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L’ITINERARIO PITTORICO DI TIZIANO DOPO GLI ANNI GIOVANILI

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L’ITINERARIO PITTORICO DI TIZIANO DOPO GLI ANNI GIOVANILI

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INTRODUZIONE 1/1 “Siamo tutti carne e sangue di Tiziano”,

scriveva Eugène Delacroix sul suo diario nella seconda metà del XIX secolo, volendo mettere in risalto come il pittore veneziano sia stato in grado di influenzare secoli di pittura. L’affermazione dell’intellettuale francese racchiude in sé un immagine emblematica, tanto è vero che la rivoluzione artistica successiva alla sua sarà quella dei cubisti.

Nella pittura di Tiziano si può leggere la sintesi di un percorso figurativo e compositivo che abbraccia la fase espressiva di Antonello da Messina allorquando giunse nella laguna veneta, l’umanesimo pittorico di Giovanni Bellini, l’introspezione psicologica di Lorenzo Lotto e la grandiosità coloristica di Tintoretto.

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INTRODUZIONE 1/2

Tiziano riesce a riassumere gran parte della pittura veneta succitata in una vicenda artistica -durata sessant’anni- che assume i connotati di una dimensione espressiva pienamente europea.

L’itinerario pittorico di Tiziano è inoltre il simbolo del ruolo da protagonista che la Repubblica di Venezia svolge nel quadro dell’arte mondiale.

In questa serie di incontri/lezione su Tiziano cercheremo di prendere in esame, attraverso alcune opere, simboleggianti i decenni della sua carriera, gli aspetti del suo classicismo cromatico, la sua aulicità celebrativa, la capacità di essere il “poeta” delle grandi corti e soprattutto di quella imperiale di Carlo V e Filippo II.

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INTRODUZIONE 1/3 Tiziano è infatti il primo grande pittore

europeo e anche per questo sarà, nei secoli successivi, ammirato e studiato da Velasquez, Rubens, Rembrandt, Goya, Gauguin e Cézanne.

Si potrebbe dire che il pittore cadorino abbia impresso un segnale indelebile sull’evoluzione dell’arte nel corso dei secoli.

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GLI ANNI VENTI DEL CINQUECENTO 1/1

Nel dipinto Madonna col Bambino e Santi (titolo completo sarebbe Madonna col Bambino, due Santi Francesco e Alvise e il donatore) -anche conosciuto come Pala Gozzi, dal nome di colui che la commissionò, l’aristocratico Alvise Gozzi, per la chiesa di San Francesco ad Ancona (1520-22)- l’artista affrontò il tema religioso, richiamandosi, da un punto di vista compositivo, a quegli aspetti più propriamente cromatici e luministici della cultura pittorica veneta.

Nell’opera evidente è la vitalità psicologica dei personaggi tizianeschi.

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GLI ANNI VENTI DEL CINQUECENTO 1/2

Altro dipinto significativo del primo decennio in esame è senz’altro la Resurrezione di Cristo del 1520-22. La pala –chiamata anche Polittico Averoldi- fu commissionata nel 1519 all’artista da Altobello Averoldi, vescovo di Pola e legato pontificio di Leone X a Venezia.

Nell’opera Tiziano mostra chiaramente di volersi misurare con le problematiche del plasticismo anatomico romano. Il dipinto ha, infatti, dirette relazioni con esempi della statuaria antica e contemporanea. Il Cristo risorto richiama il Laocoonte, figura centrale del famoso gruppo di origine ellenista, rinvenuto a Roma agli inizi del Cinquecento e di cui Tiziano possedeva un modello.

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GLI ANNI VENTI DEL CINQUECENTO 1/3

La Pala Pesaro. Nel 1519 Jacopo Pesaro, vescovo di Pafo, commissiona a Tiziano la Sacra Conversazione con i donatori Pesaro per la chiesa veneziana dei Frari.

Per la novità compositiva l’opera segnò una svolta profonda nella impostazione tradizionale della pala d’altare, divenendo esemplare per numerosi artisti dell’area veneta.

Aspetti significativi dell’opera: imponente impaginazione spaziale scandita da due poderose colonne; articolazione della composizione in diagonale secondo un andamento ascendente; efficace rappresentazione dei membri della famiglia Pesaro in primo piano, il cui prezioso abbigliamento è un puntuale richiamo al loro stato sociale.

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GLI ANNI VENTI DEL CINQUECENTO 1/4

Le corti e il ritratto E’ di questo periodo, dopo il rapporto con la corte ferrarese degli Estensi, il contatto di Tiziano con Federico Gonzaga duca di Mantova. Il Ritratto del duca Federico II Gonzaga (1525) preannuncia nella essenziale ma insieme preziosa immagine del personaggio (rappresentato in piedi contro un neutro fondale che si annulla nell’oscurità) la tipologia più frequentemente adottata dall’artista nel decennio successivo. Essa è caratterizzata, secondo lo storico dell’arte Enrico Castelnuovo, da una “superba sintesi cromatica di personalità e status. I personaggi di Tiziano si discostano dall’assorto intimismo dei ritratti giorgioneschi, né sono partecipi dei tormenti di natura morale e religiosa della ritrattistica di Lorenzo Lotto che, a differenza di quella tizianesca, non incontrò il favore degli ambienti di corte”.

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GLI ANNI TRENTA 1/1 La fama di Tiziano era ormai riconosciuta

anche al di fuori dell’ambiente veneziano quando nel 1530, auspice Federico Gonzaga, egli ebbe a Bologna il primo contatto con l’imperatore Carlo V incoronato da Clemente VII. Di questo periodo è il Ritratto dell’imperatore, con il quale si ufficializzò al massimo livello il prestigio artistico e personale di Tiziano. Con l’immagine di Carlo V, effigiato a figura intera nella dignità regale del portamento, sottolineata dalla sontuosità della veste in seta ricamata in oro, l’artista realizzò il suo primo ritratto di parata: e nella creazione di questo genere di pittura egli rivestì un ruolo di primissimo piano sulla scena europea.

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GLI ANNI TRENTA 1/2 Tiziano, l’artista europeo nell’impero di

Carlo V: l’anno 1530 è un anno cruciale per la storia d’Europa e nel percorso artistico di Tiziano. Proprio in quell’anno possiamo collocare due avvenimenti di estrema rilevanza: uno pubblico e un altro privato. Partiamo proprio da quest’ultimo: Tiziano comincia, potremmo dire, a traslocare dallo studio che aveva in San Samuele a Venezia in un nuovo atelier nella contrada San Canzian (San Canciano), una località denominata Biri Grande. Malgrado guadagnasse moltissimo, decise di non acquistare la sede del nuovo studio, ma lo prese in affitto. Solo successivamente decise di comprarlo.

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GLI ANNI TRENTA 1/3 In questo studio Tiziano crea una sorta di

factory. Si tratta di una struttura enorme, con annesso un meraviglioso giardino, dove vive, tiene studio e ospita gli studenti, i lavoranti e riceve i grandi d’Europa. Insomma dà vita ad un laboratorio che ha poche espressioni simili in tutta la storia dell’arte italiana.

Mentre Tiziano sta preparando questo trasloco –e qui ritorniamo alla vicenda pubblica- a Bologna arriva Carlo V, che sarà incoronato imperatore presso San Petronio da Clemente VII.

L’evento vedrà giungere nella città felsinea tutta una serie di personalità (intellettuali, uomini di chiesa, uomini di legge, sovrani…), tra le quali è presente Federico Gonzaga, figura cruciale nella storia di Tiziano; potremmo definirlo il grande protettore del pittore bellunese.

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GLI ANNI TRENTA 1/4 Tiziano, proprio a partire da questa fase, a

differenza di altri pur rinomati artisti, ha intuito che i tempi sono maturi per una nuova figura d’artista che non circoscrive la sua opera ad una città e ad una determinata area geografica. Sono infatti presenti in Italia grandi corti (Mantova, Ferrara, Urbino, Roma, Firenze…) e l’artista, che mira a consacrare il suo nome, non può limitarsi ad operare in un sol ambito -come era avvenuto nella precedente congiuntura storica- e ad essere asfitticamente legato ad un sol committente. L’artista, insomma, deve assumere una dimensione itinerante. Grazie al rapporto con Federico Gonzaga, Tiziano ha il privilegio di poter incontrare Carlo V d’Asburgo.

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GLI ANNI TRENTA 1/5 Almeno in un primo momento i contatti tra Tiziano

e il nipote di Massimiliano d’Austria non sono così proficui. Tuttavia le rispettive ambizioni e strategie finiranno per coincidere, poiché il disegno del figlio di Giovanna la Pazza è quello di consegnare all’immagine e al ruolo dell’imperatore una nuova dimensione. Carlo V sta elaborando un progetto politico, che anche da un punto di vista culturale, è rilevantissimo: abbandonare l’impostazione precedente, di matrice asburgica, del Sacro Romano Impero Germanico, e spostare l’asse politico della corte in un ritorno all’antichità, ossia ripristinare la figura dell’imperatore, quale princeps romano. Vuole, insomma, riaffermare la romanitas dell’Impero. A tal proposito, lungo un asse propagandistico-culturale, Carlo V sente il bisogno di circondarsi di artisti, di ritrattisti soprattutto, di intellettuali e di medaglisti, in grado di plasmare la nuova fase imperiale.

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GLI ANNI TRENTA 1/6 Tiziano, che aveva già una fama consolidata di

ritrattista, finisce per essere uno degli strumenti privilegiati del nuovo corso imperiale, venendone pienamente coinvolto.

Come detto in precedenza il connubio Tiziano-Carlo V non è immediato; i due mantengono dei contatti nel periodo 1530-1532, ma la vera e propria scintilla scoccherà solo a seguito del secondo viaggio dell’imperatore a Bologna. In questa seconda circostanza grazie al sostegno di Federico Gonzaga, Tiziano inizierà a ritrarre l’imperatore e la sua corte. Tale è proficuo il rapporto che nel 1533, Tiziano riceve la nomina di conte Palatino, divenendo così nobile a tutti gli effetti. A questo titolo si aggiunge di lì a poco anche quello di cavaliere dello Speron d’oro.

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GLI ANNI TRENTA 1/7 Quali vantaggi Tiziano trae da queste

nomine? L’acquisizione della nobiltà imperiale, estensibile anche ai figli, e la possibilità di usufruire di tutta una serie di privilegi, quali istituire cancellierati, giudici ordinari, legittimare, ove li abbia, figli naturali, adottare figli, creare notai e usufruire di una cospicua pensione, anche se su questa dovrà battagliare per tutta la vita, poiché l’amministrazione contabile imperiale non si mostrerà particolarmente favorevole.

Al di là di questo particolare aspetto, Tiziano avrà la possibilità di ottenere incarichi e commissioni dall’articolato entourage imperiale, ricavandone prestigio e alte prebende.

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GLI ANNI TRENTA 1/8 In questo contesto si colloca il suo impegno

professionale nel panorama delle corti italiane. Tra quelle che richiesero i suoi servigi, non mancò il ducato roveresco di Urbino, per il quale l’artista eseguì la famosa coppia di Ritratti di Eleonora Gonzaga e del marito Francesco Maria della Rovere.

In essi l’artista riuscì a conciliare la rappresentazione dello status dei personaggi con l’individuazione della loro precisa identità fisica e psicologica.

Il ritratto del duca di Urbino è in qualche modo l’emblema di un’attività artistica messa al servizio dell’aristocrazia italica. Nell’opera possiamo osservare l’esaltazione mirabile dell’uomo, della sua armatura e, soprattutto, la mancanza assoluta di una “messa in posa”. Nessun personaggio ritratto da Tiziano è impettito di fronte alla storia: è, come afferma Claudio Strinati “presente nel flusso storico, con tutto il carico dei suoi pensieri, delle sue perplessità, delle sue ansie, dei suoi ricordi, pur rivestendo a pieno il ruolo che compete” ad un principe.

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GLI ANNI TRENTA 1/9 Il duca di Urbino -che pare fosse

piuttosto piccolo di statura (dalle fonti si può anche risalire ad un altro dato: Francesco Maria della Rovere era piuttosto seccato da questo aspetto)- decise di farsi rappresentare in armi e a tal proposito inviò l’armatura a Tiziano, poiché il pittore cadorino poco gradiva di rimanere per ore a raffigurare un soggetto.

L’opera è davvero mirabile, in particolar modo l’armatura, che è ancor oggi visibile.

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GLI ANNI TRENTA 1/10

La Venere di Urbino (1536-1538). Su incarico di un altro esponente della famiglia roveresca, Guidobaldo duca di Camerino, Tiziano eseguì nel 1536-1538 la cosiddetta Venere di Urbino, che rappresenta, nel dichiarato riferimento al nudo della Venere dormiente di Giorgione, una riaffermazione dei legami dell’artista con la tradizione veneta. Nel dipinto è tuttavia espressa una bellezza femminile che si discosta apertamente dall’idealizzazione giorgionesca. Essa, infatti, si riconnette a una realtà più concreta, in cui la moderna sensualità della Venere infrange i confini della rappresentazione del soggetto mitologico. Questo dato è evidente dall’insolita ambientazione della scena in un signorile palazzo veneziano contemporaneo.

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GLI ANNI TRENTA 1/11 L’opera della Venere di Urbino, olio su tela,

attualmente conservata presso la Galleria degli Uffizi di Firenze, uno dei capolavori del Maestro cadorino, si contraddistingue per la sua sensualità.

Proviamo ad osservare la scena, dimenticando per un attimo il titolo ed il soggetto. Ci troviamo di fronte ad una nobildonna nuda, sdraiata sul letto, probabilmente appena svegliata, in attesa che le sue ancelle –che si vedono sullo sfondo- le portino i vestiti.

La donna ha un posa molto sensuale. Con una mano si copre il pube, con l’altra regge un mazzetto di fiori che lascia languidamente cadere sul materasso.

La sensualità della scena è accresciuta dal letto disfatto, dal colore caldo e chiaro del corpo di Venere e dal suo sguardo che punta dritto all’osservatore.

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GLI ANNI TRENTA 1/12 Di solito dipingere la Venere o altri personaggi

mitologici rappresentava un espediente, un pretesto per i pittori per giustificare la raffigurazione di soggetti erotici. Il dipinto in esame venne però dipinto con un altro intento e per scoprirlo bisogna partire dal commitente, Guidobaldo II della Rovere. L’aristocratico pare che volesse istruire la sua giovanissima moglie, Giulia Varano -all’epoca di soli 14 anni- sul significato del matrimonio. L’erotismo del dipinto si potrebbe perciò spiegare con l’idea dei doveri matrimoniali di una moglie nei confronti del marito.

L’esplicito erotismo è in qualche misura moderato dalla presenza del cagnolino ai piedi di Venere (il cagnolino in questione è con ogni probabilità lo stesso che notiamo del Ritratto di Eleonora Gonzaga, proprietaria dell’animale). Il cane è, come noto, simbolo per eccellenza della fedeltà, ovvero, nel caso del dipinto, della fedeltà tra i coniugi.

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GLI ANNI TRENTA 1/13 Quale il significato degli altri simboli? A) I

fiori, che la donna tiene in mano, ammoniscono, sul fatto che la bellezza è inevitabilmente destinata ad appassire; B) La donna che osserva la fanciulla che rovista nel cassone, è un augurio, un auspicio di maternità; C) Sul davanzale della finestra, sullo sfondo, notiamo quella che dovrebbe essere una pianta di mirto, pianta sacra a Venere, simbolo di verginità e di purezza. I romani, non a caso, usavano le corone di mirto per adornare la testa delle spose.

Questo è il significato simbolico dell’opera, proviamo a leggerla anche da un punto di vista compositivo.

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GLI ANNI TRENTA 1/14 Il primo piano è interamente occupato

dalla figura distesa della Venere, che in questo modo si mostra in tutta la sua bellezza. Il quadro è praticamente diviso in due metà dalla parete scura o dal tendaggio, funzionale a risaltare il corpo di Venere. Nella seconda metà, quella di destra, si apre la prospettiva della stanza con la finestra, le colonne ed uno scorcio di cielo.

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GLI ANNI TRENTA 1/15 L’inserimento di Tiziano nell’alveo delle

committenze della corte imperiale, non rappresenta, per il maestro veneto, solo la possibilità di dipingere i ritratti dei principali dignitari continentali, ma anche talune opere emblematiche, come appunto La Venere di Urbino, volute da principi che ruotano, a diverso titolo, intorno alla corte dell’imperatore.

La Venere rappresenta, fin dalla consegna, uno degli simboli della sua gloria e fama imperitura di pittore.

Come risulta dalla corrispondenza di Guidobaldo II della Rovere ad un suo incaricato, il nuovo duca di Urbino scrive ripetutamente ad un suo segretario, un certo Gerolamo Fantini, dicendo di fare di tutto affinché Tiziano gli consegni un “quadro di una donna nuda” (così è scritto nelle lettere).

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GLI ANNI TRENTA 1/16 L’opera di Tiziano, come detto, ricorda il dipinto della

Venere di Giorgione, oggi meglio conosciuta come la Venere di Dresda. Si tratta di una meravigliosa Venere dormiente che copre l’intera tela. Alle sue spalle si può notare un tipico paesaggio giorgionesco, molto sfumato, dalle tonalità ombrose.

Relativamente a questo quadro, alcuni esegeti ritengono che Giorgione non ebbe modo di completarlo, essendo sopravvenuta la morte, e che proprio Tiziano lo avrebbe ultimato. [Occorre dire che questa tesi non è pienamente condivisa dagli storici dell’arte].

Al di là di questo aspetto, è evidente un dato: l’opera di Tiziano riprende la posizione della Venere giorgionesca, anche se con una differenza sostanziale. La Venere non solo non dorme, ma stabilisce -attraverso uno sguardo, che potremmo definire quasi ammiccante- con l’osservatore un particolare relazione.

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GLI ANNI TRENTA 1/17 La Venere di Tiziano, inoltre, non si trova in un

paesaggio arcadico (nella Venere di Dresda c’è il grande tema del sogno e la componente di carattere onirico. Secondo alcuni esegeti, infatti, molti quadri di Giorgione sono delle rappresentazioni di stati onirici. Tra i tanti, seguendo questo filone interpretativo, tale sarebbe, ad esempio, La Tempesta).

Altra differenza: la donna ritratta da Tiziano non è affatto Venere. La donna ha una pettinatura che è tipica delle ragazze veneziane dell’epoca, con la treccia che gira intorno al capo, e non si trova, come detto in un paesaggio classico, ma in una stanza di un palazzo, dove notiamo sullo sfondo due donne. Una delle due ha aperto un cassettone e sembra cercare qualcosa al suo interno, mentre l’altra si rimbocca le maniche, osservando in parte le operazioni della giovane donna e in parte lo stesso cassettone.

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GLI ANNI TRENTA 1/18 Chi sono queste due donne? Oggi sarebbero

chiamate due inservienti, ma non vestono il tipico abito.

Nella tela possiamo inoltre prendere in esame un cagnolino, raffigurato con grande maestria e amabilità da Tiziano, che dormicchia sul letto. Il cane, come già detto, è l’amatissimo cane della madre di Guidubaldo, cioè Eleonora Gonzaga.

Ritorniamo però all’identità della donna sdraiata sul letto e, soprattutto, al motivo per il quale il duca di Urbino richieda a gran voce questo dipinto, pur avendolo, secondo più fonti, commissionato lui stesso a Tiziano. Quali le ragioni di questo pressante reclamo? Il ritardo nella consegna da parte di Tiziano?

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GLI ANNI TRENTA 1/19 La donna è forse una cortigiana, una donna di facili

costumi? È l’amante di qualche aristocratico? Di Guidubaldo? La risposta è non semplice, poiché non ci sono documenti ed elementi sufficienti per stabilirlo. Tuttavia in una lettera successiva alla composizione della tela, per l’esattezza del 1544, quindi 6 anni dopo la consegna del dipinto, viene citata una donna di notevole importanza, della quale non si conosce il nome, ma quello che potremmo definire il nome d’arte: Angela.

Questa Angela è citata in una lettera di Giovanni della Casa, che parla di Angela, appunto, come di una donna molto stimata presso la corte di Urbino. È un donna molto importante perché è l’amante del cardinale Alessandro Farnese. Questa donna, a cui fa riferimento il letterato fiorentino, è probabilmente la Venere di Urbino. La donna quindi potrebbe esser stata quindi utilizzata come soggetto per un omaggio al duca di Urbino.

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GLI ANNI TRENTA 1/20 L’aneddotica che si cela dietro la Venere di

Urbino –che in realtà altro non è che la raffigurazione del rito della vestizione di una nobildonna- è significativa per cogliere a pieno in che circuito Tiziano è inserito. L’ambito è quello della grande aristocrazia italiana del Cinquecento, in cui scorgiamo anche il legame non solo con una delle più importanti corti principesche dell’epoca e con l’entourage imperiale, ma di più, attraverso la figura del cardinal Alessandro Farnese, si giunge fino a Roma, e cioè presso la corte del pontefice Paolo III, Alessandro Farnese. È qui che si apre la nuova fase della carriera artistica del maestro cadorino con la seconda metà degli anni Quaranta.

IL PUNTO DI VISTA SULL’OPERA DEL PROF. ANTONIO PAOLUCCI

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GLI ANNI QUARANTA 1/1 Alla fine degli anni Trenta l’orientamento

figurativo di Tiziano inizia ad assumere caratteri differenti rispetto a quelli che avevano contraddistinto il decennio. Uno dei segnali più evidenti del passaggio di registro stilistico del maestro cadorino lo apprendiamo attraverso due opere coeve, databili intorno al 1542-44. La prima, oggi conservata al Louvre, porta il titolo di L’incoronazione di spine, la seconda è il Caino e Abele. I due oli su tavola sono accomunati da toni oscuri e da un evidente concitazione drammatica. Entrambe le opere furono composte a Venezia prima della partenza di Tiziano alla volta di Roma.

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GLI ANNI QUARANTA 1/2 La seconda metà degli anni Quaranta

rappresenta per il pittore veneto uno dei momenti di maggior rilievo sotto il profilo dell’impegno artistico. Nel 1545 Tiziano giunge a Roma, venendo accolto nell’Urbe con rimarchevole ufficialità, poiché, nel campo dell’arte si scomoderanno, Michelangelo e Vasari, in quello umanistico-letterario il Bembo, e chiaramente il pontefice Paolo III. Il soggiorno romano sarà breve, ma intenso (ritratti papali), prima di giungere presso la corte imperiale per rilevantissime commissioni, collocabili intorno al 1548. Proviamo a prendere in esame alcune di queste opere.

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GLI ANNI QUARANTA 1/3 Una delle prime opere del periodo romano è

quella della Danae e la pioggia di monete d’oro (1544-1545), su richiesta di Alessandro Farnese.

Si tratta di un dipinto che era stato già ammirato e raccontato da monsignor Della Casa presso la corte di Urbino, da dove Tiziano parte, con una scorta di sette uomini, alla volta di Roma. Il letterato veneziano, in una lettera inviata al cardinal Farnese descrive la Danae utilizzando queste parole “saria una nuda che faria venir il diavolo addosso al cardinal di San Silvestro”. Il riferimento è a quel Tommaso Badiani, censore della curia papale dell’epoca. Nella lettera in questione monsignor Della Casa stabilisce un parallelo tra l’opera della Danae e la Venere d’Urbino, giungendo a scrivere che quest’ultima “non è che una monaca teatina”.

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GLI ANNI QUARANTA 1/4

L’immagine utilizzata nella missiva sottolinea chiaramente la profonda sensualità della donna raffigurata nella tela da Tiziano.

Nell’opera possiamo vedere la giovane Danae, distesa sul letto, il giovane Dio che si spaventa in virtù del sopraggiungere della pioggia dorata di Giove che sta scendendo per fecondare la figlia di Arcinto.

Da un punto di vista compositivo straordinario è l’uso dei colori, che anche Michelangelo ebbe modo di apprezzare allorquando il quadro giunse nella città eterna. Attraverso un pulviscolo di colori, che delinea la metamorfosi di Giove, Tiziano presenta l’atto dell’amplesso; con una nuova luce, invece, il maestro bellunese ammorbidisce i contorni e ci offre l’immagine dell’opulenza cinquecentesca.

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GLI ANNI QUARANTA 1/5 Il tema della Danae è stato trattato più

volte da Tiziano durante il decennio successivo. Per Filippo II di Spagna, principale committente delle opere dell’artista per il resto della sua carriera, insieme ai dipinti di carattere religioso, eseguì anche composizioni di soggetto mitologico di una spiccata sensualità. Tra queste, appunto, la Danae del Prado, che riprende il tema del dipinto realizzato 8-9 anni prima. Del tema esistono altre due riproduzioni, una presente presso il Museo dell’Arte di Vienna ed un’altra a San Pietroburgo presso l’Hermitage.

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GLI ANNI QUARANTA 1/6 Durante gli anni Quaranta -decennio in cui Tiziano

finirà per operare a servizio delle tre più importanti corti dell’epoca, ossia Papato, Impero e monarchia di Spagna- l’artista veneto è posto di fronte ad una questione di non semplice risoluzione, vale a dire la ricerca di una precisa collocazione sociale e professionale nella società dell’epoca. A tal proposito decide di liberarsi di uno degli incarichi più rilevanti di cui era stato investito dall’ambiente papalino, l’ufficio del Piombo, ossia la decorazione di uno degli archivi principali vaticani, quello del protocollo e della registrazione degli atti, come, ad esempio, le bolle pontificie. Va detto però che su questa vicenda non vi è certezza poiché per alcuni storici in realtà Tiziano non decise di rifiutare l’incarico, bandito attraverso un concorso, ma semplicemente nella competizione risultò vincitore il Della Porta.

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GLI ANNI QUARANTA 1/7 Nel momento del suo soggiorno romano Tiziano non

è più indiscutibilmente l’artista di riferimento a Venezia, poiché da un lato il Veronese e dall’altro il Tintoretto iniziano ad assumere un notevole rilievo nel panorama pittorico della Serenissima. A Mantova Giulio Romano è il pittore di corte e a Roma regna ancora Michelangelo. Di fronte a questa non semplice situazione, il cadorino intuisce che il paradigma di riferimento per l’uomo e soprattutto per l’artista cinquecentesco non può esser più Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione, ma occorre capire a fondo i cambiamenti in corso nella società europea e uniformare se stesso alla nuova temperie politica e culturale. Sotto questo punto di vista è in qualche modo possibile cogliere un parallelo tra Tiziano e Leonardo da Vinci. Il grande maestro toscano, infatti, non è “cortigiano”, ma liberamente si muove tra Firenze, Milano e la corona di Francia.

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GLI ANNI QUARANTA 1/8 In ogni caso va detto che il sostrato culturale

leonardesco è profondamente distante da quello di Tiziano. L’affinità tra i due risiede appunto nel non legarsi a nessuna corte, ma le ragioni di questa autonomia intellettuale ed artistica sono diversissime.

Tiziano, come già accennato, appartiene a tutt’altro ambito intellettuale, il cui pioniere, da un punto di vista artistico, era stato senza dubbio Giorgione. Nella aristocratica Venezia, neoplatonica ed esoterica, di inizio Cinquecento Giorgione prima e Tiziano poi rientrano a pieno titolo in quella ristretta cerchia che considera l’arte un particolare strumento di conoscenza e di indagine. Questa visione del ruolo e della funzione dell’arte ha nel mondo dell’Europa settentrionale il suo luogo di nascita. Qui si può collocare il sorgere di quell’articolato segmento espressivo che è “l’arte dissidente” dei proto-riformati cristiani, il cui maestro supremo è l’olandese Hieronimus Bosch (1453-1516).

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GLI ANNI QUARANTA 1/9 Quest’artista è, in un certo qual modo, il

primo ad inserire una breccia nel tema dell’ossequio al potere costituito, richiamandosi al paradigma ascetico medievale del “contemptus mundi”, la cui prima espressione è da ricercarsi nell’opera del pontefice Innocenzo III, “De contemptu mundi”. E’ un aspetto senza dubbio alcuno singolare, poiché Tiziano è per antonomasia il pittore dei potenti, ma ciononostante rientra nell’ambito di questa prospettiva cultural-artistica. A prescindere però dall’ispirazione filosofica di riferimento, Tiziano, sulle orme di Leonardo, consegna, prima di ogni altro, all’artista una dimensione di carattere cosmopolita.

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GLI ANNI QUARANTA 1/10 La parte più feconda da un punto di vista della

produzione, durante la seconda metà del decennio, ha, ancora una volta, nella ritrattistica le sue più alte espressioni nei dipinti raffiguranti la corte papale (1546) e quella imperiale (1548) di Carlo V: il ritratto di stato.

Nel Paolo III e i nipoti Ottavio e Alessandro Farnese (Napoli, Museo di Capodimonte), possiamo rintracciare chiaramente le linee di ispirazione legate al tema del “disprezzo del mondo”, di cui il pittore ritrae alcuni dei vertici indiscussi. Tiziano sottopone ad una disincantata e impietosa indagine gli intimi rapporti psicologici ed emozionali fra i tre personaggi. Il pontefice, che appare vecchio, tremante, quasi infastidito, è collocato tra i due nipoti, quello laico, Ottavio, e quello religioso, Alessandro.

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GLI ANNI QUARANTA 1/11

Il cardinal Farnese rappresenta il modello antitetico rispetto alla rettitudine che l’uomo, e in particolar modo l’uomo di chiesa, deve assumere. E’ non solo l’amante della Venere di Urbino, ma essendo ritratto dietro al pontefice, simboleggia, da un lato l’emblema del nepotismo papale, dall’altro, l’immagine di un uomo tutt’altro che pio, ma anzi estremamente interessato ai vantaggi che la posizione gli offre.

Ottavio Farnese è effigiato in un atteggiamento certamente deferente, ma al tempo stesso, emerge l’ambiguità dell’uomo, la cui postura offre l’idea di un ossequio profondamente interessato. Questo dato sembra emergere anche dal modo dubbioso con il quale il papa lo scruta.

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GLI ANNI QUARANTA 1/12 Si tratta di un quadro dalla difficilissima

interpretazione, poiché nascendo come commissione pontificia, avrebbe l’obiettivo di esaltare la corte e di consegnare a Tiziano il ruolo di pittore ufficiale del Papa. Eppure il modo con il quale l’artista cadorino ritrae i soggetti, e l’insieme della composizione, offre una immagine che non rientra certo nella celebrazione e non si presta ad una chiave esegetica dell’encomio delle personalità ritratte. Doveva essere, insomma, un dipinto ufficiale, ma tutto rappresenta meno che la dimensione dell’ufficialità.

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GLI ANNI QUARANTA 1/13 Tiziano lascia l’opera in questione

incompiuta, aspetto questo, che apre a notevoli interrogativi: forse non ne era soddisfatto, si trattava di un’opera sconcertante che delineava a pieno il pensiero dell’artista, temeva che avrebbe potuto essere non gradita ai vertici della curia e in primis ai committenti? Risposte precise non possono esser fornite, ma di sicuro, resta a noi oggi un quadro stupendo, simbolo di un’arte chiaramente dissidente.

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GLI ANNI QUARANTA 1/14 I dipinti in cui è raffigurato Carlo V furono eseguiti da

Tiziano ad Augusta, laddove l’imperatore aveva riunito la Dieta e regolato la questione della successione al trono di Spagna.

Particolarmente significativo è il confronto tra i due dipinti di pochi mesi distanti da un punto di vista cronologico.

Il primo, Ritratto di Carlo V a cavallo (olio su tela, Madrid Prado), che unisce l’allusione classica al monumento equestre (l’imperatore vi è raffigurato armato, a cavallo, come celebrazione della vittoria di Mülberg il 24 aprile del 1547 sulle rive del fiume Elba contro i luterani del Grande Elettore Giovanni Federico di Sassonia), con tutta la vitalità dinamica arabo-spagnola del nervoso cavallo nero, al simbolo cattolico del San Giorgio vincitore del drago protestante, è il prototipo di una serie che segue con Rubens, Van Dyck, Velasquez, e via via fino all’Ottocento.

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GLI ANNI QUARANTA 1/15 Il secondo, Carlo V seduto, -presente

presso la Alte Pinakothek di Monaco- in cui l’imperatore è rappresentato seduto nella poltrona tronetto con una severa zimarra nera, registra, come afferma Antonio Giuliano “con l’icastica evidenza della complessità psicologica dell’imperiale personaggio e i netti contrasti cromatici di nero, rosso e oro, l’inserimento del maturo linguaggio di Tiziano nella tradizione nordica risultandone un modello per la ritrattistica imperiale e sovrana del secondo Cinquecento”.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/1 Con le deliberazioni della Dieta di Augusta del

1550-1551, Carlo V definisce il quadro relativo alla successione imperiale e alla divisione dei suoi vasti domini. Da un punto di vista degli intrecci con la vicenda pittorica di Tiziano, fondamentale è il rapporto con Filippo II che, ottenuto il trono di Spagna, divenne il principale committente delle opere dell’artista cadorino per il resto della sua carriera. Insieme ai dipinti di carattere religioso eseguì per il monarca spagnolo anche composizioni di soggetto mitologico di una spiccata sensibilità, definite poesie dallo stesso autore. Tra esse la Danae del Prado -che riprende il tema del dipinto realizzato per Alessandro Farnese durante il soggiorno romano,- evidenzia con chiarezza quanto fosse mutato l’orientamento della ricerca espressiva dell’artista in questo breve volgere di anni.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/2 Giuliano Briganti, a tal proposito, scrive:

“La concezione dello spazio di esprime nella essenzialità del piano unico, in cui il nudo femminile si svuota della consistenza plastica della Danae Farnese, per sostanziarsi in una tessitura cromatica resa intensa e vibrante dalla luce che la pervade. Nella ricerca di uno nuovo rapporto spazio-luce-colore Tiziano si avviava a un’ulteriore rielaborazione linguistica”.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/3 In questo senso un’opera chiave può considerarsi

la pala con il Martirio di San Lorenzo dove violenti effetti di luce, che squarciano l’ambientazione notturna, preludono, nella forte tensione drammatica, all’ultima svolta di Tiziano.

L’olio su tela, presente presso la Chiesa dei Gesuiti di Venezia, ha conosciuto una lunga fase di composizione, tanto è vero che si ritiene che il maestro bellunese vi lavorò dal 1548 al 1559.

Nell’opera emerge la grande capacità di Tiziano di raccontare, attraverso la luce ed il chiaroscuro, la vicenda del martire religioso. Particolarmente significativa è l’illuminazione che il braciere determina nella notte, mostrando le colonne di quello che è chiaramente un palazzo di ispirazione palladiana. Altro dato, infine, offerto dalla luce tizianesca è quello dei tonalismi e dei cangiantismi degli elmi dei soldati.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/4 Nella composizione scenografica notiamo

in alto lo squarcio di luce divino che colpisce San Lorenzo, coattamente spinto sulla graticola.

Alla sinistra del martire notiamo, quindi, lo sgherro che, in basso, soffia sul tizzone al fine di alimentare le fiamme e produrre le scintille.

Altro particolare significativo, nella tela, è rappresentato dalla mano del Santo che si rivolge a Dio. Il gesto di San Lorenzo è cromaticamente sottolineato dalla presenza del fondo rosso che permette di far ergere in maniera evidente il richiamo del martire alle volte celesti.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/5 Gli anni Cinquanta, come detto, vedono Tiziano

relazionarsi in particolar modo con Filippo II. Il sovrano spagnolo, nel 1551, sarà ritratto in un magnifico dipinto. In relazione all’opera, si custodisce una lettera che Tiziano invia al sovrano di Spagna il 22 aprile del 1560. Con queste parole l’artista italiano si rivolge al figlio di Carlo V:

“Invittissimo e potentissimo Re,

Sono hoggi mai sette mese che io mandai a V.a M.ta le Pitture che mi furono da lei

ordinate e non avendo insino a qui havuto aviso del recapito, mi sarebbe singolar

gratia a intender se elle son piaciute, che quando non fossero piaciute al perfetto

giudicio di V.a. M.ta mi afaticherei, col riformare di nuovo,

di emendare il passato errore”

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GLI ANNI CINQUANTA 1/6 La lettera sembra essere un incipit di modestia, ma che

prosegue in questo modo:

“Le cedule, delle quali V.a M.ta mi fece gratia per i

danari assegnati a mia mercede in Genova, V.a M.ta

sarà ragguagliata che non hanno avuto effetto, onde

pare che ella, che sa vincer potentissimi e superbi

nimici con l’invittissimo suo valore, non sia obedita

da’ suoi ministri, in guisa in che io non veggio come

posso sperar di ottenere giamai questi danari

diputatemi dalla detta sua gratia. Però humilmente la

supplico che con la sua Regal Maestà voglia vincere la

ostinata insolenza di costoro, committendo che io

tosto fossi soddisfatto a loro o volgendo a Venetia

dove più le piace la espedition del pagamento in

modo che la sua liberalità producesse nel suo humil

servitore il frutto da lei ordinato”.

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La lettera mostra chiaramente, seppur attraverso le inevitabili formule di cortesia, un sollecito di pagamento inoltrato al monarca spagnolo.

Questa missiva spiega anche un altro aspetto, o quanto meno, ci fornisce un dato relativo all’altissimo quadro di committenze del pittore veneziano, che, però, in questa data, nei territori della Serenissima, non riveste, già da alcuni anni, il ruolo di indiscusso maestro; anzi, talune vicende, unite alle scelte del patriziato lagunare e al rilievo pittorico del Veronese e del Tintoretto mettono in secondo piano l’artista cadorino. Cerchiamo di capire perché Tiziano, in grado di ottenere le più alte committenze del mondo dell’epoca (imperatore, papa e monarca di Spagna), non è, come spesso si afferma, profeta in patria.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/8 Partiamo col dire che l’aristocrazia veneta scarica

Tiziano piuttosto presto, e questo avviene a partire da un episodio in cui l’allora giovane pittore cadorino –stiamo parlando del 1513- non rispetterà le date di consegna impostegli dalla committenza. Entriamo nel merito della questione. Tiziano avrebbe dovuto dipingere la scena di una battaglia, per il salone del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale. In base ad un accordo (va inoltre ricordato che fu proprio Tiziano a proporsi per l’incarico in oggetto), il pittore avrebbe dovuto completare l’opera nell’arco di un triennio, ma finì per recapitarla solo nel 1538. [Da menzionare, durante questo quarto di secolo, i numerosi stizziti solleciti mossi dai committenti ai ritardi ingiustificati di Tiziano. In alcuni i patrizi veneziani minacciavano di estorcere a Tiziano gran parte delle ricchezze accumulate nel corso degli anni].

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Il dipinto del telero della battaglia, andato perduto, come tutte le tele di quel periodo, nell’incendio di Palazzo Ducale del 1577, venne consegnato, come detto, 25 anni dopo. Di quel lavoro oggi è rimasto solo uno schizzo, uno splendido disegno, conservato presso la galleria degli Uffizi.

Due le ragioni che spiegano il distacco del patriziato veneziano da Tiziano: da un lato, l’ingiustificabile e inaccettabile ritardo, dall’altro, il fatto che nel disegno non emergono certo aspetti riconducibili a Venezia e all’arte veneziana.

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Nell’opera sono presenti tutta una serie di citazioni che provengono da due capisaldi della pittura fiorentina: le due battaglie dipinte da Leonardo (battaglia di Anghiari: presenza di cavalli e cavalieri che si scontrano) e da Michelangelo (battaglia di Cascina: i soldati fiorentini costretti a risalire frettolosamente dalle acque in cui si stavano bagnando, in una sosta dalle vicende belliche, per la ripresa improvvisa delle ostilità) per il palazzo pubblico di Firenze.

In sostanza di fronte ad un così irrispettoso ritardo e alla decisione di Tiziano di esprimere nel dipinto il più alto elogio possibile nei riguardi dei due grandi maestri fiorentini, è più che probabile che il patriziato veneziano si sia ulteriormente adirato, decidendo di sciogliere il rapporto privilegiato con il maestro.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/11 A render chiara la situazione del deterioramento

dei rapporti tra Tiziano e il potere veneziano ci viene incontro una lettera di Pietro Aretino che, rivolgendosi all’amico bellunese, afferma come “I Signori Venitiani” abbiamo un comportamento tutt’altro che aperto e cordiale con Tiziano e con lui stesso. Il letterato scrive come l’aristocrazia, in relazione alla sua persona, sostenga che in realtà altro non sappia fare che “sparlar de la gente” e di Tiziano che sia in grado di fare “solo i ritratti”.

Da questa considerazione traiamo una valutazione: non è in sostanza sufficiente, per rimanere nelle grazie del patriziato veneto, essere un eccellente ritrattista, ma ben più ampie ed articolate devono essere le capacità pittoriche.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/12 Tiziano, ritornando all’analisi da cui siamo partiti,

alla fine degli anni Trenta, è già quasi fuori dall’orbita delle scelte della ricca aristocrazia veneziana, per esserne completamente estromesso a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta. Di qui la quindi la necessità del soggiorno romano e della successiva fase vissuta ad Augusta presso la sede imperiale.

Le ragioni dell’estromissione di Tiziano dalle committenze patrizie della Serenissima non sono però circoscritte all’episodio dell’affresco che ritraeva la battaglia del Cadore, ma a ragioni più profonde, che cercheremo di analizzare attraverso l’analisi di due opere del maestro: l’Ecce homo del 1543 e La Pentecoste, la cui data non è di semplice individuazione, poiché essa oscillerebbe tra il 1544 e il 1550-1552.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/13 Prima ancora di affrontare l’analisi del dipinto,

è opportuno ricordare come Tiziano, al pari di altri artisti veneziani, vive in una fase storica contraddistinta da accese discussioni sui temi religiosi, in virtù della cesura determinatasi a seguito delle tesi luterane e calviniste (la città veneta -va detto- gode di una maggiore libertà rispetto ad altre realtà italiane e spesso viene investita di un ruolo di mediazione, di conciliazione tra i due segmenti cristiani).

Dinanzi al tema della scissione religiosa come agisce Tiziano? Cede alle ragioni della Controriforma, ai diktat del disciplinamento, per riprendere la categoria utilizzata dal storiografia tedesca, alle logiche repressive imposte dal cattolicesimo? Oppure decide di “abbandonarsi” all’eresia riformista?

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Tiziano non aderisce né all’una né tantomeno all’altra causa, ma assume una posizione che potremmo definire mediana, che esprime tutti i caratteri della conciliazione e della pacificazione tra le due galassie religiose. Tiziano può essere collocato in quella sfera di intellettuali che spesso gli storici hanno definito con la categoria del nicodemismo. Che cosa si intende per nicodemismo? Il nome deriva da Nicodemo, discepolo segreto di Gesù, che sia i Vangeli canonici che quelli apocrifi ci presentano come uomo timoroso di presentarsi pubblicamente come seguace di Cristo. Dal nome di Nicodemo, la storiografia ha coniato questa espressione che allude, da un lato, ad ogni possibilità di dissimulazione, dall’altro, a sostenere le ragioni dell’accordo e dell’intesa tra le due famiglie cristiane divisesi.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/15 Dopo questa doverosa premessa, proviamo ad

analizzare il dipinto dell’Ecce Homo, che mette in scena il momento in cui Cristo, dopo esser già stato torturato, è presentato al popolo da Pilato.

Nell’opera sono presenti tre aspetti, che, all’epoca -la tela è completata nel 1543, ma è probabile che il maestro cadorino abbia iniziato a lavorarvi 3 o 4 anni prima- non potevano essere assolutamente accettati dal patriziato dominante veneto sia da un punto di vista politico che religioso.

È rilevante sottolineare la data dell’ultimazione della tela, poiché due anni prima, nel 1541, le figure più rilevanti del mondo cattolico e di quello protestante si erano riunite alla Dieta di Ratisbona al fine di riuscire a trovare un’ultima mediazione, tesa a ricucire il vulnus della cristianità. Come è ben noto gli esiti di questo tentativo furono vani, anzi le spaccature si acuirono.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/16 Con il fallimento dei colloqui di

Ratisbona il clima nel mondo cattolico conosce un profonda sterzata in direzione censoria: non è più permesso tenere posizioni di apertura nei confronti delle tesi riformate, né tantomeno professare orientamenti di equidistanza tra le parti in causa. In sostanza occorre schierarsi apertamente, poiché proprio da questo momento si può collocare l’irrigidimento e l’irreggimentamento imposto dalla Chiesa di Roma (Inquisizione, controllo occhiuto, introduzione dell’indice dei libri proibiti, persecuzione degli eretici..)

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GLI ANNI CINQUANTA 1/17 Dopo questa ulteriore, ma doverosa premessa,

passiamo a valutare il telero di Tiziano e i suoi elementi eterodossi.

Il primo, di carattere eminentemente politico, è rappresentato dalla presenza di un cavaliere turco, che è inequivocabilmente Solimano II il Grande, detto il Magnifico. Come spiegare la presenza del grande sultano ottomano? Con ogni probabilità Tiziano lo raffigura perché, in considerazione della straordinaria espansione territoriale conseguita, proprio in quegli anni dall’Impero turco, nell’Africa settentrionale e nelle zone dell’Europa orientale, il grande sovrano mussulmano è l’unico a cui l’altro cavaliere ritratto nella tela, quello cristiano, può affidarsi, affinché le sorti di Cristo e della cristianità conoscano un minimo di tutela. Solimano è insomma chi può vigilare su quelle regioni dove, 1500 anni prima, Cristo venne torturato e crocifisso.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/18 Secondo punto controverso. La figura di Pilato è

chiaramente un ritratto di Pietro Aretino. Ciò è confermato dalle fonti, e, inoltre, un confronto con un ritratto di Tiziano del letterato cinquecentesco non può certo lasciare dubbi in merito all’evidente somiglianza tra le due raffigurazioni.

La presenza dell’Aretino nel dipinto è particolarmente “inopportuna” per due ordini di motivo. Innanzitutto perché l’intellettuale toscano è ben noto per le dissolute licenziosità in materia letteraria, ma soprattutto –e questo dato riguarda molto da vicino l’opera oggetto di discussione- per essere l’autore de “I quattro libri de la Humanità di Christo”, opera di divulgazione devozionale, che, al pari di altre dello stesso argomento, finirà, di qui a qualche anno, all’indice dei Libri Proibiti.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/19 L’opera dei Quattro libri è una rielaborazione,

basata sul racconto dei Vangeli apocrifi, della vicenda della passione di Cristo.

Da un lettura attenta e critica delle fonti emerge che Ponzio Pilato, comunemente considerato come un vile, come il responsabile primo della morte di Cristo, in realtà non può essere riconosciuto come il principale carnefice di Gesù. Il ruolo di responsabile della passione di Cristo spetta semmai al grande sacerdote ebreo Caifa, mentre Ponzio Pilato cercò in tutti i modi, attraverso tutte le armi in suo possesso, di salvare la vita a Cristo. Questo tentativo fu vano, in virtù del pronunciato risentimento del popolo ebraico sobillato da Caifa, che sosteneva, ad ogni costo, le ragioni del morte dell’imputato. Onde evitare un sommovimento politico-religioso Pilato fu suo malgrado costretto ad accettare l’unanime volontà popolare.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/20 Perché Tiziano “chiama in causa” l’Aretino,

raffigurandolo come Ponzio Pilato? La ragione è semplice: è dal testo dell’Aretino che il pittore veneto trae la trama, la sceneggiatura, l’ispirazione per eseguire il telero.

Terzo argomento A colloquio con Caifa -che appare vestito quasi come un cardinale romano- c’è un frate, figura particolarmente importante della galassia religiosa del tempo: Bernardino Ochino. Ochino, grande predicatore, guida dell’ordine dei Cappuccini, è amico del Bembo, dell’Aretino, dello stesso Tiziano e perfino dell’aristocrazia veneta, almeno fino ad un certo momento storico.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/21 Bernardino Ochino, nei suoi scritti e nelle sue

straordinarie prediche, invitava i cattolici e in modo particolare l’alto patriziato veneto a svolgere una funzione di conciliazione, di mediazione tra le parti in causa al fine di sanare la ferita e la spaccatura nel mondo cristiano. La parola d’ordine del frate francescano era tolleranza, e in nome del pluralismo, pungolava proprio Venezia a svolgere questo particolare ruolo e a non piegarsi ai diktat provenienti da Roma. Proprio in virtù del carattere ecumenico delle sue predicazioni Ochino verrà convocato a Roma nell’estate del 1542 per rispondere delle sue posizioni davanti alla Congregazione del Sant’Uffizio o dell’Inquisizione, sorta a Roma proprio in quell’anno per dirigere e coordinare la repressione dell’eresia. Dinanzi a questo invito di comparizione il grande predicatore, intuendo il pericolo, decide di abbandonare l’Italia, recandosi a Ginevra, rendendo così pubblica la sua adesione al calvinismo.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/22 Ritornando ad un’analisi più vicina dell’opera del

Tiziano, possiamo avanzare l’ipotesi che la raffigurazione di Ochino fosse antecedente alla data dell’estate del 1542, quando, in sostanza, il generale dei Cappuccini non era l’eretico, l’apostata, ma considerato come uno dei più grandi predicatori presenti nella penisola. Tuttavia la data dell’opera è successiva e precisamente del 1543, quindi se Tiziano avesse voluto essere cauto, prudente, nicodemita, avrebbe potuto cancellare la raffigurazione del frate fuggiasco e reprobo che aveva lasciato il mondo cattolico, ma decide di non farlo, correndo, consapevolmente, al pari dell’Aretino, un grosso rischio.

È più che chiaro che la scelta finisce quantomeno per restringere l’ambito d’azione del pittore in laguna.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/23 L’altra controversa opera tizianesca, La Pentecoste,

è una pala che l’artista bellunese esegue per la Chiesa di San Spirito in Isola.

In questa tela particolarmente significativa è la raffigurazione di San Pietro, ma procediamo con ordine nell’analisi del dipinto.

Dall’alto possiamo osservare il momento della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, che è espressa dal maestro in forma di fiammelle che giungono sul capo dei discepoli (Questo, come è ben noto, è il momento in cui agli apostoli viene concesso il dono di parlare e comprendere tutte le lingue).

In relazione alla figura di San Pietro, non possiamo non notare che porta alla cintura un grosso coltellaccio, strumento che, come è ben noto, Pietro usò per mozzare un orecchio ad una delle guardie che catturò Cristo nell’orto degli ulivi.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/24 Il fatto che Tiziano rappresenti San Pietro con il

coltellaccio, nel momento esatto in cui discende in terra lo Spirito Santo, è un dato certo non di poca rilevanza, ma, accanto a questo, possiamo rilevarne un altro di significato ancor più radicale. Se ben osserviamo, nella mano destra Pietro tiene stretta una sola grossa chiave -il cui materiale compositivo potrebbe essere il ferro, l’acciaio o il piombo- brandendola quasi fosse una clava.

È opportuno, per ben intendere questo particolare, tenere in mente che a Pietro, principe della Chiesa, Cristo consegnò due chiavi, una d’oro, che rappresenta il potere spirituale, e una d’argento, emblema di quello temporale. Nella tela Pietro mantiene una sola delle chiavi, che, da un lato, non può essere che quella del potere temporale, dall’altro, non sembra certo essere d’argento.

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GLI ANNI CINQUANTA 1/25 È evidente in sostanza una precisa

indicazione di Tiziano, che potremmo circoscriverla in una posizione di matrice anticlericale o addirittura antipapale.