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L’ermeneutica del linguaggio delle immagini nel setting di
psicologia dell’arte
«Così è germinato questo fiore»
Dante, Paradiso, XXXIII, 9
L’idea di allestire un laboratorio delle immagini, individuale o di gruppo, in un setting
psicodinamico, anche clinico, è nata da un incontro in via de’ Cerchi, a Firenze. In un bar, “sopra
due tazze di caffè fatto male”,1 dall’osservazione e dai commenti dei turisti, dalla forza della
suggestione esercitata dalle immagini sulle loro scelte, sui loro itinerari. O sulle deviazioni agli
itinerari previsti, standardizzati dalle agenzie e popolati di falsi.
Antonio Paolucci,2 sostiene che
Tra Duecento e Trecento Dante Alighieri “inventa” la lingua degli italiani. Utilizza il
disseccato latino dell’Università e della Chiesa, lo macera nei fermenti vivi del volgare
toscano e degli idiomi romanzi. Il risultato è la lingua che io scrivo e che chi mi legge
intende. Negli stessi anni Giotto di Bondone “inventa”, nella scoperta del vero e nella
certezza dello spazio misurabile, la “nostra” lingua figurativa, quella destinata ad
arrivare fino a Masaccio («Giotto rinato» come diceva Berenson), fino a Piero della
Francesca, fino a Raffaello, fino a Fontana e a Burri. Questi due fenomeni grandiosi - la
nascita della lingua letteraria e della lingua figurativa di un grande popolo – avvengono
in contemporanea, negli stessi anni, fra gli ultimi del XIII e i primi del XIV secolo. E
avvengono a Firenze. In questa città è germinato il “fiore” di cui parla Dante nel XXIII
del Paradiso e che Franco Cardini mette in epigrafe al suo bellissimo saggio.
Se questo è vero, e abbiamo ragione di crederlo, allora occorre interrogarsi sulla natura prima
delle immagini che hanno ispirato Giotto di Bondone e Dante Alighieri, con la produzione di
linguaggi generativi di storia e di civiltà. Il Duecento fiorentino, l’humus che porta in sé il codice
genetico, in cui germina, il fiore del Trecento, è un luogo trascurato. Come se prima di Giotto,
1 G. Paoli, In un caffè, 19612 A. Paolucci, Soprintendente nel 2004 al Polo Museale Fiorentino, in L’arte a Firenze nell’età di Dante, 1250-1300. Giunti – Firenze Musei, Firenze 2004
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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.
come se il “prima”, non avesse avuto luogo. E’ il luogo delle origini, che per alcuni è mitico, per
altri incognito, per altri rimosso. Il piacere della ricerca ci porta talora lontanissimo, e il nostro
viaggio nel laboratorio delle immagini, alla stregua di una discesa agli inferi, deve
necessariamente prevedere una mappa, e ancora un’ipotesi di ritorno. Dobbiamo dare corpo e
forma, quindi alle corrispondenze che abbiamo ritenuto più evocative allo scenario di questo
Congresso, riservandoci il ruolo di psicologi dell’arte di matrice dichiaratamente psicodinamica,
e incidentalmente o qualora necessario, psicoanalitica. Le chiavi di lettura e gli spunti
interpretativi dell’opera nella pratica psicoanalitica sono di fatto pressoché illimitati,
rappresentano un patrimonio inestimabile di potenzialità, sia per lo psicoanalista sia per
l’analizzando, e per la diade analitica.
Un lavoro, che sia prodotto, fruito, incompiuto, mostrato, o donato, rappresenta per la coppia
analitica una “sfida” alla consapevolezza e alla presentazione presso un pubblico. Un lavoro può
emozionare e far riflettere (che sono le funzioni dell’arte) al di là della soggettività che si
concreta nel “mi piace” – “non mi piace”.
Il tema centrale dell’ermeneutica delle immagini, ovvero di una interpretazione dotata di norme
e di coerenza interna, alla luce di una metodologia accertata, concordata, è certamente la
soggettività.
La soggettività è tale, e può essere anche riconosciuta, da un punto di vista psicologico,
psicodinamico e interpersonale, all’interno di una intersoggettività, a sua volta riconosciuta
come luogo tra due soggettività, e che appartiene solo e soltanto alle due soggettività in gioco.
L’opera d’arte non è il medium tra le due soggettività, altrimenti andrebbe a costituire un
linguaggio tra le due soggettività che diversamente non potrebbero porsi in dialettica.
Noi crediamo, soprattutto alla luce della ricerca svolta nei nostri Seminari di Psicologia dell’Arte,
che l’opera non sia un mediatore linguistico o meglio non solo, ma più verosimilmente un luogo
di espressione del mondo immaginale, del pensiero immaginale, della cosiddetta “base poetica
della mente”,3 afferente al regno dello spazio e non solo sotto il dominio del linguaggio. Il regno
dello spazio è soggetto al corpo e al suo avere luogo senza dover dar prova di sé, e pertanto
strettamente legato all’appercezione, al movimento, alla vista, al tatto.
In Kant, l’appercezione empirica indica l’attività della coscienza che deve accompagnare tutte le
rappresentazioni; l’appercezione pura (o trascendentale, o originaria) è l’autocoscienza, il centro
di riferimento unitario di tutte le rappresentazioni; in tal senso coincide con l’Io-penso, e
3 Hillman; Candreva, Rombolà Corsini.
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probabilmente in senso psicologico può coincidere con la soggettività, e più estensivamente con
la percezione della propria identità somatopsichica.
Le forze in gioco sono costituite da tutte le categorie interessate all’opera, a partire dalla
materia con cui è fatta. Dal periodo storico, dal contesto socio-culturale, dal vissuto dell’autore e
dalla sua storia, dalla fisica e dalla geometria euclidea, dal fine che doveva raggiungere, e da
quanto entra in contatto con il mondo esterno. Dallo “sguardo” di chi osserva, e vede, e informa
di sé, del suo spazio e della sua angolazione. La soggettività quindi si definisce come un “apriori”
sia nella produzione sia nella fruizione dell’opera d’arte.
Darsi una mappa richiede ancora la mediazione linguistica, di un linguaggio che abbia il portato
dello spazio e del “dove”. Se Lacan sostiene che l’inconscio sia strutturato come un linguaggio,
parafrasando Hillman, pensiamo che il linguaggio sia talora strutturato, per lo meno in alcune
dimensioni, come UN inconscio. Uno perché, lo sappiamo dai padri fondatori, non ve n’è uno
solo. Disponiamo di gradazioni e di allocazioni diverse dell’inconscio, che sia implicito 4 o sociale5,
che sia collettivo6 o individuale, si tratta dell’inconscio di una organizzazione psichica dai
contorni difficili da tenere a bada.
Per decifrare un linguaggio occorre una stele di rosetta. Il lavoro con le immagini richiede di
lavorare al mosaico. Decifrare un mosaico significa riempirlo, riempire e completare le tessere
mancanti. Il mosaico possiede linguaggi geometrici, la stele è sorretta da un collagene della
mente. Occorre un retinolo neuronale, occorre una vera e propria opera al nero per assumere la
richiesta di individuazione e di aggiornamento dell’immagine data per buona, nel tentativo di
rendere il tutto il più possibile simile o vicino o approssimato all’immagine che si ritiene
originale. Questo lavoro è di ordine ermeneutico, poiché solo assumendo la necessità di
interpretare l’immagine finale che possiamo raggiungere la traccia dell’immagine originale.
La riflessione è l’appropriazione del nostro sforzo per
esistere e del nostro desiderio d’essere, attraverso le opere
che testimoniano di questo sforzo e di questo desiderio. Per
questo motivo la riflessione è piú di una semplice critica del
giudizio morale; anteriormente a ogni critica del giudizio,
essa riflette su quell’atto di esistere da noi dispiegato nello
4 v. contributo Martelli e Tosarelli5 Erich Fromm6 Carl Gustav Jung
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sforzo e nel desiderio. (Paul Ricouer, Sull'interpretazione.
Saggio su Freud)
Sul piano metodologico, sappiamo che il circolo ermeneutico definisce il procedimento circolare
che fonda ogni atto interpretativo. Questa espressione fa riferimento all'ermeneutica che in
filosofia tratta della teoria dell'interpretazione (dal greco ἑρμηνευτική τέχνη - hermeneutikè
tèchne, arte o tecnica della interpretazione).
Il movimento circolare della interpretazione muove dalle parti che compongono il testo da
interpretare al tutto e, viceversa, dal tutto alle parti. Vi è un continuo scambio tra le cose
conosciute e quelle da conoscere, "le parti", che vanno a loro volta a modificare il complesso del
sapere, "il tutto".
Il termine è stato coniato da Dilthey nell'Origine dell'ermeneutica (1900) ed è stato ripreso nel
Novecento da filosofi, tra cui Martin Heidegger (1927) e Hans Georg Gadamer (1960). Con Paul
Ricoeur e il suo “arco ermeneutico”, la riflessione di ordine circolare assurge a metodologia
dell’interpretazione, in grado di confrontarsi con le scienze della spiegazione attraverso l’opera
di comprensione del mondo dischiuso dall’oggetto dell’interpretazione.
"Comprensione e spiegazione non si oppongono come due metodi. In senso stretto, solo la
spiegazione è metodica. La comprensione è il momento non metodico che precede,
accompagna e circonda la spiegazione. In questo senso, la comprensione include la spiegazione.
Di rimando, la spiegazione sviluppa analiticamente la comprensione ". In Ricoeur non c'è posto
per l'aut-aut del metodo e della verità: il luogo privilegiato della loro articolazione è il testo.
L'ermeneutica si definisce operativamente come lavoro dell'interpretazione testuale, che ha nel
testo il punto focale, e testo è qualsiasi discorso/issato dalla scrittura che nel contempo lo rende
irriducibile e non assimilabile direttamente alle modalità discorsive del dialogo ed autonomo
semanticamente dall'intenzione soggettiva dell'autore; esso si realizza nella complessa
relazione-mediazione con l'atto della lettura, che a sua volta appare un atto concreto nel quale si
completa l'autonomia dell'opera e si dischiude il destino aperto del testo.
Questa prospettiva metodologica non solo apre alla dialettica tra i poli spiegazione e
comprensione situati ai poli dell’Arco Ermeneutico. E’ una metodologia che diventa possibilità di
indagine nelle strutture antistrutturalistiche del pensiero immaginale, le non-strutture alla base
del mondo immaginale che fonda la teoria della mente dell’artista. Se verità e metodo non si
devono più far posto reciprocamente per far stare nella stanza l’interprete in forma
interdipendente e vincolante, ma possono comodamente stare nello stesso luogo in una
prospettiva ancora una volta intersoggettiva, non si tratta di due metodi ma di polarità, come
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afferma lo stesso Ricoeur. La visione archetipica dell’Arco apre ad Anima e alle sue complicazioni
seducenti, angeliche, ermetiche. Ai suoi movimenti interni mercuriali, propri di “hermeneus”,
interprete, messaggero (ed Hermes era Mercurio per i Greci, il messaggero degli dèi), borsaiolo,
commerciante e "che froda con le parole", cioè colui che 'trama con la parola', che la
padroneggia e la simula agli altri, che non la comprendono offrendo possibilità di riflessioni
metaforizzanti al profano non capisce il linguaggio degli iniziati. Ermetismo, pertanto, inteso
come funzione esoterica del linguaggio. L'ermetismo restituisce alla cultura il senso delle sue
mitologie, delle metafore, delle allegorie religiose, ci apre l'accesso al mondo degli dèi e dei
simboli.
Si aprono una serie di interrogativi che demandano ad una complessità ed una
problematizzazione di ordine epistemico rispetto all’arte.
L’arte è un principio fondante o una conseguenza emergente? L’arte è un linguaggio naturale o
genera linguaggi naturali? Si avvale di linguaggi pre-esistenti? Ha una sua rete di significati, una
ontologia, una prototetica (logica delle proposizioni), oppure si tratta di un sistema sintattico di
elementi che afferiscono a campi semantici differenti?
Nel corso della nostra ricerca, abbiamo prodotto alcune riflessioni, facendoci forti del pensiero
che fu di Hillman, Neumann, Jung, Vico, Ficino, Plotino. E ci siamo persuasi che questi antichi
maestri avevano ampiamente argomentato le proprie ragioni, si erano confrontati, non avevano
lesinato di problematizzare la questione del fondamento della mente immaginale.
«La vostra visione diventerà chiara solo quando guarderete nel vostro cuore?Chi guarda all’esterno, sogna. Chi guarda all’interno, apre gli occhi»
Carl Gustav Jung
D’altra parte, il capolavoro del neuroestetico Semir Zeki si intitola non a casa “A inner vision”.
Una tesi interessante e originale, alla creatività come apertura al mondo interno, è posta anche
da Aldo Carotenuto7 in “Distruzione, caos e il rischio creativo”:
Con il termine «creazione» la teologia e la filosofia intendono designare I'azione creatrice attribuita
all'Essere assoluto, quell'azione attraverso la quale Dio ha fatto apparire «qualcosa» invece del nulla.
La creazione dunque rimanda al problema dell'origine, alla domanda che gli uomini si sono posti
circa la realtà tutta. Ed è questa domanda sull'origine, a prescindere dalle risposte fornite dalla
filosofia e dalla teologia, che interessa lo psicologo del profondo. Infatti ciò che ha spinto I'uomo a
7 Archivio elettronico della Rivista di Psicologia Analitica. Vitalità del negativo: creatività e distruttività in analisi, n. 5 (57/98), a cura di P. Aite, Casa Editrice Astrolabio
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domandarsi «da dove viene» e quale è il posto che occupa nell’universo, testimonia di una ricerca
sul senso che accompagna tutta la vita. […]
Per ritornare al tema della creazione, possiamo constatare che il problema dell’'origine del mondo
rimanda al motivo del passaggio dal caos all'ordine. In quasi tutti i miti cosmologici, infatti, la
creazione rappresenta la fine del caos con I'introduzione nell'universo di una forma, di un ordine, di
una gerarchia. La creazione è intuizione di un ordine nuovo, di nuovi rapporti fra termini diversi,
I'azione di un'energia che si concreta nel «mettere ordine». Di solito I'opera del creatore precede o
segue un caos iniziale. In molti miti antichi, tale caos è una massa elementare e indifferenziata che lo
spirito «informa», dandole appunto una forma. La creazione in senso stretto, detta a nihilo, è
I'azione che fa esistere tale caos come amalgama indistinto di forze che poi daranno vita alle forme.
L'energia organizza queste forze, e la creazione dell'universo è la prova che un ordine è stato fatto,
che dal magma originario è stato possibile far emergere delle strutture. La materia che partecipa
dell'energia creatrice tende così spontaneamente ad organizzarsi in forme sempre più differenziate,
strutturate. Spesso però la creazione non è rappresentata come un «trarre dal nulla»: la creatio ex
nihilo è una nozione teologica relativamente recente. Piuttosto la creazione si qualifica come
I'azione dell'essere creatore su una realtà preesistente, rappresentata in svariati modi ma che, in
tutti i casi, è una realtà «caotica», oppure «senza vita», «immobile». Presso alcune culture, tale atto
di creazione non è attribuito all'Essere supremo ma ad una figura secondaria, il demiurgo. Questi
opera su una realtà già esistente modificandola, a volte anche contrastando I'azione dell'Essere
supremo, addirittura tradendone i progetti iniziali. In alcune aree religiose il conflitto tra il Dio
benefico che ha dato origine al cosmo e il demiurgo che interviene operando tragici cambiamenti
diventa un vero e proprio conflitto tra principi del bene e del male, che serve a spiegare il perché
della presenza nel mondo del male e della morte. […]
Secondo Mircea Eliade questo richiamo al rinnovamento e alla ricreazione deriva da un impulso
universale di natura archetipica che è i'impulso a distruggere la «storia profana» e a riproporre il
tempo e il mondo astorici dell'inizio. II caos originario sarebbe dunque sia il simbolo di una
confusione (nel senso proprio di confusione) di elementi negativi (che I'azione creativa del dio
supera), sia il simbolo dell'unità primordiale, quando ancora non esisteva alcuna scissione e
separazione, il simbolo della non-dualità tra creatore e creatura. II caos dunque, sarebbe sia un
elemento attrattivo, identificato con il Paradiso, con I'ideale condizione primordiale verso cui va la
nostalgia che emerge nei riti e nei miti, sia un elemento pericoloso, proprio perché regressivo,
risucchiante, paralizzante.
Si determina una necessità vitale di congiungimento, di confronto, di sovrapposizione, tra
l’immagine originale e l’immagine risultante dal lavoro immaginale stesso, in cui offrono il loro
contributo diversi dispositivi psicologici e si vanno chiarendo i costrutti che ne derivano, a partire
dallo scarto tra l’immagine primaria che è controfattuale, controintuitiva, cui si deve tendere per
opera a ritroso, e l’immagine che si genera come individuata e di cui l’opera d’arte rappresenta il
miglior compromesso disponibile. Individuante e individuazione per mezzo delle immagini, si
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riuniscono in un incontro che quasi sempre ha del doloroso, un dolore da cui è possibile
attingere gioia, bellezza.
L’immagine originale è probabilmente di ordine archetipico, e una decodifica ulteriore ci porta al
magma immaginale, all’imago sacra e senza volto, di colui che non ha nome.
La stele occorre per rendere l’immagine utile, per renderla disponibile alla coscienza. Utile et
dulce.
La tecnica adottata nel laboratorio delle immagini non assomiglia solo alla formazione di un
nuovo mosaico, ma anche e forse di più, alla ricostruzione di un mosaico probabilmente
danneggiato, o ricco di parti non fruibili perché mai utilizzate in quanto mai viste. Si tratta di
affinare lo sguardo per poter far emergere quelle tessere che non si vedono a sufficienza, che
non hanno ricevuto la luce della giusta lunghezza d’onda, o non hanno avuto attenzione, cura,
analisi. E come tutte le cose poco utili, appaiono lontane, coperte di polvere, appannate,
sfocate. Come stelle troppo lontane per essere viste, quindi per questo ritenute, per errore
fatale, inesistenti.
Secondo i matematici Judith Flagg Moran, Kim Williams,8 le tracce della cultura materiale di tutte
le civiltà che ci hanno preceduto, testimoniano della seduzione che i motivi geometrici,
esercitano sull’uomo, anche a giustificare la necessità di decorare l’ambiente, il corpo, gli
oggetti. Studiosi di neurofisiologia cognitiva e neuroscienze come Stanislas Dehaene e Brian
Butterworth stanno studiando i processi cerebrali utilizzando anche la sofisticata scansione PET,
che visualizza l’attività di un cervello mentre elabora l’immagine di un motivo geometrico di un
tappeto peruviano, senza fornire con questo alcun orientamento nell’affrontare questioni
attinenti il perché questa attività cerebrale sia da considerare piacevole oppure cosa abbia
indotto il tessitore a creare quel motivo per la prima volta.
Alcuni autori di testi sulla psicologia dell’arte come E. H. Gombrich e Rudolph Arnheim hanno
ipotizzato una relazione tra la capacità di percepire i motivi geometrici e il processo di
costruzione dello sviluppo cognitivo attraverso il riconoscimento di strutture, correlando quindi
questa abilità percettiva al successo evolutivo stesso della specie umana. In Intuizione e
intelletto, nuovi saggi sulla psicologia dell’arte, Arnheim afferma: “La percezione deve ricercare
la struttura. La percezione infatti è la scoperta della struttura. La struttura ci dice cosa siano le
componenti delle cose e secondo quale tipo di ordine interagiscano”.
8 Dalla tassellatura del piano alla pavimentazione di spazi urbani, di Judith Flagg Moran, Kim Williams(traduzione a cura di Roberto Di Martino)Università degli Studi Bocconi, 2010
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Per Gombrich (Il senso dell’ordine), l’umano senso dell’ordine è “radicato nell’eredità biologica”
e lega la percezione dei patterns alla sopravvivenza stessa.
In tempi più recenti, John Barrow in L’universo come opera d’arte si sofferma sulle tesi di
Gombrich quando assegna alla capacità di riconoscere l’ordine nell’ambiente lo status di
strumento per la sopravvivenza: “Il riconoscimento dell’ordine è benefico per la sopravvivenza.
L’abilità di estrarre la sagoma di una tigre dal motivo di fondo costituito del fogliame nella
giungla, costituisce senz’altro un efficace strumento di sopravvivenza.”
Il sostegno delle scienze dure e delle teorie evoluzionistiche, ci fa da contrappunto anche
quando ci domandiamo, - e lo psicologo del profondo non può non aprirsi a questo dubbio – se
la capacità di riconoscere l’ordine passa da dispositivo di adattamento a dispositivo di ricerca del
Sé, acquisendo una teleologia e un posto di riguardo nella teoria della mente e nelle teorie
dell’identità e dell’intersoggettività, oltreché a avere tutto il diritto di una dignità epistemica.
Con John Barrow, anche la psicologia dell’arte di impronta psicodinamica, che si adombra non
appena si allontana la dolce e avvenente seduzione del pensiero immaginale, può concedersi di
affermare che abbiamo accettato nuove configurazioni come ordinate, perché abbiamo
imparato ad accettare nuovi criteri di ordine, nuovi patterns immaginali.
Due delle più note di queste nuove famiglie di patterns sono i frattali e le configurazioni
aperiodiche come le tassellature di Penrose. I frattali sono stati e sono tuttora largamente
utilizzati dalla computer grafica per creare artificialmente forme che appaiano naturali; le
tassellature di Penrose (scoperte alla fine degli anni Settanta) furono invece utilizzate negli anni
Ottanta come modello visivo per i quasicristalli, la “nuova forma della materia”.
Lo psicologo immaginale è consapevole che non si tratti di configurazioni nuove, ma è persuaso
che si tratti di configurazioni pre-esistenti, che si possono definire emergenti, poiché si va
affinando la percezione e la capacità di indagare e vedere, e non già perché sussista qualche
cosa di veramente nuovo. L’evoluzione è anche il frutto di un gene drammaticamente antico, si
pensi al mitocondrio materno, che non smette mai di perpetuarsi. Queste configurazioni iniziano
a far parte della ricerca degli artisti, come ha fatto ad esempio Escher. E’ proprio Escher, nel
1965, ad affermare:
Anche se sono rimasto un profano in campo matematico, e se manco ancora di conoscenze teoriche,
i matematici, e in particolare i cristallografi, hanno avuto un'influenza notevole sul mio lavoro degli
ultimi vent'anni. Le leggi dei fenomeni che ci circondano - ordine, regolarità, ripetizioni cicliche e
rinascite - hanno assunto per me un'importanza sempre maggiore. La consapevolezza della loro
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esistenza mi procura pace e conforto. Cerco con le mie stampe di testimoniare che viviamo in un
mondo bello e ordinato, e non in un caos senza forma, come talvolta sembra.
E durante il Rinascimento, Leon Battista Alberti scriveva: “Principalmente si consiglia di occupare
l’intero pavimento con linee e figure musicali e geometriche, per modo che la mente dei
presenti sia in ogni maniera attratta verso la cultura.”
Alberti sembra scegliere il pavimento come oggetto privilegiato delle sue descrizioni architettoniche.
Il pavimento spesso serve come tela per la rappresentazione di idee implicite nell’Architettura. Il
pavimento, in genere, è la più grande superficie ininterrotta nell’edificio. Attraverso gli spazi
decorati, si esplicita l’organizzazione che governa l’edificio. I disegni pavimentali possono indicare
una gerarchia di spazi nell’edificio, possono segnalare direzioni di movimento attraverso questi spazi
suggerendo anche ritmi e velocità di percorrenza.9
Lo spazio e il movimento ci riportano immediatamente alla psicologia, e all’esortazione
immaginifica della tavolozza metaforizzante.
Psicologia e arte, perché insieme? E’ una condizione di tensione tra linguaggi, in cui la psicologia
non è necessariamente una stampella per la critica d’arte, e in cui l’arte non è solo o meglio non
intende porsi come “mediatore” tra analista e analizzando. Si può anche parlare di una dialettica
tra fenomenologie linguistiche, il cui intento è cementare ponti di connessione, per provare a
“sentire la riunificazione” nell’animo umano, tra codificazioni diverse delle stesse istanze
espressive ed esplorative.
E’ lo spazio, sotto la protezione della coscienza umana, in cui possono avere luogo e palesarsi, i
movimenti del mondo immaginale, i passi dell’uomo nel “mundus imaginalis”, alla ricerca di una
icona metaforizzante, di una “imaginalis picturae formatio: formazione (o ‘espressione’) di una
pittura figurativa (o ‘icònica’)”.
Per lo scultore fiorentino Marco Becattini, l’arte è il mezzo più diretto di connessione con ciò che
non conosci a livello razionale, ciò di cui sei inconsapevole.
La fenomenologia dell’arte sta nell’ordinare, nell’organizzare, nel riprendere le cose e sistemarle
in nuove categorie esistenziali, nel narrare secondo campi semantici che possiedono una
coerenza interna ed una congruità comunicativa.
Tra l’inconscio e l’opera sta l’artista, lo sciamano, il medium, [lo psicologo]. Il folle è
inconsapevole e incomprensibile. L’artista si limita a non giudicare ciò che viene a sapere.L’arte
attiva scenari possibili ove può avere luogo [essere nello spazio], l’incomunicabile, l’indicibile, il
9 Cit. Bocconi
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rimosso, l’incongruo, l’ambivalente, l’incoerente, l’asintattico, il frazionato e l’intero, l’a-logico, il
pre-logico, il proto-logico, l’arcaico, il mitologico. Il difforme, il mostruoso, il magma. Il cielo, il
vuoto, l’assente, il negativo, il nero, l’informe. In altre parole, l’Ombra e il Sogno [Traum].
Per Schleiermacher (1768-1834) l’interpretazione non è solamente dei Testi Sacri, ma di ogni
testo il cui significato non sia perspicuo
Ma qual è il lavoro dell’interprete? Ricostruire il senso che l’autore voleva dare alla sua opera
oppure è lecito anche conferirle altri sensi alla luce della riflessione sulla distanza che da essa ci
separa? L’interpretazione dunque diventa esegesi fondata su un sapere storico-culturale.
La domanda centrale è come l’ermeneutica del mondo immaginale possa essere di aiuto alla
comprensione dell’opera da un punto di vista psicologico; la domanda indicibile, cui non ha
accesso forse alcuna scienza, è come si perviene alla forma partendo dai topoi del mondo
immaginale. Nella palude del dubbio, si fa sempre appello ai fondamentali.
L’azione formalizzante è appunto un’azione, un porre in essere, mettere in campo variabili che
comportano rischi, costi, economie psichiche.
L’arte - scrive Freud nelle Precisazioni del 1911 sui Due princìpi dell’accadere psichico:
«perviene, per una strada sua particolare, a una conciliazione dei due principi [principio di
piacere e principio di realtà]. L’artista è originariamente un uomo che si distacca dalla realtà,
giacché non riesce ad adattarsi» alle rinunce che essa impone. Ciò lo indurrebbe, per formazione
reattiva, a rappresentarsi un mondo immaginario, talora eroico, che inizialmente è del tutto
privato e personale. «Egli trova però la via per ritornare dal mondo della fantasia alla realtà
poiché grazie alle sue doti particolari trasfigura le sue fantasie in una nuova specie di “cose
vere”», che mette a disposizione di tutti coloro che «provano la sua stessa insoddisfazione per la
rinuncia imposta dalla realtà». Con ciò le creazioni artistiche assumono un’esistenza pubblica e
una loro peculiare consistenza, in quanto oggetti passibili di percezione condivisa.
Si tratta ancora di una definizione a posteriori, di una spiegazione che non ci apre al dubbio, non
ci conforta con la comprensione, e neppure basta a soddisfare l’esploratore alla ricerca erratica
di un tassello sul pavimento nel mondo immaginale.
Cerchiamo ancora, un altro appello ai fondamentali. Scrive Moore: “ La parola anima allude alle
profondità, e Hillman si vede come un discendente diretto della psicologia del profondo, le cui
origini lontane risalgono a Eraclito e alla sua affermazione che nessuno potrà mai scoprire i
confini dell’anima, neppure percorrendo tutte le strade, tanto profonda è la sua natura.”
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Se la psiche è immagine, l’atteggiamento immaginale verso la psiche di Hillman amplia l’idea
fondamentale che tutto è metaforico e poetico. Henri Corbin, con l’espressione ‘mundus
imaginalis’, descriveva un mondo reale con leggi e finalità proprie, lontano dall’astrazione. Per
Hillman il mundus imaginalis: “E’ un campo specifico di realtà immaginali, il quale richiede
metodo e facoltà percettive diversi da quelli richiesti dal mondo spirituale o dal mondo empirico
e ingenuo della normale percezione sensoriale. Il mundus imaginalis offre una modalità
ontologica di collocazione degli archetipi della psiche, che risultano essere strutture
fondamentali dell’immaginazione, o fenomeni fondamentalmente immaginativi, che
trascendono il mondo dei sensi, se non nella loro apparenza, almeno nel loro valore (in quanto
fenomeni essi devono apparire, anche solo all’immaginazione o nell’immaginazione). Il ‘mundus
imaginalis’ fornisce agli archetipi quella fondazione cosmica e assiologica che non potrebbero
loro fornire, per esempio, gli istinti biologici, le forme esterne, i numeri, la trasmissione sociale e
linguistica, le reazioni biochimiche o la codificazione genetica.” (Hillman 1981, p. 814).
Hillman sostiene in Saggi sul Puer, pp. 2-3, che il metodo della psicologia archetipica è stato
almeno in parte descritto dal filosofo e islamista Corbin con il suo termine ‘ta’wil’ che significa
“ricondurre, riportare qualcosa alla sua origine e principio, al suo archetipo”. Henri Corbin
scrive:” Nel ta’wil si dovrebbero riportare forme sensibili a forme immaginative, e di qui risalire a
significati ancora più alti; procedere nella direzione opposta (riportare cioè forme immaginative
alle forme sensibili da cui prendono origine) significa distruggere le virtualità
dell’immaginazione”.
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E’ possibile che la domanda del come abbia luogo l’azione formalizzante, non sia posta
correttamente da un punto di vista psicologico.
Lo psicologo del profondo vuole conoscere i luoghi della produzione, la loro organizzazione e le
loro dimensioni. Per farlo, i padri fondatori hanno invocato Anima, come noi oggi desideriamo la
Conoscenza. Non hanno avuto paura di attingere al Sacro come dimensione tutta umana di
Giotto di Bondone, Crocifissione, particolare.
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entrare in contatto con le strutture portanti che continuamente si modellano per parlare agli
uomini.
Marsilio Ficino (1433-1499) si dedicò a tre attività: fu traduttore; pensatore e filosofo; mago. Il
suo pensiero è una forma di Neoplatonismo cristianizzato, in cui la filosofia nasce come
“illuminazione” della mente. Ficino concepisce la struttura metafisica della realtà, secondo lo
schema neoplatonico, come una successione di gradi decrescenti di perfezione, che egli però
identifica, in modo diverso rispetto ai Neoplatonici pagani, nei cinque gradi: Dio, angelo, ANIMA,
qualità(=forma), materia.
I primi due gradi e gli ultimi due sono nettamente distinti fra loro come mondo intelligibile e
mondo fisico, e l’anima rappresenta il “ nodo di congiunzione”, che ha le caratteristiche del
mondo superiore e, insieme, è capace di vivificare quello inferiore.
Anche per Davide Rondoni, poeta e scrittore nostro contemporaneo, le cosiddette arti liberali
sono i “gradini sicuri” come dice Agostino nelle Retractationes, per giungere alle realtà
incorporee a partire dalle cose corporali L’arte è una “scientia” per ricongiungersi all’Unico.
Una faccenda maledettamente importante, dunque. Fermarsi al “bisogno” delle arti liberali è un
segno di debolezza. E’ una profezia, per così dire, della situazione in cui viviamo: abbiamo bisogno
delle arti liberali, ma sottratte al loro compito di introdurre a una scientia dell’inivisibile (quella che
cercavano Raffaello e Leonardo, Michelangelo o Lorenzo Lotto, o i pittori di icone) le arti diventano
intrattenimento per colti, ironia su se stesse, coatte a una provocazione continua, dedita a
solleticare prese di coscienza sociali o a produrre “ludus” nelle zone ricche del pianeta. La
esperienza della bellezza, Agostino lo sapeva, è luogo di un rischio.
[…] Nel libro centrale e infuocato del De Musica, il VI, non a caso Agostino riflette su come è
possibile che una esperienza dei sensi, fisica, corporea offra qualcosa di buono all’anima che ne è
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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.
superiore. Ma questa anima è “ferita”. L’anima, per quanto superiore, è comunque segnata dal
limite del peccato originale. E aggiunge, in una splendida riconoscimento di valore al corpo, che tale
ferita dell’anima “non meritava di restare senza l’onore di una certa bellezza”. Bellezza che viene da
un’esperienza del corpo.
Nasce la grande stagione della poesia che Dante porterà a compimento e a grande futuro, con il suo
viaggio di amore e conoscenza grazie al miracolo della presenza nella sua vita di Beatrice. Dante è un
grande lettore di Agostino, seppure nella Commedia il suo dialogo con il filosofo è quasi muto. Quel
loro conversare si costruisce per grandi archetipi: la tripartizione del viaggio, la presenza di tre fiere,
la differenza sulla lettura del ruolo di Roma, il movimento tra segno e significazione analogo al
movimento tra desiderio e compimento, l’esemplarità del viaggio di Ulisse, e altre cose messe in
luce da grandi lettori come Bob Hollander. Di certo è in dialogo con Agostino un viaggiatore che,
come Dante, sa che non basta la filosofia a salvare la vita di un uomo. Non è per via filosofica che
l’uomo arriva alla verità. Maria Zambrano vede in Agostino uno dei pochi in cui filosofia e vita
superano il dissidio imposto da Rousseau. In Dante, poetare e conoscere sono lo stesso movimento.
Ma il poetare, appunto, è ben diverso dal filosofare. E’ una esperienza del ritmo. Una filosofia
percepita, direbbe Eliot. 10
Insistiamo ancora sui padri fondatori, perché non siano ancora una volta messi sotto chiave nei
musei delle biblioteche universitarie ed escano dai tempi dei saggi.
Hillman tiene una Conferenza a Roma nel 1973, nella quale chiarificherà senza risparmio le
coordinate epistemiche per spiegare e comprendere il fondo immaginale della mente.
“Plotino, Ficino e Vico, precursori, della psicologia junghiana” . Eccone alcune parti irrinunciabili:
Scrive Jung in Sogni, Ricordi, Riflessioni: L'opera di Creuzer: “ ... era un tentativo di dare una base
scientifica all’interpretazione neoplatonica della mitologia greca. Benchè subito sconfessata dai filologi
responsabili, fu accolta con entusiasmo da filosofi come Shelling, influenzò durevolmente il genio
estroso e irregolare di Bachofen ed ebbe, nell’insieme, un ruolo molto importante nello sviluppo degli
studi mitologici” .
Creuzer fu l'iniziatore della storiografia greca e — cosa della massima importanza per noi — il curatore
dei testi neoplatonici di Proclo e Olimpiodoro (Francoforte 1820-22) e di Plotino (Oxford. 1835); inoltre
prendendo le mosse da questo neoplatonismo, Creuzer inventò un modo— allora del tutto nuovo — di
accostarsi al mito e alle religioni comparate. Immagini, statue, racconti e fiabe erano simboli da
analizzare per i loro significati reconditi. Secondo Creuzer, la ricerca nel campo del mito e della religione
poteva arrestarsi non quando avesse attinto l'origine storica, la connessione causale, la spiegazione
naturalistica ma quando fosse stato portato alla luce il significato simbolico. Per svelare il significato
simbolico era necessario quello che egli considerava il dono ermeneutico, la capacità di percepire
mitologicamente, arte prossima a quella del poeta. Il livello più profondo a cui questa percezione
10 Davide Rondoni, 2011 www.daviderondoni.it
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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.
simbolica potesse penetrare era II significato neoplatonico dell'immagine. Creuzer era un neoplatonico.
[…]
Ma la psicologia può rivolgersi a Plotino e scoprirvi quell'interesse basilare per l'anima che era
fondamentale anche nel pensiero di Jung: qua! è la natura della realtà psichica? La grande opera di
Plotino, le Enneadi, si apre con queste parole: «Piaceri e dolori, paure e ardimenti, voglie e avversioni, a
chi altro mai potrebbero appartenersi [se non... all'anima?»]. Dopo aver ragionato sui corollari del
problema e sulle possibili soluzioni, egli prosegue: (I, 1,2) «La nostra indagine ci
impone di esaminare fin dall'inizio la natura dell'Anima». E' evidente che ci troviamo davanti a un libro di
psicologia. […]
Jung fa riferimento alle Enneadi IV, 9. 1, dicendo: «Nomino Plotino, poiché egli mi ha preceduto come
testimone dell'idea dell'unus mundus». Jung da poi la sua consueta «tournure empirica» dicendo,
«L'unità dell'anima ha il suo fondamento, empirico nella struttura psichica di base, comune a tutte le
anime che. benché non sia visibile e tangibile come la struttura anatomica.
La similitudine di Plotino dell'immaginazione come specchio implica l'idea — cosi preziosa per la terapia
archetipica— che i disordini della coscienza debbano attribuirsi a disordini nella riflessione delle
immagini; infatti se la coscienza è basata sull'immaginazione anche i suoi disordini lo saranno. Uno dei
segni di un disturbo psichico è il pensiero senza immagini, la consapevolezza di idee e concetti che non
sono riflessi nel loro sostrato psichico, disancorati dalle loro immagini speculari (20). La terapia della
coscienza richiede un esame dell'immaginazione e della relazione funzionale tra coscienza e
immaginazione; attraverso la terapia, idee e concetti devono giungere a corrispondere alle immagini
dell'anima e alla luce di queste essere corretti. La psicologia della coscienza di Plotino è dunque una vera
psicologia e non una fisiologia mascherata in cui la coscienza viene fatta derivare dai processi cerebrali.
[…] Plotino e Jung concordano, nel riconoscere alla coscienza una base totalmente psichica, una base
nell'immaginazione. in ciò che più tardi Ficino avrebbe chiamato fantasia o idolum.
[…] Proteo, come Mercurio, rappresenta il perenne fluire della psiche, mai cristallizzata in un solo gesto
o immagine, l'Io proteiforme riflette veramente tutte le possibilità.
[…] E' neoplatonica l'idea che l'anima «scrive» in perpetuo su se stessa: «psicologizzare» è
un'operazione inesauribile. Ficino considera questo «perpetuo raziocinare» la vera attività della psiche.
L'anima riflette incessantemente su se stessa, la riflessione è la sua natura essenziale. Quindi tale attività
psicologica essenziale che non può aver termine finché l'anima ha vita, l'oggetto di studio è la totalità di
queste esperienze ragion per cui egli deve abiurare la terminologia presa a prestito dall'anatomia.
Scrive Ficino: Questo (l'anima) o il più grande dei miracoli della natura. Tutte le altre cose create da Dio
sono sempre un essere solo ma l'anima o tutte le cose insieme ... Per questo si può a buon diritto
chiamarla centro della natura, termine intermedio di ogni cosa, mediazione e compendio dell'universo».
Poiché collocava l'anima al centro dell'universo, la filosofia di Ficino divenne una filosofia psicologica;
Ficino riconosceva che la filosofia è basata sull'esperienza psicologica, la modifica e ne viene modificata.
La vera educazione è dunque un'educazione psicologica.
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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.
[…] La contro-educazione di Marsilio Ficino è dunque una sorta di psicoanalisi, in quanto pone al primo
posto la realtà psichica e considera gli eventi in funzione del loro valore e del loro significato per l'anima.
L'affermazione che la mente ha dimora nell'anima, equivale all'esse in anima di Jung (CW, 6, par. 66, 77);
la realtà dell'essere umano è la realtà dell'essere psichico che è poi la sola realtà immediatamente
conosciuta, immediatamente presente.
Tutto ciò che si conosce, si conosce via anima, cioè viene trasmesso attraverso immagini psichiche che
sono la nostra realtà prima.
Poiché l'anima è ogni dove, il pensiero di Ficino, come quello della psicoanalisi, filtra attraverso tutte le
barriere accademiche tra «dipartimenti» e «facoltà». Anche per questo gli accademici «antipsicologi»
attaccano Ficino, (come attaccano Jung) o dal lato dell'ortodossia cattolica (Etienne Gilson) o dal lato
dell'ortodossia scientifica (George Sartou e Lynn Thorndike), adducendo che i suoi scritti sono «retorici»
«privi di valore come filosofia», mere «fantasie mistiche» .
[…] Le immagini della fantasia sono il mezzo con cui l'anima sovrappone il destino alla natura. Senza la
fantasia non abbiamo il senso del destino, siamo puramente naturali . Attraverso la fantasia, invece,
l'anima è in grado di mettere il corpo, l'istinto e la natura al servizio del destino individuale. Il nostro
destino si rivela nella fantasia o, come direbbe Jung: nelle immagini della nostra psiche troviamo il
nostro mito. In questa accezione generale, Vico è un precursore dell'orientamento junghiano. […] Vico è
un precursore della psicologia archetipica. Egli merita la nostra attenzione — l'attenzione di quanti si
interessano a Jung — soprattutto per la sua elaborazione del pensiero metaforico. Per Vico questo tipo
di pensiero era primario, come è primario per Jung il pensiero fantastico. Vico elabora il concetto di
fantasia (che già Ficino aveva messo in risalto) con maggiore profondità e precisione, attraverso la
dottrina dei caratteri poetici.
Nella Scienza Nuova (S. N. par. 205-209) Vico ci presenta degli aspetti tipici della mente umana sotto
forma di «universali fantastici » (par. 381) o di immagini universali come quelle del mito. Si tratta di
caratteri poetici e non di semplici invenzioni della creatività di un artista come Omero; il vero Omero è
uno stato d'animo, un modo di concepire il mondo attraverso gli universali di Dio ed Eros, ciascuno dei
quali è un tipo, un concetto di classe ma allo stesso tempo affermazione di una verità metafisica e vera
narrazione (vera narratio)
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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.
«Ad Achille tutti i fatti de' forti combattitori, ad Ulisse tutti i consigli de’ saggi »
Vico
Hillman non solo ci offre l’opportunità della re-visione della psicologia aprendoci al mondo
immaginale ma di prendere sostenere la psicologia dell’arte con i fondamenti della psicologia
archetipica, proprio tornando a Firenze, al legame di Hillman con Firenze.
Fu proprio in Italia che nel 1966, ospite di Dora Bernhard nella sua casa sul lago di Bracciano,
cominciò a scrivere la sua prima conferenza Eranos – diventata poi il capitolo iniziale de Il mito
dell’analisi – e per la prima volta, nel commentare la favola di Amore e Psiche, di cui tante e
preziose tracce si trovano nella cultura rinascimentale italiana, si rivolse a Marsilio Ficino e al
neoplatonismo fiorentino. Fu a Firenze nel 1981 per una Conferenza a lui dedicata a Palazzo
Vecchio, al Salone de’Dugento. Hillman leggerà così, direttamente in italiano:
“Immaginiamo oggi, di nuovo qui a Firenze, l’anima mundi del neoplatonismo: non come al di sopra del
mondo, a circondarlo quale divina e remota emanazione dello spirito; e neppure come insita nel mondo
materiale, quale il suo principio vivente panpsichico che lo unifica. Anima mundi sta piuttosto a indicare
una possibilità animata che ciascun momento del mondo presenta, il suo presentarsi sensibile come
immagine – insomma, la sua apertura all’immaginazione. Non solo – come nella visione romantica –
sono pervasi di anima gli animali e le piante, gli scenari infiniti della natura e gli oggetti simbolici del
culto, ma l’anima è data in ogni cosa, sia nella natura, sia negli oggetti della città, opera dell’uomo. Il
mondo si presenta in figure, colori, atmosfere, strutture – è un dispiegarsi di forme imagistiche. Tutto ha
un volto; e in quanto forme espressive, le cose parlano, manifestano la loro fisionomia; annunciano se
stesse, danno testimonianza della loro presenza: “Guardate, eccoci!” Esse ci guardano, al di là di come
noi possiamo guardare loro e delle nostre prospettive, al di là di ciò che noi intendiamo con esse, e di ciò
che ne facciamo. Il mondo di immagini personizzate, che manifesta questa esigenza di attenzione –
estetica, animata, immaginativa – è un mondo pervaso d’anima. Ma non basta: questo riconoscimento
immaginativo, il semplice atto d’immaginare il mondo, anima il mondo e lo restituisce all’anima”.
La conferenza fiorentina era infatti preceduta da quella romana del 1973, Plotino Ficino e Vico
precursori della psicologia archetipale, e da quella Eranos del 1979, Il pensiero del cuore, densa
anch’essa di riferimenti alla cultura italiana, da Dante e Petrarca a Michelangelo. Tutte e tre
sono saggi di un pensiero teso a risvegliare il cuore ardente che immagina, e a rivolgerlo al
mondo e alla sua bellezza; o anche, a fondare un’erotica della psicoanalisi da cui soltanto può
generarsi una logica dell’anima, una psicologia dell’arte che diventi parola dell’anima e per
l’anima, perché possa curare il cuore di chi attraversa lo studio di quello psicologo che si fa
tramite umile tra il mondo interno dell’analizzando e il mondo interno del mondo, lo psicologo
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del’arte è colui che riordina le tessere che gli sono portate, secondo equazioni non estraibili da
una ragioneria cognitiva, ma da una matematica della bellezza misteriosa che porta con sé ad
esempio un frattale. E’ irrevocabilmente il luogo del fare anima.
Se per Il posto dell’anima è terzo, sia percorrendo i cinque gradi della gerarchia del reale dal
basso verso l’alto sia viceversa. In particolare Ficino rileva l’importanza dell’anima con la sua
funzione di “intermedio” di tutte le cose. Essa si inserisce fra i corpi sensibili, senza essere
corporea né sensibile; è dominatrice dei corpi, ma aderisce al divino. Connessa alla tematica
dell’anima è, in Ficino, quella dell’ “amor platonico”, in cui l’Eros platonico si sposa con l’amor
cristiano.
La teoria dell’ “amor platonico” ebbe larga diffusione in Italia dove il terreno era stato preparato
dalla diffusione del “dolce stil novo” e dalle tematiche connesse. Finalmente, una buona
occasione per tornare a Firenze insieme ad Hillman, vagando come turisti ora più consapevoli,
da Santa Croce a Ponte Vecchio, da Piazza della Signoria al Lungarno del Tempio, alla ricerca di
quella radura dell’essere in cui germina il fiore cui ci richiamava Dante sin dall’inizio del nostro
viaggio. Fluentia, Florentia, l’albero fiorito del pucciniano Gianni Schicchi. Firenze-Fiore endiadi e
carrefour del mondo immaginale.
Franco Cardini scrive a questo proposito un intero capitolo nell’Arte a Firenze nell’età di Dante
1250-1300.
“Così è germinato questo fiore”, così Dante fa parlare il Doctor mellifluus, Bernardo di Clairvaux,
rivolto alla Vergine Maria. E il pensiero corre inarrestabile alla splendida pala dipinta da Filippino
Lippi per la gloriosa Badia nella quale, a un passo dalle case degli Alighieri, dorme il marchese Ugo di
Tuscia: la pala dell’apparizione della Madonna all’abate cistercense e al loro mistico, amoroso
colloquio in presenza d’una turba di stupiti angeli adolescenti e al cospetto di alcuni atterriti demoni
impietriti in un gesto di impotente rabbia.
Quella dolce Vergine, sotto il pennello dell’allievo di Sandro Botticelli che devotamente la dipingeva,
non poteva non essere anche e soprattutto lei, la santa Maria del Fiore, la Madonna del Giglio; quel
giglio che era il Cristo nella tradizione legittimata dal De institutione Virginis di Ambrogio e
canonizzata proprio da Bernardo stesso, nell’In adventu Domini. Ma, per i fiorentini di allora e di
sempre, quel giglio, che nella statuaria gotica Maria tiene tra le dita della destra come un sottile,
prezioso scettro – in realtà, appunto, piuttosto uno scettro gigliato – e che è il suo Figlio divino e
umano, rappresenta al tempo stesso l’arme cittadina, il delicato giaggiolo delle nostre colline che,
nella sua originale versione araldica, era d’un argento lucente prima di venir “per division fatto
vermiglio” dalle lotte fratricide. […] Così è germinato questo fiore. Ma come ha potuto germinare, in
realtà? Resta un mistero; per alcuni – sarà retorica – un miracolo.
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Come avrà potuto germinare l’identità psicologica dell’Uomo, fratturato dalle cadute e dalle
divisioni vermiglie, senza l’ausilio di Anima, senza un richiamo all’arte per rendere omaggio agli
Dei primordiali, alla Luna, al Sole, e dunque senza una psicologia umanistica dell’arte?
“Quel fiore era il Cristo e al tempo stesso la città.”
Cardini
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Appunti per la presentazione e per la discussione. Conduzione del simposio.
16th World Congress of the World Association for Dynamic Psychiatry
XXIX. International Symposium of the German Academy of Psychoanalysis
The Interpersonal Dynamics of Identity
Research, Pathology and Treatment
March 21th - 25th 2011
Physiological Institute of the Ludwig-Maximilians-Universität München
“Hermeneutics of imaginary language in the setting of Psychology of Art”
Congress Topics
Abstract
The language of images is governed by rules and interpretations that can be observed from different
standpoints. The artist, the psychologist, the philosopher, the anthropologist have different ways of
interpreting images that could be put in a dialectical relation, which Paul Ricoeur defined using the term:
“hermeneutical arch”. Here the epistemological and ontological dimensions of human beings can produce
a fruitful interrelation. The aim of this paper is to show the opportunities given by the Psychology of Art in
order to access to the personal and social-cultural imaginary orientation of the patient within the help-
relationship setting. Working with images, perceptions of sensible word, thoughts, forms, dreams and
other sorts of narration, the subjective experience can be represented, and opens a path toward deeper
semantic frameworks, categories and metaphoric features which constitute the ultimate level of archaic
symbolic thinking. Jungian archetypes and Gestalt can define a transversal approach to imaginary as a
differentiation of mosaic-composition and various levels of world- and thought-organization. The
methodological efficacy of this kind of approach will be showed reporting its application in the laboratory
of Psychology of Art of the Psychodynamics Center in Prato. By this presentation we will show how the
representational capacity of the artist can constitute a particular way to enter the Unconscious by means
of the esthetic experience.
Items
• Conceptual and methodological premises platform
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• Content Development
• “Images Laboratory” : Experimental setting in Prato, Italy
• Trajectory planning and research lines (traiettorie progettuali e piste di ricerca)
• Power Point with slides at support of the lecture, with photos, schemes and images
• Contacts and projecting sites
• Bibliography and website reference, social networks, groups of job, tag
Conceptual and methodological premises platform
The present work has a multidimensional and interdisciplinary structure and places like a chance to
explore Psychology of Art potentialities.
(e si situa come un tentativo di esplorare le potenzialità della psicologia dell’arte).
It is located in the areas of dynamic psychology, qualitative research in real groups, art in its meanings and
phenomenology, anthropology and neuro aesthetic and more, while having the ambition to be comforted
and supported by the “secure base” of western philosophy, which from Thales of Miletus to
contemporary (contemporanei), declined systems of human thought. Therefore, will come in help works
and thought of artists as Balthus, Matisse, Basquiat, Picasso.
Each element is placed not so much in search of certainties, as useful paradigms to put our work in the
optical to search "directions of response". We may be satisfied if we could raise the issue of potential art
psychology satisfactorily in terms of problematization and scientific research, as knowledge workers we
are.
(Ogni elemento è posto non tanto nella ricerca di certezze quanto di paradigmi utili a porre il nostro
lavoro nell’ottica di cercare delle " direzioni di risposta”, Potremo ritenerci soddisfatti qualora riuscissimo
a porre la questione delle potenzialità della psicologia dell'arte in modo soddisfacente sul piano della
problematizzazione e della ricerca, quali addetti alla produzione della conoscenza.
This paper uses the conceptualization of Ricoeur's Hermeneutic Arch to explain the complementarity
between the act to explain and to understand. (spiegazione / comprensione): the hermeneutic arc will
describe developmental trajectories of our speculation and connect areas of knowledge that we are going
to lap.
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Ermeneutica del linguaggio immaginale nel setting di psicologia dell’arte.
The methodological platform in the first instance is supported by neuro scientific foundation established
by the latest research in the field of Neuro-aesthetics and Cognitive Science.
The connections between neuroscience and psychology of art are essentially related to the perception
and the functioning of the visual cortex. Semir Zeki's contribution stands as a cornerstone (fulcro, perno)
around which it can turn a first series of guidelines on interpretation, placed in the hierarchy of “hard
sciences”.
The author is convinced that the observation of art, literature, music can make us understand much about
the mechanisms of this organ is still unknown, as can be seen from much of its production.
“A inner vision: an exploration of art and the brain” (1999), the founding test of neuroaesthetic, Semir
Zeki .
The idea of a dialectic to explain / understand comes from correlation and the referrals that forms
between text, action and history.
Hermeneutics is defined operationally as textual interpretation work, which has a focal point in the text,
and text is any discourse fixed by writing that makes it both irreducible and not directly comparable to the
discursive mode of dialogue and autonomous semantic intention subjective author.
Ricoeur's hermeneutical arch occurs in the complex relation-mediation with the act of reading, which in
turn is a concrete act in which the autonomy of the work is completed and opens up open the fate of the
text.
In our work, the arch will be aimed not so much for hermeneutic interpretation of the text, as to the
interpretation of the need for the work of Art puts the psychologist, to exit the irreducible conflict
between the logic that governs the intellectual dimension and become contradictory phenomena
witnessed by the senses, perceptions, emotions, images.
Semir Zeki is a professor of Neuroesthetics at University College London. His main interest is the
organization of the primate visual brain. He published his first scientific paper in 1967. Since then he has
written over 150 papers and four books: Splendours and Miseries of the Brain (2008), A Vision of the Brain
(1993), Inner Vision: an exploration of Art and the brain (1999) [which has been translated into six
languages] and La Quête de l’essentiel, which he co-authored with the late French painter Balthus (Count
Klossowski de Rola). In 1994, he began to study the neural basis of creativity and the aesthetic
appreciation of art. In 2001, he founded the Institute of Neuroesthetics, based mainly in Berkeley,
California.
Una visione dall’interno, Bollati Boringhieri, Torino 2009
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BIBLIOGRAFIA AVENS, R., L’immaginazione è realtà. – Milano – Edizioni di Comunità, 1985 AMMAN, R., Sandplay – Immagini che curano e trasformano. – Milano – Vivarium, 2000 DE LUCA COMANDINI, F., L’immaginazione attiva. In: Trattato di Psicologia Analitica diretto da A. Carotenuto, vol. 2. – Torino – UTET – 1992 DONFRANCESCO, F., Archetipi e immagini archetipiche. In: Trattato di Psicologia Analitica diretto da A. Carotenuto, Vol. 1 – Torino – UTET – 1992 DONFRANCESCO, F., James Hillman e il mondo immaginale. In: Psicologia analitica contemporanea a cura di Carlo Trombetta, - Milano – Bompiani – 1982 HILLMAN, J., Fuochi Blu. – Milano – Adelphi – 1996 HILLMAN, J., L’anima del mondo e il pensiero del cuore. – Milano – Garzanti – 1993 HILLMAN, J., Il sogno e il mondo infero. – Il Saggiatore – 1988
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HILLMAN, J., Intervista su amore anima e psiche. A cura di Marina Beer – Roma – Bari – Laterza - 1983 HILLMAN, J., Anima. – Milano – Adelphi – 1989 HILLMAN, J., Il mito dell’analisi. – Milano – Adelphi – 1979 HILLMAN, J., Re-visione della Psicologia – Milano – Adelphi – 1983 DAVID L. MILLER – HILLMAN J., Il nuovo politeismo. La rinascita degli Dei e delle Dee. – Milano – Edizioni di Comunità – 1983 JUNG, C.G., Opere, Vol. IX, Tomo I – Torino – Boringhieri – 1988 MOORE, T., Il lato oscuro dell’Eros.- Como – Lyra Libri – 1998 MOORE, T., La cura dell’anima. – Frassinelli – 1997 NEUMANN, E., La Grande Madre. – Roma – Astrolabio – 1981 NEUMANN, E., Storia delle origini della coscienza. – Roma – Astrolabio – 1978 PEDRAZA, R. L., Hermes e i suoi figli. – Milano – Edizioni di Comunità – 1983 PESSOA, F., L’ora del diavolo. – Firenze – Passigli Editori - 1998
Caso pratico-progetto
Il progetto, diretto agli studenti della Facoltà di Psicologia di Firenze, consiste in un workshop
espressivo ed esperienziale, in sessione unica della durata di ore 4, e si sviluppa in una
dimensione didattica interattiva, finalizzata all’apprendimento diretto di alcune competenze
psicologiche, ed in particolare alla declinazione di alcune competenze, teoriche e tecnico-
pratiche, in Psicologia dell’Arte che possono essere proprie dello Psicologo.
Il laboratorio delle Immagini è finalizzato alla valorizzazione della dimensione percettiva,
estetica, emotiva, al cui interno acquisire competenze quali empatia, capacità di pensiero creativo,
capacità di individuare le risorse espressive del utente/cliente/paziente da parte del professionista,
e apprendere buone prassi nell’ambito di queste specifiche declinazioni di setting, comprendendo
il campo semantico e la dimensione etica dell’arte nel sistema valoriale del paziente.
Tali competenze possono essere spese in diversi contesti applicativi, quali ad esempio i percorsi
della riabilitazione, le aree della clinica e della terapia, della psicologia delle organizzazioni, della
pedagogia sociale, della formazione, dell’educazione, dei gruppi di auto-aiuto, dei contesti
culturali e museali e della critica d’arte, e in definitiva nella strutturazione di un setting
professionale dotato di capacità di integrazione nella realtà fattuale della creatività.
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I costrutti teorici potranno essere acquisiti trasversalmente e interattivamente in itinere, mutuati
direttamente dall’azione, intesa come espressione tecnicamente rilevante di un corpus prassico
consolidato, di cui saranno fornite spiegazioni e integrazioni sia con interventi verbalizzati, sia
con supporti cartacei, web e bibliografia specifica, partendo dai presupposti fondazionali della
neuroestetica di Semir Zeki, passando per le connessioni tra psicoanalisi e arte di Sigmund Freud,
interessando la psicologia archetipica di Jung e Hillman, la psicologia della forma, della
percezione, del linguaggio e della capacità rappresentazionale.
Inoltre, sarà possibile sviluppare, se richiesti, approfondimenti sull’arte come fenomeno sociale e
come espressione correlata alle culture specifiche dei gruppi sociali, etnici, politici nel mondo (si
pensi al futurismo o all’arte classica), e di come sia stata oggetto di riflessione da sempre del
pensiero filosofico occidentale.
Nello specifico del Seminario del giorno 30 novembre 2010 sarà utilizzato un modello specifico
di setting, strutturato con un gruppo orientato al compito.
Il workshop si snoda in quattro fasi peculiari:
un’apertura tematica sulle questioni fondazionali che mettono in dialettica proficua Arte e
Psicologia
la somministrazione di immagini evocative, con elementi di supporto cognitivo ed
esplicativo
un setting di pittura con cavalletti individuali e/o in piccoli gruppi, con eventuale sessione
in group action painting
restitutio ad integrum al gruppo, sulla scorta della teoria della psicologia interpersonale e
con l’aiuto degli strumenti interpretativi della psicologia archetipica ed analitica, e nel
contempo con l’inserzione di costrutti propri della dimensione creativa, sia da un punto di
vista artistico che psicologico.