per quelle piccole e medie. Tale nuovo strumentolegislativo si applica alle sole imprese, tuttavia la BancaMondiale si sta ora attivamente adoperando per provocareuna riforma anche della legislazione sulle insolvenze indivi-duali.

IL REGNO UNITO E IL “CONTRIBUTO UNIFICATO”

Nel Regno Unito vige un sistema di anticipazione dellaspese giudiziarie sostanzialmente analogo a quello del no-stro “contributo unificato”. E, come in Italia, anche lì sisusseguono gli aumenti: potrà interessare che attualmente,per effetto di una disposizione del 22 aprile scorso, un’i-stanza di fallimento comporta una spesa di 180 sterlinese presentata dal debitore, che salgono a 280 se ad operadi un creditore o comunque di un terzo soggetto (questeultime prima ammontavano a 220 sterline). Forse, quindi, ilconfronto con il nostro contributo unificato può essere diqualche conforto per l’operatore italiano (a maggior ragio-ne visto il cambio tra l’euro e la sterlina): ma comunque an-che nel Regno Unito non manca chi sostiene che detti au-menti rientrino in una politica non tanto fiscale, bensì piùspecifica di decongestione dei carichi dei tribunali naziona-li.

GIURISPRUDENZA

L’INSOLVENCY SERVICE BRITANNICO E IL TURISMO

DELL’INSOLVENZA

Rimaniamo nel Regno Unito, dove opera, nell’ambito delDPIS (United Kingdom’s Department for Business, Innova-tion and Skills) un’agenzia governativa denominata Insol-vency Service. Strutturata in 31 sedi locali diffuse in tuttoil Paese, con i suoi 1.900 addetti l’IS svolge opera di con-sulenza e controllo sull’intero settore delle procedure diinsolvenza, collaborando così, dal lato amministrativo, conl’autorità giudiziaria. Tale attività trova il proprio statuto fun-zionale all’interno di una serie di atti legislativi (soprattutto idue Insolvency Act del 1986 e del 2000, il Company Direc-tors Disqualification Act del 1986, e l’Employment RightsAct del 1996), e si estende alla verifica e garanzia della re-golare operatività di tutto il settore della insolvenza, conanche poteri sanzionatori diretti.Ultimamente l’IS ha attuato un primo significativo interven-to in quello che ormai viene oltremanica definito il “turi-smo dell’insolvenza” nell’ambito del Regolamento n.1346/2000: a seguito di una lunga indagine, infatti, l’IS haprovocato, sulla base della Sezione 124A dell’Insolven-cyAct del 1986, da parte della High Court di Manchester laliquidazione coattiva di una società di avvocati che, fonda-ta nel 2008 e posseduta da società incorporate nel Belize ein Malesia, ma riferibili a due persone fisiche tedesche e ad

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una svizzera, aveva come propria attività principale, e, si di-rebbe, unica, la consulenza a soggetti che, operanti in Ger-mania, e lì insolventi, per ragioni loro preferivano fallire nelRegno Unito. Tale società, infatti, secondo l’addebito, co-struiva fraudolentemente prove ed argomenti (tra i qualianche finti recapiti immobiliari) intesi a dimostrare che ilCOMI di tali suoi clienti fosse collocato non in Germania,bensì, appunto, nel Regno Unito.Un portavoce dell’IS ha così commentato l’operazione:«Coloro che hanno intenzione di gestire i loro affari nel Re-gno Unito con siffatte modalità sarà bene capiscano chel’IS adotterà una ferma e decisa azione per proteggere ilpubblico e in generale l’attività imprenditoriale internazio-nale contro tali pratiche scorrette».Dal punto di vista italiano l’esistenza stessa di una agenziaquale l’IS (per maggiori informazioni v. www.bis.gov.uk/in-solvency) non può che suscitare il dispiacere che nulla delgenere esista, e comunque si faccia, nel nostro Paese acontrasto di siffatte attività, caratterizzate del resto, ci sem-bra, anche da illiceità penale.

PROCEDURE DI INSOLVENZA E RISANAMENTO AMBIENTALE

IN CANADA

In Canada è di grande attualità il tema del rapporto tra in-terventi di recupero ambientale (coi relativi costi) e proce-dure di insolvenza.Il leading case storico è costituito dalla vicenda Abitibi. Abi-tibi era una società che esercitava cinque siti industriali diproduzione di pasta di legno in Terranova e nel Labrador.Entrata in insolvenza, Abitibi veniva nel 2005 assoggettataa procedura in Montreal, dove era situata la sede ammini-strativa. Immediatamente, però, le autorità provinciali diTerranova e del Labrador ingiungevano ad Abitibi di avvia-re la bonifica dei siti collocati nei rispettivi territori. Nel con-tempo si procedeva all’esproprio dei siti stessi, così da ga-rantire il pagamento dei costi dell’intervento.La questione giunse così alla Corte di Montreal, avanti allaquale le due Province sostennero che l’obbligazione di bo-nifica non era di natura monetaria, e quindi non andavasoggetta al divieto di esecuzioni individuali sancito dalCompanies Creditors Arrangement Act (CCAA, in pratica, lalegge fallimentare canadese). Il giudice di Montreal peròdava loro torto, affermando tale natura monetaria, con laconseguenza che il rimborso delle spese di bonifica avreb-be subito la normale falcidia concorsuale, e, soprattutto,che la bonifica sarebbe stata sospesa durante la procedu-ra. Terranova e Labrador impugnavano tale decisione avan-ti, prima la Corte di appello del Quebec, e poi la SupremaCorte del Canada, ma sempre senza successo.Il caso Abitibi in realtà riportava all’evidenza un problemagià da tempo emerso in Canada, vale a dire il contrasto trale esigenze di risanamento ambientale, e quelle del concor-so tra i creditori dell’autore dell’inquinamento, ove questifosse assoggettato a procedura di insolvenza. Già nel 1997era stato stabilito che i curatori fallimentari non sono re-sponsabili per i costi di bonifica, e poi era stata anche crea-ta una sorte di superprivilegio per i costi di bonifica soste-nuti dagli enti territoriali, con una limitata prelazione sullearee interessate. Ulteriori misure si avevano, proprio sul-l’onda di Abitibi, nel 2009, ma tutte, a quanto pare, di por-tata abbastanza marginale, e certo non risolutiva.La questione si ripresentava con tutta la sua gravità, e que-sta volta a livello nazionale, con il caso Nortel NetworksCorporation, a seguito di una sentenza del 3 ottobre 2013

della Corte di appello dell’Ontario (cui se ne è affiancata al-tra in pari data nel caso - sostanzialmente analogo - North-star Aerospace (Canada)Inc.).La fattispecie di Nortel può così riassumersi: Nortel è unamultinazionale che per anni ha operato anche in Canada insvariati siti industriali, cinque dei quali, collocati nell’Onta-rio, risultavano gravemente contaminati. Il Ministero cana-dese dell’Ambiente ordinava a Nortel di provvedere alla bo-nifica. Nel frattempo, però, Nortel veniva assoggettata aprocedura di insolvenza, e quindi si poneva, in sostanzialeanalogia con Abitibi, il problema se detti ordini fossero ono soggetti alla improcedibilità disposta dal CCAA in rela-zione a siffatte ordinanze amministrative, e poi a chi doves-sero fare carico i relativi costi.In definitiva, tradotto - sia pure con qualche approssimazio-ne - in concetti giuridici italiani, il problema era se la bonifi-ca dovesse essere proseguita nonostante l’apertura dellaprocedura, e quindi i relativi costi sarebbero stati a caricodella massa, o se invece la stessa bonifica avrebbe dovutoessere interrotta, proprio per non creare un detrimento acarico dei creditori partecipanti al concorso.Fatto sta che la Corte di appello dell’Ontario ha deciso perla natura concorsuale di tali costi, sull’assunto che tutti idebiti in essere al momento dell’apertura della proceduraricadono, appunto, nel concorso, e ciò vale anche nel casodi debiti non ancora liquidi, alla relativa liquidazione prov-vedendo il curatore. Applicando tale principio al debito dibonifica ambientale, la Corte ha stabilito che qualora i) l’ob-bligazione faccia capo ad un debitore ben identificato, ii)l’inquinamento risalga ad epoca precedente l’apertura dellaprocedura di insolvenza, e iii) sia possibile la liquidazionedella obbligazione in termini monetari, il relativo debitorientra nel concorso, e va quindi pagato in moneta falli-mentare. In definitiva, quindi poiché i costi di bonifica nelcaso di Nortel obbedivano a tutti questi requisiti, il creditodella Amministrazione a titolo di rimborso di tali spese erasoggetto al concorso, e quindi anche alla falcidia.In Canada il problema ambientale è molto sentito, e nonc’è da stupirsi se questa doppia conforme Abitibi - Nortelstia suscitando grandi discussioni, e, soprattutto, critiche edisappunto nel grande pubblico, naturalmente più sensibilealle esigenze ecologiche che alle problematiche tecnichedell’insolvenza, anche se in genere si ammette che alla lu-ce del CCAA probabilmente la Corte dell’Ontario non pote-va decidere altrimenti. In altre parole, è abbastanza diffusal’opinione che il problema può essere risolto definitivamen-te solo con un intervento a livello costituzionale, trattandosidi contemperare le esigenze di autorità territoriali, soprat-tutto locali, con una normativa federale quale è, appunto, ilCCAA.

I BOND ARGENTINI GIUNGONO ALLA CORTE

INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA DELL’AJA

La vicenda giudiziaria innescata da un giudice di NewYork che ha vietato alle banche americane di pagare le ce-dole in scadenza sui bond argentini emessi nell’ambito diuna ristrutturazione di quel debito sovrano, fino a quan-do non fossero stati rimborsati i titoli pre-default del 2001, icui portatori non avevano accettato detta ristrutturazione,si è arricchita di un ulteriore capitolo (per i precedenti, v.brevemente in questa Rivista, 2013, 126; 2014, 366; e2014, 840), dopo che la Corte Suprema degli USA aveva insostanza confermato tale divieto: l’Argentina infatti nell’a-gosto scorso ha sottoposto la questione alla Corte Interna-

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zionale di Giustizia dell’Aja denunciando gli Stati Uniti, ecioè allegando che le sentenze di cui sopra costituirebberoun illecito internazionale, sotto il profilo di un attentato al-la sua sovranità.Una iniziativa in sé interessantissima, visto che essa nonsolo coinvolge il problema della responsabilità internazio-nale dello Stato per atti della sua autorità giudiziaria in-terna, ossia di un potere che, almeno secondo gli standardoccidentali, è per definizione separato ed indipendente daquello esecutivo, ma anche che comporterebbe una presadi posizione della massima autorità giurisdizionale interna-zionale sul problema, sempre più attuale, ma tuttora, comesi vede, irrisolto, dell’insolvenza sovrana.Però temiamo che queste speranze, o anche solo curiosità,andranno deluse, visto che l’Amministrazione Obama haimmediatamente fatto sapere che, a suo modo di vedere,la Corte dell’Aja non rappresenta il luogo adatto per siste-mare siffatta controversia, e senza il consenso della parte,per così dire, convenuta, la Corte semplicemente non puòemettere decisione alcuna. Ricordiamo infatti che la giuri-sdizione della ICJ (International Court of Justice) sussistesolo se entrambi gli Stati sono d’accordo su tale metodo disoluzione della controversia, ovvero se lo Stato convenutoaveva fatto in precedenza una dichiarazione di generale ac-cettazione di tale stessa giurisdizione per tutte le controver-sie che lo avessero interessato. Gli Stati Uniti tale consensopreventivo lo avevano dichiarato sin dagli albori delle Na-zioni Unite (delle quali la Corte è un organo), però poi lohanno ritirato dopo che nel 1986 si erano visti dare torto inuna controversia che addebitava loro l’attività di reparti pa-ramilitari contro il legittimo governo sandinista del Nicara-gua, e da allora nessun caso contro gli USA è stato istruitodalla ICJ senza il loro esplicito consenso. Tale improcedibili-tà è senz’altro in linea con lo statuto della Corte: temiamoquindi che il problema della insolvenza sovrana alla lucedel diritto internazionale attenderà un’altra occasione peressere affrontato ad un simile livello di autorevolezza.La ICJ ha comunque già avuto modo, sia pure in casi spe-cifici, di affrontare la tematica della insolvenza, anche secon forti connotazioni privatistiche: ricordiamo in particola-re, proprio con riguardo all’Italia, il caso Elettronica Siculaspa (ELSI), nel quale gli Stati Uniti avevano denunciatoquello che a loro modo di vedere era l’inadempimento daparte del nostro Paese al Trattato di amicizia, commercioe navigazione di Roma del 2 febbraio 1948.ELSI era una società posseduta quasi interamente da unamultinazionale americana. Nel marzo 1968 il socio ameri-cano decideva la cessazione dell’attività: interveniva però ilsindaco di Palermo, il quale requisiva l’azienda. ELSI quindichiedeva ed otteneva in proprio la dichiarazione del falli-mento, motivando tra l’altro con la perdita del controllodella società da parte degli amministratori di nomina socia-le. Nell’agosto 1969 il prefetto di Palermo dichiarava l’ille-gittimità della requisizione operata dal sindaco, e quindi ilcuratore fallimentare otteneva a carico del Ministro italianodegli Interni, nonché del Comune di Palermo, una condan-na ai danni per l’interruzione dell’attività aziendale durantela requisizione. Nel 1985 il fallimento si chiudeva senza di-videndo di sorta in favore dei soci americani. Il GovernoUSA a questo punto denunciava l’Italia alla ICJ sostenendoche la requisizione dell’azienda e il conseguente fallimentocostituivano violazione alla convenzione del 1948, che di-chiara la libertà per le società di una delle Parti di operaresul territorio dell’altra. La Corte, con una sentenza del 20luglio 1989 ha dato però ragione all’Italia, in sostanza af-

fermando che il fallimento di ELSI era stato il frutto non diuna azione discriminatoria, bensì di un obbiettivo stato diinsolvenza.Da questa iniziativa argentina, così come (naturalmente, siparva…) dalla ormai storica vicenda ELSI, si può comun-que, a nostro parere, vedere come talvolta le giurisdizioniinternazionali possano offrire spunti operativi interessantianche in un campo a prima vista inatteso, quale quello del-la insolvenza: beninteso, il ricorso alla CIJ è consentito soloagli Stati e ad altri enti dotati di personalità giuridica inter-nazionale, però ai privati si aprono grandi opportunità nonsolo, ovviamente, presso la Corte di Giustizia dell’Unioneeuropea, ma anche, e per certi versi soprattutto, avanti laCorte europea dei Diritti dell’Uomo (al riguardo, v. inquesta Rivista, 2012, 1007; il fallimento di ELSI è stato delresto alla base anche di un altro caso importante, questotutto interno, in tema di responsabilità del socio unico-ti-ranno: v. App. Palermo, 12 giugno 1982, in Dir. fall., 1983,II, 432).

ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: DUE

NUOVE SENTENZE E UNA RICHIESTA DI PRONUNCIA

PREGIUDIZIALE SUL REGOLAMENTO (CE) N. 1346/2000

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha pronunciatodue sentenze sul Regolamento n. 1346/2000 sulle procedu-re di insolvenza, entrambe in data 4 settembre 2014.Con la prima è stata decisa quella causa C-157/13 Nickel &Goeldner Spedition GmbH c. Kintra UAB, di cui avevamodato notizia in questa Rivista, 2013, 1425. La Corte ha sta-bilito che l’art.1, par. 1, del Regolamento n. 44/2001 con-cernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento el’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale,dev’essere interpretato nel senso che rientra nella nozionedi «materia civile e commerciale», l’azione di pagamento diun credito fondato sulla fornitura di servizi di trasporto,esperita dal curatore di un’impresa in fallimento. Questa èla massima: dalla motivazione poi si evince che si trattavadi credito sorto in capo al fallito in epoca precedente al suoassoggettamento a procedura concorsuale. La azione di re-cupero quindi, osserva la Corte, avrebbe potuto essere pro-posta dallo stesso creditore, prima che questi non fossepiù legittimato a farlo in conseguenza della procedura d’in-solvenza e, in tale ipotesi, essa sarebbe stata disciplinatadalle norme sulla competenza giurisdizionale stabilite dalRegolamento n. 44, e non da quelle del Regolamento n.1346, che interviene solo per le azioni che derivano diretta-mente da una procedura d’insolvenza e che sono a questastrettamente connesse.La decisione della Corte sembra esatta, e anche in una cer-ta misura prevedibile (v. al riguardo l’Osservatorio sopra ci-tato). Quanto poi al rapporto reciproco tra i due regolamen-ti per quanto riguarda sia la competenza internazionale,che il riconoscimento delle decisioni, rinviamo, brevemen-te, a questa Rivista, 2013, 1422.Con la seconda sentenza, la Corte ha deciso la causa C-327/13, Burgo Group SpA c. Illochroma SA, dalla quale siera riferito in questa Rivista, 2014, 368.Qui il thema decidendum era assai più interessante, incen-trato su certi aspetti abbastanza delicati del rapporto traprocedura principale e procedure secondarie nel Regola-mento n. 1346. La Corte ha deciso che l’art. 3, par. 2, delRegolamento dev’essere interpretato nel senso che, in ca-so di messa in liquidazione (rectius: di assoggettamento aprocedura d’insolvenza: N.d.A.) di una società in uno Stato

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membro diverso da quello dove essa ha la sua sede legale,detta società può essere oggetto anche di una procedurasecondaria di insolvenza nell’altro Stato membro, dove es-sa ha la sua sede legale e dove è dotata di personalità giu-ridica; che l’art. 29, lett. b) del Regolamento deve essere in-terpretato nel senso che la questione di sapere quale per-sona o autorità sia legittimata a chiedere l’apertura di unaprocedura secondaria di insolvenza, deve essere valutatasulla base del diritto nazionale dello Stato membro in cui èstata chiesta l’apertura di detta procedura, tuttavia, il dirittodi chiedere l’apertura di una procedura secondaria di insol-venza non può essere limitato ai soli creditori domiciliati oaventi la loro sede sociale nello Stato membro nel quale sitrova la dipendenza, ovvero ai soli creditori il cui credito de-rivi dall’esercizio di tale stessa dipendenza; e, infine, che ilRegolamento n. 1346 deve essere interpretato nel sensoche, quando la procedura principale di insolvenza è unaprocedura di liquidazione, la presa in considerazione di cri-teri di opportunità da parte del giudice al quale è chiestol’avvio di una procedura secondaria di insolvenza rientranel diritto nazionale dello Stato membro nel cui territorio èstata chiesta l’apertura di detta procedura. Tuttavia, gli Sta-ti membri, nel determinare le condizioni per l’apertura diuna procedura secondaria, devono rispettare il diritto del-l’Unione e, in particolare, i principi generali di quest’ultimononché le disposizioni del Regolamento n. 1346. Problemiimportanti ed attuali, dunque, e infatti questa sentenza sa-rà prossimamente oggetto di specifico commento in que-sta Rivista.La Corte di appello di Helsinki ha sottoposto alla Corte digiustizia una serie di quesiti sull’art. 13 del Regolamento(domanda del 30 giugno 2014, Nike Operations Nether-lands BV c. Sportland Oy, in liquidazione, C 310/14).Come si sa, l’art. 4, par. 2, lett. m) del Regolamento assog-getta alla lex fori concursus, ossia alla legge dello Stato incui si è aperta la procedura, la disciplina della nullità, del-

l’annullamento o dell’inopponibilità degli atti pregiudizievoliper la massa dei creditori, ossia anche – pacificamente,quella della revocatoria fallimentare. L’art. 13 tuttavia stabi-lisce a sua volta che tale disposizione non si applica qualo-ra «chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la mas-sa dei creditori prova che: - tale atto è soggetto alla leggedi uno Stato contraente diverso dallo Stato di apertura, eche – tale legge non consente, nella fattispecie, di impu-gnare tale atto con alcun mezzo».Questo art. 13 ha suscitato, e sta suscitando parecchi dub-bi circa la sua interpretazione e la sua collocazione siste-matica (e infatti esso è già oggetto di un quesito pregiudi-ziale alla Corte di giustizia, sollevato dal Bundesgerichtshoftedesco: v. in questa Rivista, 2014, 841): tuttavia appare ab-bastanza chiaro che la norma mette a disposizione del con-venuto in revocatoria una eccezione idonea a paralizzare lapretesa attrice, solo che si dia la duplice prova richiestadalla norma stessa. Il giudice finlandese si pone, peraltroarticolando in ben nove diversi quesiti interconnessi, unadomanda in sostanza unica, e cioè a chi faccia carico taleonere probatorio. A noi sembra che, alla luce della letteradella norma, la risposta non possa che essere univoca, siapure scandita in funzione delle varie sfaccettature nellequali il quesito si dipana, e cioè che, trattandosi di eccezio-ne ad un principio generale (quello della lex concursus del-l’art. 4), la relativa prova incomba a chi l’eccezione solleva,ossia al resistente in revocatoria (per la giurisprudenza ita-liana sull’art. 13, ma su punti di sostanza e non di oneredella prova, v. le due pronunce di Trib. Busto Arsizio, 27giugno 2008, in questa Rivista, 2009, 476; e 23 luglio 2009,inedita; nonché, a contrario ratione temporis, Cass., 4 ago-sto 2006, n. 17706, in questa Rivista, 2007, 632; specifica-mente invece sul detto onere, e nel senso da noi sopra ipo-tizzato, v. sempre Trib. Busto Arsizio 10 luglio 2012 -datadecisione-, in ilFallimentarista.com) (1).

(1) Le due sentenze e il quesito pregiudiziale di cui al testosono pubblicati per esteso in www.curia.europa.eu.

Unione europea e fallimentoRassegna

il Fallimento 11/2014 1245

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INDICE ANALITICO - ALFABETICO

Concordato preventivo

Ammissione

Procedimento

Attestazione del professionista - ‘‘Migliore soddisfa-

cimento dei creditori’’ - Applicabilita ad ogni tipologia

di procedimento

(Corte d’Appello di Venezia 30 gennaio 2014) ... . . . . . 1209

Proposta

Transazione fiscale - Impugnazione - Ammissibilita

(Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez.

XXV, 14 febbraio 2014, n. 1541) ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1222

Transazione fiscale - Compensazione - Ammissibilita

(Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez.

XXV, 14 febbraio 2014, n. 1541) ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1222

Effetti per i creditori

Soci illimitatamente responsabili

Fideiussioni - Effetti remissori - Estensione ai soci

(Cassazione Civile, Sez. I, 12 febbraio 2014, n.

3163) .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1186

Garanzie reale sui propri beni - Effetti remissori

(Cassazione Civile, Sez. I, 12 febbraio 2014, n. 3163,

ord.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1186

Fallimento

Dichiarazione

Audizione del debitore

Diritto di difesa - Conferimento dell’azienda della so-

cieta debitrice in un ‘‘trust’’ liquidatorio - Integrazio-

ne del contraddittorio nei confronti del ‘‘trust’’ - Ne-

cessita - Esclusione - Fondamento

(Cassazione Civile, Sez. I, 9 maggio 2014, n. 10105) 1150

Imprenditore cessato

Impresa svolta in forma societaria - Termine dell’an-

no - Decorrenza - Dalla data di effettiva cancellazio-

ne - Configurabilita

(Cassazione Civile, Sez. I, 9 maggio 2014, n. 10105) 1150

Sentenza

Reclamo - Effetto devolutivo - Configurabilita - Con-

seguenze

(Cassazione Civile, Sez. I, 24 marzo 2014, n. 6835) . 1173

Soggetti

Societa cooperativa - Lucro oggettivo - Compatibilita

(Cassazione Civile, Sez. I, 24 marzo 2014, n. 6835) . 1173

Effetti per il debitore

Interruzione - Riassunzione - Termine

(Tribunale di Milano 27 marzo 2014, ord.) . . . . . . . . . . . . . 1205

Fatti iscritti nel registro delle imprese - Presunzione

di conoscenza legale - Ambito processuale - Esclu-

sione

(Tribunale di Milano 27 marzo 2014, ord.) . . . . . . . . . . . . . 1205

Interruzione del processo - Conoscenza legale dellaparte interessata - Natura processuale - Dichiarazio-ne in udienza o notificazione(Tribunale di Milano 27 marzo 2014, ord.) .. . . . . . . . . . . . 1205

Effetti sui rapporti giuridici preesistenti

Trust

Contenuto liquidatorio - Nullita - Estensione agli attisegretativi(Cassazione Civile, Sez. I, 9 maggio 2014, n. 10105) 1150

Organi

Curatore

Compenso - Revoca del procedimento - Liquidazio-ne - In sede di rendiconto - Esclusione(Cassazione Civile, Sez. I, 20 marzo 2014, n. 6553) . 1181

Revoca del fallimento - Elargizione di acconti - Dirittodel fallito ‘‘in bonis’’ di ripetere le somme liquidate -Esclusione - Azione nei confronti di chi ha colpevol-mente dato causa al fallimento(Cassazione Civile, Sez. I, 20 marzo 2014, n. 6553) . 1181

1246 il Fallimento 11/2014

Indici

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