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Ecomafie in Italia. Una panoramica (Sintesi della relazione a cura di Saveria Antiochia Omicron-SAO) EXECUTIVE SUMMARY Il giro d’affari delle ecomafie in Italia coinvolge le attività di smaltimento illecito di rifiuti, il ciclo del cemento e, in generale, tutte le infiltrazioni mafiose nel settore delle energie rinnovabili fatturando, stando ai dati forniti dal Rapporto di Legambiente, una ventina di miliardi ogni anno. In risposta alle richieste della Commissione Ue, gli Stati membri hanno adottato numerosi atti legislativi per la protezione dell’ambiente. Ma negli Stati membri privi di sanzioni penali capaci di colpire sia le persone fisiche che quelle giuridiche – a cominciare dall’Italia dove la tutela dell’ambiente si fonda prevalentemente sul riconoscimento di illeciti definiti come semplici contravvenzioni - , tali provvedimenti si sono rivelati sostanzialmente inefficaci. Il traffico internazionale di rifiuti è un fenomeno che incomincia ad affacciarsi all’inizio degli anni ‘80. In Italia la presenza delle mafie ha permesso lo sviluppo di un mercato illegale interno (lungo l’asse direzionale Nord-Sud), che supplisse alle spedizioni all’estero. A questa attività si affianca, nel corso degli anni ‘90, la gestione dei rifiuti speciali e pericolosi, un business ben più redditizio ma che necessita di strutture organizzative più complesse. L’illecito può avvenire in ciascuna delle tre fasi del ciclo dei rifiuti (il trasferimento iniziale dal produttore all’impresa specializzata nello smaltimento, il transito, la destinazione del riciclaggio e dell’eliminazione finale). Quanto al cosiddetto “ciclo del cemento” - speculazioni, costruzioni abusive, consumo del territorio oltre allo schema criminale “inquinamento, finta bonifica, edificazione”, il business delle cave e l’utilizzo del cosiddetto “cemento impoverito” - occorre ricordare che l’edilizia è la prima e la più redditizia tra le attività a infiltrazione mafiosa, nonché la prima forma di riciclaggio e investimento operata dai clan. Nella relazione osserveremo quattro diversi studi di caso. Il primo è relativo alla criminalità ambientale in Campania dove l’emergenza rifiuti ha assunto un carattere endemico da ormai 15 anni garantendo enormi opportunità di business alla Camorra e sollevando addirittura sospetti sull’esistenza di una presunta trattativa tra rappresentati dello Stato e criminalità organizzata. Il secondo è relativo alla 1

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Ecomafie in Italia. Una panoramica(Sintesi della relazione a cura di Saveria Antiochia Omicron-SAO)

EXECUTIVE SUMMARYIl giro d’affari delle ecomafie in Italia coinvolge le attività di smaltimento illecito di rifiuti, il ciclo del cemento e, in generale, tutte le infiltrazioni mafiose nel settore delle energie rinnovabili fatturando, stando ai dati forniti dal Rapporto di Legambiente, una ventina di miliardi ogni anno. In risposta alle richieste della Commissione Ue, gli Stati membri hanno adottato numerosi atti legislativi per la protezione dell’ambiente. Ma negli Stati membri privi di sanzioni penali capaci di colpire sia le persone fisiche che quelle giuridiche – a cominciare dall’Italia dove la tutela dell’ambiente si fonda prevalentemente sul riconoscimento di illeciti definiti come semplici contravvenzioni - , tali provvedimenti si sono rivelati sostanzialmente inefficaci. Il traffico internazionale di rifiuti è un fenomeno che incomincia ad affacciarsi all’inizio degli anni ‘80. In Italia la presenza delle mafie ha permesso lo sviluppo di un mercato illegale interno (lungo l’asse direzionale Nord-Sud), che supplisse alle spedizioni all’estero. A questa attività si affianca, nel corso degli anni ‘90, la gestione dei rifiuti speciali e pericolosi, un business ben più redditizio ma che necessita di strutture organizzative più complesse. L’illecito può avvenire in ciascuna delle tre fasi del ciclo dei rifiuti (il trasferimento iniziale dal produttore all’impresa specializzata nello smaltimento, il transito, la destinazione del riciclaggio e dell’eliminazione finale). Quanto al cosiddetto “ciclo del cemento” - speculazioni, costruzioni abusive, consumo del territorio oltre allo schema criminale “inquinamento, finta bonifica, edificazione”, il business delle cave e l’utilizzo del cosiddetto “cemento impoverito” - occorre ricordare che l’edilizia è la prima e la più redditizia tra le attività a infiltrazione mafiosa, nonché la prima forma di riciclaggio e investimento operata dai clan. Nella relazione osserveremo quattro diversi studi di caso. Il primo è relativo alla criminalità ambientale in Campania dove l’emergenza rifiuti ha assunto un carattere endemico da ormai 15 anni garantendo enormi opportunità di business alla Camorra e sollevando addirittura sospetti sull’esistenza di una presunta trattativa tra rappresentati dello Stato e criminalità organizzata. Il secondo è relativo alla Calabria, dove il grande affare dei rifiuti si affianca quello del ciclo del cemento, il terzo affronta il tema dell’ecomafia in Sicilia, dove l’emergenza rifiuti da sempre costituisce una grande opportunità di business per le cosche soprattutto nella partecipazione alle gare di appalto tanto da sembrare il frutto di un preciso orientamento di alcuni settori imprenditoriali e di lucide scelte di amministratori e politici,. Quarto ed ultimo studio, quello relativo alle infiltrazioni mafiose in Lombardia dove la collusione tra imprese, esponenti politici locali e funzionari pubblici genera vantaggi evidenti per tutte le parti in causa. Nell’ultima parte, ci occupiamo quindi di infiltrazioni mafiose nel settore delle energie rinnovabili con particolare attenzione a biomasse, solare ed eolico.I risultati della nostra ricerca mostrano molto chiaramente che esiste nella società una domanda di servizi illegali che viene esaudita dalle organizzazioni criminali. Il mercato dei crimini ambientali diventa un luogo, anche fisico, di incontro fra mafiosi propriamente detti, imprenditori, professionisti, politici e amministratori, che spartiscono una serie di interessi comuni e che guardano all’ambiente come a una fonte di speculazione e clientela politica. Da qui, il ritardo nell’approvare delle leggi che contrastino il fenomeno e la scarsa applicazione di quelle esistenti.

SOMMARIO1. Introduzione....................................................................................................................................21. Il quadro di riferimento.................................................................................................................31.1 L’attuale legislazione nazionale in termini di tutela ambientale. Brevi cenni...............................3

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1.2 Il ciclo dei rifiuti: evoluzioni, tecniche e attori coinvolti...............................................................31.3 Il ciclo del cemento........................................................................................................................52. Il caso Campania............................................................................................................................52.1 La crisi campana del ciclo dei rifiuti e il commissariamento.........................................................52.2 La criminalità ambientale...............................................................................................................72.3 Il ciclo dei rifiuti: evoluzioni, tecniche e attori coinvolti...............................................................72.4 Il ciclo del cemento........................................................................................................................83. Il caso della Calabria......................................................................................................................83.1 Il ciclo del cemento in Calabria....................................................................................................104. Il caso della Sicilia........................................................................................................................114.1 Il ciclo del cemento......................................................................................................................125. Ecomafie in Lombardia...............................................................................................................136. Le infiltrazioni mafiose nel settore delle energie rinnovabili...................................................156.1 Biomasse .....................................................................................................................................166.1.1 Punti critici del sistema.............................................................................................................176.2 Solare ed eolico ...........................................................................................................................176.2.1 Il solare in Italia.........................................................................................................................176.2.2 Il settore eolico..........................................................................................................................186.2.3 Punti critici di sistema per solare ed eolico...............................................................................187. Conclusioni....................................................................................................................................18Bibliografia.......................................................................................................................................19

INTRODUZIONE In questa relazione si è cercato di delineare un quadro delle ecomafie in Italia, intese soprattutto come smaltimento illecito di rifiuti, ciclo del cemento e infiltrazioni mafiose nel settore delle energie rinnovabili. Un business che, stando ai dati forniti dal Rapporto di Legambiente, “fattura” ogni anno una ventina di miliardi. In questa breve relazione abbiamo scelto di concentrarci sulle dinamiche che sottostanno al business della criminalità ambientale di stampo mafioso in Italia, sugli attori coinvolti e sull’evoluzione del fenomeno in relazione alla normativa di contrasto, dedicando solo alcuni capitoli al racconto di casi esemplari. Centrale, in questo senso, la definizione del termine “ecomafia” (coniato da Legambiente a metà degli anni ’90), che viene qui utilizzato per porre enfasi sul ruolo della criminalità organizzata e delle sue risorse principali: il vincolo associativo dei suoi membri e il capillare controllo del territorio. E’ importante sottolineare, quindi, come la criminalità ambientale, intesa come attività di un gruppo organizzato, sia un reato tipico dei colletti bianchi. In molti casi si può parlare di una “cricca”, cioè di un gruppo di imprenditori, politici e professionisti del settore che si associano per ricavare il massimo profitto possibile da un’avventura imprenditoriale, sprezzanti degli obblighi di legge e delle ripercussioni sul territorio. Cosa ben diversa è l’ingresso fra i partner sopra menzionati della mafia, intesa come Cosa nostra, Camorra e ‘Ndrangheta. Seguendo la definizione data dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Caltanisetta, Roberto Scarpinato, possiamo definire le mafie come “network illegali complessi dei quali fanno parte soggetti appartenenti a mondi diversi: politici, imprenditori, professionisti, mafiosi tradizionali. Il "sistema nervoso" che mette in comunicazione tutti i soggetti è costituito dagli uomini cerniera, i colletti bianchi. Tutti attori, con diverse funzionalità che costituiscono un gioco cooperativo a somma positiva”. Da un certo punto di vista, nei reati di tipo ambientale, i clan mafiosi sono partner dell'operazione come tutti gli altri, con la particolarità, però, che possono contare su una rete di contatti molto più vasta rispetto agli altri attori, grazie al controllo che hanno del territorio. Nel corso del presente studio

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verranno usati indistintamente i termini "mafia", nel suo senso generico, e "mafie" riferendoci in entrambi i casi alle tre grandi organizzazioni criminali italiane: Cosa nostra siciliana, Camorra napoletana e 'Ndrangheta calabrese. Questo studio si è avvalso prevalentemente di fonti secondarie, come atti giudiziari, rapporti bicamerali, articoli di giornale, pubblicazioni di settore, oltre naturalmente ai preziosissimi dossier editi da Legambiente

1. QUADRO DI RIFERIMENTO 1.1 L’attuale legislazione nazionale in termini di tutela ambientale. Brevi cenni.In risposta alle richieste della Commissione Ue, gli Stati membri hanno adottato numerosi atti legislativi per la protezione dell’ambiente. Ma negli Stati membri privi di sanzioni penali capaci di colpire sia le persone fisiche che quelle giuridiche – a cominciare dall’Italia dove la tutela dell’ambiente si fonda prevalentemente su illeciti quali le contravvenzioni -, tali provvedimenti si sono rivelati sostanzialmente inefficaci. Oltre alla diversa natura e tipologia delle sanzioni nei singoli Stati membri, esistono anche differenze di rilievo sul grado di severità delle sanzioni applicate dalle autorità nazionali per reati identici o analoghi. Ora, poiché la criminalità ambientale ha spesso natura transnazionale e ha comunque effetti transnazionali, gli autori dei reati possono trarre vantaggio, per i propri fini, dalle asimmetrie che esistono nelle normative dei singoli Stati membri. Per tutti questi motivi il problema deve essere affrontato e risolto tramite un’iniziativa della Comunità. La direttiva istituisce un elenco minimo di reati ambientali gravi che dovranno essere considerati fatti penalmente rilevanti in tutta la Comunità. I reati devono essere puniti mediante sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive quando sono commessi da persone fisiche e da sanzioni penali o non penali quando sono commesse da persone giuridiche. Riteniamo fondamentale che i singoli Paesi uniformino il sistema dei reati e delle sanzioni in modo da creare una situazione pienamente omogenea nell’ambito della Ue.Il testo della proposta, tuttavia, non specifica se la responsabilità delle persone giuridiche sia perseguibile penalmente. Di conseguenza, gli Stati Membri nel cui ordinamento non esiste la responsabilità penale delle persone giuridiche non saranno obbligate a modificare la legge nazionale. La tutela penale dell’ambiente è stata oggetto di interesse della normativa dell’Unione europea ed in particolare delle direttive 2008/99/CE e 2009/123/CE, recepite in Italia dal decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121. Quest’ultimo, da un lato, ha implementato il sistema di repressione penale degli illeciti ambientali, introducendo nuove fattispecie incriminatrici (art. 727-bis c.p. e art. 733-bis c.p.) e, dall’altro, ha previsto una compiuta disciplina della responsabilità delle persone giuridiche. Ma l’efficacia resta dubbia dal momento che in Italia la tutela dell’ambiente si fonda ancora prevalentemente su reati di natura contravvenzionale, ovvero “reati minori”, con pene più miti, prescrizioni più veloci, spesso convertibili in sanzioni pecuniarie, con un effetto deterrente e repressivo molto minore. Da segnalare il progetto di riforma dei reati ambientali, elaborato dalla Commissione Ecomafia del Ministero dell’Ambiente nel 2007, che prevedeva una nuova serie di articoli da inserire nel codice penale, definendo, tra l’altro, il concetto di “delitti ambientali in forma organizzata” (le cosiddette ecomafie). Promettente, nel campo del contrasto alle ecomafie, il progetto Sistri (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti), capace di fornire dati in tempo reale alle autorità di controllo, quali il Comando dei Carabinieri per la tutela dell’Ambiente, che gestiscono il sistema di tracciabilità. Mediante sistemi elettronici i rifiuti speciali e pericolosi sarebbero monitorati lungo tutta la filiera. Il risultato andrebbe ad incidere positivamente su diversi settori: legalità, prevenzione, efficienza e pertanto maggior controllo che contrasterebbe con gli interessi delle ecomafie.

1.2 Il ciclo dei rifiuti: evoluzioni, tecniche e attori coinvoltiIl traffico internazionale di rifiuti è un fenomeno che incomincia ad affacciarsi all’inizio degli anni ‘80, quando l’adozione di normative più rigide sullo smaltimento da parte di alcuni governi europei ha reso sempre più difficile e costoso sbarazzarsi degli scarti industriali e degli oggetti dismessi. In Italia la

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presenza delle mafie "ha permesso" lo sviluppo di un mercato illegale interno (lungo l’asse direzionale Nord-Sud). A questa attività si affianca, nel corso degli anni ‘90, la gestione dei rifiuti speciali e pericolosi, un business ben più redditizio ma che necessita di strutture organizzative più complesse. Esempi emblematici sono quelli portati alla luce dall’operazione "Cassiopea" che nel 2003 portò alla luce un traffico di rifiuti pericolosi, provenienti dai poli industriali nel Nord e sepolti nelle campagne del Casertano e la vicenda dei fanghi tossici dell'ACNA di Cengio, industria petrolchimica in provincia di Savona, che - ha raccontato il collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo - negli anni sarebbe arrivata a smaltire fino a 800 mila tonnellate di scorie nella discarica di Pianura (Napoli).L'ingresso delle mafie nel settore dei rifiuti speciali e pericolosi crea, da subito, un mercato economicamente vantaggioso per tutti gli operatori coinvolti, che diventa a sua volta luogo di scambio e di contiguità fra attori legali e illegali. In questo senso si può dire che le organizzazioni mafiose hanno saputo intercettare ed esaudire una richiesta di servizi illegali che giungeva da parte di un mercato cosiddetto "legale". E’ importante notare che i servizi offerti dalla criminalità organizzata vengono ricercati non solo dai proprietari delle piccole e medie imprese che desiderano risparmiare sui costi di smaltimento, ma anche dai grandi manager di aziende di Stato che sperano di riuscire a far carriera, abbattendo i costi e migliorando la loro prestazione professionale. E', per esempio, quanto documentato dall'operazione "Mar Rosso", condotta dalla Guardia di Finanza di Siracusa nel 2003 sull'Enichem di Priolo (Siracusa), dove direttore ed ex direttore si mettevano d'accordo per falsificare la documentazione e "fottere" (Sic) gli investigatori, dopo aver scaricato a mare il mercurio prodotto dallo stabilimento. L’illecito può avvenire in ciascuna delle tre fasi del ciclo dei rifiuti (il trasferimento iniziale dal produttore all’impresa specializzata nello smaltimento, il transito, la destinazione del riciclaggio e dell’eliminazione finale). E' nella fase del trasporto e in quello del deposito che si può inserire il maggior numero di illegalità. E' stato riscontrato che in numerosi casi le società che fanno capo allo smaltimento illegale sono in grado di far giungere documenti falsi, direttamente sulle piazzole delle autostrade. Con una falsa documentazione i rifiuti possono essere spostati da un deposito all'altro fino a farne perdere le tracce (per altro, aumentando i proventi a ogni nuovo spostamento). Oppure nei depositi possono venir miscelati con altri rifiuti, meno pericolosi, in modo da diminuire la percentuale di sostanze altamente inquinanti e venir trattati semplicemente come rifiuti speciali. (Con l'avvento delle energie alternativa, una pratica più recente è quella di aggiungere i rifiuti tossici con il legname o la lolla di riso che alimenta le centrali a biomasse). In alcuni casi questi depositi sono stati fatti fallire fraudolentemente dopo aver ammassato una quantità ingente di rifiuti da smaltire. Ma il metodo più comune usato per aggirare i controlli consiste nella falsificazione dei documenti allo scopo di certificare trattamenti in realtà mai realizzati. Il ciclo legale si conclude nelle discariche autorizzate, negli inceneritori o nei centri di riciclaggio. (Quello illegale può concludersi ovunque) Se la documentazione è stata falsificata, come abbiamo visto, l'effetto può essere quello di smaltire in discariche autorizzate rifiuti fuori norma, o di bruciare negli inceneritori, pensati per i rifiuti urbani, sostanze pericolose. Tra la pratiche più dannose c'è quella di rivendere i rifiuti, fintamente trattati, come concime. Un'altra pratica è quella di triturare i rifiuti e di utilizzarli per riempire il manto stradale, poi ricoperto dall'asfalto, oppure di impiegarli nella fabbricazione di mattoni. La struttura dell'organizzazione criminale che opera nel business dei rifiuti tende a essere molto semplice, con un massimo di tre o quattro persone a capo delle operazioni, una manodopera numerosa disposta a eseguire gli ordini, e un'estesa rete di contatti con vari professionisti e compagnie. L'uso della violenza nella criminalità ambientale è estremamente raro, anche quando vi sono implicati boss conclamati. La competizione fra le varie organizzazioni si basa essenzialmente sui prezzi che sono in grado di proporre per il finto smaltimento. L'ingresso in questo mercato richiede conoscenze tecniche e buoni contatti (con i centri di stoccaggio, di riciclaggio, con i laboratori, le compagnie di trasporti etc.). Fondamentale è la figura dell'intermediario, colui che contatta le aziende che producono

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gli scarti pericolosi e le convince a compare servizi illegali; trova il luogo per lo stoccaggio e organizza il trasporto con personale "fidato". Possono essere imprenditori o broker, ma anche chimici o tecnici di laboratorio. Spesso sono a capo di imprese legali e inseriti nella comunità economica legale, che chiede loro servizi illegali per abbattere i costi. 1.3 Il ciclo del cementoL’edilizia è la prima e la più redditizia tra le attività a infiltrazione mafiosa, nonché la prima forma di riciclaggio e investimento operata dai clan. All'interno delle varie fasi del ciclo edile, le mafie monopolizzano i lavori più semplici, come quello dello sbancamento, del movimento terra, dei trasporti etc. Parlare di ciclo del cemento significa parlare di speculazioni, di costruzioni abusive e di consumo del territorio. In questa sede, però, vorremmo soprattutto mettere in risalto le sinergie e le connessioni che legano il ciclo del cemento a quello dei rifiuti a cominciare dal doppio ruolo delle imprese che, spesso, finiscono per operare in entrambi i settori.In generale, tutti gli scavi che vengono effettuati per far posto a una costruzione, possono essere riempiti con l'immondizia (soprattutto se pericolosa). Uno dei casi più recenti ed eclatanti è quello della Perego Strade, la società di Cassago Brianza, in provincia di Lecco, che, entrata nella disponibilità della 'ndrangheta, avrebbe scaricato 2000 tonnellate di materiale tossico nelle fondamenta del nuovo ospedale Sant'Anna di Como. Al processo, che si sta celebrando attualmente a Milano, 14 operai hanno confermato di aver trasportato nel cantiere comasco amianto sbriciolato, insieme allo "spaccato" di roccia, che risultava ufficialmente sui documenti. Tra le vicende simili, quella che riguarda la strada che collega Baia Domizia con l'Autostrada del Sole, detta "Asse di supporto" nella zona fra Mondragone, Casal di Principe e Caserta, pieno feudo della Camorra. Oppure ancora la vicenda emersa nell'inchiesta Star Wars che nel 2008 ha investito Desio e la Brianza. Le cave sono un altro anello debole del sistema. Secondo i dati presentati da Legambiente nel 2011, le cave estrattive attive in Italia sono quasi 6 mila, mentre 13mila sono quelle dismesse, a cui bisogna sommare quelle abbandonate in Calabria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia, portando così il numero ben oltre le 15 mila unità. In Italia si estrae tantissima sabbia, ghiaia, calcare e altro materiale da costruzione, denuncia ancora l'associazione ecologista, perché non si ricicla il materiale di demolizione (oltre al fatto che ritardi tecnologici e culturali nella progettazione delle opere, spingono all'uso del cemento come materiale di costruzione, molto più di quanto avvenga in Europa).Il quadro legislativo è fermo al Regio Decreto del 1927, la cui applicazione è materia regionale dal 1977. Questo provoca una difformità di normative che scoraggia l'imprenditore serio e avvantaggia gli speculatori a fronte di costi minimi o addirittura inesistenti per l’ottenimento della concessione governativa. In questa situazione di mancanza di normative e di controlli seri i comportamenti illeciti vengono quasi incoraggiati e non è per nulla raro trovare cave dismesse, riempite con i rifiuti. Infine, altro crimine sul quale lucrano le mafie è quello del "cemento impoverito”, realizzato al risparmio con la mescola illecita di sabbia e cemento.

2 IL CASO CAMPANIA 2.1 La crisi campana del ciclo dei rifiuti e il commissariamentoL’emergenza rifiuti ha assunto in Campania un carattere endemico da ormai 15 anni con un danno di immagine quantificato dalla Corte dei Conti in 140 milioni di euro. Finora, il Governo centrale ha sempre affrontato l’emergenza attraverso la nomina dei presidenti di Regione a commissari straordinari promuovendo la realizzazione di quattro nuovi inceneritori. La storia prende il via nel 1994, quando il prefetto di Napoli prima e il presidente della regione, Antonio Rastrelli, vengono nominati commissari straordinari all’emergenza rifiuti. Rastrelli predispose allora un piano integrato con “la produzione di un combustibile da rifiuti (Cdr) di elevata qualità”, che a ciclo chiuso avrebbe alimentato i termovalorizzatori per la produzione di energia elettrica. La gara sarebbe stata vinta in seguito da Fibe,

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un consorzio composto da quattro imprese (Fisia, Impregilo, Babcok, Evo Oberrhausen) che aveva avuto una valutazione tecnica inferiore rispetto alla concorrente Cogeco ma offriva costi più contenuti e tempi di realizzazione più bassi. Elementi che convinsero l’allora presidente della Regione Antonio Bassolino a firmare il contratto di appalto. La gara prevedeva che il vincitore realizzasse due termovalorizzatori e sette impianti di produzione di Cdr, impianti che differenziassero i rifiuti dando origine a un Cdr (combustibile derivato da rifiuti) che potesse poi essere bruciato nei termovalorizzatori producendo energia, e alla Fos (frazione organica stabilizzata) che avrebbe dovuto essere utilizzata nelle attività di bonifica ambientale. In mancanza della piena attuazione del piano regionale, dovuta in massima parte all'inadempimento contrattuale della FIBE, e al mancato decollo della raccolta differenziata, all'inizio del 2001 si registrò una nuova pesante crisi nella raccolta, che venne superata riaprendo provvisoriamente alcune discariche ed inviando mille tonnellate al giorno di rifiuti verso altre regioni e all'estero. Alla fine del 2001 erano entrati in funzione gli impianti di produzione di combustibile derivato da rifiuti di Caivano, Avellino e Santa Maria Capua Vetere, seguiti nel 2002 da quelli di Giugliano, Casalduni e Tufino, e infine di Battipaglia nel 2003. Ma il sistema di smaltimento era ancora insufficiente. Nel corso del 2007 con la progressiva saturazione delle discariche, si verificò quindi una nuova e più grave crisi nella gestione dei rifiuti, che indusse il governo in carica a intervenire direttamente individuando nuovi siti da destinare a discarica ed orientando la soluzione del problema verso la regionalizzazione dello smaltimento dei rifiuti, autorizzando la costruzione di tre nuovi inceneritori.Il Presidente del Consiglio Romano Prodi nominò nuovo commissario per l'emergenza rifiuti l'ex capo della Polizia di Stato Gianni De Gennaro, con l'obiettivo di risolvere la situazione entro quattro mesi. Ripresero così i trasferimenti di rifiuti verso la Germania tramite ferrovia, con un costo nettamente inferiore rispetto a quanto il commissariato per l’emergenza spendeva per smaltirli in Campania. Vennero individuate ulteriori nuove aree da adibire a discarica, ma subito montò la violenta protesta della cittadinanza locale. Il nuovo governo approvò un decreto legge con cui, allo scopo di avviare definitivamente un ciclo integrato dei rifiuti, si stabilì la costruzione di quattro, anziché tre nuovi inceneritori, si individuarono dieci siti in cui realizzare altrettante nuove discariche - che vennero contestualmente dichiarate zone di interesse strategico nazionale di competenza militare - e si stabilirono sanzioni fino al commissariamento per i Comuni che non dovessero portare a regime la raccolta differenziata. Venne nominato a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'emergenza rifiuti il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, già commissario nel 2006-2007.Attualmente in Campania sono in funzione sette impianti di termovalorizzazione che, secondo il progetto, dovrebbero trasformare i rifiuti differenziando gli scarti e realizzando due tipi ti prodotti: materiale combustibile da rifiuti (Cdr) e frazione organica stabilizzata (Fos). Tale obiettivo finale non è stato ancora raggiunto in nessuno dei sette impianti. Nel luglio 2010, il contestato inceneritore di Acerra ha passato in apparenza il collaudo finale, ma i documenti di tale collaudo non si trovano. Ad Acerra è stato affittato un sito da un presunto mafioso per la cifra di 9 milioni al giorno delle vecchie lire; la superficie del suolo era stata valutata di 14.500 metri quadrati, a un riscontro è risultata di 9.500 metri. Si è realizzato un sistema che a ogni snodo presenta inefficienze e mancanze, e in queste inefficienze si è infiltrata l’opera della camorra: gli appaltatori dei trasporti e dello smaltimento hanno subappaltato ad altre ditte, che a loro volta hanno subappaltato a ditte ancora più piccole, in una catena incontrollabile in cui si sono con facilità inserite le organizzazioni criminali locali, che controllano, il territorio e hanno il monopolio sul movimento terra in provincia di Napoli e Caserta. Da segnalare che la Camorra è particolarmente radicata proprio nelle zone in cui sono stati progettati la maggior parte degli impianti, ed ha quindi una notevole capacità di controllare il mercato dei suoli.

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2.2 La criminalità ambientaleLa Campania ormai dagli anni ‘90 ha il triste primato di essere la regione con il più alto numero di reati ambientali. La Camorra negli ultimi anni si è sempre più specializzata nei reati ambientali, un business ricchissimo e molto meno rischioso di altri, anche per la minore severità delle pene, attuabile grazie a una vasta disponibilità di capitale liquido e ad un capillare controllo del territorio. Ma le responsabilità sono a vari livelli, come recita la Commissione Bicamerale sull’ecomafia nel 2007, parlando di un “impasto melmoso di burocrazia inefficiente, politica clientelare e malaffare criminale”, dove politici e imprenditori conniventi e una classe politica campana e nazionale immobilista, hanno lasciato campo libero alla criminalità organizzata. Emblematiche le vicende delle irregolarità finanziarie della Eco4, società pubblica per il 51%, impegnata nel servizio di raccolta dei rifiuti in 18 comuni del consorzio Caserta4, frutto di un “patto scellerato tra politica e camorra, garanti a vicenda della loro sopravvivenza, che si autoalimentava con il business dei rifiuti”, come dicono i magistrati. Ancora più importante la presunta trattativa comissariato-servizi segreti-mafia emersa da due inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Napoli del 2010 secondo cui sull’emergenza rifiuti cala l’ombra di una possibile trattativa tra rappresentati dello Stato e criminalità organizzata. L’ipotesi è quella di un’intermediazione della camorra nella pacifica soluzione, comprendente la garanzia di “pace sociale”, dell’emergenza rifiuti nelle province di Napoli e Caserta, in cambio di appalti, ristori per le sue aziende e garanzie di varia natura, compresa la latitanza.Non mancano infine nuove figure di raccordo tra Camorra e pubblica amministrazione, ossia colletti bianchi, tecnici,“puliti”, che firmano autorizzazioni, bluffano sulle certificazioni, fungono insomma da “spina dorsale” (ecomafia 2008) della nuova criminalità ambientale. E’ ciò che accade, ad esempio, per l'autorizzazione di nuove discariche e cave.Nonostante l'avvelenamento operato, l'affare dei rifiuti e dell'abusivismo continua a dare lavoro e casa alla popolazione, sostenendo l'economia e fungendo da improprio ammortizzatore sociale per molti. Emblematico è l'esempio dell'emergenza rifiuti, di cui abbiamo detto prima, che in Campania è stata elevata a “sistema”: il persistere di tale emergenza consente di lucrare e mantenere centri di consenso e di potere e in molti hanno tutti gli interessi a che non venga risolta. Emblematico il caso dei consorzi, istituiti nel 1993 con una legge regionale, nei quali sono stati assunti circa 2.300 lavoratori, scelti tra gli iscritti alle cooperative dei disoccupati,dei Lavoratori Socialmente Utili, eredi di quei comitati di lotta dei disoccupati talvolta organizzati da personaggi contigui ai gruppi camorristi come emerso con chiarezza dalle indagini della Magistratura condotte in questi anni sui clan del centro storico.

2.3 Il ciclo dei rifiuti Le attività della Camorra hanno condotto al disastro l’economia, l’ambiente naturale e la salute dei cittadini danneggiando l'immagine di una regione che ha un Pil turistico regionale pari a 3.596 milioni di euro e 4,3 milioni di arrivi turistici annuali e che produce ed esporta in tutto il mondo specialità tipiche di eccellenza, come le mozzarelle di bufala, i pomodori di San Marzano e le mele annurche, con un brand riconosciuto a livello mondiale. Secondo la relazione tecnica del geologo Giovanni Balestri, datata 16 aprile 2010 e allegata agli atti del processo “Terra Promessa 2”, mancherebbero 53 anni al disastro ambientale irreparabile. L’Organizzazione mondiale della sanità, parla di un vertiginoso aumento delle patologie cancerogene: nel territorio che va da Acerra a Nola a Marigliano (Distretto Napoli 4), l’indice di mortalità (numero di morti l’anno per ogni 100.000 abitanti) per tumore al fegato sfiora il 38.4 per gli uomini e il 20.8 per le donne, contro la media nazionale del 14. Sono stati inoltre riscontrati eccessi di malformazioni congenite. I contadini svendono le proprie terre, ai boss, che a bassissimo costo acquistano nuove discariche. E qui, come nel resto della Campania la questione delle discariche - abusive e non - e degli intombamenti di rifiuti speciali e radioattivi in aree agricole, anche attraverso la contraffazione del compost, o in cave

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dismesse e sfruttando la costruzione di infrastrutture, è all'ordine del giorno, mentre ritardi, incagli burocratici, omertà, inerzia e corruzione favoriscono gli interessi criminali e ostacolano le attività della magistratura e forze dell'ordine, che ormai sembrano le uniche deputate a tutelare la legalità in questi luoghi. Lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani viene attuato sia attraverso turbative d'asta ed elusione delle norme antimafia sulle gare d'appalto per permettere alla proprie ditte, anche non direttamente controllate, di lavorare sia lo smaltimento illegale di rifiuti speciali sia attraverso le tecniche di giro bollo e le falsificazioni delle certificazioni sia lo sversamento clandestino. Non mancano, però, l'affitto e la vendita di terreni per lo stoccaggio e il deposito. I trafficanti di rifiuti trovano sempre infiniti modi, ed infinite vie, anche transnazionali, per smaltire veleni ed eludere i controlli. Ma lo scherzo del destino è che dopo aver rovinato la propria terra, la criminalità organizzata entra dalla porta principale anche nell'attività di bonifica del territorio che lei stessa ha avvelenato mentre le terre “bonificate”, infine, possono essere facilmente riutilizzate per speculazione edilizia.

2.4 Il ciclo del cemento La Campania è negli ultimi anni stabilmente tra i primi posti anche per quanto riguarda il ciclo illegale del cemento. Anche in questo caso cifre e dati sono impressionanti: nel solo 2010 sono state scoperte 6000 case abusive e una cementificazione di 180 ettari pari a 180 campi di calcio. Il cemento è il luogo ideale per riciclare i proventi dalle attività criminose e nel caso campano si tratta di proventi ingenti che si traducono in interi quartieri abusivi. La filiera dell'illegalità inizia con l'escavazione delle cave, la deturpazione d’intere colline e prosegue con la predazione di fiumi, torrenti e spiagge per l'acquisizione dei materiali necessari alla produzione del calcestruzzo, per concludersi con la costruzione di immobili abusivi e l'infiltrazione negli appalti pubblici. In Campania le cave attive sono 376 e quelle dismesse almeno 1.336. Tra le zone più colpite, il primato spetta alla provincia di Caserta dove almeno una cava ricade nel territorio di 75 dei 104 Comuni presenti. Qui i clan camorristici spadroneggiano e da qui partono i loro traffici legati al ciclo del cemento e quello dei rifiuti. Ma l’affare principale è l’abusivismo, concentrato soprattutto in quattro aree: la provincia di Napoli; le isole Capri, Ischia e Procida; Casal di Principe e l’area casertana, non risparmiando neppure le località di pregio, a cominciare dalle costiere (Amalfitana e Cilentana) e dall’area dei templi di Paestum, o Ischia, l’isola leader della cementificazione selvaggia. Qui nel maggio del 2008 una frana travolse una casa  abusiva sotto la collina, determinando la morte del  padre e tre  figli. Questo non impedì ai sindaci di Ischia e Procida nel 2009 di minacciare le dimissioni perché sulle isole, sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici, non era applicabile il terzo condono edilizio. Rilevante che il 67% dei comuni campani sciolti per infiltrazione mafiosa, dal 1991 a oggi, abbia subito tale provvedimento per abusivismo edilizio. L’abusivismo, per altro, diventa anche un modo per riaffermare il controllo sul territorio: complice la costante redditività del mattone, lo scarso controllo delle amministrazioni e la mancanza di demolizioni, il ricorso a tale pratica continua ad essere una grave macchia per il territorio sempre piu’ gestito dalla criminalità organizzata. Mentre il governo, invece di affrontare il problema con una posizione ferma continua varare condoni.A completare il quadro, occorre sottolineare come anche in Campania sia presente il problema del calcestruzzo depotenziato. Gli affari della camorra in questo settore si sarebbero ulteriormente allargati interessando anche il capoluogo abruzzese dell'Aquila (celebre il tragico crollo della casa dello studente) nonché la capitale Roma dove il clan Belforte ha costruito un centro commerciale (nella frazione di Acilia) utilizzando alcune imprese subappaltatrici.

3 IL CASO DELLA CALABRIA La peculiare capacità d’infiltrazione della criminalità organizzata, la ‘ndrangheta, a tutti i livelli nel tessuto sociale, economico e politico ha permesso di sfruttare l’emergenza nel ciclo dei rifiuti in cui la

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Calabria si trova da anni. Dal 1997 (ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 1997 n. 2969) il problema dello smaltimento dei rifiuti è stato affrontato mediante il ricorso all’istituto del commissariamento. Si stima che le risorse stanziate siano state pari a 1 miliardo di euro, ma nessuno degli obiettivi del 1997 è stato raggiunto tanto che la relazione della commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti in Calabria datata 2011 rileva che “si può dare atto del fatto che la regione Calabria si caratterizza: 1) per l'assenza della raccolta differenziata a livelli quantitativi degni di rilevanza; 2) per la presenza di un unico impianto tecnologico di smaltimento dei rifiuti con produzione di energia, quello di Gioia Tauro, che tuttavia, a dispetto delle maggiori potenzialità smaltisce solo circa il 10 per cento del totale della produzione annua dei rifiuti della regione.In Calabria vi sono oltre 500 discariche abusive e la regione, considerato che le discariche regolari stanno esaurendosi, potrebbe trovarsi nell'identica situazione in cui l'emergenza rifiuti ha messo in ginocchio la Campania". E` quanto emerso dall'audizione tenuta a Reggio Calabria dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. La maggior parte contengono scarti di aziende desiderose di risparmiare, dall`Enel fino alla piccola ditta di paese. Tantissimo eternit, pet-coke, addirittura resti di animali. Almeno per tre siti si è parlato di scorie radioattive. Molte discariche hanno già inquinato fiumi e falde acquifere. Alcune sorgono in zone di particolare interesse naturalistico e ambientale come la Riviera dei Gelsomini, in cui gli uomini della sezione operativa navale della GdF di Roccella Ionica, all'inizio del 2007 hanno sequestrato un'area di 15,2 km quadrati fra le colline boscose del parco nazionale. Vi erano illegalmente stoccate 45 tonnellate di rifiuti urbani e speciali, alcuni dei quali pericolosi. Merita una menzione speciale il caso di Crotone dove almeno fin dal 1985 le acque reflue industriali della Montecatini (poi Montedison ed Enichem), Pertusola e Cellulosa sono state scaricate nel fiume Neto o a mare senza alcun trattamento preventivo e i rifiuti sono stati smaltiti in discariche di fortuna. L'incidenza dei tumori a Crotone rispetto al territorio circostante risulta di molto superiore. Ma non basta: l’inchiesta “Black Mountains”, aperta dalla Procura di Crotone nel 2008, ha rivelato lo smaltimento illegale di CIC (conglomerato idraulico catalizzato), una sostanza altamente tossica e cancerogena, proveniente dallo stabilimento metallurgico Pertusola Sud e dell'Ilva di Taranto, utilizzato come materiale edile da alcune imprese per la realizzazione di opere pubbliche, tra cui scuole e case popolari.L'inchiesta ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio di 45 persone, tra cui i responsabili delle ASL, del «settore ambiente» presso il comune di Crotone, dell'ufficio bonifiche dell'area delle province di Crotone e Catanzaro, i commissari delegati all'emergenza ambientale per i periodi di rispettiva competenza e, infine, degli stessi vertici del Ministero dell'ambiente, compreso Edoardo Ronchi, già Ministro dell'ambiente, la cui posizione era stata stralciata per essere sottoposta al vaglio del tribunale dei ministri che, in data 15 giugno 2010, ha archiviato la relativa posizione, e Gianfranco Mascazzini, all'epoca direttore generale presso il Ministero dell'ambiente, che “ha presieduto, presso lo stesso Ministero, le numerose - quanto inutili - conferenze dei servizi per la bonifica dei siti inquinati, in una posizione -a dir poco - del tutto inopportuna, alla luce dei gravi e specifici reati in seguito contestati.”In tutta la vicenda crotonese gli scandali amministrativi e i legami con le cosche sono emersi a più riprese. Grazie alle connivenze con la politica locale la 'ndrangheta ha peraltro una corsia preferenziale per l'aggiudicazione delle commesse nella raccolta degli RSU in vari comuni, attraverso l'affidamento dei lavori ad imprese sotto il loro controllo, come rileva, per esempio, l'operazione “Meta” della procura antimafia di Reggio Calabria, e nella gestione dei depuratori, annoso problema calabro, come dimostrato le operazioni Nettuno e Poseidone rispettivamente della Procura di Paola e Vibo Valentia. .La vocazione interregionale e internazionale della 'ndrangheta ha fatto sì, inoltre, che, forse più che in altre regioni, la Calabria diventasse la “pattumiera di Italia e del Mondo”. Grazie alla ormai conclamata infiltrazione della 'ndrangheta nel Nord Italia e ai rapporti, anch'essi noti, con la massoneria, ma soprattutto grazie alla presenza di imprenditori e disposti a smaltire i rifiuti in maniera “più economica” seppur illegale, tonnellate di rifiuti, molti pericolosi, sono stati trasferiti fin dagli anni '80 dalle industrie

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settentrionali alle campagne calabre. Mentre a livello internazionale le rotte del traffico dei rifiuti, è ormai noto agli investigatori, seguono quelle delle armi e della droga, e non è raro che le diverse attività criminali si intreccino in frequenti interscambi. La 'ndrangheta è accusata di aver da anni smaltito rifiuti tossici principalmente in Somalia, ma anche in Kenya e nella Repubblica Democratica del Congo, dove Antonio Nicaso, in un articolo su L'Espresso parla anche di compravendita di Coltan in cambio di armi con le milizie della regione. Ed è' da tempo che si parla delle famose “Navi dei veleni”, navi affondate al largo delle coste calabre o spiaggiate, come la Jolly Rosso, casi torbido su cui non è ancora stata fatta piena luce a causa delle difficoltà tecniche nelle rilevazione dei relitti e dal “muro di gomma” che denunciano gli investigatori fatto omissioni e coperture, alcune ad alto livello istituzionale.

3.1 Il ciclo del cemento in Calabria Da quarant’anni, in questa regione, la storia della costruzione di tutte le grandi opere conferma come la ’ndrangheta, in un modo o in un altro, sia riuscita e tuttora riesca ad inserirsi in tutti i subappalti attraverso un processo ben definito nello schema: i grandi appalti vengono vinti da imprese insospettabili, i subappalti, invece, finiscono tutti in mano mafiosa. Guadagni enormi per le cosche e opere più costose e di qualità scadente per la collettività.La Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Cosenza con l’operazione denominata “Tamburo” ha dimostrato che la costruzione della Napoli-Reggio Calabria nel tratto cosentino è stata fatta da imprese subappaltatrici in mano alla mafia. Singolare di questa vicenda è il fatto che ad affidare i subappalti ai mafiosi fin dagli anni ’70 furono gli stessi imprenditori settentrionali che assunsero mafiosi o parenti di mafiosi e di confinati per garantire la sicurezza dei cantieri.Le imprese ottennero notevoli vantaggi, a cominciare dalla tranquillità: non c’erano scioperi, non c’erano né attentati né furti, ma un’assoluta pace sociale garantita dai mafiosi, mentre il vantaggio delle cosche non fu solo economico, ma anche la crescita del prestigio per essere riusciti a far scendere a patti il grande imprenditore del Nord e qualche uomo politico.In Calabria, come in Sicilia, storicamente zone ad alta densità mafiosa, le attività essenziali per la vita e la gestione quotidiana dei cantieri di costruzione – il movimento terra, i trasporti, la fornitura di materiali inerti e calcestruzzi – sono nelle mani effettive di imprese mafiose o controllate dalla mafia che sono state acquisite con il taglieggiamento o con l’usura.I gruppi mafiosi non sono certo in grado di penetrare nella progettazione o negli interventi di alta ingegneria gestionale, ma sono sicuramente capaci di intervenire in tutte le fasi successive. Come avverte la Direzione Investigativa Antimafia, DIA, le attività commerciali della ‘ndrangheta calabrese hanno ormai assunto “la natura di grande holding economico-criminale” e “il settore delle costruzioni è quello in cui maggiormente si proietta la capacità imprenditoriale della ‘ndrangheta, sì che appare ragionevole ritenere che il campo degli appalti continuerà a costituire uno dei settori privilegiati di operatività delle organizzazioni criminali”.

Il ciclo del cemento fa parte del riciclaggio del denaro sporco e le cosche calabresi, nell’investire capitali illeciti dove è più facile ripulire il denaro, si impongono e si infiltrano sfruttando il business degli appalti e dell’impiego di soldi pubblici per la costruzione di ponti, strade, gallerie, ospedali e strutture turistiche. Aggiudicarsi appalti e subappalti, imporre la manodopera e le forniture di materiali e condizionare le scelte amministrative sui piani regolatori inducendo a forzare i vincoli e a violare la normativa sulle volumetrie, sulle lottizzazioni, sono i metodi più gettonati. Come dimostrano gli esempi nell’area del Porto di Gioia Tauro oppure nella provincia di Reggio Calabria dove si è evidenziato il condizionamento mafioso degli appalti sul versante della strada Statale 106 per Taranto, nel tratto più impervio tra Bova e Africo. Anche l’utilizzo delle cave per l’estrazione di materiale inerte con cui le cosche chiudono il ciclo di gestione del cemento senza disdegnare, a volte, di contaminarlo con quello dei rifiuti, costituisce ormai uno dei metodi maggiormente utilizzati dalla criminalità organizzata per

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riciclare denaro sporco, gestire il mercato del lavoro, ingigantire i profitti, intercettare ogni investimento e controllare il territorio come dimostrano i sequestri della cava di Melicucco (RC), di Isola di Capo Rizzuto (KR), e di Curinga (CZ). Di illegalità mafiose nel ciclo dl cemento vi sono esempi distribuiti in tutta la Calabria su cui lavorano le Procure, ma gli interessi della ‘ndrangheta non si limitano a questa regione: si estendono infatti in tutto lo “stivale” e particolarmente in Lombardia e in Liguria. Ma non ne sono stati immuni neanche i lavori della Tav piemontese.

4 IL CASO DELLA SICILIA Il fatto che ci sia un ruolo attivo delle cosche nel traffico e smaltimento dei rifiuti e negli appalti per la raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani in Sicilia è assodato da numerose indagini delle Procure dell'isola, ma quello che preoccupa, come sottolinea il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Gasso, è che l'emergenza rifiuti siciliana sembra il frutto di un preciso orientamento di alcuni settori imprenditoriali e di lucide scelte di amministratori e politici. Come recita la relazione della Commissione sul ciclo dei rifiuti, è un sistema “che si pone come obiettivo non già lo smaltimento di rifiuti, ma il non smaltimento”. Parole molto pesanti che prospettano un meccanismo creato “ad arte”, che ha sfruttato e perpetrato una cronica carenza infrastrutturale e una cattiva gestione, commissariale ma non solo, a vantaggio del profitto dei gestori privati delle discariche e di tutti coloro che hanno potuto trarre beneficio dal business milionario: dai trasportatori alle ditte beneficiare degli appalti nella gestione degli RSU, da amministratori senza scrupoli fino ai lavoratori indebitamente assunti nei consorzi ATO, passando ogni volta per Cosa nostra stessa.In Sicilia quasi il 93% dei rifiuti viene seppellito in discariche (fonte Ispra) e la raccolta differenziata si attesta a livelli bassissimi (6-7%), nonostante numerosi anni di commissariamento e milioni di euro per incentivarla. Secondo la Corte dei Conti solo tra il 1999 e il 2005 oltre 250 milioni sono stati spesi dai cittadini per la gestione dell'emergenza in Sicilia, un quinto dei quali solo per sostenere la struttura burocratica del commissariato. Nel 2010 la relazione della Commissione di Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti metteva sull'avviso giungendo a dire che “assolutamente inutile, anzi deleteria, appare […] la dichiarazione dello stato di emergenza e la nomina di un commissario delegato, come peraltro avvenuto in passato senza alcun risultato, se non quello di alimentare l'emergenza medesima e quindi l'inefficienza del settore”. Per tutta risposta il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza rifiuti in Sicilia fino al 31 dicembre 2011.In Sicilia, a differenza della Campania, gli interessi della mafia si sono mossi soprattutto alla partecipazione alle gare di appalto, tanto che ciò che preoccupa maggiormente i magistrati è il comportamento seguito dalla pubblica amministrazione siciliana: “una strada con livelli di trasparenza insoddisfacenti, […] in un contesto come quello siciliano, di accertata infiltrazione della criminalità organizzata nelle procedure consensuali, in genere, e in quelle relative al ciclo dei rifiuti, in specie”. Preoccupazione espressa anche dalla Commissione sul ciclo dei rifiuti. L'evidenza è che scelte politiche e amministrative hanno favorito una progressiva migrazione della mafia nel settore dei rifiuti: il sistema di finanziamenti e deroghe, consentito dalla gestione commissariale e la spesa continuamente finanziata sono stati una manna per le cosche, tant'è che la Corte di giustizia delle Comunità Europee, su ricorso della commissione Europea, ha addirittura sentenziato nel luglio 2008 l'illegittima procedura di aggiudicazione dei lavori per la costruzione di quattro termovalorizzatori voluti dal Commissariato come panacea di tutti i mali, in particolare per aver stipulato le convenzioni senza idonea pubblicizzazione dei bandi di gara. In seguito, nel 2010, la Dda di Palermo, ha sequestrato importanti documenti relativi alla gara di appalto in un indagine tesa a fare chiarezza su presunte infiltrazioni mafiose nell'affare, ma anche sulla regolarità della gara. L'ipotesi di reato è che le stesse imprese, grazie a tangenti offerte a compiacenti funzionari pubblici, si sarebbero spartite i lavori e poi, dopo la dichiarazione di illegittimità venuta dall'Europa, avrebbero fatto andare deserte le gare successive per

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indurre la regione ad abbandonare la strada del bando pubblico.Preoccupante è stata la creazione e gestione dei 27 Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) voluti dal piano del precedente governatore Totò Cuffaro, approvato nel 2002. Questi organismi amministrativi sembrano essere stati utilizzati soprattutto come strumento clientelare con un alto costo per la collettività, accumulando, si stima, un debito di 800 milioni di euro tra il 2002 e il 2009. Con l’istituzione di questi enti, esclusivi della Sicilia, i comuni erano stati esautorati dal compito di gestire il servizio di nettezza urbana, lasciando il campo libero ad un imponente e dispendioso apparato burocratico, gestito da Spa a capitale pubblico in cui comuni e provincie sono gli unici soci. La creazione di società miste (pubblico-privato) appositamente destinate alla prestazione di servizi in materia ambientale, ottenuta attraverso lo sfruttamento di canali che legano le cosche alle amministrazioni locali (eludendo sia il controllo pubblico sia il confronto con la concorrenza negli appalti), è infatti una delle strategie adottate dalle organizzazioni criminali che controllano il territorio. Il 24 marzo 2010 L’assemblea regionale ha approvato la riforma di questi ambiti, riducendoli da 27 a 10, ridefinendone gli obiettivi, annullando tutte le assunzioni effettuate senza concorso pubblico e vincolandoli a non dare lavoro a nuovo personale per i prossimi tre anni. Dando uno sguardo alle maggiori inchieste di ecomafia degli ultimi anni, esse ben esplicano quali sono i livelli di infiltrazione della mafia nel ciclo dei rifiuti. A tal proposito si ricordano l'operazione della squadra mobile, in collaborazione con il personale del commissariato di Gela, “Munda Mundis” nel 2007 che prende le mosse dalle indagini su una presunta infiltrazione mafiosa nella gestione dei rifiuti solidi urbani della città, ma anche l'operazione “vivaio”, effettuata nel 2008 a Barcellona Pozzo di Gotto dai ROS dei carabinieri, che ha permesso di portare alla luce gli interessi della malavita barcellonese nel business della gestione dei rifiuti e l'indagine sulla miniera di Pasquasia, o meglio ex miniera diventata discarica, al cui interno e nelle immediate vicinanze potrebbero trovarsi cumuli di amianto e di olio elettrico pericoloso. Veleni, tra cui si ipotizza addirittura la presenza di scorie nucleari, che hanno compromesso per anni la salute del territorio e della popolazione. Indagati dalla Procura di Enna ci sono anche il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, e gli assessori regionali alle Infrastrutture Piercarmelo Russo e all’Energia, Giosuè Marino (ex commissario antiracket). L'accusa ipotizzata nei confronti del presidente della Regione Sicilia (e di due assessori regionali) è quella di omissione di atti di ufficio e gestione non autorizzata dei rifiuti. In termini generali, in Sicilia sono tanti, troppi, i rifiuti prodotti che mancano all'appello, molti dei quali speciali e pericolosi.

4.1 Il ciclo del cemento Come è ormai noto gli uomini d’onore sono in grado di controllare l’intero settore economico dell’edilizia. Attraverso il pizzo imposto alle imprese edili, il controllo sulle forniture e gli appalti, le cave abusive e non, le cosche riescono a incamerare enormi ricchezze. Un vero e proprio sistema economico criminale, autonomo, parallelo a quello legale, che fa saltare le regole del libero mercato e consente ai boss di appropriarsi dei finanziamenti pubblici.Nel 2010, la Corte dei Conti, attraverso un'ampia relazione, non ha mancato di lanciare l'ennesimo monito sulla mafia imprenditrice: un'entità che, stando ai giudici contabili, continuerebbe ad investire in settori economici strategici come quello immobiliare. Il trasporto degli inerti, la produzione di calcestruzzo, l'assunzione di manodopera in nero sono tutti fattori che andrebbero a rimpinguare un affare da diversi milioni di euro. Sul territorio siciliano si deve sempre prestare attenzione, soprattutto in questo particolare momento storico, ed è inutile nascondere che il settore edile ha spesso fornito copertura a varie operazioni illecite.Intanto il numero di piccole e piccolissime imprese impegnate in edilizia non accenna a diminuire. Il rischio è che simili entità societarie, destinate a dissolversi nel giro di poche settimane, siano alla base di giri d'affari indotti dalla disponibilità di capitali assai anomali, spesso frutto di azioni criminali.Nel frattempo la mafia a Palermo scava la metropolitana, infiltrandosi nella gestione degli appalti che

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costruiscono e divorano la città. Diffusissimo il cosiddetto calcestruzzo depotenziato che sarebbe stato utilizzato per costruire gli aeroporti di Palermo e Trapani, il porto turistico di Balestrate, e perfino il commissariato di Polizia di Castelvetrano vicino Trapani oltre al Palazzo di giustizia e la diga foranea di Gela per citare solo alcuni esempi.

5 ECOMAFIE IN LOMBARDIALa vicenda della società privata Perego, oggetto di una vera e propria scalata da parte della ‘ndrangheta, evidenzia la straordinaria capacità della mafia di penetrare in un territorio di eccezionale importanza come quello lombardo. Ivano Perego, brianzolo, è il proprietario della Perego Strade, poi Perego General Contractor. Perego Strade era un'azienda di punta del settore, con 64 cantieri aperti, e capace addirittura di partecipare al bando per la realizzazione del nuovo edificio da adibire a struttura giudiziaria davanti al palazzo di Giustizia. Aveva 300 operai, un giro d'affari di 150 milioni e un obiettivo: Expo 2015. La realtà finanziaria della società, però, è molto meno solida di quanto non si voglia far credere e, secondo i giudici, Ivano Perego "decide in modo calcolato e consapevole di aprire le porte dell'azienda a personaggi di estrazione calabrese, i cui metodi sono altrettanto noti".Nel 2008 la compagine sociale cambia con l'ingresso di società fiduciarie che portano liquidità in azienda. Dietro alla finanziaria che fa da schermo- scopriranno poi le indagini - si celano Andrea Pavone e Salvatore Strangio. L'ingresso di Pavone e soprattutto quello di Strangio, segnano un vero e proprio salto di qualità della presenza mafiosa nel settore. La società aumenta la sua capacità di aggiudicarsi commesse pubbliche, grazie alla presenza capillare di affiliati nei "posti che contano" e ai rapporti intrattenuti con esponenti politici locali e funzionari pubblici, definiti dal giudice per le indagini preliminari, Giuseppe Gennari, "un capitale aggiunto". Nasce così la Perego General Contractor. Dalle indagini emerge che la presenza di Strangio all'interno della Perego ha un obiettivo preciso: "Prendere il controllo di una delle maggiori società del settore della Lombardia" e "procurare vantaggi ad altre realtà imprenditoriali, sempre facenti capo alle stesse persone e agli stessi ambienti".In un primo momento, però, l'ingresso di Strangio alla Perego crea tensioni, perché Ivano Perego aveva già stretto accordi con i cugini Michele e Domenico Oppedisano di Rosarno, che a loro volta volevano assumere il comando dell'azienda. Gli Oppedisano ricorrono allora a Giuseppe Pelle, all'epoca dei fatti "capo crimine", ma il capo della 'ndrangheta si schiera dalla parte di Strangio, consapevole a sua volta di essere stato messo lì per salvare l'impresa edile dalla bancarotta e di dover assicurare una spartizione equa dei lavori fra le famiglie 'ndranghetiste secondo le regole del sodalizio mafioso. Dal momento in cui Strangio entra nell'azienda si comporta da padrone, pur essendo formalmente assunto come addetto alla sicurezza dei cantieri. La vita all'interno della società cambia. I dipendenti sono costretti a una riduzione dell'orario di lavoro e a smaltire illegalmente i rifiuti. La procura di Como, che sta seguendo il filone relativo ai reati ambientali, ha quantificato in 2000 tonnellate i rifiuti tossici, smaltiti in modo illecito dalla Perego, trasportati con almeno 150 carichi. Quando ci si trova ad avere a che fare con imprenditori estranei al sodalizio mafioso, ma in qualche modo contigui, la questione, anche da punto di vista giuridico, è quella di riuscire a distinguere se sono vittime o colluse. A questo proposito Gennari scrive: " Il fatto che l'imprenditore sia colluso - deve essere molto chiaro - non vuole dire che non debba fare i conti con il potenziale di intimidazione della associazione … La differenza con l'imprenditore vittima è che questi subisce la violenza del gruppo senza trarne alcuna utilità; l'imprenditore colluso, invece, decide di convivere con l'imposizione che è chiamato a subire, strumentalizzandola per avvicinarsi all'organizzazione criminale ed aprire un canale di ritorno. In definitiva, l'esistenza di una relazione di do ut des, ancorché nell'ambito di un rapporto sinallagmatico ineguale, è la chiave di volta per definire il limite oltre il quale sorge la responsabilità dell'imprenditore. Ebbene, Perego si pone abbondantemente al di là di questa linea".Perego, dunque, costituisce "il principale strumento di accesso" per i clan desiderosi di entrare a far

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parte dell'imprenditoria lombarda e di metter le mani sugli appalti pubblici. Perché lo fa? Secondo il Gip perché "trae notevolissimi vantaggi, conseguendo e perseguendo esattamente gli stessi fini dell'associazione: l'accaparramento di appalti, il controllo del mercato, la condivisione del sistema di gestione mafiosa delle attività di demolizione e movimento terra", oltre a numerosi "vantaggi personali".Per concludere, tutta la vicenda Perego mostra che la 'ndrangheta è diventata un "fenomeno assolutamente radicato e che ha assunto in modo incredibilmente indisturbato il controllo di interi settori d'impresa, in un bacino territoriale ed economico di eccezionale importanza, quale quello lombardo. Per ciò che riguarda le dinamiche degli illeciti osservati, è opportuno ricordare l’esempio dell'Operazione Star Wars, di cui si è parlato nell'introduzione al ciclo del cemento. Luogo della vicenda è la cava di via Molinara a Desio, dove i fratelli Stellitano prelevavano terra per rivenderla a un produttore di calcestruzzo, riempiendo le fosse che si venivano a crearsi con materiali di risulta. Occorre sottolineare che la cava di via Molinara, era in realtà un terreno a uso agricolo successivamente trasformato. Secondo la deposizione del Comandante della Polizia provinciale di Monza e della Brianza, Flavio Zanardo, i principali attori di questa storia, come i fratelli Fortunato e Giovanni Stellitano, che in parte sono in carcere e in parte sono usciti, risultavano affiliati alla cosca Iamonte e avevano anche un’azienda, ovviamente fallita, che si occupava di demolizioni. “È ovvio che, andando a demolire edifici, portavano l’esito di tale demolizione in quell’area, però spesso conferivano non solo il materiale edile ma anche residui plastici contenenti diverse materie e intrisi di idrocarburi che vi erano all’interno. Arrivavano vasche che contenevano questi materiali in polvere, i quali venivano scaricati dentro la cava di Via Molinara”. Ciò che il Comandante Zanardo rivela tra le righe è che il traffico di rifiuti pericolosi in Brianza inizia da un illecito "minimo", quale la recinzione delle terre agricole, che vengono così sottratte alla vista e al controllo della comunità. Su queste stesse terre, poi, si è tollerata la cementificazione di piazzole per i camion, fino alla costruzione di capannoni industriali. "Piccoli" abusi edilizi che hanno finito per frazionare il territorio in una miriade di parcelle incontrollate, sulle quali hanno potuto svilupparsi illeciti maggiori.Inquinare un luogo e poi cercare di aggiudicarsi al bonifica. E’ questa un’altra pratica diffusa nel quadro dei reati ambientali. Emblematica in questo senso la vicenda di Salvatore Accarino, campano di nascita, ma legato al clan di 'ndrangheta di Pepè Onorato, Accarino, e condannato in primo grado a sei anni di reclusione nel 2003, in seguito all'inchiesta su un clamoroso traffico di spazzatura che da Napoli, risaliva la penisola fino a Varese. A gennaio del 2010, nel corso dell'operazione significativamente denominata "Replay", gli inquirenti scoprono che non solo Accarino e i suoi uomini sono nuovamente "in attività", ma che sono riusciti a tornare nell'area della cartiera Le Fornaci, in provincia di Varese, aggiudicandosi l'appalto per il trasporto e il trattamento dei rifiuti che loro stessi avevano seppellito anni prima. E ancora una volta lo smaltimento avviene solo sulla carta. I camion delle società di Accarino caricavano al mattino la terra contaminata che veniva portata in località La Valle a Fagnano Olona. Qui i documenti venivano falsificati mediante il cosiddetto metodo del "girobolla", e i rifiuti spediti in altri due siti di smaltimento del gruppo a Legnano e Briona, che provvedevano a farli sparire. Come al solito, il reato non sarebbe stato così facile da organizzare senza una vasta rete di complicità e protezioni. Fra le persona indagate sei funzionari di banca delle province di Verbania, Varese e Milano e un consigliere di Solaro, che avrebbero permesso ad Accarino e famiglia di gestire direttamente i conti dei loro prestanome. Salvatore Accarino è stato nuovamente condannato il 17 dicembre 2010 a 6 anni e mezzo di reclusione per “traffico illecito di rifiuti pericolosi, riciclaggio e falsificazione di documenti”.Infine, c'è un altro caso che vale la pena di raccontare, anche se molto noto, perché ben rappresenta i crimini ambientali commessi dai colletti bianchi e le sue implicazioni. Stiamo parlando della mancata bonifica del quartiere di Santa Giulia, un nuovo quartiere che avrebbe dovuto sorgere ai margini sud-est della città, progettato da Sir Norman Foster. Qui la bonifica si rende necessaria per via delle acciaierie e delle industrie chimiche che sorgevano su questi terreni e i lavori vengono affidati a Giuseppe Grossi, considerato il "re delle bonifiche" e deceduto recentemente. Qui, secondo gli investigatori il reato

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sarebbe stato commesso su due piani diversi. Da una parte la frode fiscale attuata, secondo i pm milanesi, gonfiando i costi per il trasferimento dei veleni in Germania per ben 23 milioni di euro. Dall'altra, la mancata bonifica dei terreni quando non lo svernamento di nuove sostanze. Ma andiamo con ordine: nell'accusa di frode fiscale Grossi era stato rinviato a giudizio dopo aver rinunciato a un patteggiamento e aver restituito allo Stato 17 milioni di euro. Al contrario, sua moglie, Rosanna Gariboldi, accetta di patteggiare e viene condannata a due anni. Entrambi godono di relazioni molto importanti nel mondo politico lombardo e nazionale. La Gariboldi, ex assessore provinciale a Pavia, resta implicata nel fallimento di una società immobiliare con Massimo Ponzoni, sua volta ex assessore regionale all'Ambiente e oggi semplice consigliere. Grossi è molto vicino alla Compagnia delle Opere e all'esponente del Pdl pavese Gianfranco Abelli, oltre che al presidente della Regione; Roberto Formigoni, tutti vicini al movimento di Comunione e Liberazione. Fino a qui il reato (ancora presunto nel caso di Grossi) commesso dalla coppia, si inserisce nei reati dei cosiddetti "colletti bianchi". C'è però un episodio che proietta una luce fosca su tutta la vicenda: nel momento in cui la Gariboldi è detenuta in carcere, Carlo Chiriaco, potente direttore sanitario della Asl pavese poi arrestato durante l'inchiesta Infinito, con l'accusa di essere uno dei referenti della 'ndrangheta a Pavia, si dà un gran daffare per procurarle dei certificati medici falsi che attestino l'inconciliabilità della vita in carcere con il suo stato di salute. Intanto nel cantiere di Santa Giulia lavoravano alcune imprese vicine alla 'ndrangheta, secondo la ricostruzione dei pm e secondo alcune testimonianze rilasciate che hanno raccontato di un intenso traffico notturno di camion per scaricare rifiuti e macerie senza dare nell'occhio. E' la stessa ordinanza di sequestro preventivo ad affermare che che nei cantieri di Santa Giulia "venivano eseguiti scavi con successivo riempimento non autorizzato attraverso il deposito di macerie". Gli esami dei tecnici Arpa, l'Agenzia Regionale per l'Ambiente, rilevano concentrazioni fino a 100 volte superiori la norma, per sostanze cancerogene come il cromo esavalente e e il cadmio. Il caso santa Giulia è stato analizzato anche dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, il cui presidente scrive: "Credo siano mancati soprattutto i controlli amministrativi: arrivare a un sequestro dopo tanti anni e con di fronte un evidente inquinamento della falda acquifera vuol dire che chi sarebbe dovuto intervenire non l'ha fatto". A questo proposito si noti che una prima irregolarità "minima" riscontrata dagli inquirenti è il mancato pagamento da parte di Grossi della fideiussione, che si deve dare a garanzia dei lavori di bonifica, che la Regione non pretende, esattamente come era avvenuto per la bonifica della ex Sisas di Pioltello, un altro degli appalti affidati al "re delle boriche" e terminato fra mille polemiche. In questo contesto la Regione Lombardia ha deciso nel febbraio scorso, di riformare l'Arpa, l'Agenzia Regionale per l'Ambiente, secondo criteri di razionalizzazione. La riforma è stata interpretata, però, da alcuni come un mezzo per depontenziare la struttura e limitarne l'autonomia. In particolare ha suscitato notevoli perplessità la decisione di togliere la qualifica di polizia giudiziaria ai dipendenti. Questo significa che d'ora in avanti i tecnici dell'Ente dovranno inviare le proprie segnalazioni alla direzione del'Arpa e non più, come in passato alla procura. Non potranno più, tra le altre cose, decidere un sequestro provvisorio in attesa della convalida né condurre un interrogatorio. Significa anche far saltare il segreto istruttorio e far pagare il tribunale per le analisi che vengono richieste e che prima erano gratis.Un grosso attacco, dunque, all'indipendenza degli scienziati e dei tecnici, che dovranno ora rispondere ai loro superiori. Ma, si badi bene, per un accordo raggiunto con i sindacati, la perdita di qualifica e di compiti non si è tramutata in una perdita salariale. E il Corriere della Sera, il quotidiano più diffuso in regione, nota che questa riorganizzazione, che si configura come un accentramento dei controlli, avviene all'indomani di un'inchiesta che ha portato al sequestro di una discarica (quella di Garegnano) sulla quale insiste un imponente piano di trasformazione urbanistica.

6 LE INFILTRAZIONI MAFIOSE NEL SETTORE DELLE ENERGIE RINNOVABILI A seguito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico del 1992 e del

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protocollo di Kyoto del 1997, nel dicembre del 2008 gli Stati membri dell’UE hanno fissato una serie di obiettivi ambiziosi nell’ambito di un pacchetto di misure concrete per la lotta al cambiamento climatico.Tale pacchetto prevede entro il 2020 la riduzione del 20% rispetto ai livelli del 1990 delle emissioni complessive di gas a effetto serra dell’UE, l’aumento del 20% di efficienza energetica e l’aumento della quota di rinnovabile al 20% sul totale dell'energia consumata a livello comunitario. In base a questo progetto gli obiettivi fissati per l'Italia prevedono il taglio del 13% di emissioni di C0 2 nei settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni (Ets) e l’aumento del 17%, rispetto ai livelli del 2005, dei consumi energetici da fonti rinnovabiliIn quest’ambito la Commissione Europea ha, a più riprese, messo in evidenza l’importanza del contributo offerto dalle biomasse per raggiungere gli obiettivi preposti sul clima e sull’energia.Contestualmente il Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili assegna un ruolo fondamentale alle biomasse che dovranno fornire nel 2020 quasi la metà dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.

6.1 BiomasseAi fini energetici la biomassa comprende tutte quelle sostanze organiche che possono essere utilizzate direttamente come combustibili o che possono essere trasformate in biocombustibili solidi, liquidi o gassosi. In Italia il reperimento della biomassa legnosa avviene in particolare con:- recupero degli scarti dalle segherie a seguito delle operazioni di lavorazione del legno (Industria del legno).- interventi di utilizzazione forestale e manutenzione del patrimonio boschivo (Forestazione).- recupero delle potature del verde urbano (manutenzione del territorio urbano).- recupero delle potature dei frutteti e vigneti e sottoprodotti agricoli (Scarti dell’Agricoltura).- interventi di Short Rotation Forestry (SRF) o piantumazione di biomassa a rapido accrescimento per produzione legnosa (Produzione agricola)- importazione dall’estero (Brasile, Argentina, Russia, Canada, Cuba ecc.) .Gli impianti a biomassa possono essere dedicati alla produzione di energia elettrica (centrali termiche), alla produzione di calore (teleriscaldamento), oppure alla cogenerazione (produzione di calore ed energia elettrica). Il rendimento elettrico lordo di questi impianti risulta però inferiore al 20%-22% e la loro sussistenza economica può essere favorita solo dagli incentivi previsti dalla normativa (Cip 6/92 e Certificati Verdi). In Italia, il sistema degli incentivi ha creato un mercato regolamentato dei certificati di emissione: i certificati “verdi” (che comprovano la quota di energia prodotta dagli impianti alimentati a fonti rinnovabili) e i certificati “bianchi” (detti anche titoli di efficienza energetica (TEE) che certificano i risparmi energetici verificati). Secondo Lega Ambiente in 663 comuni italiani sono presenti centrali a biomassa solida, mentre in 478 comuni si trovano centrali a biogas.

6.1.1 Punti critici del sistemaLe principali fonti di rischio d’illegalità in questo settore sono legate al cospicuo giro d’affari che si è creato attorno ad un settore produttivo relativamente giovane ed in forte espansione. Tra i casi più significativi di infiltrazione nel settore meritano di essere ricordate l’inchiesta “Mafia dei boschi”, che ha svelato l’esistenza di un “cartello mafioso” operante in cinque comuni della provincia di Reggio Calabria e dedito al controllo dei lavori di utilizzazione forestale mediante l’imposizione del pizzo alle ditte forestali e mediante azioni di turbativa d’asta degli appalti pubblici, e l’operazione “Dirty Energy” che ha portato all’accusa di truffa aggravata e di frode in pubbliche forniture nell’impianto della società Riso Scotti Energia. L’impianto della Riso Scotti era nato come centrale a biomasse, dedicata allo smaltimento della lolla del riso, ed era stato in seguito trasformato in impianto di coincenerimento autorizzato a smaltire anche rifiuti speciali non pericolosi. L’energia prodotta dall’impianto veniva in parte utilizzata dagli stabilimenti del gruppo Scotti ed in parte immessa sul mercato, accedendo in tal modo alle incentivazioni dei Certificati Verdi. Dalle indagini è emerso che nel corso degli anni 2007 –

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2009, grazie false certificazioni rilasciate da laboratori di analisi chimiche compiacenti, all’impianto siano state conferite 40.000 tonnellate di rifiuti urbani e industriali pericolosi, provenienti da impianti di smaltimento del Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna, Toscana e Puglia. Dall’energia prodotta con questo materiale la Società avrebbe ricavato indebiti profitti per almeno 28 milioni di euro.

6.2 Solare ed eolicoEolico e solare sono le fonti rinnovabili che hanno le maggiori potenzialità di sviluppo nell’immediato futuro. Grazie anche alle nuove tecnologie, la loro importanza è cresciuta in maniera esponenziale e si prevedono ulteriori incrementi sia a motivo degli incentivi previsti dalla legislazione nazionale ed europea, sia per la possibilità – soprattutto per gli impianti solari – di poter facilmente dimensionare le produzioni in base alle diverse esigenze locali.

6.2.1 Il solare in ItaliaIn base ai dati riportati nella terza edizione del Solar Energy Report (aprile 2011), in Italia nel 2010 vi è stata una forte crescita del settore fotovoltaico, che, con l’installazione d’impianti per 2100 MW, ha visto un incremento del 192% rispetto al 2009. Grazie a queste nuove installazioni alla fine del 2010 sul territorio nazionale erano in funzione circa 210.000 impianti fotovoltaici, per una potenza complessiva di circa 3.276 MW. A questa potenza installata va poi aggiunta quella degli impianti costruiti entro il 31 dicembre 2010, ma non ancora allacciati alla rete. Il GSE, a tale proposito, ha reso noto che in seguito al “Salva Alcoa” sono pervenute ai suoi uffici oltre 55.000 domande, per un totale di circa 4 GW di potenza complessiva. Da un punto di vista economico la realizzazione di tutti questi impianti, compresi quelli già allacciati alla rete e quelli che potrebbero beneficiare del summenzionato decreto, ha creato un volume di affari stimato in 21,5 miliardi di Euro. L’impressionante e costante crescita del fotovoltaico in Italia è confermata anche da Lega Ambiente che, nel proprio Rapporto Comuni e Rinnovabili 2011, rileva ben 157.945 impianti, distribuiti in 7.273 Comuni italiani,con un aumento di 962 comuni solo nell’ultimo anno. La diffusione riguarda tutto il territorio nazionale, anche se il maggior numero d’impianti è ubicato nel nord Italia. In questa classifica al primo posto si trova la Lombardia con oltre 21.000 impianti di potenza compresa da 1 a 20 KW, seguita dal Veneto e dall’Emilia-Romagna.

6.2.2 Il settore eolicoIn Italia a fine 2010 risultavano installati impianti eolici per una potenza complessiva di 5.797 MW, di cui circa 950 prodotti da 63 impianti attivati nel corso dello stesso 2010, e 8.374 GWh di energia elettrica. Queste cifre, che pure evidenziano un rallentamento nella crescita rispetto agli anni precedenti, posizionavano l’Italia al terzo posto in Europa tra i produttori di energia eolica, dopo Germania e Spagna. Il Piano nazionale italiano stima un potenziale tecnico per l’eolico di circa 16.000 MW, corrispondenti a 24.095 GWh di produzione, da raggiungere entro il 2020. Tale obiettivo potrà essere raggiunto con una crescita della potenza installata di circa 1.000 MW/anno che, secondo dati Anev (Associazione Nazionale Energia del Vento), comporteranno la mancata emissione di 23,4 milioni di tonnellate di CO2, 53.326 tonnellate di NO2, oltre 38 mila tonnellate di SO2 e circa 6 mila tonnellate di polveri sottili.Sono 374 i Comuni italiani che ospitano impianti eolici, divisi tra quelli di grande e piccola taglia, distribuiti soprattutto in “Piccoli Comuni”, con meno di 5.000 abitanti, ed ubicati per la maggior parte in Sicilia, nell’Appennino meridionale tra Puglia, Campania e Basilicata, ed in Sardegna. La Sicilia, con i suoi 1.422 MW di potenza eolica installata, è la maggiore produttrice di energia eolica, seguita dalla Puglia, 1.317 MW, dalla Campania, 814 MW, dalla Sardegna, 671 MW, dalla Calabria, 597 MW, e via via dalle altre regioni. Anev (Associazione Nazionale Energia del Vento) analizza con un proprio studio del 2011 le potenzialità di crescita in Italia del settore eolico, prevedendo di raggiungere al 2020 circa 16.200 MW di potenza installata, partendo dai 5.797 MW attribuiti ai 4.851 impianti presenti sul

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territorio nazionale a fine 2010. Da quest’analisi emerge come le cinque regioni (Sicilia, Puglia, Campania, Sardegna e Calabria) maggiori produttrici di energia eolica, possano ancora esprimere potenzialità per 4.074 MW raggiungendo la quota complessiva di 8.885 MW. In particolare la Campania e la Sardegna, rispettivamente con 1.101 e 1077 MW potenziali, rappresentano ancora aree molto interessanti per il settore dell’eolico, mentre la Sicilia, con i suoi attuali 1.449 MW, ha quasi raggiunto la sua potenzialità di 1.900 MW. Altre realtà vocate per l’espansione del settore sono poi il Lazio e l’Umbria dove si prevedono, rispettivamente, impianti per 900 e 1090 MW, con incrementi nei dieci anni di 891 e 1.088 MW. La Puglia risulta invece la regione con la maggiore “vocazione eolica”, infatti si prevede che la potenza installata al 2020 possa raggiungere i 2.070 MW con un incremento, dal momento della rilevazione, di 784 MW. Tra le restanti regioni in testa si trova la Calabria con un potenziale di 1.250 MW ed un incremento di oltre 650 MW, seguita dall’Abruzzo, che dagli attuali 225 passerà a 900 MW, la Basilicata (da 279 a 760 MW), il Molise (da 372 a 635 MW), la Toscana (da 45 a 600 MW), la Liguria (da 21 a 280 MW) e l’Emilia-Romagna (da 16 a 200 MW). Le restanti regioni, che attualmente hanno una potenza installata di 16 MW, potranno raggiungere la quota complessiva di 1.734 MW. Nello studio sono inoltre previsti impianti Offshore per una potenza complessiva di 200 MW. In base a queste previsioni nel 2020 nel settore dell’eolico vi potranno essere 67.010 occupati.

6.2.3 Punti critici di sistema per solare ed eolicoSe da un lato il settore delle energie rinnovabili, eolico, solare e biomasse, si presenta particolarmente dinamico ed in continua espansione, con un notevole giro d’affari, dall’altro lato proprio questa dinamicità e questo giro d’affari espongono facilmente l’intero sistema al rischio di illeciti, ponendolo spesso in contrasto con una normativa non sempre chiara e con complesse procedure amministrative. A favorire l’insorgere di comportamenti criminali, infatti, è soprattutto la lentezza dell’iter amministrativo che, di fatto, porta all’approvazione di progetti che sono obsoleti ancor prima di essere realizzati, senza la possibilità di apportare modifiche sostanziali che richiederebbero la revisione di tutte le procedure. Ed è proprio in questa fase si inserisce una figura considerata anomala, quella dello sviluppatore, un soggetto capace di curare i rapporti con il territorio proponendo nuovi progetti senza avere le risorse necessarie, spesso neppure competenze specifiche, per la loro realizzazione. A tale proposito Legambiente evidenzia come la figura dello sviluppatore, all’interno di un quadro normativo incerto, possa favorire comportamenti illegali proprio nei territori dove vi è una forte presenza della criminalità organizzata, che esercita direttamente o indirettamente il controllo del territorio. L’illecito è quindi connesso al “pizzo”, ed a tutto quanto è legato alla realizzazione degli impianti, tant’è che l’intervento della magistratura in molte indagini ha riguardato le fasi di progettazione e autorizzazione, bloccando gli impianti ancora prima della loro realizzazione.

7 CONCLUSIONI In Italia il riciclaggio di capitali illeciti ammonta intorno al 10% del Pil nazionale, stando ai dati presentati recentemente dalla Banca d’Italia. La corruzione viene stimata dalla Corte dei Conti in 60 miliardi di euro l’anno e l’evasione fiscale è calcolata per difetto in 50 miliardi.Bastano questi pochi dati per capire che in Italia il discrimine che separa la legalità dall’illegalità assume in alcuni casi un profilo molto sottile. I risultati di questa ricerca mostrano molto chiaramente che esiste nella società una domanda di servizi illegali che viene esaudita dalle organizzazioni criminali. Il mercato dei crimini ambientali diventa un luogo, anche fisico, di incontro fra mafiosi propriamente detti, imprenditori, professionisti, politici e amministratori, che spartiscono una serie di interessi comuni e che guardano all’ambiente come a una fonte di speculazione e clientela politica. Da qui, il ritardo nell’approvare delle leggi che contrastino il fenomeno e la scarsa applicazione di quelle esistenti.

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School of Management Politecnico di Milano - Energy & Strategy Group (2011)Biomass Energy Report – Il business delle biomasse e dei biocarburanti nel sistema industriale italiano – Giugno 2011Comune di Longobucco Sila in pericolo<www.comune.longobucco.cs.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1036:sila-in-pericolo&catid=48:affari-istituzionali&Itemid=93> 10 marzo 2011Poletti C. Fonti di energia rinnovabile, in La voce.ithttp://www.lavoce.info/articoli/-energia_ambiente/pagina1001774.htmlProvincia di GenovaSportello Provinciale Energie Rinnovabili e Risparmio Energetico< http://www.sportelloenergierinnovabili.it> 2011Ricerca forestaleImpianti a biomasse nei comuni italiani<http://www.ricercaforestale.it/biomasse.php> 2011Sergio A. 2011Inchiesta "mafia dei boschi" Gazzetta del Sud online <http://www.gazzettadelsud.it/NotiziaArchivio.aspx?art=144118&Edizione=7&A=20101030 > Vecchio L. 2011Rifiuti pericolosi, arrestato il patron del riso Scotti. Il Sole 24ORE<http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-06-07/rifiuti-arrestato-dottor-angelo-131147.shtml?uuid=AaUQIqdD> 7 giugno 2011

MultimedialeLa strada della monnezza: Rifiuti tossici nell'agro Aversano , Speciale Fortapasc, RaiUno, andata in onda il 5 settembre 2011 http://www.youtube.com/watch?v=lYYf3JV2T9Q ‘Ndrangheta del Nord, Annozero, 9 dicembre 2010, http://www.youtube.com/watch?v=swZKBxHKu9w&feature=relatedIl Verde e il Grigio, inchiesta di Danilo Chirico e Vito Foderà http://www.youtube.com/watch?v=aHQ0AH9HhbsLe Mani sul Vento. Calabria, scandali e silenzi nella corsa all’eolico. Inchiesta di Angelo Saso . Rainews24http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=20611Il patto della pattumiera. La pista della trattativa tra Stato e camorra. Inchiesta di Angelo Saso montaggio Andrea Vaccarella. Rainews24, http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=22090Il cielo sopra Gomorra, inchiesta di Angelo Saso, Rainews24 http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=18695Santa Giulia, sospette infiltrazioni tossiche mafiose. Rainews24 http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=17383La Calabria e i rifiuti, inchiesta di Carlo Cianetti. Rainews24 http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=16816

Sitografiahttp://www.allarmerifiutitossici.org/http://www.camera.it/www.difendiamolacalabria.orghttp://energia24club.it/

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http://www.eurispes.it/www.giuridea.ithttp://greenreport.it/_new/index.phphttp://www.laterradeifuochi.it/www.legambiente.ithttp://www.lanuovaecologia.it/www.libera.ithttp://www.minambiente.it/home_it/index.html?lang=ithttp://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/http://nunzia1978.splinder.com/www.rinnovabili.it/http://www.terrafutura.info/http://www.terranews.it/www.terrelibere.it

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