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Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in Studi letterari linguistici e traduttivi
Tesi di letteratura magistrale in Letteratura spagnola
Lo schiavismo in Spagna: Analisi del Romanzo Sab di Gertrudis Gómez de
Avellaneda
Laureanda:Seila Boaventura Soares Matricola: 698405
Relatore: Correlatore: Prof.ssa María Luisa Cerrón Puga Prof. Stefano Tedeschi
Anno Accademico2013-2014
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Indice
Introduzione ……………………………………………………………………3
1. La Schiavitù in Spagna ………………………………………………… 7
1.1. Cuba e la
Schiavitù……………………………………………………. 13
1.2. Alcune immagini riguardanti la schiavitù
…………………………… 22
2. Lo schiavismo nell’opera di Gómez de Avellaneda…………………….
2.1. Gómez de
Avellaneda ........................................................................... 28
2.2. L’opera: Sab
…………………………………………………………... 32
2.3. Analisi dell’opera
……………………………………………………… 39
2.4. I Temi dell’Opera:
2.4.1. L’Amore…………………………………………………………….62
2.4.2. La Schiavitù in Sab …………………………………………………68
2.4.3. Le Donne in Sab …………………………………………………….72
2.4.4. Indigenismo …………………………………………………………79
3. Sab e gli altri …………………………………………………………….87
4. Conclusione ……………………………………………………………. 96
Bibliografia …………………………………………………………….101
2
Introduzione La schiavitù è un argomento che molto spesso viene taciuto, anche se da
sempre è esistito nella società è come se non fosse mai esistito, questo sistema che
trafficava con l’essere umano. Lo scopo di questa tesi è di cercare di capire per
quale motivo l’uomo ha sentito il bisogno di sottomettere un altro essere, fino al
punto di renderlo una merce di scambio.
L’obiettivo prefissato è stato quello di approffondire questo tema partendo
dall’analisi del romanzo della scrittrice hispano cubana Gertrudis Gómez de
Avellaneda, concentrandomi in particolare sulla figura dello schiavo e sul ruolo
che svolgeva nella società. Il romanzo non tratta di quella schiavitù fatta di dolore
fisico, ma di un altro tipo di schiavitù e cioè quello sentimentale, ed è su questo
che si concentra per la maggiore del lavoro.
Per introdurre l’argomento il primo passo è stato quello di fare una breve
introduzione storica sulla schiavitù nei due paesi coinvolti nella questione:
Spagna e Cuba. La Spagna come il colonizzatore e Cuba invece come paese
colonizzato, che ha sofferto la pressione degli spagnoli fino all’abolizione della
schiavitù. Nel secondo capitolo s’inizia analizzando il romanzo da un punto di
vista letterario, facendo delle riflessioni sui punti salienti presenti in ogni capitolo,
arrivando a fare dei riferimenti ad alcuni autori che avevano scritto romanzi sul
tema della schiavitù.
Per quanto riguarda i temi sono stati sviluppati separatamente, in questo modo
è stato possibile fare degli approfondimenti con l’uso di altri romanzi e articoli e
ricerche. Successivamente è stato elaborato un capitolo di confroto tra Sab e gli
altri romanzi che hanno come tema principale la schiavitù, come vivono e le
differenze che ci sono fra di loro e soprattutto capire che ruolo ha avuto la
religione nella loro vita.
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Uno degli aspetti importanti è la questione del colore della pelle: mulatto e uno
schiavo nero. Infatti, il romanzo ha come protagonista uno schiavo mulatto che ha
la libertà limitata perché la sua condizione non gli permette di essere felice, anche
se non vive come tutti altri schiavi neri. Questo dimostra che il colore della pelle
era importante e faceva differenza, ed in particolare per gli spagnoli che erano
quasi infastiditi dal nero e preferivano più quelli bianchi.
Che cosa vuol dire la parola “Schiavitù”? L’Enciclopedia Britannica1 dà
un’ampia spiegazione di questo termine. Lo definisce così: è la condizione in cui
un essere umano viene considerato di proprietà di un altro. Uno schiavo viene
considerato per legge come proprietà, bene mobile e viene privato dal diritto che
normalmente hanno le persone libere. Non vi è accordo su cosa fosse uno schiavo
o su come dovrebbe essere definito l’istituzione della schiavitù. Secondo gli
studiosi quando si parla della schiavitù, bisogna tenere presenti quali siano le
caratteristiche più importanti per attribuire ad una persona l’aggettivo schiavo.
Uno schiavo è prima di tutto una specie di proprietà, appartiene a qualcun altro. In
alcune società erano considerate proprietà in altre invece erano come una
proprietà immobile, quindi gli schiavi rappresentavano l’oggetto della legge e non
il soggetto; perciò non erano responsabili per quello che avevano fatto e nemmeno
per atti illeciti. Solitamente avevano pochi diritti, sempre meno dei proprietari;
c’erano delle società in cui non ne avevano nessuno. Da un punto di vista sociale
uno schiavo non ha parenti e quindi non ha chi può lottare per i suoi diritti oppure
ottenere vendetta per lui. È come se fosse un estraneo, un individuo marginale, in
pratica è come se fosse morto. Non poteva partecipare nella vita politica, prendere
decisioni importanti. Il prodotto lavorativo di uno schiavo poteva essere
rivendicato da qualcun altro, che spesso aveva il diritto di controllare la
riproduzione fisica. La schiavitù è stata una forma di lavoro dipendente eseguito
da chi non aveva famiglia. Era un essere privato della libertà personale e del
diritto di viaggiare. Probabilmente c’erano dei limiti nella sua capacità di fare
scelte riguardo alle sue attività e anche al suo partner sessuale.
1. Tutto quello che segue è una traduzione della voce dell’enciclopedia britannica.
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Gli schiavi sono stati generati in molti modi, ma quello più frequente era la
cattura in guerra, serviva come forma de incentivo per i guerrieri, come prodotto
da avere dalle truppe nemiche o dai civili, altri venivano rapiti e per questo
venivano chiamati schiavo-raid, o in una spedizione di pirateria. Alcune persone
venivano schiavizzate come punizione per un crimine, per debiti; altri venduti
come tali dai genitori, parenti, per saldare i debiti o anche per sfuggire alla fame.
Invece per quanto riguarda la vendita dei bambini c’era un’esposizione reale o
fittizia di bambini indesiderati che erano stati salvati da altri e poi resi schiavi. Nel
corso della storia ci sono stati due tipi fondamentali di schiavitù: quella patriarcale
o domestica, la più comune. Sebbene lo schiavo domestico dovesse lavorare
anche nella piantagione, la sua funzione primaria era di essere servile con i loro
proprietari nelle loro case o in qualsiasi altra occasione, per esempio quando i
padroni erano impegnati nei servizi militari, essi dovevano accompagnarli. A
volte lo schiavo domestico entrava in rapporti con i proprietari, infatti, i maschi
venivano adottati mentre le donne diventavano mogli oppure concubine che
dovevano dare un erede al padrone.
Un altro tipo della schiavitù è quella chiamata produttiva. Questo tipo di
schiavitù era poco frequente, si sono verificati casi per di più nelle antichità
classiche greche e romane e anche nel periodo post colombino del Nuovo Mondo.
Nel IX secolo era presente anche in Iraq tra gli Indiani di Kwakiutl del nord ovest
d’America e nel XIX secolo in alcune zone dell’Africa Sub-sahariana. Sebbene gli
schiavi fossero impegnati nelle faccende domestiche, in queste società sembra che
esistessero prevalentemente per la produzione di beni commerciabili nelle miniere
e nelle piantagioni.
In una società schiavista bisogna tenere presente che gli schiavi rappresentano
una parte rilevante dell’intera popolazione, per questo motivo molti volevano e
hanno tentato di mantenere questo sistema. Inoltre l’istituzione della schiavitù ha
avuto un impatto significativo nell’istituzione della società della la famiglia, in
diritto ed economia. È evidente che una società schiavista non può vivere senza la
schiavitù produttiva, come per esempio in Africa e in Asia. La maggior parte degli
schiavi erano stati importati dall’Africa: si calcola che circa diciotto milioni di
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Africani sono stati venduti attraverso la tratta trans-sahariana e l’Oceano Indiano.
Dalla seconda metà del XV secolo l’Europa inizia il commercio lungo la costa
occidentale africana e dal 1867, tra sette e dieci milioni di africani sono stati
spediti come schiavi al Nuovo Mondo. Il rapporto tra l’Africa e il Nuovo Mondo
era complementare. I proprietari degli schiavi africani preferivano donne e
bambini per il lavoro e perché in questo modo le donne avrebbero partorito altri
schiavi, automaticamente di loro proprietà. Invece gli uomini venivano uccisi
perché erano più ribelli e più propensi a fuggire. Dall’altra parte il commercio
transatlantico richiedeva principalmente uomini adulti per lavorare e quindi
veniva loro risparmiata la vita quando erano rapiti.
La schiavitù era il prototipo di relazione definita dalla dominazione e dal
potere. Questo sistema di sottomettere un essere umano, perché considerato dalla
società come il nulla, è solo un modo per il padrone o il capo di sentirsi superiore
a lui, usandolo come vuole e scaricando su questo essere tutte le sue rabbie e il
suo disprezzo, perché solo così si sente forte.
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1. La Schiavitù in Spagna
Seguendo sempre con la questione della schiavitù2, quello che possiamo notare
è che è stato un fenomeno conosciuto anche in Europa. Infatti, il professore e
storico americano Philip Curtin -che aveva fatto uno studio sulla schiavitù ed in
particolare sulla tratta europea- arrivò alla conclusione che essa aveva mobilitato
circa 15 000 schiavi africani tra il 1451-1475 e che con il passare degli anni erano
aumentati fino ad arrivare a 43.800 tra il 1526-15503. In Italia tra il XV-XVI
secolo arrivarono circa 50 mila schiavi provenienti dalle coste nordafricane e
turche, lo 0,5-1,1% della popolazione totale. Invece in Francia nel XVI secolo la
presenza di schiavi berberi era abituale, ma dalla seconda metà del XVIII secolo
questo fenomeno iniziò ad avere un carattere meramente aneddotico perché si
parlava di schiavi che accompagnavano i loro padroni ed il fatto di essere negro
contribuiva ad esaltare la magnificenza del padrone. Anche la Spagna durante il
periodo espansionistico ha avuto molto a che fare con gli schiavi e la loro
situazione non era del tutto diversa. Dal periodo della Reconquista, 1492, le zone
con una maggiore presenza negra in Spagna erano l’Andalucia, Valencia e Madrid
fino all’ultimo terzo del XVIII secolo; poi è rimasto un fenomeno esclusivo di
Cadice. Ormai, la compagnia Spagnola era in decadenza, aveva avuto il suo
periodo di splendore tra il 1662-1699: la questione del traffico di esseri umani ed
in seguito la guerra di successione della Corona Spagnola, all’inizio del XVIII
secolo, portarono alla crisi interna dalla quale riuscirono a riprendersi solo in
parte a partire dal 1715. Tra il 1733-1740 la compagnia era in pieno
2. Per questo capitolo è stato preso in considerazioni alcuni articoli di critica di Arturo Jesús Morgado, José Luis Cortés López, e libri di storia di Roberto Mesa, José Andrés Gallego.
3. Arturo Jesús Morgado, “El Mercado de esclavos en el Cádiz de la Edad Moderna”, (1650-1750) Tiempos Modernos, Revista Eletrónica de Historia Moderna, vol. 6, No18, 2009.
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espansionismo, poi dovette affrontare un forte calo, tale che non riuscì a salvarla
nemmeno la creazione della Compañia Gaditana de Negros4 che era stata
costituita nel 1765 per aumentare il traffico di schiavi.
Lo storico José Luis Cortés López sosteneva che, alla fine del XVI secolo, nel
paese c’erano circa 57.582 schiavi che equivalevano allo 0,73% della
popolazione. Dalla metà del XVII ed il XVIII secolo c’era stata una leggera
riduzione dovuta alla scarsa natalità della popolazione schiava, il mantenimento
dello stock poteva solamente essere prodotto da influenze esterne, sempre più
difficili a causa della diminuzione della domanda. Data la scarsità dell’attivita
navale della spagna nel mediterraneo che provacava la diminuzione degli schiavi
berberi e anche vista l’indipendenza del Portogallo (1640-1668) che pose fine
all’importazione degli schiavi dall’africa Sub-sahariana, l’acquisto di schiavi era
fortemente diminuito. Invece nella città di Cadice la situazione era completamente
diversa, tra il 1650-1750 rappresentava il centro della schiavitù. Inizialmente gli
spagnoli compravano gli schiavi direttamente dalle navi olandesi, inglesi o
portoghesi che erano ancorate nella baia e che provenivano dalle coste africane,
oppure in un’asta pubblica; con il passare del tempo iniziarono ad apparire dei
negozi specializzati nelle vendite di schiavi.
Per la vendita di uno schiavo era importante l’età, infatti, a Cadice come in
altre parti della Spagna, preferivano schiavi giovani che venivano usati come
forza lavoro, nel servizio domestico oppure sfruttati sessualmente. I compratori
non volevano i bambini piccoli che spesso venivano venduti insieme alla madre,
mentre dai dieci anni la domanda iniziava ad aumentare. Il prezzo di uno schiavo
era variabile e dipendeva da molti fattori come l’offerta e il sesso: per esempio le
donne erano considerate preziose per la capacità di procreare, avevano una
maggiore longevità, potevano in molti casi diventare concubine del padrone ed
erano abili nelle faccende domestiche- A Malaga, per esempio, tra il XVII e il
XVIII secolo, una donna schiava costava 105 pesos e gli uomini di età compresa
tra il 15-45 anni 89 pesos . Un altro fattore importante era quello di godere di
4. José Andrés Gallego, La esclavitud en la América española, Madrid, Encuentro, Madrid, 2005.
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buona salute, grande capacità lavorativa ed essere in grado di svolgere qualsiasi
tipo di attività erano delle qualità che facevano aumentare il prezzo dello schiavo,
invece se avevano una condotta immorale (ladro, prostituta) il prezzo diminuiva.
In Spagna come in America, la schiavitù implicava una certa violenza fisica
istituzionale unita alla condizione di schiavo. Il negro veniva catturato e portato
fino al porto d’imbarco, dopo veniva portato nella cantina sovraffollata delle navi,
incatenato in condizioni pietose. Molti morivano nella traversata a cause delle
infezioni, ma morivano di più durante la cattura. Si calcola che su cento schiavi
negri africani presi, solo trenta riuscivano a sopravvivere per un anno dal
momento della cattura. Spesso nel luogo d’imbarco o dell’arrivo gli schiavi erano
contrassegnati con del ferro caldo come bestiame. Questa tecnica veniva chiamata
herrar o calimbrar e si eseguiva sul posteriore sinistro. Il ferro veniva riscaldato
senza lasciarlo arrossire e si applicava sulla pelle. Quando l’incisione era fatta per
bene, si registrava in un sottile pezzo di metallo così da ottenere la forma di una
lettera, o un segno unito poi con un manico all’estremità del legno. A questo
proposito nel 1603 il giurista spagnolo Hevia Bolaños sosteneva che questo segno
non potesse essere fatto sul viso perché esso è fatto a somiglianza di Dio nostro
signore. La marchiatura fu impiegata fino al 1784, quando Carlo III la vietò per la
crudeltà che implicava e ordinò che i ferri fossero spediti al Ministero delle Indie.
Nel 1789 è stata scritta la cosiddetta l’Instrucción che stabiliva che la
principale occupazione di uno schiavo doveva essere l’agricoltura e altri lavori nel
campo e non i mestieri della vita sedentaria. Gli spagnoli del XIX secolo erano
convinti di trattare gli schiavi meglio che in altre parti. Da un punto di vista legale
gli spagnoli crearono una specie di Ordenamiento legal che era simile a quello
portoghese perché nel XVI il monarca spagnolo Felipe II era il re di Portogallo.
Tale ordinamento derivava dal diritto romano ed in particolare dal corpus iuris
civilis Giustiniano che era rimasto in vigore in Portogallo e nei territori come
diritto sussidiario. Le Ordinações non parlavano di trattare bene gli schiavi,
avvertivano solo che le punizioni dovevano essere moderate. Nel 1769 il re Juan
VI promulgò una legge molto importante chiamata Lei boa razão che modificava
quelle delle ordinazioni anteriori e aboliva il sussidiario del diritto romano.
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Questo corpus legale fu meno ampio di quello spagnolo, lo schiavo rimaneva
tutelato in modo generale. Uno schiavo poteva essere libero se trovava un
diamante di più di venti carati e con un processo nel caso in cui denunciava il
padrone che faceva contrabbando dei beni monopolizzati dalla Corona; se
dimostrava di essere stato trattato come un figlio oppure cresciuto con il padrone
ma libero. Lo schiavo non poteva entrare in questioni legali, fatta eccezione per
argomenti spirituali come il matrimonio, la propria libertà o l’interesse pubblico.
Importante era anche il peculium cioè il fatto quello che lo schiavo possedeva in
realtà apparteneva al padrone. Relativamente vicino a quello spagnolo abbiamo
l’ordinamento francese, dove la schiavitù esisteva solo in qualche regione. Il
diritto stabilito nelle loro colonie era chiamato Coutûme de Paris e prevedeva che
gli schiavi non venissero considerati come dei servi. Nell’ordinamento francese lo
schiavo poteva possedere qualcosa solo con l’autorizzazione del proprietario.
Quest’ultimo invece poteva incatenarlo, frustarlo, amputargli un membro quando
riteneva che esso lo meritasse. Mentre se lo schiavo era considerato un criminale,
poteva essere marchiato con il ferro caldo o subire l’amputazione delle orecchie
ecc. Come in quello spagnolo allo schiavo non era permesso che fosse ascoltato
dal giudice per far valere il proprio diritto ad essere trattato bene, ma gli
riconosceva la validità del matrimonio che impediva fosse venduto separatamente
dal coniuge e dai figli. Nessuno poteva sposarsi senza il permesso del proprietario.
L’ordinamento della Francia si differenzia da quello spagnolo in questo: uno
schiavo libero che avesse dei figli con una schiava con la quale non poteva
sposarsi, doveva pagare una specie di multa di circa 200 libre di zucchero.
Nell’ordinamento Olandese invece non si riconosceva il matrimonio di uno
schiavo sia che fosse servo o libero, ma gli veniva permesso di avere il peculium.
Dal 1795 d’accordo con la legge del diritto romano, era proibito punire gli schiavi
abusandone e non si obiettava alla loro cristianizzazione.
Tutte le transazioni economiche, come quelle sugli schiavi, erano soggette ad
imposte fiscali che sarebbero dovute andare a finire nelle aziende pubbliche.
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Queste imposte erano Alcabala, Impuesto de la Casa de las India e la Treintena5.
La prima era la più comune perché presente in qualsiasi transazione e per questo
la sua quantità di 10 per 100 era la stessa per la Spagna e il Portogallo. Invece le
altre due erano esclusivamente portoghesi. Esisteva anche una gravante fiscale
chiamata portazgo, che aveva carattere locali.
La Spagna aveva tratto molto profitto da questo traffico e per questo motivo
gli spagnoli non erano molto d’accordo con l’abolizione della schiavitù, perché il
fatto sarebbe andato ad intralciare sul piano nazione interno, causando problemi
nella vita politica, ideologica, economica e sociale del paese, sulla questione del
suo impero nelle Antille, Cuba, Puerto Rico e anche nella Guinea Equatoriale.
Anche nella questione dell’ordine internazionale, che era un fattore importante per
le relazioni diplomatiche nelle quali il Paese era coinvolto ed in particolare i
rapporti politici con la Gran Bretagna. Il 4 febbraio 1794 la convenzione
nazionale francese dichiarava abolita la schiavitù dei negri in tutte le colonie. Per
questo motivo il 28 agosto 1814 la Spagna6 si impegnava ad eliminarne il traffico.
In questo modo si metteva fine al trattato internazionale con la Gran Bretagna. Nel
testo veniva imposta al governo spagnolo l’abolizione parziale della tratta in
alcune colonie; immediatamente al nord dell’Equatore ed entro tre anni veniva
abolita in tutte le altre, ed in cambio per le perdite correlate il governo britannico
doveva consegnare a quello di Madrid circa 400 mila sterline. La Spagna vietava
la tratta ai suoi sudditi mentre l’Inghilterra doveva togliere il suo sostegno agli
insorti americani. La proibizione di questo traffico era una mossa diplomatica
avviata per mantenere una certa politica di prestigio. Dal 1815 la Spagna iniziò a
partecipare alle Conferenza di Vienna e si vide vincolata dalla dichiarazione di
condanna della schiavitù.
La presenza in Spagna degli schiavi era iniziata con la presenza musulmana,
che aveva portato una serie di manifestazioni violente contro i cristiani e a
5. José Luis, cortés López, Negros para la casa de la moneda en Segovia: Un apunte Esclavista a finales del XVI, Stvdia Historica, Historia Moderna, Vol. XIII, 1995, pp.119-130.
6. Roberto Mesa, El Colonialismo en la Crisis del XIX Español, Madrid, Cultura Hispánica, 19902.
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formare la figura del cautivo. Questo personaggio perdeva tutta la sua personalità
e autonomia diventando proprietà di chi lo aveva catturato, il quale poteva
decidere di concedergli la libertà per la propria volontà oppure richiedere un
riscatto. Il prigioniero veniva sottomesso per atti violenti, ma in nessuno modo
erano esseri naturali soggetti a servitù perpetua. Invece la presenza dei negri è
dovuta all’arrivo in Spagna degli arabi ed in particolare dei berberi che si sono
installati nella Penisola, portando nel regno un gran numero di schiavi negri che
dovevano lavorare nei campi oppure venivano usati nell’esercito. Questo dimostra
che nel territorio ci sono sempre stati degli schiavi e come in tutti gli altri paesi
coinvolti nel traffico di essere umani, la causa della schiavitù, è una politica
espansionistica feroce e violenta.
1.1. Cuba e la Schiavitù
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In questa sezione si cercherà di fare una breve introduzione storica su Cuba,
tenendo sempre in considerazione la questione della schiavitù.
Cuba è stata la prima terra scoperta dagli spagnoli, durante il primo viaggio di
Cristoforo Colombo nel 1492. E la conquista inizia nel 1511 con una spedizione
esplorativa che aveva come guida Diego Velázquez con alcuni guerrieri come
Hernan Cortés, Pánfilo Narváez, con quali si sono arruolati alcuni religiosi fra i
quali c’era il frate Bartolomé de las Casas.
L’isola era abitata dalle popolazione locali ed indigene chiamate taínos e
ciboneyes che furono trattati dai coloni come dei barbari. E nel frattempo la
Spagna stava formando il suo impero. Gli Spagnoli, nel loro sistema di conquista
e colonizzazione hanno adottato un sistema sociale per l’organizzazione delle
colonie con la creazione di Villas7; esse sono state suddivise, esplorate e
consolidate. Infatti, nella seconda metà del XVI secolo gli Spagnoli fondarono a
Cuba sette Villas8 che furono: Nuestra Señora de la Asunción de Baracoa, San
Salvador del Bayamo, Nuestra Señora de la Santísima Trinidad, Sancti Spíritus,
Santa María de Puerto del Príncipe, San Cristóbal de La Habana y Santiago de
Cuba. Le ultime due Villas si erano stabilite all’inizio e alla fine della traversata
dal sud di Cuba. L’occupazione di Cuba significa lo smantellamento immediato
della società indigena e di conseguenza una situazione disastrosa per la
popolazione, perché entrando in contatto con gli Spagnoli, si rompevano tutte le
tradizioni culturali della loro vita quotidiana. Come la schiavitù, lo shock
psicologico, la disarticolazione dell’organizzazione sociale, la crisi del loro
mondo religioso, la rottura delle loro norme di comportamento, le malattie portate
dai conquistatori furono le cause che portarono Cuba a una catastrofe
demografica. Per colonizzare Cuba gli Spagnoli hanno adottato la forma
istituzionale delle Villas, sulla base di un sistema di schiavitù: la sottomissione
dell’indio richiedeva la deculturación, il processo attraverso il quale si vogliono
7. In questo capitolo sono stati fondamentali le opere di Manuel Moreno fraginals, Cuba España, España Cuba, e quella di Fernando Ortiz e alcuni articoli di rivista storica.
8. Manuel Moreno Fraginals, Cuba, España, España Cuba: Historia Comun, presentación de Josep Fontana, Grijalbo Mondadori, 1995, p. 105.
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sradicare la religione, i valori e le norme di comportamento di un gruppo per
imporre loro quelle del conquistatore. Attraverso questo sistema si vuole ottenere
l’indottrinamento religioso fino a raggiungere l’obiettivo della completa
sottomissione della popolazione. Mentre per la divisione del lavoro sono stati
prefissati due campi di attività: la funzione produttiva-miliare e quella ideologica-
religiosa. Ecco perché molti saggisti hanno suggerito che il simbolo del processo
doveva essere una croce e una spada. Cinque secoli dopo l’arrivo di Colombo in
queste terre e con lo sviluppo delle scienze sociali, la Chiesa cattolica ha sollevato
la necessità d’indottrinare attraverso l’inculturación. Con la diminuzione della
popolazione locale, dal XVII al XVIII il settore negro mulatto della società stava
prendendo una nuova dimensione: in primo luogo si incrementò l’importazione di
schiavi e di conseguenza si verificò uno squilibrio fra alla popolazione bianca e
quella negra mulatta, urbana libera e schiava che ha acquisito rilevanza sociale ed
economica. Un tipico schiavo era un maschio o femmina di età compresa fra
quindici e trent’ anni, sano ben formato e con la dentatura completa, che riceveva
il nome di pieza de Indias , se conosceva la lingua,e di bozales se proveniva
dall’Africa e non conosceva la lingua; una volta imparata diventava ladino,
mentre quelli nati a Cuba erano criollos ed i figli rellolos.
Gli schiavi negri diventarono una mano d’opera essenziale in molte regioni. In
queste zone sorsero due tipi diversi di schiavi: los esclavos alquilados e esclavos
a jornal9. Gli esclavos alquilados venivano impiegati nelle azioni militari; fu
considerato un buon affare perché comportava dei benefici, come contratti che
assicuravano il buono stato di uno schiavo affittato e che per esempio
prevedevano che in caso di morte, chi perdeva il valore della perdita era
l’affittuario. Invece se una donna schiava affittata dava alla luce un bambino, egli
sarebbe dovuto andare al proprietario. Invece esclavo a jornal è stata
un’istituzione giuridica esclusiva della legislazione spagnola e si trattava di uno
schiavo con una libertà individuale, il cui obbligo fondamentale era quello di dare
periodicamente al padrone una quantità fissa di denaro; si trattava di una consegna
diaria, da cui il nome jornal. Questo sistema molto diffuso tra il XVI-XIX secolo
9. Moreno Fraginals, op. cit., p. 101.
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portò molti conflitti rispetto all’altro tipo anche perchè gli schiavi a jornal
dovevano essere persone acculturate dalla società dominante, cioè avevano
interiorizzato i valori e i comportamenti della cultura dei proprietari. Per le donne
schiave il discorso è diverso, perché loro venivano mandate a lavorare come
prostitute, in una stanza oppure per le strade della città. Questa situazione rimane
in vigore fino al XIX secolo. Le donne bianche che avevano reddito basso
facevano di tutto pur di non cadere in condizione simile, arrivando pure a fare
matrimonio d’interesse. La prostituzione per le donne schiave forse non era la
scelta più dura in una società coloniale e schiavista, perché su di loro non
pesavano i pregiudizi cristiani sulla verginità né i valori culturali della
monogamia. Inoltre, poiché venivano messe a guadagnare qualche soldo,
acquisivano un certo tipo di libertà, iniziavano ad avere diciamo uno “stipendio”
con il quale pagavano al proprietario la giornata e con il resto compravano la
propria libertà. Quelle che vagavano per le strade venivano soprannominate
fletera, mentre le case delle prostitute e ladri furono chiamate atarazana. La
prostituzione scatenò molte proteste contro questo sistema di sfruttamento,
considerato immorale per l’epoca. Infatti nel 1658 il governatore Juan de
Salamanca riferì al re di questa pratica affinché venisse abolita, ma il suo intento
fu inutile.
Oltre alla prostituzione per le donne c’erano mestieri come: venditrice
ambulante, affittacamere, o locandiera. Invece gli uomini schiavi li troviamo in
tutte le attività; man mano che riuscivano a dominare un mestiere, la loro
qualificazione artigianale diveniva alta, facendo guadagnare di più il padrone. Il
premio più ambito per lo schiavo era la libertà che poteva acquisire attraverso il
risparmio che otteneva dal suo lavoro. Questi tipi di schiavi venivano chiamati
esclavos asalariados; essi erano istruiti ad un mestiere fin da bambini o comunque
in giovane età e, attraverso un contratto di apprendimento, venivano consegnati
ad un maestro (un artigiano che doveva compartire con loro i vecchi segreti del
mestiere il cui nome simbolico era il mysteres10). Una volta imparato il mestiere,
il giovane entrava nel mondo del lavoro e così poteva iniziare a lavorare a jornal.
10. Moreno Fraginals, op. cit., p. 104.
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L’unico scopo di questi lavoratori a giornate era di riuscire a mettere dei soldi da
parte per comprare la propria libertà. Nel saggio di Manuel Fraginals viene
riportato l’esempio di una tipica lettera che concedeva la libertà:
En nombre de Dios Todopoderoso, Amén. Sépase que yo… [aquí el nombre del amo]… ahorro y liberto de toda sujeción, cautiverio y servidumbre a [aquí el nombre de esclavo]… la cual dicha libertad le doy por el precio11
Dalle ricerche che sono state fatte, risulta che le donne ottenevano più libertà
rispetto agli uomini, forse perché avevano una maggiore possibilità di risparmio e
soprattutto raggiungevano il loro scopo in età più giovane, intorno ai 42 anni;
mentre gli uomini a 48 anni. Il 25 per cento delle donne hanno ottenuto la libertà
grazie ai servizi o per loro volontà. Da questo sistema nasce un nuovo settore
sociale chiamato negro-mulatto, formato da schiavi liberi ed artigiani che dalla
fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo hanno occupato quasi tutti i settori
delle attività lavorativa, inclusi quelli che erano di dominio esclusivo dei bianchi
come la musica, la pittura, l’argenteria, la scultura ecc. Comunque a Cuba non
esisteva una sola società negra, ma varie associazioni che coesistevano. La società
Cubana era formata ormai da immigranti perchè la popolazione originaria era
stata del tutto sterminata; per la produzione del tabacco, infatti,c’era stato bisogno
della manodopera dei lavoratori delle canarie, per la canna da zucchero gli
africani. Si era formata una specie di “società” chiamata piantagione schiava che
era un aggregato umano organizzato con scopo produttivo, ma non una vera
società. In quest’organizzazione gli uomini erano considerati più produttivi
rispetto alle donne che avevano un solo vantaggio quello di poter procreare
schiavi fino alla prima metà del XIX secolo. Pian piano la situazione cominciò a
cambiare per le donne che riuscirono ad entrare a far parte delle piantagione di
caffè, trasformando la piantagione carcere in una piantagione della società. Le
giornate lavorative in queste piantagioni erano di 16 ore, se un gruppo non poteva
lavorare veniva subito sostituito con un altro; per evitare che parlassero fra di loro
dovevano lavorare cantando, oppure stare in silenzio. Per sopprimere la
comunicazione con l’esterno era proibito uscire dalla proprietà. Nonostante tutti
11. Ivi. p. 105.
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gli sforzi dei proprietari di vietare la comunicazione fra loro, gli schiavi
comunque sono riusciti a creare una società segreta clandestina, diciamo una setta
di origine africana. Nel 1830 Cuba era primo produttore del caffè, ma
improvvisamente scomparve dal mercato mondiale. A Cuba gli schiavi africani
godevano di una libertà relativa dentro dei parametri schiavisti, cosa che non
succedeva nelle colonie inglesi, francesi, ma qualcosa cambia quando la
produzione di zucchero diventa l’obiettivo fondamentale della classe dominante.
Passarono quindi da un’economia di servizio e produzione a una società di
piantagione. Per questo motivo si calcola che tra il 1816-1820 arrivarono
nell’isola circa 111.014 schiavi, mentre tra il 1821-1860 un totale di 356.000.
Dalla prima metà del XIX secolo esisteva a Cuba quella che è stata definita la
schiavitù domestica: gli schiavi erano destinati a realizzare dei lavori per le
famiglie bianche, per questo si stabilì che ogni famiglia dovesse avere un minimo
di servi schiavi, per esempio da sei a 27 per ogni casa.
Cuba era una società schiavizzata e da questo sistema di sottomissione di
traffico di essere umano gli spagnoli avevano ricavato una ricchezza importante,
perché da queste ed altre colonie poteva mantenere la vita economica della
metropoli, ma ciò dovette finire quando gli inglesi la costrinsero ad abolire la
schiavitù il 13 Febbraio del 1880. La norma prorogava il lavoro forzato per un
periodo di otto anni sotto il patronato, con uno stipendio e la possibilità di
concedere una volta l’anno la libertà ad un numero di schiavi, in base a cinque
criteri: che ci fosse un accordo tra il datore di lavoro e lo schiavo, che il padrone
facesse una rinuncia unilaterale prendendo un compenso di circa 30 o 50 pesos
annuali, oppure in caso di inadempienza da parte del proprietario, arrivato al
quinto anno egli avrebbe concesso al suo schiavo la libertà. Lo schiavo libero
invece doveva avere un contratto di lavoro in base alla sua conoscenza di un
mestiere, per evitare che fosse considerato come uno che vaga e costretto a
lavorare nelle opere pubbliche dove in realtà tornava schiavo.
Il 29 Settembre del 1866 è stato emanato un decreto legge per la repressione e
punizione del traffico negriero, che entrò in vigore il 17 Maggio del 1867. Lo
scopo di questa legge era di placcare le critiche internazionali, in particolare
17
quella americana che disturbava la tranquillità dell’isola e che allo stesso tempo
stava facendo degli accordi con gli inglesi affinché mettesse fine al traffico di
schiavi africani. Il decreto del 1866 dichiarava libera qualsiasi persona di colore
che non fosse iscritta nei registri e di conseguenza anche i figli nati da essi e
puniva severamente chi nascondeva gli schiavi, la falsità dei padroni, l’irregolarità
commesse dai funzionari nello svolgere il loro lavoro, ed autorizzava le autorità a
realizzare dei registri all’interno delle aziende agricole che proseguivano con il
traffico.
Di preciso non sappiamo quante persone furono portate in queste terre
attraverso questo traffico, ma dal censimento del 1861 eseguito da Pérez de la
Riva, che è anche considerato il più attendibile, si calcola che sul territorio cubano
c’erano circa 370.55312 schiavi. Un'altra legge importante era quella chiamata Ley
Moret (1871-1877) che ha concesso la liberta a circa 31.071 schiavi, altri 10.071
riuscirono a diventare liberi per altri motivi, mentre 17.834 erano morti, questa è
stata l’unica legge che aveva dato informazione anche sulla mortalità della
popolazione schiava. Questa legge però non metteva fine alla schiavitù infantile,
infatti la legge di preparazione dell’abolizione prevedeva che i neonati
acquisissero la condizione della madre, quindi diventassero pure loro proprietà del
padrone che si approfittava del loro lavoro attraverso il sistema d’insegnamento
senza nessuna retribuzione fino al compimento dei 18 anni, quando venivano
assegnati ad un lavoro a jornal; una volta compiuti 22 anni la situazione cambiava
perché finiva il protettorato e potevano ottenere i loro guadagni. L’età considerata
utile per iniziare a lavorare nella piantagione era 12 anni, mentre c’era chi faceva
cominciare a 10 anni. I proprietari dovevano pagare per ogni schiavo che
possedevano una tassa che andava da 1 a 2 pesos in base allo stato e all’età. La
Ley Moret stabilì anche il risarcimento per gli schiavi nati tra settembre 1868 e
luglio 1870, e concesse libertà anche a chi non era presente nel censimento
iniziato nel dicembre del 1869 al 31 di questo stesso mese del 1870.
12. José Antonio Piqueras, Censos Lato Sensu, La Abolición de la Esclavitud y el número de Esclavos en Cuba, Revista de Indias, Vol.71, No 251, 2011, pp.193-230.
18
Il 27 dicembre 1868, pochi mesi dopo l’inizio della guerra per
l’emancipazione coloniale, il rivoluzionario Carlos Manuel de Céspedes, liberò
prima di tutto gli schiavi che aveva nella sua piantagione La Demajague, e in
seguito proclamò la libertà di tutti gli altri dichiarando Cuba libre. Il decreto di
Céspedes è stato pubblicato a Bayamo e annunciava:
Carlos Manuel de Céspedes, capitan General del Ejército Libertador de Cuba y encargado de su gobierno provincial: La revolución de Cuba al proclamar la independencia de la patria, ha proclamado con ellos todas las libertades y mal podía aceptar la grande inconsecuencia de limitar aquéllos a una sola parte de población[…] Cuba libre es incompatible con Cuba esclavista y la abolición de las instituciones españolas debe comprender y comprende por necesidad y por razón de la más alta justicia la de la esclavitud como la más inicua de todas.13
Il 15 ottobre di questo stesso anno la Junta Superior Revolucionaria española
ha emesso un decreto nel quale affermava che:
la esclavitud de los negros es un ultraje a la naturaleza humana, una afrenta para España, única nación en el mundo civilizado que aún la conservaba en toda su integridad.14
Il governo provvisorio aveva richiesto anche si dichiarassero liberi tutti quelli
nati da una donna schiava.
La schiavitù a Cuba è terminata nel 1886, ma questi uomini liberi hanno
dovuto aspettare circa 15 anni per avere un riconoscimento come cittadino ed
avere il diritto al voto con la Constituición15 del 1901 che introdusse il suffragio
universale maschile. Gli ex schiavi negri erano visti come dei membri anziani
della vecchia e nuova élite bianca, ma durante la guerra c’erano dei leader sia
negri sia mulatti, oppure si facevano delle alleanze interaziali. Per la costituzione
del paese l’unica regola era che quanto più alto era il livello statale più la
leadership era di razza bianca; infatti, la classe politica che creò la nuova Cuba era
formata per la maggior parte da uomini bianchi e pochi negri. Il processo per la
13. Fernando Ortiz Fernández, Los Negros Esclavos, La Habana, Ciencias Sociales, 1975, p. 109.
14. Fernando Ortiz, op. cit., p.108.
15. Michael Zeuske, Estructura e Identidad en la “Segunda Esclavitud”: el caso cubano (1800-1940), Historia crítica, N. 24, 2003, pp. 1-12.
19
formazione di Cuba è stato diverso della maggior parte dei paesi latinoamericani,
perché la nazione cubana era formata da due culture contrapposte, quella africana
e quella americana che era molto più presente rispetto agli altri paesi. Infatti la
presenza americana minacciava la cultura cubana con il suo progetto
d’incorporazione del paese e per molti rivoluzionari questo avrebbe significato la
distruzione della cultura nazionale in poco tempo. Il progetto che escludeva dalla
comunità isolana le persone di colore ha da sempre rappresentato un problema
politico per le varie generazioni. Per la storiografia cubana il partito politico che
portò alla formazione della nazione cubana fu l’Autonomismo16, costituito nel
1895 ma dal 1896 ha acquisito carattere antinazionale e in seguito è diventato un
movimento che sembrava favorevole alla dominazione coloniale. Gli autonomisti
desideravano un’organizzazione politica propria, volevano anche un
riconoscimento della personalità cubana sanzionata mediante le leggi promesse
dalla Costitución española.
Per questo motivo il rivoluzionario e politico José Martí ha accusato questo
partito di oligarchica, di essere inefficace, borghese, razzista, antirivoluzionario e
collaboratore della Spagna e degli Stati Uniti. Il rivoluzionario credeva che Cuba
sarebbe diventata indipendente attraverso l’unione delle forze politiche bianche e
negre. Infatti, nell’articolo di Zeuske prima citato, viene riportata una citazione di
José Martí: “Cubano es más que negro, más que mulato, más que blanco.”17
Un altro partito politico del XIX secolo era Unión Constituicional che si
ispirava all’integrità del paese attraverso il mantenimento dello status quo. Essi
incorporarono gli atteggiamenti riformisti che hanno contribuito, insieme ai
liberali autonomisti, a propendere verso le riforme dei colonialisti. Infatti questo
partito in qualche modo rappresentava gli interessi dei commercianti esportatori
della colonia.
Nella vita politica del paese le grandi escluse erano le donne schiave e anche le
donne ex schiave invece non venivano considerate: erano condannate al silenzio e
16. Josef Opatrný, ed al, Visitando la isla, temas de historia de Cuba, Madrid, AHILA- Iberoamericana, vervuert, 2002.
17. Apud, Zeuske, p.5.
20
all’invisibilità, che era in realtà il loro destino all’epoca. Dovevano solo occuparsi
della vita domestica, dei mariti e dei figli, durante la schiavitù erano considerate
solo perché potevano procreare e soprattutto dovevano fare come lavoro la
prostituta. La scoperta di Cuba rappresentò per la Spagna una grande risorsa
economica, perché questo paese aveva una ricchezza naturale, dal caffè allo
zucchero, l’oro, argento, ecc. È grazie alle colonie che la Spagna ha potuto
sviluppare la propria economia diventando così uno dei paesi più ricchi al mondo
fino a poco tempo fa. Con questa politica coloniale così feroce e violenta hanno
ottenuto quello che volevano, soldi, e soprattutto hanno dimostrato di potere
dominare un popolo e una cultura arrivando addirittura al suo sterminio18. Cuba è
stata spogliata di tutto quello che aveva, ma in un certo senso è riuscita a
raggiungere la propria indipendenza, passando da una colonia a una vera nazione
multietnica dove alla fine bianchi, negri e mulatti sono riusciti a mettere da parte i
pregiudizi per vivere serenamente.
1.2. Alcune immagini riguardanti la schiavitù:
18. Moreno Fraginals, op. cit., p. 31.
21
In questa immagine abbiamo uno schiavo incatenato che porta sulle spalle un
sacco e ciò rappresenta lo sforzo fisico. Le catene sono simbolo della schiavitù.
22
In questa incisione viene rappresentata una piantagione tipica, in primo piano
vediamo gli schiavi che lavorano a terra, in questo caso svolgono la funzione di
un contadino. Lo scopo di quest’opera è dimostrare la fatica ed il duro lavoro di
questi esseri sottomessi.
In questa pagina di giornale viene riportato l’annuncio per la vendita di uno
schiavo. Per vendere i propri schiavi, i proprietari mettevano in risalto le qualità
del servo, qui abbiamo l’esempio della vendita di una donna nera, di animali e di
libri. Questo per dimostrare che gli schiavi erano dei prodotti.
23
Un esempio di un registro dell’epoca (come registravano gli schiavi).
24
Questo è il quadro di Bartolomè Murillo, dal titolo Las Tres, dove viene
messo in evidenza un ragazzino nero che lavora e sembra chiedere l’elemosina e a
sinistra un ragazzino bianco sorridente. Quest’opera rappresenta secondo me la
schiavitù infantile.
25
ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITU’
NAZIONE ANNO
INGHILTERRA 1807
FRANCIA 1814
OLANDA 1814
STATI UNITI 1863
SPAGNA 1880
CUBA 1886
PORTOGALLO-BRASILE 1884-1888
26
2. Lo Schiavismo nell’opera di Gertrudis Gómez
de Avellaneda.
2.1. Gómez de AvellanedaGertrudis Gomez de Avellaneda nacque a Cuba nel 1814, considerata una
delle voci più autentiche del romanticismo ispanico, è anche la più grande
scrittrice cubana in lingua castigliana. La sua famiglia era benestante e per questo
ricevette una buona educazione e un insegnamento superiore alla norma per una
donna di quel periodo. Gómez de Avellaneda crebbe in un ambiente molto
borghese, abituata a possedere servi in casa, molti dei quali erano schiavi negri.
La sua vita è stata un cumulo di disgrazie, a cominciare dalla morte del padre
avvenuta quando era piccola; in seguito la madre si risposò con un uomo con il
quale l’autrice non andava d’accordo. Ella fu anche spinta ad una serie di
matrimoni combinati che rifiutò. Tutti questi sono elementi che l’hanno segnata e
che possiamo trovare nei suoi scritti: è da sempre stata una persona che si è
distinta da tutte le altre, infatti, già all’età di otto anni scrisse il suo primo racconto
El Gigante de Cien Cabezas basato sulle leggende della sua terra natale. Per il suo
temperamento è stata ammirata e criticata. Nel saggio di Juan Remos y Rubio
viene riportata una citazione dello scrittore cubano Mariano Aramburo che
afferma che all’età in cui le ragazzine giocavano con le bambole Avellaneda
imitava i poeti castigliani, giocava con le passioni scrivendo drammi e commedie:
A la edad en que las mujeres juegan a las muñecas la Avellaneda jugaba a las pasiones escribiendo dramas y comedias que sus camaradas rapresentaban en los únicos teatros que los Camagüeyanos de entonces conocierón19
A causa del suo rapporto con il patrigno, lei fu costretta a lasciare Cuba per
andare in Europa, dove entrò in contatto con la letteratura romantica del momento,
19 Juan J. Remos, y Rubio, Resumen de Historia de la Literatura Cubana, 2a. ed. Corregida, La Habana, Cárdenas, 1945, pp. 86-87.
27
di Victor Hugo, Chateaubriand e di Lord Byron. A 22 anni arrivò in Spagna dove
scriverà quasi tutte le sue opere fino alla morte avvenuta nel 1873.
Gómez de Avellaneda dimostra di aver un carattere forte e un grande senso di
ribellione e questi tratti segnano la sua figura letteraria, come la segna la questione
delle donne nel periodo del liberalismo cubano. Infatti lei va contro tutto quello
che è convenzionale, non accetta matrimoni di convenienza e lotta per i propri
ideali. Ha una vita molto intensa, segnata da molti dispiaceri come la morte dei
suoi due mariti e l’abbandono da parte del suo amante quando era incinta di una
bambina che nascerà morta. Ciò la portò alla depressione ma anche a sviluppare
un temperamento appassionato verso lo spiritualismo, fino ad un ritiro religioso.
Tutte queste esperienze la rendono una persona molto critica come donna. Il suo
carattere, il suo talento e la sua bellezza provocarono ammirazione e allo stesso un
sentimento di rifiuto legato alla sua condizione d’intellettuale e scrittrice. Nel
prologo del romanzo Sab viene riportata un affermazione del drammaturgo e
poeta spagnolo Bretón de los Herreros: “¡Es mucho hombre esa mujer!” per
valorizzare il suo carattere forte e la forza spirituale, perché comunque era un
periodo di forte maschilismo e una donna come Gómez Avellaneda riportava
l’attenzione verso la questione del femminismo. In un articolo della rivista
Latinoamericana viene riportata una nota del critico spagnolo Marcelino
Menéndez Pelayo in cui afferma che la sua femminilità la rende immortale :
Lo femenino eterno es lo que ella ha expresado, y es lo característico de su arte, y lo que hace inmortal, no sólo en la poesía lirica española, sino en la de cualquier otro país y tiempo, es la expresión, ya indómita y soberbia, ya mansa y resignada, ya ardiente e impetuosa, ya mistica y profunda de todos los anhelos, tristezas, pasiones, desencantos, tormentas y naufragios del alma femenina20
Il suo primo romanzo è stato Sab, pubblicato nel 1841, per questo romanzo
riceverà molte critiche, soprattutto perché è un’opera che va contro la sua classe
sociale e la schiavitù. Nonostante provenisse da una famiglia schiavista in cui era
abituale avere schiavi di razza negra, Gómez de Avellaneda crea uno schiavo
negro superiore a un bianco meschino e calcolatore, per dimostrare che siamo tutti
20. http:// critica.cl. “ Sab: Un ensayo sobre La Pasión, la esclavitud y la identidad en la obra de Gertrudis Gómez de Avellaneda”, Revista Latinoamericana, 2007, pp.1-7.
28
uguali e questo era dovuto alla sua concezione religiosa che gli uomini sono tutti
uguali davanti a Dio. Per questo motivo è stata considerata traditrice della sua
classe come lo scrittore e filosofo Russo Lev Tolstoj.
L’opera in questione ha ricevuto molte critiche perché comunque aveva come
tema la schiavitù che era un concetto molto presente nella cultura cubana.
Tutti i protagonisti dell’opera hanno un qualcosa di autobiografico. Sab il
protagonista sarebbe l’alter ego dello schiavo personale di Gómez de Avellaneda
che era Sabas, Enrique ricorda molto il suo amante Cepeda che l’aveva lasciato
perché lei era povera e lui voleva i soldi, era un calcolatore. Carlota perché lotta
per il suo amore andando contro la propria famiglia come la scrittrice e Teresa che
arriva a fare la scelta di ritirarsi in convento, l’autrice che dopo le esperienze
negative della vita va in ritiro religioso. Il romanzo ha il carattere antischiavista e
l’accusa sociale è molto evidente. Infatti, possiamo vedere l’ingiustizia del
sistema sociale che si presentava a Cuba, fatto di divisioni e da un forte
maschilismo, forse per questo motivo Avellaneda decise di scrivere un’opera che
portava l’attenzione verso le donne. Nel romanzo vediamo le due donne che sono
una l’opposta dell’altra ma che in qualche modo lottano per qualcosa,
indipendentemente dall’epilogo del romanzo.
Quello che colpisce è come descrive la schiavitù e come la nobiltà possa
essere una qualità dell’anima. Lo schiavo che descrive l’autrice è intelligente,
nobile e dotato di grandi valori, per molti critici questo schiavo sembrava un
uomo bianco, con dei valori morali, un eroe, io credo che lei volesse dimostrare
che non ci sono razze ne colori della pelle, che uno schiavo è semplicemente un
essere umano come tutti e che dovrebbe avere dei diritti. Ecco perché crea i due
personaggi in contrasto, Enrique e Sab, il primo bianco senza scrupoli e il secondo
uno schiavo buono, ciò per dimostrare che i valori morali sono universali e che
negro o bianco che siano, uomini o donne siamo tutti uguali.
L’opera per il suo carattere descrittivo, in particolare per come descrive la città
di Puerto Príncipe: il paesaggio, le cuevas, la natura e le leggende, è stata accusata
di regionalismo, invece secondo me è un grande esempio del romanticismo
cubano che consiste nell’evocazione del passato, la postura antischiavista e
29
l’entusiasmo per la natura, la questione dell’amore, il dolore e la melanconia; tutti
questi elementi li troviamo all’interno del romanzo. Gómez de Avellaneda ha
scritto quest’opera seguendo la tendenza del momento cioè il Reformismo criollo
basato sulla cessazione della tratta con l’abolizione graduale della schiavitù, la
transizione dal lavoro schiavista a quello salariato e sulla promozione del
fenomeno dell’immigrazione da parte degli europei che sarebbe stato importante
per il progresso.
2.2. L’opera: Sab
Sab è il romanzo della scrittrice cubana Gertrudis Gómez de Avellaneda21, non
possiamo definirlo solo un romanzo storico, ma è anche un’opera di denuncia
21. Gertrudis Gómez, de Avellaneda, Sab, ed. josé Servera, Madrid, Cátedra, 1997, 200710.
30
sociale che andava contro il sistema politico del suo paese. È il primo romanzo
che tratta questo tipo di argomento scritto in spagnolo. L’opera in questione è
stata pubblicata a Madrid nel 1841, più tardi a Cuba perché all’epoca vigeva
ancora la schiavitù.
Kelly Comfort in un suo articolo22 sostiene che il romanzo ha avuto una
maggiore facilità di pubblicazione in Spagna perché all’epoca il paese era guidato
dalle idee liberali della regina Maria Cristina, mentre a Cuba le difficoltà sono
dipese dalla presenza della schiavitù; ecco perché Sab è stato pubblicato in questo
paese dopo cento anni dalla nascita della scrittrice nel 1914.
Nel prologo dell’opera l’editore José Servera riporta una citazione nella quale
si precisava che l’opera Sab pubblicata a Madrid nel 1841 è stata in parte
sequestrata:
Se publicó en Madrid, en 1841, pero la corta edición que se hizo fue, en su mayor parte, secuestrada y retirada de la circulación por los mismos parientes de la autora, a causa de las ideas abolicionistas que encierra23.
Per quanto riguarda la data della stesura, è precisata dalla stessa autrice in una
lettera ad A. Neira nella quale affermava che aveva iniziato a scrivere il lavoro a
Lisbona nel 1838: “pero en ratos de ocio escribia desaliñadamente el Sab, que
comencé en Lisboa en 1838”24.
Il 1838 è importante in quanto è l’anno in cui l’Inghilterra dichiarò abolita la
schiavitù nelle sue colonie, mentre dall’altra parte del mondo, negli Stati Uniti e
in particolare al nord, appariva una nuova forza politica e sociale che andava
contro la schiavitù del sud. Nel mondo occidentale si cominciava a prendere
coscienza che questo sistema di oppressione del genere umano non portasse
22. Kelly Comfort, “Colonial Others as Cuba’s Protonational Subjects: The Privileged Space of Women, Slaves and Natives in Gómez de Avellaneda’s Sab”, Davis, University of California, 2003, pp. 179-194.
23 Servera, Sab, ed. cit., p. 47.
24 Apud, Servera, p.46.
31
nessun profitto. È anche il periodo dello svillupo tecnologico, quindi i macchinari
rappresentano la sostituizione del lavoro dello schiavo.
A proposito della ritardata pubblicazione a Cuba, Gihane Mahmoud Amin
dell’università di Cairo, afferma che era impensabile che uno schiavo si
innamorasse della sua padrona e che, considerato come un oggetto, potesse
provare dei sentimenti nobili; il critico in quest’articolo intitolato “Sab y la novela
antiesclavista” vuole rendere evidente che era quasi assurdo che una donna bianca
si offrisse ad un uomo negro e schiavo, forse perché all’epoca uno schiavo non era
visto come un essere umano e una cosa simile poteva essere vista come qualcosa
di immorale:
Tampoco vieron con buenos ojos que una mujer blanca, Teresa, esté enamorada de un esclavo negro. Ni que éste sea culto y tenga cualidades que superen las del hombre de raza blanca25
Ancora in quest’articolo è scritto che i cubani, non vedendo di buon occhio
quanto raccontato nel romanzo perché contrario alla moralità dell’epoca e al
sistema economico del paese, ne impedirono la pubblicazione: “Estos han sido
entre otros, los motivos por los cuales el Censor Regio de Imprenta decretó el
primero de septiembre de 1844 la prohibición de la entrada de Sab a la isla de
Cuba y su rentención en la Real Aduana de Santiago de Cuba.”26
L’opera è scritta in terza persona, è divisa in due parti: la prima contiene
undici capitoli mentre la seconda cinque, più una lettera conclusiva indirizzata
all’altra protagonista, Teresa.
Ogni capitolo è introdotto da un motto, che ha lo scopo di richiamare
l’attenzione del lettore su quanto sta per leggere. Per esempio quella dell’ultimo
capitolo, che io trovo fra le più significative, del drammaturgo spagnolo García
Gutiérrez, evidenzia il contrasto tra vita e morte, tra la felicità e la disperazione
dei protagonisti: da una parte Carlota che realizza il suo sogno di sposarsi con
l’uomo che ama, mentre dall’altra Sab che ormai persa la speranza, muore.
25. Gihane Mahmoud Amin, Sab y la novela antiesclavista, universidad de el Cairo, Ediciones Digitales del Griso, 2010, p. 105.
26. Apud, Mahmoud Amin, pp. 105-106.
32
Esta es la vida, Garcés,Uno muere,otro se casa,Unos lloran, otros ríen…¡Triste condición humana!27.
L’ambiente in cui si sviluppa la storia è ben descritto, tutto succede a Cuba, a
Puerto Príncipe, l’attuale Camagüey, dove la società era schiavista. Sono descritti
i paesaggi di Cuba e anche gli animali tipici in modo dettagliato, per esempio nel
quarto capitolo:
La madrugada era fresca y hermosa y el calmpo no había parecido nunca a Carlota tan pintoresco y florido. Al salir de casa llevando en su pañuelo muchos granos de maíz rodeáronla innumerables aves domésticas. Las palomas berberiscas sus favoritas, las gallinas americanas, pequeñas y pintadas, llegaban a coger el maíz […] Más lejos el pavo real rizaba las cinéreas y azules plumas de su cuello […] mientras el pacífico ganso se acercaba pausadamente a recibir su ración (pp. 142-143).
Il tema principale del romanzo è l’amore, mentre la schiavitù del negro, quella
delle donne e anche l’indigenismo sono i temi secondari. L’amore - come in molti
romanzi- è sempre legato alla sofferenza. Infatti, Sab soffre tanto, è cosciente che
la realizzazione del suo sogno d’amore è impossibile poichè l’amata non potrà
mai ricambiare il suo sentimento; ella ama un altro.
¡Dios mío! ¿Se padece tanto siempre que se ama? ¿Aman y padecen del mismo modo todos los corazones o has depositado en el mío un germen más fecundo de afectos y dolores? … ¡Ah!, si no es general esta terrible facultad de amar y padecer, ¡cuán cruel privilegio me has concedido!.. porque es una desgracia, es una gran descgracia sentir de esta manera (p. 133).
Il romanzo racconta l’amore non corrisposto tra uno schiavo e la figlia del suo
padrone, una donna di razza bianca, chiamata Carlota; lo schiavo chiamato Sab è
figlio di una schiava negra e forse il padre era uomo bianco e ricco, per questo il
protagonista preferisce chiamarsi “ esclavo y mulato”. Egli inizia a lavorare per la
famiglia Bellavista e diventa il compagno di gioco della figlia, ma dopo qualche
anno s’innamorerà perdutamente della ragazza, che non contraccambia il suo
amore perché è innamorata di un giovane inglese, Enrique Otway. Quest’ultimo
però è più interessato alla sua fortuna che alla donna; infatti, quando la famiglia
27 Apud, Servera, p. 247.
33
Bellavista è costretta ad affrontare dei problemi economici, chi salverà le sorti
della ragazza sarà Sab che con la vincita della lotteria permetterà il matrimonio fra
Carlota ed Enrique. In questo modo Sab sacrifica il suo amore, inoltre sarà lui
stesso che consegnerà a Enrique la lettera del padrone, nel quale informa il futuro
genero che Carlota ha vinto alla lotteria e il matrimonio si può quindi celebrare.
Purtroppo per lo sforzo fisico, per la fatica del viaggio e soprattutto per il suo
malessere interiore per aver perso la donna amata, il protagonista muore. Prima di
morire Sab scrive una lettera a Teresa, un'altra donna che è stata adottata dalla
famiglia Bellavista perchè anche lei come il protagonista è orfana; nella lettera
Sab esprime tutte le sofferenze patite a causa dalla società in cui è vissuto. La
lettera è anche una specie di manifesto della sua passione amorosa e non solo: il
protagonista parla anche della schiavitù delle donne e in particolare della
situazione di Carlota, arrivando alla conclusione che la schiavitù delle donne è
peggiore di quella maschile.
Sab è un personaggio molto complesso: è appassionato e la sua forza sta
proprio nella capacità di amare incondizionatamente, egli, infatti, si affida
completamente all’amore. È in una posizione di privilegio rispetto alla sua
condizione e a quella degli altri schiavi, essendo il “mayoral” ed anche l’uomo di
fiducia del suo padrone. È sempre stato trattato bene dalla famiglia Bellavista, in
quanto uomo fedele. Ed è anche molto avvantaggiato dal suo aspetto e dalla sua
discendenza, perché la madre era una principessa africana e il padre si suppone
che fosse un uomo bianco e ricco.
Con quest’opera Gómez de Avellaneda ha cercato di mostrare il dramma della
schiavitù, ma concentrandosi maggiormente sulla sofferenza spirituale del
protagonista: cioè invece di descrivere la violenza cui erano costretti “questi
poveri cristiani”, ha concentrato il discorso sui sentimenti e sulla sofferenza che
un uomo e schiavo porta dentro. Quest’aspetto lo troviamo subito all’inizio della
storia e servirà da cornice all’interno del romanzo, quindi diventa lo sfondo entro
il quale si muoveranno tutti i personaggi. Questi ultimi rispecchiano in parte la
realtà sociale del tempo e in parte sono riferimenti autobiografici: il protagonista è
uno schiavo ed il “buono” del romanzo e la scrittrice ha vissuto in un ambiente
34
simile, circondata da schiavi. Possiamo definire Sab come un eroe romantico che,
per esempio, salva dalle fiamme il nipote di uno dei personaggi del libro:
¡Sab le salvó! Por entre las llamas y quemados a los pies y ensangrentadas las manos, sofocado por el humo y el calor cayó exánime a mis pies, al poner en mis brazos a Luis y a Leal…
¡Sab los salvó a ambos! Sí, su humanidad se extendió hasta el pobre animalito (p. 181).
Carlota invece rappresenta la donna innamorata, che ama incondizionatamente
il suo uomo ed è accecata dalla passione. È molto ingenua e idealista:
Cuando yo sea la esposa de Enrique […], ningún infeliz respirará a mi lado el aire emponzoñado de la esclavitud. Daremos libertad a todos nuestros negros. ¿Qué importa ser menos ricos? (p. 146).
Carlota a sua volta è idealizzata dal protagonista, che la vede come una “donna
angelo” che, con i suoi modi gentili ed eleganti, può salvare qualsiasi uomo:
el ángel custodio que el cielo me había destinado, y que su misión sobre la tierra era conducir y salvar mi alma (p. 205).
el conjunto de sus delicadas facciones, y la mirada llena de alma de dos grandes y hermosos ojos pardos, daban a su fisonomía, alumbrada por la luna, un no sé qué de angelico y penetrante imposible de describir. Aumentaba lo ideal de aquella linda figura un vestido blanquísimo que señalaba los contornos de su talle esbelto y gracioso (p. 115).
L’idealizzazione della donna angelo in Carlota ricorda la poetica che si era
affermata a Firenze tra il 1200 e il 1310 chiamata Dolce stil novo. Questa nuova
scuola poetica che aveva come i suoi maggiori esponenti Dante Alighieri e Guido
Cavalcanti, aveva come tema fondamentale l’amore. Infatti, per gli stilnovisti
l’amore non è un semplice corteggiamento, ma l’adorazione di una donna vista
come un angelo.
Un’altra protagonista del romanzo è Teresa, completamente diversa dalla
cugina Carlota, anche lei orfana, come Sab. È quasi priva di emozioni in
apparenza, è fredda, tiene tutto dentro, ma è capace di amare. La sua svolta
avviene quando -nel secondo capitolo- in un dialogo con Sab, si offre a lui:
yo soy, esa mujer que me confío a ti: ambos huérfanos y desgraciados… aislados estamos los dos sobre la tierra y necesitamos igualmente compasión, amor y felicidad. Dejáme, pues, seguirte a remotos climas, al seno de los desiertos…! Yo seré tu amiga, tu compañera, tu hermana (p. 220).
35
Un altro personaggio importante è Enrique, il giovane promesso sposo di
Carlota, un uomo avido e interessato: dal loro matrimonio vuole solo trarne
profitto per diventare più ricco. Enrique rappresenta il capitalismo, è egoista e
ambizioso: “Es preciso que yo sea rico, y tú no puedes hacerme rico, Carlota” (p.
232).
Gioca un ruolo importante nel romanzo anche il padre di Enrique, Jorge
Otway. E’ lui che manovra il figlio e vuole vederlo sposato solo con una donna
ricca. Jorge Otway era un venditore ambulante, che si è arricchito e rappresenta la
nuova borghesia che pensa avidamente solo al denaro:
Un comerciante, Enrique, ya te lo he dicho cien veces, se casa con una mujer lo mismo que se asocia con un compañero, por especulación, por conveniencia. La hermosura, el talento que un hombre de nuestra clase busca en la mujer con quien ha de casarse son la riqueza y la economia (p. 152)
E la sua arroganza e il suo modo sgarbato si nota in questo passo:
¡Maldición sobre ti!... ¿qué diablos quieres aquí, pícaro mulato, y cómo te atreves a entrar sin permiso? ¿Y ese imbécil negro que hace? (p. 153).
Simbolo dell’aristocrazia è il padre di Carlota, don Carlos de Bellavista. Egli
non si preoccupa dell’apparenza e non è molto legato ai soldi, forse perché
proviene da una famiglia ricca.
L’unica cosa che vuole è vedere sua figlia felice e quindi accetta la mano di
Enrique, andando contro i suoi parenti e familiari che non apprezzano l’estrazione
sociale del pretendente. Don Carlos è un uomo molto affettuoso, sensibile e
generoso:
Quiero que al marcharme de Cubitas quede instalada en la mejor de mis estancias y la señalaré una pensión vitalicia, que recibirá por tu mano (p. 183).
Lo scopo di quest’opera è dimostrare che uno schiavo è anche un essere
umano dotato di sentimenti e di grandi valori e che a volte l’aspetto inganna; ma
soprattutto è che più importante del colore della pelle c’è l’aspetto economico
intorno al quale si organizza una società.
36
2.3. Analisi dell’opera
Il romanzo della scrittrice Cubana Gertrudis Goméz de Avellaneda ha come
protagonista uno schiavo chiamato Sab, che dà il titolo del romanzo; Sab. La
storia è narrata in terza persona. Il narratore è onnisciente, cioè conosce alla
perfezione le situazioni del presente, del passato e del futuro; conosce la
psicologia dei personaggi, ciò che pensano, come agiscono e perché lo fanno, per
esempio nel secondo capitolo della prima parte quando il narratore ci presenta le
due protagoniste femminili Carlota e Teresa e a proposito di quest’ultima dice:
37
joven todavía, pero privada de las gracias de la juventud, Teresa tenía una de aquellas fisonomías insignificantes […] Nadie la llamaría fea […] Su risa y su llanto parecían un efecto del arte en una máquina, (p. 115).
Inizio ad analizzare il romanzo partendo dal nome del protagonista. Il
personaggio principale si chiama Bernabé28. Ma la madre ha scelto di chiamarlo in
un modo più affettuoso Sab e nella prefazione dell’opera in questione viene
riportata un lavoro di Mary Cruz che aveva cercato di studiare l’origine di questo
nome: “concluye que el nombre indígena de los bosquimanos ( singular sab,
plural san) caracteriza perfectamente al personaje”29. Mentre Sab è una parola
molto usata nel creolo capoverdiano, si usa per dire che una cosa è buona.
Sab è uno schiavo non comune e per questo spicca all’interno della narrazione:
è il mayoral e l’uomo di fiducia del padrone, per questo motivo ha dei privilegi;
per la descrizione che viene fatta non sembra appartenere alla classe dei
sottomessi: nel primo capitolo abbiamo l’incontro fra i due antagonisti maschili
dell’opera che sono Sab ed Enrique e da subito quest’ultimo non riesce a capire la
natura di questo “campesino” dall’aria strana che non era ne “criollo blanco” e
“tampoco era negro”:
Era el recién llegado un joven de alta estatura y regulares proporciones, pero de una fisionomía particular […] Su rostro presentaba un compuesto singular en que se descubría el cruzamiento de dos razas diversas, […] los rasgos de la casta africana con los de la europea, sin ser no obstante un mulato perfecto (p. 104).
I due iniziano a parlare e il mulatto decide di accompagnare lo straniero alla
casa del signor Carlos de Bellavista. Mentre stanno conversando, Sab si rende
conto che lo straniero era incuriosito dal suo aspetto che aveva “algo de grande y
noble”. Infatti, il suo linguaggio e il suo comportamento non corrispondono a
quelli della classe sociale cui appartiene e per questo Enrique cerca di capire chi
ha di fronte così:
Presumo que tengo el gusto de estar hablando con algún distinguido proprietario de estas cercanías. No ignoro que los criollos cuando están en sus haciendas de campo gustan vestirse como simples labriegos, […] Si no
28 . Bernabé è un nome di origine aramaica, che significa profetta.
29. Apud, Servera, Sab, p.59.
38
me engaño es usted amigo y vecino de don Carlos de B… No soy proprietario, señor forastero, y aunque sienta latir en mi pecho un corazón pronto siempre a sacrificarse por don Carlos, no puedo llamarme amigo suyo […] Soy mulato y esclavo (pp. 107-108).
E lo straniero al sentire queste parole rimase sorpreso: “¿Conque eres mulato?
Tienes un aire tan poco común en tu clase, que luego mudé de pensamiento” e al
suono di queste parole il mulatto risponde con fierezza: “Es que a veces es libre y
noble el alma, aunque el cuerpo sea esclavo y villano” (p. 108).
Sab, parlando con Enrique, presenta la sua storia e racconta la triste vicenda di
sua madre che era principessa nel suo Paese e poi viene venduta come schiava:
¿Conque eres esclavo de don Carlos?Tengo el honor de ser su mayoral en este ingenio.¿Como te llamas?Mi nombre de bautismo es Bernabé, mi madre me llamó siempre Sab, y
así me han llamado luego mis amos.¿Tu madre era negra, o mulata como tú?Mi madre vino al mundo en un país donde su color no era signo de
esclavitud: mi madre […] nació libre y princesa. Bien lo saben todos aquellos que fueron como ella conducidos aquí de las costas del Congo por los traficantes de carne humana. Pero princesa en su país fue vendida en éste como esclava (p. 109).
Un'altra questione delicata che è affrontata in questo capitolo è l’argomento
riguardante il padre di Sab, che sembra assente e di cui lui sa soltanto che rendeva
felice e amava sua madre:
Tu padre sería blanco indudablemente.¡Mi padre! …Yo no lo he conocido jamás. Salía mi madre apenas de la infancia cuando fue vendida al señor don Félix de B…, padre de mi actual, y de otros cuatros hijos. Dos años gimió inconsolable la infeliz sin poter resignarse a la horrible mudanza de su suerte, pero un trastorno repentino se verificó en ella pasado este tiempo, y de nuevo cobró amor a la vida porque mi madre amó. Una pasión absoluta se encendió con toda su actividad en aquel corazón africano. A pesar de su color era mi madre hermosa, y sin duda tuvo correspondencia su pasión […] El nombre de mi padre fue un secreto que jamás quiso revelar (p. 109).
Sab afferma che la madre con quest’uomo era felice e si sentiva amata,
nonostante il gran cambiamento che aveva subito da nobile a schiava, una vita
destinata alla nullità. Invece abbiamo una situazione opposta nel romanzo di
Henry Neville (1619-1694) un diplomatico e membro del consiglio di stato che ha
avuto un ruolo importante nella tradizione del pensiero politic, L’isola di Pines
39
dove fra i protagonisti, una donna negra e George Pine, pur avendo una relazione
con la donna, c’è un atteggiamento razzista dell’uomo nei confronti della donna:
la mia negra, col consenso delle altre, mi si avvicinò, pensando d’ingannarmi dato che era scuro; ma io, svegliatomi, e sentitala al tatto, capii chi era, ma, volendo provare la differenza, mi presi il mio gusto con lei … e lo facevo di notte, e mai altrimenti, dato che non avrei avuto stomaco di far diversamente, sebbene fosse une delle nere più fini che mai avessi visto30
Anche nel romanzo dello scrittore cubano Cirilo Villaverde (1812-1894) si
affronta la questione del rapporto che c’era fra le donne negre e gli uomini bianchi
e in particolar modo della paternità di questi figli che veniva nascosta; a tal
proposito uno dei personaggi mulatti afferma:
ni a derecha sé quién es mi padre, sólo sé que no fue negro … lo que yo sostengo es, que ni a V., ni a mí, ni… a nuestros hijos, según van las cosas nos tocará ser martillo. Y es muy duro, durisimo, señó Uribe31
Sempre in quest’opera si parla del rapporto ambiguo che avevano le donne
mulatte con gli uomini bianchi, tanto è che:
los blancos no abandonaron el comedor y aposento principal, a cuyas piezas acudían las mulatas que con ellos tenían amistad, o cualquier otro género de relación o deseaban tenerla32
E qui che Sab scoprirà qualcosa che stravolgerà la sua vita e cioè che Carlota è
promessa sposa ad un certo Enrique Otway e che lo straniero in questione è lo
sposo:
¡Enrique Otway! Ese nombre lo mismo que vuestra fisonomía indican un origen extranjero… Vos sois, pues, sin duda, el futuro esposo de la señorita de B…!
No te engañas, joven, yo soy en efecto Enrique Otway, futuro esposo de Carlota, y el mismo que procurará no sea un mal para ti su unión con tu señorita (p. 111).
30. Henry Neville, L’isola di Pines, a cura di Onofrio Nicastro, ed. Guerrini e Associati, Milano, 1990, pp. 46-47.
31. Cirilo Villaverde, Cecilia Valdés o la Loma del Ángel, ed. de Jean Lamore, Madrid, Cátedra, 1992, 20125, p.206.
32. Villaverde, op. cit., p.109.
40
Nel secondo capitolo abbiamo le due protagoniste femminili che parlano:
Carlota e Teresa, sono due ragazze completamente diverse. Sembrano messe
confronto e notiamo anche la gelosia di Teresa nei confronti di Carlota:
Desde esta ventana ves a tu buen padre adornar por sí mismo con ramas y flores las ventanas de esta casa: este día en que tanto has llorado debe ser para ti de placer y recocijo. Hija adorada, ama querida, esposa futura del amante de tu elección (p. 113).
Carlota ha quasi tutto per essere la persona più felice al mondo, ma è orfana di
madre e questo è l’unico fatto che le accomuna. Infatti, nella loro conversazione la
ricordano, perché è stata una madre meravigliosa:
La última vez que habitamos en este ingenio gozaba yo la compañia de la más tierna de las madres. También era madre tuya, Teresa, pues como tal te amaba: ¡aquella alma era toda ternura! (pp. 113-114).
Non sono solo loro a essere orfani di madre, nessun protagonista dell’opera ha
una figura materna; questo sta ad indicare un fatto importante della società
cubana, cioè che può essere definita una società patriarcale, dove l’uomo è al
comando di tutto e il ruolo della donna è marginale. Questo è un fatto negativo
della cultura in questione cioè quella cubana. Comunque i destini di tutti i
protagonisti sono tristi ed infelici, forse per questa mancanza, ecco perché
l’autrice offre una possibilità al protagonista principale Sab che aveva perso la
madre fra le braccia, vuole dargli non la speranza, ma offrirgli un futuro con la
scelta di un’altra madre adottiva. Questa volta il mulatto sceglie come madre
adottiva una donna indigena, che qui troviamo nel ruolo di Martina ed è rilevante
perché cerca di rimpiazzare la madre con un'altra figura che in qualche modo ha lo
stesso destino della madre, che in qualche modo proveniva dagli schiavi e in vive
in condizione di estrema povertà; la scelta di Martina come madre gli fornisce un
nuovo luogo di nascita, a Cuba:
mi desgraciada madre murió en mis brazos: soy también huérfano como Luis, sed mi madre, admitdme por vuestro hijo […] en presencia del cielo le adopté desde aquel momento por mi hijo (pp. 180-181).
In questo capitolo il narratore ci da un’indicazione temporale: “ ¡Qué hermosa
noche!” (p. 113).
41
E una descrizione degli spazi in cui si svolge la narrazione, come l’ambiente
della casa:
Era una pequeña sala baja y cuadrada, que se comunicaba por una puerta de madera pintada de verde oscuro, con la sala principal de la casa […]. Los muebles que adornaban esta habitación era muy sencillos pero elegantes, y veíanse hacia el fondo, uno junto a otro (p. 114).
Un aspetto fondamentale in questo capitolo è che il narratore tenta di mettere a
confronto le due cugine, presentando Carlota in questo modo:
Su hermosa y pura frente descansaba en una de sus manos, apoyando el brazo en el antepecho de la ventana; y sus cabellos castaños divididos en dos mitades iguales […], pero el conjunto de sus delicadas facciones, y la mirada llena de alma de dos grandes y hermosos ojos pardos, daban a su fisonomía, alumbrada por la luna, un no sé qué de angelico y penetrante, (p. 115).
Mentre Teresa è il suo opposto, è una ragazza molto fredda e sfortunata e
molto razionale:
Nadie la llamaría fea después de examinarla; nadie, empero, la creería hermosa al verla por primera vez, y aquel rostro sin expresión, parecía tan impropio para inspirar el odio como el amor. Sus ojos de un verde oscuro bajo dos cejas rectas y compactas, tenían un mirar frío y seco que carecía igualmente del encanto de tristeza y de la gracia de la alegria […] Su altivez natural, constantemente herida por su nacimiento, y escasa fortuna que la constituia su alma (pp. 115-116).
Nel terzo capitolo invece si affronta la questione dell’immigrazione a Cuba:
all’epoca molti europei lasciavano il loro paese per andare in questi luoghi alla
ricerca di fortuna, di un modo per arricchirsi e Cuba offriva molte possibilità con
le sue ricchezze naturali:
Sabido es que las riquezas de Cuba atraen en todo tiempo innumerables extranjeros, que con mediana industria y actividad no tardan en enriquecerse de una manera asombrosa […], satisfechos con la fertilidad de su suelo, y con la facilidad con que se vive en un país de abundancia, (p. 119).
All’epoca Cuba era una fonte di ricchezza per tutti quelli che andavano li, con
le loro idee per cercare di emergere, ma questo non succedeva solo a Cuba, anche
in Brasile dopo la fine della schiavitù avvenuta intorno al 1888 ci fu un flusso
d’immigranti che partivano dall’Italia alla ricerca di un lavoro e di una vita
migliore; loro lavoravano nelle piantagioni di caffè ma diversamente dagli schiavi
42
essi avevano uno stipendio. Mentre oggi abbiamo il processo inverso con
l’immigrazione verso i cosiddetti paesi ricchi: infatti molti lasciano i paesi di
origine per andare alla ricerca di una vita migliore; è il caso della mia famiglia che
si è trasferita in Italia per cercare di migliorare la nostra situazione economica. Ma
ci sono quei casi particolari in cui alcune persone lasciano il proprio territorio per
sfuggire alla fame alla guerra o anche per malattia e spesso viaggiano in
condizioni disastrose, in questo caso si parla di viaggio della speranza, questo
termine significa:
Viaggio intrapreso da chi ha bisogno di terapie mediche che non sono disponibili nel proprio paese o da emigranti extracomunitari in cerca di condizioni di vita migliori di quelle nelle quali vivono; per estensione, tentativo di portare a termine positivamente un’impresa che risulta particolarmente difficile nella zona nelle quale si vive.33
Infatti, le persone che intraprendono questi tipi di viaggi, molto spesso
mettono a rischio le proprie vite perché viaggiano in condizioni pietose “peggio
delle bestie”. Per fare un esempio di questi tipi di viaggi finiti in tragedie, ricordo
una vicenda che ha scosso il paese l’anno scorso con la tragedia avvenuta a
Lampedusa. E riporto qui l’articolo di cronaca del giornale il Quotidiano
Nazionale che racconta del naufragio del 3 ottobre 201334. L’articolo racconta di
questa triste vicenda avvenuta a causa di un incendio innescato a bordo del
barcone dagli stessi profughi che cercavano di farsi avvistare e in questo modo
volevano chiamare i soccorsi, ma purtroppo l’epilogo è stato disastroso perché
all’arrivo, i soccorritori hanno trovato centinaia di corpi senza vita, tra cui
bambini e donne incinte. È un viaggio di speranza, ma non sempre si trova quello
che si cerca o che si vuole, perché a volte non si è benvenuti, non c’è lavoro e a
volte si finisce come dei barboni, soprattutto perché la diversità fa paura invece di
essere considerata una ricchezza.
Infatti, nell’opera di Gómez de Avellaneda, nel capitolo in questione abbiamo
Jorge Otway un uomo Inglese che si è trasferito a Cuba, prima era un semplice
venditore ambulante e ora rappresenta la nuova classe sociale della borghesia:
33. www.treccani.it/enciclopedia.
34. Lampedusa Ecatombe: Morti Centinaia di Migranti, il Quotidiano Nazionale, ottobre, 2013.
43
Era inglés: habia sido buhonero algunos años en los Estados Unidos de America del Norte, después en la ciudad de la Habana, y últimamente llegó a Puerto Príncipe traficando con lienzos, (p. 119).
Questo negoziante ha un figlio Enrique che vuole chiedere la mano della figlia
di don Carlos de Bellavista, Carlota, ma la famiglia è contraria perché non vedono
di buon occhio lo straniero ed in particolare il modo in cui si era arricchito negli
anni; nemmeno erano interessati a sapere che gli Otway si fossero convertiti al
cattolicesimo e quindi inizialmente non accettano:
su vanidad y la de Enrique sufrieron la humillación de una repulsa. La familia de B… era de las más nobles del país y no pudo recibir sin indignación la demanda del rico negociante, porque aún se acordaba del buhonero. Por otra parte, aunque el viejo Otway se hubiese declarado desde su establecimiento en Puerto Príncipe un verdadero católico, apostólico, romano, y educado a su hijo en los ritos de la misma iglesia, su apostasía no le había salvado del nombre de hereje, (p. 122).
Dopo il primo tentativo fallito per gli Otway, perché la famiglia non voleva
per Carlota un uomo che si era arricchito facendo il venditore ambulante e
soprattutto era uno straniero, comunque riescono a sposarsi, ma Carlota perde tutti
suoi benefici e viene diseredata: “Carlota, privada de la herencia de su tío, y de los
bienes de su madre que la pérdida del pleito le había quitado” (p. 125).
Adesso è lei a non rappresentare più la moglie ideale per Enrique: “no era ya
la mujer que deseaba Jorge para su hijo” (p. 125).
La grande svolta in questo capitolo l’abbiamo con il padre della ragazza, che
dimostra di non essere molto legato alle cose materiali e non voleva per la figlia
una persona ricca; desiderava per lei un uomo che fosse in grado di renderla
felice, quindi manifesta un atteggiamento più innovativo:
pues él por su parte era indiferente, en cierto modo, a las preocupaciones del nacimiento, y acostumbrado a los goces de la abundancia, sin conocer su precio, tampoco tenía ambición ni de poder ni de riquezas. Jamás había ambicionado para su hija un marido de alta posición social o de inmensos caudales: limitábase a desearle uno que le hiciese feliz, (p. 123).
La quarta parte inizia con l’immagine romantica dei due amanti seduti sotto un
tronco di un albero e c’è la descrizione del paesaggio di Bellavista: “A la
conclusión de una larga calle de naranjos y tamarindos, sentados muellemente en
un tronco de palma” (p. 127), e parlano della loro vita e la ragazza si lamenta per
44
l’assenza continua di Enrique che si allontana sempre per affari. Mentre stanno
conversando, parlano della questione del mayoral Sab, che è l’oggetto di curiosità
del futuro sposo e in particolare del fatto che il mulatto potrebbe essere figlio del
padrone e Carlota è dello stesso parere:
Según cierta relación que me hizo de su nacimiento […], sospecho que tiene ese mozo, con algún fundamento, la lisonjera presunción de ser de la misma sangre que sus amos (p. 128).
E Carlota:
Así lo pienso yo también porque mi padre le ha tratado siempre con particular distinción, y aun ha dejado traslucir a la familia que tiene motivos poderosos para creerle hijo de su difunto hermano don Luis (p. 129).
In questo capitolo i due protagonisti si concentrano sull’alterità di Sab, il suo
essere diverso dagli altri schiavi. La sua diversità è la radice della sua virtù.
L’alterità: In opposizione a identità, indica il carattere di essere altro, distinto.
Questa sua diversità viene descritto così:
¿Sabes que me agrada ese esclavo?... No tiene nada de la abyección y grosería que es común en gentes de su especie; por el contrario, tiene aire modales muy finos y aun me atrevería a decir nobles
Sab no ha estado nunca confundido con los otros esclavos … se ha criado conmigo como un hermano, tiene suma afición a la lectura y su talento natural es admirable (p. 128).
Dopo questo dialogo fra i due innamorati, abbiamo un cambiamento. Il
narratore sposta l’argomento sulla situazione climatica, perché è in arrivo un
temporale:
La noche se acercaba mientras tanto, pero no serena y hermosa como la anterior, sino que todo anunciaba ser un de aquellas noches de tempestad […], Hacía un calor sofocante que ninguna brisa temperaba; la atmósfera cargada de electricidad […] las nubes, tan bajas que se confundían con las sombras de los bosques, eran de un pardo oscuro con anchas bandas de color de fuego. Ninguna hoja se estremecía, ningún sonido interrumpía el silencio pavoroso de la naturaleza, (pp. 130-131).
Nel quinto capitolo invece troviamo la descrizione del tempo che in apparenza
sembrava tranquillo: “Aún no caía una gota de lluvia, ni la más ligera corriente de
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aire refrigeraba a la tierra abrasada. Reinaba un silencio temeroso en la
naturaleza” (p. 134).
In questo capitolo abbiamo i due protagonisti Sab ed Enrique, che attraversano
questi campi in mezzo ad una temporale senza avere paura di niente. In seguito
viene descritta la tempesta in questo modo:
Al soplo impetuoso de los vientos desencadenados el polvo de los campos se levanta en sofocantes torbellinos: el cielo se abre vomitando fuego por innumerables bocas: el relámpago describe mil ángulos encendidos: el rayo troncha los más corpulentos árboles y la atmósfera encendida semeja una vasta hoguera (p. 135).
In seguito Enrique si rende conto che è impossibile continuare il viaggio, è in
questo momento che l’inglese viene colpito alla testa da un ramo di un albero e
quindi perde i sensi. L’incidente avviene in questo modo:
el árbol bajo el cual se hallaba cayó abrasado por el rayo, y su caballo lanzándose por entre los árboles, que el viento sacudía y desgajada, rompió el freno […] chocando su cabeza contra las ramas y vigorosamente sacudido por el espantado el animal, Enrique perdió la silla y fue a caer ensangrentado y sin sentido en lo más espeso del bosque (p. 136).
Il protagonista vedendolo a terra svenuto inizia a pensare una serie di cose e
cambia completamente, si trasforma e diventa anche un po’ cinico, e dice: “¡Aquí
está! E il narratore aggiunge pure che il mulatto fa una “horrible sonrisa”, perché
per lui vedere Enrique in quella condizione, sembrava un modo per liberarsi per
sempre del suo rivale e quindi avere una possibilità con Carlota:
¡Sin sentido! ¡Moribundo! ... Mañana llorarían a Enrique Otway muerto de caída, víctima de su imprudencia … Nadie podría decir si esta cabeza había sido despedazada por el golpe o si una mano enemiga había terminado la obra […] la oscuridad es profunda y estamos solos …¡solos él y yo en medio de la noche y de la tempestad! […] una voluntad le reduciría a la nada, y esa voluntad es la mía… ¡la mía, pobre esclavo de quién él no sospecha que tenga um alma superior a la suya […] una alma que supiera ser grande y virtuosa y que ahora puede ser criminal! (pp. 136-137).
In questo senso il giovane schiavo sembra un essere umano dotato di
sentimenti e con dei pensieri negativi e positivi, ma improvvisamente un qualcosa
dentro di lui cambia e decide di fare diversamente, come nel caso di aiutare chi
era in difficoltà, in questo caso il suo rivale, dimostrando la sua generosità. Un
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aspetto importante è che il cambiamento di Sab è connesso con la natura, perché
torna la quiete:
La atmósfera purificada, el cielo azul y espléndido, el solo vertiendo torrentes de luz sobre la naturaleza regocijada. Solamente árboles desgajados atestiguaban todavía la reciente tempestad (pp. 137-138).
Nel capitolo sesto abbiamo la protagonista femminile Carlota serena e felice
perché il suo amato sta bene ed è salvo ed è più innamorata che mai. Infatti, il suo
primo pensiero è questo: “Enrique vive y está libre de todo riesgo: dentro de ocho
días le veré junto a mí, apasionado y feliz” (p. 142).
Qui vengono riportati tanti nomi di animali tipici di questa zona e descritto
l’aspetto pittoresco della natura:
Las palomas berberiscas sus favoritas, y las gallinas americanas, pequeñas y pintadas, llegaban a coger el maíz a su falda y posaban aleteando sobre sus hombros. Más lejos el pavo real rizaba la cinéreas y azules plumas de su cuello, (pp. 142-143).
E con piante tipiche e con i fiori preferiti di Carlota, Sab le costruisce un suo
giardino, dove lei adorava passare il tempo:
Era el jardín un cuadro perfecto, […] cubiertos por vistosos festones de cambutera y balsamina, cuyas flores carmíneas y doraldas y topacios […] allí lucía la astronomía, de pomposos ramilletes morados, la azucena y la rosa, la clavellina y el jazmín, la modesta violeta y el orgulloso girasol enamorado […] en el medio del jardín un pequeño estanque en el que Sab había reunido varios pececitos de vistosos colores (pp. 144-145).
Il settimo capitolo è tutto dedicato alla famiglia Otway, al loro cinismo e
avidità. In questa parte è come se si togliessero la maschera dimostrando ciò che
sono in realtà. In particolare il padre Jorge Otway è sgarbato: dimostra di non
avere rispetto nemmeno di fronte alla persona che aveva salvato sul figlio
Enrique, quando vede lo schiavo ecco come lo tratta:
¡Maldición sobre ti! … ¿qué diablos quieres aquí, pícaro mulato, y cómo te atreves a entrar sin mi permiso? ¿Y ese imbécil negro que hace? (p. 153).
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Nell’ottavo capitolo abbiamo un'altra volta Sab ed Enrique che stanno
andando a Bellavista, diversamente dell’ultima volta in cui loro erano insieme
durante la tempesta, ora invece era: “el calor de un hermoso día” (p. 156).
E in quest’occasione l’inglese se ne approfitta per cercare di conoscere i
possedimenti del suo futuro suocero e Sab gli racconta:
La fortuna de mi amo … está bastante decaída y sin duda es una felicidad para él casar a su hija mayor con un sujeto rico, que no repare en la dote que puede llevar la señorita (p. 156).
Queste parole hanno in qualche modo disturbato il giovane Otway e per
questo il mulatto mormora una frase: “Carlota tiene una dote más rica y
apreciable en sus gracias y virtudes” (p. 156) che dimostra il suo buon senso
e la sua sensibilità. Nel loro dialogo Enrique esprime il suo pensiero sul
sentimento che lo schiavo nutre per la ragazza “ Parece que amas mucho a
Carlota” (p. 157).
Il mulatto gli risponde:
La señorita de B… es a los ojos de su humilde esclavo lo que debe ser a los de todo hombre que no sea un malvado: un objeto de veneración y ternura (p. 157).
Qui il narratore entra come una voce interiore che riesce a leggere il pensiero
di Enrique e avverte una specie di “invidia” per comunicare al lettore lo stato
d’animo del protagonista, perchè il giovane inglese vorrebbe aver un cuore come
quello del mulatto:
Acaso la voz secreta de su conciencia le decía en que aquel momento que trocando su corazón por el corazón de aquel degradado sería más digno del amor entusiasta de Carlota (p.157).
Il concetto di Voce35 nella narrazione viene definito nel saggio Storia e
Discorso di Seymour Chatman. La voce quindi, diventa il medium
attraverso il quale un concetto o una percezione vengono comunicati, quindi
la voce diventa sempre un qualcosa che sta al di fuori della storia.
35 Voce: referirsi al discorso o agli altri mezzi espliciti tramite i quali eventi e accadimenti vengono comunicati al pubblico.
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E finalmente arrivano a casa Bellavista e sono tutti contenti, in particolare
Carlota, che è talmente innammorata da credere di non meritare l’amore del
giovane inglese. Carlota ed Enrique iniziano a parlare, ma la ragazza avverte un
qualcosa di strano nel suo sguardo. E alla fine di questo episodio il Signor Carlos
de B. vuole concedere la libertà allo schiavo e desidera che sia Enrique a
consegnarlo e anche la ragazza è d’accordo:
¡Sí, que sea libre! ... Ha sido el compañero de mi infancia y mi primer amigo […] es
el que te prodigó sus cuidados la noche de tu caída, Enrique (p. 162).
Nel nono episodio tutta la famiglia de B. è in partenza per Cubitas e sono tutti
entusiasti e felici. Nel capitolo il narratore per riferirsi alla ragazza usa come
aggettivo linda criolla36.
Mentre attraversavano i campi, Sab nota una certa sintonia fra la natura e la
bellezza di Carlota: “Habia en efecto cierta armonía entre aquella naturaleza y
aquella mujer, ambas tan jóvenes y tan hermosa” (p. 165).
Ormai il paesaggio sta cambiando, perché è sera e sono arrivati a Cubitas che
viene presentata così:
bien pronto desapareció todo la vigorosa y variada vegetación de la tierra prieta, y la roja no ofreció más que esparramados yuraguanos, y algún ingrato jagüey que parecían en la noche figuras caprichosas de un mundo fantástico (p. 165)
Durante il percorso la loro attenzione si sposta verso una strana luce “ linda
lucecita”. Questo fenomeno è legato alla figura leggendaria di Camagüey.
Secondo il racconto di Sab questa luce annuncia l’arrivo della vendetta:
esta tierra tornóse roja en muchas leguas a la redonda, y el alma desventurado cacique viene todas las noches a la loma fatal, en forma de luz, a anunciar a los descendientes de sus bárbaros asesinos la venganza del cielo que tarde o temprano caerá sobre ellos (p. 168).
Questa luce è quasi avvertimento, come una forma di punizione divina che è in
arrivo per chi ha usato, maltrattato e terrorizzato il popolo indigeno. Infatti Sab
36. Criolla: Dicho de una persona nacida en un país hispanoamericano, para resaltar que posee las cualidades estimadas como características de aquel país. Autóctono, proprio de un país hispanoamericano.
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riporta nel suo racconto le parole di una donna, Martina, che sostiene di
appartenere a questa “razza”dicendo:
La tierra que fue regada con sangre una vez lo será aún otra: los descendientes de los opresores serán oprimidos, y los hombres negros serán los terribles vengadores de los hombres cobrizos (p. 168).
Carlota al sentire questa storia è così incredula che non crede che l’uomo possa essere un mostro: “paréceme, empero, increíble que puedan los hombres llegar a tales extremos da barbarie […] porque la naturaleza humana no puede, es imposible ser tan monstruosa.” (p. 169).
E tra le sue parole si nota subito che lei è contro la schiavitù e contro tutto questo
sistema di sfruttamento: “este suelo virgen no necesitaba ser regado con el sudor
de los esclavos para producirles: ofrecíales por todas partes sombras y frutos,
aguas y flores” (p. 169).
Sab conosce bene la sua padrona e la sua sensibilità e quando lei dice tutte
queste cose, inizia a riflettere e a farsi una serie di domande:
¡Ah, sí!... no serías menos hermosa si tuvieras la tez negra o cobriza. ¿Por qué no ha querido el cielo, Carlota? Tú, que comprendes la vida y la felicidad de los salvaje, ¿por qué no naciste conmigo en los abrasados del África o en un confín desconocido de la America? (pp. 169-170).
Il decimo capitolo è dedicato alla scoperta di Cubitas e in particolare delle tre
Cuevas e queste rappresentano uno dei tanti elementi realisti che sono presenti
nell’opera. Le Cuevas sono: “Cueva grande o de los negros Cimarrones, Maria
Teresa y Caetano” (p. 173), qui l’argomento è centrato sulla cultura rupestre e
quindi il narratore presenta al lettore questa forma di arte che caratterizza la zona.
Queste Cuevas si trovano nella cosiddetta Sierra de Cubitas37 sono una serie
d’innalzalmenti a sud della pianura costiera con bordi ripidi o fortemente inclinati.
Sono interamente costituite da rocce sedimentarie in orizzontale e suborizzontale.
Questa gamma è tagliata in più punti da strette gole aperte o profonde conosciute
dai locali come “pasos”, e usati come mezzo di comunicazione tra le due parti.
Come in tutto il paesaggio carsico, le grotte abbondano di tombe profonde e
37 Per la spiegazione dellas Sierras de Cubitas è stato tradotto un articolo preso dal seguente sito: www.cadenagromonte.cu/articulos.
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aperte. I pendii sono ricoperti dal suolo calcificato con carsolitas, sottoposti a
processi di lavaggi deluviali con affioramenti che sembrano denti da cane.
Geograficamente parlando possiamo dire che la Sierra de Cubitas in soli sessanta
miglia da est a ovest, è una vera e propria vetrina di caratteristiche speleologiche.
Il narratore descrive la “Cueva Grande o de los negros cimarrones”:
está bajo la gran loma de Toabaquei y consta de varias salas, cada una de las cuales se distingue con su denominación […] son notables entre estas salas la de La Bóveda por su capacidad y la Horno cuya entrada es una tronera a flor de tierra (pp.173-174).
Chiamavano cimarrones gli individui che nei momenti di ribellione fuggivano
dalla schiavitù decisi a vivere liberi anche andando contro gli schiavisti rischiando
di morire, scappavano soli oppure in gruppo di tre o quattro persone.
La “Cueva de María Teresa”:
pinturas bizarras designadas en las paredes con tintas de vivísimos e imborrables colores, que aseguran ser obra de los indios, y mil tradiciones maravillosos (p. 174)
In questo episodio il protagonista è visto come una specie di guida
turistica che accompagnerà la famiglia in questo percorso, ecco perché don
Carlos lo definisce cicerone, e si riconferma la sua generosità, e il suo essere
eroi:
Sab, el mismo Sab ha levantado para su vieja madre adoptiva esta choza, en que tengo el honor de recibiros: él ha trabajado con sus manos los toscos muebles que me eran necesarios: él me ha dato todos sus ahorros de muchos años para aliviar mi miséria (p. 182).
Nell’ultimo capitolo della prima parte la famiglia è ritornata a Bellavista e
Carlota è tormentata da molti dubbi riguardo al futuro sposo; comincia a credere
che lui sia più interessato ai suoi beni che a lei. Nell’altra abbiamo Sab che vuole
aiutare Teresa, perché scopre che anche lei è innamorata di Enrique. Il mulatto
vuole incontrarla per rivelarle il suo piano:
¡Bendita seas mujer! ¡Y bien! A las doce, a orillas del río, a espaldas de los cañaverales del sur.
-Allí me hallarás.-¿ Lo juras, Teresa?-¡Lo juro! (p. 194).
Nel primo capitolo della seconda avviene l’incontro tra Sab e Teresa. Il
narratore prima presenta la notte:
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el firmamento relucía recamado de estrellas, brisa susurraba entre los inmensos cañaverales, y un sin número de cocuyos resaltaban entre verde oscuro […] ell silencio solemne de la media noche el murmullo melancólico que formaban las corrrientes de Tínima, […] entre azules y blancas piedras, para regar las flores silvestres (p. 203).
E finalmente i due s’incontrano e Sab rivela a Teresa che è innamorato di
Carlota, e che lui è al corrente del sentimento che Teresa prova per Enrique:
vos amáis a Enrique y yo adoro a Carlota […] vos sabéis que este desventurado se atreve a amar a aquella cuya huella
no es digno de besar, pero lo que no podéis saber es cuán inmensa, cuán pura es esta pasión insensata. ¡Dios mismo no desdeñaria un culto semejante!
(p. 204).Ricorda l’infanzia vissuta con Carlota che gli faceva dimenticare di essere uno
schiavo. Per Teresa la colpa di quello che è successo a Sab è dei suoi padroni che
l’hanno esposto ad un tale pericolo, mentre per Sab non è così perchè: “ ellos no
los preveían, porque no sospecharon nunca que el pobre esclavo tuviera un
corazón de hombre” (p. 205).
Dopo aver detto a Teresa tutto quello che provava per Carlota, l’attenzione di
Sab si sposta verso il suo essere schiavo e mulatto, e condanna questa sua
condizione che lo porta a essere una nullità:
¡Entonces mi corazón abrasado de amor y de celos, palpitó tambièn por primera vez de indignación, y maldije a la naturaleza que me condenó a una existencia de nulidad (p. 206).
A proposito di questo, inizia a fare a Teresa una serie di domande sulla
natura: “Teresa, por qué la naturaleza no ha sido menos nuestra madre que
vuestra. ¿Rehúsa el sol su luz a las regiones en que habita el negro salvaje? […] e
l’unica risposta che il protagonista è riuscito a dare è che non c’entra la natura, ma
è colpa dell’uomo e della società: “pero la sociedad de los hombres no ha imitado
la equidad de la madre común, que en vano les ha dicho. “ ¡sois hermanos!”
Imbécil sociedad” (p. 206).
In seguito Teresa, vedendolo così sofferente e angosciato, inizia a pensare che
il mulatto stia per sverlarle che con gli altri schiavi siano sul punto di fare una
rivoluzione, ma Sab dimostra di essere un pacifista:
tranquilizaos, Teresa, ningún peligro os amenaza; los esclavos arrastran pacientemente su cadena: acaso sólo necesitan para
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romperla, oír una voz que les grite: “¡sois hombres!”, pero esa voz no será la mía, podéis creerlo (pp. 206-207).
Teresa aveva paura che gli schiavi stessero organizzando una ribellione,
questo tipo di rivolta che gli schiavi mettevano in atto veniva chiamato
cimarronaje38: era una piccola fuga con lo scopo di iniziare una trattativa con i
padroni, è un termine che indica più che rassegnazione degli africani, che avessero
in qualche modo accettato la schiavitù come uno stile di vita nel Nuevo Mundo.
Esistono due forme di cimarronaje, una chiamata grande che sarebbe la fuga
degli schiavi con obiettivo di fare ribellione, mentre l’altra, quella pequeña, è una
dispersione volontaria, una specie di assenteismo.
E dopo questa parentesi, Sab ritorna a parlare del suo amore per Carlota e di
quanto era puro e sincero; allo stesso tempo mostra di essere consapevole che
tutto questo fosse inutile. Ecco perché arriva a paragonare il suo dolore alle
tempeste: ”y mezclar mis gritos a los bramidos del huracán y mis lágrimas a las
aguas de la tormenta”. (p. 209).
Un aspetto importante in questo capitolo è quando Teresa scopre la capacità di
amare del mulatto, ella non credeva lui fosse in grado di provare un tale
sentimento e poi in quel modo così incondizionato; questo le fa dimenticare la
classe sociale di Sab, ormai vedeva davanti a se un uomo e non uno schiavo e non
si ricordava più della cugina né di Enrique:
¡Oh Sab, pobre Sab! …¡cuán digno es de mejor suerte un corazón que sabe amar como el tuyo! […] ella era capaz de amar del mismo modo y que un corazón como el de Sab era aquel que el suyo necesitaba (pp. 209-210).
Un altro tema che si affronta qui è il senso della morte, come se il protagonista
conoscesse il suo destino. Infatti, sostiene che solo nella morte si trovano
l’uguaglianza e la giustizia:
¡para aquela otra vida donde el amor es eterno y la felicidad inmensa! Donde hay igualdad y justicia, y donde las almas que en la tierra fueron separadas por los hombres se reunirán en el seno de Dios por toda la eternidad! (p. 211).
38 . Si è ricorso al saggio di Javier Laviña per chiarire il concetto di Cimarrón e cimarronaje; Javier Laviña y otros, Esclavos Rebeldes y Cimarrones, Madrid, Fundación Hernando de Larramendi Tavera, 2005, pp 98-99.
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Nel secondo, il mulatto spiega a Teresa perché Carlota non dovrebbe sposare
Enrique. Lo definisce un miserabile e vederla sposata con quell’uomo sarebbe
come una condanna per lui:
él no es digno de ella: ella no puede ser dichosa con Enrique Otway… ¡Ved aquí el motivo de mi desesperación! Carlota en brazos de un hombre era un dolor…¡un dolor terrible! … Mas Carlota entregada a un miserable… ¡Oh, Dios! ¡Dios terrible! (p. 214).
Sab allora rivela a Teresa che vuole far saltare il matrimonio fra Enrique e
Carlota in questo modo: i soldi che lui aveva vinto alla lotteria, voleva offrirli in
dono a Teresa che era stata sfortuna; solo così lei poteva essere felice con
Enrique, anche se quest’ultimo non era degno di nessuno di loro.
Il piano di Sab era il seguente:
La fortuna puede dar a uno de los dos cuarenta mil duros.
-Y esperas…
-Que ellos sean la dote que llevéis a Enrique. Ved aquí mi billete …, es el número 8014 y el 8014 ha obtenido cuarenta mil duros. Tomad este billete y rasgad el vuestro. Cuando dentro de algunas horas venga yo de Puerto Príncipe, el señor de B… recibirá la lista de los números premiados, y Enrique sabrá que sois más rica que Carlota (pp. 216-217).
Allora Teresa gli dice che dovrebbe prendere la sua vincita e provare a
cambiare il suo destino:
Tu corazón es noble y generoso, si las pasiones le extravían un momento él debe volver más recto y grande. Al presente eres libre y rico: la suerte, justa esta vez, te ha dado los medios de elevar tu destino a la altura de tu alma (p. 218).
E magari cambiando paese oppure trovando una moglie ed è in questo
momento che abbiamo Teresa completamente diversa, direi anche rivoluzionaria
perché lei si offre allo schiavo:
yo soy esa mujer que me confío a ti: ambos somos huérfanos y desgraciados… aislados estamos los dos sobre la tierra y necesitamos igualmente compasión, amor y felicidad…¡Yo seré tu amiga, tu compañera, tu hermana! (p. 220).
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Il protagonista è sicuro che non sarà mai felice nella vita perché è uno schiavo,
mentre avrebbe un destino diverso se i bianchi l’avessero lasciato nel proprio
paese di origine; il mulatto sostiene:
Si al menos los hombres blancos, que desechan de sus sociedades al que nació teñida la tez de color diferente dejasen tranquilo en sus bosques, allá tendría patria y amores… porque amaría a una mujer de su color, salvaje como él, y que como él no hubiera visto jamás otros climas ni otros hombres (p. 219).
Dopo la sofferenza della notte, abbiamo un momento di suspense quando il
protagonista viene trovato svenuto sulla riva del fiume dagli altri schiavi:
¿Qué es eso, José? … ¿Te habrás clavado en el suelo? …¡El mayoral!Sab estaba sin sentido junto al río: los esclavos le levantaron y le
condujeron en hombros al ingenio […] Yo no lo sé pero tenía la cara caliente como un tizón de fuego, y luego echó sangre (pp. 226-227).
Nel terzo capitolo Enrique è a Guanaja per gli affari della sua famiglia, è solo
e inizia a pensare alla sfortuna della famiglia Bellavista. Il giovane è tormentato,
perché da una parte dice di provare un “sentimento” per Carlota, ma quest’ultima
ha dei problemi economici:
yo no podré amar a otra mujer tanto como a ti, ninguna podrá hacerme feliz como tú me hubieras hecho: pero el destino nos separa (p. 233).
A complicare la situazione non è solo la questione economica della famiglia
Bellavista, ma anche il fatto che suo padre il signor Otway non avrebbe mai
accettato che suo figlio si sposasse con una donna “povera”; infatti, lui aveva
detto al figlio che lo avrebbe lasciato sposare Carlota solo nel caso in cui lei
avesse portato con sé una dote:
¡Casarte con Carlota cuando tuvieras cuarenta mil duros más! (p. 152), e per
l’educazione che ha ricevuto lui, deve obbedire alle parole del padre:
nada era más razonable que la oposición de su padre a un enlace que ya no le convenía… (p. 229).
Enrique dimostra comunque di essere un po’ succube di suo padre, non è
capace di prendere le sue decisioni, agisce solo in conformità a quello che ha
stabilito il padre, non è libero di fare le proprie scelte: “tuviese yo la libertad de
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seguir mis propias inspiraciones es muy probable que cometiera la locura de
casarme con la hija de un criollo arruinado” (p. 229).
E per questo motivo vuole rompere il matrimonio in modo da sembrare meno
ambizioso ed interessato.
Nel capitolo l’elemento realistico è nella descrizione del clima:
la calma era tan profunda que el mar aparecía terso y bruñido como un espejo, y no se percibía ni un soplo, ni un movimento. La ribera estaba desierta: no se notaba nada de aquel bullicio… dos goletas y algunas otras embarcaciones más ancladas (pp. 230-231).
Il tormento di Enrique termina quando alla fine del capitolo arriva lo schiavo a
cavallo con una lettera del suo padrone. Nell’opera si ricorre spesso alla forma
epistolare per le corrispondenze. Questa lettera cambierà completamente il destino
dell’inglese. Il signore de B gli chiede di tornare subito a Bellavista, perché il
fratello di Carlota stava morendo e lui deve assentarsi e vuole lasciare la figlia
maggiore sposata, annuncia nell’ultima parte il fatto che la ragazza avesse vinto il
premio della lotteria:
La suerte, por una cruel irrisión, ha querido compensar el golpe mortal dado en mi corazón con la pérdida de mi hijo […] Carlota ha sacado el premio de cuarenta mil duros en la última lotería (p. 235).
Questo rappresenta per il giovane inglese un’illuminazione, aveva trovato la
soluzione al suo problema e quindi decide di partire subito per Puerto Príncipe:
¿Y bien, señor, qué determina su merced?-Marchar inmediatamente a Puerto Príncipe…Ya lo sabía yo -dijo el mulato con sonrisa sardónica …-Ven, vamos a marchar…-Su merced marchará solo –respondió Sab (p. 235).
In seguito abbiamo un momento di commozione del mulatto per il suo cavallo
che era morto, il suo unico amico:
ya no existes mi pobre amigo: has muerto, cumpliendo con tu deber, como yo moriré cumpliendo el mío. ¡Pero es terrible este deber!, ¡es terrible! Mi corazón está reventado como tú, pero tú no sufres ya y yo sufro todavía. ¡Esto es hecho […] ya no hay remedio!... ¡No hay esperanza! ¡Algunas horas
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más y ella será suya! […] El cielo para él en esta vida, y para mí el infierno (p. 235).
Il quarto capitolo è quello più triste. Perché ormai abbiamo da una parte il
fratello adottivo di Sab in agonia e dall’altra, il mulatto che è in punto di morte,
tutto succede in una notte a Cubitas. Il protagonista è ormai moribondo, ma decide
di scrivere una lettera a Teresa. La morte del mulatto è importante perché avviene
nel momento in cui viene celebrato il matrimonio fra Carlota e Enrique:
pensó que iba a morir también, y que en aquel mismo instante que él sufría una dolorosa agonía, Enrique y Carlota pronunciaban sus juramentos de amor […] Sab expiró a las seis de la mañana: en esa misma hora Enrique y Carlota recibían la bendición nupcial (pp. 245-246).
Il quinto è il capitolo del contrasto dato che ci sono gioia e felicità da una
parte, e dall’altra la tristezza e il dolore per la notizia della morte del mulatto Sab
e del fratello di Carlota. In questo capitolo c’è una parte di suspense quando arriva
uno dei lavoratori di Cubitas con la lettera che Sab aveva scritto per Teresa.
Perché quando arriva la lettera, Enrique crede che sia per Carlota e vuole sapere
perché l’ha scritta. In realtà il destinatario era sua cugina. Rimangono sorpresi
perché non credevano che i due si fossero innamorati e in particolare Carlota che
rimane quasi scioccata al sapere che Teresa potesse amare e per di più che
l’oggetto del suo amore fosse uno schiavo:
¡A él! ¡A un esclavo! … Luego, Teresa es tan fría… ¡tan poco susceptible de amor! (p. 251).
Quello che pensa di Sab è che lui abbia un cuore nobile e dotato di grandi
sentimenti, solo che il suo non è paragonabile a quello che provano i due:
yo no he juzgado […] su corazón es noble, bueno, capaz de los más grandes sentimentos; pero el amor, Enrique, el amor es para los corazones tiernos apasionados… como el tuyo, como el mío (p. 251).
Comunque la ragazza arriva a paragonare la nobiltà d’animo del mulatto a
quello del suo sposo, ma l’inglese non lo gradisce:
Él era mulato, es verdad, y nació esclavo: pero tenía también un bello corazón, Enrique, y su alma era tan noble, tan elevada como la tuya, como la tuya, como todas las almas nobles y elevadas (p. 251).
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Carlota sembra sconvolta per tutti questi eventi negativi che sono accaduti il
giorno delle nozze, rimane ancora più triste quando scopre che sua cugina ha
deciso di farsi suora. Ma alla richiesta dello sposo di fornirle una prova del suo
amore si dimentica di tutto e di tutti e diventa egoista:
Que no te amo, dices! Ah, no te amo, te idolatro. Tú eres mi consuelo, mi esperanza, mi apoyo… porque eres mi esposo, Enrique, y este día será un día de ventura … Mi padre, mi hermano, Teresa, Sab… ¿qué son todos al lado de tu amor? (p. 254).
Il narratore alla fine del capitolo esprime la sua opinione e il suo concetto di
dolore: “El dolor es un hijo de infierno, que no abandona su presa sino cuando la
ha despedazado.” (p. 255).
Nella conclusione abbiamo Teresa che ormai vecchia è sul punto di morte,
esprime il desiderio di voler incontrare per l’ultima volta sua cugina. In questo
capitolo si evidenza un gran cambiamento fra le protagoniste. Perché all’inizio
Teresa era fredda e infelice, mentre ora è amata dalle sue consorelle ed è felice:
su alma altiva y fuerte había dominado su destino y sus pasiones, y su elevado carácter, firme y decidido, la había permitido alcanzar esa alta resígnación que es tan difícil a las almas apasionadas como a los caracteres débiles (p. 258).
Carlota invece è infelice, scopre di aver sposato un uomo che pensa solo agli
affari e ai soldi:
se veía obligada a vivir de cálculo, de reflexión y de conveniencia. Aquella atmósfera mercantil y especuladora, aquellos cuidados incesantes de los intereses materiales (p. 258).
y sólo tuvo que llorar por ver a su esposo más ocupado de su fortuna que de su amor, y por los frecuentes viajes que el interés de su comercio le obligaba a hacer (p. 259).
In questo incontro Teresa rivela a Carlota il segreto di Sab. Dopo aver visto la
sofferenza e l’infelicità della cugina, lei le confessa che è stata amata con
quell’amore puro, ideale e perfetto, solo che da ragazza non è stata in grado di
capire quello che aveva davanti a sé e scopre anche che è stato Sab a sacrificarsi
per lei con il suo nobile e generoso gesto:
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tú has sido amada con aquel amor que ha sido el sueño de tu corazón, y que hubiera hecho la gloria de mi vida si yo le hubiese inspirado. Tú has poseído sin conocerla una de esas almas grandes, ardientes, nascidas para los sublimes sacrificios, una de aquellas almas excepcionales … Él te dio el oro (pp. 261-262).
In seguito Teresa consegna a sua cugina la famosa lettera del mulatto e in
questo modo conoscerà il lato nascosto dello schiavo, la sua sofferenza e scoprirà
quanto lui la amasse. E così riscoprirà un nuovo lato del suo compagno d’infanzia
e di gioco.
2.4. I TEMI DELL’OPERA
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L’obiettivo principale di questo capitolo è di analizzare in maniera più
approfondita tutti i temi, con uno sguardo maggiore su quello riguardante la
schiavitù. Per questo motivo si è scelto di dividerli in varie sezioni.
2.4.1. L’Amore
Il tema principale del romanzo è l’amore. Il protagonista che è uno schiavo è
dotato di una grande capacità di amare, da questo sentimento si lascia trasportare
fino a morire. Sab come si è detto precedentemente è il mayoral (caposquadra)
che lavora presso la famiglia Bellavista. Prima era il compagno di gioco di
Carlota, sono cresciuti insieme; infatti, quando nel IX capitolo la famiglia è in
partenza per Cubitas, il mulatto ricorda di quando la ragazza era piccola e gli
saltava al collo e questo lo rendeva felice:
así saltaba a mi cuello Carlota hace diez años cuando me veía después de una corta ausencia. Así sus labios de rosa estampaban alguna vez en mi frente un beso fraternal, y su lindo rostro de alabastro se inclinaba sobre mi rostro moreno; como la blanca clavellina que se dobla sobre la parda peña del arroyo (p. 163).
Prima di diventare l’uomo di fiducia del suo padrone, il suo compito era di
essere il compagno di gioco della ragazza e Sab afferma: Desde mi infancia fui
escriturado a la señorita Carlota: soy esclavo suyo, y quiero vivir y morir en su
servicio (p. 111).
L’amore che prova Sab per Carlota è platonico e impossibile, lei è innamorata
di Enrique e vuole solo lui. Infatti, quando scopre che è promessa sposa si sente
frastornato:
no ignorarás que Carlota tiene tratado su casamiento con Enrique Otway, […]
Siguióse a estas palabras un momento de silencio, durante el cual es indudable que se verificó en el alma de esclavo un incomprensible trastorno. Cubrióse su frente de arrugas verticales, lanzaron sus ojos resplandor siniestro, como la luz del relámpago que brilla entre nubes oscuras …
No te engañas, joven, yo soy en efecto Enrique Otway (p. 111).
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È così innamorato della giovane che per un momento immagina che se Carlota
avesse avuto lo stesso colore della sua pelle, magari avrebbero avuto una storia
diversa e chiede al cielo il perché:
¡Ah, sí!..., no serías menos hermosa si tuvieras la tez negra o cobriza. ¿Por qué no lo ha querido el cielo, Carlota? Tú, que comprendes la vida y la felicidad de los salvajes, ¿por qué no naciste conmigo en los abrasados desiertos del África o en un confín desconocido de la América? (pp. 169-170).
Il protagonista agisce in base all’amore. Tutte le sue azioni dipendono da
quello, ecco perché salva e aiuta una famiglia che è in difficoltà. È un eroe
romantico perché ama incondizionatamente la sua donna. Infatti:
Era puro mi amor como el primer rayo del sol en un día de primavera, puro como el
objeto que le inspiraba, pero ya era para mí un tormento insoportable (p. 207).
Che salva un bambino dalle fiamme:
¡Sab le salvó! Por entre las llamas y quemados los pies y ensangrentadas las manos, sofocado por el humo y el calor cayó exánime a mis pies, al poner en mis brazos a luis y a Leal… a este perro que entonces era pequeñito (p. 181).
È un personaggio molto generoso, infatti costruisce una capanna per la sua
madre adottiva:
Sab, el mismo Sab, ha levantado para su vieja madre adoptiva esta choza, en que tengo el honor de recibiros: él ha trabajado con sus manos los toscos muebles que me eran necesarios (p. 182).
La sua generosità non ha limite, anzi diventa ad un certo punto quasi “folle” il
fatto di voler aiutare, e questo lo vediamo nel suo gesto straordinario nei confronti
di Carlota. Sab avendo vinto il premio della lotteria, fa in modo che sembri che l’
abbia vinto Carlota e così lei può sposare Enrique perché porta una dote in denaro.
Ma per compiere questo atto il mulatto ci rimette la vita, perché aveva fatto uno
sforzo fisico enorme che causò la sua morte e quella del suo cavallo:
Ya lo ve su merced – contestó el mulato señalando su caballo. ¡Está reventado! ¡Muerto! … Hace poco más de cuatro horas que salí de Bellavista.
-¡Poco más de cuatro horas! […]
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¡Diez leguas en cuatro horas reventando tu jaco tan querido! […]
Estoy rendido de cansacio […]
¡La muerte! Era una terrible tentación para el desventurado, y aquel mar se abría delante de él como para ofrecerle una tumba (pp. 235-236).
Quando Sab rimane solo dopo tutta la fatica e davanti a lui vede il mare, in
qualche modo sentendo che è quasi giunta la fine, per un momento pensa al
suicidio come la soluzione al suo problema, ma viene salvato da una forza
interiore e alla sua fede in Dio:
Levantó al cielo su mirada y con ella parecía ofrecer a Dios aquel último sacrificio, con ella parecía decirle: “Yo acepté el cáiz que me has mandado apurar, y no quiero arrojarlo mientras tú no me lo pidas. Pero ya está vacío, rómpele tú, Dios de justicia […]
Dios tendió sobre él una mirada de misericordia […]: “Pocas horas de sufrimiento te restan, y tu misión sobre la tierra está ya terminada” (p. 236).
Nella seconda parte del romanzo il mulatto racconta a Teresa che è sempre
stato innamorato di Carlota: “La adoraba desde el primer momento en que la vi
recién nacida, mecida sobre las rodillas de su madre” (p. 205).
Una parte importante di quest’argomento, Sab la spiega bene nella lettera che
scrive a Teresa prima di morire. In questa lettera il mulatto vuole ringraziarla per
la sua amicizia e affronta una serie di temi, uno di questi è il suo lato
sentimentale; riesce in qualche modo a fare una differenza morale fra lui e Teresa
e cioè quella di avere la capacità di pensare e di riflettere, soprattutto aveva capito
che la sua straordinarietà stava nel fatto che lui fosse in grado di amare mentre
Teresa era più chiusa razionale:
Sin embargo, aunque esclavo yo he amado todo lo bello y lo grande, y he sentido que mi alma se elevaba sobre mi destino. ¡Oh! Sí, yo he tenido un grande y hermoso orgullo: el esclavo ha dejado volar libre su pensamiento, y su pensamiento subía más allá de las nubes en que se forma el rayo. ¿Cuál es, pues, la diferencia que existe entre vuestra organización moral y la mía? … es que vos tenéis el valor de la resistencia y yo la energia de la actividad: es que a vos os sostiene la razón y a mí me devora el sentimiento (p. 266).
Per lui l’amore e il dolore sono i due sentimenti che purificano l’anima e che
in questo senso il destino non è stato tanto ignobile con lui:
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El amor es la más bella y pura de las pasiones del hombre, y yo la he sentido en toda su omnipotencia… parecéme que mi destino no ha sido innoble ni vulgar. Una gran pasión llena y ennoblece una existencia. El amor y el dolor elevan el alma, y Dios se revela a los mártires de todo culto puro y nobile (pp. 268-269).
Ormai il protagonista sa che sta per morire e pensa alla sua condizione, alle
qualità che ha, ma che purtroppo per uno schiavo non sono importanti:
¡yo muero abrasado en el santo fuego del amor! No podré hacer valer delante de su trono eterno las virtudes de la paciencia y de la humildad, pero he poseído el valor, la franqueza, y la sinceridad: Estas cualidades son buenas para la fuerza y la libertad, y en el esclavo han sido inútiles a los otros y peligrosas para él, pero han sido involuntarias (p. 269).
Seguendo sempre il suo modo di pensare, non si ritiene colpevole di quello
che gli è accaduto, non è colpa sua, è stato tutto deciso da Dio che gli ha dato
tutto:
¿Es culpa mía si Dios me ha dotato de un corazón y de un alma? ¿Si me ha concedido el amor de lo bello, el anhelo de lo justo, la ambición de lo grande? Y si ha sido su voluntad que yo sufriese esta terrible lucha entre mi naturaleza y mi destino, si me dio los ojos y las alas del águila para encerrarme en el oscuro albergue del ave de la noche (p. 269).
Alla fine quello che vuole sottolineare il mulatto è che Dio da parte sua gli ha
concesso tutto le cose belle e quelle brutte, ma coloro che sono responsabili del
suo terribile destino sono gli uomini e quindi sono loro che devono temere quando
dovranno presentarsi davanti a lui, perché dimostra di credere nella punizione
divina:
si son los hombres los que han formado este destino, si ellos han cortado las alas que Dios concedió a mi alma, si ellos han levantado un muro de errores y preocupaciones entre mí y el destino … si son los hombres los que me han impuesto este horrible destino, ellos son los que deben temer al presentarse delante de Dios: porque tienen que dar una cuenta terrible, porque han contraído una responsabilidad inmensa (pp. 269-270).
Dalle sue parole possiamo vedere che lui è uno che conosce la religione
cattolica ed i credi religiosi. Tutto gira intorno a Dio ed egli si affida alla
provvidenza. Crede che gli uomini che sono stati così crudeli con gli altri esseri
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umani un giorno dovranno trovarsi davanti ad un essere superiore che farà
giustizia:
¡Dios de toda justicia! No siempre reinaréis en el mundo, error, ignorancia y absurdas preocupaciones: vuestra decrepitud anuncia vuestras ruina. La palabra de salvación resonará por toda la extensión de la tierra: los viejos ídolos caerán de sus inmundos altares y el trono de la justicia se alzará brillante … Sí, el sol de la justicia no está lejos. La tierra le espera para rejuvenecer a su luz:los hombres llevarán un sello divino, y el ángel de la poesía radiará sus rayos sobre el nuevo reinado de la inteligencia (pp. 271-272).
Forse per questo motivo che Teresa dopo aver letto la lettera decide di
rinchiudersi in un convento per farsi suora, anche lei troverà la sua pace e
conoscerà l’amore spirituale. Infatti, nel convento Teresa trova l’amore verso Dio
e anche verso le consorelle, nonostante la sua freddezza:
Sor Teresa era amada generalmente. Aunque fría y adusta, su severa virtud, su elevado carácter, la sublime resignació con que habí soportado su larga enfermedad, y mil pequeños servicios […], con la inalterable aunque fría bondad que la caracterizaba, la habían granjeado el efecto de todas (p. 257).
Nel convento era felice e riesce a dimenticarsi della felicità di sua cugina con
Enrique e si dimentica anche di lui:
Teresa había alcanzado aquella felicidad tranquila y solemne que da la virtud. Su alma altiva y fuerte había dominado su destino y sus pasiones, y su elevado carácter, firme y decidido, la había permitido alcanzar esa alta resignación […] Su pasión por Enrique, aquella pasión concentrada y profunda, única que se hubiera posesionado en toda su vida de aquel corazón soberbio, se había apagado bajo el cilicio, a la sombra de las frías paredes del claustro (p. 258).
Sab è nato e cresciuto a Cuba e quindi conosce solo la cultura cubana, del
paese d’origine della madre non ha conosciuto nient’altro. L’unica cosa di cui il
mulatto è a conoscenza è che la madre era una principessa:
No he conocido más cielo que el de Cuba: mis ojos no han visto las grandes ciudades con palacios de mámol, ni he respirado el perfume de la gloria: pero acá en mi mente se desarollaba, a la manera de un magnífico panorama, un mundo de opulencia y de grandeza (p. 268).
È un eroe romantico che muore alla maniera shakespeariana. Credo che
Avellaneda conoscesse le opere di Shakespeare. Infatti, la scena della morte di
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Sab ricorda un po’ quello di Otello: quando si toglie la vita davanti al corpo
dell’amata. Sab muore così;
Luego ya no pensó nada: confundiéronse sus ideias, entorpecióse su imaginación, turbóse su memoria; quebrántóse su cuerpo y cayó sobre la cama de Luis, bañandola con espesos borbotones de sangre que salían de su boca (p. 246).
Il mulatto dimostra che tutti possono provare dei sentimenti e che l’amore è
universale ed è per tutti, non è un sentimento che possono provare solo i bianchi.
L’amore non ha razza e non ha confine, si prova e non ha colore. Fortunato colui
che riesce a provare un sentimento simile, anche se a volte non è facile da gestire
perché non sempre è corrisposto, come succede al protagonista del romanzo. Per
questo sentimento folle Sab si lascia morire.
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2.4.2. La Schiavitù in Sab
Un altro tema fondamentale del romanzo è la questione della schiavitù. È
un’opera che denuncia questo sistema di sfruttamento, solo che qui la scrittrice
puntualizza il lato sentimentale e la sofferenza interiore di qualcuno che vive
sottomesso. Non è il solito romanzo sulla schiavitù che mette in luce solo l’aspetto
negativo, cioè la violenza, il duro lavoro, la loro condizione, o il fatto che vengano
disprezzati. È un romanzo che vuole valorizzare uomo negro, rompere quei
preconcetti che il “negro” è stupido e che è un essere spregevole che deve essere
escluso dalla società. Sab è schiavo dei suoi sentimenti. La sua particolarità sta nel
fatto che abbia origine nobile, che sappia amare e che sia molto generoso, sa
leggere e dimostra di conoscere la bibbia.
Nel romanzo di Gómez de Avellaneda la questione riguardante la condizione
di vita di uno schiavo viene discussa, ma non direttamente. Infatti, nel primo
capitolo abbiamo la descrizione della dura vita degli schiavi e questo diventa la
cornice dell’intero romanzo, qui il linguaggio è molto preciso e diretto:
Es una vida terrible a la verdad […]: bajo este cielo de fuego el esclavo casi desnudo trabaja toda la mañana sin descanso, y a la hora terrible del mediodía jadeando, abrumado bajo el pesi de la leña y de la caña que conduce sobre sus espaldas, y abrasado por los rayos del sol que tuesta su cutis […]: dos horas de sueño y una escas ración […] y el infeliz negro girando sin cesar en torno de la máquina que arranca a la caña su dulce jugo (p. 106).
La scrittrice si è voluta soffermare su una questione che non viene quasi mai
toccata, cioè la sofferenza interiore di uno schiavo. Perché il mulatto è libero e
non vive come gli altri, ma la sua libertà ha dei limiti, perché non può vivere
appieno la sua vita e le sue scelte. Soprattutto perché è consapevole di appartenere
a quella “razza” che non ha nessun tipo di diritto: Pertenezco […] a aquella, raza
desventurada sin derechos de hombres… soy mulato y esclavo (pp. 107-108).
Il protagonista è comunque cosciente di vivere una vita di privilegi, non è
costretto a lavorare nei campi sotto il sole per delle ore: “jamás he sufrido el trato
duro que se da generalmente a los negros, ni he sido condenado a largos y fatigoso
trabajo” (p. 109).
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Ha imparato a leggere, è stato il compagno d’infanzia della ragazza di cui lui è
ora innamorato. Per la sua generosità e la sua bontà d’animo gli viene concessa la
libertà. Per esempio quando salva Enrique nel momento dell’incidente. A tal
proposito, nella lettera che l’inglese scrive a Carlota dice:
he debido a este joven los más activos cuidados. É les quien andando cuatro leguas de ida y vuelta, en menos de dos horas, acaba de traerme el carruaje en el que pienso llegar con comodidad a Puerto Príncipe (p. 139).
Per questo motivo la ragazza vuole dargli un riconoscimento e così gli concede la
libertà: “¡Amigo mío! ¡Mi ángel de consolación! …: ¡bendígate el cielo! … ya
eres libre, yo lo quiero” (p. 139).
Carlota comunque dimostra di essere contro la schiavitù, crede che non ci sia
bisogno di mettere degli esseri umani a lavorare in condizioni di sottomissione e
quello a cui crede è nella libertà e nell’amore, la sua è una visione romantica e
quasi ingenua:
este suelo virgen no necesitaba ser regado con el sudor de los esclavos para producirles: ofrecíales por todas partes sombras y frutos, aguas y flores, y sus entrañas no habían sido despedazadas para arrancarle con mano avara sus escondidos tesoros (p. 169).
Sab, era libero ma non del tutto come si è detto, perché è come se fosse in
qualche modo intrappolato nel suo sentimento. Tanto è che arriva a paragonare il
suo destino a quello del suo fedele amico, il suo cavallo Jaco. Entrambi sono nati
per servire gli altri, ma la differenza fra loro è che il suo cavallo è più fortunato di
lui perché non è dotato della ragione:
lo mismo que yo naciste condenado a la servidumbre…, pero ¡ay! Tu suerte es más dichosa que la mía, pobre animal; menos cruel contigo el destino no te ha dado el funesto privilegio del pensamiento (p. 148).
Nell’incontro con Teresa affronta la questione della schiavitù, in qualche
modo condanna la sua condizione e va contro la natura: “palpitó también por
primera vez de indignación, y maldije a la naturaleza que me condenó a una
existencia de nulida …” (p. 206).
Uno schiavo non ha diritti e non ha nessuna dignità: “Esclavo, he debido
pensar como esclavo, porque el hombre sin dignidad ni derechos, no puede
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conservar sentimientos nobles” (p. 219), dopo di aver pronunciato queste parole a
Teresa, Sab spiegherà alla ragazza cosa significa essere uno schiavo. E dalle sue
parole si capisce che è una sofferenza enorme, è una condanna che si tramanda dai
genitori ai figli e non puoi fare molto per cambiare. Il destino di un negro è il
nulla ed è come se non avesse un’esistenza:
Yo no tengo padre ni madre… soy solo en el mundo: nadie llorará mi muerte. No tengo tampoco una patria que defender, porque los esclavos no tienen patria; no tengo deberes que cumplir, porque los deberes del esclavo son los deberes de la bestia de carga […] al negro se rehúsa lo que es concedido a las bestias feroces, a quienes le igualan, […] esclavo envilecido, legarà por herencia a sus hijos esclavitud y envilecido […] mientras que ellos no pueden tener ambición, no pueden esperar un porvenir (pp. 219-220).
Dell’argomento Sab, parlerà in modo chiaro nella lettera che scriverà a Teresa
prima di morire. In questa lettera lui vuole dire addio alla ragazza e raccontarle
tutto il suo dolore e il dispiacere e la sfiducia nel genere umano. Nella lettera Sab
fa una serie di riflessioni, in particolare chiede al sacerdote cosa significa la virtù:
¿qué es la virtud? ¿en qué consiste?... yo preguntaba al ministro de Dios qué haría para alcanzar la virtud. La virtud del esclavo, me respondía, es obedecer y callar, servir con humildad y resignación a sus legítimos dueños… (p. 265).
Ma la risposta del religioso non lo soddisfa, è servita solo ad aumentare i suoi
dubbi e comincia a farsi una serie di domande:
¿La virtud no es una misma para todos los hombres? ¿El gran jefe de esta gran familia humana habrá establecido diferentes leyes para los que nacen con la tez negra y tez blanca? […] ¿ Dios podrá sancionar los códigos inicuos en los que el hombre funda sus derechos para comprar y vender al hombre […] la virtud del esclavo es olvidarse de que es hombre, renegar de los beneficios que Dios le dispensó, abdicar la dignidad con que le ha revestido, y besar la mano que le imprime el sello de la infamia? […]: la virtud no existe en ello (p. 265).
Quello che sorprende dopo tutte queste domande poste è la sua conclusione: la
virtù non esisteva fra gli uomini, è qualcosa di sconosciuto e di misterioso; è come
la provvidenza: ecco perché non l’ha trovata:
la virtud es para mí como la providencia:una necesidad desconocida, un poder misterioso que concibo necesidad desconocida, un poder misterioso
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que concibo pero que no conozco. Entre los hombres la he buscado en vano. He visto siempre que el fuerte oprimía al débil, que el sabio engañaba al ignorante, y que el rico despreciaba al pobre (pp. 265-266).
Uno schiavo è un essere umano disperato che non ha desideri, ambizioni ed è
portato al livello più basso della sopravvivenza. Nell’opera l’autrice si concentra
su altri aspetti, infatti vuole rappresentare attraverso il mulatto la sofferenza di chi
per natura e per sensibilità non accetta questo tipo di discriminazione che viene
imposta dall’uomo. Sab non è uno schiavo qualunque, è istruito e questo gli
permette di fare delle riflessioni e di capire determinate cose. Il protagonista trova
ostacoli nella propria cultura e nell’accettare la sua condizione, infatti: “Una
maldición terrible pesa sobre mi existencia y está impresa en mi frente” (p. 220).
Comunque Sab non accetta quella “sentencia de muerte moral” dovuta proprio
dal colore della pelle. Perché ad essere negro o mulatto rimane sempre uno
schiavo. Sab era imprigionato e trova la soluzione nella morte. Infatti, la morte
come un riscatto:
la muerte era mí único deseo, mi única esperanza, y al sentir su mano fría apretar mi corazón, he gozado una alegría feroz y he levantado a Dios mi corazón para decirle: “Yo reconozco tu misericordia (p. 264).
Con la morte Sab voleva in qualche modo acquisire quella sua libertà
spirituale che la società gli aveva negato. Anche se “libero” lui non ha vissuto
appieno la sua vita e, come succede a tutti coloro che vivono in situazione di
oppressione e di sottomissione, a volte l’unica via per trovare la libertà sta nella
morte. Nel romanzo quasi tutti i personaggi sono schiavi. Ci sono quelli come
Enrique che è schiavo dei soldi; un’altra è Carlota che vive in funzione dell’amore
per il suo sposo e ne diventa anche lei schiava.
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2.4.3. Le Donne in Sab
Un altro tema del romanzo è la schiavitù delle donne. La questione viene
affrontata sempre nella lettera di Sab indirizzata a Teresa. In questa lettera Sab
afferma che Carlota vive come una schiava condannata al: “desegaño, el tedio, el
arrepentimiento… y más atrás ese monstruo de voz sepulcral y cabeza de hierro…
¡lo irremediable!” (p. 270).
Con queste semplici parole Sab inizia a descrivere la schiavitù delle donne e in
particolar modo quello della donna bianca. Le donne sono da sempre oggetto di
discriminazione. La donna è da sempre considerata il sesso “debole”, nata per
obbedire. In pratica “vive” come degli schiavi. Alcune di loro non hanno voce,
altre l’hanno ma non sono ascoltate e non sempre possono ribellarsi. Nell’epistola
Sab reinterpreta la figura di Carlota facendo dei paragoni con un negro. Ecco
perché il mulatto considera questa forma di schiavitù peggiore di quella del negro.
Perché un negro in qualche modo può scegliere il padrone, diventando quasi
“picaro” per arrivare ad acquistare la propria libertà, mentre le donne no, perché
all’epoca si sceglieva per loro un marito e questa condizione durava per tutta la
vita:
¡las mujeres! ¡Pobres y ciegas víctimas! Como los esclavos, ellas arrastran pacientemente su cadena y bajan la cabeza bajo el yugo de las leyes humanas. Sin otra guía que su corazón ignorante y crédulo eligen un dueño para toda la vida. El esclavo, al menos, puede cambiar de amo, puede esperar que juntando oro comprará algún día su libertad: pero la mujer, cuando levanta sus manos […] para pedir libertad, oye al monstruo de voz sepulcral que le grita: “En la tumba” (p. 271).
Carlota vive una vita triste, con un uomo che non la ama come dovrebbe, una
vita di obbedienza e rassegnazione: “Obediencia, humildad, resignación… esta es
la virtud” (p. 271) “obligada, pues a callar delante de los hombres…” (p. 258).
Lei che avrebbe dovuto vivere una vita felice e serena, passava il tempo
piangendo dopo il matrimonio, perché il marito pensava solo agli affari. Tutto
girava intorno ai soldi e all’obbedienza che era l’unica virtù cui le donne sposate
potevano aspirare. All’interno del romanzo la ragazza subisce un cambiamento da
un punto di vista caratteriale, perché prima rappresentava il classico soggetto
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romantico che ama e non vede altro che il suo amato. Infatti, per quest’amore
perde l’eredità della famiglia e diventa anche egoista:
Sí, sí, yo soy dichosa […] Mi pade, mi hermano, Teresa, Sab… ¿qué son todos al lado de tu amor? Yo no tengo ahora a nadie más que a ti…pero tú lo eres todo para el corazón de tu Carlota. Mira, sientas que llore: son lágrimas de placer, […]
¡Tuya para siempre! (pp. 254-255).Ma dopo il matrimonio tutto cambia, perché diventa succube del proprio
marito. Carlota diventa il simbolo della situazione sociale della donna
nell’ottocento. Quello che colpisce è questo binomio tra essere e apparire. Perché
tutti pensano che lei sia la donna più felice al mondo, ma in realtà è la più infelice.
Comunque nasconde il suo dolore, piange di nascosto, perché all’epoca come
anche adesso l’importante è l’apparire. Nonostante avesse scoperto con chi era
sposata, non poteva fare altro:
Carlota no podía desaprobar con justicia la conducta de su marido, ni debía quejarse de su suerte, pero a pear suyo se sentíaoprimida por todo lo que tenía de serio y material aquella vida del comercio (p. 259).
Sab, avendo questa grande capacità di riflettere sulle cose, arriva a dire che è
come se Carlota fosse un legame fra due esseri opposti: “Tanto valdría ligar al
águila con la serpiente, o a un vivo con un cadáver” (p. 222).
Il marito l’ha sposata solo per interesse, questo è dovuto alla sua educazione;
infatti il padre, Jorge Otway, sostiene che un uomo sposa una donna non per
amore o per la sua bellezza, ma si sposa solo per convenienza:
se casa con una mujer lo mismo que se asocia con un compañero, por especulación, por conveniencia. La hermosura, el talento que un hombre de nuestra clase busca en la mujer con quien ha de casarse son la riqueza y la economía (p. 152).
Loro considerano le donne come delle merci, come un sistema, una macchina
per fare i soldi. Sab aveva capito questo, che il destino di Carlota era di essere
condannata a una vita di obbedienza e che per Enrique la sua sposa era solo un
“oggetto”:
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¡Y ella habrá de jurar a ese hombre amor y obediencia! ¡Le entregará su corazón, su porvenir, su destino entero! […] él la tomará por mujer, como a un género de mercancía, por cálculo, por conveniencia… haciendo una especulación vergonzosa (p. 222).
In qualche modo è una critica all’istituzione del matrimonio, perché non ci si
sposa per amore, ma per soldi. Carlota si piega davanti al suo destino senza poter
lottare per quello in cui credeva, vive ormai rassegnata: “ único placer era llorar
en el seno de su amiga sus ilusiones perdidas y su libertad encadenada” (p. 226).
In realtà questo era il destino delle donne, condannate ad una vita di
subordinazione; non sono in grado di combattere per cambiare la propria
condizione di vita. Carlota rappresenta il destino delle donne nella società. In
qualche modo abbiamo la sconfitta del soggetto romantico femminile che è nel
personaggio di Carlota. Infatti, alla fine non sappiamo effettivamente cosa ne sia
stato di lei: l’unica cosa che il romanzo ci fa intendere è che, siccome il marito
parte, forse lei lo abbia dovuto seguire per la convenzione sociale. La protagonista
è schiava del capitalismo, quello che viene esercitato in particolare da suo marito
e da Jorge Otway. Quindi l’opera critica il capitalismo, ma anche il sistema
patriarcale che usava le donne come un prodotto di scambio ed è per questo che
tutte hanno un destino infelice. Questo era quello che le donne bianche ottenevano
dai loro mariti. Mentre le schiave negre avevano un destino peggiore. Perché
lavoravano tantissimo come gli uomini, ma sfortunatamente subivano violenze dai
loro padroni. Ma non stiamo parlando solo di frustate, loro venivano violentate e
stuprate e dovevano allattare i figli della padrona dimenticando i propri. Quando
erano incinte e dovevano essere punite con la frusta, venivano distese a bocconi
con un bucco in terra dove mettere la pancia, per proteggere il feto. Miguel Barnet
nel suo saggio riporta una citazione di Bernardo Chateausalins che afferma che
per il duro lavoro perdevano i loro bambini:
Bernardo Chateausalins, parlando di donne schiave dice che molte perdevano le loro creature, perché nel nono mese di gestazione, erano obbligate a tagliare più di 40 quintali di canna al giorno39
39. Miguel Barnet, Autobiografia di uno Schiavo, ( Cimarrón), Torino, Einaudi, 1968, p. 38.
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Solo che non potevano ribellarsi a questa condizione, perché non erano nulla,
degli esseri senza diritti. In mezzo a quest’orrore compiuto dall’uomo, alcune
sono riuscite a farsi valere, ma prima di ciò hanno dovuto subire e soffrire tanto
per arrivare alla libertà. Per esempio nel romanzo di Villaverde si racconta di una
schiava che è riuscita nel suo intento e dopo tanta sofferenza, ha aperto una
“macelleria” ed ha potuto vivere bene; ma come tutte le cose è finita in rovina,
perché la convinzione nell’ottocento è che i negri sono nati per essere schiavi, una
condizione naturale:
negra había sido esclava de la familia distinguida de Jaruco cuyo apellido llevaba con su industria y economía había logrado libertarse y reunir un capital. Compró casa y esclavos, dedicándose a la reventa de carnes y frutas, que entonces era negocio bastante lucrativo […] alguién le disputó en juicio el dominio directo a su pequeña hacienda […] el resultado fue que, el día menos pensado la pobre mujer se quedó literal, no figuradamente por puertas […] y de nuevo de se vió atada al poste de otra esclavitud40
Sempre in questo romanzo un'altra donna viene maltratta, anche se lei ha
cresciuto i figli della sua padrona. Questa padrona è convinta che la frustata o la
punizione che infligge sia legittima e che la schiava merita di essere trattata in
quel modo. La crudeltà, la sofferenza, il dolore e la violenza cui le donne erano
costrette, è ben rappresentata nel film 12 Anni Schiavo, tratto dall’omonima
autobiografia di Solomon Northup, la cui attrice per questo ruolo ha vinto l’oscar
come migliore attrice non protagonista. In questo film si racconta la vita delle
schiave: una donna viene separata dai suoi figli, venduta come se fosse una merce;
si strazia quando piange la loro perdita; un’altra viene usata, stuprata, denudata e
poi presa a frustate dal padrone; la cosa peggiore è vedere che la moglie del
padrone è contenta di vederla soffrire e questa ragazza viene privata dell’acqua
per lavarsi, a volte anche del cibo, per una questione di gelosia; la schiava è anche
costretta a lavorare nella piantaggione di cotone il doppio degli uomini. La cosa
che colpisce è l’ingiustizia dell’uomo di fronte ad un altro essere umano, tale da
portarlo a pensare al suicidio perché solo così potrà essere libero: la morte come
forma di salvezza, per trovare quella pace e la tanto ambita libertà. In questo film
40. Villaverde, Cecilia Valdés, cit, pp. 320-321.
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abbiamo anche una donna che ha avuto più “fortuna”, Harriet Shaw che da
schiava, sposa un uomo bianco e vive una vita “tranquilla” senza violenza e
lavoro forzato nella piantagione.
Queste sono cose successe al lungo durante la nostra storia, ma che non hanno
insegnato molto perché comunque ancora ci sono donne che vivono sottomesse,
picchiate e violentate ogni giorno. Inoltre le donne nella società non avevano gli
stessi diritti degli uomini e non esisteva ancora la parità dei sessi. Non c’era
uguaglianza, anzi neanche oggi, ma per fortuna qualcosa è cambiato. Le donne
nella società avevano un solo ruolo quello di madre e di moglie, dovevano
occuparsi della famiglia e dell’educazione dei figli. A proposito, mi ricordo un
racconto fatta da mia nonna: quando era piccola nel mio paese, Capo Verde,
l’usanza era di mandare a scuola solo i maschi e le donne sbrigavano le faccende
domestiche, per questo motivo lei non è andata a scuola e nemmeno sua sorella.
Oggi invece la situazione è molto cambiata a Capo Verde: troviamo molte donne
nella vita politica del paese, basta pensare che i membri del governo attuale
dell’arcipelago sono in totale quindici, e otto di queste sono donne, ed anche in
ambito letterario. Un esempio di una donna Capoverdiana che si è riuscita ad
affermare, è la scrittrice e poetessa, impegnata anche nella vita sociale del paese,
Vera Duarte: la prima donna a diventare giudice di corte e per questo è divenuta
un simbolo; per esempio, per il suo impegno sociale ha ricevuto l’incarico come
“Presidente della Commissione Nazionale per i Diritti Umani e la Cittadinanza di
Capo verde”. Nelle sue opere affronta i temi della violenza contro i bambini e
soprattutto delle donne che sono vittime delle violenze. In: O Arquipélago da
Paixão pubblicato nel 2001, composto da poesia e prosa dedicata alla cultura
capoverdiana, affronta proprio la questione della schiavitù delle donne e in uno
dei brani della parte in prosa dal titolo “Il Dolore” scrive di una donna che viene
portata alla morte per le percosse subite dall’uomo che credeva l’amasse:
Un cadavere di sesso femminile, carnagione scura, statura media, giace sul tavolo della sala mortuaria, avvolto in un lenzuolo bianco impregnato di macchie di sangue. Sangue, sangue.
Sul corpo sprovveduto di fanciulla dagli occhi bislunghi piombarono i calci, gli schiaffi, e le ingiurie dove prima s’erano posate le carezze e l’amore oppressivo e furioso.
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Tessuti dalla stessa tessitura dell’eccesso, l’amore e la morte sembrano camminare in parallelo. Io indago inquieta se l’amore possa essere morte e annichilimento. Mi domando, confusa, se l’amore rimi con la schiavitù, la sottomissione, l’umiliazione.
Fino a quandovivere prigionieranella rete della passionepassare dall’essere umano ad uno straccionel destino caotico delle viteper le quali la vita nulla riservòDa allora i loro cadaveri passeggiano abbracciati per le vie della città
ancora assediata.41
Come detto in precedenza quello femminile è considerato il “sesso” debole,
subisce violenze diventando vittima dei loro proprio partner. Quello che racconta
Vera Duarte nel suo testo è purtroppo una realtà che ancora oggi persiste nella
nostra società. In Italia la situazione è un po’ cambiata negli anni: dalla lotta per il
Suffragio Universale ottenuto nel 1945 che dava alle donne il diritto al voto, fino
ai nostri giorni dove vediamo donne in carriera e soprattutto che sono coinvolte
nella vita politica. Per esempio nella squadra dell’attuale governo, otto sono
donne ma la strada per arrivare alla parità dei sessi è ancora lunga.
Nonostante questi cambiamenti, ci sono ancora ogni giorno storie di donne
che vivono una vita da “schiava”. Basta accendere la televisione e si sentono
queste tristi storie di donne che sono maltrattate dal loro uomoni, a volte anche
dagli sconosciuti che le violentano e spesso sono portate alla morte. Alcune volte
sono solo delle ragazzine che escono di casa e non tornano più, altre sono vittime
che per paura non denunciano, altre sciolte nell’acido oppure bruciate vive. Molto
spesso, anche se loro hanno il coraggio di denunciare, non vengono ascoltate; altre
invece per paura oppure perché credono nei loro sentimenti, cercano di dare un’
altra opportunità al loro partner, o anche per ingenuità pensano che non succederà
più, ma quasi sempre non è così. La verità è che quando un uomo usa la violenza
una volta, lo farà di nuovo e quindi si deve denunciare sempre; una persona non
può essere schiava dell’amore fino a questo punto. Ricordare tutte queste vicende
oppure sentire ogni giorno queste tristi storie, mi porta a provare rabbia e dolore
perché non è che posso fare molto per aiutare e chi dovrebbe farlo non fa in
41. Vera Duarte, O Arquipélago da Paixão, Mindelo, ed. Artiletra, 2001.
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maniera adeguata il proprio dovere: parlo della polizia che spesso non ascolta
queste persone o che non può fare molto per mancanza di leggi adeguate: per
esempio è solo da poco tempo che in Italia è stato istituito il reato di Stalking.
Quello che penso è che la violenza non va usata su nessun essere vivente, nessuno
ha il diritto di prevaricare su un altro, e che le donne sono una vera risorsa per
l’umanità. E le “persone” che usano le violenze su di loro, non possono essere
considerati tali, è proprio vero che l’ignoranza non ha limite. Non si dovrebbe
infangare un sentimento come l’amore in questo modo, accostandolo alla brutalità
e alla violenza. L’amore è un sentimento molto bello e nobile e non ha niente a
che vedere con la negatività.
2.4.4. Indigenismo
Un altro tema importante che Avellaneda affronta nel suo romanzo è quello
dell’indigenismo. Perché prima che i negri arrivassero nelle colonie spagnole,
usavano come schiavi gli indiani. L’indigenismo: è caratterizzato dall’importanza
storica e culturale che le popolazioni Indie hanno avuto nella formazione dei paesi
Latino-Americani, e ha caratteri soprattutto letterari, in cui troviamo una
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costruzione artificiale e retorica della figura degli indigeni, in contrapposizione ai
conquistadores42. Quando si parla degli Indiani, si associano alla figura del
barbaro per il loro modo di vivere. Gli indiani erano considerati barbari e selvaggi
perché non erano cristiani e nemmeno acculturati. Pietro Martire sostiene che loro
vivevano nell’Età dell’oro43. Mentre per altri erano solo una razza che esisteva.
Per Pico della Mirandola gli amerindi erano i nemici numero uno della Chiesa
Cristiana. Molti docenti universitari hanno tentato di classificarli e dalle loro
ricerche arrivarono alla conclusione che gli Indiani si potevano considerare
arretrati e che il difetto stava nella loro mente, quello che chiamavano ingenio44.
La questione degli indiani e della loro natura schiava è stata a lungo trattata, ed in
particolare dalle università che hanno avuto un ruolo importante nella definizione
di questo dilemma, perché erano in stretto contatto con la Corona Spagnola. Le
consultazioni tra le università e la corona erano chiamate Junta45 cioè un dibattito
aperto fra i rappresentanti delle tre discipline che erano autorizzate a discutere di
problemi morali, di teologia, diritti civili e quelli canonici; questo consiglio aveva
la supervisione di membri autorevoli dei vari ordini religiosi del Consiglio del
regno. E ogni partecipante doveva lasciare al consiglio o al re una relazione scritta
chiamata testimonio. Lo scopo di questa Junta era di legittimare e non giudicare.
Il punto importante di queste riunioni era di capire la natura degli indiani e la
legittimità della conquista. Il primo consiglio è stato convocato dal re Ferdinando
nel 1504, e ha stabilito che gli Indiani dovessero essere considerati Spagnoli per
una semplice legge umana e divina. In questo stesso anno, mentre muore la regina
Isabella, in Spagna aleggiava un senso di pietà religiosa e il testamento della
regina a proposito degli Indiani è che essi dovessero essere “trattati bene e con
42. www.treccani.it/enciclopedia/.
43. Per questo capitolo è stato preso in considerazione il saggio di Antonhy Padgen, Bartolomè de las Casas, di Eric Williams, e quello di Capdequí J. M. OTS.
44. Anthony Padgen, La Caduta dell’uomo naturale. L’Indiano d’America e le origini dell’etnologia comparata, trad. di Igor Legati, Torino, Giulio Einaudi editore, 1989, p. 22.
45. Ivi, p. 26.
77
giustizia”46 e ricompensati per qualunque danno avessero subito. Comunque la
corona agiva in base alle bolle di donazione papale emesse nel 1493 da
Alessandro VI che dava al re e alla regina il diritto non solo di conquista del
territorio, ma anche di sfruttare gli abitanti. Secondo le bolle papali i monarchi
cattolici avevano il diritto su tutte le nuove scoperte. Lo scopo di queste bolle non
era quello di fare arricchire la Corona Spagnola, ma quello di dare al re e alla
regina la possibilità di proseguire a diffondere la religione cattolica.
Invece fecero tutto l’opposto e il re occupò l’America con l’invio dei
missionari, usando la popolazione locale a proprio vantaggio. Il primo a sostenere
che gli Indiani fossero degli schiavi naturali è stato il filosofo scozzese Miar: per
lui lo schiavo naturale e il barbaro, sono delle categorie di uomini selvaggi che
esistevano solo nella mente europea. Il filosofo ha seguito le idee di Aristotele che
ha definito lo schiavo naturale come un essere privo della ragione, incapace
d’istruire se stesso e quindi la sua funzione era di essere schiavo che doveva avere
un corpo robusto per sostenere la fatica del duro lavoro ed essere dotato di grande
forza fisica. A differenza del padrone che aveva la capacità di saper ragionare,
quella dello schiavo è dimezzata perchè usa la passione invece che la ragione.
Ecco perché secondo il loro modo di pensare la tirannia era l’unico sistema per
governare gli indiani. Gli Spagnoli in America dal 1500 avevano conquistato
molte isole e la maggior parte della popolazione era ormai ridotta in schiavitù.
L’arrivo dei colonizzatori in queste isole è stato una vera tragedia perché hanno
portato solo il terrore e la distruzione di una cultura. Per gli Indiani il loro arrivo
era come un dono del cielo che avrebbe cambiato la loro vita in positivo. A
difendere le cause degli Indiani abbiamo da una parte Antonio de Montesinos che
fece un sermone alla popolazione bianca Hispaniola dove denunciava i
maltrattamenti verso gli Indiani, chiedendo loro di cambiare atteggiamento,
altrimenti non avrebbero trovato salvezza. Il suo era un attacco diretto all’abuso di
potere da parte dei colonizzatori per la loro crudeltà e per questo modo orribile di
trattare gli Indiani. Attaccava soprattuto il sistema usato per impartire l’istruzione
religiosa e morale. A disapprovare gli Spagnoli c’era anche Las Casas, che fu un
46. Ivi, p. 28.
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encomendero prima all’isola Spagnola e dopo a Cuba. Gli Indiani venivano divisi
in due gruppi di lavoro: repartimiento e encomienda. Il repartimiento47 era il
sistema usato dagli spagnoli affinchè potessero beneficiarsi del loro lavoro.
Questo tipo di organizzazione è avvenuto in modo violento e ciascun gruppo
aveva un compito specifico: per esempio c’era un gruppo per coltivare la terra, per
lavorare nelle miniere ecc. L’encomendero era quello che doveva provvedere alla
catechizzazione, civilizzarli e assicurare il diritto sul “gregge” e a mantenere
ordine e giustizia. Questa legge nasce nel 1503 con l’intento di disciplinare i
rapporti tra colonizzatori e la popolazione locale attraverso encomienda48 o
(affidamento). Questa istituzione di origine castigliana è stata introdotta da
Colombo a Hispaniola nel 1499 e serviva per garantire agli Indiani la protezione
spagnola, l’istruzione religiosa e un piccolo salario in cambio del lavoro; in realtà
questa istituzione voleva solo procurare alle miniere e alle fattorie delle isole una
manodopera gratuita. Attraverso questa istituzione un gruppo di famiglie
d’Indiani con il proprio cacciuco rimaneva sottomesso all’autorità di uno spagnolo
che diventava un encomendero che era obbligato da un punto di vista giuridico a
proteggeli ed insegnarli la religione. Un indiano non encomendado che viveva
lontano dagli spagnoli era sopranominato reducciones; chiamato così perché
viveva in un paesino sotto la protezione di un sindaco locale. E’ stato necessario
dividere le reducciones in gruppi che in seguito diventarono corregimiento perché
erano rimasti sottomessi all’autorità di un funzionario speciale chiamato
corregidor de pueblos de Indios che aveva la stesso compito di un encomedero
Spagnolo. Secondo Colombo si poteva schiavizzare solo chi veniva catturato con
un “guerra giusta”. Il 2 agosto 1530 è stato decretato che nemmeno in caso di
guerra sarebbe stato possibile schiavizzarli, invece nel 1542 con le Leyes Nuevas e
la Reconpilación de 1680 si sancì che potevano essere ridotti in schiavitù solo gli
indiani caraibici, araucani perché ostile alla dominazione spagnola. Un indiano
47. J. M. OTS, Capdequí, El Estado Español en las Indias, La Habana, Ciencias Sociales, 1975. (In questo saggio è stato ripreso anche la difenizione di reducciones, corregidor e alcune leggi che vengono citati all’interno del capitolo).
48. Padgen, op. cit, p. 34.
79
encomendado era considerato da un punto di vista formale un uomo libero e se
non poteva andare a esercitare la propria libertà, poteva rifiutarsi di lavorare per
gli spagnoli; per legge non poteva essere ne venduto ne scambiato con altri
indiani. Contro las encomiendas abbiamo Las Casas, che le definì:
una pestilenza mortale che ha consumato questi popoli, [uno strumento] inventato da Satana e da tutti i suoi ministri e funzionari per trascinare gli spagnoli all’Inferno e tutta la Spagna alla distruzione.49
Las Casas descrive la popolazione locale come persone semplici senza
malvagità né doppiezza, obbedienti e fedeli ai loro signori naturali e ai cristiani
che servivano, molto pazientemente, con tranquillità e pacificamente. Non si sono
dimostrati ambiziosi né avidi, andavano in giro quasi nudi, coprivano solo le parti
intime. Il prete Las Casas sosteneva che questo sarebbe stato il popolo più felice
del Mondo, se solo avesse conosciuto Dio. Purtroppo l’arrivo dei colonizzatori in
questo senso ha rovinato tutta la loro tranquillità, perché con la loro malvagità e
crudeltà, affamati dal voler diventare ricchi, hanno ammazzato, tormentato e
distrutto tutto un intero popolo. Si calcola che più di dodici milioni di anime,
uomini, donne e bambini siano morti nel corso di quattrocento anni di conquiste a
causa di una guerra ingiusta, sanguinosa e tirannica. Secondo la loro folle legge,
diventavano schiavi quelli che venivano catturati con una giusta guerra, oppure
chi era ostile all’autorità legittima della chiesa. Per i cristiani gli Indiani erano
visti come dei greggi che si trovano per strada e quindi andavano trattati come
tali. L’unica cosa che volevano dagli Indiani era l’oro e per questo motivo
compivano atti orribili come strappare i bambini dal seno materno e tenendoli per
i piedi fracassavano le teste contro le rocce, altri venivano gettati nei fiumi con
grandi risate e recitando queste parole: “Corpo di mille diavoli, guarda come
scodinzola”.50 Altri legavano i corpi vicini alla paglia secca e appiccavano il
fuoco, oppure a quelli catturati vivi venivano tagliate le mani: “Andate a portar le
49. Apud, Padgen, p. 37.
50 .Bartolomé de Las Casas, Brevissima Relazione della Distruzione delle Indie, a cura di Cesare Acutis, Torini, Arnaldo Mondadori, 1987, p.35.
80
lettere”51. Gli Indiani per tutta la violenza che subivano, hanno tentato di opporre
resistenza, anche se era un tentativo vano in partenza, perché non avevano armi
adeguate. Hanno comunque ucciso degli Spagnoli e credo che sia stata una cosa
giusta; putroppo per questo motivo gli spagnoli hanno fatto una legge che
prevedeva che per ognuno dei loro connazionali ammazzati, venivano portati a
morte cento indiani. La divisione del lavoro avveniva in questo modo: gli uomini
nelle miniere per cercare di estrarre l’oro e le donne invece erano nelle tenute,
masserie a zappare e a coltivare la terra, tutto questo quasi senza mangiare. Infatti
le puerpere per la malnutrizione perdevano il latte e così morivano con i loro
bambini. Questa divisione dei ruoli ebbe un grande effetto nell’abbattimento della
natalità, perché quasi non vi era più contatto fra loro. Tutto questo purtoppo è
avvenuto con la convinzione che tutto fosse stato deciso da Dio e gli Spagnoli
agivano secondo la religione cattolica di un Dio buono e Redentore, ma non era
vero. Eric Williams nel suo saggio Capitalismo Y Esclavitud a proprosito della
condizione del lavoro di un indiano, riporta nell’opera una citazione
dell’antropologo e saggista cubano, Fernando Ortiz che sostiene quanto segue:
Someter al indio a las minas, al trabajo monótono, insano y severo, sin sentido tribal, sin ritual religioso… era como arrancarle al significato de la vida … era esclavizar no sólo sus músculos, sino también su espiritu colectivo52
In questo caso direi che l’unica cosa che seguivano era il loro istinto
animalesco e selvaggio e l’egoismo. Loro sono stati degli incivili e senza cuore.
Di tutte queste “cattiverie” e di quello che facevano in questi territori, era
all’insaputa la regina. Infatti Las Casas sostiene che la regina non era informata di
tutti questi misfatti e forse la situazione peggiorò alla sua morte avvenuta nel
1504. Il prete nel suo saggio afferma che: “ lei vegliava con somma e cura e
ammirevole zelo sulla salvezza e sulla prosperità di quella gente”. Mentre nel
saggio di Padgen troviamo un comunicato della regina al governatore di
51. Ibid.
52. Eric Williams, Capitalismo y Esclavitud, trad. de Daniel Rey Díaz e Francisco Angel de Gómez, La Habana, Ed. Ciencias Sociales, 1964, p. 7.
81
Hispaniola Nicolás de Ovando che è il segunte: “ desideriamo che gli indiani
siano trattati bene in qualità di nostri sudditi e vassalli”.53 Las Casas avendo visto
tutto quest’orrore e un po’ per alleggerire le sorte degli indiani cerca di sostenere
l’importazione dei negri, ma con un sistema politico molto diverso da quello in
vigore: il fatto di trattare i negri come degli esseri umani avrebbe potuto portare
vantaggio alla forza lavoro e ottenere in questo modo nuovi cristiani; quindi non
con la violenza com’era successo con gli Indiani. Il frate voleva dimostrare con le
sue teorie empiriche che gli Indiani non erano schiavi naturali, ma esseri umani
con un’intelligenza naturale e tutto questo partendo dalla loro bellezza naturale.
Nel saggio di Padgen a proposito di questa natura degli indiani viene riportata una
affermazione di Palacios Rubios: gli indiani sembravano uomini, gentili e pacifici
capaci di capire la religione cattolica.
Nell’opera Sab questo tema viene rappresentato dalla protagonista Martina,
che si crede discenda da questa “raza desventurada” come vengono definiti gli
Indiani nel testo. Questo personaggio appare nel nono capitolo, quando la famiglia
è a Cubitas. Gli Spagnoli arrivano a Cuba nel 1511 seminando terrore e uccidendo
tutti, come avevano fatto nelle altre colonie. Nel dialogo fra D. Carlos e Sab,
parlano di questa signora, il primo la definisce come se fosse pazza e con una
forte convinzione di essere di origine indiana:
Su difunto hijo era un excelente sujeto, ella si mal no me acuerdo tiene sus puntos de loca: ¿no pretende ser descendiente de la raza india y aparenta un aire ridículamente majestuoso?
Sí, […] ya porque la crean realmente descendiente de aquella raza desventurada, casi extinguida en esta Isla (p. 167).
In questo capitolo per raccontare la storia degli indiani, Gómez de Avellaneda
ricorda la leggenda di Caccico Camagüey che secondo la storia, a causa degli atti
barbari dei colonizzatori, si è dovuto sacrificare per il suo popolo. Infatti lui è
stato bruciato vivo, ma non ha potuto impedire lo sterminio degli Indiani. Ecco
perché nel romanzo si fa riferimento a questa tragedia. Quando la famiglia viene
sorpresa da una strana luce che si vede nel cielo di Cubitas che chiama
l’attenzione di tutti, così Sab racconta quello che aveva sentito dire da Martina:
53. Padgen, op. cit., 33.
82
repetidas veces, referir misteriosamente e interrumpiéndose por momentos con exclamación de dolor y pronósticos siniestros de venganza divina, la muerte horrible y bárbara que, según ella, dieron los españoles al cacique Camagüey (p. 168).
Dopo aver ascoltato il racconto del protagonista, Carlota afferma di non aver
mai letto niente della sanguinosa conquista dell’America e per lei così “ingenua” e
“sensibile” sembra davvero incredibile che la natura dell’uomo possa essere così
mostruosa:
¡Dios mío, cuántos horrores! Paréceme, empero, incredible que puedan los hombres llegar a tales extremos de barbarie. Sin duda se exagera, porque la naturaleza humana no puede, es imposible, ser tan monstruosa (p.169).
Martina viene descritta così:
su rostro enjuto y su cuello largo y nervioso, pero que no habían impreso su sello en los cabellos, […] la parte calva de su cabeza contrastaba de una manera singular, por su lustre y blancura, con el color casi cetrino de su rostro. Este color, empero era todo lo que podía alegar a favor de sus pretensiones de india, pues ninguno de los rasgos de su fisionomía parecía corresponder a su pretendido origen (pp. 176-177).
Dalla descrizione notiamo che Martina non ha niente che possa discendere
dagli Indiani, ma aveva questa forte convinzione. Il narratore usa spesso
l’espressione “la vieja india”. Credo che la scrittrice abbia voluto riportare nella
sua opera la leggenda del caccico di Camagüey per ricordare che prima dell’arrivo
degli spagnoli in America c’era una popolazione che viveva in completa sintonia
con la natura e con una loro cultura; con l’arrivo dei colonizzatori è andato tutto
perduto. Penso che i nativi fossero felici dell’arrivo di queste persone, infatti
vedevano loro come una benedizione del cielo e, dimostrando anche di essere un
popolo molto generoso, donavano loro tutto quello che potevano all’inizio,
ricevendo invece in cambio solo dolore e disprezzo. Anche questo tipo di
schiavitù dimostra che l’essere umano ha da sempre paura del diverso e che c’è
una cultura che crede di essere superiore a un'altra. In questo caso gli Spagnoli
credevano di essere superiori e più intelligenti dei nativi che consideravano un
popolo d’ignoranti ed incapaci.
83
3. Sab e gli altri
Lo scopo di questo capitolo è di provare a mettere a confronto il protagonista
del romanzo di Gómez de Avellaneda Sab con altre opere che hanno come tema
principale la schiavitù, rendendo evidente gli aspetti che le accomunano e le
differenze.
Gli schiavi sono in qualche modo dei picari loro malgrado perché vivono una
vita molto difficile, passando da un padrone ad un altro. Uno dei protagonisti che
è stato preso in considerazione ricorda per alcuni versi la vicenda del pícaro per
eccellenza, Lazaro, il protagonista dell’anonimo romanzo Lazarillo de Tormes54,
che narra la storia di un giovane ragazzo che proviene da un basso rango sociale e
del suo servizio svolto verso dei padroni. Il romanzo racconta le avventure di un
giovane vagabondo che si serve di espedienti per tirare a campare e viaggia molto;
quello che vuole ottenere è un riscatto sociale, ci riesce in parte quando ormai
54. Anonimo, Lazarillo de Tormes, Madrid, ed. Francisco Rico, Cátedra, 1987.
84
adulto sposa la serva del suo ultimo padrone con il quale lei lo tradisce. Tutto
quello che accade al picaro, avviene per caso. Lo stesso vale per gli schiavi, molto
spesso sono circostanze fatali che li portano a vivere in tali condizioni. Si diventa
schiavo per caso ed è una condizione che si eredita dai genitori. Infatti, Sab, come
tanti altri diventa schiavo perché figlio di una schiava.
A Cuba avevano costruito una specie d’infermeria, dove le donne schiave
partorivano i loro bambini. Questi rimanevano con la madre fino all’età di sette
anni e poi venivano mandati a lavorare nelle piantagioni come gli adulti, oppure
venduti e da ciò i padroni ricavavano tanti soldi e da quel momento iniziava la
loro avventura picaresca.
La vita di uno schiavo è difficile perché fatta di duro lavoro, di violenze
fisiche e anche verbali; i padroni non lo vedono come essere umano ma come una
merce, un prodotto e, come accade al Lazaro, alla fine del suo viaggio vuole una
sola cosa: acquisire la libertà per tanto tempo negata. Gli schiavi sono simili ai
picari perché vengono comprati e passano da una parte all’altra, da un proprietario
ad un altro e li guida un solo obiettivo, quello di sopravvivere: la schiavitù è una
lotta per la sopravvivenza.
Nel romanzo di Gómez de Avellaneda il protagonista non è propriamente
pícaro, perchè nasce schiavo ereditando dalla madre questa condizione, ma
comunque riesce a diventare libero, come il pìcaro che ottiene una sorta di riscatto
sociale alla fine. Sab è uno schiavo particolare: sa leggere, è molto intelligente e c
riesce a porsi delle domande alla ricerca di una risposta per la sua condizione;
soprattutto ha origine nobile, la madre infatti era principessa nel suo paese e poi
presa e venduta dai mercenari agli Spagnoli. Come si è detto nel capitolo
precedente Sab non viveva come tutti gli altri schiavi, forse perché era figlio del
suo padrone e quindi un mulatto. Sab era libero solo in parte, perché non poteva
ottenere la cosa che voleva di più, l’amore di Carlota.
Un altro personaggio del genere è Oronoonoko, il protagonista del romanzo
della scrittrice inglese Aphra Behn55. L’opera è stata scritta in prima e terza
persona, perché l’autrice voleva raccontare una sua esperienza in un’ex colonia
55. Aphra Behn, Oroonoko. Or the Royal Slave: The Classic edition, Tebbo, 2010.
85
inglese. Come Sab, anche il protagonista ha origine nobile, infatti era nipote di un
sovrano africano, ma per la questione dell’amore viene privato del titolo nobiliare
e venduto agli Inglesi: sia lui che un altro si innamorano di Imoinda, la ragazza
più bella del paese; lei è innamorata di Oroonoko e rifiuta la proposta del sovrano
e per questo motivo i due innamorati diventano schiavi. Dopo riescono a ritrovarsi
di nuovo nella colonia inglese del Suriname, dove si sposano e finalmente
iniziano a vivere una vita felice. Ma lei diventa l’oggetto del desiderio del padrone
perché troppo bella e tutti la desiderano. A questo punto i protagonisti decidono di
fare un gesto orrendo, cioè Oroonoko la deve uccidere, anche se la ragazza era
incinta, per evitarle la sofferenza e la violenza, gli abusi del padrone. Con la morte
vogliono arrivare alla libertà:
took her up, and embracing of her with all the passion and languishment of a dying lover, drew his knife to kill this treasure of his soul, this pleasure of his eyes; while tears trickled down his cheeks, hers were smiling with joy she should die by so noble a hand […]56
Un altro schiavo che può essere considerato pìcaro è il protagonista del
romanzo dello scrittore cubano Anselmo Suárez y Romero, dal titolo Francisco.
El ingenio o las delicias del campo57. Nell’opera il protagonista che si chiama
Francisco, viene strappato dal luogo natio, l’ Africa, all’età di dieci anni e viene
cresciuto secondo le regole della sua padrona, la signora Mendizábal. Ella l’ha
cresciuto come un uomo, educato in base alle sue regole, insegnandogli a leggere
e a scrivere e così Francisco diventa l’uomo di fiducia della padrona, diventando
come Sab il mayoral (sovrintendente). Questa situazione quasi idilliaca finisce
quando Francisco s’innamora dell’altra schiava Dorotea e vuole sposarla. Lo
schiavo decide di andare dalla padrona a chiedere la mano della ragazza, ma lei
non acconsente adducendo una serie di motivi inutili. Nonostante il rifiuto della
padrona, i due continuano a vedersi amandosi di nascosto, lei rimane incinta ma la
padrona, venuta a conoscenza del tradimento dei suoi lavoratori, li punisce
duramente. Francisco con cinquanta frustate, ammanettato per circa due anni e
56. Ivi, p. 52.
57. Anselmo Suárez y Romero, Francisco. El ingenio o las delicias del campo, La Habana, ed. Mario Cabrera Saqui, Alicante, 1947.
86
costretto all’esilio perpetuo nella piantagione, mentre lei andrà a lavorare come
serva presso un’altra famiglia. I due protagonisti vogliono solo provare a essere
felici, ma purtroppo per gli schiavi questo non era permesso e quindi l’unica
soluzione, per smettere di subire gli abusi e i ricatti dei padroni, è suicidarsi.
Seguendo la linea di questi esseri sfruttati della schiavitù, abbiamo un esempio
femminile invece, nell’opera della scrittrice afroamericana Toni Morrison e
premio Nobel per la Letteratura nel 1993. Nel romanzo Amatissima58, con il quale
l’autrice vince il premio Pulitzer nel 1988, la protagonista è una giovane ragazzina
di tredici anni chiamata Sethe che viene portata a lavorare nella piantagione di
Sweet Home e crescerà e sposerà uno degli schiavi. Non si trattava di un vero e
proprio matrimonio, perché all’epoca era vietata l’unione legale fra gli schiavi, ma
Sethe e il suo compagno Halle riescono a formalizzare la loro unione con un rito
pagano. Da questo matrimonio nasceranno dei figli, ma la vita lavorativa in questa
piantagione era molto dura e con i bambini era più difficile e così per salvarsi
decidono di scappare. La fuga è complicata, ma riescono nell’impresa e così la
protagonista salva i suoi figli ma deve sacrificare la femmina uccidendola all’età
di tre anni, per non farle vivere la tremenda condizione della schiavitù; con questo
gesto tragico vuole salvarla dal suo destino. La protagonista dimostra di essere
molto forte perché ha sofferto e ha lottato per ottenere la libertà e ci è riuscita; ma
il romanzo avrà un finale triste, perché tutto quello per il quale la protagonista
aveva combattuto non ha portato alla piena felicità, conducendola alla pazzia.
Quello che possiamo vedere è che tutti questi personaggi appena citati, per
arrivare a ottenere ciò che vogliono, cioè la libertà, devono ricorrere comunque a
dei gesti estremi, tipo uccidersi o lasciarsi morire. L’unico personaggio che posso
dire che abbia ottenuto un riscatto, dopo aver patito e sofferto e vissuta una vita
infernale, è il protagonista maschile del film 12 Anni Schiavo uscito al cinema nel
mese scorso. Nel film Solomon Northuq, un violinista libero e sposato con figli,
viene rapito e privato dei suoi documenti e ridotto in schiavitù per dodici anni. Il
protagonista cambierà per tre volte padroni e vivrà tra la crudeltà dei suoi
possessori e di qualche atto di bontà. Quello che affronta il protagonista non è
58 . Toni Morrison, Amatissima, traduzione di Giuseppe Natale, ed. Pickwick, 2013.
87
solo una lotta per la sopravvivenza, ma anche quella per mantenere la propria
dignità. È molto astuto e intelligente ed è grazie a questo che riuscirà a tornare
libero. Questo personaggio ricorda per molti aspetti la vicenda del pícaro Lazarro.
Perché tutto viene guidato dalla casualità, è il caso che porta Lazarro a diventare
un servo, e lo stesso accade a Solomon Northuq. Entrambi viaggiano molto,
Lazaro per volontà passa da un padrone ad un altro, mentre Solomon è costretto a
farlo. Solomon è simile a Sab perché entrambi sono istruiti, a differenza della
maggior parte degli schiavi.
La schiavitù era caratterizzata dall’uso della violenza, i proprietari con l’aiuto
del governo, avevano la convinzione che per ottenere un qualcosa dai loro schiavi
dovessero usare la frusta, perchè la paura era fondamentale per mantenere un
sistema di sottomissione simile. La punizione corporale era una norma usata dai
proprietari verso gli schiavi e si applicava in modo indiscriminato senza che il
servo facesse resistenza, in tal modo il padrone voleva mostrare il suo potere
ilimitato. La punizione più comune era lo staffile, che consisteva nel frustare lo
schiavo con una frusta di vacca che segnava la pelle, lo scudiscio fatto di giunchi
d’albero, pungeva e serviva a strappare la pelle a strisce e veniva usato dal
caposquadra.
Conoscere questo tipo di violenza è importante per capire come si manteneva
il sistema schiavistico: lo schiavo era inferiore e così il padrone ingrandiva i
propri orizzonti. Per controllare lo schiavo, i padroni usavano sia l’aspetto
paternalisco, per conquistare la fiducia, che il terrore con delle minacce. Per
esempio lo schiavo domestico veniva minacciato di essere mandato nei campi e
con quello dei campi invece si usava la questione della vendita come deterrente.
Sab e Lazaro non subiscono violenze fisiche, il primo è privilegiato, vive la vita
quasi normale, Lazaro invece patisce la fame, è più sfortunato.
La schiavitù è sinonimo di violenza ma nel romanzo di Gómez de Avellaneda
non si fa riferimento a questo tipo di abusi; come si è detto nel capitolo
precedente, il tema della schiavitù è trattato più per l’aspetto sentimentale. La
fortuna di Sab sta nella sua storia personale, ma anche nel fatto di avere un colore
della pelle diversa, infatti è mulatto. Chi era mulatto aveva la simpatia dei padroni
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e non solo. Ecco perché nel saggio di Boaventura de Sousa, Atlantico Periferico59,
si sostiene che i mulatti loro malgrado abbiano legittimato la disuguaglianza
sociale e razzista. A proposito di questo tipo di discriminazione abbiamo un
esempio nel romanzo dello scrittore cubano Cirilo Villaverde, Cecilia Valdés,
sulla schiavitù; scritto come Sab in terza persona, riporta un motto all’inizio di
ciascun capitolo. Nell’opera abbiamo una donna schiava con due figli, di cui un
mulatto. Quest’ultimo è il preferito della madre e lei è molto orgogliosa di lui,
mentre il ragazzo si vergogna della madre perché negra. La vergogna sta nel fatto
che chi è negro è povero e deve essere sottomesso e disprezzato. In questo
romanzo si parla della violenza dei padroni nei confronti degli schiavi che sono
puniti con la frusta perché non rispettano l’ordine del proprietario. Sab non
subisce questi tipi di maltrattamenti, com’è accaduto al protagonista del romanzo
Francisco. El ingenio o las delicias del campo, di Romero y Suárez. Eppure non
ha sofferto come Sethe che invece si è ritrovata con la schiena che sembrava un
“albero di ciliegio”60 a causa delle botte: neanche di fronte ad una gravidanza il
padrone ha avuto pietà e per questo lei scappa con tutti i suoi figli, per evitare loro
la sua sofferenza. Sab non è nenache come Oroonoko che prima di rinunciare alla
felicità uccidendo la moglie, ha combattuto contro gli oprressori mettendo in atto
una rivolta. Il mulatto di Gómez de Avellaneda non è violento, ammette di aver
pensato di fare la guerra a tutti coloro che lo avevano ridotto in quello stato, ma
non agisce. Sab è rinchiuso nel suo dolore e accetta la sua condizione, è simile
all’altro schiavo Francisco, che è un eroe buono, libero e uno schiavo domestico,
dai valori nobili come il mulatto di Avellaneda; l’unica differenza è che lo schiavo
di Suárez y Romero che vive nelle baracche ed è visto come un oggetto, per
andare contro il sistema, si toglie la vita. I due personaggi possono essere definiti
come dei buoni perchè accettano la propria condizione, obbediscono e non si
ribellano al padrone; per questo secondo i proprietari potevano arrivare alla
59. Boaventura de Sousa Santos, ed. al, Atlantico Periferico. Il postcolonialismo Portoghese e il sistema Mondiale, trad. di Giulia Crescentini Anderlini, Reggio Emilia, Diabasis, 2008.
60 Morrison, op. cit., pag. 112.
89
salvezza divina e incontrare il padre eterno. Infatti, durante la schiavitù il
cristianesimo ha avuto un ruolo importante per i padroni che si affidavano alla
fede così da poter ottenere la sottomissione. La Chiesa in qualche modo
giustificava il dominio sulla base della salvezza dell’anima, ma era contraria alla
punizione fisica. Per indottrinare ed infondere i concetti e le norme sociali
dominanti, i religiosi usavano spesso le piazze, costruivano delle cappelle proprio
adatte a loro e per tradurre le loro parole ricorrevano ad un interprete. Il primo
contatto con la religione cattolica avveniva lungo le coste Africane, dove gli
schiavi venivano prima di tutto battezzati perché in caso di morte potessero
ricevere la presenza divina. Non è stato facile l’insegnamento della religione,
soprattutto perché gli africani avevano una loro credenza e una propria religione.
L’integrazione vera e propria iniziava quando lo schiavo predeva coscienza della
sua condizione con la giustificazione che per la salvezza dell’anima non c’era
bisogno della libertà del corpo.
Sab era ormai completamente integrato, conosceva molto bene il vangelo e
ogni settimana andava dal prete, perché appena la madre è stata comprata, è
iniziato il processo di evangelizzazione. Per il protagonista di Gómez de
Avellaneda il processo non è stato traumatico, mentre per Oronoonoko e Imoinda
è stato diverso: dopo la vendita hanno dovuto cambiare nome perché considerati
barbari e per questo dovevano avere un nome più cristiano:
the Christians never buy any slaves but they give ‘em some name of their own, their native ones being likely very barbarous, and hard to pronounce; so that Mr.Trefry gave Oroonoko that of Caesar […], and that she had all the perpetually at her feet; and yhe whole country resounded with the fame of clemence. “For so,” said he we have christened her61
Un altro protagonista che è stato costretto ad imparare la religione cattolica
come l’unica fede in grado di salvare l’uomo da qualsiasi peccato, è Venerdi, lo
schiavo di Robinson Crusoe, il romanzo di Defoe. Il ragazzo viene salvato
dall’Inglese e quest’ultimo avrà il compito di istruirlo, ma quando affrontano il
tema della religione Robison capirà che Venerdi non sa nulla dell’unico creatore
61. Aphra Benh, op.cit, pp.30-31.
90
Dio e che il suo schiavo credeva nella figura di un vecchio santone chiamato
Benamuchi; per questo Robison decide di parlare di Dio come la verità assoluta:
Gli dissi che il sommo Creatore di ogni cosa viveva lassù, e indicai il cielo; che Egli regnava sul mondo con lo stesso potere e la stessa provvidenza con le quali lo aveva creato; che era onnipotente, cioè che poteva darci tutto e toglierci tutto […]62
Mentre a Cuba avevano una situazione molto diversa, perche nelle baracche
convivevano vari tipi di religioni africane, come la conga: gli stregoni si
impossessavano della gente, usavano storie delle profezia per guadagnare la
fiducia degli altri schiavi. Il chicherekú era di nazionalità Conga, era un uomo che
si metteva a correre tra le barache e saltava adosso alla gente. Nei riti della conga
si usavano i morti e gli animali. Un'altra religione era il lucumí: le persone di
questa fede erano molto legate al culto dei Santi e di Dio e il rito consisteva
nell’alzarsi presto, guardare il cielo e recitare un’orazione e dopo versare acqua al
suolo. A queste religioni si aggiunse quella cattolica portata dai preti che non
entravano mai nelle baracche perché considerate troppe sporche.
Tutti questi culti convivivevano in modo pacifico. La stessa cosa succede in
Amatissima di Morrison, dove si alternano riti africani a quelli cattolici, perché
comunque i negri non volevano dimenticare la propria origine. La Chiesa era
contraria alle punizioni e la violenza, ma in un certo modo era responsabile di
quello che stava accadendo, perché aveva autorizzato i padroni a fare da catechisti
e queste ultimi leggevano le parole del vangelo secondo il loro punto di vista per
trarne profitto. Per quanto riguarda il picaro Lazzaro, questi non ha avuto una vita
facile nemmeno lavorando per un servo di Dio: il prete anche lo tratta male,
privandolo pure del cibo. Agli schiavi dicevano che il loro compito era solo quello
di obbedire e servire, questo portava solamente alla confusione perchè è come se
stessero dicendo loro di non avere diritto alla vita. Gli schiavi sono perennemente
in conflitto, immersi in una lotta, per la maggior parte interiore e che spesso
finisce in una tragedia, perché non hanno l’aiuto di nessuno e devono saper
62. Daniel, Defoe, La Vita e Le Straordinarie, Sorprendenti Avventure di Robinson Crusoe, trad. Riccardo Mainardi, Milano, ed. Garzanti, 201229
, p.230.
91
contare solo sulle proprie forze; soli nel mondo a combattere contro un mostro, un
uomo che crede di essere superiore perché è bianco, ha un colore della pelle
diversa, oppure perché ha una condizione sociale più elevata. Forse la sfortuna per
questi poveri uomini sta proprio nella presunzione dei nuovi arrivati, i
colonizzatori che con la loro religione e con aria di superiorità credono di poter
comprare tutto e tutti e che gli altri siano inferiori. Aphra Behn nel suo romanzo
critica i paesi cristiani poiché credono che la religione basti per qualsiasi cosa e
non hanno altri valori come la virtù: “such ill morals are only practised in
Christian countries, where they prefer the bare name of religion; and, without
virtue or morality, think that sufficient.”63
Vivere come schiavi è davvero difficile perché si tratta di una vita fatta
soprattutto di ostacoli e di duro lavoro, che li porta a diventare anche egoisti
perché la libertà e la felicità da raggiungere è individuale. La religione che ci
insegna che “siamo tutti uguali davanti a Dio” è la prima a voltar loro le spalle,
anzi direi proprio a lavarsene le mani. Il compito della religione cattolica sarebbe
stato di portare le parole di Dio e diffondere l’amore e l’armonia, forse ha solo
avuto il risultato di portare più odio e conflitto nel mondo colonizzato.
63. Aphra Benh, op. cit., p. 8.
92
4. Conclusione Il presente lavoro di tesi ha come scopo principale quello di analizzare il
romanzo di Gómez de Avellaneda per soffermarsi sul tema dello schiavismo. Tale
obiettivo presuppone la storia dello schiavismo affrontata all’inizio del lavoro,
soffermandosi sul tema del colore della pelle. La situazione ha portato alcuni
autori ad affrontare questo tema con uno sguardo particolare sulla figura dello
schiavo.
Il romanzo di Gómez de Avellaneda che aveva come protagonista un giovane
mulatto che vive come se fosse un bianco, che non accetta la condizione di
schiavo anche perché ha imparato a leggere e a scrivere diversamente dai suoi
compagni resi schiavi. Come si è notato possiamo vedere all’interno del romanzo
una grande differenza tra il personaggio di Sab e gli altri schiavi negri: partendo
dal suo aspetto che lo rende quasi somigliante a un proprietario terriero e il colore
della sua pelle era quello più accettabile, perché non del tutto nero. Questo
sistema di considerare uno schiavo diverso dall’altro, fondamentalmente razzista,
poteva generare una sorta d’invidia da parte degli altri. In base al colore della
pelle si stabiliva a quale rango della società si apparteneva; il negro era quello più
basso, che non poteva aspirare al nulla. Come si è potuto notare leggendo Tutti i
Colori del nero64 di Amedeo Quondam, il nero veniva associato alla sfortuna,
sporcizia (ecco perché si dice sporco negro) al lutto e alle tenebre e alla pazzia,
quindi coloro che appartenevano a questa “razza” erano considerati degli esseri
inferiori. Mentre il colore bianco che era da sempre visto come il colore della
purezza, della verginità e del giorno, ha da sempre avuto una connotazione
positiva, e quindi le persone con questo colore della pelle credevano di essere
superiori per cultura e religione. Nonostante i pregiudizi sul nero, rendere schiavo
un uomo negro era utile, perché queste persone venivano valutate per la loro
64. Amedeo Quondam, Tutti i Colori del nero. Moda e cultura del gentiluomo nel rinascimento, Vicenza, Angelo Colla, 2007.
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resistenza allo svolgimento di determinati tipi di lavori; al contrario degli Indiani
più deboli e vittime di malattie.
Il protagonista del romanzo Sab, non ha paura di ammettere di essere mulatto
e schiavo e tanto meno si vergogna di questo, anzi sembra quasi per un certo verso
fiero di quello che è. Nel romanzo di Cirilo Villaverde, Cecilia Valdés che ha,
come protagonista una bellissima ragazza che appartiene a quella razza inferiore,
ella dimostra invece di avere una preferenza solo per gli uomini bianchi di una
classe superiore perché da questi poteva aspettarsi divertimento e distinzione,
mentre dai negri voleva solo occhi e capelli. In qualche modo Cecilia vuole
negare la sua origine, infatti durante un ballo un mulatto viene rifiutato dalla
ragazza perché:
La niña me dijo que estaba cansada y enseguida salió a bailar con otro. No busque disculpa la niña (añadió de carrera conociendo que Cecilia quería replicar), comprendo la razón por qué la niña me ha desairado. La niña me ve prieto, probremente vestido, sin amigos en esta selecta reunión y se ha figurado que soy un cualquiera, un malcriado […]
Conocí a su madre, conozco a su padre como a mis manos y tengo muchos motivos para conocer a la mujer que la crió […] mas déjeme decirle que baje un poco el cocote, si su padre es blanco, su madre no es más blanca que yo65
Quello che è evidente è che la protagonista discrimina gli uomini di
colore, l’unica cosa che vuole è avere un riconoscimento sociale e questo
era possibile solo con un uomo bianco affianco; comunque Cecilia segue
quella che era la tendenza dell’epoca e si approfitta del suo aspetto perché
non sembra una schiava:
¿Tú no preferies los blancos a los pardos, como seña Clara?No lo niego, mucho que sí me gustan más los blancos que los pardos. Se
me caería la cara de vergüenza si me casara y tuviera un hijo saltoatrás66
Cecilia discendeva da un’ex schiava ed il padre era bianco quindi in
questo modo avrebbe cancellato quella parte della sua storia. A proposito di
questo, il medico e psichiatra martinicano Frantz Fanon, nel suo saggio
65. Villaverde, Cecilia Valdés, cit, pp.383-384.
66. Ivi, pp. 374-373.
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Pelle Nera Maschere Bianche67, racconta di una donna in questo caso negra
che doveva accompagnare il suo uomo ad una festa e lei si sentiva
inadeguata, anzi era imbarazzata per come era vestita, per il trucco, e
soprattutto credeva di disonorare il suo innamorato, a causa del colore della
pelle. È evidente che non è facile per una persona che proviene da un altro
paese o un'altra cultura sentirsi accettata, in particolare per una donna che
discende da schiavi. Ma essere donna comporta anche ulteriori difficoltà:
infatti, uno dei temi del romanzo è proprio la sottomissione delle donne agli
uomini, in questo caso si parla della donna bianca (Carlota) che viene
sottomessa al marito, vivendo come prigioniera.
Tutti cercano di avere un riconoscimento sociale in questo modo, ma alla
fine non è facile perché comunque i bianchi hanno sempre dei pregiudizi nei
confronti dei neri. Alla fine è come se il bianco e il nero rappresentassero i
due mondi che stanno sempre in lotta. Perché da una parte c’è il bianco che
crede di avere la bellezza e la virtù perché bianco è il colore del giorno, e
crede che il nero sia il buio, e dall’altra c’è chi non è bianco e finisce per
rappresentare l’altro. Il nero era visto come una persona che non poteva
avere dei valori e sani principi, era giudicato solo dal suo aspetto ed era
esclusivamente schiavo che doveva obbedire e non poteva avere rapporti
con altri esseri umani, soprattutto con i bianchi.
Il motivo per il quale l’opera di Gómez de Avellaneda è stata censurata
a Cuba è per aver descritto questo mulatto come un uomo bianco. Infatti, la
scrittrice ha voluto dimostrare che uno schiavo era un essere umano, che
poteva provare dei sentimenti nobili e che aveva una capacità intellettiva
come tutti gli altri. In qualche modo ha voluto rompere i canoni di quella
società che metteva al centro l’uomo bianco e ricco e disprezzava il negro.
Uno schiavo non aveva diritto alla vita, per esmpio per avere una donna
doveva aspettare di compiere venticinque anni e per sposarla era necessario
67. Frantz Fanon, Pelle Nera Maschere Bianche. Il nero e l’altro, trad. di Mariagloria Sears, Milano, Marco tropea editore, 1996.
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chiedere la mano al padrone che non sempre accettava, perché vedeva il
matrimonio come una causa di diminuzione della produttività lavorativa.
Tornando sulla questione del nero, se ci fermiamo a riflettere sulla
posizione che ricopre l’attuale presidente Barack Obama, possiamo notare
che ciò che ha suscitato l’interesse dei media è stato principalmente il colore
della pelle e il fatto che un nero potesse occupare il ruolo di capo di una
grande potenza mondiale. A mio avviso credo che questa sia stata una
rivincita per tutti coloro che hanno sofferto e combattuto per l’uguaglianza,
dimostrando che bianchi o negri sono tutti uguali e hanno gli stessi diritti e
doveri, che l’intelligenza non è una caratteristica che appartiene unicamente
ai bianchi.
La schiavitù è stato un sistema di discriminazione violenta e crudele per
tutti quei popoli che erano considerati inferiori, impotenti e ignoranti.
Quello che possiamo notare è che la storia ancora non ci ha insegnato nulla,
perché si continua a ripetere gli stessi errori: c’è sempre una nazione che
ritiene, di essere superiori ad altre, l’idea che i deboli debbano essere
sottomessi ai più potenti, (la persecuzione degli ebrei ne è un esempio). I
sistemi di discriminazione esistono ed esisteranno nel mondo fino a quando
la società non inizierà a cambiare il modo di pensare e di agire. Se
iniziassimo a creare una società dove si cominciasse ad accettare ognuno per
quello che è ci sarebbero nel mondo meno guerre. Dovremo cominciare ad
avere l’idea che la diversità ci rende unici, che bianchi e i neri possono
convivere pacificamente e che le donne non sono un oggetto, ma vanno
rivalutate per i loro meriti nella società.
La scrittrice Gómez de Avellaneda, con il suo coraggio e la sua
intelligenza riuscì nel suo intento di affermarsi in quella società maschilista
e patriarcale che voleva e vedeva l’uomo al centro di tutto; lei con il suo
temperamento dimostra che la donna non è solo una casalinga ignorante, ma
un essere umano con degli ideali che combatte per quello in cui crede,
quindi non da sottomettere.
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Andando avanti con il lavoro, si è potuto notare come altri scrittori
hanno affrontato il tema del colore della pelle, come Frantz Fanon il quale
definisce il pregiudizio del colore così:
Il pregiudizio del colore non è nient’altro che un odio irragionevole di una razza per l’altra, il disprezzo dei popoli forti e ricchi per coloro che essi considerano come inferiori, e poi l’amaro risentimento di quelli costretti alla soggezione e che spesso subiscono ingiustizie. Poiché il colore è il segno esteriore meglio visibile della razza, è divenuto il criterio in base al quale si giudicano gli uomini senza tener conto di quanto hanno acquisito in campo educativo e sociale.68
Perché giudicare qualcuno per il colore della pelle e qual è il motivo che ha
portato alla sottomissione di un altro essere umano solo per il colore della pelle? È
difficile trovare una risposta ad una domanda del genere, perché la difficoltà sta
nel fatto che non vi è alcuna risposta. Credo sia stato frutto dell’ignoranza da parte
di coloro che già dal colore della pelle si ritenevano superiori. Se erano così
intelligenti, perché hanno dovuto usare la violenza e terrorizzare intere comunità?
Secondo me nessuno ha il diritto di categorizzare o giudicare l’altro per il suo
aspetto, il mondo è bello perché vario e la schiavitù ha portato tanta sofferenza
all’essere umano e per questo oggi si sta facendo il possibile per dimostrare che
dopo la tempesta arriva il sereno.
Non esiste una razza bianca, negra, o gialla, ma una sola ed è quella umana,
basata sull’uguaglianza nei diritti e nei doveri e bisogna prendere coscienza che la
diversità non è spaventosa, invece è solo una delle tante qualità che ha l’essere
umano e che deve essere vista come una virtù.
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68. Frantz Fanon, op. cit., p.105.
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