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ISPER EDIZIONI
328 NOVEMBRE 2004
Giampaolo CENTRONE
L’EVOLUZIONE DEI SISTEMI
DI QUALITÀ AZIENDALI: DAI CIRCOLI AL TOTAL QUALITY
MANAGEMENT FINO AI RICONOSCIMENTI EFQM
IL CASO S.p.a AUTOVIE VENETE
NELL’AMBITO DEI TRASPORTI E SERVIZI PER LA MOBILITÀ
Organizzazione del personale DIORG
ISPER EDIZIONI
328 NOVEMBRE 2004
Giampaolo CENTRONE
L’EVOLUZIONE DEI SISTEMI
DI QUALITÀ AZIENDALI: DAI CIRCOLI AL TOTAL QUALITY
MANAGEMENT FINO AI RICONOSCIMENTI EFQM
IL CASO S.p.a AUTOVIE VENETE
NELL’AMBITO DEI TRASPORTI E SERVIZI PER LA MOBILITÀ
Organizzazione del personale DIORG
© ISPER EDIZIONI 328
L’AUTORE
Giampaolo Centrone L’autore è dal 1985 Direttore Area Personale ed Organizzazione (con poteri e competenze su Amministrazione del Personale, Risorse Umane e Organizzazione, Sistema Qualità e Prevenzione e Sicurezza) in Autovie Venete S.p.A. concessionaria autostradale del tratto Trieste-Venezia, con diramazioni per Udine e Pordenone, azienda nella quale ha ulterior-mente ricoperto “ad interim” le posizioni sia di Direttore dei Sistemi Informativi (10 anni) sia di Direttore di Esercizio (5 anni).
Nominato nel gruppo I.R.I. dirigente d’azienda industriale nel 1984, a 33 anni, operando nel campo della formazione manageriale e professionale, ha abbinato l’impegno lavorativo ad un percorso di studi che lo ha portato a conseguire, presso l’Università degli Studi di Trieste, dapprima la laurea in Ingegneria Gestionale e successivamente la laurea specialistica in In-gegneria Informatica cui vanno aggiungersi il master universitario di primo livello in “Logistica e Trasporto Intermodale” promosso da IUAV – Dipartimento di pianifica-zione e Università degli studi di Trieste – Facoltà di Architettura, la specializzazione in Gestione del Personale e Organizzazione Aziendale acquisita mediante Corso di Perfe-zionamento presso la S.D.A. (Scuola di Direzione Aziendale) dell’Università Commer-ciale L. Bocconi di Milano, l’abilitazione al Coordinamento della Sicurezza nei cantieri ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 494/96 e 528/99 nonché la qualificazione di “Auditor In-terno di Sistemi Qualità” (attività organizzata da TÜV Italia).
Dal 2004 è docente, quale professore a contratto, dell’insegnamento di “Tecniche di gestio-ne aziendale” per il corso di laurea specialistica in “Ingegneria Gestionale e Logistica In-tegrata” presso l’Università di studi di Trieste mentre, sin dal 1998, collabora con il M.I.B. (Master International Business) di Trieste in interventi formativi nel campo della gestione delle risorse umane, tema già oggetto d’insegnamento per un quinquennio presso la scuola post-laurea S.P.E.G.E.A. di Tecnopolis in Valenzano (BA).
L’impegno nel mondo dello studio, del lavoro e nella socialità si è anche concretizzato nella partecipazione, quale correlatore, a diversi lavori di tesi universitarie a Trieste ed a Udine, nonché nell’esperienza di componente di consigli di amministrazione di alcune aziende del Friuli-Venezia Giulia, tra le quali l’Azienda Consortile dei Trasporti di Trieste e la S.T.-Sistemi Telematici in provincia di Udine, nonché dalla assunzione di incarichi quali: Vicepresidente dell’ACAP – Associazione Concessionarie Autostrade a Pedaggio – aderente alla
FISE
Componente del Consiglio Nazionale della FISE (Federazione Italiana Servizi già AUSITRA – emanazione della Confindustria per il settore autostradale privato)
Componente della Commissione Tecnica dell’ACAP per la definizione delle strategie connesse ai rinnovi contrattuali nonché per la partecipazione alle trattative con le OO.SS. nazionali
Componente del VIII° (Relazioni Industriali) Comitato Tecnico dell’AISCAT (Associazione Italiana Società Autostrade e Trafori)
Componente del IX° (Qualità) Comitato Tecnico dell’AISCAT (Associazione Italiana Società Autostrade e Trafori)
Componente del Consiglio Direttivo dell’ADAI (Associazione Regionale Dirigenti A-ziende Industriali)
Componente della Commissione Sindacale Nazionale della Federmanager
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Desidero ringraziare: Federico Boldarino Paolo Crapaz Giovanni Gomezel Dario Morely Renata Pandolfelli Giulia Perini che con dati, suggerimenti e incorag-giamenti mi hanno in vario modo supportato nella stesura dell’opera.
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Il Meglio di Te
L’uomo è irragionevole,
illogico, egocentrico:
non importa, amalo.
Se fai del bene, diranno
che lo fai per secondi fini egoistici:
fai del bene.
Se realizzi i tuoi obiettivi,
incontrerai chi ti ostacola:
non importa, realizzali.
L’onestà e la sincerità
ti rendono vulnerabile:
non importa, sii onesto e sincero.
Quello che hai costruito,
può essere distrutto:
non importa, costruisci.
La gente che hai aiutato,
forse non te ne sarà grata:
non importa, aiutala.
Dà al mondo il meglio di te
e forse sarai preso a pedate.
Madre Teresa di Calcutta
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INDICE
Introduzione Pagina 9
Capitolo 1. Le evoluzioni organizzative ed i presupposti della Qualità Totale
“ 17
1.1 I fondamenti storico-culturali delle teorie organizzative “ 17
1.2 L’Organizzazione “Classica” “ 20
1.2.1 L’Organizzazione Scientifica di Taylor “ 20
1.2.2 La struttura Gerarchico-Funzionale di Fayol “ 22
1.3 Il movimento delle Relazioni Umane “ 24
1.3.1 Il Pensiero di Mayo “ 24
1.3.2 La Motivazione i Comportamenti e le Teorie di McGregor “ 25
1.3.3 La Teoria dei Bisogni di Maslow “ 26
1.3.4 La Gestione e lo Sviluppo delle Risorse Umane “ 28
1.3.5 L’Organizzazione a Tre Livelli di Herzberg “ 29
1.4 L’Azienda come Sistema e la Formulazione delle Decisioni “ 30
Capitolo 2. Il Total Quality ed il Miglioramento Continuo “ 36
2.1 L’evoluzione delle economie Occidentali ed i nuovi Model-li Organizzativi
“ 36
2.2 Qualità ed Evoluzione Storica “ 37
2.2.1 Il Total Quality Control di Feingenbaum “ 38
2.2.2 Il Plan-Do-Check-Act di Deming “ 39
2.2.3 La Pianificazione il Controllo il Miglioramento della Quali-tà di Juran
“ 42
2.2.4 I circoli della Qualità di Ishikawa “ 42
2.2.5 La Qualità dei Clienti Interni ed Esterni all’Azienda di Mi-zuno
“ 45
2.2.6 Il Programma ZD del Quality is Free di Crosby “ 46
2.3 La Qualità alla Giapponese “ 47
2.3.1 Il CEDAC di Fukuda “ 47
2.3.2 I Sette Strumenti di Kume “ 48
2.3.3 Il Quality Function Deployment di Akao “ 48
2.3.4 Il Kaizen di Imai “ 49
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2.4 La Qualità in Europa Pagina 51
2.4.1 I Precursori della Qualità Europea “ 51
2.4.2 I Precursori in Italia “ 52
Capitolo 3. Gestire la Qualità “ 55
3.1 Management e Qualità “ 55
3.1.1 L’Ispezione “ 56
3.1.2 Il controllo Qualità “ 56
3.1.3 L’Assicurazione Qualità “ 57
3.1.4 Il Total Quality Management “ 57
3.2 Cultura Organizzativa e Principi di Management “ 59
3.2.1 Organizzazione e Cultura “ 59
3.2.2 La Teoria della Genesi dei Valori Organizzativi “ 61
3.3 Il Nucleo Concettuale del Total Quality Management “ 63
3.3.1 I Principi del Nucleo Concettuale del TQM “ 63
3.3.2 I Modelli di Eccellenza “ 66
3.3.3 Il Modello EFQM “ 67
3.3.4 I Principi nel Modello EFQM “ 69
3.3.5 Le Pratiche nel Modello EFQM “ 72
3.3.6 Modelli di Eccellenza e Autovalutazione Organizzativa “ 76
Capitolo 4. Le Soluzioni Informatiche al Servizio della Qualità “ 80
4.1 Informatica e ISO 9000 “ 80
4.1.1 La norma ISO 9000 e la Gestione dei Documenti “ 80
4.1.2 Dalla gestione dei Documenti alla Gestione dei Dati con il supporto dei Sistemi ERP
“ 81
4.1.3 L’approccio basato sui Processi della Vision 2000 “ 82
4.2 L’Architettura Strategica del Sistema di Gestione “ 84
4.2.1 L’Architettura del Sistema Integrato di Gestione per la Qualità
“ 85
4.3 Il Ruolo del sistema Informativo “ 87
4.3.1 I Decision Support e gli Executive Information Systems “ 87
4.3.2 Il sottosistema Informativo della Balanced Scorecard “ 91
4.3.3 Soluzioni “IT” per la Balanced Scorecard “ 95
4.3.4 Integrare la BSC nel Flusso Informativo Aziendale “ 97
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Capitolo 5. La Qualità dei Trasporti e dei Servizi per la Mobilità Pagina 100
5.1 Il Settore dei Trasporti e dei Servizi per la Mobilità “ 100
5.1.1 Lo Scenario di Riferimento “ 100
5.1.2 Il Sistema Nazionale dei Trasporti “ 103
5.1.3 Verso nuovi Modelli di Viaggio: la Mobilità come merce “ 106
5.2 Qualità dei Servizi di Trasporto e Mobilità “ 109
5.2.1 Il Settore Autostradale Italiano “ 110
5.2.2 La Prima esperienza del Total Quality Management nel Settore Autostradale Italiano
“ 112
Capitolo 6. Qualità e Mobilità: Il caso Autovie Venete “ 115
6.1 La S.p.A. Autovie Venete e le sue Caratteristiche “ 115
6.1.1 La S.p.A. Autovie Venete e l’evoluzione dell’Oggetto So-ciale nella sua Storia
“ 116
6.1.2 La S.p.A. Autovie Venete: Pilastri e Minacce “ 120
6.1.3 La Visione della S.p.A. Autovie Venete “ 121
6.1.4 Le prospettive della S.p.A. Autovie Venete “ 122
6.2 Le politiche di Qualità della S.p.A. Autovie Venete “ 126
6.2.1 Il nuovo Paradigma delle Strategie ed il Price-Cap “ 126
6.2.2 Il Sistema di Gestione Aziendale per la Qualità nella S.p.A. Autovie Venete
“ 128
6.2.3 Il III° Riesame del Sistema di Gestione Aziendale da parte della Direzione Aziendale nella S.p.A. Autovie Venete
“ 135
Capitolo 7. La Certificazione SA8000 in Autovie Venete “ 147
7.1 La Social Accountability SA8000 “ 147
7.1.1 I Requisiti dello Standard SA8000 “ 148
7.1.2 I Vantaggi della Certificazione SA8000 “ 148
7.1.3 La Certificazione SA8000 nella S.p.A. Autovie Venete “ 149
7.1.4 La Formazione del Personale e Diffusione dei Contenuti delle Norme
“ 150
7.1.5 Monitoraggio dei Fornitori “ 152
Conclusioni “ 154
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI “ 159
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INTRODUZIONE
L’ultimo ventennio del secolo XX è stato caratterizzato dalla svolta impressa
alla società dalla rivoluzione cibernetica che, dallo studio del controllo e dalla rego-
lazione dei sistemi attraverso una nuova forma di metabolizzazione delle informa-
zioni, ha trovato nell’analisi dinamica dei sistemi e nella simulazione un’espressione
di valore universale. In questo scenario coloro che devono assumere le decisioni os-
servano, con crescente attenzione ed attesa, i nuovi strumenti decisionali, basati su
metodi quantitativi e sull’utilizzo degli elaboratori elettronici, finalizzati a costituire
dei veri e propri sistemi di supporto alle decisioni al fine di migliorare la qualità delle
stesse.
Il cambiamento che contraddistingue, però, questo periodo storico, oltreché
difficilmente associabile a modelli prestabiliti, è velocissimo, discontinuo e caratte-
rizzato da mercati globalizzati molto concorrenziali, in cui le imprese del terzo mil-
lennio, per competervi, hanno bisogno di strategie che consentano loro di fronteggia-
re l’ondata di trasformazione dell’economia mondiale evitando di restarne travolte.
Per sfruttare le correnti favorevoli, occorre affrontare i mercati con strategie
risolutive ma, per raggiungere obiettivi ambiziosi, è necessario supportare le proprie
azioni strategiche con strumenti adatti che possono costituire una valida guida
all’implementazione degli obiettivi di lungo periodo. La nuova realtà, quindi, si pre-
senta piuttosto complessa e richiede un’adeguata evoluzione delle tecniche e dei pro-
cessi di controllo direzionale, onde non perdere la caratteristica della “rilevanza” in
termini di monitoraggio degli andamenti aziendali e di supporto alle decisioni (Cen-
trone, 2001).
La sfida competitiva, pur essendo ancora incentrata sull’alta tecnologia, sem-
bra, però, anche riconoscere la capacità organizzativa di un’impresa quale vantaggio
distintivo, capacità non facilmente definibile ma sicuramente riconducibile alla capa-
cità d’integrazione, ovvero di creare coordinamento tra parti specializzate che usano
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spesso “lingue” e gerghi diversi tra loro, anche per le svariate “culture” di prove-
nienza. Nelle relazioni e contatti umani pare, quindi, risiedere uno dei fattori altret-
tanto decisivi per la vita aziendale, con immediate ricadute su quegli aspetti definiti,
appunto, di “natura organizzativa” che, da secoli, costituiscono fonte di problemi e,
quindi, oggetto di studio per l’essere umano.
Il concetto d’organizzazione, invero, richiama una molteplicità di temi corri-
spondenti, da un lato, alla gran varietà degli elementi che compongono ogni realtà
umana organizzata e, dall’altro, alle differenti prospettive proprie delle numerose di-
scipline scientifiche che hanno per oggetto tali realtà. L’attività degli uomini orga-
nizzata, vale a dire resa riconoscibile e ripetibile attraverso l’adozione di regole e
modelli di comportamento integrati e relativamente stabili in rapporto ad uno scopo
predefinito, si manifesta in ambiti diversi ed ha una storia lunga almeno quanto quel-
la della specie umana (Perrone, 1990).
Più di duemila anni fa l’organizzazione era una questione per filosofi, quali
Platone (427-347 a.c.), e poi per militari-strateghi quali Sunz-Tzu; cent’anni fa
l’organizzazione era un mestiere per ingegneri (età delle macchine), poi per psicologi
e sociologi del lavoro (età della soddisfazione), per avvocati (età del contenzioso),
per ritornare agli ingegneri (età dell’informazione e dei processi) (Turati, 1998).
Peraltro lo stato d’ordine che si deve comporre, tra le condizioni produttive,
le decisioni, le operazioni, l’unità produttivo-economica ed il suo ambiente, è perme-
ato da relazioni che possono analizzarsi da numerosi punti di vista quali natura, dire-
zione, intensità, significato economico. In una prospettiva oggettiva, la dimensione
qualitativa delle condizioni delle operazioni, delle interazioni che animano la vita a-
ziendale, viene, dunque, sempre più indagata rendendo evidenti aspetti di tutto rilie-
vo nella struttura aziendale (le risorse intangibili), nel funzionamento (le strategie e
le politiche competitive e sociali), nella finalità (i risultati competitivi e sociali) (Co-
da, 1988).
Tale sistema d’analisi, che ha intenti generalizzanti e di tipo esplicativo, qua-
lora è impiegato, previo adeguato orientamento con specifiche coordinate spazio-
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temporali, per costruire modelli d’intervento sulla realtà aziendale allo scopo di mo-
dificarne gli andamenti ed i comportamenti, presuppone diverse semplificazioni ed
ipotesi da introdursi: in tale contesto, però, in ogni caso, la qualità è intesa come un
complesso d’attributi propri del sistema di governo aziendale (Baccarani, 1992).
L’impiego della parola qualità in questi ultimi anni è stato molto frequente,
rasentandone a volte l’abuso, proprio perché le crisi indotte dal mutamento sempre
più rapido ed imprevedibile dei mercati, delle tecnologie, dei sistemi sociali e politici
mondiali, hanno portato alla ricerca, talvolta disperata, d’antidoti contro gli effetti
sfavorevoli che il cambiamento ha avuto su molte imprese e su interi sistemi econo-
mici. Negli anni ‘80 e ‘90 la Qualità Totale è diventata il modello di riferimento per
quelle aziende che in tutto il mondo avevano intrapreso la strada dell’“Eccellenza”,
con un nuovo approccio manageriale, messo originariamente a punto in Giappone e
che superava quello occidentale, caratterizzato da nuovi valori, da una nuova cultura
d’impresa e da una gestione profondamente diversa dei processi aziendali. Con que-
sto sistema manageriale sono state applicate dal personale, in modo estensivo, tecni-
che e metodologie molto efficaci per migliorare continuamente tutte le attività azien-
dali: ora le VISION 2000 più che un ulteriore tributo da pagare alla qualità, sembra-
no costituire un’altra opportunità offerta per una crescita, lunga e faticosa ma neces-
saria, verso traguardi crescenti d’eccellenza organizzativa. I contenuti, tuttavia, delle
VISION 2000, peraltro già presenti nei modelli Total Quality Management
dell’ultimo ventennio del 1900, non sono in grado, di per sé, di determinare quei
cambiamenti dei comportamenti che possono scaturire solo da parte degli imprendi-
tori, dei manager, degli amministratori, degli educatori.
La qualità che serve per convivere con le trasformazioni e con l’incertezza,
non è solo quella, assolutamente indispensabile ma delegabile agli esperti, delle tec-
niche e delle metodologie, bensì è anche, se non soprattutto, quella intimamente con-
nessa sia con le fondamenta culturali ed etiche dell’organizzazione dell’impresa o
della pubblica amministrazione, sia con il management, che è l’unico soggetto, pur-
ché operi intelligentemente e consapevolmente, in grado di radicarla nelle organizza-
zioni stesse. Vi è con questo tipo di qualità, allora, la possibilità di trasformare le or-
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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ganizzazioni per renderle più capaci nelle competizioni in situazioni continuamente
mutevoli, nella conquista e fidelizzazione dei clienti, nella creazione di valore e
nell’efficienza, anziché tramite interpretazioni minimaliste che, nonostante il corredo
di formule, ricette e terapie portatrici di scarso valore aggiunto, sono raramente in
grado di indurre mutamenti efficaci.
In questa prospettiva, pertanto, la dimensione qualitativa, della realtà azien-
dale deve essere:
o osservata come attributo che promana dall’organizzazione aziendale;
o tradotta in obiettivi d’intervento sulla struttura e sui processi aziendali;
o individuata come carattere della gestione (Bruni, 1993).
Ne discende, quindi, che la qualità, è un attributo dell’azienda, della sua
struttura e del suo funzionamento tale da assumere rilievo preminente, per scopi
d’intervento sugli andamenti e sui comportamenti, fino a diventare obiettivo azienda-
le per indurre le unità produttive nell’adozione di veri e propri meccanismi operativi
orientati alla gestione strategica della qualità (Bellandi, 1989).
È opportuno, inoltre, riflettere sul perché della progressiva crescita del nume-
ro delle imprese certificate secondo le ISO 9000 dovuta, probabilmente, al fatto che
la certificazione di qualità può rappresentare per l’azienda sia uno strumento di po-
tenziamento delle proprie capacità competitive sia uno strumento mediante il quale
conformarsi alle pressioni istituzionali. Infatti certificazione implica innalzamento
del livello qualitativo delle proprie prestazioni e della comunicazione con gli attori
del sistema competitivo, grazie anche alla standardizzazione dei linguaggi, oltrechè
alla legittimazione sociale. Il problema allora si sposta al livello dei comportamenti
indotti dalle norme ISO 9000, o dalle più recenti VISION 2000, per verificare la pre-
senza di una “validazione autoreferenziale e cerimoniale”.
Peraltro, è necessario anche soffermarsi sul fatto che l’apertura dei mercati,
ed il già citato processo di globalizzazione, esigono condizioni di competitività “di
sistema” per realizzare le quali riveste notevole influenza la disponibilità di reti effi-
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cienti d’infrastrutture e servizi. Ne discende l’importanza, quale strumento di politica
nazionale e locale per il rafforzamento dell’efficienza strutturale del sistema produt-
tivo di riferimento e per concretare, consolidare il trasferimento di poteri e funzioni
dal centro alla periferia, di un’offerta di servizi adeguata tanto sul piano quantitativo
che qualitativo.
La sfida dei prossimi anni comporterà sicuramente la costante espansione del-
le attività di servizio ai cittadini ed alle imprese, con una tendenza sempre più accen-
tuata alla competenza, anche per segmenti, ed alla diversificazione del servizio offer-
to al minor costo possibile. Emerge, quindi, pure l’esigenza di migliorare il sistema
tradizionale di valutazione e misurazione della performance, ormai intesa, non solo
come valutazione di fenomeni economici consolidati e caratterizzanti ma, soprattutto,
come previsione del valore del futuro ed in grado di cogliere il contributo effettivo.
La cultura della“qualità totale” diventa, dunque, decisiva è può favorire un
nuovo sistema organico di servizi pubblici (Fitzgerald, 1998), altamente specializza-
ti, integrato, eventualmente con una rete d’imprese che possano coprire una serie im-
portante d’attività necessarie al funzionamento del sistema e che solo la dinamica di
produzione, su un libero mercato, assicura essere economiche.
In Italia, però, i limiti derivanti da un modesto livello d’infrastrutturazione e
da una politica dei trasporti con poca chiarezza, non consentono la velocizzazione
degli spostamenti, condizionando pesantemente il mercato della mobilità di merci e
persone. Invero la ripartizione modale del mercato dei trasporti registra, in posizione
dominante, la quota di spostamenti effettuati con mezzi su gomma, sia per la mobilità
delle persone sia per quella delle merci, soprattutto individuali. Scontate, quindi, le
ricadute negative, addirittura quotidiane, sulla collettività in termini di bassa qualità
della vita, d’accrescimento dell’inquinamento ambientale, di progressivo degrado del
territorio nazionale e, purtroppo, d’appesantimento della competitività delle imprese
in un mercato sempre più dinamico.
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Se all’interno di quest’ampio quadro di riferimento, tali temi e associate con-
siderazioni, vengono contestualizzate, appunto, al settore dei trasporti e della mobi-
lità, si possono trarre le seguenti considerazioni di base:
• l’efficienza del settore condiziona fortemente sia la competizione del “Si-
stema Italia”, sia la qualità della vita dei cittadini;
• l’incidenza economica del settore sul bilancio delle famiglie italiane quota
il 15,3%, occupando la terza voce della spesa mensile;
• l’appartenenza al mondo dei servizi fa porre ai consumatori/clienti una
notevole enfasi sugli aspetti immateriali dell’offerta e quindi, conseguente-
mente, sulla ricerca d’elementi che riescano in qualche modo a personaliz-
zarla, quasi come una merce;
• la pluralità di soluzioni modali alla domanda di mobilità esige forme di
“dialogo sistemico” reciproco, tale da realizzare una rete per la mobilità na-
zionale e comunitaria.
In questa chiave di lettura, e non solo per le ovvie ragioni d’economia di sca-
la, si può comprendere la crescente attenzione da parte di molte aziende del settore
trasportistico, e di quello autostradale in particolare, verso logiche di “sistema” nelle
scelte riguardanti la politica dei servizi. Tutte le imprese, indistintamente, devono
operare economicamente perseguendo fini rappresentabili dall’efficienza e dal profit-
to: quelle a capitale pubblico, o che erogano un pubblico servizio, però, devono esse-
re ulteriormente valutate anche per il contributo che possono fornire al benessere del-
la società civile.
Il presente lavoro vuol rappresentare un contributo culturale al riguardo e ri-
flette, tra l’altro (capitoli quinto, sesto e settimo), l’esperienza direttamente vissuta
quale Direttore del Personale ed Organizzazione della S.p.A. Autovie Venete, nel ge-
stire il Sistema di Qualità Aziendale e le fasi del processo di pervenimento alla certi-
ficazione, la prima in tutto il settore, ai sensi delle norme ISO 9001, ottenuta nel set-
tembre 2000. Peraltro, nel settembre 2003, ancora per la prima volta a livello nazio-
nale nel settore autostradale, l’Azienda ha conseguito una nuova certificazione ai
sensi delle VISION 2000.
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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La S.p.A. Autovie Venete, società per azioni controllata al 85% dalla Regio-
ne Autonoma Friuli-Venezia Giulia, concessionaria dell’A.N.A.S. per la gestione
della rete autostradale costituita dal tratto Trieste-Venezia (A4) con diramazioni per
Udine (A23) e per Pordenone (A28), si colloca pienamente nelle logiche e nelle si-
tuazioni precedentemente esposte con una consapevolezza, sufficientemente condivi-
sa, di dover sopravanzare la superata concezione d’azienda monopolista per poter
fronteggiare, in modo adeguato, l’offerta dei servizi al cittadino con standard sempre
più elevati di qualità. Infatti anche l’orientamento al cliente autostradale, deve partire
dalle aspettative del cliente stesso e dai suoi desideri ed aumentare la qualità di un
prodotto/servizio senza che cresca la percezione del cliente stesso di esserne avulso.
Poiché le principali difficoltà incontrate e gli approfondimenti effettuati lungo
quest’esperienza, del resto non conclusa ma in continuo svolgimento ed evoluzione
in virtù dell’impegno nel miglioramento continuo, hanno riguardato aspetti di tipo
tecnico e, se non soprattutto, di natura culturale-organizzativa, è parso logico dare
adeguato spazio, nei primi tre capitoli, a contenuti ripercorrenti il cammino di svi-
luppo del Total Quality Management attraverso chiavi interpretative diverse, sotto i
profili storico-economico, psico-sociologico ed ingegneristico, anche perché
l’esperienza diretta di chi opera concretamente sul campo sconta, tuttora, la sussi-
stenza di situazioni e condizioni descritte da teorie che solo per la loro vetustà “ana-
grafica” sono considerate desuete, ma che, nel confronto con la realtà, tali non risul-
tano o, perlomeno, non paiono.
É probabile, inoltre, che gli studi universitari nonché il patrimonio di cono-
scenze accumulate e lo sviluppo di competenze associate a ruoli professionali diversi
ricoperti in trent’anni di esperienza lavorativa, di cui gli ultimi venti con la qualifica
di dirigente d’azienda industriale, abbiano indotto a riservare, nel quarto capitolo,
particolare spazio ed attenzione nell’esposizione dei contenuti, al sistema informati-
vo aziendale. Quest’ultimo viene riconosciuto quale supporto imprescindibile per ge-
stire una moderna impresa, con l’apporto fondamentale delle recenti soluzioni orien-
tate al controllo strategico, quali le Balanced Scorecard (Kaplan, 1996) strettamente
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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connesse al Sistema di Gestione Aziendale della Qualità. La progettazione delle or-
ganizzazioni e la progettazione dell’Information Communication Tecnology (ICT)
finiscono, in sostanza, per coincidere e di conseguenza l’ICT, oltre che essere una
variabile indipendente, di cui il management deve tener conto, è divenuta
un’opportunità d’innovazione e di sviluppo organizzativo, entrando nei processi in-
terni e nella gestione delle relazioni con l’esterno all’azienda. Si perviene, in tal mo-
do, all’era delle conoscenze, quella contemporanea del Knowledge Management
(Compagno, 1999), che stimola l’impresa ad investire nella realizzazione di mecca-
nismi di cattura delle informazioni, dei saperi impliciti e taciti, della loro sedimenta-
zione nelle competenze e nelle capacità aziendali per rispondere ad un bisogno di
connessione, piuttosto che semplicemente chiamare in causa la capacità dell’organiz-
zazione di accumulare conoscenze.
Poiché un’impresa, altresì, trae i suoi connotati dalla situazione sociale in cui
nasce ed evolvendosi produce dei feedback ed influenze sullo stesso contesto, per ul-
timo, si è fatto anche cenno (capitolo settimo) all’idea, relativamente recente, che sta
alla base della Responsabilità Sociale delle Imprese, secondo la quale l’azienda re-
sponsabile e qualitativamente avanzata, pur non rinunciando al proprio profitto, può
essere, realmente, protagonista di un processo d’evoluzione culturale attraverso un
riposizionamento della specifica “mission” riuscendo a gestire ed assorbire i propri
costi sociali ed, al contempo, maturare la coscienza di quello che la sua attività indu-
ce sul mercato e sul contesto dove essa stessa agisce.
Aderente a questa nuova “vision” può iscriversi la convinzione, presente pure
in chi scrive, secondo la quale nella gestione strategica delle aziende possono avere
reale successo solo coloro che, ai diversi livelli, siano dotati del necessario e più
grande possibile “bagaglio tecnico-intellettuale”, possedendo, però altresì, la capaci-
tà “culturale” di capire e saper trasmettere i valori della storia unitamente alla volon-
tà di dare un senso, anche di là dal tempo, al proprio impegno professionale ed alla
propria vita reale.
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1. LE EVOLUZIONI ORGANIZZATIVE ED I PRESUPPOSTI
DELLA QUALITÀ TOTALE
1.1 I FONDAMENTI STORICO-CULTURALI DELLE TEORIE
ORGANIZZATIVE
L’essere umano, nello svolgere qualsiasi attività tende, generalmente, a per-
seguire un determinato fine o scopo con l’impegno della minor quantità di risorse nel
raggiungimento del miglior risultato possibile e, per far ciò, traccia preventivamente
quella che sarà la sua azione al fine di evitare, od almeno ridurre al minimo, le pro-
babilità di rischio e d’inutili perdite di tempo: in definitiva si organizza. Le prime
forme d’organizzazione, nell’evoluzione storica, si concretarono mediante la divi-
sione dei compiti finalizzata a selezionare comportamenti atti a garantire un assetto
di vita tale da rendere minori lo sforzo fisico e le difficoltà del vivere sociale, e, nel
contempo, ottenere vantaggi diretti od indiretti, e si manifestarono con l’abbandono
del nomadismo, il sorgere dei villaggi e la nascita dell’agricoltura (Mesopotamia XI
millennio a.C.).
Da allora, in poi, una notevole varietà d’organizzazioni sociali, militari, reli-
giose, politiche, si sono via via perfezionate, fatte più complesse e raffinate, sotto lo
stimolo dell’influenza di nuove filosofie, del progresso tecnico, dal sorgere di nuove
scienze, dalla codificazione di principi e diritti.
Il fenomeno organizzativo si collega, storicamente, al movimento del pensie-
ro razionalista e scientifico che, fin dal XVII secolo, ha gettato le basi della cultura e
della tecnica contemporanea. Nel 1637, il filosofo e matematico francese Renè De-
scartes, (Cartesio1596-1650), alla ricerca di nuove fondamenta certe ed indubitabili
del sapere, nella sua opera “Discours de la méthode” (Descartes, 1637), enunciò
quattro principi che possono definirsi i punti di partenza della logica organizzativa.
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• Principio dell’evidenza: non accettare per vero nulla che non sia stato rico-
nosciuto in tutta evidenza come tale.
• Principio dell’analisi: dividere, per meglio risolverla, ciascuna delle que-
stioni da esaminare in tanti elementi quanto è possibile.
• Principio della sintesi: sviluppare, con ordine, il ragionamento comincian-
do dagli argomenti più semplici e più facili da conoscere, indi salire, gra-
dualmente, fino alle cognizioni più complesse, creando un ordine tra quelle
che non hanno una successione naturale.
• Principio del controllo: compiere, ovunque, delle enumerazioni sistemati-
che e dei ripassi generali, fino ad avere la sicurezza che nulla sia stato omes-
so.
Sorge a questo punto il quesito su cosa sia l’organizzazione del lavoro: per ri-
spondere si consideri l’azienda quale insieme d’elementi, congiunti fra loro da vinco-
li d’interdipendenza, identificabili nelle persone, nei mezzi, nell’organizzazione.
Quest’ultima, in prima e semplice definizione, è quel particolare elemento che lega
gli altri due determinandone la miglior efficienza funzionale, l’armonica e unitaria
continuazione volta al raggiungimento del fine generale dell’azienda stessa, secondo
le vie più economiche e ciò proprio perché l’azienda è un insieme, di fattori umani e
materiali, coordinato ed operante per il raggiungimento di uno scopo determinato.
Nel campo dell’organizzazione del lavoro, le grandi trasformazioni datano
dalle conseguenze della Rivoluzione Industriale, nella seconda metà del 1700, e dalla
questione sociale che ne consegue. La varietà e rapidità dei cambiamenti di quel pe-
riodo, che incidono notevolmente sulla società, sul modo di lavorare e di vivere, ac-
cendono intensi dibattiti sulla cosiddetta “questione sociale”, vale a dire il problema
del proletariato, del suo sfruttamento e miseria, delle condizioni terribili in cui si tro-
vava a vivere, cui si contrapponeva l’arricchimento rapido e consistente di una ri-
stretta classe sociale, gli imprenditori. Il meccanismo della fabbrica fece esplodere in
modo drammatico le conseguenze di una norma culturale antica, sicché, la questione
sociale attirò l’attenzione di pensatori, economisti, politici che elaborarono nuove te-
orie sociali: nacque la concezione marxista, s’ipotizzarono altre forme organizzative
del lavoro e sorsero le associazioni per i lavoratori.
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È con la seconda rivoluzione industriale della fine Ottocento, però, segnata
dalla scoperta ed utilizzo dell’energia elettrica, da invenzioni e progresso tecnologi-
co, dalla nascita di nuove scienze come la chimica, la psicoanalisi, la psicologia, che
sono proposte altre teorie organizzative mutuanti apporti anche dalle nuove scienze
umanistiche. Iniziati, quindi, con la rivoluzione industriale, gli studi sull’organizza-
zione si sono sviluppati secondo le seguenti tappe essenziali della loro evoluzione (C.
Albertario, 1981).
• L’organizzazione “classica” o “scientifica” che, sorta e sviluppatasi tra il
1910 ed il 1930, consiste nello studio delle azioni che si devono intrapren-
dere per raggiungere gli obiettivi.
• L’organizzazione in funzione delle “relazioni umane” che, nata verso il
1930, assume come punto di partenza le motivazioni ed il comportamento
degli individui.
• L’organizzazione della “gestione e sviluppo delle risorse umane”, a parti-
re dal 1955.
• L’organizzazione in funzione delle “decisioni” che, a partire dal 1960, as-
sume come punto di partenza le decisioni che si devono prendere per rag-
giungere gli obiettivi.
• L’organizzazione “sistemica” che, a partire dal 1970, vede l’azienda come
“sistema aperto” che si deve adattare rapidamente ai cambiamenti richiesti
sia dall’esterno sia dall’interno.
Nei prossimi paragrafi di questo primo capitolo si ripercorreranno in sequen-
za storica, riportandoli in estrema sintesi, gli elementi salienti di “cultura organizza-
tiva” caratterizzanti le fasi evolutive dello sviluppo organizzativo appena citate, onde
propedeuticamente favorire gli agganci concettuali e le correlazioni con quanto è ri-
portato nei capitoli secondo e terzo, a proposito della qualità e le sue diverse sfaccet-
tature e le teorie d’impresa e manageriali, nonché sulla natura dei cambiamenti effet-
tivamente indotti nella gestione dell’impresa dalle pratiche della qualità.
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1.2 L’ORGANIZZAZIONE “CLASSICA”
1.2.1 L’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DI TAYLOR
All’inizio del secolo XX sorsero i primi studi sulla “componente organizzati-
va” dell’azienda con il movimento dell’Organizzazione Scientifica del Lavoro
(Scientific Management), che considerava l’organizzazione come una parte oggetti-
va dell’attività industriale. Il sistema razionale o scientifico dell’organizzazione del
lavoro, inizialmente legato a Friedrick Winslow Taylor (1856-1915), influì note-
volmente nel determinare i moderni metodi del lavoro proprio per l’elaborazione ef-
fettuata con criteri razionali di tipo tecnico-ingegneristico. Taylor, ingegnere di Fila-
delfia, era un creativo avendo ottenuto nella sua vita più di 100 brevetti, ed iniziò la
sua attività presso la Midvale Steel Company, consolidando esperienza in settori di
produzione, vendita, libera consulenza ed arrivando, così, ad una nuova concezione
della divisione, razionalizzazione ed organizzazione del lavoro, per rispondere alle
pressanti esigenze di crescita della produzione e della produttività che la conquista
dei mercati, e di poteri, richiedeva.
Le sue teorie le espose in due libri, pubblicati nel 1911, aventi per titolo “The
principles of Scientific Management “ e “Shop Management” sintetizzabili nella de-
finizione: “La maggior produzione è ottenibile quando a ciascun lavoratore è affi-
dato un compito da eseguirsi in modo definito, in un tempo definito”, (Taylor,
1947). Proseguì i suoi studi e le sue esperienze sui sistemi di salario a tariffa diffe-
renziata, sul miglioramento dei metodi e dei tempi di lavoro, sulla normalizzazione
delle attività manuali e sull’organizzazione funzionale della direzione del lavoro. Il
suo pensiero, in definitiva, si basò essenzialmente su due principi.
1) Principio della ”funzionalizzazione” che porta ad attribuire ad ogni lavoratore
ed ad ogni capo un compito specifico e ben delimitato.
2) Principio della “netta separazione” fra attività di programmazione, o di dire-
zione, ed attività propriamente esecutive, o d’efficienza; dal quale discende
che la direzione deve togliere agli esecutori ogni responsabilità di program-
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mazione del lavoro e di scelta dei metodi di lavorazione, lasciando alla ma-
nodopera puri compiti esecutivi.
La conseguenza di una tale impostazione teorica, che si preoccupava di appli-
care principi scientifici ai metodi di lavoro in modo da aumentare la capacità produt-
tiva degli uomini e delle macchine, fu la prospettazione di strutture organizzative in-
tegralmente “funzionali” prevedenti la sostituzione dell’unico capo gerarchico con
otto capi funzionali, ciascuno specialista per un dato compito, quattro dei quali ad-
detti a compiti di programmazione e quattro a compiti prevalentemente di controllo
ed assistenza all’esecuzione. In tal modo, secondo Taylor, erano assicurate:
• la determinazione, in modo accurato, del lavoro da svolgere, del miglior me-
todo d’esecuzione e preparazione del lavoro, mediante lo studio dei mezzi e
del posto di lavoro;
• l’impostazione di un sistema che predisponesse le risorse (uomini, mezzi e
materiali) per eseguire il lavoro (programmazione) separando l’attività di
programmazione da quello d’esecuzione del lavoro.
Da tale orientamento, caratterizzato dalla specializzazione dei lavoratori e
dalla netta separazione tra le fasi di pianificazione, programmazione ed esecuzione
del lavoro, ebbero origine, primo vero esempio rivoluzionario dell’industria moder-
na, le catene di montaggio della Ford, nelle quali, però, l’operaio altro non era che il
prolungamento delle macchine, dipendendone dai ritmi veloci ed incessanti.
Taylor, di conseguenza, è considerato il padre dell’organizzazione scientifica
del lavoro, ma è doveroso evidenziare che le sue concezioni, oggetto di critiche e po-
lemiche molto aspre con notevoli reazioni specialmente da parte delle organizzazioni
sindacali, diedero luogo allo sviluppo di situazioni in cui i lavoratori erano in balia
d’abusi di capi e d’imprenditori poco scrupolosi che, nel rifiuto del confronto tra le
parti, con atteggiamento paternalistico, asserivano che i lavoratori dovevano ritenersi
soddisfatti per il fatto di essere diretti con metodi scientifici.
Nell’anno 1912 Taylor fu convocato, a seguito dell’ondata di scioperi e prote-
ste contro i principi e metodi che egli aveva messo in atto, da una commissione
d’inchiesta della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America: in tale oc-
casione affermò che quanto da lui concepito non aveva come obiettivo lo sfruttamen-
to e costituiva, piuttosto, una nuova forma d’etica organizzativa e direzionale condu-
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cente il governo dell’impresa all’assolvimento di veri e propri doveri professionali,
rispettando gli interessi aziendali dei lavoratori e della comunità.
1.2.2 LA STRUTTURA GERARCHICO FUNZIONALE DI FAYOL
Anche se avversato in linea di principio, il movimento dell’Organizzazione
Scientifica del Lavoro si diffuse velocemente per l’impegno di collaboratori e segua-
ci di Friedrich Taylor, tra i quali si distinsero, nel continente americano, Harrington
Emerson (1853-1931), Henry Laurence Gantt (1861-1919), Frank Bunker Gilbreth
(1868-1924) e sua moglie Lillian Moller (1878-1972), mentre in quello europeo il
francese Henry Louis Le Chatelier (1850-1936) e l’italiano Francesco Mauro.
Se a Taylor va ascritto il merito di aver analizzato il lavoro operativo, spetta
al suo contemporaneo francese Henry Fayol (1841-1925) l’onore di aver elaborato
una completa teoria dell’organizzazione aziendale come sistema generale di direzio-
ne. Nel suo libro “Administration Industrielle et Générale”, pubblicato nell’anno
1916, individuò nello “organismo aziendale” una serie di “funzioni” essenziali, pro-
prie d’ogni impresa industriale, (Fayol, 1964).
• Funzioni tecniche (produzione, fabbricazione, trasformazione). • Funzioni commerciali (acquisti, vendite, scambio).
• Funzioni finanziarie (ricerca e gestione dei capitali).
• Funzioni di sicurezza (protezione dei beni e delle persone).
• Funzioni contabili (inventari, bilanci, costi, statistiche, ecc.).
• Funzioni amministrative, modo di gestione cioè funzione direttiva vera e
propria (programmazione, organizzazione, comando, coordinamento e con-
trollo).
Fayol evidenziò che, mentre ai livelli più bassi dell’organizzazione sono ri-
chieste capacità tipicamente professionali riconducibili alle funzioni sopra elencate,
salendo la scala gerarchica la capacità essenzialmente richiesta è quella direttiva che,
in particolare, agisce sul personale manifestandosi nel rispetto di una serie di principi
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non rigidi, ma orientativi, elastici e suscettibili di adattarsi ad ogni circostanza. Essi
sono:
la divisione del lavoro L’accentramento
L’autorità e la responsabilità La gerarchia
La disciplina L’ordine
L’unità di comando L’equità
L’unità di direzione La stabilità del personale
La retribuzione L’iniziativa
La subordinazione degli interessi indi-viduali all’obiettivo comune
lo spirito di corpo o coesione del perso-nale
Fayol, partendo da alcune considerazioni effettuate da H.Emerson, teorizzò,
per primo, la struttura organizzativa “gerarchico-funzionale” (line and staff) preve-
dendo, soprattutto per le grandi organizzazioni, la necessità per la direzione di ap-
poggiarsi ad un organo specialistico, non vincolato alla linea gerarchica, denominato
“Stato Maggiore”, formato da un insieme di persone che, aventi l’energia, la compe-
tenza ed il tempo eventualmente mancanti al Direttore Generale dell’azienda,
n’avrebbero costituito aiuto, rinforzo ed una specie d’estensione della personalità del
capo stesso. Lo “Stato Maggiore”, non inserito nella gerarchia e ricevendo ordini so-
lo dal Direttore Generale era, ed è, presente in quasi tutte le grandi aziende, spesso
sotto apparenze diverse: segretari, assistenti, specialisti, comitati consultivi, uffici
studi, laboratori, ecc.
Tutta la teoria dell’organizzazione sviluppata nei decenni successivi da altri
studiosi, quali Monney e Relley, Gulik, Urwick, Graicunas, Mary Parker Follet, Hol-
den, Fish e Smit, ecc. s’ispira al pensiero di Fayol riprendendone i concetti ed i temi
fondamentali (funzioni direttive, principi di direzione e d’organizzazione, struttura
gerarchico-funzionale, programmazione della struttura, tecniche di direzione) e li
sottopone ad una più ampia trattazione specialistica pervenendo, in tal modo, alla de-
finizione dei seguenti principi.
• Principio scalare: l’appartenente al livello superiore detiene l’autorità, in
ogni caso delegabile, nei confronti del livello inferiore, fino agli ultimi livelli
della gerarchia aziendale che sono privi di alcun’autorità.
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• Principio dell’unità di comando: un subordinato non deve ricevere ordini da
più di un superiore gerarchico anche quando le strutture organizzative diven-
tano gerarchico-funzionali ed il concetto d’autorità gerarchica è sdoppiato dal
concetto d’autorità funzionale.
• Principio dell’ampiezza di controllo: il numero dei subordinati che devono
far capo ad un superiore, deve essere limitato a 5 o 6 (Graicunas).
• Principio della specializzazione: il lavoro va diviso ed attribuito in funzione
della specializzazione d’ogni unità organizzativa e del singolo individuo.
In definitiva la “scuola classica” concepisce l’organizzazione come una “va-
riabile indipendente”da studiarsi in modo da trovare la soluzione più razionale ed ot-
timale: l’uomo, considerato come “variabile dipendente”, deve inserirsi ed adattarsi
ad essa, perseguendo la massima specializzazione, al fine di conseguire la maggior
efficienza.
1.3 IL MOVIMENTO DELLE RELAZIONI UMANE
1.3.1 IL PENSIERO DI MAYO
Il movimento delle relazioni umane nacque a partire da una serie di ricerche
di psicosociologia industriale, condotte fra il 1927 ed il 1932 presso gli stabilimenti
di Hawthorne della “Western Electric Company”, da un gruppo di studiosi, guidati
dallo psicologo americano Elton Mayo (1880-1949), che introdussero ed integrarono
la scienza del comportamento umano nella teoria dell’organizzazione e della direzio-
ne aziendali. Mayo fornì un notevole contributo d’idee, sebbene più di tipo critico
che propositivo o risolutivo, attribuendo all’organizzazione costruita con i criteri di
Taylor, la responsabilità di aver tolto al lavoro il suo vero significato, ispirando
nell’uomo un senso d’alienazione e perdita d’identità personale.
L’alienazione scaturiva dalle condizioni in cui il lavoratore si trovava costret-
to ad operare, con una meccanicità che gli precludeva l’uso delle sue risorse intellet-
tive e creative, mentre la perdita d’identità personale era ascrivibile alla “parcellizza-
zione” del lavoro che isolava il singolo, delimitandone fortemente la propria possibi-
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lità di rapporti sociali espressivi e vincolandolo unicamente a quelli di una gerarchia
di tipo autoritaria e burocratica.
Conseguentemente, Elton Mayo propose e rivendicò un senso del lavoro che,
pur dando sicurezza economica, avrebbe avuto anche una valenza sociale ed umana,
affinché gli uomini potessero aggregarsi ed esprimere le proprie abilità, capacità e
potenzialità, nella ricerca di gratificazione e riconoscimento. In tal modo sarebbe sta-
to così soddisfatto il bisogno profondo dell’uomo, anche sul lavoro, di non smarrire
la propria identità e di confermarla in rapporti umani e sociali rilevanti.
1.3.2 LA MOTIVAZIONE I COMPORTAMENTI E LE TEORIE DI MCGREGOR
Nello studiare i problemi del lavoro, Douglas McGregor, partì dall’osserva-
zione dei risultati dell’impostazione organizzativa di Taylor traendone una sua teo-
ria, detta “X”, sulla natura dell’uomo, che basò sui seguenti presupposti.
L’uomo è un essere passivo.
Per dare risultati utili deve essere sempre minacciato, sollecitato e controllato.
L’uomo preferisce evitare qualunque tipo di responsabilità.
Successive osservazioni ed analisi delle conseguenze a livello collettivo ed
individuale, portarono McGregor a rivedere la precedente teoria pervenendo a con-
clusioni completamente diverse, che furono sintetizzate nella “Teoria Y” esposta nel
suo libro The human side of enterprise, del 1960, di seguito, in sintesi, descritta.
Il lavoro è naturale per l’uomo.
L’uomo è creativo ed ingegnoso.
Il potenziale intellettivo dell’uomo medio è utilizzato solo parzialmente.
La caratteristica umana è la ricerca della responsabilità.
L’uomo, se coinvolto nel raggiungimento degli obiettivi, sa operare confor-
memente agli obiettivi aziendali.
La partecipazione agli obiettivi è in funzione delle soddisfazioni ottenibili col
loro raggiungimento.
In definitiva, l’uomo, anche nel lavoro, può e deve trovare motivazioni che
soddisfino bisogni “umani” e non solo economici.
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1.3.3 LA TEORIA DEI BISOGNI DI MASLOW
Si deve ad Abraham Harold Maslow (1908-1970), psicologo americano,
uno studio analitico sui bisogni dell’uomo in generale, quindi non legati né a fattori
economici né culturali né di razza né d’età, ed a quelli emergenti, specificatamente,
nell’ambito del proprio rapporto di lavoro. In figura 1 è riportato uno schema che il-
lustra la successione dei bisogni fondamentali d’ogni individuo, correlata ad un'in-
terpretazione in chiave psicologica dovuta a William James (Gibertoni, 1998).
AUTOREALIZZAZIONE
STIMA
APPARTENENZA
SICUREZZA
FISIOLOGICI
COMPORTAMENTO
BISOG
NO DI
ESSERE
BISOGNO DIESSERE
DESIDERI DI FARE
necessità di AVERE
Fig.1 – I Bisogni fondamentali secondo Maslow
Tale successione riflette il cammino di crescita evolutiva dell’uomo dalla na-
scita fino all’età adulta. Tutti i bisogni, di fatto, sono sempre compresenti, seppure
con priorità ed intensità diverse secondo la personalità del singolo, del tipo
d’ambiente culturale, sociale ed economico in cui l’individuo vive: essendo fonda-
mentali sono bisogni che emergono in qualsiasi situazione e ruolo in cui la persona
vive e, quindi, anche nel mondo del lavoro. I correlati bisogni individuali relativi
all’ambito aziendale sono riportati in figura 2.
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FisiologiciCondizioni di lavoro e retributive chiare
e regolarmente applicate
di SicurezzaStabilità e continuità del lavoro
e del reddito
di AppartenenzaIntegrazione e coinvolgimento
nell'ambiente di lavoro
di StimaSoddisfazione nel lavororiconoscimenti di status
di AutorealizzazioneSviluppo del proprio potenziale
umano e professionale
Fig. 2 – Bisogni Individuali nell’Azienda
Maslow pervenne a delle conclusioni che fornivano delle spiegazioni sul per-
ché un’organizzazione fondamentalmente basata sulla razionalizzazione e parcelliz-
zazione del lavoro non favoriva la motivazione del lavoratore. Quest’ultimo, infatti, a
causa della specializzazione, non utilizzava appieno le proprie diverse capacità, non
percepiva la relazione fra ciò che faceva e gli obiettivi dell’organizzazione stessa,
non perveniva, di conseguenza, all’autorealizzazione, bensì ad uno stato contraddi-
stinto da frustrazione ed inefficienza. Peraltro i cambiamenti ideologici, politici, so-
ciali ed organizzativi sollecitano, nel tempo, nuovi bisogni individuali e collettivi e,
quindi, motivazioni nuove (Maslow, 1964).
1.3.4 LA GESTIONE E LO SVILUPPO DELLE RISORSE UMANE
Gli studi sulle relazioni umane, proseguiti dai successori di Mayo, quali
F.J.Roethlisbergr, K.Levin, K.Davis, C.Argyris, K.W.Spence, E.W.Bakke, individua-
rono e descrissero tutta una serie di fenomeni essenziali attinenti il comportamento
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umano. Tali fenomeni, di cui ogni teoria dell’organizzazione in seguito elaborata, in
ogni caso, ne ha dovuto tener conto, possono così riassumersi:
La presenza di una “organizzazione informale”, cioè di una serie di rag-
gruppamenti umani, i gruppi, che si formano spontaneamente e volontari-
sticamente, per soddisfare proprie esigenze associative che prescindono dal-
la struttura della “organizzazione formale”, dettata impersonalmente dalla
direzione.
La presenza di “leaders naturali”, emergenti spontaneamente dai gruppi in-
formali che, in contrapposizione ai responsabili formalmente investiti, dan-
no luogo ad una doppia gerarchia aziendale.
L’esistenza in ogni lavoratore, non limitato unicamente alla ricerca del gua-
dagno, di motivazioni, né semplici né razionali, le quali nella loro comples-
sità, irrazionalità ed emotività, portano a comportamenti, sul posto di lavoro,
spesso scarsamente rispondenti agli stimoli ed alle attese della direzione a-
ziendale.
Il movimento delle risorse umane, quindi, in contrapposizione alla teoria or-
ganizzativa classica, concepisce il fattore umano come un fattore dinamico, non co-
stante, le cui relazioni devono essere tenute in considerazione nel programmare ed
amministrare una struttura organizzativa e, pertanto, ogni mutamento organizzativo
deve essere preceduto ed accompagnato da un piano integrale di “comunicazioni” e
di “ relazioni umane”. In definitiva, gli studiosi della concezione dell’organizzazione
basata sulla gestione e sviluppo delle risorse umane (Mc Gregor, Herzberg, Blake,
Mouton, Lawrence e altri) rilevarono l’uomo come risorsa dell’organizzazione che,
come tale, poteva essere gestita/utilizzata più o meno bene. L’obiettivo, allora, diven-
tava la collocazione “al posto giusto dell’uomo giusto”, passando dalla visuale che
individuava la motivazione umana come mezzo per generare produttività ad un’altra
che concepisce la motivazione stessa come conseguenza dell’efficiente impiego delle
risorse, impiego che genera la possibilità di produrre. La risorsa umana diventa, di
conseguenza, oggetto di un’attenzione diversa che genera una serie d’interventi i
principali dei quali sono sottoelencati:
• La realizzazione d’attività formative riguardanti sia gli aspetti tecnico-
specialistici sia quelli manageriali in senso ampio.
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• La formulazione e l’attivazione di piani di mobilità del personale quali ini-
ziative per utilizzare al meglio le risorse.
• La valutazione del personale riguardo alle prestazioni professionali fornite
ed ai meriti conseguenti.
• L’applicazione di piani retributivi tesi a riconoscere i risultati ottenuti indi-
vidualmente quali elementi differenzianti.
• La ricerca e l’utilizzo migliore delle capacità dei singoli attraverso una
maggiore delega e modalità di lavoro partecipative.
1.3.5 L’ORGANIZZAZIONE A TRE LIVELLI DI HERZBERG
Nel processo di revisione e superamento del sistema taylorista ed accogliendo
gli studi di Maslow del 1954 sulla soddisfazione dei bisogni fondamentali, Frede-
rick Herzberg elaborò un nuovo profilo d’organizzazione del lavoro, teso al miglior
utilizzo della risorsa umana, articolato su tre livelli (Herzberg, 1967):
a) Strutturale: il modello funzionale (organigramma e sua gerarchia) deve es-
sere modificato con un modello a matrice basato su risultati da conseguire
vale a dire sul M.B.O. - Management by objectives, (Drucker, 1967).
b) Di processo produttivo: l’organizzazione va fondata sul “Job enri-
chment”, vale a dire sull’arricchimento delle mansioni contro la loro estre-
ma parcellizzazione e specializzazione.
c) Di rapporto capo/dipendente: al controllo sui comportamenti del persona-
le si sostituisce quello sui risultati raggiunti.
1.4 L’AZIENDA COME SISTEMA E LA FORMULAZIONE DELLE
DECISIONI
La critica principale mossa negli anni successivi al Management By Objecti-
ves, concepito agli inizi degli anni ‘70 dal consulente americano Peter Drucker, ri-
guardò la sua visione molto ancorata al breve termine (budget d’esercizio) che limita
la motivazione del management per i risultati di medio/lungo periodo. Sorse, allora,
una corrente di pensiero promossa da Herbert Simon, che si contrappose alle due
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precedenti scuole: quella “classica”, che concepiva l’organizzazione in termini pu-
ramente formali di struttura e di principi, e quella delle “relazioni umane”, che si li-
mitava ad una concezione comportamentistica degli individui e dei gruppi
nell’ambito dell’organizzazione (Simon, 1958).
Per impostare, infatti, uno studio razionale dell’organizzazione aziendale Si-
mon, più che le strutture ed i compiti, propose di indicare le decisioni che ogni uo-
mo, appartenente all’organizzazione stessa, doveva assumere facendo rientrare,
quindi, il processo decisionale fra le metodologie che la scienza dell’organizzazione
si propone di rendere più razionali e programmate possibili (Simon 1977).
L’organizzazione che ne deriva, si presenta come il complesso schema di co-
municazioni e d’altre relazioni che vengono a stabilirsi tra un gruppo d’esseri umani,
ognuno dei quali ha bisogno di una certa quantità d’informazioni, di conoscenza sulle
premesse, sugli obiettivi e sugli atteggiamenti utili per poter prendere le proprie deci-
sioni.
È un’organizzazione che più che tendere ad una divisione “funzionale” delle
attività, in senso orizzontale, è finalizzata a creare una divisione in senso verticale,
come partecipazione dei singoli ai diversi livelli, all’intero processo decisionale a-
ziendale, in altre parole all’intero sistema, inteso quest’ultimo come l’insieme
d’unità, anche diverse, coordinate tra loro ed organizzate in modo da formare un tutto
unico. Gli elementi del sistema organizzativo possono così essere individuati:
1) Confini: definiscono ciò che è all’interno e ciò che è all’esterno del sistema;
i subsistemi sono all’interno e l’ambiente esterno è al di fuori dei confini.
2) Parti: definiscono il contenuto del sistema e comprendono:
le persone (capacità e personalità proprie dei membri dell’organizzazione);
l’organizzazione formale (la combinazione strutturale formale delle persone
e dei compiti);
l’organizzazione informale (riguarda l’interazione delle persone ed i gruppi
informali).
3) Interrelazioni: definiscono le relazioni funzionali tra le variabili del siste-
ma:
variabili indipendenti (spiegano, prevedono e determinano i cambiamenti
nelle variabili dipendenti);
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variabili dipendenti (sono influenzate dalle altre variabili);
parametri (rappresentano le costanti delle equazioni descrittive quali
l’intercetta e la pendenza di una retta).
4) Equilibrio: si riferisce all’equilibrio del sistema:
equilibrio stazionario (il sistema ritorna, dopo che è intervenuto un disturbo,
alla sua precedente posizione);
equilibrio dinamico (il sistema perviene ad una nuova posizione di equilibrio
dopo che è intervenuto un disturbo).
5) Feed back / comunicazioni: meccanismo di coordinamento e di controllo
che permette alle persone che assumono le decisioni di influenzare
l’equilibrio del sistema in una direzione desiderata.
6) Decision makers: individui o gruppi che fissano gli obiettivi.
A questo punto, se si assume quale definizione d’azienda quella di un insieme
d’elementi, fra loro e con il mondo esterno interconnessi, e orientati ciascuno verso
un fine generale, più o meno sentito rispetto al proprio obiettivo particolare, che im-
piega un arco temporale per acquisire informazioni, per decidere, per agire per ot-
tenere un risultato, per controllare quanto conseguito e per modificare il proprio
comportamento, allora l’azienda può essere paragonata ad un organismo vivente.
Al pari di questo ultimo, infatti, sussistono i collegamenti ed i condiziona-
menti con l’ambiente circostante, ma con un grado notevole d’autonomia delle singo-
le “cellule” le cui finalità proprie, a volte, possono essere in rilevante contrasto con
quelle dell’insieme e con tempi di realizzazione molto maggiori.
L’azienda, quindi, è un sistema aperto caratterizzato da input immessi
dall’esterno che, attraverso il richiamo e l’attivazione d’altri elementi all’interno del
sistema stesso, produce gli output per l’esterno, in una visione cibernetica che può,
come di seguito, essere riassunta (Airoldi, 1980):
1) Immissioni:
tecniche (ricerche, progettazione, tecnologie, acquisizione di brevetti, licen-
ze, nuovi macchinari, impianti, materiali, ecc);
economiche e finanziarie (mercati, prodotti, prezzi, fonti di approvvigiona-
mento, capitali, finanziamenti, ecc.);
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sociali (leggi, costumi, mercato del lavoro, uomini, sindacati, situazione poli-
tica, ecc.).
2) Processo:
produzione, vendite.
3) Emissioni:
prodotti, profitti, retribuzioni, conoscenze, immagine dell’azienda, informa-
zioni, ecc..
4) Misurazione:
controllo di perdita, dei costi, del mercato, del personale, finanziario.
5) Comparazione:
elaborazione di dati segnalanti scostamenti dagli obiettivi prefissati.
6) Obiettivi:
risultati prestabiliti.
7) Standard:
di produzione, metodi, vendita, di mercato, ecc..
8) Modelli:
di vendita, di produzione, ecc..
9) Retroazioni:
l’azione della direzione dell’azienda che sulla base dei segnali di divisione
regola le immissioni, ecc..
La pertinenza del concetto d’azienda come sistema aperto può essere assodata
solo se si esamina, in modo sufficientemente analitico, il processo e gli elementi at-
traverso i quali qualsiasi impresa raggiunge uno stato stazionario.
F.E.Emery e E.L.Trist (Emery, 1965), con i loro studi sui sistemi socio-
tecnici, stabilirono che la continuità di un’impresa presuppone un certo scambio re-
golatore di prodotti e/o servizi tra la stessa e le altre imprese, istituzioni e persone
presenti nel suo ambiente esterno.
Le condizioni di regolarità a questo scambio, presenti tanto all’interno quanto
all’esterno dell’impresa stessa, presuppongono che essa disponga immediatamente
delle risorse necessarie allo svolgimento delle proprie attività (immissioni), di una
risorsa lavoro in grado e disposta ad utilizzare e trasformare gli input od a fornire i
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servizi richiesti, ed il saper sfruttare in modo efficiente i propri mezzi organizzando
le azioni della propria componente umana in modo razionale e prevedibile.
Ciononostante la regolarità dello scambio tra l’impresa e l’ambiente può essere
esposta all’influenza di una vasta gamma di mutamenti esterni che si ripercuotono
sui mercati delle materie prime e della manodopera, delle macchine e sulla tecnolo-
gia. L’analisi dei fattori che influiscono sulle capacità di un’impresa di conservare
uno stato stazionario a fronte di tali influenze ambientali, anche di portata più estesa,
conduce ad osservare che:
a) la variazione che l’impresa può sopportare, evitando modifiche strutturali,
riguardo ai mercati su cui vende i propri prodotti, è funzione della flessibili-
tà del suo apparato produttivo, della sua capacità di variare la velocità, di
variare il proprio prodotto finale o la gamma dei propri prodotti;
b) la trasformazione che l’impresa può tollerare in merito ai mercati su cui fa
gli approvvigionamenti è, parimenti, condizionata dalla tecnologia che pos-
siede.
In altre parole, le trasformazioni dei mercati sui quali l’impresa vende posso-
no essere notevolmente ridotte dall’azienda stessa in funzione della propria compe-
tenza specifica e, simmetricamente, l’insensibilità alle variazioni dei mercati d’ap-
provvigionamento dipende dalla propria organizzazione tecnica che, tra l’altro, è
funzione del tipo e dell’entità del personale in forza o, facilmente, reclutabile.
Tra le variazioni degli input e degli output, quindi, non vi è una relazione re-
ciproca ma, secondo il sistema tecnologico impiegato, ingressi diversamente associa-
ti tra loro possono fornire uscite (prodotti/servizi) analoghi e, viceversa, ingressi del
tutto simili, adeguatamente combinati, possono dar luogo a varietà di prodotti finiti
molto diverse tra loro.
Inoltre la tecnologia, rivestendo un ruolo importante nel processo di trasfor-
mazione degli ingressi in uscite e costituendo, pertanto, una delle principali condi-
zioni limitatrici dell’impresa, ne determina le proprietà d’autoregolazione perché e-
lemento mediatore tra i fini aziendali e l’ambiente esterno.
Da situazioni, quali la comparazione, la retroazione ed il controllo degli in-
gressi, la misura delle emissioni, (termini peraltro derivati dalla Teoria dei Sistemi e
dai Controlli Automatici), nasce il processo decisorio, inteso come un’attività speci-
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fica della direzione dell’azienda, atto a regolare il sistema nel suo insieme in funzio-
ne degli obiettivi da perseguire. D'altronde, il progresso tecnologico e quello telema-
tico in particolare, hanno costretto le imprese a rivedere le ipotesi tradizionali di pro-
gettazione organizzativa che consideravano le informazioni, anche se in realtà non lo
costituivano, un problema da risolvere valutandole, invece, un‘opportunità su come
gestire la ridondanza e la trasformazione delle informazioni stesse. In un’impresa, al-
lora, la progettazione delle organizzazioni e la progettazione dell’Information and
Communication Tecnology (ICT) hanno finito, in sostanza, per coincidere e di con-
seguenza l’ICT, oltre che essere una variabile indipendente di cui il management de-
ve tener conto, è divenuta un’opportunità d’innovazione e di sviluppo organizzativo,
entrando nei processi interni e nella gestione delle relazioni con l’esterno all’azienda,
portando a modificare:
il controllo verticale il coordinamento orizzontale
le dimensioni dell’organizzazione i nuovi schemi di relazione
i prodotti chiave la cultura delle comunicazioni
la proprietà ed il controllo
Seppure la tradizionale progettazione delle organizzazioni segue un percorso
partendo dall’aggregazione d’attività, il funzionamento, e conseguentemente il suc-
cesso di un’impresa, dipende, però, non solo dalla congruenza tra ambiente/tecno-
logia, dalle scelte strategiche e logiche d’aggregazione delle attività, ma anche
dall’equilibrio che esiste tra attività e conoscenze disponibili all’interno dell’impresa
stessa. Secondo questa concezione l’organizzazione può essere vista come l’insieme
dei “nodi”, nei quali risiedono le conoscenze/competenze, e dei modi di connessio-
ne tra loro. L’obiettivo della progettazione organizzativa è diventato, così, il facilita-
re e lo stimolare l’attivazione di queste connessioni, assecondando la circolazione
delle conoscenze e la loro combinazione in processi che consentano di innovare le
attività, e se l’utilizzo efficiente di un certo patrimonio di saperi dipende dalla possi-
bilità di avvicinare nodi con esperienze diverse e disperse nel sistema, la progettazio-
ne organizzativa dovrà porsi l’obiettivo di:
catalogare le conoscenze, così come già fatto per le attività, soprattutto in termini di loro posizionamento nel sistema;
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cogliere i “ponti” più rilevanti che consentano di connettere le conoscenze più sinergiche alla creazione di valore (conoscenze interdipendenti);
costituire unità elementari di conoscenze sinergiche;
facilitare l’incontro “occasionale” tra competenze ed esperienza.
In altri termini, di fronte alla sfida delle conoscenze, l’organizzazione deve
chiudere un ciclo tra attività e saperi, superando le probabili resistenze nell’attivazio-
ne delle connessioni dovute in parte alle scelte di divisione del lavoro compiute e
dall’esistenza di conoscenze procedurali che, appartenendo ad una memoria organiz-
zativa di successo, sono difficili da sostituire sia a livello generale (l’organizzazione
nel suo intero) sia a livello locale (le unità, le funzioni). Tornano, pertanto, nonostan-
te l’eccezionale sviluppo tecnologico, la difficoltà di rimozione degli elementi di re-
ciproca diffidenza tra le parti e di costruzione di un codice linguistico, comunemente
compreso ed accettato, proprio perché la divisione del lavoro, seppure parziale, im-
plica profondi processi di differenziazione degli orientamenti cognitivi e dei linguag-
gi specialistici. Si è arrivati, quindi, all’era delle conoscenze, quella contemporanea
del Knowledge Management, la quale più che chiamare in causa la capacità
dell’organizzazione di accumulare conoscenze, stimola l’impresa ad investire nella
realizzazione di meccanismi di cattura delle informazioni, dei saperi impliciti e taciti
e della loro sedimentazione nelle competenze e nelle capacità aziendali, per rispon-
dere ad un bisogno di connessione.
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2. IL TOTAL QUALITY ED IL MIGLIORAMENTO CONTINUO
2.1 L’EVOLUZIONE DELLE ECONOMIE OCCIDENTALI ED I NUOVI
MODELLI ORGANIZZATIVI
A partire dagli anni ‘70, l’organizzazione del lavoro fordista, espressione dei
concetti e metodi tayloristici, avente nella catena di montaggio la sua massima e-
spressione operativa, nonostante gli indubbi vantaggi economici che aveva apportato,
quali il progresso e l’aumento del reddito pro-capite, iniziò a vacillare non riuscendo
più a rispondere adeguatamente alle richieste del mercato.
Infatti, le modalità gestionali adottate quali l’automazione dei processi e la
divisione del lavoro, avevano aumentato le produzioni a livelli di larga scala, sop-
piantando quelle artigianali preesistenti. Inoltre, un’eccezionale fase di sviluppo tec-
nologico e scientifico unitamente alla nascita del consumo di massa, portarono ad un
adeguamento “omologato” alle richieste del mercato.
Era sorto, così, un sistema quasi chiuso al mercato stesso, caratterizzato da
processi cumulativi regolari e prevedibili, che attraverso la standardizzazione,
l’automazione, la specializzazione dei compiti, stabilizzava l’ambiente. Le specifiche
condizioni della domanda e dell’offerta dei primi settanta anni del XX secolo aveva-
no consentito la prevaricazione della logica del prodotto indifferenziato, trovando
una contropartita nella nuova domanda di massa dei consumatori.
Il venir meno di tali condizioni, dovuto alla modesta estensione dei mercati,
all’aumento della varietà della domanda, all’incertezza dei comportamenti umani, u-
nitamente ad un’accelerazione dell’innovazione tecnologica ed alla crescita e globa-
lizzazione della competizione, favorì la nascita di un’era post-fordista.
Negli anni ‘70, quindi, si ruppe l’equilibrio fra accumulazione e situazione
socioeconomica e la domanda dei beni da aggiuntiva, per la saturazione dei mercati,
divenne sostitutiva con un incremento della concorrenza non più incentrata sul prez-
zo ma sulla qualità.
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Le grandi aziende, vincolate dalle teorie tayloriste e con un costo del lavoro
divenuto insopportabile, a fronte di una domanda stagnante non riuscivano ad uscire
da quella congiuntura, mentre quelle di piccola e media dimensione la superarono
sopravvivendo alla crisi.
Il concetto di Total Quality Management ebbe così origine come tentativo di
dare una risposta alle nuove esigenze imprenditoriali per poter affrontare le sempre
più frequenti turbolenze nei mercati, al veloce progresso nella tecnologia, ai cam-
biamenti culturali e sociali che influivano e influiscono tuttora sui comportamenti di
ogni risorsa umana, all’affermarsi di nuovi bisogni.
Il termine “qualità” evoca, senza dubbio, diversi significati a seconda che sia
associato al prodotto, che richiami l’idea di “eccellenza connaturata”, sia riconduci-
bile alla nozione di conformità alle specifiche di produzione, si riferisca alle differen-
ze nelle quantità degli ingredienti posseduti da un medesimo prodotto, rifletta il gra-
do di soddisfazione del cliente, od, ancora, identifichi il problema dei livelli di affi-
dabilità e di precisione delle operazioni di trasformazione in un processo produttivo
ed, infine, costituisca il riferimento all’organizzazione nella sua interezza, all’idea di
“eccellenza” in ogni aspetto delle attività aziendali.
2.2 QUALITÀ ED EVOLUZIONE STORICA
Nella storia del genere umano non vi è una data precisa che consacri l’avvio
dell’approccio alla qualità; pur essendo quest’ultima un fattore d’indubbia rilevanza
in qualsivoglia sistema organizzativo, anche il più arcaico. Se ne trova traccia già
nelle scritture bibliche, sotto la forma dell’interesse comune nell’agire per fare la
“cosa buona e giusta”, anzi vi sono dei testi dell’antichità in cui è citata la stesura, da
parte dei primi “esperti”, di specifiche per il “controllo qualitativo”.
La qualità professionale ha avuto, indubbiamente, una serie d’evoluzioni che
iniziarono, probabilmente, con il regno dei vari capi tribù, re, faraoni, nelle varie par-
ti della terra, ed allora i primi ispettori ebbero, di fatto, lo stesso potere che oggi han-
no i vari enti governativi di controllo, accettando o rifiutando i prodotti e verificando
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la conformità delle specifiche alle norme da loro emanate. Nel 1250 a.c., è riscontra-
bile la prima traccia della Qualità, nell’edilizia, nel Codice di Hammurabi che, al pa-
ragrafo 229, così recitava: “Se un costruttore ha edificato una casa per un uomo ed il
suo lavoro non è stato a regola d’arte tanto che la casa crolla uccidendo chi vi abiti,
il costruttore deve essere ucciso”.
I Fenici avevano, invece, messe in atto delle azioni correttive per la non quali-
tà, a dir poco, singolari e convincenti quali mozzare la mano a chi, ripetutamente,
violava gli standard qualitativi: un’impostazione forse molto efficace anche se cruen-
ta e con conseguenze irreversibili.
Uno dei più antichi documenti che definiva gli standard di qualità, datato in-
torno al 1450 A.C., fu ritrovato in una tomba a Tebe, una delle antiche capitali
d’Egitto, riportante le modalità di come gli ispettori egiziani verificassero la quadra-
tura dei blocchi di pietra con una corda sotto gli occhi dei tagliatori.
Nel 1300 il controllo di qualità ebbe inizio con i padri che aiutavano i figli ad
imparare il proprio mestiere e poi li seguivano via via nell’addestramento, fino ad un
definitivo passaggio di consegne ed anche nel mondo pittorico sono riscontrabili al-
cune tracce laddove artisti come Giotto, Raffaello firmavano opere che erano frutto
di gruppi di lavoro cui loro verificavano la qualità del progetto e dell’esecuzione.
La vera storia della qualità può, però, essere collocata a partire dai primi de-
cenni dell’anno 1900 (Juran, 1997).
2.2.1 IL TOTAL QUALITY CONTROL DI FEIGENBAUM
Il primo ad intendere la qualità in modo assolutamente innovativo, diventan-
done così realmente l’esperto iniziale, è stato il dottor Armand V. Feigenbaum, già
Vicepresidente della General Electric nonchè Presidente e CEO (Chief Executive
Office) della General Systems Company, il quale nel suo primo articolo del 1945, in-
titolato “Quality as a management”, trattò l’applicazione dei principi della qualità al-
le principali funzioni aziendali. La prima edizione del suo libro T.Q.C. (Total Qua-
lity Control) la completò mentre era ancora studente al MIT (Massachusetts Institute
of Technology) ed il suo lavoro fu ben presto scoperto e valorizzato da alcuni studio-
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si del Giappone in concomitanza della visita in quel paese, a fini tecnico-scientifici,
da parte degli studiosi ed esperti americani W.E.Deming e J.M.Juran.
Conseguito il dottorato, Feigenbaum, fu assunto presso la General Electric di
New York per occuparsi di qualità e di costi industriali e pose particolare attenzione
alla valutazione dei “costi della non qualità” ed al relativo coinvolgimento di tutte le
funzioni aziendali.
Il suo pensiero può essere riassunto nella frase: “La Qualità Totale è un sistema
efficace per integrare gli sforzi per lo sviluppo, il mantenimento ed il miglioramen-
to della qualità dei vari gruppi in un’organizzazione, affinché la produzione e
l’assistenza post vendita assicurino, al minor costo, la piena soddisfazione del
cliente” (Feigenbaum, 1991).
Secondo questa concezione la qualità è un compito di tutti che corre però il
rischio di essere da tutti trascurato, ed allora Feigenbaum auspicò la messa in opera
di un “Sistema della Qualità”, ossia di un insieme di procedure e di un flusso costan-
te d’informazioni sulla qualità, sia dall’esterno dell’azienda (consumatori) che da
un’attenta analisi interna sui processi, da integrare nel “Manuale della Qualità”.
2.2.2 IL PLAN-DO-CHECK-ACT DI DEMING
Laureatosi in Ingegneria Elettrica, con perfezionamenti accademici in mate-
matica e fisico-matematica, poi anche docente di controllo statistico presso
l’Università di Stanford, William Edwards Deming (1900-1993) svolse, inizialmen-
te, ricerche di statistica presso la Bell Laboratoires diretti da Walter A. Shewart il
quale nel 1924 inventò, con l’introduzione della prima carta “P”, il controllo statisti-
co della qualità, consentendone la verifica nelle produzioni di massa.
Peraltro, quasi contemporaneamente negli anni ‘30, nel periodo definibile
come la terza svolta nella tecnologia industriale moderna, Waldo Veziau e Joseph
V.Talacko, introdussero il principio della classificazione dei difetti in ordine decre-
scente d’importanza per definire le priorità nel problem solving, ancora oggi ampia-
mente utilizzato e comunemente conosciuto come il Principio di Pareto, costituente
l’ossatura dei programmi d’intervento correttivi.
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Il governo americano, al termine della seconda guerra mondiale, per contri-
buire alla ricostruzione in Giappone delle industrie nel settore delle telecomunicazio-
ni, inviò in quel paese Deming che tenne, dal 1946 al 1948, una serie di conferenze
sulla qualità. Dagli atti di queste conferenze fu tratto un libro e con la rinuncia ai di-
ritti d’autore devoluti allo JUSE (Japanese Union of Scientists and Engineers), fu
consentito il finanziamento del Premio Deming che dal 1951 sarebbe stato conferito,
dapprima solo in Giappone e dal 1986 anche oltreoceano, alle singole persone ed alle
aziende che si distinguono per l’eccellenza conseguita seguendo le logiche della
Qualità Totale. Il gran merito di Deming fu, dunque, quello di aver introdotto e diffu-
so l’orientamento scientifico e la cultura dei dati nel management del paese del sol
levante per mezzo di tre concetti fondamentali (Deming, 1986):
Ragionare con sequenzialità usando il ciclo PCDA (o di Deming).
Usare la statistica prestando molta attenzione alla dispersione dei dati, od al-
la conformità dei fenomeni.
Prevenire, e non riparare, cercando di sostituire sempre al controllo finale il
controllo sul processo.
Una visione, quindi, con una diversa e più diffusa consapevolezza nei con-
fronti della qualità, del controllo simile a quello di una ruota senza fine che si autoa-
limenta. Seguendo il ciclo, riprodotto in figura 3, PDCA, Plan-Do-Check-Action (va-
le a dire progetta, vendi e controlla il risultato sul cliente e poi riprogetta il tuo pro-
dotto per rispondere alle esigenze più stringenti del mercato), di fatto, e ciò avvenne
per il management giapponese, si segue una corretta sequenzialità nei processi men-
tali. Il ciclo PCDA può essere insegnato a qualsiasi persona che deve affrontare e ri-
solvere un problema, per operare come fa lo scienziato con metodo, secondo la de-
scrizione fatta in figura 4. Si deve incominciare con la fase Plan, individuando in-
nanzitutto bene il problema, raccogliendo dati per conoscerlo meglio, per definire gli
obiettivi, per individuare i contorni precisi del problema stesso. Fatto ciò si dovrà
pensare ad un’ipotesi di soluzione mediante lo studio delle relazioni causa/effetto,
definendo le cause prioritarie e poi le contromisure: in altre parole si elabora un dise-
gno, ancora teorico e perciò non convalidato con i fatti, della soluzione del problema.
Passando alla fase Do, si devono condurre delle prove che possano confermare il di-
segno, verificandone la correttezza delle ipotesi, mediante test, da precisare, che an-
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dranno svolti e spiegati alle persone che dovranno eseguirli. Si procede allora al
Check, per confrontare il proprio disegno con il risultato delle prove e, nel caso
d’esito corretto si passa all’Act, per rendere stabile ciò che è stato ottenuto a livello
sperimentale mediante standardizzazione della soluzione e definizione delle condi-
zioni per mantenerla. Nel caso di non conferma del test invece, si dovrà ricominciare
un altro ciclo (Deming, 1994).
A
DC
P
Fig.3 – Ciclo PCDA o di Deming
IMPOSTAZIONE DEL PROGETTO
Identificazionedel problema
Motivazionedella scelta
Definizioneobiettivi
VERIFICARAGG. OBIETTIVI
ATTUAZIONEAZIONE CORRETTIVA
CONFRONTO CONSIT. PARTENZA
PREPARAZIONEMEZZI INTERVENTO
VERIFICATERMINI A.C.
ADDESTRAMENTO PERSONALE
PROGETTAZIONEAZIONI CORRETTIVE
ANALISIDEL PROBLEMA
DOCUMENTAZIONEDELLA SITUAZIONE
C
A
D
P
Programmazioneattività
Utilizzazionedati e fatti
Raccoltadati
Verificaattendibilità
Stratificazionedati
Ricercaaz. correttive
Individuazione az.correttive più efficaci
Progettazioneaz. correttive
Definizionevalutazione risultati
Individuazione effetti negativi Definizione priorità interventi Ricerca cause possibili
Iterazione Verifica cause principali Individuazione cause principali
OBIETTIVO RAGGIUNTO
OBIETTIVO NON RAGGIUNTO
Standardizzazione nuovo metodo Estensione nuovo metodo
Ripetere P.D.C.A.
Fig.4 – Il metodo PDCA applicato alla risoluzione dei problemi
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2.2.3 LA PIANIFICAZIONE IL CONTROLLO IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ
DI JURAN
Come già accennato, in Giappone nell’immediato dopoguerra, oltre a De-
ming, vi andò anche Joseph M. Juran il quale propose/impose al management giap-
ponese un vero “breakthrough”(rottura con il tradizionale) sui temi della Qualità To-
tale. Infatti, anche lui discepolo di Shewhart, per primo affermò che in ogni organiz-
zazione l’85% degli insuccessi andava ascritto al management mentre solo il rima-
nente 15% è addebitabile ai livelli gerarchici inferiori e, pertanto, solo spostando la
logica consueta del management dalla gestione per il controllo a quella per il miglio-
ramento, era possibile superare il problema (Juran, 1988).
In altri termini, la vera “rottura con il tradizionale” risedette nel riuscire a far
scendere al livello più basso possibile della struttura il meccanismo della delega e
dell’assunzione delle responsabilità, al fine di concretare il miglioramento continuo
di tutti i processi aziendali.
In definitiva, Juran completò l’approccio tecnico verso i problemi, promosso
da Deming, riuscendo nell’impresa di convincere la dirigenza giapponese ad assu-
mersi in prima persona la leadership nei confronti dei programmi di qualità, con il
coinvolgimento di tutto il personale e quindi facendo capire a tutti che il fattore più
importante per sviluppare la qualità non sarebbe stato la tecnica, ma un Management
orientato alla qualità.
2.2.4 I CIRCOLI DELLA QUALITÀ DI ISHIKAWA
In Giappone, Deming e Juran ebbero diversi qualificati interlocutori tra i qua-
li si distinsero Ishikawa e Mizuno. Kaoru Ishikawa (1915-1989), autore di numerosi
libri e pubblicazioni, fu Presidente del Musashi Institute of Tecnology a Tokyo, ma è
ricordato, principalmente, per essere stato l’ideatore di quelli che sono stati poi
chiamati i “Circoli della Qualità”.
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Inizialmente, per conto dello JUSE seguì la prima fase d’applicazione (1950-
1954) del controllo statistico SQC (Statistical Quality Control) nelle imprese giap-
ponesi, periodo che fu costellato da una serie d’insuccessi, il che, peraltro, comprova
come il successo del Total Quality non sia necessariamente strettamente connesso al-
la cultura di quel Paese.
Studiando i libri di Shewhart diffuse, nel 1955, il concetto operativo della car-
ta di controllo: gli ostacoli principali che rilevò riguardavano la difficoltà di com-
prensione della statistica e la resistenza nella raccolta dei dati da parte del personale,
la mancanza di standard e la difficoltà a definirli, il timore dei lavoratori d’essere
soggetti a controlli sulla loro produttività da parte dei superiori gerarchici.
Ciò lo convinse che le difficoltà rilevate erano la conseguenza d’alcuni errori
d’impostazione, quali il dare eccessiva importanza ai metodi statistici più complicati
che provocavano timore e rigetto da parte del personale, l’applicazione insufficiente
della standardizzazione pur alla presenza delle norme JIS (Japan Industrial Stan-
dards), l’aver orientato la diffusione del controllo della qualità troppo verso la base
(operai e tecnici) piuttosto che verso i quadri ed i dirigenti, l’associare all’imposta-
zione ed alla realizzazione di un progetto di controllo della qualità costi, tempi, ed
impegno troppo elevati.
Da questi limiti e contraddizioni Ishikawa giunse ad una sua idea di come fare
qualità: “sviluppare, progettare, produrre e fornire assistenza ad un prodotto di qua-
lità che sia il più economico ed il più utile possibile ed in grado di soddisfare il
cliente nel tempo”, che implica, inevitabilmente, un approccio globale con il coin-
volgimento di tutto il personale in un’azione diffusa di continuo miglioramento.
A tale idea della qualità, conosciuta come Qualità Totale alla Giapponese,
associò, inoltre, alcune felici intuizioni (Ishikawa, 1992):
La Qualità Totale incomincia con la formazione e finisce con la formazione.
Ogni reparto/ufficio a valle è il tuo cliente.
In ogni fenomeno vi è sempre un rapporto di causa-effetto (Diagramma di
Ishikawa od a Lisca di Pesce).
Non può esistere una corretta gestione della qualità senza una sincera colla-
borazione tra le persone coinvolte in azienda.
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Proprio per rafforzare nel suo Paese tali concetti e rafforzare i messaggi della
qualità aveva invitato Juran allo JUSE, per far spiegare il ruolo del management nelle
attività di promozione, coinvolgimento e formazione del personale.
La Japanese Union of Scientists and Engineers (JUSE) era stata costituita
come organizzazione privata, nel 1946, da ingegneri ed accademici con il supporto
del governo Nipponico il quale, non disponendo nel Paese di risorse prime, doveva
dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale ricostruire la sua economia che sin
dai primi decenni dell’800 era tutta impostata su scambi commerciali.
Solo attraverso la produzione di manufatti di buona qualità, gli imprenditori
pubblici e privati giapponesi potevano sperare di affermarsi sul mercato vincendo la
competizione con i prodotti delle altre nazioni ma, ciò, presupponeva una revisione e
razionalizzazione dei modi di produrre e, quindi, una nuova generazione di dirigenti.
Oltre ai corsi di formazione imprenditoriale ed al coinvolgimento dei lavora-
tori a tutti i livelli, per supportare meglio le iniziative, fu anche fondato, nel 1962, un
giornale (GEMBA-TO-QC Controllo di Qualità per gli operai ed i Capi) che diffuse,
con un linguaggio il più semplice possibile, le conoscenze relative al controllo stati-
stico di qualità ed alla qualità totale.
Nel mese di aprile del medesimo anno, si svilupparono i primi circoli della
qualità, i “QC Circles Activities”, che rapidamente si diffusero nelle diverse realtà
produttive di tutto il mondo e che solo in Giappone, nel 1989, raggiunsero il numero
di 290.236 con 2.293.557 membri che riconoscevano come loro “guru” Kaoru Ishi-
kawa, il quale, tra l’altro, nel 1978 era stato nominato rettore dell’Università di Tec-
nologia a Tokio.
Proprio dalla cultura dei dati di Deming, dalla convinzione d’Ishikawa, padre
dei “Circoli di Qualità”, di agire in tutti i settori aziendali, dalla nuova concezione di
management di Juran nacque la moderna teoria della Qualità Totale.
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2.2.5 LA QUALITÀ DEI CLIENTI INTERNI ED ESTERNI ALL’ AZIENDA DI MIZUNO
Accanto a Deming, Juran e Ishikawa, gran contributo a questo notevole sfor-
zo tecnico-culturale lo diede, anche, Shigeru Mizuno (1910-1989), attraverso una
nuova ed originale concezione del dirigere le aziende: “Il Management non può esse-
re altro che Management della qualità” (Mizuno, 1992).
Se qualità implica, infatti, massima soddisfazione dei clienti, loro fidelizza-
zione con acquisizione di nuovi e, quindi, mantenimento competitivo dell’azienda
garantendone la sopravvivenza e se, oltre ai clienti esterni, ve ne sono anche quelli
interni per i quali vale un analogo ragionamento, allora “il cliente esterno può essere
soddisfatto solo se la catena del valore dei clienti interni all’azienda a sua volta è
soddisfatta”.
Ciò implica che il management sia costantemente impegnato ad assolvere il
compito di costruire e gestire tali soddisfazioni, sia esterne sia interne, e ne risulta,
pertanto, una concezione del dirigere che muta le tradizionali logiche di gestione a-
ziendale. In quest’ultime, soprattutto tra quelle d’origine “occidentale”, Mizuno ri-
tenne d’aver riscontrato la presenza di un errore essenziale, vale a dire “la priorità
data al profitto mentre in realtà la priorità deve essere rivolta alla massima soddi-
sfazione del cliente esterno attraverso la soddisfazione dei clienti interni”.
La sua proposta allora individuava come obiettivo primario della Qualità To-
tale l’assicurazione che l’acquisto del prodotto o servizio, per il cliente, fosse stato
sempre vantaggioso in modo da soddisfarlo pienamente, e, per perseguire tale finali-
tà, ritenne basilare:
agire nelle fasi dello sviluppo e della progettazione del prodotto (attività di
prevenzione);
assicurare un adeguato controllo sullo stato di avanzamento dei programmi
di qualità (diagnosi del Presidente);
standardizzare al massimo la tecnologia disponibile;
coinvolgere tutti gli enti aziendali verso “l’obiettivo qualità”.
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2.2.6 IL PROGRAMMA ZD DEL QUALITY IS FREE DI CROSBY
Un apporto rilevante sugli atteggiamenti (breakthrought) del management
verso la Qualità Totale è stato fornito anche da Philip B. Crosby (1926-2001), già
Vicepresident ITT, attraverso una serie di libri intitolati “Quality is free” e con con-
tributi soprattutto incentrati sull’eliminazione dei difetti produttivi (Crosby, 1980).
Fin dagli inizi degli anni ‘60, infatti, quando i lavoratori nella maggior parte
delle aziende erano considerati meramente un fattore di produzione ed il problema
della qualità era ancora assolutamente marginale, Crosby iniziò ad applicare il pro-
gramma “Zero Difetti”(ZD), consistente nell’abilità ad ottenere prodotti privi di di-
fetti dando responsabilità agli operai nel produrre, appunto, con qualità.
Iniziò nella fabbrica statunitense Martin Marietta e tal modo di operare, basa-
to sul lavoro in piccoli gruppi, diede luogo ad un vero e proprio movimento, diffusosi
nel decennio 1960-1970, quale programma operativo nelle aziende americane per ri-
durre a zero il numero dei prodotti difettosi, riportando un indiscutibile successo, an-
che perché il Dipartimento della Difesa degli U.S.A. escluse dall’elenco dei propri
fornitori le aziende che non vi aderivano.
Il pensiero di Crosby sulla Qualità Totale può essere condensato nella visione
di un insieme d’atteggiamenti corretti, la cui principale responsabilità è tuttavia del
management, così riassumibili (Crosby, 1996):
Il problema della qualità è un falso problema.
La qualità è conformità, non eleganza.
La qualità non costa se si lavora bene sin dalla prima volta.
La misura del rendimento è il costo della qualità.
L’unico standard ammissibile è “zero difetti”.
Dopo un decennio di successo, il movimento ZD perse, progressivamente, la
carica propulsiva poiché sostanzialmente confidava sulla buona volontà dei singoli e
non su un reale insegnamento degli strumenti della qualità, si basava su uno scrupo-
loso rispetto degli standard operativi i quali per loro natura non sono mai perfetti e
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richiedono in ogni caso esperienza, non modificava l’approccio tayloristico perché
erano gli ingegneri a fissare gli standard lavorativi e le specifiche tecniche mentre gli
operai si limitavano ad applicarli ed, infine, a causa dell’assenza di una visione cen-
trale del Governo americano che promuovesse il movimento ZD a livello nazionale.
Di quel periodo, ad ogni modo, rimangono il frutto delle ricerche nel campo
delle leggi statistiche e matematiche con applicazione nel mondo industriale, avviate
in precedenza in GranBretagna da Sir Ronald Fisher e sviluppate negli U.S.A. duran-
te il secondo conflitto mondiale, sulla raccolta delle informazioni per avere un bene
di qualità
2.3 LA QUALITÀ ALLA GIAPPONESE
L’impegno del Juse e gli insegnamenti di Ishikawa e Mizuno hanno
portato, in Giappone, alla sviluppo di un “filone” di sviluppo della qualità ecceziona-
le sul piano dei risultati poi conseguiti e, sicuramente, degno di menzione ed appro-
fondimento per i notevoli contributi apportati sotto i profili tecnici, organizzativi ed
anche etici. Pertanto, pare doveroso ancora citare, tra i numerosi discepoli di questa
“scuola giapponese”, perlomeno quattro studiosi-esperti di qualità per l’importanza
ed, a volte, la novità assoluta d’alcuni loro apporti.
2.3.1 IL CEDAC DI FUKUDA
Un contributo di specifico contenuto tecnico all’evoluzione del controllo di
qualità si deve anche a Ryuji Fukuda, per molti anni dirigente alla Sumitomo Elec-
tric Company, in virtù del suo studio dell’Industrial Engineering Improvement ed
un’accurata metodologia per la riduzione dei difetti, il Cedac (Gibertoni, 1998).
Cedac è l’acronimo di Cause and Effect Diagram with the Addition of
Cards e quindi significa diagramma causa-effetto con l’aggiunta di cartellini: di fat-
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to è un digramma a lisca di pesce di Ishikawa di tipo dinamico, particolarmente adat-
to per la gestione a vista dei problemi e per il lavoro in gruppo.
Il Cedac, tenuto conto della sua estrema semplicità accanto alla notevole effi-
cacia, ha consentito a Fukuda di vincere il “Premio Individuale Deming”.
2.3.2 I SETTE STRUMENTI DI KUME
Hitoshi Kume, docente universitario riconosciuto universalmente quale erede
di Ishikawa, ha fornito un importante contributo per rendere facile il linguaggio della
statistica attraverso sette strumenti. Nella sua impostazione solo il 5% dei problemi
aziendali può essere risolto ricorrendo a complessi metodi statistici che devono esse-
re patrimonio degli ingegneri e degli specialisti della qualità. Il restante 95% dei
problemi può essere risolto dagli stessi operai attraverso sette strumenti che preferi-
scono la semplicità d’uso e interpretativa. Essi sono:
Fogli Raccolta Dati;
Istogrammi;
Stratificazione;
Analisi di Pareto;
Diagrammi Causa-Effetto;
Diagrammi di Correlazione;
Carte di Controllo.
2.3.3 IL QUALITY FUNCTION DEPLOYMENT DI AKAO
A Yoji Akao si deve lo sviluppo di un modello integrato che rappresenta lo
sviluppo e la progettazione dei nuovi prodotti e servizi, secondo i concetti della Qua-
lità Totale denominato QFD (Quality Function Deployment). In sintesi, impiegando
il metodo QFD, la “voce” del cliente esterno all’azienda è portata entro i processi a-
ziendali assicurando in tal modo che la qualità sia “incorporata” nel prodotto sin dal-
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le fasi di sviluppo e progettazione. Siccome l’elemento principale di riferimento della
qualità è il cliente, l’intera azienda deve essere orientata al cliente e ciò sarà possibile
solo se si “ascolta la voce” del cliente (ascoltando, comprendendo ed individuando i
suoi bisogni) orientando in tal modo tutti i processi e tutte le attività di sviluppo
dell’azienda (Akao, 1990).
2.3.4 IL KAIZEN DI IMAI
A Masaaki Imai si deve, invece, l’approccio al miglioramento continuo de-
nominato in giapponese “Kaizen”. Egli, ora consulente di management, sulla base
dell’esperienza acquisita grazie ad un’intensa attività nelle aziende giapponesi e
presso lo Juse, ha sviluppato e razionalizzato l’approccio al miglioramento continuo
che è conseguibile solo attraverso un profondo cambio culturale di tutta l’azienda. Il
Kaizen, racchiudendo tutti gli approcci di base del Total Quality, crea una netta di-
stinzione tra le attività di mantenimento degli “standards” e le attività di migliora-
mento: per mantenere occorre standardizzare mentre per migliorare bisogna conosce-
re e creativamente proporre. Ne discende la necessità di organizzare un sistema di
raccolta e suggerimenti che, attraverso l’attività dei gruppi di miglioramento, recupe-
ri la creatività di tutto il personale ed un sistema di corretta valutazione degli sforzi
che il personale mette in atto nella ricerca del miglioramento stesso, valutazione che
non può essere disgiunta da un’analisi obiettiva del loro impatto sul risultato finale.
In definitiva la Total Quality non è una semplice estensione del concetto tradizionale
di conformità agli standards, ma una logica manageriale nuova per la gestione com-
plessiva del sistema impresa (Imai, 1997).
Partendo da Feigenbaum, che considerava la Total Quality una forza capace
di sviluppare un intero Paese rendendolo più dinamico e competitivo sui mercati in-
ternazionali, proseguendo con Deming e Ishikawa ed il loro pensiero razionale che
ha soddisfatto le esigenze tecnico scientifiche, continuando con Juran, Crosby, Imai e
le loro indicazioni sulla necessità di una gestione coinvolgente del personale, si arri-
va ai tempi odierni, arricchiti dall’esperienza storico culturale accumulata che sche-
maticamente può essere rappresentata con la piramide di figura 5 rappresentante i va-
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ri approcci al Total Quality. È un percorso che ha visto evolversi il concetto tradizio-
nale di qualità legato alla conformità ed agli standards al concetto più ampio di misu-
ra del grado di soddisfazione del cliente sicché la qualità può essere intesa come la
capacità di un prodotto o di un servizio di soddisfare totalmente, puntualmente ed ad
un costo economicamente vantaggioso le esigenze del cliente, grazie ad un processo
industriale (prodotto) od ad un’organizzazione (servizio) in grado di erogare valore
atto soddisfare il cliente.
OPERAI
CAPIQUADRI INTERMEDI
INGEGNERIe
SPECIALISTI QUALITÀ
MIDDLEMANAGEMENT
TOPMANAGEMENT
ISHIKAWADEMINGJURAN (Management) 54-60
JURAN (Psicologia) 54-60
DEMING (Statistica) 50-51
ISHIKAWA (Total Quality) 1962
KUME (Seven Tools) 1970
IMAI(Miglioramento continuo)
FEIGENBAUM(Sistema Qualità)
FUKUDA(Cedac) 1982
MIZUNOTotal Quality
VOCE DEL CLIENTE
AKAO(QFD)
Fig.5 - La piramide dei vari approcci al Total Quality (fonte Gibertoni, 1998)
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2.4 LA QUALITÀ IN EUROPA
2.4.1 I PRECURSORI DELLA QUALITÀ EUROPEA
Si è già detto, nei paragrafi precedenti, dell’oggetto di specifico interesse per
la fabbricazione di un prodotto affidabile nel ventennio 1950-1970 negli Stati Uniti
d’America ed in Giappone: anche in Europa, in quegli stessi anni, cominciarono a
manifestarsi analoghi tentativi di ricerca di nuovi modelli di gestione.
Nel 1947, gli U.S.A. proposero nei paesi europei un’assistenza economica per
aiutarli a ricostruire le varie economie nazionali devastate e distrutte dagli eventi bel-
lici: questo piano è noto con il nome di Piano Marshal, che fu diversamente utilizza-
to dalle singole nazioni.
Alcuni governi, come quello Francese, sapientemente intesero che gli aiuti
economici a nulla sarebbero serviti se non accompagnati da un intervento propositivo
e di miglioramento professionale sul management, quindi in Francia, sin dal 1950, fu
creato un Ufficio della Produttività e furono costituite associazioni che promuoveva-
no convegni, collaboravano con le strutture universitarie, offrendo premi ed incenti-
vi. Le Università Francesi stabilirono contatti con la Columbia University e compre-
sero l’importanza di mettere la statistica al servizio dell’impresa: nel 1957 nacque
l’AFCIQ, un’associazione con l’obiettivo di sviluppare la gestione della qualità nel
Paese come sostegno alle aziende pubbliche e private.
Negli ultimi 30 anni vi è stato, poi, un fiorire d’iniziative d’associazioni spe-
cialistiche per insegnare la gestione della qualità quali l’AFNOR, l’AFQ, l’ANAV e,
per ricompensare il lavoro degli esperti impegnati nello sviluppo e nella promozione
della metodologia della qualità, nel 1984, fu istituito un premio intitolato a Georges
Borel. Quest’ultimo, assieme all’ingegner Valèri Cantarelli, ha sviluppato in tempi
relativamente recenti il tema della democrazia nell’impresa quale condizione indi-
spensabile per la diffusione della qualità.
La GranBretagna ha avuto un ruolo molto incisivo nello sviluppo delle leggi
statistiche e matematiche applicate al mondo industriale, con caposcuola il già citato
Sir Ronald Fisher (1890-1962), le cui metodologie sono state adottate dalla maggior
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parte dei paesi nel campo dell’agricoltura, della biologia e dell’industria. Un altro
studioso inglese, K. Paerson, ha avuto il merito di sviluppare le teorie e le idee di
Galton sulla regressione e sulla correlazione e di diffondere le ricerche di Shewhart
nel campo industriale.
In Germania è sta fatta un’opera di promozione di metodi e tecniche per la
qualità fin dai primi anni ‘50 con la nascita, nel 1952, dell’Associazione Tecnica-
Professionale Tedesca (D.G.Q.), distintasi per essere all’avanguardia in Europa per la
formazione di managers e tecnici ad ogni livello. Il proprietario di una nota azienda
elettronica tedesca, il professor V.Masing, è stato il leader storico del movimento
della qualità in quel Paese sia per le sue attività promozionali che per l’impegno tec-
nico-scientifico.
2.4.2 I PRECURSORI DELLA QUALITÀ IN ITALIA
Anche in Italia s’iniziò a parlare di qualità negli anni ‘50 ma limitatamente
agli aspetti meramente statistici anche se già nel 1955 nasceva l’Associazione Italia-
na per il Controllo della Qualità con la finalità di diffondere il controllo statistico del-
la qualità nelle aziende italiane. Negli anni ‘70, il periodo della crisi energetica, al
pari di quanto avveniva nel resto del mondo avanzato, iniziarono a diffondersi i prin-
cipi della qualità nelle grandi aziende, passando dal controllo statistico all’assicura-
zione della qualità, anche se alcune esperienze pionieristiche fallirono per svariati
motivi (improvvisazione, resistenza al cambiamento, giochi di potere). Emblematico
l’esempio dell’Alfa Sud e dell’Arna (Alfaromeo-Nissan): in queste realtà aziendali
un ingegnere, V. Cantarelli, proveniente dalla Francia e docente di Qualità alla Fa-
coltà d’Ingegneria a Bari, provò ad introdurre dove operava tematiche molto avanza-
te, che però la casa madre di Arese bocciò inesorabilmente, non sopportando
l’innovazione.
Negli anni ‘80, alcuni grandi gruppi aziendali, quali Fiat, Olivetti, Pirelli, Te-
lettra, accelerarono alcuni processi sulla Qualità ma in un contesto ancora elitario e
con scarso raccordo all’ambiente esterno a quelle stesse aziende.
In quegli anni iniziarono a nascere nel settore dei servizi i Circoli della Quali-
tà, metodologia partecipativa che era surrettiziamente proposta come Qualità Totale.
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Finalmente a partire dagli anni ‘90, consolidate le esperienze del Controllo Totale
della Qualità e dell’Assicurazione della Qualità, si diffusero i Sistemi Dinamici della
Qualità che toccavano, tra l’altro, obiettivi di miglioramento continuo e tematiche es-
senziali quali la centralità del Cliente interno (Risorse Umane) e del Cliente esterno
(fase attuale). Ad oggi, secondo alcuni autorevoli autori (Gibertoni, 1998), la Total
Quality va considerata la madre della moderna scienza manageriale in quanto nella
sua evoluzione ha avuto il pregio di mutuare, con umiltà, da altri ambiti conoscitivi
(statistica, matematica, ingegneria, psicologia) concetti, metodologie e strumenti o-
perativi conciliando le esigenze tecnico-scientifiche del pensiero razionale con quelle
di una gestione coinvolgente. Il management che sviluppa un progetto di Total Qua-
lity deve, quindi, tener conto dei due orientamenti metodologici appena descritti, la
cui rappresentazione schematica è riportata in figura 6.
TOTALQUALITY(DUPLICE APPROCCIO)
APPROCCIOPSICOLOGICO
APPROCCIOINGEGNERISTICO
ORGANIZZAZIONEPER LA QUALITÀ
MOTIVAZIONEE
COINVOLGIMENTO
STATISTICAE
STRUMENTI DIPROBLEM SOLVING
MIGLIORAMENTOCONTINUO
Fig.6 - Il Duplice Approccio al Total Quality (Gibertoni, 1998)
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Alla fine di questo “escursus” storico, la definizione di Qualità Totale che
può trarsi è quella di: un’intensa attività interna all’azienda di coinvolgimento del
personale nel miglioramento continuo finalizzato a creare più valore nei prodotti o
servizi erogati, al fine di soddisfare il cliente, i dipendenti ed il sistema azienda nel
suo insieme.
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3. GESTIRE LA QUALITÀ
3.1 MANAGEMENT E QUALITÀ
Nei capitoli precedenti si è ripercorsa, storicamente, l’evoluzione che ha ca-
ratterizzato lo sviluppo delle concezioni e, conseguentemente, dei modelli organizza-
tivi nonchè quello dell’approccio alla qualità, notando, già in quell’ambito, le strette
correlazioni tra loro esistenti e come, specificatamente, l’evoluzione storica al quality
management sia il riflesso di una graduale estensione dell’idea iniziale di qualità, ba-
sata sul concetto di conformità del prodotto ai requisiti tecnici e, intrinsecamente,
connessa al problema della sicurezza e dell’idoneità all’uso dei beni. Si è visto come
tale estensione abbia portato all’espressione qualità totale, sintesi estrema del “gran-
de contenuto concettuale che caratterizza la visione moderna della qualità” (Conti,
1992).
È possibile allora, oltrechè utile, inserire i cambiamenti intervenuti nelle mo-
dalità di concettualizzazione e di gestione della qualità in un percorso evolutivo con-
traddistinto, dal punto di vista logico, da quattro fasi fondamentali che rappresentano
il livello di sviluppo e il grado di sofisticazione del quality management (Biazzo e al-
tri, 2000):
1. L’ispezione.
2. Il controllo qualità.
3. L’assicurazione qualità.
4. Il Total Quality Management.
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3.1.1 L’ISPEZIONE
Il livello dell’ispezione si rifà ad una logica di gestione della qualità costruita
sulla verifica della conformità alle specifiche di una o più caratteristiche del prodot-
to, mediante misurazioni, esami, prove collaudi.
I sistemi di gestione della qualità basati sull’ispezione sono di tipo reattivo,
infatti, ciò che non è conforme deve essere scartato, rilavorato, riparato o declassato
e, quindi, intervengono a fenomeno, ad incidente avvenuto e, pertanto, non possono
apportare miglioramenti nella qualità bensì si limitano ad evidenziarne l’assenza. In
tal modo la qualità diventa un “problema da risolvere” e l’impegno principale risiede
nella ricerca di tempestive soluzioni atte ad evitare, nel limite del possibile, la forni-
tura ai clienti di prodotti non idonei all’uso e non sicuri.
Per tali motivi in tali sistemi vi è proprio l’assenza organica di un orienta-
mento alla ricerca creativa e sistematica delle cause della non qualità.
3.1.2 IL CONTROLLO QUALITÀ
Il livello del controllo qualità è l’espressione di un ampliamento, rispetto al
livello precedente, dell’oggetto di riferimento del quality management, caratterizzato
dal passaggio dell’attenzione principale dal prodotto al processo di produzione.
Il presupposto è che il “collaudo è uno stato di necessità quando la process
capability della lavorazione non è in grado di garantire un prodotto in specifica”
(Compagno, 1999), quando, in altre parole, la potenzialità di un processo produttivo
di operare uniformemente entro una data banda di tolleranza non è, appunto, garanti-
ta. Allora il sistema di qualità che ne consegue è focalizzato sugli sforzi per lo svi-
luppo di processi di produzione maggiormente affidabili e stabili, superando la ne-
cessità dell’ispezione e concentrandosi, piuttosto, sulla ricerca sia delle cause della
variabilità sia degli accorgimenti atti ad evitarla.
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3.1.3 L’ASSICURAZIONE QUALITÀ
Il livello dell’assicurazione qualità è contraddistinto da un’ulteriore estensio-
ne del campo d’azione ed attenzione che dai processi di lavorazione è portato
all’insieme delle attività che ruotano attorno al prodotto.
A quest’ultimo è associato un ciclo di vita strettamente correlato a quel sotto-
sistema aziendale inglobante la progettazione del prodotto e del processo produttivo,
la gestione della produzione e della logistica in ingresso ed in uscita, la commercia-
lizzazione e le attività d’assistenza.
Il sistema di qualità di tale livello deve consentire allora, sia all’organizza-
zione aziendale sia alla clientela, un’adeguata dimestichezza del rispetto di determi-
nate specifiche o requisiti formalmente espressi con un approccio proattivo poiché
gli impegni profusi sono indirizzati non sulla rimozione reattiva della “non qualità”
quanto sulla prevenzione degli “incidenti”, mediante la progettazione di un sistema
di qualità formale che diminuisca l’eventualità d’origine delle non conformità.
Si è ancora in uno stadio di concettualizzazione della qualità quale problema
da risolvere la cui natura, però, non è più quella di ricerca di soluzioni immediate per
impedire la consegna ai clienti di prodotti non pienamente rispondenti, quanto piutto-
sto progettuale d’aspetti tecnici e organizzativi.
3.1.4 IL TOTAL QUALITY MANAGEMENT
Il livello del Total Quality Management (TQM), traducibile in italiano con
l’espressione “gestione della qualità totale” o, come suggerito dalla norma UNI ISO
8402 (1995), “gestione totale per la qualità”, è identificabile come quell’approccio
alla gestione della qualità caratterizzato, tra l’altro, da due aspetti:
L’accrescimento dell’oggetto di riferimento dal prodotto, e tutto il suo ciclo,
all’intera azienda, con tutte le sue attività.
L’arricchimento della nozione di prevenzione delle non conformità con il
concetto di miglioramento continuo delle prestazioni finalizzato alla soddi-
sfazione del cliente.
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La qualità così concepita e implementata diventa, allora, un potente elemento
di competitività piuttosto che un problema da risolvere, e ciò malgrado non si sia an-
cora pervenuti ad un’unica definizione di TQM sia in letteratura (Gehani, 1993; Mar-
tinez-Lorente ed altri, 1998) sia a livello impresa, laddove le iniziative per introdurre,
sviluppare e praticare la gestione totale per la qualità, sono state improntate, spesso, a
proprie interpretazioni. Può essere utile, allora, richiamare alcune di queste defini-
zioni:
“Il Total Quality Management (TQM) è un tentativo strutturato di rifocaliz-
zare il comportamento organizzativo, la pianificazione e le pratiche lavora-
tive secondo dei valori che esprimono una cultura aperta e non punitiva, ca-
ratterizzata dal rispetto del dipendente, dall’enfasi sul problem-solving e
dall’orientamento al cliente. Inoltre, le pratiche organizzative sono basate
sulla ricerca del miglioramento continuo, sul decentramento delle responsa-
bilità decisionali, sulla rimozione delle barriere funzionali, sullo sradica-
mento delle cause d’errore, sul lavoro di gruppo e sui processi decisionali
basati sui fatti” (Ghobadian e Gallear, 1996).
“Il Total Quality Management (TQM) è una filosofia di gestione che ab-
braccia tutte le attività attraverso le quali i desideri e le aspettative dei clien-
ti e della comunità e gli obiettivi dell’organizzazione sono soddisfatti nel
modo più efficiente, massimizzando il potenziale di tutto il personale in una
continua ricerca del miglioramento” (BS 4778-2 British Standards Institu-
tion).
“Il Total Quality Management (TQM) è un modo di governo di un’organiz-
zazione incentrato sulla qualità, basato sulla partecipazione di tutti i suoi
membri, che mira al successo di lungo termine ottenuto attraverso la soddi-
sfazione del cliente, e comporta benefici per tutti i membri dell’organiz-
zazione e per la collettività” (Norma UNI ISO 8402, 1995).
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3.2 CULTURA ORGANIZZATIVA E PRINCIPI DI MANAGEMENT
3.2.1 ORGANIZZAZIONE E CULTURA
Al paragrafo1.4 del capitolo 3, nelle tre definizioni di Total Quality Manage-
ment riportate, compaiono le dizioni cultura aperta, filosofia di gestione, governo
di un’organizzazione, che richiedono un adeguato approfondimento.
Studiare un’organizzazione significa studiarne la cultura: è uno degli orien-
tamenti, cosiddetti, morbidi all’organizzazione, sviluppatisi a partire dalla seconda
metà degli anni ‘70, che privilegiano aspetti culturali, simbolici, riflessivi e processi
di conferimento di senso.
Tali approcci trovano spazio in virtù del declino degli strumenti di controllo
burocratici e dallo sviluppo di quelli che mirano all’interiorizzazione dei valori, non-
ché dalla critica agli approcci “hard”, che privilegiano lo studio degli aspetti struttu-
rali (teorie contingentiste), e dallo sviluppo dei metodi di ricerca qualitativi.
Nel modo d’esprimersi abituale, alla parola cultura possono essere attribuiti
molteplici quanto diversi significati quali acquisizione di sapere, istruzione, scienza,
patrimonio di conoscenze, civiltà, clima intellettuale.
L’etimologia del termine riconduce alla probabile traslazione metaforica del
concetto di coltivazione, ossia del processo di sviluppo e cura del terreno (Morgan,
1986), e pertanto quando si fa riferimento alla cultura di un popolo ed alle caratteri-
stiche culturali che connotano un gruppo sociale rispetto ad un altro, probabilmente
ci si riferisce agli aspetti più profondi di quella stessa realtà.
Passando ad uno specifico tipo di cultura, quella organizzativa, la possiamo
intendere come un particolare “stile di vita” di un’organizzazione (Hatch,1997) e ve-
derla “Come una colla che tiene insieme l’organizzazione attraverso la condivisione
di schemi di significato. La cultura consiste nei valori, nelle credenze e nelle aspetta-
tive che i membri si trovano a condividere” (Siehl e Martin, 1984).
Edgar Schein, psicologo sociale contemporaneo, ha concepito una delle teo-
rie più rilevanti della cultura organizzativa intesa come l’insieme coerente d’assunti
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fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad
affrontare i suoi problemi d’adattamento esterno e d’integrazione interna. Tali assun-
ti, se funzionano abbastanza bene, possono essere considerati validi per la soluzione
di nuovi problemi, e poiché validi possono essere insegnati ai nuovi membri come il
modo corretto di percepire, pensare e sentire riguardo a quei problemi. Vari elementi
sono contemporaneamente presenti nel concetto di cultura organizzativa e, riferendo-
si ad un livello aziendale, possono essere così riassunti:
I comportamenti usati regolarmente quando le persone interagiscono.
Le norme che si sviluppano nei gruppi di lavoro.
I valori dominanti in un’organizzazione.
La filosofia che guida la politica aziendale verso i dipendenti od i clienti.
Le regole del gioco per rimanere all’interno dell’organizzazione.
La sensazione o atmosfera che l’organizzazione comunica tramite l’aspetto
e le modalità di interazione tra gli attori organizzativi o tra loro e altri sog-
getti esterni.
Dal fatto che la cultura organizzativa sia l’insieme degli assunti fondamentali,
ne consegue l’importanza di distinguere tra ciò che riflette una determinata cultura da
ciò che invece corrisponde all’essenza della cultura stessa. Tale distinzione, deter-
minante per conoscere la cultura stessa, richiede di procedere attraverso tre livelli
d’analisi, che corrispondono a tre gradi differenti di visibilità e di difficoltà di deco-
dificazione (Schein, 1985):
1. Gli artefatti: sono le cose immediatamente osservabili di una cultura, quali
l’ambiente fisico e sociale, visibili materialmente ma di difficile interpreta-
zione (layout uffici, schemi di comunicazione, norme di ricompen-
sa/punizione, manifestazioni verbali quali storie e miti aziendali).
2. I valori: sono le convinzioni (di base) tanto profonde che non è necessario
spiegarle giacché date per scontate o i discorsi manifesti (espliciti) fatti cir-
colare dai leader, entrambi non direttamente osservabili ma che possono es-
sere portati alla luce analizzando le spiegazioni e le giustificazioni che le
persone danno del loro comportamento e quindi definiscono ciò che è rite-
nuto importante, rappresentando i principi che guidano le azioni.
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3. Gli assunti: sono ciò che i membri di un’organizzazione accettano, spesso
automaticamente e inconsciamente, come verità e quindi devono avere una
loro coerenza interna e rappresentano le risposte a questioni fondamentali
quali la natura delle relazioni umane (La vita è competizione o collabora-
zione? Il rapporto organizzazione-ambiente deve essere di dominazione o di
conciliazione? L’uomo deve essere controllato o motivato o si dà autono-
mamente delle motivazioni e pertanto va guidato e non controllato?).
Il luogo della cultura è il gruppo (riduzione dell’ansia, storia comune, risolu-
zione di problemi, adattamento all’ambiente esterno, integrazione interna) che pro-
duce spontaneamente una continua tensione tra conservazione ed innovazione. In
definitiva la cultura influenza l’azione e le scelte degli individui che, come membri
di un gruppo, aderiscono, con intensità “fisiologicamente” diverse ad un certo insie-
me di valori da cui discendono norme e codici comportamentali riconosciuti. Studia-
re la cultura, allora, significa focalizzarsi sui processi di socializzazione dei nuovi
membri, sulle risposte date ad eventi critici nella storia dell’organizzazione, sulle a-
nomalie o sui tratti sorprendenti osservati nel corso dell’evoluzione mentre studiare
le culture significa studiare le leadership.
3.2.2 LA TEORIA DELLA GENESI DEI VALORI ORGANIZZATIVI
Si è appena visto che studiare la cultura significa focalizzarsi sui processi di
socializzazione di nuovi membri, sulle risposte date ad eventi critici nella storia di
un’organizzazione.
Si deve al professor Pasquale Gagliardi, docente di Sociologia dell’Organiz-
zazione presso l’Università Cattolica di Milano nonché Amministratore Delegato
dell’ISTUD e Segretario Generale della Fondazione Giorgio Cini, uno schema inter-
pretativo (Gagliardi, 1986) particolarmente interessante della genesi dei valori orga-
nizzativi, secondo il quale l’apprendimento dei valori è una “idealizzazione di e-
sperienze collettive di successo nell’esercizio di una competenza”.
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Allora un’opinione, una credenza, una teoria o una “regola del gioco” diven-
tano valori (cioè qualcosa che non si mette in discussione, che è intrinsecamente ve-
ro e giusto) quando i comportamenti, da essi ispirati, risolvono i problemi esistenti.
Dalla concezione della cultura quale insieme di valori e d’assunti condivisi
dai membri di un’organizzazione, ne discende la prevedibile difficoltà di modifica-
zione degli stessi giacchè, in quanto valori, rientrano tra ciò che le persone non sono
disponibili a mettere in discussione con la conseguenza che la cultura risulta struttu-
ralmente contraddistinta da un’elevata rigidità.
Quanto esposto riveste particolare rilevanza sui modi d’interpretazione dei
“principi chiave” che sono proposti da studiosi, esperti di settore e manager per i-
dentificare il Total Quality Management, poiché evidenzia come tali principi rappre-
sentino la specificazione (anche se parziale) di una ben determinata cultura organiz-
zativa, vale a dire quell’insieme di valori che si ritiene debbano essere condivisi dai
membri dell’organizzazione per poter effettivamente realizzare una “gestione totale
della qualità”.
Il meccanismo psicologico dell’idealizzazione, che descrive il superamento
dell’accettazione razionale di certi fenomeni con l’identificazione emotiva con i va-
lori, così come descritto dalla teoria della genesi dei valori organizzativi, è assoluta-
mente decisivo per comprendere le problematiche dei cambiamenti organizzativi in
generale e, pertanto, anche di quello specificatamente rivolto al Total Quality
Management. Particolare rilevanza assumerà, infatti, quanto appena rappresentato nel
caso in cui il modello di gestione della qualità adottato agisca contestualmente sui
diversi momenti del ciclo di gestione delle basi di conoscenza dell’impresa:
l’arricchimento e la creazione, la diffusione e l’utilizzo. La qualità può essere inter-
pretata come meccanismo di creazione, di diffusione e d’utilizzo di conoscenza or-
ganizzativa solo in quanto si configuri, prima di tutto, come strumento di conversio-
ne di conoscenze tacite ed individuali in conoscenze organizzative. In tal caso la qua-
lità va analizzata come un importante strumento d’interazione tra due tipi di cono-
scenza, quella tacita e contestuale, fortemente radicata nell’esperienza individuale, e
quella esplicita, rappresentata e contenuta in artefatti organizzativi (norme, procedu-
re, schemi, modelli).
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3.3 IL NUCLEO CONCETTUALE DEL TOTAL QUALITY MANAGE-
MENT
3.3.1 I PRINCIPI DEL NUCLEO CONCETTUALE DEL TQM
Come già accennato in precedenza, non si è ancora pervenuti ad un’unica de-
finizione di TQM sia in letteratura sia a livello impresa giacchè le iniziative per in-
trodurre, sviluppare e praticare la gestione totale per la qualità, sono state spesso im-
prontate a proprie interpretazioni. Ne consegue che il voler seguire un percorso, rigo-
roso e coerente, d’individuazione dei principi costituenti il TQM, implica, necessa-
riamente, l’esplorare i contributi che alcuni autorevoli studiosi e ricercatori della
scienza manageriale hanno prodotto al riguardo, e di cui di seguito se ne riportano le
conclusioni più aderenti alle finalità prefissate del presente studio.
Si può iniziare dalla visione secondo la quale il TQM deve essere interpretato
come il lancio di una sfida ai metodi invalsi di management ed alle teorie che ad essi
soggiacciono: è un paradigma che può essere riassunto nei seguenti punti (Grant e
altri, 1994):
L’obiettivo fondamentale dell’organizzazione è di servire i bisogni dei
clienti attraverso la fornitura di prodotti e servizi con la più alta qualità pos-
sibile.
Gli individui sono motivati da obiettivi, di carattere economico, sociale psi-
cologico, legati all’autorealizzazione ed all’accettazione sociale.
La sopravvivenza dell’impresa è legata alla capacità d’innovazione e di mi-
glioramento continuo e non alla capacità d’ottimizzazione statica (massi-
mizzazione dei ricavi e minimizzazione dei costi nel breve periodo).
I dipendenti sono affidabili ed esperti nel loro lavoro e, quindi, possono au-
togestirsi (self-management).
L’informazione non rappresenta uno strumento di controllo manageriale, ma
un mezzo essenziale e necessario per l’autogestione, per il coordinamento
orizzontale e per la ricerca del miglioramento continuo.
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L’impresa è una catena di processi sistemici (“attività che utilizzano risorse
per trasformare elementi di ingresso in elementi in uscita”) il cui punto fina-
le è il cliente.
I confini di un’organizzazione sono sfocati (i fornitori ed i clienti sono in-
terpretati come partner dell’impresa).
Di seguito un secondo contributo (Spencer, 1994), relativo al livello dei prin-
cipi sottesi ad un modello manageriale, finalizzato ad identificare l’essenza concet-
tuale del TQM:
Obiettivo: la priorità dominante dell’impresa è l’accrescimento della qualità,
in quanto da essa dipende l’efficacia e la sopravvivenza nel lungo periodo; il
miglioramento della qualità può ridurre i costi anziché farli aumentare e può
facilitare il conseguimento di altre richieste ed obiettivi.
Definizione di qualità: qualità significa soddisfare o deliziare il cliente. Tut-
te le iniziative volte a migliorare la qualità devono iniziare con la compren-
sione dei bisogni e percezioni dei clienti.
Ruolo/natura dell’ambiente: il TQM rende indistinti i confini tra
l’organizzazione ed il suo ambiente. Entità prima ritenute “esterne” (come
ad esempio fornitori e clienti) sono ora considerate parti dei propri processi
organizzativi.
Ruolo del management: il ruolo del management è di creare e mantenere vi-
vo l’interesse e l’impegno per il miglioramento dei prodotti/servizi e di rea-
lizzare un sistema che produce output di qualità; i responsabili della qualità
sono i manager ed il sistema, non i lavoratori.
Ruolo dei dipendenti: i dipendenti sono messi in grado (empower) di pren-
dere decisioni, di costruire relazioni e di agire per migliorare la qualità
nell’ambito del sistema progettato dal management.
Razionalità strutturale: l’organizzazione è configurata come una collezione
di processi orizzontali che inizia con i fornitori e finisce con i clienti (in
contrapposizione ad una visione basata sulla catena di comando verticale i
cui principali obiettivi sono il controllo e la responsabilità).
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Filosofia riguardo al cambiamento: il cambiamento, il miglioramento con-
tinuo e l’apprendimento sono stimolati e sostenuti. Tutti i membri dell’orga-
nizzazione sono motivati a migliorare lo “status quo”.
Un ulteriore contributo al riguardo si deve all’ing.Tito Conti (1992), per molti
anni e fino a settembre 2003, Presidente della AICQ (Associazione Italiana Cultura
Qualità):
La competizione è basata sul rapporto “valore/costo” percepito dall’utente:
l’impresa deve focalizzarsi su ciò che il cliente si attende e percepisce. La
valutazione del cliente comprende parallelamente due dimensioni: il livello
di non qualità (ovvero la “qualità negativa”, i difetti e le non conformità) ed
il valore che egli soggettivamente attribuisce al prodotto/servizio.
La qualità è riportata ai processi: l’attenzione del management deve essere
focalizzata sui risultati e sui mezzi necessari per realizzarli.
Il rapporto fornitore-cliente assunto come modello dei rapporti interni
all’organizzazione, sia in senso “orizzontale”, (le transazioni da ogget-
ti/informazioni da un processo fornitore ad un processo cliente), che in sen-
so “verticale” (le relazioni fra capo e collaboratore).
Il miglioramento continuo come strategia: la ricerca del miglioramento con-
tinuo nei processi e nei risultati deve essere un elemento fondamentale di at-
tenzione per il vertice aziendale ed essere una logica di azione assimilata ed
interiorizzata da tutti; il miglioramento va strategicamente guidato ma non
può prescindere dall’attenzione e dall’impegno costante e quotidiano degli
operatori nei processi, che realizzano operativamente i miglioramenti piani-
ficati e che, attraverso le loro conoscenze e competenze, possono far scaturi-
re, “dal basso”, nuove opportunità di cambiamento.
La qualità riguarda tutte le attività aziendali e tutti gli attori organizzativi,
che devono essere fortemente orientati alla collaborazione: “Non basta
l’estensione della qualità a tutti i settori aziendali se questi non si integrano
fra loro nei processi interfunzionali, né basta il coinvolgimento di tutti i li-
velli se questi non sono collegati fra loro da canali di comunicazione e modi
di operare che favoriscano sia efficaci processi decisionali sia rapida ed effi-
cace diffusione di politiche e obiettivi”.
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Per ultimo, peraltro di maggior sintesi, il seguente contributo teso allo svilup-
po teorico del TQM per il quale sono previsti tre principi fondamentali, assolutamen-
te connessi in una rete relazionale reciprocamente rinforzante:
1. La focalizzazione sul cliente: tutti i membri dell’impresa condividono to-
talmente l’importanza centrale della piena soddisfazione dei desideri dei
clienti.
2. Il miglioramento continuo: è una conseguenza della focalizzazione sul
cliente in quanto solo attraverso un miglioramento incessante dei processi
che creano i prodotti ed i servizi è possibile garantire una costante soddisfa-
zione dei clienti.
3. Il teamwork: la focalizzazione sul cliente ed il miglioramento continuo si
concretizzano più efficacemente mediante la collaborazione nelle relazioni
interne all’impresa e nei rapporti cooperativi con fornitori e clienti.
3.3.2 I MODELLI DI ECCELLENZA
Nel secondo capitolo, si è già fatto cenno all’istituzione di diversi quanto nu-
merosi “premi qualità”, a livello locale ed internazionale, quali elementi di stimolo
per concentrare l’attenzione verso la qualità e per favorire concetti e prassi sempre
più progredite nel quality management, in modo da concretare, attraverso strutturati e
accurati schemi di riferimento, il TQM.
La valutazione per l’assegnazione di un premio qualità è eseguita in confor-
mità ad un modello di Total Quality Management che rappresenta, ovviamente per
chi ha ideato il premio stesso, un modello d’eccellenza nella gestione totale per la
qualità, modello che fornisce lo schema di riferimento per tradurre realmente il
concetto di TQM. Tale concretizzazione avviene, generalmente, in modo tenden-
zialmente non prescrittivo in termini di metodologie, tecniche o strumenti, mediante
l’esplicitazione di un insieme di principi/concetti essenziali e di una collezione di
pratiche che caratterizzano, a livello operativo, la gestione totale per la qualità. I mo-
delli d’eccellenza, di più alta valenza concettuale e ragguardevole spicco a livello in-
ternazionale, sono il modello MBNQA (Malcolm Baldrige Nazional Quality Award
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alla base di numerosi altri premi nazionali tra cui quello canadese, indiano, neoze-
landese ecc.) ed il modello EFQM (European Foundation for Quality Management,
creata nel 1988 da 14 grandi aziende europee e con 850 membri nel 2000) su cui si
basa l’European Quality Award ed altri premi nazionali tra cui quello italiano. Ai
due premi sopraccitati correlati ai due modelli d’eccellenza, è d’obbligo aggiungere,
principalmente per motivi storici essendo stato il primo ad essere istituito, il Deming
Application Prize, che è di grande fama e prestigio mondiale, anche se oggi rispetto
ad altri modelli presenta il limite di essere sensibilmente dominato da una singola
prospettiva nell’approccio alla qualità (il pensiero del suo fondatore Deming) con
conseguente enfatizzazione sul controllo e sull’assicurazione della qualità.
L’assicurazione qualità, infatti, è destinata a controllare i processi che servono a pro-
durre i prodotti mentre l’eccellenza va, invece, a valutare attività di tipo più “soft”
quali la leadership, le persone, le risorse, l’attenzione ai clienti ed agli stakeholder, i
risultati. Con l’eccellenza non si parla più solo di sistema qualità bensì di tutto il si-
stema aziendale ed il modello applicativo diventa un vero e proprio strumento di
management.
3.3.3 IL MODELLO EFQM
A questo punto si ritiene utile concentrarsi solo su uno dei modelli
d’eccellenza e vale a dire il modello EFQM, tenuto anche conto della sua valenza in
Europa, ed in Italia in particolare. La necessità di un modello, deriva dal bisogno da
parte delle organizzazioni, così com’è emerso dagli studi effettuati a livello mondia-
le, di un sistema di management. Si è già fatto cenno alla pre-esistenza di due model-
li quando EFQM aveva cominciato i suoi lavori: quello giapponese Deming e quello
americano Malcolm Baldrige, ambedue orientati all’attribuzione di un premio per ec-
cellenza (Barda, 2000).
Il modello EFQM, nato nel 1988 come strumento di valutazione del Premio
europeo per la qualità e via via diverso per settori e dimensioni d’organizzazioni, è
sempre più utilizzato dalle organizzazioni per razionalizzare, misurare e pianificare
l’attività attraverso il processo d’autovalutazione.
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Il modello EFQM è un quadro di riferimento non prescrittivo, che riconosce
la pluralità degli approcci al perseguimento di un’eccellenza sostenibile nel tempo,
ed è basato su nove criteri, cinque dei quali classificati come “Fattori” o leve, e
quattro come “Risultati”. La sua struttura evidenzia un chiaro rapporto causa-effetto
e ciascun criterio è dettagliato in diversi sottocriteri (da 2 a 6, secondo i criteri), per
un totale di 32, ciascuno dei quali presenta una serie d’aree da esaminare, in tutto ol-
tre 170. Le modalità di approccio all’autovalutazione con il modello EFQM, suggeri-
te dalla Fondazione stessa, sono diverse e la scelta dipenderà dalle risorse e dal tem-
po a disposizione nonché dai bisogni dell’organizzazione, in termini di accuratezza e
precisione dei risultati.
Sostanzialmente, gli approcci più semplici, quale può essere l’utilizzo di un
questionario, sono basati su percezioni più che su evidenze concrete e l’output
dell’autovalutazione è un punteggio non corredato d’analisi qualitativa.
L’approccio più completo è quello chiamato “simulazione del Premio”, in
quanto richiede la compilazione di un documento di 75 pagine (solo 35 nel caso di
piccole-medie imprese), ricco di dettagli ed evidenze su ciascuna area da esaminare,
come se fosse una candidatura all’Award.
La valutazione è fatta in base ad uno strumento proposto insieme al modello
aggiornato al 1999, chiamato con un anagramma, RADAR chart (Results Approach,
Deployment, Assessment and Review – i pilastri della valutazione).
La logica RADAR richiama fortemente il ciclo della Ruota di Deming PDCA
(Plan-Do-Check-Act) illustrata nel paragrafo 2.2.2, e tende ad evidenziare nella valu-
tazione il principio già citato di causa-effetto. In tal modo la valutazione è dissociabi-
le da quella dei Fattori e quest’ultima si basa sulla verifica di quanto gli approcci sia-
no coerenti, integrati, attuati, sistematici, misurati, rivisti periodicamente, oggetto
d’apprendimento continuo. La valutazione dei risultati è pure molto dettagliata: sono
verificati gli andamenti, fatti i dovuti confronti con dati interni ed esterni, e verificati
i legami con gli approcci che li hanno generati.
Il sistema di punteggio garantisce un’equa ripartizione dei 1000 punti a dispo-
sizione tra Fattori e Risultati (50-50), ma ai singoli criteri sono attribuiti dei pesi se-
condo la loro importanza complessiva all’interno del modello.
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In definitiva, il vero valore del modello non consiste, ovviamente, nel vincere
un premio, bensì nell’introdurre in azienda un nuovo paradigma di gestione che non
richiede prerequisiti, né tanto meno l’aver raggiunto un dato livello di maturità nella
pratica dei sistemi di qualità per cogliere maggiori benefici dall’autovalutazione.
3.3.4 I PRINCIPI NEL MODELLO EFQM
Di seguito si riporta l’elenco dei principi fondamentali del modello EFQM
(EFQM, 1999b):
1) Orientamento ai risultati. Il mantenimento di una posizione di successo
dipende dalla capacità di soddisfare in modo equilibrato le aspettative di tut-
te le parti interessate all’azienda: clienti, fornitori, impiegati, possessori di
quote societarie e così pure la società in generale.
2) Focalizzazione sul cliente. Il cliente è l’arbitro ultimo della qualità del pro-
dotto/servizio e, quindi, le necessità e le esigenze del cliente devono essere
perfettamente comprese e deve essere misurato e monitorato il suo livello di
soddisfazione.
3) Leadership e costanza negli scopi. Il comportamento dei leader
dell’organizzazione deve creare chiarezza e unità d’intenti e un ambiente nel
quale le persone possono eccellere.
4) Gestione attraverso i processi ed i fatti. L’organizzazione è più efficace
quando tutte le attività interrelate sono comprese e sistematicamente gestite
e quando le decisioni sulle operazioni correnti e sui progetti di miglioramen-
to sono prese utilizzando informazioni affidabili.
5) Sviluppo e coinvolgimento del personale. Il potenziale dei dipendenti deve
essere compiutamente valorizzato, in un contesto culturale che deve soste-
nere e diffondere i valori della fiducia, del coinvolgimento, dell’attenzione
all’apprendimento ed al miglioramento continuo.
6) Apprendimento continuo, innovazione e miglioramento. Sono sviluppate
ed adeguatamente sostenute le routine ed i comportamenti organizzativi ne-
cessari a ricercare ed a realizzare continui miglioramenti incrementali nelle
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attività e nelle performance aziendali; è inoltre incoraggiata e sostenuta
l’inventiva e l’innovazione.
7) Sviluppo delle partnership. Un’organizzazione è più efficace quando in-
staura rapporti di mutuo beneficio, fondati sulla fiducia, sulla condivisione
delle conoscenze e sull’integrazione.
8) Responsabilità pubblica. L’azienda ed i dipendenti sono consapevoli
dell’impatto che le attività aziendali hanno nella società e si impegnano per
andare al di là della pura normativa e degli adempimenti di legge.
I principi sopra descritti rappresentano, pertanto, quell’insieme di valori che
si ritiene debbano essere condivisi dai membri dell’organizzazione per poter effetti-
vamente realizzare una “gestione totale per la qualità”, com’è esplicitamente eviden-
ziato nei documenti di presentazione dei modelli d’eccellenza, e, riferendosi agli 8
principi del modello EFQM, “Il raggiungimento dell’eccellenza richiede una totale
accettazione di questi concetti” (NIST, 2000).
Quanto visto al paragrafo 2.2 del capitolo 3, nella teoria della genesi dei va-
lori organizzativi, consente di desumere il grado di complessità e di difficoltà del
processo d’accettazione e di condivisione di nuove idee o nuove convinzioni partico-
larmente se quest’ultime differiscono considerevolmente dal modo corrente di pensa-
re ed agire, ponendo, conseguenzialmente, il problema di come, operativamente, ge-
stire il cambiamento culturale. Una risposta deriva, ancora una volta, dalla teoria
della genesi dei valori organizzativi, laddove si evidenzia che, solo a valle di ripetute
e dirette esperienze concrete dettate da comportamenti, ispirati a determinate idee o
credenze, rivelatisi, singolarmente e collettivamente, di successo, potrà essere possi-
bile l’iscrizione nella matrice culturale di un gruppo di determinati valori. A ciò può
aggiungersi una condizione di per sé agevolante, ma da sola non sufficiente, derivan-
te dall’azione di forte influenza sui membri dell’organizzazione da parte del massimo
vertice aziendale che, in virtù del carisma del potere di governo, può diventare il
simbolo del cambiamento ma non garantire il reale sviluppo del processo di appren-
dimento organizzativo. In altre parole l’impegno formale verso il rispetto dei principi
del TQM può, con poca probabilità, condurre l’organizzazione a adottare efficace-
mente, e non ritualmente, le pratiche di una gestione totale per la qualità: sarà, inve-
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ce, decisivo al riguardo, per favorire un vero cambio culturale attraverso un processo
d’inserimento di nuovi valori, sperimentare nuove competenze. Quest’ultime sono
definite come uno specifico repertorio di conoscenze produttive a disposizione
dell’impresa (Winter, 1987) ed il loro rapporto con le risorse interne è mediato dalle
routine organizzative e dai processi d’apprendimento (Grant, 1991; Nelson, Winter,
1982). Sono, infatti, le concrete procedure operative, unite ai meccanismi di diffusio-
ne della conoscenza organizzativa, che traducono le astratte potenzialità contenute
nelle risorse in competenze, il cui utilizzo nella gestione delle risorse rende uniche ed
inimitabili le risorse stesse. Per distinguere le competenze chiave da quelle generali
dell’azienda si può far riferimento a sette elementi fondamentali (Goddard, 1997) che
le qualificano:
1) Le competenze chiave sono basate sulle conoscenze tacite, impossibili da
replicare da parte della concorrenza.
2) Le competenze chiave sono incorporate nel modus-operandi dell’organizza-
zione, come se l’azienda fosse rafforzata al punto di operare ad un livello
d’intelligenza superiore a quello della somma delle persone che lavorano al
suo interno.
3) Le competenze chiave sono la fonte del vantaggio competitivo perché defi-
niscono ciò che l’azienda sa fare meglio, o in modo diverso, rispetto a qual-
siasi altra azienda. La loro definizione può essere realizzata solo in rapporto
alle “competenze di tutte le altre aziende”.
4) Le competenze chiave rappresentano la fonte della capacità di un’azienda di
offrire un valore unico ai propri clienti.
5) Le competenze chiave sono rare, limitate a due o tre attività all’interno della
catena del valore.
6) Le competenze chiave definiscono l’insieme di opportunità uniche che
l’impresa ha a sua disposizione, restringono e focalizzano il campo della
strategia futura dell’azienda.
7) Le competenze chiave presentano una potenziale pluralità d’uso non essendo
strettamente legate alle attività svolte e costituiscono “piattaforme di crescita
e stimoli per la crescita stessa”.
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Per sperimentare nuove competenze è, in ogni caso, necessaria la creazione di
condizioni ambientali ed organizzative adeguate, comportanti spesso massicce defe-
zioni e nuove immissioni di personale oltrechè alti costi aziendali, creazione di con-
dizioni cui il management, in maniera responsabile, deve fornire tutta la propria di-
sponibilità per ricoprire adeguatamente il ruolo di “progettista” dell’organizzazione
che rientra tra le caratteristiche essenziali della leadership (Centrone, 1998).
3.3.5 LE PRATICHE NEL MODELLO EFQM
Ai paragrafi 3.1 e 3.3 del capitolo 3 si è visto che il nucleo concettuale del
TQM trova espressione, ad un primo livello d’analisi, nei principi chiave che ispira-
no la gestione totale della qualità e, ad un secondo livello d’analisi, nelle pratiche
fondamentali che traducono operativamente tali principi.
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Strategie &Politiche(Policy &strategy)
Processi(Processes)
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Gestione delpersonale(People)
Partnership &Risorse
(Partnership &Resources)
Responsabilitàsociale
(Society Results)
Motivazionedel personale
(People Results)
Soddisfazionedel cliente(Customer Results)
INNOVAZIONE E APPRENDIMENTO
FATTORI RISULTATI
Fig.7 – Il Modello EFQM (Fonte: EFQM, 1999a)
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Da quest’ultimo punto di vista, i “modelli d’eccellenza”, sia americano che
europeo, danno un quadro abbastanza completo e convincente degli elementi costitu-
tivi del Total Quality Management. Specificatamente il modello EFQM, oggetto
dell’analisi nel presente lavoro può essere schematizzato come nella figura 7.
Tale schema sintetizza il concetto che la “gestione totale della qualità” signi-
fica gestione finalizzata all’eccellenza dei “risultati” attraverso un’opportuna combi-
nazione di “fattori” (enablers). I fattori sono ciò che l’organizzazione fa; i risultati
sono quel che l’organizzazione ottiene e sono causati dai fattori. Le frecce simboli-
camente rappresentano la natura dinamica del modello: i processi d’innovazione e
d’apprendimento, stimolati da andamenti dei risultati non ritenuti soddisfacenti,
comportano miglioramenti nei fattori che, a loro volta, causano miglioramenti nei ri-
sultati. I risultati primari di un’azienda sono rappresentati da quelli riguardanti i rap-
porti con i clienti e dai risultati aziendali relativi alle performance d’impresa, vale a
dire i risultati economici, finanziari, competitivi ed operativi. Il modello proposto da
EFQM evidenzia che la concezione di “risultato” va estesa anche ad altre categorie di
prestazione data l’importanza che esse rivestono nel conseguimento e mantenimento
del successo nel lungo periodo: i risultati che riguardano il personale in termini di
soddisfazione e motivazione ed i risultati concernenti il rapporto con la società, inte-
sa come quell’insieme di soggetti, diversi dai dipendenti, dai clienti e dai partner di
business, portatori di esigenze ed aspettative nei confronti dell’impresa.
Tale concezione dei risultati organizzativi manifesta la visione integrata e cir-
colare del “successo” d’impresa che è alla base di quelle “formule imprenditoriali”
vincenti, solide e sostenibili nel tempo (Coda, 1984), formule che sottendono un inte-
resse ed un’attenzione bilanciata verso i risultati reddituali, sociali (fiducia, dedizio-
ne, coesione e partecipazione) e competitivi.
Nella figura 8 è rappresentato il circolo virtuoso che i predetti risultati ali-
mentano attraverso la qualificazione del profitto perché scaturisce da una superiore
capacità di servire i bisogni del cliente e alimenta una superiore capacità di soddisfa-
re le attese degli interlocutori sociali, la quale a sua volta, produce fiducia, dedizione,
coesione e spinta motivazionale, elementi tutti essenziali ad una superiore perfor-
mance competitiva (Coda, 1988). I fattori che conducono a tali risultati sono suddi-
visi nelle seguenti articolate categorie:
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Successo competitivo
Successosociale
Successo reddituale
Fig.8 – La visione del successo d’impresa (Fonte: Coda, 1984)
1. Leadership – fa riferimento a come:
a. i leader sviluppano la missione organizzativa e la cultura dell’ec-
cellenza creando modello di ruolo per tutto il personale;
b. sono personalmente coinvolti nella progettazione e miglioramento
dei sistemi gestionali;
c. interagiscono regolarmente con i clienti, i partner ed i rappresentan-
ti della comunità sociale;
d. motivano, supportano e valorizzano il personale.
2. Strategie e Politiche – fa riferimento:
a. al modo in cui strategie e politiche vengono basate sulle esigenze e
desideri attuali e futuri degli stakeholder;
b. al modo in cui le informazioni generate dai sistemi di misurazione
delle prestazioni e dalle attività creative e di ricerca vengono utiliz-
zate per fondare le strategie e le politiche;
c. al modo in cui strategie e politiche sono sviluppate, valutate e ag-
giornate;
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d. al modo in cui strategie e politiche sono dispiegate attraverso
un’architettura di processi chiave;
e. al modo in cui strategie e politiche sono comunicate e implementa-
te.
3. Gestione del personale – fa riferimento:
a. al modo in cui le risorse umane vengono pianificate, gestite e mi-
gliorate;
b. al modo in cui le conoscenze e competenze delle persone sono i-
dentificate, sviluppate e sostenute;
c. al modo in cui le persone vengono coinvolte e responsabilizzate;
d. al modo in cui è gestito il dialogo fra l’impresa ed il personale;
e. al modo in cui le persone sono ricompensate e valorizzate.
4. Partnership e risorse – fa riferimento:
a. al modo in cui l’impresa gestisce le relazioni con i partner esterni;
al modo in cui l’impresa gestisce le risorse:
b. finanziarie;
c. fisiche;
d. tecnologiche;
e. informative e conoscitive.
5. Processi – fa riferimento:
a. al modo in cui i processi aziendali sono sistematicamente progettati
e gestiti;
b. al modo in cui i processi vengono migliorati nell’ottica della piena
soddisfazione dei clienti e degli altri portatori d’interesse;
c. al modo in cui i prodotti e servizi sono progettati in funzione dei
desideri e delle aspettative dei clienti;
d. al modo in cui i prodotti e servizi sono fabbricati, consegnati ed as-
sistiti;
e. al modo in cui le relazioni con i clienti sono gestite e migliorate.
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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3.3.6 MODELLI DI ECCELLENZA E AUTOVALUTAZIONE ORGANIZZATIVA
Per un’azienda può essere importante capire lo stato e le potenzialità
dell’organizzazione riguardo alle competenze e capacità che sono critiche riguardo
agli scopi fondamentali che essa si prefigge (Centrone, 1998), e ciò prescindendo
dalla partecipazione o meno all’assegnazione di uno dei premi qualità internazionali,
di crescente rilevanza e prestigio, bensì utilizzando proprio i modelli di eccellenza
quali schemi di riferimento per l’autovalutazione organizzativa (Conti, 1997).
Tale autovalutazione, denominata self-assessment, è così definita dall’Euro-
pean Foundation for Quality Management: “L’autovalutazione è un riesame globale,
sistematico e regolare delle attività e dei risultati di un’organizzazione rispetto ad un
modello d’eccellenza. Il processo d’autovalutazione consente all’organizzazione
d’identificare chiaramente i punti di forza e le aree nelle quali possono essere realiz-
zati miglioramenti e sfocia nella pianificazione delle azioni di miglioramento, il cui
avanzamento va poi monitorato” (EFQM, 1999c).
Diversi approcci possono essere adottati per affrontare l’autovalutazione: essi
sono classificabili in cinque categorie fondamentali (Zink e Schmidt, 1998; EFQM,
1999c):
1) L’approccio basato sui questionari.
a) Richiede la minor intensità d’utilizzo delle risorse.
b) Richiede la disponibilità di un insieme di domande accuratamente progettate
e testate.
c) Fruisce della possibile esistenza di documenti di supporto predisposti dai va-
ri Enti per la definizione dell’insieme delle domande (EFQM, 199d).
d) Consente di produrre abbastanza rapidamente una valutazione.
e) Stimola e supporta una sistematica identificazione dei punti di forza e delle
aree di debolezza.
2) L’approccio basato sulle matrici di realizzazione.
a) Consiste in una serie d’affermazioni che riflettono i differenti gradi
d’eccellenza delle modalità con cui l’impresa ha affrontato i vari elementi
del modello di riferimento adottato.
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b) Risulta utile per contestualizzare e comprendere più profondamente i criteri
generali di valutazione del modello di riferimento.
c) Presenta la forte limitazione di non prevedere adeguati meccanismi per la
diagnosi organizzativa.
3) L’approccio basato sul workshop.
a) Prevede la definizione di un gruppo di valutazione che è responsabile della
raccolta e dell’analisi di dati.
b) Prevede che i membri del gruppo, attraverso un adeguato numero di riunioni
di studio, eseguano la valutazione e la successiva identificazione delle azioni
di miglioramento.
c) Configura un attivo coinvolgimento.
d) Richiede un adeguato livello di preparazione e di competenza del team di la-
voro.
4) L’approccio basato su moduli predefiniti (pro-forma approach).
a) È fondato sulla creazione di una serie di moduli.
b) Rappresenta una sorta di guida all’autovalutazione e di supporto alla raccolta
strutturata dei punti di forza e delle aree di debolezza individuate per ogni e-
lemento del modello.
c) Prevede la compilazione dei vari modi da parte di un gruppo esteso.
d) Prevede la determinazione dei piani di miglioramento da parte del medesimo
gruppo o da un team più ristretto di assessor.
5) L’approccio basato sulla simulazione (award simulation approach).
a) Simula la partecipazione alla competizione per il premio qualità.
b) Prevede la stesura del documento richiesto dall’ente amministratore del pre-
mio.
c) Prevede l’identificazione e la selezione di un team di assessor esterni.
d) Prevede l’invio del documento agli assessor e l’organizzazione della visita
“ispettiva”.
e) Prevede l’analisi, da parte della Direzione Aziendale, del documento finale
di valutazione elaborato dagli assessor e la pianificazione delle azioni di mi-
glioramento.
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Qualunque sia l’approccio scelto, l’obiettivo predominante dell’autovalu-
tazione non è il conseguimento di un punteggio numerico ottenuto applicando i metri
di valutazione adottati per l’assegnazione dei premi (EFQM, 1999c), bensì lo svilup-
po di una adeguata diagnosi organizzativa finalizzata alla pianificazione del cam-
biamento.
Poiché sono stati concepiti come strumenti di una valutazione rivolta
all’erogazione di un premio, i modelli d’eccellenza, in particolare quello europeo
EFQM, presentano dei limiti nel supporto alle esigenze diagnostiche per
l’autovalutazione, non prevedendo chiari meccanismi per stimolare e sostenere
l’attivazione di adeguati percorsi di ricerca delle cause determinanti l’andamento
dei risultati aziendali. Tale limite può essere superato adottando un modello di rife-
rimento per il self-assessment (Conti, 1997) che enfatizza i legami causa-effetto e
l’orientamento “destra-sinistra” del percorso diagnostico, rappresentato in figura 9.
Fattorisistemici
Cause nel sistema ?
Processi
Cause nel processi ?
Soddisfazione del cliente
Risultati di business
Relazioni con stakeholder
Risultati critici
Self -assessment diagnostico
Dalle cause agli effetti
Fig.9 - Il modello di Conti per il self-assessment (Fonte: Conti, 1997)
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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L’interpretazione dello schema va fatta nel modo seguente: i risultati
dell’organizzazione, fondamento dell’autovalutazione perché manifestazione concre-
ta delle capacità o delle debolezze aziendali, sono generati dalle sequenze o insiemi
d’attività che trasformano gli input in output, in pratica dai processi il cui funziona-
mento è influenzato da fattori sistemici, vale a dire dagli elementi che caratterizzano
l’organizzazione come “sistema” e che rappresentano l’ambiente in cui sono immer-
se le catene d’attività. Specificatamente l’elemento “processi” nello schema fa rife-
rimento alla valutazione delle performance dei singoli processi attraverso l’analisi
dell’andamento delle prestazioni, finali ed intermedie, dello stato di controllo, del li-
vello di soddisfazione dei clienti del processo, dello stato di miglioramento rispetto a
precedenti valutazioni. Nel modello EFQM le prestazioni dei processi sono collocate
nell’area dei risultati e precisamente nel sottocriterio “indicatori chiave di perfor-
mance” che è una specificazione del criterio “risultati aziendali”. Tra i fattori siste-
mici critici vanno annoverati i quattro seguenti:
Leadership secondo l’accezione che assume nei modelli d’eccellenza.
Strategie ed i piani.
Gestione delle altre risorse (hard, soft, finanziarie, tecnologiche).
Architetture organizzative cioè i modi mediante i quali l’azienda organiz-
za le proprie risorse ed i propri processi per raggiungere gli obiettivi.
La tripartizione appena illustrata e la conseguente disgiunzione concettuale
dei risultati di valore strategico e d’importanza generale per l’impresa (la soddisfa-
zione dei clienti esterni, i risultati di business ed i risultati concernenti i rapporti con
gli stakeholder) dai risultati operativi relativi alla conduzione dei processi, sono volte
ad orientare e a strutturare rigorosamente i percorsi di ricerca delle cause determi-
nanti i risultati reddituali, competitivi e sociali dell’impresa. Uno dei motivi alla base
del successo dell’autovalutazione organizzativa risiede nella capacità di integrare i
percorsi diagnostici nel ciclo di pianificazione aziendale (Ritchie e Dale, 2000): i
modelli di riferimento per il self-assessment ricomprendono l’intera gamma delle at-
tività e dei risultati aziendali e, di conseguenza, la pianificazione del cambiamento
che ne deriva deve essere necessariamente inserita nel contesto delle scelte che deli-
neano l’identità dell’impresa nei rapporti con l’ambiente competitivo e sociale (Con-
ti, 1997).
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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4. LE SOLUZIONI INFORMATICHE AL SERVIZIO DELLA
QUALITÀ
4.1 INFORMATICA E ISO 9000
4.1.1 LA NORMA ISO 9000 E LA GESTIONE DEI DOCUMENTI
L’implementazione di un sistema di qualità aziendale conforme al modello
ISO 9000:1994 ha esaurito la sua azione innovativa perché, dopo aver apportato una
fase iniziale di miglioramento organizzativo nelle varie imprese, certificate o meno,
che lo hanno adottato pone in evidenza alcuni limiti intrinseci. Numerosi sono stati,
infatti, i casi d’aziende entrate in fase di crisi, senza particolari segni premonitori dal
sistema di qualità adottato, proprio immediatamente a valle di certificazioni, eviden-
temente troppo aderenti ad aspetti formali e burocratici dell’organizzazione azienda-
le. Peraltro, in linea con l’approccio del “Miglioramento Continuo” della Norma, di
cadenza circa settennale, l’ISO ha varato, ormai nell’anno 2000, la nuova edizione
delle ISO 9000:2000. Quest’ultime, a differenza delle precedenti versioni, risaltano
gli aspetti d’analisi e misurazione quantitativa ed economica dei dati di gestione
aziendale: in particolare nel controllo di gestione, nel marketing e nella pianifica-
zione dei processi logistici e produttivi, più evidenziati nella precedente ISO 9004
che non era utilizzabile, peraltro, come modello contrattuale, certificazione inclusa.
Tale sostanziale innovazione nella normativa ISO, sicuramente a beneficio e garanzia
delle aziende già certificate, comporta, quindi, anche un’attenzione particolare sulla
gestione dei dati. Già nell’edizione del 1994, rispetto a quella del 1987, la Norma
ISO 9000 aveva introdotto, a fianco del termine documento, quello nuovo di dato:
nella versione 2000, finalmente, si fa una chiara distinzione fra “documento”, stru-
mento d’attestazione formale di conformità alla norma, e “dato”, strumento di ge-
stione delle risorse e perciò d’efficacia aziendale nell’utilizzo della norma. Anzi, il
punto 8 della nuova edizione, nella sua interezza, è dedicato alla misurazione ed al
miglioramento di tutti i processi aziendali, di seguito riportati, attraverso l’analisi
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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quantitativa dei dati preventivi e consuntivi della loro gestione, secondo le regole de-
scritte al punto 7 della norma stessa.
Pianificazione della qualità Analisi di mercato
Vendita Progettazione
Approvvigionamento Produzione e servizio
Convalida dei processi Servizi post-consegna
Immagazzinamento e movimentazione delle merci e dei servizi
Controllo delle non conformità
4.1.2 DALLA GESTIONE DEI DOCUMENTI ALLA GESTIONE DEI DATI CON IL
SUPPORTO DEI SISTEMI ERP
La versione 1994 della norma, prevedeva già l’utilizzo di strumenti informa-
tici facilitanti la gestione dei documenti del sistema qualità, nella loro archiviazione e
nel loro ritrovamento “intelligente” mediante “parole chiave”, ma la revisione 2000
della Norma ha comportato, necessariamente, l’esecuzione con l’ausilio di supporti
informatici di gestione aziendale, giacchè richiede l’elaborazione quantitativa di una
gran quantità di dati. Siccome quest’ultimi devono poter rappresentare la situazione
dinamica dei processi aziendali, non è stata assolutamente riproponibile la continua
digitazione manuale, come avveniva nei sistemi di gestione documentale, mentre la
soluzione è risieduta nella generazione automatica e diretta, di tali dati, da parte degli
stessi processi aziendali, come avviene nei sistemi di gestione aziendale comunemen-
te chiamati ERP (Enterprise Resources Planning). Tali sistemi prevedono, infatti,
una gestione integrata di tutti i dati aziendali relativi alle vendite, agli acquisti, alla
progettazione, alla produzione, ai controlli di non conformità, tramite appositi “ge-
stori di database” in grado di elaborarli secondo le regole del punto 7 e di aggregarli
secondo le regole del punto 8 della ISO 9000:2000. I sistemi ERP però, unici stru-
menti informatici con tali caratteristiche, presentavano un limite intrinseco legato alla
loro pianificazione e controllo unicamente quantitativi dei processi aziendali, nel tra-
scurare totalmente l’aspetto qualitativo, peraltro previsto dalla norma ISO 9000. Ciò
ha comportato l’introduzione, in aggiunta ai sistemi ERP ed a valle di essi, di moduli
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software della qualità che sostanzialmente effettuano i controlli di conformità richie-
sta dal Manuale e dalle Procedure della Qualità, con stampa della reportistica relati-
va. A partire dal 1999, dopo queste soluzioni di “prima generazione”, sono comparsi
sistemi ERP di seconda generazione in grado di eseguire automaticamente, ed in
tempo reale, tutti i controlli di conformità dei vari processi aziendali secondo il punto
7, generando automaticamente ogni dato necessario per le misurazioni, richieste al
punto 8, per analizzare l’efficacia del sistema qualità e nel contempo generare e ge-
stire tutta la documentazione richiesta dal manuale e dalle procedure, necessaria a da-
re l’evidenza formale della sua conformità alla norma.
4.1.3 L’APPROCCIO BASATO SUI PROCESSI DELLA VISION 2000
L’aggiornamento delle norme ISO 9000 ha apportato, dunque, alcune profon-
de innovazioni: il riferimento centrale è stato spostato all’esterno dell’organizza-
zione, rilevando che il valore non è concentrato sul risultato, ma sulla soddisfazione
del cliente e delle altre parti interessate. L’innovazione principale risiede, però pro-
babilmente, nell’introduzione del concetto di system thinking, che configura
l’organizzazione come un sistema aperto ed adattabile presupponendone il governo
secondo i criteri del modello sistemico-cibernetico cui si è fatto cenno nell’introdu-
zione ed al paragrafo 1.4 del primo capitolo.
Il modello di processo del sistema di gestione per la qualità dell’ISO 9000:
2000 è fondato sui quattro seguenti macro-processi:
Responsabilità della Direzione.
Gestione delle risorse.
Realizzazione del prodotto.
Misurazione, analisi, miglioramento.
L’approccio per processi favorisce di per sé il governo di creazione del valore
per il cliente e per tutte le altre parti interessate (stakeholders), conferendo loro un
ruolo rilevante per il successo dell’organizzazione, richiedendo nel contempo, per as-
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sicurare efficacia ed efficienza alla gestione finalizzata al perseguimento degli obiet-
tivi strategici, un’infrastruttura tecnologica adeguata al livello di “maturità”
dell’azienda. La gestione per processi dell’organizzazione si scontra, nella realtà, con
l’esistenza in Europa, e soprattutto in Italia, d’imprese dotate di una struttura molto
gerarchica con più livelli laddove l’ideale, come teorizzato nel Business Process Re-
engineering (BPR) risiederebbe in organizzazioni con pochi livelli gerarchici, al li-
mite piatte e prive d’ogni gerarchia con struttura solo trasversale, costituita da una
rete di processi, ed i cui organigrammi sarebbero sostituiti dai process team. Peraltro,
al fine di permettere un’efficace gestione della qualità, nell’ambito dell’organizza-
zione, come specificato dall’ISO 9000: 2000, devono essere definite e rese note le
funzioni e le loro interrelazioni unitamente alla responsabilità ed autorità associate.
Specificatamente (ISO/DIS 9004:2000): l’alta direzione dell’azienda dovreb-
be stabilire politiche e obiettivi strategici coerenti con le finalità dell’organizzazione.
La politica per la qualità dell’organizzazione dovrebbe essere coerente con la politi-
ca di business dell’organizzazione; dovrebbe essere formulata e comunicata in modo
efficace e dovrebbe essere periodicamente riesaminata e revisionata, se necessario.
L’alta direzione dovrebbe stabilire e comunicare le responsabilità e l’autorità per
un’efficace ed efficiente attuazione e mantenimento del sistema di gestione per la
qualità (ISO/DIS 9004 par. 5.5.2). Inoltre l’alta direzione dovrebbe definire ed atti-
vare processi per comunicare i requisiti, gli obiettivi ed i risultati relativi alla quali-
tà (ISO/DIS 9004 par. 5.5.4-Comunicazione).
Il tutto, secondo una visione nella quale, gli obiettivi per la qualità portano a
vedere l’organizzazione come un insieme di processi ed attività (ISO/DIS 9004 par.
7.1.1). In definitiva il modello in questione presenta sia una dimensione verticale
(gerarchia) sia una dimensione orizzontale (processi), con il governo dell’azienda
fondato sulla pianificazione strategica a medio e lungo termine e sulla gestione si-
stemica dell’organizzazione della qualità (Tsiouras, 1998).
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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4.2 L’ARCHITETTURA STRATEGICA DEL SISTEMA DI GESTIONE
È stata più volte esposta la concezione dell’impresa quale sistema costituito
da una struttura funzionale e da un insieme di processi interrelati dinamicamente tra
loro e con l’ambiente: anzi da un punto di vista esclusivamente teorico è possibile
rappresentare l’azienda quale rete di processi interconnessi ed interagenti con
l’ambiente esterno pervenendo ad una rappresentazione dell’organizzazione quale
sistema di decisioni, connesso alla rete informativa, laddove i punti decisionali si
collegano, in modo più o meno stretto, in relazione alla quantità di conoscenze co-
muni ed a quella delle informazioni che si spostano fra essi (Bubbio, 1990).
L’azienda, quindi, è un sistema dinamico, globale ed aperto, che opera attra-
verso una rete di processi, la cui struttura non è semplicemente sequenziale ma, ge-
neralmente, assai più complessa. Ciò che occorre evidenziare è che l’organizzazione
non funziona sulla base dell’informazione bensì sulla base delle relazioni:
l’informazione, infatti, è solamente scambiata mediante le relazioni e determina il
risultato finale dell’organizzazione in possesso di un sistema informativo che deve
non solo gestire l’informazione quanto supportare le relazioni, che guidano alla rea-
lizzazione del risultato ed alla soddisfazione del cliente. L’informazione però, ba-
sandosi l’organizzazione sulla cooperazione per servire i clienti e per soddisfare le
loro esigenze, non va solo gestita ma anche condivisa. Secondo la EFQM-Eight
principles for Excellence “le organizzazioni operano in modo più efficace quando
tutte le attività tra loro correlate sono comprese e gestite in modo sistematico, e le
decisioni riguardanti le operazioni correnti ed i miglioramenti pianificati vengono
prese utilizzando informazioni affidabili che comprendono anche le percezioni di tut-
ti gli stakeholder”.
I processi aziendali caratterizzanti la gestione aziendale, possono essere rag-
gruppati in tre livelli come nella piramide di figura10. Il sistema di gestione, peraltro
con i tre livelli ordinati gerarchicamente in piena armonia con quanto previsto dalla
ISO 9000:2000, è concepito come una serie di cicli di pianificazione e di controllo,
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nei quali si definiscono gli obiettivi da raggiungere, si misurano i risultati e si deci-
dono le eventuali azioni correttive.
P ia n if ic a zio n es tra te g ic a
C o n tro lloD ire zio n a le
C o n tro llo O p e ra t iv o
Fig.10 – I tre livelli del sistema di gestione (Fonte: Anthony, 1967)
Ogni livello decisionale possiede un proprio specifico profilo informativo di-
stinguendosi per grado di dettaglio, volume, frequenza d’elaborazione e fonte delle
informazioni impiegate (Anthony, 1967).
4.2.1 L’ARCHITETTURA DEL SISTEMA INTEGRATO DI GESTIONE PER LA
QUALITÀ
La gestione dell’informazione, supportante il “business” aziendale ed i suoi processi,
è molto complessa richiedendo tecniche informatiche avanzate e specifici strumenti
di business intelligenze che, però, devono essere integrati nelle applicazioni esistenti
per evitare il fenomeno di proliferazione, nell’impresa, d’isole d’automazione svi-
luppate con logiche gestionali e tecnologiche diverse. Un sistema di gestione può dir-
si integrato quando un insieme d’applicativi, ognuno dei quali serve in genere uno
specifico segmento dell’azienda, opera su un unico data base, opportunamente pro-
gettato. Si analizza per prima un’area di business dell’impresa, definendo e dise-
gnando la catena del valore (Porter, 1985) illustrata in figura 11, poi si individua il
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proprio modello dei processi di business e, conseguentemente, si disegna
l’architettura integrata del sistema informativo di gestione e del relativo database.
Il cliente va
identificatoIdentificare
Il Mercato
Creare il
Prodotto/
Servizio
Realizzare i
Prodotti/
Servizi daoffrire
Consegnare
Il Prodotto/
Servizio alCliente
Assistere
Il Cliente
Il Cliente deve
Essere
Soddisfatto
INNOVAZIONEGESTIONALE
OPERATIVO
POST
VENDITA
Fig.11 – La Catena del Valore (Fonte: Porter, 1985)
L’infrastruttura informativa andrebbe costituita secondo lo schema di figura
12 articolato nei tre livelli: 1-transazioni giornaliere, 2-controllo direzionale ed ope-
rativo, 3-pianificazione strategica e gestione della società.
Management Information System - MIS
EvasioneOrdine ContabilitàMarketingGestione
R.U.Processi operativi
Pianificazionestrategicagestionesocietà
Transazionigiornaliere
ControlloDirezionale e Operativo
Fig.12 - L’infrastruttura informativa
Nella realtà operativa, però, si riscontra, frequentemente, la mancanza
d’integrazione con il sistema informativo, di una piattaforma integrata in grado di
produrre informazioni, utili sia al governo dei processi sia per la costruzione del
Management Information System (MIS) o del Decision Support System (DSS). Si-
nora, infatti, i processi sono stati generalmente informatizzati soltanto per il tratta-
mento automatico, soprattutto transazioni on-line, d’elevati volumi di dati, non sup-
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portando, in tal modo, i processi chiave del business. L’informatica transazionale,
non consentendo l’elaborazione di dati con fini differenti dalle transazioni, non sup-
porta, quindi, adeguatamente l’alta direzione, nel governo dell’azienda ed i dirigenti
nella presa ed esecuzione delle decisioni e nel controllo del loro effetto (Bracchi,
1997).
4.3 IL RUOLO DEL SISTEMA INFORMATIVO
Il modello oggetto d’analisi serve a diffondere la strategia ed a garantire
l’allineamento degli obiettivi lungo tutta l’organizzazione, perciò il sistema informa-
tivo non deve essere destinato a pochi utenti, ma dovrà essere accessibile ed utilizza-
bile da tutti all’interno dell’impresa, in modo da sviluppare una comunicazione diffu-
sa che sostenga l’esecuzione della strategia. Da qui l’esigenza di progettare un siste-
ma innovativo e dinamico in grado di assicurare l’ottenimento di pieni vantaggi:
l’informazione diventa, dunque, essenziale, soprattutto per garantire un funziona-
mento efficiente del performance measurement e del controllo. In passato, invece, i
sistemi informativi avevano utilità ridotta dato che le informazioni disponibili erano
limitate (difficoltà di reperimento), erano troppo aggregate e generiche per essere
impiegate nel processo decisionale e nell’attività di controllo, poco affidabili.
L’evoluzione della tecnologia dell’informazione ha permesso il superamento gradua-
le di tali limiti ed il sistema informativo acquista un ruolo fondamentale nella comu-
nicazione degli obiettivi lungo l’organizzazione e nel confronto tra le prestazioni ot-
tenute e quelle attese, al fine di una corretta esecuzione della strategia.
4.3.1 I DECISION SUPPORT E GLI EXECUTIVE INFORMATION SYSTEMS
A partire dagli anni ‘80 sono stati sviluppati diversi modelli di sistemi auto-
matizzati con funzione di aiutare il vertice aziendale a decidere ed a gestire
l’impresa: i Decision Support Systems (DSS), creati per assistere i dirigenti nella loro
attività decisionale e gli Executive Information Systems (EIS), con il compito di for-
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nire all’alta direzione indicatori e report di sintesi, principalmente di carattere mone-
tario. Tali sistemi si differenziano dai precedenti, giacché gli utilizzatori non sono
più degli specialisti bensì degli individui che si trovano al vertice aziendale e che
hanno bisogno di accedere alle informazioni per svolgere il proprio lavoro. Si tratta,
però, di sistemi piuttosto rigidi, che richiedono tempi lunghi per scendere oltre i dati
di sintesi o per essere adattati alle nuove esigenze. Il successo d’entrambi i sistemi,
infatti, è stato limitato, soprattutto per i loro contenuti informativi: gli indicatori si
focalizzano solo su alcuni aspetti, non forniscono una visione d’insieme, sono legati
al passato e, quindi, non si prestano ad essere usati come strumenti per la gestione
strategica (Silk, 1998). Da qui la necessità di avere un sistema informativo per la mi-
surazione delle prestazioni aziendali, in grado sia di raccogliere le informazioni rile-
vanti sia di trasmetterle a tutta l’organizzazione, in modo da ottenere i cambiamenti
comportamentali necessari per rispondere alla dinamicità ambientale: questo è uno
dei cardini intorno a cui ruota il funzionamento, peraltro, di uno strumento strategico
qual è la Balanced Scorecard (BSC). Proprio con l’obiettivo di disporre di misure at-
tendibili e tempestive per identificare vie e modi più opportuni per la gestione, e che
permetta al management gli interventi migliorativi posti in essere, è sorto il metodo
BALANCED SCORECARD (Kaplan, 1992, 1996). Tale metodo, teorizzato da Ro-
bert S. Kaplan e David P. Norton (Centrone, 2001), guarda alla creazione del valore
secondo prospettive di crescita ed innovazione, soddisfazione del cliente, qualità dei
processi e risultati finanziari, proponendosi di individuare quei fattori critici di suc-
cesso utili per orientare l’azienda al raggiungimento degli obiettivi strategici e intro-
durre le misure necessarie per controllarne l’evoluzione. La Balanced Scorecard me-
diante la sua applicazione migliora, infatti, la qualità complessiva del processo stra-
tegico e, contemporaneamente, dà precise indicazioni sulle azioni da realizzare. È un
sistema che consente l’identificazione ed il monitoraggio continuo degli obiettivi
partendo dalla Mission e dalla Strategia aziendali e che permette, pertanto, di integra-
re, in un unico sistema interrelato, la Strategia, il reporting direzionale e la valuta-
zione delle performance dei dirigenti. Il modello della Balanced Scorecard presenta
in definitiva uno schema delle variabili del business, articolato in quattro ambiti ap-
punto interrelati: l’ambito finanziario, quello dei clienti, quello dei processi, quello
dell’apprendimento e crescita, con quest’ultimo relativo alle risorse umane. Questo
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schema evidenzia, tra l’altro, la relazione essenziale delle risorse umane con la cre-
scita a medio lungo termine dell’impresa: esso descrive i fattori guida per
l’ottenimento di un determinato risultato (drivers), gli indicatori dei quattro ambiti e
le relazioni che legano queste variabili tra loro. Un sistema di misurazione tradizio-
nale si basa su una serie d’indicatori che misurano i risultati conseguiti dall’impresa
e, quindi, il suo ruolo è quello di controllare se, ed in quale misura, l’organizzazione
sarà in grado di raggiungere i suoi obiettivi. Con la BSC, invece, si sviluppa un si-
stema di gestione, la cui portata sarà più ampia che qualunque sistema di misurazio-
ne: le misure, infatti, non servono più solo per il controllo, ma aiutano anche a spie-
gare la strategia ed a comprendere la dinamica dei processi aziendali sottostanti. Inol-
tre, esse devono poter evidenziare le relazioni di causa-effetto tra gli indicatori con-
tenuti nelle prospettive di miglioramento.
DATA WAREHOUSE
Marketing
RU Vendite
Contabilità Processi operativi
Intentostrategico
MIS
DatiLegacy
Dati esterniInternet
Piano StrategicoBalanced Scorecard (BSC) Livello strategico
Livello direzionale / operativo
Livello Operativo
Applicazioni perBusiness Intelligence
Fig.13 - La struttura del sistema nervoso digitale di tipo Enterprise
Una risposta complessiva e, soprattutto, integrata a tutte queste esigenze può
essere fornita da “sistemi nervosi digitali” di tipo Enterprise (figura13), i quali do-
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vrebbero gestire le informazioni strutturate che sono utilizzate nel controllo strategi-
co, direzionale ed operativo. Il sistema di misura del MIS, realizzato attraverso le
BSC e supportato ed integrato da sistemi di business intelligence, consente di ese-
guire il deployment degli obiettivi, di raccogliere, tempificare, elaborare ed aggregare
adeguatamente i dati e di avere informazioni utili per il controllo dell’azienda nei tre
livelli di pianificazione e controllo. Quelle tipo Enterprise, sono applicazioni azien-
dali d’ampie dimensioni, da potersi realizzare su diverse piattaforme (Windows, U-
nix, …), ed ancora in ambito LAN, Intranet, Extranet o Internet, che si fondano su
dati e richiedono requisiti notevolmente severi per assicurarne la protezione, l’ammi-
nistrazione e la gestione.
Un’applicazione Enterprise è complessa e dovrebbe essere flessibile e robusta
giacchè automatizza processi di business estesi e si rivolge ad un’utenza, posta su più
livelli decisionali, con l’orientamento alla soddisfazione delle attese delle parti inte-
ressate al business dell’azienda. Nelle situazioni abituali aziendali, i dati sono raccol-
ti dai sistemi gestionali e sono conservati nei grandi data base dell’impresa, e su di
essi i sistemi di business intelligence possono intervenire con lo scopo di estrarre tali
dati e trasformarli in informazioni aggregate e sintetiche, organizzate in modo con-
sono ai percorsi di analisi tipici di utenti business. Le caratteristiche dei sistemi di
business intelligence sono tali da costruire applicazioni con caratteristiche di facilità
d’uso, d’interfaccia intuitiva e d’utilizzo di multidimensionalità. I sistemi di business
intelligence ed il sistema MIS, supportato da Balanced Scorecard, anche se sistemi di
misurazioni differenti, devono essere integrati ed in stretto dialogo tra loro per rende-
re l’informazione condivisa e tempestiva, permettendo la trasformazione dell’infor-
mazione in conoscenza e la gestione della conoscenza stessa (Knowledge
Management). La progettazione dei sistemi va fondata su importanti presupposti per
rendere possibile con certezza l’integrazione mentre, per realizzare la possibilità
d’accesso a qualsiasi data base, l’architettura deve essere flessibile, basandosi su
un’infrastruttura Data Warehouse (DWH), alla base di diversi sistemi. Altre caratte-
ristiche richieste sono la funzionalità (adeguatezza, accuratezza, interoperabilità, si-
curezza), la portabilità delle applicazioni su diversi sistemi operativi e di hardware,
l’usabilità, l’efficienza e la manutenibilità. Al contrario dei normali sistemi gestionali
aventi il compito di automatizzare i processi aziendali, un Data Warehouse è un pro-
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cesso informatico che prepara, archivia e distribuisce dati da utilizzare in applicazio-
ni di supporto alle decisioni, e, pur essendo separato dai data base di tipo gestionale,
contiene anche le regole con cui i dati sono raccolti dai sistemi gestionali e trasfor-
mati per essere compatibili con l’uso che se ne deve fare.
4.3.2 IL SOTTOSISTEMA INFORMATIVO DELLA BALANCED SCORECARD
Il ruolo così centrale che le misure vengono ad acquistare, comporta necessa-
riamente lo sviluppo di un sistema informativo dedicato al supporto della BSC. Tale
sistema deve essere progettato ed attuato in modo da adattarsi pienamente alle carat-
teristiche dell’organizzazione (struttura, strategia, cultura aziendale, …): la scelta tra
le diverse possibilità di progettazione dovrà avvenire in base alla conoscenza presen-
te nell’impresa e ad una visione chiara e condivisa di quello che dovrà essere il suo
futuro sviluppo. La progettazione del sottosistema informativo BSC si avvale delle
soluzioni che l’Information Technology (IT) ha elaborato e continua ad elaborare nel
corso degli anni. Tali soluzioni devono essere selezionate in modo accurato, tenendo
in considerazione l’obiettivo che si desidera ottenere, ovvero un sistema che conten-
ga delle informazioni:
a)
b)
c)
1)
2)
3)
4)
presentate in modo adeguato, attraverso numeri, disegni, diagrammi in gra-
do di rendere immediata la comprensione;
facilmente accessibili, in modo che chiunque abbia bisogno di un dato possa
reperirlo, ovunque esso si trovi;
raccolte e misurate in maniera efficiente, ovvero il costo concernente la loro
gestione non deve superare l’utilità derivante dal loro utilizzo.
Ciò premesso, l’operatività di questo sottosistema informativo dovrà consen-
tire quattro attività imprescindibili:
La visualizzazione della BSC.
La costruzione della BSC.
L’analisi sui dati adeguatamente supportata.
L’amministrazione del flusso informativo.
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Per visualizzare la BSC occorre la presenza di un’applicazione, sufficiente-
mente semplice, tale da essere adoperata anche da utenti non esperti che dovranno
avere sul proprio personal computer, una situazione sintetica relativa agli indicatori
chiave contenuti nella BSC stessa e consentirne la loro analisi impiegando, general-
mente, anche dei colori per distinguere i valori positivi da quelli negativi (sintomo di
problemi) e facilitarne la lettura. Siccome gli indicatori, espressi secondo unità di mi-
sura diverse, non sono elementi omogenei tra loro, devono subire un processo di
normalizzazione prima di poter essere inseriti nella BSC, con un calcolo fatto inse-
rendo i dati in apposite tabelle: a tal scopo occorre fissare, per ogni indicatore, dei
valori minimi e dei valori massimi entro i quali potranno oscillare, tenendo anche in
considerazione le prestazioni passate ed i target da raggiungere. Per ogni indicatore,
poi, che contribuisce in misura diversa al perseguimento degli obiettivi, dovrà essere
calcolato il peso relativo secondo il proprio ruolo nel perseguimento di un obiettivo.
Perciò, se un indicatore presenterà un valore di segno negativo, non si dovrà decreta-
re sicuramente l’insuccesso per la prospettiva cui appartiene: si arriverà ad un tanto
soltanto se il peso dell’indicatore sarà tale da risultare determinante per il successo.
Per completare la visualizzazione, infine, occorrerà tenere in considerazione la ten-
denza degli indicatori per valutare costantemente il rapporto tra la situazione attuale
dell’impresa e l’obiettivo prefissato. Il confronto con i valori target consente una vi-
sione prospettica del business, ma è utile anche quello con le prestazioni passate: se
si considera per esempio, una customer retention del 90%, essa avrà significati diver-
si a seconda che si collochi in un trend positivo, iniziato precedentemente, o faccia
parte di una serie di valori sempre in calo. Il sistema informativo, quindi, deve essere
in grado di calcolare il valore aggiornato dell’indicatore nonchè un valore che rias-
suma la successione delle variazioni passate e ne proietti la tendenza.
Al sottosistema informativo in questione spetterà, ovviamente, di permettere
la costruzione, con semplicità e rapidità, delle scorecard, di mantenerle nel tempo e
di automatizzarne l’aggiornamento: un ruolo che diventa essenziale nella fase in cui
lo strumento è diffuso nell’organizzazione attraverso una scomposizione top-down.
L’applicazione dove essere semplice, utilizzabile senza conoscenze di programma-
zione. Partendo da degli elenchi d’indicatori e procedendo ad una selezione degli
stessi, s’individuano quelli che saranno inseriti nella scorecard destinata ad un parti-
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colare livello gerarchico: gli indicatori oggetto della scelta saranno organizzati in una
struttura che ne definisce la gerarchia e li raggruppa nelle prospettive fondamentali.
L’applicazione deve anche stabilire le dimensioni ed il livello di profondità che
l’utilizzatore potrà raggiungere nell’analisi (esempi di dimensioni possono essere:
prodotto, tipo di mercato, tipo d’attività). Su queste basi, il modello per costruire la
BSC è completo e sarà anche in grado di provvedere alla manutenzione della stessa
nel corso del tempo, garantendo un continuo aggiornamento degli indicatori in essa
contenuti.
Vi sono delle attività legate alla BSC (come la segmentazione della clientela,
lo studio della dinamica di variazione degli indicatori) che possono richiedere delle
sofisticate analisi di tipo statistico: l’Information and Communication Tecnology
(ICT) mette a disposizione potenti strumenti di lavoro da usare allo scopo. Nel caso
di legami tra obiettivi, misure ed attività, del tipo “catena causa-effetto”, si pone il
problema di come individuare i meccanismi di collegamento: una risposta può essere
la costruzione di un modello previsionale che, partendo dai valori rilevati periodica-
mente dalle misure, riesca a stimare quali saranno le grandezze future ricorrendo
all’analisi di correlazione tra gli indicatori della BSC ed all’utilizzo di tecniche di se-
lezione ed elaborazione di grossi quantitativi di dati per scoprire relazioni non note.
Il sistema informativo deve essere in grado di fornire anche tali strumenti per soddi-
sfare le esigenze di studio connesse a certe attività riferite alla BSC. L’attività più
complessa del sottosistema informativo della BSC è costituita dall’amministratore
del flusso di dati, proveniente da fonti diverse, che sta alla base della BSC e deve es-
sere gestito, documentato, mantenuto ed aggiornato nel corso del tempo. Da qui la
necessità di realizzare un Performance Data Warehouse dedicato: si tratta di una
struttura che provvede a preparare ed archiviare informazioni che servono a suppor-
tare l’attività decisionale e che sono mantenute separate da quelle contenute nei
database di tipo gestionale (ovvero, quelle che esprimono le transazioni effettuate).
Questo tipo d’architettura permette di risolvere molti problemi dovuti alla mancata
separazione tra archivi gestionali ed archivi destinati al supporto delle decisioni che,
tipicamente, sono quelle di seguito elencate:
a) Lunghezza delle elaborazioni perché basate su tabelle di gran dettaglio.
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b)
c)
d)
e)
a)
b)
Volatilità dell’informazione a causa della continua modifica dei dati gestio-
nali e, quindi, impossibilità di ripetere un’analisi ottenendo gli stessi risulta-
ti.
Frammentarietà delle informazioni distribuite su diversi sistemi informativi.
Inadeguatezza qualitativa dei dati.
Impossibilità di eseguire confronti tra risultati di periodi differenti causa la
limitatezza nella disponibilità di dati storici, circoscritti a quelli più recenti.
La costruzione del Data Warehouse richiede alcuni passaggi ben definiti:
o individuare i soggetti, ovvero gli indicatori contenuti nella BSC;
o individuare la strategia e gli obiettivi corrispondenti;
o individuare l’unità di misura, l’intervallo temporale di riferimento;
o identificare le fonti che contengono i dati necessari per costruire gli indica-
tori;
o raccogliere informazioni sia sulla natura che sulla posizione fisica dei dati;
o procedere alla loro trasformazione in un formato più adatto agli utilizzatori;
o standardizzare valori diversi usati per rappresentare una medesima informa-
zione;
o aggregare per ottenere informazioni più significative;
o gestire il flusso di dati così ottenuto gestito in modo efficiente;
o disporre di un quadro aggiornato dei dati inseriti nel sistema;
o raggruppare le informazioni secondo i soggetti a cui si riferiscono, in modo
che gli utenti possano accedervi facilmente, senza preoccuparsi di dove ri-
siedano e che formato abbiano.
L’aggiornamento del Data Warehouse non è continuo ma periodico, secondo
delle date predefinite consentendo l’esecuzione automatica delle procedure.
L’applicazione che deve amministrare il flusso informativo, è costituita da tre com-
ponenti:
l’EXPLORER che è l’ambiente grafico nel quale è definita la struttura del
Data Warehouse;
il PROCESS EDITOR che consente di definire i processi d’estrazione, tra-
sformazione e trasferimento dei dati dagli archivi all’applicazione;
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94
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c)
1) 2) 3)
il LOADER che utilizza i dati definiti attraverso le componenti precedenti
per scrivere in modo automatico il codice da eseguire per creare ed aggior-
nare l’applicazione.
È importante che l’ambiente risultante dalla costruzione sia flessibile, affin-
ché possa adattarsi alle nuove esigenze degli utenti senza dover effettuare revisioni
drastiche.
4.3.3 SOLUZIONI “IT” PER LA BALANCED SCORECARD
L’Information Technology offre diverse soluzioni destinate ad assistere
l’implementazione della BSC, il cui livello di complessità varia secondo il tipo
d’analisi che l’impresa desidera ottenere. In particolare, sono individuate tre catego-
rie principali di sistemi che possono essere usate insieme alla BSC e che riflettono tre
diversi livelli d’ambizione raggiungibili con essi:
User interface;
Information Systems;
Simulation Models.
L’User interface rappresenta il livello più semplice d’applicazione e, di con-
seguenza, anche il più usato: è un modo che permette la rappresentazione dei dati ed
il paragone tra diverse unità e tra diversi periodi di tempo corrispondendo, quindi, al
sottosistema per visualizzare la BSC. Si può aggiungere che, con l’interfaccia utente,
i dati sono prontamente disponibili per l’utilizzatore: essi provengono da un database
sottostante che contiene tutti i dati necessari a fornire un quadro completo delle misu-
re inserite nella scorecard; in questo modo si determina una comunicazione on-line
con i dipendenti di tutta l’organizzazione e si facilita l’introduzione della BSC ai li-
velli operativi.
Gli Executive Information Systems offrono funzioni aggiuntive rispetto ai
precedenti e presentano un grado di complessità maggiore: provvedono anche alla
raccolta automatica dei dati provenienti da altri sistemi già funzionanti. Disponendo
di un collegamento con diverse fonti d’informazione, quindi, è possibile effettuare
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un’analisi più approfondita, ovvero gli utenti possono esaminare i dati per scoprire
l’origine ed il significato dei numeri inseriti nella scorecard. Anche in questo caso il
sistema deve risultare flessibile.
Siccome nell’applicazione sono presenti diversi tipi d’indicatori, l’utente cer-
cherà di conoscere i loro trend e di ottenere delle previsioni: la tecnica più appropria-
ta per questo scopo è OLAP (on-line analytical process) che, integrando l’EIS, per-
mette di scendere dalla sintesi al dettaglio e di realizzare analisi statistiche e repor-
ting personalizzato sui dati (così viene colmata una grossa lacuna degli EIS, cioè
l’elevato livello di sintesi). In particolare, tale applicazione fornisce il requisito della
multidimensionalità: quando ci si trova di fronte ad un segnale negativo, si cerca di
raccogliere più dati possibile per capire quali sono le cause, quali azioni sono neces-
sarie, quale impatto si verificherà sugli obiettivi. Il sistema informativo deve aiutare
questa indagine mettendo a disposizione una serie d’informazioni di sintesi e di det-
taglio che si riferiscono a tutte le dimensioni toccate dal problema.
Nel caso, per esemplificare, il segnale riguarda una diminuzione della custo-
mer retention – perdita di clienti – si deve capire se la perdita riguarda solo una certa
area geografica o solo alcune agenzie, quali caratteristiche hanno i clienti che si al-
lontanano, se la perdita si è verificata in un certo periodo o è un fenomeno costante, e
così via. Per rispondere a tutte queste domande dovranno essere considerate diverse
variabili e diversi aspetti: servono, quindi, informazioni dettagliate che i tradizionali
EIS, senza l’applicazione OLAP, non sarebbero in grado di fornire.
Questa categoria di sistemi diventa ancor più interessante sfruttando Intranet,
il corrispettivo d’Internet a livello aziendale: con l’interfaccia web, infatti, ogni uten-
te presente nell’azienda può accedere al medesimo software ed a tutte le informazio-
ni immagazzinate nel database centrale.
I Simulation Models fanno parte dei sistemi di supporto più evoluti: sono
modelli di simulazione che permettono di descrivere le relazioni di causa-effetto tra
gli indicatori. Simulare gli accadimenti futuri è senz’altro un mezzo per mettere in
discussione i legami che sono stati ipotizzati tra le misure della BSC e per valutare
decisioni strategiche alternative. Per fare questo, però, sono necessari dei programmi
informatici appositi: l’ithink software, per esempio, è un programma americano svi-
luppato appositamente per le applicazioni della scorecard.
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Con esso, si possono costruire dei modelli che, attraverso la simulazione, aiu-
tano a vedere gli effetti di certe decisioni sulle variabili rilevanti e, quindi, a compie-
re la scelta più adatta.
Dall’integrazione tra le idee sottostanti la BSC e questi modelli discende una visione
più dinamica dell’impresa e si obbliga l’organizzazione a fermarsi per verificare co-
stantemente la validità degli assunti accolti alla base della strategia.
4.3.4 INTEGRARE LA BSC NEL FLUSSO INFORMATIVO AZIENDALE
Molte imprese stanno attuando una progressiva sostituzione dei loro sistemi
informatici giacché la tecnologia ha sviluppato, e sviluppa continuamente, nuovi
prodotti capaci di soddisfare sempre più le esigenze informative dell’organizzazione:
questo tipo di sostituzioni costituisce una fase essenziale nelle imprese che desidera-
no implementare la BSC. La diffusione di questo strumento è, in genere, associata ad
un’attività di Business Process Reengineering (BPR), in altre parole ad una revisione
di tutti i processi operativi interni, nell’ottica della creazione del valore. Tale evolu-
zione risulta senz’altro più semplice se l’impresa dispone di sistemi Enterprise Re-
source Planning (ERP), la cui struttura organizzativa è basata proprio sui concetti di
BPR. Gli ERP presentano anche delle similitudini con l’analisi contenuta nella BSC:
ogni fatto gestionale è visto come una componente di un processo, è fonte di infor-
mazione ed è organizzato in modo da poter essere usato a livello superiore. La pre-
senza di ERP, quindi, facilita, dal punto di vista concettuale, l’introduzione della
BSC, perché i dati necessari per costruire gli indicatori contenuti in quest’ultima so-
no raccolti ed elaborati nel modo più adatto: nella pratica, però, dovranno esserci an-
che dei sistemi ulteriori in grado di provvedere alla lettura ed all’utilizzo dei dati in
modo soddisfacente.
È importante, poi, ottenere l’integrazione tra BSC ed i sistemi di Business
intelligence (BI), vale a dire quei sistemi che sono di supporto all’attività dei
manager attraverso l’estrazione e la trasformazione dei dati provenienti dai sistemi
gestionali, per produrre informazioni sintetiche su ciò che l’impresa sta facendo. Si
tratta di applicazioni dedicate ad aree aziendali specifiche (area commerciale, logisti-
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ca e produzione), che offrono, quindi, una visione più ristretta rispetto a quella possi-
bile con la BSC. L’integrazione sarebbe importante proprio perché gli utenti dei si-
stemi BI potrebbero, così, continuare ad occuparsi di una certa area aziendale avendo
anche un quadro più generale, derivante dalla possibilità di accedere alle relazioni
presenti nella BSC e dalla possibilità di rapportare la situazione specifica agli obiet-
tivi aziendali.
L’integrazione della BSC nel flusso informativo aziendale può essere più
semplice grazie alla tecnologia Web e, quindi, alle reti di comunicazione interne
all’impresa – Intranet. Tale tecnologia permette di incrementare il numero di utiliz-
zatori dei sistemi di supporto alle decisioni a costi ridotti:
a) b)
c) d)
utilizzo di un unico sistema da parte di più utenti contemporaneamente;
riduzione dei problemi di comunicazione e trasferimento dei dati (sposta-
menti anche a lunga distanza);
possibilità di accesso usando computer senza particolari caratteristiche;
modifiche dell’applicazione che sono immediatamente disponibili a tutti gli
utenti.
Ai vantaggi, però, si affiancano anche dei limiti dovuti ad un appesantimento
dell’attività di rete e, quindi, ad un allungamento dei tempi di attesa a causa
dell’aumento degli accessi e del numero di attività richieste. Inoltre, poiché il sistema
richiede semplicità per permettere un utilizzo da parte di tutti, non c’è la possibilità
di creare interfacce migliori che potrebbero risultare utili per utenti più preparati. Gli
studi che sono compiuti in questo campo, stanno cercando di superare le limitazioni
appena segnalate; si può affermare, quindi, che la distribuzione della BSC tramite il
Web è senz’altro vantaggiosa, dato che si possono raggiungere facilmente e rapida-
mente i dipendenti e si può accelerare così il loro processo di apprendimento.
L’applicazione per la BSC viene a rappresentare, quindi, un sistema di gestione e di
feedback strategico di livello elevato: misurare le prestazioni aziendali attraverso in-
dicatori diversi e comunicare gli obiettivi strategici attraverso il network presente
all’interno costituiscono la soluzione vincente per sopravvivere nell’era dell’informa-
zione. Tale applicazione è in grado di fornire a tutte le organizzazioni un manage-
ment system efficiente per tradurre la strategia in azioni a tutti i livelli gerarchici e
per controllare costantemente lo stato di salute del proprio “business”. Oltre ai siste-
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mi di Business Intelligence, introdotti negli anni ‘80 per consentire ad ogni process-
owner la creazione di una vista personalizzata sui dati registrati nel sistema ERP in
modo da estrarre da tale sistema tutte e sole le informazioni significative per la pro-
pria attività, sono stati introdotti più recentemente i sistemi per la gestione dei pro-
cessi aziendali. Essi consentono di disegnare i processi aziendali, di gestire gli allar-
mi derivanti da informazioni presenti nel sistema ERP, di modificare il comporta-
mento dei sistemi ERP al variare del disegno dei processi e di automatizzare in modo
prototipale i processi esterni al sistema ERP.
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5. LA QUALITÀ DEI TRASPORTI E DEI SERVIZI PER LA
MOBILITÀ
5.1 IL SETTORE DEI TRASPORTI E SERVIZI PER LA MOBILITÀ
5.1.1 LO SCENARIO DI RIFERIMENTO
Il settore dei trasporti in ogni “sistema paese” riveste un ruolo di primaria im-
portanza: oltre a soddisfare l’esigenza di mobilità a livello individuale, la presenza di
un’efficiente ed adeguata rete infrastrutturale, che tenga conto della varie modalità, è
una condizione indispensabile per lo sviluppo economico.
Inoltre quello dei trasporti è un campo nel quale le problematiche macro-
economiche, quelle territoriali-settoriali e quelle più propriamente aziendali
s’intersecano, generando reciproche retroazioni che non possono essere sottovalutate.
La rilevanza cruciale dell’apertura dei mercati, in particolare del trasporto
stradale, nello sviluppo economico dei singoli paesi membri dell’UE richiede la mas-
sima consapevolezza che sull’efficacia, efficienza ed economicità del trasporto in
generale, e merci in particolare, si gioca la sua capacità di attribuire valore aggiunto
al processo produttivo industriale di cui va considerato parte integrante.
È d’indubbio interesse, quindi, analizzare ed approfondire sia la portata, gli
effetti e la reale praticabilità delle misure che l’Unione Europea prevede di adottare
per i trasporti entro il 2010 alla luce della situazione economica internazionale nel
quale sono attivi i vari operatori italiani, sia le politiche governative nazionali ed eu-
ropee in atto. In questa logica di mercato “aperto”, che vede impegnati numerosi ope-
ratori privati e pubblici, la Commissione delle Comunità Europee ha costruito lo sce-
nario della Politica Europea dei Trasporti al 2010, intorno a quattro macro-obiettivi,
riportati in tabella1.
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1) RIEQUILIBRARE I MODI DI TRA-
SPORTO
a. Migliorando la qualità del trasporto
su strada
b. Rilanciando le ferrovie
c. Controllando la crescita del traspor-
to aereo
d. Adattando il sistema fluvio-marit-
timo
e. Legando il destino dei modi di tra-
sporto
2) ELIMINARE LE STROZZATURE
a. Promuovendo la costituzione di corridoi
prioritari per le merci
b. Integrando i Progetti Prioritari di Essen
c. Destinando il gettito della tariffazione
d’itinerari concorrenti alla realizzazione
di nuove infrastrutture ferroviarie
d. Aumentando del 20% l’intervento fi-
nanziario per la rete transeuropea fer-
roviaria
3) FARE DEGLI UTENTI IL FULCRO
DELLA POLITICA DEI TRASPORTI
a. Dimezzando entro il 2010 il numero
dei morti sulle strade
b. Introducendo la tariffazione d’uso
delle infrastrutture in sostituzione
delle attuali tasse, con possibilità di
finanziamenti incrociati
c. Introducendo la tariffazione unica
del carburante ad uso professionale
per il trasporto stradale
d. Garantendo l’interoperabilità dei
mezzi di pagamento sulla rete stra-
dale transeuropea
4) CONTROLLARE GLI EFFETTI DELLA
MONDIALIZZAZIONE DEI TRASPORTI
a. Dotando l’UE del sistema di navigazione
satellitare Galileo entro il 2008
b. Collegando con infrastrutture di qualità
i futuri stati membri UE alla rete tran-
seuropea per mantenere la quota moda-
le delle ferrovie al 35% nei paesi candi-
dati
c. Prevedendo adeguati finanziamenti
pubblici destinati alle infrastrutture dei
nuovi paesi membri
Tab. 1 - Scenario della Politica Europea dei Trasporti al 2010
Interessante è poter avere conoscenza, anche sommaria (vedi tabella 2), dei
bisogni/aspettative dei diversi attori, (Paesi europei), coinvolti nei processi evolutivi
che s’intende seguire e favorire, per minimizzare le contrapposizioni e massimizzare
le sinergie, contribuendo all’attivazione di un sistema condiviso di misure e
d’intervento di cui risulti pienamente ed inequivocabilmente accertata l’efficacia e
l’efficienza rispetto all’obiettivo di accrescimento di un benessere collettivo.
Tra queste misure e interventi, primaria importanza rivestono i sistemi di con-
trollo del traffico finalizzati ad aumentare la sicurezza ed ad impedire che le presta-
zioni del sistema scendano a livelli inaccettabili.
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1. Autostrade greche:
Pathe: Rio Antinio, Patrasso-Atene-
Salonicco-Promahon
(frontiera Grecia-Bulgaria)
Via Egnata: Igoumenitsa-Salonicco-
Alexandroupolis-
Omenio (frontiera Grecia-Bulgaria)
Kipi (frontiera Grecia-Turchia)
2. Treno alta velocita PBCAL
(Parigi-Bruxelles-Colonia-Amsterdam-
Londra) Regno Unito: Londra-accesso al
tunnel della Manica
Belgio: Froniera F/B-Bruxelles-
Liegi-Forniera B/D
Paesi Bassi: frontiera B/NL-Rotterdam-
Amsterdam Germania: (Aquisgrana) G27
Colonia- Reno/Meno
3. Treno alta velocità trasporto combinato
Nord-Sud:
Monaco-Norimberga –Erfurt-Halle/
Lipsia-Berlino
Asse del Brennero: Napoli –Verona-
Monaco e Bologna-Milano
4. Treno Alta velocità Est:
Parigi-Metz-Strasburgo-
Appenweier(Karlsruhe) con
Diramazioni verso Metz-Saarbrucken-
Manneim e
Metz-Lussemburgo
5. Ferrovia convenzionale /trasporto combina-
to: linea Betuwe
Rotterdam-Frontiera NL/D- (Reno/Ruhr)
6. Ferrovia convenzionale/
trasporto combinato
Francia-Italia Lione-Torino
Torino-Milano-Venezia-Trieste
7. Treno alta velocità Sud: Madrid-Barcellona
Perpignan-Montpellier-Nimes Madrid-
Vitoria-Dax
8. Collegamento multimodale Portogallo-
Spagna-Europa Centrale
9. Triangolo Nordico (ferrovia/strada) 10. Aeroporto di Malpensa (completato)
11. Collegamento ferroviario/stradale fisso
Tra Danimarca e Svezia (completato)
12. Linea Principale Costa Occidentale
Ferrovia
13. Collegamento stradale Irlanda/regno Uni-
to Benelux
14. Ferrovia convenzionale Cork-Dublino-
Belfast-
Larne-Stranaer (completata)
15. Galileo sistema globale di navigazione e
Posizionamento satellitare
16. Linea ferroviaria ad alta velocità
Attraverso i Pirenei
17. Treno ad alta velocità/ trasporto combina-
to Est-Ovest
Stoccarda-Monaco-Salisburgo-Linz-Vienna
18. Miglioramento del fiume Danubio tra
Vilshofen e Straubing
19. Interoperabilità ferroviaria della rete
Iberica ad alta velocità
20. Fehmambelt:collegamento fisso tra
Germania e Danimarca
Tab.2 - Interventi Infrastrutturali previsti al 2010-2015 sui grandi Assi Europei
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5.1.2 IL SISTEMA NAZIONALE DEI TRASPORTI
L’Italia è un Paese di circa 300.000 kmq, di cui 100.000 approssimativamente
occupati da montagne poco accessibili, 100.000 di terreni collinosi, anche impervi e,
quindi, poco adatti ad insediamenti di tipo produttivo, nonchè 100.000 di pianura, su
cui si concentra la maggior parte degli insediamenti e, quindi, la popolazione.
Su questo territorio vi sono numerosi piccoli insediamenti, la cui fisionomia
territoriale, geografica ed anche politica non è ancora definitivamente consolidata,
con la conseguente difficoltà d’inquadramento in una ragionevole rappresentazione
numerica. Peraltro per quel che concerne la popolazione, seppure il numero dei de-
cessi in Italia negli ultimi anni abbia superato quello delle nascite, i dati del bilancio
demografico Istat attestano, tenendo conto di un flusso migratorio non più trascurabi-
le, il raggiungimento del numero di 57 milioni d’abitanti, di cui quasi 21milioni, vale
a dire circa il 35%, concentrati in 10, o poco più, aree metropolitane.
Quanto appena riportato, tenuto conto dei valori numerici presi in considera-
zione e della loro particolare distribuzione associata alla topologia derivante dalla
peculiare conformazione morfologica (orologica e idrogeologica) del territorio della
nazione, presuppone la necessità evidente di collegamenti da portarsi a termine in di-
versi modi e, quindi, una conseguente domanda di mobilità. A questa domanda, ed
alle esigenze ad essa riconducibili, ogni paese anche minimamente evoluto, fornisce
delle risposte attraverso l’organizzazione di un sistema trasportistico. La continua
crescita di mobilità si presenta come un dilemma di grandi proporzioni giacché la
mobilità può essere vista da un lato come necessità economica e obiettivo sociale,
dall’altro come esigenza della società di proteggersi dalla sua stessa “ansiosa mania”
di mobilità. Quest’ultima, infatti, connessa ai concetti di regolarità, velocità, sicurez-
za nel caso di una crescita sfrenata, può avere effetti soffocanti in più rispetti, ivi
compresi l’impatto ambientale ed i consumi energetici.
In Italia il settore dei trasporti è, ancora oggi, uno dei punti critici del sistema
produttivo, giacché sconta dei problemi settoriali, la cui mancata risoluzione si sta
protraendo da decenni e per comprenderlo basta considerare alcuni dati statistici.
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Nella seconda metà degli anni ‘90 le esportazioni italiane sono aumentate del
10%, mentre il commercio mondiale di beni e servizi è cresciuto del 26% e negli altri
paesi dell’area dell’euro, la crescita delle esportazioni è stata pari al 31%. Dal 1994,
a fronte di un aumento annuo del 7,1% del commercio internazionale, in quantità, le
esportazioni italiane di beni e di servizi sono cresciute del 5,6% l’anno, contro il
7,0% della Francia ed il 7,5% della Germania. Dal 1998, anno della parità di cambio
con l’Euro, il divario rispetto a questi due paesi è ulteriormente cresciuto di 2,5 punti
con la Francia e di 3,7 punti con la Germania. Mettendo a confronto, inoltre, i tassi di
crescita fatti registrare nel Paese negli ultimi cinque anni rispettivamente dal Pil e dal
Traffico, è evidente (figura14) che quest’ultimo ha assunto un ritmo di crescita più
intenso, staccando l’evoluzione del PIL di 12,5 punti al 2000, contro una differenza
di appena 1,7 punti nel 1995: ciò significa che lo “sganciamento” della crescita del
traffico da quell’economica, così come auspicato dall’UE, sta diventando nei fatti
improponibile. fonti: ISTAT (ProdottoInternoLordo)
Ministero dei Trasporti e della Navigazione (tonnellate-km e passeggeri-km)
105
110
115
120
125
130
135
1995 1996 1997 1998 1999 2000
pkmtkmpil
Fig.14 – Evoluzione della domanda di trasporto e del prodotto interno lordo
Anni 1995-2000 (indice base 1990=100)
Nell’analisi di Bankitalia i fattori che fondamentalmente concorrono a de-
terminare uno svantaggio di competitività dell’economia italiana e, quindi, alla perdi-
ta delle quote di mercato sono:
o le debolezze di specializzazione produttiva;
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
104
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o i maggiori costi che gravano sul sistema economico per effetto della caren-
za d’infrastrutture e opere, dei vincoli logistici all’espansione dei traffi-
ci, oltre che per squilibri nella distribuzione territoriale delle dotazioni infra-
strutturali. Fonte: Business International. Anno 2000
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anno 19850
50100
150
200
250
300
Fig.15 - Livello di dotazione di Infrastrutture di trasporto
Anni 1985-2000 (media UE=100)
Per cui, non desta meraviglia che il sistema dei trasporti nazionale, ormai da
qualche decennio sia caratterizzato da alcuni elementi di particolare criticità, di se-
guito citati nella loro massima essenzialità:
1) Gravi mancanze nei servizi.
2) Discontinuità nell’offerta.
3) Difficoltà d’accesso al capitale privato e inefficienze nella gestione, con
effetti d’aumento della spesa pubblica.
4) Assenza d’unicità d’indirizzo nella politica del settore.
Tali elementi di forte preoccupazione emergono, o sono desumibili, anche dai
dati pubblicati sull’ultima edizione del Conto Nazionale Trasporti (CNT), edito dal
Ministero dei Trasporti e della Navigazione. Sebbene le risorse destinate al settore
siano ragguardevoli, permane una situazione di crisi, purtroppo tendente al patologi-
co, che sembra prescindere da problemi contingenti, ma può, piuttosto, essere ricon-
dotta a fattori strutturali che per i vettori treno e aereo nonché per le realtà di traspor-
to urbano assumono tal eclatanza, anche nei valori di deficit di bilancio, da pregiudi-
care la realizzazione di progetti a lungo termine necessari per la riorganizzazione del
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105
© ISPER EDIZIONI 328
settore stesso. Le ulteriori problematiche, a livello “macro”, che penalizzano il siste-
ma possono, come di seguito, riassumersi:
1) La scarsa dotazione infrastrutturale nazionale, inferiore alla media europea
(figura 15).
2) I mutamenti, indotti dall’evoluzione delle motivazioni degli spostamenti e
della generalizzata diverticalizzazione delle strutture produttive.
3) Lo squilibrio accresciuto dell’allocazione della domanda fra i vari modi di
trasporto, tradottosi in un ulteriore aumento delle quote “su strada”.
4) La crescita abnorme dell’uso dell’automobile per gli spostamenti in ambi-
to urbano e dei conseguenti problemi d’inquinamento e congestione, nonché
risvolti negativi sul trasporto pubblico collettivo.
L’ultima Riforma di particolare incisività del quadro istituzionale è stata quel-
la del trasporto pubblico locale, la cosiddetta legge Bassanini che, in una visione in-
novativa sul federalismo amministrativo, ha previsto il conferimento dei poteri di
programmazione alle Regioni ed agli Enti locali e la distinzione tra soggetti regolato-
ri e regolati, il ricorso a nuovi strumenti di contrattazione, accordi di programma e
contratti di servizio, nonché iniziative di riorganizzazione dei vari comparti e servizi
di cui si compone il complesso settore dei trasporti. Tali iniziative prevedevano: in-
terventi nei tre settori, portuale, marittimo e cantieristico, il rifinanziamento
dell’Alitalia ed il suo rilancio nel mercato del trasporto aereo, misure di razionalizza-
zione e d’intervento nell’autotrasporto merci, il rilancio degli investimenti infrastrut-
turali, attraverso nuovi criteri di finanziamento, quali l’utilizzazione di fondi per le
aree depresse, leggi finanziarie e di programmazione basate su larghe intese con Re-
gioni ed Enti locali.
5.1.3 VERSO NUOVI MODELLI DI VIAGGIO: LA MOBILITÀ COME MERCE
In questi ultimi anni, è intervenuta una progressiva e rilevante accelerazione
nel mutamento dei modelli di consumo e degli stili di vita da parte dei cittadini, che
ha prodotto pesanti condizionamenti dei modelli di domanda di mobilità di cose e
persone. Conseguentemente il mercato della mobilità di persone e cose ha subito ra-
dicali mutazioni del modello globale d’aspettative. Nel contempo le imprese fanno
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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© ISPER EDIZIONI 328
registrare tempi e modi d’allineamento, qualitativo e quantitativo, alla mutata tipolo-
gia d’offerta, non sempre adeguati.
Poiché, per esempio, il cliente non vuole più essere considerato come qualco-
sa che si trasporta su di un mezzo (pubblico o privato), ma esige di viaggiare conti-
nuando a conservare tutti i requisiti propri dello stile di vita quotidiano che ha adot-
tato, chi opera nel mondo dei trasporti, deve avere la piena consapevolezza di dover
progettare ed offrire un ampio ventaglio di servizi. Infatti, pena l’emarginazione dal
mercato, l’offerta proposta deve essere più competitiva rispetto alle comodità della
soluzione individuale, in questo caso sicuramente l’autovettura.
La disattenzione verso il trasporto pubblico, specialmente quello ferroviario,
in un Paese che ha circa 38 milioni di veicoli circolanti dei quali 30 milioni
d’autovetture e 8 di due ruote, ha prodotto un’arretratezza delle infrastrutture e del
materiale circolante, i quali poi vengono a costituire la base sulla quale si realizzano
le componenti “tangibili” del servizio offerto al mercato della mobilità.
Nel mondo dei servizi, però, la competitività si basa anche, se non soprattutto,
sulle componenti “intangibili” del servizio, perché di fatto, sono le uniche che “fan-
no la differenza” siccome il cliente dà per scontato che gli aspetti materiali abbiano
elevati livelli di performance e d’affidabilità. Questi ultimi vengono a costituire i co-
siddetti “aspetti-base/igienici” o “aspetti impliciti” del servizio/prodotto che, quando
vengono a mancare, abbassano il livello di soddisfazione della clientela, mentre non
incidono significativamente sulla misura della “customer satisfaction” quando rag-
giungono il massimo dei loro livelli qualitativi.
Nella cultura corrente un prodotto/servizio è consumato solo se è compatibile
con il modello di stile di vita (style symbol) prescelto dal singolo per distinguersi da
un sistema massificante, proprio perché il consumatore tende a personalizzare il pro-
prio rapporto con i servizi ed i prodotti, anzi, s’appropria di essi solo dopo che ha ba-
dato a “semantizzarli”, cioè a caricarli di significato e senso per lui. In altre parole,
l’utente-cliente odierno, nel suo approccio individuale tra l’egoistico ed il narcisistico
al sistema-mercato, si pone con un atteggiamento consapevole di disporre degli
strumenti necessari per operare la scelta migliore tra più soluzioni concorrenti. Da
qui il tramonto dell’accettazione delle tipologie di viaggio del tipo massificante,
giacchè si è affermato un nuovo modello di “viaggio” diverso che prevede l’inizio
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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© ISPER EDIZIONI 328
del viaggio stesso, a livello individuale nel momento e nel luogo in cui insorge la ne-
cessità di spostarsi, e la conclusione solo all’arrivo della destinazione finale, che non
coincide necessariamente con un “terminal” d’arrivo.
Va anche evidenziato come l’approccio alla mobilità possa essere portato a
termine da diversi punti di vista quali quelli di seguito riportati:
Pianificazione fisica: interventi strutturali.
Gestione del percorso: ottimizzazione dell’informazione.
Gestione del traffico: ottimizzazione della circolazione dei mezzi-vettori e
controllo accessi.
Secondo la modalità di trasporto e del mezzo (nave, aereo, treno, autovettura)
le prospettive assumono delle connotazioni specifiche, quindi tenuto conto che quan-
to si sta sviluppando è propedeutico all’analisi del settore autostradale, a cui appar-
tiene la concessionaria autostradale S.p.A. Autovie Venete del cui percorso di svi-
luppo del sistema di gestione della qualità si darà evidenza nel prossimo capitolo, da
adesso in poi ci si concentrerà sul trasporto “su gomma”.
L’adozione di provvedimenti singoli, sia strutturali richiedenti notevoli inve-
stimenti e tempi lunghi sia amministrativi normalmente a carattere temporaneo, non
risolve di regola il problema che, di fatto, è solamente spostato da un’area all’altra.
Per cui, è frequente il procedere con interventi coordinati in grado di sostenere il ruo-
lo strategico dell’informazione, al fine di limitare le situazioni di congestione del
traffico e favorire lo sviluppo armonico della mobilità intesa come occasione di cre-
scita sociale ed economica di una collettività. Specificatamente, l’impiego di sistemi
in grado di stabilire un “colloquio” tra l’utente/cliente e l’infrastruttura, può consenti-
re un uso più consapevole, meno spontaneo e più gestito, del canale modale (la stra-
da), con reciproca soddisfazione di chi gestisce la struttura e soprattutto del cliente.
In tal modo, attraverso l’adozione di sistemi tecnicamente avanzati di comunicazione
integrati da strumenti e tecnologie di controllo e d’informazione per l’area trasporti
diventa possibile dare risposte di mobilità con caratteristiche di:
alta sicurezza;
massima efficienza dei trasporti;
minimo impatto ambientale.
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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© ISPER EDIZIONI 328
5.2 QUALITÀ DEI SERVIZI DI TRASPORTO E MOBILITÀ
Descritti gli scenari di riferimento a livello europeo e nazionale per il settore
di trasporto e mobilità, al fine di completare l’analisi indirizzandola verso gli aspetti
più attinenti la qualità, è opportuno proseguire ancora approfondendo il tema secon-
do quattro direttrici logico-metodologiche di sviluppo (Bini, 2001):
• Humanware: le persone che operano nei settori trasporti sia nelle posizioni
di front-line sia in quelle di back-office, hanno ruoli vitali perciò le espe-
rienze più innovative sul piano organizzativo puntano al knowlegde
management per attivare e supportare i processi d’acquisizione, creazione e
condivisione delle conoscenze all’interno di un’azienda di trasporto.
• Hardware: le componenti tangibili dei servizi di mobilità devono risultare
molto affidabili, sia per l’esigenza di assicurare garanzie di sicurezza e cer-
tezza di viaggio alla clientela, sia perché il cliente stesso, avendo assimilato
l’impiego delle tecnologie dall’esperienza quotidiana, ha acuito le sue attese
in fatto d’inefficienze di natura tecnica, per cui i guasti non sono tollerati.
• Attenzione all’ambiente e società: i modelli EFQM e ISO 9000:2000 indi-
rizzano l’attenzione delle organizzazioni alla società ed all’ambiente.
• Software, misurazioni e monitoraggio: le aziende operanti nel settore del-
la mobilità competono quotidianamente tra loro e con le soluzioni offerte
dai mezzi di trasporto individuali perciò il recupero del trasporto collettivo
(pubblico/privato) è condizionato alla capacità di saper fornire risposte ade-
guate in termini di componenti intangibili del servizio. In tal modo il cliente
percepirà l’offerta personalizzata ed appetibile, ma ciò comporta l’attiva-
zione di un sistema di monitoraggio, operante nelle diverse direzioni stra-
tegiche per sintonizzare le scelte imprenditoriali trasportistiche con il siste-
ma d’aspettative/esigenze/bisogni del mercato della mobilità.
Da quanto esposto sinora, si evince che pure nel settore dei trasporti e della
mobilità, un’azienda, per garantirsi un vantaggio competitivo, deve essere di Quali-
tà, che, anche secondo l’Unione Europea, “rappresenta una nuova filosofia di ge-
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stione strategica delle imprese, basata sul coinvolgimento totale della direzione e dei
dipendenti per un miglioramento continuo, coinvolgimento che ha come obiettivo fi-
nale la soddisfazione dei clienti in tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto/servizio
ed in tutti i settori dell’impresa”.
5.2.1 IL SETTORE AUTOSTRADALE ITALIANO
Al paragrafo precedente, si è fatto cenno ai nuovi bisogni di trasporto e di
mobilità ed a come il trasporto, quello su gomma in particolare, tenda ad assumere
una funzione che in parte prescinde la stretta necessità di scambio delle merci e di
spostamento delle persone, prova lo sia che la crescita dei volumi di traffico è supe-
riore allo sviluppo economico. Negli ultimi due anni, in un clima d’incertezza sulle
prospettive economiche mondiali a seguito degli attentati del 11 settembre a New
York, la crescita economica a livello mondiale ha subito un forte rallentamento tra-
ducendosi in Italia in un incremento del Pil solamente del 1,8% nel 2001 e addirittura
leggermente inferiore all’1% nel 2002, valori a fronte dei quali il trasporto sulle au-
tostrade italiane registrava un aumento del traffico del 3,6%.
Le autostrade, pertanto, sono un’infrastruttura fondamentale per lo svi-
luppo economico nazionale e, particolarmente, per le regioni direttamente interessate
dalla loro estesa. La loro gestione costituisce un’attività, di fatto, protetta perché,
sostanzialmente, semimonopolistica essendo le alternative modali di trasporto, quali
ferrovie e strade ordinarie, meno convenienti, e condizionata dalla pubblica ammini-
strazione che, nell’interesse generale, ne vincola fortemente le politiche di prezzo e
regola e controlla le norme d’esercizio, anche dal punto di vista tecnico, per assicu-
rarne la qualità del servizio erogato.
In Italia, questa funzione di controllo è stata demandata all’ANAS che la e-
sercita attraverso la concessione all’esercizio per periodi determinati, con il vincolo
di subordinazione alla presentazione di un dettagliato “piano finanziario”, in cui le
previsioni di ricavo devono pareggiare i costi, sia d’esercizio sia d’investimenti in
infrastrutture, dettagliati analiticamente, incluso l’ammortamento delle infrastruttu-
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re che alla scadenza della concessione all’esercizio devono essere devolute allo Sta-
to.
La rete autostradale italiana, l’88% della quale è gestita in concessione,
presenta un’estesa di 7.203,4 km totali: di essi 6.465 sono in esercizio compresi i
25,4 km dei trafori, 86,9 sono in costruzione e 651,5 sono in programma. I 6.465 km
in esercizio (contro 54.000 km di strade statali, gestite direttamente dall’ANAS, e
250.000 km di strade provinciali e comunali) sono affidati in concessione a 25 a-
ziende in maggioranza, da poco, private, a seguito della privatizzazione del Gruppo
Autostrade ex IRI da parte del Gruppo Benetton (con 2.854,6 km) e la presenza nel
nord-ovest della penisola d’alcune società del Gruppo GAVIO (con un’estesa di circa
1000 km).
La rete al 31/12/2002 presentava le seguenti caratteristiche.
Impianti e Servizi (numero) Opere D’Arte (numero)
• Aree di Servizio 414
• Parcheggi 210
• Punti Blu 103
• Pannelli M.V. 702
• Isoradio su km 2.126
• Onda Verde su km 5.571
• Televideo per km 5.382
• S.O.S. ogni 2,5 km
• Caserme Polstrada 51
• Gallerie 599
• Ponti e Viadotti 1.415
Con estesa > 100 m
Impianti di Pagamento (numero)
• Caselli 456
• Porte 3.645
• Porte automatiche 914
• Porte Telepass 1.859
Tab.3 – Caratteristiche del Settore Autostradale Italiano (Fonte: AISCAT, 2002)
Il sistema autostradale italiano, che nel 2002 è stato interessato da
75.224,5 milioni di veicoli-km di cui 57.388,4 leggeri e 17.836,1 pesanti e nel de-
cennio 1992-2002 ha registrato incrementi di traffico da 53 a 75 miliardi di veicoli-
km e d’introiti da pedaggio da 2.800 a 4.400 milioni di euro, è un sottosistema di
quello europeo per la gestione dei trasporti sul quale recenti studi, a livello appunto
Unione Europea (U.E., 2001), affermano che “il trasporto è l’elemento fondamen-
tale di funzionamento di tutte le economie moderne” ma anche che “il trasporto è
sempre più una contraddizione tra un sistema sociale bisognoso di mobilità e
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111
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un’opinione pubblica che sopporta sempre meno i ritardi, le disfunzioni, la me-
diocre qualità delle prestazioni ed i relativi danni ambientali”.
5.2.2 LA PRIMA ESPERIENZA DEL TOTAL QUALITY MANAGEMENT NEL
SETTORE AUTOSTRADALE ITALIANO
Agli inizi degli anni ‘80, nel settore autostradale italiano, vi fu una prima ed
importante, non solo dal punto di vista storico, esperienza di propensione alla qualità,
anche se l’azienda che la promosse non era propriamente di trasporto bensì erogava,
ed eroga tuttora un servizio sussidiario alla mobilità. Si fa riferimento all’Autogrill,
azienda allora controllata dalla SME finanziaria del Gruppo IRI per il settore agrico-
lo-alimentare, adesso di proprietà di un gruppo privato, attraverso la quale lo stesso è
potuto diventare il socio di riferimento della ex Autostrade Gruppo IRI, attuale Auto-
strade per l’Italia.
Autogrill era, ed è, il principale gestore delle aree di servizio autostradali,
fonte d’ingenti incassi per la proprietà e di importanti royalties per le società auto-
stradali concessionarie. L’approccio alla qualità fu essenzialmente motivato dalla ne-
cessità di risanamento del Gruppo che, a quell’epoca, versava in gravi difficoltà a se-
guito dei tracolli industriali di partecipate quali Motta ed Alemagna. Nell’ambito,
quindi, di una profonda ristrutturazione e riorganizzazione del Gruppo SME, il
management d’allora si rese conto che non era sufficiente far leva sugli investimenti
e sull’organizzazione aziendale ma era necessario puntare sulla qualità quale elemen-
to indispensabile per competere con un mercato ed una concorrenza già quella volta
ed in quel settore, spietata. Nell’imboccare la strada certamente non semplice della
qualità, l’azienda non si limitò ad annunciarla genericamente, bensì la praticò ad ogni
livello, coinvolgendo tutte le persone e le diverse funzioni, in modo non episodico.
Partì un piano aziendale d’attivazione dei “Circoli della Qualità”, che nella sua arti-
colazione concreta raggiunse il numero di 66 gruppi (denominati DELTA) con un
coinvolgimento di oltre 450 persone che, tipicamente in un anno, esplicavano il pro-
prio lavoro in ben 280 riunioni, cui corrispondevano 3100 ore di lavoro. Il frutto di
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tale impegno si rendeva concreto in una ventina di progetti che annualmente in un
meeting, dove tutti i dipendenti partecipavano, erano illustrati e premiati.
SBAGLIATO
NON ESISTENTE
METODO
DISTURBA
INESISTENTE
CLIENTE
TEMPO ELEVATO
PREOCCUPATO
PERSONALE
PAURA DI SBAGLIARE
CONTANTE
BANCONOTE DA 500
ECCESSIVE
POCO MANEGGEVOLI
SPICCIOLI
esempio CAMBIO TURNO ALLA CASSA
HA FRETTA
CHIEDE UN SERVIZIO
INDIVIDUALE
FRETTA
DIFF.CASSA EMOTIVO
ORIGINE SCARTI NELLA SCELTA
AMBIENTE
INSICURONOTTE
PRODOTTO
Teoria
NON ILLUSTRATO BENE IL
PRODOTTO
CONFEZIONI
FACILE DA MANOMETTERE
CLIENTE
CURIOSOVANDALISMO
Fig.16 – Esempi di Diagrammi di Ishikawa usati nei Gruppi DELTA 1987
Sono riportati in figura16, a titolo d’esempio, due diagrammi di Ishikawa (li-
sca di pesce, causa effetto) tipico strumento del problem-solving adoperato nei grup-
pi DELTA per analizzare e risolvere le problematiche aziendali, in questo caso rela-
tive al cambio turno alla cassa, ed al problema degli scarti. Il processo “Circoli della
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Qualità” fu il processo del Company-Wide Quality Control che deteneva all’epoca il
maggior contenuto innovativo proprio perché rappresentava un poderoso brea-
kthrough ed un grande evento anticipatore nell’area più delicata della gestione
dell’azienda: quella delle risorse umane (Galgano, 1990). Come già riportato al para-
grafo 2.2.4, in Giappone i primi Circoli erano stati introdotti nell’estate del 1962 e
per capire la lungimiranza delle direzioni aziendali giapponesi ci si può domandare
quale era all’inizio degli anni ‘60 la visione dei dirigenti italiani sul ruolo del perso-
nale operativo. Per diversi anni (1965-1985) i Circoli della Qualità sono stati
l’aspetto più noto delle aziende giapponesi; successivamente l’organizzazione Just in
Time e “l’azienda senza scorte” hanno soppiantato i Circoli stessi in fatto di notorie-
tà. Per concludere su l’esperienza di Autogrill, che peraltro seppur con gli adegua-
menti intercorsi a causa delle evoluzioni sviluppatesi nelle modalità di approccio alla
qualità, sta ancora proseguendo anche se con dizioni e terminologie diverse in quanto
aggiornate, si riassumono nominalmente alcuni progetti di miglioramento realizzati
nelle aree di front-line. Miglioramento manutenzione macchina per il
caffè al fine di garantirne il funzionamento
Spese di gestione: costi energetici. Procedure
operative delle promozioni market in autobar
Miglioramento rapporto con fornitore riviste Differenze inventariali della toiletteria Miglioramento dell’uso e consultazione fasci-colo richiesta merci e listino prezzi
Miglioramento del rifornimento prodotti
market in sala vendite Pulizia vetri nella sala vendite Spazi nel locale di preparazione dei panini
Gestione e presentazione della croissanteria Errori di pezzatura e etichettatura al market
Differenze inventariali lotterie Gestione assortimento vini e liquori
Gestione dell’assortimento giocattoli Layout autobar
Musicassette nei Grill Attrezzature promozionali al market fuori
banco
Gestione dell’acqua e del vino in bottiglia al
self-service
Rifornimento da sede e stivaggio merce in
magazzino
Analisi del calo peso dei salumi e dei formaggi Polvere sugli scaffali
Insetti all’interno dell’autobar Migliore immagine retrobanco bar
Gestione del succo d’arancia Carrello sbarazzo tavoli
Consumo idrico Servizio cioccolata calda
Tab.4 – Esempi di Processi affrontati nei Gruppi di Miglioramento DELTA
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6. QUALITÀ E MOBILITÀ: IL CASO AUTOVIE VENETE
6.1 LA S.p.A. AUTOVIE VENETE E LE SUE CARATTERISTICHE
La concessionaria autostradale Autovie Venete è una società per azioni con-
trollata da un’azionista pubblico (la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia de-
tiene circa l’86% del capitale sociale, le restanti quote sono detenute da altri Enti
Pubblici -quali Regione Veneto, Province, Comuni- da Istituti di Credito, da Privati).
L’azienda gestisce il servizio autostradale su un’estesa di 193,908 km, dove com-
paiono 12 stazioni (caselli) per la riscossione del pedaggio, 16 aree di servizio e di
parcheggio, 156 colonnine SOS, e l’offerta ai clienti di tutti i servizi per agevolare la
loro percorrenza sull’autostrada: informazioni, assistenza al traffico, aree di sosta.
Autovie Venete, interessata nel 2002 da 35,803 milioni di transiti ai propri
caselli e da un traffico pari a 2.115.403 miliardi di veicoli-km, grazie alla posizione
geografica della propria rete autostradale, svolge un ruolo strategico per la comuni-
cazione tra l’Italia e l’Europa dell’Est.
Al continuo aumento del traffico fa riscontro un intenso programma d’ade-
guamento strutturale, garantito dall’adozione di standard qualitativi e quantitativi
di sicurezza, scorrevolezza, assistenza al traffico, comfort ed erogazione d’informa-
zioni. La gestione economica e finanziaria presenta un valore della produzione che,
al 31/12/2002, è stato pari a 103.131.657 euro ed un conto economico d’esercizio ri-
portante un utile d’esercizio di 14.461.297 euro, che ammonta a 28.057.043 euro
quale risultato prima delle imposte. Un fattore di sicuro successo per l’azienda è in-
dividuabile nella durata della concessione che è fissata fino al 31 marzo 2017, come
da registrazione, avvenuta nel corso dell’adunanza dell’11 aprile 2000 della Corte dei
Conti, del decreto interministeriale d’approvazione della convenzione di concessione
stipulata con l’Ente concedente ANAS il 7 dicembre 1999.
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6.1.1 LA S.P.A. AUTOVIE VENETE E L’EVOLUZIONE DELL’OGGETTO SOCIALE
NELLA SUA STORIA
Può risultare utile, anche se non strettamente indispensabile ai fini del presen-
te lavoro, ripercorrere rapidamente l’evoluzione della Società a seguito delle modifi-
che del suo oggetto sociale, per meglio comprendere le trasformazioni che l’hanno
interessata ed interpretare i cambi di cultura aziendale (Sauli, 2003).
La Società Anonima Autovie Venete (S.A.A.V.) fu costituita a Trieste il 16
giugno 1928, su iniziativa delle amministrazioni provinciali di Trieste e di Venezia,
della Podestà di Trieste, dell’Istituto Federale di Credito per il Risorgimento delle
Venezia, della Società Italiana Pirelli e d’alcuni notabili nati o residenti a Trieste, tra
cui la figura di spicco fu rappresentata dall’ing. Giuseppe Baldi, che ricoprì la carica
di Consigliere Delegato della Società fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1957. Il
capitale sociale era di Lire 100.000; l’oggetto della Società “la costruzione e
l’esercizio d’autovie nelle Venezie”.
La sede della Società è sempre stata a Trieste, eccezione fatta per il periodo
dal 1947 al 1958, in cui è stata spostata a Roma, pur mantenendo una filiale a Trieste.
L’evoluzione dell’oggetto sociale consente di rappresentare una sommaria
storia della Società: nel 1942 esso era costituito dalla “progettazione, costruzione e
l’esercizio d’autostrade nel Regno, in Albania, Colonie, Possedimenti ed all’Estero”.
Al termine della seconda guerra mondiale, oltre alla “progettazione, la costruzione e
l’esercizio d’autostrade” Autovie Venete poteva “partecipare ed assumere
interessenze anche in altre società o aziende similari e non similari, costituite o
costituende”. Del 1973 la precisazione, inerente “la costruzione e l’esercizio
dell’autostrada Venezia – Trieste con diramazioni Palmanova – Udine e
Portogruaro – Pordenone, ad essa assentita in concessione”. A far data dal 1991,
“in relazione finalità previste dalla Legge, la Società può svolgere attività di
mandataria per conto della Regione Friuli – Venezia Giulia e detenere somme altrui
necessarie all’esercizio del mandato”. Dal 1995 l’attività di progettazione,
costruzione ed esercizio, oltre ai tratti già assentiti in concessione, si estende alle
“connessioni viarie, ai raccordi e alle altre opere connesse alle autostrade assentite
o d’adeguamento delle medesime perché richiesto da esigenze concernenti la
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sicurezza del traffico o al mantenimento del livello di servizio”. Contempora-
neamente, l’attività è ampliata alla diretta realizzazione di “servizi diversificati a
favore dell’utenza, ovvero partecipazione in Enti e Società diretti al conseguimento
di fini analoghi”, in particolare mediante “ogni e qualsiasi operazione finalizzata
alla migliore tutela degli interessi dell’utenza o a vantaggio dei livelli di sicurezza
del traffico”. É prevista la possibilità di “porre in essere ogni attività pubblicitaria
nel rispetto della normativa del nuovo codice della strada” e di “costruire e gestire
parcheggi, anche custoditi, a favore dell’utenza”. L’ultima modifica è del 1999: la
progettazione, costruzione ed esercizio d’autostrade diventano oggetto “principale”
per la Società, per la quale è previsto, inoltre, lo svolgimento di “attività d’impresa
diversa da quella principale, nonché da quelle analoghe o strumentali ausiliarie del
servizio autostradale, attraverso l’assunzione diretta od indiretta di partecipazioni di
collegamento o di controllo in altre Società”, in particolare “ogni attività diretta
all’utilizzazione economica delle pertinenze autostradali, ivi compresa la rete di
telecomunicazione, …”.
Gli aumenti, succedutisi dalla costituzione sino ad oggi, hanno determinato la
partecipazione di numerosi azionisti al capitale sociale di Autovie Venete; la maggior
parte dei quali ancora detiene parte delle azioni, mentre gli esercizi societari hanno
scandito le realizzazioni infrastrutturali.
Nell’esercizio 1946 fu approvato il progetto esecutivo del raccordo
autostradale Trieste – Porto – Padriciano ed appaltati i lavori a singole imprese.
Progetto del tronco Padriciano – Sistiana. Inoltre presa di contatto con il governo
italiano per la riprogettazione definitiva e l’esecuzione e l’esercizio dei tronchi:
Trieste – Palmanova, Venezia - Palmanova e Tarvisio – Palmanova, per un totale di
circa 241 km di percorso.
Nell’esercizio 1947 esecuzione tronco Trieste Porto – Sistiana, in quello del
1949 sono stati ultimati i tronchi Trieste – Padriciano e Padriciano – Sistiana e
perfezionati i progetti per il completamento dei tronchi Trieste – Tarvisio e Trieste –
Venezia. É del maggio 1951 la trasformazione in Società per Azioni e l’aumento di
capitale per favorire l’ingresso d’enti pubblici e a partecipazione pubblica.
La Legge 21 marzo 1958 determinò lo stanziamento del contributo statale di
sei miliardi per la realizzazione dell’autostrada Trieste – Venezia. La previsione di
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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spesa per la costruzione del tronco in questione era di 17 miliardi. L’Assemblea del
20 ottobre deliberò, oltre all’aumento del capitale sociale fino a Lire 520.000.000, il
trasferimento della sede da Roma a Trieste e la proroga della durata della Società
fino al 1995. L’aumento di capitale sociale, riservato prevalentemente agli Enti
Pubblici Locali (province, Comuni e Camere di Commercio di Trieste, Udine,
Gorizia e Venezia), consentì agli stessi di arrivare a detenere l’81,3% delle quote.
Nel corso dell’esercizio 1961, 22 lotti dei 23 previsti furono già consegnati
all’ANAS per l’approvazione e, nello stesso anno, Autovie Venete aderì all’ANSICA
(oggi AISCAT), associazione delle società concessionarie formatasi con l’intento di
studiare i problemi di diversa natura comuni alle diverse concessionarie.
Il 1° novembre 1962 si svolse la cerimonia ufficiale d’inizio dei lavori,
mentre il 14 novembre si procedette alla consegna dei lavori dei Lotti 4 e 5, di
realizzazione dei ponti sul Torre e sull’Isonzo, e quindi all’inizio dei lavori di
costruzione dell’autostrada cui seguì, nell’esercizio 1963, l’appalto dei lavori del
primo tronco Trieste – Palmanova. Con la legge n. 11 del 12 luglio 1965 della
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, costituita con legge costituzionale n. 1 del
31 gennaio 1963, la Giunta Regionale fu autorizzata a sottoscrivere il capitale sociale
della Società per complessive Lire 1.000.000.000 e a prestare garanzia fidejussoria
per le operazioni di finanziamento necessarie ad Autovie Venete. L’ingresso nel
capitale sociale della Società avvenne nel 1965, con la sottoscrizione delle azioni
rimaste inoptate a seguito dell’aumento di capitale a Lire 1 miliardo e con l’acquisto
di tutte le azioni, destinate in opzione esclusiva per delibera dell’Assemblea, emesse
con il successivo aumento di capitale a Lire 1.800.000.000; in questo modo la
Regione Friuli Venezia Giulia divenne azionista di maggioranza della Società.
Il primo tronco aperto al traffico, alla fine del mese di luglio del 1966, fu
quello Lisert – Basaldella (UD), per 42,6 chilometri mentre nel corso dell’esercizio
1967, oltre all’apertura al traffico della tratta tra Palmanova e Latisana (25 giugno)
e al proseguimento dei lavori per la realizzazione dei successivi tronchi autostradali,
la Società cominciò ad effettuare opere esulanti la costruzione di autostrade. La Re-
gione Friuli Venezia Giulia, infatti, nel quadro delle iniziative a favore del potenzia-
mento e sviluppo dei traffici, con particolare riguardo alle infrastrutture confinarie,
affidò ad Autovie Venete la costruzione e gestione del centro confinario di Coccau.
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
118
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L’8 maggio 1968 furono inaugurati la tratta da Latisana a Portogruaro e,
nello stesso esercizio, il raccordo tra la stazione autostradale di Udine e la S.S. 13, in
località Santa Caterina laddove nel corso dell’esercizio 1969 furono portati a termine
i lavori di costruzione dell’autostrada Trieste – Udine – Venezia, integralmente a-
perta al traffico nel febbraio 1970. Nello stesso esercizio, con la firma dell’atto ag-
giuntivo alla convenzione di concessione, intervenuta il 18 dicembre 1969, fu stral-
ciata dalla competenza di Autovie Venete la costruzione della tangenziale di Mestre
(affidata alla Venezia – Padova), mentre le fu affidata la costruzione del tratto auto-
stradale Portogruaro – Pordenone, portando l’estesa in concessione ad Autovie Vene-
te da 145,4 chilometri a 167,4 chilometri. Sempre nell’esercizio 1969, Autovie Vene-
te entrò a far parte della Società del Traforo di Monte Croce Carnico, acquisendone
la maggioranza del capitale sociale dando inizio ai lavori di costruzione dell’area do-
ganale di Coccau, provvedendo inoltre a studiare, di concerto con la finanziaria re-
gionale Friuli S.p.A. la costituzione di una società di gestione dell’area doganale
stessa.
Nel corso dell’esercizio 1970 l’ANAS approvò il progetto esecutivo del tratto
autostradale da Portogruaro a Pordenone, la cui costruzione ebbe inizio nell’esercizio
1971 e, nell’esercizio 1972, fu ultimata la costruzione della stazione autostradale di
Mestre, costruita in funzione del collegamento tra la rete in concessione ad Autovie
Venete e la tangenziale di Mestre, realizzata dalla Società delle Autostrade di
Venezia e Padova S.p.A.: si realizzò in questo modo l’unione tra la tratta di
competenza della Società e la rete nazionale. Nel marzo 1973 fu sottoscritta la nuova
convenzione con l’ANAS, che sancì in trenta anni la durata della concessione.
Nel corso dell’esercizio 1991 di rilievo è la promulga della legge n. 19,
ripresa dalla legge regionale n. 34, che prevede lo stanziamento di 94 miliardi di
Lire, la cui amministrazione è affidata ad Autovie Venete, per la costruzione del
raccordo tra l’autostrada Lubiana Maribor, dalla sua estremità meridionale di Razdrto
e il sistema autostradale italiano in località Sant’Andrea (Gorizia) e Fernetti
(Trieste). Per quanto riguarda i lavori sono proseguiti quelli di costruzione del
prolungamento autostradale da Pordenone a Conegliano, in particolare i Lotti 24, 25,
26, 27 e 27° e quelli d’arretramento della barriera autostradale di Venezia Est. Nel
luglio 1992, con la conclusione dei lavori di costruzione dei Lotti 24 e 25, fu aperto
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al traffico il primo tronco di collegamento della A28 tra Cimpello e Fontanafredda;
contemporaneamente proseguirono i lavori di costruzione dei Lotti 26, 27 e 27° e
della nuova barriera di Venezia Est, resa operativa nel 1993.
Nel dicembre 1994, terminati i lavori di costruzione dei Lotti 26 e 27, fu
aperto al traffico il tratto tra Fontanafredda e Sacile Est e, nel corso dell’esercizio
1995, iniziarono i lavori d’ampliamento dei ponti sul torrente Torre e sul fiume
Isonzo interessanti la corsia Sud laddove, adesso, sono in fase di rifacimento i
manufatti della corsia Nord. Nello stesso esercizio la Regione Friuli Venezia Giulia
conferì la totalità della sua partecipazione azionaria in Autovie Servizi S.p.A. ad
Autovie Venete che così ne ebbe, e l’ha tuttora, il controllo: in tal modo Autovie
Venete è entrata nell’ambito di applicazione della norme del capo III del Decreto
Legislativo n. 127 del 9 aprile 1991, che prevedono la redazione del bilancio
consolidato di gruppo. Nel 1996 fu inaugurata la nuova sede della Polizia Stradale
presso il Centro Servizi di Palmanova e furono costituite due società S.T.-Sistemi
Telematici (progettazione e realizzazione di sistemi informatici e tecnologici per il
settore autostradale), Easy Drive (ricerca e progettazione di sistemi di sicurezza per
la mobilità), società per le quali, unitamente alla C.R.S. (partecipata per la ricerca
nell’ambito delle pavimentazioni), odiernamente è prevista la cessazione dell’attività
e dell’esistenza, nell’ambito di un processo di riordino del Gruppo Autovie Venete.
6.1.2 LA S.P.A. AUTOVIE VENETE: PILASTRI E MINACCE
Autovie Venete si colloca nei sistemi dei trasporti europei ed italiano che,
come già detto, devono recuperare efficacia ed efficienza migliorando la qualità delle
prestazioni e superando ritardi, disfunzioni, relativi danni ambientali, onde evitare
crisi di rigetto di un’opinione pubblica che, a fronte di crescenti costi sociali, ambien-
tali e di salute, potrebbe influenzare negativamente la politica ed i governi locali e
nazionali. L’espansione dell’Unione Europea e l’evoluzione da un’economia di stock
a quella di flusso (Autovie Venete, 2001), fanno sì che i trasporti siano un fattore
chiave di uno sviluppo che dovrà essere sostenibile, oltrechè compatibile con
l’ambiente, la salute pubblica, la sicurezza. Emergono per l’azienda, quindi, oppor-
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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© ISPER EDIZIONI 328
tunità strategiche d’investimento sul territorio nazionale (nord-est in particolare) e su
quello europeo (Corridoio 5) richiedenti adeguate fonti di finanziamento da reperirsi
a livello governativo o comunitario, cui dovranno comunque abbinarsi, vista l’entità
dei fabbisogni, immissioni di capitale privato ed il ricorso all’autofinanziamento.
L’azienda, schematicamente, può anche rappresentarsi attraverso le sue certez-
ze/opportunità (pilastri-underpinnings) e le minacce a cui può essere soggetta (PGA,
1998).
PRINCIPALI PILASTRI MINACCE ai PILASTRI Traffico (merci e passeggeri) in costante au-mento
Affermazione di modalità di trasporto alter-native a basso costo
“Monopolio” del traffico autostradale Est-Ovest nella regione
Saturazione autostrada (scorrimento non fluido)
Preferenza dell’utenza per l’autostrada ri-spetto alla viabilità ordinaria
Saturazione delle linee d’afflusso e deflusso dall’autostrada
Diritto e possibilità di riscossione del pedag-gio autostradale
Emanazione ministeriale nuovi standard tec-nici a breve scadenza
Concessione sino al 2017 della tratta auto-stradale
Eventi bellici o catastrofici (alluvioni, terre-moti, incendi)
Possibilità di effettuare gli investimenti pre-visti
Termine monopolio traffico autostradale Est-Ovest
Utilizzabilità del corpo autostradale Liberalizzazioni tratte autostradali Raggiungere l’equilibrio finanziario Crisi energetica Immagine della società Crisi delle case automobilistiche Scadimento immagine societaria Scadimento viabilità autostradale Costruzione vie alternative traffico
Tab.4 – I Pilastri e le Opportunità di Autovie Venete
6.1.3 LA VISIONE DELLA S.P.A. AUTOVIE VENETE
La visione di un’azienda non è altro che una definizione di quello che deve
essere il ruolo dell’impresa e dei suoi obiettivi chiave nel futuro: deve contenere le
direttive di lungo termine che guidano il cammino aziendale, le aspirazioni fonda-
mentali e la ragione d’essere dell’impresa (progettare, produrre e vendere prodotti
d’alta qualità). Vi sono alcuni fattori da considerare nello stabilire la visione, ovvero
l’ambiente competitivo, lo sviluppo tecnologico, le competenze core, i capitali di-
sponibili, le esigenze dei proprietari. Tutti questi elementi devono costituire oggetto
di discussione al fine di poter fissare i propri obiettivi. Se l’impresa vuole avere suc-
cesso, infatti, deve focalizzarsi su una direzione di sviluppo comune, derivante
dall’analisi della situazione interna ed esterna e dei principali fattori critici, che risulti
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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condivisa da tutta l’organizzazione. In questo modo si ottiene la flessibilità necessa-
ria per adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente competitivo, ed allora:
la S.p.A. Autovie Venete deve essere un’azienda credibile sotto il profilo
imprenditoriale, gestionale e politico nella modalità di condurre la con-
cessione, attraverso i suoi programmi strategici, fino alla scadenza, nel ri-
spetto degli standard fissati dall’ente concedente per l’adeguamento dei
pedaggi (indicatore di qualità e indicatore di produttività a sua volta
composto da indicatore di stato delle pavimentazioni e dall’indicatore di
incidentalità);
la S.p.A. Autovie Venete conferma il naturale ruolo di riferimento di un
gruppo che va ridisegnato nella sua strutturazione, composizione ed orga-
nizzazione;
la S.p.A. Autovie Venete si propone a soggetti pubblici, e non, come pivot
della nuova era di modernizzazione infrastrutturale della regione e
dell’area centro-europea essendo in possesso di capacità gestionale, tecnica
ed industriale, di un patrimonio di persone e squadra di management, con
presenza sul territorio.
6.1.4 LE PROSPETTIVE DELLA S.P.A. AUTOVIE VENETE
Le prospettive derivano dalla visione comune: esse non sono altro che le di-
mensioni attraverso le quali è creato valore nell’impresa a cui vanno aggiunte delle
altre sulla base degli interessi che si ritengono importanti quali, per esempio, quella
delle risorse umane. Le prospettive devono bilanciare gli interessi d’individui, azien-
de ed enti, che in qualche modo svolgono una funzione importante per la vita
dell’impresa compresi, quindi, azionisti, clienti, fornitori, dipendenti (Atkinson,
1997). La scelta delle prospettive deve avvenire in modo da rendere possibile anche
l’esplicitazione delle relazioni che tra loro intercorrono (Kaplan, 1996).
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PROSPETTIVA ECONOMICO FINAZIARIA
o Autovie Venete operante in un contesto senza più vincoli rigidi, proietta-
ta verso un accrescimento di ruolo e quindi di valore.
o Autovie Venete in rampa di lancio per una privatizzazione parziale, ma
significativa, che lasci intravedere interessanti capital gain e buoni divi-
dendi.
o Autovie Venete può cogliere la fase di privatizzazione d’altre concessio-
narie.
PROSPETTIVA DELLA CLIENTELA
o Rafforzare una cultura di servizio al viaggiatore.
o Raggiungere l’eccellenza nel servizio al cliente.
o Sviluppo in nuovi comparti.
PROSPETTIVA DEI PROCESSI AZIENDALI INTERNI
o Colmare il notevole divario tra la domanda e l’offerta d’infrastrutture e
servizi di mobilità nel Paese (Nord-Est in particolare) e area centroeu-
ropea.
o Ruolo crescente delle Autorità regionali nella gestione delle infrastrut-
ture e nelle decisioni d’investimento.
o Migliorare l’efficienza e l’efficacia operativa.
PROSPETTIVA DELL’APPRENDIMENTO E DELLA CRESCITA
o Il Gruppo Autovie dovrà essere protagonista nello sviluppo delle infra-
strutture di mobilità nel Nord-Est e lungo il Corridoio 5.
o Dovrà valorizzare le competenze e gli assets aziendali e di gruppo.
Per individuare gli obiettivi strategici di Autovie Venete, può essere impiega-
to il metodo della Balanced Score Card (DeMarco, 1999), che prevede la scomposi-
zione di ognuna delle quattro prospettive, ottenendo quanto segue che, peraltro, è già
stato oggetto di verifica sul campo in azienda (Centrone, 2001).
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PROSPETTIVA ECONOMICO FINAZIARIA (in tre anni)
Crescita dell’utile netto dal 10% al 18%.
MOL (Margine Operativo Lordo) sui ricavi da pedaggio da 40% a 55%.
Riduzione del rapporto Costo del Lavoro/Ricavi dal 36% al 28%.
Riduzione di 1/3 spese prestazione servizi.
Quota autofinanziamento come da Piano Finanziario.
Cessione 30% capitale sociale.
Aumento capitale sociale.
Dismissioni partecipazioni non strategiche.
Riordino societario e di Gruppo.
Redditività da partecipazioni di Gruppo.
PROSPETTIVA DELLA CLIENTELA
Soddisfazione rispetto a standard di sicurezza, percorribilità, rispetto
tempi, ambiente, tecnologia, confort.
Fidelizzazione.
Acquisizione e Redditività.
Prestazioni aziendali/Bisogni del cliente.
Servizi di mobilità intermodale.
Incremento Valore shareholders.
PROSPETTIVA DEI PROCESSI AZIENDALI INTERNI
Qualità dei servizi interni.
Ciclo passivo.
Recupero dell’immagine.
Realizzazione d’Opere autostradali.
Individuazione dei risparmi sui costi.
Diversificazione del business.
Avvio di almeno un progetto del “Corridoio 5”.
Piano d’automazione dell’esazione pedaggi.
PROSPETTIVA DELL’APPRENDIMENTO E DELLA CRESCITA
Clima (morale /coinvolgimento dipendenti).
N° suggerimenti (recepiti) dei dipendenti.
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Disponibilità informazioni/sistema informativo.
% ricavi/formazione.
Incentivi economici alla performance.
Capacità dei clienti/Banca dati dei clienti.
Sviluppo delle Risorse Umane.
Turnover.
Stock options.
Per far fronte a questi impegnativi piani industriali, l’Azienda può contare su
delle risorse umane qualificate e su un’organizzazione la cui struttura, di necessità
gerarchico funzionale, è rappresentata nell’organigramma di figura17.
DirezioneArea Tecnica
DirezioneArea Legale
Direzione Area Personale ed
Organizzazione
Presidente
Direttore Generale
Amministratore Delegato
Direzione AreaAmministrativa
Acquist i
Controllo Avanzamento
Progetti
Contabilità, bilancio,
consolidato
Servizi Amministrativi
Affari finanziaried adempimenti
tributari
Assicurazione Qualità
Risorse Umane
Prevenzione e Sicurezza
Espropri e Patrimonio
Affari Legali e Societari
Gare, Contratt i, Fornituredi servizi
Opere d'arte e Pavimentazioni
Nuovi Lavori
Ammodernamenti e Manutenzioni
Amministrazione Tecnica
Servizio Clienti Servizi e Impianti Tecnologici
Gestione Rete ServiziManutentivi
Vicepresidente
Attività di esercizio
24 32 22 53
360
3 2 9
15
TOTALE DIPENDENTI al 30/09/2003
a tempo indeterminato:
a tempo determinato :
esattori t.d. : 84
576
463
29
Fig.17 - Organigramma della S.p.A Autovie Venete al 31/10/2003
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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6.2 LE POLITICHE DI QUALITÀ DELLA S.p.A. AUTOVIE VENETE
Sin dall’inizio di questo lavoro, e particolarmente nel capitolo 5, è stato appu-
rato che la qualità del servizio e la centralità del cliente fanno ormai parte del patri-
monio culturale di tutte le imprese e, finalmente, anche di quelle che erogano un ser-
vizio, anche se ciò è avvenuto in tempi e con modi diversi nonchè secondo le più di-
sparate evoluzioni. Con riferimento a quanto delineato ai paragrafi 1.1 e 1.2 del capi-
tolo 5, relativamente agli scenari possibili per il settore dei trasporti e della mobilità,
i fattori cui ascrivere questo cambiamento sono riportati di seguito:
Liberalizzazione dei mercati.
Processi di privatizzazione.
Nuovi bisogni/consapevolezza dei clienti (Consumerismo).
Nuovo ruolo delle Istituzioni centrali e periferiche.
6.2.1 IL NUOVO PARADIGMA DELLE STATEGIE ED IL PRICE-CAP
Ne consegue un diverso paradigma, avente per focus il cliente, delle strategie
aziendali delle imprese di servizi, orientato secondo seguenti tre direttrici principali:
Aumentare la competitività/offerta di servizi in un MERCATO più con-
correnziale.
Rafforzare il focus sulla gestione del SERVIZIO.
Soddisfare le esigenze del CLIENTE.
Il settore autostradale dal 1997 in poi ha visto il proprio ambito di riferimento
evolvere a seguito di cinque elementi determinanti:
• Evoluzione della domanda di mobilità autostradale.
• La nuova Convenzione con l’ANAS.
• Il ruolo degli organi indipendenti di controllo.
• Una maggiore centralità degli enti territoriali.
• L’introduzione delle Carte Informative Aziendali (Carta dei Servizi)
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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Per la S.p.A. Autovie Venete l’ultima convenzione con l’ANAS del 7/12/199,
ma ciò vale anche per le tutte altre Concessionarie, ha evidenziato l’importanza della
qualità attraverso due indicazioni fondamentali:
1. l’impegno alla formulazione della Carta dei servizi;
2. l’introduzione del fattore qualità nella formula del price-cap relativa al-
le tariffe.
Per quanto riguarda il primo punto vi sono dei limiti della normativa relati-
va alla Carta dei servizi gestiti da soggetti pubblici e non. La Direttiva Ciampi
(27.1.1994) stabilisce, infatti, i criteri d’emanazione delle Carte dei servizi per i set-
tori dei servizi sociali e dei servizi pubblici. I limiti rispetto al settore autostradale,
sono i seguenti:
• non è stato definito uno schema di riferimento come per gli altri settori (la
Carta della mobilità aiuta relativamente);
• il cliente è parte attiva nella gestione del servizio fornito dal gestore e non
solo utilizzatore;
• in alcune emergenze il gestore può decidere autonomamente, ma è condi-
zionato da decisioni esterne (Polizia, Vigili del Fuoco, Prefetture) che pos-
sono prescindere da considerazioni di servizio.
Per quel che concerne il punto2, invece, effettivamente gli Atti Convenzionali
di tutte le società autostradali, integrati dalle note ANAS n°657 del17/02/1999,
n°3357 del 19/07/1999, n° 3959 del 4/07/2002 richiamano le Società sulla documen-
tazione che devono trasmettere periodicamente relativamente all’indicatore di qualità
che compare nella formula: ∆T ≤ ∆P – X + β∆Q dove
∆Q = variazione percentuale dell’indicatore della Qualità del servizio
∆T = variazione tariffaria ∆P = tasso d’inflazione programmato
X = tasso di produttività attesa Β = coefficiente positivo
Tale indice è determinato mediante il concorso di dati tecnici, relativi allo sta-
to strutturale delle pavimentazioni, rilevati annualmente, raccolti in forma digitale su
supporti ottici e/o magnetici, organizzati e comunicati ogni primo semestre
all’ANAS, come da sua nota del 19/7/99. Questi dati consentono di determinare
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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l’indicatore delle pavimentazioni Ipav: devono essere omogenei, rilevati su super-
fici omogenee in condizioni climatiche omogenee. Essi sono:
1. dati dei rilievi (CAT / HS ) relativi all’aderenza ed alla tessitura delle pa-
vimentazioni.
2. dati dei rilievi (IRI) relativi alla regolarità delle pavimentazioni.
3. dettaglio degli interventi effettuati sulle pavimentazioni nel periodo compre-
so tra due rilievi, con la specifica delle tratte in asfalto drenante.
L’estesa autostradale va suddivisa in tronchi, con la specificazione dello stra-
to di rotolamento ed accanto ai valori strumentalmente rilevati ed a quelli relativi agli
interventi di manutenzione effettuati sulle pavimentazioni, vanno aggiunti i dati di
traffico e degli incidenti per la determinazione dell’indicatore di incidentalità.
6.2.2 IL SISTEMA DI GESTIONE AZIENDALE PER LA QUALITÀ NELLA S.P.A.
AUTOVIE VENETE
Ma limitarsi solo a questo per la qualità, anche se lo stato del manto
dell’asfalto in un’autostrada è essenziale, significherebbe per Autovie Venete rinun-
ciare a quello che dovrebbe essere, invece, un processo di sviluppo ineludibile da co-
struttore e gestore di infrastrutture autostradali a gestore del servizio autostradale
orientato a divenire gestore della mobilità.
La Società, allora, sin dal 1999, ha avviato un lento ma vasto processo di
riorganizzazione e ristrutturazione aziendale in cui le logiche del Total Quality
Management sono state fatte proprie e portate avanti per implementare un sistema di
gestione aziendale basato sulla qualità. È stato avviato un progetto strategico con
l’obiettivo di: definire un insieme di regole per gestire i processi necessari ad assi-
curare che il proprio output (servizio erogato) fosse conforme alle esigenze dei
clienti. Per realizzare e dimostrare i processi definiti, l’azienda ha fissato e docu-
mentato un Sistema di gestione conforme ai requisiti della norma ISO 9001 per la
qualità. Attraverso un impegnativo e capillare piano di formazione aziendale, che ha
coinvolto più di 500 dipendenti per 12 giornate/uomo d’attività con il supporto di
competenti quanto autorevoli consulenti esterni di valenza nazionale e con il signifi-
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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cativo riconoscimento dei contributi del Fondo Sociale Europeo per l’attività svolta,
si è concretizzata quell’azione propedeutica di “cambio della cultura aziendale” per
poter acquisire le logiche della qualità.
Nel settembre 2000, per la prima volta nel settore autostradale italiano,
un’azienda, la S.p.A. Autovie Venete conseguiva la certificazione per opera del TÜV
Italia, dopo una ventina di visite ispettive interne, un preaudit e l’audit finale con i
verificatori del TÜV. È certificato l’intero campo d’azione dell’azienda con specifico
riferimento alla gestione dell’esercizio autostradale; progettazione e realizzazione
d’infrastrutture di supporto. Peraltro nel Gruppo Autovie Venete vi è anche una so-
cietà controllata dalla capogruppo, AESSE, che pure essa certificata TÜV Italia, rea-
lizza tutti progetti per le grandi realizzazioni della capogruppo stessa.
La Società ha sviluppato un avanzato know-how nelle complesse problema-
tiche della viabilità autostradale, attraverso le più innovative tecniche di costruzione
adeguandosi alle nuove domande del settore dei trasporti e ponendo particolare at-
tenzione e rispetto per risorse naturali e opere d’interesse storico/artistico puntando
ad un’integrazione tra avanguardia stradale e contesto ambientale. Impegnata nello
sviluppo delle infrastrutture nel nord-est italiano, AUTOVIE VENETE si occupa
anche della realizzazione d’infrastrutture nelle Repubbliche dell’Europa centro-
orientale cooperando attivamente con quei paesi ed inoltre ingenti investimenti del-
la Società sono rivolti allo studio ed alla realizzazione d’iniziative utili a prevenire
ad ovviare a qualsiasi inconveniente in autostrada. Il vertice di Autovie Venete si è
assunta la responsabilità di garantire l’identificazione e di assicurare la regolamen-
tazione, l’attuazione ed il miglioramento della rete di processi interconnessi costi-
tuenti il Sistema di gestione aziendale, in un’ottica di soddisfacimento delle esigen-
ze del cliente e di rispetto dei requisiti di responsabilità sociale. In particolare la Di-
rezione Generale, avvalendosi del Rappresentante della Direzione e del supporto
del Comitato di Direzione, assicura che le esigenze dei clienti ed i requisiti di re-
sponsabilità sociale siano stabiliti, tradotti in requisiti applicabili e successivamente
soddisfatti. Per questo s’impegna a prestare particolare cura ai seguenti punti:
la creazione di un ambiente idoneo per la consapevolezza e il soddisfaci-
mento delle esigenze dei clienti e dei vincoli della responsabilità sociale;
l'individuazione di una politica di qualità, di responsabilità sociale e condi-
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zioni di lavoro, di obiettivi di qualità e di criteri e modalità di pianificazio-
ne;
la realizzazione ed il mantenimento di un sistema di gestione aziendale;
l'esecuzione di riesami globali dell’andamento gestionale globale;
la garanzia della disponibilità delle risorse necessarie.
L’erogazione del servizio autostradale avviene secondo tre indirizzi, come
riportati nella tabella 5, tutti convergenti verso la qualità: progettare con qualità in-
trinseca; gestire servizi di qualità, relazionarsi con qualità con il cliente.
Progettazione Qualità intrinseca
Gestione Qualità servizi offerti
Qualità nelle relazioni con il cliente
L’infrastruttura Assistenza Call center (n° verde) La manutenzione e monito-raggio
Informazione C.A.C. - Centri di Assistenza all’utenza
Gli impianti Fluidità CentroRadioInformativo I sistemi di esazione Sicurezza Stazioni Sosta Gestione reclami
Tab.5 – I tre indirizzi per erogare il servizio.
Tutti i processi che concorrono ad influenzare l’oggetto della mission a-
ziendale, sono stati individuati e disciplinati dal “corpus” procedurale correlato ai
diversi punti del Manuale del Sistema di Gestione Aziendale; le attività aziendali
possono così essere descritte da un macro flusso, come tracciato nella flow-chart
descrittiva del Manuale stesso, riportata in figura 18, che fornisce, tra l’altro, anche
elementi conoscitivi dell’impostazione adottata per pianificare la qualità in azienda,
mediante la segnalazione, accanto ai diversi “step”, delle specifiche procedure cor-
relate. Sono individuabili sei processi principali che determinano il funzionamento
e la vita stessa dell’azienda.
1. PROCESSO STRATEGICO DIREZIONALE.
2. PROCESSO RELATIVO AL CLIENTE.
3. PROCESSO DI EROGAZIONE DEL SERVIZIO AUTOSTRADALE.
4. PROCESSO DI PROGETTAZIONE.
5. PROCESSO DI REALIZZAZIONE INFRASTRUTTURE.
6. PROCESSO DI MONITORAGGIO E MIGLIORAMENTO.
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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Sistema di Gestione Aziendale perla Qualità e la Responsabil ità Sociale
PROCESSO DIMONITORAGGIO EMIGLIORAMENTO
PQ 08.02.01-002 VERIFICHE
ISPETTIVE
PQ 08.02.02-002
PQ 08.03.02-002
PROCESSO DIEROGAZIONE DEL
SERVIZIO AUTOSTRADALE
PROCESSO RELATIVOAL CLIENTE
PROCESSO DIREALIZZAZIONE
INFRASTRUTTURE
PROCESSO DIPROGETTAZIONE
PROCESSO STRATEGICO DIREZIONALE
PQ 07.05.01-001/15 PQ 06.04.00-001
PQ 07.02.03-001
PQ 07.02.01-001
PQ 05.07.00-001
PQ 05.02.00-001
PQ 08.03.02-001
PQ 08.02.02-001
PQ 07.05.01-001
PQ 07.04.01-002
PQ 07.03.07-001
PQ 07.03.01-002
PQ 05.01.00-001
PQ 05.04.00-001
INIZIO
POLITICA AZIENDALE
INPUT DI PROGETTAZIONE
DELIBERA
INTE
RFA
CC
IAC
ON
EN
TI ES
TER
NI
CARTA SERVIZI
DIFFUSIONE
CONTRATTO CON CLIENTE
INFRASTRUTTURE
EROGAZIONE SERVIZIO
ESAZIONE
GESTIONE ANOMALIE
ATTIVITA' DI SUPPORTO:-------------------------------------- CENTRO RADIO INF.- MESSAGG.VARIABILE- ASSIST. TRAFFICO- FLESSIB.PERS. - MANUT. URGENZA- MANUT. INFRASTR. /SISTEMI/IMPIANTI- CARICHI ECCEZ.
SEGNAL. ANOMALIE
CLIENTE
RIESAME DELLA DIREZIONE
PIANIFICAZIONE PROGETTAZIONE
OUTPUT DI PROGETTAZIONE
AFFIDAMENTO LAVORI
ESECUZIONE LAVORI
RILASCIO E COLLAUDO
OK
PRESA IN CARICO
INTERFACCIA CON ENTI ESTERNI
MODIFICHE
INTERVENTI
VERIFICA E VALIDAZIONE
PROGETTAZIONE
DATI INCIDENTALITA'
AZIONI DI MIGLIORAMENTO
AZIONI CORR./PREV.
FINE
NO
SI
PQ 07.03.02-001
PQ 05.06.05-001 PQ 05.06.06-001
SORVEGLIANZA AREE DI SERVIZIO
DOCUMENTI E REGISTRAZIONI
PQ 07.03.01-001
R PI RE OS GA EM T I T
A Z.
PQ 07.05.01-012
CONTROLLO E DIREZIONE LAVORI
Fig.18 – Macroflusso attività aziendali della S.p.A. Autovie Venete
Il monitoraggio sull’efficacia dei processi e delle interazioni fra gli stessi,
unito ad una valutazione in merito alle concrete possibilità di snellimento e miglio-
ramento, non può prescindere da un’individuazione degli indicatori prestazionali: da-
ti oggettivi sui quali basare una valutazione. Questi ultimi, a loro volta, sono il risul-
tato della consultazione di diverse banche dati, le quali non sono, ancora, sempre
connotate dal necessario grado di comunicazione reciproca.
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© ISPER EDIZIONI 328
Poiché si è fatto cenno che la certificazione di Autovie Venete è per opera
del TÜV, il quale come ente certificante è accreditato al Sincert, è opportuno riporta-
re, in figura 19, la gerarchia e le connessioni al riguardo delle norme di riferimento e
della certificazione stessa.
Enti di NormazioneUNI - CEI
(norme tecniche)
SINCERTaccreditamento
SINALaccreditamento
ORGANISMI DICERTIFICAZIONE LABORATORI DI PROVA
Certificazione di prodotto/servizioCertificazione del Sistema Qualità
Certificazione dei Valutatori
normedi riferimento
certificati prove e misure
SITLaccreditamento
CENTRI DI TARATURA
Fig.19 – Le Norme di Riferimento e la Certificazione
Le necessità ed esigenze del cliente di Autovie Venete sono identificate se-
condo quanto descritto nella procedura PQ 07.02.01-001 RILEVAZIONE DEI
PARAMETRI RELATIVI AL CLIENTE, dove sono definiti i criteri per identifica-
re le esigenze dei clienti, tenendo conto:
della completezza dei requisiti espressi dal cliente;
dei requisiti non esplicitati dal cliente ma necessari per l'idoneità all'uso
del servizio;
degli obblighi relativi al servizio, che includono i requisiti di legge;
delle esigenze dei clienti relativamente a: disponibilità ed erogazione del
servizio.
A seguito dell’identificazione delle esigenze e dei processi periodici di riesa-
me delle stesse, è stata emessa la procedura PQ 05.02.00-001 GESTIONE DELLA
CARTA DEI SERVIZI e la verifica della capacità di soddisfare le esigenze del clien-
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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te è contestuale alla definizione ed adeguamento proprio della Carta dei Servizi a-
ziendale. La Carta dei Servizi, nel costituire il riferimento più completo assunto
dall’azienda verso il cliente; è stata diffusa presso tutti i punti di contatto con la
clientela, potendo essere oggetto d’adeguamento in relazione all’evoluzione dei bi-
sogni identificati: l'azienda, peraltro, si accerta che i requisiti stabiliti siano capiti e
soddisfatti pienamente. Poiché, come già segnalato nella presentazione dell’azienda,
Autovie Venete opera in regime di concessione, si segnala che il contratto di conces-
sione, definito secondo un modello istituzionale, s’intende automaticamente riesami-
nato ed accettato contestualmente alla firma dello stesso da parte degli organi diretti-
vi competenti.
Specifiche di:- mercato- prodotto- processo
conformità
ResponsabilitàPriorità
Azionicorrettive
Definizione nuova soglia ed obiettividi miglioramento
Valutazionepriorità
approvazione
Azioni dimiglioramento
AssicurazioneQualità
NO
DirezioneGenerale
QualityCouncil
IndicatoriQualità
sogl
ia d
ella
qua
lità
richi
esta
Area della certificazione del SQ Area della competitività
Fig.20 – Assicurazione qualità e Miglioramento continuo
In figura 20, è descritta l’idea della certificazione come prima fase di un
percorso che, partendo da uno stadio di “qualità come conformità” (area della certi-
ficazione) è volto alla “qualità competitiva” attraverso il miglioramento continuo,
laddove è assolutamente centrale la presenza di un insieme d’indicatori di qualità
che possano oggettivamente misurare lo stato attuale delle “performance” del si-
stema e l’efficacia delle azioni di miglioramento.
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L’obiettivo del Sistema di Gestione Aziendale è quello di contribuire a
trasformare la S.p.A. Autovie Venete in un’azienda eccellente vale a dire capace
di conseguire risultati di business migliori dei concorrenti, anche nei settori di
business funzionali alla mobilità, e di allinearsi a risultati di best performer,
scelti come benchmark, si da allinearsi alle attese degli stakeholders attraverso
la Cultura del servizio, la Valorizzazione del personale, l’Organizzazione efficiente,
il Ridisegno del servizio.
In virtù dei piani di formazione e comunicazione, è stato già attivato il Moni-
toraggio della qualità attesa, percepita, erogata ed implementato il Quality Re-
port (valido anche per laCarta dei Servizi), nonché individuate le aree critiche: si
tratta ora di perfezionare la Realizzazione dei cicli di analisi e miglioramento, e di
attuare l’Estensione del Sistema di Gestione aziendale (della Qualità) alle società
controllate.
Le prime fasi hanno richiesto delle indagini di customer satisfaction sulla
qualità percepita dai clienti di Autovie Venete per la verifica della qualità percepita
dalla clientela sul servizio autostradale nelle sue componenti significative per la
rilevazione dell’importanza di ciascuna componente e la costituzione di un sistema
di riferimento per la misurazione dell’efficacia degli interventi di miglioramento
con attenzione particolare:
alle AREE DI SERVIZIO con un’ANALISI DELLE ATTESE DEI
CLIENTI E DEI PUNTI DI INSODDISFAZIONE e una
PONDERAZIONE del SISTEMA DI CONTROLLO della QUALITÀ
EROGATA;
alla FLUIDITÀ DEL TRAFFICO E L’INFORMAZIONE AL
VIAGGIATORE acquisendo la PERCEZIONE DEI VIAGGIATORI
SULLE CONDIZIONI DI FLUIDITÀ ed un GIUDIZIO SUL SISTEMA
aziendale DI INFORMAZIONE PER I VARI MEDIA;
agli AUTOMATISMI DI STAZIONE per la VERIFICA
DELL’EFFICACIA DELLA SEGNALETICA E DELLA FUNZIONALI-
TÀ DEGLI IMPIANTI, il MIGLIORAMENTO DEL PROCESSO DI
ESAZIONE E DELLA FLUIDITÀ DEL TRAFFICO IN STAZIONE.
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Per quel che concerne il Governo dei Processi, sono stati definiti i seguenti
criteri per la valutazione dei processi:
• IMPATTO SUL CLIENTE FINALE;
• TRASVERSALITÀ;
• ASSORBIMENTO RISORSE;
• IMPATTO SUL FUNZIONAMENTO DI ALTRI PROCESSI;
• VALUTAZIONE DI CRITICITÀ DA PARTE DEI RUOLI CHIAVE O
DALLE INDAGINI DI CUSTOMER SATISFACTION.
I piani di miglioramento hanno previsto azioni su:
SICUREZZA;
INFORMAZIONE AL CLIENTE;
ACQUISTI;
TRASPORTI ECCEZIONALI;
CUSTOMER CARE (Reclami);
VIABILITÀ (Programmazione cantieri);
MANUTENZIONE E MONITORAGGIO PAVIMENTAZIONI;
POLITICHE DEL PERSONALE;
AREE DI SERVIZIO.
6.2.3 IL TERZO RIESAME DEL SISTEMA DI GESTIONE AZIENDALE DA PARTE
DELLA DIREZIONE AZIENDALE NELLA S.P.A. AUTOVIE VENETE
Richiamando quanto già detto nell’introduzione, alla fine di settembre del
2003 in Autovie Venete è stata conseguita, di nuovo per la prima volta nel settore
autostradale, una certificazione ai sensi delle VISION 2000, con oggetto del certifi-
cato l’intero campo d’azione dell’azienda. Precisamente la Società AUTOVIE
VENETE era già stata certificata per IL SISTEMA QUALITÀ secondo la norma
UNI EN ISO 9001:1994 con il certificato nr. 50 100 0881 nel settembre 2000 mentre,
nel settembre 2003, la Società AUTOVIE VENETE è stata certificata per IL
SISTEMA QUALITÀ secondo la norma UNI EN ISO 9001:2000 con il certifica-
to nr. 50.100.0881 per il seguente campo d’applicazione: GESTIONE DELL’E-
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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SERCIZIO AUTOSTRADALE VENEZIA-TRIESTE (A4) CON
DIRAMAZIONI PALMANOVA - UDINE (A-23) E PORTOGRUARO –
PORDENONE - CONEGLIANO (A-28); PROGETTAZIONE E
REALIZZAZIONE DI INFRASTRUTTURE DI SUPPORTO. L’Audit di certifi-
cazione è stato effettuato dalla Società TUV Italia nei mesi di Luglio e Settembre
2003.
Al fine di dare evidenza sullo stato d’avanzamento dell’implementazione
del Sistema di Gestione nell’azienda in esame, di seguito si svilupperà un’analisi
facendo riferimento al III° Riesame effettuato dal massimo vertice della Società
su istruttoria compiuta dal Rappresentante della Direzione, avvalsosi allo scopo
del Responsabile Assicurazione Qualità, Rappresentante delegato con specifica
autorità per:
assicurare che sia istituito, applicato, mantenuto attivo e costantemente
monitorato il Sistema di Gestione aziendale conforme alle norme ISO
9001 e SA 8000, come descritto nel Manuale della Qualità e per garantire
il controllo della gestione aziendale interfacciandosi, attraverso la colla-
borazione con gli enti interni preposti, con fornitori, dipendenti aziendali,
clienti ed enti di certificazione esterni;
fornire alla Direzione Generale adeguati feed back sull'andamento del Si-
stema gestionale aziendale, attraverso Verifiche Ispettive, in modo di
rendere possibile un periodico ed accurato riesame, in ottica di migliora-
mento continuo del Sistema di gestione aziendale (sia per ciò che attiene
all’adeguatezza dello standard, sia con riferimento all’efficacia dei com-
portamenti concreti);
mantenere all’azienda la più approfondita consapevolezza delle necessità
e delle esigenze dei clienti, degli obblighi esterni ed assunti in materia di
responsabilità sociale e dell’evolversi delle norme e leggi attinenti, al fine
di poter mantenere sempre adeguato il Sistema di gestione aziendale.
Il processo di riesame della Direzione ha, tipicamente, lo scopo, in situazione
di regime del Sistema di Gestione Aziendale, di prendere atto degli elementi conosci-
tivi della gestione, per definire linee programmatiche atte ad evolvere tale sistema
nella direzione del Miglioramento Continuo.
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Il documento rappresenta la terza azione di riesame dopo l’avvio del Sistema di
Gestione Aziendale e successivo ottenimento della certificazione di Autovie Venete
secondo le Norme ISO 9001 e SA 8000. In data 8 maggio 2002 si è svolto presso la
Società un postaudit di verifica, eseguito da parte del team d’audit del TÜV Italia,
per valutare le azioni correttive messe in atto dalla Società a fronte delle non con-
formità riscontrate nell’audit svolto a dicembre 2001. Con la firma, il TÜV ha con-
fermato la chiusura delle non conformità, sia per la Norma ISO 9001 sia per la Nor-
ma SA 8000, emerse durante l’audit precedente. Per quanto concerne l’intera docu-
mentazione del Sistema di Gestione Aziendale (Manuali, Procedure, Istruzioni Tec-
niche, Norme, ecc.) a breve, con l’attivazione di un portale aziendale, si provvederà
agli adeguamenti necessari per la migrazione dell’intera documentazione
nell’Intranet aziendale, ora distribuita in formato PDF con l’utilizzo dei server di re-
te. Per il personale operante in postazioni prive d’accesso alla rete si continuerà la di-
stribuzione della documentazione su CD. Nelle more temporali della piena imple-
mentazione del portale sopra citato si proseguirà con la distribuzione, a livello carta-
ceo, del Manuale di Gestione Aziendale, a tutti i livelli della struttura aziendale, delle
Procedure e della documentazione di maggior dettaglio, alle Aree ed enti aziendali
coinvolti nei processi documentati. È cura di tutta la struttura aziendale mantenere il
Sistema di Gestione Aziendale adeguato, procedendo alle messe a punto ed agli ag-
giornamenti del caso, rispetto ai requisiti fondamentali dettati da norme, leggi e re-
gimi cogenti, evoluzione tecnologica. É ritenuto necessario procedere ad un Riesame
da parte della Direzione su una base di dati riferiti sia ai risultati del 2001, che non
erano ancora disponibili nel precedente riesame, sia a quelli del primo semestre
dell’anno 2002.
Dati di base: poiché le organizzazioni operano in modo più efficace quando
tutte le attività tra loro correlate sono comprese e gestite in modo sistematico, e le
decisioni riguardanti le operazioni correnti ed i miglioramenti pianificati vengono
prese utilizzando informazioni affidabili che comprendono anche le percezioni di tut-
ti gli stakeholder, nel riesame si valutano principalmente le risultanze delle attività
che hanno caratterizzato il primo semestre 2002 in seguito alla ristrutturazio-
ne/riorganizzazione aziendale, alla ridefinizione del Piano Finanziario, nonché dai
seguenti elementi.
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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Risultanze delle Verifiche Ispettive interne.
Gestione delle Non Conformità.
Elementi conoscitivi del processo di formazione.
Valori consuntivi di alcuni indicatori gestionali ritenuti significativi.
Reporting di sintesi predisposto da Assicurazione Qualità, sotto la supervi-
sione del Rappresentante della Direzione.
Valutazione del grado di attuazione: tutto il primo semestre 2002 ha visto
l’intera azienda impegnata nella realizzazione, in ogni suo dettaglio, di un vasto pia-
no di ristrutturazione/riorganizzazione che ha comportato una significativa diminu-
zione del numero degli addetti a tempo indeterminato e cioè meno 28 dipendenti tra
il 1° gennaio ed il 30 giugno di cui:
2 dirigenti 1 impianti tecnologici
7 quadri 1 addetto C.R.I.
5 responsabili intermedi 3 impiegati operativi
8 esattori 1 capo-casello
Vi è stato inoltre l’avvicendarsi nelle posizioni di responsabilità di nuovi sog-
getti i quali, peraltro, avevano tutti fruito del vasto piano di formazione per introdurre
il Sistema Qualità in azienda. Nel contempo, proprio a seguito della riorganizzazione,
è stato ridefinito il controllo di gestione e la tipologia, nonché la frequenza e ca-
denza, dei report (trimestrali ed annuali).
Oltre ad un significativo recupero dell’efficienza aziendale, l’Azienda è tutta
protesa alla ridefinizione del Piano Finanziario per la necessaria approvazione
dell’Ente concedente (ANAS), piano che, nel tener conto di tutte le grandi opere, tra
cui il tanto atteso completamento della Pordenone-Conegliano, recepisce un’ulteriore
serie di interventi la cui elencazione è riportata nella tabella 6. In tale situazione, ri-
vestono significativo rilievo le attività di esproprio e di supporto tecnico-giuridico
propedeutiche alla realizzazione delle opere stesse. Vengono di seguito, inoltre, esa-
minati e valutati i risultati e gli elementi di base per il riesame relativamente al primo
semestre 2002, e si riportano le realizzazioni effettuate come risposta alle richieste ed
alle aspettative del cliente.
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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1 OPERE IN CORSO Prolungamento dell'autostrada A 28 Pordenone - Conegliano Lotto 28 (P.57)
Prolungamento dell'autostrada A 28 Pordenone - Conegliano Lotto 29 Adeguamento del sistema di esazione pedaggi dell'A28 Portogruaro - Pordenone – Cone-gliano
Ricostruzione dei ponti fiume Isonzo – torrente Torre (P.39)
Adeguamento casello di S. Stino di Livenza (P.56)
Adeguamento casello di Cessalto (P.58)
Piazzole di sosta - Lotto B (P.60) - Lotto C (P.61)
Barriere fonoassorbenti (P.62) - (P.63) Opere varie di completamento ed adeguamento delle infrastrutture stradali – innovazioni gestionali
2 OPERE DI COMPLETAMENTO – RIQUALIFICAZIONE Nuovo casello autostradale di Ronchis
Nuovo casello autostradale di Alvisopoli (VE)
Nuovo casello autostradale di Meolo
Nuovo svincolo di Palmanova e variante S.S.352 "di Grado" - lotto 1 da A4 a S.S.352
Piazzole di sosta di emergenza Lotto D
Aree di parcheggio attrezzate
Nuove aree di servizio in sostituzione di quelle di Zugliano Est ed Ovest (P.67)
Riconfigurazione del nodo di Palmanova Allargamento sezione trasversale progr. km. 0+000 (Sv. di Mestre Est) e Km. 3+100 (Nodo di Alemagna)
Adeguamento autostrada A4 Quarto d'Altino - S. Donà di Piave – 3° corsia
Ampliamento ponte sul fiume Tagliamento
Sistemi a messaggio variabile
Barriere fonoassorbenti
Innovazioni gestionali
Bretella collegam. casello autostr. Noventa di Piave - S.S.14 - 1° stralcio (P.64)
Adeguamento della sezione autostradale del raccordo Villesse Gorizia
Centro Radio Operativo
Fibre ottiche A28
Video sorveglianza ed isofrequenza
Adeguamento autostrada A4 S.Donà di Piave - Sistiana (Trieste) – 3° corsia
Passante di Mestre Tab.6 – Piano delle Opere
Con riferimento al Piano d’automazione, è stato avviato e completato entro il
2002 l’anello Telepass su tutta la rete autostradale di competenza, cogliendo
l’occasione per cambiare il lay-out delle stazioni e variando, quindi, la collocazione
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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delle piste Telepass, automatiche ed introducendo l’utilizzo delle casse automatiche
per il pagamento del pedaggio: ne sono state installate n°3 rispettivamente nei caselli
di Cessalto, S.Stino di Livenza e Venezia, il cui gradimento da parte dell’utenza è
stato particolarmente alto, probabilmente anche perché coincidente con l’introdu-
zione dell’Euro.
Per quanto riguarda le Verifiche Ispettive interne (ne sono state effettuate n. 3
fino a questo momento) iniziate nel mese di giugno del 2002, hanno rilevato, su un
totale di 6 non conformità od osservazioni, il 100% di anomalie “formali o docu-
mentali” e nessun’anomalia “sostanziale” rispetto alle prescrizioni di Sistema, su cui
sono state attivate 6 azioni correttive.
Nel primo semestre 2002 sono state rilevate, con invio del modulo d’apertura
NC (non conformità), da parte degli enti aziendali n°3 Non Conformità che sono an-
cora in corso. Anche se si evidenzia una flessione nell’individuazione d’elementi ne-
gativi rispetto al 2001, visto l’impegno da parte di tutte le Direzioni d’Area aziendali
ad una maggiore sensibilizzazione, è comunque previsto, nel prossimo semestre, un
incremento di tale attività.
Alla fine del I° semestre del 2002 è stata completata una nuova procedura in
merito alla “Gestione delle Azioni Preventive” che a partire del 22 luglio 2002 è en-
trata in vigore nel S.G.A., per perseguire, con l’impegno da parte di tutte le Direzioni
di Area, l’obiettivo di individuare e attuare opportune azioni preventive secondo
un’ottica dei processi aziendali volta al miglioramento continuo.
Si è dedicato un impegno su obiettivi più mirati al processo formativo prope-
deutico alla creazione delle migliori competenze (sia sotto il profilo delle capacità
organizzative che sotto il profilo tecnico–professionale), traducibile in: n°374 ore di
formazione/addestramento per un totale di 29 dipendenti, per il primo semestre
dell’anno 2002, dopo un impegno nel primo semestre del 2001 pari 9.472 ore su 275
dipendenti.
Tenuto conto dei profondi mutamenti intervenuti, adeguata riflessione è stata
posta sugli indicatori di qualità necessari per una valutazione dell’attività aziendale
e per un miglioramento continuo del servizio, addivenendo alla conclusione di ag-
giungerne i seguenti rispetto a quelli riportati in tabella 7.
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
140
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n° di reclami semestrali di cui % a cui si è data risposta, % in corso di inda-
gine, % a cui non si è data risposta, % a cui non si può dare risposta.
grado di soddisfazione del cliente (viabilità autostradale, servizio ai caselli,
aree di servizio, informazione assistenza al cliente).
tempi medi d’evasione delle pratiche di acquisto di forniture e servizi.
i procedimenti di recupero del credito derivante da MPP o da danni ad im-
pianti autostradali a seguito di sinistro (obiettivo: almeno l’85% delle senten-
ze emesse accolga le pretese avanzate dalla Società nell’atto di citazione).
Fatturato valore aggiunto / fatturato (%) km rete Mol Traffico medio giornaliero Mol / fatturato (%) Ricavo / km costo del lavoro euro / km percorso costo del lavoro / valore aggiunto (%) Traffico medio giornaliero costo del lavoro / km tassi di incidentalità organico medio costo struttura recupero crediti / importo crediti recuperati
ore assenza (malattie + permessi) / ore totali teoriche
importo crediti recuperati / importo crediti posti in recupero
ore di formazione / dipendente (media genera-le e medie di settore)
Forza mensile e medie progressive (unità fi-siche)
Mol / dipendente
forza retribuita mensile e media progressiva (unità tipo)
ore ferie / ore totali teoriche
Tab.7 – Indicatori di Qualità
I nuovi indicatori introdotti d’interesse gestionale e quelli concernenti la sini-
strosità (tabella 9), che forniscono elementi oggettivi di valutazione del modo di ope-
rare, consentono anche di fare del benchmarking rispetto ad altre Società paragonabi-
li ad Autovie Venete.
È stato inoltre introdotto un Indicatore di Qualità Globale del servizio au-
tostradale (I.Q.G.) che è un indicatore di sintesi della qualità erogata che conside-
ra il tasso di incidentalità, l’indice di accessibilità, l’indice di fluidità, l’indice dei
servizi di rete, meglio specificati di seguito:
TASSO DI INCIDENTALITÀ (T.I.G.): è un Indicatore del livello
di sicurezza della rete.
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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INDICE DI ACCESSIBILITÀ: unitamente all’INDICE DI FLUIDITÀ
quantifica gli autoveicoli esposti al disservizio (in stazione e in carreggia-
ta) e il tempo perso dagli stessi.
INDICE DEI SERVIZI DI RETE: misura il livello di qualità offerta dal-
le aree di servizio.
Responsabilità Sociale: in merito alla Responsabilità Sociale, è stato appro-
fondito l’approccio iniziale, e nel primo semestre dell’anno 2002 sono state attivate
le seguenti attività:
Sensibilizzazione sui fornitori sulla Responsabilità Sociale:
• invio ai fornitori dello stralcio della norma SA8000 in allegato al Questiona-
rio di Valutazione N° 22;
• invio ai fornitori dello stralcio della norma SA8000 in quanto già destinatari
del Questionario di Valutazione N° 22;
I fornitori che hanno dato riscontro positivo alla dichiarazione di Responsabi-
lità Sociale, trasmettendo un documento di impegno, sottoscritto dal legale rappre-
sentante, sono stati per il primo semestre dell’anno 2002 N° 8. Non sono pervenute al
Rappresentante dei Lavoratori per la SA8000 e da questi trasmesse ad Assicurazione
Qualità, da parte del personale dipendente, segnalazioni in merito ad articoli della
norma SA8000 per il I° semestre dell’anno 2002.
Prevenzione, Salute e Sicurezza: le attività del Servizio di Prevenzione e
Protezione intese nella loro interezza, ambito, indirizzo applicativo e obbligo norma-
tivo, ricoprono e sopravanzano quanto previsto dai criteri volontari descritti al punto
3 del testo della SA8000. Nonostante ciò, e al di là di un qualunque dato meramente
numerico referente solo di una delle dimensioni dei problemi e delle soluzioni, gene-
ralmente dotate invece, di più vasta portata e significato aziendale e sociale, esse de-
vono migliorarsi, completarsi, allargarsi e diffondersi.
Nell’anno 2002 alcune di queste attività possono rappresentare e costituire,
un’approssimante conoscitiva dell’impegno della Società ed essere usate quali indi-
catori della sensibile differenziazione e capillarità dell’azione, in questo ambito, spe-
sa effettivamente dall’Azienda durante le attività lavorative. Pertanto senza alcuna
pretesa d’esaustività può riferirsi quanto di seguito riportato:
_________________________ G. Centrone – L’evoluzione dei sistemi di qualità aziendali
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• Attivazione delle verifiche di qualificazione chimico, fisica, biologica degli
scarichi idrici di pertinenza della S.p.A. Autovie Venete.
• Interventi di definitiva risoluzione per la potabilità delle acque destinate al
consumo umano distribuite presso il Casello autostradale di Udine Sud (in-
terventi manutentivi diversi, straordinari e modifiche impiantistiche). Il loro
completamento previsto entro il corrente anno sarà seguito dall’esecuzione
di controlli di potabilità che saranno richiesti e concordati con le strutture
pubbliche a ciò deputate presenti sul territorio.
• Cooperazione per l’introduzione di nuovi sistemi, di filtraggio e captazione
d’agenti, in grado di abbattere drasticamente le immissioni in atmosfera, tu-
telando alcuni ambiti lavorativi esterni, e, corrispondentemente, lo stesso
ambiente.
• Avvio d’accertamenti per la qualificazione dell’aria primaria, trattata im-
piantisticamente, e destinata agli ambienti di lavoro dell’Unità Esazione
lungo le linee di riscossione del pedaggio autostradale.
• Incremento del numero di designati da impiegare nella gestione delle emer-
genze: ciò implica anche la loro formazione e specifica informazione per gli
ambiti lavorativi riferiti a ciascun lavoratore.
• Attenzione ambientale particolare rivolta ad alcuni luoghi di lavoro specifici
e moderatamente frequentati solo da personale tecnico, come il tunnel tecni-
co servente il Casello autostradale di Trieste Lisert colonizzato da ratti, no-
nostante l’Azienda avesse previsto, e reso operante da tempo, un appalto
generale di derattizzazione. Gli interventi sono stati organizzati, in fasi e
tempi d’esecuzione distinti, operando con dispositivi, mezzi e prodotti co-
struiti e impiegati proprio per questa specifica applicazione, eseguendo i la-
vori durante i turni notturni minimizzando, anche con questa scelta, disagi e
rischi. Successive azioni conservative sono state richieste e vantano già le
necessarie autorizzazioni formali corrispondenti. Inoltre al fine di consegui-
re un risultato di valenza e portata più ampia sono state formalizzate, alle
massime autorità sanitarie dei territori contermini la struttura del Casello au-
tostradale, le richieste per congiungere sforzi e atti programmativi per mez-
zo d’opportune forme di collaborazione Azienda-Territorio.
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• Attivazione di un contratto d’appalto, su base triennale, per la disinfestazio-
ne delle pertinenze aziendali, lungo l’estesa autostradale, da insetti volanti e
striscianti.
• Definizione strutturale e di servizio corrispondente alle attività della Mensa
aziendale in questo periodo attiva nel Centro Servizi di Palmanova e a di-
sposizione del personale dipendente.
• Definizione delle caratteristiche generali dei progetti, per la costruzione
d’attraversamenti privilegiati per il personale dipendente, d’alcune linee
d’esazione del pedaggio autostradale (Località: Trieste-Lisert, Portogruaro).
• Allargamento dell’azione di Sorveglianza Sanitaria indotta sia dai mutamen-
ti organizzativi intercorsi e in divenire (esempio: Piano d’Automazione del
Pedaggio autostradale) che propongono cambiamenti di mansione per il per-
sonale dipendente, sia per una più specificata regolamentazione della tutela
della salute dei lavoratori voluta dal legislatore a fronte di categorie d’agenti
di rischio.
• Formulazione di progetti di formazione da destinare ai lavoratori dipendenti
su taluni rischi specifici comunque esistenti nell’ambiente e per le attività
lavorative svolte in azienda.
• Riformulazione e riproposizione d’importanti Ordini di Servizio atti a con-
servare alto il livello d’attenzione conseguito in talune attività lavorative dal
personale dipendente (esempio: lavori in quota).
• Fornitura d’alcuni Dispositivi di Protezione Individuale maggiormente spe-
cializzati ed aderenti alle necessità di tutela dei lavoratori durante il lavoro
(esempio: Guanti dielettrici per definiti livelli di tensione elettrica, calzature
di sicurezza conformate atte a rispondere alle prescrizioni del Servizio del
Medico Competente, tute protettive traspiranti per il contenimento ulteriore
del rischio da agenti chimici, dispositivi filtranti l’aria respirata).
Cogliendo gli spunti che offre il reporting alla Direzione, che Assicurazione
Qualità, sotto la sorveglianza del Rappresentante della Direzione, ha presentato come
previsto, di seguito si sintetizzano gli impegni che dovranno essere sviluppati nel pe-
riodo a venire.
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Programma di Miglioramento: l’azienda intende dare prosecuzione ad una
gestione aziendale tale da garantire l’erogazione di un servizio qualitativo migliorato,
ma con costi di produzione significativamente inferiori, con specifico riferimento a
quelli del personale i cui oneri superavano di gran lunga la terza parte dei proventi
aziendali. Tenendo conto del piano d’opere avviato, così come previsto nel Piano Fi-
nanziario e che sarà completato negli anni, in particolare occorre stabilire un pro-
gramma finalizzato al miglioramento del servizio con i seguenti traguardi, alcuni dei
quali sono condizionati dall’approvazione da parte dell’ente concedente ANAS.
SICUREZZA
Entro 12 mesi il 50% della pavimentazione deve essere dotata d’asfalto dre-
nante-fonoassorbente per arrivare al 55% nel 2003 ed al 60% nel 2004.
Entro 12 mesi n°68 piazzole di sosta d’emergenza devono essere realizzate e
n°195 nel 2003.
Entro 12 mesi vanno riqualificati km 29 con barriere a tripla onda e km 21
nel 2003.
INFORMAZIONE e VIABILITÀ
Realizzazione del sistema di rilevamento del traffico integrato con il nuovo
Centro Radio Informativo entro 12 mesi;
Avvio del progetto per l’isofrequenza e le fibre ottiche 12 mesi.
In merito al Piano d’automazione è stato avviato e completato l’anello
Telepass su tutta la rete autostradale di competenza, cioè ogni barriera e casello di
competenza è dotato almeno di una pista, dedicata o promiscua, per il pagamento di-
namico. In particolare il piano contempla quanto segue in tabella 8.
Importante è anche un intervento d’adeguamento innovativo del Sistema Ope-
rativo di rete per offrire nuove funzionalità legate all’integrazione d’architetture dis-
simili, quali sistemi Unix (Citrix), Microsoft Windows Server, Oracle, DB2 sempre
più intercalate nell’ambiente aziendale e la configurazione di un portale aziendale
(Intranet) collegandosi al quale ogni utente, con il proprio identificativo e da qualsia-
si postazione, attraverso l’utilizzo del browser Explorer potrà consultare i propri dati,
la propria posta elettronica, le proprie applicazioni ed i servizi associati al proprio
account.
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Totale pista in entrata 34 Totale pista in uscita 67 Totale pista automatica in entrata 8 Totale pista automatica/telepass in entrata 26 Totale pista telepass in entrata 0 Totale pista automatica in uscita 10 Totale pista automatica/telepass in uscita. 10 Totale pista automatica/cassa in uscita 5+3 Totale piste telepass in uscita 12
Tab.8 – Piano d’automazione
INDICATORI DI QUALITÀ
SINISTROSITÀ 2001 (Tasso per 100 milioni di veicoli-chilometro)
2001 2000 ± ∆ % incidenti totali 50,38 46,85 7,50%
incidenti con feriti 11,09 9,92 11,80%
incidenti mortali 0,88 0,69 27,50%
INDICATORI DI QUALITÀ
TRAFFICO MEDIO GIORNALIERO
Veicoli effettivi medi giornalieri
2001 2000 ± ∆ % Leggeri 73.490 70.750 3,90%
Pesanti 22.990 21.730 5,80%
Complessivi 96.480 92.480 4,30%
Veicoli-chilometro medi giornalieri
2001 2000 ± ∆ % Leggeri 4.138.670 3.983.380 3,90%
Pesanti 1.525.080 1.445.040 5,50%
Complessivi 5.663.750 5.428.420 4,30% Tab.9 – Indicatori di Qualità
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7. LA CERTIFICAZIONE SA8000 IN AUTOVIE VENETE
7.1 LA SOCIAL ACCOUNTABILITY SA8000
La Social Accountability 8000 è una norma che le imprese possono adottare
volontariamente e si configura quale strumento, a disposizione di un’impresa stessa,
per misurare i suoi processi secondo parametri etico-sociali (requisiti SA 8000) e di-
mostrare ai propri stakeholder che lo specifico sistema è socialmente responsabile.
La certificazione secondo la norma SA 8000 implica lo sviluppo e la verifica di un
sistema di gestione in grado di garantire i diritti fondamentali dei lavoratori, la loro
salute e sicurezza unitamente ad un impegno formale e concreto per debellare la pia-
ga del lavoro infantile. In Italia, come in tutti gli altri Stati più evoluti, la legislazione
del lavoro ha aumentato enormemente le garanzie offerte ai lavoratori, tuttavia, non
sempre ciò che è coperto dalla legislazione trova una corretta applicazione. In realtà
questa norma nasce per rispondere alle mutate esigenze dei consumatori che hanno
cambiato il loro modo d’approcciarsi al consumo stesso passando da una concezione
prettamente consumistica, tipica degli anni ‘60, ad un atteggiamento, nel decennio
successivo, nei confronti dei prodotti-servizi caratterizzato dalla richiesta di una pro-
vata qualità (ISO 9000). Negli anni ‘80, poi, la richiesta si è rivolta a prodotti e servi-
zi compatibili con la tutela dell’ambiente (ISO 14000) ed oggi si richiede ai produtto-
ri di essere socialmente responsabili: si è dato avvio all’era del “consumatore etico”.
La norma americana SA 8000 è stata inizialmente sviluppata dall’agenzia
d’accreditamento del CEPAA (Council for Economic Priorities Accreditation A-
gency), ed emessa ufficialmente nel mese di Ottobre 1997. Si tratta della prima nor-
ma verificabile, in un ambito di responsabilità sociale, da una terza parte indipenden-
te (organismo di certificazione). La norma si basa principalmente sulle convenzioni
ILO (International Labour Organisation), recependone tempestivamente le evolu-
zioni o gli aggiornamenti, sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e sulla
Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dei bambini. Attualmente, l’Ente di ac-
creditamento che definisce i requisiti della norma SA8000 e ne garantisce la corretta
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applicazione monitorando l’attività degli Enti certificatori accreditati è il SAI (Social
Accountability International), il quale, ha curato attraverso il suo comitato tecnico
l’edizione 2001 della norma. Peraltro, l’edizione SA8000:2001 inserisce la figura del
lavoratore a domicilio, definendone i criteri di tutela e garanzia in fatto di sicurezza.
7.1.1 I REQUISITI DELLO STANDARD SA8000
I requisiti sociali sono NOVE:
1. LAVORO INFANTILE. 2. LAVORO FORZATO. 3. SALUTE E SICUREZZA. 4. LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE. 5. DISCRIMINAZIONE. 6. PRATICHE DISCIPLINARI. 7. COMPENSI. 8. ORARIO DI LAVORO. 9. SISTEMA DI GESTIONE AZIENDALE.
Per ognuno di questi punti è necessario produrre un’evidenza documentale
che dimostri quanto l’azienda agisca con responsabilità sociale: tal evidenza deve es-
sere verificata attraverso attività di auditing di una terza parte indipendente (organi-
smo di certificazione).
7.1.2 I VANTAGGI DELLA CERTIFICAZIONE SA8000
I principali vantaggi sono di seguito elencati:
Un’azienda dimostra ai consumatori e, nel caso di Autovie Venete, ai propri
stakeholder (Consiglio di Amministrazione, utenti, dipendenti, Associazioni
sindacali, collettività) che i principi etici sono rispettati sia all’interno della
struttura produttiva o di esercizio, sia presso la filiera dei fornitori.
L’adozione dei requisiti della norma SA 8000 e la conseguente certificazio-
ne si configurano quale attività propedeutica alla stesura di un “Bilancio So-
ciale”.
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Il “Bilancio Sociale” può essere sinteticamente definito come: “ il documen-
to ufficiale dell’azienda all’interno del quale è riassunto il processo di ren-
dicontazione etico-sociale”.
Avendo maturato una triennale esperienza di certificazione secondo la nor-
ma SA 8000, il vertice aziendale di Autovie Venete ha ritenuto di poter av-
viare l’iter di stesura del Bilancio Sociale della Società.
7.1.3 LA CERTIFICAZIONE SA8000 NELLA S.P.A. AUTOVIE VENETE
La S.p.A. Autovie Venete, sin dal 1998, ha intrapreso un percorso contraddi-
stinto dall’impegno nella strategia della sostenibilità con la consapevolezza del fon-
damentale ruolo sociale chiamata a svolgere e con la convinzione che il potenzia-
mento e la razionalizzazione del sistema dei trasporti siano necessari per supportare
la crescita sociale ed economica, pur in un’ottica di tutela e salvaguardia dell’am-
biente. Le azioni, coerentemente indirizzate all’impegno per uno sviluppo sostenibile
e per il miglioramento continuo del servizio, sono state volte a:
ottimizzare la gestione della propria rete in concessione per favorire lo svi-
luppo di una mobilità sostenibile;
operare nel massimo rispetto dell’ambiente, in una strategia non solo di tute-
la, ma anche di valorizzazione;
elevare gli standard di sicurezza della circolazione e migliorare i livelli di
servizio.
La costanza nel procedere in tal senso ed il coinvolgimento delle competenze
e delle responsabilità di tutte le strutture aziendali, sia di vertice sia operative, hanno
fatto sì che la Società AUTOVIE VENETE è stata certificata per il SISTEMA
PER LA RESPONSABILITÀ SOCIALE secondo la norma SA 8000:1997 con il
certificato nr. 50 100 0894 per il seguente campo d’applicazione:
GESTIONE DELL’ESERCIZIO AUTOSTRADALE VENEZIA –
TRIESTE (A4), CON DIRAMAZIONI PALMANOVA – UDINE (A-23) E
PORTOGRUARO – PORDENONE – CONEGLIANO (A-28);
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PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI INFRASTRUTTURE DI
SUPPORTO.
L’Audit di certificazione è stato portato a termine dalla Società TUV Italia
nel mese di Settembre 2000 inoltre:
La Società AUTOVIE VENETE è stata certificata IL SISTEMA
QUALITÀ secondo la norma UNI EN ISO 9001:2000 con il certificato nr.
50.100.0881 per il SISTEMA PER LA RESPONSABILITÀ SOCIALE secondo
la norma SA 8000:2001 con il certificato nr. 50.100.0894 per il seguente campo
d’applicazione:
GESTIONE DELL’ESERCIZIO AUTOSTRADALE VENEZIA-TRIESTE
(A4) CON DIRAMAZIONI PALMANOVA-UDINE (A-23) E PORTOGRUARO-
PORDENONE-CONEGLIANO (A-28) PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE
DI INFRASTRUTTURE DI SUPPORTO.
L’Audit di certificazione è stato effettuato dalla Società TUV Italia nei mesi
di Luglio e Settembre 2003.
7.1.4 LA FORMAZIONE DEL PERSONALE E DIFFUSIONE DEI CONTENUTI DELLE
NORME
Nell’ambito del progetto per lo sviluppo del Sistema di Gestione Aziendale
(SGA), la formazione delle risorse umane ha rappresentato un momento basilare. Nel corso del 1999 e del 2000 si è concretizzata una vasta attività di formazione sia a
livello di corsi collettivi che specialistici; il progetto formativo è stato suddiviso a sua
volta in tre tipologie di corsi:
1. “Addetto al miglioramento del servizio di Front-Line”, sviluppatosi in
sei edizioni durante il 1999 ed in altre sei durante il 2000. Il corso si è
rivolto al personale del comparto esazione.
2. “Esperto certificazione e Sistema Qualità”, sviluppatosi in tre edizioni
nel corso del 1999 e rivolto alle persone impegnate in modo specifico
nella stesura delle procedure.
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3. “Esperto di Qualità e miglioramento continuo dei processi”, svoltosi
in tre edizioni nel corso del 1999 ed avente come partecipanti le risor-
se umane principalmente interessate alla stesura delle procedure, non-
ché, al processo di miglioramento continuo. L’attività di formazione relativa al SGA non si limita alla diffusione dei con-
tenuti della norma UNI EN ISO:9001.
Nel mese di Giugno 2003 si sono svolti presso la Sede della Società due corsi
di formazione aventi come oggetto “La Responsabilità Sociale SA 8000” e
“Introduzione alla Gestione della Sicurezza”. Entrambi i corsi hanno fruito
della docenza di un valutatore qualificato per la certificazione secondo le
norme SA 8000 ed UNI EN ISO 9001:2000.
Sotto il profilo della garanzia della salute e della sicurezza delle risorse uma-
ne, quindi, in ottemperanza a quanto richiesto dal requisito 3 della norma SA
8000 (SALUTE e SICUREZZA), si è dato corso a specifiche attività di for-
mazione ed addestramento.
Prevenzione del rischio dovuto ad incendi: il personale afferente all’Entità a-
ziendale Prevenzione e Sicurezza ha partecipato a due corsi individuali, Otto-
bre-Novembre 2002, aventi come oggetto l’istruzione e l’addestramento per
addetti antincendio in attività a rischio medio e le procedure per le nuove re-
sponsabilità del responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.
Nel mese di Giugno 2003 è stato dato avvio ad un’attività formativa per Ad-
detti Manutenzione d’Urgenza e Ausiliari della Viabilità. I destinatari
dell’iniziativa sono dipendenti della Società con contratti, sia a Tempo Inde-
terminato sia a Tempo Determinato.
Gli obiettivi perseguiti sono i seguenti: favorire ai diversi livelli di responsa-
bilità aziendale la sensibilizzazione su elementi di cultura prevenzionistica in
ambiente lavorativo ed integrare i neoassunti con il restante personale dipen-
dente.
La seconda fase della sopraccitata attività che si è svolta nel mese di Ottobre
2003 si è estesa anche all’illustrazione dei contenuti della norma SA 8000.
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La specificità etica e paritetica della norma (coinvolge direttamente ogni ri-
sorsa umana aziendale ed ogni suo possibile stakeholder) ha indotto il vertice
aziendale ad ampliare e diversificare le modalità per la sua diffusione
all’interno dell’azienda, al fine di favorire la presa di coscienza del suo reale
valore da parte dei dipendenti.
Riferimenti ai contenuti della SA 8000 ed agli impegni presi in tal senso
dall’Azienda, nel contesto della sua “mission”, sono contenuti nel Manuale
del Sistema di Gestione Aziendale e nel Manuale di Accoglimento, dei quali,
ogni dipendente è destinatario di una copia cartacea nominale.
Tutta la documentazione riguardante il Sistema di Gestione Aziendale per la
Qualità e la Responsabilità Sociale (norma UNI EN ISO 9001:2000, norma
SA 8000:2001, manuale del SGA, manuali operativi, procedure, istruzioni
tecniche, moduli e allegati) è distribuita nell’Intranet aziendale.
7.1.5 MONITORAGGIO DEI FORNITORI
Autovie Venete all’atto di inviare il questionario di valutazione prestazionale
ai propri fornitori, ai fini del loro inserimento nella vendor-list aziendale, al-
lega a quest’ultimo un estratto della norma SA 8000.
È compito del singolo fornitore inviare un’autocertificazione attestante la
condivisione dei requisiti previsti dalla norma ed il conseguente rispetto dei
medesimi nell’ambito della propria attività.
Nell’ambito dell’attività di gestione dei lavori affidati a ditte appaltate,
l’Azienda opera un controllo in merito alla regolarità degli adempimenti pre-
videnziali e contributivi che, a loro volta, sono a carico delle ditte stesse a fa-
vore dei propri dipendenti.
Il controllo si espleta tramite la richiesta di informazioni agli organi compe-
tenti (I.N.P.S., I.N.A.I.L., CASSA MUTUA EDILE).
È stata avviata un’indagine conoscitiva indirizzata ai dipendenti delle Aree di
Servizio e delle stazioni di carburante presenti sulle tratte di competenza.
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L’indagine è mirata a valutare il rispetto dei requisiti della norma SA 8000
nei suddetti ambiti lavorativi.
È stato predisposto un questionario contenente sette domande riassuntive, a
loro volta, dei requisiti della norma.
Il questionario è stato distribuito a partire dal mese di Luglio 2003 presso tut-
te le Aree di Servizio.
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CONCLUSIONI
Si è giunti alla fine di un percorso lungo il quale sono stati illustrati numerosi
concetti ed approfonditi dei contenuti riguardanti discipline distinte avendo come
punto di partenza la constatazione che, sulla scena mondiale, l’apertura dei mercati e
la progressiva liberalizzazione degli scambi commerciali stanno imponendo una
competizione sempre più impegnativa che pone in discussione le capacità peculiari
delle imprese. Mai come adesso, infatti, anche in Italia, il saper affrontare le discon-
tinuità della trasformazione imposta dalla globalizzazione è divenuto elemento vitale
che può, peraltro, far emergere i limiti delle imprese dimensionalmente fragili che
hanno difficoltà a rapportarsi con il mercato esteso. Si pone la necessità di proporre
ed attuare esperienze innovative per poter preservare le proprie potenzialità competi-
tive: la struttura che crea il prodotto o che eroga il servizio deve crescere per fronteg-
giare le incertezze e l’innovazione continua, nei suoi molteplici aspetti, ne rappresen-
ta il fattore trainante e di per sé anche decisivo per migliorare l’efficienza aziendale
ed incrementare la capacità d’offerta. Diventa sempre più importante, all’interno del-
le aziende, capire come possono maturare le esigenze di cambiamento innovativo, a
quali finalità mirano, come possono concretarsi, che vantaggi possono assicurare in
termini d’efficienza, mercato e redditualità, quali riflessi hanno sulla crescita cultura-
le dell’azienda e dell’ambiente in cui opera. Decisiva diviene, dunque, la scelta ge-
stionale che comporta l’adozione del modello organizzativo: quello basato sui pro-
cessi e sull’introduzione di metodologie di knowledge management, al momento,
rappresenta lo stadio d’implementazione più progredita che vede nella qualità il per-
no su cui ruota la vita aziendale. Il termine “qualità” ha assunto, o gli sono stati at-
tribuiti, significati diversi a seconda che fosse stato associato al prodotto, che richia-
masse l’idea di “eccellenza connaturata”, fosse riconducibile alla nozione di confor-
mità alle specifiche di produzione, si riferisse alle differenze nelle quantità degli in-
gredienti posseduti da un medesimo prodotto, riflettesse il grado di soddisfazione del
cliente, od, ancora, identificasse il problema dei livelli d’affidabilità e di precisione
delle operazioni di trasformazione in un processo produttivo o, infine, costituisse il
riferimento all’organizzazione nella sua interezza, all’idea di “eccellenza” in ogni
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aspetto delle attività aziendali. In ciascuno di questi casi, ad ogni modo, gli obiettivi
delle scelte da una parte miravano, e mirano tuttora, ad indirizzare coerentemente tut-
ti gli sforzi verso la soddisfazione del cliente e, dall’altra, a migliorare le relazioni al
proprio interno tra le diverse funzioni in cui si articola l’organizzazione aziendale ed
a potenziare le relazioni esterne, verso i clienti ed i fornitori in particolare. Questo
network di relazioni va gestito e la capacità di farlo rappresenta un fattore strategico
di competizione: è con questo tipo di qualità, allora, che sussiste la possibilità di tra-
sformare le organizzazioni per metterle in grado di confrontarsi in situazioni conti-
nuamente mutevoli, nella conquista e fidelizzazione dei clienti, nella creazione di va-
lore e nell’efficienza, anziché tramite interpretazioni minimaliste che, nonostante il
corredo di formule, ricette e terapie portatrici di scarso valore aggiunto, conducono
raramente alla condizione di indurre mutamenti significativi. In altre parole la qualità
che serve per convivere con le trasformazioni e con l’incertezza, non è solo quella,
assolutamente indispensabile ma delegabile agli esperti, delle tecniche e delle meto-
dologie, bensì è anche, se non soprattutto, quella intimamente connessa sia con le
fondamenta culturali ed etiche dell’organizzazione dell’impresa o della pubblica
amministrazione, sia con il management, che è l’unico soggetto, purché operi intelli-
gentemente e consapevolmente, in grado di radicarla nelle organizzazioni stesse.
Poiché la qualità, è un attributo dell’azienda, della sua struttura e del suo funziona-
mento tale da assumere rilievo preminente, per scopi d’intervento sugli andamenti e
sui comportamenti, fino a diventare obiettivo aziendale per indurre le unità produtti-
ve nell’adozione di veri e propri meccanismi operativi orientati alla gestione strategi-
ca, diventa fondamentale osservarla come attributo che promana dall’organizzazione
aziendale, tradurla in obiettivi d’intervento sulla struttura e sui processi aziendali ed
individuarla come carattere della gestione.
Il presente lavoro è stato focalizzato proprio sulla dimensione qualitativa del-
la realtà aziendale, in generale, e di quella della S.p.A.Autovie Venete quale esempio
di azienda di servizi del settore trasporti, con sostanzialmente tre obiettivi:
sviluppare un’analisi, proiettandola da punti di vista diversi quali quello sto-
rico, socio-psicologico e tecnico-ingegneristico; sui vari modi d’approcciare
la qualità nel sistema azienda, indagando sulla stretta connessione con
l’organizzazione aziendale;
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rappresentare un’esperienza diretta nell’implementazione concreta di un si-
stema di gestione aziendale della qualità;
evidenziare il ruolo strategico dell’ITC (Information and Communication
Tecnology) al riguardo, illustrandone la valenza mediante adeguati appro-
fondimenti su metodi e tecniche quali il BPR (Business Process Reenginee-
ring ), l’ERP (Enterprise Resources Planning) e la BSC (Balanced Score-
card).
L’organizzazione aziendale tradizionale, che secondo il principio tayloristico
della divisione del lavoro porta alla specializzazione dei compiti, implica un assetto
funzionale (produzione, commerciale, acquisti, progettazione, ecc.) che comporta il
rischio di perdita di vista della soddisfazione del cliente. I processi aziendali, invece,
interessando trasversalmente l’organizzazione coinvolgono risorse contemporanea-
mente da più funzioni, mirando al vero perseguimento della customer satisfaction: se
l’azienda è un organismo vivente, pur grazie all’armonico coinvolgimento di tutte le
funzioni (organi quali il cuore, i polmoni, ecc.), questi vive di processi (respiratorio,
circolatorio, locomotorio, ecc.). Nel caso aziendale studiato della concessionaria au-
tostradale Autovie Venete, essi sono, a livello macro, sei: 1. PROCESSO STRATEGICO DIREZIONALE.
2. PROCESSO RELATIVO AL CLIENTE.
3. PROCESSO DI EROGAZIONE DEL SERVIZIO AUTOSTRADALE.
4. PROCESSO DI PROGETTAZIONE.
5. PROCESSO DI REALIZZAZIONE INFRASTRUTTURE.
6. PROCESSO DI MONITORAGGIO E MIGLIORAMENTO.
Essendo un processo un insieme d’attività, realizzate da risorse che a partire
da input ricevuti producono output, con questo approccio, rispetto all’organizzazione
aziendale tradizionale è possibile:
comprendere la genesi delle prestazioni in uscita, come combinazione di
prestazioni interne e prestazioni ricevute.
progettare il miglioramento degli output, con interventi-feedback sulle atti-
vità e sugli input.
In Autovie Venete, secondo quest’approccio, sono stati assunti anche due
principi cardine:
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• il concetto di cliente interno che presuppone la visione dei processi come
anelli fornitore-cliente interni, e la soddisfazione del cliente esterno come
risultato del buon funzionamento degli “anelli”;
• il concetto di “ownership” (proprietà) dei processi che prevede che i re-
sponsabili dei processi (“process owners”) possano o non essere responsabi-
li anche di funzione (Area nel caso Autovie Venete), ma agenti come im-
prenditori interni, attivandosi proattivamente, non solo pertanto rispetto a
compiti prestabiliti, ma con costante attenzione agli obiettivi/risultati nonché
al “team” affidato.
È proprio questo operare per obiettivi con informazioni finalizzate, che costi-
tuiscono gli input/output sempre più scambiati rispetto ai materiali, che determina la
centralità delle conoscenze e competenze e la conseguente gestione (knowledge
management) che vengono a costituire il vantaggio competitivo anche nell’eroga-
zione di un servizio e non solo nella realizzazione di un prodotto.
L’esperienza sperimentata sinora in Autovie Venete ha permesso di rilevare
delle difficoltà, a volte realmente impreviste, e dei risultati soddisfacenti quali:
difficoltà
il “cambiamento”, primariamente quello culturale, a volte sembra troppo
lento;
non tutte le risorse umane sono in grado di realmente integrarsi nel team o
in un’azienda così innovativamente concepita;
si devono dedicare risorse “ad hoc”, soprattutto persone e tempo, con la ne-
cessità di ulteriori investimenti;
le priorità tra le varie iniziative che nascono dal BPR (Business Process Re-
engineering) e nell’ambito dell’azienda stessa, non sono sempre facilmente
gestibili;
risultati
il cliente è realmente messo in primo piano;
sono valorizzate le risorse appartenenti all’azienda;
è data enfasi alla partnership;
si liberano energie verso il miglioramento continuo.
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In conclusione si ritiene di poter considerare globalmente positivo, anche sul
campo, l’approccio descritto, delineando la necessità di approfondire sul piano tecni-
co e metodologico i perché delle difficoltà residue incontrate al fine di provvedere,
per il futuro, al loro superamento.
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