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L’ermeneutica del linguaggio delle immagini nel setting di psicologia dell’arte «Così è germinato questo fiore» Dante, Paradiso, XXXIII, 9 L’idea di allestire un laboratorio delle immagini, individuale o di gruppo, in un setting psicodinamico, anche clinico, è nata da un incontro in via de’ Cerchi, a Firenze. In un bar, “sopra due tazze di caffè fatto male”, 1 dall’osservazione e dai commenti dei turisti, dalla forza della suggestione esercitata dalle immagini sulle loro scelte, sui loro itinerari. O sulle deviazioni agli itinerari previsti, standardizzati dalle agenzie e popolati di falsi. Antonio Paolucci, 2 sostiene che Tra Duecento e Trecento Dante Alighieri “inventa” la lingua degli italiani. Utilizza il disseccato latino dell’Università e della Chiesa, lo macera nei fermenti vivi del volgare toscano e degli idiomi romanzi. Il risultato è la lingua che io scrivo e che chi mi legge intende. Negli stessi anni Giotto di Bondone “inventa”, nella scoperta del vero e nella certezza dello spazio misurabile, la “nostra” lingua figurativa, quella destinata ad arrivare fino a Masaccio («Giotto rinato» come diceva Berenson), fino a Piero della Francesca, fino a Raffaello, fino a Fontana e a 1 G. Paoli, In un caffè, 1961 2 A. Paolucci, Soprintendente nel 2004 al Polo Museale Fiorentino, in L’arte a Firenze nell’età di Dante, 1250-1300. Giunti – Firenze Musei, Firenze 2004

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L’ermeneutica del linguaggio delle immagini nel setting di

psicologia dell’arte

«Così è germinato questo fiore»

Dante, Paradiso, XXXIII, 9

L’idea di allestire un laboratorio delle immagini, individuale o di gruppo, in un setting

psicodinamico, anche clinico, è nata da un incontro in via de’ Cerchi, a Firenze. In un bar, “sopra

due tazze di caffè fatto male”,1 dall’osservazione e dai commenti dei turisti, dalla forza della

suggestione esercitata dalle immagini sulle loro scelte, sui loro itinerari. O sulle deviazioni agli

itinerari previsti, standardizzati dalle agenzie e popolati di falsi.

Antonio Paolucci,2 sostiene che

Tra Duecento e Trecento Dante Alighieri “inventa” la lingua degli italiani. Utilizza il

disseccato latino dell’Università e della Chiesa, lo macera nei fermenti vivi del volgare

toscano e degli idiomi romanzi. Il risultato è la lingua che io scrivo e che chi mi legge

intende. Negli stessi anni Giotto di Bondone “inventa”, nella scoperta del vero e nella

certezza dello spazio misurabile, la “nostra” lingua figurativa, quella destinata ad

arrivare fino a Masaccio («Giotto rinato» come diceva Berenson), fino a Piero della

Francesca, fino a Raffaello, fino a Fontana e a Burri. Questi due fenomeni grandiosi - la

nascita della lingua letteraria e della lingua figurativa di un grande popolo – avvengono

in contemporanea, negli stessi anni, fra gli ultimi del XIII e i primi del XIV secolo. E

avvengono a Firenze. In questa città è germinato il “fiore” di cui parla Dante nel XXIII

del Paradiso e che Franco Cardini mette in epigrafe al suo bellissimo saggio.

Se questo è vero, e abbiamo ragione di crederlo, allora occorre interrogarsi sulla natura prima

delle immagini che hanno ispirato Giotto di Bondone e Dante Alighieri, con la produzione di

linguaggi generativi di storia e di civiltà. Il Duecento fiorentino, l’humus che porta in sé il codice

genetico, in cui germina, il fiore del Trecento, è un luogo trascurato. Come se prima di Giotto,

1 G. Paoli, In un caffè, 19612 A. Paolucci, Soprintendente nel 2004 al Polo Museale Fiorentino, in L’arte a Firenze nell’età di Dante, 1250-1300. Giunti – Firenze Musei, Firenze 2004

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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.

come se il “prima”, non avesse avuto luogo. E’ il luogo delle origini, che per alcuni è mitico, per

altri incognito, per altri rimosso. Il piacere della ricerca ci porta talora lontanissimo, e il nostro

viaggio nel laboratorio delle immagini, alla stregua di una discesa agli inferi, deve

necessariamente prevedere una mappa, e ancora un’ipotesi di ritorno. Dobbiamo dare corpo e

forma, quindi alle corrispondenze che abbiamo ritenuto più evocative allo scenario di questo

Congresso, riservandoci il ruolo di psicologi dell’arte di matrice dichiaratamente psicodinamica,

e incidentalmente o qualora necessario, psicoanalitica. Le chiavi di lettura e gli spunti

interpretativi dell’opera nella pratica psicoanalitica sono di fatto pressoché illimitati,

rappresentano un patrimonio inestimabile di potenzialità, sia per lo psicoanalista sia per

l’analizzando, e per la diade analitica.

Un lavoro, che sia prodotto, fruito, incompiuto, mostrato, o donato, rappresenta per la coppia

analitica una “sfida” alla consapevolezza e alla presentazione presso un pubblico. Un lavoro può

emozionare e far riflettere (che sono le funzioni dell’arte) al di là della soggettività che si

concreta nel “mi piace” – “non mi piace”.

Il tema centrale dell’ermeneutica delle immagini, ovvero di una interpretazione dotata di norme

e di coerenza interna, alla luce di una metodologia accertata, concordata, è certamente la

soggettività.

La soggettività è tale, e può essere anche riconosciuta, da un punto di vista psicologico,

psicodinamico e interpersonale, all’interno di una intersoggettività, a sua volta riconosciuta

come luogo tra due soggettività, e che appartiene solo e soltanto alle due soggettività in gioco.

L’opera d’arte non è il medium tra le due soggettività, altrimenti andrebbe a costituire un

linguaggio tra le due soggettività che diversamente non potrebbero porsi in dialettica.

Noi crediamo, soprattutto alla luce della ricerca svolta nei nostri Seminari di Psicologia dell’Arte,

che l’opera non sia un mediatore linguistico o meglio non solo, ma più verosimilmente un luogo

di espressione del mondo immaginale, del pensiero immaginale, della cosiddetta “base poetica

della mente”,3 afferente al regno dello spazio e non solo sotto il dominio del linguaggio. Il regno

dello spazio è soggetto al corpo e al suo avere luogo senza dover dar prova di sé, e pertanto

strettamente legato all’appercezione, al movimento, alla vista, al tatto.

In Kant, l’appercezione empirica indica l’attività della coscienza che deve accompagnare tutte le

rappresentazioni; l’appercezione pura (o trascendentale, o originaria) è l’autocoscienza, il centro

di riferimento unitario di tutte le rappresentazioni; in tal senso coincide con l’Io-penso, e

3 Hillman; Candreva, Rombolà Corsini.

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probabilmente in senso psicologico può coincidere con la soggettività, e più estensivamente con

la percezione della propria identità somatopsichica.

Le forze in gioco sono costituite da tutte le categorie interessate all’opera, a partire dalla

materia con cui è fatta. Dal periodo storico, dal contesto socio-culturale, dal vissuto dell’autore e

dalla sua storia, dalla fisica e dalla geometria euclidea, dal fine che doveva raggiungere, e da

quanto entra in contatto con il mondo esterno. Dallo “sguardo” di chi osserva, e vede, e informa

di sé, del suo spazio e della sua angolazione. La soggettività quindi si definisce come un “apriori”

sia nella produzione sia nella fruizione dell’opera d’arte.

Darsi una mappa richiede ancora la mediazione linguistica, di un linguaggio che abbia il portato

dello spazio e del “dove”. Se Lacan sostiene che l’inconscio sia strutturato come un linguaggio,

parafrasando Hillman, pensiamo che il linguaggio sia talora strutturato, per lo meno in alcune

dimensioni, come UN inconscio. Uno perché, lo sappiamo dai padri fondatori, non ve n’è uno

solo. Disponiamo di gradazioni e di allocazioni diverse dell’inconscio, che sia implicito 4 o sociale5,

che sia collettivo6 o individuale, si tratta dell’inconscio di una organizzazione psichica dai

contorni difficili da tenere a bada.

Per decifrare un linguaggio occorre una stele di rosetta. Il lavoro con le immagini richiede di

lavorare al mosaico. Decifrare un mosaico significa riempirlo, riempire e completare le tessere

mancanti. Il mosaico possiede linguaggi geometrici, la stele è sorretta da un collagene della

mente. Occorre un retinolo neuronale, occorre una vera e propria opera al nero per assumere la

richiesta di individuazione e di aggiornamento dell’immagine data per buona, nel tentativo di

rendere il tutto il più possibile simile o vicino o approssimato all’immagine che si ritiene

originale. Questo lavoro è di ordine ermeneutico, poiché solo assumendo la necessità di

interpretare l’immagine finale che possiamo raggiungere la traccia dell’immagine originale.

La riflessione è l’appropriazione del nostro sforzo per

esistere e del nostro desiderio d’essere, attraverso le opere

che testimoniano di questo sforzo e di questo desiderio. Per

questo motivo la riflessione è piú di una semplice critica del

giudizio morale; anteriormente a ogni critica del giudizio,

essa riflette su quell’atto di esistere da noi dispiegato nello

4 v. contributo Martelli e Tosarelli5 Erich Fromm6 Carl Gustav Jung

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sforzo e nel desiderio. (Paul Ricouer, Sull'interpretazione.

Saggio su Freud)

Sul piano metodologico, sappiamo che il circolo ermeneutico definisce il procedimento circolare

che fonda ogni atto interpretativo. Questa espressione fa riferimento all'ermeneutica che in

filosofia tratta della teoria dell'interpretazione (dal greco ἑρμηνευτική τέχνη - hermeneutikè

tèchne, arte o tecnica della interpretazione).

Il movimento circolare della interpretazione muove dalle parti che compongono il testo da

interpretare al tutto e, viceversa, dal tutto alle parti. Vi è un continuo scambio tra le cose

conosciute e quelle da conoscere, "le parti", che vanno a loro volta a modificare il complesso del

sapere, "il tutto".

Il termine è stato coniato da Dilthey nell'Origine dell'ermeneutica (1900) ed è stato ripreso nel

Novecento da filosofi, tra cui Martin Heidegger (1927) e Hans Georg Gadamer (1960). Con Paul

Ricoeur e il suo “arco ermeneutico”, la riflessione di ordine circolare assurge a metodologia

dell’interpretazione, in grado di confrontarsi con le scienze della spiegazione attraverso l’opera

di comprensione del mondo dischiuso dall’oggetto dell’interpretazione.

"Comprensione e spiegazione non si oppongono come due metodi. In senso stretto, solo la

spiegazione è metodica. La comprensione è il momento non metodico che precede,

accompagna e circonda la spiegazione. In questo senso, la comprensione include la spiegazione.

Di rimando, la spiegazione sviluppa analiticamente la comprensione ". In Ricoeur non c'è posto

per l'aut-aut del metodo e della verità: il luogo privilegiato della loro articolazione è il testo.

L'ermeneutica si definisce operativamente come lavoro dell'interpretazione testuale, che ha nel

testo il punto focale, e testo è qualsiasi discorso/issato dalla scrittura che nel contempo lo rende

irriducibile e non assimilabile direttamente alle modalità discorsive del dialogo ed autonomo

semanticamente dall'intenzione soggettiva dell'autore; esso si realizza nella complessa

relazione-mediazione con l'atto della lettura, che a sua volta appare un atto concreto nel quale si

completa l'autonomia dell'opera e si dischiude il destino aperto del testo.

Questa prospettiva metodologica non solo apre alla dialettica tra i poli spiegazione e

comprensione situati ai poli dell’Arco Ermeneutico. E’ una metodologia che diventa possibilità di

indagine nelle strutture antistrutturalistiche del pensiero immaginale, le non-strutture alla base

del mondo immaginale che fonda la teoria della mente dell’artista. Se verità e metodo non si

devono più far posto reciprocamente per far stare nella stanza l’interprete in forma

interdipendente e vincolante, ma possono comodamente stare nello stesso luogo in una

prospettiva ancora una volta intersoggettiva, non si tratta di due metodi ma di polarità, come

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afferma lo stesso Ricoeur. La visione archetipica dell’Arco apre ad Anima e alle sue complicazioni

seducenti, angeliche, ermetiche. Ai suoi movimenti interni mercuriali, propri di “hermeneus”,

interprete, messaggero (ed Hermes era Mercurio per i Greci, il messaggero degli dèi), borsaiolo,

commerciante e "che froda con le parole", cioè colui che 'trama con la parola', che la

padroneggia e la simula agli altri, che non la comprendono offrendo possibilità di riflessioni

metaforizzanti al profano non capisce il linguaggio degli iniziati. Ermetismo, pertanto, inteso

come funzione esoterica del linguaggio. L'ermetismo restituisce alla cultura il senso delle sue

mitologie, delle metafore, delle allegorie religiose, ci apre l'accesso al mondo degli dèi e dei

simboli.

Si aprono una serie di interrogativi che demandano ad una complessità ed una

problematizzazione di ordine epistemico rispetto all’arte.

L’arte è un principio fondante o una conseguenza emergente? L’arte è un linguaggio naturale o

genera linguaggi naturali? Si avvale di linguaggi pre-esistenti? Ha una sua rete di significati, una

ontologia, una prototetica (logica delle proposizioni), oppure si tratta di un sistema sintattico di

elementi che afferiscono a campi semantici differenti?

Nel corso della nostra ricerca, abbiamo prodotto alcune riflessioni, facendoci forti del pensiero

che fu di Hillman, Neumann, Jung, Vico, Ficino, Plotino. E ci siamo persuasi che questi antichi

maestri avevano ampiamente argomentato le proprie ragioni, si erano confrontati, non avevano

lesinato di problematizzare la questione del fondamento della mente immaginale.

«La vostra visione diventerà chiara solo quando guarderete nel vostro cuore?Chi guarda all’esterno, sogna. Chi guarda all’interno, apre gli occhi»

Carl Gustav Jung

D’altra parte, il capolavoro del neuroestetico Semir Zeki si intitola non a casa “A inner vision”.

Una tesi interessante e originale, alla creatività come apertura al mondo interno, è posta anche

da Aldo Carotenuto7 in “Distruzione, caos e il rischio creativo”:

Con il termine «creazione» la teologia e la filosofia intendono designare I'azione creatrice attribuita

all'Essere assoluto, quell'azione attraverso la quale Dio ha fatto apparire «qualcosa» invece del nulla.

La creazione dunque rimanda al problema dell'origine, alla domanda che gli uomini si sono posti

circa la realtà tutta. Ed è questa domanda sull'origine, a prescindere dalle risposte fornite dalla

filosofia e dalla teologia, che interessa lo psicologo del profondo. Infatti ciò che ha spinto I'uomo a

7 Archivio elettronico della Rivista di Psicologia Analitica. Vitalità del negativo: creatività e distruttività in analisi, n. 5 (57/98), a cura di P. Aite, Casa Editrice Astrolabio

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domandarsi «da dove viene» e quale è il posto che occupa nell’universo, testimonia di una ricerca

sul senso che accompagna tutta la vita. […]

Per ritornare al tema della creazione, possiamo constatare che il problema dell’'origine del mondo

rimanda al motivo del passaggio dal caos all'ordine. In quasi tutti i miti cosmologici, infatti, la

creazione rappresenta la fine del caos con I'introduzione nell'universo di una forma, di un ordine, di

una gerarchia. La creazione è intuizione di un ordine nuovo, di nuovi rapporti fra termini diversi,

I'azione di un'energia che si concreta nel «mettere ordine». Di solito I'opera del creatore precede o

segue un caos iniziale. In molti miti antichi, tale caos è una massa elementare e indifferenziata che lo

spirito «informa», dandole appunto una forma. La creazione in senso stretto, detta a nihilo, è

I'azione che fa esistere tale caos come amalgama indistinto di forze che poi daranno vita alle forme.

L'energia organizza queste forze, e la creazione dell'universo è la prova che un ordine è stato fatto,

che dal magma originario è stato possibile far emergere delle strutture. La materia che partecipa

dell'energia creatrice tende così spontaneamente ad organizzarsi in forme sempre più differenziate,

strutturate. Spesso però la creazione non è rappresentata come un «trarre dal nulla»: la creatio ex

nihilo è una nozione teologica relativamente recente. Piuttosto la creazione si qualifica come

I'azione dell'essere creatore su una realtà preesistente, rappresentata in svariati modi ma che, in

tutti i casi, è una realtà «caotica», oppure «senza vita», «immobile». Presso alcune culture, tale atto

di creazione non è attribuito all'Essere supremo ma ad una figura secondaria, il demiurgo. Questi

opera su una realtà già esistente modificandola, a volte anche contrastando I'azione dell'Essere

supremo, addirittura tradendone i progetti iniziali. In alcune aree religiose il conflitto tra il Dio

benefico che ha dato origine al cosmo e il demiurgo che interviene operando tragici cambiamenti

diventa un vero e proprio conflitto tra principi del bene e del male, che serve a spiegare il perché

della presenza nel mondo del male e della morte. […]

Secondo Mircea Eliade questo richiamo al rinnovamento e alla ricreazione deriva da un impulso

universale di natura archetipica che è i'impulso a distruggere la «storia profana» e a riproporre il

tempo e il mondo astorici dell'inizio. II caos originario sarebbe dunque sia il simbolo di una

confusione (nel senso proprio di confusione) di elementi negativi (che I'azione creativa del dio

supera), sia il simbolo dell'unità primordiale, quando ancora non esisteva alcuna scissione e

separazione, il simbolo della non-dualità tra creatore e creatura. II caos dunque, sarebbe sia un

elemento attrattivo, identificato con il Paradiso, con I'ideale condizione primordiale verso cui va la

nostalgia che emerge nei riti e nei miti, sia un elemento pericoloso, proprio perché regressivo,

risucchiante, paralizzante.

Si determina una necessità vitale di congiungimento, di confronto, di sovrapposizione, tra

l’immagine originale e l’immagine risultante dal lavoro immaginale stesso, in cui offrono il loro

contributo diversi dispositivi psicologici e si vanno chiarendo i costrutti che ne derivano, a partire

dallo scarto tra l’immagine primaria che è controfattuale, controintuitiva, cui si deve tendere per

opera a ritroso, e l’immagine che si genera come individuata e di cui l’opera d’arte rappresenta il

miglior compromesso disponibile. Individuante e individuazione per mezzo delle immagini, si

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riuniscono in un incontro che quasi sempre ha del doloroso, un dolore da cui è possibile

attingere gioia, bellezza.

L’immagine originale è probabilmente di ordine archetipico, e una decodifica ulteriore ci porta al

magma immaginale, all’imago sacra e senza volto, di colui che non ha nome.

La stele occorre per rendere l’immagine utile, per renderla disponibile alla coscienza. Utile et

dulce.

La tecnica adottata nel laboratorio delle immagini non assomiglia solo alla formazione di un

nuovo mosaico, ma anche e forse di più, alla ricostruzione di un mosaico probabilmente

danneggiato, o ricco di parti non fruibili perché mai utilizzate in quanto mai viste. Si tratta di

affinare lo sguardo per poter far emergere quelle tessere che non si vedono a sufficienza, che

non hanno ricevuto la luce della giusta lunghezza d’onda, o non hanno avuto attenzione, cura,

analisi. E come tutte le cose poco utili, appaiono lontane, coperte di polvere, appannate,

sfocate. Come stelle troppo lontane per essere viste, quindi per questo ritenute, per errore

fatale, inesistenti.

Secondo i matematici Judith Flagg Moran, Kim Williams,8 le tracce della cultura materiale di tutte

le civiltà che ci hanno preceduto, testimoniano della seduzione che i motivi geometrici,

esercitano sull’uomo, anche a giustificare la necessità di decorare l’ambiente, il corpo, gli

oggetti. Studiosi di neurofisiologia cognitiva e neuroscienze come Stanislas Dehaene e Brian

Butterworth stanno studiando i processi cerebrali utilizzando anche la sofisticata scansione PET,

che visualizza l’attività di un cervello mentre elabora l’immagine di un motivo geometrico di un

tappeto peruviano, senza fornire con questo alcun orientamento nell’affrontare questioni

attinenti il perché questa attività cerebrale sia da considerare piacevole oppure cosa abbia

indotto il tessitore a creare quel motivo per la prima volta.

Alcuni autori di testi sulla psicologia dell’arte come E. H. Gombrich e Rudolph Arnheim hanno

ipotizzato una relazione tra la capacità di percepire i motivi geometrici e il processo di

costruzione dello sviluppo cognitivo attraverso il riconoscimento di strutture, correlando quindi

questa abilità percettiva al successo evolutivo stesso della specie umana. In Intuizione e

intelletto, nuovi saggi sulla psicologia dell’arte, Arnheim afferma: “La percezione deve ricercare

la struttura. La percezione infatti è la scoperta della struttura. La struttura ci dice cosa siano le

componenti delle cose e secondo quale tipo di ordine interagiscano”.

8 Dalla tassellatura del piano alla pavimentazione di spazi urbani, di Judith Flagg Moran, Kim Williams(traduzione a cura di Roberto Di Martino)Università degli Studi Bocconi, 2010

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Per Gombrich (Il senso dell’ordine), l’umano senso dell’ordine è “radicato nell’eredità biologica”

e lega la percezione dei patterns alla sopravvivenza stessa.

In tempi più recenti, John Barrow in L’universo come opera d’arte si sofferma sulle tesi di

Gombrich quando assegna alla capacità di riconoscere l’ordine nell’ambiente lo status di

strumento per la sopravvivenza: “Il riconoscimento dell’ordine è benefico per la sopravvivenza.

L’abilità di estrarre la sagoma di una tigre dal motivo di fondo costituito del fogliame nella

giungla, costituisce senz’altro un efficace strumento di sopravvivenza.”

Il sostegno delle scienze dure e delle teorie evoluzionistiche, ci fa da contrappunto anche

quando ci domandiamo, - e lo psicologo del profondo non può non aprirsi a questo dubbio – se

la capacità di riconoscere l’ordine passa da dispositivo di adattamento a dispositivo di ricerca del

Sé, acquisendo una teleologia e un posto di riguardo nella teoria della mente e nelle teorie

dell’identità e dell’intersoggettività, oltreché a avere tutto il diritto di una dignità epistemica.

Con John Barrow, anche la psicologia dell’arte di impronta psicodinamica, che si adombra non

appena si allontana la dolce e avvenente seduzione del pensiero immaginale, può concedersi di

affermare che abbiamo accettato nuove configurazioni come ordinate, perché abbiamo

imparato ad accettare nuovi criteri di ordine, nuovi patterns immaginali.

Due delle più note di queste nuove famiglie di patterns sono i frattali e le configurazioni

aperiodiche come le tassellature di Penrose. I frattali sono stati e sono tuttora largamente

utilizzati dalla computer grafica per creare artificialmente forme che appaiano naturali; le

tassellature di Penrose (scoperte alla fine degli anni Settanta) furono invece utilizzate negli anni

Ottanta come modello visivo per i quasicristalli, la “nuova forma della materia”.

Lo psicologo immaginale è consapevole che non si tratti di configurazioni nuove, ma è persuaso

che si tratti di configurazioni pre-esistenti, che si possono definire emergenti, poiché si va

affinando la percezione e la capacità di indagare e vedere, e non già perché sussista qualche

cosa di veramente nuovo. L’evoluzione è anche il frutto di un gene drammaticamente antico, si

pensi al mitocondrio materno, che non smette mai di perpetuarsi. Queste configurazioni iniziano

a far parte della ricerca degli artisti, come ha fatto ad esempio Escher. E’ proprio Escher, nel

1965, ad affermare:

Anche se sono rimasto un profano in campo matematico, e se manco ancora di conoscenze teoriche,

i matematici, e in particolare i cristallografi, hanno avuto un'influenza notevole sul mio lavoro degli

ultimi vent'anni. Le leggi dei fenomeni che ci circondano - ordine, regolarità, ripetizioni cicliche e

rinascite - hanno assunto per me un'importanza sempre maggiore. La consapevolezza della loro

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esistenza mi procura pace e conforto. Cerco con le mie stampe di testimoniare che viviamo in un

mondo bello e ordinato, e non in un caos senza forma, come talvolta sembra.

E durante il Rinascimento, Leon Battista Alberti scriveva: “Principalmente si consiglia di occupare

l’intero pavimento con linee e figure musicali e geometriche, per modo che la mente dei

presenti sia in ogni maniera attratta verso la cultura.”

Alberti sembra scegliere il pavimento come oggetto privilegiato delle sue descrizioni architettoniche.

Il pavimento spesso serve come tela per la rappresentazione di idee implicite nell’Architettura. Il

pavimento, in genere, è la più grande superficie ininterrotta nell’edificio. Attraverso gli spazi

decorati, si esplicita l’organizzazione che governa l’edificio. I disegni pavimentali possono indicare

una gerarchia di spazi nell’edificio, possono segnalare direzioni di movimento attraverso questi spazi

suggerendo anche ritmi e velocità di percorrenza.9

Lo spazio e il movimento ci riportano immediatamente alla psicologia, e all’esortazione

immaginifica della tavolozza metaforizzante.

Psicologia e arte, perché insieme? E’ una condizione di tensione tra linguaggi, in cui la psicologia

non è necessariamente una stampella per la critica d’arte, e in cui l’arte non è solo o meglio non

intende porsi come “mediatore” tra analista e analizzando. Si può anche parlare di una dialettica

tra fenomenologie linguistiche, il cui intento è cementare ponti di connessione, per provare a

“sentire la riunificazione” nell’animo umano, tra codificazioni diverse delle stesse istanze

espressive ed esplorative.

E’ lo spazio, sotto la protezione della coscienza umana, in cui possono avere luogo e palesarsi, i

movimenti del mondo immaginale, i passi dell’uomo nel “mundus imaginalis”, alla ricerca di una

icona metaforizzante, di una “imaginalis picturae formatio: formazione (o ‘espressione’) di una

pittura figurativa (o ‘icònica’)”.

Per lo scultore fiorentino Marco Becattini, l’arte è il mezzo più diretto di connessione con ciò che

non conosci a livello razionale, ciò di cui sei inconsapevole.

La fenomenologia dell’arte sta nell’ordinare, nell’organizzare, nel riprendere le cose e sistemarle

in nuove categorie esistenziali, nel narrare secondo campi semantici che possiedono una

coerenza interna ed una congruità comunicativa.

Tra l’inconscio e l’opera sta l’artista, lo sciamano, il medium, [lo psicologo]. Il folle è

inconsapevole e incomprensibile. L’artista si limita a non giudicare ciò che viene a sapere.L’arte

attiva scenari possibili ove può avere luogo [essere nello spazio], l’incomunicabile, l’indicibile, il

9 Cit. Bocconi

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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.

rimosso, l’incongruo, l’ambivalente, l’incoerente, l’asintattico, il frazionato e l’intero, l’a-logico, il

pre-logico, il proto-logico, l’arcaico, il mitologico. Il difforme, il mostruoso, il magma. Il cielo, il

vuoto, l’assente, il negativo, il nero, l’informe. In altre parole, l’Ombra e il Sogno [Traum].

Per Schleiermacher (1768-1834) l’interpretazione non è solamente dei Testi Sacri, ma di ogni

testo il cui significato non sia perspicuo

Ma qual è il lavoro dell’interprete? Ricostruire il senso che l’autore voleva dare alla sua opera

oppure è lecito anche conferirle altri sensi alla luce della riflessione sulla distanza che da essa ci

separa? L’interpretazione dunque diventa esegesi fondata su un sapere storico-culturale.

La domanda centrale è come l’ermeneutica del mondo immaginale possa essere di aiuto alla

comprensione dell’opera da un punto di vista psicologico; la domanda indicibile, cui non ha

accesso forse alcuna scienza, è come si perviene alla forma partendo dai topoi del mondo

immaginale. Nella palude del dubbio, si fa sempre appello ai fondamentali.

L’azione formalizzante è appunto un’azione, un porre in essere, mettere in campo variabili che

comportano rischi, costi, economie psichiche.

L’arte - scrive Freud nelle Precisazioni del 1911 sui Due princìpi dell’accadere psichico:

«perviene, per una strada sua particolare, a una conciliazione dei due principi [principio di

piacere e principio di realtà]. L’artista è originariamente un uomo che si distacca dalla realtà,

giacché non riesce ad adattarsi» alle rinunce che essa impone. Ciò lo indurrebbe, per formazione

reattiva, a rappresentarsi un mondo immaginario, talora eroico, che inizialmente è del tutto

privato e personale. «Egli trova però la via per ritornare dal mondo della fantasia alla realtà

poiché grazie alle sue doti particolari trasfigura le sue fantasie in una nuova specie di “cose

vere”», che mette a disposizione di tutti coloro che «provano la sua stessa insoddisfazione per la

rinuncia imposta dalla realtà». Con ciò le creazioni artistiche assumono un’esistenza pubblica e

una loro peculiare consistenza, in quanto oggetti passibili di percezione condivisa.

Si tratta ancora di una definizione a posteriori, di una spiegazione che non ci apre al dubbio, non

ci conforta con la comprensione, e neppure basta a soddisfare l’esploratore alla ricerca erratica

di un tassello sul pavimento nel mondo immaginale.

Cerchiamo ancora, un altro appello ai fondamentali. Scrive Moore: “ La parola anima allude alle

profondità, e Hillman si vede come un discendente diretto della psicologia del profondo, le cui

origini lontane risalgono a Eraclito e alla sua affermazione che nessuno potrà mai scoprire i

confini dell’anima, neppure percorrendo tutte le strade, tanto profonda è la sua natura.”

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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.

Se la psiche è immagine, l’atteggiamento immaginale verso la psiche di Hillman amplia l’idea

fondamentale che tutto è metaforico e poetico. Henri Corbin, con l’espressione ‘mundus

imaginalis’, descriveva un mondo reale con leggi e finalità proprie, lontano dall’astrazione. Per

Hillman il mundus imaginalis: “E’ un campo specifico di realtà immaginali, il quale richiede

metodo e facoltà percettive diversi da quelli richiesti dal mondo spirituale o dal mondo empirico

e ingenuo della normale percezione sensoriale. Il mundus imaginalis offre una modalità

ontologica di collocazione degli archetipi della psiche, che risultano essere strutture

fondamentali dell’immaginazione, o fenomeni fondamentalmente immaginativi, che

trascendono il mondo dei sensi, se non nella loro apparenza, almeno nel loro valore (in quanto

fenomeni essi devono apparire, anche solo all’immaginazione o nell’immaginazione). Il ‘mundus

imaginalis’ fornisce agli archetipi quella fondazione cosmica e assiologica che non potrebbero

loro fornire, per esempio, gli istinti biologici, le forme esterne, i numeri, la trasmissione sociale e

linguistica, le reazioni biochimiche o la codificazione genetica.” (Hillman 1981, p. 814).

Hillman sostiene in Saggi sul Puer, pp. 2-3, che il metodo della psicologia archetipica è stato

almeno in parte descritto dal filosofo e islamista Corbin con il suo termine ‘ta’wil’ che significa

“ricondurre, riportare qualcosa alla sua origine e principio, al suo archetipo”. Henri Corbin

scrive:” Nel ta’wil si dovrebbero riportare forme sensibili a forme immaginative, e di qui risalire a

significati ancora più alti; procedere nella direzione opposta (riportare cioè forme immaginative

alle forme sensibili da cui prendono origine) significa distruggere le virtualità

dell’immaginazione”.

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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.

E’ possibile che la domanda del come abbia luogo l’azione formalizzante, non sia posta

correttamente da un punto di vista psicologico.

Lo psicologo del profondo vuole conoscere i luoghi della produzione, la loro organizzazione e le

loro dimensioni. Per farlo, i padri fondatori hanno invocato Anima, come noi oggi desideriamo la

Conoscenza. Non hanno avuto paura di attingere al Sacro come dimensione tutta umana di

Giotto di Bondone, Crocifissione, particolare.

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entrare in contatto con le strutture portanti che continuamente si modellano per parlare agli

uomini.

Marsilio Ficino (1433-1499) si dedicò a tre attività: fu traduttore; pensatore e filosofo; mago. Il

suo pensiero è una forma di Neoplatonismo cristianizzato, in cui la filosofia nasce come

“illuminazione” della mente. Ficino concepisce la struttura metafisica della realtà, secondo lo

schema neoplatonico, come una successione di gradi decrescenti di perfezione, che egli però

identifica, in modo diverso rispetto ai Neoplatonici pagani, nei cinque gradi: Dio, angelo, ANIMA,

qualità(=forma), materia.

I primi due gradi e gli ultimi due sono nettamente distinti fra loro come mondo intelligibile e

mondo fisico, e l’anima rappresenta il “ nodo di congiunzione”, che ha le caratteristiche del

mondo superiore e, insieme, è capace di vivificare quello inferiore.

Anche per Davide Rondoni, poeta e scrittore nostro contemporaneo, le cosiddette arti liberali

sono i “gradini sicuri” come dice Agostino nelle Retractationes, per giungere alle realtà

incorporee a partire dalle cose corporali L’arte è una “scientia” per ricongiungersi all’Unico.

Una faccenda maledettamente importante, dunque. Fermarsi al “bisogno” delle arti liberali è un

segno di debolezza. E’ una profezia, per così dire, della situazione in cui viviamo: abbiamo bisogno

delle arti liberali, ma sottratte al loro compito di introdurre a una scientia dell’inivisibile (quella che

cercavano Raffaello e Leonardo, Michelangelo o Lorenzo Lotto, o i pittori di icone) le arti diventano

intrattenimento per colti, ironia su se stesse, coatte a una provocazione continua, dedita a

solleticare prese di coscienza sociali o a produrre “ludus” nelle zone ricche del pianeta. La

esperienza della bellezza, Agostino lo sapeva, è luogo di un rischio.

[…] Nel libro centrale e infuocato del De Musica, il VI, non a caso Agostino riflette su come è

possibile che una esperienza dei sensi, fisica, corporea offra qualcosa di buono all’anima che ne è

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superiore. Ma questa anima è “ferita”. L’anima, per quanto superiore, è comunque segnata dal

limite del peccato originale. E aggiunge, in una splendida riconoscimento di valore al corpo, che tale

ferita dell’anima “non meritava di restare senza l’onore di una certa bellezza”. Bellezza che viene da

un’esperienza del corpo.

Nasce la grande stagione della poesia che Dante porterà a compimento e a grande futuro, con il suo

viaggio di amore e conoscenza grazie al miracolo della presenza nella sua vita di Beatrice. Dante è un

grande lettore di Agostino, seppure nella Commedia il suo dialogo con il filosofo è quasi muto. Quel

loro conversare si costruisce per grandi archetipi: la tripartizione del viaggio, la presenza di tre fiere,

la differenza sulla lettura del ruolo di Roma, il movimento tra segno e significazione analogo al

movimento tra desiderio e compimento, l’esemplarità del viaggio di Ulisse, e altre cose messe in

luce da grandi lettori come Bob Hollander. Di certo è in dialogo con Agostino un viaggiatore che,

come Dante, sa che non basta la filosofia a salvare la vita di un uomo. Non è per via filosofica che

l’uomo arriva alla verità. Maria Zambrano vede in Agostino uno dei pochi in cui filosofia e vita

superano il dissidio imposto da Rousseau. In Dante, poetare e conoscere sono lo stesso movimento.

Ma il poetare, appunto, è ben diverso dal filosofare. E’ una esperienza del ritmo. Una filosofia

percepita, direbbe Eliot. 10

Insistiamo ancora sui padri fondatori, perché non siano ancora una volta messi sotto chiave nei

musei delle biblioteche universitarie ed escano dai tempi dei saggi.

Hillman tiene una Conferenza a Roma nel 1973, nella quale chiarificherà senza risparmio le

coordinate epistemiche per spiegare e comprendere il fondo immaginale della mente.

“Plotino, Ficino e Vico, precursori, della psicologia junghiana” . Eccone alcune parti irrinunciabili:

Scrive Jung in Sogni, Ricordi, Riflessioni: L'opera di Creuzer: “ ... era un tentativo di dare una base

scientifica all’interpretazione neoplatonica della mitologia greca. Benchè subito sconfessata dai filologi

responsabili, fu accolta con entusiasmo da filosofi come Shelling, influenzò durevolmente il genio

estroso e irregolare di Bachofen ed ebbe, nell’insieme, un ruolo molto importante nello sviluppo degli

studi mitologici” .

Creuzer fu l'iniziatore della storiografia greca e — cosa della massima importanza per noi — il curatore

dei testi neoplatonici di Proclo e Olimpiodoro (Francoforte 1820-22) e di Plotino (Oxford. 1835); inoltre

prendendo le mosse da questo neoplatonismo, Creuzer inventò un modo— allora del tutto nuovo — di

accostarsi al mito e alle religioni comparate. Immagini, statue, racconti e fiabe erano simboli da

analizzare per i loro significati reconditi. Secondo Creuzer, la ricerca nel campo del mito e della religione

poteva arrestarsi non quando avesse attinto l'origine storica, la connessione causale, la spiegazione

naturalistica ma quando fosse stato portato alla luce il significato simbolico. Per svelare il significato

simbolico era necessario quello che egli considerava il dono ermeneutico, la capacità di percepire

mitologicamente, arte prossima a quella del poeta. Il livello più profondo a cui questa percezione

10 Davide Rondoni, 2011 www.daviderondoni.it

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simbolica potesse penetrare era II significato neoplatonico dell'immagine. Creuzer era un neoplatonico.

[…]

Ma la psicologia può rivolgersi a Plotino e scoprirvi quell'interesse basilare per l'anima che era

fondamentale anche nel pensiero di Jung: qua! è la natura della realtà psichica? La grande opera di

Plotino, le Enneadi, si apre con queste parole: «Piaceri e dolori, paure e ardimenti, voglie e avversioni, a

chi altro mai potrebbero appartenersi [se non... all'anima?»]. Dopo aver ragionato sui corollari del

problema e sulle possibili soluzioni, egli prosegue: (I, 1,2) «La nostra indagine ci

impone di esaminare fin dall'inizio la natura dell'Anima». E' evidente che ci troviamo davanti a un libro di

psicologia. […]

Jung fa riferimento alle Enneadi IV, 9. 1, dicendo: «Nomino Plotino, poiché egli mi ha preceduto come

testimone dell'idea dell'unus mundus». Jung da poi la sua consueta «tournure empirica» dicendo,

«L'unità dell'anima ha il suo fondamento, empirico nella struttura psichica di base, comune a tutte le

anime che. benché non sia visibile e tangibile come la struttura anatomica.

La similitudine di Plotino dell'immaginazione come specchio implica l'idea — cosi preziosa per la terapia

archetipica— che i disordini della coscienza debbano attribuirsi a disordini nella riflessione delle

immagini; infatti se la coscienza è basata sull'immaginazione anche i suoi disordini lo saranno. Uno dei

segni di un disturbo psichico è il pensiero senza immagini, la consapevolezza di idee e concetti che non

sono riflessi nel loro sostrato psichico, disancorati dalle loro immagini speculari (20). La terapia della

coscienza richiede un esame dell'immaginazione e della relazione funzionale tra coscienza e

immaginazione; attraverso la terapia, idee e concetti devono giungere a corrispondere alle immagini

dell'anima e alla luce di queste essere corretti. La psicologia della coscienza di Plotino è dunque una vera

psicologia e non una fisiologia mascherata in cui la coscienza viene fatta derivare dai processi cerebrali.

[…] Plotino e Jung concordano, nel riconoscere alla coscienza una base totalmente psichica, una base

nell'immaginazione. in ciò che più tardi Ficino avrebbe chiamato fantasia o idolum.

[…] Proteo, come Mercurio, rappresenta il perenne fluire della psiche, mai cristallizzata in un solo gesto

o immagine, l'Io proteiforme riflette veramente tutte le possibilità.

[…] E' neoplatonica l'idea che l'anima «scrive» in perpetuo su se stessa: «psicologizzare» è

un'operazione inesauribile. Ficino considera questo «perpetuo raziocinare» la vera attività della psiche.

L'anima riflette incessantemente su se stessa, la riflessione è la sua natura essenziale. Quindi tale attività

psicologica essenziale che non può aver termine finché l'anima ha vita, l'oggetto di studio è la totalità di

queste esperienze ragion per cui egli deve abiurare la terminologia presa a prestito dall'anatomia.

Scrive Ficino: Questo (l'anima) o il più grande dei miracoli della natura. Tutte le altre cose create da Dio

sono sempre un essere solo ma l'anima o tutte le cose insieme ... Per questo si può a buon diritto

chiamarla centro della natura, termine intermedio di ogni cosa, mediazione e compendio dell'universo».

Poiché collocava l'anima al centro dell'universo, la filosofia di Ficino divenne una filosofia psicologica;

Ficino riconosceva che la filosofia è basata sull'esperienza psicologica, la modifica e ne viene modificata.

La vera educazione è dunque un'educazione psicologica.

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[…] La contro-educazione di Marsilio Ficino è dunque una sorta di psicoanalisi, in quanto pone al primo

posto la realtà psichica e considera gli eventi in funzione del loro valore e del loro significato per l'anima.

L'affermazione che la mente ha dimora nell'anima, equivale all'esse in anima di Jung (CW, 6, par. 66, 77);

la realtà dell'essere umano è la realtà dell'essere psichico che è poi la sola realtà immediatamente

conosciuta, immediatamente presente.

Tutto ciò che si conosce, si conosce via anima, cioè viene trasmesso attraverso immagini psichiche che

sono la nostra realtà prima.

Poiché l'anima è ogni dove, il pensiero di Ficino, come quello della psicoanalisi, filtra attraverso tutte le

barriere accademiche tra «dipartimenti» e «facoltà». Anche per questo gli accademici «antipsicologi»

attaccano Ficino, (come attaccano Jung) o dal lato dell'ortodossia cattolica (Etienne Gilson) o dal lato

dell'ortodossia scientifica (George Sartou e Lynn Thorndike), adducendo che i suoi scritti sono «retorici»

«privi di valore come filosofia», mere «fantasie mistiche» .

[…] Le immagini della fantasia sono il mezzo con cui l'anima sovrappone il destino alla natura. Senza la

fantasia non abbiamo il senso del destino, siamo puramente naturali . Attraverso la fantasia, invece,

l'anima è in grado di mettere il corpo, l'istinto e la natura al servizio del destino individuale. Il nostro

destino si rivela nella fantasia o, come direbbe Jung: nelle immagini della nostra psiche troviamo il

nostro mito. In questa accezione generale, Vico è un precursore dell'orientamento junghiano. […] Vico è

un precursore della psicologia archetipica. Egli merita la nostra attenzione — l'attenzione di quanti si

interessano a Jung — soprattutto per la sua elaborazione del pensiero metaforico. Per Vico questo tipo

di pensiero era primario, come è primario per Jung il pensiero fantastico. Vico elabora il concetto di

fantasia (che già Ficino aveva messo in risalto) con maggiore profondità e precisione, attraverso la

dottrina dei caratteri poetici.

Nella Scienza Nuova (S. N. par. 205-209) Vico ci presenta degli aspetti tipici della mente umana sotto

forma di «universali fantastici » (par. 381) o di immagini universali come quelle del mito. Si tratta di

caratteri poetici e non di semplici invenzioni della creatività di un artista come Omero; il vero Omero è

uno stato d'animo, un modo di concepire il mondo attraverso gli universali di Dio ed Eros, ciascuno dei

quali è un tipo, un concetto di classe ma allo stesso tempo affermazione di una verità metafisica e vera

narrazione (vera narratio)

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«Ad Achille tutti i fatti de' forti combattitori, ad Ulisse tutti i consigli de’ saggi »

Vico

Hillman non solo ci offre l’opportunità della re-visione della psicologia aprendoci al mondo

immaginale ma di prendere sostenere la psicologia dell’arte con i fondamenti della psicologia

archetipica, proprio tornando a Firenze, al legame di Hillman con Firenze.

Fu proprio in Italia che nel 1966, ospite di Dora Bernhard nella sua casa sul lago di Bracciano,

cominciò a scrivere la sua prima conferenza Eranos – diventata poi il capitolo iniziale de Il mito

dell’analisi – e per la prima volta, nel commentare la favola di Amore e Psiche, di cui tante e

preziose tracce si trovano nella cultura rinascimentale italiana, si rivolse a Marsilio Ficino e al

neoplatonismo fiorentino. Fu a Firenze nel 1981 per una Conferenza a lui dedicata a Palazzo

Vecchio, al Salone de’Dugento. Hillman leggerà così, direttamente in italiano:

“Immaginiamo oggi, di nuovo qui a Firenze, l’anima mundi del neoplatonismo: non come al di sopra del

mondo, a circondarlo quale divina e remota emanazione dello spirito; e neppure come insita nel mondo

materiale, quale il suo principio vivente panpsichico che lo unifica. Anima mundi sta piuttosto a indicare

una possibilità animata che ciascun momento del mondo presenta, il suo presentarsi sensibile come

immagine – insomma, la sua apertura all’immaginazione. Non solo – come nella visione romantica –

sono pervasi di anima gli animali e le piante, gli scenari infiniti della natura e gli oggetti simbolici del

culto, ma l’anima è data in ogni cosa, sia nella natura, sia negli oggetti della città, opera dell’uomo. Il

mondo si presenta in figure, colori, atmosfere, strutture – è un dispiegarsi di forme imagistiche. Tutto ha

un volto; e in quanto forme espressive, le cose parlano, manifestano la loro fisionomia; annunciano se

stesse, danno testimonianza della loro presenza: “Guardate, eccoci!” Esse ci guardano, al di là di come

noi possiamo guardare loro e delle nostre prospettive, al di là di ciò che noi intendiamo con esse, e di ciò

che ne facciamo. Il mondo di immagini personizzate, che manifesta questa esigenza di attenzione –

estetica, animata, immaginativa – è un mondo pervaso d’anima. Ma non basta: questo riconoscimento

immaginativo, il semplice atto d’immaginare il mondo, anima il mondo e lo restituisce all’anima”.

La conferenza fiorentina era infatti preceduta da quella romana del 1973, Plotino Ficino e Vico

precursori della psicologia archetipale, e da quella Eranos del 1979, Il pensiero del cuore, densa

anch’essa di riferimenti alla cultura italiana, da Dante e Petrarca a Michelangelo. Tutte e tre

sono saggi di un pensiero teso a risvegliare il cuore ardente che immagina, e a rivolgerlo al

mondo e alla sua bellezza; o anche, a fondare un’erotica della psicoanalisi da cui soltanto può

generarsi una logica dell’anima, una psicologia dell’arte che diventi parola dell’anima e per

l’anima, perché possa curare il cuore di chi attraversa lo studio di quello psicologo che si fa

tramite umile tra il mondo interno dell’analizzando e il mondo interno del mondo, lo psicologo

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del’arte è colui che riordina le tessere che gli sono portate, secondo equazioni non estraibili da

una ragioneria cognitiva, ma da una matematica della bellezza misteriosa che porta con sé ad

esempio un frattale. E’ irrevocabilmente il luogo del fare anima.

Se per Il posto dell’anima è terzo, sia percorrendo i cinque gradi della gerarchia del reale dal

basso verso l’alto sia viceversa. In particolare Ficino rileva l’importanza dell’anima con la sua

funzione di “intermedio” di tutte le cose. Essa si inserisce fra i corpi sensibili, senza essere

corporea né sensibile; è dominatrice dei corpi, ma aderisce al divino. Connessa alla tematica

dell’anima è, in Ficino, quella dell’ “amor platonico”, in cui l’Eros platonico si sposa con l’amor

cristiano.

La teoria dell’ “amor platonico” ebbe larga diffusione in Italia dove il terreno era stato preparato

dalla diffusione del “dolce stil novo” e dalle tematiche connesse. Finalmente, una buona

occasione per tornare a Firenze insieme ad Hillman, vagando come turisti ora più consapevoli,

da Santa Croce a Ponte Vecchio, da Piazza della Signoria al Lungarno del Tempio, alla ricerca di

quella radura dell’essere in cui germina il fiore cui ci richiamava Dante sin dall’inizio del nostro

viaggio. Fluentia, Florentia, l’albero fiorito del pucciniano Gianni Schicchi. Firenze-Fiore endiadi e

carrefour del mondo immaginale.

Franco Cardini scrive a questo proposito un intero capitolo nell’Arte a Firenze nell’età di Dante

1250-1300.

“Così è germinato questo fiore”, così Dante fa parlare il Doctor mellifluus, Bernardo di Clairvaux,

rivolto alla Vergine Maria. E il pensiero corre inarrestabile alla splendida pala dipinta da Filippino

Lippi per la gloriosa Badia nella quale, a un passo dalle case degli Alighieri, dorme il marchese Ugo di

Tuscia: la pala dell’apparizione della Madonna all’abate cistercense e al loro mistico, amoroso

colloquio in presenza d’una turba di stupiti angeli adolescenti e al cospetto di alcuni atterriti demoni

impietriti in un gesto di impotente rabbia.

Quella dolce Vergine, sotto il pennello dell’allievo di Sandro Botticelli che devotamente la dipingeva,

non poteva non essere anche e soprattutto lei, la santa Maria del Fiore, la Madonna del Giglio; quel

giglio che era il Cristo nella tradizione legittimata dal De institutione Virginis di Ambrogio e

canonizzata proprio da Bernardo stesso, nell’In adventu Domini. Ma, per i fiorentini di allora e di

sempre, quel giglio, che nella statuaria gotica Maria tiene tra le dita della destra come un sottile,

prezioso scettro – in realtà, appunto, piuttosto uno scettro gigliato – e che è il suo Figlio divino e

umano, rappresenta al tempo stesso l’arme cittadina, il delicato giaggiolo delle nostre colline che,

nella sua originale versione araldica, era d’un argento lucente prima di venir “per division fatto

vermiglio” dalle lotte fratricide. […] Così è germinato questo fiore. Ma come ha potuto germinare, in

realtà? Resta un mistero; per alcuni – sarà retorica – un miracolo.

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Come avrà potuto germinare l’identità psicologica dell’Uomo, fratturato dalle cadute e dalle

divisioni vermiglie, senza l’ausilio di Anima, senza un richiamo all’arte per rendere omaggio agli

Dei primordiali, alla Luna, al Sole, e dunque senza una psicologia umanistica dell’arte?

“Quel fiore era il Cristo e al tempo stesso la città.”

Cardini

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Appunti per la presentazione e per la discussione. Conduzione del simposio.

16th World Congress of the World Association for Dynamic Psychiatry

XXIX. International Symposium of the German Academy of Psychoanalysis

The Interpersonal Dynamics of Identity

Research, Pathology and Treatment

March 21th - 25th 2011

Physiological Institute of the Ludwig-Maximilians-Universität München

“Hermeneutics of imaginary language in the setting of Psychology of Art”

Congress Topics

Abstract

The language of images is governed by rules and interpretations that can be observed from different

standpoints. The artist, the psychologist, the philosopher, the anthropologist have different ways of

interpreting images that could be put in a dialectical relation, which Paul Ricoeur defined using the term:

“hermeneutical arch”. Here the epistemological and ontological dimensions of human beings can produce

a fruitful interrelation. The aim of this paper is to show the opportunities given by the Psychology of Art in

order to access to the personal and social-cultural imaginary orientation of the patient within the help-

relationship setting. Working with images, perceptions of sensible word, thoughts, forms, dreams and

other sorts of narration, the subjective experience can be represented, and opens a path toward deeper

semantic frameworks, categories and metaphoric features which constitute the ultimate level of archaic

symbolic thinking. Jungian archetypes and Gestalt can define a transversal approach to imaginary as a

differentiation of mosaic-composition and various levels of world- and thought-organization. The

methodological efficacy of this kind of approach will be showed reporting its application in the laboratory

of Psychology of Art of the Psychodynamics Center in Prato. By this presentation we will show how the

representational capacity of the artist can constitute a particular way to enter the Unconscious by means

of the esthetic experience.

Items

• Conceptual and methodological premises platform

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• Content Development

• “Images Laboratory” : Experimental setting in Prato, Italy

• Trajectory planning and research lines (traiettorie progettuali e piste di ricerca)

• Power Point with slides at support of the lecture, with photos, schemes and images

• Contacts and projecting sites

• Bibliography and website reference, social networks, groups of job, tag

Conceptual and methodological premises platform

The present work has a multidimensional and interdisciplinary structure and places like a chance to

explore Psychology of Art potentialities.

(e si situa come un tentativo di esplorare le potenzialità della psicologia dell’arte).

It is located in the areas of dynamic psychology, qualitative research in real groups, art in its meanings and

phenomenology, anthropology and neuro aesthetic and more, while having the ambition to be comforted

and supported by the “secure base” of western philosophy, which from Thales of Miletus to

contemporary (contemporanei), declined systems of human thought. Therefore, will come in help works

and thought of artists as Balthus, Matisse, Basquiat, Picasso.

Each element is placed not so much in search of certainties, as useful paradigms to put our work in the

optical to search "directions of response". We may be satisfied if we could raise the issue of potential art

psychology satisfactorily in terms of problematization and scientific research, as knowledge workers we

are.

(Ogni elemento è posto non tanto nella ricerca di certezze quanto di paradigmi utili a porre il nostro

lavoro nell’ottica di cercare delle " direzioni di risposta”, Potremo ritenerci soddisfatti qualora riuscissimo

a porre la questione delle potenzialità della psicologia dell'arte in modo soddisfacente sul piano della

problematizzazione e della ricerca, quali addetti alla produzione della conoscenza.

This paper uses the conceptualization of Ricoeur's Hermeneutic Arch to explain the complementarity

between the act to explain and to understand. (spiegazione / comprensione): the hermeneutic arc will

describe developmental trajectories of our speculation and connect areas of knowledge that we are going

to lap.

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The methodological platform in the first instance is supported by neuro scientific foundation established

by the latest research in the field of Neuro-aesthetics and Cognitive Science.

The connections between neuroscience and psychology of art are essentially related to the perception

and the functioning of the visual cortex. Semir Zeki's contribution stands as a cornerstone (fulcro, perno)

around which it can turn a first series of guidelines on interpretation, placed in the hierarchy of “hard

sciences”.

The author is convinced that the observation of art, literature, music can make us understand much about

the mechanisms of this organ is still unknown, as can be seen from much of its production.

“A inner vision: an exploration of art and the brain” (1999), the founding test of neuroaesthetic, Semir

Zeki .

The idea of a dialectic to explain / understand comes from correlation and the referrals that forms

between text, action and history.

Hermeneutics is defined operationally as textual interpretation work, which has a focal point in the text,

and text is any discourse fixed by writing that makes it both irreducible and not directly comparable to the

discursive mode of dialogue and autonomous semantic intention subjective author.

Ricoeur's hermeneutical arch occurs in the complex relation-mediation with the act of reading, which in

turn is a concrete act in which the autonomy of the work is completed and opens up open the fate of the

text.

In our work, the arch will be aimed not so much for hermeneutic interpretation of the text, as to the

interpretation of the need for the work of Art puts the psychologist, to exit the irreducible conflict

between the logic that governs the intellectual dimension and become contradictory phenomena

witnessed by the senses, perceptions, emotions, images.

Semir Zeki is a professor of Neuroesthetics at University College London. His main interest is the

organization of the primate visual brain. He published his first scientific paper in 1967. Since then he has

written over 150 papers and four books: Splendours and Miseries of the Brain (2008), A Vision of the Brain

(1993), Inner Vision: an exploration of Art and the brain (1999) [which has been translated into six

languages] and La Quête de l’essentiel, which he co-authored with the late French painter Balthus (Count

Klossowski de Rola). In 1994, he began to study the neural basis of creativity and the aesthetic

appreciation of art. In 2001, he founded the Institute of Neuroesthetics, based mainly in Berkeley,

California.

Una visione dall’interno, Bollati Boringhieri, Torino 2009

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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.

BIBLIOGRAFIA  AVENS, R., L’immaginazione è realtà. – Milano – Edizioni di Comunità, 1985  AMMAN, R., Sandplay – Immagini che curano e trasformano. – Milano – Vivarium, 2000  DE LUCA COMANDINI, F., L’immaginazione attiva. In: Trattato di Psicologia Analitica diretto da A. Carotenuto, vol. 2. – Torino – UTET – 1992  DONFRANCESCO, F., Archetipi e immagini archetipiche. In: Trattato di Psicologia Analitica diretto da A. Carotenuto, Vol. 1 – Torino – UTET – 1992  DONFRANCESCO, F., James Hillman e il mondo immaginale. In: Psicologia analitica contemporanea a cura di Carlo Trombetta, - Milano – Bompiani – 1982  HILLMAN, J., Fuochi Blu. – Milano – Adelphi – 1996  HILLMAN, J., L’anima del mondo e il pensiero del cuore. – Milano – Garzanti – 1993  HILLMAN, J., Il sogno e il mondo infero. – Il Saggiatore – 1988  

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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.

HILLMAN, J., Intervista su amore anima e psiche. A cura di Marina Beer – Roma – Bari – Laterza - 1983  HILLMAN, J., Anima. – Milano – Adelphi – 1989  HILLMAN, J., Il mito dell’analisi. – Milano – Adelphi – 1979  HILLMAN, J., Re-visione della Psicologia – Milano – Adelphi – 1983  DAVID L. MILLER – HILLMAN J., Il nuovo politeismo. La rinascita degli Dei e delle Dee. – Milano – Edizioni di Comunità – 1983  JUNG, C.G., Opere, Vol. IX, Tomo I – Torino – Boringhieri – 1988  MOORE, T., Il lato oscuro dell’Eros.- Como – Lyra Libri – 1998  MOORE, T., La cura dell’anima. – Frassinelli – 1997  NEUMANN, E., La Grande Madre. – Roma – Astrolabio – 1981  NEUMANN, E., Storia delle origini della coscienza. – Roma – Astrolabio – 1978  PEDRAZA, R. L., Hermes e i suoi figli. – Milano – Edizioni di Comunità – 1983  PESSOA, F., L’ora del diavolo. – Firenze – Passigli Editori - 1998

Caso pratico-progetto

Il progetto, diretto agli studenti della Facoltà di Psicologia di Firenze, consiste in un workshop

espressivo ed esperienziale, in sessione unica della durata di ore 4, e si sviluppa in una

dimensione didattica interattiva, finalizzata all’apprendimento diretto di alcune competenze

psicologiche, ed in particolare alla declinazione di alcune competenze, teoriche e tecnico-

pratiche, in Psicologia dell’Arte che possono essere proprie dello Psicologo.

Il laboratorio delle Immagini è finalizzato alla valorizzazione della dimensione percettiva,

estetica, emotiva, al cui interno acquisire competenze quali empatia, capacità di pensiero creativo,

capacità di individuare le risorse espressive del utente/cliente/paziente da parte del professionista,

e apprendere buone prassi nell’ambito di queste specifiche declinazioni di setting, comprendendo

il campo semantico e la dimensione etica dell’arte nel sistema valoriale del paziente.

Tali competenze possono essere spese in diversi contesti applicativi, quali ad esempio i percorsi

della riabilitazione, le aree della clinica e della terapia, della psicologia delle organizzazioni, della

pedagogia sociale, della formazione, dell’educazione, dei gruppi di auto-aiuto, dei contesti

culturali e museali e della critica d’arte, e in definitiva nella strutturazione di un setting

professionale dotato di capacità di integrazione nella realtà fattuale della creatività.

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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.

I costrutti teorici potranno essere acquisiti trasversalmente e interattivamente in itinere, mutuati

direttamente dall’azione, intesa come espressione tecnicamente rilevante di un corpus prassico

consolidato, di cui saranno fornite spiegazioni e integrazioni sia con interventi verbalizzati, sia

con supporti cartacei, web e bibliografia specifica, partendo dai presupposti fondazionali della

neuroestetica di Semir Zeki, passando per le connessioni tra psicoanalisi e arte di Sigmund Freud,

interessando la psicologia archetipica di Jung e Hillman, la psicologia della forma, della

percezione, del linguaggio e della capacità rappresentazionale.

Inoltre, sarà possibile sviluppare, se richiesti, approfondimenti sull’arte come fenomeno sociale e

come espressione correlata alle culture specifiche dei gruppi sociali, etnici, politici nel mondo (si

pensi al futurismo o all’arte classica), e di come sia stata oggetto di riflessione da sempre del

pensiero filosofico occidentale.

Nello specifico del Seminario del giorno 30 novembre 2010 sarà utilizzato un modello specifico

di setting, strutturato con un gruppo orientato al compito.

Il workshop si snoda in quattro fasi peculiari:

un’apertura tematica sulle questioni fondazionali che mettono in dialettica proficua Arte e

Psicologia

la somministrazione di immagini evocative, con elementi di supporto cognitivo ed

esplicativo

un setting di pittura con cavalletti individuali e/o in piccoli gruppi, con eventuale sessione

in group action painting

restitutio ad integrum al gruppo, sulla scorta della teoria della psicologia interpersonale e

con l’aiuto degli strumenti interpretativi della psicologia archetipica ed analitica, e nel

contempo con l’inserzione di costrutti propri della dimensione creativa, sia da un punto di

vista artistico che psicologico.