zona 508 - act-bs.it dicembre 2014.pdf · l'arte di combattere la rassegnazione l'arte di...
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Zona 508 il trimestrale DAgli
Istituti di pena Bresciani
L’arte di
arrangiarsi
Disegno di Paola
2
Autorizzazione del Tribunale di
Brescia n.25/2007 del
21 Giugno 2007.
Direttore responsabile:
Marco Toresini
Editore:
Act
(Associazione Carcere e Territorio)
Vicolo Borgondio, 29 —Brescia
Redazione amministrativa:
c/o Act
Vicolo Borgondio, 29—Brescia
Tipografia:
Grafiche Cola Sr.
Via Rosmini, 12/b
23900 Lecco
Redazione:
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vocidalcarcere/
Loredana, Daniela, Cinzia,
Massimiliano, Omar, Riccar-
do, Bruno, Violetta, Giuseppe,
Mercedes, Antonio, Piova,
Vincenzo, Tiziano, Adriano,
Franco, Francesco, Cristian,
Catalin, Carlos, Stefano,
Diego, Michael, Lulzim, Gio-
vanni, Carlo, Tony, Daniela,
Lucia, Sofia, Alessio, Daniela,
Laura, Camilla, Roberta,
Giulia, Alessandra, France-
sca,Marta, Andrea, Virginia,
Enrica, Chiara, Gianluca.
Editoriale 3
Speciale: “L’arte di arrangiarsi”
10
Rubrica: Storie di vita e consigli per il Non uso
17
Poesie e pensieri 20
Progetto salute 22
Auguri 24
Rubrica musicale 27
Ricette 30
Oroscopo 33
Sommario
3
L'arte di combattere la rassegnazione
L'arte di arrangiarsi. Detto così suona brutto, fa vita di espedienti, fa difficoltà a mettere in-
sieme il pranzo con la cena. L'arte di arrangiarsi, però, sa essere talvolta il motore che muove
le cose, l'energia più elementare e spontanea che riesce, con calma ma con tenacia, a scalare
le strade più impervie, a domare e non subire le difficoltà quotidiane. L'arte di arrangiarsi,
insomma, è il motore di un'Italia perennemente in riserva, la bella sorpresa che fa delle ne-
cessità creatività, del bisogno ingegno. Parlare di arte di arrangiarsi tra le mura di un carcere,
come abbiamo fatto in questo numero di Zona 508, può voler dire cercare di dare soluzioni
semplici a problemi anche molto complessi. Del resto basta camminare per i corridoi di un
penitenziario per comprendere quanto questa arte talvolta può trasformarsi in un capolavoro,
Tempo fa, ad esempio, quando sui giornali si parlava del carcere di Canton Mombello come
della casa circondariale più affollata d'Italia a noi giornalisti fu fatto sommessamente notare
come tra quelle mura, sfruttando le poche risorse concesse da un corso professionale si cercò
di dare un po' di decoro ad una struttura che mostrava tutti i suoi anni con piccoli lavori di
risanamento e una doccia nelle celle. Piccoli segni di attenzione che non hanno vanificato la
necessità di una nuova struttura più funzionale, ma hanno almeno reso meno precario il vive-
re quotidiano. Dell'arte di arrangiarsi, in un carcere, ci sono piene le celle ma non solo. Ne
troviamo in abbondanza fra i corridoi della direzione, costretta a far quadrare conti con risor-
se risicate, mai rassegnata all'idea di un carcere che non sia solo luogo di pena, ma palestra
del riscatto e della rieducazione. La cogliamo quotidianamente anche nelle parole dei volon-
tari, nel loro sforzo di combattere i luoghi comuni di una società distratta, nel loro intento di
far passare un messaggio chiaro: che si può stare dalla parte di Abele anche senza dimentica-
re e annientare Caino. Lo cogliamo anche nell'impegno e nella determinazione che sta dietro
ad un'esperienza come quella di Zona 508, allo sforzo costante di dare continuità alla nostra
pubblicazione. L'anno che si sta chiudendo, dopo tanti sforzi condivisi da tutti gli operatori,
ha restituito all'ex "carcere più affollato d'Italia" un po' di vivibilità in attesa che si torni a
parlare seriamente (dopo le euforie dei mesi passati e qualche ipotesi forse un po' troppo fan-
tascientifica per essere realizzabile) di una nuova struttura. L'arte di arrangiarsi ci ha riserva-
to soluzioni incoraggianti sul fronte del lavoro, disegnando un nuovo patto tra gli istituti di
pena bresciani e la città all'insegna di un volontariato animato dalla volontà di restituire alla
società ciò che le è stato tolto con il reato. L'arte di arrangiarsi, insomma, anche questa volta
ci ha riservato cose sorprendenti e non poteva essere altrimenti. Perché - si sa - l'arte di ar-
rangiarsi è il miglior antidoto alla rassegnazione.
Marco Toresini
4
DIREZIONE:
RESPONSABILITA’ CONDIVISA
Il progetto ―Direzione: Responsabilità Condivisa‖ nasce nel 2013 grazie alla collaborazione delle due associa-
zioni di volontariato penitenziario di Brescia (Vol.Ca ed ACT), con Caritas Diocesana, Associazione Mediatori
Senza Frontiere e Pragmata Polika s.r.l.* e si sviluppa raccogliendo l’adesione delle direzioni di Canton Mom-
bello e Verziano.
L’obiettivo del progetto è quello di promuovere una cultura in termini di Giustizia Riparativa, all'interno della
quale la comunità assuma il ruolo di parte attiva rispetto alla ricomposizione/risoluzione delle interazioni criti-
che (e/o di "reato") che si generano al suo interno. In particolare, il progetto si focalizza sulla formazione di
volontari penitenziari e sulla presa in carico di persone detenute, in misura alternativa o ex detenute creando dei
percorsi che coinvolgono queste persone e il resto della comunità.
I casi seguiti, da un’equipe di 4 mediatori, tra giugno 2013 e settembre 2014 sono stati 25. Tra questi sono state
gestite alcune mediazioni famigliari, mediazioni sociali (es. tra affittuari e proprietari, o lavoratori e datori di
lavoro), mediazioni penali, consulenze biografiche e percorsi riparativi attraverso per esempio lo strumento del
volontariato. Per la maggior parte dei partecipanti al progetto, lo strumento messo di volta in volta a disposizio-
ne dai mediatori, ha favorito il processo di reinserimento nella comunità.
Da ottobre 2014 il progetto si sostiene con il finanziamento regionale del Bando Volontariato 2014 e, pur man-
tenendo l’impostazione originaria e lo strumento della mediazione, sviluppa una nuova sezione strettamente
connessa al progetto ―Ripuliamo le Cattive Strade‖ (Zona508 – settembre 2014) volta a promuovere il volonta-
riato come possibilità a supporto del percorso di reinserimento di coloro che stanno vivendo o hanno vissuto un
periodo di privazione della libertà.
La rete con i partners si consolida con la conferma delle precedenti collaborazioni e si amplia grazie
all’adesione al progetto del’U.E.P.E. e delle associazioni Anteas (associazione nazionale Terza Età) e Cavalli
per tutti. Ma non si ferma qui. Da ottobre si stanno sviluppando contatti con altre associazioni del territorio che
vogliano aderire al progetto.
Ad inizio 2015 partirà il primo corso per volontari, rivolto a persone detenute in carcere, in misura alternativa
ex detenute. I partecipanti al corso saranno impegnati in alcuni incontri riguardanti il ruolo del volontario e le
competenze che esso richiede, la cura dell’anziano, la disabilità dei bambini e lo strumento dell’ippoterapia,
infine il volontariato in ambito penitenziario. Ci si aspetta, come principale ricaduta, l'aumento delle persone
(in misura alternativa alla detenzione in carcere o che hanno scontato una pena detentiva) che partecipano sta-
bilmente e attivamente ad attività di volontariato a favore della comunità. Contribuire, attraverso un’attività di
volontariato, al benessere del proprio territorio non solo può costituire un valore aggiunto al reinserimento nella
comunità, ma anche una buona prassi percorribile dal cittadino in un’ottica di responsabilità condivisa e promo-
zione della salute della comunità stessa.
*PRAGMATA POLITIKA S.R.L. : organismo di mediazione e laboratorio per la giustizia riparativa – Padova,
www.pragmata.eu
MEDIAZIONE : è l'attività posta in essere da un terzo imparziale, che ha il
fine di coadiuvare le parti nella gestione del conflitto/controversia che le
vede interessate
CONSULENZA BIOGRAFICA : consulenza volta a sostenere la persona
nella gestione delle criticità che si trova ad affrontare quotidianamente, con
il fine di renderla autonoma e responsabile rispetto ai vari ambiti della pro-
pria esistenza
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"Vi racconto il mio volontariato"
Intervista a Leo, volontario nel progetto Ripuliamo le
Cattive Strade
Il progetto Ripuliamo le cattive strade è volto a coinvolgere detenuti, persone in misura alter-
nativa e persone in carico allo sportello di segretariato sociale in attività di volontariato pres-
so associazioni ed enti di volontariato.
Lo scopo del progetto è fornire alle persone sopra indicate un’opportunità per impiegare il
proprio tempo in attività formative utili per se stessi e per la collettività, anche al fine di con-
trastare il rischio di recidiva delle persone con problemi di giustizia e dipendenza da sostan-
ze stupefacenti. Il progetto offre inoltre alle persone coinvolte la possibilità di riparare il dan-
no causato mediante attività a favore della società offesa, secondo la logica della giustizia
ripartiva.
Il soggetto intervistato è Leo, detenuto che ha preso parte al progetto svolgendo attività di
volontariato presso il Comune di Montisola, in collaborazione con gli Alpini, la Protezione
Civile ed il gruppo Sub
V. Ciao Leo, Come sei venuto a conoscenza del progetto Ripuliamo le cattive strade ?
L. Sono venuto a conoscenza del progetto tramite la direzione dell’istituto penitenziario. Gli
educatori del carcere hanno illustrato il progetto che ha fin da subito catturato il mio interes-
se.
V. Per quale motivo hai aderito al progetto?
L. Fin da subito ho compreso la sua utilità, l’occasione di ritornare ad avere contatti con il
mondo esterno, rapportandomi con le persone, dopo un periodo passato all’interno del Car-
cere.
Prima di questa esperienza non ero mai entrato in contatto con il mondo del volontariato,
quindi mi sono messo in gioco ed il risultato è stato un successo.
V. E' stato difficile ottenere il permesso del Tribunale di Sorveglianza?
L. No, non è stato difficile, in quanto è stato il Tribunale di Sorveglianza a ritenermi idoneo
per poter svolgere questa esperienza.
Il progetto si basava sulla cura dell’ambiente e la manutenzione delle aree verdi del Comune
di Montisola. E' durato tre mesi, ogni domenica alle ore 6:30/7:00 venivano a prendermi i
volontari all’Istituto Penitenziario e mi accompagnavano a Montisola, luogo dove ho svolto
la mia attività di volontariato. Dalle ore 9:00 alle ore 13:00 svolgevo le varie mansioni in
collaborazione con la Protezione Civile e gli Alpini e al momento del pranzo venivo rag-
giunto da mia moglie e mia figlia, trascorrendo in loro compagnia il resto della giornata, fino
al momento del rientro in carcere.
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V. Quali sono secondo te i punti di forza del progetto?
L. Ritengo il progetto molto utile alla società, permette alle persone che, come me, hanno
commesso un reato, di riscattarsi dimostrando le proprie capacità e, cosa più importante, per-
mette un riconoscimento personale tra società e detenuto. Grazie a questo progetto ho potuto
passare molto tempo con la mia famiglia, all’interno del carcere sono concesse due ore setti-
manali di colloqui con i familiari: vedere mia
moglie e mia figlia all’esterno dell’ambiente
penitenziario è stato meraviglioso.
V. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
L. Questa esperienza la definirei ―magnifica‖,
ho conosciuto persone sensibili che non si sono
fermate all’apparenza e che con il tempo mi
hanno dato fiducia. E' stata una possibilità di
rimettermi in gioco, una sfida per me stesso e
per la società, in quanto ho dimostrato ad en-
trambi che è possibile cambiare e migliorare.
Ho commesso un reato e ne ho pagato le conse-
guenze, ma io non sono il reato che ho com-
messo e questo riconoscimento personale della società nei miei confronti è stata una bella
soddisfazione.
Le persone che mi hanno affiancato durante questa esperienza sono state sempre molto di-
sponibili e fiduciose, anche a distanza di tempo, quando torno a Montisola mi accolgono ca-
lorosamente e con alcune di queste persone si è anche instaurato un rapporto che definirei
quasi di ―amicizia‖.
V. Cosa è cambiato nell’espiazione della tua pena?
L. Ho ottenuto benefici e soprattutto nuove possibilità, ho potuto coltivare i miei interessi
lavorativi, sociali e familiari.
V. Che utilità ha avuto questo percorso per il tuo futuro? L. Questo percorso mi ha permesso di continuare ad essere vicino a mia moglie e alla mia
bambina ed inoltre ha agevolato l'iscrizione all’Università e il conseguimento, a breve, della
laurea.
V. Come è cambiato il tuo punto di vista sulla pena dopo questa esperienza?
L. Ho sempre visto la condanna come meritata; ho commesso un reato, uno sbaglio, ed è giu-
sto pagare le conseguenze delle mie azioni.
Personalmente ritengo che le persone, che hanno subito una condanna e si ritrovano a scon-
tarla all’interno di un carcere, che non hanno almeno una possibilità di dimostrare alla socie-
tà di essere degni di fiducia e che non godono per nessuna ragione di permessi, finiscono per
essere solo più arrabbiati e ciò alimenta il conflitto nei confronti del mondo esterno.
Riporto queste affermazioni perché nella mia permanenza in carcere ho potuto confrontarmi
con molte persone e spesso le giornate venivano vissute nell’ozio e nella noia: ciò non face-
va che aumentare la disperazione e la rabbia.
Vorrei concludere sottolineando l'importanza che ha avuto la buona volontà, la costanza e
soprattutto la famiglia durante questo cammino. Sono elementi indispensabili per la riuscita
di un percorso che mira al miglioramento, come è stata la mia esperienza.
- Leo-
8
Aspettiamo sempre qualcosa
Aspettiamo sempre qualcosa:che arrivi qualcuno a consolarci, che smetta di piovere, che le
settimane passino e i nipotini crescano. Ma intanto piove e nessuno manderà via per noi le
nuvole che ci scorrono sopra la testa.
Ogni giorno tento di bruciare il tempo, a volte anche con i minuti contati. Ogni giorno trovo
il modo di fare quello che mi piace o almeno ci provo.
Non possiamo sconfiggere i nemici invisibili, ma almeno quelli travestiti da scuse, frustra-
zioni, paure, incertezze e che usano la nostra testa, questi possiamo batterli.
Possiamo sconfiggere persino gli incubi che ci tormentano il sonno. Basta accorgerci che
qui, adesso, solo noi possiamo fare qualcosa. Dipende solo da noi, siamo noi il nostro mi-
gliore amico, siamo noi i primi che possiamo correre a salvarci e ancora solo noi possiamo
sapere quello di cui abbiamo bisogno e ciò che dobbiamo fare.
Quindi smettiamola di tenerci tutto dentro, di aspettare il momento giusto o un segnale da
qualcuno che non esiste e che non verrà mai.
Cambiamo quello che possiamo cambiare a partire da oggi. Apriamo gli occhi, cominciamo
a volerci bene e ad ascoltarci perchè la vita non aspetta!
Giuseppe
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Vorrei essere te
Visto che con le parole sono poco brava tenterò di scrivere: scrivere è l'unico modo per esprimere ciò
che voglio dire.
Quando mi hai chiesto come sto avrei voluto dire che mi sentivo arrabbiata, triste, frustrata, un po’ delu-
sa e stupida.
Non so più come fare. Sì, è vero, mi comporto diversamente da prima perché da quando sono tornata
qui, il primo giorno ero nervosa, sapevo di aver deluso una persona che ha tutte le ragioni per esserlo e
lo capisco perché al suo posto avrei reagito allo stesso modo.
Il punto è che ogni volta che cerco di essere spontanea il timore mi blocca..., non so perché ma ho paura
della reazione delle altre persone, quindi mi trattengo nella speranza di non deludere.
Quando sento quella parola, delusione, rivolta a me vorrei scoppiare in un pianto infinito, perché sono
sempre stata delusa da tutti, ma soprattutto da parte di chi proprio non me lo aspettavo. Il primo a delu-
dermi è stato mio padre, la persona che ho amato e rispettato come nessun altro, poi mio fratello, che ha
preferito una ragazza, conosciuta da poco, a me, sua sorella; poi la più grande delle mie sorelle, che tut-
to ciò che ha fatto e mi ha confidato ancora oggi lo tengo nascosto, mentre lei ha subito raccontato a mia
madre ciò che aveva scoperto su di me. Poi, ancora, da un'altra sorella che pensavo fosse diversa dalle
altre ma, purtroppo, mi sbagliavo; dalla mia migliore amica, almeno fino a quando lo era e che ora non
mi degna di un saluto perché sono zingara; come se non bastasse anche dal ragazzo di cui mi sono folle-
mente innamorata e che mi ha dimenticata come se nulla fosse successo.
Forse per questo ora sono io quella che delude, anche se cerco di fare il possibile per evitarlo.
Non riesco più a parlare senza la paura, che mi uccide dentro, che qualcuno possa rispondermi: ―Ma
cosa c...o dici?‖, oppure: ―Stai zitta che è meglio‖.
Non riesco più ad essere spontanea per paura di essere giudicata male, anche quando riesco a trovare un
argomento, un dialogo o faccio una battuta l'unico sentimento che mi inonda è l’amarezza per la vita.
Certe volte, o meglio, quasi sempre, penso: ―Perché sono nata? Per quale motivo se non so fare nulla e
non riesco nemmeno a parlare con qualcuno...?‖.
Del resto hanno ragione quando mi dicono che preferiscono stare con qualcun altro e non con me, non li
biasimo, anche se ciò mi rende triste e mi fa sentire uno zero. Io non sono la persona con cui tutti vor-
rebbero stare, sono noiosa, non sono simpatica, non sono molto allegra o vivace e di compagnia. Non
sono socievole, visto che uscivo poco da casa, e quando finalmente ho iniziato a uscire e a fare amicizie
il mondo mi è crollato addosso: sono stata arrestata, poi scarcerata con obbligo di dimora e quando stava
per finire la pena sono tornata qui... Già, sono molto fortunata!
Diciamo che sono una ―ragazzina‖ molto emotiva: per esempio se qualcuno mi risponde male o sa dire
―no‖ solo a me, ci rimango male...
Per questo non riesco a dire no anche quando devo, me lo sono sentito dire troppe volte, di conseguenza
io non ne ho il coraggio, non voglio far star male nessuno per un no, quindi preferisco starci male io
piuttosto che far soffrire gli altri, anche se se lo meritano.
Quando penso a me penso ad una ragazzina di 19 anni che nella sua vita ne ha passate tante , ne ha viste
tante e ha sofferto tanto ma, nonostante ciò, continua ad essere ingenua e ignorante, odio me stessa per-
ché non riesco a farmi capire e non so spiegarmi come vorrei.
Sono una che si fa influenzare da tutti, una che invece di dare un ordine preferisce eseguirlo, che non sa
dire di no, incapace di iniziare, ma che sa amare, ascoltare, aiutare, fantasticare, immaginare, e l'unico
posto dove si sente sicura, in cui riesce a fare tutto ciò che vuole, dove sa come comportarsi senza paure
e insicurezze, nel quale si sente felice, orgogliosa e fiera... Pensereste a casa mia... E invece no. Quel
posto è nella mia testa dove sono tutto ciò che vorrei, lì sono me stessa, priva di paure e molto sicura di
me stessa.
Forse penserete che sono pazza: ognuno è libero di pensare ciò che vuole, giusto?
Ecco, io ho scritto quello che non riesco a dire a voce per tentare di essere capita almeno da te che leggi.
Concludo scrivendo: ―Vivi giorno per giorno e vivi come se ogni giorno fosse l'ultimo‖. Cercate di non
fare come me.
PATA
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Mi sono arrangiato
Se quand’ero piccolo mi avessero permesso di studiare, avrei potuto guadagnarmi la vita in modo onesto?
I miei genitori non pensavano ad altro che a farmi lavorare la terra.
Un’educazione inconsistente di gente semplice che insegna quanto basta per portare a casa un pasto appe-
na… appena per vivere.
Dovevo venir su come una pianta, senza sapere cosa succedeva al di là del campo, senza spostarsi dalla sua
zolla.
Io capivo.
Quando d’inverno rompevo il ghiaccio delle pozzanghere mettendoci sopra i piedi con le scarpe bucate, an-
che allora, mi preparavo al mio destino: a vivere senza una casa, a sperare che al di là del campo ci fosse una
vita più ricca, più bella.
In quel periodo mi accadeva una cosa strana, imparavo facilmente le cose per gli altri più difficili e non capi-
vo la praticità delle piccole cose: dar da mangiare ai maiali, mungere le mucche, dissodare la terra.
Non c’è dubbio che ciascuno di noi sia in questa vita per una determinata missione.
Io facevo tutto ciò che dovevo, ma non mi era chiaro quale fosse il mio scopo, non poteva essere tutto lì…
Ero serio, educato nella meditazione, misuravo e soppesavo tutto prevedendo i possibili sviluppi degli eventi,
non ero di quelli che si esaltavano delle cose piacevoli senza vederne il rovescio.
Me ne sono andato di casa molto presto conducendo la mia vita in un disordine incantevole, tutte le mattine
cercavo di metterla in ordine ma non facevo che aumentarne la confusione e lo scompiglio.
Vivevo di piccoli espedienti e con la pazienza di chi non aveva problemi di tempo: imparavo guardando e
ascoltando. Oggi, aprendo lo scrigno delle mie esperienze, lo scopro più grande di quanto immaginassi.
Non ho avuto la vita che volevo ma non mi sono mancate né libertà né cose belle…
Una sola cosa non mi perdono: ho fatto molti stupidi errori. Ma mi sono arrangiato. Vincenzo
L'arte di arrangiarsi
Non credo che arrangiarsi sia un'arte, ma più che altro una necessità dovuta all'evolversi delle casualità ed
alla vita.
Si ha sempre avuto tutto, trovato nelle tasche perchè messo da altri, mai veramente guadagnato o quanto me-
no, sì guadagnato, ma indirizzato sempre da altri.
Prendo esempio da questa crisi e dal Sud Italia che, sì ha risentito della crisi, ma sempre meno del Nord per-
chè il meridione è sempre stato in crisi e per questo è sempre stato capace di arrangiarsi.
Arrangiarsi a provvedere per il cibo, per i dieci euro necessari a sopravvivere, arrangiarsi per lavorare, ma la
cosa più bella a continuare costantemente a inventare e reinventarsi.
Questo è successo anche a tanti, all'interno del carcere, in quanto abituati ad avere tutto.
Il carcere è il mondo, la vita quotidiana racchiusa in pochi metri, senza nulla e nessun mezzo per fare qualco-
sa.
Sì, posso dire che è arte di arrangiarsi, ma sempre per necessità.
C'è chi è più portato a farlo e chi meno, ma anche chi proprio non riesce, piangendosi e crogiolandosi addos-
so, o mostrando spalle grosse e gambe muscolose, per poi, al primo sasso, inciamparsi e cadere.
Arrangiarsi è un contratto a lungo termine, una necessità per stare a galla.
Cristian
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Cari Amici,
l’arte di arrangiarsi trova una sua perfetta collocazione in questo mondo fatto di sbarre e giorni
che trascorrono lenti e sempre uguali. Se non si vuol essere travolti da una forma depressiva per
una vita che sembra sfuggirti via, bisogna sapersi inventare qualche interesse, sia esso sportivo
che intellettuale.
Naturalmente questo ha prevalenza sui cosiddetti soggetti recidivi, i quali hanno una certa espe-
rienza ed una forte dose di disillusione sulle vicende processuali e perciò cercano di dare un
senso a questa parvenza di vita in sospeso, in cui le uniche variazioni a questa routine fatta di
istanze e domandine sono i colloqui con i familiari e l’avvocato.
Io ho scelto di andare a scuola. E’ una scelta che oltre a permettermi di crescere culturalmente
ed intellettualmente mi offre la possibilità di interagire con i docenti, il cui approccio non si
limita solo ad un metodo di tipo accademico, ma ha anche un forte riscontro filosofico ed uma-
no. Questo mi consente di sentirmi, nonostante questa parvenza di vita in sospeso, ancora parte
di questa società nella quale, un giorno, tornerò a reinserirmi.
Purtroppo c’è un altro fattore molto importante, quello degli affetti. E qui l’arte di arrangiarsi
trova una sua più difficile applicazione. Vedere il dolore negli occhi dei tuoi familiari e sapere
che tu ne sei la causa rende questa situazione molto più difficile da gestire. Sei ben consapevole
che da punto di riferimento ora sei diventato fonte di preoccupazione, è perciò estremamente
difficile e doloroso accettare una situazione che diventa via via più pesante. È duro dover con-
vivere con quel senso di impotenza per una situazione in sospeso, per una vita che piano piano
sfugge via, perciò tieni viva quella flebile fiammella della speranza che forse gli arresti, forse il
processo, forse l’affidamento e così via…! La speranza è un convincimento che ti aiuta, aiuta i
tuoi cari e ti rende migliore, perché senza speranza l’uomo è destinato ad abbrutirsi, e con
quest’ultima riflessione vi saluto confidando che ―domani sarà un giorno migliore‖.
Bye Bye, Jo 62
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l’arte di arrangiarsi…
Una frase che racchiude molti significati.
Ci si arrangia in molti modi: nel clima in cui viviamo, credo che un modo per sapersi arran-
giare per gli esodati ultra cinquantenni sia riprendersi in mano la loro seconda vita.
Cinquant’anni sono una vita, un correre verso la carriera, la famiglia, alla ricerca di un posto
nella società.
Poi, così, d’amblè, ti trovi senza lavoro, senza quei rapporti coltivati per anni, senza amicizia,
conoscenze, rispetto; in un attimo, con una lettera o ancora meno, con semplici parole, o un e
-mail, sei fuori dal giro lavorativo e da tutta la tua vita.
L’arte è una parola che può insegnarci cosa sia impegno, capacità, fantasia, inventiva; una
parola che è dolce solo nel pronunciarla, ma che bisogna avere dentro.
Se hai fatto l’impiegato, il direttore, il rappresentate, eccetera, per la prima volta non puoi
andare a scuola ed imparare qualcosa di nuovo.
Arrangiarsi: vuol dire guardarsi intorno, trovare qualcosa che ti piace, qualcosa che può aiu-
tarti a reinventarti per la tua seconda vita.
Scopri sentimenti nuovi, conoscenza di verità nascoste, rapporti nuovi; scopri che la vita con-
tinua e devi trovare l’arte di arrangiarti…
L’arte che non hai avuto per mezzo secolo, e in più devi arrangiarti perché devi sopravvivere
tu, la tua famiglia, i nipoti eccetera.
Non tutti riescono a scoprire dentro di loro la loro arte di arrangiarsi: qualcuno diventa alco-
lizzato, qualcuno si ammazza, qualcuno (tanti) fa la fila per mangiare, pochi scoprono di ave-
re quell’arte di arrangiarsi che li fa rivivere forse con più serenità di prima.
Guardarsi dentro e chiedersi: ―Cosa faccio ora?‖
Dicono: l’arte di arrangiarsi è dietro l’angolo.
Antonio
Disegno di Loredana
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Arte d' arrangiarsi… e la mia galera
A mio parere, l'arte di arrangiarsi, è routine imperativa.
Diciamo che è come vivere e combattere contro numerose battaglie quotidiane, tanto per ammazzare il tempo,
sincronie strane in cui spesso e volentieri, al termine di esse vivo, come se avessi , concluso una guerra, sì…
una guerra contro la solita e noiosa routine o perché no contro malinconie, nostalgie e paranoie.
La mia arte di arrangiarsi, di solito, mi fa entrare in dopamina, una sostanza chimica del nostro cervello che
ti fa dire: "ce l'ho fatta! Fine, tutto è concluso e anche oggi è finita!"… poi capirete perché dico questo.
Appagamento o no anche oggi, tra ansie, tormenti in testa, si è concluso.
Il mio arrangiarmi quotidianamente qui in prigione, diciamo che lo riesco a gestire: faccio di tutto per riempi-
re le mie giornate, cercando di arrivare il più presto possibile all'indomani sì, all' indomani, perché sarà un
altro giorno in più da vivere ed uno in meno da scontare.
Anche se non ho voglia di contare i giorni o le settimane, il pensiero del lieto fine, cioè del fine pena si fa senti-
re.
Nel frattempo ti svaghi attraverso alibi e passioni; per quanto questo contesto mi possa offrire mi permette di
affermare che tutta questa routine quotidiana, così stravagante e mai identica non è il massimo.
Come canta il mitico e grande Vasco "vado al massimo!", ma segue anche: la sera che arriva non è mai diver-
sa dalla sera prima. Proprio per questo, faccio di tutto per rilassarmi e sognare… e altro che in Messico me
ne andrei.
Sport, carte, radio, TV, pulire e cucinare… quante cose si ha da fare. Qui ti arrangi e ti accorgi che tutte que-
ste piccole cose hanno un valore immenso e sono una lotta contro il tempo. Qui è tutto più amplificato, spesso
una gran rottura di attributi; come affrontare tutto questo? A volte con una risata a denti stretti, per amarezza
o delusione, altre volte tiri avanti e stringi i denti, a causa sempre di dolori, soprattutto quando la testa vola
tra le nuvole perché pensi ai tuoi cari.
Ti ritrovi fra le stelle e sembra quasi che gli parli, con i tuoi discorsi strani, altro che esplosioni emotive, le
mie sono come big bang, perciò mi arrangio trovando sempre qualcosa da fare per evitare di pensare troppo.
Spesso fa ancora male, con pensieri simili ad una pallina del flipper, scattano da un estremo all' altro, e quan-
do la pallina cade, il gioco è finito!
Ho trovato, attraverso queste parole, modo per arrangiarmi; credo che arrangiarsi in prigione, include anche
conoscere se stessi, sia i propri pregi che i propri limiti. Ritengo che migliorare i propri cinque sensi e lottare
contro i famosi sette vizi capitali non faccia male. Arrangiarsi e nutrire il nostro quoziente intellettivo attraver-
so letture, libri, testi non può fare che bene.
Ampliare il nostro vivere quotidiano, rafforzando mente e cuore è importantissimo per affrontare infinite situa-
zioni.
In prigione non sempre si riesce ad intravedere il sole, però sta a noi farlo splendere anche nei momenti più
difficili e bui. Bisogna dosare forze, mente e cuore cercando di tenere duro, scacciare il dolore e il malumore.
Altro che forma d'arte, in prigione arrangiarsi è un comandamento e, senza presunzione lo dico, perché in
questa lotta contro il tempo chi vivrà vedrà.
Posso immaginare che le mie parole sicuramente non sono Vangelo, però comprendere è anche una forma di
arrangiarsi, si fa ciò che si può per allargare i propri orizzonti.
La galera è come una città sperduta, spesso invisibile come nella nebbia. La galera è simile ad un impervia
montagna rocciosa… noi siamo una scalata senza corde… attento che cadi!
In questo mondo tra cancelli, blindi e sbarre ci si deve sempre arrangiare.
Non vedo, non sento,non parlo in galera è il mio potere. Mi arrangio e faccio sempre i fatti miei. Che dire!
Alla fine è DNA criminale, niente d' aggiungere.
Aspettando un nuovo giorno, che l'attesa finisca e che arrivi il giorno d' uscire.
Nel frattempo ci arrangiamo, stringiamo i denti ed i pugni cercando di migliorarci.
Da parte di un ragazzo della redazione del giornalino di Canton Mombello un augurio speciale e ad ognuno il
suo destino.
Tiziano Alias Crisso!
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L'arrangiarsi
Sono napoletano e felice di esserlo.
Napoli è una città bella, piena di lega-
mi, di belle arti e di cantautori.
Per chi vive a Napoli arrangiarsi è una
cosa normalissima e se non riesci ti
insegnano gli altri.
Viverla di persona è un'altra realtà ed è
difficile da spiegare con uno scritto.
Mentre ne scrivo, mi vengono tanti
sorrisi sul viso, ricordi malinconici, ma
allo stesso tempo pieni di gioia. Dopo
tanti anni solo Napoli riesce a tenere
vivo il suo calore nel mio cuore perchè
Napoli è stato o primo amore.
La mia infanzia, la mia gioventù, i miei
figli sono stati lì; come dire....ci sono le
mie radici.
E cosa affascinante, ci sta una grande
terrazza da dove Napoli sembra un
presepe di notte.
Nei quartieri spagnoli si vive in una
dimensione straordinaria.
E' bello vedere tutti i bassi con i tavoli
fuori per mangiare. Se non ti conoscono
ti invitano (il napoletano doc) a sederti
insieme a loro. Sto precisando che c'è
una grande differenza tra il napoletano
verace cioè del centro di Napoli e quel-
lo di periferia.
Nel mio percorso di vita ero sempre
circondato da tanta gente e sorridere era
la normalità.
Per ogni piccola stupidaggine si crea
subito una battuta e poi la solidarietà.
La cosa che mi stupisce di più del mio
quartiere sono tutti quegli scugnizzielli
con indosso le mutande e le ciabatte.
Escono dalla loro abitazione e mangia-
no dove si trovano.
I
l tempo a Napoli non viene valutato, c'è
sempre una sorpresa, bella o brutta, ma
il napoletano non ci fa caso al caso.
A Napoli si gira in moto senza caschi,
con quattro persone sopra.
Se ci sono i vigili, i ragazzi li prendono
in giro e scappano e le forze dell'ordine
non vengono nel nostro quartiere per-
chè le persone aiutano chi è inseguito
buttando tutto dai balconi.
Ci sono i palazzi con due portoni quan-
do ci sono cose più serie.
C'è un clima fisso di venti gradi.
Dovete visitare Napoli e vi innamorere-
te del calore dei napoletani; inoltre ci
sono persone molto intelligenti.
E' una città invasa da molto traffico, qui
nasce l'alba e lì finisce il tramonto che
porta con sè milioni di colori.
Napoli ha la vita che gira a 360° e nes-
suno la può fermare.
Giuseppe
L’ARTE DI ARRANGIARSI
L’arte di arrangiarsi è tutto un universo, è così stra-
no, ha modi e modi di fare e di vedere le cose. Ad
esempio, tanti ti dicono di farti i cavoli tuoi in tutti i
sensi, anche se li vuoi aiutare.
La vita è arte di arrangiarsi, ma cosa faccio se vedo
qualcosa che non va bene o non mi piace? Se, ad
esempio, vedo uno che maltratta una persona an-
ziana dovrei continuare a camminare e, come dico-
no, arrangiarmi e farmi i “cazzi” miei o fare
qualcos’altro?
Mi auguro che ogni creatura di questo mondo sap-
pia arrangiarsi, però il troppo ignorare certe cose
per poi dire “io mi arrangio” è da vigliacchi.
Forse il mio modo di pensare è sbagliato, ma ne
approfitto per richiamare la vostra attenzione ri-
guardo alla solidarietà verso gli altri e smetterla di
dire “curati che io mi arrangio”. Possiamo essere più
comprensivi con il prossimo e forse questo pallonci-
no in cui viviamo smette di girare e da fermo le cose
cambiano e possiamo tutti dirci “ciao fratello” e
trattarci come esseri umani. Non so per voi, ma per
me questo è il miglior modo di arrangiarsi. CARLOS
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TIRANA
Tirana, questa bella città, fu scelta ottant'anni fa come capitale dell'Albania.
Non si conosce esattamente l'etimologia di questo nome: forse proviene da un piccolo paese, poi divenuto città,
o forse da una parola greca, "Tiranija", che significa sofferenza.
Come qualsiasi altro popolo al mondo, noi albanesi abbiamo avuto i nostri alti e i nostri bassi.
Il nostro momento d'oro è stato il periodo degli Iliri. Gli Iliri, successori dei Pellazge, hanno regnato fino al
periodo romano, quando regina era Teuta. Ancora oggi questo è il nome della squadra di calcio del Durazzo.
Dopo un complotto lei è morta vicino a Ulgin, oggi parte del Montenegro. Così Iliria fu invasa da Roma.
Ogni cosa negativa passò nella vita degli Albanesi.
Gli Ottomani per cinquecento anni hanno guidato, calpestato e invaso la maggior parte dell'Albania ad eccezio-
ne di Mirdite, che si trova a nord del paese. Questo è il posto dove sono nato e dove alcune famiglie si sono
riunite ed hanno resistito. Mirdite in quel periodo ebbe rapporti con gli austro-ungheresi.
Nel 1912 l'Albania ottenne l'indipendenza e così fu riunificata e tra le città vennero comprese Kosovo, Came-
ria, Dibra Grande, Tetovo, Ulgin, Tuz e Playa di Gui.
Questi paesi poi vennero divisi e dati ingiustamente dal Congresso di Londra rispettivamente alla Grecia, al
Montenegro, alla Macedonia e alla Serbia.
L'Albania venne anche invasa dall'Italia che voleva una via di passaggio per la Grecia che, a sua volta, come
l'Albania, era appena uscita dall'invasione Ottomana.
Con l'arrivo degli Italiani, il nostro re scappò verso la Grecia con tutto l'oro del Paese.
Gli Italiani contribuirono allo sviluppo del Paese, Mussolini fece notevoli investimenti e creò tante infrastruttu-
re.
Nel 1944 l'Albania divenne un Paese libero ed i comunisti presero il potere.
Fu un regime molto feroce. Enve Hoxha, il diavolo travestito da angelo, isolò e terrorizzò il Paese mettendolo
in ginocchio. Negli ultimi anni l'Albania ha vissuto la fame.
La rottura con l'Unione Sovietica e poi con la Cina hanno portato un grande caos.
Anziché investire nelle infrastrutture si costruivano bunker e tunnel da riempire con armi e munizioni.
Non c'era il diritto alla proprietà, ma un posto di lavoro in cooperativa o in enti pubblici.
Con la caduta del comunismo e l'arrivo della democrazia iniziò la libertà.
Il passaggio dalla dittatura alla democrazia avvenne con la forza e il popolo devastò ogni cosa legata al comuni-
smo. Il popolo in quel periodo moriva di fame e non aveva un dirigente.
L'ignoranza era alle stelle, il popolo non sapeva cosa accadeva al di là delle frontiere.
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Cominciò la migrazione verso la Grecia e l'Italia da parte di molte persone, ma chi veniva preso mentre passava
attraverso le montagne subiva l'inferno. Veniva picchiato, massacrato, derubato e infine rispedito in patria.
Questo andò avanti per circa sei anni fino a che accadde un fatto più grave chiamato "Scherna piramidale".
Gli albanesi investirono i loro beni in queste banche pensando di ricavarne una ricchezza immediata, ma si sba-
gliarono perché quei beni vennero loro rubati e mai restituiti.
Le rivolte invasero il Paese. Dopo dieci giorni l'Albania entrò in una guerra civile, una guerra senza soldati e
senza invasori. Erano tutti contro tutti, omicidi senza fine, rapimenti, furti, immigrazioni di massa verso l'Italia.
Tante vite si persero nell'Adriatico e nel Canale di Otranto.
La pace venne poi raggiunta con l'aiuto delle Nazioni unite.
In quel periodo Tirana iniziò ad essere invasa dai montanini: famiglie provenienti da lontano si trapiantarono a
Tirana per costruirsi un futuro migliore.
Tirana divenne un caos perché si cominciò a costruire senza una planimetria e senza permessi.
La politica anche in questo caso giocò un ruolo negativo.
La democrazia continuava ad essere gracile perché anche negli ultimi anni governavano i neo-comunisti.
Rosso e nero così come il simbolo della nostra bandiera.
Sulle montagne di Tirana un tempo si nascondeva il tesoro che doveva servire per la conquista dello Stato.
Ancora oggi la gente continua ad andare in altri paesi e l'Albania, che offre ogni bene, non riesce ad avere una
vera e propria stabilità.
Perché questa perla dei Balcani deve vivere in miseria?
Perché viene venduta ogni giorno?
Oggi Tirana è piena di vita e di sviluppo, ma se vivi all'interno di essa riesci a renderti conto che è tutto artifi-
ciale.
Gli investimenti sono per lo più un riciclaggio di denaro dei politici e delle persone al potere.
A Tirana, come in Albania, la popolazione è divisa tra ricchi e poveri. Il denaro è nelle mani dei neo-comunisti,
al potere da ben ventiquattro anni.
L'Albania avrebbe dovuto svilupparsi in appena cinque anni e non in venticinque. E' un vero peccato nascere in
un paese santo e passare tutta la vita all'inferno.
Lulzim Jhini traduttore: Qoli Emilfano
Ciao, Roby, Francesca, Marta, Andrea
Ho scritto queste parole per ringraziarvi per tutto ciò che fate per noi detenuti e soprattutto, sottolineo, soprattutto, per
avermi sopportato durante questa esperienza con voi.
Penso che durante questo tempo passato con voi avrete capito che non mi piace molto scrivere come altri membri di que-
sto gruppo.
A essere sincero, la prima volta che sono entrato a far parte del giornalino, ho subito pensato di non tornarci più, ma nella
vita ho imparato che se si inizia qualcosa bisogna portarlo fino in fondo.
Grazie a questo ho visto che brave persone siete , primo perché non vi interessa ciò che abbiamo fatto, ma vi interessiamo
per le persone che siamo e secondo perché nonostante abbiate fuori di qui le vostre vite e i vostri lavori cercate ogni volta
che potete di essere qui per noi anche a costo di uscire dal lavoro e correre in queste quattro mura a portarci la vostra sim-
patia e spontaneità.
Per questo spero che possiate continuare quello che fate perché grazie a voi alcuni tirano fuori le proprie doti di scrittori e
altri imparano che in questo posto buio non siamo soli.
Per questo grazie di tutto.
P.S. Questa è l'ultima cosa che ho scritto anche se l'ho scritto con molta voglia.
Sheik
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RUBRICA Storie di vita e consigli per il NON uso
L'ALCOL, INCUBO A PORTATA DI TUTTI
A 11 anni ho avuto il mio primo coma etilico: da lì in poi è comparsa la
droga, ma questa è un’altra storia. Sono cresciuto in una famiglia in cui il
mio patrigno era alcolizzato e lo era anche la nonna materna. Personal-
mente definivo casa mia un manicomio: fu per questo che io stesso trovai
coraggio e rifugio negli alcolici. Pare strano, lo so, ma in questo modo
credevo di trovar la forza di non pensare, mi sentivo molto più forte, più
furbo e capace di stare in mezzo ai più grandi. Naturalmente il peggio
avveniva passata la sbornia! Dovevo bere, bere e poi ancora bere per
scappare dall'incubo che mi ero costruito.
Una svolta ci fu a 27 anni, quando divenni padre di una meravigliosa
bambina: mia figlia Andrea è la cosa più bella e meravigliosa che mi sia mai capitata nella vita. Con
lei ho trascorso i dieci anni più belli ed intensi, anni in cui riuscii a ritrovare me stesso, in un percorso
di cambiamento interiore, tra alti e bassi e nonostante l'alcol fosse sempre lì, in agguato, nei momenti
di debolezza e disperazione. Conscio di avere un dono meraviglioso, una figlia brava, dolce e intelli-
gente, di cui vado orgoglioso e fiero, mi ritrovo oggi a 47 anni in carcere perché ho sbagliato ed ho
continuato a cercar forza e conforto nel bere, il mio nemi-
co.
Certamente la mia storia è comune a quella di tanti altri.
L'alcol, il fulcro di tanti miei fallimenti, e così pure la
droga, che rende euforici, e mi ha più volte fatto ritrovare
con il "culo" per terra, non solo non mi hanno mai aiuta-
to, ma han peggiorato tutto!! Han danneggiato e ferito chi
credeva in me, i miei affetti, i miei cari e soprattutto me
stesso.
Mi rendo conto che la vita è dura, ma sia per tutti voi un
monito: fermatevi, parlate e chiedete aiuto!!! La vita è un
bene prezioso, non calpestatelo, nascondendovi.
ADRIANO
Le ragazze e i ragazzi di Verziano e Canton Mombello vogliono presentare ai
lettori di Zona 508 le loro esperienze di vita, perché le cose narrate diretta-
mente da chi le ha vissute, e ne ha vissuto le conseguenze, sono sempre degne
di nota.
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LA TRUFFA DELLE SLOT MACHINES
Un giorno, così, per passare il tempo mentre aspettavo un'amica per andare al mare, entrai in
un bar ed infilai per la mia prima volta due euro in una slot machine. Devo premettere che
quelle macchinette avevano sempre avuto su di me un effetto di attrazione; tutte quelle mac-
chinette allegre, con mille colori, mille forme, tutte diverse. E come era bello quando vedevi
tutti quei soldi scendere!!!
Quel giorno non andai più al mare con la mia amica... ma lo passai in quel bar e vinsi pure!
Per un mesetto non ci pensai, ma poi... divenne il mio secondo lavoro: a volte mi prendevo
un giorno di ferie dal mio impiego effettivo, a volte mi mettevo in malattia pur di correre a
giocare con quelle macchinette che avevano sconvolto la mia vita, i miei orari, le mie abitu-
dini.
Avevo iniziato a trascurare mio figlio, il mio compagno, la casa, ma era più forte di me, era
come una droga.
All'inizio erano più i soldi che perdevo, e parlo anche di duemila euro al giorno.
Poi col tempo iniziai a fare come i cinesi che ti stavano a guardare per poi vincere i soldi che
io mi perdevo ed imparai da loro tanti trucchetti che mai al mondo pensavo potessero esiste-
re per truffare.
Dal suono che facevano i soldi che infilavo, riuscivo a capire se quella slot era in procinto di
farmi vincere o aveva già pagato qualcuno prima di me.
La chiavetta che moldavi e rumeni ti vendevano a cinque euro si infilava nella slot e ti appa-
riva sullo schermo quanti soldi ti avrebbe pagato o se aveva già pagato.
Quante notti passate nei bar o nelle sale gioco! E non mi interessava se mio figlio o il mio
compagno avevano bisogno di me o rimanevano senza mangiare. Non mi importava se c'era-
no i panni da lavare e stirare, se la casa faceva schifo... No, in quel momento vivevo solo per
le slot machine.
Truffando lo stato per manomissione a queste ultime, per non farmi scoprire dai gestori ave-
vo iniziato a cambiare le città. Mi ero fatta un calendario mensile di quale città, bar o sala
giochi dovevo andare.
Le slot erano diventate la mia droga e mi sentivo bene perché non pensavo più a nulla: i pro-
blemi, le paure, le ansie, i pensieri di tutti i giorni svanivano al dolce suono ammaliante di
quelle musichette fatte di mille colori e disegni diversi.
Non avevo più regole, principi, valori e neppure una famiglia, visto che trascorrevo la mag-
gior parte del tempo fuori casa.
Una malattia che ha rischiato di rovinare la mia vita per sempre! Sono riuscita a salvarmi in
tempo solo perché un bel giorno, e dopo molto tempo, ho visto mio figlio piangere, abbrac-
ciarmi forte e dirmi singhiozzando: "Ho bisogno della mia mamma, ritorna, ti prego".
Allora ho sentito male, tanto male, ho sentito il mio ♥ sbriciolarsi in mille pezzi e mi sono
chiesta: "Ma che cosa sono diventata?".
Da quel giorno non ho mai più messo un solo euro in quelle macchinette che rovinano solo
la vita e riducono sul lastrico molte famiglie che non sanno che se non sei in grado di truf-
farle, saranno loro a truffare te.
Ragazzi, uomini, donne che ora state leggendo questo mio pezzetto di vita archiviato, ascol-
tatemi, vi prego! Non infilate mai un solo euro in quelle dannate macchinette perché anche
un solo euro vi può rovinare la vita e distruggere le vostre famiglie.
Credetemi, non c'è nulla di più importante nella vita di ognuno di noi dell'amore e del calore
di una famiglia. Non c'è felicità più immensa del sorriso dei vostri figli e dell'uomo o donna
che amate e da cui siete amati.
By Lory
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C ari ragazzi, quello che scrivo sull’argomento
alcol è una testimonianza dettatami da Marco,
un ex-alcoldipendente e mio compagno di cella.
―Ho cominciato a bere e a fumare spinelli quan-
do ero giovane come voi, di età tra i 12 e i 13 anni. Ricordo
che pian piano l’alcol e la droga diventavano una cosa scon-
tata nelle mie giornate e con il passare degli anni la loro in-
fluenza aumentava in modo considerevole, a tal punto da
dare posto alla cocaina. E quest’ultima sostanza, assunta con
alcolici, ha condizionato la mia vita, sia quella affettiva che
lavorativa. Oggi ho 48 anni, ed è da dieci anni che ho scoper-
to di essere alcoldipendente e da allora ho avuto molti rico-
veri per disintossicarmi; cinque anni fa ho fatto un percorso comunitario che mi ha permesso di restare astinen-
te, ma nove mesi fa è bastato un bicchierino per farmi ricadere nel baratro alcol-droga, portandomi qui in carce-
re. In questi nove mesi di carcerazione ho meditato tanto e mi ripeto tutt’ora di continuo che non voglio delude-
re me, in primis, e nemmeno i miei cari che ancora mi seguono e vengono al colloquio.‖
Sono 10 anni che Marco frequenta l’Associazione Club Alcolisti Territoriali (ACAT) che al pari degli Alcolisti
Anonimi (A.A) si occupa a livello nazionale di questi due problemi correlati. Questo servizio, tramite incontri
settimanali (una volta alla settimana) permette di conoscere altre famiglie con questo problema. Marco è vice
presidente dell’ACAT e ha fatto corsi gratuiti per raccontare ai ragazzi di prima e seconda superiore delle scuo-
le Itis, Pia Marta, Gambara gli effetti devastanti che l’alcol provoca, questo con la collaborazione
dell’assessorato alle politiche giovanili del Comune di Brescia negli anni scolastici 2010/2014. In questi incon-
tri sono stati coinvolti circa 800 studenti proponendo loro un questionario anonimo con 4 domande e il 25% di
loro ha risposto che consuma alcol e il 15% dichiara di pensare all’alcol, appena sveglio. Come vedete, non c’è
limite d’età al problema e alla gravità del consumo costante: il 3% della popolazione occidentale è dedita
all’alcoldipendenza.
Noi purtroppo viviamo in una nazione dove il consumo di alcol è consentito e, purtroppo, fa parte della nostra
cultura. Pensate che gli introiti annuali sono di 8/9 milioni di euro, mentre i danni sono circa 80 milioni di inci-
denti (il 30% stradali), di morti sul lavoro, di ricoveri ecc.
L’effetto iniziale che l’alcol ha su di noi è quello di farci stare bene, disinibisce e ti fa sentire più forte, ma col
passare del tempo ti causa debilitazione fisica, egoismo e falsità. Il primo organo del corpo ad essere colpito è il
fegato ed in seguito vengono danneggiati anche gli altri provocando anche cirrosi e neuropatia cronica agli arti
inferiori, come è successo a Marco che rischiava la paralisi e di finire sulla sedia a rotelle; nelle donne si ri-
scontra perfino un aumento del 15% del tumore al seno (dato pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità) .
Ragazzi, quando vi accorgete che state entrando nel baratro alcol non tenete nascosto il problema: se non volete
parlarne con i vostri genitori e professori, rivolgetevi alle istituzioni come l’ASL, NOA (Nucleo Operativo Al-
cologia), ACAT o AA che svolgono gratuitamente un servizio garantendo anche l’anonimato. Non sottovaluta-
te questa dipendenza, non giustificatevi con la frase ―tanto smetto quando voglio‖ perché non è così. Purtroppo
nella nostra nazione non si fa molto per ridurre il fenomeno, a differenza dei nostri cugini oltralpi che da 15
anni vietano qualsiasi forma pubblicitaria e stampano sulle bottiglie etichette con scritto ―l’alcol fa male e cau-
sa patologie indelebili e gravi‖.
Concludo con il detto NO MARTINI NO PARTY, senza alcol non c’è festa ma non serve l’alcol per divertirsi.
Vi ringrazio per una vostra riflessione,
Franco
20
LETTERA AL PADRE
Ciao dolcissimo papà mio Sta arrivando il Natale e lo passeremo ancora lontani… anche se vicini col pensiero, mi manchi tantissimo vec-
chio mio. So che sei stato male, che lo stai ancora… ma per fortuna ora sei a casa, vicino al tuo amico insepara-bile, Muschì, che nome bizzarro per un cagnolino adorabile come te.
Muschì = mosca, mi ricordo ancora la faccia che hai fatto quando te l’ho regalato per l’ultimo Natale passato assieme… tu esterrefatto, io che ridevo a crepa pelle e Muschì che ha iniziato a leccarti la faccia fin da subito, e
anche tu hai iniziato a ridere felice; ed ora è il tuo migliore amico. Ho una foto appesa sul muro della mia cella e siete bellissimi.
So che hai fatto i capricci quando hai avuto l’infarto, che urlavi il mio nome e mi volevi lì accanto a te… come mi hai fatto soffrire papi, ore… giorni… notti passate nella disperazione più buia… totale, a pregare, piangere, a
chiedere aiuto alla mamma dal cielo.
Ma perché, mi chiedo io, e, come sempre, ti chiedi tu ridendo: “non ho usato lo stesso stampino che ho usato per te, per fare le tue sorelle?” non lo so papi… magari tu lo avessi fatto, ora non me ne starei qui in angoscia
per te, per la tua sorte, a pregare di riuscire ad uscire in tempo per ritrovarti come ti ho lasciato, ma non tutte le ciambelle escono con il buco… e tu l’hai capito e provato sulla tua pelle, come io sulla mia… ma noi papi siamo
superiori a tutto il marcio ed il male che ci circonda e con loro, o senza di loro, noi ce la faremo! Mi viene da ridere ripensando a quando ho chiesto ad una persona “in alto”, qui dentro, che documenti dovevo
avere per poterti venire a trovare subito, quando hai avuto l’infarto e si temeva il peggio; risposta? Ironica, molto ironica… del tipo “tanto cosa ci vai a fare? Tre ore accompagnata dalla scorta, e uguale se succede il
peggio”, come se anche tu, essendo mio papà, fossi diventato un numero… mi sono messa a ridere davanti a questa persona perché ti immaginavo un numero in paradiso, un bel 7 (il mio numero preferito), con le ali e
tutto vestito di bianco, accanto alla mamma ed alla mia sorellona, finalmente sorridente. Sicuramente non si
aspettava una risata felice e cristallina, come ho fatto davanti alla sua provocazione, ma sai papi, non ho più voglia di scendere a compromessi con il diavolo qui dentro…
Cercano di farti incattivire con il loro sistema carcerario, ma io sono una mosca bianca, papi, come tu mi hai insegnato ad essere, ed i puri di cuore mai potranno diventare cattivi… neanche all’inferno e neppure se tutti i
secondi provo e sento il male sulla mia pelle… Certo, casco spesso, sono fragile come te, ma ho sempre la forza per rialzarmi e ridere. Come mi dicevi quando a casa mi arrabbiavo ed urlavo, ricordi? “Canta che ti passa!” e
così faccio, te lo giuro papà, mi metto le cuffie nelle orecchie e canto a squarciagola, mi urlano tutte dietro… ma io me ne frego e continuo, finché non mi è passata… di rispetto ne ho avuto fin troppo per chi non mi ha mai
portato rispetto, ed ora penso solo a me stessa, al mio benessere fisico, ad uscire da qui con tutti i miei neuro-ni intatti.
Tuo nipote (mio figlio) mi dice che devo smettere di scriverti tutto ciò che penso e vivo, perché poi tu piangi e ci soffri… ma perché nasconderti la verità quando tu per primo mi hai insegnato a non mentire mai?
Natale papà… chissà se anche quest’anno ce l’avresti fatta, se ero a casa, a travestirti da papà Natale per do-
narmi il tuo regalo? Ti ricordi papi? Ci voleva l’albero più bello per la tua casina, i lumini più strani, più bizzarri, più colorati, come
piacevano a me e tu, e mio figlio accanto, ad imparare come costruire artigianalmente le palle per ornare il nostro alberello… il forno che mi avevi costruito abusivamente fuori in cortile per cuocere la mia ceramica per
poi colorarla tutta secondo la nostra fantasia, e quella a noi non è mai mancata, e per fortuna che esiste quella per evadere. E poi il presepe con il muschio fresco raccolto nei campi, la messa della vigilia e se nevicava? Uh,
era tutto un grido felice, un gioire come bambini! Ed io ringrazio te… caro il mio Babbo Natale, per avermi dona-to tutte le emozioni, i sentimenti puri e limpidi, i valori che io, con orgoglio, ho trasmesso poi a mio figlio e come
lo farò con i miei nipotini. Verrà Natale con le sue feste e la sua allegria… ma tu ora papi fammi un bel sorriso, di quelli che solo tu sai farmi e fammi il regalo più bello che tu puoi regalarmi qui dentro… non chiuderti più in
casa come fai tutti gli anni, ma fai come facevi con me… piglia su le altre tue figlie e nipoti e vai con loro a man-
giare al ristorante come facevi con me, perdona! E per me sarà il più bel Natale che passerò in carcere, perché so che non sarai da solo, a soffrire per i miei
sbagli, ok papi? E metti un bel regalino sotto l’albero per me: Natale 2016 arriverà in fretta… basta crederci! Ciao Papà Natale. Grazie di esistere e di essere come sei… il mio papà bellissimo!
LOREDANA
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AL MIO NIPOTINO
Ciao Francesco (perché
questo sarà il tuo nome)
per volere del tuo papà
mi inorgoglisce sapere che
sarai il futuro di me.
Ti ho visto in fotografia
ancora nel grembo di tua
madre
e già ti voglio bene.
Quando verrai alla luce
sono certo di amarti.
Cercherò di trasmetterti
sani princìpi
e di vederti crescere sano
nel fisico e nello spirito.
Io, fino a che sarò in vita ci
sarò in qualsiasi situazione
sarò il tuo nonno
a presto Francesco
nonno Franco
I tuoi occhi
I tuoi occhi parlano
stranamente la mia lingua...!
Nei tuoi passi sento
i battiti del cuore in solitudine.
La mia mano distesa tra le ringhiere fredde,
aprendosi congelato...
un tuo sorriso...
Lo scontro degli sguardi...nessuno li scongela!
SEMPRE I TUOI OCCHI PARLANO,
QUALVOLTA IN OGNI INCONTRO.
A VOLTE MI SALVANO E A VOLTE MI UCCIDONO...
SENZA ARMI E SENZA GIUDIZIO...!
Lulzim Gjini
Quartieri spagnoli
Allora si sente che qualcosa è cambiato, il sole non sembra più immobile, ma si sposta rapidamente.
Non si fa a tempo a fissarloche già precipita verso il confine dell'orizzonte,
ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo, ma fuggono accavallandosi l'una
sull'altra.
Tanto è il loro affanno, si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire.
Un altro inverno della mia vita...
Giuseppe
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PROGETTO SALUTE
Progetto sanità a Verziano: incontro salute e fumetto
Alla casa circondariale di Verziano nel corso di quest'anno si è tenuto un corso di educazione alla
salute con alcuni carcerati. Esso è stato organizzato dalla dottoressa Francesca Castelvedere con l'aiu-
to di alcune ragazze laureate in medicina. Il progetto ha affrontato varie tematiche dalle norme d'igie-
ne tipiche del nostro quotidiano all'esercizio fisico e alla dieta mediterranea. Il messaggio più impor-
tante che i ragazzi hanno tenuto a sottolinearmi quando sono entrata io è stato, però, il diritto di tutti
alla salute, a volte, forse, troppo trascurato.
Ma cosa c'entra il nostro giornalino in tutto questo? Alcuni dei partecipanti a questo progetto sono
anche nostri redattori e hanno deciso di coinvolgere anche me, volontaria di Zona508, per il lavoro
finale di presentazione del progetto. L'idea era quella di realizzare un cartellone sfruttando la tecnica
del fumetto di cui abbiamo parlato quest'estate durante il corso di Scrittura Creativa. Dunque negli
ultimi tre incontri abbiamo ideato e poi disegnato una storia a fumetti nella quale venivano toccati gli
argomenti chiave delle loro discussioni. Essa verrà stampata in più copie per essere esposta sia a Ver-
ziano sia in altri carceri, ma non solo, per sensibilizzare il più possibile altre persone a queste proble-
matiche.
Il lavoro è stato molto coinvolgente e stimolante e spero che raggiunga il maggior numero di persone
possibili perché spesso si danno per scontate troppe cose in questo ambito.
Lucia Regazzoli
Progetto salute
Dopo dodici anni trascorsi nelle patrie galere è la prima volta che mi trovo coinvolto in un progetto
che riguarda qualcosa di importante sotto tutti i punti di vista.
L'incontro con tre bellissime persone: Francesca, responsabile coordinatrice dell'ambulatorio sanita-
rio della casa circondariale Canton Mombello e della casa circondariale di Verziano dell'ospedale
civile di Brescia, Jessica e Jennifer, infermiere laureande presso lo stesso ospedale che è promotore
di questo progetto in collaborazione con il Ministero della salute.
Noi reclusi abbiamo coinvolto anche una ragazza che fa volontariato (Lucia) laureanda in filosofia e
al terzo anno all'accademia del fumetto scuola internazionale Comix.
Il progetto è volto all'educazione della salute, alimentazione e sport.
Tutti i partecipanti reclusi (tre uomini e tre donne) si sono sentiti coinvolti in prima persona dalle
finalità del progetto, rivolto soprattutto ai giovani, ma non di meno alle persone della terza età, per-
ché lo sport e l'alimentazione sono alla base di un benessere quotidiano.
Noi partecipanti abbiamo provato sensazioni assopite per quello che le ragazze ci hanno insegnato
con i loro gesti e delucidazioni. Solitamente le finalità sono sempre le solite (trarne profitto), mentre
qui abbiamo trovato solidarietà verso un mondo che rigettiamo, mentre invece è nostro, ci appartiene,
fa parte del nostro quotidiano.
Speriamo di dare continuità a progetti del
genere perché l'educazione in generale è
fondamentale in tutto e per tutto nella nostra
vita.
Antonio
23
Brescia, 18 aprile 2014 Canton Mombello
“SOLO CONTRO TUTTI”
Solo contro tutti, l’ingiustizia, la pigrizia di persone senza cuore e voglia di verità ti chiudo-
no senza pietà. Non guardano i fatti ma ascoltano gli ―strafatti‖ infami che per una dose si
vendono l’anima ed il cuore.
Solo contro tutti, non c’è più famiglia, madre e figli sono solo appigli, non vengono a trovar-
ti: né una telefonata o uno scritto per quel povero derelitto.
Solo contro tutti, l’anima svanisce, la mente sbiadisce. Ricordi lontani di giorni sereni senza
pensieri, i miei figli in braccio, crescono e giuoco a calcio insieme a loro, e spingo la bambi-
na sull’altalena. E di colpo passano gli anni e me ne ritrovo cinquanta, solo contro tutti. Le
persone ricordano solo il male fatto, anche se hai fatto tanto bene, per loro esiste solo il ma-
le, è la legge della vita: il passato si dimentica come ogni domenica trascorsa in famiglia sen-
za parlare, ascoltare, in cui pensavi solo a mangiare.
Solo contro tutti, la mia innocenza non ha sentenza. Giudici e Dottori coi loro mantelli neri
giuocano con la tua sorte e tu speri, forse ci
credi in questa giustizia che non ti guarda ne-
gli occhi ma emette la sentenza.
Solo contro tutti, e tutti contro di me. Se ho
sbagliato commettendo un reato è giusto pa-
gare il malfatto, l’ho fatto in passato scontan-
do tre anni senza battere ciglio, chiuso per
venti ore al giorno con sei cristiani in una cel-
la con una padella, un bicchiere e il mangiare
ma sempre con la speranza che finisse questa
tortura contro natura.
Oggi non è così, GRIDO la mia innocenza, mi
dispero perché non posso esprimere il mio
pensiero. Non ho fatto nulla se non l’errore di
frequentare conoscenti senza sentimenti che
parlano del sottoscritto senza averne diritto. Non provo odio per loro, balordi di strada, che
aprono la bocca come aprire il culo per defecare. Il mio risentimento è per quella Giustizia
che ascolta e dà credibilità a persone senza dignità. Quella giustizia che ascolta conversazio-
ni senza spiegazioni. Ero un uomo libero che lavorava otto ore al giorno, avevo voltato pagi-
na ed ero sereno, vedevo un futuro e voi avete cancellato la mia vita senza timore di sbaglia-
re nel giudicare, forse perché sono un pregiudicato. Ho sbagliato una volta ed ora per voi
automaticamente sbaglio per sempre.
Solo contro tutti non mi resta che combattere per la mia dignità, il mio onore di uomo vero e
sincero. La galera non mi fa paura ma chi mi condanna deve essere imparziale, senza pregiu-
dizi e preconcetti già confezionati e cuciti addosso come un vestito largo con tre sarti che te
lo stringono addosso affinché non possa più muoverti e puoi solo aspettar e pensare che solo
Dio ti può giudicare.
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Noi ragazzi di Canton Mombello partecipanti al giornalino Zona 508 in occasione della
festività natalizia mandiamo a voi della redazione esterna i nostri auguri di Buon Natale e
l'augurio di un 2015 più fruttifero.
Con stima e simpatia noi di Canton Mombello
Non ci sono in carcere Natali dove si possa manifestare gioia per
l'evento natalizio.
Ognuno evade con il pensiero verso i propri cari con malinconia.
In questi giorni di gioia dove tutto è perdonato, dove si pensa che
domani tutto cambierà. Non
è così perchè in questo luogo tutto è uguale, i giorni gli stessi e
non vedi l'ora che passino.
Ma per me questo Natale sarà di gioia perchè diventerò nonno e
cercherò di non essere malinconico.
La malinconia non risiederà nel mio cuore, sarà gioia pura per la
nascita di una vita che è parte di me.
Franco
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IL LIBRO
Il libro è l’amore che puoi avere, tenerlo e
custodirlo, senza la paura che cada in peccato…!
Il libro è la tua libertà….
per te è il mondo senza confini…!
Il libro è il tuo riempimento spirituale
qualsiasi cosa è al suo interno…!
La tua vita puoi viverla come ti pare
nei libri puoi far vivere quello che vuoi…!
Il libro è come le quattro stagioni
è la terra ed il cielo,
è l’universo che tu non puoi conoscere senza di esso.
Il libro è la sapienza, l’espressione, la parola
l’abbraccio ed il bacio che non può mancare mai.
Il libro è la campanella, la melodia che ti accompagna
in ogni sentiero della tua vita…!
Il libro è la luce nelle tenebre della tua anima
È la ricchezza nella povertà della tua mente.
A leggere impari, a imparare dirigi, a dirigere guidi…
allora guida la tua vita attraverso di esso
tra la ricchezza e l’amore chiamato LIBRO.
LULZIM GJINI
Canton Monbello, Brescia 2014
Traduttore: QOLI EMILIANO
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Angoli di cielo
La galera fa soffrire sai?!? Ma non ci può impedire di sognare...
Il sole si lamenta, perché fa troppo caldo,
e il vento l'accontenta, a colpi di ventaglio,
io penso e sono in fissa, però non batto ciglio,
rinchiuso in una gabbia... sì! Ma non come un coniglio,
cosciente e malfidente che, in questa casa di metallo,
nulla è stupefacente mai, e non esiste un vero sballo.
Qui il buio della notte ha un ritmo sconvolgente,
ti soffia nell'udito sai... penetrandoti la mente,
e con luci, ombre e muri, anche l'umore è altalenante,
e fra tecno, sogni e sbarre, l'acciaio in clima è prevalente.
La luna tiene il broncio sai... perché il vento non l'accarezza,
e lassù nel buio... anche le stelle fanno sciopero, perché il cielo sempre si incazza!
L'autunno è permaloso, noioso e prepotente ed è alquanto dispettoso, si diverte follemente.
Natura da paura sì! In questo spazio temporale, anche le nuvole son nere e può piovere per ore,
hanno un'anima ribelle sai... perché invidiano le stelle,
son odiose e vanitose, come un tatuaggio sulla pelle,
ma alla fine ciò che resta, e che te lo dico a fare...
È solo un cielo a pecorelle, in cerca d'amore, nel gelido inferno dell'inverno,
si sfogano in tempeste, o con pioggia a catinelle, ma sai...
La pura verità è che piangono le stelle,
e fra sogni e desideri, o pensieri virtuali,
in questi angoli di cielo, è chiaro! Sarà forever un domani.
Sorge e tramonta il sole, sai... e perplesso è titubante,
sembra che ha perso le parole, perché ha smarrito il suo splendore,
ma non può piovere per sempre, e di ciò lui ne è cosciente,
attende il cambio di stagione e con essa, l'opinione con la sua forma d'espressione,
sarà oasi e paradiso yesss e gli tornerà il sorriso,
per ora tenta la fortuna, è innamorato della luna,
insiste e la corteggia, la vorrebbe con sé, sì! In eclissi nella sua reggia,
comunque è panico in altura, e con un'eco da paura.
Ma torniamo sulla terra, ovviamente son in cella,
non c'è molto qui da fare, è cielo a scacchi e notte fonda sai...
Resto solo ad osservare, è un'amnesia che mi circonda,
e l'insonnia scorre come un'onda, nell'immensità del mare,
sicuro il sonno non affonda, e ad occhi aperti... non mi resta che sognare.
Fra valori da leoni, coglioni stolti e criminali, qui si tira la giornata, attendendo il domani,
perché a noi anime ribelli ed in fondo sempre quelli, non ne va mai bene una, e non gira la fortuna,
qui zero quadrifogli, amuleti, o sacrilegi, siamo soli con la luna,
con i suoi difetti e pregi, e tra sbadigli e notti insonni, insieme ricordiamo i migliori anni,
anche lei vive nel tempo, e ci somiglia pure tanto,
si alza e sorge con un sorriso, ma può calare con un pianto,
e prevede i nostri sogni sai... quasi come per incanto,
luna per te paradise city, è un'atmosfera in cui si spera
ed è sempre valso, in ogni era.
Parole e imposizioni, privazioni, incomprensioni, le solite menate, le solite canzoni,
portano ad accusare, le nostalgie del cuore, come segmenti di dolore,
arrivando a pensare che se li potessi trasformare, vorresti fossero in matita,
così riusciresti a cancellare e lo sai, ogni tua singola ferita,
finché si scioglierà anche il gelo, spesso e alto come un muro,
o come un velo sulle spalle, che scivolerà sulla tua pelle,
piano piano e goccia a goccia sai... come rugiada sulle foglie
cala fitta la mia insonnia, e con sé, pure la nebbia,
sorellina mia, qui lo scrivo e all'infinito, sei un arcobaleno
e solo tu riesci a farmi toccare questi angoli di cielo con un dito,
vorrei che questa mia poesia ti regali più armonia, ti regali più allegria,
sei il mio sangue nelle vene, sei come linfa per le mie rime
ti voglio tanto tanto bene, sei la mia vita, sei una favola infinita
e col cuore te lo dico, I love you forever e kiss fes! Tuo alias chico
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JAMES MARSHALL HENDRIX
James Marshall Hendrix è stato un chitarrista e cantautore statunitense.
Nato a Seattle il 27 novembre 1942 dall’unione tra Allen (Al) Hendrix e Lucille Jeter.
L’infanzia di Jimi non fu delle migliori: il padre assente perché in servizio militare nella Seconda
Guerra Mondiale e la madre che lo abbandonava spesso dai parenti per andare a divertirsi causa la
giovane età. Finché la nonna decide di affidarlo ad una famiglia meno povera.
Il padre dopo il congedo recuperò il figlio e tentò di salvare il matrimonio: per tre anni vissero un
illusorio periodo di serenità nel quale la famiglia si allargò con la nascita di altri due figli, Leon e
Joseph. I coniugi finirono comunque con il separarsi il 17 dicembre del 1951. Jimi, 9 anni, fu affidato
insieme a Leon al padre, mentre Joseph fu dato in adozione.
Fondamentale per la sua carriera musicale fu l’ascolto della collezione di dischi del padre e gli inni
sacri imparati durante la frequentazione della chiesa pentecostale. Il 2 febbraio 1958 la madre morì
dopo essere giunta allo stadio terminale della cirrosi epatica, effetto della sua condizione di alcolista.
Alcuni mesi dopo suo padre gli regalò il suo primo strumento musicale: un vecchio ukulele con una
sola corda superstite. Jimi cominciò subito a cercare di imparare i primi brani. Per cinque dollari il
padre gli comprò successivamente una vera chitarra che però era per destri. Jimi, mancino, imparò a
suonarla rovesciandola e questa abitudine caratterizzò l’intera sua carriera artistica. I suoi punti di
riferimento furono i chitarristi dello scenario blues di Chicago: Elmor James, Maddy Waters, Buddy
Gay, Albert King nonché leggende del delta blues come Robert Johnson e Lead Belly e del rock and
roll come Chuck Berry e Bo Diddley. Conservava però anche una passione per i classici: B.B. King,
John Lee Hooker, Jimmy Reed oltre che per Elvis Presley.
Nella seconda metà del 1959 suo padre gli regalò una chitarra elettrica di colore bianco. Nel 1961
conobbe il bassista Billy Cok con il quale fondò i ―King Kasuale‖ nella quale suonarono Gary Fergu-
son (percussioni) e Charles Washington (Sax). Fino al 1963 Hendrix fece vita errabonda girando tutti
gli Stati Uniti inserendosi nel giro del cosidetto ―Chitlin Circuit‖ facendo una interminabile serie di
esibizioni in gruppi di supporto per musicisti blues. L’anno successivo Jimi si trasferì ad Harlem
(New York) dove conobbe i gemelli Arthur e Albert Allen e con i quali strinse una amicizia destinata
a durare nel tempo. Altrettanto fondamentale fu il rapporto con quella destinata a diventare la sua
ragazza: Lithofayne ―Fayne‖ Pridgeon. Fayne si premurò di fornire a Jimi ogni tipo di supporto uma-
no e logistico e si rivelò essenziale per il suo inserimento nella vita musicale di Harlem.
Sempre nel 1964 venne reclutato nel gruppo Isley Brothers Band come chitarista. Poco dopo conobbe
il celebre Steve Cropper, arrangiatore e compositore. Questi lo introdusse negli studi della casa di-
scografica Stax dove ebbe modo di incontrare due suoi miti: Albert King e B.B. King.
Ma Jimi era un anticonformista nato e quindi diventava sempre più forte in lui l’idea di puntare ad
una carriera da solista. Dunque nel 1965 si separò da Fayne e seguì colui che da quel momento di-
venne uno dei suoi fari artistici ed esistenziali: Bob Dylan.
Nel 1966 l’allora fidanzata di Jimi (Karol ―Kim‖ Shiroki) gli donò il denaro grazie al quale poté ac-
quistare la prima delle sue chitarre preferite, la ―Fender Stratocaster‖. Sempre quell’anno fondò il suo
primo gruppo, The Rainflowers. In quel periodo conobbe anche Frank Zappa che lo istruì su un nuo-
vo effetto per chitarra destinato a diventare famoso: il ―Wah Wah‖.
Il 1966 fu l’anno decisivo per Hendrix. Durante una serata al Cheatah Club (sulla West 21° street di
New York) fece la conoscenza di Linda Keith, a quel tempo fidanzata con Keith Richards (Rolling
Stones). Linda lo presentò a Chas Chandler (bassista degli Animals) che assistette poi ad un concerto
di Jimi al Cafè Wah durante il quale si convinse di aver trovato un grande musicista da lanciare.
Chas divenne presto produttore e manager di Jimi. Il singolo di lancio fu ―Hey Joe‖, un blues di Billy
Roberts rivisto e rielaborato da Hendrix. Il risultato entusiasmò Chandler, il quale trascinò Jimi a
Londra per metterlo sotto contratto con Michael Jeffery, manager degli Animals. Hendrix accettò di
buon grado, non tanto per le prospettive di successo quanto
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Il fatto che avrebbe potuto fare la conoscenza del maggiore dei suoi idoli: Eric Clapton.
Venerdì 23 Settembre 1966 Hendrix si imbarcò all aeroporto J.F.K. con un volo Pan-Am di prima
classe per Londra. Il passo successivo fu quello di affiancare a Jimi dei musicisti per formare un trio.
Furono scelti Noel Redding(basso) e Mitch Mitchell (batteria): ―era nata la Jimi Hendrix experien-
ce‖. La pasta sonora del trio si rivelò una novità assoluta e diede vita ad un passa parola senza prece-
denti tra gli artisti e i gruppi che animavano la scena musicale di quel periodo. La selvaggia attitudine
―live‖ di Hendrix lasciò allibiti strumentisti affermati come Eric Clapton e Jeff Beek e addirittura gli
Who si adoperarono affinchè Hendrix accettasse una proposta della loro casa discografica : la Truck
Records. Il primo brano fu inciso su un 45 giri nel Dicembre 1966. Sul lato a ―hey joe‖ e sul sul lato
b ―stone free‖. La vendita fu notevole e venne confermata dai due singoli che seguirono: purple hare‖
e ― the wind cris mary‖, in seguito il brano ―are you experienced?‖ ottenne il secondo posto nella
classifica britannica . L'occasione di sfondare negli states arrivò nel giugno del 1967 quando fu invi-
tato a partecipare al monterey international pop festival dietro intercessione di Paul Mc Cartney. Nei
40 minuti dell'esibizione Hendrix sollecitò la sua stratocaster in un modo, fino allora, inaudito arri-
vando a mimare rapporti sessuali,suonandola con i denti,dietro la schiena, contro l'asta del microfono
e contro l'amplificatore. Al termine dell'esibizione diede fuoco
alla chitarra e la distrusse contro palco e amplificatori. I resti
della chitarra sono attualmente esposti all'experience music pro-
ject di Seattle. La selvaggia performance ebbe grandissimo eco
in tutti gli Stati Uniti e questo preparò il terreno al successo del-
le future esibizioni del chitarrista. Nello stesso anno gli
―esperience‖ incisero l' lp ―bold as love‖ e nel 1968 ―electric
ladyland ma Chas Chandler (produttore della band)li abbandonò
perchè letteralmente esasperato dai numerosi contrasti sorti con
Hendrix sul modo di concepire i brani. A provocare il logora-
mento degli equilibri fu anche il perfezionismo di Hendrix che,
oltre a esigere quantitativi enormi di sovra incisioni nei bra-
ni,sollecitava i musicisti e i tecnici a registrare un numero im-
precisato di volte in attesa di trovare l'alchimia che riteneva ade-
guata: il brano ―gipsy yes‖ fu registrato in 43 versioni differenti prima che Jimi ne trovasse una di
suo gradimento. L'ultima esibizione del gruppo, in Inghilterra, ebbe luogo il 24 Febbraio 1969 alla
Royal Albert Hall di Londra, mentre l'ultima loro esibizione in assoluto fu il 29 Giugno del 1969 al
Bob Fey's Denver pop festival. La rottura con Redding venne ufficializzata il giorno dopo ed il grup-
po si sciolse. Nel 1969 ebbe luogo il festival di Woodstock,l'esempio più rappresentativo per l'intero
collettivo della musica anni 60. In tale contesto la performance di Jimi Hendrix divenne un vero e
proprio simbolo del festival stesso, oltre che del pensiero pacifista di quegli anni. Si esibì di fronte a
200.000 spettatori circa a fronte dei 500.000 paganti più che dimezzati a causa di un violento tempo-
rale. Hendrx si accanì sul tema dell'inno nazionale degli Stati Uniti d'America in maniera selvaggia,
intervallando con feroci simulazioni sonore dei bombardamenti e dei mitragliamenti sui villaggi del
Vietnam, sirene di contraerea ed altri rumori di battaglia, il tutto avvalendosi solo della sua chitarra.
In un intervista post festival rispose candidamente:‖penso che sia meraviglioso suonare così‖. Alla
fine del 1969 nacque il gruppo: ―band of gypsys‖ comprendente oltre a Jimi il bassista Billy Coc e il
batterista Buddy Miles. La testimonianza del brevissimo corso della band è l'omonimo lp prodotto
nel 1970, anno nel quale era il 28 Gennaio, il gruppo si sciolse. Il 30 Agosto del 1970 Jimi si esibì
allo storico festival dell'isola di Wight. Il 6 Settembre 1970 Jimi si esibì per l'ultima volta in Germa-
nia, dal vivo dove venne contestato duramente. Si ritirò a Londra e la mattina del 18 Settembre 1970
venne ritrovato morto in un appartamento del Samarkanda Hotel. Tuttora non vi è una versione chia-
ra riguardo le cause della sua morte, le sue spoglie vennero riportate negli Stati Uniti e fu sepolto nel
Memorial Park di Renton, a sud di Seattle. Jimi Hendrix è ritenuto il più grande chitarrista di tutti i
tempi, dotato delle maggiori competenze nel campo della musica leggera.
Carlo
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Brescia, 23 maggio, 2014
“Il gabbio”
Gli ospedali sono bianchi, le scuole sono colorate, le case han forme variegate; indefinito il colore
delle carceri diroccate.
Un colore spento, senza sentimento, misto all'odore acre del piscio e alla puzza della casanza: broda-
glia e qualche pezzo di carne malcotta.
Tu cerchi di non vedere, di non sentire, ma il tanfo ti entra dentro.
Da subito tutto è uno schifo, poi l’abitudine incombe: non ti meravigli di nulla, perché tu stesso senti
di esser una nullità.
L’ozio fa da padrone, e tu come un cane rabbioso, rinchiuso, provi a gridare, a urlare il tuo malessere
e nessuno ti ascolta.
C’è tanta sordità, tanta arroganza e molta ignoranza da parte dei nostri politici, che sono incapaci di
governare questo paese, mentre noi qui, a soffrire, etichettati come mostri, malati, drogati, poveri
cristi ed emarginati, quasi estinti.
Celle sovraffollate da tredici persone, in coda sempre, per una padella, per andare in bagno e ogni
volta è rissa al momento della doccia!
Rimanere soli con se stessi, sperare in un po’ di intimità è praticamente impossibile.
Eppure, paradossalmente soli lo siamo: soli senza speranza, soli senza coscienza.
Per noi ―cattivi‖, senza cuore, non ci sono cure, parole di sostegno, ma solo illusioni, che fan più ma-
le del resto.
Spesso ci torturano, ci trasformano in cavie umane, ci imbottiscono di farmaci, tranquillanti, bombe
in testa che stordiscono e ti fan dormire, impedendoti di reagire; si mangia e si dorme, come fossimo
delle bestie; e se qualcuno per sbaglio prova a ribellarsi, ecco che ―alzan la dose‖ e il poveretto fini-
sce in branda come un vegetale, senza più pensare, aspettando solo di morire.
La realtà non è la verità, son due cose distinte.
La realtà è effimera, contingente, mutevole, mentre la verità è assoluta, immutabile e compiuta.
Non chiediamo pietà, ma un briciolo di dignità personale; in fondo siamo esseri umani, con una testa
e un cuore da cui sgorga sangue rosso e vivo, proprio come voi, persone perbene.
Marco
IL SILENZIO E L’ATTESA
Silenzio è zitto
Intorno non si muove una foglia
Sono solo nella stanza
Si vede solamente la luce che chiude la porta del bagno…
È tutto scuro intorno a me
Nella mente scorrono idee, pensieri, sensazioni
Mi rintano ancora di più nel calduccio della coperta e penso a te, che sei lontana.
Quando ritorni amore mio?
Vieni presto a placare le mie angosce
È tutto buio intorno a me
Tu scandisci il mio amore
Non sei ancora arrivata ed il tempo passa lento
Dovrò solamente aspettare che torni quella luce che riscalda di nuovo la mia vita
Amore unico.
Per la mia Ingrid, la donna che oggi dà un vero senso alla mia esistenza
Giuseppe
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Brioches di prugne
INGREDIENTI:
100 g. di burro
150 g. di zucchero,
3 uova,
225 g. di farina,
3 cucchiaini di lievito dolce,
1 cucchiaio di scorza d'arancia tritata e succo d'arancia,
24 prugne
PREPARAZIONE: si mischia il burro con lo zucchero. Si amalgamano le uova con un cucchiaio di farina.
Si aggiunge farina, lievito, scorza e succo d'arancia. Con mezza pasta si preparano 12 forme di brioches e si ungono con
l'olio. Nell'altra metà di pasta si mettono i pezzi di prugna e si chiude tutto. Si Mettono le brioches nel forno a 170° per 15
minuti. Prima di servire si sparge sulle brioches un cucchiaio di zucchero.
Crostata di mirtilli
INGREDIENTI:
180 g. di confettura di mirtilli,
150 g. di farina,
70 g. di zucchero,
80 g. di burro freddo a pezzettini,
uovo,
tuorlo,
sale.
PREPARAZIONE: setacciate la farina in una ciotola, unite il sale, lo zucchero e il burro.
Incorporate burro e farina fino ad ottenere un composto di briciole.
Formate al centro la fontana, unite l'uovo e due cucchiai di acqua fredda.
Con l'impasto omogeneo formate una sfera, avvolgetela nella pellicola e mettetela in frigo per 20 minuti.
Stendete la pasta di tre mm di spessore e foderate uno stampo di 22-24 cm.
Stendete la pasta in eccesso e ritagliatela in 8 larghe strisce.
Distribuite la confettura di mirtilli e disponete sopra le strisce di pasta a gabbia.
Pennellate la pasta con il tuorlo sbattuto.
Fate cuocere la crostata in forno a 180° per 45 minuti.
Sfornate, lasciate raffreddare e servite.
Paloschi e Catalin
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VORREI DIFENDERE IL MONDO
Vorrei fare il volontario. Dopo anni di carcere mi sento come se dovessi restituire qualcosa al mondo,
prima di oggi non l’avrei mai pensato, forse sarà l’età che ti porta a pensare le cose giuste della vita.
Il mio parere, realizzando un pensiero simile, è che in tutto questo devi ritrovare in fondo a te stesso
nostalgie, ricordi, speranze e rivelare confessioni appena delineate.
Solo il pensiero mi avvolge, lampi d’allegria e momenti di grande tenerezza.
Sto creando un diario personale che faccia breccia nell’immaginario e, nello stesso tesso tempo, che
crei dentro di me una grande e profonda sensibilità.
Il carcere ti fa disamorare del mondo. Mi sembra che le cose che scrivo non interessino a nessuno,
ma l’importante è l’immaginario del mio pensare.
A volte non vorrei nemmeno dare le cose scritte al giornalino, ma è giusto così.
In tutto questo io vivo ancora e vado avanti; certe volte mi è subentrato un blocco, che può capitare a
tutti, e non riesco più a fare qualcosa che mi renda soddisfatto: come sentirsi ammalato senza che tu
lo sia.
La dimensione del pensiero dei miei figli è come un pezzo di cielo che illumina il mio mondo; questo
forte amore che divide in me, ma per stare bene è l’unico pensiero che entra nella mia anima e mi
trasmette una grande gioia.
Gratifica la mia vita e non potrei mai smettere di pensare a loro; è come respirare e confesso che non
mi sento affatto cambiato; certe volte vorrei essere diverso: vivere senza farmi coinvolgere da quello
che succede agli altri, vicini o lontano, ma poi non riesco.
È come guardi a ciò che accade intorno a te che rende diversi gli uni dagli altri.
Oggi è come se iniziasse una fase di ricerca per capire a cosa dedicarmi, ma presto dovrò restituire,
fare qualcosa per gli altri. La nostra Italia è guardata come una catastrofe, è sotto gli occhi di tutti, ma
a volte sembra che non ce ne accorgiamo.
Mi sembra di vivere in un mondo dove facciamo finta di essere sani, ma credo che si debbano libera-
re le cose più dure e profonde ed andare fino in fondo a quello che sta nel cuore.
Ma ci sono da mettere da parte le situazioni pesanti della vita e cercare un po’ di leggerezza, pensieri
positivi. In fondo tutto questo si chiama speranza di cancellare tutto!
Giuseppe
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Sport, salute, libertà
Partecipare ad una maratona.
Questo l'invito fattoci dalla nostra Direttrice nel mese di Luglio.
Molti di noi sono rimasti meravigliati per questo ammazza estate. Luglio e Agosto in carcere
sono i mesi più difficili:scuole chiuse, si va in ferie, si rimane più soli.
Una parte di noi, uomini e donne, hanno accettato di buon grado una tale sfida.
Qui si fanno sport quali il calcio, la pallavolo femminile a livello agonistico per categorie
inferiori.
C'è una palestra ben attrezzata. Fare ginnastica finalizzata ad una maratona fuori dal carcere
mancava. In questi posti (le carceri) si ha bisogno anche di questo.
Il lavoro è fondamentale così come la famiglia, ma sentirsi liberi e uguali al resto del mondo
ti permette di recuperare l'ottimismo e la sfida verso la società.
In questi tre mesi di formazione abbiamo assaporato l'uscita nella prima mattinata.
Per noi, oltre ad essere stato utilieper la salute, l'addestramento è stato anche un ritrovarsi
fuori dalla routine carceraria.
Fermarsi un'ora nel campo di calcio con compagni e compagne rende più facile la giornata in
questi luoghi, per quanto codesta casa di reclusione sia molto attenuata come vivibilità.
Per una giusta preparazione siamo stati seguiti da due personal trainer due volte alla settima-
na.
Partecipare a delle competizioni può essere insegnamento per il proprio bagaglio di vita da
usare nella propria quotidianità.
Antonio
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Capricorno (Giuseppe)
Imparate a fidarvi di chi vi dice di amarvi, siate positivi e sicuri di voi stessi: stavolta la felicità arriva
Acquario
Ultimamente siete un po' pensierosi, alcuni problemi di salute vi preoccupano: siate fiduciosi e porta-
te pazienza. Tutto si risolverà entro breve.
Pesci
State passando un brutto periodo a causa del vostro carattere nervoso, prepotente ed arrogante, volete
sempre la ragione anche quando non l'avete. Cercate di tranquillizzarvi.
Ariete (Loredana)
In questo momento vi stanno succedendo cose che mai al mondo vi sareste aspettati. Avete fatto tan-
to male e non avete seminato bene e perciò raccoglierete poco.
Toro (Andrea)
Bene, procedete come sempre ma allungate un po’ il passo. La celerità è spesso una virtù.
Gemelli (Max)
Non siete supereroi e quindi state attenti a quel che mangiate: siete delicati di intestino come lo siete
di cuore.
Cancro (Emilio)
Obiettivi vicini, siamo prossimi al TRAGUARDO. Aspettative positive. Il morale, naturalmente, sarà
altissimo.
Leone (Giuseppe)
E’ un momento di grande ruggito. La vita è tutta in salita. Attenti alla salute ed allenatevi.
Leone (se non vi è piaciuto quello sopra, leggete questo di Loredana):
Piano piano raggiungerete l’obiettivo prefissato. Non scoraggiatevi e siate sempre sinceri con voi e
con gli altri. In amore molta fortuna
Vergine (Vincenzo)
La vostra attesa sarà soddisfatta, siate energici. Dedicate attenzione al vostro partner.
Bilancia (rRndom)
Siate equi nel vostro dispensare ed egual trattamento riceverete. Ricordatevi di bere molta acqua.
Scorpione (Mamma di Max)
Il portafogli continua a restar vuoto Le soddisfazioni emotive sono molteplici. Le donne si ricordino
di depilarsi.
Sagittario (Violetta)
Finalmente avete imparato ad aprire gli occhi ed a capire molte cose che prima vi sfuggivano. Gior-
nate molto positive in assoluta tranquillità ed amicizia.
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Se vuoi contattare la redazione invia una mail a:
[email protected] ; ti risponderanno le redazioni di Zona508.
“Caro
amico ti scri-
vo…”
“ Caro amico
ti scrivo…”
SI RINGRAZIANO: Per la collaborazione
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l’amministrazione penitenziaria, la magistra-
tura, le amministrazioni, le forze politiche, le
organizzazioni del privato sociale e del vo-
lontariato.
Promuove e realizza le iniziative che favori-
scono, all’interno del carcere: l’assistenza
socio-sanitaria, l’organizzazione di attività
sportive, ricreative, formative, scolastiche,
culturali e lavorative, l’organizzazione di
percorsi di formazione professionale e di
progetti sperimentali per l’inserimento lavo-
rativo dei detenuti, il reinserimento sociale
del detenuto al termine della pena.
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