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The spaghetti code Questo saggio si propone di indagare, tramite l’analisi di un case-study, la licei- tà per il designer di andare ad elaborare un artefatto appartenente alla tradizio- ne. Tramite l’utilizzo degli strumenti semiotici, il mito dell’intoccabile “aura” dell’elemento considerato viene, se non sfatato, quantomeno riconsiderato alla luce dell’incalzante ritmo del progresso e dell’innovazione. è possibile reinventare semioticamente l’alimento più classico della cucina italiana? Irene Murrau matr. 764500

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Semiotics' essay about food design

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The spaghetti code Questo saggio si propone di indagare,

tramite l’analisi di un case-study, la licei-tà per il designer di andare ad elaborare un artefatto appartenente alla tradizio-ne. Tramite l’utilizzo degli strumenti semiotici, il mito dell’intoccabile “aura” dell’elemento considerato viene, se non sfatato, quantomeno riconsiderato alla luce dell’incalzante ritmo del progresso e dell’innovazione.

è possibile reinventare semioticamente l’alimento più classico della cucina italiana?

Irene Murrau matr. 764500

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somm

ario

Premessa, food design 5Artefatto comunicativo 6Forma, funzione 7Possibilità di scelta 8Aura 9Designer, consumatore 10Strategia, competizione 11Effetto di senso, abduzione 12Spaghetto rigato 14Spunti emozionali 15Conclusioni 16Riferimenti bibliografici 18

Le foto inserite sono tutte di proprietà dell’autrice del saggio;si ringrazia Gigi Murrau per aver somministrato ai propri clienti lo “spaghetto rigato” per la realizzazione di questo sag-gio

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premessafood designIn campo alimentare, e in particolar modo nell’ambito del food design, l’e-lemento prevalente è la funzione espressiva: gli ingredienti sono fon-damentali, ma ancor più fondamentale è ciò che sanno comunicare e trasmettere a chi mangia, per trasformare un atto che di per sé avrebbe come unico scopo la sopravvivenza in un rituale che inclu-de sensazioni tattili, olfattive, gustative e visive in un infinito concatenarsi di stimoli sensoriali. Il food design nasce dall’esigenza di reinventare la quotidia-nità, di conferire artisticità all’esistente giocando con forme e materie prime. Un gioco che, se spesso si presenta come di competizione, più frequentemen-te tende a una simulazione o, per meglio dire, a una trasposizione e com-penetrazione del mondo esterno con il mondo gastronomico.

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artefatto comunicativoSe c’è un alimento che costituisce non solo un’abitudine alimentare radicata nei secoli, ma l’identità stessa di un’in-tera nazione, questo alimento è la pasta. Essa viene apprezzata in tutto il mondo in particolar modo nel suo formato fra tutti più conosciuto, lo Spaghetto, le cui origini si perdono, secondo la leggenda, nei viaggi orientali di Marco Polo e sfu-mano nella Sicilia governata dagli Alta-villa.Formalmente niente più di un artefat-to, esso ha assunto negli anni il valore di artefatto comunicativo, di og-getto dinamico che reca informazio-ni non solo sulle sue qualità intrinseche, ma anche sulla società che lo ha eletto rappresentante della propria cultura at-traverso distanze sia temporali che geo-grafiche. È lecito dunque, pensare di poter fare del Food Design rielaborando qualcosa che in sé appare non solo concluso, ma anche conclusivo?

Lo spaghetto viene originariamente fatto risalire alla Cina; a Marco Polo il merito di averlo importato

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artefatto comunicativo forma

funzione

L’idea di elaborare un’evoluzione del classico formato del-lo spaghetto, è nata in seno ad alcune considerazioni operate all’interno della cucina di un ristorante, analizzando le tenden-ze di consumo della clientela.Come è noto, non soltanto la scelta degli ingredienti e la pe-rizia dello chef contribuiscono a stuzzicare l’immaginario del consumatore e ad aumentare il gradimento della portata: nel caso del piatto di pasta, è il formato a giocare un ruolo fonda-mentale, grazie alle innumerevoli declinazioni disponibili che possono rendere creative e dotate di personalità anche ricette di per sé estremamente semplici. Il concetto mutuato da Sullivan, secondo cui la forma segue la funzione, è in questo contesto ri-baltato: la forma è ciò che viene desiderato e consumato, e in quanto tale esiste in funzione del consumatore.

La formula “La forma segue la funzione” è stata enun-ciata alla fine del XIX secolo dall’architetto Louis Sulli-van, considerato il padre del Movimento Moderno.

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Per quanto riguarda la pasta, è emersa una sostanziale e generale predilezione per tutti quei formati cosiddetti “rigati”, in quanto meglio si prestano a raccogliere il condimento e trattenere così più a lungo sapori ed aromi. Molti formati, tra cui ad esempio le penne, si presentano ai consumatori in entrambe le varianti, permettendo così una più ampia possibilità di scelta, ed è sta-to rilevato che in genere il rigato è maggiormente apprezzato. Vi è inoltre una sostanziale, ma prevedibile, predilezione della clientela per i formati di pasta più inusuali e ricercati, creando così un accantonamento di tutti quei formati, in primis lo spa-ghetto, che seppur sempre favoriti in ambito domestico, ven-gono considerati troppo classici e consueti per quanto riguarda la ristorazione.

La ricerca è stata svolta analizzando le tendenze di consumo all’interno del ristorante per un periodo di circa sei mesi.

possi

bilita

di scelta

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9 aura

Va detto che, se c’è un formato che nel corso dei secoli si è raramente prestato a evoluzione o elaborazione, questo è pro-prio lo spaghetto. I motivi possono esse-re molteplici, in primo luogo, risponde di per sé agli scopi che tradizionalmente un formato di pasta possiede: con la sua forma allungata e serpentinata è in grado di fondersi con il condimento restituen-do una percezione del sapore a tutto tondo. Ma soprattutto, e forse questa è la ragione fondamentale, lo spaghetto rappresenta una sorta di simbolo na-zionale per quell’Italia che lo ha saputo valorizzare e far conoscere fino a giunge-re in certi casi ad uno stato di perfetta identificazione. Esso reca con sé valori di tradizione, di genuinità, di calore fami-gliare, di un’italianità vera e condivisa: un universo semantico multisfaccettato che risiede in un “piccolo” compagno di una quotidianità universalmente perce-pita. Il simbolo così configurato arriva a costituirsi come una sorta di rituale, rivestendosi di un’aura magica e diffi-cilmente scalfibile. Si definisce così un habitus, secondo la definizione Peir-ciana, ovvero un comportamento reite-rato che appare come l’unico possibile: nella percezione del consumatore vi è una sola forma legittima in cui possono esistere gli spaghetti.

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consumatore

designerQuesto è un chiaro esempio delle tendenze generali secondo le quali se un oggetto ha successo, raramente può venire con altret-tanto successo modificato, nonostante l’incremento qualitativo e il valore aggiunto che potrebbero eventualmente derivarne. Si può inferire che il consumatore sia essenzialmente “pigro”, dif-ficilmente disposto a cambiare abitudini consolidate e ritenute valide e intaccare così la concezione di un prodotto noto e ra-dicato nell’immaginario collettivo. Gli stessi designer non si av-venturano quasi mai in esplorazioni “per amore del design”, ma tutto ciò che di nuovo viene sviluppato e prodotto porta con sé un valore fondamentale, quello del profitto: ciò che conta non è che il prodotto sia valido e formalmente efficiente, ma che sia in grado di catturare il consumatore, trascinarlo “dalla propria parte” prevedendo e in un certo modo contribuendo a creare le sue stesse esigenze.

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strategia competizioneEmerge chiaramente come convivano due opposte realtà. Da un lato, la presen-za di un mito per il quale i consumatori non si aspettano e, presumibilmente, non desiderano cambiamenti a fronte di una conseguente perdita dell’aura dell’oggetto stesso; d’altro canto però, esso si rivela superato da formati concor-renti che, nell’ambito della ristorazio-ne, vengono generalmente preferiti in ragione delle loro forme maggiormente innovative e accattivanti.Si configura quindi agli occhi del food designer una vera e propria sfida, un gioco di strategia che per non di-mostrarsi in partenza fallimentare dovrà accogliere istanze sia di rinnovamento che di rispetto per ciò su cui andrà ad operare. In questo caso si può parlare di una “competizione” del designer: quella con sé stesso, per superare la sfida che si è autoimposto (autodestina-zione) e quella con i consumatori, per vincere la loro resistenza ad accettare un prodotto nuovo ed inaspettato.

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ef fetto di sensoabduzionePer trovare una soluzione in grado di adempiere a tutte le fun-zioni prestabilite, si è seguito un processo di tipo abduttivo, basato sulla fusione di razionalità e creatività. Quest’ultima si configura come un’attività di problem-solving, un’ars combina-toria tramite la quale elementi quotidiani vengono rimescola-ti in modo nuovo tale da creare, secondo la concezione di de Saussure, relazioni impreviste ed imprevedibili.La chiave di volta è rappresentata dall’abilità del designer di ri-mescolare ingredienti noti in associazioni inaspettate e appare quindi evidente come non sia necessario stravolgere le forme originali, bensì apportare ad esse un’integrazione con il già noto. Come era solito dire Albert Einstein, “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa”. È proprio in maniera sprovveduta che il food designer procede con associazioni e abbinamenti, fino ad ottenere un prodotto appropriato per il consumatore e per l’obiettivo di senso stabilito, in questo caso la percezione da parte della clientela di un prodotto a tutti gli effetti “nuo-vo” seppur basato sull’elaborazione del “vecchio”. L’effetto di senso auspicato è ovviamente un rinnovato desiderio d’acqui-sto.

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ef fetto di sensoabduzione

Procedendo per via abduttiva dunque, si riprende il risultato dell’indagine effettuata in precedenza secondo cui il “rigato” è preferito al liscio e i formati che presentano questa declinazio-ne producono nel consumatore un’attitudine all’acquisto più favorevole. Di conseguenza, siccome l’effetto di senso ricercato è proprio il consumo, si inferisce che il concept che prevedi-bilmente può dare il risultato sperato è l’introduzione dell’ele-mento “rigato”.

Schema tratto da M.Bonfantini, “Breve corso di semiotica”: l’abduzione

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spaghetto

Prime prove realizza-tive casalinghe dello spaghetto rigato

rigatoLo “spaghetto rigato” si presenta da un lato ricco di vantaggi dal punto di vista meramente pratico in quanto, alla già considerevole resa in cottura si aggiunge un particolare già ampiamente collau-dato e apprezzato che rende più agevole l’incontro con il condimento. D’altro canto però, tale elemento non era mai stato precedentemente associato al più classico dei formati che, in questa nuo-va declinazione, è in grado di produrre agli occhi del consumatore un senso di spiazzamento misto a sdegno nei con-fronti dello sprovveduto (per riprendere ancora una volta Einstein) che ha osato intaccare il mito. Questo effetto disorientante però è pro-prio ciò che è in grado di attirare l’at-tenzione (soprattutto se coadiuvato da una adeguata presentazione) e una volta superata la diffidenza iniziale, le carat-teristiche di trasformabilità e versatilità del prodotto presentato ne costituisco-no la carta vincente, così come verificato nei primissimi riscontri effettuati su una ristretta clientela.

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Trafila tradizionale e prototipi per la nuova trafila rigata

spuntiemozionaliQuesta associazione di idee si è dunque basata sul fatto che non è necessario snaturare un artefatto per conferire ad esso dei nuovi valori, né tantomeno questo intervento ne smaterializza l’aura: con piccoli accorgimenti è possibile riscrivere il senso di un oggetto e rinnovarlo continuamente, incrementando i già notevoli significati iniziali con universi semantici nuovi, forieri di inatteso valore aggiunto. Il nuovo prodotto non si impone cercando di eliminare il precedente, ma i due possono vivere in simbiosi realizzando un’integrazione e fornendo nuove possi-bilità di scelta. Va sottolineato che, in quanto prodotto già per-fettamente definito di per sé, lo spaghetto non ha come princi-pale problema una carenza dal punto di vista funzionale, né viene messa in dubbio la sua assoluta predominanza in contesto quotidiano e casalingo. Ciò che si è ricercato sono nuovi spunti emozionali, in gra-do di creare nuovi stimoli e nuovi campi dialogici tra prodotto e consumatore: in quest’ottica un’integrazione tra vecchio e nuovo non solo è possibile, ma anche auspicabile.

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conclu

sioni

Come sostenne la designer Donata Par-ruccini in un’intervista, “Sono ancora attratta dagli oggetti comuni, mi piace osservarli e riuscire ad apportargli dei pic-coli cambiamenti, non mi interessa stra-volgere gli oggetti nella ricerca di nuove immagini del futuro o cercare di imporre al fruitore nuovi comportamenti”. Forse è proprio in questo che si può individuare la chiave d’accesso a quel nuovo design che non deve più limitarsi ad inven-tare, ma anche e soprattutto a far im-maginare.

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riferim

entibibliografici Bonfantini M. A., Breve Corso di Semiotica, Esi,

2000.

Bonfantini M. A., Bramati J., Zingale S., Sus-sidiario di Semiotica (in dieci lezioni e duecento immagini), ATì Editore, 2007

Zingale, S., Gioco, dialogo, design, una ricerca semiotica, ATì Editore, 2009.

Bianchi, C., Montanari, F., Zingale, S., (a cura di), La semiotica e il progetto 2 - spazi, oggetti e interfacce, Franco Angeli Editore, 2010 Fiorani E., Grammatica della comunicazione, Lupetti - Editori di comunicazione, 2002

Coviello, M., Il mestiere del copy, Franco Angeli Editore, 2005

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bibliografici De Fusco, R., Il design che prima non c’era, Franco Angeli Editore, 2008

Dorfles, G., Introduzione al disegno industriale, Cappelli Editore, 1963

A.a V.v., Uomo al centro del progetto, Allemandi & C., 2008

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Murrau, Irene 764500

POLITECNICO DI MILANOFACOLTÁ DEL DESIGN CORSO DI LAUREA IN DESIGN DELLA COMUNICAZIONE Semiotica del progetto di comunicazione A.A. 2010-2011

Prova finale