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La comicità plautina RISUM MOVERE

comicità

DI SITUAZIONE ( in rebus)

di parola (in verbis)

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Comicità di situazione La beffa ( elemento propulsivo : servus callidus, che

ordisce tutta una serie di inganni)

Es. PERSA (il servo Tossilo contro il lenone Dordalo beffato)

La beffa si basa sullo scambio di persona (simillimi)

Es. BACCHIDES ; MENAECHMI ; AMPHITRUO

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PERSA (il servo Tossilo contro il lenone Dordalo beffato) DORDALO: (agitando il bastone) Io vi farò male sul serio, se non ve ne andate subito !

TOSSILO: Che cosa borbotti eh ? Sfacciato! Stai attento che se mi incazzo un'altra volta ti riporto il Persiano

DORDALO: (Spaventato) Uh, allora mi cheto subito, perdiana. (Girandosi di scatto verso Sagaristione) Ma sei tu il persiano che mi ha spennato dal capo ai piedi.

TOSSILO: Zitto scemo: non lo vedi ? E' solo il suo fratello gemello !

DORDALO: Chi è ? Proprio lui ?

TOSSILO: Sì, sono gemellissimi !

DORDALO: Ma andate a farvi scannare tu e il tuo fratello gemello !

SAGARISTIONE: (con aria innocente) Io non c’entro niente, è stato lui a fare tutto.

DORDALO: E io spero che quello che ha fatto faccia andare in malora anche te!

TOSSILO: (rivolgendosi agli altri) Su, sbertucciatelo pure quanto volete !

DORDALO: (in disparte) Certamente quelli là mi stanno preparando non so quale disgrazia.

SAGARISTIONE: Ascoltatemi tutti!

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TOSSILO: Cosa vuoi ? SAGARISTIONE: (con tono solenne, da giudice) E' per caso questo il pappone che

comprava le ragazze ? E' lui che faceva il gradasso? Ah, si? E allora…… DORDALO:(viene colpito con un pugno) Cosa fai ? Ahi ! Me la pagherete, vi

ammazzerò! TOSSILO: Non credo proprio, noi te le abbiamo date e continueremo a dartele. DORDALO: Ahi, (Trottolino gli pizzica il sedere) il mio sedere ! TROTTOLINO: E che te ne fai? E' già da tanto tempo fuori uso ! DORDALO: E tu che cosa hai ancora da dire, bamboccio ? LEMNISELENE: (invitandolo ironicamente) Su, dai, vieni a cena, Dordaluccio

mio.. Ma come,non hai appetito? DORDALO: Accidenti, non mi hai mai fatto guadagnare un soldo e ora hai il

coraggio di prendermi anche per il culo? LEMNISELENE: Uhh, ma perché mi tratti così?!? Solo perché ti invito ad

accomodarti eh ?

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TOSSILO: E allora dimmi, questi seicento scudi quanto ti bruciano? DORDALO: Capperi, sono finito ! Mi avete proprio rovinato. TOSSILO:E non hai avuto quello che ti meritavi? DORDALO: Sì, lo ammetto, ma ora vi supplico, vi tendo le mani... TOSSILO: E dopo le metterai sulla forca ! DORDALO: (piagnucolando stizzito) Ma va’ a farti crocifiggere. Non vi

sembra di avermi torturato abbastanza? TOSSILO: No, non ancora. (tutti addosso a Dordalo, che viene

inseguito a spinte e a calci fin dietro le quinte) Così ti ricorderai di aver conosciuto il famoso Tossilo.

(Richiamando gli altri) Ehi, venite qua, intanto salutiamo il pubblico. TUTTI: Spettatori, il pappone è sputtanato e un applauso ci sembra meritato.

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Maenechmi vv.1062-segg. MESSENIONE

Gli indizi combaciano perfettamente. Ma ancora una cosa, vi prego. Dimmi

tu: qual è il ricordo più lontano che conservi della tua patria?

MENECMO I

Ricordo che partii con mio padre per Taranto, al mercato. Ma poi, nella

gran confusione, restai diviso da mio padre e fui portato via.

MENECMO II

Sommo Giove, salvami!

MESSENIONE

Perché gridi? Perché non stai zitto? Quanti anni avevi quando tuo padre ti

condusse seco?

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MENECMO I

Sette anni. Stavo perdendo i primi denti da latte. Da allora non ho più

rivisto mio padre.

MESSENIONE

Be'? Tuo padre, quanti figli aveva?

MENECMO I

Ne aveva due, per quel che mi ricordo.

MESSENIONE

Dei due, quale era il maggiore? Tu o l'altro?

MENECMO I

Eravamo della stessa età.

MESSENIONE

Come può essere?

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MENECMO I

Eravamo gemelli.

MENECMO II

Gli dèi mi proteggono.

MESSENIONE

Guarda che se parli tu, io smetto.

MENECMO II

No no, taccio subito.

MESSENIONE

Rispondimi: avevate il medesimo nome?

MENECMO I

Certo che no. Io mi chiamavo Menecmo, come ora. L'altro si chiamava

Sosicle.

MENECMO II

Ecco la prova! Non posso trattenermi dallo stringerti tra le braccia.

Salve, fratello mio, gemello mio. Io sono Sosicle.

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Comicità di situazione Il coinvolgimento del pubblico (rompendo l’illusione

scenica, il pubblico è coinvolto con una serie di battute. Tipico momento di metateatro, quando i personaggi dichiarano che quanto sta avvenendo sulla scena è “teatro”, cioè finzione e non realtà.

Es. PSEUDOLUS

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PSEUDOLO vv. 562-573a Subito, eh? (Escono Callifone e Simone.) Ora mi punge il sospetto che voi

sospettiate... Che cosa? Ma che io prometto tutto lo sconquasso soltanto

per divertirvi e tirare avanti la commedia, e che invece non farò nulla di

quel che ho detto. No, signori, manterrò la parola.

Però una cosa è certa: non so ancora come venirne a capo, ma soltanto che la cosa

riuscirà. Be', quand'uno si presenta sulla scena, bisogna pur che inventi qualcosa di

nuovo, in una forma nuova. Se non è in grado di farlo, lasci il posto a

chi sa.

E ora, con vostra licenza, vorrei ritirarmi lì dietro. Ho bisogno

di concentrarmi per chiamare a raccolta tutto l'esercito dei trucchi...

Vi lascio ma ritorno subito. Una flautista, intanto, vi sollazzerà.

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rottura dell’illusione scenica È questo un elemento base del teatro plautino.In esso

viene “rotta” la cosiddetta “quarta parete”(quel diaframma immaginario che a volte in alcune forme di teatro sembra ergersi tra luogo dell’azione scenica e spettatori). Gli attori si rivolgono al pubblico direttamente sospendendo lo sviluppo della fabula e coinvolgendolo nello stesso spettacolo.

Altro caso è costituito dalla battuta conclusiva delle commedie, in cui un attore si rivolge al pubblico e lo invita ad applaudire se si sono divertiti(Spectatores, plaudite!)

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Comicità di parola Prodotta da

Uso del doppio senso

Utilizzo di parola al posto di un’altra

Conio di neologismi

Scambio di registro linguistico (raffinato/rozzo ; urbano/scurrile;…)

Uso della lingua greca con intento parodico e comico

Uso di una lingua straniera storpiata a fini comici

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Naturalmente la comicità di parola si avvale di un linguaggio dalla vivacità scoppiettante ed estremamente composito che dimostra in maniera inequivocabile come Plauto non sia affatto quel poeta rozzo che in passato è apparso a molti, ma sia, piutto-sto, uno scrittore che sa entrare in sintonia espressiva con le diverse fasce di pubblico che assisteva ai suoi spettacoli, ora indulgendo ad una certa rusticitas verbale ora facendo sfoggio di una notevole urbanitas: insomma un grande uomo di teatro che sa bene come catturare la simpatia del suo numeroso e variegato pubblico.

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In primo luogo va sottolineata la sua enorme vivacità e ricchezza espressiva che si manifesta

sia a livello lessicale

sia a livello morfologico e sintattico.

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Livello lessicale :

1-sono da sottolineare le raffiche di improperi che i personaggi di condizione in genere servile, o comunque bassa, si scambiano fra loro:

scelestus ("furfante"),

furcífer ("pendaglio da forca"),

mastigia ("degno di frusta"),

frutex ("cafone"),

urbanus scurra ("buffone di città"),

hara suis ("porcile"),

lutum ("fango")...

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2-il conio di neologismi capaci di scatenare il riso.

Fra i neeologismi più efficaci coniati da Plauto sono da segnalare le parole composte

dentifranvgibula ("rompidenti"),

vaniloquidorus ("pallonaio"),

dentilegus ("raccoglidenti"),

nugiepiloquides ("aggiungiballide")...

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3-A volte, inoltre, gli stessi nomi dei personaggi, sono capaci di suscitare il riso per il loro significato come neel caso, ad esempio, di Pirgopolinice, il protagonista del Miles gloriosus, che significa propriamente "colui che vince città turrite".

4-Un posto a parte, inoltre, merita, il famoso passo del Poenulus (vv. 930-949), nel quale il cartaginese Annone si esprime in una lingua incomprensibile, ma che probabilmente intende essere una parodia della lingua punica

(es.: Ythalonimualonuthsicorathisymacomsyth, v. 930).).

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• Sul piano sintattico, invece, va sottolineata

la scelta di Plauto in favore della coordinazione (paratassi) rispetto alla subordinazione (ipotassi) dato che il Sarsinate privilegia nelle sue opere, com'è giusto che sia, la lingua parlata, per dare maggiore efficacia espressiva ai suoi personaggi.

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Ma la comicità plautina spesso ricorre anche all'uso del greco con fini chiaramente parodici: così frequentemente compaiono nelle sue commedie termini di chiara derivazione ellenica come moechissare ("commettere adulterio"),

diabathrarii ("calzolai")

che rilevano una notevole conoscenza del greco da parte dell'autore, ma che ci fanno capire anche come il pubblico di Plauto non fosse tanto rozzo se era in grado di capire le battute in greco e le allusioni e i giochi di parole che il commediografo crea con l'uso di parole e di locuzioni di origine greca.

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Il mondo sociale della commedia plautina

VERI PROTAGONISTI DELLA COMMEDIA

Il servus callidus oppure il parasita

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Si tratta di personaggi-demiurgo che con il loro operato e intelligenza

determinano tutto ciò che accade sulla scena

oppure

lo orientano a vantaggio proprio o del padrone

Ne viene fuori un mondo rovesciato i cui valori si capovolgono, come avveniva ai Saturnali, quando il servo abbandonava il ruolo subalterno.

Ovviamente, finita la commedia, si ripristina l’ordine sociale

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Ciò può spiegare in buona misura il motivo vero del successo che le palliatae plautine riscossero presso il pubblico plebeo: esso, infatti, nel corso dello svolgimento dell'azione scenica veniva indotto a credere, fino forse a convincersene del tutto, che il mondo fosse diverso rispetto alle proprie convinzioni e poco importava se si trattava essenzialmente di un sogno e se la realtà era invece profondamente e drammaticamente diversa (ricordiamoci infatti che la società romana era sostanzialmente schiavistica e che si fondava sullo sfruttamento della manodopera di servi considerati alla stessa stregua di macchine o di animali).

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Ma il mondo delle commedie plautine non sempre sublima nel sogno: non mancano infatti riferimenti ben precisi a convenzioni, a pregiudizi che rimandano ad una vita sociale ancora chiusa e legata al tradizionale mos maiorum.

Così accade che le vicende amorose non sempre si concludano con una soluzione matrimoniale: essa, infatti, compare solo quando la fanciulla, in genere una cortigiana, viene riconosciuta attraverso il procedimento dell'agnitio, come donna di liberi natali; se, invece, ciò non si verifica, la vicenda si conclude sì con il trionfo dell'amore, ma il matrimonio resta lontano dall'orizzonte mentale dei protagonisti.

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Tutto ciò induce a credere che Plauto faccia sua la convinzione che un matrimonio "misto" fra un uomo libero ed una schiava non è accettato dalle convenzioni sociali del tempo, mentre, allorché la donna acquista lo status di "donna libera" attraverso il riconoscimento, ogni ostacolo viene superato ed allora il matrimonio diventa l'obiettivo naturale da realizzare.

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Ma il teatro di Plauto è capace anche di porre in rilievo questioni sociali assai vive nella Roma del tempo: e una di queste era certamente il rapporto fra città e campagna, un rapporto vissuto come "profonda diversità", come conflitto fra

un mondo, quello della campagna, depositario del mos maiorum e della sobrietà dei costumi

e

un mondo, quello della città, portatore di principi innovatori e spesso immorali, depositario di corruzione.

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AMORALITA’ DEL TEATRO PLAUTINO

obiettivo primario, abbiamo detto, è risum movere

• Plauto lo ottinene non attraverso lo strumento sofisticato dell’umorismo, che presuppone una riflessione dello spettatore sulla battuta o la situazione comica

• ma mediante l’uso di una comicità scoppiettante ed immediata, capace di divertire il pubblico, che si sente per così dire “superiore” sul piano morale rispetto ai personaggi

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Plauto dunque non appare minimamente interessato ad assumere un punta di vista moralistico; non intende in alcun modo evidenziare principi morali o , tanto meno, precetti che risultino utili agli spettatori per diventare migliori. Plauto, insomma, è indifferente di fronte al conflitto moralità-immoralità, almeno nella maggior parte delle sue opere. Tuttavia intorno al 190 a.C. sembra potersi collocare una specie di svolta culturale in senso moraleggiante da parte di Plauto e ciò ad alcuni, a Francesco Della Corte in particolare, è sembrato oggettivamente un avvicinamento del commediografo alle posizioni morali e politiche di Catone.

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ad esempio, nel prologo dei Captivi, databile

probabilmente negli anni 189-188 a.C., Plauto afferma di aver

composto una commedia diversa dalle altre, nella quale non ci

sono né lenoni spergiuri, né perfide meretrici, né soldati

millantatori.

Nell'epilogo, poi, egli dichiara addirittura di

avere scritto la fabula "per i buoni costumi" (ad pudicos mores)

e che poche sono le commedie come questa, "nella quale i

buoni possano diventare migliori" (ubi boni meliores fiant).

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LA COMPAGNIA Spettatori, questa commedia è stata

scritta per rivendicare i buoni costumi: non ci sono né

palpeggiamenti di cosce, né avventure amorose, né

esposizione di fanciulli, né scrocco di quattrini. Né ci

compare un giovanotto innamorato che riscatta una

puttanella all'insaputa di suo padre. Commedie di questo

genere, in cui la gente per bene impara a migliorare

ancora, i poeti ne inventano pochine. Ma ora voi, se

essa vi è piaciuta e se vi siamo piaciuti noi, mostratelo

con questo gesto. [Tutti eseguono il gesto dell'applauso]

Se veramente volete premiare la serietà, applauditeci.

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plauto e il metateatro

Com'è noto, il metateatro è una tendenza per cui il teatro tende

a riflettere su se stesso, ponendo all'attenzione degli spettatori le

sue problematiche, le questioni relative alla creatività del

drammaturgo

e dell'allestitore:

insomma chi fa metateatro inserisce all'interno dell'azione

scenica momenti

in cui essa si interrompe per dare spazio ad una riflessione

critica su quanto si sta rappresentando e, in maniera più ampia,

sul genere drammatico.

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Questa tendenza in Plauto si collega, in maniera

assai stretta, col tema della beffa ordita in genere da

un servus e col suo meccanismo:

in altri termini, il ruolo di chi ordisce una beffa e

quello di chi scrive un dramma in buona sostanza

finiscono col coincidere, in quanto entrambi:

o ordiscono una trama;

o costruiscono una messinscena in uno spazio

ben determinato;

o affidano le parti;

o organizzano una recita.

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Insomma la figura del servus , quella del drammaturgo e quella del capocomico (dominus gregis)finiscono per coicidere o quanto meno per sovrapporsi.

Tutto ciò comporta naturalmente un certo tipo di rapporto con il pubblico che viene inteso

Non più come polo ricevente che assiste passivamente alla rappresentazione come accadeva nella Nea greca

Ma piuttosto un elemento che partecipa intensamente a ciò che avviene sulla scena

***fine***

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