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danstampe 2011

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danstampe

2011

2011

DANSTAMPE

Daniele Bertoldo • Via Ca’ Castelle 23 • 36010 Zané (Vicenza)• Tel. 00.39.04.45.31.46.01 • 00.39.34.65.92.22.39 •

[email protected] • www.danstampe.com •

Le fotografie sono state eseguite con una Nikon D300 e non non sono state sottoposte ad alcun procedimento di fotoritocco.

Questa breve nota introduttiva vuole essere una sorta di piccolo manifesto contro un certo tipo di arte contemporanea che si presenta come un’isotona ripetizione di uno spirito duchampiano R. Mutt 1917. Sembra che il nostro Marcel sia stato cacciato dal museo a cui aveva inviato la sua Fountain orinatoio perché vituperevole e vergognoso: io credo che ci fosse semplicemente qualcuno che aveva del senso artistico. Niente bacchettonerie dunque ma solo un po’ di spontaneo esercizio mentale di bongusto e sincera capacità di scegliere e di giudicare le opere d’arte con una certa competenza estetica. E’ ormai ora di dire che non ne possiamo più di tutti i cafoneschi e riluttanti Chef-d’oeuvres dell’arte contemporanea in cui ci si vuole compiacere nel poter sentenziare «Qu’importent les victimes, si le geste est beau?». E in tal caso la vittima principale è proprio l’arte intesa come capacità di creare con le mani, l’ispirazione e le idee e non solo con l’irriverenza che dovrebbe generare una specie di coraggioso beau-geste intellettuale ma che di fatto genera soprattutto risonanza mediatica. Ma come possiamo, qui e adesso, scrivere di getto in poche battute un manifesto dogmatico contro l’ormai sfiatato esercizio duchampiano spacciato per creazione artistica? Ci proviamo.

Uno spettro si aggira per il globo terracqueo. È lo spirito dei grandi mecenati italiani del XVI secolo che agitano le notti troppo scure dei critici, degli storici dell’arte e dei collezionisti miliardari narcisisti. Questo spirito vuole contrastare la deriva orrorifica che ha ucciso l’arte della bellezza soppiantandola con una sorta di nouvelle vague che è finita da molto tempo sulla spiaggia maleodorante e nella lorda cucina di un’ideologia fintamente antiborghese travestista da artistica ispirazione profetica. Questo antico spirito guerriero si propone di vendicare l’intelligenza della mano che è stata cosmetizzata se non rimpiazzata dalla mucillagine di una sperticatamente autolodata azione di pensiero superficiale dove il sensazionalismo ha preso il posto della sensazione e la finzione artistica-tecnologica ha demagogizzato il mercato. Up patriots to arms dunque perché l’afflato donato ai pochi può solo essere steso sulla tela, segnato sul foglio, entrare nel marmo e nel bronzo e non potrà mai essere condensato in un video, in una fotografia, nell’oggettistica domestica straordinariamente banale. Questa vibrante Forza del passato che viene dalle pale d’altare e dai cassoni nunziali vuole tirare fuori la verità e smascherare l’imposture dell’arte contemporanea, eliminando tutto questo lerciume e invitando alla contemplazione solitaria delle opere senza tempo degli Antichi Maestri. Noi evochiamo e invochiamo questo spettro, questo antico spirito guerriero, questa Forza del passato che, ne siamo sicuri, ci libererà dalla soverchiante impostura di uno chicchissimo pensiero artistico dominante che ha trasformato in bello ciò che un tempo era brutto. E noi diventeremo i becchini di questa grande iniquità di Sodoma.

Ecco. Il piccolo manifesto è scritto. Ora non ci resta che confidare anche noi come fa lo storico saggista francese Marc Fumaroli nelle parole del principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij “La bellezza salverà il mondo”. Ci contiamo. Ma intanto ci chiediamo con Isaia: “Sentinella, quanto resta della notte?” (Is 21, 11a)

D.B.

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Xilografia mm 390x280. Dalla serie dell’Apocalisse nell’edizione del 1511 con il testo latino al verso. Bellissimo e brillante esemplare stampato con inchiostratura omogenea su carta con filigrana “torre con corona”, Meder n. 259, che si ritrova in numerose tavole dell’Apocalisse nella stessa edizione. Prova in ottimo stato di conservazione e completa alla linea di inquadramento.

Meder, 1932, n. 169 | Strauss, 1980, pagg. 192-194, n. 52 | Fara, 2007, pag. 265 n. 95g

1 I quattro Angeli trattengono i venti

Norimberga 1471 - 1528

Albrecht DÜRER

“When Dürer distributed his prints during his journey to the Netherlands, he often did so in lots, mixing single print, with series of prints, and most often giving them away in groups or sets. In fact, unlike early engraving, it seems impossible to divide the history of single-leaf woodcut from the design and issue of woodcut series or cycles, including bound volumes of woodcuts both with and without texts. To make a clear distinction here is to think of sixteenth-century prints more as independently conceived objects designed for a museum than in the way they were perceived in their time.” (Landau-Parshall, The Renaissance Print 1470-1550, 1994, pag. 170)

“La xilografia costituisce uno dei quindici fogli raffiguranti i racconti della rivelazione di Cristo a San Giovanni (ultimo libro del Nuovo Testamento). L’Apocalisse venne pubblicata nel 1498 in due edizioni, una con testo latino e l’altra con testo tedesco, e una terza volta nel 1511, sempre con testo latino. In tutti i tre casi Dürer adottò una formula completamente innovativa rispetto ai modelli consueti: spostò il testo dal recto al verso del foglio (il testo appare a sinistra e l’immagine a destra del libro) e liberò, così, immagine e parole dalla vincolante coesistenza sulla pagina (Panofsky 1967, p. 70).” (Venturini, Dürer e dintorni, 1993, pag. 38)

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Xilografia mm 296x213. Probabile stato intermedio tra il 1° e il 2°: un iniziale sottilissimo crack, appena visibile, si estende dalla linea marginale in basso al centro per circa due centimetri verso la mano sinistra dell’angelo con il vaso, ma prima della comparsa degli altri crack e danneggiamenti della lastra descritti da Meder per la variante a del II° stato. Splendida e brillante prova omogeneamente inchiostrata stampata su bella carta sottile con filigrana “piccola porta di città” (mm 25 x 20), non assimilabile per forma e dimensioni alle analoghe filigrane riportate da Meder e Briquet. Perfette condizioni del foglio completo alla linea marginale completamente visibile su tutti i lati. Al verso timbro di collezione non nel Lugt.

Meder, 1932, n. 211 | Strauss, 1980, pagg. 540-542, n. 189 | Fara, 2007, pagg. 332-334, n. 101

2 La Madonna Regina degli Angeli

Norimberga 1471 - 1528

Albrecht DÜRER

“Chiarezza, mediazione tonale, imponenza compositiva, accuratezza nel disegno e nell’intaglio. Sono le qualità che subito risaltano dall’osservazione di questo importante foglio, che segna il ritorno al tema religioso nella xilografia dopo alcuni anni profondamente segnati dall’esercizio nella tecnica dell’acquaforte; ed è probabile, come è stato osservato, che le evidenti sottigliezze del legno siano proprio il lascito degli esperimenti appena trascorsi. In questo senso anche gli angeli reggicorona sono confrontabili con l’acquaforte dell’ Angelo col Volto Santo e lo studio ad essa collegato. Come è noto, sono da tenere in considerazione anche tre disegni a penna e inchiostro, conservati a Berlino e a Londra, che insistono sui motivi della Madonna col Bambino e degli angeli che la incoronano; anche se non è possibile indicare con precisione il rapporto con la xilografia finale, è evidente che concorrono a chiarire nella mente dell’artista il senso di questa imponente celebrazione della Vergine, compiuta da un gran numero di angeli - musicanti, offerenti, coronanti - accorsi sulla terra.” (Fara, Albrecht Dürer, originali, copie, derivazioni, 2007, pag. 332-334)

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Bulino mm 161x123. Stato unico. In basso al centro il monogramma MZ. In alto, su una banderuola, la scritta in tedesco DUCK DICH, che Bartsch traduce con cache-toi, seguita dalla data 1500. Magnifica prova stampata su carta con filigrana “orso in cammino” simile a Meder n. 87, riferibile alla prima parte del XVI° secolo. Ottimamente conservata e completa all’impronta del rame. Di questa rarissima incisione esiste una copia molto ingannevole che si distingue dall’originale per essere incisa all’acquaforte e per alcuni minimi particolari del disegno.

Bartsch, vol. VI, pag. 381, n. 21 | Lehrs, 1932 [1969], vol. 8, pagg. 371-373 | T.I.B. Commentary (Hutchison), vol. 9, parte 2, 1991, pagg. 319-320, n. .019

3 La donna con una civetta (luce e tenebra)

München attivo ca. 1500

Monogrammista MZ (Matthäus ZASINGER)

“Various explanations of the iconography have been offered. Max Geisberg maintained that a humorous depiction of an old German folk song was intended: Dücke dich, Hensel, dück dich; dück dich lass fürüber gan, das Wetter will seinen willen han. (Hide, Hensel, hide yourself; hide yourself [and] let it pass, [for] the weather will have its way) While this is sound advice, that one should take cover until the storm passes, since nothing can be done about it, neither the owl nor the young lady fulfills our expectations of what Hensel (Little Hans) should look like. Shestack, following Heinrich Schwarz and Volker Plagemann’s interpretation of the symbolism of the owl, has suggested a more metaphysical explanation of the storm, based on 1 John 1:5: “God is light and in him is no darkness at all.” According to this interpretation the lightning bolts at the upper right represent the light of truth breaking through to announce the end of darkness and sin. The woman, a symbol of sin and vice in Schwarz’s view, is raising her skirt to protect the owl, the unclean bird who sleeps during the daylight hours and who is unwilling or unable to recognize the advent and splendor of the New Law. The date of 1500, with its millenarian expectations, as well as the obvious influence of Dürer’s Apocalypse series of 1498, lends further credibility to the idea that more than an ordinary rainstorm is in the offing. Mojzer, who follows Lehrs in considering this one of Master MZ’s earliest engravings, has properly called attention to the symbolism of the owl as an attribute of unchastity and prostitution, and to the explanation of the allegorical meaning of this work given by Schwarz and Plagemann. The owl, frequently used as a decoy by late medieval fowlers, appears here as an attribute of the woman, who represents either a prostitute, Frau Venus, or the personification of Luxuria.” (Hutchison in T.I.B. Commentary ,1991, pag. 319)

“Goldsmith and engraver; born at Nuremberg, 1430, worked at Munich in 1500. The woman with the owl (duck dich), B. 21, splendid impression, very rare. $ 75.00.” [P. 36.]” (Catalogue and Price List of a Rich Collection of Rare Etchings and Engravings, imported and for Sale by Hermann Wunderlich, 3 John Street (Room 3), New York. New York: Evening Post Steam Presses, 208 Broadway, 1876)

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Bulino mm 265x170. Secondo stato su due dopo l’aggiunta in basso al centro del nome dello stampatore: Ant. Sal. Exc.. L’incisione, nota anche con il nome di Angelica e Medoro, è priva del monogramma di Marcantonio. Stefania Massari (1993) in base ad analogie stilistiche che l’incisione presenta con altre stampe che traggono spunto dagli affreschi della Stufetta del Cardinal Bibbiena attribuisce questo foglio a Marco Dente. Bellissimo esemplare, fresco e nitido, stampato con tonalità lievemente argentee su carta vergata coeva priva di filigrana. Prova completa alla battuta del rame che risulta visibile lungo i lati superiore ed inferiore. In ottimo stato di conservazione.

Bartsch, vol. XIV, pagg. 359-360, n. 484 | Delaborde, 1888, pagg. 167-168, n. 122 | Ferrara-Bertelà, 1975, n. 450 | Massari, 1985, pag. 62 , n. IV/1 | Massari, 1993, pagg. 37-38, n. 33 | Gnann, 1999, pag. 102, n. 41

“Nella stufetta del cardinal Bibbiena compare sulla parete nord questa raffigurazione [...]. Dopo la caccia, Venere e Adone si sono adagiati all’ombra di un pioppo e la dea si appoggia con le spalle al petto del giovinetto che la accarezza (Ovid. Met. X, 555-558)” (Gnann, Roma e lo stile classico di Raffaello 1515-1527, 1999, pag.101)

“Marcantonio has often been seen as this type of translator into engraving, valued primarily for his fidelity to Raphael’s designs, and secondarily for his ready skill with the burin. It is in this guise that Marcantonio has become useful to art historians of later ages as a transparent recorder, albeit in a different graphic medium, of lost drawings. Some sixteenth-century prints sere indeed intended to act as ‘true and faithful translators’, proclaiming, in inscriptions how accurately they depicted their subjects. But the subtlety of the trope of translation has been overlooked. Even in the sixteenth century, there were different types, of translators, with different goals, and translation itself was a subject for close consideration” (Plon, Raphael, Dürer, Marcantonio Raimondi, 2004, pag. 34)

4 Venere e Adone

S. Andrea in Argine (Bologna) ca. 1482 - ivi ? ca. 1534

Marcantonio RAIMONDI

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Bulino mm 183x120. Stato unico. In alto verso il centro la data 1528, in basso a sinistra sulla base del tronco di colonna il monogramma del Veneziano A.V. . Bellissima prova stampata con tono su carta sottile al cui verso traspare il disegno. Ottime condizioni del foglio completo all’impronta del rame al lato inferiore e con filo di margine sugli altri tre lati. Al verso alcune leggere macchie e lungo il margine inferiore tracce di antico supporto. Provenienza: al verso timbro di collezione EO, in inchiostro blu, non nel Lugt.

Bartsch, vol. XIV, pag. 219, n. 287 | Massari, 1985, pag. 249, n. 5

“A Roma dove opera attivamente fino alla morte avvenuta nel 1558 - come risulterebbe dalla data che appare sul ritratto di Girolamo Aleandro prima vescovo di Brindisi ed Oria, poi cardinale, iniziato da Agostino nel 1533 (cfr. Petrucci 1964, p. 94,nota 23) - il Veneziano si impegna nella riproduzione dei grandi esempi della statuaria classica e di numerosissimi disegni del Sanzio, a cominciare dallo studio per la Lamentazione (Bartsch XIV, 39). Molti suoi fogli traducono i modelli di Giulio Romano e di Giovanni Francesco Penni che riflettono le idee originali del Sanzio per la Stufetta Bibbiena, per le Logge, per gli Arazzi della Scuola Vecchia e per la Farnesina. Accanto ad essi sono numerosi i soggetti di carattere mitologico e allegorico in cui Agostino si dimostra incisore di riproduzione per eccellenza.” (Massari, Giulio Romano pinxit et delineavit, 1993, pag. 11)

5 Ercole e il leone Nemeo

Venezia (?) ca. 1490 - Roma post 1536

Agostino MUSI detto Agostino VENEZIANO

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Bulino mm 225x360. Stato unico. In basso al centro il monogramma SR intrecciate. Bellissima prova stampata su carta con filigrana “ancora nel cerchio”. Completa alla battuta della lastra con filo di margine visibile a tratti. Alcune piccole macchie al centro, visibili per lo più al verso; due strappi riparati lungo il margine inferiore verso sinistra e qualche altro difetto di minore entità, per il resto in buone condizioni di conservazione.

Bartsch, vol. XIV, pagg. 316-317, n. 420 | Ferrara-Bertelà, 1975, n. 225 | Massari, 1985, pag. 237, n. 2 | Massari, 1993, pagg. 40-41, n. 36

6 Battaglia con cavallo restio

Ravenna (?) ca. 1493 - Roma 1527

Marco DENTE da Ravenna

“L’incisione deriva da un disegno attribuito da Oberhuber a Raffaello (1972, fig. 60) conservato al Trustees of the Chatsworth Settlement e presenta molte analogie con la parte centrale in primo piano del bozzetto dell’Urbinate per la Battaglia di Costantino, realizzato a penna e inchiostro bruno, con acquarellature brune e lumeggiature bianche, conservato al Departement des Arts Graphiques del Louvre. Quest’ultimo disegno, a lungo attribuito a Giovanni Francesco Penni, è stato recentemente restituito a Raffaello da Oberhuber (1984) e da Cordellier e Py e rappresenta il modello per l’affresco della Sala di Costantino, ultimo dei grandi progetti decorativi di Sanzio in Vaticano, che venne portato a compimento dai discepoli di Giulio Romano e Giovanni Francesco Penni dopo la morte del maestro avvenuta nel 1520. L’incomparabile rappresentazione di Raffaello di una battaglia a cavallo “all’antica” ha esercitato un’influenza profondissima sugli sviluppi della pittura di battaglie fino all’Ottocento. Marco Dente in questa incisione riprende dal bozzetto di Raffaello il gruppo dei due cavalieri contrapposti, uno dei quali colpisce l’altro con la lancia. All’intaglio del ravennate sembra essersi ispirato Perino del Vaga per un disegno in cui è raffigurato un Combattimento a cavallo, conservato al Goethe-Nationalmuseum di Weimar e pubblicato da Oberhuber (Oberhuber, Gnann, 1999, p. 213, fig. 145). E’ inoltre possibile stabilire alcune affinità nell’impianto della composizione e nella resa stilistica tra la Battaglia del cavallo restio di Dente ed altre due stampe di medesimo soggetto, derivate da un disegno di Giulio Romano, raffiguranti la Battaglia alla scimitarra (Bataille au coutelas) la cui prima versione venne incisa da Agostino Veneziano (Bartsch, XIV, 212) poi copiata in controparte da Marco Dente (Bartsch, XIV, 211), come ha recentemente dimostrato Oberhuber contraddicendo l’opinione di Bartsch che riteneva l’esemplare di Agostino copia dal Ravennate.” (Pozzi, Marco Dente, un incisore ravennate nel segno di Raffaello, 2008, pag. 76)

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Bulino mm 105x72. Stato unico, variante b/c. In alto al centro la data 1509; in basso verso sinistra il monogramma del Leyden. Bellissima prova in ottimo stato di conservazione con piccolo margine attorno alla linea di inquadramento su tre lati; completa alla linea di inquadramento, che risulta totalmente visibile, al lato superiore.

Bartsch, vol. VII, pag. 420, n. 153 | The New Hollstein (Filedt Kok), 1996, pag. 141, n. 153

“La scène, représentant une biche nourrie par une femme nue, la tête enveloppée dans une immense écharpe dont les extrémités, soufflées par le vent, forment des volutes et des plis gothiques, extravagants mais gracieux, s’éloigne assez du genre. Nul doute qu’elle représente Diane et une biche. La déesse de l’Olympe au pied léger est montée plus ou moins dans la manière de Jacopo de’ Barbari dans sa gravure Apollon et Diane (B. 14), exécutée en 1503 ou 1504. La gravure de Dürer (B. 68) datée de 1504 ou 1505, proche de celle de de’ Barbari dans la conception et portant le même titre, devait sans doute être aussi connue de Lucas van Leyden. Sa familiarité avec le travail de Dürer est également sensible dans Femme Nue Assise avec un Chien (B. 154) de 1510 qui peint, non pas une scène quotidienne, mais une scène mythologique avec la déesse vierge de la chasse. Déjà, ces premières oeuvres de Lucas van Leyden montrent la tendance de l’artiste nordique à reproduire, non pas l’idéal, mais l’individuel, même dans le traitement des personnages de la mythologique classique.” (Mezentseva, Les graveurs de la Renaissance,1996, pag. 59)

7 Donna con la cerva

Leyden 1494 - ivi 1533

Lucas VAN LEYDEN

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Bulino mm 272x222. Primo stato su tre, variante a/c. Al centro in basso il monogramma L seguito dalla data 1518. Magnifica impressione di questa rara incisione stampata con tonalità grigio-argentee su carta con filigrana “lettere gotiche” simile a Kok (TNH), pag. 265 e pag. 284, n. 2b. In ottime condizioni di conservazione e completa all’impronta del rame.

Bartsch, vol. VII, pagg. 354-355, n. 31 | Jacobowitz-Stepanek, 1983, pagg. 186-187, n. 68 | The New Hollstein (Filedt Kok), 1996, pag. 61, n. 31

8 Ester di fronte ad Assuero

Leyden 1494 - ivi 1533

Lucas VAN LEYDEN

“Lucas continuously refined his burin work in the period from 1512 onward; the greater variety, fluidity, and pervasiveness of lines and stippling permitted him to improve the chiaroscuro system and to produce a more luminous and spacious environment. Broad and variegated areas of shadow are pierced by small, multifarious patches of highlight that lend transparency to the neighboring darkness. Light and dark intermingle and complement each other in an even distribution throughout the composition. Intervals between the solidly modeled forms transform the compact, relieflike appearance of earlier figural groups’ into a more airy, stagelike arrangement. The use of a subtle chiaroscuro technique is expertly exploited as a compositional method, and it is rhythmically employed to underscore the harmony and grace of the subject matter. In turn, the highly structured composition is used to direct the emotional expression. There is a sense of clarity, orderliness, and tranquillity which will be found again in the Dutch interiors of the seventeenth century. The careful orchestration of compositional design and pictorial mood make the prints of this period among the most brilliant achievements of Lucas’ career. An overall vibrating quality of light gives a matte silver tone rather than the bland, gray tone of five years earlier. Where the word “gray” applies to the works dated from 1512 to 1516, the term “silvery” better characterizes the engravings dating from 1517 to 1520, for it describes the lustrous appearance of light as it enlivens a dark surface and infiltrates the otherwise gray ambiance. Such an effect is so subtly articulated that it is only apparent in the best impressions. This is the only known impression of Esther before Ahasuerus which exhibits this feature” (Jacobowitz-Stepanek, The prints of Lucas van Leyden and his contemporaries, 1983, pag.186

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Xilografia mm 311x225. Stato unico. La tavoletta in basso a sinistra riporta il nome di Tiziano, inventore del soggetto, la firma Nicolans Boldrinus Vicentinus incidaebat, seguita dalla data 1566. Bellissima prova stampata su bella carta cinquecentesca in ottimo stato di conservazione e completa di margini di circa due millimetri oltre la linea di inquadramento.

Bartsch, vol. XII, pag. 126, n.29 | Muraro-Rosand, 1976, pag. 137, n. 78A | Borea, 2009, vol. II, cap. XV, n. 10

Vicenza (?) ante 1500 - (?) post 1566

Nicolò BOLDRINI

9 Venere e Cupido

“Il est difficile de déterminer dans quelle mesure Boldrini était lié à l’atelier du Titien à l’époque où il travaillait la gravure sur bois. Le dessin qui a servi de modèle au bois gravé n’a pas survécu. Vénus ressemble à Eve dans l’Adam et Ève du Titien, peint en 1550. Le dessin du bois gravé peut être daté approximativement de la même époque que cette peinture. La gravure elle-même, cependant, ne fut réalisée qu’en 1566; et comme elle est séparée de son original par un long très laps de temps, il serait normal de supposer qu’elle fut exécutée avec une grande indépendance, le maître créant une version libre du thème plutôt qu’une reproduction exacte du dessin. Cette hypothèse est corroborée par un traitement totalement personnel du paysage qui n’a visiblement rien du Titien. L’inspiration est purement vénitienne et apparente la gravure aux oeuvres qui incarnaient les idées de Nature spiritualisée et celles d’Aphrodite Urania (l’Amour Céleste) et Aphrodite Pandemos-Epitragia (l’Amour Terrestre): des idées revenant de l’Antiquité classique qui évoquent la Vénus Endormie reposant sur l’herbe de Giorgione et qui trouvent un écho dans l’art du Titien. La Vénus de Boldrini est conçue comme Aphrodite Urania et personnifie la chasteté. L’oiseau fait probablement allusion à l’idée de l’Ame. L’escargot est un symbole érotique et les écureuils qui courent fébrilement sur les branches sont une allégorie de l’avidité ; ils constatent avec l’humeur de Vénus qui dans sa pureté, tel l’Amour Céleste, cherche refuge dans le sommeil. L’escargot et l’écureuil, tous deux symboles polysémiques, sont également associés à l’idée de paresse. Ce niveau de signification a pu aussi entrer dans le concept global de l’artiste comme une harmonisation, dans ce contexte, avec l’idée de rejet des passions triviales. Par ses qualités artistiques, cette gravure est l’une des meilleures parmi les productions graphiques de l’école du Titien, car elle témoigne de leurs principaux mérites: trait clair et précis et liberté picturale. Le traitement du trait par Boldrini est aisé et inventif, évitant avec bonheur tout sentiment de monotonie et de sécheresse.” (Mezentseva, Les graveurs de la Renaissance, 1996, pag. 53)

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Xilografia mm 307x493. Stato unico. Bellissima e brillante prova omogeneamente inchiostrata, stampata su carta cinquecentesca, priva di filigrana, che lascia trasparire al verso il disegno. Completa alla linea di inquadramento che risulta interamente visibile ai lati inferiore e destro. Al verso, lungo il destra traccia verticale di vecchio supporto di colorazione rossastra, non visibile al recto; un grumo a cercine della carta verso il centro visibile al verso; per il resto in ottimo stato di conservazione.

Passavant, vol. VI, pag. 223, n. 5 | Muraro-Rosand, 1976, pagg. 113-114, n. 48 | Borea, 2009, vol. II, cap. XV, n. 8

10 Sansone e Dalila

Vicenza (?) ante 1500 - (?) post 1566

Nicolò BOLDRINI

“Tiziano, dai tempi in cui aveva intagliato egli stesso sue proprie invenzioni in blocchi di legno, non aveva mai cessato di interessarsi alla moltiplicazione delle immagini attraverso le stampe; ma con il passare del tempo aveva messo da parte la silografia, cessando perlomeno di coltivarla personalmente, delegando ad altri il compito di intagliare sue invenzioni e seguitando tuttavia a concepire la silografia come mezzo di espressione originale, da usarsi per riprodurre disegni eseguiti a tal fine, non come mezzo per divulgare le immagini di dipinti. Ugo da Carpi, Giulio e Domenico Campagnola, Giovanni Britto, Niccolò Boldrini, Giuseppe Scolari, l’anonimo intagliatore delle tavole sublimi del trattato di anatomia di Andrea Vesalio, sfilavano avvicendandosi accanto a Tiziano come grandi ombre, sfuggendo a una nostra valutazione come riproduttori, per la mancanza di prove documentarie; salvo forse Niccolò Boldrini, la cui Venere e Cupido, datata 1566 - una delle silografie citate dal Lampson nel 1567 - reca esplicito, anche se non convincente, l’ invenit di Tiziano. Boldrini è ritenuto l’autore oltre che di Sansone e Dalila, anche della celebre stampa in cui le statue del gruppo marmoreo con Laocoonte, allora una delle principali attrattive della Roma antica, sono raffigurate sotto specie di scimmie: un’invenzione, gentil pensiero di tre bertuccie, come avrebbe detto il Ridolfi un secolo dopo, attribuita a Tiziano in persona, forse in vena di sbeffeggiare i classicisti romani.” (Evelina Borea, Lo specchio dell’arte italiana-Stampe in cinque secoli, 2009, vol. I, pag. 160)

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Acquaforte mm 230 x 305. Raro primo stato su due prima della firma dell’incisore Ang.lo Falco sull’onda in basso a sinistra sotto il delfino. Bellissima prova stampata su carta con filigrana “ancora inscritta in un cerchio (Ø 35 mm ca.) sormontato da una stella”, simile a Briquet nn. 485 e 501 riferibili a carte venete della prima metà del XVI° secolo. Foglio in ottimo stato di conservazione con filo di margine oltre la battuta del rame su tre lati e margine di circa 3-4 mm al lato inferiore. Adam Bartsch, pur con qualche dubbio per la mancanza di notizie certe, erroneamente repertoria l’opera grafica di Falconetto sotto il nome di Angelo Falcone, nato a Napoli nel 1600, allievo del Ribera e celebre pittore di battaglie. A questo artista attribuisce 20 incisioni rimarcando però che solo su tre di esse è presente la firma Ang. Falco. Ferrara e Bertelà (1975) per primi riconducono l’incisore in ambito cinquecentesco in base al riscontro dell’excudit dello stampatore Donato Rascicotti, attivo a Venezia tra il 1580 e il 1589, sulla celebre stampa Il Sepolcro (B.13) conservata alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, oltre che per considerazioni di carattere stilistico, apparendo strano che un allievo del Ribera adotti schemi e segni tipicamente parmigianineschi. Gli autori giungono alla conclusione che la firma Ang. Falco, spesso abbreviata nelle lettere A. F., si riferisca ad autore del cinquecento [Falco (?) Angelo (?)] operante strettamente nell’ambito del Parmigianino, la cui lezione è ancora fresca, ma rinviando ad ulteriori ricerche l’identificazione del vero nome dell’incisore. Dillon, Marinelli e Marini (1985) attribuiscono ad Angelo Falconetto, Verona (?) 1504-1567, figlio di Giovanni Antonio, ricordato come abile disegnatore dal Vasari, tutte le incisioni siglate A(ngelo) Falco.

Bartsch, vol. XX, pag. 107, n. 17 | Dillon, 1980, pag. 257, n. XI.36 | Massari, 1993, pagg. 287-288, n. 279

Verona (?) 1504 - 1567

Angelo FALCONETTO

11 Sirena con Naiade e Tritone

“Nella campagna del comune di Belfiore, su di un vasto appezzamento di terreno, sorge villa Moneta [...]. La villa al suo interno è decorata con pitture a fresco e stucchi, opera di Bartolomeo Ridolfi in collaborazione con Angelo Falconetto.” (Ferrari, Ville Venete: la Provincia di Verona, 2003, pagg. 33-34).

“La composizione si ricollega alla decorazione di villa Moneta compiuta dal Falconetto verso il 1563.” (Dillon, Stampe e libri a Verona negli anni di Palladio in Palladio e Verona, 1980, pag. 276).

“Tuttavia non c’è dubbio che la scena appaia influenzata dai disegni sul tema di Nereidi e Tritoni di Giulio Romano. In particolare la coppia di Naiade e Tritone a destra, l’amorino con la corona e i delfini in acqua sembrano in relazione con le analoghe raffigurazioni che ritroviamo nel disegno di Giulio con le Nozze di Peleo e Teti conservato all’Albertina.” (Massari, Giulio Romano pinxit et delineavit, 1993, pag. 287).

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Bologna ca. 1510 - ivi 1576

Giulio BONASONE

12 Scipione ferito

Bulino mm 205x274. Stato unico. Su una tavoletta in basso a destra la scritta: IV. BONASO IMITANDO PINSIT ET CELAVIT / A. S. SQDEBAT. Bellissima prova uniformemente inchio-strata con ottimi effetti tonali, stampata su carta con filigrana “ancora nel cerchio sormontato da una stella”. In perfetto stato di conservazione e completa di piccoli margini oltre la linea di contorno e con la battuta del rame visibile a tratti.

Bartsch, vol. XV, pag. 136, n. 89 | Ferrara-Bertelà, 1975, n. 42 | Massari, 1983, pagg. 68-69, n. 74 | T.I.B. Commentary (Cirillo-Archer), 1995, pag. 289, n. 081

13 Sileno e re Mida

Bulino mm 158x219. Primo stato su tre, antecedente all’excudit del Salamanca. In basso al centro il nome dell’incisore: I. BONAHSO F. Bellissimo e brillante esemplare in perfetto stato di conservazione e con margine di oltre 5 mm attorno all’impronta del rame su tutti i lati.

Bartsch, vol. XV, pag. 136, n. 89 | Ferrara-Bertelà, 1975, n. 53 | Massari, 1983, pag. 79, n. 97| T.I.B. Commentary (Cirillo-Archer), 1995, pag. 296, n. 089

14 Giasone e Medea

Acquaforte e bulino mm 218x310. Stato unico. In basso a sinistra su un frammento di colonna il nome dell’incisore: I. Bonason / F. Bellissima prova con vellutati effetti di contrasto e presenza di vari graffi su lastra, stampata su carta vergata coeva con tracce di filigrana non identificabile. Completa all’impronta del rame con piega centrale visibile al verso, dove, lungo il bordo superiore, sono presenti residui di antico supporto.

Bartsch, vol. XV, pag. 138, n. 98 | Ferrara-Bertelà, 1975, n. 57 | Massari, 1983, pag. 113, n. 186 | T.I.B. Commentary (Cirillo-Archer), 1995, pagg. 301-304, n. 098

“Le stampe, ch’egli ha publicato dai disegni di Raffaello, di Giulio Romano, di Pierin del Vaga, e alcuni di quelli di Michel Angelo della Capella Sistina, fanno vedere quanto egli stesse attento al carattere de’ Maestri, che davasi ad imitare, per ciò vi si travede, per così dire, quello stento d’imitazione, che non si scorge mai nelle proprie, dove la mano seconda il fuoco del genio pittoresco libero a se stesso.” (Petrazzani, Catalogo di una serie preziosa delle stampe di Giulio Bonasone pittore, e intagliatore bolognese, 1820, pag. 4)

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Acquaforte e bulino mm 345x262. Primo stato su due (primo stato su tre secondo D’Amico), prima dell’aggiunta della scritta Franco form sul tronco in basso a destra. Splendida e brillante prova stampata con velatura di fondo su carta con filigrana non completamente leggibile “albero sopra tre monti in uno scudo” simile a Woodward n. 133, riferibile a carta veneta della metà del 1500. Ottime condizioni del foglio con tracce al verso di antichi supporti agli angoli superiori. Completo all’impronta di rame e con filo di margine su tutti i lati.

Bartsch, vol. XVI, pag. 118, n. 1 | D’Amico, 1980, pag. 46, n. 172

Udine (?) 1510 - Venezia 1561 o 1580

Giovanni Battista FRANCO detto IL SEMOLEO

15 Il sacrificio di Abramo

“La rinnovata e più approfondita contiguità con le opere di Tiziano degli anni venti in cui il cadorino aveva dato prova di personalissime interpretazioni del pathos drammatico classico, induce l’artista ad adottare una maniera meno rigida di disporre le figure e un maggior dinamismo nelle composizioni. La ricerca dell’esaltazione della vitalità delle figure si ravvisa anche nel Sacrificio di Isacco, immagine d’impostazione più semplice. Un pregio della stampa risiede soprattutto nella maniera in cui le dramatis personae si inseriscono nell’ambiente; mi riferisco non tanto agli elementi paesaggistici, quanto al cielo solcato da nubi, attraverso le quali compare l’angelo inviato dal Signore per fermare la spade. Anche Tiziano, nel dipinto per la chiesa di Santo Spirito in Isola, aveva proiettato la figura di Abramo contro un cielo oscurato da nuvole. Un potenziale punto di raffronto è inoltre costituito dalla xilografia raffigurante San Rocco e storie della sua vita, dominata dalla figura del santo che vi viene reso in un vigoroso contrapposto.” (Sman, Il percorso stilistico di Battista Franco incisore: elementi per una ricostruzione, in Arte Documento,1994 [1995], pag. 9)

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Chiaroscuro a due legni mm 172x228. Stato unico. Da un disegno di Parmigianino ora perduto. Bellissima prova stampata in tonalità verde olivastro su carta con filigrana “cerchio” (ø 36 mm) con figura inscritta non leggibile, in ottime condizioni di conservazione. [Foto a pagina 125]

Bartsch, vol. XII, pag. 56, n. 12 | Mussini-De Rubeis, 2003, pag. 72, n. 87 | Gnann, 2007, pag. 171, n. 58 | Borea, 2009, vol. II, cap. VIII, n. 1

Trento (?) ca. 1510 - Bologna (?) post 1550

Antonio da TRENTO

16 Madonna delle rose

“Die Komposition folgt einem neuen und besonderen Thema der Renaissancemalerei, das die Madonna zusammen mit dem Jesuskind und dem Johannesknaben zeigt. Vor allem Raphael prägte das Thema, und es scheint, als hätten die Tondi der Madonna D’Alba (Washington, National Gallery) und mehr noch der Madonna della Seggiola (Florenz, Palazzo Pitti) die in ein Oval einbeschriebene Bildfindung Parmigianinos beeinflusst. Das blattreiche Gesträuch umflort die Köpfe und hält das räumliche Ambiente unbestimmt. Die Darstellung wird so auf die Protagonisten konzentriert und erscheint eingelassen in einen festen braunen Grund. Aus den Gesichtern der malerisch komponierten Köpfe leuchten die Nasenspitzen sowie Kinn und Mund hervor. Auch sitzen Glanzlichter auf Haar und Nacken der Madonna, ihrer Schulter-, Arm- und Handpartie sowie auf dem ausgestreckten Bein des Jesuskindes. Sein rechter Fuß stützt sich am Bildrand ab und weckt so die Illusion eines festen Rahmens. […]. Zur Madonna delle Rose ist eine Vorzeichnung bekannt, die sich bis Ende des Zweiten Weltkriegs in der Kunsthalle in Bremen befand und seither verschollen ist. Das zum Clair-obscur-Holzschnitt von Antonio da Trento seitenrichtige Blatt zeigt die Figurengruppe mit Antonios Arbeit weitgehend identisch, doch fehlt der florale Hintergrund. In dieser Vorstufe zur endgültigen Konzeption scheint die ovale Form der Komposition im Bereich des sich am Bildrand abstützenden Fußes des Jesuskindes bereits von Parmigianino angedacht.” (Gnann, Parmigianino und sein Kreis, 2008, pag. 171)

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Chiaroscuro a due legni mm 290x182. Stato unico. Il soggetto, tratto da un disegno del Parmigianino, è stato variamente interpretato come Narciso alla sorgente, Narciso e Eco e Un uomo e una donna nel bosco. Bellissimo esemplare stampato in tonalità rosa-bruna su carta con filigrana “tre monti in uno stemma”, non completamente leggibile. In perfette condizioni di conservazione e con piccoli margini intorno alla linea di inquadramento. [Foto a pagina 126]

Bartsch, vol. XII, pag. 148, n. 13 | Mussini-De Rubeis, 2003, pag. 70, n. 82 | Graf-Mildenberger, 2001, pag.88, n. 23 | Gnann, 2007, pagg. 180-181, nn. 63-64

Trento (?) ca. 1510 - Bologna (?) post 1550

Antonio da TRENTO

17 Uomo nudo seduto visto di schiena (Narciso?)

“Der Farbholzschnitt zeigt einen vom Rücken gesehenen, sitzenden Mann zu Füßen eines mächtigen Baumes, hinter sich eine auf dem Boden stehende, weibliche Büste aus Stein. Mariette, der profunde Kenner und Vorbesitzer dieses Blattes, hat dazu folgendes bemerkt: Diese Figur, ein bloßer akademischer Akt, ist ausnehmend schön, was die Richtigkeit der Zeichnung und die Leichtigkeit des Vortrags anlangt. Nur Parmigianino konnte so geistreich zeichnen, und man zweifelt nicht, daß er selbst die Züge und Schraffierungen, welche Schalten und Lichter ausdrücken, auf den Holzschnitt zeichnete, bevor er sie schneiden ließ, wozu er sich des Antonio da Trento bediente, welcher das Genre der Formschnitte in Helldunkel mit am glücklichsten arbeitete. Nachdem diese Figur seither stets als Aktfigur eines sitzenden Mannes beschrieben worden war, hat Schade 1957 den überraschenden Vorschlag gemacht, in der Darstellung Narziß an der Quelle zu sehen. Diese Deutung wurde von Popham mit dem Hinweis abgelehnt, eine Quelle sei nicht zu erkennen. Trotter ist ihm hierin gefolgt. Dagegen haben Oberhuber und van Hasself die überraschende Deutung Schades akzeptiert. Ovid beschreibt die Fabel von Narziß und Echo in seinen Metamorphosen: Der schöne Jüngling Narziß, in den sich die scheue Nymphe Echo verliebt hat, erblickt im Wasser sein Spiegelbild und kann - selbstverliebt wie er ist - den Blick nicht mehr davon wenden. Während die Nymphe Echo vergebens versucht, die Aufmerksamkeit von Narziß auf sich zu lenken, verzehrt sich Narziß in Sehnsucht nach seinem unerreichbaren Spiegelbild, und die Nymphe Echo versteinert vor Schmerz. Zwar überrascht es, daß ein so profunder Kenner wie Mariette nicht selbst schon die von Schade vorgeschlagene Deutung erwogen hat, doch ist in der kanonischen Form der Darstellung dieses Themas Narziß meist als schön gekleideter Jüngling an einen Wasser kniend zu sehen, in dem er sein Antlitz spiegelt. Die steinerne Büste Echos im Bilde und Ovids Vers, während er jammerte, streifte er ah das Gewand und mit Händen, welche wie Marmor glänzten, zerschlug er die Brust sich, scheinen jedoch der Deutung Schades Recht zu geben. Ein Gesamtentwurf für diesen Farbholzschnitt ist nicht nachweisbar. Wie genau aber Parrnigiartino diese Komposition vorbereitet hat, zeigt seine Studie zu dem mächtigen Baum und das umgebende Laubwerk, die sich im Rijksprentenkabinet in Amsterdam beflndet.” (Graf-Mildenberger, Chiaroscuro Italienische Farbholzschnitte der Renaissance und des Barock, 2001, pag. 88)

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Attivo ca. 1530-1535

MAESTRO DEL DADO

18a Fauni e Baccanti offrono un sacrificio a Priapo

Bulino mm 159x284. Primo stato su quattro, antecedente all’excudit del Thomassin e con il membro della statua di Priapo ancora eretto; nell’angolo inferiore destro il dado con la lettera B e nel bordo bianco inferiore alcuni versi in italiano. Stefania Massari (1985 e 1993) menziona un primo stato antecedente ai versi nel bordo bianco inferiore, ma paradossalmente cita ad esempio un esemplare mutilo di tale margine. Magnifica prova stampata con intenso effetto chiaroscurale, in perfetto stato di conservazione e completa di filo di margine oltre la battuta del rame. Provenienza: al verso timbro in violetto non identificato della seconda metà del XIX° secolo, Lugt n. 2732; timbro in blu “foglia con iniziali AF sovrapposte” non nel Lugt; firma di collezione non identificata seguita dalla data 1864.

18b Fauni e Baccanti offrono un sacrificio a Priapo

Bulino mm 159x284. Secondo stato su quattro con l’excudit di Filippo Thomassin, incisore e stampatore attivo a Roma dal 1585, al centro nel bordo bianco inferiore, ma antecedente all’indirizzo del De Rossi. La stampa è stata censurata ed il membro di Priapo non è più eretto. Bellissima prova stampata su carta con filigrana “giglio sopra tre monti in un cerchio sormontato da lettera M”, Woodward n. 112, Roma 1580. In perfetto stato di conservazione e completa alla battuta del rame. Provenienza: al verso timbro in blu “foglia con iniziali AF sovrapposte” non nel Lugt.

Bartsch, vol. XV, pagg. 203-204, n. 27 | Passavant vol. VI, pag. 99, n. 27 | D’Amico, 1980, pag. 41, n. 125 | Massari, 1985, pag. 244, n. III/5 | Massari-Prosperi Valenti Rodinò, 1989, pagg. 101-103, n. 31 | Massari, 1993, pagg. 58-60, n. 50

“La lastra di questo bulino è conservata alla Calcografia Nazionale di Roma. Due disegni di Giulio Romano sembrano essere i modelli da cui è derivata l’incisione: il primo, tratto da un bassorilievo antico, è andato perduto, e il secondo, raffigurante solo il particolare del fauno con il doppio flauto che si vede a sinistra, è al Louvre” (Bellini, in Dizionario della stampa d’arte, 1995, pag. 636, n. 22)

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Bulino mm 200x309. Stato unico. In basso al centro il monogramma del Ghisi. Bellissima prova stampata con tonalità argentee, completa di filo di margine oltre l’impronta del rame sui quattro lati; alcuni modesti assottigliamenti della carta visibili solo in controluce, per il resto in ottime condizioni di conservazione.

Bartsch, vol. XV, pag. 405, n. 55 | Massari, 1981, pagg. 118-119, n. 175 | Lewis , 1985, pagg. 39-40, n. 3 | Massari, 1993, pagg. 169-171, n. 161 | Bellini, 1998, pagg. 38-40, n. 4

“Sono due le applicazioni del disegno: il tondo affrescato nella loggetta del giardino segreto del Te, e un’incisione di Giorgio Ghisi. Boorsch suppone che Ghisi abbia potuto utilizzare il modello di Giulio, dato che le dimensioni delle figure sono le stesse nel disegno e nella stampa. L’iconografia della scena è inusuale, e il suo significato oscuro, nonostante i tentativi d’interpretazione. L’episodio più singolare è quello del caprone, che si appoggia al tavolo per addentare un oggetto di forma piramidale. Il profilo arcuato dell’animale è ripreso dal gesto di un satiro, che tormenta con un ramoscello Sileno ubriaco, abbandonato al sonno. Non e chiaro se si vogliano contrapporre gli effetti del baccanale a un’idea di razionalità, simboleggiata dalla piramide.” (Talvacchia, in Giulio Romano, 1989, pag. 285)

Mantova 1520 - ivi 1582

Giorgio GHISI

19 Sileno addormentato

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Acquaforte e bulino mm 325x429. Firmato in basso a sinistra brueghel Inuetor. / .h . cock excude. In basso a destra brue.inu. Splendida prova estremamente nitida e contrastata stampata su carta vergellata sottile priva di filigrana. In ottimo stato di conservazione e completa alla linea di contorno.

Bastelaer, 1908, pag. 33, n. 9 | New Hollstein (Orenstein), 2006, pagg. 120 e 129, n. 52 | Müller-Roetting-Kaschek, 2001, pag. 42, n. 4 | Sellink, 2007, pag.70, n. 26

“Questo paesaggio nasce dalla selezione e dalla sintesi di elementi i quali, benché tratti dal vero, risultano osservati dall’artista in momenti e luoghi diversi e più tardi raccolti meditatamente a formare una composizione unitaria. E’ un procedimento che si riscontra spesso nel Bruegel paesaggista. Qui, per esempio, l’artista ha riunito elementi provenienti da due paesaggi originariamente diversi: il grande picco subito a destra del centro della composizione non deriva dal disegno del Louvre, ma da un diverso paesaggio dello stesso anno. Sensibili alterazioni sono intercorse nel paesaggio tra il disegno e l’incisione.[...]. Oltre che nella tradizione fiamminga, solo in Leonardo e nei pittori cinesi contemporanei la natura assume un volto cosi incondizionatamente dato a priori rispetto all’occhio umano che l’osserva, e tale da assumere non di rado il carattere di un grande, un immenso vivente la cui vita misteriosa il microscopico essere umano non fa che spiare e cogliere in parte. Analogie sorprendenti sono state notate tra la filosofia del paesaggio in questi artisti estremo-orientali e l’arte europea di tradizione antirinascimentale fiamminga in particolare. Le sembianze umane e animali che si dissimulano nei paesaggi cinesi, animandone le gole deserte, ammantate d’alberi, nelle quali il vento sembra correre come un respiro, hanno sorprendenti paralleli nei paesaggi di Bruegel. Un teorico cinese, il pittore Han-Cho, dichiara ad esempio che in una cerchia di montagne deve esserci sempre un ospite, un picco più alto dei suoi convitati; e in un’opera del pittore Kuan-Tung vediamo effettivamente il profilo dell’uomo-roccia elevarsi orgogliosamente al di sopra delle scarpate coperte di vegetazione, dominando l’adunata dei picchi circonvicini.” (Vallese, Vizi, virtù e follia nell’opera grafica di Brueghel il Vecchio, 1979, n. 2)

Breda (?) ca. 1525 - Bruxelles 1569

Pieter BRUEGEL il Vecchio (da)

20 Paesaggio alpino con una valle profonda

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Acquaforte e bulino mm 324x427. Secondo stato su due, dopo l’aggiunta di alcuni tratteggi sul volto e la veste della Maddalena. Firmato in basso a sinistra brueghel Inuen. / .h . cock excud. Nel margine bianco inferiore Magdalena Poenintens. Splendida prova estremamente nitida e contrastata stampata su carta vergellata sottile priva di filigrana. In perfetto stato di conservazione ad esclusione di tracce di piega verticale visibile al verso; con buoni margini oltre l’impronta del rame.

Bastelaer, 1908, pag. 33, n. 8 | Müller-Roetting-Kaschek, 2001, pag. 42, n. 3 | New Hollstein (Orenstein), 2006, pagg. 120 e 127-128, n. 51 | Sellink, 2007, pag.69, n. 25

“Non ci e pervenuto il disegno originale predisposto da Bruegel per questa incisione. L’immagine sembra tuttavia combinare elementi tratti da almeno due disegni superstiti dell’autore. Da uno, conservato al Kupferstichkabinett di Dresda (M. 6), sembra derivare, in forma rovesciata e leggermente alterata nel profilo, la cima più alta che si vede qui, un po’ a sinistra rispetto al centro; la stessa montagna, con la sua caratteristica forma spaccata, compare, a destra in alto, in un secondo disegno, anch’esso conservato al Kupferstichkabinett di Dresda. [...] La figura minuscola della penitente si trova appartata in un angolo della composizione, dietro un riparo di rocce e tronchi d’albero, la testa rischiarata da un leggero alone luminoso, avendo per compagni un teschio, un crocifisso e un libro, dove indica col dito un passo scritturale sul quale è fissata la sua meditazione. Dietro il ritiro della Maddalena, un uomo e due muli carichi s’inerpicano su una mulattiera, sotto un folto di alberi verdi. Nel mezzo del fiume, il cui corso serpeggiante movimenta ammirabilmente tutta la parte sinistra della figurazione, si vede galleggiare una chiatta, traccia di vita umana subito rimata dall’elemento naturale dell’isolotto poco più indietro. Al centro, dove sembrano convergere a stella le linee della composizione e convenire a raduno il gregge sparso degli alberi, inerpicato dappertutto a individui, a file, a piccoli gruppi, compare una città bagnata dal fiume, nella quale si vede un’alta chiesa gotica. In alto, lungo il crinale delle montagne, si erge una forca col suo carico umano, più a destra una croce nei pressi di un precipizio, poi, al di sopra di una fitta adunata di alberi, una radiosa glorificazione della Maddalena, circondata da un volo d’angeli, che isolata nel cielo uniforme sembra manifestarsi ad un cosmo indifferente non, come nelle Assunzioni, seguita da una siepe di teste umane levate in contemplazione, ma assistita dall’immemoriale e silenzioso raduno delle piante.” (Vallese, Vizi, virtù e follia nell’opera grafica di Brueghel il Vecchio, 1979, n. 5)

“Les eaux-fortes de la série Les Grands Paysages sont d’un format inhabituellement grand. Par leur caractère à la fois naturel et majestueux combiné avec une recherche délibérée d’unité compositionnelle, ces gravures ont fait impression sur les contemporains et influencé fortement l’évolution du paysage flamand dans la seconde moitié du XVIe et au début du XVIIe siècle. Même si la série laisse d’abord une impression naturelle, il importe de se rendre compte qu’il s’agit de compositions soigneusement élaborées en atelier. En outre, quel que soit le caractère innovateur du résultat, elles sont solidement ancrées dans les traditions du paysage aux Pays-Bas (Patinir) et en Italie (Titien). On a également démontré récemment que les paysages de montagne de Bruegel ne peuvent pas être considérés indépendamment de l’intérêt témoigné par la science pour le paysage en tant que phénomène naturel et élément de la création divine”. (Sellink, Bruegel, l’oeuvre complet, Peintures, dessins, gravures, 2007, pag. 64)

Breda (?) ca. 1525 - Bruxelles 1569

Pieter BRUEGEL il Vecchio (da)

21 Magdalena Poenitens

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Bulino mm 342x224. Stato unico. In basso a sinistra la firma dell’incisore Ioa baptista de cavalleriis inci e a destra l’excudit di Ferrando Bertelli, editore attivo a Venezia nel periodo 1561-1575, Ferando bertelis exc. Superba prova di questa rara incisione stampata su carta con filigrana “tre monti sormontati da un albero nello scudo”, Woodward n. 131, riferita a carta usata a Venezia da Ferrando Bertelli nel 1565. Perfetto stato di conservazione con margini di alcuni millimetri oltre la battuta del rame su tutti i lati. Prove in queste condizioni di conservazione e complete del margine bianco superiore e inferiore sono di estrema rarità. Infatti quasi tutti gli esemplari conservati nelle grandi collezioni museali risultano amputati di tali margini.

Scorsetti, 2002, pag. 5, n. 49

Villa Lagarina (Trento) ca. 1525 - Roma 1601

Giovanni Battista DE CAVALLERIIS

22 Sacra Famiglia con un angelo, S. Antonio Abate, S. Maddalena S. Margherita

“Si sono adoperati intorno agl’intagli di rame molti altri, i quali, se bene non hanno avuto tanta perfezzione, hanno nondimeno con le loro fatiche giovato al mondo, e mandato in luce molte storie et opere di maestri eccellenti, e dato commodità di vedere le diverse invenzioni e maniere de’ pittori a coloro che non possono andare in que’ luoghi dove sono l’opere principali, e fatto avere cognizione agl’oltramontani di molte cose che non sapevano: et ancorché molte carte siano state mal condotte dall’ingordigia degli stampatori, tirati più dal guadagno che dall’onore, pur si vede, oltre quelle che si son dette, in qualcun’altra essere del buono” (Vasari, Le Vite dei più Eccellenti Pittori, Scultori e Architetti, ed. 1991, pag. 850)

“Rimane il fatto indiscutibile che egli è stato un instancabile esecutore di raccolte di incisioni, che gli permisero di conquistare notorietà e una posizione di rilievo nell’ambiente romano, contribuendo in tal modo alla rapida diffusione delle immagini della cultura figurativa del ‘500, attraverso le quali è possibile ripercorrere e ricostruire la storia delle opere, ma anche le passioni, la spiritualità, il gusto, gli eventi di una società e di un secolo segnato e percorso da molteplici fermenti. L’importanza della sua opera riguarda quindi la ricca documentazione iconografica prodotta e rapi-damente diffusa attraverso le incisioni raccolte in volumi, che vanno significativamente ad integrare la descrizione delle fonti dell’epoca, in un percorso che si sviluppa e oscilla dalla cultura figurativa dell’umanesimo e del manierismo all’iconografia della Controriforma.” (Pizzamano, in Giovanni Battista Cavalieri -Un incisore trentino nella Roma dei Papi del Cinquecento, 2001, pag. 21)

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Acquaforte mm 105x77. Stato unico. Nell’angolo in basso a sinistra il monogramma FP, sul basamento la scritta NEDIMEON. Magnifica prova stampata su carta vergellata sottile, in perfette condizioni di conservazione e completa all’impronta del rame.

Bartsch, vol. XVI, pag. 25, n. 20 | Ferrara-Bertelà, 1975, n. 308 | Gould, 1994, pag. 198, n. E9 | Mussini-De Rubeis, 2003, pag. 61, n. 66

“L’acquaforte traduce in controparte con minime varianti un disegno di Parmigianino, sul verso di un foglio conservato a Chatsworth (Popham 1971, n. 725 verso, tav. 176), il recto del quale reca una figura allegorica della Fortezza, anch’esso inciso dal Monogrammista FP. L’iscrizione sul basamento che sorregge la sfera armillare è da interpretarsi come Endimione, bellissimo pastore della mitologia, amato dalla dea Luna e amante di Diana, associabile a un’allegoria dell’astronomia, in quanto studioso dei moti della luna e delle fasi lunari.” (Mussini-De Rubeis, Parmigianino tradotto, 2003, pag. 61 )

Attivo ca. 1530 - 1550

MONOGRAMMISTA FP

23 Donna che osserva una sfera armillare

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Bulino mm. 321x240. Primo stato su quattro secondo Bierens De Haan e su tre secondo Sellink, con l’indirizzo dello stampatore Giovanni Battista De Cavalieri Jo Babtista de Cavallerijs aeneis formis Romae, in basso a sinistra e, a destra, il privilegio Cum privilegio ad triennium, incisi subito sotto i versetti in latino presenti nel margine bianco inferiore. All’interno della parte figurata, in basso a sinistra, il nome di Federico Zuccari, inventore del soggetto e, sotto, quello dell’incisore seguito dalla data 1572. Nel secondo stato l’indirizzo del De Cavalieri è stato sostituito da quello di Philippe Thomassin. Rara incisione tratta da un disegno dello Zuccari conservato al Louvre. Bellissimo esemplare stampato su carta con filigrana “incudine e martello in un cerchio” simile a Woodward n. 230, Roma 1574. In ottimo stato di conservazione con traccia di piaga orizzontale centrale e una macchia bruna, entrambe visibili solo al verso. Completo all’impronta del rame su tre lati e con sottile margine oltre la battuta al lato inferiore. Provenienza: al verso timbro in violetto non identificato della seconda metà del XIX° secolo, Lugt n. 2732; timbro in blu “foglia con iniziali AF sovrapposte” non nel Lugt.

Bierens De Haan, 1948, pagg. 35-36, n. 1 | New Hollstein (Sellink), 2000, vol. I, pag. 15, n. 1

Hoorn 1533 - Roma 1578

Cornelis CORT

24 La creazione di Eva

“[Federico Zuccari] often used his brother’s drawings for his own compositions, such as Taddeo’s drawing of St Paul, which Federico employed as the figure of Christ in his Raising of Lazarus in the Grimani Chapel in San Francesco della Vigna, Venice. The large Caprarola commission would have been no exception. A link between the brothers is provided by an engraving by Cornelis Cort of The Creation of Eve composition, dated 1572. Although Federico’s name appears on the plate, there are at least two other precedents for him using his brother’s drawings for engravings that were published under Federico’s name. Importantly, the Cort engraving is different from Federico’s compositions in both the fresco and the Louvre study. Adam’s head looks down in the engraving but upwards in the fresco and Louvre study; his arm rests against his head in the engraving but is draped over a rock in Federico’s versions. Because of these and other differences, John Gere deduced that the Cort engraving was not based on the fresco or Federico’s study but was probably derived from an earlier source. Cristina Acidini noted that Federico’s drawing was most likely based on an earlier rectangular drawing not yet found.” (Muenzen, God creates Eve in Apollo Magazine Ltd, 2006)

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Hoorn 1533 - Roma 1578

Cornelis CORT

25 Riposo durante il ritorno dall’Egitto Bulino mm 415x285. Primo stato, antecedente al nome di Federico Barocci sulla pietra in basso a destra. Il nome di Cort Cornelio cort fe. compare sulla stessa pietra. Rarissima e superba prova stampata su carta con filigrana “losanga contenente stella a sei punte in un cerchio”, simile a Woodward n. 291, Italia 1565. In ottimo stato di conservazione a parte la presenza di alcune pieghe di stampa. Filo di margine oltre la battuta del rame su tre lati; al lato inferiore il margine bianco, che negli stati successivi reca i versi in latino, è presente per circa cinque millimetri. Provenienza: al verso timbro in violetto non identificato della seconda metà del XIX° secolo, Lugt n. 2732; timbro in blu “foglia con iniziali AF sovrapposte”, non nel Lugt; firma di collezione “Beek?” in inchiostro nero e in antica grafia, non nel Lugt.Bierens De Haan, 1948, pagg. 61-63, n. 43 | Pillsbury-Richards, 1978, pagg. 106-107, n. 76 | The New Hollstein, (Sellink), 2000, vol. I, pagg. 125-133, n. 40 | Giannotti-Pizzorusso (Marini), 2009, pag. 389, n. 114

Laurentius Vaccarius. D. D. in basso nella cartouche e la scritta Romae An Iub 1575 al centro, sotto i versi. V. La scritta Romae An Iub 1575 è ora sostituita da Romae apud Carolum Losi anno 1774. Abbiamo esaminato in maniera critica gli esemplari di primo stato (Vienna) e secondo stato (Dresda) citati da De Haan come pure quelli citati da Sellink: primo stato: Vienna presente anche in controprova, Amburgo; secondo stato: Philadelphia e Vienna in controprova, Città del Vaticano; (presunto) terzo stato: Roma-Villa Farnese. Si è potuto constatare che gli esemplari in primo stato di Vienna ed Amburgo risultano entrambi rifilati alla linea di inquadramento del soggetto e quindi privi del margine bianco inferiore; in entrambi è assente il nome del Barocci e la pietra in basso a destra appare in larga misura bianca essendo priva di ombreggiatura. Tali esemplari sono analoghi a quello da noi proposto. La controprova del primo stato di Vienna presenta solo alcuni millimetri di margine e le peculiarità tipiche dei primi stati come prima descritto. L’esemplare di Dresda risulta di fatto in quarto stato in base alla classificazione di Sellink. La prova in secondo stato della Biblioteca Vaticana con il nome del Barocci è in realtà mutila del margine inferiore e rifilata anche lungo i lati verticali (mm 388x265 vs 414x284): ciò implica l’impossibilità di identificazione certa dello stato che può variare dal II° al V° in base alla classificazione di Sellink. La controprova di secondo stato di Philadelphia è anch’essa mutila del margine bianco inferiore: ciò impedisce la definizione certa dello stato, però la presenza nel margine residuo di alcune linee orizzontali, in corrispondenza della sede della cartouche, suggerisce che si tratti di uno stato successivo con la presenza della cartouche e non senza. La prova conservata nella Collezione di Villa Farnese a Roma a nostro avviso sembra inequivocabilmente una copia come appare dalle significative differenze, rispetto all’originale, sia nella parte scritta che in quella figurata. E’ da rilevare inoltre che se la cartouche fosse stata introdotta all’estremità destra del margine in un tempo successivo rispetto ai versi, questi avrebbero dovuto avere, negli stati precedenti, una anomala posizione asimmetrica spostata verso sinistra. In base a tali osservazioni, come ipotesi di lavoro da verificare attraverso eventuali ulteriori riscontri, si propone la seguente nuova definizione degli stati:

1. Con la scritta Cornelis cort fe sulla pietra che appare in gran parte senza ombreggiatura e prima di ogni altra scritta (cfr. l’esemplare di Vienna ed Amburgo), come nella prova da noi presentata.

2. Con l’aggiunta, nella parte figurata, di Federicus Barotyus Urbinas’ / inuentor e nel margine bianco inferiore dei tre versi di due linee, della cartouche con la dedica di Laurentius Vaccarius e della scritta Romae An Iub 1575 in basso al centro (cfr. esemplare di Londra, Firenze, Dresda, New York, ecc.).

3. La scritta Romae An Iub 1575 è ora sostituita da Romae apud Carolum Losi anno 1774 (stato da noi non verificato).

Si ringrazia per la gentilezza e pazienza Barbara Jatta della Biblioteca Vaticana, Ingrid Kastel dell’Albertina di Vienna, David Klemm del Kunsthalle di Amburgo, Tobias Pfeifer-Helke del Kupferstich-Kabinett di Dresda, Manfred Sellink del Museo di Bruges e James Wehn del Museo di Philadelphia.

Piuttosto complessa risulta la definizione degli stati di questa incisione, ulteriormente complicata dalla presenza di numerosissime copie. Sia Bierens De Haan (1948) che Manfred Sellink (2000) ritengono che i tre versi di due linee ciascuno Virgo qui hauris...in orbe caret nel margine bianco inferiore siano presenti fin dal primo stato e che nel terzo stato sia stata aggiunta, all’estremità destra dello stesso margine, la cartouche con la dedica al Cardinal Jacobo Sabello. De Haan identifica tre stati: I. Con la firma Cornelis cort fe. in basso a destra sulla pietra nell’acqua. II. Sulla stessa pietra, sopra il nome di Cort, è aggiunto il nome del Barocci, inventore del soggetto Federicus Barotyus Urbinas’ / inuentor III. Al di sotto dei versi, al centro, compare la scritta Romae An Iub 1575 e a destra la cartouche con la dedica al Sabello. Lo studioso erroneamente riproduce, come esempio di primo stato, la copia h/I della classificazione proposta da Sellink. Sellink, successivamente, ha identificato cinque stati: I. e II. come De Haan. III. Con l’aggiunta della cartouche con la dedica a destra. IV. Con il nome

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Bulino mm 513x369. Primo stato su quattro con l’indirizzo dello stampatore Bonifacio Breggi, con un melone ed alcun foglie, nel margine bianco inferiore Bonefatio Breggi al Melone doro in Roma. All’interno della parte figurata in basso, a sinistra, il privilegio e, a destra, in nome di Girolamo Muziano, inventore del soggetto, seguito dalla data 1575; più in basso la firma di Cort. Nel secondo stato l’indirizzo del Breggi è stato cancellato. Bellissima prova stampata su carta con filigrana non completamente leggibile “figura in un cerchio”. In ottimo stato di conservazione con traccia di piaga orizzontale centrale e resti di antichi supporti, entrambi visibili solo al verso. Completa alla linea di inquadramento su tre lati e all’impronta del rame al lato inferiore.

Bierens De Haan, 1948, pagg. 125-126, n. 114 | New Hollstein (Sellink), 2000, vol. II, pag. 133, n. 108

26 San Francesco penitente

Hoorn 1533 - Roma 1578

Cornelis CORT

“Between 1573-1575, before the Column of Trajan book was published, Bregio was evidently involved in printing a series of seven engravings by Cornelis Cort after drawings by Girolarno Muziano of saints in the wilderness. Each plate is inscribed with Bregio’s printer’s address: Bonifazio Bregio at the [sign of the] Golden Melon in Rome (Bonefatio breggi al melone doro in Roma. One of the prints in the series, St. Jerome Penitent in the Wilderness, dated 1573, is inscribed Moto proprio de papa gregorio XIII pontifice maximo. On each of the other six plates the privilegio is written PRIVILEGIO.D.GREG.PP.XIII; St. Eustache in the Wilderness Encounters the Miracolous Stag, 1575; St. Francis of Assisi Penitent in the Wilderness, 1575; St. John the Baptist in the Wilderness, 1574 or 1575; St. Jerome translating the Bible in the Wilderness, 1573; Mary Magdalen Penitent in the Wilderness, 1573; and St. Onuphrius Penitent in the Wilderness, 1574; Muziano also has in his possession in 1578 an eighth plate by Cort, dated 1567, of St. Francis receiving the Stigmata […] A notary document of 16 July 1578 refers to Muziano having in his possession eight engraved copper plates, six for printing in “foglio reale” engraved by the deceased Cornelis Cort and designed by Muziano, and two other engravings by another hand. The six prints are then each identified by the name of the saint: le decte sei de cornelio son queste una de S. hieronirno unaltra de S. lo. Bap.sta laltra de S. heustachio, laltra dc S. Honofrio laltra de S. Gioacchino [sic] e la sesta della magdalena e una pure de uno foglio reale intagliato da uno altro de S. Hier.o che scrive et loctava piccola intagliata da un altro de la Matalana [...].” (Witcombe, Copyright in the Renaissance: prints and the privilegio in sixteenth-century Venice and Rome, 2004, pag. 221)

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Acquaforte mm 354x581. Stato unico. In basso su un sasso, al di sotto del piede sinistro di Achille, il monogramma LD. Magnifica prova di questa rara incisione, tratta da un affresco dipinto da Giulio Romano nella sala di Troia del Palazzo ducale di Mantova, stampata su carta vergata coeva con filigrana “aquila”. In ottime condizioni di conservazione e con filo di margine oltre la battuta del rame.

Bartsch, vol. XVI, pag. 315, n. 15 | Hebert, ed. 1969, pag. 35, n. 81 | Zerner, 1969, n. 47

27 Achille porta via dalla battaglia il corpo morto di Patroclo

Attivo ca. 1540 - 1556

Léon DAVENT

“Abbiamo ricordato all’inizio che il termine di Scuola di Fontainebleau è stato dapprima applicato all’incisione. Oggi si ammette che non è più possibile, come si era proposto in passato, circoscrivere questa Scuola di incisori ed artisti operanti unicamente a Fontainebleau. In effetti se questa supposizione è certo valida per Antonio Fantuzzi, altri come Léon Davent (il Maestro L.D.) e Jean Mignon lavorarono a Parigi, come pure Pierre Milan. Inoltre alcuni artisti incidono le loro composizioni (Juste de Juste o Geoffroy Dumoustier), e le incisioni di Mignon da Luca Penni riproducono opere che non figurano nel castello. La questione è dunque più complessa di quanto non sia apparsa prima [...]” (Béguin-Cassanelli, La bottega dell’artista: tra Medioevo e Rinascimento, 1998, pag. 284)

“[...] Il paraît presque certain que Davent avait quitté Fontainebleau, et même probablement la France, dès 1546. Pourquoi Davent serait-il parti? Et Penni serait-il parti avec lui? Ces questions exigent une étude mais il ne saurait être question d’y répondre dès maintenant. Il paraît probable que Penni soit parti avec Davent; l’on peut comprendre que des dessins de Jules Romain ayant servi à un projet de décor terminé de longue date soient parvenus à Fontainebleau; mais il est difficile d’admettre que Penni ait fourni à Davent de nouveaux dessins destinés à être publiés sous forme d’eaux-fortes en un lieu fort éloigné de Fontainebleau, où il serait resté lui-même. Il se pourrait bien, en réalité, que la décision de voyager soit venue de Penni et que Davent l’ait suivi.” (Boorsch, Les gravures de l’Ecole de Fontainebleau, in La gravure française à la Renaissance, 1994, pag. 88)

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Bulino mm 227x392. Primo stato su cinque, prima di ogni scritta. Superba, brillante prova omogeneamente inchiostrata, stampata con tono di fondo su carta con filigrana “tre monti sormontati da un giglio e inscritti in uno scudo”. Perfette condizioni del foglio completo di margini che variano da 3 a 5 mm tutt’intorno all’impronta del rame.

Bartsch, vol. XV, pag. 452, n. 46 | Massari, 1980, pagg. 86-87, n. 141 | Bellini, 1991, pagg. 186-187, n. 15 | Massari, 1993, pagg. 147-148, n. 146

28 Un toro offerto in sacrificio alla statua di Giove

Mantova ca. 1545 - Roma ca. 1590

Diana SCULTORI

“La stampa, tra le migliori intagliate da Diana a Mantova in cui ...tanto bene sono conservati i precetti di Giulio, che quasi è a vedersi che questi di persona la dirigesse a condur questo intaglio come osserva il D’Arco che la intitola La Preghiera nel Tempio di Giove, raffigura l’Offerta fatta a Giove di un toro visibile in affresco nella lunetta della Loggia che si apre nel Giardino Segreto a Palazzo del Te. Rispetto all’affresco, forse eseguito da Girolamo da Pontremoli tra il 1531 e il 1534, la stampa presenta alcune differenze evidenti soprattutto nelle fisionomie dei personaggi e registrate anche dal D’Arco ...molte varietà si veggono fra questa stampa ed il dipinto di Giulio, eseguito nel luogo detto la Grotta al Te, se non nel numero delle figure, certamente nel modo con cui furono disposte. L’incisione difatti ripropone in controparte non l’affresco ma il modello di Giulio che si conserva al Cabinet des Dessins del Louvre. Animali e uomini attraversano la scena lungo una diagonale, una luce radente investe le figure che si stagliano dal fondo molto simili a quelle di un bassorilievo, queste mostrano non poche analogie con gli stessi personaggi visibili sulla colonna Traiana, ed in effetti il gruppo di sinistra accanto al toro riecheggia modelli classici. In particolare la figura del toro e del giovane che lo accompagna al sacrificio tenendo l’ascia sulla spalla sinistra è ispirato al rilievo con la processione sacrificale un tempo visibile nel giardino di S. Marco a Roma ed ora al Louvre.” (Stefania Massari, Giulio Romano pinxit ed delineavit, 1993, pagg. 147-148).

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Acquaforte mm 107x165. Stato unico. Nell’angolo in alto a destra la firma del Maestro Palma fece. Bellissima prova stampata su carta sottile in perfette condizioni di conservazione e con piccoli margini tutt’intorno alla linea di inquadramento.

Bartsch, vol. XVI, pag. 292, n. 21

29 La Vergine con il bambino Gesù, San Gerolamo e San Francesco

Venezia 1548 - ivi 1628

Jacopo NEGRETTI detto PALMA il Giovane

“Palma disegna per dipingere, sia con la penna che con i gessi che con il pennello, dagli schizzi veloci per fissare sulla carta una prima idea, agli studi di approfondimento di una figura con le sue eventuali varianti, a quelli di composizione più rifiniti, fino ai modelletti quadrettati per il riporto sulla tela, in cui la luce viene precisamente esplorata attraverso la biacca. Disegna, pure, perché lo ritiene un fondamentale esercizio della mano per acquisire pratica oltre che un determinato codice figurativo; e, ancora, il disegno è per lui momento diverso, di ripiegamento in se stesso e di capriccio, come lo definiva il Ridolfi, sfogo di una creatività non costretta, in questa fase, a farsi imbrigliare negli schemi della cultura di tono conservatore imperante a Venezia alla fine del Cinquecento. A differenza dei disegni di Jacopo Tintoretto che, con l’esclusione dei giovanili esercizi da statue antiche, da Michelangelo e da altri modelli plastici, sono quasi tutti studi di figura a gesso nero che trovano precisa corrispondenza nei dipinti, Palma esplora ogni singolo aspetto della grafica, rifacendosi in questo a Paolo Veronese, cui è debitore del primo stile a penna, presentando un corpus grafico oltremodo variegato, spaziante tra la ricerca intellettualistica della forma, pensieri su una figura, o su un tema non sempre finalizzati, e studi parziali o generali per dipinti. Per lui l’attività grafica e quella pittorica si compenetrano e si integrano profondamente nel processo creativo, anche se rappresentano momenti distinti e sempre diversi del suo comportamento espressivo. Consapevole che l’esercizio disegnativo rappresenta un insostituibile strumento di conoscenza diretta del mondo visibile, e che nei disegni è possibile trasferire documentariamente l’informazione preziosa di persone e oggetti del presente e del passato, egli riversa nei suoi fogli non soltanto le immagini nascenti della sua fantasia inesauribile, ma anche le impressioni mnemoniche della propria esistenza familiare, affettiva e, dunque, privata [Grassi,1968, pp. IX-XXI]”. (Mason-Rinaldi, Palma il Giovane 1548-1628 -Disegni e dipinti, 1990, pag. 12)

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Acquaforte mm 200x271. Primo stato sconosciuto al Barstch e alla bibliografia correlata, antecedente ad ogni scritta nel margine inferiore che appare completamente bianco. Nello stato successivo compare a sinistra la firma del Tempesta e a destra il nome dell’editore François Langlois, il Ciartres, seguito dal privilegio. Bartsch inserisce questa incisione come prima di una serie che intitola Diverses chasses d’animaux specificando che la suite è costituita da 7 stampe ed ipotizza l’esistenza di un’ottava che funge da frontespizio. Segnala che le incisioni sono numerate dall’uno al sette a destra nel margine, pur conoscendo delle prove avanti il numero. In effetti al Britisch Museum è conservato un esemplare con la firma del Tempesta e l’excudit del Ciartres, ma antecedente al numero 1. Magnifica e rara prova ricca di contrasto stampata su carta al cui verso traspare il disegno, caratteristica delle prove migliori. Completa alla linea di inquadramento ed in ottime condizioni di conservazione a parte un minuscolo restauro nel bordo bianco inferiore che non interessa la parte incisa ed alcuni difetti minori.

Bartsch, vol. XVII, pag. 167, n. 1133

30 Battaglia

Firenze 1555 - Roma 1630

Antonio TEMPESTA

“Diversamente dal manierismo, manca in lui la forma serpentinata; ogni elemento intellettualistico è assente nel Tempesta che è altresì lontano da quel realismo frammentario fatto di tanti particolari. Semmai più vicino a lui è il realismo delle ricerche naturalistiche di Santi di Tito anziché il naturalismo veristico dei fiamminghi. Dal punto di vista della tecnica incisoria, molti ne hanno sottolineato una certa asprezza nello stile. Kristeller [Kristeller, Kupferstich und Holzschnitt in vier Jahrhunderten, 1905] giunse ad asserire che il Tempesta si servì bulinisticamente dell’acquaforte per poter più facilmente eseguire il suo lavoro. Così le sue incisioni si presentano con un aspetto aspro come se l’esecuzione fosse stata piuttosto curata nel legno, individuando nella fantasia, il motivo dominante e ispiratore e, primo ad osservare, il pathos eroico spesso un po’ schematico. Ma il tradizionale taglio di molte composizioni, quello di far avanzare il primo piano con figure in ombra mentre nello sfondo in piena luce si stagliano paesaggi con figurine gli sembrò strano e innaturale anche se atto a colpire lo spettatore. De Witt mise in risalto il connubio fra un certo massiccio manierismo e la rapida agilità dell’attuazione, l’intento illustrativo delle sue stampe e la tecnica che si innesta sull’agile eclettismo dei fiamminghi pur con riallacciamenti al fare ampio e franco carraccesco [De Witt, La collezione delle stampe,1938]. Del Tempesta Bartsch annotò più di 1400 incisioni; la prima stampa datata [...] risale al 1589, che apre un primo periodo in cui l’artista mantenne sia l’attività pittorica che quella grafica e incisoria, dedicandosi per quest’ultima a soggetti religiosi. Del 1593 è la sua veduta a volo d’uccello di Roma, stampata in dodici fogli. In seguito il Tempesta si interessò alle svariate possibilità offerte dal mercato della stampa a Roma di quel periodo. Inizialmente pubblicò egli stesso le sue incisioni, introducendo a Roma nuovi generi quali quello della caccia e della battaglia. Comparate alle incisioni del Borgianni e del Barocci, quelle del Tempesta rivelano una significativa mancanza di sottigliezza tonale nei loro effetti di sfumato. Progressivamente, il Tempesta andò intensificando una chiara separazione dello sfondo rispetto al secondo piano della composizione e una tendenza a massimizzare un senso di movimento e vitalità. L’isolamento di piccoli gruppi di figure sullo sfondo e la costruzione della composizione in profondità, che si nota nelle deliziose vignette con le Storie dell’Antico e Nuovo Testamento, permettono una visione più estesa delle scene rappresentate, si configura al meglio nelle scene militari per cui il Nostro è giustamente rinomato.” (Scheda S 4851 compilata nel 2003, SIRPAC Friuli Venezia Giulia)

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Acqueforti mm 200x280. Primo stato su due con l’indirizzo di Callisto Ferrante sulla prima lastra: Calistus ferrate for. Superior. Permissu.. Serie completa di dieci incisioni di cui la prima funge da frontespizio e reca la dedica a Giovanni Leoncini, la data 1609 e la firma del Tempesta. Bartsch ha descritto solo le prime otto lastre, tuttavia in seguito ne sono state individuate altre due repertoriate nel volume n. 37 del The Illustrated Bartsch. Tutte le lastre sono numerate con numeri romani dall’uno al dieci. Bellissime prove di qualità omogenea stampate su carta con filigrana “stemma con tre monti sormontati dalla lettera F” simile a Woodward n. 332, Stato di Ferrara 1602 e n. 333, Piacenza e Roma ca. 1580, presente nei numeri I, III, VIII e X. Tutte in ottimo stato di conservazione con margini di circa cinque millimetri oltre l’impronta del rame sui quattro lati.

Bartsch, vol XVII, pagg. 167-168, nn. 1140-1147 | T.I.B., vol. n. 37, pag.37, n. 1140-1147+ 1147[a] e 1147 [b] | Ferrara-Bertelà-D’Amico, 1976, nn. 1075-1084

31 Scene di caccia

Firenze 1555 - Roma 1630

Antonio TEMPESTA

“Con le due grandi figure di cacciatori a cavallo in abiti orientali che fanno quasi da quinta umana ad una composizione che si snoda obliquamente in profondità, in un paesaggio costellato da esotici palmizi, la stampa [Caccia agli struzzi] ricorda nell’impianto i celebri arazzi tessuti nella Manifattura medicea fra il 1567 e il 1577 su cartoni dello Stradano e le incisioni di soggetto venatorio eseguite dal Galle su disegni dello stesso maestro fiammingo, dal 1578 in poi. Va però notato che il Tempesta, pur richiamandosi al suo maestro degli anni giovanili, ne abbandona il gusto nordico per le minute notazioni naturalistiche e le composizioni affollate di uomini e animali con orizzonti limitati da folte verzure, costruendo con grandiosità e respiro le sue articolate e dinamiche scene di caccia che tanta fortuna ebbero presso i suoi contemporanei e tanto peso esercitarono sull’evolversi di questo genere artistico.” (Alessandro Cecchi in Il Seicento fiorentino: Disegno-Incisione-Scultura-Arti minori, 1986, pag. 370)

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Bulino mm 152x120. Stato unico. Nell’angolo in basso a sinistra la data 1587 (1581 secondo Bartsch). Sul ceppo a sinistra la firma del Maestro ANI. CAR. BOL.F / IN. Magnifica e luminosa prova stampata su bella carta pesante del ’500. Perfette condizioni del foglio con filo di margine intorno alla linea di inquadramento sui quattro lati.

Bartsch, vol. XVIII, pagg. 185-186, n.8 | De Grazia, 1984, pagg. 230-231, n. 9 | The Bartsch Commentary (Bohn), vol. 39, pagg. 182-186, n. 009 | Cristofori, 2005, pag. 308, n. 5

“Annibale si dedicò solo saltuariamente all’incisione e per non cedere in questa parte ancora ad Agostino; le sue stampe rappresentano quindi momenti di riflessione volti a sperimentare le possibilità che i mezzi del bulino e dell’acquaforte offrivano alla sua ricerca. [...] De Grazia, nel suo ricco ed esauriente studio sulle stampe dei Carracci, ha sottolineato il valore autonomo delle stampe di Annibale rispetto alla produzione pittorica; va tuttavia osservato che un corpus di poco più di venti pezzi (Bartsch gliene dà 18, Calvesi-Casale 23, De Grazia 22) poco si presta ad uscire dal carattere di marginalità rispetto all’opera pittorica, ove si consideri anche che le stampe di Annibale sono disposte lungo un esteso arco di tempo e in modo discontinuo.” (Caputi-Penta, in Incisioni italiane del ‘600 nella raccolta d’arte Pagliara dell’Istituto Suor Orsola Benincasa, 1987, pag. 184)

“Malvasia, Bartsch, Disertori, Petrucci e Cavalli hanno letto erroneamente sulla stampa la data 1581 invece di 1587, ma tutti gli altri l’hanno interpretata correttamente, rilevando che il segno 1 del 1587 differisce notevolmente dal 7, così che la risultante è appunto 1587. Inoltre, stilisticamente l’incisione nulla ha da spartire con i lavori giovanili di Annibale quali il Crocefisso e la Sacra Famiglia con i Santi Giovanni Battista e Michele Arcangelo, mentre i segni più scalfiti e il dettaglio più grezzo sono sensibilmente affini al San Francesco di Assisi del 1585. Allo stesso modo della figura di San Francesco, la forma della Madonna è costruita da tratti e punti variati che danno rilievo ai larghi piani di luce sulla veste, analoghi alle ampie zone acquarellate che l’artista usava nei disegni di quel momento” (De Grazia, Le stampe dei Carracci, 1984, pag. 230-231)

Bologna 1560 - Roma 1609

Annibale CARRACCI

32 La Madonna della rondine

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33 Cristo e la donna di Samaria

Haarlem 1571 - 1631

Jacob MATHAM

Bulino mm 286x229. Primo stato su due, prima della modifica della scritta in basso a destra HGoltzius. excud. [H e G intrecciate] con HG inventor e prima dell’indirizzo del Visscher. In basso a destra compare anche la data A° 1589. Da segnalare che Widerkehr, a differenza di Bartsch, inserisce questa stampa tra quelle attribuite al Matham. Bellissima prova in ottimo stato di conservazione a parte una piega centrale visibile per lo più al verso; completa del margine bianco inferiore recante alcuni versi di Estius e della linea di inquadramento agli altri tre lati.

Bartsch, vol. III, pag. 195, n. 255 | The New Hollstein (Widerkehr), 2008, vol. 3, pagg. 28-29, n. 300

“Fece il Goltzio fino alla sua età di 46 anni, cioè fino all’ anno 1604 (nel qual tempo egli viveva in gran credito) molti allievi nell’arte dell’intagliare in rame, e fra essi un tale Ghein, del quale a suo luogo si parlerà. Il mentovato Jacob Matham suo figliastro fu anche suo discepolo. Abitò in Haerlem, poi venne in Italia e fecesi pratico maestro, siccome Pieter di Jode, che pure anch’egli stette più anni in Italia, dopo avere dimorato assai in Anversa.” (Baldinucci, Cominciamento e progresso dell’arte dell’intagliare in rame in Opere di Filippo Baldinucci, volume I,1808, pag. 109)

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Bulino mm 286x229. Secondo stato su due, dopo l’aggiunta nel margine con i versi latini in basso verso destra dell’excudit di Gerret van Schagen. Nella parte figurata in basso a sinistra il nome di Tiziano, inventore del soggetto, e a destra la firma di Matham. Bellissima prova stampata con calda tonalità di fondo, in perfetto stato di conservazione e con margini di circa 5 millimetri tutt’intorno all’impronta della lastra.

Bartsch, vol. III, pag. 185, n. 209 | The New Hollstein (Widerkehr), 2007, vol. 2, pagg. 49-50, n. 165

34 Bambino che suona il tamburello

Haarlem 1571 - 1631

Jacob MATHAM

“Possiamo in definitiva concludere osservando che la stampa fiamminga e olandese della seconda metà del Cinquecento elabora un materiale grafico di temi e soggetti di mole enorme. Le principali novità vengono spesso introdotte grazie al contatto con l’arte italiana che si combina felicemente alla tradizione locale. Le stampe costituiscono un serbatoio inesauribile di immagini e, rispetto alle pitture, godendo di una diffusione più ampia, diventano una galleria portatile disponibile agli occhi di chi vuole far vivere le immagini nella rielaborazione del pensiero piuttosto che fruirne come fatto di arredamento o manifestazione di potere economico o politico. L’accresciuta diffusione delle immagini tra aree culturali diverse permessa dalle stampe fa sì che l’incisione sia un terreno sul quale si procede ad una attenta disamina di mito, allegoria, immagine religiosa, celebrazione e documentazione storica, scena popolare, ideale classico e perfino natura morta. Pertanto va sottolineato il suo contributo fondamentale al dibattito sulla distinzione dei generi che sarà uno dei temi fondamentali dell’arte del Seicento” (Banzato, Da Bruegel a Goltzius: stampe, temi e generi in Da Bruegel a Goltzius: specchio dell’antico e del nuovo mondo, 1994, pag. 28)

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Acquaforte mm 120x470. Stato unico. In basso, verso sinistra, il numero 5. Quinta lastra della serie di sei stampe, dal titolo Tritoni e Nereidi che costituiscono unite tra di loro un unico fregio e che Giulio Carpioni ha copiato in controparte. Bartsch erroneamente inverte la descrizione del soggetto rappresentato tra il numero 29 (lastra siglata con il numero 6 ) ed il numero 28 (lastra siglata con il numero 5). Tale errore è puntualmente rilevato dal British Museum, mentre Stefania Massari (cfr. Tra Mito e Allegoria, pag. 484) riporta la numerazione del Bartsch, ponendo attenzione solo al numero inciso e non alla descrizione del soggetto. Bellissima prova in buone condizioni di conservazione e con piccoli margini oltre l’impronta del rame lungo il lato superiore ed inferiore, completa alla battuta lungo i lati verticali.

Bartsch, vol. XVII, pag. 273, n. 28 e 29 | Massari, 1989, pag. 484, n. 198

“Questa bella serie di sei stampe inventata e incisa dal Fialetti, costituiva un fregio continuo, quindi un unicum da collegare insieme. L’autore s’ispira chiaramente in quest’opera ai numerosi fregi dipinti dagli artisti veneti alla fine del Cinquecento nei soffitti dei palazzi, tanto nello svolgimento continuo e longitudinale delle scene, quanto nello stile, che richiama il Farinati, o i tardi epigoni tintoretteschi e di Palma il Giovane. In questo intreccio di Tritoni che afferrano Nereidi, Centauri, putti e cavalli marini che nuotano tra i flutti, e grandi pesci che emergono dalle acque, rivive l’atmosfera festosa del classicismo veneto tardo-cinquecentesco. E’ questa una delle realizzazioni meglio riuscite del Fialetti, opera della sua piena maturità per lo stile vivace e fluido del segno all’acquaforte. Ne è prova il fatto che Giulio Carpioni, l’artista classicheggiante più notevole del Seicento veneto, ha mostrato interesse per queste stampe, tanto da farne copie in controparte” (Massari-Prosperi Valenti Rodinò, Tra mito e allegoria, 1989, pag. 485)

35 Un satiro rapisce una nereide mentre un centauro cattura un cavallo marino

Bologna 1572 - Venezia ca. 1637

Odoardo FIALETTI

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Acquaforte mm 226x148. Secondo stato su due, dopo l’aggiunta della scritta Guido Reni fecit nel bordo bianco inferiore a sinistra. Bellissima prova in perfette condizioni di conservazione e con piccoli margini tutt’intorno alla linea di inquadramento.

Bartsch, vol. XVIII, pagg. 284-285, n. 9 | Bertelà-Ferrara, 1973, n. 858 | T.I.B. Commentary, vol. 40 (Birke), parte 1, 1987, pag. 287, n. .004

36 Sacra Famiglia

Calvenzano di Vergate (Bologna) 1575 - Bologna 1642

Guido RENI

“Guido, grande pittore ed incisore distinto all’acqua-forte, impresse nelle sue incisioni, eseguite con punta facile e spiritosa, gran parte di quella grazia e piacevolezza che trovasi ne’ suoi dipinti; e singolarmente, nelle arie di testa. Egli molto incise, e contansi 280 pezzi di sua mano. Le incisioni ad acqua-forte de’ valenti pittori possono riguardarsi siccome buoni disegni originali, allorché trattasi di soggetti di propria loro invenzione. [...] Sacra famiglia [Bartsch 9]. La Vergine seduta a destra in vicinanza di un colonnato, si rivolge a sinistra, ove alquanto indietro vedesi il Bambino che la prende per la veste, mentre essa appoggia la di lei destra sovra uno zoccolo che le serve di tavolo; S. Giuseppe a sinistra sta con un libro aperto in mano e rivolge lo sguardo alla Vergine. Nel margine inferiore a sinistra leggesi Guido Reni fecit. Altra Sacra famiglia [Bartsch 10]. La stessa composizione, ma a rovescio e con alcune variazioni, cioè S. Giuseppe trovasi appoggiato col gomito ad un tavolo, non vedonsi colonnati, ed in aria trovansi due angioletti portando fiori, che nella prima non sono. A sinistra ed al basso leggesi GVIDVS RENVS INVENTOR ET INCIDIT, e nel margine sottoposto Maria mater gratiae etc. Terza Sacra famiglia [Bartsch 11]. E’ questa nello stesso senso della seconda, ma con variazioni, anch’essa. Qui l’attitudine di S. Giuseppe è alquanto diversa, gli angeli non vi si trovano, ed invece Guido vi aggiunse un piccolo S. Giovanni che bacia la mano alla Vergine. Quarta Sacra famiglia con S. Chiara che adora il bambino Gesù sulle ginocchia della Vergine, e tiene nella destra un ostensorio, sul quale il Bambino posa la sua diritta. La santa è a sinistra, e S. Giuseppe più indietro a destra. Nel margine a mano manca leggesi Annibale Caracci fecit, ma con tutto ciò questa stampa è giudicata per l’invenzione ad Agostino Caracci, e per la incisione a Guido Reni.” (Malaspina-marchese di Sannazzaro, Catalogo di una raccolta di stampe antiche, Volume 2, 1824, pagg. 233-236)

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Acquaforte mm 198x467. Primo stato su quattro: sono ancora distintamente delineati e visibili i dettagli dello sfondo, caratteristici del primo stato in particolare a sinistra il piccolo paese, la croce, il ponte e, verso destra, la caccia al cinghiale al di là della rete; ben visibili inoltre i due uccelli in volo accanto alle fronde del grande albero centrale. Lieure considera il primo stato di questa incisione très rare attribuendogli due R. In basso verso sinistra si legge Iac Callot In. et Fe. Bellissima prova stampata su carta abbastanza pesante, come indicato da Lieure per il primo stato, in ottime condizioni di conservazione e con filo di margine tutt’intorno alla impronta del rame.

Lieure, 1924-27 (1989), vol. I, Tomo II, pagg. 12-13, n. 353 | Lieure, 1924-27 (1989), vol. II, ill. n. 353 | Choné-Ternois, 1992, pag. 305, n. 400 | Reed-Wallace, 1989, pagg. 227-229, n. 115

“One of Callot’s most successful and best-loved prints, The Stag Hunt demonstrates his new level of competence in both design and execution. The subject is a scene from contemporary life, an aristocratic stag hunt in the foreground and a boar bunt in the distance. Although the idea for his design was probably suggested by a theater screen painted by Federico Zuccaro in 1565 (or its model drawing), Callot brought this piece of theatrical apparatus to life. He incorporated in the action many keenly observed figures that he customarily sketched from nature. These provided him with a broad vocabulary of poses, which he varied with details of costume and gesture. The landscape setting, more natural than theatrical, becomes more and more atmospheric as it recedes. The viewer is encouraged to enter the pictorial space and hurry along beside horses, hunters, and dogs toward the quarry located in the middle distance, and this heightens the sense of realism. Improved technical skills enabled the artist to can be detected. The most delicate lines, bitten for the shortest time, describe the distant horizon and the boar hunt glimpsed through the trees at the far right. Gradually the lines become wider and stronger, until they reach the foreground. Here thick, dark lines define the nearest trees, figures, and terrain. The lines of crosshatched shading lie at acute angles and give a shimmering effect often found in engravings. This highly controlled technique was new in etching and was made possible by Callot’s use of a hard, varnish ground that adhered well to the plate and protected even the tiny diamond-shaped interstices between the lines.” (Reed-Wallace, Italian Etchers of the Renaissance and Baroque, 1989, pagg. 227-228)

37 La grande caccia

Nancy 1592 - ivi 1635

Jacques CALLOT

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Acquaforte mm 231x365. Stato unico. In basso a sinistra la firma del Maestro seguita dall’excudit dell stampatore Wyngaerde; subito sopra la scritta Titianus inuentor. Nonostante compaia il nome di Tiziano, questa stampa si basa su un disegno di Domenico Campagnola conservato presso il Courtland Institute di Londra. Bellissima prova, brillante e contrastata, stampata su carta con tracce di filigrana non completamente leggibile, in ottime condizioni di conservazione con filo di margine tutt’intorno all’impronta del rame. Al verso due timbri di collezione in blu non identificati.

Bartsch, vol. V, pag. 49, n. 54 | Hollstein, vol. 30 (Luijten-Hoop Scheffer), 1986, pag. 229, n. 1 | T.I.B. Commentary, vol. 6 (Levesque), 1986, pag. 34, n. .054

38 Sacra Famiglia in un paesaggio

Anversa 1595 - ivi ca. 1672

Lucas VAN UDEN

“This painter was the son of an artist of little repute, born at Antwerp in 1595, and was taught the rudiments of design by his father. He had not the advantage of any superior instruction, but, endowed with a decided genius for landscape painting, he was indefatigable in his studies from nature, and passed his leisure hours in the fields and forests, where he designed with fidelity every object which appeared to him picturesque or remarkable, and was particularly attentive to the peculiar appearance of the atmosphere, from the time the rising sun dissipates the vapours, till it sinks in the horizon. He represented these effects with uncommon truth and precision, and by an attentive study of the admirable landscapes of Rubens, he acquire an excellent tone of colouring, and a vigorous and animated touch. His extraordinary merit recommended him to the particular attention of Rubens, at a period when Antwerp was the residence of so many able artists. That distinguished master assisted him with his advice; he frequently employed him to paint the landscapes in the background of his historical pictures; and occasionally embellished the landscapes of Vanuden with his admirable figures. The congeniality of their taste and execution gave to these performances the appearance of being the productions of the same hand. Some of the small landscapes of Vanuden, which are esteemed his best work, bear so strong a resemblance to those of Rubens, that they are only distinguishable by a less daring execution, and have the effect of those of Rubens viewed through the medium of a diminishing optic. His pictures represent views in Flanders; and though the local confines of his country do not admit of die extensive vistas which we admire in the expansive scenery of Claude or Poussin, he compensates, in a great degree, for this privation, by a faithful and interestingly simple representation of nature. Some of the latter works of Vanuden are decorated with the figures of David Teniers; and this embellishment is no small enhancement of the value of his pictures. We have several etchings by this able artist, which are executed in a picturesque and masterly style. […] Bartsch has given descriptions of fifty-nine etchings which he attributes to Lucas Van Uden; he, however, acknowledges that several of them bear so strong a resemblance to those of Louis de Vadder, that experienced connoisseurs often find themselves embarrassed in their endeavours to distinguish them.” (Bryan, Biographical and critical dictionary of painters and engravers, 1849, pag. 834)

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39 Lot fugge da Sodoma con le figlie

Bomel (Gueldre) 1595 - Anversa 1675

Lucas VOSTERMAN il Vecchio

Bulino mm 324x382. Secondo stato su due. In basso verso sinistra il nome di Rubens, inventore del soggetto, al centro il privilegio e a destra la firma di Vorsterman con la data 1620. Subito sopra la dedica: PETRUS PAULUS RUBENS GENER dedica questa stampa a Jan Brandt, suo SOCERO AMATISSIMO. Bellissima prova ricca di contrasto e toni vellutati, stampata su carta con filigrana “stemma con corona” non completamente leggibile. Esemplare completo all’impronta della lastra con filomargine visibile a tratti, in buono stato di conservazione con alcuni raggrinzamenti della carta, piega centrale verticale evidente principalmente al verso, residui di antichi supporti ed alcuni altri difetti minori.

Hymans, 1893, pagg. 65-66, n. 1 | Bodart, 1977, pagg. 67-68, n. 121 | Borsatti-Limentani Virdis-Pellegrini, 1990, pagg. 45-46, n. 21

“L’incisione deriva da un dipinto di Rubens di cui sono conosciute diverse varianti, la più nota delle quali quella conservata al John and Mable Ringling Museum di Sarasota, databile tra il 1617 e il 1620, proveniente dalla collezione del duca di Marlborough a Blenheim Palace; altre versioni si trovano nella collezione John and Johann Bass a Miami ed al Martin von Wagner-Museum der Universität di Würzburg. Vorsterman si è servito di un disegno interpretativo che si trova al Louvre, a proposito del quale e di un gruppo di altri fogli provenienti principalmente dalla collezione Jabach esiste un problema attributivo. Attualmente la critica e divisa tra chi li attribuisce a van Dyck e chi al Vorsterman. Rubens dedicò quest’opera al suocero Jan Brandt. L’incisione e citata nella lista di tavole inviate dall’artista a Pieter van Veen nel 1619, ed anche in una lettera allo stesso destinatario, risalente al giugno 1622. Rubens vi dice che l’incisione era stata fatta quando Vorsterman era ancora un suo aiuto, quindi essa andrebbe datata intorno al 1617-1618. Qui Vorsterman sviluppa la tecnica del dipingere col bulino, sperimentando quel colorismo che caratterizzerà la scuola incisoria di Rubens. Si notano ampie zone bianche illuminate su sfondo chiaro, ma la particolarità della sua tecnica, in relazione anche al formato delle lastre, consiste nel lavorare con linee molto fini e regolari, ma di spessore diverso. Particolarmente pregevole è la delicatezza delle gradazioni e dei passaggi, dato che non vi è mai una netta delimitazione del colore. Vorsterman dimostra un’assoluta padronanza nel trattamento dei diversi tessuti, come possiamo osservare nei bellissimi riflessi cangianti della seta che riveste le due figure a sinistra, ottenuti mediante il gioco delle linee ora più sottili, ora più spesse. E’ interessante notare anche come l’incisore abbia reso la morbidezza del tocco di Rubens nelle soffici capigliature dei personaggi, particolarmente nelle chiome fluenti del vecchio Lot.” (Borsatti, “Quel secreto di dissegnare sopra il rame...”, 1990, pagg. 45-46)

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40 La Sainte Face

Abbeville 1598 - Parigi 1688

Claude MELLAN

Bulino mm 430x320. Secondo stato su due. L’esistenza di un primo stato, antecedente ad alcune iscrizioni, è solo supposta in base all’osservazione che in una controprova conservata all’Albertina di Vienna mancano le parole IN AEDIBUS REG.,NON ALTER e la data 1649. Bellissima prova di questa spettacolare incisione nella quale l’immagine del volto di Cristo è stata realizzata con un’unica linea circolare che si sviluppa concentricamente a partire dalla punta del naso verso la periferia. In ottimo stato di conservazione e con piccoli margini oltre l’impronta del rame.

Préaud, 1988, pagg. 46-47, n. 21

“Séduit par la nouveauté, autant que par la singularité, le gros du public ne revenoit point de sa surprise de voir qu’avec une seule taille, appliquée a une infinité d’objets différents, notre graveur pût parvenir à les exprimer tous, dans un degré de verité a peu près égal. Lui seul ne paroit pas pleinement satisfait d’une manoeuvre, qui, aux yeux des autres, étoit si admirable et si remplie de difficultés. Il se propose de donner quelque chose de plus singulier que tout ce qu’il a fait, et qui ait, outre cela, le mérite de n’avoir encore été tenté par personne. II remue son imagination, et elle lui fait entendre qu’avec le secours d’un seul et unique trait, il peut représenter une tête de Christ ou Sainte Face, telle qu’on doit supposer qu’elle étoit imprimée sur le linge appelé la Veronique. Ce sujet étant déterminé, Mellan pose la pointe de son burin au centre de sa planche, et, partant de là, il lui fait décrire une ligne spirale, qui circule et continue sans interruption ses révolutions parallèles, jusqu’à ce qu’elle ait entièrement couvert la surface du cuivre. Quand it le faut, il fait doucement serpenter ce trait circulaire, et lui fait prendre des ondulations insensibles; il le nourrit et le fortifie, il le diminue d’épaisseur et l’affoiblit, selon que l’exige la rencontre des ombres, des demi teintes et des clairs et, par cette ingénieuse marche, il parvient a lui faire dessiner, avec beaucoup d’expression et de précision, toutes les parties du visage de son Christ, et généralement tout ce qu’ il veut mettre dans son estampe. Le nés, les yeux, la bouche, les cheveux, la couronne d’épines, le linge même sur lequel la Sainte Face est imprimée, tout cela naît et part du même trait. Ce trait exprime jusqu’au nom du graveur et jusqu’à cette inscription: Formatur unicus una, non alter, qui, en exposant le sujet, semble défier tout graveur d’en faire autant, et prédire que l’ouvrage n’aura point d’imitateurs.” (Commentaire di Pierre Mariette riguardo alla Sainte Face di Mellan in Préaud, L’oeil d’or, 1988, pag. 92)

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Acquaforte mm 172x382. Stato unico. La firma di Brebiette in basso verso destra P. BREBIETTE/FECIT/ IN. In alto in centro una cartouche con un’iscrizione seguita dalla data 1630. Splendida prova contrastata e con tonalità di fondo stampata su carta con traccia di filigrana, in perfette condizioni di conservazione e con margini di circa cinque millimetri attorno alla battura della lastra su tutti i lati.

Inventaire du Fonds Français-Graveurs du XVIIe siècle, Tome II, 1951, pag. 116, n. 71

“Comme le XVIIIe siècle, le XVIIe eut ses petits maitres. Pierre Brebiette fut de ceux-là. Sa biographie est encore incertaine. Il naquit, vers 1598, à Mantes, voyagea en Italie, travailla à Rome et rentra à Paris, en 1626, année de son mariage. Il porta le titre de peintre et mourut vers 1650. Peut-être ami de François Quesnel, Brebiette fut par ailleurs lié avec Pierre Biart, le tapissier Maurice Dubout, at avec Claude Vignon, qui, en 1631, servit de parrain à un de ses enfants. De ce dernier, Brebiette grava plusieurs de ses ouvrages. Ce ne furent là d’ailleurs que des exceptions s’ajoutant a quelques autres, car le plus souvent Brebiette se borna à reproduire ses propres compositions: Son génie fécond, explique Mariette, le servait sans peine et comme il trouvait plus de facilité à dessiner qu’à peindre, sa vie se passa presque tout entière à faire des dessins qu’il grava lui-même à l’eau-forte ou qui furent gravés par d’autres. S’en tenant généralement pour les décors à quelques traits rapides, à de simples notations transcrites au gré de Ia pointe, dédaignant pour ses personnages les tailles et les ombres multiples, Brebiette suggère plutôt qu’il n’indique franchement, mais ses suggestions pleines de fougue, de grâce désinvolte et primesautière sont la synthèse même de la vie a du mouvement. Son vrai domaine, a dit L. Rosenthal: c’est la fantaisie pure; il en emprunte les textes à la mythologie ou à l’archéologie. Il n’est certes pas archéologue: s’il lui arrive de copier une statue antique, ou s’il s’avise de prendre au sérieux quelque divinité, il devient banal ou détestable. Mais il est poète et les dieux rayonnant de beauté et de jeunesse se réveillent et lui sourient. Ses thèmes favoris, ceux dans lesquels il excelle, ce sont les bacchanales, les ébats de la troupe fourchue qui haute les bois, les grâces potelées de l’enfance, les cortèges marins, où tritons et naïades escortent Vénus, Amphitrite et d’autres déesses. Sans cesse, il les renouvelle, les transforme et, en semblant se divertir, intéresse et seduit. Renouvier s’est donne beaucoup de mal pour rattacher son inspiration à celle de plusieurs maîtres français et étrangers. Si l’on excepte des traces d’influence antique, fort réduites d’ailleurs, l’oeuvre de Brebiette apparît, avant tout, comme une création spontanée, reflétant un esprit indépendant, apte à poursuivre ses chimères, à donner forme a ses songes, à ses aspirations.” (Weigert, Inventaire du Fonds Français-Graveurs du XVIIe siècle, Tome II, pagg. 106-107)

41 Bacco e il suo seguito

Mantes-sur-Seine 1598 - Parigi 1650

Pierre BREBIETTE

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Genova 1609 - Mantova 1665

Giovanni Benedetto CASTIGLIONE detto il Grechetto

42 Tobia seppellisce i morti

Acquaforte mm 208x296. Stato unico. A sinistra, subito sopra il cane, la firma del Grechetto. Bellissima prova ben contrastata stampata su carta con filigrana “lettere (B L ?)” solo parzialmente leggibile. In ottimo stato di conservazione e con filo di margine oltre l’impronta del rame su tutti i lati.

Bartsch, vol. XXI, pag. 12, n. 5 | Bellini, 1982, pagg. 154-156, n. 58 | Dillon-Gavazza, 1990, pagg. 225-226, n. 86

43 La Natività con il Padre Eterno, lo Spirito Santo e due angeli

Acquaforte mm 263x198. Secondo stato su due con la presenza delle piccole macchie di ossidazione in corrispondenza dell’angolo superiore destro che, secondo Bellini, definiscono questo stato. Esemplare nitido e brillante, stampato con tono di fondo su carta priva di filigrana. Perfette condizioni del foglio con margini di circa due millimetri oltre la battuta della lastra su tutti i lati.

Bartsch, vol. XXI, pag. 15, n. 11 | Bellini, 1982, pagg. 97-99, n. 19 | Dillon-Gavazza, 1990, pag. 194, n. 55

44 Testa di vecchio con grande barba

Acquaforte mm 180x151. Secondo stato dopo la divisione della lastra. L’incisione appartiene alla serie Les grandes têtes d’hommes coëffées à l’orientale costituita da cinque lastre. Firmata in alto a sinistra. Magnifico esemplare, brillante e luminoso, stampato su bella carta sottile priva di filigrana. In perfetto stato di conservazione e completo all’impronta della lastra.

Bartsch, vol. XXI, pag. 33, n. 50 | Bellini, 1982, pag. 136, n. 43 | T.I.B. Commentary (Bellini), 1985, vol. 46, parte 1, pagg 58-59, n. .049 | Dillon-Gavazza, 1990, pag. 212, n. 71 “Sometimes called Grechetto, was born at Genoa in 1616, and died at Mantua in 1670. Having commenced his early studies under Giovanni Battista Paggi, and Andrea Ferrari, he was apprenticed to Van Dyck, during his stay at Genoa. Favourable opportunities were offered to him in all the principal cities of Italy, to study and examine the works of the great masters; which having accomplished, he settled in Mantua, where he resided till his death. From the picturesque effect of his etchings, and the magical beauty of the chiaro-scuro, something similar to that in the prints of Rembrandt, the works of Castiglione attract general admiration.” (Wilson, A catalogue raisonné of the select collection of engravings of an amateur, 1828, pag. 76)

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Stefano DELLA BELLA

45 San Prospero libera Reggio dall’assedio

“Considerata di estrema rarità fin dal XVIII secolo, in particolare nello stato corrispondente a quello esposto [primo stato], l’acquaforte raffigura san Prospero che, con la spada in mano, appare sul campo di battaglia per liberare Reggio Emilia da un assedio, come si evince anche dalla preghiera posta alla base dell’immagine. Il miracoloso episodio si riferisce a un preciso evento storico: nel 1655,nell’ambito della guerra tra Francia e Spagna, I’armata spagnola si accampò presso la città, alleata dei francesi. Quasi all’improvviso però le truppe spagnole si ritirarono: la tradizione vuole che il merito fosse di un intervento del patrono di Reggio, san Prospero. [...] Rispetto alle stampe di tema simile, [...] incise in precedenza, le esigenze di rilevamento topografico, conseguenti all’effettiva disposizione degli eserciti sul campo di battaglia, sembrano qui limitarsi alla precisa descrizione del profilo della città, riconoscibile sullo sfondo circondata da mura e bastioni. In questo caso l’immagine assume significati più evocativi che documentari, come accade spesso nei disegni e nelle nurnerose incisioni precedenti di analogo tema militare eseguite dall’incisore toscano [...]. Il formato orizzontale asseconda l’ampio taglio panoramico della veduta consentendo di descrivere gli effetti del miracoloso evento, che si dilata dai cavalieri posti in prima piano, con l’episodio del portastendardo in caduta dal cavallo azzoppato, fino alla retrostante fuga disordinata di fanti, pure spaventati dall’apparizione del santo. Tali aspetti narrativi e compositivi rimandano alla coeva pittura di battaglie, sia al drammatico dinamismo conferitole da Salvator Rosa, attivo a Firenze solo pochi anni prima 1640-48 sia al coinvolgente sviluppo in profondità delle scene, riprese dall’alto, tipico di Jacques Courtois detto il Borgognone, il più importante e celebrato esponente del genere, pure molto apprezzato dai Medici e in particolare dal principe Mattias.” (Mondini in Stefano della Bella, 2007, pag. 94)

Acquaforte mm 237x353. Primo stato su due, antecedente allo stemma e alla dedica al conte Francesco Calcagno, nominato prevosto della basilica di San Prospero nel 1647. Il margine bianco inferiore reca una preghiera in latino a San Prospero e nell’angolo in basso a destra la firma di Della Bella. La stampa, soprattutto in primo stato, è considerata di estrema rarità fin dal XVIII° secolo. Magnifica impressione stampata su carta con filigrana “sole con dodici raggi nel cerchio”, Ortolani n. 1. In ottimo stato di conservazione con margini di qualche millimetro oltre la battuta del rame su tre lati e di venti millimetri al lato destro. Tracce di piega centrale visibile soprattutto al verso.

De Vesme-Massar, pag. 50, n. 28 | D’Adda-Ragni-Mondini, 2007, pagg. 94-95, n. 41

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Firenze 1610 - ivi 1664

Stefano DELLA BELLA

46 Diversi capricci

Acquaforti mm ca. 80-85x91-105. Terzo stato su quattro secondo De Vesme, quarto su cinque secondo Ortolani, con l’excudit di Nicolas Langlois ed il privilegio su tutti i fogli; nello stato successivo il nome di Mariette sostituisce quello di Langlois. Rara serie completa di 24 lastre numerate in basso a sinistra. Tutte portano la firma di Della Bella in basso, generalmente dopo il numero, ad eccezione della prima che funge da frontespizio della serie dove, su un cartello che pende da un bastone orizzontale, si legge DIVERSI Capricci fatti per SDBella e nel margine inferiore è riportato l’indirizzo parigino dello stampatore ed il privilegio. Bellissime prove di qualità omogenea impresse su carta con filigrana “corno da caccia”, simile a Lieure n. 18, parzialmente presente ai numeri 1, 7, 8, 9, 10, 13, 16, 17, 18, 19. In ottimo stato di conservazione con sottile margine intorno all’impronta del rame.

De Vesme, pagg. 125-127, nn. 128-151 | De Vesme-Massar, pagg. 71-73, nn. 128-151 | Ortolani, 1996, pagg. 28-29, nn. 128-151 | Vollmer-Schrenk, 2005, pagg. 92-94, n. 22

“Quatre états sont généralement signalés pour cette suite: un premier avec numéros, mais sans lettre; un deuxième avec l’adresse de Francois Langlois, cité par C.-A. Jombert, mais jamais vu par A. de Vesme; un troisième avec l’adresse de Nicolas Langlois; enfin un quatrième état avec l’adresse de Mariette gravée sur le titre, comme l’indique De Vesme, mais aussi sur toutes les autres pièces, excepté la troisième. T. Ortolani, ayant découvert au cabinet des Estampes de la Bibliothèque nationale de France une épreuve avant la lettre et sans numéro de l’avant-derniére planche de la suite (Vesme, no 150), compte cinq états. Selon P. D. Massar, cette découverte ne constitue cependant pas une preuve suffisante pour déduire l’existence d’un état non chiffré de l’ensemble de la série. Ces estampes, datées par C.-A. Jornbert de 1648, ont dû être exécutées avant la mort de Francois Langlois en 1647. Les cuivres étaient en 1772 à Paris chez Desnos. Melchior Küsel a réalisé des copies en contrepartie. La diversité des sujets est de mise comme avec les Caprices de 1641. En revanche l’influence de Callot n’est plus guère perceptible que dans la première planche. Le motif du joueur de vielle, d’ailleurs bien rebattu par les artistes lorraines, apparaît une seconde fois dans la gravure de 1646, Le Pont Neuf à l’angle inférieur droit. Les autres pièces sent d’un style plus personnel, avec des tailles plus fines et variées. La répétition, assez systématique dans cette suite, de figures et d’animaux s’avançant vers le devant de l’estampe ou, au contraire, s’éloignant vers le fond ne semble pas être seulement le fruit du hasard. L’artiste cherche à surprendre, fidèle en cela à l’esprit du caprice” (Joubert, Stefano della Bella, 1998, pag. 60)

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Acquaforti mm ca. 90-97x155-168. Stato unico. Rara serie completa di otto incisioni di cui la prima, che funge da frontespizio, reca nel margine bianco inferiore l’excudit di Israel, seguito dall’indirizzo. Le altre sette nel margine bianco inferiore recano la firma di Della Bella. Splendide prove di qualità omogenea impresse su carta con filigrana “corno da caccia”, Ortolani n. 19, presente in DVM nn. 168 e 172; in ottimo stato di conservazione con margini che variano da uno a dieci millimetri tutt’intorno all’impronta del rame ad eccezione di DVM n. 165 e 169 che presentano filo di margine oltre la battuta.

De Vesme-Massar, pagg. 74-75, nn. 165-172 | Massar, 1971, pagg. 82-83 | Vollmer-Schrenk, 2005, pagg. 103-105, n. 26

Firenze 1610 - ivi 1664

Stefano DELLA BELLA

47 Diverse figure e paesaggi

“Obgleich vom Künstler nicht als solche bezeichnet, weisen die Blätter doch einige charakteristische Merkmale des Capriccio auf: ein einführendes Titelblatt, Variationen eines Themas in loser Reihung, dazu ein relativ kleines Format. Auf dem ersten Blatt verweist die Inschrift einer Steintafel, die unauffällig in die umgehende Landschaft integriert ist, auf den Inhalt der folgenden Darstellungen. Steinplatten dienten bei druckgraphischen Capriccio-Serien häufig als Titelträger. Als Höchstmaß launenhafter Spielerei konnte dem erstaunten Betrachter sogar ein leerer Stein auf dem Frontispiz präsentiert werden. Die acht nicht nummerierten Darstellungen zeigen vor weiten, lichterfüllten Ebenen monumental anmutende Einzelfiguren, die nahezu die gesamte Bildhöhe einnehmen. In der heiteren, stimmungsvollen Landschaft, die auch hier mehr als nur Hintergrundfolie sein will, spiegelt sich die Auseinandersetzung des Künstlers mit niederländischen Zeitgenossen, deren Landschafts-malerei ihn vornehmlich während seiner Pariser Jahre tief beeindruckt hatte. Stilistisch zeigt sich dies vor allem in dem Versuch, auch im Medium der Radierung unterschiedliche Stofflichkeiten adäquat wiederzugeben. So verleihen kreisende, feinste Schraffuren den Landstrichen in der Ferne eine malerische, atmosphärische Tiefe, während die Bekleidung der Vordergrundfiguren, der Faltenwurf ihrer Gewänder in linearen, breiteren Strichen mit größeren Abständen gegeben ist. Wie zahlreiche seiner gegen Ende der 1640er Jahre entstandenen Werke zeichnen sich auch diese Drucke durch ihre weich geführten Linien aus, die ein zartes Licht- und Schattenspiel hervorrufen und der Landschaft ihren unverwechselbaren Charakter verleihen.” (Vollmer-Schrenk, Stefano della Bella, ein Meister der Barockradierung, 2005, pagg.103-105)

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48 Corpo di guardia all’ingresso di una fortezza

Acquaforte mm. 63x123. Rarissimo primo stato su tre, prima del numero 2 in basso a sinistra e delle scritte con i graffiti sul muro sotto lo stemma. Nel margine bianco inferiore a destra, l’excudit di Israel e la firma di Della Bella. Seconda lastra della suite Dessins de quelques conduites de troupes, costituita da dodici incisioni. Ortolani, modificando l’ordine degli stati proposti da De Vesme, identifica questo primo stato, ma non è stato in grado di riprodurlo. Bellisima prova in ottimo stato di conservazione e con filo di margine oltre l’impronta della lastra.

De Vesme, pagg. 145-146, n. 247 | De Vesme-Massar, pag.84, n. 247 | Ortolani, 1996, pagg. 36-37, n. 247 (2)

49 Cavaliere moro si dirige verso sinistra

Acquaforte mm 186x185. Secondo stato di due, dopo l’aggiunta della firma in basso a sinistra, del privilegio in basso a destra e dello sfondo. Prima incisione della serie di unidici stampe intitolata Polonais, Hongrois, Turcs et Négres. Magnifica impressione stampata con velatura di fondo in perfetto stato di conservazione con margini di circa un centimetro tutt’intorno all’impronta del rame.

De Vesme-Massar, pag. 86, n.270 | Massar, 1971, pag. 49

Firenze 1610 - ivi 1664

Stefano DELLA BELLA

“L’arte dee immitare la Natura prima e saggia maestra del bello, che accorda sempre le distanze dei vicini oggetti con i meno remoti, e spinge l’accordo ai remotissimi. Stefano della Bella nelle sue spiritose invenzioni, espresse con animato bulino, mostrò il vero accordo” (Gori Gandellini-De Angelis, Notizie istoriche degli intagliatori, tomo IV, 1808, pag. 183)

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Acqueforti mm ca. 113-122x146-154. Stato unico. Serie completa di sei incisioni, ognuna firmata a puntasecca dal Maestro. Splendide prove di qualità omogenea impresse su carta con filigrana “tre mezzelune”, Ortolani n. 4, presente in DVM nn. 721, 722, 723, 725. Tutte in eccezionale stato di conservazione con margini che variano da uno a quattro millimetri tutt’intorno all’impronta del rame.

De Vesme-Massar, pag. 113, nn. 720-725 | D’Adda-Ragni-Mondini, 2007, pag. 72, n. 32

50 Le aquile

Firenze 1610 - ivi 1664

Stefano DELLA BELLA

“Studies of an eagle from behind: Black chalk, pen and brown ink, grey wash (14*). Study of an eagle (15*): black chalk, pen and brown ink. 14 was used in reverse for one of the set of six prints of eagles, de Vesme 725; and 15, which is closely related to a drawing in the Louvre, Viatte no. 261, corresponds closely in reverse with the principal bird in an another of the series, de Vesme 720.” (Drawings by Stefano Della Bella, Christie’s Tuesday March 18, 1975, pag. 9)

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Acquaforte mm 265x392. Primo stato su tre, con l’indirizzo dell’editore Saluccio Ramae Apud Franciscum Saluucium in basso a destra. A sinistra, in una cartouche, la dedica al principe Paolo Giordano II° di Bracciano seguita dalla data 1640. L’incisione, eseguita a Roma sotto l’impulso tizianesco, è d’invenzione del Podestà come indicato dalla scritta presente verso la metà del margine destro ANDREA PO / INV. E F. 163... che appare nel nostro esemplare in modo molto evidente e marcato, caratteristica delle prove più fresche e precoci. Magnifica prova stampata con toni vellutati su carta con filigrana “lettere sormontate da un giglio in un ovale”. In ottimo stato di conservazione e completa di filo di margine oltre l’impronta della lastra.

Bartsch, vol. XX, pagg. 170-171, n. 3 | Ferrara-Bellini-D’Amico, 1977, n. 70 | T.I.B. Commentary (Wallace-Bellini), 1990, vol. 45, parte 2, pag. 80, n. .003

51 Baccanale con altare, fauno e Sileno

Genova (?) ca. 1620 - ca. 1673

Giovanni Andrea PODESTA’

“A differenza delle contemporanee realizzazioni di Pietro Testa e del Castiglione, l’uno più severo e stoico, I’altro permeato dal germe malinconico della Vanitas vanitatum, entrambi comunque più sottilmente intellettualizzanti, il Podestà propone gli stessi temi più semplificati, senza nessi filosofici interpretativi. La favola mitologica o la festa pagana si risolve nella semplice rappresentazione figurata.” (Massari-Prosperi Valenti Rodinò, Tra mito e allegoria, 1989, pag. 422)

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Acquaforte mm 265x392. Primo stato su tre, con in basso a destra l’indirizzo dell’editore Saluccio Romae apud Franciscum Saluucium. A sinistra su una tavoletta la dedica a Paolo Giordano II°, Principe di Bracciano con la data 1640. Questo Baccanale, strettamente legato alla precedente incisione (cat. n. 51), pur risentendo di suggestioni tizianesche, deriva da un’invenzione dello stesso Podestà. Bellissima prova stampata su carta con filigrana “lettere sormontate da giglio in un ovale”. Tracce di piega centrale visibili soprattutto al verso ed alcune leggerissime macchie brune visibili solo a luce molto intensa, per il resto in ottimo stato di conservazione. Completa di margini di circa sette-otto mm attorno all’impronta del rame su tutti i lati.

Bartsch, vol. XX, pag. 171, n. 4 | Ferrara-Bellini-D’Amico, 1977, n. 71 | T.I.B. Commentary (Wallace-Bellini), 1990, vol. 45, parte 2, pag. 80, n. .004

52 Baccanale

Genova (?) ca. 1620 - ca. 1673

Giovanni Andrea PODESTA’

“Del Podestà tuttavia va ricordata un’altra opera di quegli anni: la serie tratta dai Baccanali di Tiziano, ancora una testimonianza del caloroso interesse di tutto l’ambiente romano alle celebri opere del veneziano, punto nodale per lo sviluppo delle tendenze neovenete, già in collezione Ludovisi e in procinto di essere spedite -1637-, fra l’indignazione generale, in Spagna. E’ in questo decennio che s’impone l’emergere di rilevanti personalità: soggiorna a Roma Della Bella e vi lavora fino al ’39; sono gli anni -fino al ’50- dell’attività di Pietro Testa che lasciata la pittura si dà all’acquaforte.” (Caputi-Penta, L’ incisone italiana del XVII secolo, in Incisioni italiane del ‘600 nella raccolta d’arte Pagliara dell’Istituto Suor Orsola Benincasa, 1987, pag. 17)

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Acquaforte mm 228x307. Stato unico. In basso a destra la scritta Gio:Batta. del Sole inuen. et Sculp. E subito sopra la lettera E. Questa rara incisione è entrata a far parte delle illustrazioni del volume La pompa delle solenne entrata fatta dalla Serenissima Maria Anna Austriaca […] e Filippo quarto […] nella città di Milano (Milano 1651). L’incisione di Del Sole è la quinta della serie. Bellissimo, brillante e contrastato esemplare stampato su carta con filigrana “pettine (?) sormontato da un fiore” in perfetto stato di conservazione e con margini di circa un centimetro tutt’intorno all’impronta del rame.

Bartsch, vol. XXI, pag. 124, n. 2 | T.I.B. Commentary, vol. n. 47(Bellini), parte 1, 1987, pag. 140, n. .002 | Bellini, 1992, pagg. 209-210, n. 164

Milano (?) - ca. 1673

Giovanni Battista DEL SOLE

53 Scena di battaglia

“The Equestrian Battle was inserted as an illustration to the volume La pompa della solenne entrata fatta dalla Serenissima Maria Anna Austriaca e Filippo Quarto nella città di Milano, that showed the festive entry of Anna of Austria into Milan en route to her marriage to Philipp IV of Spain. The image depicts the battle near Azio in 31 B.C. between Octavius Augustus and Marc Antony. The composition is based on a panel painting made by Del Sole specifically for this event. A wild, bloody battle dominates the image. The banners waving in the wind and the threatening lances and swords of the warriors create powerful diagonals within the composition; the image is filled almost to the upper border with a raging, fighting crowd. Del Sole deploys a strong and painterly etching technique here reminiscent of similar works by Antonio Tempesta. The curved cross’ hatchings with little dots in their interstices as seen on the horses’ thighs and on the bodies of the dead in the foreground imitate the graphic pattern of the burin.” (Teeuwisse, Ausgewählte Druckgraphik-Selected Prints I, 2005, pag. 58)

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Acquaforte mm 285x210. Stato unico. Nel margine inferiore la dedica ad Ettore Ghisilieri dell’Ordine religioso dei Padri Filippini con, in basso a destra, la firma Elisab:ta Sirani e la data 1657. Già Bartsch considerava particolarmente rara questa incisione aggiungendo che est la plus considérable de toutes celles que l’on connoice de cette femme habile. Bellissimo esemplare stampato su carta con filigrana “lettere CMR nel cerchio sormontato da trifoglio” in perfette condizioni di conservazione e con ampi margini su tutti i lati.

Bartsch, vol. XIX, pagg. 155-156, n. 7 | Bentini-Fortunati, 2004, pag. 271

Bologna 1638 - ivi 1665

Elisabetta SIRANI

54 Beata Vergine della Passione

“Con il piccolo dipinto, oggi conservato nella Pinacoteca Nazionale, dove è giunto al tempo delle requisizioni napoleoniche, si inaugura la nutrita serie di opere (otto) realizzate dalla pittrice per Ettore Ghisilieri, ricordate nell’Inventario legale dei beni redatto in riferimento al lascito testamentario del padre filippino. Elisabetta riferisce l’esecuzione al 1657: Per il Padre Ettore Ghisilieri, sacerdote della Madonna di Galliera, un rame con la B.V. che contempla la corona di spine, e diversi Angeletti contemplanti altri stromenti della passione, e l’intagliai anche in rame. Importante figura di committente e di mecenate delle arti, Ghisilieri aveva fondato nel proprio Palazzo, prima di entrare nell’ordine religioso dei Padri Filippini (1652), un’Accademia del disegno (1646), frequentata e diretta anche dal padre di Elisabetta, che probabimente fu tramite per introdurre la figlia. Il piccolo rame, alimento nei percorsi di orazione privata, appartiene ad una specialistica produzione di Elisabetta, che riveste il tema doloroso di consolatori affetti attraverso la materia cromatica morbida e trepida e la presenza dei teneri angioletti, raccolti quasi in un gioco attorno all’Addolorata. L’invenzione del dipinto fu tradotta anche in incisione dalla stessa pittrice, per farne dono all’illustre committente, come documenta l’iscrizione dedicatoria, firmata e datata 1657, leggibile sull’acquaforte. Un disegno preparatorio, realizzato con la tecnica dell’acquerello consueta ad Elisabetta, si trova a Stoccarda (Sammlung Schloss Fachsenfeld; A. Modesti, 2001b).” (Bentini-Fortunati, Elisabetta Sirani “pittrice eroina” 1638-1665, 2004, pag. 250)

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Acquaforte mm 281x368. Stato unico. In basso, nel margine bianco verso sinistra, la firma dell’incisore Lᵟ : de Deÿster fecit et sculp :, al centro la scritta Cain, Ubi est Abel frater tuus? e verso destra il numero del versetto della Genesi da cui è tratto il soggetto genes . Cap. .iiii . vers . ix. Rara incisione sconosciuta a Le Blanc e a Bartsch. Bellissima prova uniformemente inchiostrata e con ottimi effetti chiaroscurali stampata su carta con filigrana “giglio in un doppio ovale sormontato da corona”; completa di sottili margini oltre la linea di contorno con l’impronta del rame visibile a tratti su tre lati e appena rifilata all’interno della lastra lungo il lato inferiore in corrispondenza del margine bianco; una piega verticale al centro evidente per lo più al verso e qualche leggera macchia di colla visibile in controluce, per il resto in ottime condizioni di conservazione.

Hollstein, vol. 5 (Hertzberger), pag. 237, n. 1

Bruges ca. 1656 - Lisbona 1711

Lodewyck DE DEYSTER

55 Il Signore chiede conto a Caino

“Luigi de Deysler Fiammingo [...]. Buon pittore e per il disegno, e per il colorito, e per il chiaroscuro, e per i panneggiamenti. Incise anche con effetto; ma col voler fare altri mestieri, organi, orologi, pendoli, perde’ gran tempo, si ruinò, e per viver fece quadri strapazzati” (Milizia, Dizionario delle belle arti del disegno, II, 1797, pag. 168)

“Pittore e incisore ad acqua-forte ed a maniera nera, nacque a Bruges il 1656 e morì nella stessa città il 1711. Soggiornò a Roma sei anni, e formossi distinto pittore di storia, ma poco incise, poiché oltre allo esercizio della pittura fu distratto da altri ben diversi lavori, siccome a fabbricar clavicembali, organi, violini e perfino orologi.” (Malaspina-Marchese di Sannazzaro, Catalogo di una raccolta di stampe antiche, III, 1824, pag. 287)

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56 Fonte e Spelonche di Egeria

Acquaforte mm 395x680. Secondo stato su cinque secondo Hind, dopo l’aggiunta di alcuni particolari ed ombreggiature in varie parti della lastra, ma prima di ogni numerazione. Bellissima e nitida impressione uniformemente inchiostrata, in ottimo stato di conservazione a parte una piccola mancanza di carta restaurata nel bordo bianco di sinistra. Completa di ampi margini tutt’intorno all’impronta della lastra.

Hind, 1922, pag. 61, n. 80 | Bevilacqua-Gori-Sassoli, 2006, pag. 210

57 Acquedotti Neroniani

Acquaforte mm 490x707. Primo stato su quattro secondo Hind, prima di ogni numerazione. Ottima prova, fresca e brillante, stampata su carta con filigrana “giglio nel doppio cerchio sormontato da lettera B” (Hind n. 3). Perfette condizioni del foglio con margini di alcuni centimetri su tutti i lati.

Hind, 1922, pag. 69, n. 118 | Bevilacqua-Gori-Sassoli, 2006, pag. 248

58 La Conocchia

Acquaforte mm 715x475. Primo stato su tre secondo Hind, prima di ogni numerazione. Eccellente e brillante prova stampata su carta con filigrana “giglio nel doppio cerchio sormontato da lettera B” (Hind n. 3). Perfette condizioni del foglio con margini di alcuni centimetri su tutti i lati.

Hind, 1922, pag. 72, n. 130 | Bevilacqua-Gori-Sassoli, 2006, pagg. 260-261

Mogliano Veneto (Venezia) 1720 - Roma 1778

Giovanni Battista PIRANESI

“Accettando quindi le difficoltà ad affermarsi come realizzatore di monumenti, Piranesi sostenne con determinazione la volontà di lasciare un segno nell’arte a cui si sentiva votato, servendosi di un mezzo normalmente utilizzato dai pittori e dagli scultori: il disegno. Il disegno era tradizionalmente considerato il livello più alto del fare arte in quanto diretta espressione dell’idea, del progetto artistico, prima che questo venisse poi tradotto in un elaborato più complesso. Piranesi non fallì i suoi obiettivi; infatti intorno a lui gravitarono moltissimi architetti, provenienti da tutta Europa, sedotti dalla sua immaginazione visionaria e dalla sua sofisticata cultura teorica. Inoltre, quella scelta indotta da una necessità si rivelò per lui estremamente remunerativa, perché mai come nel XVIII secolo le stampe godettero del favore di un pubblico tanto vasto e differenziato. E forse mai come allora l’immagine di Roma, per di più distillata con tale sapienza, cultura e sentimento, fu in grado di richiamare l’attenzione delle persone colte di tutta Europa. Nel 1767 un altro grande architetto del Settecento, Vanvitelli, ricorda in una lettera al fratello il successo economico di Giovanni Battista: Questo Piranesi si è arricchito sopra centomila scudi e si farà una borsa grossissima, tutto parto delle sue fatiche e del suo talento, per cui ha acquistato fama in ogni parte” (Rossi-Pinelli, Da Venezia a Roma in Piranesi, 2003, pag. 11)

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Acquaforte e puntasecca su lastra di zinco mm 175x250. Prova di stampa per Harrington prima della cancellazione parziale dei tre raggi obliqui, il più lungo dei quali misura circa trenta millimetri, situati in alto nella parte bianca del cielo. Primo stato per Schneiderman. La firma dell’Autore è incisa in basso a destra. Bellissima prova impressa su sottile carta vergellata con ampi margini. Tracce di filigrana in alto al centro. A matita in basso a destra la firma di Haden e a sinistra l’annotazione before rays in sky (unique). La lastra è stata distrutta.

Drake, 1880, n. 88 | Schneiderman, 1983, pagg. 206-207, n. 89

“Admitting that Seymour Haden was a born artist, richly endowed with the creative faculty, how was it that he also became the superb technician that he is? This did not come to him by nature nor does it come to anyone. It came to him through long, hard, earnest study and practice. He studied the best models Rembrandt’s etchings above all. He was never afraid to pay the necessary price for a faultless proof by Rembrandt. But even before he began to form his unsurpassed collection of the old masterpieces it was his custom to borrow a portfolio of such etchings from a London dealer whom I myself remember as a very old man, Mr. Love, of Bunhill Row, and carrying home such treasures he would sit up at night with them not only delighting in their beauty, as other amateurs do, but also studying and analyzing the method and technic of each master. Then, after long practice in drawing, and with an intimate technical knowledge of the recognized masterpieces of etching, he himself began to etch” (Keppel, Sir Seymour Haden painter-etcher, 1902 [1906], pag. 26)

Londra 1818 - Alresford 1910

Francis Seymour HADEN

59 Horsley’s house at Willesley

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Acquaforte e puntasecca mm 174x302. Secondo stato su due con inciso il monogramma butterfly del Maestro, qui appena visibile, situato sopra la torre della chiesa e con l’aggiunta di alcune ombreggiature sugli alberi a sinistra, sulla poppa della seconda imbarcazione a sinistra con la vela e sulla poppa dell’imbarcazione a destra senza vela. Kennedy inoltre descrive uno stato intermedio tra il raro primo stato e il secondo senza il monogramma ma con le ombreggiature presenti nel secondo stato. Bellissima prova dai toni brillanti impressa su sottile carta giapponese gampi, traslucida e setosa. In perfetto stato di conservazione con margini di quasi due centimetri oltre l’impronta del rame. La lastra è stata distrutta (cfr. Kennedy pag. XXXIV).

Kennedy, 1910 [1978], n. 175 | MacDonald-Petri-Hausberg-Meacock, 2011, n. 182

“Whistler often used a variety of papers of different sizes, even for a run of impressions of the same print. He favoured Japanese paper or old European paper. A variety of Japanese papers of beautiful quality were being imported into Europe, and those used for Whistler’s prints included thin, silky papers, as well as the thicker vellum like papers (called torinoko), both made from gampi fibre. [...] This waterfront tavern had already been demolished to make way for the Chelsea embankment. Whistler based details of his print on a photograph by James Hedderly (c.1815-1885) taken around 1865. Whistler’s pupil Walter Greaves, son of a neighbouring Chelsea boatman who helped Whistler explore the river, also made an etching of this subject. Whistler’s print was published by Messrs Hogarth and Son in early 1879. The print conforms to Whistler’s description of his transitional style, as recorded by his first biographers: instead of drawing the panes of a window in firm outline, he suggested them by drawing the shadows and the reflected light with short crisp strokes and scarcely any outline at all” (Estratto dalla handlist della Mostra Palaces in the Night: The urban landscape in Whistler’s prints, 23 September 2008 - 18 January 2009, che si è tenuta presso il Fitzwilliam Museum di Cambridge)

Lowell (Mass) 1834 - Londra 1903

James Abbott Mc Neill WHISTLER

60 The “Adam and Eve” Old Chelsea

James HedderlyThe Adam and Eve, Chelseaca. 1865

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Acquaforte mm 307x415. Esemplare della prima tiratura in bianco e nero. Esistono tre lastre di questa stampa che sono state ritenute tre stati diversi: la prima lastra presenta tre donne vestite a lutto con il mantello; la seconda lastra presenta due donne con il mantello e una ragazza senza mantello vestite a lutto; la terza lastra presenta il medesimo soggetto della seconda ma destinata all’acquatinta. Daniel Morane tuttavia ritiene che queste tre lastre costituiscano le matrici di un singolo stato. Delle tre lastre soltanto la seconda e la terza sono state tirate rispettivamente in 100 esemplari ciascuna. La versione all’acquatinta è stata colorata con la tecnica della cosiddetta à la poupée. Esistono comunque anche delle prove non finite (trial states) e altre ritoccate con colori ad olio. Bellissima prova impressa su carta vergellata con ampi margini. A matita in basso a destra la firma di Cottet e sul retro l’annotazione Trois femmes en l’Ile de Sein.

Morane, 2002, pagg. 60-61, n. 46a

“Cette planche se présente sous deux aspects : a) trois femmes, trois génerations de femmes en deuil, en manteau noir à capuchon. b) les deux femmes de part et d’autre sont en manteau et la jeune fille du centre, sans manteau, porte un bonnet.” (Morane, Charles Cottet 1863-1925, 2002, pag.60)

“D’autre part, pour certains auteurs, Cottet est un fokloriste qui par ses recherches historiques, sa documentation ethnographique a rendu service à l’histoire et son oeuvre est une généreuse mission au service du savoir. Cottet a peint les costumes bretons, a représenté des processions et fêtes, mais ses oeuvres sont peu nombreuses et certainement pas dans un esprit de documentation, plutôt avec l’émerveillement de l’oeil devant la polychromie de certains costumes […]. ll est naturellement plus difficile d’analyser la vision de la nature bretonne, mais chez Cottet la séparation entre nature et culture reste faible. La pierre, le ciel, la mer accompagnent toute figure humaine et les paysages bretons contiennent ce même pouvoir évocateur. […] Ces oeuvres se ressemblent souvent, mais elles se différencient par l’effet atmosphérique. Ces aspects souvent correspondent aux préférences du peintre: crépuscule, soleil rougeoyant et valorisant, ombres longues, repos précaire, attente avant la nuit, la majeure partie de certains tableaux est plongée dans l’obscurité et seuls le sommet des voiles, de maisons, un clocher captent encore pour quelques instants la lumière. Cette opposition entre le liquide et le solide, entre le jour et la nuit est transcrite par de merveilleux effets de matière où Cottet excelle par des superpositions savantes de glacis fins. Cette nature vue par Cottet est celle du temps, au crépuscule, dans la fraîcheur de l’aube, au moment où les bateaux rentrent, où le temps s’arrête un moment. C’est une nature d’opposition aussi entre les éléments, pas une opposition par le mouvement violent, par la tempête, mais une opposition infinie, inéluctable, un affrontement sans fin [...]” (Cariou, Le peintre Charles Cottet et la Bretagne, in Annales de Bretagne, Volume 80, Numéro 3, 1973, pagg. 659-660)

Le Puy 1863 - Parigi 1925

Charles COTTET

61 Le Deuil marin

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Vernice molle mm 279x217. Bellissima impressione stampata su carta simili-japon in perfetto stato di conservazione con margini di circa otto millimetri su tre lati e di due centimetri sul lato inferiore. In basso a sinistra la firma del Maestro a matita blu.

Petrucci, 1954, n. 10 | Alberti, 2004, scheda H0080-01041

Fossombrone (Pesaro) 1887 - Monza 1955

Anselmo BUCCI

62 Ritratto femminile a mezzobusto (Sconosciuta brasiliana)

“[Bucci] si serve di flessuosità del segno che allora, fra scorcio del XIX ed esordio del XX secolo, altri (fra un Paul Helleu e un Edgar Chahine) utilizzano per una scrittura d’immagine di raffinata, aristocratica, altoborghese, eleganza. Ma la sua ottica, se insegue eleganza (pur senza la fluidità ambigua di neri e di luci delle litografie di Redon; ma certo consapevole di quella di un Whistler grafico) non rinuncia a caratterizzazioni persino ironiche; cerca la folla, dal suo brulicare risolto in rapidi segni, sementi, alla possibilità di distinguere pluralità di volti, di ruoli. A volte il segno delinea per contorni accennati; altre volte riempie le sagome, dando loro consistenza pittorica di segno.” (Crispolti, Appunti su Bucci incisore in Anselmo Bucci 1887-1955 Pittore e incisore fra Parigi, Milano e Monza, 2005, pag. 46)

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Penna, inchiostro e acquerello bruno su tracce di matita mm 266x162. Al verso in basso a sinistra, a penna ed inchiostro bruno ed in grafia antica il nome del Volterrano; alcuni schizzi alla matita nera. Carta filigranata con leggere macchie brune.

C. McCorquodale, An important group of drawings by Baldassare Franceschini, called Il Volterrano, 1980 | M.C. Fabbri , 1986, in Il seicento fiorentino, 1986 | C. Monbeig Goguel, Dessins toscans XVIe - XIIIe siècles, Tome II, 1620-1800, 2005, pagg. 423-448

Volterra 1611 - Firenze 1690

Baldassarre FRANCESCHINI detto il VOLTERRANO

63 Strage degli Innocenti o Martiri nel Colosseo

“L’anno dunque della salutifera Incarnazione del Figliuolo di Dio 1611 nacque Baldassarre in essa città di Volterra: il padre suo fu Guasparri Franceschini, di cui, benché fosse ordinaria professione Io scolpire piccole figure, statuette e gruppi d’alabastro; non però, che altre cose non condusse di sua mano, cioè a dire, più imagini in legno di Cristo Crocifisso, ed alcune statue di una certa pietra detta tufo, che si cava in quel territorio, di colore fra il bianco e ‘l giallo, leggiera e tenerissima, onde benissimo si lavora con martellina e con raspa da legno; ma esposta all’aria fortemente indurisce: e scolpita di quella pietra vedesi di mano di Guasparri nella Chiesa di San Francesco di quella città, dentro una nicchia, una statua comodamente grande dello stesso Santo. Guasparri adunque, dopo avere al figliuolo, già venuto in fanciullesca età, fatto imparare le prime lettere, sperando da lui, che spiritosissimo era, e al disegno molto inclinato, qualche ajuto nell’arte propria, Io pose ad apprendere i principi del disegno con un pittore Fiorentino, allora abitante in Volterra, chiamato Cosimo Daddi: e poi lo si tirò in casa, ed al proprio suo mestjero l’accomodò. Quello però fece egli non senza dispiacere grande del fanciullo, al quale molto più piaceva l’arte della pittura. Stavasene obbediente fanciullo in tale esercizio; ma non lasciava perciò di attendere con ogni applicazione a quello del disegno: ed in breve giunse tant’oltre, che gli venne fatto condurre alcune figure tocche di penna, con tal proporzione e diligenza, che vedute da Curzio Inghirami, e Lodovico Guarnacci, l’uno e l’altro Gentiluomini di quella città, gli guadagnarono appresso di loro non poco concetto [...] Per quello appartiene all’arte, è stato il Volterrano universalmente eccellente ma a mio giudizio sarà lodatissimo in ogni tempo, per lo suo disegnare le figure, che debbono vedersi di sotto in su, dando a quelle sveltezze e proporzioni, e facendole loro fare alla vista dell’occhio quell’effetto che far debbono: secondariamente, se consideriamo ciò che soleva dire il gran Michelagnolo Buonarroti, cioè, che il dipignere a olio, era mestiere da poltroni, in comparazione del dipignere a fresco, per la gran fatica che apporta al pittore, per bene operare, il variare de’ colori nel seccarsi, e della prestezza con cui fa di bisogno condurre le pitture; apparirà tanto maggiore l’eccellenza dell’artefice, massimamente in riguardo del gran numero dell’opere, che egli ha in tal modo dipinte, con accordamento, forza e vaghezza di colorito sì grande, che bene si può dire, che i pennelli e i colori abbiano ad esso servito, e non esso a’ pennelli ed a’ colori.” (Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua, 1727, pag. 382 e pag. 414)

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Penna, inchiostro bruno ed acquerello grigio-azzurro mm 71x159. Controfondato.

Artista italiano del XVII° secolo

64 Madonna con Bambino circondata da varie figure

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65 Santo in estasi con i simboli papali della tiara e della croce piscatoria circondato da angioletti

Penna, inchiostro e acquerello bruno mm 240x255 (dimensioni massime). Carta settecentesca con parte di filigrana.

66 Vescovo con mitria e bastone pastorale circondato da angioletti

Penna, inchiostro e acquerello bruno con tracce di matita nera mm 210x200 (dimensioni massime).

A.P. Zugni Tauro, Gaspare Diziani, 1971

Belluno 1689 - Venezia 1767

Gaspare DIZIANI

“Le fonti settecentesche concordano nell’attribuire al Diziani una grande sveltezza, un sicuro ingegno, uno spirito vivace, una feconda capacità d’invenzione. Tutte queste qualità gli avrebbero procurato l’invito a Dresda, quando egli aveva già dipinto molto a Venezia, anche per il Teatro. Le sovrapporte di Monaco, distrutte durante la guerra e di cui sono riuscita a reperire solo recentemente un’interessante documentazione fotografica, stando alle fonti, dovrebbero essere sicuramente databili nel 1717. Rappresentano le quattro parti del mondo. Mi par chiaro il percorso di Gaspare verso forme che, se da un lato risentono dell’ampio panneggiare e del vivace gestire del periodo precedente, dall’altro si definiscono e si raffinano. E’ l’incontro con il mondo rococò delle Corti settentrionali: non manca infatti una maggior stilizzazione, che si manifesta negli sfondi paesistici, i quali assumono l’aspetto di quinte teatrali, negli atteggiamenti più jolie delle figure e nei volti femminili, ed infine nel gusto dei preziosi particolari simbolici: la cornucopia ed il serpente, la tiara e la corona, il braciere e lo scrigno.” (Zugni-Tauro, Gaspare Diziani, 1971, pag. 30)

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Scheda a pagina 32

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Scheda a pagina 33

INDICE

BOLDRINI NicolòBONASONE GiulioBREBIETTE PierreBRUEGHEL Pieter (da)BUCCI AnselmoCALLOT JacquesCARRACCI AnnibaleCASTIGLIONE Giovanni BenedettoCORT CornelisCOTTET CharlesDAVENT LéonDE CAVALLERIIS Giovanni BattistaDE DEYSTER LodewyckDEL SOLE Giovanni BattistaDELLA BELLA StefanoDENTE MarcoDIZIANI GaspareDÜRER AlbrechtFALCONETTO AngeloFIALETTI OdoardoFRANCESCHINI Baldassarre FRANCO Giovanni BattistaGHISI GiorgioHADEN Francis SeymourMAESTRO DEL DADOMATHAM JacobMELLAN ClaudeMONOGRAMMISTA FPMONOGRAMMISTA MZMUSI AgostinoNEGRETTI Jacopo PIRANESI Giovanni BattistaPODESTA’ Giovanni AndreaRAIMONDI MarcantonioRENI GuidoSCULTORI DianaSIRANI ElisabettaTEMPESTA AntonioTRENTO (Da) Antonio VAN LEYDEN LucasVAN UDEN LucasVOSTERMAN LucasWHISTLER James Abbott McNeill

20-2326-2980-8138-41

116-11772-7362-6382-8546-51

114-11552-5342-43

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102-10358-61

32-33;125-12616-1974-7576-77

112-113

Finito di stampare presso GRAFICHE FABRIS Dicembre 2011

2011

Daniele Bertoldo • Via Ca’ Castelle 23 • 36010 Zané (Vicenza)• Tel 04.45.31.46.01 • 34.65.92.22.39 •

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