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Tortura Convenzioni internazionali e principi costituzionali

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Tortura Convenzioni internazionali e principi costituzionali

Tortura e crudeltà

• La tortura è una pratica che ripugna al senso morale comune perché contraddice uno dei principi cardini della nostra etica: il divieto di pratiche crudeli.

• Sebbene la crudeltà sia aborrita da millenni, fu Montaigne che chiaramente mise la crudeltà al primo posto dei vizi comuni. Il saggista fece anzi notare che tutta la morale cristiana – quanto meno a partire da Gregorio Magno – metteva al vertice dei peccati capitale la superbia o l’accidia. Peccati contro Dio, dunque. E non peccati contro l’uomo.

Chiesa cattolica e valori morali

• Questo tipo di gerarchia, a dire di Montaigne, spiegherebbe certi comportamenti spietati della chiesa cattolica, nonché l’efferatezza della spedizione degli spagnoli nelle nuove indie.

• Machiavelli vide nella crudeltà uno strumento efficace in campo politico, mentre l’etica del valore, e specie del guerriero, non esitò a degenerare nell’etica della crudeltà.

Illuminismo

• Montesqueiu, allievo di Montaigne, fu invece egualmente intransigente contro ogni forma di crudeltà. Anche e soprattutto di quella perpetrata dallo stato a danno dei propri cittadini.

• L’indignazione per la tortura – pratica spietata per estorcere confessioni o per infliggere pene – fu a chiare lettere espressa da Cesare Beccarla e da Pietro Verri.

• Ma già Jeremy Bentham si era espresso contro pratiche disumane e crudeli, che vanificavano la vera ragion d’essere dello stato: l’evitamento del dolore e il raggiungimento del piacere da parte dei cittadini.

Cesare Beccaria

• Cesare Beccaria utilizzò un ulteriore argomento contro la tortura: oltre agli argomenti classici, della crudeltà, della inutilità, vi aggiunse anche quello dell’iniquità: la tortura infatti discrimina fra chi ha una maggiore o minore tolleranza al dolore.

• “è un voler confondere tutti i rapporti di esigere …che il dolore divenga il crogiolo della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e nelle fibre di un miserabile. Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti …l’esito dunque della tortura è un affare di temperamento e di calcolo, che varia in ciascun uomo in proporzione della sua robustezza e della sua sensibilità”.

Alessandro Manzoni

• La tortura classica, come mezzo per estorcere confessioni, è stata descritta da Alessandro Manzoni nella Storia della colonna infame, del 1842: nel 1630 a Milano, durante la pese, un uomo venne incolpato da una donnicciola di aver imbrattato un muro d’u certo untume che pare grasso…. Fu arrestato e sottoposto a supplizi atrocissimi, fino a quando non fece dei nomi. Anche costoro furono seviziati, e anche costoro confessarono.

Tortura oggi

• Oggi la tortura assume caratteri ancora più sconcertanti che in passato. Mentre in passato la tortura consisteva essenzialmente nell’infliggere un dolore fisico, oggi si assiste ad altre forme di tortura di tipo psicologico: ad esempio la cella di isolamento per periodi indefiniti; interrogatori che seguono a giorni di privazione di cibo e acqua; privazione di sonno; somministrazione di droghe che danno disorientamento, etc..

• Il politologo tedesco Franz Neumann – vede nella burocratizzazione dello stato un aumento dell’insensibilità complessiva dei funzionari pubblici alle sofferenze dei cittadini, ivi inclusi i detenuti. Si aggiunga che la burocratizzazione deresponsabilizza.

Tutela internazionale • Finora il divieto di tortura è stato proclamato in vari atti

internazionali di carattere generale. Lasciando da parte il diritto di guerra, basti ricordare la Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948 dell’ONU e il Patto dell’ONU sui diritti civili e politici del 1966. La prima, però, è una semplice raccomandazione agli Stati; il secondo è bensì vincolante, ma è fornito di inadeguati strumenti di controllo sul suo effettivo rispetto ad opera degli stati contraenti.

• La Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli inumani e degradanti (New York 1984) è un atto normativo vincolante, almeno per gli stati che la ratificano.

Pro e contro della convenzione

• La convenzione è enormi pregi, ma anche qualche ombra. Innanzitutto il fatto che sia stata adottata è un progresso enorme. In secondo luogo essa contiene una definizione dettagliata di tortura e questo in sé rappresenta un passo avanti importantissimo, perché altrimenti gli stati aguzzini potrebbero trincerarsi dietro le ambiguità delle norme e pretendere che quel che essi fanno non è tortura, ma qualcosa di diverso.

• In terzo luogo, la convenzione non si limita a vietare la tortura ma proscrive altresì i “trattamenti crudeli, disumani e degradanti”. In quarto luogo la convenzione proclama a chiare lettere che ogni stato contraente deve punire i torturatori che si trovino nelle sue mani, dovunque e contro chiunque abbiamo commesso atti di tortura. In breve è stato sancito il principio dell’universalità della giurisdizione.

• • Non vanno tuttavia sottaciuti i limiti della convenzione. Essa non può

vincolare gli stati che non decidono di sottoporvisi. In secondo luogo i controlli non sono così stringenti. Su richiesta della Russia e dell’Ucraina ad esempio il sistema del ricorso al Comitato della tortura è opzionale.

Definizione di tortura contenuta all’art. 1 della Convenzione:

• Qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti

a una persona dolori o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tali dolori o tali sofferenze siano inflitti da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o col suo consenso espresso o tacito. Tale termine non include tuttavia il dolore o le sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legali, inerenti a tali sanzioni o ad esse connessi.

Trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti • Altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti:

qualsiasi atto mediante il quale sono inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, qualora tale dolore o tale sofferenza siano inflitti da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non include tuttavia il dolore o le sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legali, inerenti a tali sanzioni o ad esse connessi.

Corte europea dei diritti dell’uomo • La Convenzione Europea sui diritti umani del 1950 contiene un

divieto rigoroso:

• Articolo 3 - Divieto della tortura.

• Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

• Esiste poi una tutela effettiva data dalla Corte Europea.

• La Corte Europea ha segnato tappe essenziali nella progressiva abolizione (purtroppo al livello giudiziale e non sempre politico) della tortura.

intenzionalità

• La Corte ha precisato che la tortura è qualsiasi trattamento disumano o degradante che causa intenzionalmente una grava sofferenza fisica o mentale. Essa ha così differenziato la tortura dai trattamenti disumani o degradanti sotto un duplice profilo.

• Anzitutto la tortura è sempre intenzionale, mentre un trattamento degradante può risultare da un insieme di circostanze che causa intenzionalmente una grave sofferenza fisica o mentale. (ad esempio nel 1989 il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura osservò che in talune carceri inglesi il concorso di tre fattori, quali il sovraffollamento, la mancanza di servizi igienici e la circostanza che i detenuti trascorrevano 23 su 24 ore nelle loro celle, faceva sì che i detenuti fossero sottoposti a condizioni degradanti. L’assenza di intenzionalità distingue questa situazione dalla tortura

Dolore intenso

• In secondo luogo, il grado di sofferenza risultante dalla tortura è più intenso che nel caso dei trattamenti disumani o degradanti. Si può ricordare, al riguardo il caso Tyrer. La Gran Bretagna venne accusata di violare nell’Isola di Man la norma della Convenzione europea che vieta i trattamenti inumani e degradanti per la circostanza che un minore era stato sottoposto a fustigazione. La commissione europea concluse che la fustigazione è un’offesa alla dignità dell’uomo che umilia e disonora il reo senza possedere alcun valore sociale di redenzione.

• Nel caso Farbtuhs v. Lettonia (sentenza del 2 dicembre 2004), il ricorrente, cittadino lettone di 84 anni era stato condannato per crimini avvenuti nel 1940-41. il ricorrente era stato arrestato benché paraplegico e non autosufficiente. La corte di Strasburgo decretò che era stato sottoposto a pene degradanti

Stati complici • In data 28 Febbraio 2008, la Corte Europea dei diritti umani ha

riaffermato che il divieto di rinvio di individui verso Paesi in cui essi sono a rischio di tortura o maltrattamenti è assoluto e categorico. La sentenza di Saadi c. Italia è stata salutata come una grande riaffermazione dell'importanza del principio di legalità da parte di 11 gruppi internazionali per la difesa dei diritti umani: Amnesty International, la Association for the Prevention of Torture, l’AIRE Centre, Human Rights Watch, INTERIGHTS, la International Commission of Jurists, JUSTICE, la Medical Foundation for the Care of the Victims of Torture, l’Open Society Justice Initiative, REDRESS, e la World Organization Against Torture (OMCT). Questa sentenza giunge in un momento in cui il rinvio in Paesi noti per la pratica di tortura e maltrattamenti avviene con una frequenza preoccupante in nome della “guerra al terrorismo”. La Corte ha riaffermato la regola di vecchia data secondo cui nessuna circostanza, comprese la minaccia di terrorismo o le preoccupazioni per la sicurezza nazionale, può giustificare l'esposizione di un individuo al rischio concreto di tali seri abusi di diritti umani.

Saadi v . Italia

• L’ unanime giudizio della Grande camera della Corte è stato emesso nel caso Saadi c. Italia, che riguarda la decisione delle autorità italiane di deportare in Tunisia Nassim Saadi, un cittadino tunisino legalmente residente in Italia. Saadi è stato processato in contumacia in Tunisia per reati di stampo terroristico e condannato a 20 anni di carcere. Di fronte alla Corte Europea, Saadi ha dichiarato che sarebbe andato incontro al rischio di tortura e maltrattamenti in Tunisia, un Paese in cui gli abusi sui presunti terroristi sono una pratica abituale e ben documentata.

REGNO UNITO

• Il governo del Regno Unito è intervenuto nel caso per cercare di rovesciare il divieto assoluto di tortura e maltrattamenti. Esso ha sostenuto che il diritto di una persona ad essere protetta da tale trattamento all'estero dovrebbe essere temperato contro il rischio che l'individuo ha posto allo stato che lo allontana. Nel caso Chahal c. Regno Unito del 1996, la Corte rigettò questa tesi ritenendo che la Convenzione europea proibisca, in ogni circostanza, l'espulsione verso Paesi in cui ci sia rischio di tortura e maltrattamenti. Questa conclusione è stata coerentemente riaffermata dalla Corte in tutti i suoi successivi pronunciamenti.

• L’intervento del governo britannico nel caso Saadi è una replica del suo intervento (e di quello dei governi di Lituania, Portogallo e Slovacchia) in un altro caso ancora dibattuto presso la Corte, Ramzy c. Olanda, riguardante un’espulsione verso l'Algeria. Questi tentativi di minare i diritti umani fondamentali con affermazioni che la sicurezza nazionale e la sicurezza pubblica siano minacciate spesso si basano su informazioni che i governi cercano di non svelare persino all'individuo interessato.

• In questa occasione la Corte Europea è stata risoluta nel mantenere l'approccio stabilito nei suoi pronunciamenti precedenti e seguito da altre corti e organismi internazionali. Il giudizio ha riaffermato che il trasferimento di individui verso Paesi dove essi vanno incontro a un rischio reale di tortura o maltrattamento è proibito in modo assoluto, e che la legge non permette eccezioni. La Corte ha riconosciuto che “gli Stati affrontano difficoltà immense nei tempi moderni per proteggere le loro comunità dalla violenza terrorista. Non può pertanto sottovalutare, oggi, l'entità del pericolo del terrorismo e la minaccia che costituisce per la comunità. Tuttavia, ciò non deve mettere in dubbio la natura assoluta dell'articolo 3 [della Convenzione Europea, che vieta la tortura e altri maltrattamenti].”

ASSICURAZIONI DIPLOMATICHE • La sentenza ha anche affrontato il problema delle "assicurazioni diplomatiche" e

qualora il dovere di uno stato di non effettuare deportazioni, ove vi sia il rischio di tortura o maltrattamento, possa essere mitigato dalle promesse di trattamento umano da parte del Paese dove l'individuo deve essere deportato. La Corte ha ritenuto che tali assicurazioni non bilancino automaticamente un rischio reale, sottolineando “che l'esistenza di leggi nazionali e l'adesione a trattati non sono sufficienti ad assicurare protezione adeguata contro il rischio di maltrattamento”. La Corte ha lasciato aperta la questione se le assicurazioni possono, “nella loro attuazione pratica”, fornire una garanzia sufficiente contro il rischio di maltrattamento.” Di fatto, una volta che tale rischio è stabilito, la Corte non ha mai riconosciuto assicurazioni in grado di rimuoverlo. Un numero crescente di attori internazionali (tra cui l'Alto Commissario per i diritti umani, il relatore speciale sulla tortura, e il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa) ritengono che le assicurazioni diplomatiche contro la tortura e i maltrattamenti siano intrinsecamente inaffidabili e praticamente inattuabili, e che pertanto non costituiscano una salvaguardia efficace contro la tortura e i maltrattamenti.

TRE PUNTI

• 1) col primo la Corte segna una linea di confine fra tortura e trattamenti disumani (sia per il carattere intenzionale della prima, sia per l’entità della sofferenza inflitta);

• 2) con il secondo punto la Corte Europea ha stabilito l’inversione dell’onere della prova qualora il ricorrente voglia provare un caso di trattamento disumano. Nel caso Tomasi (un giovane corso era stato detenuto dalle autorità francesi; al termine di due giorni di detenzione il suo corpo era pieno di lividi ed escoriazioni - circostanza questa provata con un referto). Sebbene il ricorrente non abbia dato la prova di essere stato pestato dalla polizia francese la Corte ha affermato che qualora un giovane entra in carcere sano e ne esce malconcio, si deve presumere che il pestaggio sia da attribuire alla polizia. Spetta a quest’ultima dare la prova contraria.

• 3) Il terzo punto su cui la Corte ha insistito è quello della extraterritorialità. Se è vero che la convenzione dei diritti dell’uomo non vincola tutti gli stati, ma solo i firmatari, è anche vero che sugli stati vincolati grava un obbligo di monitorare contro attività di tortura o disumane anche al di fuori del proprio territorio (cfr. caso SAADI).

Pena di morte

• La Convenzione non soltanto vieta la tortura ma altresì la pena di morte (protocollo n. 6 del 1983). La Corte ha peraltro stabilito che i paesi membri non possono estradare un cittadino soggetto alla loro giurisdizione verso un paese dove vige la pena di morte.

• A questo riguardo si rinvia al caso Söring. Söring, un cittadino tedesco andato a studiare in Virginia, a 18 anni aveva ucciso, con l’aiuto della sua ragazza canadese, i genitori di costei, che vivevano nello stato della Virginia. Dopo il delitto entrambi erano fuggiti in Inghilterra dove erano stati arrestati. La ragazza canadese venne subito estradata negli USA dove fu processata e condannata a 90 anni di carcere. Quanto a Söring, le competenti autorità statunitensi ne chiesero l’estradizione per sottoporlo a processo; il ragazzo era accusato di omicidio e come tale se trovato colpevole avrebbe potuto essere condannato a morte. La Corte di Strasburgo investita del caso stabilì che in virtù dell’art, 3 della convenzione i diritti del ricorrente sarebbero stati violati se fosse stato estradato verso un paese dove vigeva la pena di morte.

Terrorismo

• Come si definisce il terrorismo oggi?

• Per anni si sono accapigliati in seno a organizzazioni internazionali per definire cosa debba intendersi per terrorista. In realtà esisteva un sostanziale accordo di fondo sulla definizione ma non la si poteva accettare perché si dissentiva sulle eccezioni. Il pomo della discordia era costituito dai combattenti per la libertà (sudafricani che lottavano contro il razzismo dell’apartheid, guerriglieri che avevano preso le armi contro dittature latino-americane, palestinesi che combattevano contro le truppe israeliane in cisgiordania, rcc..).

Codice penale

• Anche oggi la definizione di terrorismo non è unanime (una definizione è ad esempio offerta dal nostro codice penale all’art. 270 bis che afferma: Art. 270-bis (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico). - Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione e un organismo internazionale. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego".

caratteristiche

• esso è perpetrato non da organizzazioni statali;

• esso colpisce le sue vittime fra civili o comunque fra militari non impegnati in operazioni belliche;

• la finalità principale è quella di far pressione su organismi politici statali o internazionali;

• lo strumento è quello di infondere terrore.

• Dopo gli attentati terroristici di New York, Madrid e Londra è diventato chiaro che la guerra al terrorismo non è più una questione di politica interna nazionale.

• Da qui la reazione della comunità internazionale.

Black lists

• Le Black Lists o liste nere sono liste stilate da un comitato per la lotta al terrorismo istituito presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che contengono nomi di sospetti terroristi. L’inserimento del nome del presunto terrorista nelle lista nera comporta in via pressoché automatica il congelamento dei beni della persona colpita. La persona non ha diritto né di essere sentita nella fase di redazione della lista (fase istruttoria), né nella fase successiva. Non esiste infatti la possibilità di impugnare l’inserimento del nome nella lista neanche per via giurisdizionale.

Black list e diritti fondamentali

• diritto all’equo processo (art. 6 della Convenzione sui diritti

dell’uomo, art. 111 Costituzione italiana): il diritto all’equo processo implica anche il diritto al contraddittorio – e cioè a che il provvedimento negativo sia preso solo dopo aver sentito anche la parte interessata. Ma questo non avviene: infatti nella redazione della Black List la parte interessata non è in alcun modo informata né dell’avvio del procedimento a suo carico, né dell’istruttoria in corso.

• Diritto al ricorso giurisdizionale. Le decisioni del comitato non sono impugnabili.

• Diritti di proprietà: i beni del presunto terrorista vengono congelati. Ciò su cui si incide è il diritto di disposizione e godimento più che il diritto di proprietà in senso stretto.

• Diritto all’onore e alla reputazione. L’inserimento del proprio nome nella Black List non solo comprime i diritti economici ma, qualora infondato, lede l’immagine della persona.