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Torna all'indice CAPITOLO XI Proprietà termiche dei vetri Calore specifico viene definito come la quantità di calore necessaria per aumentare di 1°C la temperatura di una sostanza di peso unitario, viene misurato in . Usualmente con il termine generico di calore specifico si considera quello a pressione costante c p che è superiore a quello a volume costante c v : (operando a pressione costante è necessario fornire alla sostanza ulteriore calore per l’espansione termica), tuttavia nei materiali solidi e in particolare nei vetri la differenza è trascurabile ( 0,4%). Si definisce il calore molare Cp come: Dove M è il peso molecolare medio della sostanza considerata. Il calore specifico cresce da zero a 0 °K fino ad un massimo di 3R ( R = costante dei gas ) alle alte temperature cioè 6 cal/mole °C. Secondo la trattazione di Dulong e Petit dalla meccanica classica si considera un atomo come un oscillatore con sei gradi di libertà: energia cinetica ed energia potenziale che variano lungo i tre assi cartesiani x, y, z, dal principio di equiripartizione dell’energia ogni atomo assorbe per ogni grado di libertà un’energia pari a dove K è la costante di Boltzmann, ma e quindi l’energia per mole di un solido semplice sarà data dalla espressione: , e poiché R = 1,987 cal / mole °K allora 3 R è circa 6 cal / mole °K. Questo valore è tale alle temperature superiori alla temperatura ambiente mentre a temperature basse il C v diminuisce proporzionalmente al cubo della temperatura ( Einstein-Debye). Nella maggior parte dei vetri il calore specifico è compreso tra 0,17 e 0,23 cal / g. °C. A temperature elevate esso raggiunge il valore di 0,29 per un vetro di silice pura e 0,333 per vetri calcio-silicatici mentre la sostituzione ponderale del 20% della SiO 2 con il PbO porta alla diminuzione del calore specifico fino a 0,175 cal / g°C. Noi misuriamo un valore di c p ad una specifica temperatura in effetti nelle determinazioni sperimentali si deve parlare più propriamente di un calore specifico medio dato dalla espressione:

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CAPITOLO XI

Proprietà termiche dei vetri

Calore specifico

viene definito come la quantità di calore necessaria per aumentare di 1°C la temperatura di una

sostanza di peso unitario, viene misurato in .

Usualmente con il termine generico di calore specifico si considera quello a pressione costante cp

che è superiore a quello a volume costante cv: (operando a pressione costante è necessario

fornire alla sostanza ulteriore calore per l’espansione termica), tuttavia nei materiali solidi e in

particolare nei vetri la differenza è trascurabile ( 0,4%).

Si definisce il calore molare Cp come:

Dove M è il peso molecolare medio della sostanza considerata.

Il calore specifico cresce da zero a 0 °K fino ad un massimo di 3R ( R = costante dei gas ) alle alte

temperature cioè 6 cal/mole °C. Secondo la trattazione di Dulong e Petit dalla meccanica classica

si considera un atomo come un oscillatore con sei gradi di libertà: energia cinetica ed energia

potenziale che variano lungo i tre assi cartesiani x, y, z, dal principio di equiripartizione dell’energia

ogni atomo assorbe per ogni grado di libertà un’energia pari a dove K è la costante di

Boltzmann, ma e quindi l’energia per mole di un solido semplice sarà data dalla

espressione: , e poiché R = 1,987 cal / mole °K allora 3 R è circa 6 cal / mole °K. Questo

valore è tale alle temperature superiori alla temperatura ambiente mentre a temperature basse il Cv

diminuisce proporzionalmente al cubo della temperatura ( Einstein-Debye).

Nella maggior parte dei vetri il calore specifico è compreso tra 0,17 e 0,23 cal / g. °C. A

temperature elevate esso raggiunge il valore di 0,29 per un vetro di silice pura e 0,333 per vetri

calcio-silicatici mentre la sostituzione ponderale del 20% della SiO2 con il PbO porta alla

diminuzione del calore specifico fino a 0,175 cal / g°C.

Noi misuriamo un valore di cp ad una specifica temperatura in effetti nelle determinazioni

sperimentali si deve parlare più propriamente di un calore specifico medio dato dalla espressione:

Misura del calore specifico cp

Un campione di peso m viene scaldato fino ad una temperatura Ta e quindi posto velocemente in un

calorimetro a liquido, si misura quindi una temperatura del liquidi Tf, se T è la differenza di temperatura nel campione allora si avrà:

dove W è una costante caratteristica della apparecchiatura ed è detta costante d'acqua

Dipendenza dalla composizione

In figura 1 è mostrata la dipendenza rispetto alla composizione di in vetri sodio-silicatici

Figura 1

Vetri con pesi atomici medi elevati hanno calori specifici inferiori al sistema sodio-silicatico,

naturalmente all’aumentare del peso molecolare medio il calore specifico molare Cp dato che

è destinato ad aumentare.

Conducibilità termica

Si definisce così la quantità di calore trasmessa nell’unità di tempo attraverso una superficie unitaria

ortogonale alla direzione in cui avviene il trasferimento di calore con un gradiente di temperatura

unitario; essa si misura in .

La conduzione del calore negli isolanti, data l’impossibilità di movimento degli elettroni, è dovuta

alle vibrazioni termiche del reticolo cristallino le quali generano onde termoelastiche che si

propagano da zone calde a zone fredde del network.

Il quanto di energia vibrazionale di un’onda termoelastica è detto fonone. Si può parlare, in analogia

al trasporto del calore nei gas, di un gas di fononi e derivare dalla teoria cinetica dei gas

l’espressione per la conducibilità termica:

dove u è la velocità fononica, l è il cammino libero medio delle onde reticolari di frequenza tipica

(fononi) e Cv il calore specifico.

In un reticolo cristallino perfetto (ideale) le vibrazioni atomiche sono armoniche e quindi le onde

reticolari non presentano interferenze, esse non vengono diffuse durante il loro cammino e la

conducibilità termica è praticamente infinita.

Nei cristalli reali le vibrazioni reticolari sono anarmoniche a causa dei difetti del reticolo, la

conducibilità termica è bassa, inoltre la diffusione fononica diminuisce al diminuire della

temperatura facendo di conseguenza aumentare la conducibilità termica al diminuire della

temperatura.

Nei solidi non cristallini la conducibilità termica è bassa a causa dell’alto grado di disordine

strutturale; il cammino fononico medio è in questo caso assai breve ( pochi Å ) e quindi la

diffusione è rilevante, poiché l ed u sono indipendenti dalla temperatura la conducibilità termica nei

solidi amorfi dipende solo dal Cv, quindi essa aumenta all’aumentare della temperatura (Cv va da

zero a 3R).

La conducibilità termica per fenomeni radiativi gioca un ruolo fondamentale nel trasporto termico

dei grandi forni fusori, per un vetro tipo flint ( 80% PbO e 20% SiO2) essa è 0,0012

mentre per un vetro comune raggiunge 0,0024 , è inoltre fortemente influenzata da ioni

metallici presenti come ferro o cromo: un vetro verde da bottiglia può avere una conducibilità per

radiazione anche sei volte più bassa di quella di un vetro chiaro.

La dilatazione termica

Figura 2

I corpi tendono a dilatarsi perché a livello atomico gli atomi che oscillano intorno alle posizioni di

equilibrio (di un reticolo cristallino o di un network continuo di un vetro) sono sottoposti ad un

potenziale asimmetrico. Come possiamo vedere in figura 2 a temperature via via crescenti aumenta

la distanza atomica media d.

Quasi tutti i solidi, in assenza di cambiamenti di fase, si dilatano se riscaldati con un coefficiente di

dilatazione volumetrico circa triplo di quello lineare.

Si definisce il coefficiente di dilatazione lineare come l’aumento di lunghezza l subito a

pressione costante da un materiale di lunghezza unitaria l0 per un aumento di temperatura T di 1 °C,

si misura in [°C-1].

Dal punto di vista atomico la dilatazione termica è effetto dell’aumento della distanza media tra gli

atomi causata da moti vibratori anarmonici degli stessi, all’aumentare della temperatura aumenta

anche l’ampiezza delle vibrazioni degli atomi del reticolo fino ad un valore massimo al punto di

fusione del 12% della distanza di legame.

Legami forti e direzionali come i legami covalenti portano a dilatazioni minori rispetto a legami più

deboli come i legami metallici.

Nel caso dei vetri, la dilatazione termica al di sotto della temperatura di transizione vetrosa Tg è

circa la stessa di quella riscontrata nella sostanza sotto una forma cristallina, fa eccezione il

coefficiente di dilatazione lineare del vetro di silice che è molto più basso di quello del -quarzo:

SiO2 vetrosa = 5,5 10-7 °C-1, 1 Quarzo = 80 10-7 °C-1, 2 Quarzo = 134 10-7 °C-1, ciò sembra

connesso alla struttura più aperta del vetro di silice in cui prevalgono vibrazioni atomiche trasversali

rispetto a vibrazioni che avvengono nella direzione dei legami.

Metodi di misura

I due principali metodi di misura sono quelli del dilatometro, di cui abbiamo già parlato nel capitolo

I, d della birifrangenza nel quale un campione di vetro di spessore noto e privo di stress meccanici

viene sottoposto ad analisi polarografica, il coefficiente di dilatazione lineare è dato:

dove = ritardo dell’onda luminosa, E = modulo di elasticità, C = coefficiente di stress ottico

(costante strumentale); T = differenza di temperatura tra la temperatura ambiente e la temperatura di transizione vetrosa, d = spessore del campione.

Dipendenza dalla temperatura

l’analisi della curva dilatometrica mostra che al di sotto della temperatura di transizione vetrosa

aumenta linearmente con la temperatura, nella misura del coefficiente viene così scelto un intervallo

di misura, tipicamente 50°C - 400°C, lo slope della retta che rappresenta la variazione di con la temperatura in quell’intervallo scelto è il coefficiente di dilatazione lineare medio.

Alla temperatura di transizione vetrosa la struttura subisce una progressiva apertura dei legami con

una brusca diminuzione della coesione atomica: il dilatometro mostra una brusca diminuzione del

coefficiente di dilatazione, il massimo che si manifesta è chiamato punto di rammollimento

dilatometrico.

Dipendenza dalla composizione

E’ già stato detto che a causa dei forti legami Si-O e della struttura aperta del network il coefficiente

della SiO2 vetrosa è relativamente basso, un basso coefficiente d dilatazione è di grande

importanza pratica a causa della resistenza agli shock termici ad esso associata. L’introduzione di

metalli alcalini provoca una diminuzione della forza di legame del network e di conseguenza il

coefficiente di dilatazione lineare aumenta. (Figura 3) 8.5a

Figura 3 8.5a

in figura 3 8.5a vediamo come l’introduzione di quantità crescenti di ossidi alcalini ad un vetro di

silice pura faccia aumentare proporzionalmente il coefficiente di dilatazione, si noti come l’effetto

polarizzante dello ione litio provochi un aumento di inferiore rispetto all’aggiunta di analoghe quantità di potassio( effetto polarizzante sul legame Si-O).

Figura 4 8.5b

Introducendo ossidi di metalli alcalino terrosi ( figura 4 8.5b ) si nota la stessa tendenza, anche se meno pronunciata, a causa dei più forti legami metallo-ossigeno. Ossidi di metalli fortemente

polarizzabili come il PbII causano invece un rapido incremento del coefficiente di dilatazione

termica all’aumentare della concentrazione nel vetro di silice.

Nel grafico di destra è riportato l’andamento di all’aumentare della concentrazione di Al2O3 e

B2O3 in un vetro sodio-silicatico, in questo caso la curva è il risultato dell’equilibrio tra la

formazione di strutture tetraedriche del tipo [BO4]- ed [AlO4]

- e [BO3] (planare) e [AlO6] ottaedrico,

le strutture tetraedriche complessando lo ione alcalino hanno l’effetto di eliminare ossigeni non a

ponte e quindi fanno diminuire il coefficiente di dilatazione termica.

Nei sistemi alcalino-boratici (figura 5) 8.5c l’effetto della aggiunta di ossidi di metalli alcalini è

quello di una iniziale diminuzione di per la formazione di strutture e quindi

di un aumento dopo che il rapporto molare per il passaggio [BO4] [BO3].

Figura 5 8.5c

Meccanismo del cavillo e della scaglia

In figura 6 vediamo l’andamento del coefficiente di dilatazione termica di un ipotetico smalto (in rosso) rispetto a due supporti s1 ed s2 in blu

Figura 6

La situazione è stata esasperata rispetto alla realtà tuttavia come vediamo nel modello delle tensioni

di figura 7, nel caso del supporto s1 questo mette in compressione lo smalto e quindi le microfratture

superficiali tendono a richiudersi. Il supporto s2 invece agirà nel senso opposto mettendo in trazione

lo smalto: le microfratture superficiali tenderanno ad allargarsi.

Figura 7

Nella realtà i coefficienti di dilatazione delle fritte sono sempre inferiori di qualche unità a quelli dei

supporti nella tabella 1 sono riportati dei valori tipici di per fritte in varie tecnologie di applicazione:

Tabella 1

In tabella 2 sono invece riportati i valori di tipici tali per cui non si hanno fenomeni di cavillo o

di scaglia, per valori superiori di delta si può incorrere in un fenomeno di scaglia per eccessiva

compressione mentre al contrario per differenze di coefficiente di dilatazione piccole tra supporto e

smalto si ha la possibilità di incorrere in fenomeni di cavillatura.

Tabella 2

Modelli matematici

Tra i modelli matematici proposti i più utilizzati sono quelli di Winkelmann, Schott, Appen e di

Ledereeova mostrati in figura 8 8.6

Figura 8

Nelle tavole di figura 9 8.7 vengono dati i fattori per la determinazione dei coefficienti di

espansione dei vetri in base alla composizione ( espresso in 10-8 K-1):

Figura 9

a: i valori in parentesi sono validi per i vetri binari R2O - SiO2. Il fattore K2O = 46,5 si applica solo a quei vetri che

contengono più di 1% di Na2O, altrimenti si utilizza il valore di 42,0.

b: per vetri contenenti B2O3 si deve calcolare un fattore dato dalla seguente espressione:

ottenendo così:

B2O3 = -1,25 4

B2O3 = 5,00 4

c: SiO2 = 10,5 - 0,1 pSiO2 100 pSiO2 67

SiO2 = 3,8 pSiO2 67

d:

TiO2 = 10,5 - 0,15 pTiO2 80 pSiO2 50

f: PbO = 13,0

il valore sopra riportato è valido nei seguenti casi:

1. vetri privi di alcali

2) vetri piombo-silicatici con

3) altri tipi di vetri con

g) i fattori sono validi per miscele di ossidi del tipo MnO/MnO1,5 e FeO/FeO1,5

Limitazioni della temperatura nell’uso dei vetri

Limiti di utilizzo

Limiti normali Limiti estremi

vetro comune 100-110 °C 450 °C

vetri allumino - silicatici 200 °C 650 °C

vetri borosilicatici 230 °C 450 °C

vetri al piombo 300-380 °C

vetro di silice 900 °C 1300 °C

per limiti estremi di utilizzo si intendono quelle temperature per le quali il vetro subisce fenomeni di

scorrimento viscoso ( 1015 Poise ). A queste temperature i vetri sono vulnerabili per shock termico, se il vetro è temprato anziché ricotto si innalzano i limiti normali di utilizzo ma si

abbassano quelli estremi a causa del rilassamento completo delle tensioni per scorrimento viscoso.

Resistenza allo shock termico

Si definisce come la più alta differenza di temperatura che un vetro di uno spessore dato può

sopportare tra le due facce opposte senza che vi sia rottura per le sollecitazioni meccaniche

instaurate, precisamente per lo sforzo di trazione prodotto sul lato freddo della lastra, questo sforzo

è dato dalla seguente espressione:

dove E è il modulo di Young, è il coefficiente di dilatazione lineare, T la differenza di

temperatura tra la faccia calda e quella fredda della lastra e è il rapporto di Poisson.

Dalla espressione sopra riportata si vede come la resistenza agli sbalzi termici sia tanto maggiore

quanto più alta è la resistenza alla frattura e quanto minore è il modulo di Young ed il coefficiente

di dilatazione termica.

Il massimo sforzo di trazione ammissibile per un vetro è dell’ordine di 1 Kg/mm2 a cui corrisponde

una resistenza agli sbalzi di temperatura di circa 20 °C per il vetro comune, di 65 °C per il vetro

borosilicatico e di 300°C per il vetro di silice.

E’ molto difficile calcolare gli sforzi termici transitori tuttavia si può affermare che bruschi aumenti

di temperatura sono assai meno pericolosi di repentini raffreddamenti in quanto nel primo caso si

manifestano sforzi superficiali di compressione mentre nel secondo si originano sforzi di trazione

(che favoriscono il propagarsi delle fratture ).

AUMENTO DELLA RESISTENZA DEI VETRI

Formazione ed eliminazione di tensioni nel vetro: tempra e ricottura

Tempra termica

Se consideriamo un materiale omogeneo idealmente elastico a temperatura uniforme e privo di

tensioni, l’applicazione di un gradiente di temperatura provoca dilatazioni e contrazioni differenziali

che provocano l’insorgere di un sistema di tensioni, tali tensioni si possono definire temporanee in

quanto, a causa della perfetta elasticità del mezzo, si annullano contemporaneamente

all’annullamento del gradiente termico che le ha generate.

In un materiale omogeneo idealmente viscoso il gradiente di temperatura non è causa di tensioni in

quanto la struttura ha la possibilità di rilassamento per scorrimento viscoso; un materiale di questo

genere è dunque privo di tensioni stante un tempo necessario (che dipende dal valore di ) per

raggiungere l’equilibrio.

In un materiale visco-elastico quale è in realtà il vetro se viene applicato un gradiente termico

quando esso si trova ad una temperatura superiore a quella della transizione vetrosa Tg questo non

provoca l’insorgere di tensioni (rilassamento viscoso), se tuttavia la temperatura del materiale è

inferiore alla Tg una variazione della distribuzione della temperatura nella sua massa da origine a

contrazioni e tensioni superficiali alle quali si oppone la rigidità del mezzo e quindi si creano delle

tensioni permanenti (Deformazione per elasticità ritardata).

La tempra del vetro consiste nel rapido raffreddamento del materiale rispetto ad una temperatura di

partenza superiore alla sua temperatura di transizione vetrosa: nei primi istanti del processo la

superficie si raffredda più rapidamente dell’interno raggiungendo in pochi secondi, a causa della

scarsa conducibilità termica del vetro, la massima differenza di temperatura (figura 10) 8.8a, successivamente è la parte interna a raffreddassi più rapidamente della superficie finché non si

raggiungono, a temperatura ambiente, la condizione di isotermicità.

8.8a

Figura 10 : variazione della temperatura alla superficie e al cuore di una lastra di vetro

a : il cuore mette in trazione la superficie

b: la superficie si congela a T<Tg e continua a contrarsi mentre il cuore presenta

ancora scorrimento viscoso

c: il cuore si contrae più rapidamente della superficie: da questo momento il sistema

di tensioni della lastra assume la configurazione definitiva

Come si vede dalla figura 10 negli stadi iniziali del processo la superficie dovrebbe contrarsi

maggiormente dell’interno della lastra, si verrebbero così ad instaurare sforzi di trazione in

superficie e di compressione al centro; in un solido idealmente elastico questi sforzi si

sommerebbero algebricamente annullandosi esattamente con gli sforzi di segno opposto che si

verrebbero ad instaurare dopo l’inversione della velocità di raffreddamento tra la superficie e

l’interno.

Nei primi istanti del raffreddamento il vetro si trova in realtà ancora in un campo di comportamento

viscoso e così la maggior parte delle tensioni formatisi ha il tempo di rilassarsi (questo fenomeno è

tanto più favorito quanto più alta è la temperatura iniziale, se la temperatura superficiale è inferiore

ad un temperatura detta temperatura di tensione le tensioni create all’inizio del processo non

riescono a rilassarsi).

Quando la temperatura della superficie ha oltrepassato la temperatura di transizione vetrosa, questa

si congela continuando a contrarsi mentre il cuore conserva ancora un seppur debole

comportamento viscoso che gli permette di adattarsi alla contrazione della superficie. Quando anche

la temperatura interna si abbassa al disotto della Tg il cuore perde la sua deformabilità; la

contrazione dell’interno sarà tuttavia contrastata dalla superficie ormai completamente rigida che si

sta contraendo con velocità notevolmente più bassa, per questo motivo l’interno, impedito a

contrarsi a suo piacimento, è messo in trazione dalla superficie che ha sua volta viene a trovarsi in

compressione rispetto al cuore.

Il risultato finale del processo della tempra è l’introduzione nel vetro di tensioni permanenti che

consistono in uno strato superficiale di compressione bilanciato da uno stato interno in

trazione.(Figura 11) 8.8b

Figura 11: Distribuzione delle tensioni in una lastra temprata termicamente, la compressione superficiale è circa

doppia della trazione al centro; a circa 1/5 dello spessore si ha lo strato a tensione nulla.

Da quanto detto per la riuscita della tempra è decisiva la temperatura al momento dell’inversione

delle velocità: se la temperatura superficiale è superiore al punto di tensione il vetro riesce a

rilassare le tensioni indotte nella fase iniziale e quando queste cominciano a formarsi compaiono nel

senso definitivo (compressione in superficie, trazione nel cuore); se invece la temperatura

superficiale è inferiore al punto di tensione le tensioni formatisi inizialmente non riescono a

rilassarsi e poiché esse sono di segno opposto rispetto alle tensioni definitive che si formano dopo

l’inversione delle velocità di raffreddamento queste ultime risulteranno più deboli che nel caso

precedente.

Con il modello sopra descritto possiamo prevedere matematicamente l’entità e la distribuzione delle

tensioni meccaniche residue in una lastra temprata sottoposta ad esempio a sforzo di flessione,

come si vede in figura 12 8.9 le tensioni indotte dallo sforzo si sommano algebricamente a quelle

indotte dalla tempra: il risultato sarà che sulla faccia superiore della lastra si avrà una tensione di

compressione superiore al previsto mentre su quella inferiore la tensione di trazione sarà molto

inferiore.

Il vetro temprato possiede una resistenza a trazione 2-3 volte maggiore del vetro ordinario (20-25

Kg/mm2) che si riflette su una superiore resistenza meccanica in quanto si creano tensioni

permanenti che tendono a richiudere le microfratture superficiali ed anche una maggiore resistenza

agli sbalzi termici.

Il sistema di tensioni indotte nel processo di tempra comporta da parte della lastra di vetro

l’assorbimento di una grande quantità di energia di deformazione elastica, questa energia viene

liberata, al momento della rottura, sotto forma di energia superficiale producendo frammenti minuti

e non taglienti. Questa proprietà delle lastre temprate è sfruttata nella fabbricazione dei parabrezza

per autoveicoli.

8.9a

Figura 12

Tempra chimica

Il processo della tempra chimica è vantaggioso per quei processi in cui si devono evitare

temperature elevate ( che possono provocare, ad esempio, distorsioni nelle lastre d vetro.

La tempra chimica viene condotta a temperature inferiori alla temperatura di ricottura per

immersione del vetro in bagni di sali potassici fusi: avviene un processo di scambio ionico tra gli

ioni alcalini nella superficie del vetro (Na+) ed ioni del bagno fuso di dimensioni più grandi (K+)che

porta alla dilatazione della struttura vetrosa della superficie; questa dilatazione (causata da un

aumento di volume) , contrastata dagli strati più interni del vetro porta ad una complessiva

compressione della superficie e trazione del cuore della lastra.

La distribuzione delle tensioni non è parabolica come nel caso della tempra termica ma all’incirca

rettangolare (figura 13). 8.9b

Figura 13

la resistenza a trazione può arrivare fino a 80 Kg/mm2 ed essere anche di due ordini di grandezza

superiore alla tensione dell’interno, tuttavia lo strato superficiale posto in compressione è molto

sottile (in genere 100 ), quindi in definitiva la tempra chimica apporta dei vantaggi solo in quei casi nei quali si voglia incrementare la resistenza superficiale all’abrasione.

Ricottura

La ricottura di un vetro è un trattamento termico che serve alla rimozione delle tensioni interne e ad

assicurare l’uniformità delle proprietà fisiche in tutta la massa, esso consiste nel riscaldamento del

vetro ad una temperatura T vicina alla temperatura di transizione vetrosa Tg, nel mantenimento alla

temperatura stabilita fino al completo rilassamento delle tensioni ed infine in un raffreddamento

sufficientemente lento da evitare la comparsa di tensioni permanenti.

Al di sotto del punto di tensione il raffreddamento residuo viene condotto ad una velocità tale da

non provocare fratture per le tensioni temporanee indotte.

Le tensioni permanenti consistono in sforzi di uguale intensità ma opposti tra strati adiacenti tali che

la deformazione rimane invariata in ogni punto, il rilassamento delle tensioni ad una temperatura

mantenuta costante avviene quindi a deformazione costante, la tensione necessaria per mantenere

nel materiale una deformazione costante si ridurrà gradualmente nel tempo secondo una legge

esponenziale, in altre parole la deformazione elastica istantanea iniziale viene gradualmente

convertita in una deformazione viscosa.

Si può chiarire meglio questo concetto facendo riferimento al modello di Maxwell: immaginiamo di

applicare una sollecitazione improvvisa alla molla della figura 18 del capitolo 10 8.1a, come

conseguenza si produrrà una deformazione elastica (allungamento),per mantenere tale deformazione

nel tempo occorrerà uno sforzo sempre più piccolo poiché il pistone (elemento viscoso), richiamato

dalla molla, inizia a scorrere facendo diminuire la tensione della molla stessa, in questo modo si può

ricavare la legge del rilassamento delle tensioni; poiché la deformazione totale deve rimanere

costante nel tempo

sappiamo che

integrando da t = 0 al tempo t e da 0 a si ottiene la legge del rilassamento delle tensioni:

dopo un tempo le tensioni si riducono ad del valore iniziale, tale tempo, che è funzione della

rigidità e della viscosità del vetro alla temperatura di ricottura è detto tempo di rilassamento tril.

(figura 13) 8.9c

Figura 14: Curva di rilassamento delle tensioni in funzione del tempo

in realtà la curva è una approssimazione del comportamento reale del vetro: in genere il

rilassamento è più rapido all’inizio del processo e più lento in seguito, ciò è dovuto principalmente

al fatto che il modello non tiene conto della elasticità ritardata, fenomeno di notevole importanza

alle temperature di ricottura del vetro. Si usano delle formule empiriche approssimate come quella

proposta da Adams e Williamson per la quale la velocità di rilassamento è proporzionale al

quadrato del valore delle tensioni:

(a)

A è una costante proporzionale alla composizione ed alla temperatura di ricottura del vetro ed

inversamente proporzionale alla viscosità .

Per temperature vicine al limite superiore della temperatura di ricottura la (a)è stata modificata in

(b)

Ultimamente è stata proposta una equazione comune:

con e costanti ed > 1 per T alta, < 1 per T. bassa.

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