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I NOTIZIE DALLA MARIAPOLI PERMANENTE REDAZIONE: LOPPIANO - 50064 INCISA VALDARNO (FI) - ANNO VIII N. 2 - MARZO-APRILE 1985 SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE GRUPPO IV (70%) Vive la vita C risto è amore ed il cristiano non può non esserlo. E l'amore genera la co- munione: la comunione come base della vita cri- stiana e come vertice. In questa comunione l'uomo non va più solo a Dio, ma vi cammina in compagnia. E questo è un fatto d'una bellezza in- comparabile, che fa ripe- tere alla nostra anima il verso della Scrittura: "Ec- co quanto è buono e quan- to è soave che i fratelli vi- vano insieme!" La comunione fraterna però non è stasi beatifica: è una perenne conquista, col risultato continuo non solo del mantenimento della comunione, ma del dila- gare di essa fra tanti, perché la comunione di cui qui si parla é amore, è carità, e la carità é diffusiva di sua na- tura. Quante volte, tra fratelli che hanno deciso di andar uniti a Dio, l'unità illanguidisce, della polvere si fram- mette fra anima e anima e cade l'incanto, perchè la lu- ce, che era sorta fra tutti, lentamente si spegne! È questa polvere un pensiero o un attaccamento del cuore a sè stessi o agli altri: un amar sé per sé e non per Dio, o il fratello o i fratelli per sé e non per Dio; è altre volte un ritirare l'anima che si era posta per gli altri; un concentrarsi sul proprio io, sulla propria volon- tà, e non su Dio, sul fratello per Dio, sulla volontà di Dio. È molto spesso un giudizio inesatto su chi vive con noi. Avevamo detto di voler vedere solo Gesù nel fratel- lo, di trattare con Gesù nel fratello, di amare Gesù nel fratello, ma ora s'affaccia il ricordo che quel fratello ha questo o quel difetto, ha questa o quella imperfezione. Il nostro occhio si complica e il nostro essere non è più illuminato. Di conseguenza si rompe l'unità, errando. Forse quel fratello, come tutti noi, ha commesso degli errori, ma Dio come lo vede? Ma qual è in realtà la sua condizione, la verità del suo stato? Se é a posto davanti a Dio, Dio non ricorda più nulla, ha tutto can- cellato col suo sangue. E noi perché ricordare? Chi è nell'errore in quel momento? lo che giudico, o il fratello? lo. E allora devo mettermi a veder le cose dall'occhio di Dio, nella verità, e trattare in modo conforme col fra- tello. La carità si mantiene con la verità e la verità è mise- ricordia pura, della quale dobbiamo essere rivestiti da capo a fondo per poterei dire cristiani. Il mio fratello torna? lo debbo vederlo nuovo come nulla fosse stato e ri- cominciare la vita insieme, nell'unità di Cristo, come la prima volta, perchè nulla più è. Questa fiducia lo sal- vaguarderà da altre cadute ed anch'io, se così avrò misurato con lui, potrò aver speranza d'esser da Dio un giorno così giudicato. Chiara Lubich

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I

NOTIZIE DALLA MARIAPOLI PERMANENTE

REDAZIONE: LOPPIANO - 50064 INCISA VALDARNO (FI) - ANNO VIII N. 2 - MARZO-APRILE 1985

SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE GRUPPO IV (70%)

Vivere la vita

Cristo è amore ed il cristiano non può non esserlo.

E l'amore genera la co­munione: la comunione come base della vita cri­stiana e come vertice.

In questa comunione l'uomo non va più solo a Dio, ma vi cammina in compagnia. E questo è un fatto d'una bellezza in­comparabile, che fa ripe­tere alla nostra anima il verso della Scrittura: "Ec­co quanto è buono e quan­to è soave che i fratelli vi­vano insieme!"

La comunione fraterna però non è stasi beatifica: è una perenne conquista, col risultato continuo non solo del mantenimento della comunione, ma del dila­gare di essa fra tanti, perché la comunione di cui qui si parla é amore, è carità, e la carità é diffusiva di sua na­tura.

Quante volte, tra fratelli che hanno deciso di andar uniti a Dio, l'unità illanguidisce, della polvere si fram­mette fra anima e anima e cade l'incanto, perchè la lu­ce, che era sorta fra tutti, lentamente si spegne!

È questa polvere un pensiero o un attaccamento del cuore a sè stessi o agli altri: un amar sé per sé e non per Dio, o il fratello o i fratelli per sé e non per Dio; è altre volte un ritirare l'anima che si era posta per gli altri; un concentrarsi sul proprio io, sulla propria volon­tà, e non su Dio, sul fratello per Dio, sulla volontà di Dio.

È molto spesso un giudizio inesatto su chi vive con noi.

Avevamo detto di voler vedere solo Gesù nel fratel­lo, di trattare con Gesù nel fratello, di amare Gesù nel fratello, ma ora s'affaccia il ricordo che quel fratello ha questo o quel difetto, ha questa o quella imperfezione.

Il nostro occhio si complica e il nostro essere non è più illuminato. Di conseguenza si rompe l'unità, errando.

Forse quel fratello, come tutti noi, ha commesso degli errori, ma Dio come lo vede? Ma qual è in realtà la sua condizione, la verità del suo stato? Se é a posto davanti a Dio, Dio non ricorda più nulla, ha tutto can­cellato col suo sangue. E noi perché ricordare?

Chi è nell'errore in quel momento? lo che giudico, o il fratello? lo. E allora devo mettermi a veder le cose dall'occhio

di Dio, nella verità, e trattare in modo conforme col fra­tello.

La carità si mantiene con la verità e la verità è mise­ricordia pura, della quale dobbiamo essere rivestiti da capo a fondo per poterei dire cristiani.

Il mio fratello torna? lo debbo vederlo nuovo come nulla fosse stato e ri­

cominciare la vita insieme, nell'unità di Cristo, come la prima volta, perchè nulla più è. Questa fiducia lo sal­vaguarderà da altre cadute ed anch'io, se così avrò misurato con lui, potrò aver speranza d'esser da Dio un giorno così giudicato.

Chiara Lubich

Un aspetto della Mariapoli

Quelle domeniche piene di gente Loppiano, meta di migliaia di visitatori,

in tutto l'arco dell'anno.

Una qualsiasi domenica a Loppia­no, Sala San Benedetto, sera. Gli ospiti della giornata festiva

sono ormai partiti sui loro pullmann o in automobile, ed ora sfrecceranno già sull'autostrada verso casa. Dopo il vo­ciare allegro, la musica, gli altoparlanti, torna il silenzio. S'ode solo il frusciare della scopa e degli stracci che pulisco­no i pavimenti; qualcuno fischietta l'aria di una canzone udita nel pro­gramma. Si sistemano sala e ingressi, per essere pronti ad accogliere altri vi­sitatori.

In un angolo della hall, si raccolgono i piccoli, preziosi fogli giallo paglierino, il ricordo lasciato dagli ospiti, una nota, una riflessione, un indirizzo.

Leggo a caso: "Sono la mamma di Daniela, che qualche giorno addietro ha cercato di togliersi la vita. Sono ve­nuta con lei per farmi perdonare. Qui ho trovato la vera pace, ho scoperto una nuova forza per ricomporre i rap­porti disgregati nella mia famiglia". Fa­brizio, autista di un pullmann, dichiara­tamente ateo, divorziato, che si potreb­be definire un "duro": «Sono entrato nel salone per cercare un caffè; non ne sono più uscito, mi son sentito in un al­tro mondo».

Vita della Mariapoli

Come inizio non c'è male, un cam­pionario di varia umanità. Paola, ope­raia tessile: «Ho capito che il mio lavoro insulso non dev'essere altro che un dono al prossimo». Dalla marca trevi­giana una mamma commossa: "Sareb­be troppo facile dire che qui tutto è bel­lo. Sono troppo egoista per capire la vi­ta che fate, certamente avete molta più fede di me. Però anch'io la cerco. Gra­zie». Ilario, diciottenne, non nasconde il suo stupore: "M'aspettavo uno dei tan­ti collegi; invece ... qui vorrei viverci

Carissima Loppiano� .. Lettere scritte

da famiglie passate per Loppiano.

La testimonianza di famiglie unite nello sforzo di applicare il Vange­lo nelle situazioni della vita quoti-

diana è segno di speranza e di unità per le famiglie che passano dalla Ma­riapoli, e che a loro volta, ritornate nei loro ambienti, ne trascinano altre in questo modo di vivere. E più intensa è la vita all'interno della famiglia, più la sua luce si diffonde d'intorno.

Abbiamo stralciato alcuni brani dal­Ia fitta corrispondenza giunta in questi ultimi mesi "alle famiglie di Loppiano"; proprio così, con questa semplice inte­stazione, che mostra la compattezza della realtà delle famiglie che risiedono

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Judalito

nella Mariapoli. È vero, ogni famiglia mantiene la sua necessaria intimità, ma nel contempo l'attenzione alle gioie e ai problemi altrui fa da cemento tra i diversi microcosmi d'ogni nucleo fami­liare.

anch'io». E Silvia, racconta la sua sor­presa di sedicenne: "Sono stata accol­ta come una cara amica di vecchia da­ta; mi sono sentita cittadina di questa fantastica città». Lui e lei, veneti, vicini alle nozze: "Cercavamo Dio e abbiamo toccato l'Amore». Manolo, sette anni: "Mi sono sentito a casa». Alberto, set­tantasette anni: «Grazie».

Qualche foglietto giallo paglierino racconta di storie dure, senza appa­renti vie d'uscita. Francesco, ex-tossi­codipendente: «Tornerò a Loppiano

Il postino ci recapita una lettera del­la Nuova Zelanda, a firma Anna e Bill. Si erano fermati a Loppiano oltre un me­se, più per necessità che per program­ma: Bill era costretto a letto da una brutta polmonite. Nella Mariapoli, allo-

ra, ci si era prodigati in mille modi per­chè la terapia fosse il più efficace pos­sibile e perchè i coniugi neozelandesi si sentissero a casa loro.

«Pur credendo nell'unità - ci scrivo­no - non pensavamo che fosse possi­bile viverla e sperimentarla alla nostra età. Invece la vita nuova che tra voi ab­biamo colto continua tuttora e si comu­nica ad altri. È proprio lì tra voi che ab­biamo cominciato ad aprire il nostro cuore l'uno all'altro, donandoci le cose più intime, la voce di Dio che abbiamo imparato ad ascoltare in ogni momento della vita in noi e tra noi. Ora facciamo una gran quantità di incontri, ed abbia-

per stare qualche giorno. Ho il sentore d'aver trovato qu�J che cercavo iniet­tandomi porcherie nelle vene». Maria, 58 anni sulle spalle stanche: «Sarebbe troppo lungo raccontarvi la mia storia di disperazioni; ma oggi ho capito che Dio non mi ha mai abbandonata».

C'è chi manifesta la volontà, il desi­derio di «riprendere a vivere bene», se non addirittura di «cominciare una nuova vita». Anna, in rotta col marito: «Sono pronta a ricominciare con Fran­co, senza aspettarmi niente in cam­bio». Alessandro, otto anni: <Noi siete giovani che vivono insieme per amare: voglio anch'io essere uno di voi». Anto­nella, ventitre anni: «Per sentirmi viva non devo aspettare che siano gli altri a rivolgersi a me, ma devo io amare». E poi altre: «Ho gustato la gioia d'amare Gesù nei fratelli»; <Noglio portare l'amore tra i miei colleghi»; <Nivere quest'esperienza fa vedere il volto dell'Amore».

Ogni foglietto, una vita. Ora ci sta proprio bene qualche do­

manda a questi ragazzi e ragazze che stanno risistemando il salone, ne scor­go un gruppetto: «Francesco -faccio

mo cominciato con altre famiglie a visi­tare ammalati e carcerati. .. ».

Dal Messico Esperanza e Juda, ad un anno dalla loro partenza da Loppia­no, così scrivono: «II dono più bello che (fossiamo fare alla Mariapoli è farvi sa­pere che ora a Puebla ci sono sessanta famiglie che vivono l'ideale dell'unità». E non possiamo fare a meno di riporta­re un piccolo episodio con protagoni­sta Judalito, un loro figlio, così come viene raccontato dalla mamma: «Dopo la nostra partenza da Loppiano, il volto di Judalito era talvolta serio e pensie­roso. "Cosa succede Judalito?", gli ab­biamo chiesto un giorno di ritorno dal

ad un biondino che so essere di Torino -ho letto su questi foglietti frasi come "ho capito", "ho scoperto", "ho trova­to", che lasciano intuire d'essere state scritte da uomini e donne che qui han­no avuto un contatto con la gioia, con l'amore. Come te lo spieghi?»

«Guarda -mi risponde deciso -si­curamente il merito non è nostro, an­che perchè non abbiamo nessuna tec­nica di convincimento; e col fatto che molti di noi sono stranieri, nemmeno il parlare convincente è il nostro forte. E

poi, in sala, chi parla sul palco non ha certo frequentato una qualche scuola di retorica o di dizione. Siamo gente del tutto simile ai nostri ospiti. Quel che offriamo è un po' d'amore, questo sì. Che vuoi dire tante cose, atteggiamen­ti, pensieri. .. Amare vuoi dire ascoltare, cercare d'entrare nel cuore della gente e tirarne fuori gioie e dolori; soprattutto i più riposti e angoscianti, per condivi­derli e renderli perciò meno pesanti. Amare vuoi dire anche non pretendere nulla da nessuno, non pretendere che cambi la sua idea, nemmeno che si converta.»

«Francesco -continuo -chi t'ha in­segnato ad amare in questo modo?»

«È semplice - mi risponde - sono stato prima amato io in questo modo, e a lungo, con grande pazienza, con tut­te le attenzioni possibili ed immagina­bili. .. »

Bruna è di Roma. «Ma questo non basta -le faccio -, a qualcuno potreb­be apparire filantropia ... »

«Non è solo filantropia, assoluta­mente -mi fa decisa -perchè è l'amo­re per Gesù che sta alla base di tutto. Quest'amore nasce e si alimenta pro-

supermarket. E lui: "Perchè le persone non si amano come a Loppiano? Per­chè non sono felici come noi? Mi viene la voglia di chiedere a Dio di rifare il mondo!"

«Noi abbiamo cercato di spiegargli che questo non è possibile, ma lui ha ribattuto: "A Dio è possibile, Lui ha fat­to così nel diluvio, lasciando soltanto Noè e quelli che amano Dio ... " Gli ab­biamo ricordato come Gesù desidera che ci amiamo e che amiamo. Alla fine Judalito ci ha detto: "Voglio amare Ge­sù sempre, perchè tutti si amino"".

La vita che si diffonde non è solo prerogativa dei grandi. È di pochi giorni fa la lettera di una giovane signora francese: «Ho conosciuto -ci scrive­molti bambini di tutti gli ambienti, an­che ben educati; ma prima della visita a Loppiano, non mi era mai capitato che una piccola di tre anni mi venisse incontro domandandomi come mi chiamassi, da dove venissi e ... se desi­derassi restare a cena a casa sua!»

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Quelle domeniche piene di gente

prio dal vivere per Dio, è fiamma che nasce dal fuoco del suo amore, e che perciò può far sentire il suo calore nel freddo, nel gelo di tanti cuori. Se io con quest'amore cerco di vivere l'altro, se amo il prossimo uno alla volta, in modo esclusivo, talvolta succede che qual­cuno ... rimane scottato».

«E poi -prosegue Daniel, argentino -c'è un altro fattore, importantissimo. C'è scritto nel Vangelo: "Da questo ri­conosceranno che siete miei discepo­li, se vi amerete gli uni gli altri". È so­prattutto l'amore scambievole, che cerchiamo d'avere tra di noi, a impres­sionare tante persone e a spingerle a fare altrettanto una volta tornate a ca­sa. Quei foglietti che hai letto lo dimo­strano: più che l'amore d'uno è l'amore tra due o più a conquistare all'amore, all'Amore di Dio».

Leggo ancora un foglietto, di una di­ciassettenne bergamasca: «Pensavo che fosse la classica riunione di Chie-

Carissima Loppiano ...

Lut ed Eric, coniugi belgi, tempo fa avevano trascorso un periodo di tem­po a Loppiano coi loro due bambini. Dopo un pomeriggio trascorso in casa di una famiglia con nove figli, ci diceva­no: «Pensavamo che la nostra casa in Belgio fosse piccola, e ne desiderava­mo una più grande; ora la vediamo più che sufficiente per le esigenze di una famigliola come la nostra. E forse è 6

sa, ma ho trovato una Chiesa diversa dalla solita: persone che si amano, amici che hanno assorbito il Vangelo e lo trasmettono agli altri». E Paolo, di­ciottenne: «L'amore che ho visto tra di voi m'ha mostrato quel che anch'io de­vo fare».

Da questa, come dalle poche altre frasi che ho letto, vie n proprio da cre­dere che la strada sia quella giusta. È vero, quei ragazzi m'hanno parlato di diversi movimenti sorti nell'ambito dei Focolari e dediti a questo o a quel set­tore della vita umana -famiglia, lavoro, giovani, giovanissimi, parrocchie, ecc. - e che pur hanno un notevole peso, ma a sentirli ci si convince proprio che senza quell'amore gratuito, amore che viene dall'alto, nulla sarebbe venuto fuori, nulla avrebbe senso.

A cura della redazione

Le innumerevoli occasioni d'attenzione alle gioie e ai problemi altrui -

fanno da cemento tra i diversi nuclei familiari

giunto il tempo di aprire la porta ad un altro figlio».

In questi giorni ci hanno fatto reca­pitare un biglietto che annuncia la na­scita della loro terzogenita.

Tre lettere tra le tante, piastrelle d'un mosaico d'amore.

A cura della redazione

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ANCONA Via V. Veneto 5, tf. (071) 201401 - F.F. Via Tagliamento 19. tf (071) 32285 - F.M.

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BOLOGNA Via Baracca 2, tf. (051) 388551 - F.F. Via San Donato 156, ti. (051) 503493 - F.M.

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FIRENZE Via di Barbano 14, tf. (055) 499684 - F.F. Via Cino da Pistoia 13, tI. (055) 588560 - F.M. Centro I nternazionale Studenti "G. La Pira" Via de' Pescioni 3, tI. (055) 219749 - F.M.

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I

ar a I marzo 1985

"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?" (Rm 8,31).

"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?"

Così Paolo conclude i capitoli precedenti, nei

quali ci ha mostrato il piano di Dio per salvare gli uo­

mini e la sua attuazione in Gesù che muore e risorge

per noi.

Dio ha impegnato tutto se stesso per noi e la sua

iniziativa ed il suo amore per l'umanità sono apparsi a

Paolo talmente evidenti, talmente stupendi da farlo

prorompere in questa esplosione di ammirazione e di

gratitudine.

L'Apostolo immagina una seduta di tribunale,

nella quale noi dovremmo essere giudicati. Senon­

ché il giudice di questo tribunale - nientemeno che

Dio stesso - si è fatto nostro avvocato e difensore.

Ora, si chiede l'Apostolo, se Dio si è schierato dalla

nostra parte, chi potrà erigersi come accusatore con­

tro di noi? Evidentemente nessuno.

Anche le accuse che ci possono essere mosse

dalla nostra coscienza, nel ricordo dei peccati com­

messi, oppure dagli uomini, oppure dal grande avver­

sario - cioè Satana -, cadono nel vuoto.

"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?"

Il brano che si apre con questo versetto è stato

chiamato l'inno della speranza cristiana e cioè di

quella virtù che ci dà la forza di essere fedeli alla chia­

mata di Dio nonostante tutte le difficoltà che potremo

incontrare nel nostro cammino.

La vita cristiana - lo sappiamo - consiste

nell'accogliere la parola di Dio e nello sforzarci di met­

terla in pratica. Questa vita, però, noi dobbiamo co­

struirla in un modo ed in situazioni dove giocano con­

di2;ionamenti interiori ed esteriori di ogni genere, di

fronte ai quali potremmo spaventarci e bloccarci spi­

ritualmente. Si pensi ad es. all'esperienza della pro­

pria debolezza, specialmente di fronte a tentazioni

molto forti ed insistenti, alle difficoltà provenienti

dall'ambiente, oppure a quelle derivanti dalla nostra

condizione economica o di salute, ecc. La speranza ci

fa superare tutti questi ostacoli, facendo leva proprio

sul fatto che Dio ci ama. La speranza è quindi corag­

gio, è ottimismo, è sicurezza - quella sicurezza, natu­

ralmente, che viene da Dio -, è decisione, è gioia.

"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?"

Se vogliamo conoscere esattamente cos'è la

speranza dobbiamo guardare a Gesù. Egli ha incon­

trato tante difficoltà: l'incredulità della gente, lo scher­

no, l'opposizione feroce degli avversari, il rinnega­

mento da parte dei suoi e poi la morte, con la sensa­

zione del fallimento totale della sua opera. Sapeva ciò

che lo attendeva. Tuttavia egli è andato incontro a tut­

te queste prove tenendo lo sguardo fisso al disegno

del Padre, con la certezza che il Padre lo avrebbe risu­

scitato.

E subito dopo la resurrezione lo vediamo appari­

re ai suoi discepoli, che erano dispersi, per riunirli,

confortarli, rassicurarli che egli era vivo e sarebbe sta­

to sempre con loro. Dimenticando le loro mancanze,

Gesù risuscita in loro la speranza. Egli fa di questi uo­

mini paurosi, rivolti al passato, ripiegati sui loro pro­

getti che sembravano ormai crollati per sempre, gli

uomini della speranza, capaci di guardare al futuro, di

costruire il regno di Dio, appoggiandosi unicamente a

lui, alla forza della sua risurrezione.

"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?"

Come allora vivere questa parola di vita? Essen­

do anche noi gli uomini della speranza. Ciò significa

non chiuderci nel nostro passato, ma buttarci fuori,

gettar tutto in colui che è capace di colmare ogni vuo­

to; credere che Dio porterà a compimento l'opera del­

la nostra santificazione; credere che il Vangelo è pos­

sibile; che il bene è più forte del male e che nessun at­

to di bontà vera resterà senza frutto; essere convinti

che il domani, costruito da Dio, sarà più bello dell'og­

gi; saper subordinare i nostri progetti, sempre piccoli,

ai progetti immensi che Dio tiene nascosti nel suo

amore.

Certe scuse, che uno potrebbe addurre - "non

me la sento", "non ce la faccio", "il coraggio chi se lo

può dare?", "Dio mi ha dimenticato", e così via - or­

mai non reggono più. C'è Dio il quale. si è schierato

dalla nostra parte. C'è Gesù che è morto ed è risorto

per darci speranza e per fare di noi delle persone ca­

paci di comunicare speranza.

Chiara Lubich

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I

ar a I aprile 1985

"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune" (At 4,32).

"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fe­de aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune"

San Luca, autore degli Atti degli Apostoli, ci de­scrive sinteticamente in questo versetto la vita della

comunità di Gerusalemme, presentandola come mo­dello per la Chiesa di tutti i tempi.

Egli mette in evidenza lo spirito che la animava:

l'unione profonda dei cuori, che faceva dei credenti

una sola famiglia, dove tutto era comune, tutto era partecipato. Unione, di cui anche la condivisione dei beni materiali era la conseguenza logica e l'espres­sione più tangibile.

Qualcuno arrivava persino a vendere il proprio podere o la casa e a darne il ricavato agli Apostoli per­

chè venisse distribuito secondo le necessità di cia­scuno. In forza di questa disponibilità vicendevole,

non c'erano più indigenti. S'era realizzata la vera co­munità cristiana.

"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fe­de aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune"

Leggendo queste parole si può aver l'impressio­

ne che nella vita della comunità tutto funzionasse alla

perfezione. È invece lo stesso Luca ad awertirci poco dopo (vedi cap. 6) dei casi di trascuratezza che si veri­

ficavano nella Chiesa di Gerusalemme. Tuttavia, no­nostante tali mancanze, del resto comprensibili, il to­no della comunità era caratterizzato dalla tensione,

che tutti animava, per realizzare la comunità cristiana. Ed è appunto questa tensione che Luca vuole sottoli­

neare. I casi, poi, di quei cristiani che avevano vendu­

to le loro proprietà, rivelano tutta la forza rivoluziona­ria del Vangelo, cioè la sua capacità di creare rapporti sociali totalmente nuovi, con riflessi concreti anche sul piano economico.

Nessuno era costretto a disfarsi dei propri beni. E Luca vuole mostrarci come il Vangelo, pur nel rispet­

to della libertà di ciascuno, sia in grado di farci superare tutte le barriere che ci dividono, delle quali l'uso egoisti­

co della proprietà privata è una delle cause più gravi.

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"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fe­de aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune"

Naturalmente questa rivoluzione sociale scaturi­sce da una forza interiore, dalla fede e dall'amore per Gesù: questa disponibilità concreta, per Luca, è l'uni­

tà di misura dell'autentico amore cristiano.

Qualunque sia il sistema economico in cui il cri­stiano si troverà a vivere, in forza di questo amore sarà

chiamato innanzitutto a superare ogni forma di attac­camento ai beni terreni, in cui la paura, l'avidità,

l'egoismo, il calcolo meschino, tendono continua­

mente ad imprigionarlo.

"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fe­de aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune"

L'esame di coscienza che queste parole ci invita­

no a fare abbraccia un campo vastissimo di valori. Rapporti con la comunità politica, per quanto riguar­da i nostri doveri di cittadini, chiamati a contribuire

solidalmente al bene comune mediante il pagamento delle imposte. Con la comunità sociale, impegnando­

ci seriamente a costruire una società più giusta. Con la comunità ecclesiale, donando il nostro superfluo di tempo, di energie, di mezzi materiali per venire incon­

tro ai fratelli bisognosi; e con quei prossimi, di cui for­se noi soli conosciamo le difficoltà.

Nella primitiva comunità di Gerusalemme, nes­suno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva.

Ecco il cuore del problema. Si tratta di sapere se ci sentiamo dei padroni assoluti, oppure dei figli di Dio e

dei fratelli in Cristo, i quali amministrano i beni ricevuti tenendo sempre presenti anche gli altri.

Nei primi secoli l'amore a Gesù, fermentando le

coscienze, ha trasformato la società pagana apren­dola alla liberazione progressiva da situazioni invete­

rate di ingiustizia istituzionalizzata (la schiavitù,

l'emarginazione della donna, dei poveri, dei deboli, dei piccoli, ecc.). Perchè il nostro amore per Gesù

non potrebbe fare altrettanto di fronte alle gravi situa­zioni di ingiustizia del mondo di oggi?

Chiara Lubich